Casa è dove lasci il Cuore

di Notthyrr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuore che Batte ***
Capitolo 2: *** Cuore Spezzato ***
Capitolo 3: *** Cuore di Ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Cuore in Cella ***
Capitolo 5: *** Cuore Regale ***
Capitolo 6: *** Cuore in Dubbio ***
Capitolo 7: *** Cuore Tormentato ***
Capitolo 8: *** Cuore di Ferro ***
Capitolo 9: *** Cuore in Frantumi ***



Capitolo 1
*** Cuore che Batte ***


Cuore che Batte


Il rumore dei suoi passi riecheggiava tra le pareti di pietra. Sapeva che un suono così lieve era impercettibile alle orecchie di chiunque ‒forse non proprio di chiunque ‒, ma nel suo cuore e nelle sue tempie ogni volta che poggiava un piede davanti al precedente pareva che un martello si stesse abbattendo su un’incudine.
Giunse a un bivio e si arrestò, ansimando; il cappuccio del mantello scivolò piano lungo la sua nuca e il giovane se lo calcò nuovamente sugli occhi con un gesto brusco, ricacciando indietro i ciuffi di capelli scuri che reclamavano a loro volta una via di fuga, non sopportando più di restarsene appiccicati dal sudore dietro le sue orecchie.
I corridoi che si aprivano alla sua destra e alla sua sinistra parevano del tutto uguali: non ne vedeva molto, ma il sottile fascio di luce proiettato dalle feritoie tagliava il nero dell’oscurità a intervalli regolari. Nonostante tutto, però, lui sapeva dove andare. Se lo era ripetuto mille volte e, se mille erano poche, allora lo aveva fatto un milione, pur di non dimenticare nulla, nemmeno un passaggio.
Dieci passi e ti troverai di fronte a un muro. Non allarmarti, è solo una delle loro precauzioni: hanno paura di te. Ti temono. Alza entrambe le mani e premile contro i mattoni all’altezza dei tuoi occhi. Il muro ruoterà e tu sarai dall’altra parte. Già, aveva assimilato tutto la prima volta che gli era stato detto. Ma perché lo avevano fatto? Perché quella donna lo voleva libero? Le aveva fatto pena?
Ora procedi e segui il percorso obbligato.Si ripeté mentalmente, il cuore che scalpitava sempre di più. Poco e gli sarebbe schizzato via dal petto. Anzi: la sola idea di non poter più uscire da quel dedalo di oscurità gli faceva battere quel ritmo sfrenato nelle tempie e in tutto il corpo, cingendolo in una morsa di puro terrore.Tieni la mano destra contro la parete e, dopo il primo angolo, conta cinque porte. Dopodiché svolta a sinistra: ci sarà un nuovo passaggio. Arriva in fondo e ti troverai di fronte a un bivio. Allora, dovrai girare a…
Degli altri passi, ma lui non si era mosso. Gli occhi gli si spalancarono, come se, in quel buio così fitto potesse vederci meglio, ma, per quanto vi si fossero abituati, non scorgeva nulla se non quella fievole luce lunare nel cui cono danzava leggera la polvere di millenni. Nel guardare quello spettacolo, si chiese se in quei giorni qualcuno fosse sceso solo per dare a lui qualcosa di cui nutrirsi o se ci fossero stati altri prigionieri nelle celle sigillate. Qualsiasi fosse stata la risposta, la polvere che si era improvvisamente alzata sotto la luce della finestrella era stata mossa da qualcuno. E i prigionieri, da quelle carceri, non erano mai fuggiti.
«Loki!» L’udire il suo nome lo raggelò, congelandolo al suo posto, ma, al contempo, il suono di quella voce conosciuta che aveva imparato ad apprezzare durante i suoi giorni di prigionia lo tranquillizzò. «Volevi andartene senza nemmeno ringraziarmi?»
Il giovane si volse e il cappuccio gli scivolò nuovamente sulle spalle: i suoi occhi, assottigliandosi per vedere meglio, riuscirono a mettere a fuoco i contorni di una figura femminile che avanzava piano verso di lui. Per l’istante in cui fu catturata dalla luce esterna, i capelli biondi che le ornavano il viso rilucettero, per poi spegnersi di nuovo nel nero quando l’oscurità la reclamò a sé. «Senza di me, saresti ancora in quel buco maleodorante.»
La cella. Il solo citarla gli fece rivoltare lo stomaco e l’uomo storse il naso, volgendosi appena per non trovarsi la dea direttamente di fronte.
«Tu dici, Gefjun?» la incalzò. Se c’era qualcosa che gli pareva difficile, più che fuggire, era mostrarsi grato nei suoi confronti. Eppure, non gli aveva mai fatto niente e mai gli era stata avversa.
«Credo che tuo fratello…»
«Fratellastro.» la corresse prontamente.
«Quello che è… Beh, non credo che sarebbe venuto nella tua cella… e si fosse premurato di allentarti le catene, di lasciartene la chiave… e di cantare dolcemente al tuo orecchio le indicazioni per uscire da qui.»
Una risatina isterica lo scosse, ma fu talmente sottile e inudibile, tanta era la paura di essere avvertito da qualcuno che non fosse Gefjun, che si domandò se la dea l’avesse udito: «Sei qui per elencare ogni tuo atto di tradimento nei confronti di Asgard?» pronunciò quel nome con disprezzo e solo quell’eleganza che gli era rimasta nel sangue, nonostante in quegli ultimi giorni fosse stato trattato alla stregua di un cane, gl’impedirono di sputare il suo spregio. Ripensò, però, alle parole della donna e dovette ammettere a se stesso che aveva tutte le ragioni: aveva allentato gli anelli che gli trattenevano i polsi contro la parete ‒non abbastanza da essere scoperta; quel tanto che era sufficiente a far sì che la sua esile mano potesse scivolarvi attraverso ‒, gli aveva lasciato la chiave dei ceppi che gli bloccavano le caviglie tra le pieghe della tunica sbrindellata, gli aveva portato un mantello con cui coprirsi e gli aveva fatto compagnia in quelle notti che parevano interminabili, sussurrando alle sue orecchie parole di conforto, sogni di una gloria ormai andata… o che sarebbe presto stata perseguita. Sì, Gefjun aveva tutte le ragioni, tranne una; una che lui non capiva.
«Perché?»
«Perché cosa
«Perché lo fai? Perché… mi liberi? Che cosa te ne viene? Se ti scoprissero…!»
«Loki, non tutti sono come te. Non tutti fanno qualcosa perché ricevono qualcos’altro in cambio.»
Avvertendo il peso di quell’accusa, Loki chinò il capo e le volse completamente le spalle, per non guardarla negli occhi ‒quegli occhi grigi che spiccavano nelle tenebre ‒e: «No. Era il mio cuore che volevi.»
«Forse. Prima che te ne andassi. Allora, il tuo cuore volò via con te.»
«No, il mio cuore mi fu strappato. Da mio padre. E da mio fratello.» Fratellastro. Poi, vedendo che Gefjun non replicava: «Perché sei venuta, allora?»
«Sapevo che ti saresti perso.»
Punto nell’orgoglio, Loki si allontanò di qualche passo, ritornando ad affacciarsi sul bivio: «Non mi sono perso. …dopodiché svolta a sinistra: ci sarà un nuovo passaggio.» citò. «Arriva in fondo e ti troverai di fronte a un bivio. Allora, dovrai girare a…» esitò. «A destra.»
Gefjun sorrise con dolcezza, ma lui non poté vederla: «Era a sinistra.»
«Già, hai ragione. Me lo scordavo sempre.»
«Lo so.»
Loki accennò un passo in avanti e si trovò al centro del corridoio trasversale. Guardò a destra: con gli occhi un po’ più abituati al buio, poté distinguerne la parete di fondo. Gli sfuggì un sorriso e si volse nell’altra direzione, dove nulla pareva frapporsi tra lui e l’oscurità.
«È un addio, questo?»
«Beh, se Asgard finisse in mano ai giganti di ghiaccio e io non fossi più un ricercato, farei ritorno volentieri. Ma sai bene che non accadrà mai. Almeno finché mio fratello sarà qui a farvi da cane da guardia.» Quell’ultima precisazione fu marcata da una certa amarezza. «Adesso tornatene di sopra: se ti beccassero…» ancora una volta non riuscì a concludere quella frase.
«Non ti perdere.» si raccomandò lei con un sorriso triste. Poi fece per fare dietrofront e scomparire, ma lui la richiamò di nuovo.
«E… Gefjun?» Una pausa. «Grazie.»
Si calò nuovamente il cappuccio sul volto e, stringendosi nel mantello, imboccò di corsa la via indicatagli dalla dea: forse aveva mentito. Forse il suo cuore non gli era stato strappato del tutto. Forse un frammento era rimasto e batteva ancora, là sotto, da qualche parte dentro di lui. E il martellante suono che gli colpiva insistentemente il petto doveva esserne la riprova.


You’re out of control inside
I don’t need x-ray vision
To see all the desperate signs
You  made your heart a prison





 

Note: Bene, ho combattuto la Guerra dei Cent'anni per postare questo racconto, quindi spero proprio risulti quantomeno decente.
Per prima cosa, vorrei specificare la ragione per la scelta di Gefjun: so che non è un personaggio Marvel conosciuto e che il suo ruolo è alquanto marginale, ma l'ispirazione è venuta in parte da un racconto al di fuori dell'universo Marvel, ambientato interamente ad Asgard con Loki sempre nelle vesti di fuggiasco e sul quale non mi dilungherò oltre.
Tornando a noi, non c'è molto da dire, essendo questo soltanto un capitolo di "introduzione". Possiamo dire che la storia in sé cominci dal prossimo, se non dal terzo (No! Restate sintonizzati su questo canaleee!!!)
Riguardo la strofa finale - perché no, signori: non posso scrivere una storia senza infilarci in mezzo una qualche canzone che si azzecchi e me la faccia tornare in mente ogni volta che l'ascolto! -, è estratta dal brano Lost and Lonely, della band finlandese The Rasmus.
Detto questo, spero enjoyate (?) il racconto e continuiate a seguirlo per i prossimi capitoli.

~Notthyrr

 

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Capitolo 2
*** Cuore Spezzato ***


Cuore Spezzato


Il segreto stava nel dividerli. Divide et Impera, dicevano gli umani. E lui ci era quasi riuscito. Per un soffio, la gloria di un solo momento gli era stata sottratta e tutto era crollato tra le sue dita, davanti ai suoi occhi, come crolla un immenso castello di sabbia in balia del primo vento d’autunno.
Così, in quelli che erano parsi solo pochi istanti, suo fratello aveva vinto di nuovo; suo fratello lo aveva scavalcato ancora; suo fratello era riuscito a umiliarlo un’altra volta. Anche se in fondo, sapeva, suo fratello non l’aveva mai voluto, anzi: suo fratello aveva tentato di salvarlo. Gli aveva porto una mano, ma, accecato dalla follia, lui non era riuscito a vederla, non era riuscito ad afferrarla, ed era precipitato verso il basso.
Si era dunque ridestato dal suo incubo sotto luci accusatorie e si era reso conto di trovarsi al suo stesso processo. Il Tesseract era scomparso ‒poco più di un mero ricordo distorto dall’insania dei suoi occhi che si erano svuotati della sua luce azzurra, tornando verdi. Verde, il colore della speranza.
Lì, davanti al consiglio asgardiano, lui l’aveva persa tutta.
A capo chino, i capelli appiccicati di sudori gelidi, non aveva nemmeno colto tutta la conversazione. Si era, però, reso conto che suo padre non era mai intervenuto a suo favore: certo, non lo voleva morto ‒uccidere un familiare, per quanto lui nemmeno lo fosse, avrebbe comportato qualcosa di ancora piùgrave dei crimini di cui lui stesso si era macchiato ‒, ma pure la sua vita pareva essergli di peso; due piedi di troppo che calcavano la superficie asgardiana. Quindi, lo aveva spedito nelle segrete, almeno per il tempo necessario a decidere che cosa farne di lui. O come disfarsene.
Gli era stata quindi tolta la fascia d’acciaio che gli serrava le labbra soltanto perché un nastro di seta nera andasse a coprirgli gli occhi e a oscurare l’accecante luce che gli pungeva insistente il cervello.
Si era perso la quarta volta che avevano svoltato a sinistra. Poteva considerare la sua memoria alquanto notevole, ma sapeva dove lo stavano trascinando e solo il pensiero di quel luogo dal quale nessuno mai era fuggito lo atterriva a tal punto da lasciare che anche quella flebile luce di speranza nel verde dei suoi occhi si spegnesse. Il mondo attorno a lui era dunque diventato un vorticante marasma di pietre e buio e, quando la coscienza era ritornata nel suo corpo, i suoi occhi erano liberi di vagare, ma lo scenario che si prospettava loro davanti non era poi così diverso dal precedente, dove la benda gli ostruiva la vista. L’odore di muffa e umidità, poi, impregnava ogni cosa. Non sapeva quanto tempo avesse passato semincosciente, ciò che constatava era che i rozzi abiti che gli avevano gettato addosso ‒perchélui non era nemmeno degno di indossare i propri ‒ne erano giàstati umettati. Erano passati circa due giorni dall’ultima volta che aveva soltanto avvertito l’odore del cibo, l’aroma unticcio dello shawarma che esalava da suo fratello l’ultimo giorno che aveva trascorso a Midgard: le sue forze lo stavano via via abbandonando, volando via assieme al suo debole respiro, e le catene che lo trattenevano contro il muro parevano così pesanti che, se non fossero state loro stesse a costringerlo con la schiena eretta, sarebbe crollato al suolo come un guscio vuoto.
Gefjun era stata solo un faro di speranza in mezzo a quel burrascoso mare di costernazione: il terzo giorno, quando gli aveva portato da mangiare e gli aveva allentato gli anelli attorno ai polsi per permettergli di portarsi il cibo alla bocca, si era seduta di fronte a lui e lo aveva guardato a lungo. Lui non aveva nemmeno toccato il piatto: si era massaggiato i polsi e, alla fine, le aveva detto di non avere fame e di portarlo via. Lei non era stata d’accordo e, come avrebbe fatto sua madre ‒non allora, ma anni addietro ‒, lo aveva costretto a mandare giù un boccone o due.
La donna aveva fatto ritorno il pomeriggio seguente e le sue visite si erano fatte sempre più frequenti. Lui continuava a chiederle quanto avrebbero impiegato gli asgardiani a decidere come ucciderlo, ma lei non rispondeva. Così era continuato quello strano rapporto finché lei non si era messa nell’ottica di aiutarlo. E lo aveva lasciato fuggire.

~¤~

Quella notte, il cielo di Asgard non gli era mai parso così luminoso: con gli occhi usi ormai a muoversi nel buio, quando Loki aveva superato le ultime porte che lo dividevano dalla luce, aveva dovuto fermarsi e coprirsi il volto per alcuni istanti, tante erano le stelle luminose e colorate che splendevano in cielo, gettando iridescenti riverberi sul suo volto cereo. Quando era riuscito ad aprirli e a guardare in alto, i suoi occhi di giada si erano illuminati di un bagliore più intenso, spalancandosi su un mondo che aveva dimenticato, e le sue gambe avevano acquistato sicurezza, portandolo a correre, quasi senza accorgersene, in direzione del lungo ponte dell’arcobaleno.
Già, il Bifröst. Pareva quasi che lo stesse sbeffeggiando, là davanti a lui, riverberante di tutte quelle belle tonalità che erano state affogate nella malinconia del nero della sua cella.
Non era trascorso poi molto tempo da quando il suo fratellastro lo aveva mandato in frantumi a colpi di martello, riducendo in briciole, assieme al cristallo iridescente del ponte, anche il suo piano, al contempo tanto crudele quanto innocente; infantile. Forse, disperato.
Era sorprendente, lodevole, si direbbe, la rapidità con cui era praticamente stato ultimato: se avesse tardato qualche giorno a scatenare quel putiferio sulla Terra, con tutta probabilità il suo caro fratello sarebbe potuto scendere attraverso il ponte come aveva sempre fatto, piuttosto che impiegare l’energia oscura di Odino per manifestarsi sul pianeta degli umani.
Il cristallo colorato si accendeva di magnifici rilessi ogni volta che il dio vi posava il piede: quel gioco di luce era così affascinante da riportarlo a sorridere come il bambino che era stato la prima volta in cui suo padre lo aveva portato lì, pronto per il suo primo viaggio tramite il Bifröst. Credeva, in effetti, di non poter più tornare ad apprezzare quel ponte cristallino ‒tantomeno di vederlo -: quando la sua mano aveva lasciato la presa sulla lancia, prima che la paura della morte arrivasse a travolgerlo, aveva anelato alla morte stessa, non aveva desiderato altro, e, quando si era ridestato in un luogo che non conosceva, si era reso conto di come nemmeno ella l’avesse degnato della sua comprensione.
Heimdall, che faceva la guardia al Bifröst da quando lui poteva ricordarsene, quel giorno non era là: Loki s’immaginò che, con la sua vista alla quale nulla sfuggiva, si fosse reso conto della sua fuga e fosse corso ad avvertire Padre Tutto, Thor, tutto il Valhalla, magari. Oppure Gefjun era riuscita ad attirarlo lontano da lì ed essere per lui, per l’ennesima volta, quella luce di salvezza che l’avrebbe condotto altrove ‒importava forse dove? ‒, lontano da lì, dove avrebbe potuto vivere come il re che era.
Quasi riuscendo a palpare di già quel mondo illusorio, il dio si precipitò nella sala sferica con la quale culminava il ponte, il mantello che svolazzava alle sue spalle e il cappuccio che, ancora, come se non volesse nascondere quell’incantevole volto, scivolava all’indietro e gli scopriva i capelli.
Raggiunse il centro del salone, guardandosi attorno come se avesse perduto qualcosa: senza Heimdall e la sua spada dorata che azionava il meccanismo, risultava più complicato mettere in moto il ponte. Si maledisse per la sua condizione, che gl’impediva di affrontare il guardiano come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione: strappargli la spada non sarebbe stato poi così complesso. In quel caso, invece…
Tese una mano verso l’ingranaggio collocato poco sotto il livello del pavimento intarsiato. L’arto gli s’illuminò di una flebile luce verdastra e in essa gli parve di poter vedere il verde di Vanaheim; i prati di Álfheim. Sentì il cuore farglisi più leggero e avrebbe preso il volo con esso se non…
«Dove credi di andare?»
Spaventato, si volse, tendendo davanti a sé un misero coltello dall’impugnatura in osso, la luce nella sua mano che si spegneva, risucchiandosi in se stessa. Nei suoi occhi vibrava il terrore e, assieme ad esso, un odio così radicato da non poter essere estirpato nemmeno dall’amore più sincero.
Tra tutte le persone che potevano giungere e coglierlo sul fatto… Con tutti gli dèi e i guerrieri che abitavano quel palazzo dorato… perché si trovava a specchiarsi negli occhi turchesi di suo fratello?
Aveva tentato a lungo di seppellire e mettere da parte quel sentimento, dicendosi che non aveva la giusta importanza perché gli fosse dato rilievo, ma solo in quel momento si rese conto di quanto lo odiasse veramente: odiava lui, odiava i suoi modi, odiava quel suo fare da spaccone, odiava quel suo modo di credersi superiore e, soprattutto, odiava come lui non riuscisse a fare altrettanto. Se lo avesse affrontato come un nemico, se si fosse limitato a occuparsi di lui come avrebbe fatto con qualsivoglia gigante o troll, sarebbe stato tutto più semplice… E invece c’era quel dannato rapporto fraterno a rovinare le cose, quel filo che lui aveva tentato di recidere così a lungo e che suo fratello non aveva fatto che ricucire di nuovo, ancora e ancora.
Il pugno gli si strinse con tale forza attorno al manico del coltello che le sue nocche sbiancarono e i suoi tendini parvero sul punto di schizzare via: «Se esiste un posto…» cominciò con voce tremante, per  poi portare lo sguardo sulle iridi azzurre del biondo e riprendere a parlare con una sicurezza agli antipodi rispetto il tono precedente. «Se esiste un posto… abbastanza lontano da te, per cui tu non possa più nemmeno pensarmi tanti sono gli abissi che ci dividono… per cui tu dimentichi completamente di aver avuto un fratello… per cui la tua anima venga assolta dal peso che devi provare dopo tutte le sofferenze che mi hai fatto passare… allora è là che voglio andare; è la che voglio scomparire.»
«Sono stanco di rincorrerti…»
«E io di essere rincorso. Ora, se davvero mi vuoi tutto il bene di cui ti vanti e che mai sei riuscito a dimostrarmi, vattene.» sillabò.
Thor, il biondo dio del tuono, sbuffò, agitando la mano con la quale reggeva Mjöllnir: «Loki, tu non capisci…»
«No, sei tu che non hai capito niente! Non lo hai mai fatto!» strillò, esplodendo definitivamente. «Sei poco più di un bambino troppo alto per sembrare tale, che obbedisce a suo padre alla stregua dei due lupi cui getta le ossa durante i banchetti! Affermi di volermi bene, di aver fatto per me tutto quello che hai fatto, ma non ti è mai passato per la mente che io non desideri essere salvato? Qualsiasi cosa io faccia, non ti limiti a scavalcarmi, a gettare ombra su di me, ma continui a pretendere di amarmi! Tu non sai che cosa significhi l’affetto: tu continui a fare a pezzi i cuori di chi ti circonda!»
Con un gesto di stizza, la mano di Loki s’illuminò di nuovo e per un istante Thor credette che il fratello volesse scagliargli contro una qualche magia. Invece, il moro accennò a riportarla verso il basso; verso il centro del salone.
«Se da solo non sei in grado di arrivarci…!» In un moto di rabbia, il dio del tuono si precipitò verso di lui, colpendo con la propria mano libera le dita del fratello proprio nell’istante in cui il lampo verde era riuscito a penetrare il meccanismo, azionando il Bifröst.
Come reagendo a un incantesimo difensivo, una sfera sottile come una pellicola, ma dalla consistenza del diamante, si spanse dal centro della sala, colpendo i due fratelli e scaraventandoli ai lati opposti del salone. Una forte luce esplose dal centro ed entrambi poterono avvertire la parete scricchiolare sotto il peso dei loro corpi.
Gli occhi del biondo si piantarono in quelli di Loki, ora spaventati: il martello gli sfuggì di mano, abbattendosi al suolo senza produrre alcun rumore ‒o erano le loro orecchie piene di un altro fragore più forte che lo copriva? ‒e allungòuna mano, tentando di vincere quella gravitàche lo teneva premuto contro un muro pronto a cedere.
Rimangiandosi in un sol boccone tutti gli spergiuri e le maledizioni di poco prima, l’unica cosa che Loki avrebbe voluto fare era riuscire a liberarsi da quelle catene invisibili che lo trattenevano, dalla luce bianca emanata dal Bifröst che vorticava attorno a loro. Ora la vedeva: vedeva quella mano di salvezza che il fratello gli aveva teso. Non come l’ultima volta: era lì, proprio di fronte a lui, eppure…
Tentò di fare altrettanto, ma la sua debolezza gl’impedì qualsiasi movimento e, mentre la guglia del Bifröst si proiettava verso il cielo, le labbra del fratello che si dischiudevano per chiamare il suo nome furono l’ultima cosa che poté vedere, prima che un colpo troppo potente lo lasciasse privo di sensi.


I  just wanted to see the sky
Open the one last time





Note: Bene, bene, in ritardo, ma sono riuscita ad aggiornare (Meglio tardi che mai, dice il saggio...).
Qui finalmente si entra nel vivo della storia, nonostante sia più che altro un capitolo descrittivo - e spero che il lungo ed estenuante flash-back di Loki non abbia ucciso nessuno dei lettori...
Vi aspetto quindi mercoledì prossimo col terzo capitolo, dal quale comincia la narrazione vera e propria e introdurrò un nuovo personaggio ; )
Per concludere, la canzone è sempre dei The Rasmus - come saranno anche tutte le prossime strofe di fine capitolo -, Sky.
Grazie a tutti,
~Notthyrr

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Capitolo 3
*** Cuore di Ghiaccio ***


Cuore di Ghiaccio


Freddo. Perché era così freddo? Anzi, per meglio domandarsi: si chiamava davvero così quella strana sensazione che lo obbligava a tremare come una foglia al vento? Era quella candida e soffice sostanza su cui si era risvegliato a trasmettergli una tale sensazione di gelo?
Ancora intontito, alzò il viso e un nuovo brivido di freddo lo attraversò. Gli occhi ridotti a due fessure, ancora abbagliati da una luce che si era spenta, mescolavano lo scenario in macchie bianche e blu. E grigie. C’era così tanto grigio…
Puntellandosi sui gomiti, le braccia che tremavano per il freddo e per la debolezza, riuscì a mettersi a sedere e si accorse di avere il volto bagnato: i batuffoli cosparsi sul terreno dovevano essersi sciolti sotto il calore del suo corpo e gli avevano inumidito le guance. Se le deterse con la manica della tunica che indossava: era sbrindellata verso il fondo e gli arrivava appena sotto il gomito. Non che si ricordasse di aver mai indossato altro, eppure ‒lo capiva da solo ‒, quella veste era troppo leggera per quel luogo. Seduto da solo in mezzo a quella distesa bianca, i suoi occhi cominciarono a  mettere a fuoco lo scenario tetro e spento di alcune montagne e di costruzioni di pietra scura. La testa gli doleva un po’ e, abbassando lo sguardo sulla sostanza fredda sotto di lui, vide che era macchiata di rosso. Incuriosito, tese le dita e le intinse nel vermiglio, portandosele poi davanti agli occhi per vederci meglio. Annusò la vischiosa sostanza che gli aveva sporcato le dita e storse il naso, per poi affondare nuovamente la mano nel fresco candore e ripulirla. Il bianco andò a imbrinargli la pelle blu e s’insinuò sotto le unghie nere. Qualcosa, in un qualche recesso della sua mente, lo stava mettendo in guardia, lo stava implorando di studiare con più attenzione quel colorito che, però, ai suoi occhi che altro non ricordavano di aver visto, pareva naturale.
Quando tentò per la prima volta d’alzarsi, la testa gli diede un capogiro e avvertì una lancinante fitta attraverso la nuca: ricadendo sulle ginocchia, tastò la zona dolorante con la mano, scoprendola poi ricoperta della solita sostanza rossa. Capì di aver quindi battuto la testa e che quello doveva essere il suo sangue; quello che, però, non comprendeva e tantomeno ricordava era come fosse accaduto e da dove fosse precipitato.
Il secondo tentativo ebbe maggior successo e le sue gambe magroline riuscirono a sostenerlo e a farlo arrancare sino a una sporgenza rocciosa, contro la quale si abbandonò.
Faceva molta fatica a sollevare i piedi da terra: essi, infatti, restavano piantati nella neve alta e ogni passo gli costava un dispendio di energie a dir poco considerevole; energie, che lui non aveva, né, nel bel mezzo di quel nulla, aveva idea di come recuperare.
Il silenzio era totale, rotto di tanto in tanto dal rumore dei batuffoli bianchi che lui sollevava e che ricadevano sul manto candido, andando a mescolarsi a tutti gli altri. Si spaventò molto, infatti, quando un suono grottesco gli rimbombò nelle orecchie, facendosi sentire attraverso di lui. Con lo stomaco che pareva volerlo addentare dall’interno, si fermò guardandosi spaventato intorno, finché il rumore si ripresentò. Con orecchio un po’ più attento e tentando di seguirlo per giungerne all’origine, si rese conto che proveniva da lui stesso e si osservò perplesso il torace: dentro di lui pareva agitarsi il potere di un tuono ‒il tuono… se lo ricordava! Per lo meno, credeva di averne sentito uno… da qualche parte… seguendo una scarica di luce che tagliava il cielo in due ‒e s’immaginò di finirne folgorato. Invece, nulla accadde; solo, lo stomaco continuava a gorgogliare.
Non poteva definire dolore quella sensazione, piuttosto una mancanza. Sentiva il bisogno, l’istinto animale di mettere qualcosa sotto i denti, eppure, attorno a lui non c’era niente, se non la neve. Valutò per qualche istante l’idea di affondarvi le dita e di portarsela alla bocca, ma il ricordo del gelo che gli aveva trasmesso ‒probabilmente il primo da quando era stato sputato dal cielo o partorito dalla terra ‒, lo trattenne dal commettere quel gesto.
Oltretutto, si accorse anche che i batuffoli che vedeva al suolo erano cominciati a scendere dal cielo terso di nubi grigiastre e questo bastò a distrarlo: come un bambino che per la prima volta vede un fiocco di neve volteggiare nell’aria per poi posarsi con grazia a terra, alzò il capo al cielo, gli occhi che gli s’incrociavano mentre cercava di seguirne uno che gli s’andò a posare sul naso, facendolo starnutire.
Improvvisamente sollevato da quella vista, come se il silenzio e la tranquillità della neve che scendeva delicata fossero riusciti a penetrare in quel suo cuore in subbuglio, le sue labbra s’incresparono in un sorriso sereno e, le gambe finalmente più leggere, cominciò a rincorrere i cristalli perfetti che calavano dall’alto e gl’imbiancavano i capelli fino a che, nel momento in cui si volse per tentare di afferrarne uno, urtò contro qualcosa che non era roccia e finì per cadere seduto, affondando nella neve.
Intontito per il colpo, avanzò a carponi per potersi volgere a guardare cosa l’avesse mandato a terra: si spaventò alquanto quando si accorse di essersi scontrato con qualcosa di vivo che lo stava guardando minaccioso con un paio di fiammeggianti occhi scarlatti. Non solo: al suo fianco, intravide altre quattro creature simili, esseri molto alti e dalla pelle blu come la sua, che lo scrutavano come una bestia strana.
Sprofondando nella neve fresca, si domandò perché fosse oggetto del loro interesse, quando, per quanto aveva visto di sé, credeva di somigliar loro così tanto.
La risposta giunse da sé nel momento in cui la creatura che più gli era vicina lo sollevò con malagrazia, strattonandolo per un braccio: in piedi, faticava ad arrivargli alle spalle.
«Chi sei?» grugnì l’essere, piantando nei suoi quegli occhi color del sangue.
Lui non rispose. Nella sua testa, la domanda risuonava, vuota di significato. Probabilmente aveva compreso quello che il suo simile gli aveva chiesto; fatto stava, però, che fosse il primo a non saper cosa replicare. Oltretutto, la sua lingua era talmente impastata, i suoi pensieri così congelati dal freddo, che faticava a ricordarsi persino come si facesse a parlare.
Si limitò a fissare a sua volta quell’individuo, il cui volto era solcato da strani segni curvilinei. Si portò d’istinto una mano alle guance per constatare se anche il suo fosse segnato da tali linee, ma non ne incontrò, se non un piccolo accenno sulla fronte. Muovendosi, alcuni fili corvini gli scivolarono lungo le tempie e sul viso e lui, incuriosito levò gli occhi verso l’alto, cercando di capire da dove provenissero, poi la creatura lo scosse di nuovo e la paura che, come un infante che non è in grado di concentrarsi su due cose al contempo, aveva rimosso ritornò a opprimergli il petto.
«Allora?» lo incalzò. «Da dove vieni?»
Mosse le labbra e deglutì, poi aprì appena la bocca e uno sbuffo di vapore si condensò davanti ai suoi occhi: «Da…» riuscì ad articolare. L’essere inarcò un sopracciglio, forse convinto che lo stesse prendendo in giro. «… dove vengo?» la sua voce era impastata, ma le parole furono pressoché comprensibili. Scosse il capo e lo abbandonò sulla spalla destra, dove altri fili scuri catturarono la sua attenzione. Si rese conto che scendevano come una cascata dal suo capo e si sorprese alquanto nel constatare che i crani degli esseri di fronte a lui erano glabri, completamente privi di capelli.
«Se non ti decidi a parlare da solo, probabilmente saranno le torture a convincerti.»
«Tor…» aggrottò la fronte, improvvisamente confuso, poi tutto passò e il suo volto si distese di nuovo. «… ture?»
«Se è quello che vuoi tu…»
«Io…»
Spazientita, la creatura si volse verso i suoi simili e lo indicò con il pollice: «Questo è perso, lasciamolo qui.»
«Io non lo so!» proruppe quindi, completando quella frase lasciata a metà. Il suo fu quasi un urlo in quel silenzio, uno strepito, uno sfogo. «Se è un nome che volete… Beh, io non lo so!»
«Da dove vieni?» ripeté il suo interlocutore, che sospirò non appena lo video scuotere nuovamente la testa.
«Dalla neve.»
«Dalla neve.» ripeté scettica la creatura. Poi, vedendo annuire l’altro, s’avvide della ferita sulla sua nuca.
«Ha sbattuto la testa…» commentò, rivolto agli altri che, per quanto alto potesse essere il loro interesse, non superava certo quello del diretto interessato, che pareva saperne di sé ancora meno di quanto ne sapevano quegli esseri. «Deve aver dimenticato… tutto
«Quindi la questione non si pone…» intervenne un altro con fare seccato. «Andiamo, o faremo tardi a cena. Magari stasera quello spilorcio del re dà da mangiare qualcosa di commestibile.»
«Sì, ma… costui…»
«Cos’è? Non ti torna che sia alto un metro e niente?» ridacchiò l’altro, al che l’oggetto del discorso assunse un’espressione imbronciata. «Oh, allora capisci…» mormorò poi, fingendosi dispiaciuto.
«Non lo so, ma qualcosa mi dice che Byleistr non sarebbe felice se venisse a scoprire che lo abbiamo lasciato libero. Dopotutto, non ha ricordi: potrebbe fare qualsiasi cosa. E non sappiamo da dove proviene
«L’hai sentito, no? Lui viene dalla neve!» lo arrise un terzo.
«Poco m’importa.» capitolò il primo essere che aveva parlato. Slacciò la corda che gli teneva la tunica stretta ai fianchi e, prima che questi potesse reagire, la strinse attorno ai polsi dell’oggetto della loro conversazione.
Senza capire, questi rimase a fissarlo per qualche secondo, poi, a uno strattone, si trovò costretto a camminare al loro seguito; ovunque lo stessero portando,; chiunque fossero loro; chiunque fosse lui.

 

Now who’s the one
Who’s Lost and Lonely?

 




Note: Sì, ho deciso di postare anche il terzo capitolo. No, non è bello per niente. Sì, lo so che i miei deliri non interessano a nessuno. Ammetto che è stato arduo scrivere due A4 e mezzo senza mettere nemmeno un soggetto... Spero proprio che la descrizione iniziale non sia stata mortale per nessuno.
La canzone, ancora dei The Rasmus, è Lost and Lonely, tra le mie preferite.
Al prossimo capitolo,
~Notthyrr

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Capitolo 4
*** Cuore in Cella ***


Cuore in Cella


Quando la porta si aprì, ebbe occasione di credere che la creatura simile a lui fosse stata di parola: dopo averlo abbandonato in quello stanzino buio con un solo finestrotto che dava sull’esterno – e la luce che ne proveniva era davvero misera –, gli aveva confermato che presto sarebbe tornato qualcuno di piùautorevole, qualcuno che lo avrebbe con tutta probabilità convinto a parlare; come, non l’aveva detto.
La creatura che entrò non era diversa dalle altre, anzi: se il suo sguardo incuriosito non l’avesse tradito, sarebbe benissimo potuto essere uno di quelli che aveva incontrato poco prima nel mezzo della neve, tanto erano simili l’uno all’altro. Gli lasciò davanti ai piedi un vassoio con due ciotole, gli lanciò un’ultima occhiata, poi se ne andò, tradendo le sue aspettative di avere finalmente compagnia se non il modo di andarsene da lì.
In fondo, poi, non si sentiva nemmeno così prigioniero: a parte le piccole dimensioni della cella e il freddo, quantomeno si trovava al sicuro all’interno di un palazzo – che fossero i sotterranei poco gl’importava – e sia i polsi che le caviglie gli erano stati lasciati liberi. Inoltre, aveva dovuto attendere appena pochi minuti perché qualcuno gli portasse qualchecosa di cui nutrirsi. Poco, certo: uno strano alimento croccante all’esterno e bianco e morbido dentro, ma che aveva placato il fragore nel suo stomaco, e una ciotola colma d’acqua.
Prima di bere e dissetarsi, scacciando così quell’arsura che gli aveva bruciato la gola, si spostò alla luce della finestra, la scodella in grembo: si era dunque specchiato sulla superficie cristallina, osservando con attenzione i tratti del suo viso. Come aveva avuto modo di notare studiandosi mani e gambe, la sua pelle era di una sfumatura non molto scura di blu, solcata da alcune linee soltanto sulla fronte, giusto all’attaccatura dei capelli, che erano neri come il buio di quella stanza. Gli occhi erano del tutto identici a quelli dei suoi carcerieri – o avrebbe dovuto chiamarli salvatori? –, completamente scarlatti se non per una piccola pupilla nera al centro. Per il resto, i suoi denti erano bianchissimi e le sue guance lisce, prive di barba. Di certo, non aveva canoni per definirsi attraente o meno.
Bevve allora con avidità dalla scodella, scoprendosi ancora assetato, ma quando la porta sussultò di nuovo, spalancandosi verso l’interno, l’essere che era comparso non aveva vassoi o brocche d’acqua.
Si distingueva dagli altri soprattutto per le vesti: non portava una tunica sgualcita, ma un raffinato abito blu notte ricamato d’oro ai bordi e sulle maniche. Anche il suo viso aveva lineamenti più fini e, a differenza delle altre creature che aveva fino ad allora incontrato, aveva lunghi capelli neri raccolti in una coda che gli posava sulla spalla sinistra.
Persino lui, che agiva e pareva ragionare come un bambino che aveva appena cominciato a intendere, capì di trovarsi davanti a qualcuno d’importante ‒di molto importante, stando ai bracciali e ai gingilli dorati che gli pendevano sul petto e tra i capelli ‒e si tiròin ginocchio, gettandosi quindi ai piedi del suo visitatore, il corpo premuto al suolo e il viso nascosto tra le braccia, protese in avanti.
«Non c’è bisogno che tu ti premuri di mostrarmi rispetto.» si annunciò la creatura, facendogli alzare prima il capo, poi l’intero busto.
«Se nemmeno qualcuno nella mia bassa condizione deve inchinarsi, allora vorrei sapere chi dovrebbe farlo.»
La creatura sorrise appena e s’andò a sedere di fronte a lui: «Quello che hanno detto i miei soldati è vero, quindi?»
«Non posso sapere che cosa loro hanno detto di me…»
«Già… Mi hanno detto che hai battuto la testa, infatti vedo delle fasce attorno alla tua nuca. Ti senti bene, ora?»
«Siete qualcuno di troppo importante, o almeno così m’apparite, per preoccuparvi di uno come me…»
«Ti ho detto di non dilungarti in convenevoli.»
«Vi chiedo perdono, volevo solo non apparire scortese… Forse, nelle mie parole non c’è che interesse, dal momento che immagino di essere un semplice schiavo che, fuggendo, è incappato in un incidente e ha perduto i suoi ricordi.»
«Parli bene per essere uno schiavo. C’è forse qualcosa che mi nascondi?»
«Non più di quanto non nasconda a me stesso…»
«Quindi sei sincero.»
«Non vedo in che modo potrei mentirvi senza mentire a me stesso. Probabilmente, se lo facessi, sarei il primo a esserne al­l’oscuro.»
«E la tua testa è completamente vuota, priva di ogni singolo ricordo.»
«Per quanto ne so io, sono nato in mezzo a una distesa di neve. Poi ho camminato fino a imbattermi nei vostri uomini. Così sono finito qui.»
«Non t’importa sapere dove ti trovi?»
«È una domanda che mi sarebbe piaciuto molto porvi, ma poi mi sono detto che non mi serviva a molto saperlo quando non ero a conoscenza nemmeno di chi fossi io.»
«Ti trovi nel palazzo del re, a Jötunheim.»
«Jötunheim? Trattasi di una città?»
«Noi chiamiamo così il nostro mondo.»
«Sottintendete quindi che ve ne siano altri.»
«Altri otto. Ma ora non è importante.»
«Avete detto che mi trovo al palazzo del re. Chi è costui?»
«Ce l’hai di fronte.»
«E un re verrebbe a parlare con un prigioniero?»
La creatura sorrise di nuovo e si mordicchiò un labbro: «Veramente, non sono ancora abituato a questo ruolo. Mio padre, il precedente re, è morto recentemente per mano di un Asgardiano e…»
«Asgardiano?»
«Un abitante di Asgard, il regno degli dèi. Sono… uomini…» tentò di spiegargli. «… con la pelle bianca e gli occhi di diversi colori. Sono molto più piccoli rispetto noi, per questo ci chiamano giganti.»
«Piccoli… come me?»
L’essere sospirò e deglutì a vuoto: «Ma se posso rispondere alla tua domanda “Dove mi trovo?”, non saprei cosa dirti riguardo la tua identità. Davvero non hai nessun ricordo precedente l’incidente… o che riguardi lo stesso?»
Lui parve prendersi un po’ di tempo per pensarci. Cambiò posizione, trovandosi improvvisamente scomodo sulle ginocchia, poi si strinse le braccia al petto per farsi caldo: «Quando mi sono svegliato, davvero non avevo un’idea del mondo, poi, pian piano, mi sono ricordato che cosa fosse la neve, che cosa il cielo e che cosa la fame. Avevo trovato tracce del mio sangue al suolo, ma ero ancora troppo confuso per capire che fosse davvero mio. Prima di questo, ricordo solo tanta luce, più di quanta, credo, potrò mai più rivedere in vita mia. Come se la Luna splendesse proprio nel mio cervello.»
«La Luna?»
«Sì.»
Il gigante lo scrutò con una strana aria per qualche secondo, stringendo gli occhi come se non riuscisse a inquadrarlo, poi: «Continua, se hai altro da dirmi.»
«Non molto. Non c’era nulla in quella luce, o almeno io non lo distinguevo. Però… mi ricordo una voce.»
«Questo è buono. Che cosa diceva?»
«Una parola. Una sola. Il mio…  nome
«Quindi ti ricordi almeno come ti chiami.»
«Sì, credo. Ma non sono sicuro che sia davvero il mio. Quella voce… chiamava Loki
La creatura davanti a lui annuì: «Se è così che vuoi essere chiamato, d’ora in avanti non ci sarà motivo di utilizzare un diverso appellativo per riferirci a te.» Seguitò a fissarlo per un altro po’, poi: «Ti ricordi chi ti stava chiamando?»
«No, non ne ho idea…»
«E quella voce era di uomo o donna?»
«Non so nemmeno questo. C’era confusione e il timbro di voce ora mi sfugge.»
«D’accordo, non preoccupartene.» Con un sospiro la creatura si alzò, stiracchiandosi le braccia. L’altro restò a guardarlo con le sopracciglia leggermente incurvate verso la radice del naso, la fronte aggrottata: non gl’importava se quello che aveva davanti era davvero il re. Quello che non voleva, era rimanere ancora da solo. Era durato troppo.
Il gigante allontanò la coda di capelli corvini dalla spalla e andò ad aprire la porta, poi si rivolse verso il prigioniero: «Vieni.» lo incoraggiò. «Loki. Qualcosa mi dice che sei sincero.»
«Intendete che io possa…?» Esitante, il giovane privo di memorie si alzò, puntellandosi sulla mano destra. Si avvicinò piano all’altro, di quasi due spanne più alto di lui, che continuava a sorridergli sereno.
«Non ho motivo di non crederti. Inoltre, so per certo che non sei uno schiavo. Sei così bello e poi… devo ammettere che il tuo volto… assomiglia tanto al mio…»



So close, so far, I’m lost in time
Ready to follow a sign, if there was only a sign…





 

Note: Boh ^^ In queste note non so proprio che scrivere, sarà che sono io ad essere fusa, sarà che questo capitolo comincia già a deprimermi, credo non ci sia molto da dire, o almeno: credo non ci sia molto da dire che non venga spiegato meglio nel capitolo successivo, quindi...
Per mantenere la linea positiva, la canzone è Justify (ovviamente dai "The Rasmus"), che è qualcosa di stupendo.
Ricordo ai cari lettori che hanno avuto il coraggio di spingersi a leggere pure le note che una recensione è sempre molto gradita e vi prende solo due minutini per dirci una parola gentile :D
Grazie mille a tutti,

~Notthyrr

 

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Capitolo 5
*** Cuore Regale ***


Cuore Regale


«Quale colore preferisci?»
Avvolto in una pelliccia fulva, Loki era rimasto a guardare pensieroso le differenti stoffe che la gigantesca cameriera gli stava mostrando, poi aveva indicato quella al centro: «Verde. Mi piace il verde.»
La donna gli aveva sorriso e aveva radunato le altre vesti, portandole quindi con se e lasciandolo solo nella stanza che re Byleistr aveva fatto preparare per lui.
Il giovane si avvicinò al proprio giaciglio e sollevò l’abito, passando le dita sul velluto liscio. Lasciando cadere la pelliccia davanti allo specchio, frappose tra sé ed esso la veste verde, sostenendola soltanto con l’ausilio di pollici e indici. Ripensò agli stracci che aveva indossato fino a poco prima, fino a quando la cameriera non li aveva bruciati mentre lui era impegnato a immergersi nell’acqua e lavar via dalla sua pelle quel sentore di malinconia che lo aveva accompagnato fin lì.
Il bagno non era stato molto caldo, ma lo aveva aiutato comunque a rimettersi in sesto. Poi, l’idea di quei begli abiti puliti – a parte quelli addosso al re, non ne aveva mai visti di migliori e li reputava meravigliosi – e della cesta di frutta sullo scrittoio lo seduceva talmente tanto che si era sciacquato in tutta fretta viso e capelli, per poi far ritorno nella propria stanza, dove l’inserviente gli aveva persino concesso di scegliere quale abito indossare.
Si legò con ricercatezza la cintura dorata e, un po’ goffamente, riuscì ad agganciare la pelliccia in cui si era avvolto poco prima ai fermagli sulle spalle, lasciandola scivolare sulla sua schiena. La strattonò un po’ perché gli ricoprisse meglio il braccio sinistro, e vi sfregò una guancia, godendosene la morbidezza.
Con un gesto spensierato si passò una mano tra i capelli e sistemò una ciocca dietro l’orecchio, sorridendo poi alla sua immagine riflessa: Byleistr lo aveva chiamato bello e lui aveva cominciato a credergli. Con quegli abiti, inoltre, si sentiva poco meno di un re.
Stava per avviarsi a piedi nudi sul pavimento di roccia quando si accorse che un paio di calzari dalle finiture dorate erano stati posati accanto alla porta. Chinandosi per esaminarli, Loki provò a infilarne uno, constatando poi che erano troppo – davvero troppo – grandi per lui: entrambi i suoi piedi vi sarebbero potuti entrare contemporaneamente e, forse, vi sarebbe stato spazio anche per un terzo.
Li accantonò quindi e uscì dalla stanza gustandosi il fresco della pietra sotto le dita.
Guardandosi attorno come un bambino facilmente suggestionabile – durante il viaggio di andata verso la sua stanza era stato troppo impegnato a sognare il bagno e gli abiti puliti per prestare attenzione a quanto lo circondava –, percorse alcuni corridoi costeggiati da colonne così alte da dargli un capogiro se avesse tentato di vederne il capitello.
Giunse infine davanti a un ampio portone laccato in smalto rosso, che socchiuse con esitazione: dall’altra parte, lo accolse una sala più illuminata dove robusti scaffali in legno sostenevano un esorbitante numero di volumi rilegati e pergamene arrotolate.
Qua e là, sparsi per la stanza, s’intravedevano tavoli da lettura, a uno dei quali, quello più vicino all’ingresso, sedeva Byleistr, il re dei giganti di ghiaccio, intento a sfogliare un libro con aria annoiata.
Come lo sentì arrivare, il giovane sovrano staccò gli occhi dalla pagina ingiallita per portarli su di lui, squadrando quella minuta figura che, con addosso abiti principeschi – sebbene due volte più grandi di lui –, pareva tutt’un’altra persona.
Accennò a lui con un gesto del capo: «Hai gradito il bagno?»
«Sì, alquanto.»
«E la frutta?»
«Non l’ho ancora assaggiata. Pensavo che sarebbe stato corretto da parte mia presentarmi qui subito, così ho rimandato il pasto a più tardi.»
«Hai fatto male.» lo rimproverò il re. «Qui a Jötunheim non crescono molte piante, per questo devi considerare regale il cibo che ti è stato offerto. Alcuni giganti delle montagne, a sud, riescono a coltivare alberi da frutto e commerciano quelle favolose pietanze con noi, in cambio di pelli e carni di orso.»
«Allora non vedrò l’ora di assaggiarla, appena farò ritorno nei miei alloggi.»
Byleistr annuì, quel sorriso dolce che non si andava mai a spegnere sul suo viso.
«Che cosa posso fare per voi, ora?»
«Oh, nulla di particolare.» gli fece cenno di andare a prendere posto al suo fianco. «Abbiamo deciso che per ora sei nostro ospite, quindi non devi preoccuparti.»
«Non… credo di capire.»
Byleistr sorrise ancora: lì, alla luce delle candele che ornavano l’immenso lampadario sulla loro testa, Loki poté constatare che il gigante aveva ragione. I loro volti, infatti, si assomigliavano davvero molto, probabilmente per la presenza dei lunghi capelli neri che li distinguevano da tutti gli altri.
«Intendo dire… che per ora puoi riposarti e rimetterti in sesto. Provvederemo in seguito a trovarti un posto qui, a corte.»
«Grazie, signore.»
Byleistr alzò la mano, quasi non volesse sentirselo dire, poi, picchiettandosi l’unghia nera sulla tempia: «Ti sono tornati alla mente altri… ricordi
«Se è per questo che mi avete fatto chiamare, non voglio che restiate qui a sprecare il vostro tempo con me.»
«No, no! Non era questo che intendevo! Immagino… che dialogare aiuti la memoria a riformarsi. Le mie guardie mi avevano detto che non rammentavi nemmeno il tuo nome, eppure prima sei stato in grado di dirmelo…»
Loki annuì, poco convinto.
«Hai memorie di casa tua?»
Come prima aveva accennato un debole sì, il giovane scosse il capo sconsolato.
«Io ho sempre vissuto qui, assieme a mio padre – il re –, mia madre e mio fratello maggiore. Sfortunatamente, mia madre morì dando alla luce il suo terzo figlio.»
«Ma se avete un fratello più grande… allora perché non è lui a sedere sul trono?»
Sul regale volto del gigante si dipinse un sorriso amaro: «È caduto in battaglia diversi anni fa. Con la morte di mio padre, lo scorso anno, il fardello della corona è caduto su di me.»
«E l’altro? L’altro fratello?»
«Non l’ho mai visto. Lui… era diverso da noi, troppo minuto, oserei dire, per sopravvivere. Eravamo nel bel mezzo di una guerra con gli Asgardiani e mio padre lo abbandonò nel tempio. Quando facemmo ritorno, era scomparso.»
Loki lo trovò molto triste e tese una mano per confortarlo: era così piccola da costituire appena la lunghezza del dito medio dell’altro. Byleistr gli regalò un altro malinconico sorriso: «Così, ora sono solo.»
«Non siete solo. Voi avete una corte, dei sudditi che vi amano… Io sono solo.»
«Non sei solo, Loki.» lo smentì l’altro. «Fin quando sarò qui, tu no sarai mai solo.»

~¤~

Byleistr si coprì gli occhi con la mano, pensieroso, occultandoli alla vista del consiglio che aveva fatto riunire dopo essersi congedato con Loki.
«Quindi, voi stareste insinuando che quello schiavo sia davvero…» Scettico, l’anziano gigante di fronte a lui incrociò le braccia sul petto e distolse lo sguardo. «Mio signore, abbiamo già chiuso un occhio sulla sua presenza qui, non sfidate la sorte con certe assurde affermazioni!»
«Ma vi dico che è vero! Tutte quelle coincidenze… non possono essere ricondotte al caso. Improvvisamente si presenta a Jötunheim un gigante, troppo piccolo per essere considerato tale, e la prima cosa che noto di lui è la tremenda somiglianza tra i nostri visi?»
«Vostro padre ha abbandonato vostro fratello mentre era ancora in fasce, come presupponete sia sopravvissuto?»
«Non lo so! Qualcuno deve averlo trovato e… cresciuto; non ne ho idea!»
«E dove, se possiamo saperlo? Entro i nostri confini, forse?»
Byleistr emise un suono spazientito e stava per mettersi nuovamente seduto quando una scintilla gli balenò in mente: «No. Fuori da Jötunheim. Non chiedetemi come, ma è andata così.»
Più teste scossero con disapprovazione, al che Byleistr sbuffò e colpì il tavolo con un pugno: «Vi sembra normale che un gigante si svegli nel bel mezzo della neve, privo di ricordi… e sia in grado di paragonare la luce con quella della Luna
«L’astro che illumina Asgard… di notte?»
Byleistr annuì: «Quando gli domandai se davvero non ricordasse niente, mi disse che il suo ultimo ricordo risaliva a una forte luce… come se la Luna splendesse proprio nel mio cervello, ha detto. Durante la confusione seguita alla nostra caduta, gli Asgardiani devono averlo trovato nel tempio e preso con loro. Con tutta probabilità, lui è riuscito a fuggire, ma ha sbattuto la testa e ha dimenticato chi fosse.»
«Quindi state dicendo che potrebbe essere una spia di Asgard? Starà fingendo di non avere memorie perché noi ci fidiamo di lui. Finirà per scappare di notte con tutti i nostri segreti e gli Asgardiani ci attaccheranno di nuovo! Faremo bene a ucciderlo finché ne siamo in grado.»
«Sputeresti in faccia alla legge dell’ospitalità?»
«A Helheim la vostra ospitalità! Non voglio ritrovarmi gli Asgardiani a cena, domani.»
«E se invece…» intervenne un altro gigante, all’apparenza più giovane. «… di temerlo, lo sfruttassimo
«Sfruttarlo?»
«Non fraintendetemi, sire. Non nel senso negativo del termine. Se a voi è parso sincero, può anche darsi che davvero non si ricordi di avere vissuto alla corte di Odino. Se le sue memorie, pian piano, si rifacessero vive, potrebbe persino spianarci la via di un’invasione!»
Byleistr tamburellò con la punta delle dita contro il tavolo, pensieroso.
«Dovremo informarlo di questo. Volete che lo faccia convocare?» aggiunse un altro gigante.
«No, non ancora. Sarà meglio… arrivarci con cautela.»


Beyond these clouds you can hide all your tears
Beyond this world you’ll be safe from their wicked fears
And in their hearts they fear your demands
You know their minds won’t accept you,
They’ll never understand…



 

Note: Dèi, ce l'ho fatta. Finalmente siamo a metà dell'opera (come se valesse la pena chiamare così questo scarabocchio...)
Non so proprio che dire, oltretutto aggiorno con una giornta d'anticipo per via del mercoledì che mi aspetta, quindi non sono preparata a strani discorsi filosofici sul comportamento di Byleistr o sul nuovo Loki che ho cercato di introdurre,
La canzone, ovviamente (non ho più bisogno di dirlo, ormai) dei The Rasmus, è Lucifer's Angel, qualcosa di stupendo che mi è bastato leggere una volta - anche secoli prima che la mia mente partorisse sto racconto - per ricondurla a Loki. Boh? xD
Si spera al prossimo mercoledì - come se il giorno del mio compleanno mi ricordassi di aggiornare T_T - per il capitolo sei!
Grazie per la lettura e per eventuali recensioni,
~Notthyrr.

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Capitolo 6
*** Cuore in Dubbio ***


Cuore in Dubbio


«Un attacco ad Asgard?!» esclamò Loki sgranando gli occhi.
Erano passati sette giorni dal suo ritrovamento nella piana innevata, ma i ricordi non avevano accennato ad affacciarsi sul mare nella sua mente. Certo, aveva fatto miglioramenti: comprendeva al volo qualsiasi cosa gli si dicesse – merito forse anche delle cure prestategli alla nuca, che gli avevano alleviato completamente quel pungente dolore che lo stordiva –, addirittura, il re Byleistr aveva cominciato a tenerselo molto vicino, aiutandolo dove da solo ancora non riusciva. Inoltre, il sovrano lo metteva costantemente al corrente delle decisioni del consiglio, gli aveva trovato un’occupazione in biblioteca e, soprattutto, aveva scoperto che, se era forse troppo esile per sostenere un combattimento corpo a corpo, compensava quella mancanza con l’utilizzo della magia, cosa alquanto rara tra i giganti.
Oltre a ciò, Loki aveva dimostrato di possedere un’arguzia a dir poco eccezionale e, seppur tenendogli nascoste le sue supposizioni sulla sua identità, Byleistr aveva cominciato a fidarsi ciecamente di quanto diceva e dei consigli che gli profondeva a piene mani quando il monarca si mostrava esausto e vuoto di ogni iniziativa.
Quel giorno, però, si trovava senza parole davanti alla sua decisione.
«Sì, esatto. Ormai sei uno dei nostri e il consiglio pensava di sfruttare le tue capacità magiche per intrufolarsi alla corte di Odino.»
Loki deglutì il morso che aveva strappato alla mela che reggeva in mano, poi posò il frutto davanti a sé, la fame che, improvvisamente, era volata via: «Però… ora che sta andando tutto così bene… perché mai…?»
«Perché non se lo aspettano! È la nostra occasione, l’unica, forse: loro non s’immaginano che abbiamo un mago tra le nostre fila.»
«Ma voi avete detto che ci sono stregoni molto più potenti tra di loro! Io non posso nemmeno definirmi tale! Non ho da competere col Re degli Dèi in persona!»
«Appunto per questo che non dovremmo scontrarci a viso aperto, almeno, non per ora.»
«Non vi seguo…»
«Gli Asgardiani, quando ci attaccarono l’ultima volta, ci sottrassero una reliquia preziosa, la fonte, per così dire, del nostro potere, della nostra prosperità. Noi lo chiamavamo Scrigno degli Antichi Inverni. È stato per tentare di recuperarlo che mio padre è morto.»
«E voi vorreste che fossi io a portarvelo? Ma… se morissi anch’io…?»
«No, tu non farai quella stessa fine, tu non fallirai! Mio padre è stato tradito dall’Asgardiano che lo lasciò entrare: fu lui a ucciderlo! Tu, con la tua magia, potresti infiltrarti a palazzo senza che se ne accorgano e… appropriarti dello scrigno mentre loro dormono beati!»
Loki osservò la luce che brillava negli occhi vermigli del gigante: probabilmente, stava riponendo in lui troppa fiducia. Eppure, qualcosa dentro di lui scalpitava per accettare quella missione, quell’incarico che il sovrano in persona lo stava pregando di portare a compimento. Dopotutto, Byleistr lo aveva salvato, aveva fatto per lui qualcosa che, nemmeno continuando a lavorare per tre vite in biblioteca, sarebbe stato in grado di ripagargli. E poi, avrebbe finalmente visto Asgard, dove qualcuno aveva assassinato il padre del gigante davanti a lui. Magari, avrebbe persino potuto trarre vendetta.
«Va bene. Ditemi cosa devo fare.»

~¤~

La trappola non consisteva tanto negli uomini messi a sorveglianza del vestibolo, o dei corridoi in generale. Loki aveva preso tutte le precauzioni necessarie, evitando di indossare le superbe pellicce dei giganti e coprendosi le mani con guanti scuri. Il volto era occultato dal mantello, assicurato sul suo petto da due fermagli d’argento. Inoltre, aveva la fortuna – in tal caso – di essere molto piccolo rispetto i suoi simili e, da lontano, la sua ombra sarebbe potuta finire scambiata per quella di un qualsivoglia Asgardiano che – aveva notato osservando un guerriero montare la guardia davanti a un portone nero – avevano all’incirca le sue stesse dimensioni. Il vero tranello in cui poteva cadere, invece, banale all’apparenza, erano quelle sale meravi­gliose e ornate d’oro, che, seppur cercasse di non badarvi troppo, attiravano i suoi occhi su ogni gingillo che mai ricordava di aver visto a Jötunheim, rallentandone così l’azione.
Contrariamente alle sue aspettative, ricordava meravigliosamente bene le indicazioni dategli dal sovrano e dal consiglio, indice che, se la sua memoria faceva completamente cilecca per quanto riguardava gli avvenimenti precedenti al suo ritrovamento nella neve, essa era stupendamente allenata a ricordare quanto gli veniva detto e raccomandato.
C’era qualcosa di più, però, che pareva guidarlo in quel groviglio di passaggi, una sorta d’istinto animalesco che gli faceva strada, un passo dopo l’altro: non aveva mai visto quell’affascinante palazzo, eppure non faticava a districarsi tra i suoi corridoi come faceva nel palazzo di Byleistr, a Jötunheim, quasi ci avesse sempre vissuto.
Stava riflettendo su quella sua curiosa capacità quando udì rumore di passi nel corridoio trasversale che tagliava in due quello da lui percorso. Poco dopo, uno strano individuo di bassa statura e dai capelli lunghi fece la sua comparsa alla luce dei candelabri che si ripetevano a intervalli regolari su entrambe le pareti.
Sussultando, Loki si nascose dietro la prima colonna che scorse, spaventato. Il cuore gli pulsava come impazzito e le mani, tra le quali stringeva un corto pugnale di bronzo, non smettevano di tremargli. Si sporse appena oltre la pietra del pilastro, cercando di individuare nuovamente la figura dell’esile creatura dalla pelle rosea che calcava il suolo di quello stesso corridoio.
Prese un lungo respiro e scivolò dietro la colonna successiva, rapido e silenzioso, raccogliendo tra le dita i lembi del mantello perché non producessero alcun suono. Poi, quando si trovò immediatamente alle sue spalle, balzò fuori dal nascondiglio, gettandole una mano sulla bocca e portandole alla gola quella che brandiva l’arma: «Stai ferma.» le sussurrò, non troppo convinto. «O ti uccido.»
La creatura dai lunghi capelli biondi deglutì a vuoto, tuttavia, sotto le dita di lui, le sue labbra si dischiusero lievemente per pronunciare qualcosa, qualcosa che fu appena mormorato e risultò inudibile.
«Ora…» sussurrò Loki, respirando lentamente. «Ora portami dove ti ordinerò, altrimenti…» La sua voce si spezzò all’improvviso, fermando lui a metà della frase e, per un solo secondo, anche il suo cuore. Il suo sguardo era caduto sul braccio col quale cingeva la donna per tenerle la bocca serrata e, con orrore, scoprì che la sua pelle era diventata bianca.
Solo il buon senso lo trattenne dal gridare, eppure si liberò dell’altra creatura con uno spintone, retrocedendo disgustato: si portò la mano destra davanti al volto, i muscoli tesi sotto quella pelle improvvisamente diafana che lasciava intravedere il reticolo di vene sottostante, e solo la paura che la donna davanti a lui urlasse, dando l’allarme, lasciò che il suo sguardo si portasse nuovamente su di lei che, però, era rimasta a guardarlo imbambolata, gli occhi spalancati e la bocca dischiusa per lo stupore. Si chiese se non avesse mai visto un gigante di ghiaccio, finché…
«Loki!» chiamò, il mento che le vibrava per l’emozione.
Lui non rispose, guardandosi attorno. Riportò gli occhi sul braccio contaminato da quel curioso colore e s’avvide che il blu della sua pelle – di quella vera – stava inghiottendo nuovamente tutto l’arto.
Il sorriso di esultanza comparso sul volto della giovane, però, andò presto spegnendosi: «Perché il tuo corpo è…blu
«Ch… Chi sei?» balbettò invece Loki. Pareva più spaventato della stessa creatura che aveva assalito. «Come conosci il mio nome?»
«Stai scherzando, non è vero? Che cosa ti è accaduto in questi giorni? Io… pensavo fossi morto!»
«M… morto? No! Che cosa vuoi da me? Come fai a sapere chi sono?»
«T… tu… non ricordi nulla
«Ricordare cosa?» Ecco che veniva messo in difficoltà, che le parole gli si congelavano nuovamente in gola, com’era accaduto quel pomeriggio stesso parlando con Byleistr.
«Tuo padre aveva detto che sarebbe potuto accadere!» esclamò lei, battendosi un pugno sul palmo aperto dell’altra mano.
«Mio padre? Come…? Chi è mio padre? Come lo conosci tu, quando sono io il primo a non sapere chi sia?» Poi, qualcosa nella sua mente, come un fulmine a ciel sereno, lo illuminò: «Sai qualcosa riguardo il mio passato? Ci conoscevamo, prima che…? Ti prego!» la sua voce si era fatta affannata. «Dimmi che cosa mi è capitato!» Squadrò la sua espressione che si faceva via via più triste: «Ti scongiuro, dimmi da dove vengo!»
«C’è stato un incidente, Loki. Il Bifröst non era ancora pronto all’uso e una disfunzione ti ha scaraventato…» scorse lo sguardo sulla pelle blu del giovane. «… a Jötunheim?»
Loki aggrottò la fronte, non capendo, cosicché lei distese una mano verso di lui e gli sfiorò una guancia, lasciando che il contatto con la sua pelle trasformasse una seconda volta quella del gigante.
«G… Gefjun?» domandò questi, il volto che ritornava pallido, gli occhi che si rifacevano verdi. Lei annuì, commossa, e tirò su col naso. Senza riuscire a trattenersi, gli gettò le braccia al collo.
Fu così che si accorse che quella che gli stava passando davanti agli occhi era la sua stessa vita.


Still disconnected and unprotected
Still I’m haunted, but unwanted
For a moment, unbreakable stars
For a moment, you stayed in my arms



 

Note: Nessuna nota, questa volta. In primis perché il capitolo fa abbastanza schifo. Il fatto che trovi il tempo di pubblicare il capitolo 6 anche nel giorno del mio compleanno non fa di me una nerd depressa, vero? E' che odio non rispettare le scadenze o.O
Scleri a parte, la canzone è Night After Night, non c'è bisogno nemmeno che dica l'artista.
Spero troviate il tempo di lasciare due parole di apprezzamento o di "fa schifo!".
Grazie,

~Notthyrr

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Capitolo 7
*** Cuore Tormentato ***


Cuore Tormentato


Loki cadde in ginocchio, la testa tra le mani e gli occhi spalancati. Davanti a lui, Gefjun poté vedere la disperazione allagare i pozzi neri delle sue pupille.
«Che cos’ho fatto…»
La dea guardò la sua pelle stemperare nuovamente nel blu e abbassò gli occhi: «Perché hai… questo aspetto?»
«Non lo so! Ci capisco meno di quando non avevo alcun ricordo! Io stavo per andarmene: il Bifröst era già in funzione! Poi, mio fratello si è messo in mezzo ed è scoppiato il finimondo…»
«È quello che ti stavo dicendo prima: il ponte non era pronto.»
«Lo sarebbe stato se… Thor… non si fosse messo di nuovo tra i piedi!» Deglutì un boccone di amarezza, poi un dubbio gli prese la gola: «Se io sono qui… Se io ero finito a Jötunheim… Dov’è Thor?»
Gefjun si mordicchiò nervosamente un labbro e distolse lo sguardo, posando una mano contro una colonna: «Non lo sappiamo. Vostro padre dice che potrebbe essere finito a Midgard…»
«Midgard?» Loki alzò per un secondo il capo, cercando negli occhi di lei il ricordo di quel luogo, poi si rimise in piedi, cominciando a fare su e giù per il corridoio. «Io… Odino è sicuro?»
«No… Cioè: non lo so…»
«Io devo andare a prenderlo! Devo portarlo a casa!» Strinse i pugni e frenò il suo impeto, probabilmente riflettendo su quanto l’impulso lo aveva spinto a dire. Eppure, sul volto della donna era comparso un sorriso di comprensione, quasi intenerito. Loki sbuffò e si coprì nuovamente il volto con le mani: «Che cos’ho combinato…»
«Perché continui a ripetertelo? Non è nulla di grave! Provvederemo a riportarlo indietro… L’importante è che tu ora sia qui… e che sia vivo.»
«Non è così semplice…» Loki si morse l’unghia del pollice, riprendendo a camminare in cerchio per sciogliere l’improvvisa tensione che lo aveva avvolto. «Io… ho ucciso mio padre. Ora, però, Byleistr si fida di me e se lo scoprisse…» Un gemito di sconforto terminò la frase per lui.
«Byleistr?»
«Sì, è mio fratello, ma lui non lo sa… Cioè: neanch’io lo sapevo, ma adesso ci sono arrivato! Tutte le tessere del mosaico si allineano… e per le Norne, quanto preferivo restarmene nell’ignoranza!» Le parole del dio erano espresse in brevi soffi affrettati, quasi non trovasse nemmeno il fiato per poter dire tutto o, quel tutto, non sapesse nemmeno come ordinarlo e volesse dirlo in una volta sola.
«Q… Quindi, tu… ora…» Gefjun tremò e a Loki non occorse molta astuzia per capire dove volesse andare a parare.
«No. Non fraintendermi: non voglio fare entrare i giganti nel regno.» Di nuovo.
«Eppure, eri qui per questo.»
«Non darmi colpe che non sono mie. È stato così già per abbastanza tempo.» Cercò lo sguardo di lei e la invitò a mantenere il contatto con quegl’inquietanti occhi rossi che, però, scavando a fondo, conservavano ancora qualcosa di umano; no: qualcosa di Loki. «Andrà tutto a posto, vedrai: Byleistr si fida di me; troverò il modo per convincerlo a lasciarvi perdere. E vi riporterò Thor. Tu devi solo giurarmi di non fare parola con nessuno di quanto ti ho detto e… di me
«Ma tu… Quando Thor sarà di nuovo ad Asgard… e noi… in pace con i giganti… tu che fine farai?»
«Non preoccuparti per me: io ci sarò sempre.» La solita, ennesima bugia che non si vergognava di pronunciare, nemmeno mentre l’abbracciava; lei, che gli credeva così ciecamente…
~¤~
«Ho scoperto dove conservano lo scrigno.» mentì Loki, in piedi, immobile come una statua, davanti all’intero consiglio, corredato anche dello stesso sovrano. Non era propriamente corretto affermare che lo aveva scoperto; piuttosto, se n’era ricordato.
«Eppure non lo vedo nelle tue mani…» considerò l’anziano gigante dalle guance bluastre incise da sottili rughe più scure.
«Io… vi chiedo davvero perdono…» mormorò abbassando il capo. «Le guardie erano troppe e… ho avuto paura.»
Byleistr tamburellò con le dita sul bracciolo della poltrona, il cui velluto ne attutì il rumore: «Non devi preoccuparti: non era necessario che ci riuscissi in una sola notte.»
Loki deglutì a vuoto: voleva forse intendere che aveva intenzione di spedirlo là una seconda volta?
«Ho scritto nel mio rapporto le indicazioni per raggiungere il vestibolo. In questo modo, potrete inviare una squadra di guerrieri…» continuò il dio senza alzare lo sguardo. Da quando i ricordi erano tornati, gli riusciva difficile guardare negli occhi Byleistr. Certo, poteva dissimulare il ritorno della memoria e fingere che tutto fosse uguale a prima: era nato per mentire. Restava, però, il pressante peso della sua azione dell’anno passato: con quel colpo di lancia, non aveva ucciso solo suo padre, ma anche il padre di Byleistr che aveva fatto così tanto per lui, il gigante che si era ripromesso di vendicare quandunque ce ne fosse stata la possibilità. Riscoprendosi fratello di sangue del sovrano di Jötunheim, la felicità di avere finalmente un fratello vero veniva eclissata dalla consapevolezza di essere il responsabile dell’omicidio che aveva condannato. Come sempre, non poteva fare niente: trarre la tanto agognata vendetta sarebbe stato equiparabile al suicidio.
«Loki, sai che ho molta più fiducia in te che in qualsiasi altro soldato al mio servizio. Se non fosse stato così, avrei spedito uno squadrone già questa volta.»
E allora perché non l’hai fatto?
Il gigante si alzò, lasciando scivolare sul proprio trono la pelliccia che gli ricopriva le spalle: «Vorrei affidarmi ancora a te, questa volta chiedendoti di fare un passo in più nel palazzo di Odino.»
Vuoi farmi ammazzare? Loki lanciò una breve occhiata al consiglio degli anziani che li circondava, per abbassare nuovamente gli occhi. Loro vogliono farmi ammazzare…
Byleistr gli posò una mano su una spalla e lo costrinse a guardarlo negli occhi, sorridendogli rassicurante: «Domani, tu prenderai lo scrigno.»
«Ma…»
«… Prima del tramonto.» lo interruppe il gigante. «Se quando il Sole sarà calato tu non sarai di ritorno, verrò a cercarti di persona.»
«Mio signore…!» Il consigliere fu messo subito a tacere da un gesto del sovrano. «Andata?» fece poi, rivolgendosi a Loki.
Questi sospirò appena, poi sollevò l’angolo della bocca in un sorriso tirato: «Andata…»
«Mio signore…» ribadì il gigante alla destra del sovrano in un sussurro, facendo sì che sfuggisse alle orecchie di Loki, che stava uscendo dalla stanza. «Non avrete intenzione di andare sul serio…?»
Byleistr alzò le spalle con indifferenza, attendendo che Loki fosse scomparso oltre l’ingresso: «Gli Asgardiani sono creature deboli e se persino lui, così piccolo e fragile, è riuscito a tornare con tutte le ossa al loro posto, mi domando perché non dovrei riuscirci.»
«È pericoloso.»
«E allora? Meglio forse mandare un manipolo di guardie a farsi ammazzare? Che cos’è che non comprendete? Io valgo come ogni singolo gigante in questo regno…»
«Prometteteci soltanto una cosa.»
Byleistr si volse verso il gigante che aveva parlato e aggrottò la fronte, attendendone la richiesta.
«Se andrete veramente ad Asgard, cercherete di prendere lo scrigno e nient’altro. Se non incontrerete Loki sul vostro cammino, farete ritorno senza di lui.»
Il gigante si mordicchiò il labbro, poi annuì con un breve cenno del mento: «Va bene. Ma, nel caso mi accadesse qualcosa, dovrete ascoltare ciò che ora vi dico.» Solo l’accenno del re alla propria morte parve gettare gelo nella stanza, più di quanto non lo facesse la feritoia che dava sul giardino innevato all’esterno. «Se Loki tornasse, voi dovrete…»
~¤~
Loki odiava quella fittizia tranquillità che aleggiava a Midgard: bastava che un solo umano si facesse vivo e sarebbe stato davvero facile spezzarla. Li odiava. Forse perché li sapeva essere sotto la protezione del fratello; ancora di più dopo New York. Li detestava.
Là, per fortuna, non c’era nessuno. Beh, non proprio per fortuna…
Sapeva, infatti, di avere i minuti contati: già il consiglio degli anziani non si fidava di lui, figurarsi se non fosse tornato con lo scrigno e avessero scoperto che lui, quel giorno, Asgard, nemmeno l’aveva vista da lontano. Oltretutto, se il sovrano fosse andato a cercarlo nella sala delle reliquie, non avrebbe trovato che un drappello di guardie ad attenderlo e tanti saluti alla fiducia di Byleistr, l’unica cosa che gli aveva permesso di restare a Jötunheim sino ad allora.
L’erto sentiero montuoso lo portò a svoltare a destra accanto a una statua. La squadrò con indifferenza per qualche secondo, poi un movimento in fondo alla strada lo distrasse, facendogli scattare lo sguardo su di esso: come in un sogno, là, sul ciglio della scarpata, intento a guardare di tanto in tanto verso la valle mentre procedeva nel suo cammino, stava il biondo dio del tuono.
Gli occhi rossi di Loki ebbero un guizzo e il giovane si mise a correre nella sua direzione. Dal canto suo, l’altro l’osservò pigramente, finché non se lo trovò a pochi passi e poté specchiarsi nel vermiglio delle sue cornee. Il primo impulso fu quello di gridare, ma la voce gli si seccò in gola mentre le sue dita cercavano qualcosa con cui difendersi, con cui colpirlo. Il moro alzò veloce una mano in segno di resa, nel vano tentativo di calmarlo.
«Vengo in pace, Thor.» scandì, quasi l’uomo davanti a lui fosse un alieno o un totale ritardato.
Thor sgranò gli occhi: quella cosa conosceva il suo nome!
«Non voglio farti del male.» Per ora. Aggiunse il giovane, sperando che fosse sufficiente a calmare il biondo. «Metti giù quel bastone. Voglio solo parlarti.»
«T… tu…?»
Loki annuì, ma la domanda non era completa.
«Tu chi accidenti saresti?»


Take your place
And save your race
Break the chains of misery


 

Note: Un capitolo che non è proprio niente di speciale, se non un ponte tra il sei e l'otto. Ma... che bello? I fratellini finalmente riuniti (o.O) e Thor che non riconosce Loki (doppio o.O). Bon, non so cosa dire e a quest'ora sono fusa (mi ero pure scordata di aggiornare e lo faccio ora. Dai, non sono in ritardo: è ancora mercoldì o.O). La canzone dovrebbe essere Mysteria, dei The Rasmus, ma non ne sono così sicura perché ce n'era un'altra in partenza e questa l'ho pensata adesso (e non è un'ora per pensare xD)
Al prossimo capitolo (dai, ne mancano solo tre, poi sarà finita. Finalmente! N.D. Tutti).
~Notthyrr

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Capitolo 8
*** Cuore di Ferro ***


Cuore di Ferro


Il moro fremette di rabbia e cacciò indietro il cappuccio con fare stizzito. Afferrò una mano dell’uomo di fronte a lui e attese che il colorito bluastro della sua pelle stingesse nel pallore che lo aveva caratterizzato in tutti gli anni trascorsi ad Asgard.
«Ora sei in grado di riconoscermi?»
Gli occhi di Thor si sgranarono lentamente, rivelando pian piano ogni sfumatura delle sue iridi azzurre nelle quali si rifletteva la luce di un sole che stava morendo dietro i grattacieli della città: «Tu non puoi essere…» Le sue labbra si serrarono per poi dischiudersi nuovamente, senza che alcun suono ne uscisse per un po’. Poi: «Quindi sei tu mio fratello? Quindi è… questo… il tuo aspetto?»
«Che cosa vai blaterando? Sono una presenza così astratta nella tua mente e nel tuo cuore… che nemmeno ti ricordi che viso ho e basta un po’ di blu a confonderti?»
«No, non era quello…» cercò di giustificarsi Thor, grattandosi nervoso la nuca. Alcune ciocche di capelli biondi gli piovvero sulla spalla destra.
Loki gli lasciò la mano, tornando a coprirsi il volto col cappuccio perché la tonalità della sua pelle non destasse sospetti in eventuali passanti. Strinse appena gli occhi, divenuti ormai completamente rossi, cercando d’individuare qualcosa nel comportamento del fratello: «Tu… Anche tu… hai perduto la memoria?»
«No, cioè: sì…» Memoria o meno, confuso, lo era alquanto. «Vedi, devi sapere che è accaduto…»

~¤~

«Thor?»
Il suono di quella voce pareva provenire dall’oltretomba.
«Thor?!» Di nuovo. Ancora. Perché insisteva tanto? Inoltre… stavano davvero chiamando lui? No: a chi voleva che importasse? Meglio continuare a galleggiare in quell’oscuro nulla che pareva cullarlo e lenire ogni suo dolore, annullandogli il corpo.
«Thor, riprenditi!»
Quando aprì gli occhi, un’insopportabile luce bianca esplose nella sua testa assieme a un penetrante dolore.
Davanti a lui, un’ombra dalle fattezze umane era china sul suo corpo e lo scuoteva per le spalle, ma non ne avvertiva nemmeno il tocco.
Pian piano, con estenuante lentezza, i contorni della figura si fecero più nitidi, rivelando un volto conosciuto e, con esso, una stanza dalle pareti chiare che vi si delineava intorno.
Thor batté le palpebre, stringendo quindi gli occhi perché le ciglia filtrassero quel bagliore accecante. Si guardò attorno muovendo piano il collo, intorpidito, cercando di capire dove si trovasse, ma non ne aveva idea: di certo, quella non era Asgard; l’abbagliante neon sopra la sua testa pareva essere stato piazzato lì per rammentarglielo.
Tornatogli in mente il volto intravisto poco prima, lo cercò con lo sguardo, posando quindi gli occhi sui capelli neri di un uomo dalla pelle non particolarmente scura e solcata da alcune rughe d’espressione alla base degli occhi e sulla fronte, aggrottata in un’espressione tra l’attento e il preoccupato.
«Thor?» ripeté insicuro. Poi, sorridendo nel vederlo riprendere, sebbene lentamente, conoscenza: «La prossima volta… non è che potresti atterrare più vicino alla Tower?»
«Chi sei? Che cosa vuoi da me?!» Come colto da un improvviso raptus d’agitazione, il biondo scattò a sedere, scaraventando al suolo i macchinari ai quali era collegato tramite alcuni elettrodi.
L’uomo davanti a lui spalancò la bocca per gridare la sua disapprovazione, ma non ne uscì niente, prima che questi si colpisse la fronte col palmo della mano: «Dannazione, Point Break, davvero sei fatto per spaccare tutto! Per fortuna che diciamo “Hulk, spacca”… Sai quanto mi è voluto per costruire quegli affari?!»
Thor lo guardava faticando a comprendere: Hulk e… Point Break… Perché quelle parole fischiavano così forte nelle sue orecchie?
«Ad ogni modo, comincerei a mettermi nell’ordine delle idee di perdere qualche chilo. Non per lamentarmi, ma ho dovuto indossare l’armatura per trasportarti fin qui…» disse con noncuranza indicando con un cenno rapido un quadro raffigurante il mezzobusto di una strana tuta metallica rossa dai profili dorati.
«U… uomo di metallo?» balbettò il biondo.
«Oh, bene: vedo che il ricordo di me ti ha seguito fino ad Asgard. Immagino di dovermi sentire alquanto… onorato… di essere rimasto nella mente di un dio.»
«Asgard…?»
Anthony Stark lo guardava accigliato, non nella maniera scettica e di sufficienza che era solito mostrare nei riguardi di tutti: pareva davvero non aspettarsi nulla di simile e i comportamenti del biondo lo stavano mettendo in difficoltà.
«Asgard!» esclamò poi Thor, la cui voce, in quell’alzata di tono, non era poi dissimile dal rombo di un tuono. Buttò i piedi fuori dal letto in cui Stark lo aveva abbandonato, si rassettò la tunica e si avvicinò all’uomo, che fece un passo indietro, inizialmente spaventato. «Loki stava fuggendo da Asgard!»
«Loki?»
«Il mio fratellastro!»
«Sì, lo so chi è… Intendo…» Si morse la lingua, confuso almeno quanto il suo interlocutore. «… Cosa vuoi dire?»
Thor lo scrutò stringendo gli occhi, come se la situazione fosse altamente difficile da comprendere per lui: «Dove mi hai trovato… c’era qualcun altro?»
«Mmh… Tutta New York? Vedi, Point Break, dopo il piccolo disguido con tuo fratello e il suo esercito, se un’intera cittadina vede arrivarsi addosso un meteorite dal cielo si preoccupa… e va a vedere che succede.»
«No, no… Intendevo… C’era anche mio fratello?»
Per un secondo, Stark rimase interdetto, cercando di rammentare i volti di quei tanti che aveva tentato di allontanare per poter portare al sicuro il corpo del dio: «N… no.»
«Allora il Bifröst deve aver funzionato correttamente con lui, ma… Io… Deve essere finito in un altro regno…»
Tony incrociò le braccia impettito: «Eh, no: non mi chiederai certo di andarlo a cercare per tutti i nove, dieci – quanti sono – mondi! Ne ho avuto fin qui di lui!» esclamò, indicandosi la fronte col taglio della mano. «E poi…» il suo tono si fece improvvisamente triste. «Nessuno può assicurarti che sia ancora vivo. Se tu sei stato scaraventato qui, forse…»
Thor abbassò lo sguardo, sconfitto: Stark aveva ragione su tutti i fronti. Strinse i pugni, cercando di reprimere il gusto amaro di quella verità: suo fratello s’era già salvato una volta; non poteva avere sempre fortuna. Sospirò: «Da qui, non c’è modo di tornare a casa. Se il Bifröst è finito distrutto come l’ultima volta, io sono bloccato qua fino al momento in cui qualcuno verrà a cercarmi; verrà a prendermi…»
«C’è qualcosa che posso fare?» Curiosamente, il tono di Stark si era quasi addolcito; pareva addirittura servizievole, lui, egocentrico e megalomane.
Il biondo scosse il capo, poi un’idea gli guizzò in mente e alzò lo sguardo sul miliardario, aggrottando la fronte: «Conosci per caso una certa Jane Foster?»

~¤~

A sentire il nome di Jane, Loki storse il naso. La odiava. Anche lei. Odiava tutto ciò che aveva a che fare con suo fratello.
E allora, perché sono qui?
«Dunque sono venuto a Tønsberg, a cercarla.»
Ecco, proprio quello che non avrebbe dovuto dire.
«Non m’interessa chi tu sia venuto a cercare, tantomeno se l’hai trovata o no. Ora devi venire con me.»
«Credi che dopo tutto quello che hai fatto io mi fidi di te, delle tue stregonerie? Potresti abbandonarmi in una landa ghiacciata di Jötunheim e far sì che io sparisca per sempre!»
«Beh, non mi occorrerà molta fatica, dal momento che avremo i giganti di ghiaccio ad Asgard entro stasera, se non ti decidi a tornare a casa!»
«Che cosa?» balbettò. «Tu… tu come lo sai?»
«Vedo che il tuo acume non mostra miglioramenti, nemmeno dopo il soggiorno a Midgard, tu, Stark e la tua bella.» Quell’ultimo appellativo fu sputato con una smorfia di sprezzo. «La vedi la mia pelle, Thor? Ho passato l’ultima settimana tra i giganti: conosco i loro piani!»
Il biondo si guardò attorno, una crescente agitazione che saliva a serrargli la gola in una morsa di preoccupazione: «Tu… puoi riportarmi a casa?» Ricordava di averglielo già chiesto, altrove, segregato dallo S.H.I.E.L.D. dopo aver tentato inutilmente di recuperare il suo martello.
«Ovvio, altrimenti sarei venuto qui per rivedere il tuo faccino?» Retrocedette di un passo, per poter inquadrare interamente la figura del fratello. «Stai fermo. Benché non mi dispiacerebbe, per ora non voglio che tu arriva ad Asgard in pezzettini.»
Thor annuì, preoccupato più per l’incantesimo che Loki avrebbe lanciato di lì a poco che per la situazione ad Asgard.
«Spero tu abbia detto addio a Stark…» commentò quindi Loki, mentre le sue mani s’illuminavano della solita aura verde.
«Che cos…?» Le parole del biondo furono risucchiate in un abbagliante turbine di luce che, rapido ed evanescente, parve attirarlo verso l’alto, facendolo smaterializzare come polvere sotto lo sguardo del fratellastro.
Loki attese che il bagliore si fosse attenuato per guardare verso il cielo: il sole aveva già percorso buona parte del suo arco nella cupola celeste e presto sarebbe andato a riposare dietro le montagne norvegesi.
«Non farò mai in tempo…»

Give me one more Night
I will make things right
I have changed my ways
All I need is time




Note: E orgogliosamente ammetto che sì: mi ero scordata dia ggiornare ieri. Mancano orami solo due capitoli (Finalmente! Nd. Tutti) e le cose cominciano a precipitare. Spero che la piccola parte di Tony Stark sia piaciuta (mi serviva un personaggio esterno che aiutasse Thor a recuperare i ricordi... e lui è il migliore xD). Mi congedo svelando il titolo della canzone di questo capitolo - che è ancora Sky - e invitando la gentile clientela (?) a lasciare un piccolo parere/opinione che ci fa sempre piacere.
Grazie a tutti,

~Notthyrr

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Capitolo 9
*** Cuore in Frantumi ***


Cuore in Frantumi

 

Dietro la vasta vetrata che decorava la parte superiore della parete alla sua destra, il sole era già scomparso oltre l’orizzonte, ornato dai pochi alberi che costellavano la pianura chiamata Idavöll.
Il tempo non gli aveva dato la possibilità di spiegare a Thor l’intricata situazione; con Byleistr, invece, era stato lui stesso a non volerlo fare.
Il timore che il gigante finisse nei guai per causa sua se lui avesse tardato e questi fosse andato a cercarlo aveva finito per essere sostituito da qualcosa di più concreto; e rischioso. Bastava solo che Thor lo vedesse prima che lui si ricongiungesse con l’uno o con l’altro e avrebbe pagato caro quel suo accesso di altruismo.
Riflettendoci, disteso sul suo letto a Jötunheim, era sembrato tutto così semplice: fingere di fare ritorno per impadronirsi dello scrigno, fare una piccola deviazione a Midgard per riportare indietro suo fratello e soddisfare così i suoi due più intimi desideri; rimediare al danno arrecato a suo fratello, per colpa del quale avvertiva ancora un bruciante senso di colpa a ostruirgli la gola, e allontanare dalla mente dell’altro fratello – di quello vero – l’idea di conquistare Asgard. Sarebbe bastato solamente riaccompagnare Thor ad Asgard, fingere di non potere niente contro di lui – per quanto doloroso e umiliante fosse – e convincere i giganti a tenersi alla larga dalla Casa di Odino. Avrebbe salvato Jötunheim; avrebbe salvato Asgard; avrebbe salvato persino entrambi i suoi fratelli. Con un po’ di fortuna, avrebbe convinto suo padre a lasciarlo tornare.
Invece, il tempo che a lungo aveva ingannato, come tutti gli altri Asgardiani, sbeffeggiandolo con un aspetto sempre fresco e impeccabile nonostante il passare dei secoli, era riuscito a trarre vendetta su di lui, a scorrere troppo in fretta – per la prima volta se n’era accorto –, mettendogli addosso un’agitazione così forte da farlo tremare, stravolgendo i suoi piani che, come sempre così ben calcolati, finivano distrutti dalla mano di qualcuno più in alto di lui. Meglio quella del tempo… che quella di mio fratello…
Si rese conto di star correndo e rallentò un po’ il passo, cercando di calmare i pensieri che gli pulsavano nelle tempie: bastava solo trovare Thor e spiegargli tutto. No… Non avrebbe capito… Allora l’ideale era che Byleistr, accorgendosi che si era fatto tardi senza che lui tornasse, fosse andato a cercarlo come promesso. Incontrato lui, lo avrebbe allertato con vaghi riferimenti al dio del tuono, convincendolo a riprendere la strada di casa. Ma se non fossi io il primo a trovarlo?
Proseguì a lunghi passi per i corridoi, tornati a essere così familiari: se avesse girato a destra, sarebbe potuto scendere direttamente nel vestibolo, impossessandosi dello scrigno.
Non c’è tempo.
Svoltò a sinistra, i piedi che andavano da sé, quasi sapessero dove dovessero portarlo. Sulle pareti, la sua ombra era scomparsa; dal claristorio di finestre colorate sopra la sua testa non s’intravedeva più nessun raggio di luce, se non il puntino luminoso di una stella solitaria.
Come aveva fatto il giorno della sua evasione, risalì l’ampia scala che portava al pianterreno e seguì il tappeto rosso che si snodava sul pavimento, il coltello bronzeo sempre stretto nella mano nascosta dal mantello nel timore che qualche guardia l’assalisse.
Presto, si stagliò davanti a lui l’alto portone d’ingresso, oltre il quale avrebbe rivisto finalmente il cielo – quel bel cielo asgardiano che, l’ultima volta, era stato squarciato dal raggio bianco del Bifröst.
Non c’erano guerrieri di guardia e Loki tirò un sospiro: se tutto era tranquillo, significava che nessun gigante, tantomeno Byleistr stesso, si era infiltrato nel regno o, perlomeno, non l’avevano ancora individuato. Inoltre, se il sovrano fosse andato alla ricerca del moro dio dell’inganno, questi se lo sarebbe sicuramente incrociato durante la corsa verso l’esterno.
Nascose il pugnale, convinto di dover affrontare soltanto il guardiano del Bifröst e spinse con la spalla destra il pesante portone di legno scuro tempestato di borchie di metallo dorato.
La luce del cielo asgardiano di notte non era paragonabile a quello di Midgard, dove stelle splendenti di un unico colore circondavano il pallido candore della Luna che, per alcuni giorni ogni mese, scompariva, abbandonando il regno per riprendere lentamente a crescere le notti successive.
Ad Asgard, gli astri illuminavano i prati quasi a giorno, tanto che, a volte, era dura decidere dall’interno del palazzo se fuori fosse già calata la notte o meno.
Loki lanciò un’occhiata al lungo ponte dell’arcobaleno: sapeva che Heimdall lo avrebbe visto arrivare e, se anche non fosse stato così, il suo fine udito lo avrebbe avvertito in anticipo. Di fronte alla sala sferica, però, non c’era nessuno e solo scorrendo lo sguardo lungo il cristallo luminescente che segnava la via il dio poté notare che, verso la metà del ponte, due alte figure si fronteggiavano. No: non è corretto…
Agghiacciato dal quella scena, lasciò cadere a terra il pugnale e aprì la bocca per gridare, senza capire se quell’urlo fosse davvero riuscito a superare le sue labbra.
~¤~
Quando la luce verde che Loki aveva evocato per trasportarlo ad Asgard si spense, a Thor occorsero diversi secondi per riprendersi. Aveva lo stomaco sottosopra e la testa gli girava tanto da imporgli di poggiarsi per qualche istante contro la parete per non incespicare sui suoi passi e rovinare al suolo.
Come l’ambiente che lo circondava si delineò smettendo di vorticare in un ciclone di colori, il dio del tuono poté constatare con piacere che – per quanto riguardava quello, per lo meno – Loki non aveva mentito: lo aveva riportato veramente a casa.
Suo fratello era sempre stato ambiguo e raramente si capiva che cosa gli passasse per la testa: a giorni pareva voler far cadere Asgard e con lui tutti i nove mondi; agiva come un folle, proprio come il mese prima a Midgard. Poi se ne usciva con comportamenti simili a quello: cercava di fuggire, ma tutto andava storto e lui rimediava; lo salvava; lo riportava a casa. Si ripromise che, sistemata la questione di cui lo aveva allertato, nulla gli avrebbe impedito di ringraziarlo, a prescindere da qualsiasi divergenza fosse nata tra loro in quei lunghi secoli di odio e affetto. E chissà? Magari Padre Tutto avrebbe chiuso un occhio – suonava alquanto ironico – e avrebbe allentato la morsa del nastro che aveva stretto alla gola del figliastro, col quale lo teneva legato a sé. Certo, le cose non sarebbero tornare come in origine… Quegli sguardi di comprensione, quel… legame fraterno… Ma c’era un’eternità davanti per rimediarvi.
Scuotendosi da quei pensieri, Thor s’accorse di essere giunto in prossimità dell’alto portale d’ingresso e la mano gli corse alla cintura, dove si aspettava di trovare appeso Mjöllnir. Quell’istinto fu deluso dal vuoto che vi trovò quando le dita si accorsero di star stringendo solo aria. La memoria che cercava di frugare in quel piccolo cassettino che aveva celato fino a poco prima i dettagli dello scontro con suo fratello nel Bifröst, rammentò di averlo perduto quando il nucleo centrale del ponte dimensionale era esploso e un groppo gli strinse la gola tanto forte da farlo quasi soffocare.
Pregando in cuor suo che qualcuno – chiunque – lo fosse riuscito a trovare e che Odino lo avesse preso in custodia fino alla sua ricomparsa, ritornò sui suoi passi, ricordando di aver visto appesi a una parete uno scudo e due pugnali, semplici oggetti ornamentali che, però, se nelle mani giuste, non avrebbero mancato di adempiere alla propria funzione. Sfoderò dalla guaina dorata il coltello sulla destra e, tenendoselo premuto al petto, andò a socchiudere il portone d’ingresso, sbirciando fugacemente all’esterno.
Nonostante la luce riflessa dal ponte dell’arcobaleno inizialmente l’avesse accecato, il biondo principe non poté evitare di constatare che una figura dal curioso colorito bluastro si stava spostando a passi rapidi sul ponte, tra le mani, un oggetto luminescente dai contorni d’argento intarsiato.
Per un attimo – uno solo – il dio del tuono ebbe motivo di credere che si trattasse di suo fratello; suo fratello che, come sempre, lo aveva ingannato e stava tentando di fuggire con lo Scrigno degli Antichi Inverni. Poi se ne rese conto: era troppo alto.
Accecato da una furia inarrestabile, non fu più nemmeno in grado di pensare e si lanciò contro il gigante di ghiaccio, tendendo il pugnale verso di lui.
In quel solo, lungo istante, furono due le cose che accaddero, benché il tempo materiale per afferrarle non fosse sufficiente. Il gigante si volse, accorgendosi del suo aggressore e lasciò cadere lo scrigno, che andò in frantumi sul cristallo iridescente del Bifröst, levando verso l’alto gelidi sbuffi di condensa che appannarono per un istante la vista del biondo. Quest’ultimo non poté nemmeno permettersi di riflettere sull’accaduto, quando un grido, forte, secco, acuto, proruppe nell’aria, spazzando via in una frazione di secondo la nebbia che gli offuscava gli occhi e la mente. Non c’erano dubbi: conosceva troppo bene quella voce.
~¤~
L’urlo del fratello lo attraversò come un fulmine, eppure non riuscì ad arrestare la sua corsa, il suo impeto, il suo braccio che disegnava un ampio arco nell’aria e si abbatteva sul petto del gigante di ghiaccio, il pugnale dorato che lacerava senza fatica la pelle e penetrava a fondo la carne cerulea dello Jotun, i cui occhi rossi si dilatarono, la bocca che gli si dischiudeva appena in un gemito incapace di uscire.
Per alcuni lunghi istanti regnò il silenzio, poi l’urlo acuto e strozzato che prorompeva dalla gola riarsa di Loki spezzò quell’incantesimo.
Come a rallentatore, la mente che non riusciva più a seguire cosa stesse accadendo attorno a lui, Thor vide il gigante che aveva davanti scivolare di lato e cadere sulla schiena, mentre suo fratello si precipitava verso di lui, lo spintonava da parte e si gettava sul suo corpo, una ferrea stretta che gli prendeva il cuore ogni volta che guardava il suo volto, ornato da lunghi, inequivocabili capelli neri.
Disperato, incapace di fermare il tremore delle proprie mani, Loki tentò di slacciargli la veste per controllare la ferita, ma i suoi occhi non vedevano, carichi di una tale disperazione che gli anneriva la vista.
«Thor!» chiamò, la voce colma di una rabbia che, in breve, sfociò nel pianto. «Sei un mostro.»
 
 

In the Valley of Deception
There’s a River of Tears

 



 

Note: Ritardo. Abbastanza ^^" Chiedo umilmente scusa e confesso di aver "un pochetto" trascurato questo account...  Comunque, eccoci all'ultimo capitolo, sudato e risudato... Immagino faccia schifo, visto che di solito si contempla qualcosa di simile a un lieto fine, ma una certa depressa disadattata ama le tragedie shakesperiane... *fischietta. La canzone è ancora una volta Lost and Lonely, firmata The Rasmus. (Sei fissata! N.D. Tutti)
Spero abbiate apprezzato comunque,
grazie della lettura,

~Notthyrr


 

 

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