L'onda dell'amore

di scandros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le emozioni di lei ***
Capitolo 2: *** I pensieri di lui ***
Capitolo 3: *** Una notizia inaspettata ***
Capitolo 4: *** Una partenza tra mille ricordi ***
Capitolo 5: *** Cose che succedono ***
Capitolo 6: *** Un incontro lungo un istante ***
Capitolo 7: *** Immensamente amore ***
Capitolo 8: *** Sempre e solo tu ***
Capitolo 9: *** La strada della speranza ***



Capitolo 1
*** Le emozioni di lei ***


PROLOGO

Questa è la mia seconda fanfiction. Completamente differente da "L'ultimo ballo", ma incentrata sempre sui sentimenti contrastanti di Holly e Patty. E' una fiction che verte soprattutto sulle emozioni che provano i protagonisti e sulle avversità che dovranno superare prima di potersi re-incontrare.
Una promessa che non riesce a mantenere per cause indipendenti dalla sua volontà, gettano nella disperazione Patty. La corsa di Holly per raggiungerla prima a Parigi e poi all'aeroporto. Ma lei, parte comunque. E' un viaggio attraverso i loro sentimenti, lui finalmente più forte, diventato uomo, lei malinconica perché vede il suo cuore infrangersi sempre di più.

Spero vi piaccia e soprattutto mi piacerebbe ricevere le vostre recensioni. Ciao a tutti e buona lettura.

Scandros

CAPITOLO 1

Le emozioni di lei

Guardò il cielo terso coprendosi gli occhi per non rimanere abbagliata dalla luce intensa del sole. Era una splendida giornata di fine giugno. Sorrise, nonostante da qualche giorno si sentisse stranamente irrequieta. Quello era un giorno diverso. Niente scuola, niente allenamenti. Tutto era finito. Il periodo magico della New Team si era concluso il giorno prima.

La sua squadra aveva trionfato ancora una volta nonostante la sua assenza.

Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Erano passati tre anni, tre lunghissimi anni che non lo vedeva. Ogni qual volta pensava a lui il cuore tornava a battergli sempre più forte. Si poteva vivere nell’ombra si qualcuno? Sicuramente sì, lei ne era certa.

Si sedette sull’erba all’ombra del grande ciliegio lasciando cadere il suo diario sul morbido tappeto verde. Con una mano, lievemente ne sfiorò la corteccia quasi a voler sentire sulla sua pelle ancora una volta la magica atmosfera di quel luogo.

Lui, grande, imperioso, era stato il testimone di quel giorno di primavera. Si raccolse le ginocchia tra le braccia e vi appoggiò il capo.

Si sentiva malinconica, ma soprattutto avvertiva la sua mancanza: la sua voce, il suo respiro, il suo sorriso, e quel suo sguardo timido ma che al tempo stesso riusciva ad esprimere le sue più intense emozioni.

Già, quel giorno di primavera che preludeva alla sua partenza, il giorno in cui il suo capitano si allontanava dal suo paese per trasferirsi in Brasile.

Chiuse gli occhi ricordando per l’ennesima volta, esattamente quello che era accaduto tre anni prima.

- Una festa a sorpresa? - chiesero i ragazzi sorpresi.

- Ma certo. E visto che la giornata è calda, potremmo approfittarne per farla qui fuori, sotto i ciliegi in fiore magari! - rispose Susy entusiasta.

- Ma, non capisco, perché dovremmo fare una festa? -

- Bruce, ma sei proprio tonto? Domani il capitano partirà per il Brasile. E’ il nostro modo per dirgli addio! - rispose Evelyn sorridente.

- Non mi sembra un’idea malvagia. Ma come la mettiamo con il mister e con il preside? - chiese Paul passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati.

- Niente paura, Patty ha già convinto il mister e adesso è dal preside. -

- Beh, allora avremo sicuramente il permesso. Il preside cede sempre quando lei gli chiede qualcosa. -

- Benissimo, allora tutti d’accordo. Ted, Jhonny, per favore avvertite anche gli altri. Al rinfresco provvederemo noi. Mi raccomando, tutti qui per le otto. -

- Evelyn, non ci hai detto come faremo a trascinare qui il capitano! - chiese Alan.

- Abbiamo pensato anche a quello. Susy, che è così brava ad appiccicarsi a lui, provvederà a portarlo qui mentre io e Patty prepareremo tutto. Tutti puntuali, per favore. -.

I ragazzi erano eccitati all’idea della festa da fare al loro capitano. Quello appena terminato era stato il loro ultimo allenamento insieme.

Patty sopraggiunse di lì a poco e trovò solo Evelyn e Susy.

- Allora, com’è andata? -

- Non c’è problema. Il preside ci ha accordato il permesso. Ho concordato con il custode l’apertura del cancello. - rispose con sguardo sommesso. Era una scena imbarazzante per Evelyn. Lei e Patty erano diventate molto amiche, complici e sapeva benissimo quanto la prima manager stesse soffrendo per la partenza del suo capitano. Non appena Susy andò via, ne approfittò per avvicinarsi all’amica e abbracciarla. Patty posò il volto sulla sua spalla e pianse silenziosamente tra le carezze affettuose di Eve.

- Non ti preoccupare, passerà. E poi, ricorda, non va via per sempre. -

- Non è quello che mi affligge, ma l’essere consapevole di non contare molto per lui. -

- Questo tu non puoi dirlo. Non ti ha mai detto nulla del genere. -

- Ma neanche il contrario. Sento un vuoto immenso dentro di me. Vorrei correre da lui e dirgli tutto, ma a cosa servirebbe? Se solo avesse provato per me qualcosa in più dell’amicizia, me l’avrebbe detto. -

- Cosa intendi fare? -

- Restare nell’ombra, sperando che tutto passi velocemente. Eve, io non vengo alla festa stasera. -

- Cosa? Ma sei impazzita! Holly partirà domattina presto: così non avrai più la possibilità di salutarlo. -

- Sarebbe troppo triste per me dirgli addio. Non voglio che mi veda piangere. -. Evelyn guardò l’amica negli occhi leggendo un’immane sofferenza per quel distacco. Possibile che Holly non si fosse mai accorto di quanto l’amasse?

Dopo un quarto d’ora, tutta la squadra era raccolta sul campo per salutare il proprio capitano. Tra risa e scherzi, Holly li abbracciò consigliando loro di non demordere mai e di continuare ad allenarsi con assiduità in vista soprattutto dei raduni della nazionale.

- Buona fortuna, capitano. - gli disse con gli occhi lucidi. I ragazzi si allontanarono portando con se anche Susy. Nonostante la forte tensione, non riuscivano a non guardarsi negli occhi. Il coinvolgimento era tale che il tempo sembrava essersi fermato per loro. Il cuore del capitano batteva forte, poteva sentirne il palpitare accelerato e temeva che anche lei potesse udirlo.

Per lei? Perché non era successo poco prima con gli amici e compagni di squadra? Perché con lei era diverso? Perché sapeva che le sarebbe mancata più di chiunque altro? Più la guardava e più se ne rendeva conto. Non era la piccola Anego, era diventata una bella ragazza che dal suo arrivo a Fujisawa non lo aveva mai lasciato. Chi sarebbe stato al suo fianco in Brasile?

Non rispose alla frase dell’amica, istintivamente l’abbracciò. Le ombre si disegnavano lunghe e scure sul campo, mentre il sole alle loro spalle si stemperava nel cielo in una miriade di colori.

- Mi mancherai. - le sussurrò all’orecchio. Lei non rispose, ma Holly comprese che stava piangendo. Rimasero abbracciati per un po’, un lungo, infinito gesto d’affetto che li avrebbe uniti nonostante la distanza.

Qualche ora dopo, Susy andò a casa di Holly chiedendogli di accompagnarla a scuola. Doveva assolutamente riprendere degli appunti che aveva lasciato al club, appunti che le sarebbero serviti per l’interrogazione del giorno dopo.

- Ma, io veramente! -

- Per favore, capitano. E’ l’ultimo favore che ti chiedo. Tanto domani parti e non mi vedrai per molto tempo. - disse fingendosi avvilita.

- Okay, se proprio insisti. Mamma, io sto uscendo, ci vediamo dopo. - urlò avvertendo la madre dell’improvvisa uscita.

Per tutto il percorso, Susy non si staccò dal suo braccio accompagnando i loro passi con un continuo parlare.

- Come faremo ad entrare? - chiese Holly davanti al cancello della scuola. Solo la guardiola del custode era illuminata. Istintivamente alzò gli occhi al cielo. Era costellato di stelle luminose. La serata era tiepida ed era piacevole passeggiare, sebbene la compagnia non fosse proprio di suo gradimento.

- Ehy capitano…ma mi ascolti! -

- Ehm scusa, ero soprappensiero. - rispose accennando un timido sorriso per mascherare la sua distrazione. A cosa stava pensando?

- Ho detto che citofoneremo al custode. Lo avevo già avvertito telefonicamente che sarei venuta. -

- Bene, allora sbrighiamoci. - aggiunse. Poco dopo, il custode aprì loro il cancello e tornò alla sua guardiola. Susy e Holly si avviarono al club.

- Come mai hai tu le chiavi? - le chiese sapendo che solitamente le aveva Patty.

- Sono passata a prenderle da Patty prima di venire da te. -

- E perché non sei venuta con lei? - domandò sospettoso.

- Non si sentiva bene, quindi mi ha dato le chiavi e gliele restituirò domattina. - Ma quante domande, non ti fidi di me? - chiese maliziosa. Lo trascinò all’interno del club e le luci si accesero. Erano tutti lì, sorridenti e contenti che la sorpresa fosse riuscita.

- Ma cosa sta succedendo? -

- Abbiamo pensato di organizzare una festa per te, per dirti arrivederci. - disse Bob.

- Avanti, si può cominciare? - chiese Bruce avvicinandosi al tavolo ricolmo di manicaretti e bontà di ogni genere.

- Bruce! Finiscila, sei sempre il solito. - lo ammonì Evelyn. Tutti risero di cuore a quella divertente scenetta. Bruce gli sarebbe mancato moltissimo. Nonostante non fosse il migliore dei giocatori, aveva un gran cuore e la sua ironia riusciva a mettere di buon umore tutti quanti.

I ragazzi diedero inizio al banchetto, tutti tranne Holly. Continuava a guardarsi intorno.

- Ma…non c’è. - sussurrò.

- Mi spiace capitano. Non si sentiva bene, ha preferito non venire. - le disse Evelyn anticipando la risposta. Non lo aveva mai visto in quello stato.

- Che strano, ho la sensazione che Holly sia inquieto, che l’assenza di Patty abbia sortito qualche strano effetto. Chissà, forse sono solo condizionata dai sentimenti della mia amica nei suoi confronti! Eppure, starebbero così bene insieme. Accidenti capitano, ma perché non ti accorgi di lei come ragazza? - pensò Eve fissando il suo capitano.

Forse la seconda manager della New Team aveva ragione. Holly scherzò con i suoi amici, ma il suo pensiero e il suo cuore erano altrove. Aveva sicuramente partecipato all’organizzazione della festa e poi, non era venuta. L’indomani mattina alle dieci circa avrebbe preso il volo per San Paolo, una nuova vita sarebbe cominciata per Holly, senza la sua famiglia, senza i suoi compagni e soprattutto senza di lei. Evelyn voleva parlargli, sapeva a cosa stava pensando e avrebbe voluto rincuorarlo, dirgli di correre da lei e passare quegli ultimi momenti insieme: ma il dubbio si insinuò in lei. E se il capitano fosse giù di morale semplicemente perché si stava allontanando da tutti e non precisamente da lei?

Entrambi dubbiosi sul da farsi, furono coinvolti dagli altri compagni e la festa andò avanti senza Patty.

Holly correva come non aveva mai fatto. Doveva vederla prima di partire, doveva assolutamente sincerarsi che non ce l’aveva con lui, che non stesse male. Non aveva chiuso occhio quella notte, non per l’emozione dell’imminente partenza, ma semplicemente perché non aveva pensato ad altri che a lei. Corse fino a scuola e si fermò solo quando vide Evelyn e Susy.

- Capitano, ma tu cosa ci fai qui? Tra poco hai l’aereo? - domandò preoccupata.

- L’ho aspettata al ponte, come facevamo sempre ma non c’era! Sua madre mi ha detto che è uscita. -. Susy lo guardava interdetta. Non comprendeva a cosa si stesse riferendo. Ma Eve sì. Gli sorrise.

- Prova a pensare a dove poterla trovare quando non è a scuola o agli allenamenti! - lo esortò. Il volto di Holly si illuminò. Al parco, sotto il grande ciliegio vicino il laghetto. Era uno dei suoi luoghi preferiti.

- Grazie Evelyn. - le disse prima di correre verso il parco.

- Ma cosa succede? - chiese Susy non comprendendo.

- Nulla, non preoccuparti. - rispose sorridente. Si era innamorato, ne era sicuro. Holly aveva sempre e solo amato il pallone, adesso invece correva da lei rischiando di perdere l’aereo che l’avrebbe condotto verso il futuro da lui tanto agognato.

La vide, appoggiata alla balaustra di legno, la sua immagine riflessa sul lago. Era triste, lo vedeva, altrimenti non avrebbe marinato la scuola. Si portò alle sue spalle silenziosamente. Patty ebbe un sussulto quando vide la sua ombra riflessa sullo specchio d’acqua. Le cinse la vita e lei, in preda ad un impeto di sentimenti, appoggiò la schiena contro il suo petto. Sentì il suo profilo affondare morbidamente nei capelli. Tremava come una foglia e temeva che lui potesse avvertire quei brividi intensi che la stavano percorrendo. Lentamente mosse le mani e le portò su quelle di lui che le aprì intrecciando le sue dita con quelle della ragazza. Chiuse gli occhi incredula a tutto quello che stava succedendo. Quanto aveva desiderato quel momento. Lei nelle braccia di Holly, del suo amato capitano. Non era lo stesso abbraccio del giorno prima: questo era ricco di passione e di affetto, e forse di qualcos’altro. Ci fu un lungo silenzio accompagnato solo dal cinguettio dei passeri.

- Desideravo vederti prima di partire. - le sussurrò dolcemente stringendola ancora di più a se.

- Holly…io…

- Non dire niente, ti prego…- aggiunse scatenando in lei le incertezze di un’eterna innamorata. Il cuore le faceva male: batteva così veloce che temeva potesse uscirle dal petto.

- Mi mancherai, Patty. -. Lei sgranò gli occhi. Si sentiva mancare per la felicità. - Aspettami…io tornerò. - aggiunse poi. Lei annuì incapace di parlare. Era al colmo della felicità e della disperazione. Desiderava ardentemente dirgli quanto lo amava, ma avrebbe posto un freno al suo sogno. Adesso lo sapeva. Doveva continuare ad amarlo in silenzio perché lui potesse realizzare il suo più grande desiderio.

- Promettimi che realizzerai il tuo sogno. - disse poi con voce flebile. Si staccò da lei. Sapeva che era tardi e che doveva correre in aeroporto. Le mise le mani sulle spalle e lei si girò. Sorrideva, nonostante le lacrime continuassero a rigarle il volto. Continuava a guardarla. Anche i suoi occhi erano lucidi.

- Holly, è mai possibile che finalmente ti sia accorto che esista? Proprio ora che stai partendo? Perché il destino è così crudele? Perché vorrei dirti quanto ti voglio bene e non riesco a farlo? Il tuo abbraccio: sento ancora il tuo calore sulla mia pelle, il tuo profumo, le tue parole. E’ questo il tuo regalo d’addio? Una promessa? - si chiese non distogliendo lo sguardo da lui. Taceva. Doveva essere lei a fare la prima mossa perché lui non ne aveva il coraggio.

- Capitano…non abbatterti mai…Sono certa che ce la farai, che realizzerai il tuo sogno…io…io…qui troverai sempre qualcuno ad attenderti. Non ti dimenticare mai di me! - aggiunse cercando di trattenere le lacrime.

- Non potrei mai, manager. Ti scrivo non appena mi sistemo. - rispose sinceramente.

- Adesso vai, o perderai l’aereo! - gli ricordò pur non volendo che andasse via.

- Già. Quando tornerò, sarò un calciatore professionista, te lo prometto. -

- Ne sono sicura. -. Lui si avvicinò e la baciò sulla guancia. Lei avvampò dall’imbarazzo.

Quel contatto fisico, dopo l’abbraccio, l’avevano mandata in confusione totale. Cosa voleva dire tutto questo da parte di Holly? Lo vide sparire dietro gli alberi. La brezza soffiò con il suo profumo tra i capelli della giovane manager. In quel momento comprese che Holly nutriva qualche strano sentimento nei suoi confronti, forse non era amore, ma probabilmente era qualcosa di più di una semplice amicizia.

Tornò col pensiero alla realtà. Con una mano afferrò il suo diario e se lo portò sulle ginocchia. La leggera brezza estiva girava le pagine. Si soffermò su quella che aveva scritto qualche giorno prima e la lesse.

Sei rimasto dentro me nel profondo del mio cuore, come il frammento di una vita che non c’é. Tu, una ferita che non si rimarginerà mai, che non guarirà, che non passerà.

Ogni giorno ho versato lacrime per te, ogni notte leggo le tue lettere, scrivo ancora di te, so che non dovrei, che forse dovrei liberarmi dalla trappola di questo amore che da anni mi attanaglia…non vivo più…ti vedo come sei e come ti vorrei io…qui, accanto a me: semplicemente. Ricomincerò…promesse vane che infrango continuamente. Le tue lettere, sempre così evasive, generiche, mai che parlino di me, di te, di noi.

Immagino i tramonti che un giorno vedrò, le albe che mi sveglieranno. Cosa saranno se non ci sarai tu accanto a me…non vivo più, senza te, mi manchi troppo e la sola idea che sei così lontano mi fa male…forse sono io da cambiare. Passo il tempo a chiedermi cosa fai senza me, ma torno quì, seduta sotto questo ciliegio e penso ai nostri ultimi attimi trascorsi insieme. Scrivo le pagine di questo diario sperando che possa darmi sollievo, che all’improvviso possa vedere la tua ombra materializzarsi.

Sono solo parole, scritte qua e là, direttamente dal mio cuore, in preda al sentimento più vero quello che vorrei donarti. Come posso vivere per me stessa se amo te? Passo il tempo a chiedermi perché non ho mai avuto il coraggio di dirtelo e a domandarmi cosa sarebbe cambiato nel nostro rapporto se io ti avessi parlato. Poi torno a chiedermi il motivo di quel tuo comportamento, dei tuoi abbracci. Mi hai detto che ti sarei mancata, ma perché non me l’hai mai scritto in questi tre anni? Possibile che tu sia ritornato ad essere il ragazzo timido che conoscevo a cui importava solo del calcio? Holly…”.

Chiuse il diario e sospirò. Si alzò e si ripulì l’abito dai fili d’erba. Era cambiata negli ultimi tre anni, ed anche i suoi amici se ne erano accorti. La pelle chiara e liscia risplendeva nell’ovale incorniciato dai capelli scuri, adesso un po’ più lunghi e sempre portati sciolti sulle spalle. Il suo corpo era flessuoso e sinuoso allo stesso tempo, come un giunco. E poi era molto intelligente. Si era classificata prima tra tutti gli studenti della scuola e aveva diritto alla borsa di studio messa in palio dalla scuola. Avrebbe potuto decidere di sfruttarla in Giappone o di andare all’estero. Nel corso di quei tre anni, Patty aveva fatto di tutto per impegnare la sua mente, per distrarsi da Holly e così, al club di calcio aveva alternato una scuola di lingue straniere e un corso di giornalismo. Era sempre stata una ragazza molto attiva e il doversi distrarre forzatamente dai pensieri, l’aveva indotta ad un iper attivismo forse troppo eccessivo.

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Capitolo 2
*** I pensieri di lui ***


CAPITOLO 2

 

I pensieri di lui

 

 

 

Passeggiando in quella bella giornata si avviò verso il campo di calcio. Il mister aveva radunato i calciatori e le manager per mezzogiorno. Doveva dare loro un’importante comunicazione.

 

- Ciao Patty. - le disse Eve incrociandola lungo la strada.

- Ciao Eve, tutto bene? -

- Ma certo. E tu? -. L’amica alzò le spalle. Evelyn aveva saputo da Patty cos’era accaduto quella primavera di tre anni prima, di come Holly l’avesse cercata e le avesse fatto promettere di restare ad aspettarlo. Nonostante tutto, vedeva l’amica struggersi per quell’amore impossibile oramai da anni.

- Senti, io e Bruce andiamo al cinema. Ti va di venire con noi? -. Patty sorrise. Il pensiero che lei e il difensore della New Team stesero insieme da oramai un anno la divertiva.

- Ti ringrazio Eve, ma non mi va di fare la candela. Non mi divertirei e penserei comunque ad altro. E’ un chiodo fisso il mio. Non riesco a non pensarlo, a vivere in sua funzione, nella speranza che un giorno torni da me. E’ un mio problema, non posso coinvolgere anche te e gli altri. Ti ringrazio perché sei un’amica sincera. - rispose sorridendo. - Cosa farai adesso che è finita la scuola? - le chiese cercando di cambiare discorso.

- Penso che darò una mano ai miei in negozio. Sai, non è che fossi proprio una secchiona io…non penso di essere molto portata per l’università. E tu? Hai deciso se accettare o meno la borsa di studio? -

- Io? Sicuramente andrò all’università anche se non so in quale città! -

- Non andrai a Tokyo? Pensavo volessi andare con Amy a Lettere. - le chiese sorpresa.

- No, non penso. Ho avuto modo di pensare a questo. Sai, mia nonna diceva sempre che ognuno di noi dovrebbe seguire la strada che ha nel sangue. Mi ci vedi a fare la parte di una professoressa di lettere? Io per nulla. Io amo lo sport e penso che l’unica maniera per continuare a coltivare questa mia passione sia fare giornalismo. E’ una cosa a cui ho pensato tempo fa ed è per questo motivo che due anni fa mi sono iscritta ai corsi integrativi di lingue straniere. Non ti nascondo che mi piacerebbe andare a studiare negli Stati Uniti. Sto pensando di fare domanda a Yale e Harvard. -

- In America? Lasceresti il Giappone. E Holly? -

Chinò il capo e sorrise. La sua vita era sempre girata attorno a quella figura e adesso che si trovava ad un bivio, non poteva permettersi di sbagliare.

- Il mio sentimento per Holly è così forte che se mi chiedesse di seguirlo, non ci penserei due volte. Ma non l’ha fatto. Dopo la sua partenza, non l’ho più visto. Di lui mi sono rimasti i ricordi, le lettere, le telefonate di auguri, ma mai una visita. Ha sempre detto che era troppo impegnato e che per diventare un calciatore professionista doveva assolutamente sottoporsi ad allenamenti durissimi. Ed io gli credo. So bene quanta passione ci metta in quello che fa. Holly probabilmente resterà in Brasile, e se tornerà, non resterà in Giappone. I preliminari dei mondiali under 19 sono terminati. Tra un po’ inizieranno i gironi eliminatori. Tutti si chiedono se verrà convocato. Fino ad ora la squadra ce l’ha fatta anche senza di lui, grazie al ritorno di Tom e di Benji. Non resterà in Brasile per sempre. -

- E tu sei stanca di lui? -. Patty non parlò.

- Assolutamente no. Sento ancora il calore del suo abbraccio sulla mia pelle, ed è quello che mi ha dato la forza di continuare, la sua promessa, le sue parole. Tuttavia, penso che sia giunto il momento di fare qualcosa per me, costruire il mio futuro, come ha fatto lui. Invidio il suo coraggio. Ha lasciato tutto per realizzare il suo sogno. -

- Ne hai parlato con Holly? -

- Non ancora. Non ho avuto modo di scrivergli tutto questo. Volevo vagliare le varie situazioni, pensare a quella più conveniente per me…

- E forse anche per lui! Patty tu vivi in sua funzione. Quello che hai detto è giusto: hai diritto quanto Holly a farti una vita. E se dovesse tornare con altri pensieri? Pensa anche a te stessa per una volta. Va per la tua strada, sfrutta quella borsa di studio: hai lavorato tanto e te la meriti. -

- Hai ragione Eve…ma forse la mia è solo paura…

- Non è la paura di affrontare qualcosa di nuovo: è il timore che lui non torni da te. - rintronò Evelyn. Erano arrivate al campo. Patty si era fermata. Aveva ragione. I suoi timori non riguardavano l’università ma la possibilità di affrontare una nuova vita senza di lui. Era questo che la spaventava. Temeva che una nuova esperienza di studio avrebbe potuto affievolire il sentimento che provava nei suoi confronti.

- Eppure, Patty, oramai, dopo tre anni dovresti esserti abituata alla sua assenza. - esclamò glaciale. Sapeva che l’amica stava soffrendo per quelle parole, ma era l’unica maniera per farle prendere una decisione che da tempo rimandava. - Se Holly si opponesse alla tua decisione di andare fuori a studiare, si comporterebbe in maniera del tutto egoistica. Ricordati Patty che hai diritto quanto lui di realizzare i tuoi sogni. Tu hai le carte in regola per farlo. Non lasciare che le tue paure ti portino via i sogni.

- Se Holly ti vuole bene, capirà, accetterà i tuoi cambiamenti esattamente come tu hai accettato i suoi. E non potrà che essere orgoglioso della sua migliore amica. -

- Già..la sua migliore amica. -

- Avete un rapporto un po’ strano: secondo me sei più di un’amica per lui…altrimenti non avrebbe rischiato di perdere l’aereo per salutarti. Non ci pensare. Un ultimo consiglio: quando vi vedrete, la prossima volta, digli quello che provi. Non puoi continuare a crogiolarti nei dubbi. Almeno, una volta per tutte riuscirai a far chiarezza sui tuoi e sui suoi sentimenti. Soprattutto sarai coerente con il tuo cuore e con la mente. -

- Grazie Eve. Tutto quello che hai detto è giusto ed è quello che penso io. Ma non è facile. Ho sempre vissuto per lui, per la squadra e adesso che tutto è finito, adesso che stiamo diventando grandi…sono assalita da dubbi e incertezze. Penso di avere bisogno di tempo. Anche se oramai ho preso la mia decisione: che torni o non torni Holly, se non cambia qualcosa nel nostro rapporto, andrò all’estero a studiare. -

- E’ così che ti voglio sentire parlare. Voglio molto bene al nostro capitano, e non capisco perché dobbiate soffrire così. -

- Pensi che non avrei desiderato vivere un rapporto stabile e semplice come il tuo? -

- Scherzi? E’ vero che sono felice del mio rapporto con Bruce ma quello che hai da raccontare tu, io non lo ho…

- Smettila di dire stupidaggini. E’ meglio avere una relazione sicura e non tentennante come la mia. -

- Beh, forse hai ragione. Guarda, i ragazzi sono già arrivati. - le disse indicando i giocatori.

 

Si avvicinarono al gruppo e quando finalmente il mister constatò che non mancava nessuno, cominciò a parlare.

- Ragazzi vi ho chiamati qui per vari motivi. Primo desidero ringraziarvi per quello che avete dato a questa scuola e alla squadra. Senza i vostri sogni e le vostre emozioni non avreste mai potuto portare la squadra ad un simile livello. E quando parlo di voi, mi riferisco anche alle manager che vi hanno sempre assistito con costanza e pazienza e parlo anche delle persone assenti. -. Il silenzio piombò nel gruppo. Il riferimento era evidente: parlava di Oliver Hutton.

- Durante questi ultimi tre anni alcuni di voi sono entrati a far parte prima della nazionale under 16 e poi di quella under 19. Che dire ragazzi: non potrei essere più orgoglioso di così. Alcuni di voi sicuramente torneranno a giocare all’estero. -

- Ma come…e chi sta partendo? - chiese Ted rivolgendosi al mister.

- Dopo i mondiali under 19 io ripartirò in Germania. Freddy Marshall sta concludendo il contratto come portiere titolare nel Werder Brema. E’ una squadra che milita ogni anno nella Champions League europea oltre che nel suo campionato. - disse Benji sollevando leggermente la visiera del suo inseparabile berretto.

- Ed io tornerò in Francia. Il Paris Saint Germain è interessato a me. Giocherò di nuovo al fianco di Pierre Le Blanc e di Napoleon. -

- E così tornate in Europa? - chiese Bob Denver.

- Tom e Benji sanno già cosa vogliono dalla loro vita. Non hanno paura di varcare i confini del Giappone e tornare in Europa, la grande, splendida terra piena di talenti di ogni disciplina e ideologia, arti e mestieri. -. Era sempre stata affascinata dall’Europa, dalla sua storia e dai suoi monumenti. Di cosa doveva aver paura lei. Se loro ce l’avevano fatta, poteva farlo anche lei. - Forse ha ragione Eve, la mia vita non può essere condizionata da Oliver Hutton. Devo decidere io del mio futuro. - pensò estraniandosi momentaneamente dal gruppo.

- Vi ho radunati perché sono arrivate le convocazioni in vista dei gironi eliminatori dei mondiali under 19 che si giocheranno a Parigi. Alan Crocker, Bob Denver, Bruce Harper, Ted Carter, Paul Diamond, Jhonny Mason, Tom Becker, Benjamin Price. Siete tutti convocati al primo allenamento che si terrà la prossima settimana a Tokyo. Susy per favore distribuisci le lettere di convocazione a ciascuno di loro. Troverete le modalità di presentazione, come in precedenza. Patty, tu partirai con loro come manager insieme a Amy e Jenny. - aggiunse sottolineando il rapporto confidenziale che c’era tra le manager delle squadre più in vista del campionato scolastico giovanile.

- E’ magnifico Patty, potrai andare in Francia. - disse Evelyn entusiasta per l’amica.

- Bene, penso che sia tutto per il momento. Che dirvi di più ragazzi. Buona fortuna a tutti, a quelli che intraprenderanno la carriera lavorativa e a coloro che si iscriveranno all’università. -. Così dicendo il mister lasciò che i ragazzi si diradassero e che ognuno di loro prendesse la propria via del ritorno. Patty rimase sul campo richiamata dall’allenatore.

- Ho saputo che hai vinto la borsa di studio. Complimenti Patty. Sei sempre stata il fiore all’occhiello del gruppo…tutti di adorano qui…mi mancherai manager. -

- Grazie mister. -

- A proposito, mi sembrava giusto dirtelo. La federazione ha convocato anche Holly ma al momento sembra che non sia disponibile: sicuramente non prenderà parte alle eliminatorie e non si sa se potrà raggiungervi per la fase finale, sempre che il Giappone passi i turni ovviamente. -

- Holly si è infortunato due settimane fa e mi ha detto che resterà in Brasile per terminare la riabilitazione. -

- Sì, me ne avevano parlato, ma vedo che tu sei più informata di me. - le disse sorridente.

- Perché non lo ha detto ai ragazzi? - chiese Patty cercando di cambiare discorso.

- In questi tre anni, anche con l’aiuto di Benji e di Tom la squadra ha vinto lo stesso. Per anni si sono appoggiati solo su Holly e da quando lui è partito sembrano aver capito che possono contare anche sulle loro forze. Sai Patty, ho letto un articolo sul calcio straniero. Holly si sta facendo conoscere anche in Brasile. Sembra che sia diventato il terrore delle difese brasiliane. D’altronde dovevamo aspettarcelo. Un giocatore della sua classe aveva bisogno di completarsi presso una scuola calcistica professionale come quella brasiliana. -

- Sono contenta per il nostro capitano e sono convinta che al suo ritorno sarà un calciatore professionista. - rispose con gli occhi lucidi per l’emozione. Quando si parlava di Holly, era felice, il suo cuore accelerava e tremava come una foglia, il suo volto si illuminava.

Rimase ancora un po’ a parlare col mister poi andò via salutandolo affettuosamente.

- Sono convinto che tornerà da te. Ti vuole bene! - le disse prima di congedarsi spiazzandola del tutto. Possibile che i suoi sentimenti fossero così chiari a tutti tranne che al diretto interessato?

 

 

 

San Paolo, Brasile.

 

- Ehy Holly ma si può sapere a cosa pensi? - chiese Pepe cercando di catturare la sua attenzione. - Fammi indovinare…la ragazza della foto che hai in camera tua, vero? Roberto dice che è una tua cara amica. -

- Hai finito di psicanalizzarmi. Non possiamo continuare con il nostro allenamento mattutino per favore. Devo riprendermi dall’infortunio se voglio partecipare ai mondiali giovanili. -.

- Scherzi. Devo fartela pagare per avermi svegliato anche stamattina all’alba per correre sulla spiaggia. -

- Rinforza i muscoli…e poi non mi va di parlarne. -

- Uhmmm, di cattivo umore questa mattina? -

- Dai Pepe, per favore. -

- Io non ti capisco. Perché non la chiami o non le dici che ti sei innamorato di lei? -. Holly diventò paonazzo. Nessuno gli aveva mai parlato così apertamente. Guardò l’amico brasiliano e si girò. Lasciò che il pallone scivolasse sul bagnasciuga e si sedette sulla sabbia. Pepe lo imitò ma questa volta non parlò. Doveva essere il suo compagno a fare la prima mossa.

- Non è facile. Quando Roberto mi disse che potevo partire, che potevo raggiungerlo in Brasile, compresi che avrei dovuto lasciare tutti. Non ci avevo mai pensato, sai? Mai fino a quel momento. Capii che avrei lasciato la mia famiglia, i miei amici, che avrei lasciato lei. Più pensavo a lei, più il mio cuore batteva. Non era mai accaduto prima. Siamo amici da anni, lei è sempre stata al mio fianco, nel bene e nel male lei c’era sempre.

- E’ stato proprio questo il mio pensiero. Io avevo sempre pensato che lei fosse in squadra perché c’ero io. Mi sbagliavo: ero io che avevo bisogno del suo appoggio. Di sapere che lei era sugli spalti a tifare per me, o a litigare con il mister e il medico per farmi giocare quando era infortunato. Era lei che mi rifaceva le fasciature, lei che mi seguiva in ogni mio passo. Qualsiasi cosa…beh, lei era con me, era la mia fonte di sicurezza.

- L’ho capito solo quando la stavo salutando. Istintivamente l’ho presa tra le mie braccia. E’ stata una sensazione indefinibile. Da allora non c’è giorno che non la pensi, che non guardi la nostra fotografia. Desideravo venire in Brasile, era il mio sogno di bambino che si stava avverando. Eppure, per salutarla un’ultima volta ho rischiato di perdere l’aereo. Per lei, solo per lei. L’ho stretta ancora tra le mie braccia e le ho chiesto di aspettarmi. - raccontò facendo leva su tutte le sue forze per evitare il terribile imbarazzo nel quale si ritrovava.

- E lei? -

- Mi ha detto che mi aspetterà, che quando tornerò sarà ancora lì. Ho avuto la convocazione per i campionati under 19. Se il Giappone passerà i turni eliminatori come penso, partirò per la Francia per la semifinale. -

- E lei cosa c’entra in tutto questo? -

- Desidero vederla, Pepe, stringerla tra le mie braccia, sentire ancora il suo profumo, baciarla.-

- Amico, tu sei innamorato cotto. Ma sei sicuro che lei ti ricambi? -

- I nostri compagni l’hanno sempre canzonata perché ritenevano che fosse innamorata di me. Se al mio ritorno non fosse così, non potrei che darle ragione viste le mie eterne indecisioni.-

- Vuoi dire che non le hai detto che ne sei innamorato? -. Holly scosse il capo.

- Amico tu sei proprio strano. Sei innamorato cotto di una ragazza che ti corrisponde, tra l’altro anche molto carina e non glielo dici? Sei un caso irrecuperabile. Ma cosa aspetti…chiamala e diglielo. - disse poi riprendendo il pallone e continuando a correre sul bagnasciuga.

La sabbia era fresca. L’aria del mattino frizzante. Rimase seduto a contemplare il mare calmo le cui piccole onde venivano sospinte dolcemente lungo la riva.

- Sono sicuro che ti piacerebbe il mare in questo momento. Cosa pagherei per vederti correre lungo questo bagnasciuga, correre da me, per me. Come mi manchi. Ma come faccio a dirtelo? Cosa mi sta succedendo? Possibile che Pepe abbia ragione, che mi sia innamorato pazzamente di te, piccola stella mia. Nella mia mente ci sei solo tu, nel mio cuore tutte le parole che non ti ho mai detto. Se solo i miei pensieri ti potessero accarezzare. Finita la riabilitazione, se il Giappone passerà il turno, andrò in Francia. Chissà se sei stata convocata anche tu. Come farò a dirti che dopo il mondiale resterò in Europa? Che da settembre giocherò molto probabilmente in uno dei club più esclusivi a livello mondiale? Cosa devo fare? Non voglio rinunciare alla mia carriera, ma soprattutto a te…non un’altra volta. Se solo tu lo vorrai, ti porterò con me. Non mi sono mai sentito così triste. In questi tre lunghi anni sono successe tante cose. Più si avvicina la data del nostro prossimo incontro e più mi sento confuso. E se tu fossi cambiata? Se ti fossi stancata di aspettarmi? Cosa succederà quando ti dirò che andrò in Europa? Piccola stella mia, come vorrei che tu fossi qui, ad aiutarmi, a darmi il sostegno che mi hai sempre dato in passato. - pensò continuando a guardare il sole che accendeva il cielo delle tenui tinte mattutine. Si rialzò e ricominciò a correre nella speranza di rivedere la ragazza che amava nella meravigliosa cornice della capitale francese. Aveva trascorso tre anni senza di lei, nutrendosi delle sue lettere e delle telefonate, alimentando quella complicità nata in Giappone. Nonostante avesse scoperto di amarla, non riusciva a trovare il coraggio per confessarglielo. Aveva il timore profondo di essere rifiutato proprio dalla persona a cui teneva maggiormente.

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Capitolo 3
*** Una notizia inaspettata ***


CAPITOLO 3

 

Una notizia inaspettata

 

 

Da quando il giorno prima il mister le aveva annunciato che sarebbe andata in Francia, era ancora più confusa. C’era la probabilità che Holly non avrebbe raggiunto il gruppo a causa dell’infortunio. Per tutta la notte aveva pensato a questa eventualità. Quando l’avrebbe rivisto? Nella sua ultima lettera le aveva parlato dell’infortunio ma non del suo ritorno in Giappone, neppure per le vacanze estive. Ammesso che i suoi genitori le avessero permesso di andare a studiare in Europa, quando avrebbe rivisto Holly? Il pensiero di non rivederlo più la angosciava.

Gli aveva promesso che sarebbe stata lì al suo ritorno e lui che sarebbe diventato un calciatore professionista. L’idea di non mantenere la sua promessa la fece crollare in un turbine di ansia e dubbi, ma sapeva che doveva decidere in fretta che fare del suo futuro.

- Patty, scendi. Il pranzo è pronto! - disse la signora Gatsby cercando di richiamare l’attenzione della figlia.

- Arrivo. - rispose sospirando. - Okay Patty, stai calma. Adesso dovrai dire ai tuoi genitori che sei stata convocata per il raduno della nazionale e che intendi studiare giornalismo. Accidenti, da dove inizierò? Già mi sento mio padre…E’ appena tornato da Londra ed io me ne vado. Pazienza. E’ la mia vita, sono maggiorenne ed è anche ora che io vada per la mia strada. Perché mi sento così irrequieta. Ho la strana sensazione che non andrà proprio tutto come spero. - pensò guardando la fotografia sul suo comodino. Lei e Holly ai tempi del terzo campionato scolastico. Sorrise e uscì dalla camera.

- Allora tesoro, ti stai riposando? -

- Più che altro mi sto annoiando. Per fortuna ancora per poco. Dalla prossima settimana avrò di nuovo da fare. - disse accomodandosi intorno al tavolo. Sua madre continuava a servire la portata non distogliendo lo sguardo dalla figlia. George Gatsby fissò la ragazza seduta al suo fianco. Com’era cresciuta. Se chiudeva gli occhi la ricordava come una bimbetta di pochi anni che correva per tutta la casa. Non era mai stata quieta e pacata, tuttavia negli ultimi anni il suo carattere irruente si era addolcito. Adesso la vedeva come una donna dai lineamenti semplici ed eleganti, affinati da anni di sport. Sua figlia era davvero una bella ragazza e in poco tempo avrebbe fatto strage di cuori, ne era certo. Se la sua vera madre avesse potuto vederla, sarebbe stata molto orgogliosa di lei.

- Che vuoi dire? - chiese sua madre accomodandosi a fianco del marito, - Perché dalla prossima settimana sarai impegnata? -.

- Vedete, sono stata convocata come manager per i mondiali under 19 che si disputeranno in Francia. -.

- Ancora questo calcio. Pensavo che con la partenza di Holly e con la fine della scuola la smettessi di correre dietro a quel pallone. Dovresti pensare ad altro, per esempio a studiare…

- Aspetta un attimo! - esclamò con il sangue che le ribolliva nelle vene, - Cosa vorresti insinuare? Che in questi anni ho perso il mio tempo? C’era un patto tra noi. Se ogni anno fossi stata promossa con il massimo dei voti avrei potuto continuare a seguire la squadra di calcio e i vari raduni! L’hai dimenticato? Anche quest’anno ho preso il massimo dei voti ed ho conseguito una borsa di studio per andare a studiare in un’università straniera. -

- Non l’ho dimenticato. Ma preferirei che ti togliessi dalla testa il calcio e pensassi a qualcosa di più concreto. -

- Forse ti dimentichi che sono un’adolescente con le sue passioni esattamente come le avevi tu alla mia stessa età. Oppure devo pensare che questo tuo atteggiamento ostile nei miei confronti derivi da desideri repressi nella tua giovinezza? - le disse amaramente ma decisa. George guardava la moglie e la figlia affrontarsi in quel duello a spada tratta. Doveva trovare le parole giuste per parlare con Patty e soprattutto per calmarle.

- Patty, tesoro, la mamma non intendeva dire che hai perso tempo in questi anni, perché noi sappiamo benissimo che ti sei impegnata in tutto quello che hai fatto. Ora però c’è una cosa che dobbiamo dirti. Ti chiedo di farmi parlare ed ascoltarmi. -

La ragazza asserì e tornò a sedersi lanciando un’occhiata di sfida verso la donna che le sedeva di fronte.

- La mia società mi ha offerto un lavoro all’estero, altamente remunerativo e che richiederà la mia costante presenza in quel paese. Si tratta di progettare e dirigere i lavori di vari complessi edilizi in Spagna. Il contratto durerà cinque anni e tra due settimane dovrò cominciare. -

- Non mi dirai che stai pensando di farci trasferire….

Patty non terminò neppure la frase che il padre assentì.

- Sì. Cinque anni sono lunghi e non voglio lasciarvi qui ad aspettare lettere o telefonate. Siete la mia famiglia e desidero che mi seguiate in Europa. -.

- Tra due settimane? - chiese ancora attonita per la notizia.

- Sì Patty. Io e la mamma ne abbiamo già parlato e siamo d’accordo su questa decisione. -

- Appunto. Voi ne avete parlato. Non mi avete considerato prima di decidere? La preparazione della nazionale under 19 comincia la prossima settimana e poi si andrà in Francia. Io li seguirò. -

- Tu verrai con noi a Barcellona. - tuonò decisa Alison Gatsby.

- Devo mantenere il mio impegno con la squadra. Quando inizio una cosa solitamente la finisco. - rispose risoluta.

- E poi, tesoro, a Barcellona ci sono delle ottime università. Potrai studiare ingegneria o architettura. - le disse il padre nella speranza di ammorbidire i toni di quella conversazione fin troppo spinosa.

- Cosa? Chi vi ha detto che io voglio studiare ingegneria o architettura? Non vi è saltato in mente che con la borsa di studio avrei preferito andare ad Harvard o a Yale negli Stati Uniti? Ma in questa casa qualcuno ha un minimo di considerazione per la sottoscritta? Cos’altro avete deciso per me, oltre al trasferimento dall’altra parte del mondo e alla facoltà cui iscrivermi? Un marito? Certo, perché mi manca solo quello. E papà, l’hai già conosciuto il pretendente al trono? - urlò sempre più irritata dal comportamento dei suoi genitori.

- Patty calmati! - la intimò la madre rossa in volto.

- Perché, altrimenti cosa succede? Io andrò in Francia con i ragazzi e studierò giornalismo che voi lo vogliate o meno. -

- Tu non puoi decidere senza il nostro consenso!- urlò la madre perdendo il controllo della situazione.

- Perché, invece tu puoi? Cosa ti fa pensare che non sia abbastanza matura per prendere certe decisioni? Ho forse commesso qualche malefatta, oppure qualche volta ho perso il controllo in situazioni in cui non avrei dovuto. Mai, mi sono sempre comportata come una figlia modello. E questo è il modo in cui mi ricompensate. Continuare a decidere per me come se fossi un’interdetta sociale. Quando sei entrata nella nostra famiglia io avevo solo sette anni e ti ho accettata per quella che eri. Non ho mai cercato di cambiarti. -. Aveva gli occhi lucidi e le gote infiammate dall’ira.

Alison ebbe come un sussulto. Patty le aveva ricordato che lei non era la sua vera madre, ma solo ed unicamente la seconda moglie di George Gatsby. Era vero: aveva solo sette anni quando entrò a far parte della famiglia e seppur timidamente, accettò quella nuova presenza che prendeva il posto della sua mamma naturale, deceduta a causa di una leucemia fulminante. Il loro rapporto non era mai stato molto stabile e per evitare di litigare, Patty cercava di evitare qualsiasi tipo di discussione con lei.

- Perché vuoi andare in Francia? Per raggiungere il tuo amichetto? Ma non lo vedi che ti ha abbandonata senza pensarci due volte e se ne è andato in Brasile? - sogghignò Alison colpendo Patty direttamente al cuore.

Se voleva ferirla, c’era riuscita sicuramente. Aveva tirato in ballo Holly, la persona che Patty amava di più, per la quale avrebbe donato la sua stessa vita.

- Tu non sai niente di noi due. E non ti permetto di fare illazioni stupide e meschine su Holly. - rispose in tono glaciale. Il suo sguardo era talmente tagliente che avrebbe potuto ferire chiunque. Alison la fissò cercando di contrastare quell’espressione dura e decisa. Era un muro invalicabile. Non avrebbe mai dovuto dire la frase che aveva appena pronunciato perché comprese di aver perso la figlia in quel preciso istante.

- Adesso smettetela tutte e due di incolparvi a vicenda e di urlare in questa maniera. Cerchiamo di raggiungere un accordo. Ti avevamo fatto una promessa: se avessi conseguito buoni risultati nello studio avresti potuto seguire la squadra. Potrai andare in Francia con i tuoi amici. Consideriamola come una vacanza premio per il diploma. -

- Ma George….

- Alison, le promesse si mantengono. Ci trasferiremo tutti a Barcellona, Patty. Non posso rinunciare a questo lavoro e vorrei finalmente vivere in una famiglia normale, senza sapere che mia figlia si trova in un altro continente.. Senza contare che ne trarremmo un grosso vantaggio economico. Non appena il Giappone perderà una partita tu dovrai tornare qui e se arriva in finale, partirai il giorno stesso. Per quanto riguarda la facoltà da decidere, ne riparleremo quando arriverai a Barcellona, ma resta inteso che resterai in Spagna con noi. Ho incaricato un’agenzia immobiliare di trovarci una casa confortevole e di vendere questa. Dovrei avere la risposta tra qualche giorno. Se tutto va bene, partiremo tra tre settimane al massimo. - concluse George sperando di aver tranquillizzato madre e figlia.

- Io non ho più fame. Scusate vado in camera mia. - disse voltandosi e salendo di corsa le scale che conducevano al piano superiore. Chiuse la porta a chiave e scivolò sul pavimento in preda ad un pianto dirotto. Si era arresa alla volontà del padre pur di andare in Francia, nella speranza di rincontrare Holly.

- Holly ti prego, vieni in Francia o non potrò più vederti! Ti prego amore mio, non mi lasciare anche tu! -.

 

 

San Paolo, Brasile.

 

Holly correva al fianco di Roberto Sedinho. Sembrava completamente assorto nei suoi pensieri.

- Allora Holly, come ti senti? La gamba ti fa male? -

- Ancora un po’. Se continuo ad allenarmi potrò raggiungere i ragazzi in Francia. -

- Devi pensare alla tua carriera non al mondiale. -

- Roberto, per favore, non mi fare certe prediche. Sai benissimo che desidero alzare quel trofeo e lo farò. -

- Non ne avevo alcun dubbio. Senti Holly ti devo parlare di una cosa molto importante. - gli disse con sguardo serio. Si fermarono a bordo campo e si avvicinarono ad una fontanella. Holly si sciacquò il volto madido di sudore. Non sembrava più lui. Era cambiato molto fisicamente. Era diventato più alto e i muscoli si erano tonificati sia sul petto che sulle gambe. I duri allenamenti cui si era sottoposto avevano fatto di lui un grande campione anche in Brasile. I ragazzi avrebbero stentato a riconoscerlo.

- Di che si tratta Roberto. -

- La scuola è terminata e il tuo contratto con la squadra scade tra qualche giorno. Hai tre scelte Holly: restare qui in Brasile e andare presso qualche squadra della liga maggiore, tornare in Giappone in attesa di qualche buona occasione oppure andare in Europa! -

- Europa? -

- Sì. Prima a proposito del mondiale scherzavo. Devi mettercela tutta Holly. Devi prendere parte a quel campionato anche se solo per una partita. Sarà una vetrina molto importante a livello internazionale. I migliori giocatori del mondo giocano in Europa: Francia, Germania, Italia, Spagna. E’ quello il traguardo che ti devi prefissare. -

- Cosa mi consigli? - chiese denotando una certa esperienza.

- La tua tecnica si è affinata tantissimo Holly. Tu sei un bravo giocatore, sai fare squadra e sai risolvere la partita in ogni momento. Vai all’estero. E’ l’Europa il tuo futuro. -

- Ma come faccio? Se non riuscissi ad arrivare in tempo per il mondiale? -

- Questa è l’altra notizia che volevo darti: due grosse società spagnole ti hanno visto giocare durante questo campionato. -

- Spagna? Dove giocano Ronaldo, Roberto Carlos e dove militano forse i giocatori più in vista del parterre internazionale. -

- Esatto. Mi hanno detto che ti contatteranno durante il mondiale. Dovrai essere tu a scegliere. So che lo farai al meglio. -

- L’Europa. La Spagna. Sembra un sogno. -

- Non lo è. Puoi realizzare anche quello Holly. - gli disse mettendogli una mano sulla spalla. Il suo pupillo era cresciuto: era diventato un uomo che stava varcando la soglia dell’età adulta con tanti sogni nel cassetto che avrebbe sicuramente realizzato.

- Patty. Non ci crederà quando le dirò che forse andrò a giocare in Spagna. No, non glielo dirò. Sono sicuro che andrà in Francia. Le parlerò quando ci incontreremo e le chiederò di venire con me. - pensò allontanando lo sguardo dal suo tutore.

- Ehy Holly, ci sei? Ultimamente mi sembri un distratto. Qualche problema? - gli chiese accompagnandolo verso le docce.

- No, no. - mentì cercando di evitare il discorso già intrapreso con Pepe. Aprì la porta delle docce e se la richiuse alle spalle sottraendosi allo sguardo indagatore di Roberto.

 

Il giorno seguente Patty si incontrò con Amy e Jenny nei grandi magazzini di Tokyo.

- Allora Jenny come va? -

- Vi devo dare una notizia sensazionale. Philip è stato contattato dal Manchester United e dopo i mondiali prenderanno accordi per il suo trasferimento in Inghilterra. - disse entusiasta.

- E’ fantastico. E tu? Lo seguirai? -

- Certamente. Ovunque lui andrà io sarò con lui. -

- Beh, cara Patty, tu non lo sai ma Jenny e Philip praticamente fanno vita da sposati. La sorella di Jenny si è appena sposata e quindi casa libera a tutte le ore. -

- Amy! - la ammonì Jenny rossa per l’imbarazzo. Patty sorrise. - Perché tu invece. E’ una vita che vivi a casa di Julian. Prima per i suoi problemi medici. Adesso vi manca solo la fede al dito. -

- Smettila, gelosona. - rimbeccò la ragazza dai capelli castano ramati.

- Scusaci Patty, noi non volevamo…

- Assolutamente no, ragazze. Sono contentissima per voi. Almeno c’è qualcuno che riesce ad avere un rapporto normale. -

- Vedrai che presto le cose cambieranno anche per voi. - disse Jenny riferendosi al suo rapporto con Holly.

- Ho qualche dubbio in merito. Tre anni fa ho fatto una promessa a Holly: che quando sarebbe tornato in Giappone, io sarei stata lì ad aspettarlo. Invece non ci sarò. - disse con voce fievole chinando il capo. Si sedettero su una panchina all’ombra di un salice nel giardino antistante i grandi magazzini.

- Mio padre si deve trasferire in Spagna per lavoro e così ha deciso che dobbiamo seguirlo. Mi lascia venire in Francia al solo patto che alla fine dell’ultima partita del Giappone, che siano gli eliminatorie o la finale, io li raggiunga immediatamente. -

- Mi dispiace Patty, ma penso che se spiegassi tutto questo a Holly…lui capirebbe. - disse Amy cercando di incoraggiare l’amica. Scosse il capo dissentendo.

- Mi sento una stupida. Sembra quasi che il destino che ci ha divisi tre anni fa, si rifiuti di ricongiungerci. Non so neppure se Holly verrà in Francia. E’ reduce da un infortunio e adesso è in riabilitazione. E se lo vedrò…sarà per pochi istanti perché poi dovrò raggiungere la mia famiglia. -

- Ma cosa ti importa di loro? Vai da Holly. E’ lui la persona che ami! - disse Jenny. - Io e Philip abbiamo lottato tanto per stare insieme, soprattutto contro i pregiudizi della mia famiglia. Non hai nulla da perdere. -.

- Non è così semplice. Tu sapevi che Philip ti amava. Holly non me l’ha mai detto. Mi ha solo dimostrato che ci tiene alla mia amicizia. -

- Stupidaggini. Anche se non te l’ha detto è palese che sia cotto di te. -

- Amy lo sai meglio di me che tra il pensare e il parlare c’è di mezzo un oceano. Anche tu avevi mille dubbi circa i sentimenti di Julian per te. Alla fine ha trionfato l’amore, per fortuna. Ma il vostro era un rapporto diverso. Io e Holly non ci vediamo da tre anni e forse non ci vedremo più perché sono costretta ad andare con i miei genitori. -

- E se lo dicessimo noi a Holly? Cioè se chiedessimo a Philip e a Julian di chiacchierare con lui e per caso dirgli del tuo improvviso trasferimento? Potrebbe sondare il terreno e constatare la sua reazione. - disse Jenny sperando che la sua idea fosse accolta con entusiasmo dall’amica.

- Assolutamente no. Non ho alcuna intenzione di condizionare le sue scelte…

- Ma non si tratta di condizionare la mente di nessuno, semplicemente di dargli una mano a riflettere. -

- Ragazze, per favore, se mi volete bene, rispettate la mia decisione. Holly non lo deve sapere. E’ già una grossa delusione per me. Avevo pensato agli Stati Uniti perché sono più vicini al Brasile. Invece anche questo tentativo sembra esser svanito nel nulla. Ora capite il mio pessimismo? Ho l’impressione che mi stia crollando il mondo addosso. Maledizione! Prima l’infortunio di Holly che metterà a serio rischio la sua partecipazione ai mondiali; poi i miei genitori che non solo mi vietano di andare negli Stati Uniti, ma non vogliono che studi giornalismo; il trasferimento in Spagna. Io…io non so più cosa pensare. C’è qualcosa per cui essere felici? -. Jenny e Amy ascoltavano silenziose lo sfogo dell’amica comprendendo che negli ultimi tempi la sua vita si era davvero complicata. Era sola a combattere contemporaneamente contro il muro eretto dalla sua famiglia e contro il desiderio di vivere la sua vita.

- Ho un desiderio immenso di scappare da tutto e da tutti: andar via e decidere da sola per me stessa. Ma vengo assalita dai rimorsi. Continuo a pensare a Holly e alla delusione che proverà al suo ritorno in Giappone quando non mi troverà. I miei genitori sono scontenti di me e della mia idea di andare a studiare giornalismo negli Stati Uniti. Mi sento di impazzire. - esclamò infine coprendosi il volto con le mani. Era disperata. Se solo Holly le avesse mostrato un po’ più amore, forse la decisione dei suoi genitori di trasferirsi in Europa non le sarebbe sembrata così drastica e penalizzante.

Amy e Jenny cercarono di consolare l’amica invitandola ad essere più ottimista e che ben presto le cose sarebbero cambiate. Loro erano convinte che Holly avrebbe preso parte ai mondiali e in quell’occasione lei avrebbe potuto parlargli. E se il padre le aveva detto di partire subito dopo la partita, beh l’avrebbe fatto attendere perché prima doveva chiarire la sua posizione con il capitano. Era la sua ultima occasione per farlo di persona dato che poi si sarebbe trasferita in Spagna.

 

 

 

 

- Patty, ma…sei proprio tu? - le chiese vedendola lì, davanti ai suoi occhi. Era bellissima. I capelli al vento, il corpo avvolto in un vestitino di lino ecrù. Holly le corse incontro in preda ad un entusiasmo irrefrenabile. Quanto aveva atteso quel momento. La ragazza che amava era a pochi passi da lui, su quella spiaggia dove ogni mattina andava a correre. Prima che lui potesse raggiungerla, lei gli fece cenno con la mano di fermarsi.

- Mi dispiace Holly. Non potremo più vederci. Io devo andare via…

- Ma…cosa dici…tu non sai da quanto aspettavo questo momento. Mi dispiace non aver trovato il tempo per venire a trovarti. Tu non sai neppure quanto lo desiderassi…Patty, perché piangi? E’ colpa mia? - le chiese avvicinandosi di più alla ragazza. - Come sei bella. - le sussurrò accarezzandole il viso.

- Holly, io devo andare via, devo partire per un lungo viaggio. Sono venuta qui per dirti addio. Mi dispiace. Non posso mantenere la promessa che ti avevo fatto. Quando tornerai in Giappone io non sarò più lì ad aspettarti. - gli disse mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto. Holly era attonito. Le prese il volto tra le mani e con le dita cercò di spazzar via quelle lacrime.

- Non lasciarmi, Patty. Ti prego. Io….io ti amo. -

- Mi dispiace Holly, addio. - disse liberandosi dalle sue braccia e correndo via. Rimase fermo e incredulo mentre la sua figura si allontanava sempre più.

- DRIIIIIIIIINNNNN! -

Holly si svegliò di soprassalto mettendosi a sedere. Il volto era madido di sudore.

- Era un sogno, uno stramaledettissimo sogno. - disse passandosi una mano tra i capelli. - Cosa diavolo voleva dire! Possibile che il mio desiderio di rivederla sia tale da indurmi a pensare di poterla perdere? La mia piccola Patty. Devo chiamarla. Voglio sapere se andrà in Francia. Le dirò che devo parlarle. Non voglio più aspettare. Sto impazzendo. Desidero sentire la sua voce dirle quanto la amo. Non mi importa cosa mi dirà. - aggiunse alzandosi. Con passo deciso si avviò verso la doccia attendendo che lo scrosciare dell’acqua gli bagnasse la pelle e portasse via con se quella situazione di angoscia procurata dal sogno.

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Capitolo 4
*** Una partenza tra mille ricordi ***


CAPITOLO 4

 

 

Una partenza tra mille ricordi

 

Finalmente pioveva. Fino a quella mattina l’aria era stata torrida e irrespirabile. L’idea di partire con quel caldo aveva impigrito i ragazzi che si erano riuniti come richiesto nella convocazione. C’era stata una conferenza stampa nella quale l’allenatore e i delegati delle Federazione avevano esposto i loro piani per il prossimo futuro. Si era parlato del girone di eliminatorio: le prime due di ogni girone avrebbero preso parte agli ottavi di finale. Dagli ottavi in poi gli scontri sarebbero stati diretti e solo le vincenti avrebbero passato il turno. Quando un giornalista chiese ai ragazzi cosa pensavano delle squadre straniere, Mark Lenders esclamò spavaldamente che con il suo “nuovo tiro della tigre” avrebbe battuto tutti i portieri del mondiale. Gli altri componenti della squadra conoscevano la potenza del tiro di Mark tuttavia non apprezzavano il suo egocentrismo. Quando chiesero a chi sarebbe toccata la fascia di capitano, il mister fu molto chiaro: in attesa dell’arrivo di Oliver Hutton, Julian Ross sarebbe stato il regista della squadra nonché il capitano.

Nel girone eliminatorio, il Giappone avrebbe incontrato la Cina, la Norvegia, la Polonia e gli Stati Uniti. Non era un girone particolarmente difficoltoso ma la vincente si sarebbe scontrata molto probabilmente con l’Inghilterra o con l’Uruguay.

Patty, Amy e Jenny indossavano la divisa ufficiale della squadra come i ragazzi: esattamente come loro si preparavano all’imminente partenza per la Francia che sarebbe avvenuta entro due giorni.

 

 

 

- Driiiiinnn. Driiiiiin. -. Il telefono continuava a squillare.

- Accidenti, il telefono! - esclamò Patty varcando in quel momento la soglia di casa. Lasciò cadere la sua borsa sul pavimento e corse verso l’apparecchio.

- Pronto! - esclamò in tono dolce ma affannato dalla corsa che aveva fatto per rispondere.

- Pronto! - ripeté non ricevendo risposta.

- Ciao! -. Il cuore le si fermò. La sua voce. Era lui. Si sentiva debole, con la mano libera cercò un sostegno cui appoggiarsi.

- Ho…Holly! - sussurrò con il cuore in gola.

- Sì. Ciao Patty. Come…come stai? - le chiese con evidente commozione.

- Io…bene. -. Ci fu silenzio tra i due. Desiderava dirgli tante cose eppur qualcosa la bloccava. Perché la chiamava? Che importanza aveva? Era dall’altra parte del filo e desiderava parlarle, proprio a lei.

- E tu? Come va la tua gamba? - gli chiese cercando di uscire dal baratro di confusione nel quale era precipitata.

- Ho ripreso a correre. La riabilitazione va bene. Spero di rimettermi in sesto per i mondiali. -.

- Sono sicura che ce la farai. Io ho fiducia in te. - aggiunse imbarazzata. Da quando era partito, era la prima volta che si sentiva così emozionata nel parlare con lui al telefono. Forse perché la sua telefonata era del tutto inattesa e giungeva in un momento di profonda crisi. Le lacrime le inumidirono gli occhi e le sentì scivolare lungo le gote fino a bagnarle le labbra. Erano amore. Aveva un bisogno disperato di lui, voleva gettarsi tra le sue braccia e trovarvi conforto.

- Lo so Patty…sai…beh, nei momenti difficili della mia vita, tu ci sei sempre. Mi basta pensarti. - ammise tutto d’un fiato sperando di superare quel turbamento che da anni lo attanagliava. Quello che Holly le aveva appena detto era la pura verità. Patty era sempre stata al suo fianco ogni qual volta lui ne aveva avuto bisogno. Non le aveva mai chiesto nulla. Lei c’era e basta e questo le aveva dato sempre estrema sicurezza.

La ragazza era incredula. Aveva palesemente ammesso che la pensava e che la sua presenza contava molto nella sua vita. Cos’era successo a quel ragazzo timido e impacciato che ricordava? Possibile che il sogno avesse sortito simili effetti?

- Grazie Holly. Tu potrai sempre contare su di me, sempre. - rispose commossa ripensando al trasferimento in Spagna.

- Patty…stai piangendo? - le chiese comprendendo lo stato dell’amica.

- No…io…mi è andata un po’ di polvere nell’occhio. Non preoccuparti. -

- Sai, sto cercando di recuperare lo stato di forma dopo l’infortunio. Manager, io ce la farò. Per favore, dì ai ragazzi di giocare per me, fino a quando non potrò raggiungervi. Io ci sarò, in Francia. - affermò convinto.

- Sono sicura che arriveranno in finale e con te alla guida, potremo vincere il mondiale. -.

- Sarà dura, ma ce la farò. Andrai in Francia? -.

- Per l’ultima volta. - rispose inghiottendo le lacrime che oramai dilagavano sul volto. Holly comprese il suo stato d’animo. Stava succedendo qualcosa ma lei non voleva parlargliene. Perché gli aveva detto che avrebbe fatto parte della squadra per l’ultima volta? La sua convocazione esulava dal torneo scolastico.

- Ci vediamo a Parigi. Devo parlarti. - le disse in tono molto dolce. Desiderava aiutarla. Sapeva che aveva qualche problema.

- Anche io! - rispose sempre più in preda all’avvilimento.

- Patty…qualsiasi cosa sia accaduta, non lasciarti prendere dallo sconforto. Tra un po’ saremo di nuovo insieme. - aggiunse cercando di rincuorarla ed esprimendo quello che era il suo pù grande desiderio.

- Grazie capitano. Ci vediamo a Parigi. - gli disse contenta delle sue parole.

- Sicuramente. Ricordati …che ti voglio bene! -. Le sue parole raggiunsero direttamente il cuore di Patty. Quanto aveva atteso per sentirglielo dire, e adesso aveva finalmente udito quelle parole.

- Mi manchi. - rispose lei sinceramente. Questa volta non ci fu silenzio. Holly le rispose subito certo di quello che doveva dirle.

- Anche tu. Ciao Patty. -

- Ciao. - rispose attendendo che Holly riattaccasse. Lei non ne aveva il coraggio, non voleva porre fine a quella telefonata. Desiderava restare lì ad ascoltare il suo silenzio fatto di parole dolci che riusciva ad immaginare, che sembravano sfiorarle il volto come timide carezze. Com’era cambiato il suo capitano. Nella sua mente ancora risuonavano le sue dolcissime parole, quel “ti voglio bene” ricco di significato. Quando non sentì più il suono della sua voce, ripose la cornetta sulla forcella rimanendo immobile a fissare il telefono.

- Il mio Holly. Amore mio, mi hai detto che mi vuoi bene e che ti manco. Non ce la faccio più ad aspettare. Ho bisogno di stare con te. Ti prego, fai in fretta a raggiungerci in Francia. Non m’importa se poi dovremo separarci. Questa volta desidero dirti quanto ti amo. Non mi importa come e dove. Lo farò e basta. -. Sospirò e salì in camera sua. Doveva preparare la valigia per la Francia e tutti i suoi effetti personali che i suoi genitori avrebbero inviato in Spagna la settimana dopo.

 

Quel lunedì segnava la fine della sua adolescenza e l’inizio di una nuova vita. Era andata a salutare la Signora Harper, Evelyn e Susy e Maggie Hutton. Lei e la madre di Holly si erano avvicinate molto dopo la sua partenza.

Si guardò intorno in quella stanza oramai priva di tutti i complementi di arredo e del tempo trascorso insieme. Si affacciò alla finestra sorridente. Tante volte aveva visto Holly e i ragazzi passare per quella strada mentre si allenavano o semplicemente per una passeggiata. Vide le sue valige, quelle per la Francia, pronte sull’uscio. Suo padre le afferrò silenziosamente e le portò in macchina. L’avrebbe accompagnata in auto all’aeroporto di Tokyo. Delineò un’ultima volta i contorni di quella stanzetta, toccò il suo letto che tante volte l’aveva vista piangere abbracciata ad un cuscino. Poi chiuse gli occhi e quando li riaprì uscì. Raggiunse suo padre in auto. Alison non c’era. Quel mattino era uscita di casa molto presto, quasi a volersi defilare per i saluti alla figlia adottiva. Dal giorno della lite non si erano rivolte la parola.

- Hai preparato tutto per il carico? - le chiese George Gatsby non distogliendo lo sguardo dalla strada.

- Sì. - rispose in maniera coincisa cercando di evitare dialoghi e discussioni anche con il padre. Non l’aveva sostenuta nella scelta dell’università e Patty non l’aveva accettato.

- Pensi che la squadra potrà passare i turni eliminatori? - provò a chiederle qualcosa sul calcio nella speranza di instaurare un dialogo.

- Sì. -. George sospirò. Non mancava molto all’aeroporto.

- Okay. Non vuoi parlare, vero? Allora lo farò io al posto tuo. Senti Patty se ho acconsentito alla tua partenza per la Francia non è stato solo perché era previsto nel nostro accordo, ma anche perché pensavo ti avrebbe fatto bene una vacanza durante il trasloco. Non mi piace il rapporto che si è instaurato tra te ed Alison. Lo so bene che non si tratta della tua vera madre ma è pur sempre mia moglie e in questi anni ti ha accudita. -

- Mi ha accudita? Certo, se ti riferisci all’avermi lavato e stirato gli indumenti o all’aver cucinato per me quando non ero sola, allora posso darti ragione. Non si è mai comportata come una madre. Mai una carezza, mai un “brava”, mai un dialogo costruttivo con me. Dacché l’hai portata in casa lei mi ha evitata limitando i suoi incontri con me al minimo indispensabile. Mi pare che poco fa ti abbia dato l’ennesima prova di quello che sente nei miei confronti: nulla, assoluta indifferenza. Non mi ha neanche salutata. Se tutto va bene ci vedremo tra circa un mese in una terra a me sconosciuta, un posto dove sto andando forzatamente. Quindi, ti prego papà, la prossima volta che dobbiamo parlare, facciamolo da soli perché non permetterò ad Alison di mettere voce in capitolo sul mio futuro. Non ne ha diritto: non è mia madre, lei non l’ha mai voluta una figlia come me. Non voglio ricordarti le volte in cui ai raduni con i genitori, voi non c’eravate. Perché se non lo sai, papà, lei non veniva mai. Soprattutto, vietale assolutamente di non ficcare il naso nella mia vita privata. - disse decisa senza guardare il padre. George sapeva benissimo tutte quelle cose perché conosceva Alison. In quegli anni lui era sempre stato fuori per lavoro e non aveva potuto ben comprendere i veri motivi che avevano fatto incrinare tanto il rapporto tra madre e figlia. Vita privata. Sicuramente Patty si riferiva a Holly e al loro rapporto, già citato da Alison in un’altra discussione.

- Mi dispiace. E’ colpa mia se è successo tutto questo. Se fossi stato più presente nella vostra vita, forse avrei potuto fare qualcosa perché il vostro rapporto potesse migliorare. Patty non te l’ho mai detto ma Alison ha perso un figlio quand’era molto giovane, prima che io la conoscessi. Non ha mai voluto che tu lo sapessi perché è il suo punto debole. Ti ha sempre vista come una ragazza forte e sicura di sé ed invidia questo lato del tuo carattere. Tu sei bella, simpatica, acculturata, sei tutto quello che un genitore vorrebbe, quello che anche lei avrebbe voluto. -

- Il fatto che lei abbia perso un figlio non cambia il suo atteggiamento nei miei confronti. A maggior ragione avrebbe dovuto amarmi con più devozione riversando su di me l’affetto che avrebbe voluto dare a suo figlio. Invece trascorre il tempo a punzecchiarmi, ad attendere che metta un piede in fallo per rimproverarmi. E’ questo che mi ha spinta a migliorarmi sempre: il non farmi trovare spiazzata da lei. -.

- La situazione è più drammatica del previsto. Cosa posso fare per rimediare a tutto questo? -

- Lasciarmi vivere la mia vita come ho sempre fatto. Tu non puoi sapere quanto affetto io abbia trovato nei ragazzi della squadra. Loro mi sono sempre stati accanto, in ogni momento. E non sono stati gli unici. Maggie Hutton, la madre di Holly è stata per me una vera e propria madre. Mi ha sempre voluta bene e mi ha accolta come una figlia. Da quando Holly è partito il nostro rapporto si è rinsaldato e non sai quanta pena mi ha procurato l’averla salutata per sempre. Non solo il figlio, adesso anche me. Questa partenza per la Spagna ha provocato più dispiaceri che felicità. Sono contenta per te. Hai sempre lavorato con impegno e questo è il premio per la tua carriera. Ma io me la potevo cavare benissimo da sola. L’ho sempre fatto. -

- Lo so bene, Patty, ma io ho bisogno di te, adesso più che mai. - le disse malinconico. Patty si voltò verso il padre. Aveva l’espressione stanca e segnata.

- Cosa vuoi dire? -

- Alison è incinta di quattro mesi. - esclamò sicuro. Patty sgranò gli occhi. Avrebbe avuto un fratello che in linea di massima sarebbe potuto essere suo figlio.

- Cosa? -.

- Beh, adesso lo sai. Non voleva che te lo dicessi perché si vergognava. -

- E di cosa, di avere un figlio o di mischiare la sua razza con la mia? - chiese con tono amaro.

- Smettila. E’ più fragile di quanto tu possa pensare. E’ proprio questo il motivo per il quale si è allontanata da te. Tu sei la sicurezza in persona, ciò che lei non è mai stata. Ed ora ha eretto un muro di ghiaccio per proteggere se e la creatura che porta in grembo. -

- Io sicura? E’ solo una facciata papà, non quello che sono in realtà. Io ho bisogno degli altri, di sentire il loro calore per non cadere nello sconforto. E fino ad ora l’ho trovato solo nei miei amici. -

- E in Holly, vero? -

- Sì. Ma tanto tutto questo finirà tra un po’. Mi sto allontanando dal mio paese, dalla squadra, da lui. -

- E’ così importante per te quel ragazzo? -. Chinò il capo in segno di assenso. Non servivano parole per chiarire il ruolo di Holly nella vita di Patty. Tutti lo sapevano che era innamorata del capitano, anche loro.

- Mi dispiace Patty, ma questa volta ho bisogno di voi. Ed ho bisogno che tu cambi il tuo rapporto con Alison, in particolare adesso che nascerà il tuo fratellino. Sei una ragazza matura e so bene che mi sarai di sostegno in questa nuova strada. - disse infine parcheggiando l’auto all’interno dell’aeroporto. Patty rimase in silenzio per un po’, poi aprì la portiera dell’auto e scese. Afferrò velocemente un carrello porta bagagli e aiutata da George sistemò la sua valigia. Il telefonino squillò. Vide il numero del display. Era Amy. Erano all’interno dell’aeroporto e l’attendevano.

- Adesso devo andare. - disse al padre guardandolo dritto negli occhi.

- Mi dispiace lasciarci così. -

- Dispiacerti? Sono io che soffrirò per il distacco dalla mia vita, voi sarete presi da altro. -

- Vedrai che la Spagna ti piacerà. Dovresti essere anche più avvantaggiata di noi visto che hai studiato spagnolo per tre anni, no? - le chiese cercando di sdrammatizzare.

- Ciao papà. - gli disse baciandolo freddamente sulla guancia. George la strinse a se.

- Se questo può farti sentire meglio, spero che il Giappone arrivi in finale e che quel giorno tu possa festeggiare con Holly la vittoria della squadra. Sai, è a Parigi che mi sono innamorato di tua madre. - le sussurrò prima di lasciarla andare.

- Ci vediamo a Barcellona. - gli disse spingendo il carrello verso l’entrata dell’aeroporto internazionale di Tokyo.

 

La vide allontanarsi all’interno del grande aeroporto sicuro che la figlia li avrebbe raggiunti in Spagna. Parigi. La città dell’amore, dove lui si era innamorato vent’anni prima di Sarah Robinson, la vera madre di Patty.

- Buona fortuna piccola mia. Spero tanto che tu possa realizzare il tuo sogno d’amore. - pensò rientrando in auto e tornando a Fujisawa.

 

Quando il gruppo fu riunito e il volo fu chiamato all’altoparlante, la squadra al completo terminò le operazioni di imbarco e salì a bordo dell’aeromobile che da Tokyo li avrebbe condotti direttamente a Parigi. Non appena furono in volo, Amy e Jenny si avvicinarono a Patty seduta accanto a Tom Becker, approfittando dell’assenza di quest’ultimo.

- Allora Patty, come stai oggi? - le chiese la fidanzata di Julian Ross.

- Diciamo che va un po’ meglio. Adesso ho davvero una ragione per andare in Francia. -. Jenny e Amy si guardarono in faccia cercando di comprendere quale potesse essere.

- Di cosa parli? - chiesero incuriosite.

- Sapete, l’altro giorno mi ha chiamata. Mi ha detto di aspettarlo a Parigi, di chiedere ai ragazzi di vincere per lui, per poter disputare insieme la finale. E poi, poi mi ha detto che mi pensa e che mi vuole bene. - concluse imbarazzata.

- Davvero? Ma è stupendo. Finalmente quel timidone di Holly sembra aver acquistato un po’ di spina dorsale. -

- Amy! -

- Perché non è vero? Patty ti ha fatto tribolare per anni, cosa dovrei pensare altrimenti, che ha preso una botta in testa e finalmente ha riacquistato un po’ di senno? -

- Adesso smettila di scherzare. - le chiese Patty rasserenata.

- Gli hai detto del trasferimento in Spagna? - chiese Jenny. Il viso di Patty si ombrò. Era evidente che aveva tralasciato questo particolare.

- No, non ne ho avuto il coraggio. Ragazze, mi ho padre mi ha chiesto nuovamente di seguirlo in Spagna senza tergiversare troppo sull’argomento. Tra l’altro, sembra che ben presto avrà bisogno di me. Alison Gatsby è incinta. -

- Che hai detto? Tua madre aspetta un bambino? - chiesero in coro.

- Ssstt. Sì. -

- E non sei contenta che avrai un fratellino? - chiese Amy con il suo solito entusiasmo.

- Fratellastro. Scusate, non ve l’ho mai detto ma lei non è mia madre. -

- Ehy questa è peggio di una soap opera americana. Patty ma cosa stai dicendo? -

- E’ così, vi assicuro che è la verità. Mia madre è morta quand’ero piccola, mio padre si è risposato prima del nostro arrivo a Fujisawa. Solo Holly e sua madre lo sanno. Vi prego non dite a nessuno quello che vi ho detto. -

- Sembra fatto tutto apposta. Il trasferimento in Spagna, il bambino, la tua rinuncia a studiare negli Stati Uniti per tenere unita la famiglia. -

- Già, è in questo triste quadretto manca la tessera principale: Holly. Non sa ancora nulla e non sa neppure che quando lo rivedrò a Parigi sarà forse per l’ultima volta. -

- Ma cosa diavolo stai dicendo? Perché mai non dovreste vedervi più? - le chiese Amy infervorata dall’arrendevolezza dell’amica.

- Papà mi ha chiesto di sostenerlo in questo cambiamento nella sua e nella nostra vita. Alison ha già perso un bambino in passato. E sembra che il suo atteggiamento nei miei confronti nasca proprio da una mancanza di sicurezza. -

- E tu rinunceresti a Holly per lei? - chiese Amy mentre Jenny cercava di calmarla.

- A voi sembra tutto facile. Non avete neppure idea di quello che sto provando. Dovreste convivere con tutto questo per potermi comprendere. Mi trovo a un bivio e volente o nolente dovrò scegliere. Lo farò dopo aver parlato con Holly. - sentenziò concludendo quella conversazione.

Il viaggio fu abbastanza tranquillo e quando finalmente l’aereo atterrò all’aeroporto internazionale Charles de Gaulle era già pomeriggio inoltrato.

I ragazzi salirono tutti sull’autobus che li avrebbe condotti in un albergo di Parigi dove avrebbero partecipato al campionato mondiale under 19.

Seduta accanto al finestrino, Patty pensava a Holly, a quanto avrebbe desiderato passeggiare con lui, mano nella mano lungo la Senna.

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Capitolo 5
*** Cose che succedono ***


CAPITOLO 5

 

 

Cose che succedono

 

 

I ventidue giovani calciatori della nazionale under 19 giapponese unitamente al team che li aveva accompagnati in questa nuova avventura, si erano facilmente adattati al clima mite e ai fusi orari francesi. Dopo gli allenamenti, i ragazzi ne approfittavano per visitare la città senza allontanarsi dall’albergo dove alloggiavano.

La squadra era entusiasta dei risultati ottenuti fino ad allora: avevano superato il turno eliminatorio qualificandosi al primo posto nel proprio girone ed erano ora in attesa di incontrare l’Inghilterra, nell’incontro che avrebbe consentito alla squadra vincente di accedere ai quarti di finale.

Tom Becker, Philip Callaghan, Julian Ross e Mark Lenders avevano dato prova della loro abilità grazie anche al resto della squadra che aveva saputo sostenerli in ogni occasione. La difesa del Giappone inoltre, poteva contare su due ottimi portieri quali Benji Price e Ed Warner. Si era rivelata la squadra rivelazione del campionato, gli outsider che stavano facendo incetta della squadre più titolate. Il Giappone non tradì le aspettative e vincendo uno a zero sull’Inghilterra, ai tempi supplementari si aggiudicò l’ingresso ai quarti dove avrebbe incontrato la vincente tra Portogallo e Italia.

 

 

- Come mai sei qui da sola? - chiese Tom a Patty vedendola fuori dall’albergo intenta a guardare il lento fluire della Senna.

- Apprezzavo questa magnifica città. E’ bellissima a tutte le ore. Sai, stamattina sono uscita presto. Volevo fare una corsa nel parco qui vicino. Non c’è angolo di questa città che non valga la pena di visitare. Accidenti, lo dico proprio a te che ci hai vissuto per tanto tempo! - disse sorridente.

- Hai perfettamente ragione. Parigi è bellissima. Per quanto mi dispiace lasciare i miei compagni, sono contento di tornare qui. -

- Anch’io sono contenta per te. Il Paris Saint Germani è una squadra prestigiosa e tu metterai sicuramente in luce tutte le tue doti. Sono sicura che al fianco di Pierre Le Blanc, i vostri avversari non avranno scampo. -

- Lo spero. E tu, cosa farai adesso? -. Patty abbassò lo sguardo e si affacciò al muretto che delimitava la sponda del fiume. Le luci dei bouquinistes illuminavano fievolmente l’altra sponda, addolcita dalle melodie romantiche dei musicisti di strada.

- Andrò all’università e mi prenderò la mia bella laurea. Non so ancora in cosa. Se non la smetto di litigare con i miei familiari non penso che farò in tempo ad iscrivermi al primo anno. -

- Bruce mi ha detto che ti trasferisci. Che vai via dal Giappone. E’ vero? -

- Sì, ma ti prego di non parlarne. Avevo chiesto a Bruce di non dirlo in giro ma vedo che la sua bocca è stata più veloce della mia preghiera. -

- Sarà una bella esperienza, vedrai! -

- Non saprei. Non l’ho presa molto bene. Tu sei abituato a tutti questi spostamenti, io al contrario sono sempre rimasta in Giappone movendomi solo per le vacanze o per i raduni della squadra. L’idea di cambiare completamente il mio stile di vita non mi entusiasma molto. -

- Forse perché ti senti sola in questo mutamento? - le chiese guardandola. Era diventata davvero bella. Si chiese quale sarebbe stata la reazione di Holly quando l’avrebbe vista. Quella ragazza era capace di indurre tranquillità e dolcezza. La piccola Anego era stata completamente repressa dentro di lei ed ora era sbocciato un magnifico fiore. Indossava dei pantaloni di cotone larghi fino alle caviglie e una maglia a manica lunga con ampia scollatura che lasciava intravedere l’ombellico.

- Accidenti amico, se non ti sbrighi a prenderti questa ragazza penso che qualcuno te la soffierà. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Se non fossi il mio migliore amico ci avrei già provato! - pensò disegnando attentamente i tratti dell’amica.

- Sì, penso che sia proprio così. Vorrei tanto che qualcuno mi dicesse di andare, di fare questo passo perché sicuramente la mia vita cambierà in meglio. Invece è una scelta obbligata. Ho vinto una borsa di studio e anziché soddisfare il mio desiderio di andare a Yale o Harvard, dovrò frequentare una facoltà che a me non piace. E non è tutto. La mia famiglia si è opposta alla scelta di studiare giornalismo. Mio padre mi vorrebbe ingegnere o architetto. Ho la testa piena di confusione. Sembra avvolta nella nebbia più fitta e non riesco a vedere alcun barlume di luce. -

- E poi? - le chiese sapendo che non era tutto. Aveva intuito che il suo risentimento verso quella scelta era legata anche alla presenza di Holly.

- Mi sono sempre sentita al sicuro tra i miei amici e perderli sarà molto duro. E poi…tre anni fa ho fatto una promessa che non potrò mantenere a causa di questo trasferimento. - aggiunse cominciando a camminare lungo il muretto.

Tom comprese che non era più il caso di farle domande. Patty intonò una canzone e accompagnata dalla melodia si allontanò lungo il fiume.

 

- Splendido goal di Mark Lenders che trafigge la difesa italiana e il Giappone si qualifica per le semifinali dove incontrerà la Francia di Napoleon e Le Blanc. E’ strabiliante come questi ragazzi venuti dal Sol Levante siano riusciti a battere le squadre più titolate del mondiale. Sicuramente alcuni di loro li vedremo giocare in Europa nei club maggiori. Adesso l’attesa è tutta per il regista della nazionale nipponica: Oliver Hutton. Il campione giapponese reduce da un infortunio sta completando la terapia riabilitativa in Brasile dove si è trasferito tre anni fa. Cosa ne pensi Jacques. - chiese il commentatore al giornalista seduto al suo fianco, con il quale aveva commentato la diretta della partita Giappone-Italia.

- Ho letto alcuni articoli di un’importante rivista brasiliana circa Oliver Hutton. Pare che fin dall’inizio si sia sottoposto a durissimi allenamenti per raggiungere il livello della sua squadra. Nonostante sia entrato in squadra come riserva, non ha impiegato molto per diventare titolare. Si era già messo in vista nei campionati giapponesi e nel mondiale under 16. Sembra che adesso sia migliorato a tal punto che grosse società europee stiano cercando di ingaggiarlo in vista dei prossimi campionati. Allo stato attuale è il giocatore più quotato. Dal Brasile hanno dichiarato che dovrebbe arrivare a giorni per prendere parte alla semifinale con la Germania. -

- Allora staremo a vedere se riuscirà ad esser presente alla prossima partita. Fino ad ora la squadra se l’è cavata ma il prossimo impegno sa tanto di finale. Il Kaiser ha dichiarato a tutti i giornali che vuole trovare Oliver Hutton in finale, sicuro già di battere il Brasile di Santana e Pepe. -

- C’è sempre stata una certa rivalità tra i due capitani. Inoltre il Giappone ha in porta Benjamin Price che in passato ha militato nelle file dell’Amburgo proprio insieme al Kaiser. Tra l’altro sembra che il procuratore di Price stia firmando un contratto che legherà il portiere al Werder Brema per i prossimi quattro anni. -

- Allora concludiamo facendo i migliori auguri a questi ragazzi che stanno affrontando degnamente il campionato suscitando l’interesse di molti appassionati. - disse il cronista chiudendo il collegamento con la TV.

 

Quella sera la squadra al completo rivide la registrazione della partita trasmessa in diretta da Canal Plus. Più volte il mister fermò la registrazione per far notare ai ragazzi alcune carenze sia in fase di attacco sia di difesa. Quando la partita terminò e ascoltarono i commenti dei cronisti, Mark si alzò in maniera nervosa rovesciando la sedia.

- Mister può dire a Hutton di restare in Brasile. Qui non abbiamo bisogno di lui. Non capisco perché sia stato convocato. Non ha diritto a giocare con noi visto che si trova dall’altra parte del mondo. -

- Mark non capisco il tuo ragionamento. Holly potrà esserci soltanto di aiuto. Oppure temi che ti lasci in panchina visto che non riesci a fare squadra con nessuno? - sentenziò in maniera autoritaria.

- La squadra ha bisogno di me, senza i miei goal non saremmo arrivati neppure ai sedicesimi di finale! - urlò adirato per quanto aveva appena detto il mister.

- Siete in ventidue e sono solo io a decidere chi deve stare in campo e chi in panchina. Mentre guardavamo la partita ti ho fatto notare come tu rifiuti di fare assist ai tuoi compagni o mandarli a rete. Non sei l’unico attaccante Mark. Se non avessi avuto il supporto di Julian, oggi non avresti segnato. E quando ti sei messo a rincorrere per tutto il campo Gentile l’hai atterrato in area di rigore come un principiante, procurando un rigore a favore dell’Italia. Siamo stati fortunati che Benji ha intuito dove stava per calciare, altrimenti avremmo concluso la partita ai tempi supplementari anche oggi. La tua mancanza di integrazione all’interno del gruppo e il tuo individualismo si denotano di partita in partita. So benissimo che è un lato del tuo carattere: sei tu che devi adeguarti ai tuoi compagni. Non gli altri. Potete andare. - concluse l’allenatore congedando i giocatori e le manager. Lo sguardo di Mark si fermò su Patty. Aveva ascoltato tutta la conversazione senza proferire alcuna parola. Gli occhi della ragazza sembravano ardere. Guardò il capitano della Toho con aria di sfida.

- Quando il tuo amichetto tornerà, stai pur certa che farò di tutto perché rimanga in panchina. - le disse passandole accanto e sfiorandole il braccio.

- Holly ha sempre avuto il massimo rispetto per i suoi compagni e per i suoi avversari. Tu compreso. Non penso che meriti tanta ostilità da parte tua. Stai dimostrando di essere un giocatore incompleto, Mark. Il suo unico desiderio è che la squadra vinca, con o senza di lui. Tu al contrario, vuoi vincere solo per te stesso, non hai la minima idea di cosa significhi stare bene insieme agli altri.

- Non so cosa farmene degli altri. -

- Questo è evidente. Tu giochi per sfogare le tue ansie non per il piacere di stare con gli altri. - rispose freddamente. Mark stava parlando male di Holly e questo la feriva. Non poteva permettere che la sua arroganza avesse la meglio.

- Se sei così brava a psicanalizzare le persone come mai hai lasciato che il tuo amichetto partisse abbandonandoti in Giappone? -. Patty era spiazzata. Non si aspettava una simile domanda proprio da Mark.

- Ritengo che questi non siano affari tuoi. Il rapporto che c’è tra me ed Holly è unicamente nostro e nessuno, tanto meno tu, Mark Lenders devi giudicarci. Sono stata chiara? -

- Ah, ah, rapporto! Quello in Brasile si starà sbattendo le migliori ragazze e tu che gli muori ancora dietro. Come sei ingenua. Che peccato che una ragazza così carina si sia innamorata di uno che non pensa proprio. -

- Cosa vuoi da me, Mark? Lasciami in pace. Ti ripeto che non è affar tuo il rapporto che c’è tra me e Holly. Se hai bisogno di sfogare i tuoi istinti sessuali trovati un’altra. - concluse guardandolo dritto negli occhi. Il sorriso del ragazzo aveva qualcosa di meschino. Aveva timore di lui ma non voleva che se ne accorgesse.

- Vieni qua. Io potrei consolarti. - disse avvicinandosi sempre di più a lei. Patty indietreggiò e si ritrovò appiattita contro il muro. Cosa doveva fare? Gridare? Se l’avesse fatto e qualcuno avesse scoperto quello che stava succedendo, Mark sarebbe stato messo fuori dalla squadra e il Giappone sicuramente non avrebbe passato il turno. Doveva vedere Holly e lui sarebbe arrivato solo per la finale!

- Smettila Mark. -

- Ti faccio paura, vero? Perché, se non la smetto cosa farai? Urlerai? Brava, così mi mettono fuori squadra e il Giappone perderà la semifinale. E’ questo che vuoi? -. Sentiva il suo fiato sul collo. Erano così vicini che poteva sentire il suo respiro.

- Non accetto le tue provocazioni! - esclamò duramente slanciando il suo ginocchio tra le gambe del giocatore. Il volto di Mark divenne una maschera di dolore. Si allontanò dalla ragazza piegandosi in due. Lo sguardo di Patty era così carico di risentimento che avrebbe ferito chiunque. Patty chiuse la mano destra in un pugno che caricò di tutto il suo astio e sdegno. Senza pensarci due volte colpì Mark direttamente all’occhio. Il ragazzo gemette per il dolore.

- Sei impazzita! - urlò coprendosi l’occhio.

- Così la prossima volta ti fai passare i tuoi istinti animaleschi. Volevi provocarmi? Ci sei riuscito. Stammi lontano Mark Lenders. Prova ad avvicinarti un’altra volta e la pagherai amaramente. - gli disse poi puntandolo con un dito. Si voltò e lo lasciò a leccarsi le ferite come un cane bastonato.

- Ti è andata bene Lenders. La prossima volta oltre a lei, la lezione te la do io. Ritienilo un avvertimento. Non ti avvicinare più a Patty. - gli disse Benji Price. Aveva assistito in silenzio a tutta la scena. Era tornato nella sala TV per prendere il berretto che aveva dimenticato sulla sedia.

- Ma cos’è, siete diventati tutti difensori della giustizia? -

- Lei è la migliore amica di Holly. Tu non sai quale tipo di rapporto li unisce e non sei tenuto a saperlo. Chiaro! Holly ha chiesto a tutti noi di aver cura di Patty, quindi guai a te se ti vedo ronzarle intorno. - gli intimò afferrando il berretto e uscendo dalla stanza.

 

Patty salì nella sua stanza, e ancora tremante per la brutta avventura appena conclusasi si rifugiò sotto la doccia sperando che l’acqua potesse lavare quella sensazione di inquietudine che le era rimasta. Mark si era comportato in maniera inqualificabile. Certo non avrebbe potuto prendere di mira Amy e Jenny visto che stavano costantemente appiccicate ai rispettivi compagni. Si sentiva terribilmente sola e frustrata. Se solo Holly fosse stato lì, tutto quel che era appena accaduto non sarebbe successo.

- Holly, quando arrivi? Non ce la faccio più. Devo parlarti! Mi sembra di impazzire senza di te. Ho bisogno di te, mi manchi da morire. Mi basterebbe solo vederti, sentire la tua voce, ti prego amore mio fai presto! - disse scivolando lentamente lungo il muro della doccia. Scoppiò in un pianto dirotto mentre l’acqua continuava a scendere su di lei mischiandosi. Erano le lacrime che più volte aveva soffocato, quella malinconia e disperazione represse in fondo al suo cuore in attesa che i sentimenti più belli potessero tornare a vivere.

 

 

La semifinale. Giappone - Francia

 

Le squadre scesero in campo al completo. Patty non staccava gli occhi da Mark Lenders. Suo occhio era ancora gonfio per il pugno che le aveva mollato Tutti si erano chiesti come se l’era procurato e Mark aveva detto semplicemente che aveva sbattuto contro un palo.

Nessuno gli aveva creduto ma lui non avrebbe raccontato in giro che era il risultato di una colluttazione con una dolce signorina.

Dacché c’era stato l’incidente, aveva cercato di evitarlo per non doversi scontrare nuovamente con lui e per cercare di dimenticare quelle sensazioni che aveva provato a causa di un suo comportamento insano.

- Non ti preoccupare Patty. Non si avvicinerà più. - le disse Benji, tenuto al riposo dal mister in vista di un’eventuale finale. La manager si girò verso il portiere. Come lo sapeva? Erano soli quel giorno.

- Tu….-. Benji assentì abbassandosi ancora di più la visiera sugli occhi. La ragazza era arrossita. Chissà cos’aveva pensato il portiere di lei. Erano distanti dal restanti giocatori. Patty chinò il capo mortificata. Probabilmente il portiere ne avrebbe parlato con Holly, a meno che non l’avesse già fatto dato che si sentivano telefonicamente e si scrivevano.

- Non lo sa, non ne ho parlato con Holly. - le disse cercando di tranquillizzarla. Sembrava leggerle nella mente. - Mi sono trovato per caso ed ho assistito a tutta la scena. Lo so che non è colpa tua e che non hai fatto nulla per provocarlo. Mark è stato uno stupido e tu gli hai dato davvero una bella lezione. Sono sicuro che non si avvicinerà più a te. -

- Mi dispiace, Benji. -

- E per cosa? Non fartene una colpa, non ne hai il motivo. Non aver timore, non ne parlerò con Holly. Se vorrai, sarai tu a dirglielo. -

- Non capisco da cosa nasca il suo risentimento nei confronti di Holly. -

- E’ semplice. Holly in una partita può essere davvero indispensabile. Lui no. Holly è un ottimo capitano, uno che fa gruppo e che è seguito dai compagni. Lui no. Gli unici di cui si fida sono Ed e Danny. In tanti anni che lo conosco non è mai cambiato. E poi, penso che sia invidioso del rapporto che hai con Holly. Tu sei sempre stata accanto al nostro capitano, dacché ti conosco vi ho sempre visti insieme Come me, l’hanno notato in molti e questo non ha suscitato poche gelosie. Pensi davvero che a ognuno di noi non farebbe piacere avere qualcuno accanto, qualcuno di speciale come te? -

- Benji, io….ti ringrazio. - gli disse.

- Non lo dico per consolarti. Abbiamo sempre preso in giro Holly per il rapporto che aveva con te. Per il fatto che ha sempre fatto finta di non accorgersi di te come qualcosa di più della sua manager o della sua migliore amica. Ti ho osservata spesso durante questo ritiro. Talvolta sembra quasi che ti estranei dal mondo, sei sognante. E immagino a cosa pensi. Sei così legata al nostro capitano che lo difenderesti a costo della tua stessa vita. -

- Ti ringrazio per le parole che mi hai detto. Sono lusingata di avere un amico come te. -

- Non temere Patty, Holly sa quanto gli vuoi bene e anche se non l’ammette, sono sicuro che ricambia i tuoi sentimenti. Ha solo bisogno di essere incoraggiato. Prima o poi ce la farà. - concluse sorridendole. Lei non rispose. Si erano già detti molte cose. L’avventura con Mark sarebbe stato il loro piccolo segreto e solo lei avrebbe avuto il diritto di parlarne a Holly, se l’avesse ritenuto necessario. Si unirono ai compagni e insieme guardarono la partita.

Il primo tempo terminò zero a zero. La Francia era molto forte e il Giappone aveva dovuto ricorrere alla massima concentrazione e alla sua miglior difesa per contrapporsi a Pierre Le Blanc e Napoleon. I loro attacchi erano sempre più cruenti e Ed Warner aveva dato prova delle sue doti di ottimo saltatore per parare i numerosi tiri inflitti dall’attacco francese.

- Ragazzi, cosa vi succede? Tom, Julian, Mark! Possibile che non riusciate a concretizzare nessuna azione da goal? Mark, quand’eri vicino la porta a dieci minuti dal termine avresti dovuto passare quel pallone a Tom. Si era smarcato e se tu avessi crossato, con molta probabilità avrebbe segnato! Mi pareva di esser stato chiaro. Niente individualismi. Ed come stai? Ho visto che hai sbattuto la spalla contro il palo! -

- Non si preoccupi mister, ce la faccio a continuare. -

- Okay, ma se senti di non farcela chiedi il cambio. Davanti a noi c’è la finale. -

- Sì mister. Bene ragazzi. Cerchiamo di mettere in atto gli schemi offensivi provati in allenamento. Mark se devi fare l’individualista, almeno segna il goal della vittoria. - ordinò l’allenatore.

- Ragazzi, siamo qui per vincere, non per partecipare. Se vinciamo questa partita, andremo in finale, quindi mettiamocela tutta! - esclamò Julian cercando di incoraggiare i suoi compagni.

La sgridata del mister pareva aver ritemprato i giocatori nipponici che partirono subito all’attacco e fallirono due goal prima con Lenders e poi con Becker su suggerimento di Julian Ross. La difesa sembrava essersi ripresa e Denver e Huma parevan aver eretto un muro invalicabile perfino al bravissimo Pierre Le Blanc.

- E’ una partita entusiasmante. Il Giappone sembra essere rinato, risvegliato dopo i quindici minuti di pausa. Ecco Philip Callaghan che si impossessa del pallone. Quest’anno molto probabilmente lo vedremo militare nelle file del Manchester United. Passaggio a Ross. Il regista giapponese dribbla due avversari e crossa al centro per Becker. Il giovane neo acquisto del Paris Saint Germani è pronto per il tiro ma ecco sopraggiungere alla sua destra Mark Lenders. Tom Becker gli passa la palla con un elegante colpo di tacco, Lenders tira ed è goooooooooooooaaaaaaal.

- Il Giappone ha segnato. Il pubblico sembra in visibilio. Un’azione molto bella che a nostro parere premia il cammino della squadra del sol levante fino ad ora. Mancano solo quindici minuti dal termine. Ce la farà il Giappone a conservare questo risultato? La Francia sembra stranita. Sicuramente questo goal era quanto mai inatteso visti i loro numerosi tiri alla porta difesa da Warner. Ma ecco che i francesi tornano all’attacco. Napoleon si è ripreso il pallone di forza dai piedi di Bob Denver e adesso corre verso la metà campo nipponica. Si sta preparando al tiro, ecco che lancia la palla direttamente in porta. Warner si getta verso il pallone. Sembra imparabile. Ma ce la fa. Respinge la sfera con i pugni.

- Attenzione. Pierre Le Blanc si getta contro il pallone ancora carico di effetto ed ecco che tira in porta. Sarà sicuramente goal. Ma no. Il Giappone difende la propria porta con Huma e Denver che respingono il pallone di petto. La palla adesso è sui piedi di Callaghan che sfonda la metà campo francese e scende verso l’aerea di rigore. Al suo fianco ci sono Ross, Lenders e Becker. Callaghan passa a Ross. E’ da solo davanti alla porta ma non tira. Passaggio per Tom Becker che sfodera il suo miglior destro. Reteeeeeeeeeee! Il Giappone si porta sul due a zero. -

- Mancano soli pochi secondi alla fine. Ecco il fischio dell’arbitro. E’ finita. Il Giappone va in finale dove incontrerà la vincente tra Brasile e Germania. Strepitoso. Questi ragazzi che avevamo avuto modo di vedere già ai mondiali under 16 sembrano davvero catapultati verso un avvenire più brillante. -.

Dopo i rituali saluti con la terna arbitrale e con i giocatori avversari, la squadra al completo scese in campo e salutò il pubblico con un giro di campo. La cenerentola del calcio internazionale era oramai entrata nella simpatia del pubblico che non sembrava avvertire per nulla l’uscita della squadra di casa.

 

Quella sera la squadra festeggiò la vittoria con un’uscita di gruppo nel centro della romanticissima Parigi. Julian e Amy, Philip e Jenny passeggiavano abbracciati per le vie della capitale accompagnati dalle risa e dalle battute della squadra. Patty li guardava contenti.

- Oggi mi sembri più rilassata! - esclamò Tom avvicinandosi all’amica.

- Sono molto contenta per la vittoria. Il mister è stato contattato da Roberto Sedinho. Holly sta per partire e dovrebbe raggiungerci in tempo per la finale che si giocherà tra tre giorni. -

- Finalmente saremo di nuovo insieme! -

- Già, si ricostituirà la Golden Comby. - aggiunse con espressione serena. Tom sorrise guardando l’amica. Il suo sentimento verso Holly era così chiaro che traspariva facilmente dalla sua espressione serena.

- Dimenticavo. Stamattina alla reception mi hanno detto che c’era della posta per te. - le disse non togliendole gli occhi di dosso. Era proprio bella. Indossava una gonna bianca di lino lunga fino alla caviglia ed una maglia di cotone a manica lunga di un blu scurissimo. I capelli profumati danzavano sulle spalle ad ogni suo movimento.

- Sì, grazie. Era una busta di mio padre. Le fotografie che ha scattato della nuova casa e il biglietto aereo per il ritorno. -

- Allora sai già quando parti? -. Lei annuì.

- E’ un biglietto open: ho tempo fino a lunedì per partire. Mi basterà contattare la compagnia di volo che l’ha emesso e prenotare il mio posto sul primo volo disponibile. -

- Accidenti. Dopo tanti anni trascorsi insieme, adesso le nostre strade si dividono. -. Il volto della ragazza si rabbuiò. Avrebbe detto addio anche al suo capitano.

- Ebbene sì. Mi mancherà tutto. La quotidianità che avevo quando stavo in Giappone. Andare agli allenamenti, incontrare voi ragazzi, le partite del campionato. Le mie migliori amiche. Perfino quella piccola peste di Susy mi mancherà! -

- Il tempo guarisce le ferite. Ti riprenderai da questo cambiamento. -

- Lo spero. Vieni, raggiungiamo gli altri. - gli disse aumentando il passo e cercando di cambiare il discorso.

Non le importava di partire. A lei sarebbe bastato vedere Holly anche solo per un minuto.

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Capitolo 6
*** Un incontro lungo un istante ***


CAPITOLO 6

 

 

Un incontro lungo un attimo

 

Mancava solo un giorno alla finale. Il Giappone avrebbe affrontato la Germania del grande Karl Heinz Schneider in una partita che si prevedeva molto combattuta. Il Kaiser avrebbe sicuramente cercato la rivincita del campionato under 16 in cui un goal di Holly fece vincere la finale al Giappone.

E a conferma del suo desiderio di battere il numero dieci della squadra nipponica, dopo la semifinale con il Brasile aveva rilasciato un’intervista in cui lanciava la sfida a Hutton.

La Germania poteva contare su ottimi giocatori e il Kaiser si fidava soprattutto del suo braccio destro Strauss e del portiere Bauer, ultimo uomo che Benji Price conosceva molto bene.

- Avete letto i giornali, ragazze? - chiese Amy seduta sul letto di Patty.

- Perché, cosa dicono? - chiese Jenny guardando fuori dalla finestra.

- Schneider ha lanciato una sfida a Holly. Lo vuole in campo domani. Ha detto che desidera batterlo con tutto se stesso e che sicuramente la sua squadra si prenderà la rivincita. - disse riassumendo in poche parole l’articolo apparso su un quotidiano francese.

- Speriamo solo che arrivi! - esclamò Patty indaffarata a preparare le valigie.

- Scusa Patty, ma perché stai preparando le valigie proprio ora? - le chiese Jenny.

- Perché mi sento stranamente irrequieta ed ho bisogno di muovermi. Visto che piove, non possiamo uscire. I ragazzi sono agli allenamenti e devo assolutamente occupare il mio tempo. E poi, domani dopo la partita devo parlare con Holly. Non so se avrò il tempo per preparare il bagaglio! -

- Perché, intendi trascorrere tutto il tempo con il tuo amoruccio? - insinuò Amy accendendo le gote della prima manager della squadra nipponica.

- Amy! Prima di arrivare a certe cose, vorrei parlarci con Holly, non pensi? -

- Ma va! Secondo me dovresti usare un’altra strategia. L’ho letto in un libro. L’uomo di cui è innamorata finalmente torna dopo un lungo viaggio. Non era mai riuscita a confessargli i suoi sentimenti ma questa volta non vuole farsi sfuggire l’occasione. Così, quando lui torna, con una scusa lo trascina nella sua stanza dove si butta tra le sue braccia e lo bacia appassionatamente. Di fronte a tanta irruenza e passione lui risponde con desiderio: la spoglia e la poggia sul morbido baldacchino e passano un’intensa notte d’amore! -. Patty e Jenny erano senza parole. Da quando la loro amica era divenuta così disinibita?

- Amy! Devo forse constatare che dopo l’operazione al cuore Julian sia rinato sotto tutti i punti di vista? - chiese Jenny imbarazzata dal discorso dell’amica.

- Sicuramente anche in quello che insinui. Non ci vedo nulla di male a parlare di certe cose. Cercare l’intimità in una coppia è fondamentale per un rapporto duraturo. -

- L’hai detto. In una coppia. Io e Holly non siamo una coppia. Siamo solo amici e trascinarlo a letto per dirgli “ti amo” mi sembra eccessivo. -

- Ma scusa, non hai asserito tu che al telefono ti ha detto che ti vuole bene. -

- Sì Amy, ma non mi ha mai detto che mi ama. C’è una bella differenza. Io so per certo di amarlo, ma non ho la minima idea di quello che provi lui realmente per me. -

- Sai Amy, penso che Patty abbia ragione! Non può avere un comportamento tanto irruente proprio ora che si rivedono dopo tre anni. -

- Accidenti! Come si fa ad amare una persona a distanza dopo tanti anni? -

- Bisogna provarlo! - esclamarono Patty e Jenny all’unisono. Risero per il coro.

- Quando mi sono allontanata da Philip ho imparato ad amarlo con maggiore intensità anche perché sapevo che ero corrisposta. -

- Io penso di essermi realmente innamorata di Holly il giorno in cui è partito per il Brasile. Mi prese tra le braccia e mi disse che gli sarei mancata. Mi fece promettere di aspettarlo, che sarebbe tornato da calciatore professionista. Solo che quando tornerà in Giappone non mi troverà! - aggiunse in tono sommesso. Le amiche l’abbracciarono.

- Ci mancherai Patty. -

- Vi scriverò sempre. Siete le migliori amiche che si possano desiderare. - disse loro con gli occhi lucidi. - Ecco, per voi! - disse loro porgendo due pacchettini che aveva poggiato sul letto. - Sono dei portafortuna che ho fatto con le mie mani. E su questi foglietti c’è scritto il mio nuovo indirizzo, così potrete scrivermi non appena tornate in Giappone.

Le tre amiche continuarono a parlare ricordando i bei momenti trascorsi insieme soprattutto durante i raduni della nazionale.

Quel pomeriggio trascorse in fretta e quando finalmente le ragazze si riunirono ai giocatori, era ora di cena.

- Mister, ma Holly non doveva essere già arrivato. -

- C’è stato un contrattempo. -. La voce dell’allenatore risuonò gelida in tutto il ristorante. Patty impallidì. La sua ultima occasione di vedere Holly stava lentamente svanendo.

- Pare che ci sia stato uno sciopero dei voli in Brasile e che Holly non abbia potuto prendere l’aereo. -

- Avete visto? E’ il destino! - sentenziò Mark accennando un sorriso di scherno. Amy cercò la mano di Patty e la strinse. Tremava come una foglia. Sapeva bene a cosa stava pensando.

- Se riuscirà ad imbarcarsi con il primo volo utile, dovrebbe arrivare qui domani mezzogiorno. - aggiunse l’allenatore cercando di sedare gli animi.

- Ma la partita inizia alle 14:00. -

- Lo so bene Paul. Sembra che questa volta il destino gli sia avverso. Prima l’infortunio e adesso non riesce a raggiungerci. -

- Non capisco di cosa vi preoccupate. Fino ad ora abbiamo vinto. Domani spiazzeremo Schneider e compagni e saliremo sul gradino più alto del podio. - aggiunse Lenders. Benji lo fulminò con uno sguardo.

- Non preoccuparti. Vedrai che arriverà in tempo! - sussurrò Jenny all’orecchio dell’amica.

- Speriamo. - rispose con voce flebile. Un nodo in gola le impediva di parlare. Si sentì assalire da una disperata voglia di correre via. Voleva stare sola per pensare e forse anche piangere. Dove mantenere un certo contegno e reggere la situazione. Non poteva dimostrarsi una ragazzina debole e con il cuore spezzato.

- Ragazzi, adesso non ci pensiamo. Speriamo solo che arrivi. Adesso dormiamoci su perché domani sarà una giornata molto intensa. - disse Julian cercando di porre fine all’argomento prima che qualcuno lo utilizzasse per colpire Holly alle spalle.

 

Patty non chiuse occhio tutta la notte. I suoi bagagli erano pronti nell’armadio. Di lì a poche ore avrebbe dovuto salutare tutti. L’angoscia che Holly non arrivasse le attanagliava lo stomaco. Era quello il pensiero più ricorrente. Non avere l’opportunità di spiegargli perché non avrebbe potuto mantenere la sua promessa, o di rivelargli finalmente quelli che erano i suoi sentimenti.

 

 

 

Aeroporto internazionale di San Paolo, Brasile.

 

- Holly, se non la smetti di fare avanti e indietro per la sala d’attesa, scaverai una trincea. -

- Sai che non riesco a stare fermo. - rispose a Pepe.

- Maledizione. Proprio adesso doveva esserci lo sciopero. -

- Io non ti capisco. Ma perché ti dai pena per una partita del genere. In fondo i tuoi compagni ce l’hanno fatta da soli. E poi, mio caro, Schneider e compagni sono fortissimi. Ci hanno piegati 3 a 0. - disse Carlos Munoz, assistente di Roberto.

- Io devo andare a Parigi, assolutamente. Costi quel che costi. -

- Lo vedo che vuoi andare in Francia. Dì un po’, ma non saranno mica vere quelle voci che ti vogliono in Francia per amore? -

- Cosa diavolo stai dicendo? - gli chiese con volto adirato. Holly odiava che qualcuno parlasse della sua vita privata.

- Così, i tuoi compagni parlavano di una certa ragazza che probabilmente si trova a Parigi. -

- Lasciamo perdere. Non ho voglia di parlarne. - disse sedendosi su una poltrona vicina la vetrata che si affacciava sulle piste di rullaggio.

- Patty! E’ vero, è per te che vengo a Parigi. Per dirti che firmerò un contratto con una squadra spagnola e che non tornerò molto presto in Giappone. Ti chiederò di venire con me in Spagna, e se tu non vorrai, ti lascerò andare. Perdonami se non te ne ho parlato prima ma volevo farlo di persona. Desidero tanto vederti, stringerti ancora tra le mie braccia. - pensò passandosi le mani tra i capelli. Era visibilmente stanco. Erano circa quindici ore che stazionava in aeroporto. Non aveva voluto andare a casa col timore che all’improvviso il volo fosse partito lasciandolo in Brasile.

- Attenzione prego. I passeggeri del volo Air France 797 in partenza dall’aeroporto internazionale di San Paolo diretto a Parigi, Charles de Gaulle, sono pregati di effettuare il check in immediato dei bagagli e di raggiungere il gate 18 per l’imbarco. Ripeto, gate 18 per imbarco immediato. -

Holly ebbe un fremito. Finalmente. Il suo volo. Afferrò le due valigie che aveva con se e guardò Carlos. Sembrava rinato.

- Beh, finalmente hanno chiamato il volo. Speriamo che questa volta parta. Holly, che dire. E’ stato bello averti con noi. Sei un ragazzo dalle mille risorse e con un grande talento. Il tuo estro e la tua tecnica non hanno rivali. Va in Francia e batti Schneider. Fallo anche per il Brasile. - gli disse accogliendolo tra le braccia e salutandolo affettuosamente.

- Grazie mille Carlos. Mi mancherete tutti. Terrò a mente tutti i vostri insegnamenti. E’ stato un periodo fantastico. - gli disse stringendogli la mano e guardandolo dritto negli occhi. Si girò e felice come non mai corse verso il check in dei voli internazionali. Si accodò alla fila di persone che sostavano davanti al bancone e pazientemente attese il suo turno. La hostess di terra gli chiese di appoggiare i bagagli sul nastro trasportatore al suo lato e dopo aver emesso i tagliandi adesivi con la destinazione, li inviò direttamente ai carrelli elevatori che gli avrebbero caricati sull’aereo.

- Prego signore, questo è il tagliando per i suoi bagagli e questo per il suo biglietto. Può raggiungere il gate 18 per l’imbarco. Buon viaggio. - gli disse la signorina in tono molto cordiale. Holly la ringraziò e rasserenato corse verso il cancello di imbarco.

Il corridoio mobile era già stato sistemato e i passeggeri che per primi avevano effettuato il check in, lo stavano attraversando salendo direttamente sul boeing che li avrebbe portati in Europa.

Holly sospirò, si guardò intorno. Non c’era nessuno. Aveva salutato tutti prima che partissero per l’avventura francese, compreso Roberto. Non aveva voluto che fosse proprio lui ad accompagnarlo e gli aveva detto che si sarebbero rivisti in Spagna.

Poco dopo che tutti i passeggeri si furono sistemati ed allacciati la cintura di sicurezza, l’aereo cominciò a rullare risalendo la pista da dove sarebbe partito. Fu un’operazione alquanto rapida: man mano che procedeva lungo l’asfalto illuminato dalle luci di posizione e di segnalazione, acquistava sempre più velocità fino a quando il comandante non tirò la cloche e il boeing decollò.

- Addio Brasile. - disse Holly sorridente e con il cuore gonfio di felicità per il suo ritorno a casa.

 

 

 

Parigi.

 

Il mister aveva radunato tutta la squadra, le manager e lo staff nella sala riunioni dell’albergo. Erano le undici. Subito dopo avrebbero pranzato e alle 13:00 l’autobus li avrebbe condotti al Parco dei Principi di Parigi dove avrebbero disputato la finale del campionato mondiale under 19 contro la Germania.

- Ragazzi, collaboratori, vi ho riuniti qui perché desidero ringraziarvi. Avete disputato tutti un ottimo mondiale. Se siamo arrivati fino a questo punto lo dobbiamo solo alla collaborazione di tutti, nessuno escluso. La formazione che scenderà in campo sarà la stessa di ieri, ad eccezione del portiere. Price tu sarai tra i pali al posto di Warner che si è lievemente infortunato nella partita con la Francia. Stamattina è arrivato un fax dal Brasile con il quale mi hanno confermato la partenza di Holly. Se tutto va bene, dovrebbe atterrare con l’aereo delle 13:30.

- Ma non ce la farà ad arrivare per il primo tempo. -

- Lo so Ted. Nella lista dei giocatori che ho divulgato e presentato alla federazione internazionale ho inserito il suo nome tra i giocatori che partiranno dalla panchina. Voglio che giochiate con il massimo impegno, che prestiate la massima attenzione a tutti i movimenti dei giocatori tedeschi. -

- Dovrete marcare stretto Schneider. Non dovrà avere il tempo di respirare. -

- Perché, hai paura di non riuscire a parare i suoi goal? - chiese Mark stuzzicando Benji.

- Penso di conoscere meglio di chiunque Schneider. Lui gioca solo per vincere ed usa ogni maniera per farlo. E’ velocissimo e quando meno te lo aspetti è davanti alla porta. Sono in grado di parare i suoi tiri. Forse non tutti. E proprio per questo ho bisogno di un’ottima difesa. Il problema è tuo Lenders. Ti sarà molto difficile superare la porta di Bauer. -

- Smettila. Sarà un gioco da ragazzi. - affermò sicuro di se. Benji sorrise.

- Spero che ci sia Holly perché per vincere sarà indispensabile. -. Si guardarono con aria di sfida. Non si erano mai sopportati. Entrambi avevano dei caratteri molto irascibili e impulsivi e l’incidente di Patty aveva inasprito il loro rapporto.

- Non essere così sicuro Mark. La botta che hai preso alla gamba nello scontro con Napoleon non è la sciocchezza che ci vuoi far credere. - aggiunse poi indicando la gamba dell’attaccante nipponico. Lenders era senza parole. Sperava che nessuno se ne fosse accorto. Adesso lo sapevano tutti.

- Io sono in perfette condizioni e segnerò anche oggi! - esclamò alzandosi.

- Mettiti seduto Lenders, non ho ancora finito. - lo ammonì l’allenatore. Patty, seduta tra Tom e Benji guardò il portiere sorridendogli. Era stata lei a dire a Benji dell’infortunio di Mark.

In questo, Mark e Holly erano uguali. Avrebbero nascosto a chiunque il loro malessere pur di essere in campo. E proprio frequentando Holly, lei adesso riusciva a comprendere quando un giocatore si era procurato un infortunio più o meno serio.

- Ragazzi, desidero salutare adesso alcuni di voi che subito dopo il rientro in Giappone si trasferiranno qui in Europa. Desidero fare i miei più vivi complimenti a Philip Callaghan che sta firmando un contratto con il Machester United e a Tom Becker che invece resterà qui a Parigi come neo acquisto del Paris Saint Germain. -. Ci fu un applauso molto caloroso per i due giocatori che ben presto avrebbero calcato la scena internazionale.

- Inoltre, desidero salutare affettuosamente la nostra prima manager che si trasferirà con la sua famiglia a Barcellona in Spagna. - disse sorridendo alla ragazza. Prima di riunirsi al ristorante dell’albergo, tutti i ragazzi, in particolare gli ex calciatori della New Team andarono a salutare molto affettuosamente la loro manager, tutti ad eccezione di Mark Lenders che ancora risentiva dei colpi inflittigli dalla ragazza.

- Mark. - lo chiamò raggiungendolo subito dopo pranzo. Il ragazzo si girò e fu davvero sorpreso di vedere proprio lei.

- Cosa vuoi da me? -

- Vorrei fasciarti la gamba. -

- Non sono affari tuoi. - le rispose con tono acido.

- Sicuramente non vincerai il premio simpatia. Non fare tanto lo stupido. Un unguento a base di erbe e un’ottima fasciatura ti faranno stare meglio. Ne sono certa. - continuò cercando di dimostrarsi cordiali con l’attaccante.

- Perché fai questo per me? Nonostante quello che ti ho fatto! -

- Perché sono certa che si sia trattato solo di un incidente e che non mi avresti fatto nulla. Probabilmente hai reagito così solo per spaventarmi, per ferire Holly, ma sicuramente non perché volevi farmi del male. -. Lo sguardo di Patty era deciso e sicuro di se. Era vero. Mark si era comportato così unicamente per ferire Oliver Hutton.

- Okay, fammi pure questa fasciatura ma sbrigati perché dobbiamo andare. -. Lei annuì col capo e gli disse di sedersi alla poltrona. Aveva con se l’occorrente. Era sicura che avrebbe accettato di farsi fare la fasciatura.

Cominciò a massaggiargli il polpaccio. Poi spalmò sulla pelle un unguento gelatinoso molto freddo. Le sue mani scivolavano su e giù infondendo un calore benefico alla pelle. Quand’ebbe terminato, gli fasciò il polpaccio con della garza sterile che fermò con dei cerotti. Gli disse di risistemarsi. Aveva ragione Patty. Si sentiva già meglio.

- Non è un medicinale, quindi non ti farà guarire. Ti darà solo sollievo. Adesso vai. Vi raggiungo tra un attimo. - gli disse andando verso la porta.

- Patty! - esclamò Mark. Lei si girò e il ragazzo comprese perché Holly non poteva farne a meno. I suoi lineamenti chiari incorniciavano un ovale perfetto. I capelli scurissimi e lucidi sembravano di seta. Era proprio bella. Indossava un abito rosso modello sottoveste lungo fino alle ginocchia e con le spalline strette. Sulle spalle aveva un cardigan corto di cotone bianco come la neve e ai piedi dei sandali alla schiava dello stesso colore del maglione. I suoi occhi brillavano. Aveva lo sguardo di chi finalmente avrebbe riabbracciato il suo amato.

- Ti chiedo scusa per quello che è successo l’altro giorno. Ho perso la testa. Non volevo farti del male. Sono…sono solo invidioso di Holly. E’ fortunato ad avere un’amica come te. - le disse prima di congedarsi da lei. Patty era esterrefatta. Il grande Mark Lenders che chiedeva scusa a qualcuno, e quel qualcuno era lei. Sorrise contenta di quanto era appena accaduto e salì in fretta nella sua stanza.

Prese la borsa controllando che come sempre ci fosse tutto.

- Chissà, forse è meglio prendere lo stesso il biglietto e il passaporto. Così non me li dimentico di sicuro. - pensò prima di richiudersi la porta alle spalle e raggiungere il gruppo sull’autobus.

 

 

 

 

 

 

 

 

- Signori passeggeri, vi preghiamo di voler mantenere le cinture allacciate fino al completamento dell’atterraggio e fino a che gli appositi dispositivi luminosi non si saranno spenti. - disse la hostess. - Il comandante vi informa che tra pochi minuti atterreremo all’aeroporto internazionale Charles de Gaulle. Vi ringraziamo di aver scelto Air France e vi auguriamo un piacevole soggiorno a Parigi. - concluse riponendo il microfono al proprio posto.

Il cuore palpitava a più non posso e il sorriso era dipinto sul suo volto. Era felice come non mai. Holly stava arrivando e entro un’ora circa l’avrebbe finalmente rivisto.

Quando l’autobus varcò l’entrata d’accesso ai mezzi autorizzati, ci fu un batticuore generale. Era la loro finale.

- Ci pensate ragazzi? Tra quattro anni ci saranno i mondiali di calcio in Korea e Giappone. Giocheremo praticamente in casa, ma da professionisti. - disse Bruce scendendo dall’autobus.

- Ehy Bruce, ma se parti dalla panchina adesso, come pensi di arrivare titolare ai mondiali per professionisti? - gli chiese Paul stuzzicando il compagno d’avventura.

- Vedrai. Con la mia difesa “facciale” spiazzerò tutti. Mister per favore, mi fa giocare così dimostro a questi incompetenti chi è il miglior difensore della nazionale? -. Tutti risero alla richiesta di Bruce che sapeva bene di non essere indispensabile. Tuttavia giocare in quella finale lo avrebbe reso davvero felice. Ad eccezione di Mark Lenders, il centrocampo e l’attacco potevano contare ben quattro giocatori della New Team: Paul Diamond, Ted Carter e Jhonny Mason sulle fasce e Tom Becker in attacco. E in difesa troneggiavano Benji Price e Bob Denver che insieme a Clifford Huma avevano svolto un ottimo lavoro.

Le tre manager andarono sugli spalti sistemandosi proprio sopra la panchina nipponica. Negli spogliatoi i ragazzi avevano lasciato l’uniforme numero dieci perfettamente piegata su una sedia. Se Holly fosse arrivato in tempo, avrebbe potuto indossarla.

Patty continuava a muoversi sugli spalti. Non riusciva a star seduta.

- Stai consumando la tribuna a furia di fare avanti e indietro. Vedrai che l’aereo è perfettamente arrivato e tra un po’ sarà qui. -

- Certo, certo. Solo che non ne sarò certa fino a quando non lo vedrò. -

 

 

Holly guardò l’orologio al suo posto. Erano le 13:40. Aveva dormito per tutto il viaggio e adesso si sentiva pronto per giocare la finale. Pochi istanti lo dividevano dai suoi compagni e dall’abbracciare la ragazza di cui si era perdutamente innamorato.

- Lascerò i bagagli in aeroporto così non dovrò perdere tempo. Maledizione. La partita inizia tra venti minuti. Non ce la farò mai ad arrivare per il primo tempo. - pensò mentre l’aereo si posizionava sulla pista dopo il perfetto atterraggio. Non appena i motori furono spenti, si alzò, afferrò il suo zainetto nel quale aveva messo gli effetti personali e corse verso l’uscita attendendo che il corridoio mobile fosse inserito.

- Ci vuole ancora molto? - chiese impaziente alla hostess vicino alla porta.

- Un paio di minuti e potrà scendere. Mi sembra molto smanioso di scendere. - gli disse notando lo stato d’agitazione.

- Devo andare al Parco dei Principi il prima possibile. -.

- Ma il calcio è così coinvolgente? - gli chiese incuriosita dall’atteggiamento del ragazzo.

- Devo disputare la finale. Arrivederci. - le disse correndo verso il corridoio. Afferrò il passaporto e si fiondò verso l’uscita adibita ai passeggeri extra comunitari. Il doganiere controllò più volte quella fotografia poi si soffermò sul nome.

- Ma lei é….-. Holly sorrise. Oramai stava diventando sempre più popolare. Annuì all’ufficiale che gli restituì il documento.

- In bocca al lupo. - gli gridò sperando che il suo augurio raggiungesse quel ragazzo che correva verso il recupero bagagli. Holly guardò ancora l’orologio. Erano le 14:00. La partita stava cominciando e lui era ancora in aeroporto. Doveva sbrigarsi per arrivare almeno per il secondo tempo. Si girò intorno quasi in cerca di una soluzione al suo problema.

- Ufficio bagagli smarriti! - lesse su un’insegna multi lingue. Si diresse verso l’ufficio dove una signora si affaccendava ad ordinare delle carte sul bancone.

- Salve, parla portoghese? - chiese alla signora sperando che conoscesse almeno il portoghese. Non poteva certo chiederle se parlava il giapponese!

- Certo. Posso esserle utile. - rispose togliendosi gli occhiali.

- Vorrei un’informazione. - le chiese sfoderando il suo miglior sorriso.

- Mi dica. -

- Se un bagaglio non viene ritirato cosa succede? -

- Alla fine della giornata tutti i bagagli non ritirati o che risultano smarriti vengono portati in questo ufficio, registrati con dei codici a barre e rimangono qui fino a che qualcuno non li reclama. -

- Ho capito. La ringrazio signora è stata molto gentile. Arrivederci. - le disse correndo via. Non poteva aspettare lo scarico dei bagagli. Sul monitor non era stato ancora indicato su quale nastro si sarebbero resi disponibili i bagagli del volo proveniente da San Paolo.

- Passerò più tardi a ritirarli. Speriamo bene. - pensò correndo verso l’uscita. Era talmente veloce che la gente lo guardava spaventata. Dribblava gli ostacoli come quando era in campo. Quando finalmente intravide l’uscita, raggiunse la postazione dei taxi e si buttò in mezzo alla strada quando ne vide uno.

- Parco dei Principi. - disse al tassista senza riprendere fiato.

L’uomo lo guardò dallo specchietto retrovisore. Quel ragazzo era davvero strano. Ne delineò i tratti quasi a voler imprimere la sua immagine in mente, neanche fosse il peggior bandito del paese.

Era alto più di un metro e settantacinque, magro, i capelli scuri scompigliati, la carnagione abbronzata. Il fisico era atletico ed evidentemente era uno sportivo. Il tassista imboccò la tangenziale e si diresse verso il centro della città. Gli mormorò qualcosa in francese ma Holly non capì. In un inglese arrangiato gli rispose che non capiva il francese. Il tassista sembrò capire mentre il ragazzo non staccava gli occhi dall’orologio. Il tempo passava e loro erano imbottigliati nel traffico della periferia della capitale. Afferrò il suo zaino e prese il cellulare. L’aveva acquistato da poco e quasi nessuno, eccetto i parenti e gli amici stretti, avevano il suo numero. Appena lo accese trovò una chiamata. Era un numero a lui sconosciuto. Forse qualcuno che aveva sbagliato numero. Si chiedeva cosa stesse succedendo allo stadio a quasi mezz’ora dall’inizio della partita.

 

- Ecco che la Germania si fa ancora avanti con Strauss che passa a Schneider. Il capitano della squadra tedesca sembra intenzionato a tirare direttamente in rete. Denver e Huma gli vanno incontro. Ma attenzione, con un abile colpo di tacco il Kaiser ripassa il pallone a Strauss che adesso è solo davanti alla porta. Tiro di Strauss e parata di Benji Price. Partita molto avvincente. Il Giappone sta soffrendo moltissimo. La difesa della Germania sembra invalicabile e Lenders è marcato a uomo. Buon lavoro dei nipponici in difesa. Stanno marcando molto bene Schneider che non riesce a tirare. Un Price in giornata sembra non voler concedere nulla agli avversari. - disse il cronista commentando la finale del campionato mondiale under 19.

- Ma ecco di nuovo la Germania con Kunz che passa la palla al proprio capitano. Ottimo controllo di Schneider che dribbla prima Callaghan e poi Mellow giunto in suo aiuto. Ma che succede. Anche Lenders raggiunge la propria metà campo. -

- Non ti lascio segnare Schneider! - gli intimò Mark correndo verso di lui. Karl Heinz era già pronto al tiro.

- Togliti di mezzo Lenders. Devo segnare! - gridò sfoderando il suo colpo più potente. La palla rimbalzò dritta sulla gamba di Mark che urlò per il dolore. Il tiro era di una potenza inaudita. Per effetto dello scudo posto da Lenders il pallone si innalzò. Schneider saltò e con una splendida rovesciata tirò nuovamente in porta caricando il pallone di un effetto molto forte. Benji si gettò proprio in direzione del tiro ed afferrò la palla. L’effetto e la potenza del pallone erano tali che sfuggì di mano al portiere varcando la linea di porta.

- E la Germania si porta in vantaggio a un minuto dal termine del primo tempo. Splendido goal di Schneider in rovesciata. Nulla ha potuto il portiere del Giappone Benji Price. -.

Alcuni giocatori si avvicinarono a Lenders ancora claudicante per il colpo appena accusato.

- Mark ce la fai? - gli chiese Julian.

- Certamente. -. Il fischio dell’arbitro giunse propizio e mandò le squadre negli spogliatoi.

 

Patty continuava a guardarsi intorno. Non arrivava. Possibile che l’aereo fosse arrivato in ritardo?

Il Giappone perdeva uno a zero contro la Germania e Mark non avrebbe retto sicuramente il secondo tempo. Come avrebbero fatto a ribaltare il risultato? Il cuore le batteva così forte che pensava potesse esplodere. Non riusciva più a controllare i suoi nervi. Amy e Jenny stavano cercando invano di calmarla. La loro amica sembrava in preda al panico.

- Ragazzi, vi vedo sfiatati. -

- Mister, stiamo correndo come i pazzi. - disse Danny cercando di giustificarsi.

- L’ho visto. State facendo proprio il loro gioco. Oramai si gioca soltanto nella nostra metà campo. Così non va bene. Non è così che potremo rimediare allo svantaggio. Mark devo sostituirti! - gli disse fissando la gamba dolorante.

- Ce la posso fare. -

- Non se ne parla assolutamente. Hai la gamba ridotta male. Non puoi fare altrimenti. In queste condizioni saresti solo d’impaccio alla squadra. Patrick preparati, affiancherai Tom. Benji come va? -

- Quel tiro aveva una potenza inaudita. Neanche le gambe di Mark sono riuscite a fermarlo! - esclamò. L’allenatore tacque.

- Avete perso la fiducia in voi stessi. Vi vedo sconsolati. Ma insomma, cosa vi succede? Stiamo perdendo solo per una rete a zero. Il risultato si può sempre ribaltare. Nel secondo tempo rinforzo la difesa. Tom dovrai aiutare il centrocampo. -

- Sì mister. - rispose sperando che fosse quella la mossa più idonea.

- Bruce tu entrerai al posto di Mellow. -

- Io…io cosa? - chiese emozionato.

- Non volevi la tua occasione? Patrick, tu durante il secondo tempo. Andiamo. E’ orario. - disse loro spalancando la porta. I ragazzi lo seguirono in fila. Nessuno aveva chiesto di Holly perché oramai solo un miracolo avrebbe potuto portarlo da loro.

 

- Okay, mi può lasciare qui. - disse Holly al tassista che si fermò proprio davanti allo stadio. Si potevano udire i canti delle tifoserie. L’aria era elettrizzante. Pagò il taxi, afferrò lo zainetto e corse verso l’entrata. Erano le 14:45. Le squadre stavano rientrando in campo per il secondo tempo.

- Signor Pearson! - esclamò Holly arrivato all’ingresso riservato ai giocatori.

- Holly, ti stavamo aspettando. Svelto. Il secondo tempo è appena iniziato. A dopo i convenevoli. Abbiamo bisogno di te. Perdiamo uno a zero e Schneider è in ottima forma. - gli disse brevemente facendolo entrare con un pass riservato alle squadre. Preceduto da Pearson, Holly corse verso lo spogliatoio. Era lì, a pochi metri dal campo. Indossò velocemente la divisa, si allacciò le scarpe e si alzò.

- Come ti senti? - gli chiese Pearson aprendo la porta.

- Ho l’adrenalina in corpo. Devo assolutamente giocare. -

- Allora andiamo campione. Facci vedere quanto vali. - gli disse dandogli una pacca sulla spalla.

La luce si faceva sempre più intensa. Il corridoio era terminato. Holly si guardò intorno. Lo splendido stadio Parco dei Principi era gremito in ogni angolo e le tifoserie inneggiavano cori e canzoni a sostegno della propria squadra. Respirò profondamente e si diresse di corsa verso la sua panchina. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.

- Scusate. Posso giocare? - chiese affacciandosi alla panchina nipponica. Lo guardarono tutti allibiti.

- Holly! - fu l’esclamazione generale. Il mister guardò quel ragazzo che era molto cambiato negli ultimi tre anni. Dov’era il ragazzino di undici anni che aveva visto fare volate e goal in tutti gli stadi del Giappone?

- Ti sei riscaldato? -

- Mi è bastata la corsa in aeroporto, mister. -

- Okay, chiamo il cambio per Mark. Si è infortunato. Continua a muoverti. -

- Subito. - rispose correndo al di là della panchina per riscaldarsi sulla pista. Alzò gli occhi verso la tribuna.

- Holly! - esclamò con voce fioca.

- Patty! - esclamò lui col cuore in gola. Era proprio sugli spalti sopra la panchina. Una magnifica ragazza avvolta in un abito rosso mosso dalla brezza estiva. Continuavano a guardarsi senza parlare. Il tempo sembrava essersi fermato. Il quarto uomo si avvicinò a Holly riportandolo alla realtà.

- Sei tu che devi entrare? -. Holly annuì. Chiuse gli occhi e raccolse tutte le sue energie.

- Attenzione prego. C’è un cambio per il Giappone. Esce il numero 11 Mark Lenders ed entra il numero 10 Oliver Hutton. - disse una voce all’alto parlante.

A quella notizia tutti si voltarono verso la panchina nipponica. L’arbitro fermò il gioco per fuorigioco della Germania e consentì il cambio. I giocatori del Sol Levante corsero verso bordo campo per salutare il compagno.

Mark si avvicinò per il cambio.

- Ciao Mark. -

- Se è vero che sei questo grande giocatore di cui tutti parlano, allora segna due goal. - gli disse uscendo dal campo. Holly corse verso il centrocampo e guardò Tom. Sembravano essersi intesi.

Benji prese il pallone e lo calciò a centrocampo. Con uno stacco imperioso, Holly stoppò di petto la palla e fece cenno a Tom di seguirlo verso la porta difesa da Bauer.

- Vai Julian! - gridò passandogli il pallone con estrema precisione. Il numero quattordici nipponico afferrò la palla e crossò dopo poco verso Tom. Triangolazione perfetta. Tom correva sulla fascia destra con la palla al piede e Holly lo seguiva a sinistra. Becker gli ripassò il pallone appena lo vide smarcato.

- E’ fantastico. Questo ragazzo appena entrato ha già fatto impazzire la difesa tedesca. Eccolo adesso di nuovo in possesso di palla. Due giocatori sono su di lui. Splendido. Con un pallonetto Hutton sorprende i due tedeschi e torna in possesso di palla sempre più lanciato verso la porta. Signori, che spettacolo. Sembra di veder giocare il Brasile. Con delle finte da manuale ha saltato anche l’ultimo dei difensori ed ecco che è proprio sotto rete. Tiro di Hutton ed è rete. Gooooooooaaaaaaaaal. Il Giappone ha pareggiato con una splendida rete di Hutton a poco meno di due minuti dalla sua entrata. La panchina nipponica è in piedi per festeggiare. I giocatori sono tutti attorno a Oliver Hutton che ancora una volta ha dimostrato la sua innata bravura. -.

- Hai visto Patty. Non solo è arrivato, ma abbiamo anche pareggiato. - le dissero Amy e Jenny abbracciandola. Ma lei non distoglieva lo sguardo dal suo capitano.

- Secondo me non ci sente neppure. Sembra ipnotizzata. - sostenne Amy ridendo.

 

Dopo poco l’arbitro fece riprendere il gioco. Schneider sembrava rinvigorito dalla presenza di Hutton e cercava sempre di più il pallone per poter segnare il goal della vittoria. Ma era proprio Holly a marcarlo. L’aveva deciso da solo. Aveva accettato la sfida lanciatagli dal tedesco. Oramai la partita sembrava giocarsi a centro campo.

- Adesso vediamo se ti vieni a prendere la palla, Hutton. -

- Non devi neanche chiedermelo, Schneider. - gli disse inseguendolo. Sul volto di Holly era dipinto il suo solito entusiasmo verso quello sport che oramai era la sua vita. Schneider dribblò Philip, sempre inseguito da Holly che pareva non perderlo di vista. Erano entrambi nell’aerea giapponese. Lanciò il pallone in aria. Holly aveva intuito che voleva passarlo di testa al compagno che sopraggiungeva alla sua sinistra.

- Dove credi di andare? - gli chiese dando adito alla sua migliore elevazione. Schneider sembrava sconcertato da tanta potenza. Con un perfetto colpo di testa, Holly passò la palla a Bruce e appena a terra cominciò a correre sulla fascia. Schneider sembrava ancora intontito. Era una saetta.

- Bruce, passa la palla? -

- Subito capitano! - esclamò crossando la palla in avanti. Holly si girò stoppando la palla perfettamente con i piedi. Un difensore era su di lui. Cominciò a palleggiare cercando di disorientare l’avversario. Vide sopraggiungere Tom. Alzò la palla e saltò. Crossò in area con un colpo di testa e la palla cadde tra i piedi del giovane acquisto del Paris Saint Germain. Ancora attonito, il difensore perse di vista Hutton che si trovava già a qualche metro da lui pronto per ricevere il pallone da Tom Becker.

- Non gliela passerai! - strillò Strauss entrando in scivolata su Tom. La sua entrata fu violenta e il pallone saltò in aria. Holly corse verso la palla e con una mezza rovesciata calciò direttamente in porta. Bauer si gettò verso la direzione presa dalla palla, ripromettendosi di pararla, ma dinanzi la riga di porta, la sfera toccò il terreno ed entrò dalla direzione opposta.

- Gooooooooooaaaaaaaaal. Il Giappone si porta sul punteggio di due a uno con una splendida sforbiciata di Hutton a pochi minuti dalla fine. Ce la farà la Germania a pareggiare? - chiese il cronista anche lui inebriato dalla bella partita che fino a quel momento si era giocata.

 

 

- Ehy Patty, smettila di mangiartelo con gli occhi. Il tuo cellulare sta squillando. -

- Ehm…cosa. Ah sì. -. La ragazza tornò a sedersi e afferrò il telefonino che continuava a squillare. Era il numero di suo padre.

- Papà! -

- Patty! - esclamò con tono malinconico. Lei ebbe un tuffo al cuore.

- Che succede? Papà, cos’è accaduto? - gli chiese allontanandosi dagli spalti. Il cuore le batteva sempre di più.

- Alison…sta male. L’ho ricoverata in ospedale. Ha un’emorragia interna e potrebbe perdere il bambino. Patty, rischia di morire. -. Patty non fiatò.

- Patty, ho bisogno di te…non ce la faccio da solo! - le disse visibilmente commosso.

- Io…io…prendo il primo aereo per Barcellona. - rispose chiudendo la comunicazione. Ancora tremante e incredula dalla notizia tornò a sedersi. Aprì la borsa e prese il folder in cui era contenuto il biglietto aereo. C’erano i numeri di telefono dell’aeroporto e del box informazioni dell’Air France. Meccanicamente compose il numero.

- Vorrei un’informazione. A che ora parte il prossimo volo per Barcellona con l’Air France? - domandò cercando di inghiottire il nodo in gola che le si era formato. Amy e Jenny l’avevano seguita intuendo che fosse successo qualcosa.

- Alle 17:20, signorina. -

- Mi scusi, io ho un biglietto open da Parigi per Barcellona. Il numero è 3548287807. Vorrei che mi prenotasse il posto sul volo delle 17:20. -

- Controllo subito se c’è disponibilità. Un attimo prego. Fatto. Sì. Classe non fumatori? -

- Sì, grazie. -

- Deve arrivare subito o non potrà effettuare il check in in tempo. -

- La ringrazio. Arrivo subito. Arrivederci. - disse chiudendo la comunicazione. Mise il biglietto e il telefono in borsa e guardò le amiche. Aveva gli occhi lucidi e le labbra le tremavano.

- Devo andar via. -.

- Patty che succede? -

- Alison sta male. Rischia di morire. Adesso è in ospedale. - rispose coprendosi il volto con le mani. Le amiche la abbracciarono.

- Non è giusto. Proprio ora che lui è tornato! Perché non me ne va bene una? - disse tra le lacrime. Amy e Jenny non sapevano come consolarla. Aveva ragione. Era un periodo davvero nero per lei.

- A che ora parte l’aereo? - le chiese Amy.

- Alle 17:20. Devo correre. - disse alzandosi. - Ragazze, mi dispiace. -

- La partita sta finendo. -. Patty annuì. Cercò di accennare un sorriso sul volto rigato dalle lacrime.

- Mi dispiace lasciarvi così. Corro in albergo a prendere le valigie e poi vado in aeroporto. Addio amiche mie. - disse loro abbracciandole nuovamente. - Vi voglio bene! -.

- Anche noi. Patty, cosa gli diremo? -

- Che mi dispiace non aver potuto mantenere la promessa. -

- Ma…sei sicura di non volergli parlare? - chiese Jenny. Scosse il capo dissentendo.

- Jenny, vorrei dirgli tante di quelle cose che solo il mio cuore sa. Mi basterebbe stargli vicino solo per un attimo. Evidentemente è un segno del destino. Noi non dobbiamo stare insieme. -. Baciò le amiche sulla guancia, afferrò la borsa e corse via per le scale. Jenny e Amy la guardarono andar via in preda allo sconforto.

- E adesso, cosa diremo a Holly? - chiese Amy a Jenny.

- Non lo so. Vediamo come si comporta lui e poi decidiamo. - disse in tono sommesso.

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Capitolo 7
*** Immensamente amore ***


CAPITOLO 7

 

 

Immensamente amore

 

 

- Ed è finita. Il fischio dell’arbitro ha decretato la fine della partita. Il Giappone ha vinto grazie ad uno strepitoso Oliver Hutton che ha segnato due magnifiche reti non lasciando alcuno spazio ai giocatori della Germania. - commentò il cronista. Tutti i giocatori, inclusi quelli della panchina, corsero in campo per il giro d’onore, mentre la federazione stava allestendo velocemente il podio per la premiazione.

- Patty, abbiamo vinto. Ce l’abbiamo fatta anche questa volta. Non vedo l’ora di riabbracciarti! - pensò gioioso Holly portato in trionfo dai compagni. Il pubblico era in visibilio per la cenerentola del calcio e sportivamente, anche i sostenitori della squadra tedesca, applaudivano i nipponici. Quando il presidente della Federazione internazionale scese in campo, si avvicinò al podio e i giocatori furono richiamati per la premiazione. Prima furono distribuite le medaglie e subito dopo, annunciata dal presidente, fece la sua entrata in scena la coppa del mondo di calcio under 19. Il presidente diede la coppa a Julian Ross in qualità di capitano della squadra, ma quest’ultimo molto sportivamente la diede a Holly che entusiasta l’alzò in aria verso il pubblico. L’applauso fu scrosciante, tra sorrisi e pianti dei giocatori ancora increduli.

 

Era stata fortunata a trovare subito un taxi che la portasse in hotel e dall’automezzo stesso, chiamò la reception e chiese loro di prelevare i bagagli e di portarli nella hall perché era in partenza.

Non ebbe neppure il tempo di pensare, o forse la sua mente era affollata da mille pensieri, che si ritrovò di fronte l’entrata dell’albergo.

- Mi attenda un attimo per favore. - disse al tassista, - Prendo i bagagli. - aggiunse scendendo di corsa dal mezzo.

- Salve. Sono Praticia Gatsby. Ho chiamato poco fa per far prendere i miei bagagli. -

- Ecco a lei, signorina. Deve firmare questo modulo per il rilascio della camera. - disse la signorina dall’altra parte del bancone.

- Bene. -. Patty firmò il modulo, prese le valigie e corse verso il taxi che la attendeva.

- All’aeroporto, il prima possibile. - disse al tassista dopo che ebbe richiuso lo sportello.

 

 

Dopo brevi festeggiamenti, rimandati in pompa magna ad altra sede, i ragazzi allegri per la vittoria, si diressero verso gli spogliatoi dove si rinfrescarono dopo un’avvincente e quanto mai estenuante partita.

- Allora Holly! Com’è andato il viaggio? - chiese Tom uscendo con lui dallo spogliatoio.

- Non me ne parlare. Una vera e propria avventura. Quindici ore di attese in aeroporto nella speranza di prendere il primo volo utile. -

- Accidenti. -

- Se fossi arrivato prima, avrei avuto piacere di giocare tutta la partita con voi. Mi dispiace aver preso parte solo al secondo tempo. -

- Dai, non essere modesto. Lo sappiamo tutti che non sei tornato solo per la partita… - disse Benji raggiungendo i due ex compagni della New Team. Holly era arrossito per l’imbarazzo, ma in fondo avevano ragione. Sentì le voci degli altri che man mano si accodavano a loro e tutti insieme andavano verso il parcheggio degli autobus dove si sarebbero incontrati con le ragazze e con gli altri collaboratori.

- Guardate, è diventato tutto rosso. Vuol dire che è vero! - esclamò Philip intervenendo alle sue spalle.

- Philip, anche tu adesso? -

- Dai Holly, Parigi è la cornice ideale per una bella dichiarazione d’amore! -

- Smettetela, adesso! - disse un po’ infastidito dalla troppa invadenza dei compagni.

- Guardate, ci sono Amy e Jenny. - disse Julian sorridendo alla sua fidanzata.

- Dov’è Patty! - pensò Holly non vedendola. Gli umori delle due manager erano visibilmente malinconici e incupiti.

- Bentornato capitano! - esclamarono in coro accennando un timido sorriso.

- Grazie ragazze. - rispose continuando a guardarsi intorno. Mancavano venti minuti alle 17:00 e Patty stava per prendere il volo che l’avrebbe portata a Barcellona.

- Ehy, che entusiasmo per i campioni del mondo! - esclamò Philip abbracciando la sua Jenny non dando importanza ai coretti ironici dei compagni.

- Dov’è Patty? - chiese Benji anticipando la domanda di Holly. Le due manager si scambiarono uno sguardo fugace. Le loro espressioni erano abbastanza eloquenti.

- Cos’è successo? Dov’è Patty? - domandò Holly preoccupato.

- E’ dovuta andar via! - rispose Amy.

- Quindi la troveremo in albergo! - disse Julian. Tom e Benji guardarono Holly. Lui aveva già capito che la sua manager non era in albergo.

- Dov’è Patty? - chiese in tono autoritario, palesemente impensierito per l’assenza dell’amico.

- Holly, ha detto che le dispiace, ma è dovuta andar via. - aggiunse Jenny cercando di tranquillizzare il numero dieci nipponico.

- Voglio sapere dov’è andata! E’ forse tornata in Giappone? - chiese cercando di mantenere il controllo dei nervi, che pian piano stavano cedendo. Il cuore gli batteva molto forte, sentiva ribollire il sangue nelle vene.

- Sua madre si è sentita male ed è stata ricoverata. Sta correndo in aeroporto per prendere il volo delle 17:20. - disse Amy decisa. Jenny la guardò. Gli aveva detto la verità, ma forse non era quello che avrebbe voluto Patty.

- Devo prendere un taxi. - disse quasi in preda al panico.

- Ragazzi, salite sull’autobus. Andremo tutti all’aeroporto. - disse il mister sorprendendo i giocatori. - Holly non faresti mai in tempo a cercare un taxi con il pubblico che sta defluendo dallo stadio. - aggiunse dandogli una pacca sulla spalla. I ragazzi non attesero che il mister gli ripetesse di salire sul bus, che erano già accomodati nelle rispettive poltrone. Sul bus non si parlava di altro se non della prematura partenza di Patty. Holly taceva seduto vicino a Tom.

- Ehy Holly…

- Scusami Tom. Sto perdendo il mio proverbiale controllo. -

- E’ una reazione normale quando accade qualcosa a una persona a cui tieni! - aggiunse.

- Perché è andata via senza aspettarmi? -

- Non l’avrebbe fatto se non avesse avuto una ragione plausibile. -

- Mah….

- Non farti venire i tuoi soliti dubbi, Holly. -

- Le hai parlato? - gli chiese non distogliendo lo sguardo dal finestrino.

- Sì. E’ una ragazza fantastica e ti sono sincero se ti dico che provo dell’affetto per lei. Holly non aver paura di parlarle. E’ talmente innamorata di te che non vede altro e altri. -

- Già, ma non me l’ha mai detto. -

- Certo che sei proprio testardo! L’hai abbandonata per tre anni, adesso torni ed hai ancora dubbi sui tuoi e sui suoi sentimenti. Quando tu sei partito, noi ragazzi ci eravamo ripromessi di starle vicino e soprattutto di tener lontani eventuali pretendenti. Non ce n’è stato bisogno, perché lei non aveva occhi e cuore se non per te. Ma quando crescerai? Sai quanti di questi ragazzi avrebbero voluto starle a fianco quando tu sei andato via? Ma l’hai vista Holly. Patty è diventata bellissima. Dovrebbe essere lei a chiedersi come hai trascorso questi tre anni in Brasile! -

- Che diavolo vuoi dire? Lo sai perché sono tornato Tom? Per lei. Per la prima volta, non mi importava nulla della partita. E’ per lei che sono venuto a Parigi, perché le avevo promesso che ci saremmo visti qui, che lei avrei parlato. Proprio adesso che le sono vicino, lei fugge da me. Non ho molto tempo per parlarle. Sto per firmare un contratto con il Barcellona, per i prossimi quattro anni e a lei non l’ho ancora detto. Tre anni fa le avevo chiesto di aspettarmi. Non potrò mantenere la promessa perché mi trasferisco in Spagna. -. Tom sorrise.

- Non vedo cosa ci sia da ridere! - gli chiese vedendolo sereno e sornione.

- Siete così simili che neanche ve ne rendete conto. Patty mi ha detto le stesse cose. Probabilmente tu non lo sai, ma suo padre ha avuto una promozione e si è dovuto trasferire in Spagna. Pare che lei sia in rotta con i genitori perché non le vogliono permettere di andare a studiare negli Stati Uniti. Non solo, l’hanno obbligata a trasferirsi in Spagna. -

- Patty in Spagna? - chiese attonito.

- E’ lì che sta andando. A Barcellona! -. Holly era sempre più esterrefatto. Patty si stava trasferendo nella città dove lui avrebbe giocato per i prossimi quattro anni.

- Vuoi dire che all’insaputa l’uno dell’altra, ci ritroveremo a vivere nella stessa città? -

- Sì Holly. Ho parlato con Amy e Jenny poco fa. Patty è corsa via disperata. Lei non sa che tu andrai in Spagna molto presto e pensa di aver tradito la tua fiducia perché non potrà mantenere una promessa che ti ha fatto tre anni fa! - concluse alzandosi. - Certo che voi due siete proprio complicati. - ironizzò prima di andare da Benji che l’aveva richiamato. Erano quasi arrivati all’aeroporto. L’autobus stava entrando a velocità sostenuta. Mancavano dieci minuti circa alla partenza dell’aereo.

- Patty. Mi dispiace. La colpa è mia. Se solo fossi stato più chiaro con te, adesso tu non staresti così male. Potresti raggiungere la tua famiglia sapendo che io ti aspetto, anzi che corro da te. Ma perché sono così stupido ed incapace? Perché perdo sempre troppo tempo a pensare e rimuginare? - pensò alzandosi dalla poltrona. Si avvicinò all’uscita dell’autobus e non appena l’autista fu davanti all’ingresso principale dell’aeroporto, Holly si fiondò giù per i gradini cercando disperatamente di inseguire la sua amata. Senza neppure pensarci, tutti i ragazzi furono fuori dal bus per accompagnare l’amico in quella disperata impresa. Holly guardò rapidamente il tabellone delle partenze. Air France da Parigi a Barcellona, gate 2.

Senza neppure fermarsi, si diresse di corsa verso le partenze internazionali. Doveva raggiungerla. L’intera squadra inseguiva Holly che sembrava avere le ali ai piedi.

- Attenzione prego. Imbarco immediato per i passeggeri in partenza da Parigi Charles de Gaulle per Barcellona. Volo Air France 797, gate 2. Ripeto, imbarco immediato. -.

Stavano ancora chiamando per l’imbarco. Quello era il volo di Patty.

- Attenzione prego. Patricia Gatsby è attesa con la massima urgenza al gate 2 per imbarco immediato. Ripeto, Patricia Gatsby è attesa al gate 2 per imbarco immediato. - ripeté l’alto parlante. Holly aveva sentito. Anche Patty era in ritardo. Doveva raggiungerla. Doveva almeno vederla.

 

 

Era pochi metri più avanti di lui e Holly non lo sapeva. Correva come una disperata cercando di prendere quel volo. Si fermò al check in delle partenze internazionali. Il gate 2 era a pochi passi da lei.

- Sono Patricia Gatsby. Chiamate il gate 2, per favore. Dite che sto arrivando! - disse ansimante dalla corsa estenuante. L’addetta al check in sollevò il ricevitore e comunicò alla hostess di terra al gate 2 che la passeggera stava raggiungendo il cancello d’imbarco. Il cuore le batteva così forte che temeva potesse svenire da un momento all’altro per il forte stress accumulato durante quel pomeriggio. Quando finalmente l’addetta le consegnò il tagliando del biglietto, ricominciò a correre verso il gate 2. Intravedeva già la hostess di terra che sembrava sollecitarla per l’imbarco.

- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! - gridò intravedendola al cancello d’imbarco. La ragazza si fermò. Era ammutolita, priva di ogni minima forza per girarsi e constatare chi l’avesse chiamata.

- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! - urlò ancora Holly fermato al check in da due addetti. Non poteva passare perché non aveva un biglietto per quel volo. Lei si voltò.

- Holly! - sibilò con un fil di voce. Le lacrime le salirono agli occhi, la vista era annebbiata.

- Signorina, si deve affrettare. Il volo deve partire e aspettano solo lei. - le disse la hostess strappandole di mano il biglietto e invitandola a passare nel corridoio mobile. Continuava a guardarlo senza proferire una parola, senza neppure ascoltare la hostess. Dietro di lui giunsero tutti i ragazzi. La squadra al completo. Non voleva sbagliarsi, ma le sembrò di intravedere le lacrime sul suo volto. Holly stava piangendo.

- Holly! Mi dispiace. -

- Signorina, per favore. La stanno aspettando. -. Patty alzò un braccio e accennò un timido sorriso. Era il suo saluto a quegli amici meravigliosi. Si voltò e varcò di corsa il tunnel che l’avrebbe portata sull’aereo.

- Mi lasci andare. Devo correre da lei. - gridò Holly divincolandosi dalla presa dei due addetti. Con passo veloce si diresse verso il corridoio mobile oramai ritirato. Inutili furono le parole della hostess di terra che cercò di fermarlo.

Lo steward stava chiudendo il portellone mentre Patty entrava sull’aeromobile.

- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. Io ti amoooooooooooooooooooo. - gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che le parole le fossero giunte nonostante il rombo dei motori. La ragazza si girò ancora una volta, trattenuta dallo steward che cercava di chiudere il portellone.

- Holliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. -. Aveva udito quelle parole che erano arrivate dritte al suo cuore. Aveva atteso tanto tempo, anni, ma finalmente lui gliele aveva dette, le aveva dichiarato il suo amore.

 

Vide l’aereo iniziare la manovra di rullaggio sulla pista e andare a posizionarsi per iniziare la procedura di decollo.

- Maledizione! - imprecò colpendo con un pugno un pannello vicino il bancone del check in.

Esausto e demoralizzato, raggiunse i compagni scortato dai due addetti che avevano cercato di fermarlo. Entrambi guardarono quel giovane campione che aveva tentato disperatamente di dichiarare il suo amore ad una ragazza.

- Ehy ragazzo, ma avevi intenzione di suicidarti? - gli chiese il più anziano.

- Se fosse servito per fermarla, sì. -

- Bene bene, abbiamo un cuore infranto. - ironizzò l’altro divertito da tutta la scenetta.

- A che ora parte il prossimo volo per Barcellona? - chiese Holly quasi colpito da un lampo di genio. Doveva inseguirla.

- Dovrebbe esserci un volo dell’Alitalia che arriva da Milano e fa scalo tecnico a Barcellona per poi ripartire per Miami. -

- A che ora? - insistette Holly.

- Alle 20:00 circa. -

- Devo prendere quel volo. -

- Accidenti ragazzo, ci tieni proprio alla tua Giulietta. -. Holly raggiunse i compagni.

- Mi dispiace capitano. - disse Benji alzandosi il cappellino.

- Vado a Barcellona. Non torno in Giappone con voi. - disse serio andando verso il mister.

- Se non l’avessi fatto, ti avrei preso a pugni! - esclamò Mark, fermo vicino una finestra. Holly si girò verso il rude compagno di squadra.

- Lo sai chi me l’ha fatto quest’occhio nero? - gli chiese ma sapeva che non conosceva la risposta.

- La tua amichetta. Ho parlato male di te e lei si è vendicata. Quella mezza matta è così innamorata di te che ti difenderebbe perfino dinanzi il tribunale dell’inquisizione! - aggiunse congedandosi. In seguito avrebbe parlato con Patty dell’occhio nero che aveva fatto a Mark. Adesso doveva solo raggiungerla. I bagagli! Già, i suoi bagagli erano in quell’aeroporto agli oggetti smarriti. Doveva andare a recuperarli e doveva fare il biglietto.

- Come sei cambiato Holly. Prima eri il timidone innamorato solo del calcio. Adesso sei un grande giocatore innamorato di una magnifica ragazza. -

- Mister. -

- Oggi, quando ti ho visto giocare, ho potuto solo apprezzare la tua tecnica e la tua prestanza. Complimenti Holly. Sei la persona più adatta per entrare nel mondo professionistico. -

- Grazie. Mister, io non torno con voi in Giappone. Vado a Barcellona. Beh, devo parlare con Patty. - gli disse mettendosi una mano dietro la testa per celare l’imbarazzo.

- Va pure Holly. Ci sono cose ben più importanti che ricevere gli onori di casa. E Patty lo merita sul serio. -

- Ancora grazie mister, per tutto quello che ha fatto oggi. - aggiunse inchinandosi in segno di rispetto e poi stringendogli la mano.

Holly salutò i suoi compagni di squadra ed in particolare Benji e Tom che avrebbe rincontrato quasi sicuramente nella Champions League europea. I ragazzi si offrirono di rimanere con lui in aeroporto fino all’imbarco ma Holly disse loro che al più presto li avrebbe raggiunti in Giappone. Doveva rientrare in patria prima di trasferirsi in Spagna. Chiese a Amy l’indirizzo di Patty e la manager dai capelli rossi, non ebbe esitazioni a consegnargli il bigliettino che le aveva dato l’amica.

Quando tutti si accomiatarono dal capitano della New Team, Holly si diresse verso la biglietteria Alitalia prenotando il suo posto sul volo diretto a Barcellona. Quelle ore che ancora lo dividevano da Patty gli sembravano infinite, una fatica insormontabile da superare anche per lui.

 

Seduta sull’aereo che la stava portando a Barcellona, Patty sembrava completamente assente. Continuava a pensare a Holly.

- Amore mio. Sei corso da me, da questa ragazza che ti ha amato per tanto tempo e proprio adesso che il destino ci sta separando, tu mi hai gridato che mi ami. Il cuore mi batte ancora se solo ci penso. Perché il fato è così avverso verso di noi? Che male abbiamo fatto per non poter stare insieme? Se solo avessi avuto l’opportunità di spiegarti, di dirti quanto ti amo! - pensò con le lacrime agli occhi. L’aereo aveva cominciato la sua discesa sulla pista dell’aeroporto internazionale di Barcellona. Il cielo era nuvoloso e si apprestava a piovere in quella domenica di fine luglio.

- Cosa sarebbe successo se fossi rimasta. Il cuore mi scoppia di gioia al solo pensiero. Io e te finalmente insieme. Ti avrei riabbracciato, avrei potuto sentire ancora il calore del tuo corpo, il tuo volto tra i miei capelli. Vorrei morire per quello che ti ho fatto. Non ho mantenuto la promessa e ti ho abbandonato nella città che aveva fatto innamorare i miei genitori. - continuò a pensare asciugandosi le lacrime che le rigavano il volto. Era così dispiaciuta per come aveva dovuto obbligatoriamente comportarsi con Holly, che avrebbe preferito chiudere gli occhi per sempre.

 

Quando dopo pochi minuti dall’atterraggio si ritrovò nell’aeroporto di Barcellona, afferrò il telefono e lo riaccese digitando il codice pin. Richiamò il numero del cellulare del padre ed inviò la chiamata.

- Papà, come sta Alison? - gli chiese trattenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla e continuando a spingere il carrello dei bagagli.

- Serve una trasfusione di sangue urgente e qui non riescono a trovare il gruppo sanguigno compatibile. Pare che la banca del sangue sia chiusa e le loro scorte terminate. - disse agitato.

- Sono in aeroporto. Sto prendendo un taxi. Qual è l’ospedale in cui è ricoverata? - gli domandò esausta. Era stata una giornata molto intensa e si sentiva spossata.

Terminata la conversazione col padre, spense il telefonino. Non voleva che qualcuno la chiamasse per sapere come stava. Non se la sentiva di parlare con i suoi amici e tanto meno con Holly la cui fiducia credeva aver tradito.

Attese di recuperare i bagagli, li sistemò sul carrello e si avviò verso l’uscita. Fermò un taxi e dopo aver caricato le valigie, vi salì chiedendo di raggiungere il policlinico di Barcellona. Cominciò a piovere. Il suo sguardo era fisso, oltre il finestrino che la divideva dalla strada bagnata che man mano percorrevano.

- Alison! Ho abbandonato il mio sogno, l’ennesimo, per correre da te! Ancora non ci credo. Non ho esitato un attimo a salire su quell’aereo mentre Holly mi gridava che mi amava. Perché l’ho fatto? Eppure, non ti sei mai comportata come una madre con me, mi hai sempre privata di quell’affetto di cui mi ricopriva la mia mamma. Forse è per lei che l’ho fatto, perché ho già perso mia madre, ho visto mio padre soffrire e non voglio che succeda ancora. Proprio tu che odi Holly, che lo ritieni un buono a nulla, tu che non volevi che andassi a Parigi, tu che ti sei opposta alla mia scelta universitaria. Già, perché non c’è cosa che scelga o faccia, che ti aggradi. Nonostante ciò, sto correndo da te, come una figlia devota.

- Mamma, sono disperata. Ho perso la mia più grande occasione di abbracciare il ragazzo che amo. Mi sento così sola e depressa. Aiutami tu, perché io non so proprio cosa fare. Dammi la forza per andare avanti, per aiutare papà. - pensò poi guardando la foto della mamma che portava sempre con se.

Il taxi si fermò dinanzi il cancello di una grande struttura ospedaliera composta da più edifici. L’autista le prese i bagagli e attese che le pagasse la corsa. Continuava a piovere. Senza neppure preoccuparsene, Patty afferrò le sue valigie e andò verso l’accettazione.

 

Era una stanza molto ampia e sulla targa affissa sulla porta in legno c’era scritto “Accettazione Pazienti”. Patty vi entrò con al seguito le valigie e si avvicinò al bancone dove una donna sulla quarantina era indaffarata a sistemare alcune carte su uno scaffale.

- Buonasera, potrei sapere in quale reparto è stata ricoverata Alison Bright Gatsby, per favore? E’ stata ricoverata nel primo pomeriggio. - disse alla donna. Lei la guardò come fosse un’estranea. Nonostante fosse evidentemente straniera parlava lo spagnolo con un buon accento e non aveva commesso alcun errore.

- Chirurgia intensiva. E’ il primo edificio del padiglione B, primo piano, stanza 127. - rispose guardando sul registro dell’accettazione malati.

- La ringrazio. Potrei chiederle un’altra cortesia? -

- Prego, signorina. -

- Potrei lasciare qui le mie valigie? - le chiese indicando i due bagagli.

- Beh…veramente, ma certo. Forse è il caso che ci mettiamo il nome. -

- Sono già contrassegnate. Se mi presta la penna aggiungo il numero della stanza della signora Gatsby. - le disse. La donna le porse la penna e Patty aggiunse il numero 127 e la scritta “camera” sui tagliandi apposti dall’Air France sulle sue valigie.

- La ringrazio, signora. E’ stata molto gentile. -

- Non si preoccupi. Il mio turno termina alle 24:00. Faccia pure con comodo. Quando esce di qui, segua il corridoio a sinistra e vada sempre dritto. Alla fine ci sarà un portone. Esca di lì e si ritroverà il padiglione B. Il primo edificio è Chirurgia Intensiva. -

- La ringrazio ancora, signora. Allora ci vediamo più tardi. - le disse salutandola con un cenno della mano.

Patty seguì le indicazioni della donna e in poco tempo arrivò davanti all’edificio di Chirurgia Intensiva. Appena entrò, fu travolta da un forte odore di analgesici diffuso nell’aria. Si appoggiò al muro in preda ad un giramento di testa. Era stata una giornata fin troppo intensa che l’aveva privata di tutte le sue forze e quell’odore nauseabondo sembrava esserle penetrato in tutto il corpo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Si fece forza e seguì l’indicazione sulla scala che indicava “Camere 101-145”. Salì lentamente cercando di recuperare le forze dopo quel mancamento. Arrivata sul pianerottolo si guardò da ambo i lati cercando di comprendere quale fosse la direzione giusta. A destra c’erano le camere dalla 120 alla 145. Sospirò sempre meno contenta di ritrovarsi in quell’ambiente e percorse il corridoio fino ad arrivare alla camera 127.

Si fermò dinanzi il vetro che la separava da quel letto nel quale giaceva la sua matrigna. Immobile, stesa in quel letto con i tubi che le ricoprivano il volto e le braccia. Il lenzuolo, candidamente appoggiato su di lei, delineava il ventre prominente, testimone di una gravidanza che probabilmente avrebbe dovuto interrompere.

- Un fratello. Che idea bizzarra. Non me ne sono mai accorta. E lei me l’ha volutamente tenuto nascosto. Continuo a chiedermi cosa ci faccio qui. - si chiese non distogliendo lo sguardo da lei.

- Patty! - esclamò una voce. Un uomo alto, dai capelli scurissimi, la guardava con espressione mesta. Il suo volto era una maschera di dolore.

- Papà! -. Si avvicinò e istintivamente lo abbracciò. In quel preciso istante ricordò il giorno della sua partenza per Parigi. George aveva cercato di scusare Alison ancora una volta dipingendola come una donna fragile che con l’indifferenza cercava di rafforzare le sue difese.

- Non mi sembra vero di averti di nuovo accanto! - le sussurrò. Erano le parole di un genitore in preda allo sconforto. - La mia bambina. -.

- Come stai? - gli chiese guardandolo negli occhi.

- Io? Non bene. Da quando siamo qui non riesco più a capire nulla. Adesso riposa perché le hanno somministrato un sedativo. Sta rischiando molto. Le hanno fatto una trasfusione ma pare che non sia sufficiente. Ha una grave infezione epatica che può danneggiare seriamente il feto. -

- Cosa pensano di fare? - chiese in tono distaccato.

- Vogliono farla abortire, ma in questo momento, non possono procedere. E’ molto debilitata e un intervento potrebbe solo peggiorare le cose. -

- Vedrai che ce la farà! - gli disse mettendogli una mano sul braccio. - Sei stanco. Perché non vai a riposarti? Resto io qui. -. George guardò la figlia. No, non era la sua bambina. Era una splendida donna straordinariamente somigliante a Sarah, la sua defunta moglie. E da lei aveva ereditato anche il coraggio e la perseveranza, l’umiltà e l’insaziabile desiderio di aiutare gli altri. - Chiedi ad un infermiere se c’è un posto dove tu possa riposarti. - aggiunse quasi pregandolo.

- Grazie. - rispose timidamente seguendo il consiglio della figlia. Chinò il capo e si avviò in fondo al corridoio dove incontrò un infermiere. Patty lo seguiva a distanza. Il suo iperattivismo l’aveva sicuramente ereditato dal padre. Era un lavoratore instancabile e indefesso, ma quest’esperienza lo stava provando esattamente come anni prima.

 

Rimase a fissare la paziente oltre quel vetro. Non sapeva neppure lei a cosa pensare: se alla matrigna malata o se a Holly. Chissà cosa stava facendo in quel momento, a cosa stava pensando, se era arrabbiato con lei che era andata via mentre con un ultimo disperato gesto le dichiarava tutto il suo amore. Presa dai suoi mille pensieri e sempre più sconfortata, non si accorse che era trascorsa più di un’ora dacché lei era ferma a guardare Alison.

- Posso entrare? - chiese Patty ad una dottoressa che stava entrando nella stanza di Alison.

- E’ una parente? - le chiese squadrandola.

- E’…è mia madre! - rispose chiudendo gli occhi. Era vero. Nonostante i loro precari rapporti, Alison restava comunque la sua matrigna, colei che era entrata nella vita della famiglia Gatsby dopo la morte di Sarah.

- Venga. Mi raccomando. Non si deve stancare. - le disse la dottoressa aprendo la porta. Patty la seguì all’interno della stanza disegnando mentalmente quella camera con due letti, di cui uno occupato, i monitor, i tubi e tutti i macchinari che circondavano Alison. Si era svegliata.

- Ciao. - le disse Patty avvicinandosi al letto. Dal giorno in cui avevano litigato prima della sua partenza, non si erano più parlate. Quando lei era partita, era uscita di casa molto presto pur di non salutarla. Suo padre aveva cercato di scusarsi per lei, ma Patty aveva ben compreso di non essere desiderata da Alison. Come poteva fare a recuperare il suo rapporto con la matrigna? In fondo dovevano dividere lo stesso tetto esattamente come in Giappone e magari le difficoltà di inserimento in un nuovo ambiente, avrebbe potuto avvicinarle così come la nascita del bambino.

Alison si voltò verso quella ragazza avvolta nell’abitino rosso. La sua figliastra. Doveva essere in Francia. Come faceva ad essere lì, al suo capezzale?

- Perché sei qui? - le chiese con un fil di voce che a Patty parve molto poco affabile.

- Come ti senti? -

- Come vuoi che stia? Sto perdendo il mio bambino e forse mi ammazzo pure…

- Ho l’impressione che la mia presenza di infastidisca! - esclamò gelida Patty. Non poteva tacere di fronte alle sue provocazioni. Aveva lasciato il ragazzo che amava per correre da lei.

- Come puoi vedere non sono uno spettacolo molto gradevole. - rispose ansimante.

- Signora deve stare calma! Il suo battito è accelerato. -

- Cos’ha detto? - chiese toccandosi il ventre. Il suo volto era una smorfia di dolore. Non comprendeva lo spagnolo e questo le creava uno stato di agitazione.

- Ha detto che non devi agitarti perché il tuo battito è accelerato. -

- Ho forti dolori. Come pensa che possa stare calma? -

- Stanno cercando di curarti! Comprendo che non ti senti bene. -

- Che ne sai…di come mi sento? Non ne…puoi avere…la minima idea! - le disse abbassando le palpebre.

- D’accordo. Se la mia presenza ti disturba tanto, tolgo il disturbo. - le disse guardandola dritta negli occhi semichiusi della matrigna. Lei annuì e Patty sentì le lacrime salirle agli occhi. Come poteva trattarla a quella maniera? Si girò e si avvicinò alla porta. Desiderava piangere per sfogare tutto quello che aveva vissuto in quella giornata. Si rammaricò ancora una volta di non essere rimasta a Parigi a festeggiare tra le braccia di Holly.

- Maledizione. Nuovamente l’emorragia! - esclamò la dottoressa rilevando i dati dal monitor e controllando la paziente. A quelle parole Patty arrestò il suo passo. Stava male, stava peggiorando, dinanzi ai suoi occhi.

- C’è qualcosa che posso fare? - chiese alla dottoressa che s’apprestava ad afferrare la cornetta.

- Stanza 127. Donna al quinto mese di gravidanza. Emorragia. Mandatemi subito due sacche di gruppo A positivo. - ordinò sotto gli occhi di Patty. Il telefono trillò e la dottoressa rispose.

- Cosa? Non lo avete trovato? E’ lo stesso problema di qualche ora fa? E secondo voi io cosa faccio? - urlò dimenandosi al telefono. Era molto agitata evidentemente per la gravità della situazione. Alison era svenuta. Vide entrare un altro medico e un infermiere che le disse di accomodarsi in corridoio.

Li vide affaccendarsi sul corpo di Alison. Suo padre riposava, ma lei non sapeva dove. Cosa doveva fare? Vide uscire il dottore.

- Dottore! -

- Dopo signorina, adesso abbiamo un’urgenza. -

- Lo so. Io sono A positivo. Posso donarle io il sangue! -

- Cosa? - chiese il medico fermando la sua corsa.

- La prego. Salvatela. -

- Non abbiamo tempo per farle gli accertamenti. -

- Sono sana. Sono iscritta ad un club di calcio come manager e sono sottoposta periodicamente alle visite mediche come i giocatori. - rispose in tono implorante.

- Da quanto non mangia? -

- L’ultimo pasto l’ho consumato a mezzogiorno. -

- D’accordo, venga con me. - le disse facendole cenno di seguire.

Patty gli corse dietro e insieme entrarono in un’ampia sala piastrellata con due barelle. All’interno, oltre una finestra che s’affacciava all’esterno dell’edificio, c’era una porta aperta dalla quale si potevano scorgere dei mobiletti con sopra delle provette piene di liquido rosso di diverse tonalità. Patty intuì che doveva trattarsi della stanza dove avvenivano prelievi e analisi. Il medico, un uomo robusto e alto, afferrò la cornetta e compose il numero 127.

- Anna, ho trovato una donatrice. Forse potrebbe bastare per ripristinare le funzioni normali. Poi faremo alla paziente gli esami di routine per verificare a che punto sono le condizioni del suo fegato e del bambino. - disse il medico parlando con la dottoressa che Patty aveva incontrato in corridoio.

- Va bene Carlos. Arrivo subito con la paziente. Le facciamo una trasfusione diretta. -

- E’ rischioso. Non abbiamo il tempo neanche di farle le analisi di routine. -

- Preferisco rischiare e non perderla. -

- Va bene. Fa presto, preparo la ragazza. -

- Bene. - rispose la dottoressa riponendo la cornetta sulla forcella. - Manuel, - disse all’infermiere. - trasferiamo la paziente nella sala prelievi. -

- Sì dottoressa. -. Dopo poco, il lettino mobile di Alison fu spinto fino in sala prelievi dove Patty era già stesa sulla barella in attesa che il medico procedesse alla trasfusione. Alison era rinvenuta. Quando i due lettini furono allineati, Alison si girò verso la figliastra ma Patty voltò lo sguardo dalla parte opposta pur di evitare quello della matrigna.

- Procediamo. - disse il medico.

 

- Attenzione prego. I passeggeri del volo AZ 746 dell’Alitalia diretto a Barcellona sono pregati di procedere recarsi al cancello 18 per l’imbarco immediato. Ripeto volo AZ 746 in partenza da Parigi a Barcellona. Imbarco immediato. - annunciò la voce all’altoparlante. Holly guardò il suo orologio. Erano le 19:40. Afferrò i suoi bagagli e si diresse verso il check in. Consegnò alla signorina il biglietto e posò le valigie sul nastro trasportatore. L’addetta sigillò i bagagli con la banda adesiva e restituì a Holly il biglietto per la procedura d’imbarco. Nella mente c’era impresso il suo volto triste, quasi disperato quando dopo averle gridato che l’amava, s’era girata per urlare il suo nome. Aveva ragione Tom. Patty l’amava intensamente, non aveva mai smesso di provare per lui quei sentimenti e l’essere costretta ad andar via, aveva solo fatto accrescere la sua pena e il suo avvilimento. Nella tasca del pantalone aveva messo l’indirizzo di casa di Patty. Era l’unico luogo dove avrebbe potuto cercarla e sicuramente il più probabile dove avrebbe potuto trovarla in quel momento.

Quando dopo un quarto d’ora circa varcò il portellone dell’aereo, cercò il suo posto e si sedette affaticato. Dopo meno di sette ore, si ritrovava a salire su un aereo e soprattutto dopo che aveva affrontato un volo continentale con svariate ore di fuso orario. Ma non gli importava nulla. Avrebbe affrontato ben altre fatiche pur di raggiungere la sua Patty. Se qualcuno l’avesse visto, non l’avrebbe riconosciuto. Lui che recitava sempre “il pallone e il migliore amico” con il sorriso stampato sul volto, adesso era un normalissimo ragazzo in preda alle incertezze d’amore.

- Ti troverò Patty. Devo parlarti. Devo sapere se davvero anche tu provi gli stessi sentimenti per me. E devo dirti che mi sto per trasferire a Barcellona, sì, perché se tu resterai lì, io non ho più incertezze su quale squadra scegliere. Mi sarà sufficiente soltanto un tuo sorriso, una tua carezza. La colpa è mia. Se te ne avessi parlato prima, adesso non dovrei inseguirti per mezza Europa. - pensò allacciandosi la cintura di sicurezza prima del decollo.

 

Patty aveva chiuso gli occhi per tutta la durata della trasfusione. Le era sembrata un’eternità. Aveva sentito i lamenti di Alison e quelli le erano bastati per straziarle il cuore. Non riusciva ad odiarla, nonostante tutto quello che le aveva detto sebbene in pessime condizioni. Le sue condizioni erano stazionarie e i medici l’avevano trasferita nuovamente nella sua camera. Quando aprì gli occhi, sul tavolino tra le due barelle, vide un tramezzino, una brioche e una bibita che le aveva portato l’infermiere. Il medico si era raccomandato che Patty mangiasse perché la trasfusione era durata abbastanza perché il suo fisico già magro si debilitasse maggiormente. Si mise a sedere ma dovette far forza sulle braccia per non cadere sul lettino. Non aveva molte forze. Tremante, afferrò il bicchiere e se lo portò alla bocca. Ne sorseggiò il contenuto lentamente e le parve di poter sentire il liquido che scendeva adagio lungo l’esofago fino a posarsi nello stomaco. Guardò nuovamente il piatto, ma decise di non mangiare. Agguantò il cardigan chiaro e la borsa, si rimise i sandali e s’incamminò verso la stanza 127. Suo padre. Se ne era dimenticata. Lo vide lì, in piedi vicino il vetro.

- Ciao papà. Come ti senti? -

- Ma dove sei stata? - le chiese in tono irruente ma senza alzare la voce. Patty lo guardò stranita. Aveva la vista a tratti annebbiata, frutto della stanchezza fisica e della trasfusione. Non sapeva cosa era accaduto.

- Mi avevi detto che saresti rimasta qui? -

- Scusami! - si limitò a rispondere. Aprì la stanza di Alison. L’infermiere la vide ma continuò a scrivere qualcosa sulla cartella clinica. Era sveglia.

- Come ti senti? - le chiese in tono gentile.

- Non avresti dovuto farlo! Io non ti ho chiesto niente. Non eri in obbligo. -

- Mi odi a tal punto? - le chiese Patty fissandola con uno sguardo gelido. All’improvviso si sentì fluire il sangue nelle vene e la pressione salirle. Ne aveva abbastanza di quell’atteggiamento arrogante.

- Patty non è il luogo per litigare questo! - le disse il padre non comprendendo il motivo dell’astio tra le sue due donne.

- Perché non mi rispondi Alison? Hai paura di dirmi la verità, o di dirla a mio padre? - la incitò a rispondere Patty.

- Per me te ne puoi anche andare. Anzi, potevi restartene a Parigi con i tuoi amici a spassartela con loro. -. Patty avvampò.

- Benissimo, se vuoi che me ne vada, lo faccio immediatamente. Sei la persona più ingrata che io conosca. Mi dispiace per te papà. - disse uscendo adirata da quell’alterco.

- Patty aspetta. Posso sapere cosa succede? Alison ha bisogno di riposo! -

- Vuoi sapere cosa succede? Perché non lo chiedi alla tua Alison, papà? Tanto è solo di lei che ti importa, no? -

- Ma che dici…

- Cosa dico? Sono tornata di corsa da Parigi in preda alla disperazione perché non ho potuto neppure riabbracciare il ragazzo che amo, che ha fatto un viaggio lunghissimo per incontrarmi. E perché? Per venire qui ed essere insultata da tua moglie! E tu papà, non mi hai neppure chiesto come sto! Lo vuoi sapere? Sono disanimata, distrutta, affranta perché per seguire voi ho abbandonato tutti i miei sogni. Il Giappone, i miei amici, Holly, il desiderio di andare a studiare in America. Hai cercato di scusare Alison dipingendola come una persona fragile che ha bisogno di conforto e aiuto. E a me chi ci pensa? L’unica persona che potrebbe pensare a me, l’ho abbandonata per tornare da voi. Ed ecco il ringraziamento. Sai cosa ti dico? Stai tu vicino a questa vipera. - disse tutto d’un fiato alzando la voce. Il padre la ascoltava attonito.

- E’ terrorizzata. Ha subito un’altra trasfusione. -

- E’ per questo che adesso mi odia ancora di più, perché nelle sue vene scorre il mio sangue ora? -

- Che vuoi dire? -

- Lascia perdere. Fa parte anche questo delle cose che non mi hai chiesto perché non hai tempo per me. Me ne vado a casa. -

- Patty aspetta. -

- Non appena sta meglio, mi trovo un appartamento e me ne vado a vivere da sola, con o senza il tuo consenso. - concluse risoluta voltandogli le spalle e correndo via per il corridoio.

 

Il taxi sembrava inghiottire la strada argentata man mano che procedeva nella sua corsa. Il cuore gli batteva in maniera accelerata. Aveva mostrato al tassista l’indirizzo di Patty e lui lo stava conducendo in quella che era denominata Barceloneta.

Si trattava di un quartiere della città che si affacciava direttamente sul porto, con una passeggiata tra le più belle, giardini verdeggianti, palazzi d’epoca e ristorantini a base di pesce gestiti dai pescatori.

Pioveva, mentre a Parigi a quell’ora, la luna stava risplendendo alta nel cielo. Aveva promesso ai ragazzi che se ci fosse stato qualche problema, li avrebbe chiamati. Il tassista si fermò dinanzi uno stabile d’epoca recentemente ristrutturato e fece segno a Holly che la sua corsa era finita. Col cuore in gola, Holly scese, prese i bagagli e pagò il taxi. Pioveva. Si trascinò sopra i gradini dinanzi il palazzo e si riparò sotto la pensillina. Guardò il citofono e notò il cognome che cercava. Fece un respiro molto intenso e cercando di ritrovare le forze perdute, pigiò il pulsante. Nessuna risposta. Continuò per altre dieci volte, ma nessuno rispondeva.

- Porca miseria. Non c’è nessuno. Ed ora cosa faccio? - si chiese sedendosi sul gradino più alto. - La aspetto. Dovrà pur tornare a casa. - pensò incrociando le braccia e guardando il mare.

 

 

- Che stupida che sono stata! Perché non ho seguito il mio cuore? Perché non sono corsa tra le braccia di Holly, perché? Per lei che mi odia così tanto? Per mio padre che la difende senza preoccuparsi dei miei sentimenti? - pensò correndo sotto la pioggia per raggiungere l’uscita del policlinico. Si guardò intorno. Era sera e lei era sola in una grande città. Aprì la sua borsa e frugò all’interno. Sul biglietto aereo aveva scritto l’indirizzo di casa e aveva con se i doppioni della chiave del portone e di casa che le aveva spedito suo padre insieme al biglietto aereo. Non aveva abbastanza soldi per prendere un taxi. Continuò a guardarsi intorno, poi vide il caratteristico cartello che indicava la presenza di una stazione della metropolitana. Aveva freddo. Seppure a fine luglio, la pioggia aveva rinfrescato l’aria. Scese di corsa le scale e si fermò dinanzi la mappa della città con disegnate delle linee colorate. Ognuna di essa contraddistingueva una linea della metropolitana. Individuò il suo punto di origine e la linea che doveva prendere per scendere a Barceloneta. Poi vide un box informazioni dove vendevano i biglietti del metrò.

Ne prese due pensando che uno potesse tornarle utile l’indomani. Raggiunse la galleria appena in tempo per correre sul treno diretto a Barceloneta. Era semi vuoto. Evidentemente la gente era già nelle località turistiche oppure quella sera di pioggia aveva preferito non uscire di casa.

Si sedette vicina al finestrino e continuò a guardare fuori come se potesse rimirare un bel paesaggio. Buio, c’era solo qualche spiraglio di luce che illuminava le fermate del treno. Senza neppure accorgersene, le lacrime cominciarono a scendere solcandole il volto provato dalle tante emozioni di quel giorno. Voleva urlare per la disperazione o più semplicemente come atto liberatorio. Il cuore tamburellava nel suo petto che si muoveva al ritmo del suo respiro.

Aveva dimenticato di prendere i bagagli dall’accettazione. Non le importava. Desiderava solo buttarsi su un letto e addormentarsi nella speranza che la notte portasse via con se il sapore amaro di quella domenica.

Scese dal metro oramai spossata e con la sola forza di inerzia, mosse i suoi passi verso la scala mobile che l’avrebbe riportata in superficie. Prima di uscire, fermò una ragazza e le mostrò l’indirizzo. Si trovava nei pressi di casa sua.

Appena fuori dal metrò, seguendo le istruzioni della ragazza, terminò l’isolato e girò a sinistro. Doveva andare dritto per un altro isolato e avrebbe trovato la via. La pioggia non era più battente ma insisteva ancora. Girò per la strada indicatale e cominciò a leggere i numeri civici in cerca del suo. Era buio e due lampioni erano fulminati. Un cane randagio la seguiva senza abbaiare.

 

Vide il palazzo dove suo padre si era trasferito. Era arrivata. Pochi passi la separavano da un meritato riposo. Fu percorsa da un brivido lungo la schiena. Scorse un’ombra sulle scale dinanzi il portone. Era troppo buio per poterne distinguere i lineamenti. Si strinse nel cardigan umido e si passò una mano tra i capelli roridi. Quell’ombra sembrava fissarla. Si alzò al suo incedere verso il portone. Erano uno di fronte all’altra. Una macchina passò e li illuminò entrambi.

Parevano poter udire i battiti dei loro cuori. Avevano entrambi il cuore in gola, non riuscivano a parlare. Di nuovo l’uno di fronte all’altra, in circostanze diverse.

Holly era lì di fronte a lei. Esattamente come era corso in aeroporto per cercare di fermarla, era saltato sul primo aereo e l’aveva raggiunta. Continuava a guardarlo incredula senza riuscire a proferire alcuna parola.

Patty. La sua dolcissima amica, la ragazza che aveva scoperto di amare. Sembrava un pulcino bagnato, tremante e indifeso. Le poche luci della via riuscivano a illuminarle lievemente il volto malinconico. Gli occhi sembravano pulsare, erano lucidi. Non sapeva cosa fare. Vide una smorfia sul suo volto, arricciò gli occhi e le lacrime sgorgarono da sole. Gli corse incontro e con un lieve balzo fu tra le sue braccia.

Le circondò le spalle e la strinse forte a se. Tre anni prima l’aveva abbracciata in maniera diversa ma già consapevole che avrebbe imparato ad amarla più di ogni altra cosa.

- Mi dispiace Holly…io non volevo deluderti! Desideravo mantenere la mia promessa, mi dispiace! - gli disse tra i singhiozzi.

- Sssttt. Non dir nulla. Non devi rimproverarti niente. -

- Quando….quando tornerai in Giappone, io non ci sarò ad aspettarti! -

- Non m’importa nulla della promessa….

- Tu hai mantenuto la tua: sei diventato un calciatore professionista! - esclamò guardandolo con espressione imprecante. Sul volto di Holly apparve un tenero sorriso pieno di affetto per la ragazza che amava. Era dispiaciuta al punto tale da disperarsi.

- Mi dispiace Holly non averti detto che mi sarei trasferita qui…mi dispiace per non….esserti stato accanto…quando hai alzato la coppa…

- Non mi importa nulla Patty! - le disse con tono amorevole.

- Non sei arrabbiato con me? - chiese lei incredula.

- E perché dovrei? I ragazzi mi hanno detto delle difficoltà che hai avuto per venire a Parigi. -

- Volevo vederti! - rispose continuando a fissarlo negli occhi. Quelle parole sincere le erano uscite dal cuore. Le accarezzò il volto cercando di spazzare via le lacrime.

- Anch’io volevo vederti, non resistevo più. Mi sei mancata Patty, ogni qual volta mi giravo, speravo di poterti vedere lì, accanto a me. -

- Holly, io…non ho fatto altro che pensare a te! -. Era il momento della verità in cui tutti i loro segreti e desideri più nascosti sarebbero venuti alla luce.

- Lo so, ho sempre avvertito la tua presenza al mio fianco. Mi bastava pensarti per sentirti vicina. Ho pensato e ripensato a cosa mi stesse succedendo. Da quando sono partito per il Brasile, il mio cuore non ha fatto che battere al solo pensarti. Mi dispiace per averti fatta soffrire, aver temporeggiato tanto, ma credimi, non me ne rendevo conto. Quando stavo per partire, sono corso da te perché volevo abbracciarti un’ultima volta, desideravo che condividessi il mio desiderio di diventare calciatore professionista. -

- Hai sempre potuto contare su di me. Ed io, ho sempre creduto che tu potessi realizzare il tuo sogno. - disse a Holly cercando di non fargli pesare troppo le sue responsabilità.

- Se ci sono riuscito, Patty, è perché sapevo che eri con me in quest’avventura. Tu mi hai dato la forza per continuare anche nei momenti peggiori, proprio quando mi infortunavo e tu eri lì a prenderti cura di me. Anche se sembrava così, io ho sempre apprezzato molto quello che hai fatto per me. Non ho mai avuto il coraggio per ringraziarti. -

- Holly…io l’ho fatto con piacere. Desideravo essere al tuo fianco, anche se tu non ti accorgevi di me! - rispose schietta col cuore palpitante d’amore.

- Lo so Patty e ti ringrazio. Tu sei la mia fortuna. E’ a te che dedico il trofeo che oggi ho potuto alzare al cielo, alla ragazza più splendida che ci sia, alla ragazza di cui mi sono pazzamente innamorato. -. Patty non credeva alle sue orecchie. Le aveva detto nuovamente di amarla. Non aveva sentito male all’aeroporto.

- E’ un sogno che si avvera. -

- Tu sei il mio sogno, un sogno da cui non voglio risvegliarmi. Ti amo Patty, più della mia stessa vita. -

- Ti ho sempre voluto bene Holly e ti amerò per sempre, se tu lo vorrai. - gli disse con il volto trepidante di emozione. Avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza sfiorandole dolcemente, poi un bacio passionale e un altro ancora più lungo che finalmente li stava unendo nel loro amore. La pioggia continuava a scendere copiosa ma a loro non importava.

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Capitolo 8
*** Sempre e solo tu ***


CAPITOLO 8

 

 

Sempre e solo tu

 

 

 

 

La pioggia continuava a intingere la città di tonalità argentate e l’aria di fine luglio era particolarmente fresca. Holly e Patty erano ancora stretti l’uno nelle braccia dell’altra per poter fissare indelebilmente nella loro mente, ogni singolo istante di quell’attimo di amore che stavano vivendo.

- Patty stai tremando. Sei completamente fradicia. - le disse Holly mettendole le mani sulle spalle. - Dammi le chiavi, ti porto su. -. Senza neppure controbattere, la ragazza afferrò la chiave del portone e di casa e seguì l’amato per le scale. Nonostante la stanchezza e la debolezza, Patty non distoglieva gli occhi da quel giovane di cui era tanto innamorata. Non aveva avuto il tempo di constatare quanto fosse cambiato il suo fisico. In tre anni, le spalle erano diventate più larghe e il torace muscoloso, frutto di allenamenti duri e di molto nuoto. Era diventato più alto, ma nonostante tutti quei cambiamenti, il suo viso era sempre quello di un cucciolo, quegli occhi scuri che l’avevano tanto affascinata, ma soprattutto, gli anni non avevano per nulla smussato la sua dolcezza.

Aprì la porta e cercò un interruttore appoggiando la mano sul muro. Si voltò verso Patty. Afferrò le sue valigie e le portò all’interno della casa, poi prese per mano la sua Patty e con un cenno del capo la invitò ad entrare.

L’ingresso era molto ampio e dava accesso alle stanze dell’appartamento. Silenziosamente, perlustrarono la casa andando prima a sinistra. Holly premette l’interruttore e le luci dei faretti illuminarono un corridoio con quattro porte. Le aprirono una dopo l’altra scoprendo prima la sala da bagno, poi la camera matrimoniale, la stanza degli ospiti e l’ultima, era la camera destinata a Patty. Non avevano dovuto intuirlo perché appesa alla maniglia c’era una targhetta ricamata dalla ragazza tempo prima, che riportava il suo nome. Suo padre doveva averla messa lì proprio per indicarle la stanza. Quando Holly ebbe aperto la porta della stanza, entrambi rimasero allibiti.

L’armadio si trovava sulla stessa parete della porta, il letto da un lato e di fronte uno scrittoio con la sua poltroncina. Al centro della stanza erano stati raggruppati tutti i suoi cartoni; sulla branda c’era un nudo materasso privo di lenzuola. Tutte le stanze che avevano visto fino a quel momento, erano state arredate con gusto. Holly le strinse più forte la mano e la portò via.

- Vieni, andiamo in cucina. Ti preparo un the e ti fai una doccia calda altrimenti ti verrà un febbrone. - le disse accarezzandole il volto premurosamente. Lei annuì incapace di parlare. Alison non le aveva neppure sistemato la roba tanto era stata impegnata ad odiarla. Ma perché provava tanto risentimento nei suoi confronti?

Ritornarono nell’ingresso. Frontale alla porta c’era un grande arco che conduceva ad un salone doppio con all’interno un angolo pranzo sistemato su una pedana. Una porta chiusa invece conduceva allo studio del padre. Ritornarono per la seconda volta all’ingresso e stavolta varcarono il disimpegno a destra dell’uscio. Trovarono subito una seconda sala da bagno e senza pensarci due volte, Holly entrò ed aprì il rubinetto dell’acqua calda all’interno della doccia. Prese un accappatoio appeso vicino il mobiletto e lo diede a Patty.

- Una doccia calda ti farà bene. -. Lei annuì senza proferire parola. Le sembrava tutto così irreale. Holly, il suo Holly che si prendeva teneramente cura di lei.

Invitata dal getto d’acqua calda, si svestì velocemente e dopo pochi istanti fu inondata da miriadi di goccioline calde.

 

Holly intanto, sembrava aver preso possesso della cucina. Era una stanza molto ampia con i mobili suddivisi in due pareti e il tavolo con le sedie centrale. Constatò che si trattava di una casa molto bella, curata nei minimi particolari anche se non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale la stanza di Patty non fosse stata sistemata. Gli abiti. Patty sarebbe uscita in accappatoio dal bagno. Arrossì al solo pensiero di poterla vedere cinta solo da quel morbido telo di spugna. Era bellissima. Non l’aveva mai vista così bella e lui si sentiva il ragazzo più fortunato della terra. Ed anche il più stupido. Come aveva fatto a perdere tanto tempo dietro il pallone? Lei era sempre stata a soli due passi da lui, stretta al suo fianco disposta ad aiutarlo in ogni momento. E lui era corso inevitabilmente dietro quella sfera che tanto l’aveva fatto sognare e che a soli diciotto anni l’aveva consacrato come uno degli astri nascenti del calcio.

Cercò un bollitore per il the aprendo gli sportelli. Quando lo trovò, lo riempì d’acqua e lo mise sulla cucina. Aprì nuovamente gli sportelli per cercare il the e lo zucchero e poi le tazze per loro. Lui che preparava il the per la sua Patty. Era sempre stata lei ad occuparsi di lui. Ma adesso le cose erano cambiate. Aveva avvertito la sua fragilità, le sue lacrime avevan parlato chiaro. Solo lui poteva darle il conforto di cui necessitava, le avrebbe dato tutto l’amore che in quegli anni aveva maturato solo per lei. Perso tra i suoi pensieri, si destò solo quando udì il rumore del phon acceso. Si stava asciugando i capelli. Sorrise. Afferrò un vassoio che aveva trovato, dispose le tazze e la zuccheriera e versò il the. Elevò il vassoio e lo portò nel salone appoggiandolo sul tavolino sistemato tra i due divani disposti ad elle.

La stanza era fievolmente illuminata da un lume appeso nella sala da pranzo. Gli piaceva quell’atmosfera estremamente soft. Si avvicinò alla finestra e scostò le tende. Non pioveva più. Doveva pensare a dove andare a dormire quella notte. Era stremato anche se non lo dava a vedere. Le interminabili ore in aeroporto a San Paolo, il viaggio aereo fino a Parigi, la partita e poi la corsa per Barcellona. Cosa si faceva per amore. Com’era cambiato in quell’ultimo periodo.

 

Non la udì arrivare. Sentì solo le sue braccia cingergli la vita. Avvertì un fremito che gli attraversò la schiena. Lei era lì, poteva sentirne il profumo fiorito, il calore della sua pelle avvolto nella morbida spugna. Si liberò dall’abbraccio e la guardò. Sembrava fragile e indifesa, ma era stupenda e regale nella sua semplicità. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Anni e anni in cui l’aveva ignorata e adesso era a pochi passi da lui, raggiante in tutto il suo splendore.

- Ehy, piccola. Cosa c’è? - le chiese Holly dolcemente prendendole il viso tra le mani. - Perché piangi? -

- Non capisco…perché mi odia tanto? -

- Di cosa parli? -

- Alison! E’ per lei che sono tornata con urgenza abbandonando te. -

- Ma ora sono qui e non ho intenzione di lasciarti. -

- Sì ma…ma ho rischiato di rovinare tutto. Se tu non fossi ….

- Tesoro, non importa quello che è successo…sapevo che c’era qualcosa che non andava bene. L’ho sognato. -

- Sognato? - chiese perplessa.

- Sì. Ti ricordi quando ti ho telefonato prima della tua partenza per Parigi? -

- Sì. -

- E’ successo poco prima. Ti vedevo sulla spiaggia dove solitamente andavo a correre. Ero così felice di vederti che ti correvo incontro. Ma tu eri sfuggente e alla fine del sogno mi dicevi che dovevi andar via. Ti perdevo, nel sogno. E’ per questo che ti ho chiamata. Volevo assicurarmi che tu ci fossi ancora, che volessi aspettarmi. -

- Se mi avessi detto che saresti tornato tra dieci anni, ti avrei aspettato lo stesso, Holly. -

- Amore mio, vieni qui. - le disse abbracciandola, - Ancora non ci credo che finalmente, io e te….-

- Ho rischiato di perderti ancora una volta per correre dalla mia matrigna. -

- Hai fatto quello che dovevi fare Patty. -

- Mio padre era disperato. Aveva bisogno di me ed io…non potevo lasciarlo qui da solo. - disse allarmata.

- Non devi giustificarti, ti capisco. - le disse cercando di calmarla.

- Holly, credimi: non c’era cosa che più desideravo di più che riabbracciarti. E’ per te che sono corsa a Parigi nonostante le obiezioni della mia famiglia. Io dovevo esserci. Quando è arrivata la telefonata di papà, il mondo mi è crollato addosso. Sono corsa qui sperando di poter essere almeno di aiuto e invece? Quando sono andata in ospedale, Alison mi ha trattato come la peggiore delle sguattere, si è sentita male, serviva una trasfusione ed io mi sono offerta. Nonostante tutto, neppure un grazie. E mio padre? L’ha difesa fino alla fine mentre io non solo perdevo la mia famiglia, ma soprattutto pensavo di aver perso te. - disse in preda all’eccitazione e al dolore.

- Patty, adesso calmati. Amy, Jenny e gli altri mi hanno spiegato perché stavi venendo qui. Non devi discolparti per essere andata via all’improvviso. Anzi, ho apprezzato tantissimo il tuo gesto. E quando ti ho vista all’aeroporto, ho letto la disperazione nei tuoi occhi. E’ stato l’amore che provi per me a spingermi a saltare sul primo aereo e a raggiungerti. Adesso non devi più temere di perdermi, perché io sono qui e ci resterò. -

- Ma…la tua carriera.-

- In Brasile sono stato contattato da due club spagnoli. Quando i ragazzi mi hanno detto dov’eri diretta, ho deciso dove sarei andato a giocare per i prossimi quattro anni. Barcellona. Giocherò nel grande Barça, una delle più note squadre europee. -

- Vuoi dire che non dovrai tornare in Brasile o in un altro stato? - le chiese radiosa in volto ed incredula per quanto aveva appena udito. La prese per la vita e la sollevò facendola volteggiare come una farfalla.

- No amore. Resterò qui con te, se tu lo vorrai. -

- Sì che lo voglio, Holly, più di qualsiasi cosa al mondo. - gli disse baciandolo. Tutto era spontaneo tra di loro. Prima un bacio dolce, poi un altro ed un altro ancora sempre più passionale fino a che abbracciati non caddero sul divano. Holly era sopra di lei: la guardò. Sembrava una bambola di porcellana. I capelli scuri erano sparsi sul divano di pelle color cammello. Nell’ovale niveo brillavano intensamente i suoi occhi color nocciola. Con un dito le sfiorò le labbra carnose di un rosso rubino.

- Patty forse…è ora che io vada. - le disse imbarazzato.

- Resta con me, ti prego, non andare via. -. Quelle parole risuonarono nella sua mente. Sembrava un grido di aiuto. Ad invocarle era la sua donna, colei che amava. Continuò a disegnare nella sua mente le forme perfette del suo corpo.

L’accappatoio, leggermente aperto, lasciava intravedere le lunghe gambe snelle e più su, l’attaccatura dei seni. Holly chiuse gli occhi al sol pensiero di quello che stava per accadere. Lo desiderava ardentemente esattamente come lei. Patty alzò una mano e prese ad accarezzargli il volto con delicatezza. Le afferrò la mano e se la portò alle labbra baciandola ripetutamente. La prese in braccio e dopo pochi istanti si ritrovarono sul letto nella camera degli ospiti.

Avvicinò il suo volto a quello della ragazza e riprese a baciarlo lentamente fino a scendere sul collo. Con leggerezza spostò il colletto dell’accappatoio e le sue labbra si posarono sulla spalla. Patty, in preda all’eccitazione continuava ad accarezzargli l’ampia schiena. Sussultò quando la mano del ragazzo cercò lentamente i seni nudi accarezzandoli quasi con timidezza. Gli sorrise e lo attirò a se per un altro bacio. Con un gesto rapido Holly si svestì e trascinati da un’incontenibile passione, quella sera si unirono in un unico corpo vivendo intensamente il primo giorno della loro lunga storia d’amore.

 

 

Il sole filtrava dalle persiane quasi dispettoso. Holly strizzò le palpebre e le riaprì più volte cercando di capire dove si trovasse. Si mosse appena e sorrise quando la vide. Era bellissima. Rannicchiata sul suo petto nudo sembrava una creatura angelica. I capelli erano sparsi qua e là lungo il volto intinto di raggi dorati. La baciò sulla fronte felice di essersi risvegliato con lei accanto. Com’erano cambiate le cose in cos poche ore. Fino al giorno prima, entrambi non pensavano che sarebbe successo. Invece si stava risvegliando con lei accanto. Sorrise pensando che finalmente il fantasma di un Holly tanto imbranato in amore, era scomparso per lasciar vita invece ad un ragazzo pieno di sentimenti e passione.

Patty aprì gli occhi incrociando quelli di lui. Arrossì leggermente. Erano nello stesso letto; i loro corpi nudi sembravano recitare ancora la passione che li aveva avvolti quella notte.

- Buongiorno amore mio. - le disse sorridendole.

- Dimmi che non è un sogno…che sei davvero qui con me! No, non svegliarmi. Desidero che questo sogno non finisca mai. -

- Non stai sognando. Siamo qui, io e te. Stretti l’uno all’altra. - le sussurrò.

- Holly. -

- Sì. -

- Ti amo. - gli disse sinceramente mentre il cuore le batteva forte in petto.

- Patty. -

- Sì. -

- Ti amo. - le disse sorridendo. Scoppiarono in una risata gioiosa mentre dal salone giungeva il suono del telefono. Si guardarono in volto indecisi sul da farsi. Afferrò l’accappatoio e corse verso il salone dove la sera prima aveva visto il telefono.

- Vado a farmi una doccia. - le urlò.

 

 

- Pronto? - rispose affannata dalla corsa.

- Patty! - esclamò la voce dall’altra parte del telefono. La riconobbe subito e un velo di tristezza scese su di lei. Quella voce la riportò alla realtà spezzando l’incantesimo che si era creato la sera prima.

- Come stai? - chiese George alla figlia. Il suo tono era sommesso quasi di scuse nei confronti di quella figlia da lui tanto trascurata il giorno prima.

- Come sta lei? - chiese a sua volta evitando di rispondere al padre.

- Ha trascorso una notte tranquilla. I valori sembra che si stiano stabilizzando. Se procede così, potrebbero anche non dover interrompere la gravidanza. Tuttavia dovrebbe rimanere in ospedale per i prossimi due mesi, per essere monitorata continuamente e soccorsa in caso di necessità. -

- Perché me lo dici così, tutto d’un fiato? Pensi forse che io possa essere felice perché deve restare in ospedale per altri due mesi? - gli chiese freddamente senza alterare il suo tono di voce.

- Patty, per favore, cercate di non ricominciare a litigare. La dottoressa Ramirez mi ha detto che mentre io riposavo, ti sei offerta per donare il sangue a Alison. E’ stato un gesto molto nobile, il tuo. -

- L’avrei fatto per qualunque altra persona. Spiegalo alla tua principessa, soprattutto sapendo che ne va della vita di un bambino. Lei non fa altro che attaccarmi, lo ha fatto anche ieri in presenza dei medici. Non ha gradito molto la mia presenza e questo mi ha ferita. D’altronde, la riprova di non essere gradita l’ho trovata a casa. -

- Patty, ti prego, non fare la bambina! -

- Cosa? Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? - urlò irritata dalle parole pronunciate dal padre. - Sono saltata sul primo aereo per correre qui da voi e per l’ennesima volta tua moglie mi rifiuta incitandomi ad andar via. Arrivo a casa stremata e cosa trovo? L’unica stanza non sistemata, con i pacchi ancora sigillati è la mia. Cosa dovrei pensare? Che non volevate sistemarmi la roba perché sono troppo gelosa delle mie cose? - continuò senza interrompersi.

- Non essere frettolosa. Ci sarà sicuramente una spiegazione. -

- Smettila di difenderla. Vuoi rendertene conto? Quale spiegazione vuoi che ci sia a quest’ultimo gesto? Era forse più importante sistemare la camera degli ospiti che quella di tua figlia? - gli chiese sperando in una possibile spiegazione che in qualche modo potesse lenire quel suo rancore nei confronti della matrigna che pian piano stava prendendo forma dentro di lei.

- Ne parliamo più tardi, quando vengo a casa. -

- Non hai una risposta, vero? Non aver fretta di tornare a casa papà. Non sono io che ho bisogno di te. -

- Patty smettila. - le disse ammonendola.

- Non sai dirmi altro. Tutto qui? -

- Non mi piace l’idea che tu sia sola in una città che non conosci. -

- Non è la prima volta che mi allontano da te e d’altronde, sono stata sempre sola, anche nella stessa città. -. George tacque a quelle parole. Era la mera verità. Sua figlia aveva sempre ragione. Costantemente in viaggio per il suo lavoro, George aveva trascurato Patty e nonostante questo, si era dimostrata una ragazza piena di qualità, studiosa e soprattutto ben proiettata nel mondo degli adulti. Non era più una bambina. Era una donna che voleva la sua indipendenza e che finalmente aveva trovato il coraggio di metterlo contro uno specchio a confronto con la realtà.

- Se ti può far star meglio, non sono sola. -

- Che vuoi dire? - chiese allarmato. Patty deglutì. Si sarebbe risparmiata i particolari ma gli avrebbe detto che Holly era lì. In fondo era anche giusto tranquillizzarlo che non era sola.

- Holly è qui. Mi ha raggiunta da Parigi. -. George azzittì. Non c’era bisogno di chiarimenti o interpretazioni della frase della figlia. Oliver Hutton. La promessa del calcio internazionale innamorato di sua figlia a tal punto da inseguirla per mezzo mondo. Holly non aveva esitato un solo attimo a saltare sul primo aereo per correre da lei. Lui invece, il giorno prima si era dimenticato anche di chiederle come stesse e l’aveva rimproverata di negligenza nei confronti della moglie. Stava sbagliando tutto con sua figlia. A cosa sarebbe andato incontro.

- Tu…stai bene? - le chiese non sapendo cosa dire. Stava sudando freddo. Non voleva essere diretto, ma voleva sapere da Patty se lei e Holly avessero passato la notte insieme.

- Cosa vuoi sapere papà? - gli chiese mentre le lacrime le salivano agli occhi. Il petto si sollevava al palpitare del suo cuore. Stava tremando. Non temeva di dire la verità a suo padre ma il suo giudizio. Per lui era sempre stata la figlia perfetta, quasi priva di difetti, diligente e obbediente alla matrigna.

Holly la guardava mentre appoggiata al bracciolo del divano, tratteneva la cornetta con ambedue le mani. Era una sua decisione. Doveva essere lei a parlare al signor Gatsby. Se l’avesse accusata di qualcosa, lui sarebbe stato pronto a difenderla ad ogni costo: ne era consapevole.

- Patty, stai piangendo? - le domandò George eludendo un’altra domanda che avrebbe solo inasprito i toni di quella conversazione. Dimenticava che sua figlia non era più una bambina e che ora aveva anche un fidanzato.

- Sì. - ammise mentre le lacrime scendevano lungo le gote.

- Perché? Ti ha fatto forse qualcosa…

- No. Holly è la persona migliore che io conosca ed io ne sono…innamorata! - ammise cercando di frenare i singhiozzi. Suo padre tacque. Era la persona migliore che sua figlia conosceva. Quelle parole risuonavano dure nella sua mente. Oliver Hutton aveva preso il suo posto nel cuore di Patty. Inevitabilmente, dovette ammettere che per quanto fosse stato lontano negli ultimi tre anni, Holly le era stato più vicino di quanto invece non avesse fatto lui. Era sempre stato nel cuore e nella mente di sua figlia e adesso le era accanto.

- Mi dispiace averti fatto tante domande…scusami, dimentico che ora sei una donna. Ma non mi piace sentirti piangere. -

- Pensi che a me piaccia? Se piango papà, è perché sono triste per questa situazione che si è creata. Tu saresti felice sapendo che non sei desiderato da qualcuno con il quale devi convivere? -. La domanda era stata sufficientemente diretta per scagliarsi come una freccia dritta nel cuore di George. Come doveva comportarsi? Chi doveva spalleggiare in questa guerra tra madre e figlia? Avrebbe dovuto parlare con Alison e chiarire un po’ di cose.

- Okay, parlerò con Alison e cercherò di comprendere il perché dei suoi comportamenti nei tuoi confronti. -

- Questo non cambierà quello che ho detto ieri! - rispose determinata. Sapeva a cosa si riferiva. - Resterò qui a Barcellona, non andrò a studiare negli Stati Uniti, ma deciderò io il mio corso di laurea e al più presto mi troverò un altro alloggio. -

- Non essere affrettata. Vorrei che ci pensassi. -

- Ci penserò infatti, ma sappiate, tu ed Alison che intendo procedere così. - ribadì seccamente confermando quelle che erano state le sue ultime parole al padre il giorno prima.

- Devo andare, il medico mi sta chiamando. -. Patty tacque. Era indecisa sul da farsi. Sapeva benissimo che suo padre era stremato, che probabilmente doveva andare a lavorare, che non aveva dormito granché e che aveva assolutamente bisogno di una doccia. Era suo padre e lei nutriva un profondo affetto nei suoi confronti.

- Senti…potrei venirti a dare il cambio. Così ti riposi e rinfreschi. Mi terrò alla larga da Alison, ma se necessario, io sarò lì. -. George non sapeva cosa dire. Si aspettava una simile proposta da sua figlia. Era abituata ad attaccare nelle discussioni, ma alla fine, per il quieto vivere familiare, chinava il capo e si prestava ad essere utile in diverse occasioni.

- Non so se è una buona idea. -

- Non preoccuparti. Cercherò di non litigare con lei. - aggiunse sospirando.

- Se è come tu dici, spero che prima o poi, lei possa apprezzare i tuoi sforzi. -

- Non lo faccio per lei, ma per te e per il bambino. -

- D’accordo. Ti aspetto. -

- Papà! -

- Sì. -

- Ti voglio bene. -. George tacque. Sapeva che erano parole sincere e ricche di significato. Aveva il cuore gonfio di lacrime, un urlo che voleva uscire dalla sua gola impedito da un nodo, un desiderio immane di correre via verso la libertà. Erano state ore molto dure ed intense per lui. Il precoce ricovero di Alison era stato l’ultimo tassello ad un periodo ansioso e fortemente stressante per lui. Aveva chiesto aiuto a sua figlia e lei era corsa da lui senza pensarci due volte. Purtroppo però, il rapporto tra Alison e Patty restava la sua spina nel fianco. Fino a che non sarebbero andate d’accordo, lui non sarebbe stato sereno. Amava molto sua figlia e non poteva che apprezzare quello che stava facendo per lui e la matrigna.

Non attese che il padre rispondesse: riattaccò e rimase a fissare il telefono. Stava pensando a cosa avrebbe fatto. Holly continuava a guardarla. Non sapeva se disturbarla o meno. Poi decise. Le si avvicinò e la stinse tra le sue braccia. Patty accoccolò il capo sul suo petto, stringendosi a lui ancor più forte, per il timore che potesse andar via.

- Devo andare da loro. - gli disse con voce flebile.

- Lo so. E’ la cosa giusta, Patty. Hai preso la decisione migliore. -

- Spero di sì. E tu cosa farai? - chiese guardandolo in volto. Com’era bello il suo Holly. La carnagione abbronzata dal sole carioca, il suo fisico scolpito dagli allenamenti.

- Devo chiamare Roberto. In qualità di mio procuratore, deve formalizzare il mio passaggio al Barcellona. Dovrebbe trovarsi ancora a Parigi. E dovrei anche contattare i ragazzi e mia madre. -

- E’ vero, presi com’eravamo da noi, ho dimenticato di chiamare Amy e Jenny. - aggiunse andando nella sua stanza.

 

 

 

Rovistando nei cartoni ancora sigillati, Patty recuperò un paio di pantaloni larghi in lino di colore azzurro ed una maglietta bianca. Dopo essersi fatta una doccia, si vestì e si pettinò. Si sentiva più rilassata adesso. Holly era con lei e avrebbe firmato presto un contratto con il Barcellona. Suo padre aveva intuito quello che era successo tra lei e Holly ed era consapevole dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra. L’unico neo rimaneva Alison. Aveva deciso di andare da lei per sostenere ancora una volta il padre. Non poteva esimersi da quel dovere. Uscì dalla stanza e raggiunse Holly in cucina.

- Ho preparato la colazione. - le disse spostando la sedia per lei. Era irriconoscibile. Dov’era finito il ragazzo timido ed impacciato che ricordava lei? Patty guardò la tavola imbandita di tutto quello che il suo capitano aveva reperito nella dispensa di Alison.

- Non è un miraggio, vero? -

- Affatto. Accomodati. -

- Holly, sei tu o qualcuno ti ha fatto un rito di magia nera? - gli chiese sedendosi e non distogliendo lo sguardo da lui.

- Certo che sono io. Perché mi fai questa domanda? - le domandò sorseggiando del latte col caffè.

- Perché ti ricordavo diverso! Insomma, fino a tre anni fa vedevi solo il pallone. Adesso…-

Il ragazzo abbassò lo sguardo e sorrise. Poi la fissò. Patty arrossì. Le succedeva ancora. Quel ragazzo riusciva ad imbarazzarla, soprattutto quando la guardava.

- Ho avuto paura di perderti. E’ per questo che sono cambiato. Una vita non mi basterà per chiederti scusa per tutte quelle volte che mi sono comportato come uno sciocco ignorando completamente i tuoi sentimenti. Desidero porre rimedio a tutti i miei errori. Sono innamorato di te e desidero condividere con te ogni attimo della mia vita. - aggiunse allungando un braccio verso di lei. Patty gli sorrideva. Il cuore batteva forte per lui, per quel giovane che con tanta perseveranza aveva amato e avrebbe amato per il resto della sua vita. Afferrò la sua mano e se la portò alle labbra.

- Anch’io ti amo, Holly e, sarò onorata di restarti accanto. -.

- Adesso muoviamoci a fare colazione. O arriveremo tardi ai nostri appuntamenti. -

- Già. Hai chiamato Roberto? -

- Sì, ha accompagnato i ragazzi in aeroporto questa mattina alle sette. Dovrebbe essere già in volo da un quarto d’ora. Mi chiamerà non appena arriverà in aeroporto e ci daremo appuntamento. Quindi tesoro, se a te non dispiace, ti accompagno in ospedale. -

- Speravo me lo chiedessi. -. Terminarono la colazione con ritrovata allegria. Per distrarla da pensieri malinconici cominciò a raccontarle di alcune sue avventure comiche trascorse in Brasile. Il comportamento della ragazza era immutato: esattamente come negli anni precedenti, continuava ad ascoltare Holly catturata quasi magneticamente dal suo sguardo. Non avevano parlato della notte trascorsa insieme, consapevoli che si era trattato di un atto d’amore voluto da entrambi. Non volevano dimenticare quello che era successo, ma era ancora troppo imbarazzante parlarne. Era una situazione ancora alquanto inverosimile per loro, tanto da non rendersi conto di quanto in poche ore, il loro rapporto fosse cresciuto e mutato al tempo stesso.

Poco dopo, quando uscirono in strada avviati verso la stazione del metrò, Patty ebbe un tuffo al cuore. Lui le aveva sfiorato la mano e aveva intrecciato le dita con le sue. Le sembrava di vivere in un sogno dove tutti i suoi desideri parevano realizzarsi. Holly la guardò avendo ben compreso il suo iniziale disagio.

- Tutto bene? - le domandò.

- Eh…certo…è che..mi sembra tutto così strano. - disse sinceramente imbarazzata. Lui si fermò e le prese il volto tra le mani. Posò delicatamente le sue labbra su quelle della ragazza.

- Sai qual è una delle cose che più apprezzo di te? La tua sincerità e la semplicità che hai sempre avuto. Di te ho sempre avuto questo bellissimo ricordo, la persona che più di tutte mi era accanto, quella di cui fidarmi. Quella di cui mi sono innamorato e con cui voglio continuare questo cammino. -

- Grazie Holly. E’ che sei così cambiato che mi sembri quasi irreale! Insomma, io ti ricordavo come il ragazzo timido ed impedito, quello a cui dovevo correre dietro, che non capiva i miei sentimenti…-. Holly la baciò ancora una volta ma con trasporto e passione e lei, non potette che cedere a quell’emozione.

- Questa notte, ho provato delle sensazioni bellissime. Ho amato intensamente la donna che spero vorrà condividere insieme il mio futuro. E questa mattina, quando mi sono svegliato, mi sono reso conto di essere il ragazzo più felice della terra perché ho trovato te accanto a me. -. Lei si gettò tra le braccia sorridente.

- Sono io la ragazza più fortunata perché ho te. Sono innamorata del ragazzo più straordinario che ci sia e…Holly, è tale la mia felicità nell’averti accanto, che non riesco ad esprimerla come vorrei…ieri pomeriggio ero così sfiduciata e demoralizzata che ho sentito il mondo crollarmi addosso. Proprio come tre anni fa. Tu sei apparso all’improvviso per un ultimo abbraccio. Così ieri sei ricomparso nella mia vita. Quando sono sull’orlo del baratro, tu ci sei ed io ti ringrazio, amore mio. - gli disse stringendosi ancora di più al suo petto. Le mise una mano sui capelli e cominciò ad accarezzarglieli delicatamente.

- Qualcuno disse che in amore non si deve mai dire grazie. Patty, viviamo questo rapporto cercando di recuperare il tempo che abbiamo perduto. Io voglio stare con te e so che condividi questo mio desiderio. Vedrai, se saremo uniti, insieme costruiremo un futuro meraviglioso. -

- Non ti lascio più Holly. Ora che ci sei, non voglio che tu vada via. -. Lui rise di cuore e dopo averla baciata ancora una volta, ripresero a camminare mano nella mano verso la stazione della metropolitana.

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Capitolo 9
*** La strada della speranza ***


CAPITOLO 9

 

 

La strada della speranza

 

 

 

Era fermo lì, a guardare oltre quei vetri che si affacciavano sul cortile dell’ospedale. Era incredibile come a quell’ora del mattino ci fosse tanto movimento in una struttura sanitaria. Vedeva medici e paramedici camminare in un andirivieni continuo da un reparto all’altro, pazienti passeggiare e visitatori correre qua e là in cerca del loro degente. Vide una ragazza incamminarsi lungo il viale. Pensò alla sua Patty, alla telefonata che c’era stata tra di loro, a quello che le aveva detto. Guardò il cielo terso e limpido dopo la pioggia copiosa del giorno prima. Sospirò. Sua figlia, non più una bambina a cui badare, ma una donna indipendente che aveva trascorso una notte d’amore con il ragazzo che amava.

Sorrise pensando a Holly, a quello che ricordava essere un ragazzino imbranato che rincorreva quasi spasmodicamente una sfera bianca e nera. E lei, la sua piccola Patty, che lo inseguiva ovunque lui andasse per il solo piacere di stargli accanto, di poter vivere quella sua amicizia che adesso era sfociata in un meraviglioso amore.

L’aveva rincorsa per mezzo mondo pur di raggiungerla. Come avrebbe potuto obiettare di fronte alla sincerità di sua figlia e al coraggio di Holly? Il loro rapporto era esemplare: stavano cercando di coronare un sogno che da anni perseguivano. Aveva mille voci in testa. Erano diventati un uomo e una donna che desideravano solo la felicità reciproca.

Prese il suo portafoglio e ne estrasse una fotografia.

Sarah. Sorrise ancora una volta nel ricordo della prima moglie. L’aveva fatto anche lui. L’aveva conosciuta a Parigi e se ne era subito innamorato. Era tornato da lei dopo qualche mese per chiederle di sposarlo.

- Sarah. Sai, ancora ti penso. Non l’ho mai detto a Patty per non farla sentire sola. Tanto meno a Alison con la quale vivo serenamente. Non ti ho mai dimenticata, tu lo sai. E quando per lavoro, in questi anni, mi sono recato a Parigi, sono andato sempre lì. Ho salito la gradinata di Montmartre che conduce alla chiesa del Sacre Coeur e mi sono affacciato alla ringhiera. E’ lì che ti ho vista la prima volta. E’ lì che mi sono innamorato di te e che ti ho chiesto come mia sposa. Sai Sarah, Patty ti somiglia ogni giorno di più. A volte scambio la sua irruenza con la tua evanescenza. Sta vivendo un sogno d’amore. Come potrei impedirglielo? Non mi sento di farle prediche o paternali. Di fronte alla necessità ha abbandonato tutto per correre in mio aiuto. Ha vinto lei anche questa volta. Tu le hai donato il carisma e la volontà per prefiggersi e realizzare i suoi desideri.

- Alison non sta bene. Abbiamo concepito un figlio che forse non nascerà. Mi dispiace per Alison, soprattutto. Sarebbe la seconda volta, non è giusto che non riesca a realizzare il suo desiderio di maternità. Mi dispiace per me stesso, perché avere un altro figlio, mi emoziona come la prima volta. E sono preoccupato per Patty e per il rapporto che ha con Alison. Lei non ti sostituirà mai con nessuno, fosse anche la migliore donna del mondo. Vive ancora nel tuo ricordo, e non posso impedirglielo. Tuttavia, mi rendo conto che Alison non ha mai fatto nulla per costruire un rapporto con lei. Dati i miei impegni, fino ad ora non ho mai trascorso tanto tempo con loro e mi rendo conto di aver trascurato fin troppo la famiglia. Ma adesso desidero recuperare il tempo perduto, per Patty e per il bambino che nascerà. - pensò riponendo la fotografia nel portafoglio. Una lacrima gli solcò il viso.

Sentì aprire la porta della stanza in cui riposava Alison e vide la dottoressa uscire con una cartella tra le mani. La fermò per avere dei ragguagli sulla situazione e fu sollevato quando le disse che aveva trascorso la notte in maniera tranquilla e che era ottimista.

Rincuorato, George entrò nella camera avvicinandosi al letto della moglie.

- Ciao tesoro. Sai, la dottoressa mi ha appena detto che le tue condizioni stanno migliorando e che è ottimista anche per la gravidanza. -

- Per fortuna, non ce la faccio più a stare in questo letto. -

- Devi aver pazienza. Devi farlo per te stessa e per il bambino. -

- Sai George, lo desidero talmente tanto, questo figlio, che sto male al solo pensiero di perderlo. -

- Non devi avere certi pensieri. Devi essere più positiva e vedrai che andrà tutto bene. -

- Lo spero. -. Calò il silenzio tra i due. George stava cercando le parole più idonee per parlarle di Patty e del loro rapporto. Non sapeva da che punto cominciare e sperava in particolar modo di non far agitare la moglie.

- Come sta? - chiese lei all’improvviso cogliendolo di sorpresa.

- Ieri sera è andata via molto dispiaciuta e rammaricata. L’ho sentita stamattina e mi è sembrata più rilassata, seppur afflitta. -

- Ho sentito quello che ti ha detto ieri sera, in corridoio. -

- Era sconfortata. E non posso biasimarla. E’ saltata sul primo aereo per raggiungerci, abbandonando il ragazzo di cui è innamorata e che per vederla ha fatto un viaggio lunghissimo. Quando è arrivata, in preda alla disperazione non mi sono neanche preoccupato di come stesse. Poi lo scontro con te. Perché non riuscite ad avere un buon rapporto Alison? Vorrei capire il perché di tanto astio da parte tua nei suoi confronti. -. Non parlò, si limitò a chiudere gli occhi quasi in senso di assenso.

- Non perché si tratta di mia figlia, ma a me sembra che sia una ragazza abbastanza diligente, senza pensieri strani per a testa. -

- Che vuole andare a studiare negli Stati Uniti, che non vuole seguire gli studi che le hai consigliato, che si dispera per un ragazzo che magari non la pensa, che se ne va in giro per il mondo correndo dietro un pallone….direi che è perfetta. - ironizzò cercando di dipingere agli occhi del marito un quadro poco piacevole di Patty.

- Alison, è un’adolescente e come tale ha dei sogni, dei desideri. Mi ha detto che non andrà negli Stati Uniti, che resterà qui a Barcellona. Forse è anche giusto che segua gli studi che più le aggradano. Deve costruire il suo futuro. E per quanto riguarda Holly, non avendo avuto la possibilità di incontrarla a Parigi, è saltato sul primo aereo per raggiungerla qui a Barcellona. . -

- Che romantico. - rispose sarcastica con un’espressione di stizza. - E’ tua figlia e per quanto mi riguarda, se a te sta bene, può fare quello che vuole. -

- Non è questo il ragionamento da fare. Siamo una famiglia, che finalmente vivrà come tale. Cerchiamo di equilibrare i nostri comportamenti, i nostri caratteri. Tutti quanti, anche tu Alison. Tu non hai mai avuto diciassette anni? Non hai mai provato simili emozioni, l’amore contrastato verso un ragazzo, i sogni di un futuro roseo? -

- Da quando sei diventato così giovanile da riuscire ad immedesimarti nei pensieri di un’adolescente? - gli chiese riferendosi a Patty.

- Cerco solo di avere una quadro chiaro della situazione. Patty da un lato e tu dall’altro. Siete la mia famiglia, Alison e non posso permettervi di continuare ad avere un simile rapporto. E’ insano per entrambe. -

- Io non ho avuto il tempo di essere adolescente. Vuoi sapere perché mi comporto così con Patty? Perché in lei rivedo mia sorella. Si chiamava Patricia, proprio come lei. Non ci crederai George, quando mi facesti conoscere Patty, non credevo ai miei occhi. Un tuffo nel passato. Non solo il nome, ma anche il carattere somigliava tanto a quello di mia sorella. Man mano che tua figlia cresceva, che seguiva i suoi sogni, i suoi ideali, l’amore per Holly, mi ricordava sempre di più la mia Patricia. Se ho fatto ostruzionismo, se mi sono opposta a tante cose, se ho sempre avuto un rapporto freddo con lei, è stato unicamente per paura di ricadere nello stesso baratro in cui scivolai alla morte di Patricia. -. George guardava la moglie, dai cui occhi chiusi, scendevano lentamente delle lacrime.

- Accadde tutto un giorno. Era una ragazza innamorata della vita, adorava stare con gli amici, sognava di laurearsi e di fare il medico. Andò in gita con degli amici in un campeggio vicino il monte Fuji. Era notte quando udimmo squillare il telefono. Sentì mia madre urlare, papà correre da lei, ed io sobbalzai nel letto pronunciando il suo nome. Giocando con gli amici, cadde in burrone e quando i soccorsi la raggiunsero, non poterono che constatarne il decesso. -.

- Mi dispiace, io non lo sapevo. -

- Per tre anni mi sono sottoposta alle sedute di uno psichiatra. Non riuscivo a convincermi che lei non c’era più, la mia sorellina. Aveva solo un anno in meno, ma per me era sempre stata la mia migliore amica, l’unica che riusciva a farmi sorridere. Sono sempre stata un po’ malinconica, mentre Patricia era l’immagine della voglia di vivere. Due poli opposti che si attraevano a vicenda. Avevo bisogno di lei, della sua costante presenza al mio fianco e invece, mi ha abbandonata mentre giocava con gli amici. -

- E’ per questo che tratti così Patty? Per evitare di soffrire ancora? -

- Sì. Sono così simili che temo possa accadere il peggio. E’ un incubo del quale non mi sono mai liberata. Quando tu non c’eri perché eri fuori per lavoro, cercavo di dissuaderla dal fare determinate cose, per esempio frequentare il club di calcio che poco si addice ad una ragazza. Non volevo che a causa di un gioco, potesse succedere ancora. Ma tua figlia è testarda e quando si prefigge qualcosa, fa di tutto per realizzarlo. Patty è sempre stata affezionata ai suoi amici, per non parlare di Holly. Proprio come lo era mia sorella: lei viveva per gli altri.

- Anche se può sembrare assurdo, ho sempre invidiato Patty. Dopo la partenza di Holly, lei ha continuato a seguire i ragazzi e a vivere nel sogno del suo amore e in cuor mio sapevo che anche lui la ricambiava, le scriveva e le telefonava e a lei erano sufficienti quei pochi momenti per andare in estasi. Ogni giorno si è dedicata alle sue attività con passione e scrupolosità, e nella stessa maniera si è dedicata allo studio. La partenza di Holyl l’ha solo rinforzata. George, l’idea che possa succedere ancora mi terrorizza. -

- Perché? Per te stessa o per il bene di Patty? - gli chiese seccamente.

- Forse sono egoista, perdonami George, ma non voglio soffrire ancora. -

- Alison, ognuno di noi deve vivere la vita per come viene, cercando di non forzare gli eventi. Quello che è successo a tua sorella era scritto nel destino, doveva avvenire comunque. Avresti potuto far rinascere quel sentimento che avevi per tua sorella: il destino ti ha fatto incontrare me e la mia Patty. Non ci hai pensato? Ti aveva dato un’altra opportunità, per poter tornare a sorridere a Patty. Perché non sfrutti questa possibilità, perché non cercate di diventare amiche? -

- A cosa servirebbe? Lei mi odia. - rispose buttando lì quella frase a sua difesa.

- Sai benissimo che non è vero. Patty non è capace di provare odio per qualcuno. E’ una ragazza innamorata della vita come lo era tua sorella. Gli amici le sono sempre stati accanto e tu non puoi impedirle di frequentarli. E’ cresciuta senza sua madre e non potevi essere tu a privarla di un altro affetto. Soprattutto quello di Holly. Sono talmente innamorati che scommetto sarebbero disposti ad affrontare le fiamme dell’inferno l’uno per l’altra. Tra l’altro, penso che tu le debba un minimo di riconoscenza. - sentenziò avvicinandosi alla porta. Alison aveva compreso e in cuor suo sapeva che le parole del marito erano sincere e che rispecchiavano la mera verità.

- Lei ti ha aiutata nonostante il tuo diniego e sta venendo qui per sostituirmi. Io non penso che una ragazza cattiva agirebbe così. Se non vuoi farlo per me o per te stessa, fallo per il bambino e per tua sorella: ricostruisci con lei un rapporto vero. Non penso che a Patty dispiacerebbe avere una madre. - concluse sorridendole. Alison richiuse gli occhi e sospirò.

- Non sarà facile: abbagliata dal mio egoismo non mi sono mai preoccupata di avere un rapporto con lei. Sarà un’impresa…farmi perdonare da lei. -

- E’ una ragazza molto buona e comprensiva. Parlale col cuore e vedrai che capirà. - concluse congedandosi dalla moglie.

George uscì soddisfatto dalla stanza, non solo per le condizioni di Alison, ma soprattutto per quel chiarimento che c’era stato tra loro. Alison non aveva negato di aver avuto dei comportamenti poco piacevoli e aveva quindi sostenuto la difesa di Patty. Era orgoglioso di sua figlia, che nonostante la sua costante lontananza, si era sempre comportata in maniera degna di nota.

 

La vide arrivare con al fianco un ragazzo alto e dal fisico atletico. Si tenevano per mano, era una stretta così salda che nulla li avrebbe potuti dividere se non loro stessi. Non era la ragazza stremata e disperata della sera prima. Era una giovane donna piacevolmente innamorata e alquanto serena.

- Buongiorno signor Gatsby. - disse Holly allungando la mano verso quella di George. Era rimasto allibito nel vederlo. Sebbene il suo volto non fosse cambiato, in tre anni, il suo corpo sembrava essersi trasformato. Lo guardò negli occhi quasi a volersi sincerare che non avesse fatto alcun torto alla figlia. Lei lo guardava con espressione quieta e con un sorriso lieve accennato sulle labbra rosse. Holly ricambiò lo sguardo della sua ragazza e i suoi occhi parvero sorridere a quella dolce creatura che amava tanto.

- Ciao Holly. Bentornato. - rispose George spezzando quel momentaneo idillio.

- Grazie. Come sta sua moglie? - gli chiese con cortesia seppur imbarazzato da quel primo incontro.

- Adesso sta un po’ meglio. Se tutto va bene, - disse guardando la figlia, - dovrà rimanere qui per due mesi. Se riuscirà a mantenere la gravidanza in buone condizioni, tra due mesi partorirà. -

- Mi fa piacere che stia meglio. -

- Grazie Holly. Come stai? - chiese alla figlia. Impulsivamente strinse con forza la mano di Holly. Cercava il suo appoggio morale, la sua protezione. George se ne avvide e intese che oramai nel cuore della figlia c’era solo il giovane talento giapponese.

- Va meglio. E tu? Ti vedo stanco! - asserì disegnando i tratti del suo volto, stanco e con la barba visibilmente incolta di due giorni.

- Ho visto giorni migliori. -

- Va a casa a riposare. Ci sono io! - gli disse staccandosi da Holly e sorridendogli. La sua espressione era pacata e serafica. Il cambiamento rispetto al giorno prima era evidente.

- Non ti preoccupare papà. Resisterò alla tentazione di litigare con Alison. - gli rispose ironicamente cercando di sdrammatizzare la situazione.

- Grazie Patty. -.

Si avvicinò alla camera di Alison e la scrutò dal vetro. Sospirò, poi posò una mano sulla maniglia della porta e la girò entrando nella stanza.

- Grazie Holly! - gli disse George sorprendendolo.

- E per cosa? - chiese ingenuamente.

- Per quello che hai fatto per Patty. -

- Non ha bisogno di ringraziarmi. L’ho fatto perché lo desideravo con tutto me stesso. -

- Non farla soffrire, Holly. -

- Farei soffrire anche me stesso. Desideriamo solo essere felici. - gli disse sorridente e sincero. La sua espressione era energica e rilassante al tempo stesso. Quel ragazzo aveva qualcosa di speciale ed era per questo che sua figlia se ne era innamorata. Il cellulare di Holly squillò interrompendo quella conversazione.

- Ciao Roberto. Dove ti trovi? - chiese al grande campione brasiliano.

- Sono all’aeroporto. Holly, prendo un taxi e ci vediamo direttamente allo stadio. La squadra si sta allenando per un importante impegno che hanno mercoledì. Anche i dirigenti sono allo stadio, li ho sentiti poco fa. Sei sicuro di fare la scelta giusta? -

- Non sono mai stato così sicuro. -

- Al cuor non si comanda! - rispose Roberto in tono quasi arrendevole. - Il Real Madrid pagherebbe di più per averti. -

- Roberto, ho deciso di restare a Barcellona! - esclamò con tono deciso. George comprese il motivo per il quale Patty non si sarebbe recata negli Stati Uniti. Non era per far contento lui ed Alison ma unicamente perché Holly sarebbe rimasto in quella città. Indipendentemente dalla motivazione, tirò un sospiro di sollievo sapendo che Patty non sarebbe partita.

- Ne riparliamo prima di incontrare la dirigenza. - gli disse cercando di dissuaderlo.

- Come vuoi, anche se io ho deciso. Ci vediamo tra un po’. - aggiunse chiudendo la comunicazione. Guardò il padre di Patty.

- Resti a Barcellona? - gli chiese senza attendere che fosse il calciatore a parlare per primo.

- Sì. Quando ero in Brasile ho ricevuto due offerte. Una dal Barcellona e l’altra dal Real Madrid. Quando ho saputo che Patty…voi, vi eravate trasferiti qui, ho deciso che sarei rimasto in Cataluna. -. George gli sorrise.

- E’ ammirevole la vostra capacità di decisione. Basta un evento a farvi cambiare completamente opinione e decisione. -

- Basta seguire il cuore, come direbbe Patty. Ed io ne convengo. Il Barcellona è un ottimo club a livello europeo. Preferisco restare qui, così potrò stare insieme a Patty. - rispose sicuro.

- Penso che ne sarà felice. -. Holly annuì e George comprese che evidentemente ne avevano già parlato. Un pensiero lo assalì! Patty gli aveva detto che ben presto sarebbe andata via. Ora comprendeva che probabilmente sarebbe andata a vivere con lui. Impallidì.

- Posso salutare sua moglie? - chiese Holly riportandolo alla realtà.

- Ehm…ah sì, certo. - borbottò ancora in preda a quei pensieri. Holly si distaccò da lui e si affacciò alla stanza di Alison. Figlia e matrigna erano l’una di fronte all’altra. Nessuna delle due parlava.

- Salve signora Gatsby. Come sta? - chiese cordialmente sorprendendo anche Patty.

- Ciao Oliver. Sono stata meglio, grazie. - rispose gelida.

- Mi spiace. Patty io devo allontanarmi. Ti chiamo quando finisco con Roberto e la dirigenza. Tra l’altro, devo trovare un alloggio per stasera e domani e chiamare mia madre. -. Lei gli sorrise compiaciuta e quasi divertita dal suo daffare.

- In bocca al lupo e fammi sapere com’è andata. -

- Sicuro. - rispose ricambiando il tenero sorriso.

- Se non sai dove andare a dormire, puoi restare da noi! - esclamò Alison sorprendendo i due ragazzi. Patty si voltò verso di lei. Non aveva preparato la camera della figliastra, eppure invitava il suo fidanzato a pernottare nella stessa casa. Cosa stava architettando? Era una maniera per metterla a disagio e si era ravveduta dei suoi comportamenti? Holly guardò Patty ancora attonita da quello che Alison aveva appena detto..

- La ringrazio signora. Accetto volentieri. Allora, a dopo. - aggiunse uscendo dalla stanza.

- Io vado a casa, così mi riposo un po’. - disse George sopraggiunto dietro il campioncino.

- Papà, per favore, ieri pomeriggio ho lasciato i miei bagagli in accettazione. Potresti prenderli? -

- Certo cara. Alison, scusami, ma ho proprio bisogno di un po’ di riposo. -

- Non preoccuparti caro, c’è Patty con me! - esclamò confondendo ancora di più la ragazza che a questo punto non sapeva più cosa pensare. Holly e George scomparvero dalla stanza e un profondo silenzio calò tra le due. Non c’era l’aria elettrizzata e tagliente del giorno prima: stranamente non avvertiva la sua ostilità. Quella stanza era priva di finestre che si affacciavano all’esterno. Si sentiva reclusa. Aveva bisogno di respirare, di allontanarsi da Alison perché non comprendeva il suo comportamento. Aveva paura di quello che non riusciva a capire, le sembrava un peso insormontabile da poter sostenere da sola. Holly era andato via e lei era lì, alle strette.

Forse era quello che voleva suo padre: uno scontro diretto tra loro che le avrebbe messe a confronto.

- Hai bisogno di qualcosa? -. Le parole vennero fuori da sole. Sentì le labbra inumidirsi e riaffiorare il suo autocontrollo.

- No grazie. Perché non ti siedi? - le chiese indicando con lo sguardo la sedia accanto al suo letto. Patty chiuse gli occhi cercando di riacquistare le energie momentaneamente perse.

- Cosa sta succedendo? - chiese non resistendo più a quella che pensava essere una stupida farsa.

- Nulla, perché? -

- Non capisco dove sia finito il tuo atteggiamento alquanto astioso, avverso e ostile nei miei confronti! - rispose fulminandola con gli occhi. Alison strinse le lenzuola nei pugni. Temeva quella ragazza. L’aveva confessato a George e a se stessa.

- Fino a qualche ora fa non vedevi l’ora che andassi via dalla tua vista e adesso mi inviti a sedermi? - continuò non ottenendo risposta.

- Perdona il mio scetticismo ma non posso fare a meno di pensare che si tratti di un qualcosa ordito alle mie spalle. Vado in quella che dovrebbe essere la mia casa e trovo la mia stanza ancora a soqquadro e poi inviti Holly a pernottare da noi? -

- Calmati, non ho intenzione di litigare o creare altri dissidi. Siamo abbastanza mature per deporre le armi e cercare di convivere pacificamente. -. Patty era ancora più esterrefatta. Si chiedeva quale portentoso medicinale le avessero somministrato.

- Cosa vuoi dire? -

- So di non essermi comportata nella maniera più idonea, ma credimi, non è mai stato nelle mie intenzioni ferirti o crearti dei disagi. Il mio è stato solo ed esclusivamente un atteggiamento assunto come autodifesa. -

- Fammi capire bene: mi hai trattata con indifferenza, ostilità e forse anche avversione, solo ed esclusivamente per difenderti? - domandò circospetta e cauta cercando di creare la propria difesa nell’eventualità di un’accusa.

- Sì. -

- Ah sì? Mi sembra un comportamento un po’ strano, il tuo? -

- Hai ragione. - rispose abbassando le palpebre. - Mi dispiace. -

- Cos’è questa? La giornata internazionale dell’ammissione di colpe? - chiese sarcastica.

- Sto cercando di spiegarti il motivo di tanti comportamenti. Non si tratta di una giustificazione nei tuoi confronti, solo di una spiegazione. Non sono mai stata molto loquace e allegra, neanche durante l’adolescenza e la perdita di mia sorella, la persona a cui tenevo di più nella mia vita, mi ha immalinconita, avvilita e incupita maggiormente. Lei è morta mentre giocava con degli amici. Aveva la tua età, il tuo carattere, il tuo entusiasmo, l’amore per la vita e per gli altri: si chiamava Patricia. -. Quelle parole risuonarono risolute nella stanza. Nella sua mente ancora echeggiava quel nome, il suo stesso nome.

- Il mio non volere che tu frequentassi gli amici, che viaggiassi con loro, è sempre derivato da quel brutto ricordo. Lei è morta così. Durante una gita con gli amici, è caduta in un burrone. Ho sofferto tanto, non ho mai dimenticato, e non volevo che quei tristi ricordi riemergessero nella mia mente. -. Il suo tono era rilassato, non artefatto da oscuri pensieri. Stava raccontando la verità, quella parte del suo passato che per tanto tempo aveva represso in fondo al cuore e alla mente nella speranza che potesse cancellarlo per sempre.

- Mi…dispiace. Io non lo sapevo. - esclamò fievolmente sentitamente scossa da quella confessione e sentendosi mortificata per quello che aveva pensato e detto su di lei.

- Sono io a doverti delle scuse. Ti ho sempre invidiata Patty. Tu crescevi e anche se non c’era tua madre, se io non ti amavo come una figlia, se tuo padre era lontano per lavoro, tu non ti scoraggiavi mai, cercavi sempre una maniera per andare avanti. Esattamente come lei. Mi sono sempre sentita più debole rispetto a te. La tua amicizia per quei ragazzi, l’amore per Holly: sentimenti che sono cresciuti dentro di te e per i quali hai dato tanto. Io non sono mai stata capace di amare qualcuno come te. Mentre tu crescevi, io rimpiangevo la mia mancata giovinezza. La mia Patricia era tornata. La vedevo in te. Ha ragione tuo padre. Se solo io avessi voluto, ti avrei potuto amare come amavo lei e l’avrei fatta rivivere. -. Le lacrime le rigavano il volto silenziosamente. Patty la guardò con la vista annebbiata. Non pensava che quella donna fredda e distaccata, potesse nutrire dei sentimenti profondi e che la vita l’avesse messa così a dura prova! Aveva sentito affiorare dentro di se il sentimento della rabbia e dell’ira perché a causa di Alison la sua vita aveva subito dei cambiamenti drastici, aveva rischiato di perdere Holly. Invece era davvero una donna sola, che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, a cui aprire il cuore e la mente per poter esprimere liberamente i pensieri.

- Anch’io ti devo delle scuse. Non ho mai fatto nulla per capirti e mi sono dedicata solo a me stessa e ai miei amici. -

- Forse…dovremmo provare a recuperare il tempo perduto. - le disse guardandola e accennando un lieve sorriso. Era bella Alison, di una bellezza diversa da quella di sua madre, ma pur sempre una donna affascinante. Senza distogliere lo sguardo da lei, si accomodò alla sedia sistemata vicino il letto e istintivamente afferrò la sua mano tra le sue.

- Avete deciso il nome del mio fratellino? -

- Non ancora. Lo faremo insieme, tutti e tre, anzi, tutti e quattro. Adesso c’è anche Holly! - esclamò facendola arrossire. - Tuo padre mi ha detto che ha attraversato mezzo mondo per venire da te. Allora avevo proprio torto su di lui. -

- Beh, evidentemente sì. E’ vero, dal Brasile alla Francia e poi qui in Spagna. -

- Come in un film. Siete sorprendenti. Cos’ hai provato? -

- A cosa ti riferisci? - le chiese cercando di districarsi al meglio tra domande imbarazzanti e supposizioni scomode e spinose che Alison avrebbe potuto farle.

- Ti avrà pur detto qualcosa, o dato un bacio o un atto di amore, no? Non sarà venuto da così lontano per rimanere sempre il solito timido, incapace in amore! -

- Alison! E’ un po’ imbarazzante. E’ successo tutto così in fretta. Comunque è vero, ho provato delle forti emozioni ieri. Ero così affitta per averlo abbandonato alla fine della partita, senza neppure gioire con lui della vittoria, che sono andata all’aeroporto in preda alla disperazione. Proprio mentre mi stavo imbarcando, l’ho visto dietro di me, che mi inseguiva. Voleva me, Alison. Prima di partire per la Francia mi telefonò e mi disse che…che mi voleva bene. - le disse facendo leva sul suo coraggio. Le era difficile parlare così apertamente dei suoi sentimenti, soprattutto con Alison. Ma non aveva paura. Per quanto difficile, stava provando un senso di sollievo nel rivelarle i suoi sogni e le sue emozioni.

- Non immaginavo quanto vere fossero le sue parole. Pensavo fosse il desiderio di riabbracciare una vecchia cara amica, seppur consapevole dei miei sentimenti. Mi sbagliavo. Mi sono sempre sbagliata sui sentimenti che lui provava per me, non ho mai capito quello che realmente provava per me, fino a quando…non l’ho visto in aeroporto. L’ho sentito urlare il mio nome mentre mi imbarcavo. Non penso di essermi sentita mai così male come ieri. - disse chiudendo gli occhi. Un viaggio dentro se stessa, nel suo cuore, tra i suoi ricordi più vivi e recenti, quelli che l’avevano portata a vivere una giornata disperatamente straordinaria. Riprese fiato cercando di riorganizzare in un attimo i pensieri che vorticosamente viaggiavano nella sua mente.

- Lui era lì, a pochi passi da me. Finalmente lo vedevo dopo tre anni e non potevo corrergli incontro, abbracciarlo…sentirmi sua. Stavo solcando il portellone dell’aereo quando ho udito ancora la sua voce. Mi sono voltata e lui era in bilico sul corridoio mobile appena ritirato. Mi ha gridato che mi amava. Un ultimo, disperato gesto di amore. Proprio come tre anni fa. Prima di partire, rischiando di perdere l’aereo per il Brasile, lui corse da me per abbracciarmi un’ultima volta. Sento ancora su di me la brezza di quella primavera, il calore del suo abbraccio, le sue parole di affetto. -. Alison l’ascoltava mentre sognante descriveva le sue sensazioni cullate quasi da una magica melodia. Dov’era lei quando erano accadute tutte quelle vicende? La sua disperazione nell’abbandonare il ragazzo che le gridava di amarla. Cosa aveva potuto provare in quel momento? Una prostrazione infinita, una sensazione di vuoto e di nulla, l’incapacità di vedere il proprio futuro, di poter ancora sognare o vivere la quotidianità con serenità. Lo stesso perdimento in cui era caduta lei alla morte di Patricia, la sofferenza, la solitudine, l’ombra del buio che pian piano prendeva forma dentro di se.

- …e poi, quando sono tornata a casa ieri sera, priva di forze e privata del dono più grande che il Signore mi abbia fatto, del mio Holly, nel momento più sconfortante della mia vita, l’ho visto seduto lì, sui gradini del portone, sotto la pioggia: mi aspettava. Era venuto da Parigi solo per me. Mi ha fatta sentire importante, unica. Lo amo ancora di più di prima e non lo lascerò mai. Ho bisogno di Holly come dell’aria che respiro, ho bisogno di farmi percorrere dai brividi che un suo sguardo mi può provocare. Lui è parte di me, e se non ci fosse, sarebbe come se non esistessi io. Non smetterei mai di parlare di lui, di come gioca a calcio, della sua amicizia, del suo calore, ma in particolare dell’amore profondo che prova per me. Mi emoziona parlarne, ma mi rendo conto che il sentimento che provo per lui è così appassionante, è come un’onda di amore che ti travolge e che di volta in volta ti vivifica, ti risolleva e ti spinge ad amare ancora di più. Sono consapevole di dipendere dall’amore che sento per lui e ne sono felice. -. Alison la guardò senza proferire parola. Non avrebbe potuto dire nulla. Una confessione fatta tutta d’un fiato, recitata come se si trovasse sul più grande palcoscenico teatrale. Ancora una volta l’aveva stupita. Seppur imbarazzata, ma senza timore, le aveva parlato dei loro sentimenti descrivendoli con pathos impari, parole dettate dal cuore, proferite da una voce carezzevole, innamorata di una vita che d’ora in avanti le avrebbe riservato solo gioie. Sorrise alla giovane figlia e si accarezzò il ventre cercando di sentire la creatura che man mano cresceva dentro di se. Aveva ragione George. Non avrebbe potuto desiderare una figlia migliore e lei non aveva alcun diritto di proferire sul loro amore. Intuì che la notte aveva sigillato quel grande sentimento ma decise che non le avrebbe domandato nulla. Doveva aver fiducia in lei perché potesse dargliene a sua volta. Le sorrise. Capì che quella stella era tornata a brillare, a rifulgere in alto nel cielo e che con il suo calore avrebbe riscaldato i cuori della loro famiglia e illuminato il loro futuro.

 

 

 

Barcellona, sei anni dopo

- Dai Amy corri o arriveremo in ritardo! - la incitò Julian afferrandola per mano.

- Odio questi tacchi. Perché non ho indossato delle scarpe più comode. -

- Forza, siamo quasi arrivati. E’ impensabile che una delle testimoni arrivi in ritardo. -

- Scherzi? Mai quanto Jenny e Philip. Con quel pancione sfido che Jenny possa arrivare in tempo. -

- Sono sicuro che sono già lì. - le disse ironizzando sulle frasi della moglie. Finalmente arrivarono al sagrato della chiesa dove un rigoroso servizio d’ordine chiese loro di esibire l’invito. Julian afferrò per mano Amy e corsero verso l’altare. Le navate erano gremite di invitati ci cui parte volti conosciuti di ex e nuovi compagni di squadra. Videro Philip e Jenny chiacchierare vicino l’altare con Bruce e Evelyn.

- Finalmente siete arrivati! - esclamò Jenny seduta al banco dei testimoni.

- Amy aveva un problema con le sue scarpe. -

- Avete finito di prendermi in giro? -. I sei amici risero divertiti e si scambiarono battute ironiche per rasserenare l’atmosfera.

- Holly dov’è? - chiese Julian a Bruce e Philip.

- E’ con Tom e Benji. Nervosissimo. Sta scavando una trincea nella sacrestia della chiesa. -

- Ho idea che qualcuno dovrà andarli a chiamare perché la sposa sta arrivando. - disse Evelyn guardando verso l’entrata.

 

All’intonare della marcia nuziale e al lento incedere della sposa lungo il tappeto rosso, la funzione ebbe inizio. Lui la guardava come se si trattasse di una creatura nuova, quasi aliena, a lui sconosciuta. Invece era lei, la ragazza che anni prima aveva scoperto di amare, colei di cui non riusciva più a fare a meno, il cui solo parlare sembrava accarezzargli il cuore e la mente. Avvolta nel lungo abito di un color oro tenue continuava a camminare dolcemente fin quando George Gatsby non la consegnò al suo braccio. Sorrisero alla piccola Sarah, la sorellina nata sette anni prima. Le sollevò il velo facendolo ricadere sulle spalle scoperte e la guardò intensamente. I loro occhi brillavano di una luce tanto intensa da poter abbagliare tutti i presenti, i loro sorrisi erano sinonimi di dolcezza, amicizia, sentimenti, amore indefinito. La baciò sulla guancia, la prese per mano e si voltarono verso il prete per dare inizio alla celebrazione.

 

- Adesso che siete marito e moglie, se volete, potete esprimere i vostri sentimenti, qui dinanzi a tutti coloro che amorevolmente vi hanno accompagnato nel loro cammino. - disse loro il prete alzando le mani in segno di benedizione. Si voltarono l’uno di fronte all’altra e si presero per mano. I cuori palpitavano all’unisono e i loro occhi brillavano della stessa luce intensa, l’uno per l’altra.

- Sembra quasi irreale, un sogno dal quale non volersi risvegliare mai più. Eri qui accanto a me ancora prima che io nascessi. Tu, il mio primo pensiero il mattino e l’ultimo della sera. Tante volte ti ho chiesto scusa per non aver sempre compreso i tuoi sentimenti, per aver anteposto altro all’amore che ho per te. Ma quando ho scoperto che dentro di me stava nascendo questo meraviglioso sentimento, di amarti, ho provato un indefinibile calore, una sensazione meravigliosa. E ancora una volta tu eri accanto a me, a regalarmi il tuo cuore, il tuo affetto, la tua amicizia, a condividere ogni momento di questa mia meravigliosa vita. Anche se può sembrare retorico, credimi, amore mio, sono le parole più sincere e vero che il mio cuore può esprimere: ti amo e ti amerò per sempre. - le disse emozionato. Patty non distoglieva gli occhi da quel ragazzo che sette anni prima le aveva detto che l’amava.

- Io…Holly, amore mio, tante volte, quando tu eri lontano, mi affacciavo alla finestra della mia stanza e speravo di vederti passare, aspettarmi sul ponte come sempre…tale era la solitudine che provavo, l’assenza di te…e così durante quei lunghi pomeriggi, quando sola tornavo a casa, speravo di poter incontrare il mio capitano che dolcemente, silenziosamente, si è sempre preso cura di me. Per ogni singolo attimo della mia umile vita, dal giorno in cui l’ho scoperto, non ho mai smesso di amarti e la tua lontananza ha solo rafforzato i miei sentimenti verso di te. Sei ricomparso nella mia vita in un momento in cui il buio era più vicino della luce, in cui lo sconforto e la disperazione avevano offuscato ogni speranza alimentando i rimorsi e il rancore. Come un raggio di sole sei arrivato tu, che hai aiutato un bocciolo a fiorire, un’adolescente a diventare donna. Holly io ti appartengo, tu sei parte di me ed io parte di te, un unico pensiero che ci accarezza, una sola anima che vive per vivere il nostro grande amore. -. L’aveva ascoltata attentamente e non aveva potuto fare a meno di commuoversi. Gli occhi erano annebbiati dalla vista. Le prese il volto tra le mani e la guardò attentamente, disegnando le morbide, semplici linee di quell’ovale nobile e gentile. I suoi occhi scuri rifulgevano e le labbra rosse coperte da un velo lucido, parevano sussurrare parole d’amore.

La baciò con passione e la strinse a se sigillando quel momento che indelebile sarebbe rimasto nei loro cuori e in quelli di quanti erano stati testimoni della loro semplice storia d’amore.

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