Missione di salvataggio di Darik (/viewuser.php?uid=262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
MISSIONE DI SALVATAGGIO
Faceva un freddo cane quella sera, e nonostante il suo compito fosse quello
di sorvegliare il palazzo, la guardia pensava soltanto a quando il suo turno
sarebbe finito e avrebbe potuto finalmente andare a casa per farsi un bel bagno
caldo.
Guardò l’orologio e sbuffò rassegnato quando vide che per la fine del suo
turno mancavano ancora tre ore.
“Pazienza. Vorrà dire che mi metterò a guardare i palazzi come al solito”.
Si avvicinò al bordo e cominciò a contemplare il panorama notturno, quella
gigantesca città brulicante di luci e di vita.
Aveva inventato tre modi per passare il tempo guardando il panorama: o si
metteva a contare le luci di ogni singolo edificio, o cercava qualche finestra
abbastanza grande e vicina che gli permettesse di spiare le persone dall’altra
parte, o infine, tentava di riconoscere le macchine che passavano per le strade
sotto di lui.
C’era una tale abbondanza di tutte queste cose nella città intorno a lui, che
quelle tre ore sarebbero volate.
Ma le ore non furono le sole a volare, visto che anche un oggetto di piombo,
piccolo, appuntito e silenzioso, partito da dietro un condotto di aerazione,
volando si conficcò con forza nella testa della guardia, che con un leggero
gemito cadde a terra.
Due uomini, vestiti con una tuta nera, un passamontagna e armati uno con una
pistola munita di silenziatore e l’altro con un fucile mitragliatore, sbucarono
da dietro il condotto, muovendosi agilmente e silenziosamente, presero il
cadavere della guardia per i piedi e lo trascinarono dietro lo stesso condotto.
Entrambi avevano anche un grosso zaino che lasciarono lì insieme al cadavere
della guardia.
Guardarono l’orologio che tenevano al polso, facendo scattare un piccolo
cronometro che scendeva a partire da dieci minuti, da una tasca della guardia
presero un tesserino e si diressero verso una porta di colore rosso leggermente
illuminata da una lampadina.
Non c’erano serrature, ma solo una fessura, e vi infilarono il tesserino.
Ci fu un ‘bip’ seguito da uno ‘click’ e la porta si aprì da sola.
I due entrarono, scesero una rampa di scala e arrivarono di fronte ad
un’altra porta rossa, stavolta munita di maniglia.
Prima di aprirla, uno dei cominciò a spogliarsi, togliendosi passamontagna e
tuta, sotto la quale teneva una divisa di colore grigio.
Raccolse la tuta e il passamontagna in un fagotto, posandoli per terra.
Nascose la pistola sotto la maglia della divisa grigia, fece un cenno al suo
compagno che gli rispose ok con un altro cenno della mano, respirò profondamente
e aprì la porta.
Il corridoio era vuoto, pareti bianche e spoglie in plastica.
Cominciò a camminare con tranquillità, lanciando ogni tanto delle occhiate al
suo orologio: stando al cronometro, gli erano rimasti sette minuti per
individuare il bersaglio e fuggire, prima che la mancata risposta all’appello di
controllo della guardia che avevano freddato, facesse scattare l’allarme.
Dopo aver attraversato altri tre corridoi tutti uguali, nei quali aveva
incontrato alcuni uomini vestiti di grigio come lui, raggiunse il suo bersaglio:
un laboratorio separato dal corridoio da un muro a vetrata.
Al centro della vetrata, una porta.
Per entrare era necessario digitare un apposito codice su una piccola
tastiera che affiancava la porta, e l’uomo cominciò a inserire il codice
fornitogli dai servizi di intelligence della sua organizzazione, sperando che
non avessero sbagliato.
Ancora una volta, avevano visto giusto, la porta si aprì silenziosamente, e
l’uomo poté entrare nel laboratorio, pieno di macchinari molto complessi e di
uomini in camice bianco.
La sua attenzione fu attirata però da un oggetto rettangolare, una vasca, al
cui interno giaceva una persona, un ragazzo con i capelli biondi bloccato con
dei legacci e immerso in un liquido simile all’acqua, ma più denso.
Indossava una tuta nera cui erano collegati dei tubi, e sembrava che stesse
dormendo, un sonno molto agitato, ogni tanto il poveretto era preda di
convulsioni, espressioni di dolore si disegnavano sul suo viso, mentre due di
quegli uomini in bianco si apprestavano a fargli delle iniezioni.
L’uomo guardò di nuovo il suo cronometro: solo quattro minuti.
Aveva dunque un minuto per liberare il ragazzo e altri tre per raggiungere
con quest’ultimo il tetto e fuggire insieme al suo compagno rimasto indietro per
proteggere la via di fuga.
Rapidamente estrasse la pistola, e prima che chiunque potesse dire ‘ah’,
freddò in rapida successione tutti e otto gli scienziati che si trovavano nel
laboratorio, colpendoli alla testa.
Si avvicinò alla vasca, estrasse una piccola siringa da una tasca interna e
la iniettò nel collo del ragazzo, molto pallido.
Che quasi all’istante si svegliò, e si guardò in giro con occhi confusi e
spaventati.
“Coraggio ragazzo, sono venuto per riportarti a casa”.
Il ragazzo inizialmente lo guardò in parte con sorpresa e in parte con
sospetto, ma in breve un barlume di decisione apparve sul suo viso, insieme ad
un sorriso riconoscente, annuì ed uscì dalla vasca, mentre l’uomo gli staccava i
cavi dalla tuta e lo liberava dai legacci.
Il ragazzo barcollava ma sembrava in grado di muoversi senza troppi problemi.
“Muoviamoci!” esclamò l’uomo.
I due uscirono dal laboratorio, e cominciarono a correre verso l’uscita,
anche se il giovane biondo aveva bisogno di reggersi al suo salvatore.
Ad ogni corridoio, l’uomo faceva fermare il ragazzo, controllava se la via
era libera e poi procedevano.
Stavano rispettando alla perfezione i tempi.
“Bah, sono uomini davvero semplici e prevedibili” commentò un uomo semi
immerso nell’oscurità, che guardava da un monitor posto sulla sua scrivania la
fuga dell’uomo e del ragazzo.
“Faccio scattare l’allarme, signor Wong?” domandò uno in piedi dietro di lui.
“Non c’è ne bisogno, Charles. Lo sai che ho un metodo infallibile per
sistemare i ficcanaso che cercano di rubarmi ciò che mi appartiene”.
Avevano ormai raggiunto tutti e tre il tetto dell’edificio, e l’allarme non
era ancora scattato.
Il suo compagno armato di mitra non aveva avuto alcun problema.
Stava andando tutto decisamente molto bene.
I due uomini portarono il ragazzo vicino al condotto d’aerazione,
recuperarono i loro zaini e ne tirarono fuori due piccoli oggetti di forma
rettangolare lunghi e larghi circa un metro.
Entrambi premettero un pulsante quasi invisibile, e improvvisamente, con un
unico scatto, da uno dei due rettangoli si allungò un’ala dal bordo destro,
mentre dall’altro l’ala scattò dal bordo sinistro.
Sempre dagli zaini, uno degli uomini prese alcune aste e le montò sotto
l’oggetto rettangolare e sotto lo sguardo del suo compagno.
“L’aliante è pronto. Lo useremo per volare fino alla cima dell’edificio più
vicino. Da lì scappare sarà uno scherzo”.
“Dai Nora, cosa vuoi che sia un bacio in strada!” incalzò il ragazzo mettendo
una mano sulla gamba della sua fidanzata e l’altra intorno alle spalle.
“Piantala Sung. Ho già detto di no. Non mi va che qualcuno ci guardi” rispose
la ragazza uscendo dall’auto.
“Ma in questo momento non c’è nessuno. E anche se passasse qualcuno, pensi
che gli importerebbe vedere due ragazzi che si baciano dentro una macchina?”
ribatté Sung scendendo anche lui dalla macchina.
“Dì quello che vuoi, ma non mi piace sbandierare in pubblico i miei momenti
di intimità!”
La ragazza, con una faccia offesa, diede le spalle al fidanzato.
Il quale fece altrettanto , commentando: “Mamma mia, che santarellina che
sei!”
Avrebbe potuto capirla se fossero stati in piena città, ma in una zona
periferica come quella, chi poteva passare, specie a quell’ora?
Improvvisamente in lontananza si udì il rumore di ruote che stridevano
sull’asfalto, e da una curva sbucò un furgone nero con i vetri oscurati.
I due fidanzati fissarono incuriositi quel mezzo, i cui occupanti, aprendo
uno sportello laterale, buttarono un grosso sacco nero sulla strada, senza
fermarsi.
Il furgone scomparve nella notte con la stessa rapidità con cui era apparso.
“Strano modo di buttare l’immondizia” commentò il ragazzo.
“In effetti…” continuò la ragazza, che notò però uno strano particolare: un
oggetto bianco e in alcuni punti rosso che spuntava dal sacco.
Incuriosita si avvicinò.
E qualche istante dopo, un grido di terrore risuonò nella strada.
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Capitolo 2 *** 1° Capitolo ***
1° CAPITOLO
“Uffa, che noia!” sbuffò Kurz Weber stando sdraiato sul suo letto.
Il Tuatha De Daanan sarebbe rimasto fermo alla base per una revisione
generale per almeno una settimana.
E di conseguenza tutti i soldati come lui, che non avevano competenze in
fatto di sommergibili, finivano col trovarsi un sacco di tempo libero.
Per Kurz sarebbe stato anche piacevole, ma non aveva niente per riempire
quel tempo libero.
Non poteva punzecchiare Sosuke perché era ancora in Giappone a fare la
guardia alla bella Kaname, non poteva sbirciare come suo solito né la dolce
Tessa, impegnata ventiquattro ore su ventiquattro a controllare le condizioni
del sottomarino insieme a squadre di ingegneri, né la sua sorellina Melissa,
convocata urgentemente per un incarico in un’altra base della Mithril.
E, ciliegina sulla torta della noia, in quei giorni non era neppure riuscito
a procurarsi qualche nuova foto di Tessa da vendere a qualcuno dei suoi
commilitoni.
“Mi sa che questa settimana la passerò a sbronzarmi!” pensò Kurz poggiandosi
su un lato
“Alzati, scansafatiche!” ordinò autoritaria una voce femminile.
Colto di sorpresa, Kurz si alzò di scatto e andò a sbattere con la testa
contro il letto sopra il suo.
“Ma porca miseriaccia!” sbottò il giovane tenendosi la fronte con le mani.
Poi vide chi l’aveva chiamato: Melissa Mao.
“Ah, sei tu, sorellina. Quando sei tornata?”
“Pochi minuti fa, e sapevo che ti avrei trovato sul letto a non fare niente.
Dai, muoviamoci”.
“Muoviamoci? Per andare dove?”
“Il maggiore Kalinin ci attende nel suo ufficio. Pare che abbia una missione
da affidarci”.
L’ufficiale russo rispose con un semplice ‘avanti’, quando sentì bussare alla
sua porta.
Melissa e Kurz entrarono e si misero sull’attenti.
Kalinin non cominciò a parlare subito, finì di leggere alcuni dossier, poi li
chiuse e ne prese altri.
“Molto bene, vedrò di essere rapido: vi è stata assegnata una missione a
Bangkok. Una missione di recupero di un whispered”.
“Un whispered? Be, ormai sembra che il nostro gruppo non faccia altro”
commentò leggermente sarcastico Kurz, col risultato di beccarsi una gomitata in
un fianco da Melissa.
“La faccenda è decisamente più complessa di quello che credete” continuò
l’ufficiale russo impassibile.
Aprì uno dei dossier e lo passò ai suoi subordinati.
Melissa e Kurz videro la foto di un ragazzo con i capelli biondi.
E Kurz rimase un po’ deluso, perché stavolta da salvare non c’erano belle
fanciulle, ma un lui.
“Quello è il soggetto in questione: Gerard Martin, francese, venti anni. Già
da tempo i nostri servizi di intelligence lo avevano inserito nell’elenco dei
possibili whispered, e quando è stato rapito, un mese fa, lo abbiamo cercato in
tutto il mondo, riuscendo finalmente a rintracciarlo a Bangkok grazie ad un
rilevamento satellitare, tre settimane fa.
Il luogo in cui è tenuto prigioniero è un palazzo sede di una società
finanziaria, la UC, di proprietà di Charlie Wong, uno degli astri nascenti
dell’economia asiatica.
Inoltre, due mesi fa Wong ha finanziato le ricerche del dottor Robert Bixby,
un luminare nel campo degli studi sul cervello. E proprio un mese fa, il dottor
Bixby è morto in un incidente d’auto”.
“Un classico lavoro di ‘liquidazione’” osservò Melissa.
“E quello che pensiamo anche noi.
Ora, siccome Bangkok è una delle più importanti città dell’Asia, non è
possibile organizzare un attacco con gli AS col rischio di provocare un
incidente internazionale e di coinvolgere dei civili. Quindi abbiamo deciso di
organizzare una missione affidata ad agenti scelti, per recuperare il whispered
facendo meno rumore possibile. E dopo aver controllato il curriculum di trenta
soggetti selezionati, il Quartier Generale ha deciso di inviare voi due” spiegò
Kalinin.
“Ho una domanda, signore” disse ad un tratto Melissa.
La donna trovava strano che si organizzasse solo allora una missione di
salvataggio, se già da tre settimane sapevano dove fosse il ragazzo.
“Lo so cosa vuole chiedermi e infatti non vi ho ancora detto che già due
settimane fa abbiamo inviato due nostri agenti per liberare Martin, ovvero Paul
Tien e Stan Winston. Tien in particolare, era uno dei migliori agenti che
avevamo”.
“Avevamo?” domandò Kurz sospettoso, cominciando ad intuire perché Kalinin
avesse detto che quella situazione era più complessa delle altre riguardanti i
whispered.
“Tien purtroppo è stato ucciso nel corso della missione. Il suo cadavere è
stato trovato da due ragazzi nella periferia di Bangkok”.
Mao e Kurz sfogliarono ancora il dossier, trovando la foto del loro collega
steso sull’asfalto dentro un sacco nero.
“Poveraccio” si lasciò sfuggire Kurz.
Melissa invece guardò il foglio cui era allegata la foto, per leggere la
causa della morte: una profonda ferita alla testa che aveva spaccato la calotta
cranica in due parti.
“Qui non viene detto che fine ha fatto Winston, quindi ne deduco che forse
non è morto insieme a Tien” disse allora Melissa.
“Esatto. E siccome Tien è morto e Winston è scomparso senza lasciare traccia,
le possibilità sono due: o è stato catturato oppure, per qualche motivo, ha
tradito la Mithril.
Per questo nelle ultime due settimane, la strategia è stata rivista
attentamente in ogni sua parte, e si è deciso di inviare quattro agenti anziché
due.
Avete ventiquattro ore per prepararvi, dopo di che partirete per Bangkok.
Sul posto verrete affiancati dagli altri nostri agenti, che fungeranno da
appoggio e si occuperanno di Winston, mentre voi libererete Martin. Durante il
viaggio, troverete in quel dossier tutte le informazioni che vi occorrono.
Potete andare” li congedò Kalinin.
“Una missione di recupero davvero diversa dalle altre. Niente AS, niente basi
segrete isolate nel deserto o nella steppa russa, ma una gran bella città. Be,
meglio cosi, cambiare aria ogni tanto, fa bene. E poi, conclusa la missione,
potremmo andare a spassarcela in qualche locale” diceva Kurz stiracchiando le
braccia.
“Non riesco ancora a capire se la tua tranquillità è segno di sicurezza o di
irresponsabilità, comunque ti avverto già da adesso: vedi di comportarti bene,
stavolta non avremo corazze spesse decine di cm a proteggerci”.
“Ma si, ma si, non preoccuparti sorellina, ti prometto che farò il bravo.
Però, devo confidarti che ci sarebbero maggiori garanzie da parte mia se
ricevessi qualche… incentivo” disse il ragazzo con voce ed espressione maliziose
mettendo una mano sulla spalla della donna.
Che, con un espressione altrettanto maliziosa, afferrò il braccio di Kurz e
cominciò a torcerlo con grande semplicità.
“Ahi, ohi, uhi!” esclamò Kurz.
“Stamattina mi sono alzata di buon umore, e vorrei mantenerlo a lungo” spiegò
con dolcezza Melissa.
“Messaggio recepito” disse il ragazzo sudando e facendo un sorriso da
innocentino.
“Quindi farai il bravo senza chiedere… incentivi?”
“Te lo giuro”.
Melissa mollò la presa.
“Perfetto. Vai a preparare la tua roba, ci vediamo all’hangar principale”.
“Ehi, sorellina, se vuoi potrei aiutarti a sistemare anche la tua ro…”
Melissa fissò Kurz stavolta con occhi di ghiaccio.
“Ma se non vuoi, non c’è problema. Era solo per chiedere” disse il ragazzo
indietreggiando e dirigendosi poi con passo veloce verso la sua cabina.
“Imbecille” commentò rassegnata Melissa andando verso la proprio cabina.
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Capitolo 3 *** 2° Capitolo ***
2° CAPITOLO
Bangkok era una città grande e frenetica, che rispecchiava molto bene la
situazione ambivalente in cui si trovava l’Asia in quel periodo: a palazzi e
grattacieli modernissimi ed efficienti, dove lavoravano ingegneri e manager
rampanti, perfettamente istruiti nei costumi occidentali, si alternavano
quartieri formati da povere casupole e baracche, dove vivevano persone per le
quali il tempo sembrava essersi fermato qualche secolo addietro.
Le strade erano un brulichio di gente di ogni genere, persone elegantemente
vestite si alternavano a poveracci che vivevano di elemosina, vecchie e scassate
macchine si muovevano a rilento in mezzo a scattanti fuoriserie, negozi
ultrachic erano vicini a bancarelle mobili che vendevano spaghetti o altri cibi
locali.
Il futuro e il passato si intrecciavano e coesistevano.
In mezzo a quella fiumana di persone, due figure si muovevano avvolte in
abiti del luogo.
“Bleah, questa roba puzza in una maniera terribile!” si lamentò uno dei due,
un maschio, col volto quasi interamente coperto.
“Per favore, smettila di lamentarti. E ricordati di non parlare in giapponese
ad alta voce. Ti ho già detto che dobbiamo mescolarci tra la folla, no? E poi,
sei o non sei un soldato? Non sai sopportare qualche cattivo odore?” ribatté
l’altra figura, con una voce da donna, parlando con tono più basso.
“Ma io sono abituato a profumarmi spesso, per fare colpo sulle ragazze, e poi
ho le narici sensibili” rispose lui seccato e abbassando il tono di voce.
“Sai, se non fosse per il rischio di dare troppo nell’occhio, vorrei tanto
far conoscere il mio pugno alla tua guancia destra”.
L’altro allora deglutì leggermente.
“Dunque, il luogo dell’appuntamento è una palafitta col tetto rosso, a due
isolati da qui” continuò l’altra.
Si inoltrarono sempre di più nella città, fino a raggiungere il fiume.
In quella zona la folla precedente era scomparsa, sostituita da un gruppo
sparuto di persone impegnate in varie e povere attività, e alcuni bambini che
giocavano rumorosamente.
Poi videro finalmente la palafitta col tetto rosso, e vi si avvicinarono
cautamente.
All’interno non c’era nessuno, e l’arredamento era inesistente.
“Non mi piace molto” commentò la donna.
“Hai ragione, fa veramente schifo questo posto” continuò il suo compagno.
Che ricevette un pugno fenomenale in pieno viso.
Visto che ormai erano lontani dalla folla, se lo poteva anche permettere.
“Io intendevo dire che mi sembra un luogo sospetto. Sai, quando te ne esci
con simili sparate, mi chiedo effettivamente se sei davvero un soldato” disse
irritata la donna.
“Ohi, ohi, il mio povero nasino…. Be, adesso che facciamo?”
“Ci sediamo qui e attendiamo che arrivino. Non mi fido ad entrare in questa
palafitta, con quel tetto rosso mi sembra un bersaglio”.
I due stavano seduti per terra da almeno un’ora, fingendosi dei mendicanti
che chiedevano l’elemosina, e stando quindi con una mano e un braccio sollevati
nell’atto di ricevere.
“Sorellina, io comincio ad annoiarmi”.
“Devi avere pazienza. Si faranno vedere”.
Superannoiato, l’uomo cominciò allora ad osservare il gruppo di bambini, che
giocavano con una palla.
Improvvisamente qualcuno gli mise una mano sulla spalla facendolo sobbalzare.
La donna si voltò di scatto, mettendo una mano su una pistola che teneva
nascosta, ma il nuovo arrivato, che indossava degli abiti di un bianco sporco,
le fece cenno di fermarsi, e cominciò a parlare in tailandese:
“Oh, amici miei, che gioia rivedervi. Scusatemi se vi ho fatto aspettare
sull’uscio della mia povera casa e se vi ho spaventato, ma non ci vedevamo da
cosi tanto tempo, che non ho resistito alla tentazione di farvi un piccolo
scherzo. Prego, entrate”.
L’uomo vestito di bianco e la donna si scambiarono alcuni sguardi.
Allora anche lei, in tailandese, rispose: “E’ un vero piacere ritrovarti,
carissimo amico. Ora entriamo, abbiamo molte cose di cui parlare”.
Il gruppetto si alzò ed entrò nella palafitta.
“Non mi hai mai detto che conoscevi il tailandese” disse l’uomo alla sua
compagna.
“Non me l’hai mai chiesto” ribatté lei.
Dentro la palafitta c’era un altro uomo, di colore, con la barba, alto, e
dalla corporatura possente.
La donna riconobbe i loro volti che aveva già visto sul dossier.
“Gli agenti Ralph Maquarrie e P.E. Barraccus, giusto?”
“Esatto” rispose uno dei due “E voi siete Melissa Mao e Kurz Weber”.
“Precisamente” rispose Kurz, che diede la mano a Barracus.
Ma la stretta dell’uomo era tale, che Kurz rimpianse di averlo fatto.
“Bando alle ciance, e passiamo subito al sodo. Abbiamo un ragazzo da salvare
e un possibile traditore da schiacciare sotto i piedi!” esclamò poi Barracus.
“E’ un tipo molto diretto” pensò Mao.
“Scusatelo per i modi bruschi, lui solitamente agisce con un’altra squadra, e
non gli piace lavorare con degli sconosciuti. Allora, qui vicino abbiamo la
nostra base operativa mobile, da lì cominceremo a studiare un piano.
L’operazione è prevista per stanotte” spiegò Maquarrie.
Il quartetto uscì dalla palafitta passando per un’altra porta, e raggiunsero
un furgone nero, dall’aspetto piuttosto trasandato e coperto da stracci e casse
fissate sul tetto tramite delle corde.
“Il suo aspetto non è dei migliori” commentò Kurz.
“Ehi scemo! Non osare offendere il mio furgone! Quello è solo un
travestimento per non dare nell’occhio!” gli intimò minaccioso Barracus
mostrandogli il pugno.
“Certo, certo, tranquillo, ti credo sulla parola” rispose Kurz sudando
freddo.
Attraverso un portello scorrevole, entrarono nel furgone, mentre Barracus si
metteva alla guida e faceva partire il mezzo.
L’aspetto esterno del furgone non coincideva davvero con quello interno,
fornito di un computer con tre monitor, di un tavolo con sopra la planimetria di
un edificio e illuminazione interna fornita da piccole lampade posizionate a mo di fari.
Intorno al tavolo, quattro poltroncine.
Il furgone si diresse fuori città, e parcheggiò in un piccolo spiazzo in
terra battuta.
I quattro agenti della Mithril si sedettero intorno al tavolo, e
cominciarono a studiare il piano d’azione.
“Bene” esordì Maquarrie “questa è la planimetria dell’edificio dove il
ragazzo è tenuto prigioniero. Dopo il fallito tentativo di infiltrazione costato
la vita al povero Tien, i tetti del palazzo saranno supersorvegliati, quindi
esiste un solo punto dal quale è possibile accedere di nascosto”.
L’uomo indicò col dito una zona sottostante l’edificio-bersaglio.
“Vuoi dire che dobbiamo passare per le fogne” disse Mao.
“Esatto. Tra l’altro dalle fogne è possibile entrare nel palazzo senza
bisogno di passare per le porte munite di codici, che sicuramente saranno stati
tutti cambiati. Una volta entrati, ci toccherà infilarci in un condotto di
aerazione, e salendo di alcuni piani, raggiungeremo il laboratorio dove Martin è
tenuto prigioniero.
Una volta liberato, faremo con lui il percorso inverso e lo porteremo fuori.
Nel caso qualcosa vada storto, ecco la via di fuga: un condotto che conduce ad
un centro di riciclaggio dell’acqua, che viene usata per l’impianto di
raffreddamento dell’edificio. E’ collegato direttamente con un piccolo affluente
del fiume, ci permetterà di filarcela alla chetichella”.
“Be, mi sembra un piano piuttosto semplice” disse Kurz.
“Spesso i piani più semplici sono anche i migliori” rispose Maquarrie.
“E si hanno notizie di Winston?” domandò Melissa.
“Nessuna. Le possibilità sono sempre due: o è stato fatto prigioniero, oppure
ha tradito”.
“Ed è qui che entriamo in scena noi due” si inserì Barracus “mentre voi
libererete Martin, io e Ralph raggiungeremo le prigioni dell’edificio, che
stanno nei sotterranei. Se è prigioniero si troverà sicuramente lì. Se non lo è,
agiremo di conseguenza…”
“Mmmh, ok. Allora cominciamo a mettere a punto l’attrezzatura. Stanotte
avremo molto da fare” concluse Melissa esaminando con attenzione la mappa
dell’edificio.
Un uomo con lineamenti orientali e i capelli neri lisci, vestito con un
elegante completo bianco, da dietro una vetrata, osservava il ragazzo che
galleggiava nella vasca, mentre su un monitor sopra di lui apparivano in
continuazione, e senza un ordine apparente, una serie di strani simboli su uno
sfondo di luci e colori.
E ancora il corpo del ragazzo era colto da violente convulsioni, e spesso gli
scappavano gemiti di dolore.
“Signor Wong, mi scusi” disse un’altra persona arrivando dietro di lui, un
ragazzo con i capelli rossicci vestito con un completo grigio.
“Cosa c’è, Charles?” rispose impassibile Wong.
“E’ giunta la conferma che i due nuovi agenti della Mithril sono arrivati
oggi”.
“Magnifico. Sono contento di aver finalmente trovato delle fonti affidabili”.
“Pensa che dovremo aumentare ulteriormente la sorveglianza?”
“Non ce ne bisogno. Ho sempre il mio asso nella manica”.
Rimasto solo, Wong si passò la lingua sulle labbra, come se pregustasse
qualcosa.
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Capitolo 4 *** 3° Capitolo ***
3° CAPITOLO
La sera era arrivata piuttosto rapidamente, ma non c’erano stati cambiamenti
nella frenetica vita cittadina di Bangkok.
Il furgone con gli uomini della Mithril era parcheggiato in un vicolo isolato
e deserto, distante due isolati dal palazzo della UC.
Mao, Kurz, Barracus e Maquarrie, con indosso delle tute nere, zaini e armati
di tutto punto, stavano per entrare in azione.
Sulla testa avevano dei caschi con delle torce.
“Bene. Qui sotto c’è un tombino, lo useremo per arrivare proprio sotto il
bersaglio” disse Maquarrie.
“E non resterà nessuno a fare la guardia al furgone?” domandò Kurz.
“Nessun problema. Il mio furgone è attrezzato con un antifurto capace di
segnalarci qualunque tentativo di manomissione. E poi, gli abbiamo dato un
aspetto talmente malandato che nessun ladro tenterebbe di rubarlo” rispose
Barracus.
“Sono le undici e mezza, procediamo!” ordinò Melissa.
Fecero scorrere un piccolo panello sul pavimento del furgone, sotto il quale
c’era un tombino.
Barracus con un piede di porco, aprì con grande facilità il tombino, e il
quartetto vi si intrufolò.
Un odore nauseabondo investì in pieno i quattro, che accesero le torce e
cominciarono ad muoversi ai lati di quei tunnel abbastanza stretti e sporchi di
qualunque cosa, mentre sulla superficie dell’acqua che scorreva in mezzo alle
gallerie, un’acqua nera come il carbone, galleggiavano gli oggetti più disparati
e anche carcasse in decomposizione di piccoli animali.
“Urgh, che schifezza! Meno male che non ho mangiato, altrimenti mi sa che
vomiterei” si lamentò Kurz.
“Kurz” gli disse con calma Melissa “Se ti sento lamentarti ancora, ti farò
fare un bel bagnetto in questa pulitissima acqua!”
E il ragazzo biondo rimase in silenzio.
“Allora” Maquarrie attivò un minischermo con la mappa di quelle fognature,
che teneva attaccato al polso “il nostro bersaglio si trova trecento metri
davanti a noi. Inutile dirvi che dobbiamo fare molta attenzione a non perderci,
questi cunicoli sono un vero labirinto. E se passiamo vicino a qualche grata o
tombino scoperto, dovremo spegnere le torce per non attirare l’attenzione della
gente in strada”.
Maquarrie cominciò a guidare il gruppo.
Una figura si avvicinò cautamente al furgone, facendo attenzione a non
toccarlo e guardando che in giro non ci fosse nessuno.
Si abbassò e scrutò l’asfalto sotto il mezzo.
Anche se il tombino era stato chiuso, era certo che fossero scesi di lì.
Si allontanò di corsa.
“Ok, ci siamo” avvertì Maquarrie.
Dopo dieci minuti passati a camminare in mezzo alle fogne, con Kurz che
cercava scalciando di allontanare alcuni topi troppo grandi per i suoi gusti,
erano arrivati in un vicolo cieco.
“Davanti a noi, in questo punto, passa il condotto d’aerazione. Ci
intrufoleremo e lo useremo per raggiungere il laboratorio dove si trova Martin e
le prigioni dove forse è tenuto prigioniero Winston. Vai, P. E.”.
Il muscoloso uomo di colore estrasse dal suo zaino un oggetto simile ad un
trapano, lo puntò verso il muro e premendo un grilletto fece uscire dalla punta
un sottile raggio laser, che con un leggero ronzio, iniziò a scavare il cemento
rinforzato del muro.
Barracus col raggio disegnò un cerchio sul muro, e ripeté lo stesso gesto
almeno cinque volte.
Poi posò il laser, prese un paio di ventose e le usò per staccare il pezzo di
muro tagliato.
Nonostante si trattasse di un blocco piuttosto grande e spesso almeno mezzo
metro, l’uomo lo spostò senza grande sforzo.
Dietro il muro, c’era un grosso tubo color acciaio, e anche su di esso,
Barracus fece la stessa operazione.
Una volta tolto lo strato di metallo, una sottile corrente di aria fredda li
avvolse.
Entrarono in fila nel condotto, grande abbastanza perché vi si potessero
muovere strisciando affiancati, e Maquarrie era sempre il capofila.
Si mossero in avanti, fino a quando il condotto non deviò verso l’alto, e per
salire dovettero arrampicarsi grazie a delle ventose messe sulle mani e sulle
ginocchia.
Dopo un arrampicata di una ventina di metri, arrivarono ad un bivio: una
parte del condotto continuava verso l’alto, mentre un’altra proseguiva
perpendicolare alla prima.
Maquarrie con una serie di gesti, fece intendere a Barracus che loro due
dovevano infilarsi nel condotto perpendicolare, e quando lo fecero, Kurz e
Melissa ripresero a salire ritrovandosi faccia a faccia con la loro guida.
“Continuate a salire, troverete altri condotti perpendicolari. Quello per il
laboratorio è il quarto a partire da questo. Una volta entrati, capirete subito
dove dovete andare” spiegò sottovoce l’uomo.
Kurz e Melissa risposero col segno ‘ok’ e ripresero a salire.
Una volta raggiunto il loro condotto, i due entrarono, ancora in fila per
uno.
Capirono subito perché Maquarrie aveva detto loro che non avrebbero avuto
problemi a capire dove andare, visto che da quel condotto ne partivano altri che
però erano troppo piccoli perché una persona potesse passarci.
Quindi dovevano per forza seguire quello più grande, che andando avanti si
ingrandiva sempre di più, al punto che i due poterono muoversi affiancati.
Arrivarono vicino ad una grossa grata metallica e sbirciarono sotto.
Ecco il laboratorio, cinque metri più in basso, con cinque anzi sei
scienziati intenti a controllare dati e ad esaminare Martin, che giaceva sempre
nella vasca, sempre sofferente e legato.
Videro anche quattro guardie armate vicino alla porta.
Melissa e Kurz presero due piccole pistole argentate, attraverso la grate le
puntarono contro le guardie e contro gli scienziati, attesero il momento giusto
e poi premettero il grilletto.
Le pistole emisero solo dei leggeri sibili, mentre i due agenti della Mithril
colpivano uno dopo l’altro tutti i presenti nel laboratorio.
E sembrò non succedere niente, ad eccezione di due guardie e uno scienziato
che si toccarono il collo con una mano, come se qualcosa li avesse punti.
Melissa guardò il suo orologio, alzò una mano e quando la abbassò tutti
quegli uomini si afflosciarono a terra come marionette a cui avevano tagliato i
fili.
“Wow! Secondo te è più fenomenale questa pistola che spara aghi minuscoli
oppure la droga che contengono?” chiese Kurz soddisfatto.
“Difficile decidere” rispose Melissa altrettanto soddisfatta.
Aprirono la grata, presero dallo zaino un cavo sottile e allungabile, lo
attaccarono ad un bordo e si calarono nel laboratorio.
Dovevano far presto, prima che potesse arrivare qualcuno.
Raggiunto il pavimento, svegliarono Martin iniettandogli una piccola droga
stimolante.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, cercò di alzarsi all’improvviso,
venendo bloccato dai legacci, che prontamente Melissa e Kurz tagliarono.
Guardò spaventato i due agenti della Mithril e parlò in francese, una lingua
che Kurz non conosceva.
Ma la conosceva Melissa, che gli rispose con lo stesso linguaggio.
“Lui ci ha chiesto chi siamo e gli ho detto che siamo venuti a liberarlo”
spiegò Melissa a Kurz vedendo la sua faccia perplessa.
“Wow, sorellina, prima il tailandese e ora il francese. Non sapevo che fossi
una poliglotta”.
“Se non passassi il tuo tempo a sbirciare solo il mio corpo, te ne saresti
accorto da un pezzo”.
“Ma il tuo corpo è talmente bello che sarebbe un delitto non guardarlo”
replicò Kurz ammiccando con lo sguardo.
Melissa scosse la testa rassegnata, e aiutò Martin a mettersi una corda
intorno alla cintola, dicendogli di cominciare a salire verso il condotto subito
dopo Kurz, che salì per primo.
Il ragazzo però, prima di salire implorò Melissa in francese: “Vi prego, non
mi abbandonate come quegli altri due”.
E Melissa rimase interdetta: cosa voleva dire con abbandonarlo?
Questo insospettì la donna, ma in quel momento non c’era il tempo per
chiedere spiegazioni, quindi si limitò a rassicurarlo sorridendogli dolcemente:
“Sta tranquillo, nessuno ti abbandonerà, andrà tutto bene”.
A quelle parole, Martin parve rilassarsi molto, fece un largo sorriso di
gratitudine e cominciò a salire.
Una volta in cima, Kurz lo aiutò a entrare dentro il condotto.
Melissa cominciò anche lei a salire.
Stava andando decisamente tutto molto bene.
Il trio fece all’inverso lo stesso percorso, fino a ritrovarsi nel condotto
principale, che scesero grazie alle ventose, mentre Martin stava aggrappato a
Kurz.
Ritrovarono Barracus e Maquarrie dove li avevano lasciati.
“Bene, l’obbiettivo primario è stato raggiunto” commentò soddisfatto
Maquarrie “ma non il secondario”.
“Non avete trovato Winston nelle prigioni?” domandò Melissa.
“No, quindi temo che sia da considerare seriamente l’altra ipotesi: ci ha
tradito”.
“Eh, anche l’albero migliore può avere delle mele marce” commentò Kurz.
“A lui penseremo dopo. Ora mettiamo al sicuro il pupo” disse Barracus.
Il gruppo riattraversò strisciando il condotto d’aerazione e raggiunse
l’apertura nel muro.
Quando uscirono tutti, Maquarrie pensò soddisfatto: “Ormai è fatta”.
E sicuramente pensava ancora questo quando un proiettile gli passò da parte a
parte il cranio.
I suoi compagni, colti completamente di sorpresa e col viso sporcato da
qualche schizzo di sangue fresco, lo videro accasciarsi al suolo.
“Merda!” esclamò Barracus, che con il suo mitra cominciò a sparare a raffica
verso il buio del cunicolo da cui era arrivato il colpo.
Melissa invece non perse tempo: “Qui siamo troppo allo scoperto, torniamo nel
condotto!” ordinò e vi spinse dentro con forza Martin, che se ne stava
raggomitolato in un angolo tremante per la paura, e Kurz.
“Forza Barracus, andiamo!”
“Voi andate per primi, io vi copro” rispose l’uomo di colore continuando a
sparare all’impazzata verso il cunicolo.
Quando anche Melissa fu entrata, Barracus prese una granata luminosa, la
lanciò davanti a se e coperto da quella luce accecante, sfilò lo zaino di
Maquarrie per recuperare attrezzatura che avrebbe potuto ritornare utile in
seguito e si infilò anche lui nel condotto.
Il gruppo proseguì per qualche metro in quello spazio ristretto.
“Era una fottuta trappola, ci stavano aspettando!” esclamò Kurz.
“E come può essere?” continuò Barracus.
“Per ora lasciamo perdere le spiegazioni, e pensiamo a come uscire da questo
casino. Useremo la nostra via di fuga, muoviamoci”.
Melissa ricominciò a salire lungo il condotto d’aerazione, mentre Martin si
guardava in giro confuso e spaventato, limitandosi a seguire i suoi liberatori.
Tornati nella parte in salita del condotto, usarono nuovamente le ventose,
con Martin sempre aggrappato a Kurz, per raggiungere il condotto perpendicolare
che li avrebbe portati all’impianto di riciclaggio.
Raggiuntolo, si infilarono e ripresero a strisciare, e anche stavolta non fu
difficile capire in quale direzione andare, perché solo andando avanti il
condotto era abbastanza grande da permettere il passaggio di una persona.
Raggiunta una grata, Melissa guardò in basso, e vide quelle che sembravano
delle turbine, insieme a dei tubi e ad un assordante rumore di acqua che
scrosciava.
“Siamo arrivati!” comunicò la donna, che con un pugno ben piazzato abbatté la
grata.
Quando furono tutti scesi, Melissa controllò l’ambiente: una sala abbastanza
grande dalle pareti bianche e illuminata da luci al neon, con al centro una
grossa vasca, circondata da una passerella in metallo, e piena d’acqua che
sembrava ribollire, mentre due grossi tubi neri partivano dalla vasca e
scomparivano nel muro.
“Dobbiamo buttarci nella vasca, prendiamo i respiratori” disse Melissa, e i
tre soldati presero dai loro zaini dei piccoli boccagli.
Barracus stava per passare quello di Maquarrie a Martin, quando quest’ultimo
all’improvviso cadde a terra in preda a delle convulsioni.
“E adesso che gli piglia?” domandò preoccupato Kurz.
“Forse una reazione ritardata a qualche intruglio che gli hanno iniettato
prima, aiutami!” rispose Melissa.
I due si chinarono sul ragazzo per tenerlo fermo e aiutarlo, quando
improvvisamente qualcosa di invisibile li sollevò da terra e li lanciò
violentemente contro una parete, ferendoli e stordendoli.
Poi, quella stessa forza si abbatté contro Barracus, che venne colpito molto
violentemente in pieno petto, ebbe uno sbocco di sangue e con un grido cadde
nella vasca scomparendo tra i flutti.
Melissa, frastornata e dolorante, era sul punto di svenire, ma fece in tempo
a vedere Martin che continuava ad agitarsi come se fosse preda di un attacco
epilettico.
Poi il buio.
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Capitolo 5 *** 4° Capitolo ***
4° CAPITOLO
La stanza era del tutto spoglia, quattro pareti di bianco cemento, con una
sola luce sul soffitto.
Le corde erano cosi strette, che il sangue trovava sempre più difficile
raggiungere le mani, e quindi stavano diventando sempre più insensibili.
E lo stesso accadeva ai piedi.
Ma era l’ultimo dei suoi problemi, visto che sentì l’ennesimo schiocco della
frusta pronta a colpirle la schiena e a portarle via un altro po’ di pelle e di
tessuto della sua canottiera.
Cosa che puntuale avvenne.
Ma Melissa, bloccata in piedi in una posizione a x, non avrebbe dato
soddisfazioni al suo aguzzino, quindi incassò anche quel colpo in silenzio,
senza emettere neppure un gemito.
“Per essere una donna, hai una resistenza notevole, i miei complimenti” disse
una voce maschile dietro di lei “ma questo è solo un assaggio, quindi non farti
illusioni. Non appena cominceremo a fare sul serio, ti vedrò piangere disperata
come una mocciosa”.
“Vai a farti fottere” rispose Melissa impassibile.
Come risultato, ricevette una violenta gomitata dietro la testa.
“Sai, in fondo mi dispiace doverti trattare cosi, sei una donna splendida, e
prima di adesso non ho mai visto un corpo bello come il tuo”.
L’uomo, alto, col fisico robusto, calvo e con una grossa cicatrice sul volto,
si piazzò davanti a Melissa, leggermente stordita per il colpo appena subito, e
afferrandola per il mento, le sollevò il viso.
“Eh si, è davvero un peccato dover rovinare uno schianto di donna come te.
Purtroppo il dovere è il dovere. Ma prima che tutto questo bendiddio venga
deturpato in modo irreparabile, me lo voglio godere un po’”.
Sogghignando, l’uomo le sollevò la canottiera mettendole una mano sul seno,
mentre l’altra mano la infilò dentro i pantaloni della donna.
Poi si avvicinò al suo viso e cominciò a leccarlo.
“Hai davvero un buon sapore, puttanella!”
Ma d’un tratto Melissa morse con tutta la forza che aveva il naso del suo
torturatore.
L’uomo lanciò un grido pazzesco di dolore, con le braccia fece leva su
Melissa per cercare di allontanarsi.
La donna allora lasciò all’improvviso la presa facendo cadere a terra l’uomo
che si contorceva per il dolore.
Melissa sputò per terra un bel po’ di sangue, sangue non suo.
“E tu invece hai davvero un pessimo sapore, stronzetto!” replicò soddisfatta
la donna.
L’uomo si rialzò furente: “Brudda droia, io di ammaddo!” gridò l’uomo, con la
voce storpiata dal sangue che copioso gli ostruiva il naso.
Con quella voce le sue parole tutto sembravano tranne che minacciose.
Melissa ricevette un calcio in pieno stomaco, poi una serie di pugni sul
viso.
E nonostante questo, continuava a non emettere neanche un gemito.
E quando sentì che la sua bocca si stava riempiendo nuovamente di sangue,
stavolta suo, lo ingoiò.
Gordan si guardò poi il naso, stava perdendo troppo sangue, meglio per lui
andare subito in infermeria.
L’uomo lasciò la stanza, e Melissa poté finalmente riflettere non tanto sul
modo di liberarsi, perché ne aveva già uno in mente e aveva solo bisogno di
tempo sufficiente per metterlo in pratica, quanto su quello che era successo
prima nella sala per il riciclaggio delle acque.
Cosa li aveva aggrediti?
Lei non aveva visto nessuno, una forza invisibile aveva afferrato lei e Kurtz
lanciandoli in aria come se fossero dei pupazzi.
E probabilmente era stata quella stessa cosa a uccidere anche Tien.
Aveva ucciso Tien, e sicuramente anche Barracus, mentre Winston, chissà.
Ma perché non loro due?
E perché quel povero Martin, proprio in quel momento era stato colto da
convulsioni cosi violente?
Possibile che….
La donna scosse la testa, una idea simile le sembrava troppo assurda,
e in quel momento doveva occuparsi di cose più concrete, ovvero salvare la sua
vita e quella di Kurz.
Intanto in infermeria, Gordan imprecava contro gli infermieri perché lo
facessero tornare il più presto possibile dalla sua prigioniera, per il secondo
round.
“Ok, vai!” ordinò l’uomo vestito di nero.
E Kurz, con piedi e mani ammanettate e tenuto con una corda intorno alla
cintola, venne nuovamente lasciato cadere nella vasca per il riciclaggio delle
acque.
Il ragazzo si ritrovò completamente immerso in quel liquido perennemente
agitato, davanti a lui vedeva solo una cascata di bolle d’aria.
Eppure, nonostante la situazione in cui si trovava, i suoi pensieri andavano
soprattutto alla sua sorellina Mao.
Chissà cosa le stavano facendo questi bastardi.
“Quaranta secondi. Tiralo fuori” ordinò ancora l’uomo in nero, che stava su
una delle passerelle intorno alla vasca.
E una persona al suo affianco attivò un piccolo argano elettronico, che
riportò su il soldato della Mithril.
“Allora, signor Weber, come si sente?” gli domandò l’uomo in nero.
Kurz fissò il suo interlocutore, un uomo di mezza età con i capelli neri e
tratti somatici occidentali.
“Sto una favola, amico” rispose Kurz ammiccando con lo sguardo e
sputacchiando acqua.
“Ammiro il tuo coraggio. Mi piacciono quelli che fanno resistenza, più il
lavoro è lungo, più godo”.
“Davvero? Non avrai qualche tendenza sadomaso?” lo canzonò Kurz.
L’uomo in nero rispose con un sorriso, poi con un gesto della mano, ordinò al
suo aiutante di calare nuovamente nella vasca il prigioniero.
E Kurz si ritrovò in un istante nuovamente a mollo.
“Stavolta fallo stare un minuto intero”.
Passato il minuto, l’argano riportò fuori Kurz, che giaceva inerte appeso
alla corda.
“Possibile che abbia già ceduto?” si domandò l’uomo in nero.
Si avvicinò per controllare, e all’improvviso Kurz gli sputò una bella dose
di acqua e saliva in piena faccia.
“Piaciuto lo scherzetto?” domandò Kurz scoppiando a ridere.
L’uomo in nero rispose alla risata con un'altra risata, poi diede un forte
pugno in faccia al prigioniero, rompendogli un labbro.
“Ricalalo giù, e stavolta tienilo sotto per un minuto e mezzo!”
Quando Kurz riscomparve nella vasca, l’uomo in nero pensò: “Abbiamo ricevuto
l’ordine di non uccidervi, per adesso. Ed è una vera fortuna, per me”.
“Come stanno i nostri ospiti?” domandò Wong mentre leggeva alcuni documenti.
“Per adesso reggono bene. Ci stiamo preparando per la seconda fase, anche se
i nostri uomini hanno qualche problema a preparare quei due congegni. Li
trovano… inusuali” rispose Charles in piedi davanti alla sua scrivania.
“Non mi interessa” replicò Wong guardando cupo il suo sottoposto “Voglio che
soffrano, senza morire subito, e voglio che soffrano in quel determinato modo.
Ho dato a quei fabbri i progetti e i materiali, ora svolgano il lavoro per cui
sono stati pagati!”
“Si, signore”.
“E come procede il progetto NT?”
“Ottimamente. Entro una settimana potremo passare ai test effettivi. Ma già
da stanotte sarà possibile effettuare il primo test d’attivazione”.
“Perfetto. Puoi andare”.
“Se permette, vorrei domandarle due cose, signore”.
“E cioè?”
“Non teme gli altri agenti che la Mithril manderà per recuperare Martin?”
“Charles, sei un ottimo collaboratore, ma questa tua mancanza di fiducia
comincia a seccarmi. Ti ho già detto che è tutto calcolato. Io voglio che
mandino altri a cercare di liberare quel ragazzino francese, anzi, già so chi
verrà mandato dalla Mithril tra tre giorni, a causa del silenzio di Weber e
della Mao. Non corriamo rischi. La nuova missione fallirà proprio come le
precedenti, ci penserà lui a sistemarli”.
Wong sorrise soddisfatto, il suo piano era veramente astuto e inoltre aveva
un certo gusto di ironico sadismo che apprezzava moltissimo.
“Lei ha ragione, signore, però, mi sembra lo stesso…”
Wong fulminò con lo sguardo Charles.
Il ragazzo rapidamente si congedò e uscì dall’ufficio.
L’altra cosa che voleva chiedergli, riguardava gli agenti Barracus e Winston.
Se il primo era quasi sicuramente morto, al contrario del secondo non si
avevano più notizie da quella notte di due settimane prima.
Ma riusciva lo stesso a immaginarsi quale sarebbe stata la risposta del suo
capo: squadre di agenti pattugliavano il fiume per cercare Barracus, o almeno il
suo cadavere. E in quanto a Winston, conoscevano la sua faccia, ed era solo e
senza attrezzature.
Quindi non avrebbe potuto neanche avvicinarsi alla loro base senza essere
freddato subito.
****
Era stata una fatica immane riuscire ad uscire da quel dannato labirinto
fognario.
Il fianco gli faceva un male cane, visto che aveva tre costole rotte, e i
suoi spostamenti erano resi ancora più difficili dal fatto di doversi muovere
solo per stradine secondarie, perchè la gente non vedesse un muscoloso uomo di
colore che camminava barcollando e con indosso una tuta da infiltratore.
Ma ora finalmente ce l’aveva fatta, era riuscito a raggiungere il suo
furgone.
Doveva immediatamente avvertire il quartier generale che la missione era
fallita, che altri due agenti della Mithril erano sicuramente morti.
Anche se non sapeva affatto come spiegare tutto questo.
"Qualunque cosa ci abbia aggredito, non ha calcolato questo".
Barracus si sollevò la maglia della tuta: intorno al collo portava una
miriade di catenine d'oro, di vario tipo, e alcune erano piuttosto pesanti e
spesse.
Le catenine più grandi in alcuni punti erano ammaccate.
"La migliore copertura del mondo. Se non avessero attutito il colpo, quella
‘cosa’ mi avrebbe sfondato la cassa toracica" pensò l'uomo, che disattivò
l'antifurto del furgone e fece per salire.
Poi sentì un rumore alle sue spalle, e si girò di scatto, trovandosi davanti
un uomo armato di pistola.
"Merda!" esclamò Barracus.
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Capitolo 6 *** 5° Capitolo ***
5° CAPITOLO
Fino a quel momento, era stato tutto abbastanza sopportabile.
Gordan, con un vistoso cerotto sul naso, ci dava dentro con pugni e calci, ma
nella sua giovane vita Melissa aveva già affrontato di peggio.
Il dolore infertole non era riuscito neppure a farla svenire o a farle
perdere la cognizione del tempo, e ad occhio e croce era passata almeno un'ora
dalla loro cattura.
E poi, nonostante la sua spavalderia, il suo aguzzino sembrava avere paura di
lei, nonostante fosse completamente bloccata.
Evidentemente il suo morso aveva lasciato il segno, in tutti i sensi.
"Allora, puttana, come ti senti?" le domandò l'uomo.
Melissa assunse un espressione pensierosa: "Mmm, ti dirò, ci sono alcune mie
compagne alla Mithril che picchiano decisamente meglio di te".
E in tutta risposta, ricevette un calcio all'inguine.
"Troppo poco, dolcezza" commentò Melissa sogghignando.
"Ah si? Bah, non c'è gusto a giocare con te, non ti lamenti mai. In realtà,
saprei ben io come farti supplicare, ma abbiamo l'ordine di torturarvi senza
uccidervi. Comunque di là ti stiamo preparando una sorpresina, vedrai che roba".
"Tsk, un vero torturatore si affida alle sue mani, senza ricorrere a strani
marchingegni. Sei solo un pivellino" lo canzonò Melissa, che ricevette cosi un
secondo calcio nell'inguine.
Una persona entrò nella stanza: "Ehi Gordan, il gingillo del capo è pronto,
ma pesa incredibilmente, vieni a darci una mano".
Gordan lanciò un'occhiata sinistra alla sua prigioniera, ed uscì dalla
stanza.
"Tre minuti. Avanti!"
All'ordine dell'uomo in nero, Kurz venne di nuovo tirato fuori dalla vasca.
Era ormai allo stremo, i polmoni gli facevano un male cane e gli era passata
anche la voglia di scherzare.
L'uomo in nero se ne accorse, si avvicinò nuovamente e gli domandò: "Perchè
non chiedi pietà? C'è la possibilità, anche se molto remota, che mi impietosisca
e ti risparmi questo supplizio".
Per tutta risposta, Kurz a capo chino sollevò l’indice di una mano e lo
mosse in segno di diniego.
Il suo aguzzino lo colpì nuovamente sulla testa, lo faceva ogni volta che
Kurz riemergeva e stavolta gli fece un profondo taglio sul sopraciglio destro.
"E allora proseguiamo. Vediamo se resisti per quattro minuti".
Ma in quel momento, il collaboratore dell'uomo in nero ricevette una chiamata
via cellulare.
"Capo, quello strano congegno è pronto" comunicò.
"Davvero? Peccato, speravo di avere il tempo per arrivare a sei minuti. Be,
biondino, hai resistito alla prova dell'acqua, ora vediamo se contro un altro
elemento sarai cosi resistente".
Il collaboratore dell'uomo in nero sganciò Kurz dalla corda, facendolo
cadere sulla passerella come un sacco di patate.
Charlie Wong controllava dietro la solita vetrata il lavoro che veniva svolto
in laboratorio dai suoi scienziati.
Martin stavolta non era immerso in una vasca, ma stava in piedi su una pedana
circondata da fili e indossava dei guanti e un casco come quelli della realtà
virtuale.
Sopra la pedana c’era una piccola antenna parabolica, puntata verso un grosso
oggetto a forma di cilindro e di colore rosso, dentro il quale c’era una
sostanza nera.
“Siamo pronti a dare il via all’esperimento” comunicò uno degli scienziati.
Wong assentì, e all’improvviso gli oggetti che Martin aveva addosso si
illuminarono con una miriade di luci variopinte, e contemporaneamente la
sostanza nera nel cilindro iniziò ad agitarsi come acqua in ebollizione.
Martin scosse la testa, gridando: “No, non voglio!”
Allora uno degli scienziati premette un interruttore, e il ragazzo si
accasciò al suolo, col cervello attraversato da una fitta di dolore talmente
acuta, da non dargli neppure il tempo di gridare.
“Bah. Bixby mi aveva assicurato di essere riuscito ad annientare la
resistenza del ragazzo, in modo che obbedisse a qualunque ordine. E invece ogni
tanto gli vengono degli impulsi di ribellione. Per fortuna ha dei minielettrodi
inseriti nel cranio. Una bella scarica elettrica dritta nel cervello è quello
che ci vuole per riportare all’obbedienza i riottosi” pensò Wong.
Martin allora strinse i denti, scosse la testa e si concentrò al massimo,
cominciò a sudare, mentre tentava di sollevare con difficoltà le braccia.
In teoria non avrebbero dovuto esserci problemi, ma sembrava che sulle sue
braccia ci fossero dei pesi invisibili.
Nella sostanza nera si formò una enorme bolla, sul punto di esplodere.
Però ad un tratto Martin sembra cedere a quella enorme fatica e abbassa le
braccia, stremato.
Insieme alle braccia di Martin, anche la bolla si afflosciò.
Wong non poté nascondere una smorfia di disappunto.
“Forse è meglio rimandare a domani” propose uno degli scienziati.
“No!” si oppose Wong “Ce l’aveva quasi fatta, gli mancava pochissimo.
Iniettategli una dose di stimolante E2, presto!”
Gli scienziati prontamente obbedirono con una piccola pistola per le
iniezioni.
E per essere ancora più sicuri, colpirono il Whispered con un’altra scossa
elettrica nel cervello, facendolo nuovamente accasciare al suolo.
Martin dovette concentrarsi nuovamente, i muscoli tesi al massimo, e ritentò
l’esperimento.
Nel cilindro si formò nuovamente la gigantesca bolla, che poi sembrò sul
punto di sgonfiarsi ancora, ma Martin stavolta resistette, strinse i denti,
cercò di sollevare il più possibile un solo braccio, ed ecco che la bolla
esplose trasformandosi in un enorme e minaccioso pugno che prima puntò verso il
soffitto del laboratorio, poi si abbassò scendendo in picchiata contro alcuni
scienziati che per lo spavento si gettarono a terra.
Ma a pochi cm da loro, il pugno si fermò, e rifluì dentro il cilindro.
Gli uomini nel laboratorio erano chiaramente spaventati per quello che era
successo.
Solo una persona accolse quello spettacolo con un radioso sorriso.
E solo una persona si lasciò sfuggire una lacrima di dolore per quanto era
costretta a fare.
Nella stanza delle torture, sotto lo sguardo confuso e dolorante di Melissa,
Gordan e altri due uomini portarono quello che a prima vista sembrava un
sarcofago dorato, con sopra disegnata una sagoma umana.
“Cara la mia ex-marine” disse sarcasticamente Gordan “permettimi di
presentarti il mio nuovo ‘collaboratore’: il Porcospino!”
I due aiutanti di Gordan aprirono il sarcofago, il cui spazio interno
corrispondeva perfettamente alla forma di un corpo umano.
Ma allo stesso tempo le pareti interne del porcospino erano interamente
ricoperte di aghi, molto sottili e molto lunghi.
Melissa non aveva mai visto prima di allora un congegno simile.
“Penso che tu sappia cosa succederà adesso, vero? Si, sei una donna
intelligente, quindi adesso come immaginerai ti metteremo dentro questo
sarcofago, e i suoi aghi bucheranno in pratica ogni cm del tuo bel corpo, davanti e
dietro” spiegò Gordan.
“Interessante. Perché non lo provi per primo?” mormorò Melissa.
“Su, su. Voi due, io ora la slego, mi raccomando, state pronti ad afferrarle
le braccia, non voglio sorprese”.
Quando Gordan estrasse un coltello da dietro la schiena per tagliare le
corde, e i suoi due aiutanti si misero ai lati di Melissa per afferrarle le
braccia, la donna decise che era il momento d’agire.
In un istante si liberò le braccia sfilandole dalle corde e spellandosi
completamente i polsi, afferrò uno stupefatto Gordan per il collo e glielo
spezzò, strappò il pugnale dalla mano del cadavere prima che cadesse a terra
e lo usò per infilzare alla gola gli altri due uomini, uno dopo l’altro, prima che
passasse l’effetto sorpresa.
Nel giro di cinque secondi appena, Melissa aveva ucciso tre uomini e con lo
stesso coltello si liberò completamente tagliando anche le corde che le
bloccavano le gambe.
“Li ho fregati, si aspettavano qualche mossa una volta tolte le corde, non
mentre ero ancora legata. E quell’idiota di Gordan non si è accorto che per
tutto questo tempo ho sfregato i polsi per allentare la presa delle corde”.
Melissa si guardò i polsi, completamente spellati e sanguinanti.
“Certo che se avessi avuto più tempo non me li sarei ridotti cosi”.
Si strappò la parte inferiore della canottiera, diede uno sguardo al
Porcospino, rabbrividendo per un momento all’idea di cosa le sarebbe successo se
l’avessero ficcata lì dentro.
Poi, armata solo con un pugnale, uscì dalla stanza andando alla ricerca di
Kurz.
Gli avevano tolto la maglia della tuta, la canottiera, e anche la corda
intorno alla cintola e la manette alle mani, ma due uomini robusti lo avevano
afferrato bloccandolo saldamente, mentre i piedi erano ancora ammanettati.
Comunque Kurz, col viso pieno di lividi e con un sopraciglio e un labbro
sanguinanti, aveva ormai potuto riprendere fiato, e con esso, anche la sua
parlantina.
“Ehi ragazzi, solitamente mi piace mostrare il mio fisico scultoreo, fatto
apposta per incantare ogni ragazza che incrocio, però mi piacerebbe tanto sapere
cosa volete fare”.
“Ti accontento subito” rispose l’uomo in nero che stava davanti a lui, quando
vide altri due uomini, armati con delle pistole, arrivare sulla passerella
portando faticosamente un oggetto in metallo con la parte centrale che sembrava
fatta apposta per aderire ad una schiena umana, e ai lati c’erano due
prolungamenti rettangolari con dei legacci alle estremità.
Dietro l’oggetto, una bombola da cui spuntavano due piccoli tubi puntati
contro la parte centrale.
“Forte! A che serve?” domandò Kurz.
L’uomo in nero non rispose, ma tramite una manopola aprì la bombola, e dai
due tubicini spuntarono due getti di fuoco, a mo di fiamma ossidrica, molto
concentrati e violenti, che iniziarono immediatamente a surriscaldare la parte
centrale dello strano oggetto.
“Oh, oh. E quello che penso?”
“Credo proprio di si. Non mi hanno detto come si chiama questo oggetto, ma mi
hanno detto come funziona: prima bisogna rendere la parte centrale
incandescente, fino a farla diventare rossa, poi bisogna farci sdraiare sopra la
vittima”.
“Gulp, brutte notizie in arrivo per la mia povera pelle” commentò Kurz
sorridendo nervosamente.
“Eh, temo proprio di si. Vedi, sta già diventando rossa. Direi che possiamo
cominciare. Legatelo qui sopra” ordinò l’uomo in nero ai due uomini che
bloccavano il biondo membro della Mithril.
Lo girarono e cominciarono a trascinarlo verso quell’oggetto incandescente.
“Oh cavoli! Oh cavoli!” esclamò Kurz scalciando inutilmente.
Lo fecero sedere proprio davanti all’oggetto, e stavano per legarlo, quando
qualcuno da dietro sgozzò con un pugnale uno dei due uomini che avevano portato
quello strumento di tortura, e conficcò quello stesso pugnale nella fronte del
secondo.
E sempre lo stesso qualcuno, approfittando dell’effetto sorpresa, prese ai
due cadaveri le loro pistole e sparò contro gli altri torturatori, uccidendo i
due sgherri che bloccavano Kurz, prima che potessero reagire.
Ma l’uomo in nero era riuscito a farsi scudo col corpo di uno di loro, fece
per prendere una sua pistola e stavolta fu Kurz a bloccarlo prendendolo per le
gambe e facendolo cadere a terra.
“Le parti si sono ribaltate, stronzone!” esclamò Kurz, che prese per il
collo l’uomo in nero e cominciò a sbattergli la testa contro la ringhiera della
pedana.
“Questo per avermi picchiato proprio in faccia! Quest’altro per avermi tenuto
appeso a quella corda come se fossi un verme su un amo! Quest’altro ancora per
aver cercato di affogarmi! E quest’ultimo per aver tentato di arrostirmi la
schiena!”
L’uomo in nero rimase immobile, la faccia ridotta ad una maschera di sangue.
Poi Kurz fissò il suo salvatore, anzi, salvatrice, ma rimase inorridito
quando vide come era ridotta la sua sorellina Melissa: i polsi bendati e
sanguinanti, il ventre ricoperto di lividi neri, come una buona parte del suo
bellissimo viso, che aveva cominciato in alcuni punti a gonfiarsi.
E perdeva sangue dalla bocca e dal naso.
“Sorellina, cosa ti hanno fatto?”
“Ne parliamo un’altra volta. Ma da quello che vedo, e da quello che ho
sentito, tu non sei stato trattato meglio di me”.
Melissa con un colpo di pistola liberò Kurz dalle manette ai piedi.
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Capitolo 7 *** 6° Capitolo ***
6° CAPITOLO
Finalmente liberi, i due soldati della Mithril si avventurarono per i
corridoi dell’enorme edificio.
“Dobbiamo trovare subito un modo per comunicare con la Mithril” disse Melissa
dando una delle pistole a Kurz.
I due percorsero alcuni corridoi, incontrando ogni tanto telecamere e soldati
nemici.
Ma evitarono le prime rasentando la parete dov’era attaccata la telecamera e
passandoci sotto, e i secondi infilandosi in alcuni sgabuzzini, di cui era
dotato ogni piano.
“Allora, se ricordo bene la planimetria dell’edificio, due piani sopra di noi
dovrebbe esserci una sala comunicazioni” spiegò Melissa.
Una volta arrivati a destinazione, si prepararono a fare irruzione: il piano
era occupato da un corridoio con un’unica porta sul fondo, quindi non potevano
sbagliare.
Si avvicinarono lentamente alla porta: “Sfondo la porta, mi butto dentro e
faccio fuori chi mi sta davanti. Tu mi copri le spalle” ordinò la donna
sottovoce.
“Ok, sorellina” rispose sempre sottovoce Kurz facendo l’occhiolino.
Con un poderoso calcio, Melissa aprì la porta, si gettò per terra e
rapidissima freddò quattro uomini seduti davanti alle postazioni radio, senza
neanche dargli il tempo di girarsi.
Vicino alla porta c’erano due guardie, che tentarono di reagire ma vennero
uccise da Kurz.
“Sta andando bene” pensò Kurz, quando improvvisamente una serie di sirene
molto rumorose si attivarono in tutto il palazzo.
“Come non detto” si corresse il ragazzo “Devono aver scoperto la nostra
fuga”.
Kurz chiuse la porta, mentre Melissa si avvicinò alla radio.
Era un sistema molto sofisticato, ma sapeva comunque come usarlo.
Mise la giusta frequenza e attivò il contatto: “Attenzione, qui Uruz-2,
ripeto, qui Uruz 2. La missione è fallita, ripeto, la missione è fallita. Il
nemico possiede strumenti di natura indefinita contro i quali siamo impreparati
”.
Dall’altra parte giunse solo un rumore di scariche.
Melissa ripeté il messaggio, e stavolta tra le scariche le parve di sentire
una risposta, ma non ebbe il tempo di ritentare, perché ad un tratto tutte le
apparecchiature si spensero da sole.
“Merda!” esclamò Melissa maneggiando inutilmente quei comandi ormai inutili.
“Sono stati loro! Devono aver isolato la sala radio, per impedirci di
comunicare con l’esterno”.
“Sei riuscita a contattare la base?” domandò Kurz.
“In teoria si, ma non sono sicura”.
“Speriamo in bene. Ora che facciamo? Con questo cavolo di allarme, non
potremo mai passare per i corridoi come prima”.
Melissa sollevò lo sguardo verso il soffitto, dove c’era una grata abbastanza
grande.
Se aveva funzionato la prima volta…
Charlie Wong ascoltò distrattamente l’allarme che iniziava a suonare, e non
ne sembrò affatto turbato.
Era troppo preso dal contemplare, sempre dietro la vetrata del laboratorio,
il liquido nero che galleggiava nel cilindro.
Ma gli scienziati, che stavano controllando fogli pieni di dati, rimasero
sorpresi, mentre Martin giaceva immobile su una barella, probabilmente
narcotizzato.
Il collaboratore di Wong, Charles, arrivò trafelato: “Signor Wong! I
prigionieri sono scappati!”
“L’avevo capito” rispose tranquillo l’uomo.
“Ho provveduto a togliere energia alla sala radio e a isolare i telefoni, per
impedirgli di comunicare con l’esterno”.
“Bravo. Ordina agli uomini di trovarli e di ucciderli subito. Anche se sarà
una morte banale, sarà pur sempre morte” ordinò l’uomo andandosene.
“Uff, non ne posso più di muovermi in luoghi cosi stretti!”
“Piantala Kurz! Questo era l’unico modo per muoversi passando inosservati”.
Da dieci minuti ormai strisciavano affiancati nei condotti di aerazione alla
ricerca di una uscita.
Ma proseguivano alla cieca, l’unica cosa che potevano fare era spiare dalle
grate che incontravano per vedere se erano vicini a qualche via di fuga.
E potevano andare in una sola direzione, perché tutti i condotti che
partivano da quello in cui si trovavano, erano troppo piccoli per un adulto.
Nei corridoi sotto di loro sentivano i passi veloci dei soldati mandati alla
loro ricerca.
Poi arrivarono alla fine del condotto, e davanti a loro si parò un grande
spazio verticale.
Melissa si sporse con la testa dal condotto, venendo investita da una sottile
corrente di aria fredda che andava dall’alto verso il basso: in cima a quello
spazio c’era una enorme ventola che girava a velocità sostenuta.
In basso invece, visibile grazie a della luce che filtrava, c’era una grata
abbastanza grande perché potessero passarci.
“Mmm… non è molto alto, sei metri al massimo” commentò la donna.
“Non vorrai mica saltare, spero”.
“Non abbiamo altra scelta. Appigli non ne vedo, e non abbiamo più le ventose.
Perciò, saltiamo”.
Kurz sospirò rassegnato.
I due saltarono, cercando di stare il più possibile vicino alle pareti del
condotto, in modo da non atterrare proprio davanti alla grata.
Una volta toccato terra, sbirciarono dalla grata, e non vedendo nessuno, la
abbatterono con un calcio, finendo in un nuovo locale, una sorta di magazzino
dalle pareti bianche e pieno di casse di legno.
Sul soffitto c’era una passerella a forma di quadrato, cui erano attaccati
dei riflettori.
Sul fondo del magazzino c’era anche una grande saracinesca argentea.
Mellisa e Kurz si diressero rapidamente verso la saracinesca, cercando un
modo per aprirla, ma non trovarono pulsanti.
“Cavolo! Si vede che funziona con un telecomando!” esclamò Kurz.
Melissa batté qualche colpo sulla saracinesca.
“Acciaio, ma non è molto spesso. Forse possiamo farlo saltare. Cerchiamo in
quelle casse”.
Kurz recuperò un piede di porco, si avvicinò ad una delle casse, vi infilò
con forza l’attrezzo in una piccola fenditura del legno e cominciò a fare
pressione per aprirla.
La cassa cedette facilmente, e Melissa ne controllò il contenuto.
“Bingo! E’ pieno di armi automatiche” disse soddisfatta.
Estrasse due fucili mitragliatori, e ne passò uno a Kurz.
“Questi non bastano per la saracinesca. Cerchiamo delle granate, o qualche
arma più potente” propose il ragazzo.
Alla quarta cassa, finalmente trovarono delle granate.
“Bene. Prendiamone una ventina e piazziamole alla base della saracinesca.
Esplodendone una, esploderanno anche le altre” ordinò la donna.
Presero le granate, le disposero lungo la saracinesca, si allontanarono, con
una pistola Melissa prese la mira e con un colpo solo fece esplodere una
granata, che fu seguita da tutte le altre.
La deflagrazione fu tale da scardinare la parte inferiore della saracinesca.
Fuori si intravedeva un parcheggio.
“Benissimo. Passiamo attraverso lo squarcio e saremo liberi!” esclamò Kurz.
Ma prima che potessero farlo, una decina di soldati fece irruzione nel
magazzino da una porta e cominciarono a sparare contro di loro.
Melissa e Kurz si buttarono per terra, mentre i soldati cessarono
immediatamente il fuoco: ora che non avevano più un bersaglio preciso, non
potevano mettersi a sparare in un magazzino pieno di armi pronte ad esplodere.
“”Ma è possibile che non ce ne va mai bene una?! Dieci secondi quei bastardi
non potevano darceli!?” sbottò sottovoce Kurz.
“E non è ancora finita” disse Melissa, sentendo rumore di passi sulla
passerella sopra di loro.
Un altro gruppo di soldati si era piazzato lì sopra, con le armi puntate,
mentre i loro compagni cominciavano a controllare tra le casse.
“Merda! Siamo presi tra due fuochi. E la salvezza è ad appena dieci metri da
noi!” si lamentò Kurz.
La situazione era davvero difficile: la cassa dietro cui i due si trovavano
li copriva dai soldati sulla passerella, pronti a colpire la prima cosa che si
fosse mossa, ma erano anche bloccati lì dietro, quindi prima poi quelli che
perlustravano tra le casse li avrebbero trovati.
E non potevano attaccare un gruppo di soldati senza scoprirsi e quindi essere
inevitabilmente falciati dal secondo gruppo.
Poi uno stridere di ruote, un motore in corsa, un sibilo e la saracinesca
esplose completamente in una pioggia di schegge e fiamme.
E un istante dopo un furgone dall’aspetto malandato entrò velocissimo nel
magazzino, si fermò mettendosi di lato e da un apposita fessura sullo sportello
laterale, qualcuno cominciò a sparare con un mitra contro i soldati, uccidendone
almeno quattro e costringendo gli altri a ripararsi.
I soldati sulla passerella aprirono tutti insieme il fuoco contro il furgone,
e cosi facendo permisero a Melissa e Kurz di colpirli dal basso, uccidendone la
metà.
Intanto il mitra del furgone, continuando a fare fuoco contro i soldati
nemici, colpì due casse piene di granate, che esplosero fragorosamente.
“Ora!” esclamò Melissa, e con Kurz corse verso il furgone.
Lo sportello laterale si aprì, dietro c’era un bazooka ancora fumante e un
uomo, che Melissa e Kurz avevano già visto in foto.
“Winston!” esclamò Kurz.
“A dopo le presentazioni! Salite presto!” ordinò l’uomo.
Quando i due furono a bordo, Winston gridò: “Vai P.E.!” e subito il robusto
uomo di colore ingranò la retromarcia uscendo dal magazzino, il furgone fece un
inversione a U e corse fuori dal parcheggio attraverso un cancello che aveva già
sfondato.
Nel magazzino arrivarono altri soldati che aprirono il fuoco contro i
fuggitivi, ma inutilmente.
“Ah ah ah! Sprecate pure piombo, bastardi! Il mio furgone ha la carrozzeria
in titanio rinforzato!” esclamò orgoglioso Barracus.
“Come avete fatto a trovarci?” domandò Melissa.
“Abbiamo intercettato il vostro tentativo di comunicare via radio col
quartier generale, e un buon soldato non lascia mai indietro i suoi compagni”
rispose Barracus.
Quando raggiunsero finalmente una strada pubblica, Kurz si rilassò
sdraiandosi sul pavimento.
Melissa invece assunse una espressione molto seria e pensierosa.
Kurz se ne accorse.
“Ehi sorellina Mao, cosa c’è? Quel povero ragazzo è rimasto lì dentro, ma
visto che siamo riusciti ad uscirne vivi, potremo liberarlo in un’altra
occasione”.
“Questo lo so”, rispose la donna mentre il furgone correva nella notte.
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Capitolo 8 *** 7° Capitolo ***
7° CAPITOLO
“Uffa che noia!”
Kurz stava sdraiato sulla sua branda, in attesa che il tempo passasse.
Aveva davanti a se una settimana di convalescenza, come la sua sorellina Mao,
e non sapeva affatto come passare il tempo.
Inoltre era infastidito da quei grossi cerotti che aveva in faccia, che
deturpavano il suo bellissimo viso.
“Uff, se mi coprono il viso in questo modo, come faccio a far colpo sulle
ragazze?”
Alla fine decise di andare a trovare la sua sorellina Mao, che stava
sicuramente nella sua cabina.
E quando arrivò a destinazione, da quella cabina vide uscire il colonnello Teletha
Testarossa.
“Colonnello” la salutò amichevolmente Kurz portandosi una mano alla fronte.
“Piacere di vederla in piena forma, sergente Weber” rispose Teletha.
“Be, in piena forma non direi, visto tutto quello che ho dovuto passare ieri.
Sono tutto un dolore. Magari un bacetto sulla fronte….”
“Idiota! Finiscila con questi atteggiamenti da playboy da quattro soldi, ed
entra!” gridò Melissa dalla sua cabina.
“Vada, e le consiglio di stare attento a quello che dice, sergente. Mi è
sembrata alquanto preoccupata” lo avvertì Teletha andandosene.
Kurz allora entrò.
“Allora, come andiamo sorellina?”
Melissa stava sdraiata sul letto, con metà del viso coperto da cerotti, il
ventre e i polsi bendati completamente.
Stava leggendo dei documenti.
“Andiamo decisamente male” rispose Melissa senza guardare Kurz.
“Davvero? Be, non mi sembri poi cosi moribonda” replicò quest’ultimo.
Melissa lo squadrò leggermente: “Non stavo parlando di me. Ma di quello che è
successo a Bangkok” e gli passò i documenti.
Si trattava di un rapporto riguardante l’edificio dove erano stati catturati
il giorno prima.
Kurz cominciò a leggere.
“Dunque con tutto il casino che abbiamo fatto nel magazzino, la polizia ha
fatto irruzione nell’edificio della UC”.
“Esatto. Ma non hanno trovato niente. O meglio, hanno trovato le casse piene
di armi e questo ha fatto piombare su Wong un’accusa di traffico di armi. Ma di
sicuro non gli faranno nulla, perché non esistono prove che lui fosse a
conoscenza di tale traffico. Anzi, non ci sono neppure prove che sia mai stato
in quella filiale di Bangkok.
L’ufficio stampa della sua società ha già provveduto a spiegare che la colpa
di tutto è di un dirigente disonesto, che verrà arrestato al più presto.
E le esplosioni sono state provocate da uno scontro con altri trafficanti di
armi. Questa è la versione ufficiale” spiegò la donna.
“E non hanno trovato il laboratorio?”
“Continua a leggere”.
“Stando alla polizia, il conflitto a fuoco è partito dal magazzino ed è
proseguito fin dentro l’edificio, portando alla distruzione di interi locali.
Ehi, un momento. Fin dentro l’edificio? Ma tutto è avvenuto nel magazzino!”
“Appunto. Hanno distrutto il laboratorio, visto che quella base era ormai
bruciata. La polizia avrà trovato solo frammenti di quelle che una volta erano
apparecchiature sofisticatissime. E quel povero ragazzo, Martin, chissà dove lo
avranno portato adesso”.
“Sei preoccupata per la sorte del ragazzo, vero?”
“Si, ma ci sono anche altre cose che mi preoccupano. Innanzitutto, il modo in
cui ci hanno catturato. Tu hai capito cosa ci è successo?”
Kurz si strinse nelle spalle: “No”.
“Be, neanche io con esattezza, ma di una cosa sono sicura: qualunque cosa fosse,
è collegata in qualche modo a Martin. Anzi, mi sa che proviene proprio da lui”.
“Cioè?”
“Ho provato a collegare alcuni elementi: innanzitutto, il dottor Bixby era un
luminare nel campo degli studi sul cervello. Noi abbiamo pensato che lo avessero
assoldato per fare il lavaggio del cervello a Martin, ed è possibile che l’abbia
fatto. Ma è anche possibile che oltre a quello abbia fatto qualcos’altro, anche se non
so cosa. Winston, facendo rapporto, ha detto che anche quella notte, Martin è caduto
a terra preda di convulsioni, poi qualcosa di invisibile ha attaccato Tien uccidendolo, e
lui si è salvato solo perché si è lanciato in aria con un aliante non completamente montato.
In seguito è rimasto nascosto perché sapeva che il quartier generale lo avrebbe sospettato
di tradimento, e lui non sapeva spiegarsi quello che era successo. Quindi ha atteso
la nuova squadra, per avvertirla del pericolo e dimostrare che non era un
traditore”.
“Bah, non so cosa dire. Cioè, se il ragazzo è sempre caduto preda di convulsioni quando
quella cosa attaccava, allora è possibile che siano collegati. Ma di cosa può trattarsi?”
“Ti ho già detto che non lo so. Ma ormai sono sicura che Martin è stato in qualche modo
manipolato, una manipolazione molto pericolosa.
Ho chiesto a Tessa se fosse possibile una cosa del genere, lei non ha
confermato, ma neppure negato. In fondo, i Whispered sono ancora un mistero
anche per se stessi”.
Kurz rimase in silenzio, in parte convinto, in parte dubbioso. Poi gli venne in mente una
domanda: “Non potrebbe essere che lo stesso Martin è d’accordo con Wong e i suoi?”
”Non credo. Nel laboratorio, ho visto la paura del ragazzo e la sua gioia quando ha capito
che volevamo liberarlo. Era dannatamente sincero. E poi mi ha anche detto una cosa strana,
ovvero di non abbandonarlo come avevano fatto gli altri. Questo mi fa pensare che durante quei
misteriosi attacchi, il ragazzo non si rende conto di cosa gli succede attorno.
Calò un breve silenzio.
“E cos’altro ti turba, sorellina?” chiese ancora Kurz.
“Il fatto che non ci abbiano ucciso. Hanno ucciso Tien, e hanno
tentato di eliminare Winston e Barracus senza farsi problemi, ma perché noi due
no? Eppure non avrebbero avuto problemi a farlo.
E invece ci hanno catturato e torturato, come se… come se volessero punirci
per qualcosa che avevamo fatto”.
“Come se fosse una vendetta” concluse Kurz.
Melissa annuì e proseguì: “E come se non bastasse, c’è un altro particolare
che mi inquieta”.
“Ovvero?”
“Il mio torturatore ad un certo punto mi ha chiamato ex-marine. Come faceva a
conoscere quel dettaglio del mio passato?”
****
Wong fissava il panorama notturno di Tokyo dalla veranda del suo appartamento
privato.
Il suo collaboratore Charles lo raggiunse.
“Eccomi, signore”.
“Volevo sapere come procede la fase di reinstallazione”.
“Tutto a posto. Manca solo il dischetto da inserire nel computer centrale”.
Wong tirò fuori un dischetto da una tasca della sua giacca e lo passò a
Charles.
“Voglio che entro domani mattina il progetto ritorni pienamente operativo,
riprendendo da dove abbiamo dovuto interrompere a Bangkok” ordinò poi.
“Si, signore” rispose il suo segretario andandosene.
Wong inspirò profondamente quell’aria, “Adesso arrivo, tesoro” pensò tra se e se, e
rientrò nell’appartamento.
Dopo le fatiche degli ultimi due giorni, aveva bisogno di rilassarsi.
FINE
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