Caran e il lupo

di areon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caran ***
Capitolo 2: *** Convivenza ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Caran ***


01. Caran
Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese. Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa.
Ispirato a Cappuccetto Rosso di Perrault
Seconda classificata al contest Cappuccetto Rosso di Gely_9_5

Rating: arancione
Genere: angst, dark, sentimentale
Personaggi: //
Note: long-fic (3 capitoli)

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- CARAN E IL LUPO -
Capitolo 1 – Caran

Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese che caratterizzano l’intera regione, uno di quei posti in cui tutti conoscono tutti, di un paio di centinaia di anime al massimo, le case ammassate nelle vallette.
Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa: Caran fu tanto entusiasta di quel mantello che sua nonna, quando crebbe, fu costretta a fargliene degli altri, sempre più grandi, adattando la taglia alla sua nuova statura. Oltretutto, quel soprannome divenne ancor più calzante quando, verso i dodici anni, il suo naso e le sue guance iniziarono a riempirsi di lentiggini che spuntavano come funghi in autunno.
Era cresciuta forte e sana, giocando con i coetanei e passeggiando spesso tra i boschi del posto. Le piaceva camminare in mezzo agli alberi, a prescindere dalla stagione: che fosse estate o inverno, che il sottobosco fosse coperto di foglie da poco cadute o di fiori appena spuntati, quando poteva usciva per un giro nel bosco o nei prati della valle attorno.
La Rossa era certamente una ragazza solare e gentile, benvoluta da tutto il paesello, ma aveva anche un carattere fermo e determinato, per il quale, in seguito alla prematura dipartita del padre, aveva assunto il ruolo di uomo di casa. Sua nonna, che viveva con loro, non era entusiasta della cosa, ma dopo il primo inverno con pasti caldi grazie alla legna da ardere raccolta dalla nipote divenne un po’ meno insofferente rispetto alla cosa; certo non era entusiasta che una ragazza adolescente andasse in giro da sola nel bosco, ma s’era dovuta rassegnare. La madre invece era relativamente tranquilla in merito: certo nemmeno lei era entusiasta, ma sapeva che Caran sapeva quel che faceva – in fondo, non era cresciuta seguendo passo passo il padre fino ai tredici anni per nulla – che era molto responsabile per la sua età, e soprattutto era consapevole del fatto che avevano bisogno di qualcuno che pascolasse le pecore, raccogliesse la legna e facesse tutti gli altri lavori che prima erano compito del marito.

***

Caran aveva da poco compiuto sedici anni.
Era ancora autunno, anche se piuttosto inoltrato, ma la neve aveva già iniziato a cadere prematuramente, annunciando un inverno lungo e rigido e stendendo un leggero manto bianco. Fortunatamente la neve caduta era poca, quindi quel giorno Caran poteva andare a raccogliere un po’ di legna.
La mattina, dopo aver fatto colazione con un po’ di latte e aver munto le pecore si preparò ad uscire. Raccolse i lunghi capelli corvini in una treccia, che le scendeva morbida fino all’addome, salutò la madre e la nonna, prese il suo mantello rosso e lo infilò sopra alla lunga tunica bianca, indossò gli spessi guanti di pelle e tirò sulla testa il cappuccio del mantello. Infine, si caricò l’ascia in spalla e uscì dopo aver salutato una seconda volta le due donne, annunciando appena prima di chiudere la porta che sarebbe tornata per pranzo.

Il cielo era plumbeo, quel giorno: probabilmente il sereno, se così poteva essere chiamato, non sarebbe durato ancora molto a lungo.
Caran gettò l’ascia nella carriola, che prese per i manici avviandosi verso il bosco lungo il sentiero sconnesso. Gli stivali di rigido cuoio scuro contrastavano con il colore latteo del terreno, completamente coperto di neve che lentamente impregnava l’orlo della gonna candida al suo passaggio.
Cercava rami caduti, ma che non fossero fuscelli eccessivamente gracili, e un qualche vecchio albero malato che avesse vissuto abbastanza a lungo da poter salutare questo mondo e la foresta in cui viveva senza rimpianti. Lungo il tragitto si fermava a raccogliere qualche ramo, finché vagando non trovò un albero che era esattamente come lo cercava: era un vecchio abete, chiaramente morto a causa della totale assenza di aghi sui suoi rami spogli. Iniziò a spezzare le fronde più esterne e basse, per farsi largo verso la base del tronco. Lavorò da metà mattinata finché non si avvicinò l’ora di pranzo. Poiché la carriola era quasi piena decise di spezzare qualche altra frasca e avviarsi poi verso casa, con l’intento di riprendere il lavoro dopo aver mangiato.
Aveva appena iniziato a nevicare. Mentre finiva diligentemente di caricare la carriola sentì un rumore sospetto dietro di sé. Poteva essere solo un animale innocuo, ma per sicurezza prese l’accetta e si voltò caricando un fendente.
Si trovò davanti un ragazzo dai corti capelli scuri, il viso giovane e asciutto, non scarno, dimostrava pressoché la stessa età che aveva la ragazza. Sotto il mantello marrone si intravedevano una camicia bianca e un paio di pantaloni color terra infilati negli stivali di cuoio scuro, della stessa tonalità dei guanti che avvolgevano le mani – o almeno, quella in vista. Anche se il fisico era coperto dal mantello si intuiva che fosse abbastanza muscoloso, abituato ai lavori duri, alle lunghe camminate e a maneggiare l’ascia.
Lo riconobbe all’istante, calando la scure e piantandola a terra.
 “Bel modo di accogliere un amico, Rossa.” la prese in giro il ragazzo con la sua voce profonda.
“Njl! Ti sembra questo il modo di comparire alle spalle di una ragazza indifesa?”
 “Indifesa? La tua accetta dice il contrario, mi sembra.”
Lei rise. Njl adorava quando rideva, sembrava che le lentiggini le danzassero sul volto, e non poté fare a meno di sorridere.
“Sei sempre il solito.”
“Spero sia un complimento.”
“Non ci conterei troppo…” scherzò tranquilla “Allora, come mai questo agguato?”
“Agguato? Quale agguato? Ti ho solo vista da lontano, in fondo il tuo mantello è inconfondibile e si fa decisamente notare in mezzo al bosco. Così ho pensato di passare a salutarti, portandoti questa.”
Finalmente anche l’altra mano si mostrò: stringeva tra le dita una rosa selvatica, sopravvissuta probabilmente per un qualche miracolo al freddo precoce. Era rossa, ma a causa delle temperature assai basse appariva bianca per il ghiaccio cristallizzato sui petali. Caran gli si avvicinò prendendo il fiore con un’espressione stupita sul volto, ma anche dolce.
“L’ho trovata per caso lungo la strada, ho pensato che avrebbe potuto piacerti.”
“Non me l’aspettavo proprio!”
Gli diede un bacio sulla guancia in segno di gratitudine.
“Grazie, è molto bella.”
“Come te.”
Di scatto spostò gli occhi dalla rosa a Njl. Lui sorrideva, ma non scherzosamente come sempre: si notava che era molto serio.
“Ma che dici? Non prendermi in giro!” Rideva nervosamente mentre parlava: quella situazione era strana, non ci si trovava a proprio agio. Njl non si era mai comportato così, da che lo conosceva: erano migliori amici sin dall’infanzia, anche se lui era più grande di un anno erano cresciuti assieme; l’aveva sempre presa in giro, e lei non era certo da meno, e qualche volta quando la vedeva triste le portava dei fiori per strapparle un sorriso, ma non le aveva mai detto che era bella. Njl non era il tipo da dire certe cose, o almeno non su di lei.
“Non ti sto prendendo in giro.”
Smise di sorridere, diventando completamente e indubbiamente serio.
“Sono innamorato di te.”
Caran era sconvolta. Mai si sarebbe aspettata qualcosa di simile, men che meno con il suo migliore amico. Era assurdo, completamente privo di senso.
“No. No, non puoi essere innamorato di me.”
“Sì che posso, e lo sono.”
“No, non ha senso, noi siamo amici, siamo cresciuti assieme… siamo praticamente fratelli!”
“No…” iniziò a ripetere Njl “no…”
“Ascoltami, Njl, io ti voglio bene, ma non posso amarti… è sbagliato. Anche se non siamo davvero parenti, per me sei come un fratello maggiore.”
Il tono di Caran era gentile come sempre, cercava di farlo ragionare.
“No, no, no!” Aveva alzato la voce, non l’aveva mai fatto. L’afferrò bruscamente per le braccia mentre parlava, facendola sobbalzare per lo spavento.
“Scusa, mi dispiace, non volevo spaventarti.” ammorbidì la presa, accarezzandole le spalle per tranquillizzarla. La voce gli tremava. “Ma ascoltami tu, ora. Noi non siamo fratelli, e io ti amo.”
“Mi dispiace,” replicò Caran con un filo di voce “devo tornare a casa.”
Lui lasciò del tutto la presa, lei gli restituì il fiore.
“Ok, allora ti accompagno.”
“Preferisco di no, vorrei andare da sola.”
La ragazza gli diede le spalle per finire di mettere la legna nella carriola.
La rosa cadde per terra mentre lui le si avvicinava. L’afferrò alle spalle, bloccandola come poteva con un braccio e tappandole con l’altra mano la bocca e il naso per farla svenire. Quando perse conoscenza le fece bere con attenzione il contenuto di una borraccia, poi le spezzò una gamba; infine, se la caricò in spalla senza troppi problemi, come se fosse un sacco di patate, e se ne andò.
La neve che cadeva sempre più forte coprì complice le sue tracce.

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E questo primo capitolo è andato… la storia si compone di tre capitoli, non è eccessivamente lunga :)
Piccola nota finale: il nome non è scelto a caso, Caran infatti è un termine elfico che significa rosso. L’idea era di intitolare la storia come la fiaba originale, ma usando i termini elfici, in quanto ho scelto di usare il nome Caran tra i tanti che avevo selezionato con lo stesso significato, solo che Helf Caran non mi suonava bene, così ho dato alla storia il titolo che effettivamente ha.
Qualcuno si chiederà: dice di amarla e le spezza una gamba? Non è coerente. Bene. Per Njl lo è. Scoprirete tutto nel prossimo capitolo.
Nel frattempo, spero abbiate gradito e che vorrete lasciare un commento ^^ Ci si vede al prossimo capitolo.
Baci,
areon

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Capitolo 2
*** Convivenza ***


02. Convivenza
Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese. Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa.
Ispirato a Cappuccetto Rosso di Perrault
Seconda classificata al contest Cappuccetto Rosso di Gely_9_5

Rating: arancione
Genere: angst, dark, sentimentale
Personaggi: //
Note: long-fic (3 capitoli)

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Riassunto del capitolo precedente: Caran abita in una casetta di montagna con la madre e la nonna, e dopo la morte del padre è lei che si occupa dei lavori da uomo. Un giorno dei suoi sedici anni esce a prendere della legna per riscaldarsi dal precoce arrivo dell’inverno, quando la raggiunge il suo caro amico d’infanzia Njl. Njl le confessa di essere innamorato di lei, ma lei lo rifiuta dicendo che sono come fratelli, quindi non può ricambiarlo. Mentre Caran sta tornando a casa, l’amico l’aggredisce alle spalle, facendole perdere i sensi, spezzandole una gamba e potandola in un luogo ignoto.


- CARAN E IL LUPO -
Capitolo 2 – Convivenza

La prima cosa che percepì, riprendendosi lentamente, fu il dolore lancinante alla gamba destra.
Era vagamente consapevole della morbidezza del giaciglio su cui era distesa e del calore della coperta; erano ben chiari invece la fasciatura che le impediva il movimento, il dolore acuto e la confusione che le regnava in testa.
“Ehi.”
Aprì gli occhi sentendo la voce familiare che la chiamava gentilmente al suo leggero movimento, sottovoce così da non destarla inutilmente in caso dormisse ancora. Njl era accanto al letto, la vegliava in attesa del suo risveglio.
Una luce grigio-bianca filtrava dalla finestra, opaca ma comunque accecante per Caran, che aveva tenuto gli occhi chiusi per due giorni interi, come le spiegò in seguito Njl.
Accorgendosi di non riuscire a parlare – aveva la bocca impastata dal sonno prolungato – si spaventò, ma l’amico la calmò subito, raccontandole cos’era accaduto.
“Tranquilla. Bevi questa” disse porgendole un bicchiere che conteneva una tisana e aiutandola a bere. Inizialmente si rifiutò con qualche lamento basso, ma quando le spiegò di cosa si trattava accettò, quasi rassegnata. “è un miscuglio di valeriana, camomilla, melissa e un po’ di biancospino, diminuisce il dolore e favorisce il riposo: hai passato gli ultimi due giorni dormendo, non aveva senso tenerti sveglia e in preda al dolore. In ogni caso, ormai era ora che ti svegliassi almeno per un po’: devi mangiare se vuoi guarire in fretta, senza avere altri problemi.”
Mentre le parlava lei bevve la tisana a piccoli sorsi; non era fredda, ma nemmeno bollente: aveva avuto la premura di scaldargliela un po’ così che fosse più facile da bere. Poi spostò il bicchiere dalle sue labbra e lo depose sullo sgabello che aveva posizionato appositamente accanto al letto, l’aiutò a distendersi, le sistemò la coperta e le diede un bacio sulla fronte.
“Vado a scaldarti un po’ di cibo, torno subito.” la rassicurò accarezzandole una guancia.
Caran rimase per qualche istante a fissare il soffitto, non riconoscendo l’ambiente, mentre ascoltava i rumori di passi in allontanamento, di un caminetto attizzato e di una pentola che veniva appesa sul fuoco, poi altri passi che si avvicinavano di nuovo. Poi Njl ricomparve nel suo campo visivo, sedendosi ancora una volta di fianco al letto.
“Ti ricordi cos’è successo?”
Lei scosse piano la testa. Lui sospirò, sorridendole rassicurante.
“È normale, hai sbattuto la testa molto forte. Sei qui da due giorni. Ricordi di essere andata nel bosco per raccogliere della legna?”
Vedendola annuire, continuò la propria spiegazione.
“Bene. Ricordi quando ti stavi avviando verso casa, e sei caduta?”
In risposta, Caran aggrottò le sopracciglia – non ricordava, probabilmente le erbe che le aveva dato l’avevano confusa, ma questo lei non lo poteva sapere. Lui sospirò ancora, vedendo la sua reazione, e riprese a raccontare.
“Hai messo male un piede, la neve probabilmente aveva nascosto un buco o qualcosa di simile: sei scivolata e sei caduta molto male, battendo la testa tanto forte da perdere i sensi e da romperti una gamba. Sono riuscito a prenderti al volo prima che cadessi ancora peggio, e ti ho portata qui, a casa mia, per curarti: casa tua era troppo lontana, la neve stava cadendo molto forte e avremmo rischiato di perderci nel bosco perché le tracce non si vedevano quasi più. Quando siamo arrivati qui ti ho fasciato la gamba e preparato un infuso di erbe come quello di prima, solo più potente, poi ti ho messa a letto. Ho continuato a darti l’infuso mentre dormivi, e un po’ di zuppa per farti mangiare qualcosa, ma due giorni di riposo mi sembravano sufficienti, così oggi ho aspettato che ti svegliassi, anche perché hai bisogno di mangiare qualcosa di meglio di un po’ di zuppa, se vuoi riprenderti come si deve.”
Caran chiuse gli occhi, meditando qualche istante. Non ricordava nulla, solo lui che l’afferrava – probabilmente era a causa della botta in testa che aveva preso.
“C’è un’altra cosa che devi sapere…” la ragazza riaprì gli occhi, tornando a guardarlo. “In questi due giorni in cui hai dormito è caduta molta neve, quindi saremo bloccati in casa almeno per un po’, finché il tempo non migliorerà e si scioglierà abbastanza neve – però se continua a nevicare così saremo bloccati fino all’inizio della primavera. In ogni caso tu non puoi assolutamente camminare prima di due lune, se vuoi guarire davvero.”
Se avesse potuto, Caran l’avrebbe ucciso: costretta a letto per due lune intere – se non di più – era una cosa assolutamente inaccettabile per lei, che quando s’ammalava faceva fatica a rimanere a letto anche solo per quattro o cinque giorni.
Vedendo la sua espressione allibita, Njl non poté trattenersi dal concludere con: “Mi dispiace, ma è per il tuo bene.”
A quelle parole lo sguardo dell’amica divenne carico di odio – se quell’occhiataccia avesse potuto incenerirlo, di lui ormai non vi sarebbe più traccia – mentre lui iniziava a ridere, felice di vedere che anche con una gamba rotta era la stessa di sempre.
Non appena il pasto fu pronto, Njl glielo servì, aiutandola a mangiare. Poi le diede dell’altra tisana, e lei tornò a riposare. Uno scenario simile si ripeté la sera a ora di cena, e ancora nei giorni successivi. Nel frattempo, Njl riduceva gradualmente le dosi di biancospino e melissa ogni giorno, Caran invece passava sempre meno tempo a dormire e sempre di più a guardare apatica fuori dalla finestra la leve che cadeva lenta e senza alcuna sosta, cercando di ricordare cos’era accaduto quel giorno nel bosco, senza però riuscirci.
Il ragazzo era preoccupato dal silenzio protratto dell’amica: era una persona solare ed energica, non era il tipo che taceva per giorni né che rimaneva a letto due mesi senza protestare – per questo si era aspettato che si sarebbe come minimo lagnata per la prima mezza luna, se non anche di più. E invece era ufficialmente arrivato l’inverno, non solo nella stagione ma anche nel calendario, e lei ancora non parlava.
Solo sei giorni dopo, quando si avvicinava la luna piena, Caran gli chiese se potesse procurargli dei panni puliti e aggiungere della calendula alla tisana. Njl fece come richiesto, senza chiedere il motivo – non gli serviva, aveva già capito. Ogni tanto lei gli chiedeva se poteva rimanere da sola, e lui provvedeva ad uscire, dicendole che comunque avrebbe potuto chiamarlo se avesse avuto bisogno di aiuto. Lei fece accuratamente in modo di non averne bisogno, poiché sarebbe stato assai imbarazzante per entrambi, e Njl le fu internamente riconoscente per questo. Sei giorni dopo, Caran smise di chiedergli i panni, e lo informò che non avrebbe più avuto bisogno della calendula – fino alla luna successiva, tralasciò di dire – e anche di questo Njl fu mentalmente grato.
Dopo le imbarazzanti vicende dei giorni precedenti, in seguito ad un altro giorno di pesante silenzio, la ragazza si rese conto che sua madre e sua nonna probabilmente erano preoccupate a morte per lei, non vedendola tornare e non avendo più avuto sue notizie per più di mezza luna, così si fece dare dall’amico inchiostro, penna e pergamena e scrisse un messaggio alla famiglia, sperando di riuscire a farlo avere loro prima della fine della sua convalescenza – oppure, ne era abbastanza certa, sua nonna avrebbe rischiato di morire di crepacuore pensando che le fosse capitato chissà cosa.
Successivamente iniziò a lagnarsi della convalescenza forzata, ma aveva notato che Njl era così gentile da far di tutto per fargliela pesare il meno possibile, e aveva ogni genere di riguardi possibile nei suoi confronti. Era premuroso, la ricopriva di attenzioni, le aveva insegnato qualcosa sulle erbe per distrarla, passava il tempo a raccontare storie, sia quelle classiche sia alcune inventate. Le aveva persino ceduto il suo letto sin dal primo giorno, e dato che si era trasferito lì in seguito alla morte del padre e vi abitava da solo, quello era l’unico letto disponibile: lui dormiva per terra. Si abituarono gradualmente a quella strana atmosfera di intimità – Caran smise di protestare quando lui le scostava la gonna per verificare lo stato di guarigione o le spalmava qualche unguento sulla gamba, sui piedi o sulle mani, che a suo dire dovevano favorire la guarigione o la circolazione del sangue. Certo, essendo cresciuti assieme sin da piccoli erano ormai avezzi alla presenza fisica l’uno dell’altro, ma mai prima d’ora questa si era protratta così a lungo ed ininterrottamente, o era stata così stretta, in particolare da quando la madre di Caran le aveva ordinato di smettere di star sempre accanto all’amico.
La convivenza forzata proseguì senza eccessivi intoppi per un’altra luna, durante la quale non smise che per pochi giorni di nevicare, finché Caran, avendo esaurito le altre varie argomentazioni, se ne uscì con il fatto che Njl doveva riprendersi il letto. Lui le fece ragionevolmente notare che lei non stava bene, quindi non poteva dormire per terra – e lei era una ragazza, e le ragazze non dormono per terra mentre i ragazzi si tengono il letti – e non era conveniente che dormissero assieme, poiché le male lingue avrebbero già avuto da dire a lungo per quell’ampio periodo di sparizione che lei avrebbe passato interamente nella stessa casa con lui; inizialmente tacque per quanto il ragazzo le aveva fatto notare, lievemente in imbarazzo, ma poco dopo gli rispose che in ogni caso ci sarebbe stato qualcuno pronto ad insinuare che avessero fatto qualcosa di sconveniente, quindi tanto valeva che dormisse comodo, anziché preoccuparsi per la sua reputazione. Sosteneva infatti che questa fosse già rovinata dal suo svolgere lavori da uomo e dall’assoluta incapacità di eseguire lavori femminili, e concluse la sua arringa con una battuta sul fatto che, se proprio doveva preoccuparsene così tanto, poteva sempre salvargliela sposandola. Lo scherzo non sortì l’effetto sperato, in quanto non appena finì la frase avvamparono entrambi e Njl si dileguò per un po’, uscendo di casa senza dire una parola. Quando quella sera fu il momento di coricarsi Caran gli chiese di nuovo se volesse dormire lì – in realtà riuscì a chiedere soltanto “Vuoi…?” senza essere in gradi di terminare la frase, ma limitandosi ad indicare il giaciglio. Njl le chiese se fosse convinta e lei annuì, e lui accettò adducendo come scusa che non poteva assolutamente dirle di no. Quando si distese di fianco a lei, il viso accanto al suo, Caran si rese conto per la prima volta di cosa fosse davvero l’aroma dolce che tanto caratterizzava l’amico: profumava di erbe. Inizialmente quella nuova intimità fu imbarazzante, ma vi si abituarono gradualmente, apprezzando ogni sera un po’ di più la presenza accanto a sé, il calore reciproco, i diversi aromi di cui i rispettivi capelli erano impregnati – finché infine non si confusero in uno unico mescolandosi.

Dopo due lune e mezzo dall’inizio di quella strana avventura la gamba di Caran guarì del tutto, ma la neve continuava ancora a cadere, a fasi alterne, ed erano entrambi ancora bloccati in casa – inoltre, essendo guarita da poco, la ragazza non aveva ancora ripreso a camminare bene, e faticava a riabituarsi: iniziò così un lungo periodo di riabilitazione, in cui Njl era sempre dietro di lei, pronto a prenderla in caso le gambe non la reggessero. Inizialmente Caran era frustrata da quella situazione, ma poi riuscì a camminare da sola sempre di più e sempre meglio, e qualche volta passava del tempo appena fuori casa, avvolta nel suo mantello, a guardare la neve cadere. Andare a vedere la neve, in particolare, era stata la prima cosa che aveva voluto fare quando aveva iniziato a reggersi sulle gambe, e Njl non aveva potuto far altro se non accompagnarla. Caran amava la neve, la sua bianchezza incomparabile, il modo in cui ovattava il mondo e lo avvolgeva in uno stato di torpore, il modo in cui il sole si rifletteva sulla neve.

La neve ci mise ancora due lune a sciogliersi abbastanza da rendere i sentieri praticabili. Questo diede a Caran il tempo che effettivamente le serviva per riprendersi appieno. Così, quando finalmente la neve fu sciolta abbastanza da poter attraversare il bosco, Caran e Njl si misero in cammino verso casa di lei: quelle quattro lune e mezzo di assenza della ragazza erano state più che sufficienti a far venire un attacco di cuore alla nonna, probabilmente.
Quando arrivarono, le due donne scoppiarono in lacrime nel vederla sana e salva. Quando si calmarono, i due spiegarono loro quanto accaduto, rassicurandole che ora stava bene e assolutamente nulla di male, a parte quell’assai sfortunato incidente, le era accaduto. Njl rimase con loro per il resto della giornata, e prima del tramonto si avviò verso casa: nessuno dei due era entusiasta della separazione, ma dovevano salutarsi.

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Ed ecco qui anche il secondo capitolo… Ne manca solo uno alla fine della storia.
Piccola nota tecnica sulle erbe: quelle presenti nel testo non sono state selezionate a caso. Le fonti sono questi siti per delle indicazioni generiche sulle erbe con determinate proprietà:
http://www.my-personaltrainer.it/erboristeria/analgesiche.html
http://www.my-personaltrainer.it/erboristeria/narcotiche.html
http://www.my-personaltrainer.it/erboristeria/sedative.html
e questi per le descrizioni specifiche delle singole erbe nominate:
http://www.cure-naturali.it/valeriana/2329
http://www.cure-naturali.it/camomilla/2399
http://www.cure-naturali.it/melissa/2189
http://www.cure-naturali.it/biancospino/2191
http://www.cure-naturali.it/calendula/2132
Passando alle cose non-tecniche della storia, spero l’abbiate gradito, e che vogliate lasciarmi un parere ^^ Ci si vede al prossimo capitolo.
Baci,
areon

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


03. Epilogo
Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese. Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa.
Ispirato a Cappuccetto Rosso di Perrault
Seconda classificata al contest Cappuccetto Rosso di Gely_9_5


Rating: arancione
Genere: angst, dark, sentimentale
Personaggi: //
Note: long-fic (3 capitoli)

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Riassunto del capitolo precedente: Dopo essere stata rapita da Njl, Caran è costretta a passare dei mesi a letto a causa della gamba rotta. Non potendo uscire a causa della neve, sono costretti ad una convivenza forzata che li fa abituare l’uno all’altro creando un clima di strana intimità. Quando Caran è finalmente guarita, grazie alle amorevoli cure di Njl, e l’inverno è passato, lui l’accompagna a casa propria, dove la madre e la nonna l’attendevano da mesi senza avere sue notizie.


- CARAN E IL LUPO -
Capitolo 3 – Epilogo

La prima notte in cui Caran dormì da sola nel proprio letto faticò ad addormentarsi, e capì che le mancava la presenza rassicurante di Njl accanto a sé – aveva cercato di ignorare la fitta al cuore che aveva percepito quel pomeriggio al momento di salutarlo, ma non ci era riuscita e da quando se n’era andato non aveva pace, e la tormentava impietosa. Capì mentre si rigirava insonne nel letto di sentire moltissimo la mancanza di Njl, come mai prima d’allora le era capitato, quasi che di quell’assenza potesse morire. Ma non era così, la sua era solo acuta nostalgia del periodo passato con l’amico e desiderio di stare ancora con lui, anche per tutto il tempo che le rimaneva. Capì di essere innamorata di lui, di esserlo sempre stata: quei momenti passati assieme gliel’avevano fatto intuire, ma non l’aveva davvero capito finché non si erano separati.
Alla fine si addormentò esausta, incapace di assopirsi serenamente senza la presenza di Njl accanto a sé.

Il mattino successivo indossò il suo mantello rosso, coprendo il capo con il cappuccio, uscì di casa e si diresse a casa dell’amico. Quando arrivò era nel panico, ma prese coraggio e bussò alla porta.
“Arrivo.”
Njl aprì la porta, trovandosi davanti un tripudio di lentiggini stirate in un sorriso a metà tra l’agitato e la gioia.
“Ciao.” fece lei.
“Ciao.” rispose lui, imbambolato per la sorpresa: non credeva di rivederla tanto presto.
Vi fu qualche minuto di silenzio, interrotto infine da Caran: “Mi fai entrare?” gli chiese.
“Certo! Scusami…” si scostò dall’uscio, per permetterle il passaggio. Lei entrò, rimanendo comunque nei pressi della porta. “Ti serve qualcosa?”
“In realtà sì.”
Njl la guardava interrogativo, invitandola a proseguire con lo sguardo.
“Questa notte ho avuto difficoltà a dormire.” disse solo quello, come se potesse essere sufficiente a spiegare ogni cosa. Vedendo che non proseguiva, l’amico prese la parola. “Vuoi della camomilla per le prossime notti?”
“No.” rispose Caran, avvicinandosi di quei pochi passi necessari a trovarglisi esattamente davanti, a pochi centimetri da lui. Il cuore le batteva a mille, e si sforzava di continuare a guardarlo negli occhi, di non abbassare lo sguardo sulle sue labbra. “Voglio te.”
Sentendo quelle parole, Njl le prese il volto tra le mani e la baciò: era un bacio a fior di labbra, irruento e dolce allo stesso tempo.
Quando si separarono, entrambi sorridevano radiosi. Caran gli gettò le braccia al collo, mentre lui le strinse la vita. Rimasero così per una quantità pressoché incalcolabile di tempo, abbracciati in silenzio, i volti incastrati nell’incavo del collo dell’altro. Alla fine la Rossa ruppe il silenzio.
“Ehi, Njl…”
“Dimmi.”
“Spero che quella tua proposta di matrimonio sia ancora valida, perché intendo accettarla.”
Njl si scostò all’improvviso, quasi avesse preso una scottatura; ma si calmò subito: “Lo è.” asserì con un sorriso.
“Bene.” rispose Caran. “Perché mi ricordo tutto, e ritengo che sarebbe assai scortese da parte tua ritirare proprio ora l’offerta.”
Njl impallidì lievemente. “Tutto tutto? Ogni singola cosa?”
“Sì.”
Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto. In particolare lui, era spiazzato.
“E allora perché sei tornata?”
“Perché ti amo. E quello che hai fatto era solo quanto necessario per farmi aprire gli occhi e rendermene conto.”
Nel parlargli non aveva smesso un secondo di sorridere rassicurante: voleva fargli capire che lo amava davvero, che non stava mentendogli né illudendolo, che era assolutamente ed incondizionatamente sincera.
Ma un po’ aveva paura. Non sapeva come fare – non c’era mai stato nessuno che le avesse insegnato come si dimostra l’amore – così lo baciò di nuovo, perché era l’unica cosa che sapeva fare. Sentiva il cuore martellare nel petto e nelle orecchie, le labbra di Njl morbide che accarezzavano le sue, le sue braccia forti che la stringevano come a non volerla mai lasciar andare. Poi, gradualmente, lui approfondì il bacio, facendo attenzione a non metterle fretta per non spaventarla, con calma perché nemmeno lui, in effetti, sapeva davvero cosa dovesse fare. Quando le slacciò in mantello, Caran trasalì; Njl la rassicurò, accarezzandola gentile. Appese il mantello all’appendino, quindi la prese in braccio senza alcun preavviso: lei si mise a ridere, più tranquilla. La condusse al letto, adagiandovela delicatamente e sedendosi accanto a lei. La baciò delicatamente, accarezzandole la giacca, e poi la baciò ancora e ancora.
Piano piano l’insicurezza svanì, i baci divennero sempre meno casti e sempre più focosi e passionali. Senza nemmeno sapere bene come, Caran si trovò distesa sul letto, con Njl sopra di sé: alternava carezze dolci a strette possessive sulle braccia e sui fianchi, mentre lei gli passava le dita tra i capelli. Poi i vestiti calarono ad uno ad uno, mentre continuavano a baciarsi fino a non avere più respiro.
Caran rincasò solo la sera. Sapeva che sarebbe passato molto tempo prima che Njl potesse chiedere a sua madre il permesso di sposarla, ma intanto potevano sempre continuare a vedersi.
Quella notte Caran dormì più serena, addormentandosi – quasi come una rassicurazione – con una mano sulla spalla su cui Njl quel pomeriggio le aveva lasciato un morso.

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Eccoci infine al terzo capitolo… chi è contento che sia finita alzi la mano! Umh, quanta gente…
Iniziamo con l’angolo delle ultime precisazioni.
Come già detto nell’introduzione, ancora due capitoli fa, la storia prende ispirazione dalla versione di Cappuccetto Rosso di Perrault; questo perché questa versione mi sembrava più adatta come riferimento rispetto a quella dei Grimm – per chi non la conosce, in Perrault il lupo si mangia la nonna e Cappuccetto Rosso, e nessuno le salva: insomma, vince il lupo.
Anche qui, in un certo senso, vince il lupo: Njl non uccide Caran come il lupo, ma riesce nel proprio intento di plagiarla e farla innamorare di sé – lo scopo del rapimento, e del romperle una gamba, era esattamente quello di prendersi cura di lei fino a dimostrarle che lui le era necessario e a convincerla che è innamorata di lui. E Njl ci e riuscito talmente bene che Caran non si è accorta di essersi innamorata mentre era “ospite” da lui, ma crede di esserlo sempre stata e di essersene accorta quando poi se n’è andato.
Qui si inserisce la spiegazione del nome Njl: è ispirato al nome di Nils Bejerot, il criminologo e psicologo che per primo coniò il termine Sindrome di Stoccolma in merito a casi di rapimento in cui la vittima finiva col provare un profondo affetto e attaccamento verso il proprio carnefice fino addirittura all’amore. Per maggiori informazioni vedere http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stoccolma.
Fine del backstage/approfondimento psicologico.
Ora che la storia è conclusa – spero tanto che vi sia piaciuta!! – vi chiedo ancora una volta di commentare, così da poter avere un’idea su cosa ne pensate. Grazie per essere arrivati fino alla fine.
Ci si vede alla prossima storia.
Bacissimi,
areon

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