L'onda dell'amore di scandros (/viewuser.php?uid=240)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le emozioni di lei ***
Capitolo 2: *** I pensieri di lui ***
Capitolo 3: *** Una notizia inaspettata ***
Capitolo 4: *** Una partenza tra mille ricordi ***
Capitolo 5: *** Cose che succedono ***
Capitolo 6: *** Un incontro lungo un istante ***
Capitolo 7: *** Immensamente amore ***
Capitolo 8: *** Sempre e solo tu ***
Capitolo 9: *** La strada della speranza ***
Capitolo 1 *** Le emozioni di lei ***
PROLOGO
Questa è la mia seconda fanfiction. Completamente differente da
"L'ultimo ballo", ma incentrata sempre sui sentimenti contrastanti di
Holly e Patty. E' una fiction che verte soprattutto sulle emozioni che provano i
protagonisti e sulle avversità che dovranno superare prima di potersi
re-incontrare.
Una promessa che non riesce a mantenere per cause indipendenti dalla sua
volontà, gettano nella disperazione Patty. La corsa di Holly per raggiungerla
prima a Parigi e poi all'aeroporto. Ma lei, parte comunque. E' un viaggio
attraverso i loro sentimenti, lui finalmente più forte, diventato uomo, lei
malinconica perché vede il suo cuore infrangersi sempre di più.
Spero vi piaccia e soprattutto mi piacerebbe ricevere le vostre
recensioni. Ciao a tutti e buona lettura.
Scandros
CAPITOLO 1
Le emozioni di lei
Guardò il cielo terso coprendosi gli occhi per non rimanere
abbagliata dalla luce intensa del sole. Era una splendida giornata di fine
giugno. Sorrise, nonostante da qualche giorno si sentisse stranamente
irrequieta. Quello era un giorno diverso. Niente scuola, niente allenamenti.
Tutto era finito. Il periodo magico della New Team si era concluso il giorno
prima.
La sua squadra aveva trionfato ancora una volta nonostante la
sua assenza.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Erano passati tre
anni, tre lunghissimi anni che non lo vedeva. Ogni qual volta pensava a lui il
cuore tornava a battergli sempre più forte. Si poteva vivere nell’ombra si
qualcuno? Sicuramente sì, lei ne era certa.
Si sedette sull’erba all’ombra del grande ciliegio
lasciando cadere il suo diario sul morbido tappeto verde. Con una mano,
lievemente ne sfiorò la corteccia quasi a voler sentire sulla sua pelle ancora
una volta la magica atmosfera di quel luogo.
Lui, grande, imperioso, era stato il testimone di quel giorno
di primavera. Si raccolse le ginocchia tra le braccia e vi appoggiò il capo.
Si sentiva malinconica, ma soprattutto avvertiva la sua
mancanza: la sua voce, il suo respiro, il suo sorriso, e quel suo sguardo timido
ma che al tempo stesso riusciva ad esprimere le sue più intense emozioni.
Già, quel giorno di primavera che preludeva alla sua
partenza, il giorno in cui il suo capitano si allontanava dal suo paese per
trasferirsi in Brasile.
Chiuse gli occhi ricordando per l’ennesima volta,
esattamente quello che era accaduto tre anni prima.
- Una festa a sorpresa? - chiesero i ragazzi sorpresi.
- Ma certo. E visto che la giornata è calda, potremmo
approfittarne per farla qui fuori, sotto i ciliegi in fiore magari! -
rispose Susy entusiasta.
- Ma, non capisco, perché dovremmo fare una festa? -
- Bruce, ma sei proprio tonto? Domani il capitano
partirà per il Brasile. E’ il nostro modo per dirgli addio! - rispose
Evelyn sorridente.
- Non mi sembra un’idea malvagia. Ma come la mettiamo
con il mister e con il preside? - chiese Paul passandosi una mano tra i
capelli ancora bagnati.
- Niente paura, Patty ha già convinto il mister e adesso
è dal preside. -
- Beh, allora avremo sicuramente il permesso. Il preside
cede sempre quando lei gli chiede qualcosa. -
- Benissimo, allora tutti d’accordo. Ted, Jhonny, per
favore avvertite anche gli altri. Al rinfresco provvederemo noi. Mi
raccomando, tutti qui per le otto. -
- Evelyn, non ci hai detto come faremo a trascinare qui
il capitano! - chiese Alan.
- Abbiamo pensato anche a quello. Susy, che è così
brava ad appiccicarsi a lui, provvederà a portarlo qui mentre io e Patty
prepareremo tutto. Tutti puntuali, per favore. -.
I ragazzi erano eccitati all’idea della festa da fare al
loro capitano. Quello appena terminato era stato il loro ultimo allenamento
insieme.
Patty sopraggiunse di lì a poco e trovò solo Evelyn e Susy.
- Allora, com’è andata? -
- Non c’è problema. Il preside ci ha accordato il
permesso. Ho concordato con il custode l’apertura del cancello. - rispose
con sguardo sommesso. Era una scena imbarazzante per Evelyn. Lei e Patty
erano diventate molto amiche, complici e sapeva benissimo quanto la prima
manager stesse soffrendo per la partenza del suo capitano. Non appena Susy
andò via, ne approfittò per avvicinarsi all’amica e abbracciarla. Patty
posò il volto sulla sua spalla e pianse silenziosamente tra le carezze
affettuose di Eve.
- Non ti preoccupare, passerà. E poi, ricorda, non va
via per sempre. -
- Non è quello che mi affligge, ma l’essere
consapevole di non contare molto per lui. -
- Questo tu non puoi dirlo. Non ti ha mai detto nulla del
genere. -
- Ma neanche il contrario. Sento un vuoto immenso dentro
di me. Vorrei correre da lui e dirgli tutto, ma a cosa servirebbe? Se solo
avesse provato per me qualcosa in più dell’amicizia, me l’avrebbe
detto. -
- Cosa intendi fare? -
- Restare nell’ombra, sperando che tutto passi
velocemente. Eve, io non vengo alla festa stasera. -
- Cosa? Ma sei impazzita! Holly partirà domattina
presto: così non avrai più la possibilità di salutarlo. -
- Sarebbe troppo triste per me dirgli addio. Non voglio
che mi veda piangere. -. Evelyn guardò l’amica negli occhi leggendo un’immane
sofferenza per quel distacco. Possibile che Holly non si fosse mai accorto
di quanto l’amasse?
Dopo un quarto d’ora, tutta la squadra era raccolta sul
campo per salutare il proprio capitano. Tra risa e scherzi, Holly li abbracciò
consigliando loro di non demordere mai e di continuare ad allenarsi con
assiduità in vista soprattutto dei raduni della nazionale.
- Buona fortuna, capitano. - gli disse con gli occhi
lucidi. I ragazzi si allontanarono portando con se anche Susy. Nonostante la
forte tensione, non riuscivano a non guardarsi negli occhi. Il
coinvolgimento era tale che il tempo sembrava essersi fermato per loro. Il
cuore del capitano batteva forte, poteva sentirne il palpitare accelerato e
temeva che anche lei potesse udirlo.
Per lei? Perché non era successo poco prima con gli amici e
compagni di squadra? Perché con lei era diverso? Perché sapeva che le sarebbe
mancata più di chiunque altro? Più la guardava e più se ne rendeva conto. Non
era la piccola Anego, era diventata una bella ragazza che dal suo arrivo a
Fujisawa non lo aveva mai lasciato. Chi sarebbe stato al suo fianco in Brasile?
Non rispose alla frase dell’amica, istintivamente l’abbracciò.
Le ombre si disegnavano lunghe e scure sul campo, mentre il sole alle loro
spalle si stemperava nel cielo in una miriade di colori.
- Mi mancherai. - le sussurrò all’orecchio. Lei non
rispose, ma Holly comprese che stava piangendo. Rimasero abbracciati per un po’,
un lungo, infinito gesto d’affetto che li avrebbe uniti nonostante la
distanza.
Qualche ora dopo, Susy andò a casa di Holly chiedendogli di
accompagnarla a scuola. Doveva assolutamente riprendere degli appunti che aveva
lasciato al club, appunti che le sarebbero serviti per l’interrogazione del
giorno dopo.
- Ma, io veramente! -
- Per favore, capitano. E’ l’ultimo favore che ti
chiedo. Tanto domani parti e non mi vedrai per molto tempo. - disse
fingendosi avvilita.
- Okay, se proprio insisti. Mamma, io sto uscendo, ci
vediamo dopo. - urlò avvertendo la madre dell’improvvisa uscita.
Per tutto il percorso, Susy non si staccò dal suo braccio
accompagnando i loro passi con un continuo parlare.
- Come faremo ad entrare? - chiese Holly davanti al
cancello della scuola. Solo la guardiola del custode era illuminata.
Istintivamente alzò gli occhi al cielo. Era costellato di stelle luminose.
La serata era tiepida ed era piacevole passeggiare, sebbene la compagnia non
fosse proprio di suo gradimento.
- Ehy capitano…ma mi ascolti! -
- Ehm scusa, ero soprappensiero. - rispose accennando un
timido sorriso per mascherare la sua distrazione. A cosa stava pensando?
- Ho detto che citofoneremo al custode. Lo avevo già
avvertito telefonicamente che sarei venuta. -
- Bene, allora sbrighiamoci. - aggiunse. Poco dopo, il
custode aprì loro il cancello e tornò alla sua guardiola. Susy e Holly si
avviarono al club.
- Come mai hai tu le chiavi? - le chiese sapendo che
solitamente le aveva Patty.
- Sono passata a prenderle da Patty prima di venire da
te. -
- E perché non sei venuta con lei? - domandò
sospettoso.
- Non si sentiva bene, quindi mi ha dato le chiavi e
gliele restituirò domattina. - Ma quante domande, non ti fidi di me? -
chiese maliziosa. Lo trascinò all’interno del club e le luci si accesero.
Erano tutti lì, sorridenti e contenti che la sorpresa fosse riuscita.
- Ma cosa sta succedendo? -
- Abbiamo pensato di organizzare una festa per te, per
dirti arrivederci. - disse Bob.
- Avanti, si può cominciare? - chiese Bruce
avvicinandosi al tavolo ricolmo di manicaretti e bontà di ogni genere.
- Bruce! Finiscila, sei sempre il solito. - lo ammonì
Evelyn. Tutti risero di cuore a quella divertente scenetta. Bruce gli
sarebbe mancato moltissimo. Nonostante non fosse il migliore dei giocatori,
aveva un gran cuore e la sua ironia riusciva a mettere di buon umore tutti
quanti.
I ragazzi diedero inizio al banchetto, tutti tranne Holly.
Continuava a guardarsi intorno.
- Ma…non c’è. - sussurrò.
- Mi spiace capitano. Non si sentiva bene, ha preferito
non venire. - le disse Evelyn anticipando la risposta. Non lo aveva mai
visto in quello stato.
- Che strano, ho la sensazione che Holly sia inquieto,
che l’assenza di Patty abbia sortito qualche strano effetto. Chissà,
forse sono solo condizionata dai sentimenti della mia amica nei suoi
confronti! Eppure, starebbero così bene insieme. Accidenti capitano, ma
perché non ti accorgi di lei come ragazza? - pensò Eve fissando il suo
capitano.
Forse la seconda manager della New Team aveva ragione. Holly
scherzò con i suoi amici, ma il suo pensiero e il suo cuore erano altrove.
Aveva sicuramente partecipato all’organizzazione della festa e poi, non era
venuta. L’indomani mattina alle dieci circa avrebbe preso il volo per San
Paolo, una nuova vita sarebbe cominciata per Holly, senza la sua famiglia, senza
i suoi compagni e soprattutto senza di lei. Evelyn voleva parlargli, sapeva a
cosa stava pensando e avrebbe voluto rincuorarlo, dirgli di correre da lei e
passare quegli ultimi momenti insieme: ma il dubbio si insinuò in lei. E se il
capitano fosse giù di morale semplicemente perché si stava allontanando da
tutti e non precisamente da lei?
Entrambi dubbiosi sul da farsi, furono coinvolti dagli altri
compagni e la festa andò avanti senza Patty.
Holly correva come non aveva mai fatto. Doveva vederla prima
di partire, doveva assolutamente sincerarsi che non ce l’aveva con lui, che
non stesse male. Non aveva chiuso occhio quella notte, non per l’emozione dell’imminente
partenza, ma semplicemente perché non aveva pensato ad altri che a lei. Corse
fino a scuola e si fermò solo quando vide Evelyn e Susy.
- Capitano, ma tu cosa ci fai qui? Tra poco hai l’aereo?
- domandò preoccupata.
- L’ho aspettata al ponte, come facevamo sempre ma non
c’era! Sua madre mi ha detto che è uscita. -. Susy lo guardava
interdetta. Non comprendeva a cosa si stesse riferendo. Ma Eve sì. Gli
sorrise.
- Prova a pensare a dove poterla trovare quando non è a
scuola o agli allenamenti! - lo esortò. Il volto di Holly si illuminò. Al
parco, sotto il grande ciliegio vicino il laghetto. Era uno dei suoi luoghi
preferiti.
- Grazie Evelyn. - le disse prima di correre verso il
parco.
- Ma cosa succede? - chiese Susy non comprendendo.
- Nulla, non preoccuparti. - rispose sorridente. Si era
innamorato, ne era sicuro. Holly aveva sempre e solo amato il pallone,
adesso invece correva da lei rischiando di perdere l’aereo che l’avrebbe
condotto verso il futuro da lui tanto agognato.
La vide, appoggiata alla balaustra di legno, la sua immagine
riflessa sul lago. Era triste, lo vedeva, altrimenti non avrebbe marinato la
scuola. Si portò alle sue spalle silenziosamente. Patty ebbe un sussulto quando
vide la sua ombra riflessa sullo specchio d’acqua. Le cinse la vita e lei, in
preda ad un impeto di sentimenti, appoggiò la schiena contro il suo petto.
Sentì il suo profilo affondare morbidamente nei capelli. Tremava come una
foglia e temeva che lui potesse avvertire quei brividi intensi che la stavano
percorrendo. Lentamente mosse le mani e le portò su quelle di lui che le aprì
intrecciando le sue dita con quelle della ragazza. Chiuse gli occhi incredula a
tutto quello che stava succedendo. Quanto aveva desiderato quel momento. Lei
nelle braccia di Holly, del suo amato capitano. Non era lo stesso abbraccio del
giorno prima: questo era ricco di passione e di affetto, e forse di qualcos’altro.
Ci fu un lungo silenzio accompagnato solo dal cinguettio dei passeri.
- Desideravo vederti prima di partire. - le sussurrò
dolcemente stringendola ancora di più a se.
- Holly…io…
- Non dire niente, ti prego…- aggiunse scatenando in
lei le incertezze di un’eterna innamorata. Il cuore le faceva male:
batteva così veloce che temeva potesse uscirle dal petto.
- Mi mancherai, Patty. -. Lei sgranò gli occhi. Si
sentiva mancare per la felicità. - Aspettami…io tornerò. - aggiunse poi.
Lei annuì incapace di parlare. Era al colmo della felicità e della
disperazione. Desiderava ardentemente dirgli quanto lo amava, ma avrebbe
posto un freno al suo sogno. Adesso lo sapeva. Doveva continuare ad amarlo
in silenzio perché lui potesse realizzare il suo più grande desiderio.
- Promettimi che realizzerai il tuo sogno. - disse poi
con voce flebile. Si staccò da lei. Sapeva che era tardi e che doveva
correre in aeroporto. Le mise le mani sulle spalle e lei si girò.
Sorrideva, nonostante le lacrime continuassero a rigarle il volto.
Continuava a guardarla. Anche i suoi occhi erano lucidi.
- Holly, è mai possibile che finalmente ti sia
accorto che esista? Proprio ora che stai partendo? Perché il destino è
così crudele? Perché vorrei dirti quanto ti voglio bene e non riesco a
farlo? Il tuo abbraccio: sento ancora il tuo calore sulla mia pelle, il tuo
profumo, le tue parole. E’ questo il tuo regalo d’addio? Una promessa?
- si chiese non distogliendo lo sguardo da lui. Taceva. Doveva essere lei a
fare la prima mossa perché lui non ne aveva il coraggio.
- Capitano…non abbatterti mai…Sono certa che ce la
farai, che realizzerai il tuo sogno…io…io…qui troverai sempre qualcuno
ad attenderti. Non ti dimenticare mai di me! - aggiunse cercando di
trattenere le lacrime.
- Non potrei mai, manager. Ti scrivo non appena mi
sistemo. - rispose sinceramente.
- Adesso vai, o perderai l’aereo! - gli ricordò pur
non volendo che andasse via.
- Già. Quando tornerò, sarò un calciatore
professionista, te lo prometto. -
- Ne sono sicura. -. Lui si avvicinò e la baciò sulla
guancia. Lei avvampò dall’imbarazzo.
Quel contatto fisico, dopo l’abbraccio, l’avevano mandata
in confusione totale. Cosa voleva dire tutto questo da parte di Holly? Lo vide
sparire dietro gli alberi. La brezza soffiò con il suo profumo tra i capelli
della giovane manager. In quel momento comprese che Holly nutriva qualche strano
sentimento nei suoi confronti, forse non era amore, ma probabilmente era
qualcosa di più di una semplice amicizia.
Tornò col pensiero alla realtà. Con una mano afferrò il
suo diario e se lo portò sulle ginocchia. La leggera brezza estiva girava le
pagine. Si soffermò su quella che aveva scritto qualche giorno prima e la
lesse.
“Sei rimasto dentro me nel profondo del mio cuore, come
il frammento di una vita che non c’é. Tu, una ferita che non si rimarginerà
mai, che non guarirà, che non passerà.
Ogni giorno ho versato lacrime per te, ogni notte leggo le
tue lettere, scrivo ancora di te, so che non dovrei, che forse dovrei liberarmi
dalla trappola di questo amore che da anni mi attanaglia…non vivo più…ti
vedo come sei e come ti vorrei io…qui, accanto a me: semplicemente.
Ricomincerò…promesse vane che infrango continuamente. Le tue lettere, sempre
così evasive, generiche, mai che parlino di me, di te, di noi.
Immagino i tramonti che un giorno vedrò, le albe che mi
sveglieranno. Cosa saranno se non ci sarai tu accanto a me…non vivo più,
senza te, mi manchi troppo e la sola idea che sei così lontano mi fa male…forse
sono io da cambiare. Passo il tempo a chiedermi cosa fai senza me, ma torno
quì, seduta sotto questo ciliegio e penso ai nostri ultimi attimi trascorsi
insieme. Scrivo le pagine di questo diario sperando che possa darmi sollievo,
che all’improvviso possa vedere la tua ombra materializzarsi.
Sono solo parole, scritte qua e là, direttamente dal mio
cuore, in preda al sentimento più vero quello che vorrei donarti. Come posso
vivere per me stessa se amo te? Passo il tempo a chiedermi perché non ho mai
avuto il coraggio di dirtelo e a domandarmi cosa sarebbe cambiato nel nostro
rapporto se io ti avessi parlato. Poi torno a chiedermi il motivo di quel tuo
comportamento, dei tuoi abbracci. Mi hai detto che ti sarei mancata, ma perché
non me l’hai mai scritto in questi tre anni? Possibile che tu sia ritornato ad
essere il ragazzo timido che conoscevo a cui importava solo del calcio? Holly…”.
Chiuse il diario e sospirò. Si alzò e si ripulì l’abito dai fili d’erba.
Era cambiata negli ultimi tre anni, ed anche i suoi amici se ne erano accorti.
La pelle chiara e liscia risplendeva nell’ovale incorniciato dai capelli
scuri, adesso un po’ più lunghi e sempre portati sciolti sulle spalle. Il suo
corpo era flessuoso e sinuoso allo stesso tempo, come un giunco. E poi era molto
intelligente. Si era classificata prima tra tutti gli studenti della scuola e
aveva diritto alla borsa di studio messa in palio dalla scuola. Avrebbe potuto
decidere di sfruttarla in Giappone o di andare all’estero. Nel corso di quei
tre anni, Patty aveva fatto di tutto per impegnare la sua mente, per distrarsi
da Holly e così, al club di calcio aveva alternato una scuola di lingue
straniere e un corso di giornalismo. Era sempre stata una ragazza molto attiva e
il doversi distrarre forzatamente dai pensieri, l’aveva indotta ad un iper
attivismo forse troppo eccessivo. |
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Capitolo 2 *** I pensieri di lui ***
CAPITOLO 2
I pensieri di lui
Passeggiando in quella bella giornata si avviò verso il
campo di calcio. Il mister aveva radunato i calciatori e le manager per
mezzogiorno. Doveva dare loro un’importante comunicazione.
- Ciao Patty. - le disse Eve incrociandola lungo la
strada.
- Ciao Eve, tutto bene? -
- Ma certo. E tu? -. L’amica alzò le spalle. Evelyn
aveva saputo da Patty cos’era accaduto quella primavera di tre anni prima,
di come Holly l’avesse cercata e le avesse fatto promettere di restare ad
aspettarlo. Nonostante tutto, vedeva l’amica struggersi per quell’amore
impossibile oramai da anni.
- Senti, io e Bruce andiamo al cinema. Ti va di venire
con noi? -. Patty sorrise. Il pensiero che lei e il difensore della New Team
stesero insieme da oramai un anno la divertiva.
- Ti ringrazio Eve, ma non mi va di fare la candela. Non
mi divertirei e penserei comunque ad altro. E’ un chiodo fisso il mio. Non
riesco a non pensarlo, a vivere in sua funzione, nella speranza che un
giorno torni da me. E’ un mio problema, non posso coinvolgere anche te e
gli altri. Ti ringrazio perché sei un’amica sincera. - rispose
sorridendo. - Cosa farai adesso che è finita la scuola? - le chiese
cercando di cambiare discorso.
- Penso che darò una mano ai miei in negozio. Sai, non
è che fossi proprio una secchiona io…non penso di essere molto portata
per l’università. E tu? Hai deciso se accettare o meno la borsa di
studio? -
- Io? Sicuramente andrò all’università anche se non
so in quale città! -
- Non andrai a Tokyo? Pensavo volessi andare con Amy a
Lettere. - le chiese sorpresa.
- No, non penso. Ho avuto modo di pensare a questo. Sai,
mia nonna diceva sempre che ognuno di noi dovrebbe seguire la strada che ha
nel sangue. Mi ci vedi a fare la parte di una professoressa di lettere? Io
per nulla. Io amo lo sport e penso che l’unica maniera per continuare a
coltivare questa mia passione sia fare giornalismo. E’ una cosa a cui ho
pensato tempo fa ed è per questo motivo che due anni fa mi sono iscritta ai
corsi integrativi di lingue straniere. Non ti nascondo che mi piacerebbe
andare a studiare negli Stati Uniti. Sto pensando di fare domanda a Yale e
Harvard. -
- In America? Lasceresti il Giappone. E Holly? -
Chinò il capo e sorrise. La sua vita era sempre girata
attorno a quella figura e adesso che si trovava ad un bivio, non poteva
permettersi di sbagliare.
- Il mio sentimento per Holly è così forte che se mi
chiedesse di seguirlo, non ci penserei due volte. Ma non l’ha fatto. Dopo
la sua partenza, non l’ho più visto. Di lui mi sono rimasti i ricordi, le
lettere, le telefonate di auguri, ma mai una visita. Ha sempre detto che era
troppo impegnato e che per diventare un calciatore professionista doveva
assolutamente sottoporsi ad allenamenti durissimi. Ed io gli credo. So bene
quanta passione ci metta in quello che fa. Holly probabilmente resterà in
Brasile, e se tornerà, non resterà in Giappone. I preliminari dei mondiali
under 19 sono terminati. Tra un po’ inizieranno i gironi eliminatori.
Tutti si chiedono se verrà convocato. Fino ad ora la squadra ce l’ha
fatta anche senza di lui, grazie al ritorno di Tom e di Benji. Non resterà
in Brasile per sempre. -
- E tu sei stanca di lui? -. Patty non parlò.
- Assolutamente no. Sento ancora il calore del suo
abbraccio sulla mia pelle, ed è quello che mi ha dato la forza di
continuare, la sua promessa, le sue parole. Tuttavia, penso che sia giunto
il momento di fare qualcosa per me, costruire il mio futuro, come ha fatto
lui. Invidio il suo coraggio. Ha lasciato tutto per realizzare il suo sogno.
-
- Ne hai parlato con Holly? -
- Non ancora. Non ho avuto modo di scrivergli tutto
questo. Volevo vagliare le varie situazioni, pensare a quella più
conveniente per me…
- E forse anche per lui! Patty tu vivi in sua funzione.
Quello che hai detto è giusto: hai diritto quanto Holly a farti una vita. E
se dovesse tornare con altri pensieri? Pensa anche a te stessa per una
volta. Va per la tua strada, sfrutta quella borsa di studio: hai lavorato
tanto e te la meriti. -
- Hai ragione Eve…ma forse la mia è solo paura…
- Non è la paura di affrontare qualcosa di nuovo: è il
timore che lui non torni da te. - rintronò Evelyn. Erano arrivate al campo.
Patty si era fermata. Aveva ragione. I suoi timori non riguardavano l’università
ma la possibilità di affrontare una nuova vita senza di lui. Era questo che
la spaventava. Temeva che una nuova esperienza di studio avrebbe potuto
affievolire il sentimento che provava nei suoi confronti.
- Eppure, Patty, oramai, dopo tre anni dovresti esserti
abituata alla sua assenza. - esclamò glaciale. Sapeva che l’amica stava
soffrendo per quelle parole, ma era l’unica maniera per farle prendere una
decisione che da tempo rimandava. - Se Holly si opponesse alla tua decisione
di andare fuori a studiare, si comporterebbe in maniera del tutto egoistica.
Ricordati Patty che hai diritto quanto lui di realizzare i tuoi sogni. Tu
hai le carte in regola per farlo. Non lasciare che le tue paure ti portino
via i sogni.
- Se Holly ti vuole bene, capirà, accetterà i tuoi
cambiamenti esattamente come tu hai accettato i suoi. E non potrà che
essere orgoglioso della sua migliore amica. -
- Già..la sua migliore amica. -
- Avete un rapporto un po’ strano: secondo me sei più
di un’amica per lui…altrimenti non avrebbe rischiato di perdere l’aereo
per salutarti. Non ci pensare. Un ultimo consiglio: quando vi vedrete, la
prossima volta, digli quello che provi. Non puoi continuare a crogiolarti
nei dubbi. Almeno, una volta per tutte riuscirai a far chiarezza sui tuoi e
sui suoi sentimenti. Soprattutto sarai coerente con il tuo cuore e con la
mente. -
- Grazie Eve. Tutto quello che hai detto è giusto ed è
quello che penso io. Ma non è facile. Ho sempre vissuto per lui, per la
squadra e adesso che tutto è finito, adesso che stiamo diventando grandi…sono
assalita da dubbi e incertezze. Penso di avere bisogno di tempo. Anche se
oramai ho preso la mia decisione: che torni o non torni Holly, se non cambia
qualcosa nel nostro rapporto, andrò all’estero a studiare. -
- E’ così che ti voglio sentire parlare. Voglio molto
bene al nostro capitano, e non capisco perché dobbiate soffrire così. -
- Pensi che non avrei desiderato vivere un rapporto
stabile e semplice come il tuo? -
- Scherzi? E’ vero che sono felice del mio rapporto con
Bruce ma quello che hai da raccontare tu, io non lo ho…
- Smettila di dire stupidaggini. E’ meglio avere una
relazione sicura e non tentennante come la mia. -
- Beh, forse hai ragione. Guarda, i ragazzi sono già
arrivati. - le disse indicando i giocatori.
Si avvicinarono al gruppo e quando finalmente il mister
constatò che non mancava nessuno, cominciò a parlare.
- Ragazzi vi ho chiamati qui per vari motivi. Primo
desidero ringraziarvi per quello che avete dato a questa scuola e alla
squadra. Senza i vostri sogni e le vostre emozioni non avreste mai potuto
portare la squadra ad un simile livello. E quando parlo di voi, mi riferisco
anche alle manager che vi hanno sempre assistito con costanza e pazienza e
parlo anche delle persone assenti. -. Il silenzio piombò nel gruppo. Il
riferimento era evidente: parlava di Oliver Hutton.
- Durante questi ultimi tre anni alcuni di voi sono
entrati a far parte prima della nazionale under 16 e poi di quella under 19.
Che dire ragazzi: non potrei essere più orgoglioso di così. Alcuni di voi
sicuramente torneranno a giocare all’estero. -
- Ma come…e chi sta partendo? - chiese Ted rivolgendosi
al mister.
- Dopo i mondiali under 19 io ripartirò in Germania.
Freddy Marshall sta concludendo il contratto come portiere titolare nel
Werder Brema. E’ una squadra che milita ogni anno nella Champions League
europea oltre che nel suo campionato. - disse Benji sollevando leggermente
la visiera del suo inseparabile berretto.
- Ed io tornerò in Francia. Il Paris Saint Germain è
interessato a me. Giocherò di nuovo al fianco di Pierre Le Blanc e di
Napoleon. -
- E così tornate in Europa? - chiese Bob Denver.
- Tom e Benji sanno già cosa vogliono dalla loro
vita. Non hanno paura di varcare i confini del Giappone e tornare in Europa,
la grande, splendida terra piena di talenti di ogni disciplina e ideologia,
arti e mestieri. -. Era sempre stata affascinata dall’Europa, dalla
sua storia e dai suoi monumenti. Di cosa doveva aver paura lei. Se loro ce l’avevano
fatta, poteva farlo anche lei. - Forse ha ragione Eve, la mia vita non
può essere condizionata da Oliver Hutton. Devo decidere io del mio
futuro. - pensò estraniandosi momentaneamente dal gruppo.
- Vi ho radunati perché sono arrivate le convocazioni in
vista dei gironi eliminatori dei mondiali under 19 che si giocheranno a
Parigi. Alan Crocker, Bob Denver, Bruce Harper, Ted Carter, Paul Diamond,
Jhonny Mason, Tom Becker, Benjamin Price. Siete tutti convocati al primo
allenamento che si terrà la prossima settimana a Tokyo. Susy per favore
distribuisci le lettere di convocazione a ciascuno di loro. Troverete le
modalità di presentazione, come in precedenza. Patty, tu partirai con loro
come manager insieme a Amy e Jenny. - aggiunse sottolineando il rapporto
confidenziale che c’era tra le manager delle squadre più in vista del
campionato scolastico giovanile.
- E’ magnifico Patty, potrai andare in Francia. - disse
Evelyn entusiasta per l’amica.
- Bene, penso che sia tutto per il momento. Che dirvi di
più ragazzi. Buona fortuna a tutti, a quelli che intraprenderanno la
carriera lavorativa e a coloro che si iscriveranno all’università. -.
Così dicendo il mister lasciò che i ragazzi si diradassero e che ognuno di
loro prendesse la propria via del ritorno. Patty rimase sul campo richiamata
dall’allenatore.
- Ho saputo che hai vinto la borsa di studio. Complimenti
Patty. Sei sempre stata il fiore all’occhiello del gruppo…tutti di
adorano qui…mi mancherai manager. -
- Grazie mister. -
- A proposito, mi sembrava giusto dirtelo. La federazione
ha convocato anche Holly ma al momento sembra che non sia disponibile:
sicuramente non prenderà parte alle eliminatorie e non si sa se potrà
raggiungervi per la fase finale, sempre che il Giappone passi i turni
ovviamente. -
- Holly si è infortunato due settimane fa e mi ha detto
che resterà in Brasile per terminare la riabilitazione. -
- Sì, me ne avevano parlato, ma vedo che tu sei più
informata di me. - le disse sorridente.
- Perché non lo ha detto ai ragazzi? - chiese Patty
cercando di cambiare discorso.
- In questi tre anni, anche con l’aiuto di Benji e di
Tom la squadra ha vinto lo stesso. Per anni si sono appoggiati solo su Holly
e da quando lui è partito sembrano aver capito che possono contare anche
sulle loro forze. Sai Patty, ho letto un articolo sul calcio straniero.
Holly si sta facendo conoscere anche in Brasile. Sembra che sia diventato il
terrore delle difese brasiliane. D’altronde dovevamo aspettarcelo. Un
giocatore della sua classe aveva bisogno di completarsi presso una scuola
calcistica professionale come quella brasiliana. -
- Sono contenta per il nostro capitano e sono convinta
che al suo ritorno sarà un calciatore professionista. - rispose con gli
occhi lucidi per l’emozione. Quando si parlava di Holly, era felice, il
suo cuore accelerava e tremava come una foglia, il suo volto si illuminava.
Rimase ancora un po’ a parlare col mister poi andò via
salutandolo affettuosamente.
- Sono convinto che tornerà da te. Ti vuole bene! - le
disse prima di congedarsi spiazzandola del tutto. Possibile che i suoi
sentimenti fossero così chiari a tutti tranne che al diretto interessato?
San Paolo, Brasile.
- Ehy Holly ma si può sapere a cosa pensi? - chiese Pepe
cercando di catturare la sua attenzione. - Fammi indovinare…la ragazza
della foto che hai in camera tua, vero? Roberto dice che è una tua cara
amica. -
- Hai finito di psicanalizzarmi. Non possiamo continuare
con il nostro allenamento mattutino per favore. Devo riprendermi dall’infortunio
se voglio partecipare ai mondiali giovanili. -.
- Scherzi. Devo fartela pagare per avermi svegliato anche
stamattina all’alba per correre sulla spiaggia. -
- Rinforza i muscoli…e poi non mi va di parlarne. -
- Uhmmm, di cattivo umore questa mattina? -
- Dai Pepe, per favore. -
- Io non ti capisco. Perché non la chiami o non le dici
che ti sei innamorato di lei? -. Holly diventò paonazzo. Nessuno gli aveva
mai parlato così apertamente. Guardò l’amico brasiliano e si girò.
Lasciò che il pallone scivolasse sul bagnasciuga e si sedette sulla sabbia.
Pepe lo imitò ma questa volta non parlò. Doveva essere il suo compagno a
fare la prima mossa.
- Non è facile. Quando Roberto mi disse che potevo
partire, che potevo raggiungerlo in Brasile, compresi che avrei dovuto
lasciare tutti. Non ci avevo mai pensato, sai? Mai fino a quel momento.
Capii che avrei lasciato la mia famiglia, i miei amici, che avrei lasciato
lei. Più pensavo a lei, più il mio cuore batteva. Non era mai accaduto
prima. Siamo amici da anni, lei è sempre stata al mio fianco, nel bene e
nel male lei c’era sempre.
- E’ stato proprio questo il mio pensiero. Io avevo
sempre pensato che lei fosse in squadra perché c’ero io. Mi sbagliavo:
ero io che avevo bisogno del suo appoggio. Di sapere che lei era sugli
spalti a tifare per me, o a litigare con il mister e il medico per farmi
giocare quando era infortunato. Era lei che mi rifaceva le fasciature, lei
che mi seguiva in ogni mio passo. Qualsiasi cosa…beh, lei era con me, era
la mia fonte di sicurezza.
- L’ho capito solo quando la stavo salutando.
Istintivamente l’ho presa tra le mie braccia. E’ stata una sensazione
indefinibile. Da allora non c’è giorno che non la pensi, che non guardi
la nostra fotografia. Desideravo venire in Brasile, era il mio sogno di
bambino che si stava avverando. Eppure, per salutarla un’ultima volta ho
rischiato di perdere l’aereo. Per lei, solo per lei. L’ho stretta ancora
tra le mie braccia e le ho chiesto di aspettarmi. - raccontò facendo leva
su tutte le sue forze per evitare il terribile imbarazzo nel quale si
ritrovava.
- E lei? -
- Mi ha detto che mi aspetterà, che quando tornerò
sarà ancora lì. Ho avuto la convocazione per i campionati under 19. Se il
Giappone passerà i turni eliminatori come penso, partirò per la Francia
per la semifinale. -
- E lei cosa c’entra in tutto questo? -
- Desidero vederla, Pepe, stringerla tra le mie braccia,
sentire ancora il suo profumo, baciarla.-
- Amico, tu sei innamorato cotto. Ma sei sicuro che lei
ti ricambi? -
- I nostri compagni l’hanno sempre canzonata perché
ritenevano che fosse innamorata di me. Se al mio ritorno non fosse così,
non potrei che darle ragione viste le mie eterne indecisioni.-
- Vuoi dire che non le hai detto che ne sei innamorato?
-. Holly scosse il capo.
- Amico tu sei proprio strano. Sei innamorato cotto di
una ragazza che ti corrisponde, tra l’altro anche molto carina e non
glielo dici? Sei un caso irrecuperabile. Ma cosa aspetti…chiamala e
diglielo. - disse poi riprendendo il pallone e continuando a correre sul
bagnasciuga.
La sabbia era fresca. L’aria del mattino frizzante. Rimase
seduto a contemplare il mare calmo le cui piccole onde venivano sospinte
dolcemente lungo la riva.
- Sono sicuro che ti piacerebbe il mare in questo momento. Cosa pagherei
per vederti correre lungo questo bagnasciuga, correre da me, per me. Come mi
manchi. Ma come faccio a dirtelo? Cosa mi sta succedendo? Possibile che Pepe
abbia ragione, che mi sia innamorato pazzamente di te, piccola stella mia. Nella
mia mente ci sei solo tu, nel mio cuore tutte le parole che non ti ho mai detto.
Se solo i miei pensieri ti potessero accarezzare. Finita la riabilitazione, se
il Giappone passerà il turno, andrò in Francia. Chissà se sei stata convocata
anche tu. Come farò a dirti che dopo il mondiale resterò in Europa? Che da
settembre giocherò molto probabilmente in uno dei club più esclusivi a livello
mondiale? Cosa devo fare? Non voglio rinunciare alla mia carriera, ma
soprattutto a te…non un’altra volta. Se solo tu lo vorrai, ti porterò con
me. Non mi sono mai sentito così triste. In questi tre lunghi anni sono
successe tante cose. Più si avvicina la data del nostro prossimo incontro e
più mi sento confuso. E se tu fossi cambiata? Se ti fossi stancata di
aspettarmi? Cosa succederà quando ti dirò che andrò in Europa? Piccola stella
mia, come vorrei che tu fossi qui, ad aiutarmi, a darmi il sostegno che mi hai
sempre dato in passato. - pensò continuando a guardare il sole che
accendeva il cielo delle tenui tinte mattutine. Si rialzò e ricominciò a
correre nella speranza di rivedere la ragazza che amava nella meravigliosa
cornice della capitale francese. Aveva trascorso tre anni senza di lei,
nutrendosi delle sue lettere e delle telefonate, alimentando quella complicità
nata in Giappone. Nonostante avesse scoperto di amarla, non riusciva a trovare
il coraggio per confessarglielo. Aveva il timore profondo di essere rifiutato
proprio dalla persona a cui teneva maggiormente.
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Capitolo 3 *** Una notizia inaspettata ***
CAPITOLO 3
Una notizia inaspettata
Da quando il giorno prima il mister le aveva annunciato che
sarebbe andata in Francia, era ancora più confusa. C’era la probabilità che
Holly non avrebbe raggiunto il gruppo a causa dell’infortunio. Per tutta la
notte aveva pensato a questa eventualità. Quando l’avrebbe rivisto? Nella sua
ultima lettera le aveva parlato dell’infortunio ma non del suo ritorno in
Giappone, neppure per le vacanze estive. Ammesso che i suoi genitori le avessero
permesso di andare a studiare in Europa, quando avrebbe rivisto Holly? Il
pensiero di non rivederlo più la angosciava.
Gli aveva promesso che sarebbe stata lì al suo ritorno e lui
che sarebbe diventato un calciatore professionista. L’idea di non mantenere la
sua promessa la fece crollare in un turbine di ansia e dubbi, ma sapeva che
doveva decidere in fretta che fare del suo futuro.
- Patty, scendi. Il pranzo è pronto! - disse la signora
Gatsby cercando di richiamare l’attenzione della figlia.
- Arrivo. - rispose sospirando. - Okay Patty, stai calma.
Adesso dovrai dire ai tuoi genitori che sei stata convocata per il raduno
della nazionale e che intendi studiare giornalismo. Accidenti, da dove
inizierò? Già mi sento mio padre…E’ appena tornato da Londra ed io me
ne vado. Pazienza. E’ la mia vita, sono maggiorenne ed è anche ora che io
vada per la mia strada. Perché mi sento così irrequieta. Ho la strana
sensazione che non andrà proprio tutto come spero. - pensò guardando la
fotografia sul suo comodino. Lei e Holly ai tempi del terzo campionato
scolastico. Sorrise e uscì dalla camera.
- Allora tesoro, ti stai riposando? -
- Più che altro mi sto annoiando. Per fortuna ancora per
poco. Dalla prossima settimana avrò di nuovo da fare. - disse accomodandosi
intorno al tavolo. Sua madre continuava a servire la portata non
distogliendo lo sguardo dalla figlia. George Gatsby fissò la ragazza seduta
al suo fianco. Com’era cresciuta. Se chiudeva gli occhi la ricordava come
una bimbetta di pochi anni che correva per tutta la casa. Non era mai stata
quieta e pacata, tuttavia negli ultimi anni il suo carattere irruente si era
addolcito. Adesso la vedeva come una donna dai lineamenti semplici ed
eleganti, affinati da anni di sport. Sua figlia era davvero una bella
ragazza e in poco tempo avrebbe fatto strage di cuori, ne era certo. Se la
sua vera madre avesse potuto vederla, sarebbe stata molto orgogliosa di lei.
- Che vuoi dire? - chiese sua madre accomodandosi a
fianco del marito, - Perché dalla prossima settimana sarai impegnata? -.
- Vedete, sono stata convocata come manager per i
mondiali under 19 che si disputeranno in Francia. -.
- Ancora questo calcio. Pensavo che con la partenza di
Holly e con la fine della scuola la smettessi di correre dietro a quel
pallone. Dovresti pensare ad altro, per esempio a studiare…
- Aspetta un attimo! - esclamò con il sangue che le
ribolliva nelle vene, - Cosa vorresti insinuare? Che in questi anni ho perso
il mio tempo? C’era un patto tra noi. Se ogni anno fossi stata promossa
con il massimo dei voti avrei potuto continuare a seguire la squadra di
calcio e i vari raduni! L’hai dimenticato? Anche quest’anno ho preso il
massimo dei voti ed ho conseguito una borsa di studio per andare a studiare
in un’università straniera. -
- Non l’ho dimenticato. Ma preferirei che ti togliessi
dalla testa il calcio e pensassi a qualcosa di più concreto. -
- Forse ti dimentichi che sono un’adolescente con le
sue passioni esattamente come le avevi tu alla mia stessa età. Oppure devo
pensare che questo tuo atteggiamento ostile nei miei confronti derivi da
desideri repressi nella tua giovinezza? - le disse amaramente ma decisa.
George guardava la moglie e la figlia affrontarsi in quel duello a spada
tratta. Doveva trovare le parole giuste per parlare con Patty e soprattutto
per calmarle.
- Patty, tesoro, la mamma non intendeva dire che hai
perso tempo in questi anni, perché noi sappiamo benissimo che ti sei
impegnata in tutto quello che hai fatto. Ora però c’è una cosa che
dobbiamo dirti. Ti chiedo di farmi parlare ed ascoltarmi. -
La ragazza asserì e tornò a sedersi lanciando un’occhiata
di sfida verso la donna che le sedeva di fronte.
- La mia società mi ha offerto un lavoro all’estero,
altamente remunerativo e che richiederà la mia costante presenza in quel
paese. Si tratta di progettare e dirigere i lavori di vari complessi edilizi
in Spagna. Il contratto durerà cinque anni e tra due settimane dovrò
cominciare. -
- Non mi dirai che stai pensando di farci trasferire….
Patty non terminò neppure la frase che il padre assentì.
- Sì. Cinque anni sono lunghi e non voglio lasciarvi qui
ad aspettare lettere o telefonate. Siete la mia famiglia e desidero che mi
seguiate in Europa. -.
- Tra due settimane? - chiese ancora attonita per la
notizia.
- Sì Patty. Io e la mamma ne abbiamo già parlato e
siamo d’accordo su questa decisione. -
- Appunto. Voi ne avete parlato. Non mi avete considerato
prima di decidere? La preparazione della nazionale under 19 comincia la
prossima settimana e poi si andrà in Francia. Io li seguirò. -
- Tu verrai con noi a Barcellona. - tuonò decisa Alison
Gatsby.
- Devo mantenere il mio impegno con la squadra. Quando
inizio una cosa solitamente la finisco. - rispose risoluta.
- E poi, tesoro, a Barcellona ci sono delle ottime
università. Potrai studiare ingegneria o architettura. - le disse il padre
nella speranza di ammorbidire i toni di quella conversazione fin troppo
spinosa.
- Cosa? Chi vi ha detto che io voglio studiare ingegneria
o architettura? Non vi è saltato in mente che con la borsa di studio avrei
preferito andare ad Harvard o a Yale negli Stati Uniti? Ma in questa casa
qualcuno ha un minimo di considerazione per la sottoscritta? Cos’altro
avete deciso per me, oltre al trasferimento dall’altra parte del mondo e
alla facoltà cui iscrivermi? Un marito? Certo, perché mi manca solo
quello. E papà, l’hai già conosciuto il pretendente al trono? - urlò
sempre più irritata dal comportamento dei suoi genitori.
- Patty calmati! - la intimò la madre rossa in volto.
- Perché, altrimenti cosa succede? Io andrò in Francia
con i ragazzi e studierò giornalismo che voi lo vogliate o meno. -
- Tu non puoi decidere senza il nostro consenso!- urlò
la madre perdendo il controllo della situazione.
- Perché, invece tu puoi? Cosa ti fa pensare che non sia
abbastanza matura per prendere certe decisioni? Ho forse commesso qualche
malefatta, oppure qualche volta ho perso il controllo in situazioni in cui
non avrei dovuto. Mai, mi sono sempre comportata come una figlia modello. E
questo è il modo in cui mi ricompensate. Continuare a decidere per me come
se fossi un’interdetta sociale. Quando sei entrata nella nostra famiglia
io avevo solo sette anni e ti ho accettata per quella che eri. Non ho mai
cercato di cambiarti. -. Aveva gli occhi lucidi e le gote infiammate dall’ira.
Alison ebbe come un sussulto. Patty le aveva ricordato che
lei non era la sua vera madre, ma solo ed unicamente la seconda moglie di George
Gatsby. Era vero: aveva solo sette anni quando entrò a far parte della famiglia
e seppur timidamente, accettò quella nuova presenza che prendeva il posto della
sua mamma naturale, deceduta a causa di una leucemia fulminante. Il loro
rapporto non era mai stato molto stabile e per evitare di litigare, Patty
cercava di evitare qualsiasi tipo di discussione con lei.
- Perché vuoi andare in Francia? Per raggiungere il tuo
amichetto? Ma non lo vedi che ti ha abbandonata senza pensarci due volte e
se ne è andato in Brasile? - sogghignò Alison colpendo Patty direttamente
al cuore.
Se voleva ferirla, c’era riuscita sicuramente. Aveva tirato
in ballo Holly, la persona che Patty amava di più, per la quale avrebbe donato
la sua stessa vita.
- Tu non sai niente di noi due. E non ti permetto di fare
illazioni stupide e meschine su Holly. - rispose in tono glaciale. Il suo
sguardo era talmente tagliente che avrebbe potuto ferire chiunque. Alison la
fissò cercando di contrastare quell’espressione dura e decisa. Era un muro
invalicabile. Non avrebbe mai dovuto dire la frase che aveva appena pronunciato
perché comprese di aver perso la figlia in quel preciso istante.
- Adesso smettetela tutte e due di incolparvi a vicenda e
di urlare in questa maniera. Cerchiamo di raggiungere un accordo. Ti avevamo
fatto una promessa: se avessi conseguito buoni risultati nello studio
avresti potuto seguire la squadra. Potrai andare in Francia con i tuoi
amici. Consideriamola come una vacanza premio per il diploma. -
- Ma George….
- Alison, le promesse si mantengono. Ci trasferiremo
tutti a Barcellona, Patty. Non posso rinunciare a questo lavoro e vorrei
finalmente vivere in una famiglia normale, senza sapere che mia figlia si
trova in un altro continente.. Senza contare che ne trarremmo un grosso
vantaggio economico. Non appena il Giappone perderà una partita tu dovrai
tornare qui e se arriva in finale, partirai il giorno stesso. Per quanto
riguarda la facoltà da decidere, ne riparleremo quando arriverai a
Barcellona, ma resta inteso che resterai in Spagna con noi. Ho incaricato un’agenzia
immobiliare di trovarci una casa confortevole e di vendere questa. Dovrei
avere la risposta tra qualche giorno. Se tutto va bene, partiremo tra tre
settimane al massimo. - concluse George sperando di aver tranquillizzato
madre e figlia.
- Io non ho più fame. Scusate vado in camera mia. -
disse voltandosi e salendo di corsa le scale che conducevano al piano
superiore. Chiuse la porta a chiave e scivolò sul pavimento in preda ad un
pianto dirotto. Si era arresa alla volontà del padre pur di andare in
Francia, nella speranza di rincontrare Holly.
- Holly ti prego, vieni in Francia o non potrò più
vederti! Ti prego amore mio, non mi lasciare anche tu! -.
San Paolo, Brasile.
Holly correva al fianco di Roberto Sedinho. Sembrava
completamente assorto nei suoi pensieri.
- Allora Holly, come ti senti? La gamba ti fa male? -
- Ancora un po’. Se continuo ad allenarmi potrò
raggiungere i ragazzi in Francia. -
- Devi pensare alla tua carriera non al mondiale. -
- Roberto, per favore, non mi fare certe prediche. Sai
benissimo che desidero alzare quel trofeo e lo farò. -
- Non ne avevo alcun dubbio. Senti Holly ti devo parlare
di una cosa molto importante. - gli disse con sguardo serio. Si fermarono a
bordo campo e si avvicinarono ad una fontanella. Holly si sciacquò il volto
madido di sudore. Non sembrava più lui. Era cambiato molto fisicamente. Era
diventato più alto e i muscoli si erano tonificati sia sul petto che sulle
gambe. I duri allenamenti cui si era sottoposto avevano fatto di lui un
grande campione anche in Brasile. I ragazzi avrebbero stentato a
riconoscerlo.
- Di che si tratta Roberto. -
- La scuola è terminata e il tuo contratto con la
squadra scade tra qualche giorno. Hai tre scelte Holly: restare qui in
Brasile e andare presso qualche squadra della liga maggiore, tornare in
Giappone in attesa di qualche buona occasione oppure andare in Europa! -
- Europa? -
- Sì. Prima a proposito del mondiale scherzavo. Devi
mettercela tutta Holly. Devi prendere parte a quel campionato anche se solo
per una partita. Sarà una vetrina molto importante a livello
internazionale. I migliori giocatori del mondo giocano in Europa: Francia,
Germania, Italia, Spagna. E’ quello il traguardo che ti devi prefissare. -
- Cosa mi consigli? - chiese denotando una certa
esperienza.
- La tua tecnica si è affinata tantissimo Holly. Tu sei
un bravo giocatore, sai fare squadra e sai risolvere la partita in ogni
momento. Vai all’estero. E’ l’Europa il tuo futuro. -
- Ma come faccio? Se non riuscissi ad arrivare in tempo
per il mondiale? -
- Questa è l’altra notizia che volevo darti: due
grosse società spagnole ti hanno visto giocare durante questo campionato. -
- Spagna? Dove giocano Ronaldo, Roberto Carlos e dove
militano forse i giocatori più in vista del parterre internazionale. -
- Esatto. Mi hanno detto che ti contatteranno durante il
mondiale. Dovrai essere tu a scegliere. So che lo farai al meglio. -
- L’Europa. La Spagna. Sembra un sogno. -
- Non lo è. Puoi realizzare anche quello Holly. - gli
disse mettendogli una mano sulla spalla. Il suo pupillo era cresciuto: era
diventato un uomo che stava varcando la soglia dell’età adulta con tanti
sogni nel cassetto che avrebbe sicuramente realizzato.
- Patty. Non ci crederà quando le dirò che forse andrò
a giocare in Spagna. No, non glielo dirò. Sono sicuro che andrà in
Francia. Le parlerò quando ci incontreremo e le chiederò di venire con me.
- pensò allontanando lo sguardo dal suo tutore.
- Ehy Holly, ci sei? Ultimamente mi sembri un distratto.
Qualche problema? - gli chiese accompagnandolo verso le docce.
- No, no. - mentì cercando di evitare il discorso già
intrapreso con Pepe. Aprì la porta delle docce e se la richiuse alle spalle
sottraendosi allo sguardo indagatore di Roberto.
Il giorno seguente Patty si incontrò con Amy e Jenny nei
grandi magazzini di Tokyo.
- Allora Jenny come va? -
- Vi devo dare una notizia sensazionale. Philip è stato
contattato dal Manchester United e dopo i mondiali prenderanno accordi per
il suo trasferimento in Inghilterra. - disse entusiasta.
- E’ fantastico. E tu? Lo seguirai? -
- Certamente. Ovunque lui andrà io sarò con lui. -
- Beh, cara Patty, tu non lo sai ma Jenny e Philip
praticamente fanno vita da sposati. La sorella di Jenny si è appena sposata
e quindi casa libera a tutte le ore. -
- Amy! - la ammonì Jenny rossa per l’imbarazzo. Patty
sorrise. - Perché tu invece. E’ una vita che vivi a casa di Julian. Prima
per i suoi problemi medici. Adesso vi manca solo la fede al dito. -
- Smettila, gelosona. - rimbeccò la ragazza dai capelli
castano ramati.
- Scusaci Patty, noi non volevamo…
- Assolutamente no, ragazze. Sono contentissima per voi.
Almeno c’è qualcuno che riesce ad avere un rapporto normale. -
- Vedrai che presto le cose cambieranno anche per voi. -
disse Jenny riferendosi al suo rapporto con Holly.
- Ho qualche dubbio in merito. Tre anni fa ho fatto una
promessa a Holly: che quando sarebbe tornato in Giappone, io sarei stata lì
ad aspettarlo. Invece non ci sarò. - disse con voce fievole chinando il
capo. Si sedettero su una panchina all’ombra di un salice nel giardino
antistante i grandi magazzini.
- Mio padre si deve trasferire in Spagna per lavoro e
così ha deciso che dobbiamo seguirlo. Mi lascia venire in Francia al solo
patto che alla fine dell’ultima partita del Giappone, che siano gli
eliminatorie o la finale, io li raggiunga immediatamente. -
- Mi dispiace Patty, ma penso che se spiegassi tutto
questo a Holly…lui capirebbe. - disse Amy cercando di incoraggiare l’amica.
Scosse il capo dissentendo.
- Mi sento una stupida. Sembra quasi che il destino che
ci ha divisi tre anni fa, si rifiuti di ricongiungerci. Non so neppure se
Holly verrà in Francia. E’ reduce da un infortunio e adesso è in
riabilitazione. E se lo vedrò…sarà per pochi istanti perché poi dovrò
raggiungere la mia famiglia. -
- Ma cosa ti importa di loro? Vai da Holly. E’ lui la
persona che ami! - disse Jenny. - Io e Philip abbiamo lottato tanto per
stare insieme, soprattutto contro i pregiudizi della mia famiglia. Non hai
nulla da perdere. -.
- Non è così semplice. Tu sapevi che Philip ti amava.
Holly non me l’ha mai detto. Mi ha solo dimostrato che ci tiene alla mia
amicizia. -
- Stupidaggini. Anche se non te l’ha detto è palese
che sia cotto di te. -
- Amy lo sai meglio di me che tra il pensare e il parlare
c’è di mezzo un oceano. Anche tu avevi mille dubbi circa i sentimenti di
Julian per te. Alla fine ha trionfato l’amore, per fortuna. Ma il vostro
era un rapporto diverso. Io e Holly non ci vediamo da tre anni e forse non
ci vedremo più perché sono costretta ad andare con i miei genitori. -
- E se lo dicessimo noi a Holly? Cioè se chiedessimo a
Philip e a Julian di chiacchierare con lui e per caso dirgli del tuo
improvviso trasferimento? Potrebbe sondare il terreno e constatare la sua
reazione. - disse Jenny sperando che la sua idea fosse accolta con
entusiasmo dall’amica.
- Assolutamente no. Non ho alcuna intenzione di
condizionare le sue scelte…
- Ma non si tratta di condizionare la mente di nessuno,
semplicemente di dargli una mano a riflettere. -
- Ragazze, per favore, se mi volete bene, rispettate la
mia decisione. Holly non lo deve sapere. E’ già una grossa delusione per
me. Avevo pensato agli Stati Uniti perché sono più vicini al Brasile.
Invece anche questo tentativo sembra esser svanito nel nulla. Ora capite il
mio pessimismo? Ho l’impressione che mi stia crollando il mondo addosso.
Maledizione! Prima l’infortunio di Holly che metterà a serio rischio la
sua partecipazione ai mondiali; poi i miei genitori che non solo mi vietano
di andare negli Stati Uniti, ma non vogliono che studi giornalismo; il
trasferimento in Spagna. Io…io non so più cosa pensare. C’è qualcosa
per cui essere felici? -. Jenny e Amy ascoltavano silenziose lo sfogo dell’amica
comprendendo che negli ultimi tempi la sua vita si era davvero complicata.
Era sola a combattere contemporaneamente contro il muro eretto dalla sua
famiglia e contro il desiderio di vivere la sua vita.
- Ho un desiderio immenso di scappare da tutto e da
tutti: andar via e decidere da sola per me stessa. Ma vengo assalita dai
rimorsi. Continuo a pensare a Holly e alla delusione che proverà al suo
ritorno in Giappone quando non mi troverà. I miei genitori sono scontenti
di me e della mia idea di andare a studiare giornalismo negli Stati Uniti.
Mi sento di impazzire. - esclamò infine coprendosi il volto con le mani.
Era disperata. Se solo Holly le avesse mostrato un po’ più amore, forse
la decisione dei suoi genitori di trasferirsi in Europa non le sarebbe
sembrata così drastica e penalizzante.
Amy e Jenny cercarono di consolare l’amica invitandola ad
essere più ottimista e che ben presto le cose sarebbero cambiate. Loro erano
convinte che Holly avrebbe preso parte ai mondiali e in quell’occasione lei
avrebbe potuto parlargli. E se il padre le aveva detto di partire subito dopo la
partita, beh l’avrebbe fatto attendere perché prima doveva chiarire la sua
posizione con il capitano. Era la sua ultima occasione per farlo di persona dato
che poi si sarebbe trasferita in Spagna.
- Patty, ma…sei proprio tu? - le chiese vedendola lì,
davanti ai suoi occhi. Era bellissima. I capelli al vento, il corpo avvolto
in un vestitino di lino ecrù. Holly le corse incontro in preda ad un
entusiasmo irrefrenabile. Quanto aveva atteso quel momento. La ragazza che
amava era a pochi passi da lui, su quella spiaggia dove ogni mattina andava
a correre. Prima che lui potesse raggiungerla, lei gli fece cenno con la
mano di fermarsi.
- Mi dispiace Holly. Non potremo più vederci. Io devo
andare via…
- Ma…cosa dici…tu non sai da quanto aspettavo questo
momento. Mi dispiace non aver trovato il tempo per venire a trovarti. Tu non
sai neppure quanto lo desiderassi…Patty, perché piangi? E’ colpa mia? -
le chiese avvicinandosi di più alla ragazza. - Come sei bella. - le
sussurrò accarezzandole il viso.
- Holly, io devo andare via, devo partire per un lungo
viaggio. Sono venuta qui per dirti addio. Mi dispiace. Non posso mantenere
la promessa che ti avevo fatto. Quando tornerai in Giappone io non sarò
più lì ad aspettarti. - gli disse mentre le lacrime continuavano a rigarle
il volto. Holly era attonito. Le prese il volto tra le mani e con le dita
cercò di spazzar via quelle lacrime.
- Non lasciarmi, Patty. Ti prego. Io….io ti amo. -
- Mi dispiace Holly, addio. - disse liberandosi dalle sue
braccia e correndo via. Rimase fermo e incredulo mentre la sua figura si
allontanava sempre più.
- DRIIIIIIIIINNNNN! -
Holly si svegliò di soprassalto mettendosi a sedere. Il
volto era madido di sudore.
- Era un sogno, uno stramaledettissimo sogno. - disse passandosi una mano tra
i capelli. - Cosa diavolo voleva dire! Possibile che il mio desiderio di
rivederla sia tale da indurmi a pensare di poterla perdere? La mia piccola
Patty. Devo chiamarla. Voglio sapere se andrà in Francia. Le dirò che devo
parlarle. Non voglio più aspettare. Sto impazzendo. Desidero sentire la sua
voce dirle quanto la amo. Non mi importa cosa mi dirà. - aggiunse alzandosi.
Con passo deciso si avviò verso la doccia attendendo che lo scrosciare dell’acqua
gli bagnasse la pelle e portasse via con se quella situazione di angoscia
procurata dal sogno. |
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Capitolo 4 *** Una partenza tra mille ricordi ***
CAPITOLO 4
Una partenza tra mille ricordi
Finalmente pioveva. Fino a quella mattina l’aria era stata
torrida e irrespirabile. L’idea di partire con quel caldo aveva impigrito i
ragazzi che si erano riuniti come richiesto nella convocazione. C’era stata
una conferenza stampa nella quale l’allenatore e i delegati delle Federazione
avevano esposto i loro piani per il prossimo futuro. Si era parlato del girone
di eliminatorio: le prime due di ogni girone avrebbero preso parte agli ottavi
di finale. Dagli ottavi in poi gli scontri sarebbero stati diretti e solo le
vincenti avrebbero passato il turno. Quando un giornalista chiese ai ragazzi
cosa pensavano delle squadre straniere, Mark Lenders esclamò spavaldamente che
con il suo “nuovo tiro della tigre” avrebbe battuto tutti i portieri del
mondiale. Gli altri componenti della squadra conoscevano la potenza del tiro di
Mark tuttavia non apprezzavano il suo egocentrismo. Quando chiesero a chi
sarebbe toccata la fascia di capitano, il mister fu molto chiaro: in attesa dell’arrivo
di Oliver Hutton, Julian Ross sarebbe stato il regista della squadra nonché il
capitano.
Nel girone eliminatorio, il Giappone avrebbe incontrato la
Cina, la Norvegia, la Polonia e gli Stati Uniti. Non era un girone
particolarmente difficoltoso ma la vincente si sarebbe scontrata molto
probabilmente con l’Inghilterra o con l’Uruguay.
Patty, Amy e Jenny indossavano la divisa ufficiale della
squadra come i ragazzi: esattamente come loro si preparavano all’imminente
partenza per la Francia che sarebbe avvenuta entro due giorni.
- Driiiiinnn. Driiiiiin. -. Il telefono continuava a
squillare.
- Accidenti, il telefono! - esclamò Patty varcando in
quel momento la soglia di casa. Lasciò cadere la sua borsa sul pavimento e
corse verso l’apparecchio.
- Pronto! - esclamò in tono dolce ma affannato dalla
corsa che aveva fatto per rispondere.
- Pronto! - ripeté non ricevendo risposta.
- Ciao! -. Il cuore le si fermò. La sua voce. Era lui.
Si sentiva debole, con la mano libera cercò un sostegno cui appoggiarsi.
- Ho…Holly! - sussurrò con il cuore in gola.
- Sì. Ciao Patty. Come…come stai? - le chiese con
evidente commozione.
- Io…bene. -. Ci fu silenzio tra i due. Desiderava
dirgli tante cose eppur qualcosa la bloccava. Perché la chiamava? Che
importanza aveva? Era dall’altra parte del filo e desiderava parlarle,
proprio a lei.
- E tu? Come va la tua gamba? - gli chiese cercando di
uscire dal baratro di confusione nel quale era precipitata.
- Ho ripreso a correre. La riabilitazione va bene. Spero
di rimettermi in sesto per i mondiali. -.
- Sono sicura che ce la farai. Io ho fiducia in te. -
aggiunse imbarazzata. Da quando era partito, era la prima volta che si
sentiva così emozionata nel parlare con lui al telefono. Forse perché la
sua telefonata era del tutto inattesa e giungeva in un momento di profonda
crisi. Le lacrime le inumidirono gli occhi e le sentì scivolare lungo le
gote fino a bagnarle le labbra. Erano amore. Aveva un bisogno disperato di
lui, voleva gettarsi tra le sue braccia e trovarvi conforto.
- Lo so Patty…sai…beh, nei momenti difficili della
mia vita, tu ci sei sempre. Mi basta pensarti. - ammise tutto d’un fiato
sperando di superare quel turbamento che da anni lo attanagliava. Quello che
Holly le aveva appena detto era la pura verità. Patty era sempre stata al
suo fianco ogni qual volta lui ne aveva avuto bisogno. Non le aveva mai
chiesto nulla. Lei c’era e basta e questo le aveva dato sempre estrema
sicurezza.
La ragazza era incredula. Aveva palesemente ammesso che la
pensava e che la sua presenza contava molto nella sua vita. Cos’era successo
a quel ragazzo timido e impacciato che ricordava? Possibile che il sogno
avesse sortito simili effetti?
- Grazie Holly. Tu potrai sempre contare su di me,
sempre. - rispose commossa ripensando al trasferimento in Spagna.
- Patty…stai piangendo? - le chiese comprendendo lo
stato dell’amica.
- No…io…mi è andata un po’ di polvere nell’occhio.
Non preoccuparti. -
- Sai, sto cercando di recuperare lo stato di forma dopo
l’infortunio. Manager, io ce la farò. Per favore, dì ai ragazzi di
giocare per me, fino a quando non potrò raggiungervi. Io ci sarò, in
Francia. - affermò convinto.
- Sono sicura che arriveranno in finale e con te alla
guida, potremo vincere il mondiale. -.
- Sarà dura, ma ce la farò. Andrai in Francia? -.
- Per l’ultima volta. - rispose inghiottendo le lacrime
che oramai dilagavano sul volto. Holly comprese il suo stato d’animo.
Stava succedendo qualcosa ma lei non voleva parlargliene. Perché gli aveva
detto che avrebbe fatto parte della squadra per l’ultima volta? La sua
convocazione esulava dal torneo scolastico.
- Ci vediamo a Parigi. Devo parlarti. - le disse in tono
molto dolce. Desiderava aiutarla. Sapeva che aveva qualche problema.
- Anche io! - rispose sempre più in preda all’avvilimento.
- Patty…qualsiasi cosa sia accaduta, non lasciarti
prendere dallo sconforto. Tra un po’ saremo di nuovo insieme. - aggiunse
cercando di rincuorarla ed esprimendo quello che era il suo pù grande
desiderio.
- Grazie capitano. Ci vediamo a Parigi. - gli disse
contenta delle sue parole.
- Sicuramente. Ricordati …che ti voglio bene! -. Le sue
parole raggiunsero direttamente il cuore di Patty. Quanto aveva atteso per
sentirglielo dire, e adesso aveva finalmente udito quelle parole.
- Mi manchi. - rispose lei sinceramente. Questa volta non
ci fu silenzio. Holly le rispose subito certo di quello che doveva dirle.
- Anche tu. Ciao Patty. -
- Ciao. - rispose attendendo che Holly riattaccasse. Lei
non ne aveva il coraggio, non voleva porre fine a quella telefonata.
Desiderava restare lì ad ascoltare il suo silenzio fatto di parole dolci
che riusciva ad immaginare, che sembravano sfiorarle il volto come timide
carezze. Com’era cambiato il suo capitano. Nella sua mente ancora
risuonavano le sue dolcissime parole, quel “ti voglio bene” ricco di
significato. Quando non sentì più il suono della sua voce, ripose la
cornetta sulla forcella rimanendo immobile a fissare il telefono.
- Il mio Holly. Amore mio, mi hai detto che mi vuoi bene
e che ti manco. Non ce la faccio più ad aspettare. Ho bisogno di stare con
te. Ti prego, fai in fretta a raggiungerci in Francia. Non m’importa se
poi dovremo separarci. Questa volta desidero dirti quanto ti amo. Non mi
importa come e dove. Lo farò e basta. -. Sospirò e salì in camera sua.
Doveva preparare la valigia per la Francia e tutti i suoi effetti personali
che i suoi genitori avrebbero inviato in Spagna la settimana dopo.
Quel lunedì segnava la fine della sua adolescenza e l’inizio
di una nuova vita. Era andata a salutare la Signora Harper, Evelyn e Susy e
Maggie Hutton. Lei e la madre di Holly si erano avvicinate molto dopo la sua
partenza.
Si guardò intorno in quella stanza oramai priva di tutti i
complementi di arredo e del tempo trascorso insieme. Si affacciò alla finestra
sorridente. Tante volte aveva visto Holly e i ragazzi passare per quella strada
mentre si allenavano o semplicemente per una passeggiata. Vide le sue valige,
quelle per la Francia, pronte sull’uscio. Suo padre le afferrò
silenziosamente e le portò in macchina. L’avrebbe accompagnata in auto all’aeroporto
di Tokyo. Delineò un’ultima volta i contorni di quella stanzetta, toccò il
suo letto che tante volte l’aveva vista piangere abbracciata ad un cuscino.
Poi chiuse gli occhi e quando li riaprì uscì. Raggiunse suo padre in auto.
Alison non c’era. Quel mattino era uscita di casa molto presto, quasi a
volersi defilare per i saluti alla figlia adottiva. Dal giorno della lite non si
erano rivolte la parola.
- Hai preparato tutto per il carico? - le chiese George
Gatsby non distogliendo lo sguardo dalla strada.
- Sì. - rispose in maniera coincisa cercando di evitare
dialoghi e discussioni anche con il padre. Non l’aveva sostenuta nella
scelta dell’università e Patty non l’aveva accettato.
- Pensi che la squadra potrà passare i turni
eliminatori? - provò a chiederle qualcosa sul calcio nella speranza di
instaurare un dialogo.
- Sì. -. George sospirò. Non mancava molto all’aeroporto.
- Okay. Non vuoi parlare, vero? Allora lo farò io al
posto tuo. Senti Patty se ho acconsentito alla tua partenza per la Francia
non è stato solo perché era previsto nel nostro accordo, ma anche perché
pensavo ti avrebbe fatto bene una vacanza durante il trasloco. Non mi piace
il rapporto che si è instaurato tra te ed Alison. Lo so bene che non si
tratta della tua vera madre ma è pur sempre mia moglie e in questi anni ti
ha accudita. -
- Mi ha accudita? Certo, se ti riferisci all’avermi
lavato e stirato gli indumenti o all’aver cucinato per me quando non ero
sola, allora posso darti ragione. Non si è mai comportata come una madre.
Mai una carezza, mai un “brava”, mai un dialogo costruttivo con me.
Dacché l’hai portata in casa lei mi ha evitata limitando i suoi incontri
con me al minimo indispensabile. Mi pare che poco fa ti abbia dato l’ennesima
prova di quello che sente nei miei confronti: nulla, assoluta indifferenza.
Non mi ha neanche salutata. Se tutto va bene ci vedremo tra circa un mese in
una terra a me sconosciuta, un posto dove sto andando forzatamente. Quindi,
ti prego papà, la prossima volta che dobbiamo parlare, facciamolo da soli
perché non permetterò ad Alison di mettere voce in capitolo sul mio
futuro. Non ne ha diritto: non è mia madre, lei non l’ha mai voluta una
figlia come me. Non voglio ricordarti le volte in cui ai raduni con i
genitori, voi non c’eravate. Perché se non lo sai, papà, lei non veniva
mai. Soprattutto, vietale assolutamente di non ficcare il naso nella mia
vita privata. - disse decisa senza guardare il padre. George sapeva
benissimo tutte quelle cose perché conosceva Alison. In quegli anni lui era
sempre stato fuori per lavoro e non aveva potuto ben comprendere i veri
motivi che avevano fatto incrinare tanto il rapporto tra madre e figlia.
Vita privata. Sicuramente Patty si riferiva a Holly e al loro rapporto, già
citato da Alison in un’altra discussione.
- Mi dispiace. E’ colpa mia se è successo tutto
questo. Se fossi stato più presente nella vostra vita, forse avrei potuto
fare qualcosa perché il vostro rapporto potesse migliorare. Patty non te l’ho
mai detto ma Alison ha perso un figlio quand’era molto giovane, prima che
io la conoscessi. Non ha mai voluto che tu lo sapessi perché è il suo
punto debole. Ti ha sempre vista come una ragazza forte e sicura di sé ed
invidia questo lato del tuo carattere. Tu sei bella, simpatica, acculturata,
sei tutto quello che un genitore vorrebbe, quello che anche lei avrebbe
voluto. -
- Il fatto che lei abbia perso un figlio non cambia il
suo atteggiamento nei miei confronti. A maggior ragione avrebbe dovuto
amarmi con più devozione riversando su di me l’affetto che avrebbe voluto
dare a suo figlio. Invece trascorre il tempo a punzecchiarmi, ad attendere
che metta un piede in fallo per rimproverarmi. E’ questo che mi ha spinta
a migliorarmi sempre: il non farmi trovare spiazzata da lei. -.
- La situazione è più drammatica del previsto. Cosa
posso fare per rimediare a tutto questo? -
- Lasciarmi vivere la mia vita come ho sempre fatto. Tu
non puoi sapere quanto affetto io abbia trovato nei ragazzi della squadra.
Loro mi sono sempre stati accanto, in ogni momento. E non sono stati gli
unici. Maggie Hutton, la madre di Holly è stata per me una vera e propria
madre. Mi ha sempre voluta bene e mi ha accolta come una figlia. Da quando
Holly è partito il nostro rapporto si è rinsaldato e non sai quanta pena
mi ha procurato l’averla salutata per sempre. Non solo il figlio, adesso
anche me. Questa partenza per la Spagna ha provocato più dispiaceri che
felicità. Sono contenta per te. Hai sempre lavorato con impegno e questo è
il premio per la tua carriera. Ma io me la potevo cavare benissimo da sola.
L’ho sempre fatto. -
- Lo so bene, Patty, ma io ho bisogno di te, adesso più
che mai. - le disse malinconico. Patty si voltò verso il padre. Aveva l’espressione
stanca e segnata.
- Cosa vuoi dire? -
- Alison è incinta di quattro mesi. - esclamò sicuro.
Patty sgranò gli occhi. Avrebbe avuto un fratello che in linea di massima
sarebbe potuto essere suo figlio.
- Cosa? -.
- Beh, adesso lo sai. Non voleva che te lo dicessi
perché si vergognava. -
- E di cosa, di avere un figlio o di mischiare la sua
razza con la mia? - chiese con tono amaro.
- Smettila. E’ più fragile di quanto tu possa pensare.
E’ proprio questo il motivo per il quale si è allontanata da te. Tu sei
la sicurezza in persona, ciò che lei non è mai stata. Ed ora ha eretto un
muro di ghiaccio per proteggere se e la creatura che porta in grembo. -
- Io sicura? E’ solo una facciata papà, non quello che
sono in realtà. Io ho bisogno degli altri, di sentire il loro calore per
non cadere nello sconforto. E fino ad ora l’ho trovato solo nei miei
amici. -
- E in Holly, vero? -
- Sì. Ma tanto tutto questo finirà tra un po’. Mi sto
allontanando dal mio paese, dalla squadra, da lui. -
- E’ così importante per te quel ragazzo? -. Chinò il
capo in segno di assenso. Non servivano parole per chiarire il ruolo di
Holly nella vita di Patty. Tutti lo sapevano che era innamorata del
capitano, anche loro.
- Mi dispiace Patty, ma questa volta ho bisogno di voi.
Ed ho bisogno che tu cambi il tuo rapporto con Alison, in particolare adesso
che nascerà il tuo fratellino. Sei una ragazza matura e so bene che mi
sarai di sostegno in questa nuova strada. - disse infine parcheggiando l’auto
all’interno dell’aeroporto. Patty rimase in silenzio per un po’, poi
aprì la portiera dell’auto e scese. Afferrò velocemente un carrello
porta bagagli e aiutata da George sistemò la sua valigia. Il telefonino
squillò. Vide il numero del display. Era Amy. Erano all’interno dell’aeroporto
e l’attendevano.
- Adesso devo andare. - disse al padre guardandolo dritto
negli occhi.
- Mi dispiace lasciarci così. -
- Dispiacerti? Sono io che soffrirò per il distacco
dalla mia vita, voi sarete presi da altro. -
- Vedrai che la Spagna ti piacerà. Dovresti essere anche
più avvantaggiata di noi visto che hai studiato spagnolo per tre anni, no?
- le chiese cercando di sdrammatizzare.
- Ciao papà. - gli disse baciandolo freddamente sulla
guancia. George la strinse a se.
- Se questo può farti sentire meglio, spero che il
Giappone arrivi in finale e che quel giorno tu possa festeggiare con Holly
la vittoria della squadra. Sai, è a Parigi che mi sono innamorato di tua
madre. - le sussurrò prima di lasciarla andare.
- Ci vediamo a Barcellona. - gli disse spingendo il
carrello verso l’entrata dell’aeroporto internazionale di Tokyo.
La vide allontanarsi all’interno del grande aeroporto
sicuro che la figlia li avrebbe raggiunti in Spagna. Parigi. La città dell’amore,
dove lui si era innamorato vent’anni prima di Sarah Robinson, la vera madre di
Patty.
- Buona fortuna piccola mia. Spero tanto che tu possa
realizzare il tuo sogno d’amore. - pensò rientrando in auto e tornando a
Fujisawa.
Quando il gruppo fu riunito e il volo fu chiamato all’altoparlante,
la squadra al completo terminò le operazioni di imbarco e salì a bordo dell’aeromobile
che da Tokyo li avrebbe condotti direttamente a Parigi. Non appena furono in
volo, Amy e Jenny si avvicinarono a Patty seduta accanto a Tom Becker,
approfittando dell’assenza di quest’ultimo.
- Allora Patty, come stai oggi? - le chiese la fidanzata
di Julian Ross.
- Diciamo che va un po’ meglio. Adesso ho davvero una
ragione per andare in Francia. -. Jenny e Amy si guardarono in faccia
cercando di comprendere quale potesse essere.
- Di cosa parli? - chiesero incuriosite.
- Sapete, l’altro giorno mi ha chiamata. Mi ha detto di
aspettarlo a Parigi, di chiedere ai ragazzi di vincere per lui, per poter
disputare insieme la finale. E poi, poi mi ha detto che mi pensa e che mi
vuole bene. - concluse imbarazzata.
- Davvero? Ma è stupendo. Finalmente quel timidone di
Holly sembra aver acquistato un po’ di spina dorsale. -
- Amy! -
- Perché non è vero? Patty ti ha fatto tribolare per
anni, cosa dovrei pensare altrimenti, che ha preso una botta in testa e
finalmente ha riacquistato un po’ di senno? -
- Adesso smettila di scherzare. - le chiese Patty
rasserenata.
- Gli hai detto del trasferimento in Spagna? - chiese
Jenny. Il viso di Patty si ombrò. Era evidente che aveva tralasciato questo
particolare.
- No, non ne ho avuto il coraggio. Ragazze, mi ho padre
mi ha chiesto nuovamente di seguirlo in Spagna senza tergiversare troppo
sull’argomento. Tra l’altro, sembra che ben presto avrà bisogno di me.
Alison Gatsby è incinta. -
- Che hai detto? Tua madre aspetta un bambino? - chiesero
in coro.
- Ssstt. Sì. -
- E non sei contenta che avrai un fratellino? - chiese
Amy con il suo solito entusiasmo.
- Fratellastro. Scusate, non ve l’ho mai detto ma lei
non è mia madre. -
- Ehy questa è peggio di una soap opera americana. Patty
ma cosa stai dicendo? -
- E’ così, vi assicuro che è la verità. Mia madre è
morta quand’ero piccola, mio padre si è risposato prima del nostro arrivo
a Fujisawa. Solo Holly e sua madre lo sanno. Vi prego non dite a nessuno
quello che vi ho detto. -
- Sembra fatto tutto apposta. Il trasferimento in Spagna,
il bambino, la tua rinuncia a studiare negli Stati Uniti per tenere unita la
famiglia. -
- Già, è in questo triste quadretto manca la tessera
principale: Holly. Non sa ancora nulla e non sa neppure che quando lo
rivedrò a Parigi sarà forse per l’ultima volta. -
- Ma cosa diavolo stai dicendo? Perché mai non dovreste
vedervi più? - le chiese Amy infervorata dall’arrendevolezza dell’amica.
- Papà mi ha chiesto di sostenerlo in questo cambiamento
nella sua e nella nostra vita. Alison ha già perso un bambino in passato. E
sembra che il suo atteggiamento nei miei confronti nasca proprio da una
mancanza di sicurezza. -
- E tu rinunceresti a Holly per lei? - chiese Amy mentre
Jenny cercava di calmarla.
- A voi sembra tutto facile. Non avete neppure idea di
quello che sto provando. Dovreste convivere con tutto questo per potermi
comprendere. Mi trovo a un bivio e volente o nolente dovrò scegliere. Lo
farò dopo aver parlato con Holly. - sentenziò concludendo quella
conversazione.
Il viaggio fu abbastanza tranquillo e quando finalmente l’aereo
atterrò all’aeroporto internazionale Charles de Gaulle era già pomeriggio
inoltrato.
I ragazzi salirono tutti sull’autobus che li avrebbe
condotti in un albergo di Parigi dove avrebbero partecipato al campionato
mondiale under 19.
Seduta accanto al finestrino, Patty pensava a Holly, a quanto avrebbe
desiderato passeggiare con lui, mano nella mano lungo la Senna.
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Capitolo 5 *** Cose che succedono ***
CAPITOLO 5
Cose che succedono
I ventidue giovani calciatori della nazionale under 19
giapponese unitamente al team che li aveva accompagnati in questa nuova
avventura, si erano facilmente adattati al clima mite e ai fusi orari francesi.
Dopo gli allenamenti, i ragazzi ne approfittavano per visitare la città senza
allontanarsi dall’albergo dove alloggiavano.
La squadra era entusiasta dei risultati ottenuti fino ad
allora: avevano superato il turno eliminatorio qualificandosi al primo posto nel
proprio girone ed erano ora in attesa di incontrare l’Inghilterra, nell’incontro
che avrebbe consentito alla squadra vincente di accedere ai quarti di finale.
Tom Becker, Philip Callaghan, Julian Ross e Mark Lenders
avevano dato prova della loro abilità grazie anche al resto della squadra che
aveva saputo sostenerli in ogni occasione. La difesa del Giappone inoltre,
poteva contare su due ottimi portieri quali Benji Price e Ed Warner. Si era
rivelata la squadra rivelazione del campionato, gli outsider che stavano facendo
incetta della squadre più titolate. Il Giappone non tradì le aspettative e
vincendo uno a zero sull’Inghilterra, ai tempi supplementari si aggiudicò l’ingresso
ai quarti dove avrebbe incontrato la vincente tra Portogallo e Italia.
- Come mai sei qui da sola? - chiese Tom a Patty
vedendola fuori dall’albergo intenta a guardare il lento fluire della
Senna.
- Apprezzavo questa magnifica città. E’ bellissima a
tutte le ore. Sai, stamattina sono uscita presto. Volevo fare una corsa nel
parco qui vicino. Non c’è angolo di questa città che non valga la pena
di visitare. Accidenti, lo dico proprio a te che ci hai vissuto per tanto
tempo! - disse sorridente.
- Hai perfettamente ragione. Parigi è bellissima. Per
quanto mi dispiace lasciare i miei compagni, sono contento di tornare qui. -
- Anch’io sono contenta per te. Il Paris Saint Germani
è una squadra prestigiosa e tu metterai sicuramente in luce tutte le tue
doti. Sono sicura che al fianco di Pierre Le Blanc, i vostri avversari non
avranno scampo. -
- Lo spero. E tu, cosa farai adesso? -. Patty abbassò lo
sguardo e si affacciò al muretto che delimitava la sponda del fiume. Le
luci dei bouquinistes illuminavano fievolmente l’altra sponda, addolcita
dalle melodie romantiche dei musicisti di strada.
- Andrò all’università e mi prenderò la mia bella
laurea. Non so ancora in cosa. Se non la smetto di litigare con i miei
familiari non penso che farò in tempo ad iscrivermi al primo anno. -
- Bruce mi ha detto che ti trasferisci. Che vai via dal
Giappone. E’ vero? -
- Sì, ma ti prego di non parlarne. Avevo chiesto a Bruce
di non dirlo in giro ma vedo che la sua bocca è stata più veloce della mia
preghiera. -
- Sarà una bella esperienza, vedrai! -
- Non saprei. Non l’ho presa molto bene. Tu sei
abituato a tutti questi spostamenti, io al contrario sono sempre rimasta in
Giappone movendomi solo per le vacanze o per i raduni della squadra. L’idea
di cambiare completamente il mio stile di vita non mi entusiasma molto. -
- Forse perché ti senti sola in questo mutamento? - le
chiese guardandola. Era diventata davvero bella. Si chiese quale sarebbe
stata la reazione di Holly quando l’avrebbe vista. Quella ragazza era
capace di indurre tranquillità e dolcezza. La piccola Anego era stata
completamente repressa dentro di lei ed ora era sbocciato un magnifico
fiore. Indossava dei pantaloni di cotone larghi fino alle caviglie e una
maglia a manica lunga con ampia scollatura che lasciava intravedere l’ombellico.
- Accidenti amico, se non ti sbrighi a prenderti
questa ragazza penso che qualcuno te la soffierà. Non riesco a toglierle
gli occhi di dosso. Se non fossi il mio migliore amico ci avrei già
provato! - pensò disegnando attentamente i tratti dell’amica.
- Sì, penso che sia proprio così. Vorrei tanto che
qualcuno mi dicesse di andare, di fare questo passo perché sicuramente la
mia vita cambierà in meglio. Invece è una scelta obbligata. Ho vinto una
borsa di studio e anziché soddisfare il mio desiderio di andare a Yale o
Harvard, dovrò frequentare una facoltà che a me non piace. E non è tutto.
La mia famiglia si è opposta alla scelta di studiare giornalismo. Mio padre
mi vorrebbe ingegnere o architetto. Ho la testa piena di confusione. Sembra
avvolta nella nebbia più fitta e non riesco a vedere alcun barlume di luce.
-
- E poi? - le chiese sapendo che non era tutto. Aveva
intuito che il suo risentimento verso quella scelta era legata anche alla
presenza di Holly.
- Mi sono sempre sentita al sicuro tra i miei amici e
perderli sarà molto duro. E poi…tre anni fa ho fatto una promessa che non
potrò mantenere a causa di questo trasferimento. - aggiunse cominciando a
camminare lungo il muretto.
Tom comprese che non era più il caso di farle domande. Patty
intonò una canzone e accompagnata dalla melodia si allontanò lungo il fiume.
- Splendido goal di Mark Lenders che trafigge la difesa
italiana e il Giappone si qualifica per le semifinali dove incontrerà la
Francia di Napoleon e Le Blanc. E’ strabiliante come questi ragazzi venuti
dal Sol Levante siano riusciti a battere le squadre più titolate del
mondiale. Sicuramente alcuni di loro li vedremo giocare in Europa nei club
maggiori. Adesso l’attesa è tutta per il regista della nazionale
nipponica: Oliver Hutton. Il campione giapponese reduce da un infortunio sta
completando la terapia riabilitativa in Brasile dove si è trasferito tre
anni fa. Cosa ne pensi Jacques. - chiese il commentatore al giornalista
seduto al suo fianco, con il quale aveva commentato la diretta della partita
Giappone-Italia.
- Ho letto alcuni articoli di un’importante rivista
brasiliana circa Oliver Hutton. Pare che fin dall’inizio si sia sottoposto
a durissimi allenamenti per raggiungere il livello della sua squadra.
Nonostante sia entrato in squadra come riserva, non ha impiegato molto per
diventare titolare. Si era già messo in vista nei campionati giapponesi e
nel mondiale under 16. Sembra che adesso sia migliorato a tal punto che
grosse società europee stiano cercando di ingaggiarlo in vista dei prossimi
campionati. Allo stato attuale è il giocatore più quotato. Dal Brasile
hanno dichiarato che dovrebbe arrivare a giorni per prendere parte alla
semifinale con la Germania. -
- Allora staremo a vedere se riuscirà ad esser presente
alla prossima partita. Fino ad ora la squadra se l’è cavata ma il
prossimo impegno sa tanto di finale. Il Kaiser ha dichiarato a tutti i
giornali che vuole trovare Oliver Hutton in finale, sicuro già di battere
il Brasile di Santana e Pepe. -
- C’è sempre stata una certa rivalità tra i due
capitani. Inoltre il Giappone ha in porta Benjamin Price che in passato ha
militato nelle file dell’Amburgo proprio insieme al Kaiser. Tra l’altro
sembra che il procuratore di Price stia firmando un contratto che legherà
il portiere al Werder Brema per i prossimi quattro anni. -
- Allora concludiamo facendo i migliori auguri a questi
ragazzi che stanno affrontando degnamente il campionato suscitando l’interesse
di molti appassionati. - disse il cronista chiudendo il collegamento con la
TV.
Quella sera la squadra al completo rivide la registrazione
della partita trasmessa in diretta da Canal Plus. Più volte il mister fermò
la registrazione per far notare ai ragazzi alcune carenze sia in fase di
attacco sia di difesa. Quando la partita terminò e ascoltarono i commenti dei
cronisti, Mark si alzò in maniera nervosa rovesciando la sedia.
- Mister può dire a Hutton di restare in Brasile. Qui
non abbiamo bisogno di lui. Non capisco perché sia stato convocato. Non ha
diritto a giocare con noi visto che si trova dall’altra parte del mondo. -
- Mark non capisco il tuo ragionamento. Holly potrà
esserci soltanto di aiuto. Oppure temi che ti lasci in panchina visto che
non riesci a fare squadra con nessuno? - sentenziò in maniera autoritaria.
- La squadra ha bisogno di me, senza i miei goal non
saremmo arrivati neppure ai sedicesimi di finale! - urlò adirato per quanto
aveva appena detto il mister.
- Siete in ventidue e sono solo io a decidere chi deve
stare in campo e chi in panchina. Mentre guardavamo la partita ti ho fatto
notare come tu rifiuti di fare assist ai tuoi compagni o mandarli a rete.
Non sei l’unico attaccante Mark. Se non avessi avuto il supporto di
Julian, oggi non avresti segnato. E quando ti sei messo a rincorrere per
tutto il campo Gentile l’hai atterrato in area di rigore come un
principiante, procurando un rigore a favore dell’Italia. Siamo stati
fortunati che Benji ha intuito dove stava per calciare, altrimenti avremmo
concluso la partita ai tempi supplementari anche oggi. La tua mancanza di
integrazione all’interno del gruppo e il tuo individualismo si denotano di
partita in partita. So benissimo che è un lato del tuo carattere: sei tu
che devi adeguarti ai tuoi compagni. Non gli altri. Potete andare. -
concluse l’allenatore congedando i giocatori e le manager. Lo sguardo di
Mark si fermò su Patty. Aveva ascoltato tutta la conversazione senza
proferire alcuna parola. Gli occhi della ragazza sembravano ardere. Guardò
il capitano della Toho con aria di sfida.
- Quando il tuo amichetto tornerà, stai pur certa che
farò di tutto perché rimanga in panchina. - le disse passandole accanto e
sfiorandole il braccio.
- Holly ha sempre avuto il massimo rispetto per i suoi
compagni e per i suoi avversari. Tu compreso. Non penso che meriti tanta
ostilità da parte tua. Stai dimostrando di essere un giocatore incompleto,
Mark. Il suo unico desiderio è che la squadra vinca, con o senza di lui. Tu
al contrario, vuoi vincere solo per te stesso, non hai la minima idea di
cosa significhi stare bene insieme agli altri.
- Non so cosa farmene degli altri. -
- Questo è evidente. Tu giochi per sfogare le tue ansie
non per il piacere di stare con gli altri. - rispose freddamente. Mark stava
parlando male di Holly e questo la feriva. Non poteva permettere che la sua
arroganza avesse la meglio.
- Se sei così brava a psicanalizzare le persone come mai
hai lasciato che il tuo amichetto partisse abbandonandoti in Giappone? -.
Patty era spiazzata. Non si aspettava una simile domanda proprio da Mark.
- Ritengo che questi non siano affari tuoi. Il rapporto
che c’è tra me ed Holly è unicamente nostro e nessuno, tanto meno tu,
Mark Lenders devi giudicarci. Sono stata chiara? -
- Ah, ah, rapporto! Quello in Brasile si starà sbattendo
le migliori ragazze e tu che gli muori ancora dietro. Come sei ingenua. Che
peccato che una ragazza così carina si sia innamorata di uno che non pensa
proprio. -
- Cosa vuoi da me, Mark? Lasciami in pace. Ti ripeto che
non è affar tuo il rapporto che c’è tra me e Holly. Se hai bisogno di
sfogare i tuoi istinti sessuali trovati un’altra. - concluse guardandolo
dritto negli occhi. Il sorriso del ragazzo aveva qualcosa di meschino. Aveva
timore di lui ma non voleva che se ne accorgesse.
- Vieni qua. Io potrei consolarti. - disse avvicinandosi
sempre di più a lei. Patty indietreggiò e si ritrovò appiattita contro il
muro. Cosa doveva fare? Gridare? Se l’avesse fatto e qualcuno avesse
scoperto quello che stava succedendo, Mark sarebbe stato messo fuori dalla
squadra e il Giappone sicuramente non avrebbe passato il turno. Doveva
vedere Holly e lui sarebbe arrivato solo per la finale!
- Smettila Mark. -
- Ti faccio paura, vero? Perché, se non la smetto cosa
farai? Urlerai? Brava, così mi mettono fuori squadra e il Giappone perderà
la semifinale. E’ questo che vuoi? -. Sentiva il suo fiato sul collo.
Erano così vicini che poteva sentire il suo respiro.
- Non accetto le tue provocazioni! - esclamò duramente
slanciando il suo ginocchio tra le gambe del giocatore. Il volto di Mark
divenne una maschera di dolore. Si allontanò dalla ragazza piegandosi in
due. Lo sguardo di Patty era così carico di risentimento che avrebbe ferito
chiunque. Patty chiuse la mano destra in un pugno che caricò di tutto il
suo astio e sdegno. Senza pensarci due volte colpì Mark direttamente all’occhio.
Il ragazzo gemette per il dolore.
- Sei impazzita! - urlò coprendosi l’occhio.
- Così la prossima volta ti fai passare i tuoi istinti
animaleschi. Volevi provocarmi? Ci sei riuscito. Stammi lontano Mark
Lenders. Prova ad avvicinarti un’altra volta e la pagherai amaramente. -
gli disse poi puntandolo con un dito. Si voltò e lo lasciò a leccarsi le
ferite come un cane bastonato.
- Ti è andata bene Lenders. La prossima volta oltre a
lei, la lezione te la do io. Ritienilo un avvertimento. Non ti avvicinare
più a Patty. - gli disse Benji Price. Aveva assistito in silenzio a tutta
la scena. Era tornato nella sala TV per prendere il berretto che aveva
dimenticato sulla sedia.
- Ma cos’è, siete diventati tutti difensori della
giustizia? -
- Lei è la migliore amica di Holly. Tu non sai quale
tipo di rapporto li unisce e non sei tenuto a saperlo. Chiaro! Holly ha
chiesto a tutti noi di aver cura di Patty, quindi guai a te se ti vedo
ronzarle intorno. - gli intimò afferrando il berretto e uscendo dalla
stanza.
Patty salì nella sua stanza, e ancora tremante per la brutta
avventura appena conclusasi si rifugiò sotto la doccia sperando che l’acqua
potesse lavare quella sensazione di inquietudine che le era rimasta. Mark si era
comportato in maniera inqualificabile. Certo non avrebbe potuto prendere di mira
Amy e Jenny visto che stavano costantemente appiccicate ai rispettivi compagni.
Si sentiva terribilmente sola e frustrata. Se solo Holly fosse stato lì, tutto
quel che era appena accaduto non sarebbe successo.
- Holly, quando arrivi? Non ce la faccio più. Devo
parlarti! Mi sembra di impazzire senza di te. Ho bisogno di te, mi manchi da
morire. Mi basterebbe solo vederti, sentire la tua voce, ti prego amore mio
fai presto! - disse scivolando lentamente lungo il muro della doccia.
Scoppiò in un pianto dirotto mentre l’acqua continuava a scendere su di
lei mischiandosi. Erano le lacrime che più volte aveva soffocato, quella
malinconia e disperazione represse in fondo al suo cuore in attesa che i
sentimenti più belli potessero tornare a vivere.
La semifinale. Giappone - Francia
Le squadre scesero in campo al completo. Patty non staccava
gli occhi da Mark Lenders. Suo occhio era ancora gonfio per il pugno che le
aveva mollato Tutti si erano chiesti come se l’era procurato e Mark aveva
detto semplicemente che aveva sbattuto contro un palo.
Nessuno gli aveva creduto ma lui non avrebbe raccontato in
giro che era il risultato di una colluttazione con una dolce signorina.
Dacché c’era stato l’incidente, aveva cercato di
evitarlo per non doversi scontrare nuovamente con lui e per cercare di
dimenticare quelle sensazioni che aveva provato a causa di un suo comportamento
insano.
- Non ti preoccupare Patty. Non si avvicinerà più. - le
disse Benji, tenuto al riposo dal mister in vista di un’eventuale finale.
La manager si girò verso il portiere. Come lo sapeva? Erano soli quel
giorno.
- Tu….-. Benji assentì abbassandosi ancora di più la
visiera sugli occhi. La ragazza era arrossita. Chissà cos’aveva pensato
il portiere di lei. Erano distanti dal restanti giocatori. Patty chinò il
capo mortificata. Probabilmente il portiere ne avrebbe parlato con Holly, a
meno che non l’avesse già fatto dato che si sentivano telefonicamente e
si scrivevano.
- Non lo sa, non ne ho parlato con Holly. - le disse
cercando di tranquillizzarla. Sembrava leggerle nella mente. - Mi sono
trovato per caso ed ho assistito a tutta la scena. Lo so che non è colpa
tua e che non hai fatto nulla per provocarlo. Mark è stato uno stupido e tu
gli hai dato davvero una bella lezione. Sono sicuro che non si avvicinerà
più a te. -
- Mi dispiace, Benji. -
- E per cosa? Non fartene una colpa, non ne hai il
motivo. Non aver timore, non ne parlerò con Holly. Se vorrai, sarai tu a
dirglielo. -
- Non capisco da cosa nasca il suo risentimento nei
confronti di Holly. -
- E’ semplice. Holly in una partita può essere davvero
indispensabile. Lui no. Holly è un ottimo capitano, uno che fa gruppo e che
è seguito dai compagni. Lui no. Gli unici di cui si fida sono Ed e Danny.
In tanti anni che lo conosco non è mai cambiato. E poi, penso che sia
invidioso del rapporto che hai con Holly. Tu sei sempre stata accanto al
nostro capitano, dacché ti conosco vi ho sempre visti insieme Come me, l’hanno
notato in molti e questo non ha suscitato poche gelosie. Pensi davvero che a
ognuno di noi non farebbe piacere avere qualcuno accanto, qualcuno di
speciale come te? -
- Benji, io….ti ringrazio. - gli disse.
- Non lo dico per consolarti. Abbiamo sempre preso in
giro Holly per il rapporto che aveva con te. Per il fatto che ha sempre
fatto finta di non accorgersi di te come qualcosa di più della sua manager
o della sua migliore amica. Ti ho osservata spesso durante questo ritiro.
Talvolta sembra quasi che ti estranei dal mondo, sei sognante. E immagino a
cosa pensi. Sei così legata al nostro capitano che lo difenderesti a costo
della tua stessa vita. -
- Ti ringrazio per le parole che mi hai detto. Sono
lusingata di avere un amico come te. -
- Non temere Patty, Holly sa quanto gli vuoi bene e anche
se non l’ammette, sono sicuro che ricambia i tuoi sentimenti. Ha solo
bisogno di essere incoraggiato. Prima o poi ce la farà. - concluse
sorridendole. Lei non rispose. Si erano già detti molte cose. L’avventura
con Mark sarebbe stato il loro piccolo segreto e solo lei avrebbe avuto il
diritto di parlarne a Holly, se l’avesse ritenuto necessario. Si unirono
ai compagni e insieme guardarono la partita.
Il primo tempo terminò zero a zero. La Francia era molto
forte e il Giappone aveva dovuto ricorrere alla massima concentrazione e alla
sua miglior difesa per contrapporsi a Pierre Le Blanc e Napoleon. I loro
attacchi erano sempre più cruenti e Ed Warner aveva dato prova delle sue doti
di ottimo saltatore per parare i numerosi tiri inflitti dall’attacco francese.
- Ragazzi, cosa vi succede? Tom, Julian, Mark! Possibile
che non riusciate a concretizzare nessuna azione da goal? Mark, quand’eri
vicino la porta a dieci minuti dal termine avresti dovuto passare quel
pallone a Tom. Si era smarcato e se tu avessi crossato, con molta
probabilità avrebbe segnato! Mi pareva di esser stato chiaro. Niente
individualismi. Ed come stai? Ho visto che hai sbattuto la spalla contro il
palo! -
- Non si preoccupi mister, ce la faccio a continuare. -
- Okay, ma se senti di non farcela chiedi il cambio.
Davanti a noi c’è la finale. -
- Sì mister. Bene ragazzi. Cerchiamo di mettere in atto
gli schemi offensivi provati in allenamento. Mark se devi fare l’individualista,
almeno segna il goal della vittoria. - ordinò l’allenatore.
- Ragazzi, siamo qui per vincere, non per partecipare. Se
vinciamo questa partita, andremo in finale, quindi mettiamocela tutta! -
esclamò Julian cercando di incoraggiare i suoi compagni.
La sgridata del mister pareva aver ritemprato i giocatori
nipponici che partirono subito all’attacco e fallirono due goal prima con
Lenders e poi con Becker su suggerimento di Julian Ross. La difesa sembrava
essersi ripresa e Denver e Huma parevan aver eretto un muro invalicabile perfino
al bravissimo Pierre Le Blanc.
- E’ una partita entusiasmante. Il Giappone sembra
essere rinato, risvegliato dopo i quindici minuti di pausa. Ecco Philip
Callaghan che si impossessa del pallone. Quest’anno molto probabilmente lo
vedremo militare nelle file del Manchester United. Passaggio a Ross. Il
regista giapponese dribbla due avversari e crossa al centro per Becker. Il
giovane neo acquisto del Paris Saint Germani è pronto per il tiro ma ecco
sopraggiungere alla sua destra Mark Lenders. Tom Becker gli passa la palla
con un elegante colpo di tacco, Lenders tira ed è goooooooooooooaaaaaaal.
- Il Giappone ha segnato. Il pubblico sembra in
visibilio. Un’azione molto bella che a nostro parere premia il cammino
della squadra del sol levante fino ad ora. Mancano solo quindici minuti dal
termine. Ce la farà il Giappone a conservare questo risultato? La Francia
sembra stranita. Sicuramente questo goal era quanto mai inatteso visti i
loro numerosi tiri alla porta difesa da Warner. Ma ecco che i francesi
tornano all’attacco. Napoleon si è ripreso il pallone di forza dai piedi
di Bob Denver e adesso corre verso la metà campo nipponica. Si sta
preparando al tiro, ecco che lancia la palla direttamente in porta. Warner
si getta verso il pallone. Sembra imparabile. Ma ce la fa. Respinge la sfera
con i pugni.
- Attenzione. Pierre Le Blanc si getta contro il pallone
ancora carico di effetto ed ecco che tira in porta. Sarà sicuramente goal.
Ma no. Il Giappone difende la propria porta con Huma e Denver che respingono
il pallone di petto. La palla adesso è sui piedi di Callaghan che sfonda la
metà campo francese e scende verso l’aerea di rigore. Al suo fianco ci
sono Ross, Lenders e Becker. Callaghan passa a Ross. E’ da solo davanti
alla porta ma non tira. Passaggio per Tom Becker che sfodera il suo miglior
destro. Reteeeeeeeeeee! Il Giappone si porta sul due a zero. -
- Mancano soli pochi secondi alla fine. Ecco il fischio
dell’arbitro. E’ finita. Il Giappone va in finale dove incontrerà la
vincente tra Brasile e Germania. Strepitoso. Questi ragazzi che avevamo
avuto modo di vedere già ai mondiali under 16 sembrano davvero catapultati
verso un avvenire più brillante. -.
Dopo i rituali saluti con la terna arbitrale e con i
giocatori avversari, la squadra al completo scese in campo e salutò il pubblico
con un giro di campo. La cenerentola del calcio internazionale era oramai
entrata nella simpatia del pubblico che non sembrava avvertire per nulla l’uscita
della squadra di casa.
Quella sera la squadra festeggiò la vittoria con un’uscita
di gruppo nel centro della romanticissima Parigi. Julian e Amy, Philip e Jenny
passeggiavano abbracciati per le vie della capitale accompagnati dalle risa e
dalle battute della squadra. Patty li guardava contenti.
- Oggi mi sembri più rilassata! - esclamò Tom
avvicinandosi all’amica.
- Sono molto contenta per la vittoria. Il mister è stato
contattato da Roberto Sedinho. Holly sta per partire e dovrebbe raggiungerci
in tempo per la finale che si giocherà tra tre giorni. -
- Finalmente saremo di nuovo insieme! -
- Già, si ricostituirà la Golden Comby. - aggiunse con
espressione serena. Tom sorrise guardando l’amica. Il suo sentimento verso
Holly era così chiaro che traspariva facilmente dalla sua espressione
serena.
- Dimenticavo. Stamattina alla reception mi hanno detto
che c’era della posta per te. - le disse non togliendole gli occhi di
dosso. Era proprio bella. Indossava una gonna bianca di lino lunga fino alla
caviglia ed una maglia di cotone a manica lunga di un blu scurissimo. I
capelli profumati danzavano sulle spalle ad ogni suo movimento.
- Sì, grazie. Era una busta di mio padre. Le fotografie
che ha scattato della nuova casa e il biglietto aereo per il ritorno. -
- Allora sai già quando parti? -. Lei annuì.
- E’ un biglietto open: ho tempo fino a lunedì per
partire. Mi basterà contattare la compagnia di volo che l’ha emesso e
prenotare il mio posto sul primo volo disponibile. -
- Accidenti. Dopo tanti anni trascorsi insieme, adesso le
nostre strade si dividono. -. Il volto della ragazza si rabbuiò. Avrebbe
detto addio anche al suo capitano.
- Ebbene sì. Mi mancherà tutto. La quotidianità che
avevo quando stavo in Giappone. Andare agli allenamenti, incontrare voi
ragazzi, le partite del campionato. Le mie migliori amiche. Perfino quella
piccola peste di Susy mi mancherà! -
- Il tempo guarisce le ferite. Ti riprenderai da questo
cambiamento. -
- Lo spero. Vieni, raggiungiamo gli altri. - gli disse
aumentando il passo e cercando di cambiare il discorso.
Non le importava di partire. A lei sarebbe bastato vedere Holly anche solo
per un minuto. |
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Capitolo 6 *** Un incontro lungo un istante ***
CAPITOLO 6
Un incontro lungo un attimo
Mancava solo un giorno alla finale. Il Giappone avrebbe
affrontato la Germania del grande Karl Heinz Schneider in una partita che si
prevedeva molto combattuta. Il Kaiser avrebbe sicuramente cercato la rivincita
del campionato under 16 in cui un goal di Holly fece vincere la finale al
Giappone.
E a conferma del suo desiderio di battere il numero dieci
della squadra nipponica, dopo la semifinale con il Brasile aveva rilasciato un’intervista
in cui lanciava la sfida a Hutton.
La Germania poteva contare su ottimi giocatori e il Kaiser si
fidava soprattutto del suo braccio destro Strauss e del portiere Bauer, ultimo
uomo che Benji Price conosceva molto bene.
- Avete letto i giornali, ragazze? - chiese Amy seduta
sul letto di Patty.
- Perché, cosa dicono? - chiese Jenny guardando fuori
dalla finestra.
- Schneider ha lanciato una sfida a Holly. Lo vuole in
campo domani. Ha detto che desidera batterlo con tutto se stesso e che
sicuramente la sua squadra si prenderà la rivincita. - disse riassumendo in
poche parole l’articolo apparso su un quotidiano francese.
- Speriamo solo che arrivi! - esclamò Patty indaffarata
a preparare le valigie.
- Scusa Patty, ma perché stai preparando le valigie
proprio ora? - le chiese Jenny.
- Perché mi sento stranamente irrequieta ed ho bisogno
di muovermi. Visto che piove, non possiamo uscire. I ragazzi sono agli
allenamenti e devo assolutamente occupare il mio tempo. E poi, domani dopo
la partita devo parlare con Holly. Non so se avrò il tempo per preparare il
bagaglio! -
- Perché, intendi trascorrere tutto il tempo con il tuo
amoruccio? - insinuò Amy accendendo le gote della prima manager della
squadra nipponica.
- Amy! Prima di arrivare a certe cose, vorrei parlarci
con Holly, non pensi? -
- Ma va! Secondo me dovresti usare un’altra strategia.
L’ho letto in un libro. L’uomo di cui è innamorata finalmente torna
dopo un lungo viaggio. Non era mai riuscita a confessargli i suoi sentimenti
ma questa volta non vuole farsi sfuggire l’occasione. Così, quando lui
torna, con una scusa lo trascina nella sua stanza dove si butta tra le sue
braccia e lo bacia appassionatamente. Di fronte a tanta irruenza e passione
lui risponde con desiderio: la spoglia e la poggia sul morbido baldacchino e
passano un’intensa notte d’amore! -. Patty e Jenny erano senza parole.
Da quando la loro amica era divenuta così disinibita?
- Amy! Devo forse constatare che dopo l’operazione al
cuore Julian sia rinato sotto tutti i punti di vista? - chiese Jenny
imbarazzata dal discorso dell’amica.
- Sicuramente anche in quello che insinui. Non ci vedo
nulla di male a parlare di certe cose. Cercare l’intimità in una coppia
è fondamentale per un rapporto duraturo. -
- L’hai detto. In una coppia. Io e Holly non siamo una
coppia. Siamo solo amici e trascinarlo a letto per dirgli “ti amo” mi
sembra eccessivo. -
- Ma scusa, non hai asserito tu che al telefono ti ha
detto che ti vuole bene. -
- Sì Amy, ma non mi ha mai detto che mi ama. C’è una
bella differenza. Io so per certo di amarlo, ma non ho la minima idea di
quello che provi lui realmente per me. -
- Sai Amy, penso che Patty abbia ragione! Non può avere
un comportamento tanto irruente proprio ora che si rivedono dopo tre anni. -
- Accidenti! Come si fa ad amare una persona a distanza
dopo tanti anni? -
- Bisogna provarlo! - esclamarono Patty e Jenny all’unisono.
Risero per il coro.
- Quando mi sono allontanata da Philip ho imparato ad
amarlo con maggiore intensità anche perché sapevo che ero corrisposta. -
- Io penso di essermi realmente innamorata di Holly il
giorno in cui è partito per il Brasile. Mi prese tra le braccia e mi disse
che gli sarei mancata. Mi fece promettere di aspettarlo, che sarebbe tornato
da calciatore professionista. Solo che quando tornerà in Giappone non mi
troverà! - aggiunse in tono sommesso. Le amiche l’abbracciarono.
- Ci mancherai Patty. -
- Vi scriverò sempre. Siete le migliori amiche che si
possano desiderare. - disse loro con gli occhi lucidi. - Ecco, per voi! -
disse loro porgendo due pacchettini che aveva poggiato sul letto. - Sono dei
portafortuna che ho fatto con le mie mani. E su questi foglietti c’è
scritto il mio nuovo indirizzo, così potrete scrivermi non appena tornate
in Giappone.
Le tre amiche continuarono a parlare ricordando i bei momenti
trascorsi insieme soprattutto durante i raduni della nazionale.
Quel pomeriggio trascorse in fretta e quando finalmente le
ragazze si riunirono ai giocatori, era ora di cena.
- Mister, ma Holly non doveva essere già arrivato. -
- C’è stato un contrattempo. -. La voce dell’allenatore
risuonò gelida in tutto il ristorante. Patty impallidì. La sua ultima
occasione di vedere Holly stava lentamente svanendo.
- Pare che ci sia stato uno sciopero dei voli in Brasile
e che Holly non abbia potuto prendere l’aereo. -
- Avete visto? E’ il destino! - sentenziò Mark
accennando un sorriso di scherno. Amy cercò la mano di Patty e la strinse.
Tremava come una foglia. Sapeva bene a cosa stava pensando.
- Se riuscirà ad imbarcarsi con il primo volo utile,
dovrebbe arrivare qui domani mezzogiorno. - aggiunse l’allenatore cercando
di sedare gli animi.
- Ma la partita inizia alle 14:00. -
- Lo so bene Paul. Sembra che questa volta il destino gli
sia avverso. Prima l’infortunio e adesso non riesce a raggiungerci. -
- Non capisco di cosa vi preoccupate. Fino ad ora abbiamo
vinto. Domani spiazzeremo Schneider e compagni e saliremo sul gradino più
alto del podio. - aggiunse Lenders. Benji lo fulminò con uno sguardo.
- Non preoccuparti. Vedrai che arriverà in tempo! -
sussurrò Jenny all’orecchio dell’amica.
- Speriamo. - rispose con voce flebile. Un nodo in gola
le impediva di parlare. Si sentì assalire da una disperata voglia di
correre via. Voleva stare sola per pensare e forse anche piangere. Dove
mantenere un certo contegno e reggere la situazione. Non poteva dimostrarsi
una ragazzina debole e con il cuore spezzato.
- Ragazzi, adesso non ci pensiamo. Speriamo solo che
arrivi. Adesso dormiamoci su perché domani sarà una giornata molto
intensa. - disse Julian cercando di porre fine all’argomento prima che
qualcuno lo utilizzasse per colpire Holly alle spalle.
Patty non chiuse occhio tutta la notte. I suoi bagagli erano
pronti nell’armadio. Di lì a poche ore avrebbe dovuto salutare tutti. L’angoscia
che Holly non arrivasse le attanagliava lo stomaco. Era quello il pensiero più
ricorrente. Non avere l’opportunità di spiegargli perché non avrebbe potuto
mantenere la sua promessa, o di rivelargli finalmente quelli che erano i suoi
sentimenti.
Aeroporto internazionale di San Paolo, Brasile.
- Holly, se non la smetti di fare avanti e indietro per
la sala d’attesa, scaverai una trincea. -
- Sai che non riesco a stare fermo. - rispose a Pepe.
- Maledizione. Proprio adesso doveva esserci lo sciopero.
-
- Io non ti capisco. Ma perché ti dai pena per una
partita del genere. In fondo i tuoi compagni ce l’hanno fatta da soli. E
poi, mio caro, Schneider e compagni sono fortissimi. Ci hanno piegati 3 a 0.
- disse Carlos Munoz, assistente di Roberto.
- Io devo andare a Parigi, assolutamente. Costi quel che
costi. -
- Lo vedo che vuoi andare in Francia. Dì un po’, ma
non saranno mica vere quelle voci che ti vogliono in Francia per amore? -
- Cosa diavolo stai dicendo? - gli chiese con volto
adirato. Holly odiava che qualcuno parlasse della sua vita privata.
- Così, i tuoi compagni parlavano di una certa ragazza
che probabilmente si trova a Parigi. -
- Lasciamo perdere. Non ho voglia di parlarne. - disse
sedendosi su una poltrona vicina la vetrata che si affacciava sulle piste di
rullaggio.
- Patty! E’ vero, è per te che vengo a Parigi. Per
dirti che firmerò un contratto con una squadra spagnola e che non tornerò
molto presto in Giappone. Ti chiederò di venire con me in Spagna, e se tu
non vorrai, ti lascerò andare. Perdonami se non te ne ho parlato prima ma
volevo farlo di persona. Desidero tanto vederti, stringerti ancora tra le
mie braccia. - pensò passandosi le mani tra i capelli. Era visibilmente
stanco. Erano circa quindici ore che stazionava in aeroporto. Non aveva
voluto andare a casa col timore che all’improvviso il volo fosse partito
lasciandolo in Brasile.
- Attenzione prego. I passeggeri del volo Air France 797
in partenza dall’aeroporto internazionale di San Paolo diretto a Parigi,
Charles de Gaulle, sono pregati di effettuare il check in immediato dei
bagagli e di raggiungere il gate 18 per l’imbarco. Ripeto, gate 18 per
imbarco immediato. -
Holly ebbe un fremito. Finalmente. Il suo volo. Afferrò le
due valigie che aveva con se e guardò Carlos. Sembrava rinato.
- Beh, finalmente hanno chiamato il volo. Speriamo che
questa volta parta. Holly, che dire. E’ stato bello averti con noi. Sei un
ragazzo dalle mille risorse e con un grande talento. Il tuo estro e la tua
tecnica non hanno rivali. Va in Francia e batti Schneider. Fallo anche per
il Brasile. - gli disse accogliendolo tra le braccia e salutandolo
affettuosamente.
- Grazie mille Carlos. Mi mancherete tutti. Terrò a
mente tutti i vostri insegnamenti. E’ stato un periodo fantastico. - gli
disse stringendogli la mano e guardandolo dritto negli occhi. Si girò e
felice come non mai corse verso il check in dei voli internazionali. Si
accodò alla fila di persone che sostavano davanti al bancone e
pazientemente attese il suo turno. La hostess di terra gli chiese di
appoggiare i bagagli sul nastro trasportatore al suo lato e dopo aver emesso
i tagliandi adesivi con la destinazione, li inviò direttamente ai carrelli
elevatori che gli avrebbero caricati sull’aereo.
- Prego signore, questo è il tagliando per i suoi
bagagli e questo per il suo biglietto. Può raggiungere il gate 18 per l’imbarco.
Buon viaggio. - gli disse la signorina in tono molto cordiale. Holly la
ringraziò e rasserenato corse verso il cancello di imbarco.
Il corridoio mobile era già stato sistemato e i passeggeri
che per primi avevano effettuato il check in, lo stavano attraversando salendo
direttamente sul boeing che li avrebbe portati in Europa.
Holly sospirò, si guardò intorno. Non c’era nessuno.
Aveva salutato tutti prima che partissero per l’avventura francese, compreso
Roberto. Non aveva voluto che fosse proprio lui ad accompagnarlo e gli aveva
detto che si sarebbero rivisti in Spagna.
Poco dopo che tutti i passeggeri si furono sistemati ed
allacciati la cintura di sicurezza, l’aereo cominciò a rullare risalendo la
pista da dove sarebbe partito. Fu un’operazione alquanto rapida: man mano che
procedeva lungo l’asfalto illuminato dalle luci di posizione e di
segnalazione, acquistava sempre più velocità fino a quando il comandante non
tirò la cloche e il boeing decollò.
- Addio Brasile. - disse Holly sorridente e con il cuore
gonfio di felicità per il suo ritorno a casa.
Parigi.
Il mister aveva radunato tutta la squadra, le manager e lo
staff nella sala riunioni dell’albergo. Erano le undici. Subito dopo avrebbero
pranzato e alle 13:00 l’autobus li avrebbe condotti al Parco dei Principi di
Parigi dove avrebbero disputato la finale del campionato mondiale under 19
contro la Germania.
- Ragazzi, collaboratori, vi ho riuniti qui perché
desidero ringraziarvi. Avete disputato tutti un ottimo mondiale. Se siamo
arrivati fino a questo punto lo dobbiamo solo alla collaborazione di tutti,
nessuno escluso. La formazione che scenderà in campo sarà la stessa di
ieri, ad eccezione del portiere. Price tu sarai tra i pali al posto di
Warner che si è lievemente infortunato nella partita con la Francia.
Stamattina è arrivato un fax dal Brasile con il quale mi hanno confermato
la partenza di Holly. Se tutto va bene, dovrebbe atterrare con l’aereo
delle 13:30.
- Ma non ce la farà ad arrivare per il primo tempo. -
- Lo so Ted. Nella lista dei giocatori che ho divulgato e
presentato alla federazione internazionale ho inserito il suo nome tra i
giocatori che partiranno dalla panchina. Voglio che giochiate con il massimo
impegno, che prestiate la massima attenzione a tutti i movimenti dei
giocatori tedeschi. -
- Dovrete marcare stretto Schneider. Non dovrà avere il
tempo di respirare. -
- Perché, hai paura di non riuscire a parare i suoi
goal? - chiese Mark stuzzicando Benji.
- Penso di conoscere meglio di chiunque Schneider. Lui
gioca solo per vincere ed usa ogni maniera per farlo. E’ velocissimo e
quando meno te lo aspetti è davanti alla porta. Sono in grado di parare i
suoi tiri. Forse non tutti. E proprio per questo ho bisogno di un’ottima
difesa. Il problema è tuo Lenders. Ti sarà molto difficile superare la
porta di Bauer. -
- Smettila. Sarà un gioco da ragazzi. - affermò sicuro
di se. Benji sorrise.
- Spero che ci sia Holly perché per vincere sarà
indispensabile. -. Si guardarono con aria di sfida. Non si erano mai
sopportati. Entrambi avevano dei caratteri molto irascibili e impulsivi e l’incidente
di Patty aveva inasprito il loro rapporto.
- Non essere così sicuro Mark. La botta che hai preso
alla gamba nello scontro con Napoleon non è la sciocchezza che ci vuoi far
credere. - aggiunse poi indicando la gamba dell’attaccante nipponico.
Lenders era senza parole. Sperava che nessuno se ne fosse accorto. Adesso lo
sapevano tutti.
- Io sono in perfette condizioni e segnerò anche oggi! -
esclamò alzandosi.
- Mettiti seduto Lenders, non ho ancora finito. - lo
ammonì l’allenatore. Patty, seduta tra Tom e Benji guardò il portiere
sorridendogli. Era stata lei a dire a Benji dell’infortunio di Mark.
In questo, Mark e Holly erano uguali. Avrebbero nascosto a
chiunque il loro malessere pur di essere in campo. E proprio frequentando Holly,
lei adesso riusciva a comprendere quando un giocatore si era procurato un
infortunio più o meno serio.
- Ragazzi, desidero salutare adesso alcuni di voi che
subito dopo il rientro in Giappone si trasferiranno qui in Europa. Desidero
fare i miei più vivi complimenti a Philip Callaghan che sta firmando un
contratto con il Machester United e a Tom Becker che invece resterà qui a
Parigi come neo acquisto del Paris Saint Germain. -. Ci fu un applauso molto
caloroso per i due giocatori che ben presto avrebbero calcato la scena
internazionale.
- Inoltre, desidero salutare affettuosamente la nostra
prima manager che si trasferirà con la sua famiglia a Barcellona in Spagna.
- disse sorridendo alla ragazza. Prima di riunirsi al ristorante dell’albergo,
tutti i ragazzi, in particolare gli ex calciatori della New Team andarono a
salutare molto affettuosamente la loro manager, tutti ad eccezione di Mark
Lenders che ancora risentiva dei colpi inflittigli dalla ragazza.
- Mark. - lo chiamò raggiungendolo subito dopo pranzo.
Il ragazzo si girò e fu davvero sorpreso di vedere proprio lei.
- Cosa vuoi da me? -
- Vorrei fasciarti la gamba. -
- Non sono affari tuoi. - le rispose con tono acido.
- Sicuramente non vincerai il premio simpatia. Non fare
tanto lo stupido. Un unguento a base di erbe e un’ottima fasciatura ti
faranno stare meglio. Ne sono certa. - continuò cercando di dimostrarsi
cordiali con l’attaccante.
- Perché fai questo per me? Nonostante quello che ti ho
fatto! -
- Perché sono certa che si sia trattato solo di un
incidente e che non mi avresti fatto nulla. Probabilmente hai reagito così
solo per spaventarmi, per ferire Holly, ma sicuramente non perché volevi
farmi del male. -. Lo sguardo di Patty era deciso e sicuro di se. Era vero.
Mark si era comportato così unicamente per ferire Oliver Hutton.
- Okay, fammi pure questa fasciatura ma sbrigati perché
dobbiamo andare. -. Lei annuì col capo e gli disse di sedersi alla
poltrona. Aveva con se l’occorrente. Era sicura che avrebbe accettato di
farsi fare la fasciatura.
Cominciò a massaggiargli il polpaccio. Poi spalmò sulla
pelle un unguento gelatinoso molto freddo. Le sue mani scivolavano su e giù
infondendo un calore benefico alla pelle. Quand’ebbe terminato, gli fasciò il
polpaccio con della garza sterile che fermò con dei cerotti. Gli disse di
risistemarsi. Aveva ragione Patty. Si sentiva già meglio.
- Non è un medicinale, quindi non ti farà guarire. Ti
darà solo sollievo. Adesso vai. Vi raggiungo tra un attimo. - gli disse
andando verso la porta.
- Patty! - esclamò Mark. Lei si girò e il ragazzo
comprese perché Holly non poteva farne a meno. I suoi lineamenti chiari
incorniciavano un ovale perfetto. I capelli scurissimi e lucidi sembravano
di seta. Era proprio bella. Indossava un abito rosso modello sottoveste
lungo fino alle ginocchia e con le spalline strette. Sulle spalle aveva un
cardigan corto di cotone bianco come la neve e ai piedi dei sandali alla
schiava dello stesso colore del maglione. I suoi occhi brillavano. Aveva lo
sguardo di chi finalmente avrebbe riabbracciato il suo amato.
- Ti chiedo scusa per quello che è successo l’altro
giorno. Ho perso la testa. Non volevo farti del male. Sono…sono solo
invidioso di Holly. E’ fortunato ad avere un’amica come te. - le disse
prima di congedarsi da lei. Patty era esterrefatta. Il grande Mark Lenders
che chiedeva scusa a qualcuno, e quel qualcuno era lei. Sorrise contenta di
quanto era appena accaduto e salì in fretta nella sua stanza.
Prese la borsa controllando che come sempre ci fosse tutto.
- Chissà, forse è meglio prendere lo stesso il
biglietto e il passaporto. Così non me li dimentico di sicuro. - pensò
prima di richiudersi la porta alle spalle e raggiungere il gruppo sull’autobus.
- Signori passeggeri, vi preghiamo di voler mantenere le
cinture allacciate fino al completamento dell’atterraggio e fino a che gli
appositi dispositivi luminosi non si saranno spenti. - disse la hostess. -
Il comandante vi informa che tra pochi minuti atterreremo all’aeroporto
internazionale Charles de Gaulle. Vi ringraziamo di aver scelto Air France e
vi auguriamo un piacevole soggiorno a Parigi. - concluse riponendo il
microfono al proprio posto.
Il cuore palpitava a più non posso e il sorriso era dipinto
sul suo volto. Era felice come non mai. Holly stava arrivando e entro un’ora
circa l’avrebbe finalmente rivisto.
Quando l’autobus varcò l’entrata d’accesso ai mezzi
autorizzati, ci fu un batticuore generale. Era la loro finale.
- Ci pensate ragazzi? Tra quattro anni ci saranno i
mondiali di calcio in Korea e Giappone. Giocheremo praticamente in casa, ma
da professionisti. - disse Bruce scendendo dall’autobus.
- Ehy Bruce, ma se parti dalla panchina adesso, come
pensi di arrivare titolare ai mondiali per professionisti? - gli chiese Paul
stuzzicando il compagno d’avventura.
- Vedrai. Con la mia difesa “facciale” spiazzerò
tutti. Mister per favore, mi fa giocare così dimostro a questi incompetenti
chi è il miglior difensore della nazionale? -. Tutti risero alla richiesta
di Bruce che sapeva bene di non essere indispensabile. Tuttavia giocare in
quella finale lo avrebbe reso davvero felice. Ad eccezione di Mark Lenders,
il centrocampo e l’attacco potevano contare ben quattro giocatori della
New Team: Paul Diamond, Ted Carter e Jhonny Mason sulle fasce e Tom Becker
in attacco. E in difesa troneggiavano Benji Price e Bob Denver che insieme a
Clifford Huma avevano svolto un ottimo lavoro.
Le tre manager andarono sugli spalti sistemandosi proprio
sopra la panchina nipponica. Negli spogliatoi i ragazzi avevano lasciato l’uniforme
numero dieci perfettamente piegata su una sedia. Se Holly fosse arrivato in
tempo, avrebbe potuto indossarla.
Patty continuava a muoversi sugli spalti. Non riusciva a star
seduta.
- Stai consumando la tribuna a furia di fare avanti e
indietro. Vedrai che l’aereo è perfettamente arrivato e tra un po’
sarà qui. -
- Certo, certo. Solo che non ne sarò certa fino a quando
non lo vedrò. -
Holly guardò l’orologio al suo posto. Erano le 13:40.
Aveva dormito per tutto il viaggio e adesso si sentiva pronto per giocare la
finale. Pochi istanti lo dividevano dai suoi compagni e dall’abbracciare la
ragazza di cui si era perdutamente innamorato.
- Lascerò i bagagli in aeroporto così non dovrò
perdere tempo. Maledizione. La partita inizia tra venti minuti. Non ce la
farò mai ad arrivare per il primo tempo. - pensò mentre l’aereo si
posizionava sulla pista dopo il perfetto atterraggio. Non appena i motori
furono spenti, si alzò, afferrò il suo zainetto nel quale aveva messo gli
effetti personali e corse verso l’uscita attendendo che il corridoio
mobile fosse inserito.
- Ci vuole ancora molto? - chiese impaziente alla hostess
vicino alla porta.
- Un paio di minuti e potrà scendere. Mi sembra molto
smanioso di scendere. - gli disse notando lo stato d’agitazione.
- Devo andare al Parco dei Principi il prima possibile.
-.
- Ma il calcio è così coinvolgente? - gli chiese
incuriosita dall’atteggiamento del ragazzo.
- Devo disputare la finale. Arrivederci. - le disse
correndo verso il corridoio. Afferrò il passaporto e si fiondò verso l’uscita
adibita ai passeggeri extra comunitari. Il doganiere controllò più volte
quella fotografia poi si soffermò sul nome.
- Ma lei é….-. Holly sorrise. Oramai stava diventando
sempre più popolare. Annuì all’ufficiale che gli restituì il documento.
- In bocca al lupo. - gli gridò sperando che il suo
augurio raggiungesse quel ragazzo che correva verso il recupero bagagli.
Holly guardò ancora l’orologio. Erano le 14:00. La partita stava
cominciando e lui era ancora in aeroporto. Doveva sbrigarsi per arrivare
almeno per il secondo tempo. Si girò intorno quasi in cerca di una
soluzione al suo problema.
- Ufficio bagagli smarriti! - lesse su un’insegna multi
lingue. Si diresse verso l’ufficio dove una signora si affaccendava ad
ordinare delle carte sul bancone.
- Salve, parla portoghese? - chiese alla signora sperando
che conoscesse almeno il portoghese. Non poteva certo chiederle se parlava
il giapponese!
- Certo. Posso esserle utile. - rispose togliendosi gli
occhiali.
- Vorrei un’informazione. - le chiese sfoderando il suo
miglior sorriso.
- Mi dica. -
- Se un bagaglio non viene ritirato cosa succede? -
- Alla fine della giornata tutti i bagagli non ritirati o
che risultano smarriti vengono portati in questo ufficio, registrati con dei
codici a barre e rimangono qui fino a che qualcuno non li reclama. -
- Ho capito. La ringrazio signora è stata molto gentile.
Arrivederci. - le disse correndo via. Non poteva aspettare lo scarico dei
bagagli. Sul monitor non era stato ancora indicato su quale nastro si
sarebbero resi disponibili i bagagli del volo proveniente da San Paolo.
- Passerò più tardi a ritirarli. Speriamo bene. -
pensò correndo verso l’uscita. Era talmente veloce che la gente lo
guardava spaventata. Dribblava gli ostacoli come quando era in campo. Quando
finalmente intravide l’uscita, raggiunse la postazione dei taxi e si
buttò in mezzo alla strada quando ne vide uno.
- Parco dei Principi. - disse al tassista senza
riprendere fiato.
L’uomo lo guardò dallo specchietto retrovisore. Quel
ragazzo era davvero strano. Ne delineò i tratti quasi a voler imprimere la sua
immagine in mente, neanche fosse il peggior bandito del paese.
Era alto più di un metro e settantacinque, magro, i capelli
scuri scompigliati, la carnagione abbronzata. Il fisico era atletico ed
evidentemente era uno sportivo. Il tassista imboccò la tangenziale e si diresse
verso il centro della città. Gli mormorò qualcosa in francese ma Holly non
capì. In un inglese arrangiato gli rispose che non capiva il francese. Il
tassista sembrò capire mentre il ragazzo non staccava gli occhi dall’orologio.
Il tempo passava e loro erano imbottigliati nel traffico della periferia della
capitale. Afferrò il suo zaino e prese il cellulare. L’aveva acquistato da
poco e quasi nessuno, eccetto i parenti e gli amici stretti, avevano il suo
numero. Appena lo accese trovò una chiamata. Era un numero a lui sconosciuto.
Forse qualcuno che aveva sbagliato numero. Si chiedeva cosa stesse succedendo
allo stadio a quasi mezz’ora dall’inizio della partita.
- Ecco che la Germania si fa ancora avanti con Strauss
che passa a Schneider. Il capitano della squadra tedesca sembra intenzionato
a tirare direttamente in rete. Denver e Huma gli vanno incontro. Ma
attenzione, con un abile colpo di tacco il Kaiser ripassa il pallone a
Strauss che adesso è solo davanti alla porta. Tiro di Strauss e parata di
Benji Price. Partita molto avvincente. Il Giappone sta soffrendo moltissimo.
La difesa della Germania sembra invalicabile e Lenders è marcato a uomo.
Buon lavoro dei nipponici in difesa. Stanno marcando molto bene Schneider
che non riesce a tirare. Un Price in giornata sembra non voler concedere
nulla agli avversari. - disse il cronista commentando la finale del
campionato mondiale under 19.
- Ma ecco di nuovo la Germania con Kunz che passa la
palla al proprio capitano. Ottimo controllo di Schneider che dribbla prima
Callaghan e poi Mellow giunto in suo aiuto. Ma che succede. Anche Lenders
raggiunge la propria metà campo. -
- Non ti lascio segnare Schneider! - gli intimò Mark
correndo verso di lui. Karl Heinz era già pronto al tiro.
- Togliti di mezzo Lenders. Devo segnare! - gridò
sfoderando il suo colpo più potente. La palla rimbalzò dritta sulla gamba
di Mark che urlò per il dolore. Il tiro era di una potenza inaudita. Per
effetto dello scudo posto da Lenders il pallone si innalzò. Schneider
saltò e con una splendida rovesciata tirò nuovamente in porta caricando il
pallone di un effetto molto forte. Benji si gettò proprio in direzione del
tiro ed afferrò la palla. L’effetto e la potenza del pallone erano tali
che sfuggì di mano al portiere varcando la linea di porta.
- E la Germania si porta in vantaggio a un minuto dal
termine del primo tempo. Splendido goal di Schneider in rovesciata. Nulla ha
potuto il portiere del Giappone Benji Price. -.
Alcuni giocatori si avvicinarono a Lenders ancora claudicante
per il colpo appena accusato.
- Mark ce la fai? - gli chiese Julian.
- Certamente. -. Il fischio dell’arbitro giunse
propizio e mandò le squadre negli spogliatoi.
Patty continuava a guardarsi intorno. Non arrivava. Possibile
che l’aereo fosse arrivato in ritardo?
Il Giappone perdeva uno a zero contro la Germania e Mark non
avrebbe retto sicuramente il secondo tempo. Come avrebbero fatto a ribaltare il
risultato? Il cuore le batteva così forte che pensava potesse esplodere. Non
riusciva più a controllare i suoi nervi. Amy e Jenny stavano cercando invano di
calmarla. La loro amica sembrava in preda al panico.
- Ragazzi, vi vedo sfiatati. -
- Mister, stiamo correndo come i pazzi. - disse Danny
cercando di giustificarsi.
- L’ho visto. State facendo proprio il loro gioco.
Oramai si gioca soltanto nella nostra metà campo. Così non va bene. Non è
così che potremo rimediare allo svantaggio. Mark devo sostituirti! - gli
disse fissando la gamba dolorante.
- Ce la posso fare. -
- Non se ne parla assolutamente. Hai la gamba ridotta
male. Non puoi fare altrimenti. In queste condizioni saresti solo d’impaccio
alla squadra. Patrick preparati, affiancherai Tom. Benji come va? -
- Quel tiro aveva una potenza inaudita. Neanche le gambe
di Mark sono riuscite a fermarlo! - esclamò. L’allenatore tacque.
- Avete perso la fiducia in voi stessi. Vi vedo
sconsolati. Ma insomma, cosa vi succede? Stiamo perdendo solo per una rete a
zero. Il risultato si può sempre ribaltare. Nel secondo tempo rinforzo la
difesa. Tom dovrai aiutare il centrocampo. -
- Sì mister. - rispose sperando che fosse quella la
mossa più idonea.
- Bruce tu entrerai al posto di Mellow. -
- Io…io cosa? - chiese emozionato.
- Non volevi la tua occasione? Patrick, tu durante il
secondo tempo. Andiamo. E’ orario. - disse loro spalancando la porta. I
ragazzi lo seguirono in fila. Nessuno aveva chiesto di Holly perché oramai
solo un miracolo avrebbe potuto portarlo da loro.
- Okay, mi può lasciare qui. - disse Holly al tassista
che si fermò proprio davanti allo stadio. Si potevano udire i canti delle
tifoserie. L’aria era elettrizzante. Pagò il taxi, afferrò lo zainetto e
corse verso l’entrata. Erano le 14:45. Le squadre stavano rientrando in
campo per il secondo tempo.
- Signor Pearson! - esclamò Holly arrivato all’ingresso
riservato ai giocatori.
- Holly, ti stavamo aspettando. Svelto. Il secondo tempo
è appena iniziato. A dopo i convenevoli. Abbiamo bisogno di te. Perdiamo
uno a zero e Schneider è in ottima forma. - gli disse brevemente facendolo
entrare con un pass riservato alle squadre. Preceduto da Pearson, Holly
corse verso lo spogliatoio. Era lì, a pochi metri dal campo. Indossò
velocemente la divisa, si allacciò le scarpe e si alzò.
- Come ti senti? - gli chiese Pearson aprendo la porta.
- Ho l’adrenalina in corpo. Devo assolutamente giocare.
-
- Allora andiamo campione. Facci vedere quanto vali. -
gli disse dandogli una pacca sulla spalla.
La luce si faceva sempre più intensa. Il corridoio era
terminato. Holly si guardò intorno. Lo splendido stadio Parco dei Principi era
gremito in ogni angolo e le tifoserie inneggiavano cori e canzoni a sostegno
della propria squadra. Respirò profondamente e si diresse di corsa verso la sua
panchina. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
- Scusate. Posso giocare? - chiese affacciandosi alla
panchina nipponica. Lo guardarono tutti allibiti.
- Holly! - fu l’esclamazione generale. Il mister
guardò quel ragazzo che era molto cambiato negli ultimi tre anni. Dov’era
il ragazzino di undici anni che aveva visto fare volate e goal in tutti gli
stadi del Giappone?
- Ti sei riscaldato? -
- Mi è bastata la corsa in aeroporto, mister. -
- Okay, chiamo il cambio per Mark. Si è infortunato.
Continua a muoverti. -
- Subito. - rispose correndo al di là della panchina per
riscaldarsi sulla pista. Alzò gli occhi verso la tribuna.
- Holly! - esclamò con voce fioca.
- Patty! - esclamò lui col cuore in gola. Era proprio
sugli spalti sopra la panchina. Una magnifica ragazza avvolta in un abito
rosso mosso dalla brezza estiva. Continuavano a guardarsi senza parlare. Il
tempo sembrava essersi fermato. Il quarto uomo si avvicinò a Holly
riportandolo alla realtà.
- Sei tu che devi entrare? -. Holly annuì. Chiuse gli
occhi e raccolse tutte le sue energie.
- Attenzione prego. C’è un cambio per il Giappone.
Esce il numero 11 Mark Lenders ed entra il numero 10 Oliver Hutton. - disse
una voce all’alto parlante.
A quella notizia tutti si voltarono verso la panchina
nipponica. L’arbitro fermò il gioco per fuorigioco della Germania e consentì
il cambio. I giocatori del Sol Levante corsero verso bordo campo per salutare il
compagno.
Mark si avvicinò per il cambio.
- Ciao Mark. -
- Se è vero che sei questo grande giocatore di cui tutti
parlano, allora segna due goal. - gli disse uscendo dal campo. Holly corse
verso il centrocampo e guardò Tom. Sembravano essersi intesi.
Benji prese il pallone e lo calciò a centrocampo. Con uno
stacco imperioso, Holly stoppò di petto la palla e fece cenno a Tom di seguirlo
verso la porta difesa da Bauer.
- Vai Julian! - gridò passandogli il pallone con estrema
precisione. Il numero quattordici nipponico afferrò la palla e crossò dopo
poco verso Tom. Triangolazione perfetta. Tom correva sulla fascia destra con
la palla al piede e Holly lo seguiva a sinistra. Becker gli ripassò il
pallone appena lo vide smarcato.
- E’ fantastico. Questo ragazzo appena entrato ha già
fatto impazzire la difesa tedesca. Eccolo adesso di nuovo in possesso di
palla. Due giocatori sono su di lui. Splendido. Con un pallonetto Hutton
sorprende i due tedeschi e torna in possesso di palla sempre più lanciato
verso la porta. Signori, che spettacolo. Sembra di veder giocare il Brasile.
Con delle finte da manuale ha saltato anche l’ultimo dei difensori ed ecco
che è proprio sotto rete. Tiro di Hutton ed è rete. Gooooooooaaaaaaaaal.
Il Giappone ha pareggiato con una splendida rete di Hutton a poco meno di
due minuti dalla sua entrata. La panchina nipponica è in piedi per
festeggiare. I giocatori sono tutti attorno a Oliver Hutton che ancora una
volta ha dimostrato la sua innata bravura. -.
- Hai visto Patty. Non solo è arrivato, ma abbiamo anche
pareggiato. - le dissero Amy e Jenny abbracciandola. Ma lei non distoglieva
lo sguardo dal suo capitano.
- Secondo me non ci sente neppure. Sembra ipnotizzata. -
sostenne Amy ridendo.
Dopo poco l’arbitro fece riprendere il gioco. Schneider
sembrava rinvigorito dalla presenza di Hutton e cercava sempre di più il
pallone per poter segnare il goal della vittoria. Ma era proprio Holly a
marcarlo. L’aveva deciso da solo. Aveva accettato la sfida lanciatagli dal
tedesco. Oramai la partita sembrava giocarsi a centro campo.
- Adesso vediamo se ti vieni a prendere la palla, Hutton.
-
- Non devi neanche chiedermelo, Schneider. - gli disse
inseguendolo. Sul volto di Holly era dipinto il suo solito entusiasmo verso
quello sport che oramai era la sua vita. Schneider dribblò Philip, sempre
inseguito da Holly che pareva non perderlo di vista. Erano entrambi nell’aerea
giapponese. Lanciò il pallone in aria. Holly aveva intuito che voleva
passarlo di testa al compagno che sopraggiungeva alla sua sinistra.
- Dove credi di andare? - gli chiese dando adito alla sua
migliore elevazione. Schneider sembrava sconcertato da tanta potenza. Con un
perfetto colpo di testa, Holly passò la palla a Bruce e appena a terra
cominciò a correre sulla fascia. Schneider sembrava ancora intontito. Era
una saetta.
- Bruce, passa la palla? -
- Subito capitano! - esclamò crossando la palla in
avanti. Holly si girò stoppando la palla perfettamente con i piedi. Un
difensore era su di lui. Cominciò a palleggiare cercando di disorientare l’avversario.
Vide sopraggiungere Tom. Alzò la palla e saltò. Crossò in area con un
colpo di testa e la palla cadde tra i piedi del giovane acquisto del Paris
Saint Germain. Ancora attonito, il difensore perse di vista Hutton che si
trovava già a qualche metro da lui pronto per ricevere il pallone da Tom
Becker.
- Non gliela passerai! - strillò Strauss entrando in
scivolata su Tom. La sua entrata fu violenta e il pallone saltò in aria.
Holly corse verso la palla e con una mezza rovesciata calciò direttamente
in porta. Bauer si gettò verso la direzione presa dalla palla,
ripromettendosi di pararla, ma dinanzi la riga di porta, la sfera toccò il
terreno ed entrò dalla direzione opposta.
- Gooooooooooaaaaaaaaal. Il Giappone si porta sul
punteggio di due a uno con una splendida sforbiciata di Hutton a pochi
minuti dalla fine. Ce la farà la Germania a pareggiare? - chiese il
cronista anche lui inebriato dalla bella partita che fino a quel momento si
era giocata.
- Ehy Patty, smettila di mangiartelo con gli occhi. Il
tuo cellulare sta squillando. -
- Ehm…cosa. Ah sì. -. La ragazza tornò a sedersi e
afferrò il telefonino che continuava a squillare. Era il numero di suo
padre.
- Papà! -
- Patty! - esclamò con tono malinconico. Lei ebbe un
tuffo al cuore.
- Che succede? Papà, cos’è accaduto? - gli chiese
allontanandosi dagli spalti. Il cuore le batteva sempre di più.
- Alison…sta male. L’ho ricoverata in ospedale. Ha un’emorragia
interna e potrebbe perdere il bambino. Patty, rischia di morire. -. Patty
non fiatò.
- Patty, ho bisogno di te…non ce la faccio da solo! -
le disse visibilmente commosso.
- Io…io…prendo il primo aereo per Barcellona. -
rispose chiudendo la comunicazione. Ancora tremante e incredula dalla
notizia tornò a sedersi. Aprì la borsa e prese il folder in cui era
contenuto il biglietto aereo. C’erano i numeri di telefono dell’aeroporto
e del box informazioni dell’Air France. Meccanicamente compose il numero.
- Vorrei un’informazione. A che ora parte il prossimo
volo per Barcellona con l’Air France? - domandò cercando di inghiottire
il nodo in gola che le si era formato. Amy e Jenny l’avevano seguita
intuendo che fosse successo qualcosa.
- Alle 17:20, signorina. -
- Mi scusi, io ho un biglietto open da Parigi per
Barcellona. Il numero è 3548287807. Vorrei che mi prenotasse il posto sul
volo delle 17:20. -
- Controllo subito se c’è disponibilità. Un attimo
prego. Fatto. Sì. Classe non fumatori? -
- Sì, grazie. -
- Deve arrivare subito o non potrà effettuare il check
in in tempo. -
- La ringrazio. Arrivo subito. Arrivederci. - disse
chiudendo la comunicazione. Mise il biglietto e il telefono in borsa e
guardò le amiche. Aveva gli occhi lucidi e le labbra le tremavano.
- Devo andar via. -.
- Patty che succede? -
- Alison sta male. Rischia di morire. Adesso è in
ospedale. - rispose coprendosi il volto con le mani. Le amiche la
abbracciarono.
- Non è giusto. Proprio ora che lui è tornato! Perché
non me ne va bene una? - disse tra le lacrime. Amy e Jenny non sapevano come
consolarla. Aveva ragione. Era un periodo davvero nero per lei.
- A che ora parte l’aereo? - le chiese Amy.
- Alle 17:20. Devo correre. - disse alzandosi. - Ragazze,
mi dispiace. -
- La partita sta finendo. -. Patty annuì. Cercò di
accennare un sorriso sul volto rigato dalle lacrime.
- Mi dispiace lasciarvi così. Corro in albergo a
prendere le valigie e poi vado in aeroporto. Addio amiche mie. - disse loro
abbracciandole nuovamente. - Vi voglio bene! -.
- Anche noi. Patty, cosa gli diremo? -
- Che mi dispiace non aver potuto mantenere la promessa.
-
- Ma…sei sicura di non volergli parlare? - chiese
Jenny. Scosse il capo dissentendo.
- Jenny, vorrei dirgli tante di quelle cose che solo il
mio cuore sa. Mi basterebbe stargli vicino solo per un attimo. Evidentemente
è un segno del destino. Noi non dobbiamo stare insieme. -. Baciò le amiche
sulla guancia, afferrò la borsa e corse via per le scale. Jenny e Amy la
guardarono andar via in preda allo sconforto.
- E adesso, cosa diremo a Holly? - chiese Amy a Jenny.
- Non lo so. Vediamo come si comporta lui e poi decidiamo. - disse in tono
sommesso. |
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Capitolo 7 *** Immensamente amore ***
CAPITOLO 7
Immensamente amore
- Ed è finita. Il fischio dell’arbitro ha decretato la
fine della partita. Il Giappone ha vinto grazie ad uno strepitoso Oliver
Hutton che ha segnato due magnifiche reti non lasciando alcuno spazio ai
giocatori della Germania. - commentò il cronista. Tutti i giocatori,
inclusi quelli della panchina, corsero in campo per il giro d’onore,
mentre la federazione stava allestendo velocemente il podio per la
premiazione.
- Patty, abbiamo vinto. Ce l’abbiamo fatta anche questa
volta. Non vedo l’ora di riabbracciarti! - pensò gioioso Holly portato in
trionfo dai compagni. Il pubblico era in visibilio per la cenerentola del
calcio e sportivamente, anche i sostenitori della squadra tedesca,
applaudivano i nipponici. Quando il presidente della Federazione
internazionale scese in campo, si avvicinò al podio e i giocatori furono
richiamati per la premiazione. Prima furono distribuite le medaglie e subito
dopo, annunciata dal presidente, fece la sua entrata in scena la coppa del
mondo di calcio under 19. Il presidente diede la coppa a Julian Ross in
qualità di capitano della squadra, ma quest’ultimo molto sportivamente la
diede a Holly che entusiasta l’alzò in aria verso il pubblico. L’applauso
fu scrosciante, tra sorrisi e pianti dei giocatori ancora increduli.
Era stata fortunata a trovare subito un taxi che la portasse
in hotel e dall’automezzo stesso, chiamò la reception e chiese loro di
prelevare i bagagli e di portarli nella hall perché era in partenza.
Non ebbe neppure il tempo di pensare, o forse la sua mente
era affollata da mille pensieri, che si ritrovò di fronte l’entrata dell’albergo.
- Mi attenda un attimo per favore. - disse al tassista, -
Prendo i bagagli. - aggiunse scendendo di corsa dal mezzo.
- Salve. Sono Praticia Gatsby. Ho chiamato poco fa per
far prendere i miei bagagli. -
- Ecco a lei, signorina. Deve firmare questo modulo per
il rilascio della camera. - disse la signorina dall’altra parte del
bancone.
- Bene. -. Patty firmò il modulo, prese le valigie e
corse verso il taxi che la attendeva.
- All’aeroporto, il prima possibile. - disse al
tassista dopo che ebbe richiuso lo sportello.
Dopo brevi festeggiamenti, rimandati in pompa magna ad altra
sede, i ragazzi allegri per la vittoria, si diressero verso gli spogliatoi dove
si rinfrescarono dopo un’avvincente e quanto mai estenuante partita.
- Allora Holly! Com’è andato il viaggio? - chiese Tom
uscendo con lui dallo spogliatoio.
- Non me ne parlare. Una vera e propria avventura.
Quindici ore di attese in aeroporto nella speranza di prendere il primo volo
utile. -
- Accidenti. -
- Se fossi arrivato prima, avrei avuto piacere di giocare
tutta la partita con voi. Mi dispiace aver preso parte solo al secondo
tempo. -
- Dai, non essere modesto. Lo sappiamo tutti che non sei
tornato solo per la partita… - disse Benji raggiungendo i due ex compagni
della New Team. Holly era arrossito per l’imbarazzo, ma in fondo avevano
ragione. Sentì le voci degli altri che man mano si accodavano a loro e
tutti insieme andavano verso il parcheggio degli autobus dove si sarebbero
incontrati con le ragazze e con gli altri collaboratori.
- Guardate, è diventato tutto rosso. Vuol dire che è
vero! - esclamò Philip intervenendo alle sue spalle.
- Philip, anche tu adesso? -
- Dai Holly, Parigi è la cornice ideale per una bella
dichiarazione d’amore! -
- Smettetela, adesso! - disse un po’ infastidito dalla
troppa invadenza dei compagni.
- Guardate, ci sono Amy e Jenny. - disse Julian
sorridendo alla sua fidanzata.
- Dov’è Patty! - pensò Holly non vedendola.
Gli umori delle due manager erano visibilmente malinconici e incupiti.
- Bentornato capitano! - esclamarono in coro accennando
un timido sorriso.
- Grazie ragazze. - rispose continuando a guardarsi
intorno. Mancavano venti minuti alle 17:00 e Patty stava per prendere il
volo che l’avrebbe portata a Barcellona.
- Ehy, che entusiasmo per i campioni del mondo! -
esclamò Philip abbracciando la sua Jenny non dando importanza ai coretti
ironici dei compagni.
- Dov’è Patty? - chiese Benji anticipando la domanda
di Holly. Le due manager si scambiarono uno sguardo fugace. Le loro
espressioni erano abbastanza eloquenti.
- Cos’è successo? Dov’è Patty? - domandò Holly
preoccupato.
- E’ dovuta andar via! - rispose Amy.
- Quindi la troveremo in albergo! - disse Julian. Tom e
Benji guardarono Holly. Lui aveva già capito che la sua manager non era in
albergo.
- Dov’è Patty? - chiese in tono autoritario,
palesemente impensierito per l’assenza dell’amico.
- Holly, ha detto che le dispiace, ma è dovuta andar
via. - aggiunse Jenny cercando di tranquillizzare il numero dieci nipponico.
- Voglio sapere dov’è andata! E’ forse tornata in
Giappone? - chiese cercando di mantenere il controllo dei nervi, che pian
piano stavano cedendo. Il cuore gli batteva molto forte, sentiva ribollire
il sangue nelle vene.
- Sua madre si è sentita male ed è stata ricoverata.
Sta correndo in aeroporto per prendere il volo delle 17:20. - disse Amy
decisa. Jenny la guardò. Gli aveva detto la verità, ma forse non era
quello che avrebbe voluto Patty.
- Devo prendere un taxi. - disse quasi in preda al
panico.
- Ragazzi, salite sull’autobus. Andremo tutti all’aeroporto.
- disse il mister sorprendendo i giocatori. - Holly non faresti mai in tempo
a cercare un taxi con il pubblico che sta defluendo dallo stadio. - aggiunse
dandogli una pacca sulla spalla. I ragazzi non attesero che il mister gli
ripetesse di salire sul bus, che erano già accomodati nelle rispettive
poltrone. Sul bus non si parlava di altro se non della prematura partenza di
Patty. Holly taceva seduto vicino a Tom.
- Ehy Holly…
- Scusami Tom. Sto perdendo il mio proverbiale controllo.
-
- E’ una reazione normale quando accade qualcosa a una
persona a cui tieni! - aggiunse.
- Perché è andata via senza aspettarmi? -
- Non l’avrebbe fatto se non avesse avuto una ragione
plausibile. -
- Mah….
- Non farti venire i tuoi soliti dubbi, Holly. -
- Le hai parlato? - gli chiese non distogliendo lo
sguardo dal finestrino.
- Sì. E’ una ragazza fantastica e ti sono sincero se
ti dico che provo dell’affetto per lei. Holly non aver paura di parlarle.
E’ talmente innamorata di te che non vede altro e altri. -
- Già, ma non me l’ha mai detto. -
- Certo che sei proprio testardo! L’hai abbandonata per
tre anni, adesso torni ed hai ancora dubbi sui tuoi e sui suoi sentimenti.
Quando tu sei partito, noi ragazzi ci eravamo ripromessi di starle vicino e
soprattutto di tener lontani eventuali pretendenti. Non ce n’è stato
bisogno, perché lei non aveva occhi e cuore se non per te. Ma quando
crescerai? Sai quanti di questi ragazzi avrebbero voluto starle a fianco
quando tu sei andato via? Ma l’hai vista Holly. Patty è diventata
bellissima. Dovrebbe essere lei a chiedersi come hai trascorso questi tre
anni in Brasile! -
- Che diavolo vuoi dire? Lo sai perché sono tornato Tom?
Per lei. Per la prima volta, non mi importava nulla della partita. E’ per
lei che sono venuto a Parigi, perché le avevo promesso che ci saremmo visti
qui, che lei avrei parlato. Proprio adesso che le sono vicino, lei fugge da
me. Non ho molto tempo per parlarle. Sto per firmare un contratto con il
Barcellona, per i prossimi quattro anni e a lei non l’ho ancora detto. Tre
anni fa le avevo chiesto di aspettarmi. Non potrò mantenere la promessa
perché mi trasferisco in Spagna. -. Tom sorrise.
- Non vedo cosa ci sia da ridere! - gli chiese vedendolo
sereno e sornione.
- Siete così simili che neanche ve ne rendete conto.
Patty mi ha detto le stesse cose. Probabilmente tu non lo sai, ma suo padre
ha avuto una promozione e si è dovuto trasferire in Spagna. Pare che lei
sia in rotta con i genitori perché non le vogliono permettere di andare a
studiare negli Stati Uniti. Non solo, l’hanno obbligata a trasferirsi in
Spagna. -
- Patty in Spagna? - chiese attonito.
- E’ lì che sta andando. A Barcellona! -. Holly era
sempre più esterrefatto. Patty si stava trasferendo nella città dove lui
avrebbe giocato per i prossimi quattro anni.
- Vuoi dire che all’insaputa l’uno dell’altra, ci
ritroveremo a vivere nella stessa città? -
- Sì Holly. Ho parlato con Amy e Jenny poco fa. Patty è
corsa via disperata. Lei non sa che tu andrai in Spagna molto presto e pensa
di aver tradito la tua fiducia perché non potrà mantenere una promessa che
ti ha fatto tre anni fa! - concluse alzandosi. - Certo che voi due siete
proprio complicati. - ironizzò prima di andare da Benji che l’aveva
richiamato. Erano quasi arrivati all’aeroporto. L’autobus stava entrando
a velocità sostenuta. Mancavano dieci minuti circa alla partenza dell’aereo.
- Patty. Mi dispiace. La colpa è mia. Se solo fossi
stato più chiaro con te, adesso tu non staresti così male. Potresti
raggiungere la tua famiglia sapendo che io ti aspetto, anzi che corro da te.
Ma perché sono così stupido ed incapace? Perché perdo sempre troppo tempo
a pensare e rimuginare? - pensò alzandosi dalla poltrona. Si avvicinò
all’uscita dell’autobus e non appena l’autista fu davanti all’ingresso
principale dell’aeroporto, Holly si fiondò giù per i gradini cercando
disperatamente di inseguire la sua amata. Senza neppure pensarci, tutti i
ragazzi furono fuori dal bus per accompagnare l’amico in quella disperata
impresa. Holly guardò rapidamente il tabellone delle partenze. Air France
da Parigi a Barcellona, gate 2.
Senza neppure fermarsi, si diresse di corsa verso le partenze
internazionali. Doveva raggiungerla. L’intera squadra inseguiva Holly che
sembrava avere le ali ai piedi.
- Attenzione prego. Imbarco immediato per i passeggeri in
partenza da Parigi Charles de Gaulle per Barcellona. Volo Air France 797,
gate 2. Ripeto, imbarco immediato. -.
Stavano ancora chiamando per l’imbarco. Quello era il volo
di Patty.
- Attenzione prego. Patricia Gatsby è attesa con la
massima urgenza al gate 2 per imbarco immediato. Ripeto, Patricia Gatsby è
attesa al gate 2 per imbarco immediato. - ripeté l’alto parlante. Holly
aveva sentito. Anche Patty era in ritardo. Doveva raggiungerla. Doveva
almeno vederla.
Era pochi metri più avanti di lui e Holly non lo sapeva.
Correva come una disperata cercando di prendere quel volo. Si fermò al check in
delle partenze internazionali. Il gate 2 era a pochi passi da lei.
- Sono Patricia Gatsby. Chiamate il gate 2, per favore.
Dite che sto arrivando! - disse ansimante dalla corsa estenuante. L’addetta
al check in sollevò il ricevitore e comunicò alla hostess di terra al gate
2 che la passeggera stava raggiungendo il cancello d’imbarco. Il cuore le
batteva così forte che temeva potesse svenire da un momento all’altro per
il forte stress accumulato durante quel pomeriggio. Quando finalmente l’addetta
le consegnò il tagliando del biglietto, ricominciò a correre verso il gate
2. Intravedeva già la hostess di terra che sembrava sollecitarla per l’imbarco.
- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! - gridò intravedendola
al cancello d’imbarco. La ragazza si fermò. Era ammutolita, priva di ogni
minima forza per girarsi e constatare chi l’avesse chiamata.
- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! - urlò ancora Holly
fermato al check in da due addetti. Non poteva passare perché non aveva un
biglietto per quel volo. Lei si voltò.
- Holly! - sibilò con un fil di voce. Le lacrime le
salirono agli occhi, la vista era annebbiata.
- Signorina, si deve affrettare. Il volo deve partire e
aspettano solo lei. - le disse la hostess strappandole di mano il biglietto
e invitandola a passare nel corridoio mobile. Continuava a guardarlo senza
proferire una parola, senza neppure ascoltare la hostess. Dietro di lui
giunsero tutti i ragazzi. La squadra al completo. Non voleva sbagliarsi, ma
le sembrò di intravedere le lacrime sul suo volto. Holly stava piangendo.
- Holly! Mi dispiace. -
- Signorina, per favore. La stanno aspettando. -. Patty
alzò un braccio e accennò un timido sorriso. Era il suo saluto a quegli
amici meravigliosi. Si voltò e varcò di corsa il tunnel che l’avrebbe
portata sull’aereo.
- Mi lasci andare. Devo correre da lei. - gridò Holly
divincolandosi dalla presa dei due addetti. Con passo veloce si diresse
verso il corridoio mobile oramai ritirato. Inutili furono le parole della
hostess di terra che cercò di fermarlo.
Lo steward stava chiudendo il portellone mentre Patty
entrava sull’aeromobile.
- Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. Io ti
amoooooooooooooooooooo. - gridò con tutto il fiato che aveva in gola,
sperando che le parole le fossero giunte nonostante il rombo dei motori. La
ragazza si girò ancora una volta, trattenuta dallo steward che cercava di
chiudere il portellone.
- Holliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. -. Aveva udito quelle
parole che erano arrivate dritte al suo cuore. Aveva atteso tanto tempo,
anni, ma finalmente lui gliele aveva dette, le aveva dichiarato il suo
amore.
Vide l’aereo iniziare la manovra di rullaggio sulla pista e
andare a posizionarsi per iniziare la procedura di decollo.
- Maledizione! - imprecò colpendo con un pugno un pannello
vicino il bancone del check in.
Esausto e demoralizzato, raggiunse i compagni scortato dai
due addetti che avevano cercato di fermarlo. Entrambi guardarono quel giovane
campione che aveva tentato disperatamente di dichiarare il suo amore ad una
ragazza.
- Ehy ragazzo, ma avevi intenzione di suicidarti? - gli
chiese il più anziano.
- Se fosse servito per fermarla, sì. -
- Bene bene, abbiamo un cuore infranto. - ironizzò l’altro
divertito da tutta la scenetta.
- A che ora parte il prossimo volo per Barcellona? -
chiese Holly quasi colpito da un lampo di genio. Doveva inseguirla.
- Dovrebbe esserci un volo dell’Alitalia che arriva da
Milano e fa scalo tecnico a Barcellona per poi ripartire per Miami. -
- A che ora? - insistette Holly.
- Alle 20:00 circa. -
- Devo prendere quel volo. -
- Accidenti ragazzo, ci tieni proprio alla tua Giulietta.
-. Holly raggiunse i compagni.
- Mi dispiace capitano. - disse Benji alzandosi il
cappellino.
- Vado a Barcellona. Non torno in Giappone con voi. -
disse serio andando verso il mister.
- Se non l’avessi fatto, ti avrei preso a pugni! -
esclamò Mark, fermo vicino una finestra. Holly si girò verso il rude
compagno di squadra.
- Lo sai chi me l’ha fatto quest’occhio nero? - gli
chiese ma sapeva che non conosceva la risposta.
- La tua amichetta. Ho parlato male di te e lei si è
vendicata. Quella mezza matta è così innamorata di te che ti difenderebbe
perfino dinanzi il tribunale dell’inquisizione! - aggiunse congedandosi.
In seguito avrebbe parlato con Patty dell’occhio nero che aveva fatto a
Mark. Adesso doveva solo raggiungerla. I bagagli! Già, i suoi bagagli erano
in quell’aeroporto agli oggetti smarriti. Doveva andare a recuperarli e
doveva fare il biglietto.
- Come sei cambiato Holly. Prima eri il timidone
innamorato solo del calcio. Adesso sei un grande giocatore innamorato di una
magnifica ragazza. -
- Mister. -
- Oggi, quando ti ho visto giocare, ho potuto solo
apprezzare la tua tecnica e la tua prestanza. Complimenti Holly. Sei la
persona più adatta per entrare nel mondo professionistico. -
- Grazie. Mister, io non torno con voi in Giappone. Vado
a Barcellona. Beh, devo parlare con Patty. - gli disse mettendosi una mano
dietro la testa per celare l’imbarazzo.
- Va pure Holly. Ci sono cose ben più importanti che
ricevere gli onori di casa. E Patty lo merita sul serio. -
- Ancora grazie mister, per tutto quello che ha fatto
oggi. - aggiunse inchinandosi in segno di rispetto e poi stringendogli la
mano.
Holly salutò i suoi compagni di squadra ed in particolare
Benji e Tom che avrebbe rincontrato quasi sicuramente nella Champions League
europea. I ragazzi si offrirono di rimanere con lui in aeroporto fino all’imbarco
ma Holly disse loro che al più presto li avrebbe raggiunti in Giappone. Doveva
rientrare in patria prima di trasferirsi in Spagna. Chiese a Amy l’indirizzo
di Patty e la manager dai capelli rossi, non ebbe esitazioni a consegnargli il
bigliettino che le aveva dato l’amica.
Quando tutti si accomiatarono dal capitano della New Team,
Holly si diresse verso la biglietteria Alitalia prenotando il suo posto sul volo
diretto a Barcellona. Quelle ore che ancora lo dividevano da Patty gli
sembravano infinite, una fatica insormontabile da superare anche per lui.
Seduta sull’aereo che la stava portando a Barcellona, Patty
sembrava completamente assente. Continuava a pensare a Holly.
- Amore mio. Sei corso da me, da questa ragazza che ti
ha amato per tanto tempo e proprio adesso che il destino ci sta separando,
tu mi hai gridato che mi ami. Il cuore mi batte ancora se solo ci penso.
Perché il fato è così avverso verso di noi? Che male abbiamo fatto per
non poter stare insieme? Se solo avessi avuto l’opportunità di spiegarti,
di dirti quanto ti amo! - pensò con le lacrime agli occhi. L’aereo
aveva cominciato la sua discesa sulla pista dell’aeroporto internazionale
di Barcellona. Il cielo era nuvoloso e si apprestava a piovere in quella
domenica di fine luglio.
- Cosa sarebbe successo se fossi rimasta. Il cuore mi
scoppia di gioia al solo pensiero. Io e te finalmente insieme. Ti avrei
riabbracciato, avrei potuto sentire ancora il calore del tuo corpo, il tuo
volto tra i miei capelli. Vorrei morire per quello che ti ho fatto. Non ho
mantenuto la promessa e ti ho abbandonato nella città che aveva fatto
innamorare i miei genitori. - continuò a pensare asciugandosi le
lacrime che le rigavano il volto. Era così dispiaciuta per come aveva
dovuto obbligatoriamente comportarsi con Holly, che avrebbe preferito
chiudere gli occhi per sempre.
Quando dopo pochi minuti dall’atterraggio si ritrovò nell’aeroporto
di Barcellona, afferrò il telefono e lo riaccese digitando il codice pin.
Richiamò il numero del cellulare del padre ed inviò la chiamata.
- Papà, come sta Alison? - gli chiese trattenendo il
cellulare tra l’orecchio e la spalla e continuando a spingere il carrello
dei bagagli.
- Serve una trasfusione di sangue urgente e qui non
riescono a trovare il gruppo sanguigno compatibile. Pare che la banca del
sangue sia chiusa e le loro scorte terminate. - disse agitato.
- Sono in aeroporto. Sto prendendo un taxi. Qual è l’ospedale
in cui è ricoverata? - gli domandò esausta. Era stata una giornata molto
intensa e si sentiva spossata.
Terminata la conversazione col padre, spense il telefonino.
Non voleva che qualcuno la chiamasse per sapere come stava. Non se la sentiva di
parlare con i suoi amici e tanto meno con Holly la cui fiducia credeva aver
tradito.
Attese di recuperare i bagagli, li sistemò sul carrello e si
avviò verso l’uscita. Fermò un taxi e dopo aver caricato le valigie, vi
salì chiedendo di raggiungere il policlinico di Barcellona. Cominciò a
piovere. Il suo sguardo era fisso, oltre il finestrino che la divideva dalla
strada bagnata che man mano percorrevano.
- Alison! Ho abbandonato il mio sogno, l’ennesimo,
per correre da te! Ancora non ci credo. Non ho esitato un attimo a salire su
quell’aereo mentre Holly mi gridava che mi amava. Perché l’ho fatto?
Eppure, non ti sei mai comportata come una madre con me, mi hai sempre
privata di quell’affetto di cui mi ricopriva la mia mamma. Forse è per
lei che l’ho fatto, perché ho già perso mia madre, ho visto mio padre
soffrire e non voglio che succeda ancora. Proprio tu che odi Holly, che lo
ritieni un buono a nulla, tu che non volevi che andassi a Parigi, tu che ti
sei opposta alla mia scelta universitaria. Già, perché non c’è cosa che
scelga o faccia, che ti aggradi. Nonostante ciò, sto correndo da te, come
una figlia devota.
- Mamma, sono disperata. Ho perso la mia più grande
occasione di abbracciare il ragazzo che amo. Mi sento così sola e depressa.
Aiutami tu, perché io non so proprio cosa fare. Dammi la forza per andare
avanti, per aiutare papà. - pensò poi guardando la foto della mamma
che portava sempre con se.
Il taxi si fermò dinanzi il cancello di una grande struttura
ospedaliera composta da più edifici. L’autista le prese i bagagli e attese
che le pagasse la corsa. Continuava a piovere. Senza neppure preoccuparsene,
Patty afferrò le sue valigie e andò verso l’accettazione.
Era una stanza molto ampia e sulla targa affissa sulla porta
in legno c’era scritto “Accettazione Pazienti”. Patty vi entrò con al
seguito le valigie e si avvicinò al bancone dove una donna sulla quarantina era
indaffarata a sistemare alcune carte su uno scaffale.
- Buonasera, potrei sapere in quale reparto è stata
ricoverata Alison Bright Gatsby, per favore? E’ stata ricoverata nel primo
pomeriggio. - disse alla donna. Lei la guardò come fosse un’estranea.
Nonostante fosse evidentemente straniera parlava lo spagnolo con un buon
accento e non aveva commesso alcun errore.
- Chirurgia intensiva. E’ il primo edificio del
padiglione B, primo piano, stanza 127. - rispose guardando sul registro dell’accettazione
malati.
- La ringrazio. Potrei chiederle un’altra cortesia? -
- Prego, signorina. -
- Potrei lasciare qui le mie valigie? - le chiese
indicando i due bagagli.
- Beh…veramente, ma certo. Forse è il caso che ci
mettiamo il nome. -
- Sono già contrassegnate. Se mi presta la penna
aggiungo il numero della stanza della signora Gatsby. - le disse. La donna
le porse la penna e Patty aggiunse il numero 127 e la scritta “camera”
sui tagliandi apposti dall’Air France sulle sue valigie.
- La ringrazio, signora. E’ stata molto gentile. -
- Non si preoccupi. Il mio turno termina alle 24:00.
Faccia pure con comodo. Quando esce di qui, segua il corridoio a sinistra e
vada sempre dritto. Alla fine ci sarà un portone. Esca di lì e si
ritroverà il padiglione B. Il primo edificio è Chirurgia Intensiva. -
- La ringrazio ancora, signora. Allora ci vediamo più
tardi. - le disse salutandola con un cenno della mano.
Patty seguì le indicazioni della donna e in poco tempo
arrivò davanti all’edificio di Chirurgia Intensiva. Appena entrò, fu
travolta da un forte odore di analgesici diffuso nell’aria. Si appoggiò al
muro in preda ad un giramento di testa. Era stata una giornata fin troppo
intensa che l’aveva privata di tutte le sue forze e quell’odore nauseabondo
sembrava esserle penetrato in tutto il corpo. Chiuse gli occhi e respirò
profondamente. Si fece forza e seguì l’indicazione sulla scala che indicava
“Camere 101-145”. Salì lentamente cercando di recuperare le forze dopo quel
mancamento. Arrivata sul pianerottolo si guardò da ambo i lati cercando di
comprendere quale fosse la direzione giusta. A destra c’erano le camere dalla
120 alla 145. Sospirò sempre meno contenta di ritrovarsi in quell’ambiente e
percorse il corridoio fino ad arrivare alla camera 127.
Si fermò dinanzi il vetro che la separava da quel letto nel
quale giaceva la sua matrigna. Immobile, stesa in quel letto con i tubi che le
ricoprivano il volto e le braccia. Il lenzuolo, candidamente appoggiato su di
lei, delineava il ventre prominente, testimone di una gravidanza che
probabilmente avrebbe dovuto interrompere.
- Un fratello. Che idea bizzarra. Non me ne sono mai
accorta. E lei me l’ha volutamente tenuto nascosto. Continuo a chiedermi
cosa ci faccio qui. - si chiese non distogliendo lo sguardo da lei.
- Patty! - esclamò una voce. Un uomo alto, dai capelli
scurissimi, la guardava con espressione mesta. Il suo volto era una maschera
di dolore.
- Papà! -. Si avvicinò e istintivamente lo abbracciò.
In quel preciso istante ricordò il giorno della sua partenza per Parigi.
George aveva cercato di scusare Alison ancora una volta dipingendola come
una donna fragile che con l’indifferenza cercava di rafforzare le sue
difese.
- Non mi sembra vero di averti di nuovo accanto! - le
sussurrò. Erano le parole di un genitore in preda allo sconforto. - La mia
bambina. -.
- Come stai? - gli chiese guardandolo negli occhi.
- Io? Non bene. Da quando siamo qui non riesco più a
capire nulla. Adesso riposa perché le hanno somministrato un sedativo. Sta
rischiando molto. Le hanno fatto una trasfusione ma pare che non sia
sufficiente. Ha una grave infezione epatica che può danneggiare seriamente
il feto. -
- Cosa pensano di fare? - chiese in tono distaccato.
- Vogliono farla abortire, ma in questo momento, non
possono procedere. E’ molto debilitata e un intervento potrebbe solo
peggiorare le cose. -
- Vedrai che ce la farà! - gli disse mettendogli una
mano sul braccio. - Sei stanco. Perché non vai a riposarti? Resto io qui.
-. George guardò la figlia. No, non era la sua bambina. Era una splendida
donna straordinariamente somigliante a Sarah, la sua defunta moglie. E da
lei aveva ereditato anche il coraggio e la perseveranza, l’umiltà e l’insaziabile
desiderio di aiutare gli altri. - Chiedi ad un infermiere se c’è un posto
dove tu possa riposarti. - aggiunse quasi pregandolo.
- Grazie. - rispose timidamente seguendo il consiglio
della figlia. Chinò il capo e si avviò in fondo al corridoio dove
incontrò un infermiere. Patty lo seguiva a distanza. Il suo iperattivismo l’aveva
sicuramente ereditato dal padre. Era un lavoratore instancabile e indefesso,
ma quest’esperienza lo stava provando esattamente come anni prima.
Rimase a fissare la paziente oltre quel vetro. Non sapeva
neppure lei a cosa pensare: se alla matrigna malata o se a Holly. Chissà cosa
stava facendo in quel momento, a cosa stava pensando, se era arrabbiato con lei
che era andata via mentre con un ultimo disperato gesto le dichiarava tutto il
suo amore. Presa dai suoi mille pensieri e sempre più sconfortata, non si
accorse che era trascorsa più di un’ora dacché lei era ferma a guardare
Alison.
- Posso entrare? - chiese Patty ad una dottoressa che
stava entrando nella stanza di Alison.
- E’ una parente? - le chiese squadrandola.
- E’…è mia madre! - rispose chiudendo gli occhi. Era
vero. Nonostante i loro precari rapporti, Alison restava comunque la sua
matrigna, colei che era entrata nella vita della famiglia Gatsby dopo la
morte di Sarah.
- Venga. Mi raccomando. Non si deve stancare. - le disse
la dottoressa aprendo la porta. Patty la seguì all’interno della stanza
disegnando mentalmente quella camera con due letti, di cui uno occupato, i
monitor, i tubi e tutti i macchinari che circondavano Alison. Si era
svegliata.
- Ciao. - le disse Patty avvicinandosi al letto. Dal
giorno in cui avevano litigato prima della sua partenza, non si erano più
parlate. Quando lei era partita, era uscita di casa molto presto pur di non
salutarla. Suo padre aveva cercato di scusarsi per lei, ma Patty aveva ben
compreso di non essere desiderata da Alison. Come poteva fare a recuperare
il suo rapporto con la matrigna? In fondo dovevano dividere lo stesso tetto
esattamente come in Giappone e magari le difficoltà di inserimento in un
nuovo ambiente, avrebbe potuto avvicinarle così come la nascita del
bambino.
Alison si voltò verso quella ragazza avvolta nell’abitino
rosso. La sua figliastra. Doveva essere in Francia. Come faceva ad essere lì,
al suo capezzale?
- Perché sei qui? - le chiese con un fil di voce che a
Patty parve molto poco affabile.
- Come ti senti? -
- Come vuoi che stia? Sto perdendo il mio bambino e forse
mi ammazzo pure…
- Ho l’impressione che la mia presenza di infastidisca!
- esclamò gelida Patty. Non poteva tacere di fronte alle sue provocazioni.
Aveva lasciato il ragazzo che amava per correre da lei.
- Come puoi vedere non sono uno spettacolo molto
gradevole. - rispose ansimante.
- Signora deve stare calma! Il suo battito è accelerato.
-
- Cos’ha detto? - chiese toccandosi il ventre. Il suo
volto era una smorfia di dolore. Non comprendeva lo spagnolo e questo le
creava uno stato di agitazione.
- Ha detto che non devi agitarti perché il tuo battito
è accelerato. -
- Ho forti dolori. Come pensa che possa stare calma? -
- Stanno cercando di curarti! Comprendo che non ti senti
bene. -
- Che ne sai…di come mi sento? Non ne…puoi avere…la
minima idea! - le disse abbassando le palpebre.
- D’accordo. Se la mia presenza ti disturba tanto,
tolgo il disturbo. - le disse guardandola dritta negli occhi semichiusi
della matrigna. Lei annuì e Patty sentì le lacrime salirle agli occhi.
Come poteva trattarla a quella maniera? Si girò e si avvicinò alla porta.
Desiderava piangere per sfogare tutto quello che aveva vissuto in quella
giornata. Si rammaricò ancora una volta di non essere rimasta a Parigi a
festeggiare tra le braccia di Holly.
- Maledizione. Nuovamente l’emorragia! - esclamò la
dottoressa rilevando i dati dal monitor e controllando la paziente. A quelle
parole Patty arrestò il suo passo. Stava male, stava peggiorando, dinanzi
ai suoi occhi.
- C’è qualcosa che posso fare? - chiese alla
dottoressa che s’apprestava ad afferrare la cornetta.
- Stanza 127. Donna al quinto mese di gravidanza.
Emorragia. Mandatemi subito due sacche di gruppo A positivo. - ordinò sotto
gli occhi di Patty. Il telefono trillò e la dottoressa rispose.
- Cosa? Non lo avete trovato? E’ lo stesso problema di
qualche ora fa? E secondo voi io cosa faccio? - urlò dimenandosi al
telefono. Era molto agitata evidentemente per la gravità della situazione.
Alison era svenuta. Vide entrare un altro medico e un infermiere che le
disse di accomodarsi in corridoio.
Li vide affaccendarsi sul corpo di Alison. Suo padre
riposava, ma lei non sapeva dove. Cosa doveva fare? Vide uscire il dottore.
- Dottore! -
- Dopo signorina, adesso abbiamo un’urgenza. -
- Lo so. Io sono A positivo. Posso donarle io il sangue!
-
- Cosa? - chiese il medico fermando la sua corsa.
- La prego. Salvatela. -
- Non abbiamo tempo per farle gli accertamenti. -
- Sono sana. Sono iscritta ad un club di calcio come
manager e sono sottoposta periodicamente alle visite mediche come i
giocatori. - rispose in tono implorante.
- Da quanto non mangia? -
- L’ultimo pasto l’ho consumato a mezzogiorno. -
- D’accordo, venga con me. - le disse facendole cenno
di seguire.
Patty gli corse dietro e insieme entrarono in un’ampia sala
piastrellata con due barelle. All’interno, oltre una finestra che s’affacciava
all’esterno dell’edificio, c’era una porta aperta dalla quale si potevano
scorgere dei mobiletti con sopra delle provette piene di liquido rosso di
diverse tonalità. Patty intuì che doveva trattarsi della stanza dove
avvenivano prelievi e analisi. Il medico, un uomo robusto e alto, afferrò la
cornetta e compose il numero 127.
- Anna, ho trovato una donatrice. Forse potrebbe bastare
per ripristinare le funzioni normali. Poi faremo alla paziente gli esami di
routine per verificare a che punto sono le condizioni del suo fegato e del
bambino. - disse il medico parlando con la dottoressa che Patty aveva
incontrato in corridoio.
- Va bene Carlos. Arrivo subito con la paziente. Le
facciamo una trasfusione diretta. -
- E’ rischioso. Non abbiamo il tempo neanche di farle
le analisi di routine. -
- Preferisco rischiare e non perderla. -
- Va bene. Fa presto, preparo la ragazza. -
- Bene. - rispose la dottoressa riponendo la cornetta
sulla forcella. - Manuel, - disse all’infermiere. - trasferiamo la
paziente nella sala prelievi. -
- Sì dottoressa. -. Dopo poco, il lettino mobile di
Alison fu spinto fino in sala prelievi dove Patty era già stesa sulla
barella in attesa che il medico procedesse alla trasfusione. Alison era
rinvenuta. Quando i due lettini furono allineati, Alison si girò verso la
figliastra ma Patty voltò lo sguardo dalla parte opposta pur di evitare
quello della matrigna.
- Procediamo. - disse il medico.
- Attenzione prego. I passeggeri del volo AZ 746 dell’Alitalia
diretto a Barcellona sono pregati di procedere recarsi al cancello 18 per l’imbarco
immediato. Ripeto volo AZ 746 in partenza da Parigi a Barcellona. Imbarco
immediato. - annunciò la voce all’altoparlante. Holly guardò il suo
orologio. Erano le 19:40. Afferrò i suoi bagagli e si diresse verso il check
in. Consegnò alla signorina il biglietto e posò le valigie sul nastro
trasportatore. L’addetta sigillò i bagagli con la banda adesiva e restituì a
Holly il biglietto per la procedura d’imbarco. Nella mente c’era impresso il
suo volto triste, quasi disperato quando dopo averle gridato che l’amava, s’era
girata per urlare il suo nome. Aveva ragione Tom. Patty l’amava intensamente,
non aveva mai smesso di provare per lui quei sentimenti e l’essere costretta
ad andar via, aveva solo fatto accrescere la sua pena e il suo avvilimento.
Nella tasca del pantalone aveva messo l’indirizzo di casa di Patty. Era l’unico
luogo dove avrebbe potuto cercarla e sicuramente il più probabile dove avrebbe
potuto trovarla in quel momento.
Quando dopo un quarto d’ora circa varcò il portellone dell’aereo,
cercò il suo posto e si sedette affaticato. Dopo meno di sette ore, si
ritrovava a salire su un aereo e soprattutto dopo che aveva affrontato un volo
continentale con svariate ore di fuso orario. Ma non gli importava nulla.
Avrebbe affrontato ben altre fatiche pur di raggiungere la sua Patty. Se
qualcuno l’avesse visto, non l’avrebbe riconosciuto. Lui che recitava sempre
“il pallone e il migliore amico” con il sorriso stampato sul volto, adesso
era un normalissimo ragazzo in preda alle incertezze d’amore.
- Ti troverò Patty. Devo parlarti. Devo sapere se davvero
anche tu provi gli stessi sentimenti per me. E devo dirti che mi sto per
trasferire a Barcellona, sì, perché se tu resterai lì, io non ho più
incertezze su quale squadra scegliere. Mi sarà sufficiente soltanto un tuo
sorriso, una tua carezza. La colpa è mia. Se te ne avessi parlato prima, adesso
non dovrei inseguirti per mezza Europa. - pensò allacciandosi la cintura di
sicurezza prima del decollo.
Patty aveva chiuso gli occhi per tutta la durata della
trasfusione. Le era sembrata un’eternità. Aveva sentito i lamenti di Alison e
quelli le erano bastati per straziarle il cuore. Non riusciva ad odiarla,
nonostante tutto quello che le aveva detto sebbene in pessime condizioni. Le sue
condizioni erano stazionarie e i medici l’avevano trasferita nuovamente nella
sua camera. Quando aprì gli occhi, sul tavolino tra le due barelle, vide un
tramezzino, una brioche e una bibita che le aveva portato l’infermiere. Il
medico si era raccomandato che Patty mangiasse perché la trasfusione era durata
abbastanza perché il suo fisico già magro si debilitasse maggiormente. Si mise
a sedere ma dovette far forza sulle braccia per non cadere sul lettino. Non
aveva molte forze. Tremante, afferrò il bicchiere e se lo portò alla bocca. Ne
sorseggiò il contenuto lentamente e le parve di poter sentire il liquido che
scendeva adagio lungo l’esofago fino a posarsi nello stomaco. Guardò
nuovamente il piatto, ma decise di non mangiare. Agguantò il cardigan chiaro e
la borsa, si rimise i sandali e s’incamminò verso la stanza 127. Suo padre.
Se ne era dimenticata. Lo vide lì, in piedi vicino il vetro.
- Ciao papà. Come ti senti? -
- Ma dove sei stata? - le chiese in tono irruente ma
senza alzare la voce. Patty lo guardò stranita. Aveva la vista a tratti
annebbiata, frutto della stanchezza fisica e della trasfusione. Non sapeva
cosa era accaduto.
- Mi avevi detto che saresti rimasta qui? -
- Scusami! - si limitò a rispondere. Aprì la stanza di
Alison. L’infermiere la vide ma continuò a scrivere qualcosa sulla
cartella clinica. Era sveglia.
- Come ti senti? - le chiese in tono gentile.
- Non avresti dovuto farlo! Io non ti ho chiesto niente.
Non eri in obbligo. -
- Mi odi a tal punto? - le chiese Patty fissandola con
uno sguardo gelido. All’improvviso si sentì fluire il sangue nelle vene e
la pressione salirle. Ne aveva abbastanza di quell’atteggiamento
arrogante.
- Patty non è il luogo per litigare questo! - le disse
il padre non comprendendo il motivo dell’astio tra le sue due donne.
- Perché non mi rispondi Alison? Hai paura di dirmi la
verità, o di dirla a mio padre? - la incitò a rispondere Patty.
- Per me te ne puoi anche andare. Anzi, potevi restartene
a Parigi con i tuoi amici a spassartela con loro. -. Patty avvampò.
- Benissimo, se vuoi che me ne vada, lo faccio
immediatamente. Sei la persona più ingrata che io conosca. Mi dispiace per
te papà. - disse uscendo adirata da quell’alterco.
- Patty aspetta. Posso sapere cosa succede? Alison ha
bisogno di riposo! -
- Vuoi sapere cosa succede? Perché non lo chiedi alla
tua Alison, papà? Tanto è solo di lei che ti importa, no? -
- Ma che dici…
- Cosa dico? Sono tornata di corsa da Parigi in preda
alla disperazione perché non ho potuto neppure riabbracciare il ragazzo che
amo, che ha fatto un viaggio lunghissimo per incontrarmi. E perché? Per
venire qui ed essere insultata da tua moglie! E tu papà, non mi hai neppure
chiesto come sto! Lo vuoi sapere? Sono disanimata, distrutta, affranta
perché per seguire voi ho abbandonato tutti i miei sogni. Il Giappone, i
miei amici, Holly, il desiderio di andare a studiare in America. Hai cercato
di scusare Alison dipingendola come una persona fragile che ha bisogno di
conforto e aiuto. E a me chi ci pensa? L’unica persona che potrebbe
pensare a me, l’ho abbandonata per tornare da voi. Ed ecco il
ringraziamento. Sai cosa ti dico? Stai tu vicino a questa vipera. - disse
tutto d’un fiato alzando la voce. Il padre la ascoltava attonito.
- E’ terrorizzata. Ha subito un’altra trasfusione. -
- E’ per questo che adesso mi odia ancora di più,
perché nelle sue vene scorre il mio sangue ora? -
- Che vuoi dire? -
- Lascia perdere. Fa parte anche questo delle cose che
non mi hai chiesto perché non hai tempo per me. Me ne vado a casa. -
- Patty aspetta. -
- Non appena sta meglio, mi trovo un appartamento e me ne
vado a vivere da sola, con o senza il tuo consenso. - concluse risoluta
voltandogli le spalle e correndo via per il corridoio.
Il taxi sembrava inghiottire la strada argentata man mano che
procedeva nella sua corsa. Il cuore gli batteva in maniera accelerata. Aveva
mostrato al tassista l’indirizzo di Patty e lui lo stava conducendo in quella
che era denominata Barceloneta.
Si trattava di un quartiere della città che si affacciava
direttamente sul porto, con una passeggiata tra le più belle, giardini
verdeggianti, palazzi d’epoca e ristorantini a base di pesce gestiti dai
pescatori.
Pioveva, mentre a Parigi a quell’ora, la luna stava
risplendendo alta nel cielo. Aveva promesso ai ragazzi che se ci fosse stato
qualche problema, li avrebbe chiamati. Il tassista si fermò dinanzi uno stabile
d’epoca recentemente ristrutturato e fece segno a Holly che la sua corsa era
finita. Col cuore in gola, Holly scese, prese i bagagli e pagò il taxi.
Pioveva. Si trascinò sopra i gradini dinanzi il palazzo e si riparò sotto la
pensillina. Guardò il citofono e notò il cognome che cercava. Fece un respiro
molto intenso e cercando di ritrovare le forze perdute, pigiò il pulsante.
Nessuna risposta. Continuò per altre dieci volte, ma nessuno rispondeva.
- Porca miseria. Non c’è nessuno. Ed ora cosa
faccio? - si chiese sedendosi sul gradino più alto. - La aspetto.
Dovrà pur tornare a casa. - pensò incrociando le braccia e guardando
il mare.
- Che stupida che sono stata! Perché non ho seguito il
mio cuore? Perché non sono corsa tra le braccia di Holly, perché? Per lei
che mi odia così tanto? Per mio padre che la difende senza preoccuparsi dei
miei sentimenti? - pensò correndo sotto la pioggia per raggiungere l’uscita
del policlinico. Si guardò intorno. Era sera e lei era sola in una grande
città. Aprì la sua borsa e frugò all’interno. Sul biglietto aereo aveva
scritto l’indirizzo di casa e aveva con se i doppioni della chiave del
portone e di casa che le aveva spedito suo padre insieme al biglietto aereo.
Non aveva abbastanza soldi per prendere un taxi. Continuò a guardarsi
intorno, poi vide il caratteristico cartello che indicava la presenza di una
stazione della metropolitana. Aveva freddo. Seppure a fine luglio, la
pioggia aveva rinfrescato l’aria. Scese di corsa le scale e si fermò
dinanzi la mappa della città con disegnate delle linee colorate. Ognuna di
essa contraddistingueva una linea della metropolitana. Individuò il suo
punto di origine e la linea che doveva prendere per scendere a Barceloneta.
Poi vide un box informazioni dove vendevano i biglietti del metrò.
Ne prese due pensando che uno potesse tornarle utile l’indomani.
Raggiunse la galleria appena in tempo per correre sul treno diretto a
Barceloneta. Era semi vuoto. Evidentemente la gente era già nelle località
turistiche oppure quella sera di pioggia aveva preferito non uscire di casa.
Si sedette vicina al finestrino e continuò a guardare fuori
come se potesse rimirare un bel paesaggio. Buio, c’era solo qualche spiraglio
di luce che illuminava le fermate del treno. Senza neppure accorgersene, le
lacrime cominciarono a scendere solcandole il volto provato dalle tante emozioni
di quel giorno. Voleva urlare per la disperazione o più semplicemente come atto
liberatorio. Il cuore tamburellava nel suo petto che si muoveva al ritmo del suo
respiro.
Aveva dimenticato di prendere i bagagli dall’accettazione.
Non le importava. Desiderava solo buttarsi su un letto e addormentarsi nella
speranza che la notte portasse via con se il sapore amaro di quella domenica.
Scese dal metro oramai spossata e con la sola forza di
inerzia, mosse i suoi passi verso la scala mobile che l’avrebbe riportata in
superficie. Prima di uscire, fermò una ragazza e le mostrò l’indirizzo. Si
trovava nei pressi di casa sua.
Appena fuori dal metrò, seguendo le istruzioni della
ragazza, terminò l’isolato e girò a sinistro. Doveva andare dritto per un
altro isolato e avrebbe trovato la via. La pioggia non era più battente ma
insisteva ancora. Girò per la strada indicatale e cominciò a leggere i numeri
civici in cerca del suo. Era buio e due lampioni erano fulminati. Un cane
randagio la seguiva senza abbaiare.
Vide il palazzo dove suo padre si era trasferito. Era
arrivata. Pochi passi la separavano da un meritato riposo. Fu percorsa da un
brivido lungo la schiena. Scorse un’ombra sulle scale dinanzi il portone. Era
troppo buio per poterne distinguere i lineamenti. Si strinse nel cardigan umido
e si passò una mano tra i capelli roridi. Quell’ombra sembrava fissarla. Si
alzò al suo incedere verso il portone. Erano uno di fronte all’altra. Una
macchina passò e li illuminò entrambi.
Parevano poter udire i battiti dei loro cuori. Avevano
entrambi il cuore in gola, non riuscivano a parlare. Di nuovo l’uno di fronte
all’altra, in circostanze diverse.
Holly era lì di fronte a lei. Esattamente come era corso in
aeroporto per cercare di fermarla, era saltato sul primo aereo e l’aveva
raggiunta. Continuava a guardarlo incredula senza riuscire a proferire alcuna
parola.
Patty. La sua dolcissima amica, la ragazza che aveva scoperto
di amare. Sembrava un pulcino bagnato, tremante e indifeso. Le poche luci della
via riuscivano a illuminarle lievemente il volto malinconico. Gli occhi
sembravano pulsare, erano lucidi. Non sapeva cosa fare. Vide una smorfia sul suo
volto, arricciò gli occhi e le lacrime sgorgarono da sole. Gli corse incontro e
con un lieve balzo fu tra le sue braccia.
Le circondò le spalle e la strinse forte a se. Tre anni
prima l’aveva abbracciata in maniera diversa ma già consapevole che avrebbe
imparato ad amarla più di ogni altra cosa.
- Mi dispiace Holly…io non volevo deluderti! Desideravo
mantenere la mia promessa, mi dispiace! - gli disse tra i singhiozzi.
- Sssttt. Non dir nulla. Non devi rimproverarti niente. -
- Quando….quando tornerai in Giappone, io non ci sarò
ad aspettarti! -
- Non m’importa nulla della promessa….
- Tu hai mantenuto la tua: sei diventato un calciatore
professionista! - esclamò guardandolo con espressione imprecante. Sul volto
di Holly apparve un tenero sorriso pieno di affetto per la ragazza che
amava. Era dispiaciuta al punto tale da disperarsi.
- Mi dispiace Holly non averti detto che mi sarei
trasferita qui…mi dispiace per non….esserti stato accanto…quando hai
alzato la coppa…
- Non mi importa nulla Patty! - le disse con tono
amorevole.
- Non sei arrabbiato con me? - chiese lei incredula.
- E perché dovrei? I ragazzi mi hanno detto delle
difficoltà che hai avuto per venire a Parigi. -
- Volevo vederti! - rispose continuando a fissarlo negli
occhi. Quelle parole sincere le erano uscite dal cuore. Le accarezzò il
volto cercando di spazzare via le lacrime.
- Anch’io volevo vederti, non resistevo più. Mi sei
mancata Patty, ogni qual volta mi giravo, speravo di poterti vedere lì,
accanto a me. -
- Holly, io…non ho fatto altro che pensare a te! -. Era
il momento della verità in cui tutti i loro segreti e desideri più
nascosti sarebbero venuti alla luce.
- Lo so, ho sempre avvertito la tua presenza al mio
fianco. Mi bastava pensarti per sentirti vicina. Ho pensato e ripensato a
cosa mi stesse succedendo. Da quando sono partito per il Brasile, il mio
cuore non ha fatto che battere al solo pensarti. Mi dispiace per averti
fatta soffrire, aver temporeggiato tanto, ma credimi, non me ne rendevo
conto. Quando stavo per partire, sono corso da te perché volevo
abbracciarti un’ultima volta, desideravo che condividessi il mio desiderio
di diventare calciatore professionista. -
- Hai sempre potuto contare su di me. Ed io, ho sempre
creduto che tu potessi realizzare il tuo sogno. - disse a Holly cercando di
non fargli pesare troppo le sue responsabilità.
- Se ci sono riuscito, Patty, è perché sapevo che eri
con me in quest’avventura. Tu mi hai dato la forza per continuare anche
nei momenti peggiori, proprio quando mi infortunavo e tu eri lì a prenderti
cura di me. Anche se sembrava così, io ho sempre apprezzato molto quello
che hai fatto per me. Non ho mai avuto il coraggio per ringraziarti. -
- Holly…io l’ho fatto con piacere. Desideravo essere
al tuo fianco, anche se tu non ti accorgevi di me! - rispose schietta col
cuore palpitante d’amore.
- Lo so Patty e ti ringrazio. Tu sei la mia fortuna. E’
a te che dedico il trofeo che oggi ho potuto alzare al cielo, alla ragazza
più splendida che ci sia, alla ragazza di cui mi sono pazzamente
innamorato. -. Patty non credeva alle sue orecchie. Le aveva detto
nuovamente di amarla. Non aveva sentito male all’aeroporto.
- E’ un sogno che si avvera. -
- Tu sei il mio sogno, un sogno da cui non voglio
risvegliarmi. Ti amo Patty, più della mia stessa vita. -
- Ti ho sempre voluto bene Holly e ti amerò per sempre, se tu lo vorrai. -
gli disse con il volto trepidante di emozione. Avvicinò le sue labbra a quelle
della ragazza sfiorandole dolcemente, poi un bacio passionale e un altro ancora
più lungo che finalmente li stava unendo nel loro amore. La pioggia continuava
a scendere copiosa ma a loro non importava. |
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Capitolo 8 *** Sempre e solo tu ***
CAPITOLO 8
Sempre e solo tu
La pioggia continuava a intingere la città di tonalità
argentate e l’aria di fine luglio era particolarmente fresca. Holly e Patty
erano ancora stretti l’uno nelle braccia dell’altra per poter fissare
indelebilmente nella loro mente, ogni singolo istante di quell’attimo di amore
che stavano vivendo.
- Patty stai tremando. Sei completamente fradicia. - le
disse Holly mettendole le mani sulle spalle. - Dammi le chiavi, ti porto su.
-. Senza neppure controbattere, la ragazza afferrò la chiave del portone e
di casa e seguì l’amato per le scale. Nonostante la stanchezza e la
debolezza, Patty non distoglieva gli occhi da quel giovane di cui era tanto
innamorata. Non aveva avuto il tempo di constatare quanto fosse cambiato il
suo fisico. In tre anni, le spalle erano diventate più larghe e il torace
muscoloso, frutto di allenamenti duri e di molto nuoto. Era diventato più
alto, ma nonostante tutti quei cambiamenti, il suo viso era sempre quello di
un cucciolo, quegli occhi scuri che l’avevano tanto affascinata, ma
soprattutto, gli anni non avevano per nulla smussato la sua dolcezza.
Aprì la porta e cercò un interruttore appoggiando la mano
sul muro. Si voltò verso Patty. Afferrò le sue valigie e le portò all’interno
della casa, poi prese per mano la sua Patty e con un cenno del capo la invitò
ad entrare.
L’ingresso era molto ampio e dava accesso alle stanze dell’appartamento.
Silenziosamente, perlustrarono la casa andando prima a sinistra. Holly premette
l’interruttore e le luci dei faretti illuminarono un corridoio con quattro
porte. Le aprirono una dopo l’altra scoprendo prima la sala da bagno, poi la
camera matrimoniale, la stanza degli ospiti e l’ultima, era la camera
destinata a Patty. Non avevano dovuto intuirlo perché appesa alla maniglia c’era
una targhetta ricamata dalla ragazza tempo prima, che riportava il suo nome. Suo
padre doveva averla messa lì proprio per indicarle la stanza. Quando Holly ebbe
aperto la porta della stanza, entrambi rimasero allibiti.
L’armadio si trovava sulla stessa parete della porta, il
letto da un lato e di fronte uno scrittoio con la sua poltroncina. Al centro
della stanza erano stati raggruppati tutti i suoi cartoni; sulla branda c’era
un nudo materasso privo di lenzuola. Tutte le stanze che avevano visto fino a
quel momento, erano state arredate con gusto. Holly le strinse più forte la
mano e la portò via.
- Vieni, andiamo in cucina. Ti preparo un the e ti fai
una doccia calda altrimenti ti verrà un febbrone. - le disse accarezzandole
il volto premurosamente. Lei annuì incapace di parlare. Alison non le aveva
neppure sistemato la roba tanto era stata impegnata ad odiarla. Ma perché
provava tanto risentimento nei suoi confronti?
Ritornarono nell’ingresso. Frontale alla porta c’era un
grande arco che conduceva ad un salone doppio con all’interno un angolo pranzo
sistemato su una pedana. Una porta chiusa invece conduceva allo studio del
padre. Ritornarono per la seconda volta all’ingresso e stavolta varcarono il
disimpegno a destra dell’uscio. Trovarono subito una seconda sala da bagno e
senza pensarci due volte, Holly entrò ed aprì il rubinetto dell’acqua calda
all’interno della doccia. Prese un accappatoio appeso vicino il mobiletto e lo
diede a Patty.
- Una doccia calda ti farà bene. -. Lei annuì senza
proferire parola. Le sembrava tutto così irreale. Holly, il suo Holly che
si prendeva teneramente cura di lei.
Invitata dal getto d’acqua calda, si svestì velocemente e
dopo pochi istanti fu inondata da miriadi di goccioline calde.
Holly intanto, sembrava aver preso possesso della cucina. Era
una stanza molto ampia con i mobili suddivisi in due pareti e il tavolo con le
sedie centrale. Constatò che si trattava di una casa molto bella, curata nei
minimi particolari anche se non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale la
stanza di Patty non fosse stata sistemata. Gli abiti. Patty sarebbe uscita in
accappatoio dal bagno. Arrossì al solo pensiero di poterla vedere cinta solo da
quel morbido telo di spugna. Era bellissima. Non l’aveva mai vista così bella
e lui si sentiva il ragazzo più fortunato della terra. Ed anche il più
stupido. Come aveva fatto a perdere tanto tempo dietro il pallone? Lei era
sempre stata a soli due passi da lui, stretta al suo fianco disposta ad aiutarlo
in ogni momento. E lui era corso inevitabilmente dietro quella sfera che tanto l’aveva
fatto sognare e che a soli diciotto anni l’aveva consacrato come uno degli
astri nascenti del calcio.
Cercò un bollitore per il the aprendo gli sportelli. Quando
lo trovò, lo riempì d’acqua e lo mise sulla cucina. Aprì nuovamente gli
sportelli per cercare il the e lo zucchero e poi le tazze per loro. Lui che
preparava il the per la sua Patty. Era sempre stata lei ad occuparsi di lui. Ma
adesso le cose erano cambiate. Aveva avvertito la sua fragilità, le sue lacrime
avevan parlato chiaro. Solo lui poteva darle il conforto di cui necessitava, le
avrebbe dato tutto l’amore che in quegli anni aveva maturato solo per lei.
Perso tra i suoi pensieri, si destò solo quando udì il rumore del phon acceso.
Si stava asciugando i capelli. Sorrise. Afferrò un vassoio che aveva trovato,
dispose le tazze e la zuccheriera e versò il the. Elevò il vassoio e lo portò
nel salone appoggiandolo sul tavolino sistemato tra i due divani disposti ad
elle.
La stanza era fievolmente illuminata da un lume appeso nella
sala da pranzo. Gli piaceva quell’atmosfera estremamente soft. Si avvicinò
alla finestra e scostò le tende. Non pioveva più. Doveva pensare a dove andare
a dormire quella notte. Era stremato anche se non lo dava a vedere. Le
interminabili ore in aeroporto a San Paolo, il viaggio aereo fino a Parigi, la
partita e poi la corsa per Barcellona. Cosa si faceva per amore. Com’era
cambiato in quell’ultimo periodo.
Non la udì arrivare. Sentì solo le sue braccia cingergli la
vita. Avvertì un fremito che gli attraversò la schiena. Lei era lì, poteva
sentirne il profumo fiorito, il calore della sua pelle avvolto nella morbida
spugna. Si liberò dall’abbraccio e la guardò. Sembrava fragile e indifesa,
ma era stupenda e regale nella sua semplicità. Non riusciva a toglierle gli
occhi di dosso. Anni e anni in cui l’aveva ignorata e adesso era a pochi passi
da lui, raggiante in tutto il suo splendore.
- Ehy, piccola. Cosa c’è? - le chiese Holly dolcemente
prendendole il viso tra le mani. - Perché piangi? -
- Non capisco…perché mi odia tanto? -
- Di cosa parli? -
- Alison! E’ per lei che sono tornata con urgenza
abbandonando te. -
- Ma ora sono qui e non ho intenzione di lasciarti. -
- Sì ma…ma ho rischiato di rovinare tutto. Se tu non
fossi ….
- Tesoro, non importa quello che è successo…sapevo che
c’era qualcosa che non andava bene. L’ho sognato. -
- Sognato? - chiese perplessa.
- Sì. Ti ricordi quando ti ho telefonato prima della tua
partenza per Parigi? -
- Sì. -
- E’ successo poco prima. Ti vedevo sulla spiaggia dove
solitamente andavo a correre. Ero così felice di vederti che ti correvo
incontro. Ma tu eri sfuggente e alla fine del sogno mi dicevi che dovevi
andar via. Ti perdevo, nel sogno. E’ per questo che ti ho chiamata. Volevo
assicurarmi che tu ci fossi ancora, che volessi aspettarmi. -
- Se mi avessi detto che saresti tornato tra dieci anni,
ti avrei aspettato lo stesso, Holly. -
- Amore mio, vieni qui. - le disse abbracciandola, -
Ancora non ci credo che finalmente, io e te….-
- Ho rischiato di perderti ancora una volta per correre
dalla mia matrigna. -
- Hai fatto quello che dovevi fare Patty. -
- Mio padre era disperato. Aveva bisogno di me ed io…non
potevo lasciarlo qui da solo. - disse allarmata.
- Non devi giustificarti, ti capisco. - le disse cercando
di calmarla.
- Holly, credimi: non c’era cosa che più desideravo di
più che riabbracciarti. E’ per te che sono corsa a Parigi nonostante le
obiezioni della mia famiglia. Io dovevo esserci. Quando è arrivata la
telefonata di papà, il mondo mi è crollato addosso. Sono corsa qui
sperando di poter essere almeno di aiuto e invece? Quando sono andata in
ospedale, Alison mi ha trattato come la peggiore delle sguattere, si è
sentita male, serviva una trasfusione ed io mi sono offerta. Nonostante
tutto, neppure un grazie. E mio padre? L’ha difesa fino alla fine mentre
io non solo perdevo la mia famiglia, ma soprattutto pensavo di aver perso
te. - disse in preda all’eccitazione e al dolore.
- Patty, adesso calmati. Amy, Jenny e gli altri mi hanno
spiegato perché stavi venendo qui. Non devi discolparti per essere andata
via all’improvviso. Anzi, ho apprezzato tantissimo il tuo gesto. E quando
ti ho vista all’aeroporto, ho letto la disperazione nei tuoi occhi. E’
stato l’amore che provi per me a spingermi a saltare sul primo aereo e a
raggiungerti. Adesso non devi più temere di perdermi, perché io sono qui e
ci resterò. -
- Ma…la tua carriera.-
- In Brasile sono stato contattato da due club spagnoli.
Quando i ragazzi mi hanno detto dov’eri diretta, ho deciso dove sarei
andato a giocare per i prossimi quattro anni. Barcellona. Giocherò nel
grande Barça, una delle più note squadre europee. -
- Vuoi dire che non dovrai tornare in Brasile o in un
altro stato? - le chiese radiosa in volto ed incredula per quanto aveva
appena udito. La prese per la vita e la sollevò facendola volteggiare come
una farfalla.
- No amore. Resterò qui con te, se tu lo vorrai. -
- Sì che lo voglio, Holly, più di qualsiasi cosa al
mondo. - gli disse baciandolo. Tutto era spontaneo tra di loro. Prima un
bacio dolce, poi un altro ed un altro ancora sempre più passionale fino a
che abbracciati non caddero sul divano. Holly era sopra di lei: la guardò.
Sembrava una bambola di porcellana. I capelli scuri erano sparsi sul divano
di pelle color cammello. Nell’ovale niveo brillavano intensamente i suoi
occhi color nocciola. Con un dito le sfiorò le labbra carnose di un rosso
rubino.
- Patty forse…è ora che io vada. - le disse
imbarazzato.
- Resta con me, ti prego, non andare via. -. Quelle
parole risuonarono nella sua mente. Sembrava un grido di aiuto. Ad invocarle
era la sua donna, colei che amava. Continuò a disegnare nella sua mente le
forme perfette del suo corpo.
L’accappatoio, leggermente aperto, lasciava intravedere le
lunghe gambe snelle e più su, l’attaccatura dei seni. Holly chiuse gli occhi
al sol pensiero di quello che stava per accadere. Lo desiderava ardentemente
esattamente come lei. Patty alzò una mano e prese ad accarezzargli il volto con
delicatezza. Le afferrò la mano e se la portò alle labbra baciandola
ripetutamente. La prese in braccio e dopo pochi istanti si ritrovarono sul letto
nella camera degli ospiti.
Avvicinò il suo volto a quello della ragazza e riprese a
baciarlo lentamente fino a scendere sul collo. Con leggerezza spostò il
colletto dell’accappatoio e le sue labbra si posarono sulla spalla. Patty, in
preda all’eccitazione continuava ad accarezzargli l’ampia schiena. Sussultò
quando la mano del ragazzo cercò lentamente i seni nudi accarezzandoli quasi
con timidezza. Gli sorrise e lo attirò a se per un altro bacio. Con un gesto
rapido Holly si svestì e trascinati da un’incontenibile passione, quella sera
si unirono in un unico corpo vivendo intensamente il primo giorno della loro
lunga storia d’amore.
Il sole filtrava dalle persiane quasi dispettoso. Holly
strizzò le palpebre e le riaprì più volte cercando di capire dove si
trovasse. Si mosse appena e sorrise quando la vide. Era bellissima. Rannicchiata
sul suo petto nudo sembrava una creatura angelica. I capelli erano sparsi qua e
là lungo il volto intinto di raggi dorati. La baciò sulla fronte felice di
essersi risvegliato con lei accanto. Com’erano cambiate le cose in cos poche
ore. Fino al giorno prima, entrambi non pensavano che sarebbe successo. Invece
si stava risvegliando con lei accanto. Sorrise pensando che finalmente il
fantasma di un Holly tanto imbranato in amore, era scomparso per lasciar vita
invece ad un ragazzo pieno di sentimenti e passione.
Patty aprì gli occhi incrociando quelli di lui. Arrossì
leggermente. Erano nello stesso letto; i loro corpi nudi sembravano recitare
ancora la passione che li aveva avvolti quella notte.
- Buongiorno amore mio. - le disse sorridendole.
- Dimmi che non è un sogno…che sei davvero qui con me!
No, non svegliarmi. Desidero che questo sogno non finisca mai. -
- Non stai sognando. Siamo qui, io e te. Stretti l’uno
all’altra. - le sussurrò.
- Holly. -
- Sì. -
- Ti amo. - gli disse sinceramente mentre il cuore le
batteva forte in petto.
- Patty. -
- Sì. -
- Ti amo. - le disse sorridendo. Scoppiarono in una
risata gioiosa mentre dal salone giungeva il suono del telefono. Si
guardarono in volto indecisi sul da farsi. Afferrò l’accappatoio e corse
verso il salone dove la sera prima aveva visto il telefono.
- Vado a farmi una doccia. - le urlò.
- Pronto? - rispose affannata dalla corsa.
- Patty! - esclamò la voce dall’altra parte del
telefono. La riconobbe subito e un velo di tristezza scese su di lei. Quella
voce la riportò alla realtà spezzando l’incantesimo che si era creato la
sera prima.
- Come stai? - chiese George alla figlia. Il suo tono era
sommesso quasi di scuse nei confronti di quella figlia da lui tanto
trascurata il giorno prima.
- Come sta lei? - chiese a sua volta evitando di
rispondere al padre.
- Ha trascorso una notte tranquilla. I valori sembra che
si stiano stabilizzando. Se procede così, potrebbero anche non dover
interrompere la gravidanza. Tuttavia dovrebbe rimanere in ospedale per i
prossimi due mesi, per essere monitorata continuamente e soccorsa in caso di
necessità. -
- Perché me lo dici così, tutto d’un fiato? Pensi
forse che io possa essere felice perché deve restare in ospedale per altri
due mesi? - gli chiese freddamente senza alterare il suo tono di voce.
- Patty, per favore, cercate di non ricominciare a
litigare. La dottoressa Ramirez mi ha detto che mentre io riposavo, ti sei
offerta per donare il sangue a Alison. E’ stato un gesto molto nobile, il
tuo. -
- L’avrei fatto per qualunque altra persona. Spiegalo
alla tua principessa, soprattutto sapendo che ne va della vita di un
bambino. Lei non fa altro che attaccarmi, lo ha fatto anche ieri in presenza
dei medici. Non ha gradito molto la mia presenza e questo mi ha ferita. D’altronde,
la riprova di non essere gradita l’ho trovata a casa. -
- Patty, ti prego, non fare la bambina! -
- Cosa? Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? -
urlò irritata dalle parole pronunciate dal padre. - Sono saltata sul primo
aereo per correre qui da voi e per l’ennesima volta tua moglie mi rifiuta
incitandomi ad andar via. Arrivo a casa stremata e cosa trovo? L’unica
stanza non sistemata, con i pacchi ancora sigillati è la mia. Cosa dovrei
pensare? Che non volevate sistemarmi la roba perché sono troppo gelosa
delle mie cose? - continuò senza interrompersi.
- Non essere frettolosa. Ci sarà sicuramente una
spiegazione. -
- Smettila di difenderla. Vuoi rendertene conto? Quale
spiegazione vuoi che ci sia a quest’ultimo gesto? Era forse più
importante sistemare la camera degli ospiti che quella di tua figlia? - gli
chiese sperando in una possibile spiegazione che in qualche modo potesse
lenire quel suo rancore nei confronti della matrigna che pian piano stava
prendendo forma dentro di lei.
- Ne parliamo più tardi, quando vengo a casa. -
- Non hai una risposta, vero? Non aver fretta di tornare
a casa papà. Non sono io che ho bisogno di te. -
- Patty smettila. - le disse ammonendola.
- Non sai dirmi altro. Tutto qui? -
- Non mi piace l’idea che tu sia sola in una città che
non conosci. -
- Non è la prima volta che mi allontano da te e d’altronde,
sono stata sempre sola, anche nella stessa città. -. George tacque a quelle
parole. Era la mera verità. Sua figlia aveva sempre ragione. Costantemente
in viaggio per il suo lavoro, George aveva trascurato Patty e nonostante
questo, si era dimostrata una ragazza piena di qualità, studiosa e
soprattutto ben proiettata nel mondo degli adulti. Non era più una bambina.
Era una donna che voleva la sua indipendenza e che finalmente aveva trovato
il coraggio di metterlo contro uno specchio a confronto con la realtà.
- Se ti può far star meglio, non sono sola. -
- Che vuoi dire? - chiese allarmato. Patty deglutì. Si
sarebbe risparmiata i particolari ma gli avrebbe detto che Holly era lì. In
fondo era anche giusto tranquillizzarlo che non era sola.
- Holly è qui. Mi ha raggiunta da Parigi. -. George
azzittì. Non c’era bisogno di chiarimenti o interpretazioni della frase
della figlia. Oliver Hutton. La promessa del calcio internazionale
innamorato di sua figlia a tal punto da inseguirla per mezzo mondo. Holly
non aveva esitato un solo attimo a saltare sul primo aereo per correre da
lei. Lui invece, il giorno prima si era dimenticato anche di chiederle come
stesse e l’aveva rimproverata di negligenza nei confronti della moglie.
Stava sbagliando tutto con sua figlia. A cosa sarebbe andato incontro.
- Tu…stai bene? - le chiese non sapendo cosa dire.
Stava sudando freddo. Non voleva essere diretto, ma voleva sapere da Patty
se lei e Holly avessero passato la notte insieme.
- Cosa vuoi sapere papà? - gli chiese mentre le lacrime
le salivano agli occhi. Il petto si sollevava al palpitare del suo cuore.
Stava tremando. Non temeva di dire la verità a suo padre ma il suo
giudizio. Per lui era sempre stata la figlia perfetta, quasi priva di
difetti, diligente e obbediente alla matrigna.
Holly la guardava mentre appoggiata al bracciolo del divano,
tratteneva la cornetta con ambedue le mani. Era una sua decisione. Doveva essere
lei a parlare al signor Gatsby. Se l’avesse accusata di qualcosa, lui sarebbe
stato pronto a difenderla ad ogni costo: ne era consapevole.
- Patty, stai piangendo? - le domandò George eludendo un’altra
domanda che avrebbe solo inasprito i toni di quella conversazione.
Dimenticava che sua figlia non era più una bambina e che ora aveva anche un
fidanzato.
- Sì. - ammise mentre le lacrime scendevano lungo le
gote.
- Perché? Ti ha fatto forse qualcosa…
- No. Holly è la persona migliore che io conosca ed io
ne sono…innamorata! - ammise cercando di frenare i singhiozzi. Suo padre
tacque. Era la persona migliore che sua figlia conosceva. Quelle parole
risuonavano dure nella sua mente. Oliver Hutton aveva preso il suo posto nel
cuore di Patty. Inevitabilmente, dovette ammettere che per quanto fosse
stato lontano negli ultimi tre anni, Holly le era stato più vicino di
quanto invece non avesse fatto lui. Era sempre stato nel cuore e nella mente
di sua figlia e adesso le era accanto.
- Mi dispiace averti fatto tante domande…scusami,
dimentico che ora sei una donna. Ma non mi piace sentirti piangere. -
- Pensi che a me piaccia? Se piango papà, è perché
sono triste per questa situazione che si è creata. Tu saresti felice
sapendo che non sei desiderato da qualcuno con il quale devi convivere? -.
La domanda era stata sufficientemente diretta per scagliarsi come una
freccia dritta nel cuore di George. Come doveva comportarsi? Chi doveva
spalleggiare in questa guerra tra madre e figlia? Avrebbe dovuto parlare con
Alison e chiarire un po’ di cose.
- Okay, parlerò con Alison e cercherò di comprendere il
perché dei suoi comportamenti nei tuoi confronti. -
- Questo non cambierà quello che ho detto ieri! -
rispose determinata. Sapeva a cosa si riferiva. - Resterò qui a Barcellona,
non andrò a studiare negli Stati Uniti, ma deciderò io il mio corso di
laurea e al più presto mi troverò un altro alloggio. -
- Non essere affrettata. Vorrei che ci pensassi. -
- Ci penserò infatti, ma sappiate, tu ed Alison che
intendo procedere così. - ribadì seccamente confermando quelle che erano
state le sue ultime parole al padre il giorno prima.
- Devo andare, il medico mi sta chiamando. -. Patty
tacque. Era indecisa sul da farsi. Sapeva benissimo che suo padre era
stremato, che probabilmente doveva andare a lavorare, che non aveva dormito
granché e che aveva assolutamente bisogno di una doccia. Era suo padre e
lei nutriva un profondo affetto nei suoi confronti.
- Senti…potrei venirti a dare il cambio. Così ti
riposi e rinfreschi. Mi terrò alla larga da Alison, ma se necessario, io
sarò lì. -. George non sapeva cosa dire. Si aspettava una simile proposta
da sua figlia. Era abituata ad attaccare nelle discussioni, ma alla fine,
per il quieto vivere familiare, chinava il capo e si prestava ad essere
utile in diverse occasioni.
- Non so se è una buona idea. -
- Non preoccuparti. Cercherò di non litigare con lei. -
aggiunse sospirando.
- Se è come tu dici, spero che prima o poi, lei possa
apprezzare i tuoi sforzi. -
- Non lo faccio per lei, ma per te e per il bambino. -
- D’accordo. Ti aspetto. -
- Papà! -
- Sì. -
- Ti voglio bene. -. George tacque. Sapeva che erano
parole sincere e ricche di significato. Aveva il cuore gonfio di lacrime, un
urlo che voleva uscire dalla sua gola impedito da un nodo, un desiderio
immane di correre via verso la libertà. Erano state ore molto dure ed
intense per lui. Il precoce ricovero di Alison era stato l’ultimo tassello
ad un periodo ansioso e fortemente stressante per lui. Aveva chiesto aiuto a
sua figlia e lei era corsa da lui senza pensarci due volte. Purtroppo però,
il rapporto tra Alison e Patty restava la sua spina nel fianco. Fino a che
non sarebbero andate d’accordo, lui non sarebbe stato sereno. Amava molto
sua figlia e non poteva che apprezzare quello che stava facendo per lui e la
matrigna.
Non attese che il padre rispondesse: riattaccò e rimase a
fissare il telefono. Stava pensando a cosa avrebbe fatto. Holly continuava a
guardarla. Non sapeva se disturbarla o meno. Poi decise. Le si avvicinò e la
stinse tra le sue braccia. Patty accoccolò il capo sul suo petto, stringendosi
a lui ancor più forte, per il timore che potesse andar via.
- Devo andare da loro. - gli disse con voce flebile.
- Lo so. E’ la cosa giusta, Patty. Hai preso la
decisione migliore. -
- Spero di sì. E tu cosa farai? - chiese guardandolo in
volto. Com’era bello il suo Holly. La carnagione abbronzata dal sole
carioca, il suo fisico scolpito dagli allenamenti.
- Devo chiamare Roberto. In qualità di mio procuratore,
deve formalizzare il mio passaggio al Barcellona. Dovrebbe trovarsi ancora a
Parigi. E dovrei anche contattare i ragazzi e mia madre. -
- E’ vero, presi com’eravamo da noi, ho dimenticato
di chiamare Amy e Jenny. - aggiunse andando nella sua stanza.
Rovistando nei cartoni ancora sigillati, Patty recuperò un
paio di pantaloni larghi in lino di colore azzurro ed una maglietta bianca. Dopo
essersi fatta una doccia, si vestì e si pettinò. Si sentiva più rilassata
adesso. Holly era con lei e avrebbe firmato presto un contratto con il
Barcellona. Suo padre aveva intuito quello che era successo tra lei e Holly ed
era consapevole dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra. L’unico
neo rimaneva Alison. Aveva deciso di andare da lei per sostenere ancora una
volta il padre. Non poteva esimersi da quel dovere. Uscì dalla stanza e
raggiunse Holly in cucina.
- Ho preparato la colazione. - le disse spostando la
sedia per lei. Era irriconoscibile. Dov’era finito il ragazzo timido ed
impacciato che ricordava lei? Patty guardò la tavola imbandita di tutto
quello che il suo capitano aveva reperito nella dispensa di Alison.
- Non è un miraggio, vero? -
- Affatto. Accomodati. -
- Holly, sei tu o qualcuno ti ha fatto un rito di magia
nera? - gli chiese sedendosi e non distogliendo lo sguardo da lui.
- Certo che sono io. Perché mi fai questa domanda? - le
domandò sorseggiando del latte col caffè.
- Perché ti ricordavo diverso! Insomma, fino a tre anni
fa vedevi solo il pallone. Adesso…-
Il ragazzo abbassò lo sguardo e sorrise. Poi la fissò.
Patty arrossì. Le succedeva ancora. Quel ragazzo riusciva ad imbarazzarla,
soprattutto quando la guardava.
- Ho avuto paura di perderti. E’ per questo che sono
cambiato. Una vita non mi basterà per chiederti scusa per tutte quelle
volte che mi sono comportato come uno sciocco ignorando completamente i tuoi
sentimenti. Desidero porre rimedio a tutti i miei errori. Sono innamorato di
te e desidero condividere con te ogni attimo della mia vita. - aggiunse
allungando un braccio verso di lei. Patty gli sorrideva. Il cuore batteva
forte per lui, per quel giovane che con tanta perseveranza aveva amato e
avrebbe amato per il resto della sua vita. Afferrò la sua mano e se la
portò alle labbra.
- Anch’io ti amo, Holly e, sarò onorata di restarti
accanto. -.
- Adesso muoviamoci a fare colazione. O arriveremo tardi
ai nostri appuntamenti. -
- Già. Hai chiamato Roberto? -
- Sì, ha accompagnato i ragazzi in aeroporto questa
mattina alle sette. Dovrebbe essere già in volo da un quarto d’ora. Mi
chiamerà non appena arriverà in aeroporto e ci daremo appuntamento. Quindi
tesoro, se a te non dispiace, ti accompagno in ospedale. -
- Speravo me lo chiedessi. -. Terminarono la colazione
con ritrovata allegria. Per distrarla da pensieri malinconici cominciò a
raccontarle di alcune sue avventure comiche trascorse in Brasile. Il
comportamento della ragazza era immutato: esattamente come negli anni
precedenti, continuava ad ascoltare Holly catturata quasi magneticamente dal
suo sguardo. Non avevano parlato della notte trascorsa insieme, consapevoli
che si era trattato di un atto d’amore voluto da entrambi. Non volevano
dimenticare quello che era successo, ma era ancora troppo imbarazzante
parlarne. Era una situazione ancora alquanto inverosimile per loro, tanto da
non rendersi conto di quanto in poche ore, il loro rapporto fosse cresciuto
e mutato al tempo stesso.
Poco dopo, quando uscirono in strada avviati verso la
stazione del metrò, Patty ebbe un tuffo al cuore. Lui le aveva sfiorato la mano
e aveva intrecciato le dita con le sue. Le sembrava di vivere in un sogno dove
tutti i suoi desideri parevano realizzarsi. Holly la guardò avendo ben compreso
il suo iniziale disagio.
- Tutto bene? - le domandò.
- Eh…certo…è che..mi sembra tutto così strano. -
disse sinceramente imbarazzata. Lui si fermò e le prese il volto tra le
mani. Posò delicatamente le sue labbra su quelle della ragazza.
- Sai qual è una delle cose che più apprezzo di te? La
tua sincerità e la semplicità che hai sempre avuto. Di te ho sempre avuto
questo bellissimo ricordo, la persona che più di tutte mi era accanto,
quella di cui fidarmi. Quella di cui mi sono innamorato e con cui voglio
continuare questo cammino. -
- Grazie Holly. E’ che sei così cambiato che mi sembri
quasi irreale! Insomma, io ti ricordavo come il ragazzo timido ed impedito,
quello a cui dovevo correre dietro, che non capiva i miei sentimenti…-.
Holly la baciò ancora una volta ma con trasporto e passione e lei, non
potette che cedere a quell’emozione.
- Questa notte, ho provato delle sensazioni bellissime.
Ho amato intensamente la donna che spero vorrà condividere insieme il mio
futuro. E questa mattina, quando mi sono svegliato, mi sono reso conto di
essere il ragazzo più felice della terra perché ho trovato te accanto a
me. -. Lei si gettò tra le braccia sorridente.
- Sono io la ragazza più fortunata perché ho te. Sono
innamorata del ragazzo più straordinario che ci sia e…Holly, è tale la
mia felicità nell’averti accanto, che non riesco ad esprimerla come
vorrei…ieri pomeriggio ero così sfiduciata e demoralizzata che ho sentito
il mondo crollarmi addosso. Proprio come tre anni fa. Tu sei apparso all’improvviso
per un ultimo abbraccio. Così ieri sei ricomparso nella mia vita. Quando
sono sull’orlo del baratro, tu ci sei ed io ti ringrazio, amore mio. - gli
disse stringendosi ancora di più al suo petto. Le mise una mano sui capelli
e cominciò ad accarezzarglieli delicatamente.
- Qualcuno disse che in amore non si deve mai dire
grazie. Patty, viviamo questo rapporto cercando di recuperare il tempo che
abbiamo perduto. Io voglio stare con te e so che condividi questo mio
desiderio. Vedrai, se saremo uniti, insieme costruiremo un futuro
meraviglioso. -
- Non ti lascio più Holly. Ora che ci sei, non voglio che tu vada via. -.
Lui rise di cuore e dopo averla baciata ancora una volta, ripresero a camminare
mano nella mano verso la stazione della metropolitana. |
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Capitolo 9 *** La strada della speranza ***
CAPITOLO 9
La strada della speranza
Era fermo lì, a guardare oltre quei vetri che si
affacciavano sul cortile dell’ospedale. Era incredibile come a quell’ora del
mattino ci fosse tanto movimento in una struttura sanitaria. Vedeva medici e
paramedici camminare in un andirivieni continuo da un reparto all’altro,
pazienti passeggiare e visitatori correre qua e là in cerca del loro degente.
Vide una ragazza incamminarsi lungo il viale. Pensò alla sua Patty, alla
telefonata che c’era stata tra di loro, a quello che le aveva detto. Guardò
il cielo terso e limpido dopo la pioggia copiosa del giorno prima. Sospirò. Sua
figlia, non più una bambina a cui badare, ma una donna indipendente che aveva
trascorso una notte d’amore con il ragazzo che amava.
Sorrise pensando a Holly, a quello che ricordava essere un
ragazzino imbranato che rincorreva quasi spasmodicamente una sfera bianca e
nera. E lei, la sua piccola Patty, che lo inseguiva ovunque lui andasse per il
solo piacere di stargli accanto, di poter vivere quella sua amicizia che adesso
era sfociata in un meraviglioso amore.
L’aveva rincorsa per mezzo mondo pur di raggiungerla. Come
avrebbe potuto obiettare di fronte alla sincerità di sua figlia e al coraggio
di Holly? Il loro rapporto era esemplare: stavano cercando di coronare un sogno
che da anni perseguivano. Aveva mille voci in testa. Erano diventati un uomo e
una donna che desideravano solo la felicità reciproca.
Prese il suo portafoglio e ne estrasse una fotografia.
Sarah. Sorrise ancora una volta nel ricordo della prima
moglie. L’aveva fatto anche lui. L’aveva conosciuta a Parigi e se ne era
subito innamorato. Era tornato da lei dopo qualche mese per chiederle di
sposarlo.
- Sarah. Sai, ancora ti penso. Non l’ho mai detto a
Patty per non farla sentire sola. Tanto meno a Alison con la quale vivo
serenamente. Non ti ho mai dimenticata, tu lo sai. E quando per lavoro, in
questi anni, mi sono recato a Parigi, sono andato sempre lì. Ho salito la
gradinata di Montmartre che conduce alla chiesa del Sacre Coeur e mi sono
affacciato alla ringhiera. E’ lì che ti ho vista la prima volta. E’ lì
che mi sono innamorato di te e che ti ho chiesto come mia sposa. Sai Sarah,
Patty ti somiglia ogni giorno di più. A volte scambio la sua irruenza con
la tua evanescenza. Sta vivendo un sogno d’amore. Come potrei
impedirglielo? Non mi sento di farle prediche o paternali. Di fronte alla
necessità ha abbandonato tutto per correre in mio aiuto. Ha vinto lei anche
questa volta. Tu le hai donato il carisma e la volontà per prefiggersi e
realizzare i suoi desideri.
- Alison non sta bene. Abbiamo concepito un figlio che
forse non nascerà. Mi dispiace per Alison, soprattutto. Sarebbe la seconda
volta, non è giusto che non riesca a realizzare il suo desiderio di
maternità. Mi dispiace per me stesso, perché avere un altro figlio, mi
emoziona come la prima volta. E sono preoccupato per Patty e per il rapporto
che ha con Alison. Lei non ti sostituirà mai con nessuno, fosse anche la
migliore donna del mondo. Vive ancora nel tuo ricordo, e non posso
impedirglielo. Tuttavia, mi rendo conto che Alison non ha mai fatto nulla
per costruire un rapporto con lei. Dati i miei impegni, fino ad ora non ho
mai trascorso tanto tempo con loro e mi rendo conto di aver trascurato fin
troppo la famiglia. Ma adesso desidero recuperare il tempo perduto, per
Patty e per il bambino che nascerà. - pensò riponendo la fotografia
nel portafoglio. Una lacrima gli solcò il viso.
Sentì aprire la porta della stanza in cui riposava Alison e
vide la dottoressa uscire con una cartella tra le mani. La fermò per avere dei
ragguagli sulla situazione e fu sollevato quando le disse che aveva trascorso la
notte in maniera tranquilla e che era ottimista.
Rincuorato, George entrò nella camera avvicinandosi al letto
della moglie.
- Ciao tesoro. Sai, la dottoressa mi ha appena detto che
le tue condizioni stanno migliorando e che è ottimista anche per la
gravidanza. -
- Per fortuna, non ce la faccio più a stare in questo
letto. -
- Devi aver pazienza. Devi farlo per te stessa e per il
bambino. -
- Sai George, lo desidero talmente tanto, questo figlio,
che sto male al solo pensiero di perderlo. -
- Non devi avere certi pensieri. Devi essere più
positiva e vedrai che andrà tutto bene. -
- Lo spero. -. Calò il silenzio tra i due. George stava
cercando le parole più idonee per parlarle di Patty e del loro rapporto.
Non sapeva da che punto cominciare e sperava in particolar modo di non far
agitare la moglie.
- Come sta? - chiese lei all’improvviso cogliendolo di
sorpresa.
- Ieri sera è andata via molto dispiaciuta e
rammaricata. L’ho sentita stamattina e mi è sembrata più rilassata,
seppur afflitta. -
- Ho sentito quello che ti ha detto ieri sera, in
corridoio. -
- Era sconfortata. E non posso biasimarla. E’ saltata
sul primo aereo per raggiungerci, abbandonando il ragazzo di cui è
innamorata e che per vederla ha fatto un viaggio lunghissimo. Quando è
arrivata, in preda alla disperazione non mi sono neanche preoccupato di come
stesse. Poi lo scontro con te. Perché non riuscite ad avere un buon
rapporto Alison? Vorrei capire il perché di tanto astio da parte tua nei
suoi confronti. -. Non parlò, si limitò a chiudere gli occhi quasi in
senso di assenso.
- Non perché si tratta di mia figlia, ma a me sembra che
sia una ragazza abbastanza diligente, senza pensieri strani per a testa. -
- Che vuole andare a studiare negli Stati Uniti, che non
vuole seguire gli studi che le hai consigliato, che si dispera per un
ragazzo che magari non la pensa, che se ne va in giro per il mondo correndo
dietro un pallone….direi che è perfetta. - ironizzò cercando di
dipingere agli occhi del marito un quadro poco piacevole di Patty.
- Alison, è un’adolescente e come tale ha dei sogni,
dei desideri. Mi ha detto che non andrà negli Stati Uniti, che resterà qui
a Barcellona. Forse è anche giusto che segua gli studi che più le
aggradano. Deve costruire il suo futuro. E per quanto riguarda Holly, non
avendo avuto la possibilità di incontrarla a Parigi, è saltato sul primo
aereo per raggiungerla qui a Barcellona. . -
- Che romantico. - rispose sarcastica con un’espressione
di stizza. - E’ tua figlia e per quanto mi riguarda, se a te sta bene,
può fare quello che vuole. -
- Non è questo il ragionamento da fare. Siamo una
famiglia, che finalmente vivrà come tale. Cerchiamo di equilibrare i nostri
comportamenti, i nostri caratteri. Tutti quanti, anche tu Alison. Tu non hai
mai avuto diciassette anni? Non hai mai provato simili emozioni, l’amore
contrastato verso un ragazzo, i sogni di un futuro roseo? -
- Da quando sei diventato così giovanile da riuscire ad
immedesimarti nei pensieri di un’adolescente? - gli chiese riferendosi a
Patty.
- Cerco solo di avere una quadro chiaro della situazione.
Patty da un lato e tu dall’altro. Siete la mia famiglia, Alison e non
posso permettervi di continuare ad avere un simile rapporto. E’ insano per
entrambe. -
- Io non ho avuto il tempo di essere adolescente. Vuoi
sapere perché mi comporto così con Patty? Perché in lei rivedo mia
sorella. Si chiamava Patricia, proprio come lei. Non ci crederai George,
quando mi facesti conoscere Patty, non credevo ai miei occhi. Un tuffo nel
passato. Non solo il nome, ma anche il carattere somigliava tanto a quello
di mia sorella. Man mano che tua figlia cresceva, che seguiva i suoi sogni,
i suoi ideali, l’amore per Holly, mi ricordava sempre di più la mia
Patricia. Se ho fatto ostruzionismo, se mi sono opposta a tante cose, se ho
sempre avuto un rapporto freddo con lei, è stato unicamente per paura di
ricadere nello stesso baratro in cui scivolai alla morte di Patricia. -.
George guardava la moglie, dai cui occhi chiusi, scendevano lentamente delle
lacrime.
- Accadde tutto un giorno. Era una ragazza innamorata
della vita, adorava stare con gli amici, sognava di laurearsi e di fare il
medico. Andò in gita con degli amici in un campeggio vicino il monte Fuji.
Era notte quando udimmo squillare il telefono. Sentì mia madre urlare,
papà correre da lei, ed io sobbalzai nel letto pronunciando il suo nome.
Giocando con gli amici, cadde in burrone e quando i soccorsi la raggiunsero,
non poterono che constatarne il decesso. -.
- Mi dispiace, io non lo sapevo. -
- Per tre anni mi sono sottoposta alle sedute di uno
psichiatra. Non riuscivo a convincermi che lei non c’era più, la mia
sorellina. Aveva solo un anno in meno, ma per me era sempre stata la mia
migliore amica, l’unica che riusciva a farmi sorridere. Sono sempre stata
un po’ malinconica, mentre Patricia era l’immagine della voglia di
vivere. Due poli opposti che si attraevano a vicenda. Avevo bisogno di lei,
della sua costante presenza al mio fianco e invece, mi ha abbandonata mentre
giocava con gli amici. -
- E’ per questo che tratti così Patty? Per evitare di
soffrire ancora? -
- Sì. Sono così simili che temo possa accadere il
peggio. E’ un incubo del quale non mi sono mai liberata. Quando tu non c’eri
perché eri fuori per lavoro, cercavo di dissuaderla dal fare determinate
cose, per esempio frequentare il club di calcio che poco si addice ad una
ragazza. Non volevo che a causa di un gioco, potesse succedere ancora. Ma
tua figlia è testarda e quando si prefigge qualcosa, fa di tutto per
realizzarlo. Patty è sempre stata affezionata ai suoi amici, per non
parlare di Holly. Proprio come lo era mia sorella: lei viveva per gli altri.
- Anche se può sembrare assurdo, ho sempre invidiato
Patty. Dopo la partenza di Holly, lei ha continuato a seguire i ragazzi e a
vivere nel sogno del suo amore e in cuor mio sapevo che anche lui la
ricambiava, le scriveva e le telefonava e a lei erano sufficienti quei pochi
momenti per andare in estasi. Ogni giorno si è dedicata alle sue attività
con passione e scrupolosità, e nella stessa maniera si è dedicata allo
studio. La partenza di Holyl l’ha solo rinforzata. George, l’idea che
possa succedere ancora mi terrorizza. -
- Perché? Per te stessa o per il bene di Patty? - gli
chiese seccamente.
- Forse sono egoista, perdonami George, ma non voglio
soffrire ancora. -
- Alison, ognuno di noi deve vivere la vita per come
viene, cercando di non forzare gli eventi. Quello che è successo a tua
sorella era scritto nel destino, doveva avvenire comunque. Avresti potuto
far rinascere quel sentimento che avevi per tua sorella: il destino ti ha
fatto incontrare me e la mia Patty. Non ci hai pensato? Ti aveva dato un’altra
opportunità, per poter tornare a sorridere a Patty. Perché non sfrutti
questa possibilità, perché non cercate di diventare amiche? -
- A cosa servirebbe? Lei mi odia. - rispose buttando lì
quella frase a sua difesa.
- Sai benissimo che non è vero. Patty non è capace di
provare odio per qualcuno. E’ una ragazza innamorata della vita come lo
era tua sorella. Gli amici le sono sempre stati accanto e tu non puoi
impedirle di frequentarli. E’ cresciuta senza sua madre e non potevi
essere tu a privarla di un altro affetto. Soprattutto quello di Holly. Sono
talmente innamorati che scommetto sarebbero disposti ad affrontare le fiamme
dell’inferno l’uno per l’altra. Tra l’altro, penso che tu le debba
un minimo di riconoscenza. - sentenziò avvicinandosi alla porta. Alison
aveva compreso e in cuor suo sapeva che le parole del marito erano sincere e
che rispecchiavano la mera verità.
- Lei ti ha aiutata nonostante il tuo diniego e sta
venendo qui per sostituirmi. Io non penso che una ragazza cattiva agirebbe
così. Se non vuoi farlo per me o per te stessa, fallo per il bambino e per
tua sorella: ricostruisci con lei un rapporto vero. Non penso che a Patty
dispiacerebbe avere una madre. - concluse sorridendole. Alison richiuse gli
occhi e sospirò.
- Non sarà facile: abbagliata dal mio egoismo non mi
sono mai preoccupata di avere un rapporto con lei. Sarà un’impresa…farmi
perdonare da lei. -
- E’ una ragazza molto buona e comprensiva. Parlale col
cuore e vedrai che capirà. - concluse congedandosi dalla moglie.
George uscì soddisfatto dalla stanza, non solo per le
condizioni di Alison, ma soprattutto per quel chiarimento che c’era stato tra
loro. Alison non aveva negato di aver avuto dei comportamenti poco piacevoli e
aveva quindi sostenuto la difesa di Patty. Era orgoglioso di sua figlia, che
nonostante la sua costante lontananza, si era sempre comportata in maniera degna
di nota.
La vide arrivare con al fianco un ragazzo alto e dal fisico
atletico. Si tenevano per mano, era una stretta così salda che nulla li avrebbe
potuti dividere se non loro stessi. Non era la ragazza stremata e disperata
della sera prima. Era una giovane donna piacevolmente innamorata e alquanto
serena.
- Buongiorno signor Gatsby. - disse Holly allungando la
mano verso quella di George. Era rimasto allibito nel vederlo. Sebbene il
suo volto non fosse cambiato, in tre anni, il suo corpo sembrava essersi
trasformato. Lo guardò negli occhi quasi a volersi sincerare che non avesse
fatto alcun torto alla figlia. Lei lo guardava con espressione quieta e con
un sorriso lieve accennato sulle labbra rosse. Holly ricambiò lo sguardo
della sua ragazza e i suoi occhi parvero sorridere a quella dolce creatura
che amava tanto.
- Ciao Holly. Bentornato. - rispose George spezzando quel
momentaneo idillio.
- Grazie. Come sta sua moglie? - gli chiese con cortesia
seppur imbarazzato da quel primo incontro.
- Adesso sta un po’ meglio. Se tutto va bene, - disse
guardando la figlia, - dovrà rimanere qui per due mesi. Se riuscirà a
mantenere la gravidanza in buone condizioni, tra due mesi partorirà. -
- Mi fa piacere che stia meglio. -
- Grazie Holly. Come stai? - chiese alla figlia.
Impulsivamente strinse con forza la mano di Holly. Cercava il suo appoggio
morale, la sua protezione. George se ne avvide e intese che oramai nel cuore
della figlia c’era solo il giovane talento giapponese.
- Va meglio. E tu? Ti vedo stanco! - asserì disegnando i
tratti del suo volto, stanco e con la barba visibilmente incolta di due
giorni.
- Ho visto giorni migliori. -
- Va a casa a riposare. Ci sono io! - gli disse
staccandosi da Holly e sorridendogli. La sua espressione era pacata e
serafica. Il cambiamento rispetto al giorno prima era evidente.
- Non ti preoccupare papà. Resisterò alla tentazione di
litigare con Alison. - gli rispose ironicamente cercando di sdrammatizzare
la situazione.
- Grazie Patty. -.
Si avvicinò alla camera di Alison e la scrutò dal vetro.
Sospirò, poi posò una mano sulla maniglia della porta e la girò entrando
nella stanza.
- Grazie Holly! - gli disse George sorprendendolo.
- E per cosa? - chiese ingenuamente.
- Per quello che hai fatto per Patty. -
- Non ha bisogno di ringraziarmi. L’ho fatto perché lo
desideravo con tutto me stesso. -
- Non farla soffrire, Holly. -
- Farei soffrire anche me stesso. Desideriamo solo essere
felici. - gli disse sorridente e sincero. La sua espressione era energica e
rilassante al tempo stesso. Quel ragazzo aveva qualcosa di speciale ed era
per questo che sua figlia se ne era innamorata. Il cellulare di Holly
squillò interrompendo quella conversazione.
- Ciao Roberto. Dove ti trovi? - chiese al grande
campione brasiliano.
- Sono all’aeroporto. Holly, prendo un taxi e ci
vediamo direttamente allo stadio. La squadra si sta allenando per un
importante impegno che hanno mercoledì. Anche i dirigenti sono allo stadio,
li ho sentiti poco fa. Sei sicuro di fare la scelta giusta? -
- Non sono mai stato così sicuro. -
- Al cuor non si comanda! - rispose Roberto in tono quasi
arrendevole. - Il Real Madrid pagherebbe di più per averti. -
- Roberto, ho deciso di restare a Barcellona! - esclamò
con tono deciso. George comprese il motivo per il quale Patty non si sarebbe
recata negli Stati Uniti. Non era per far contento lui ed Alison ma
unicamente perché Holly sarebbe rimasto in quella città. Indipendentemente
dalla motivazione, tirò un sospiro di sollievo sapendo che Patty non
sarebbe partita.
- Ne riparliamo prima di incontrare la dirigenza. - gli
disse cercando di dissuaderlo.
- Come vuoi, anche se io ho deciso. Ci vediamo tra un po’.
- aggiunse chiudendo la comunicazione. Guardò il padre di Patty.
- Resti a Barcellona? - gli chiese senza attendere che
fosse il calciatore a parlare per primo.
- Sì. Quando ero in Brasile ho ricevuto due offerte. Una
dal Barcellona e l’altra dal Real Madrid. Quando ho saputo che Patty…voi,
vi eravate trasferiti qui, ho deciso che sarei rimasto in Cataluna. -.
George gli sorrise.
- E’ ammirevole la vostra capacità di decisione. Basta
un evento a farvi cambiare completamente opinione e decisione. -
- Basta seguire il cuore, come direbbe Patty. Ed io ne
convengo. Il Barcellona è un ottimo club a livello europeo. Preferisco
restare qui, così potrò stare insieme a Patty. - rispose sicuro.
- Penso che ne sarà felice. -. Holly annuì e George
comprese che evidentemente ne avevano già parlato. Un pensiero lo assalì!
Patty gli aveva detto che ben presto sarebbe andata via. Ora comprendeva che
probabilmente sarebbe andata a vivere con lui. Impallidì.
- Posso salutare sua moglie? - chiese Holly riportandolo
alla realtà.
- Ehm…ah sì, certo. - borbottò ancora in preda a quei
pensieri. Holly si distaccò da lui e si affacciò alla stanza di Alison.
Figlia e matrigna erano l’una di fronte all’altra. Nessuna delle due
parlava.
- Salve signora Gatsby. Come sta? - chiese cordialmente
sorprendendo anche Patty.
- Ciao Oliver. Sono stata meglio, grazie. - rispose
gelida.
- Mi spiace. Patty io devo allontanarmi. Ti chiamo quando
finisco con Roberto e la dirigenza. Tra l’altro, devo trovare un alloggio
per stasera e domani e chiamare mia madre. -. Lei gli sorrise compiaciuta e
quasi divertita dal suo daffare.
- In bocca al lupo e fammi sapere com’è andata. -
- Sicuro. - rispose ricambiando il tenero sorriso.
- Se non sai dove andare a dormire, puoi restare da noi!
- esclamò Alison sorprendendo i due ragazzi. Patty si voltò verso di lei.
Non aveva preparato la camera della figliastra, eppure invitava il suo
fidanzato a pernottare nella stessa casa. Cosa stava architettando? Era una
maniera per metterla a disagio e si era ravveduta dei suoi comportamenti?
Holly guardò Patty ancora attonita da quello che Alison aveva appena
detto..
- La ringrazio signora. Accetto volentieri. Allora, a
dopo. - aggiunse uscendo dalla stanza.
- Io vado a casa, così mi riposo un po’. - disse
George sopraggiunto dietro il campioncino.
- Papà, per favore, ieri pomeriggio ho lasciato i miei
bagagli in accettazione. Potresti prenderli? -
- Certo cara. Alison, scusami, ma ho proprio bisogno di
un po’ di riposo. -
- Non preoccuparti caro, c’è Patty con me! - esclamò
confondendo ancora di più la ragazza che a questo punto non sapeva più
cosa pensare. Holly e George scomparvero dalla stanza e un profondo silenzio
calò tra le due. Non c’era l’aria elettrizzata e tagliente del giorno
prima: stranamente non avvertiva la sua ostilità. Quella stanza era priva
di finestre che si affacciavano all’esterno. Si sentiva reclusa. Aveva
bisogno di respirare, di allontanarsi da Alison perché non comprendeva il
suo comportamento. Aveva paura di quello che non riusciva a capire, le
sembrava un peso insormontabile da poter sostenere da sola. Holly era andato
via e lei era lì, alle strette.
Forse era quello che voleva suo padre: uno scontro diretto
tra loro che le avrebbe messe a confronto.
- Hai bisogno di qualcosa? -. Le parole vennero fuori da
sole. Sentì le labbra inumidirsi e riaffiorare il suo autocontrollo.
- No grazie. Perché non ti siedi? - le chiese indicando
con lo sguardo la sedia accanto al suo letto. Patty chiuse gli occhi
cercando di riacquistare le energie momentaneamente perse.
- Cosa sta succedendo? - chiese non resistendo più a
quella che pensava essere una stupida farsa.
- Nulla, perché? -
- Non capisco dove sia finito il tuo atteggiamento
alquanto astioso, avverso e ostile nei miei confronti! - rispose
fulminandola con gli occhi. Alison strinse le lenzuola nei pugni. Temeva
quella ragazza. L’aveva confessato a George e a se stessa.
- Fino a qualche ora fa non vedevi l’ora che andassi
via dalla tua vista e adesso mi inviti a sedermi? - continuò non ottenendo
risposta.
- Perdona il mio scetticismo ma non posso fare a meno di
pensare che si tratti di un qualcosa ordito alle mie spalle. Vado in quella
che dovrebbe essere la mia casa e trovo la mia stanza ancora a soqquadro e
poi inviti Holly a pernottare da noi? -
- Calmati, non ho intenzione di litigare o creare altri
dissidi. Siamo abbastanza mature per deporre le armi e cercare di convivere
pacificamente. -. Patty era ancora più esterrefatta. Si chiedeva quale
portentoso medicinale le avessero somministrato.
- Cosa vuoi dire? -
- So di non essermi comportata nella maniera più idonea,
ma credimi, non è mai stato nelle mie intenzioni ferirti o crearti dei
disagi. Il mio è stato solo ed esclusivamente un atteggiamento assunto come
autodifesa. -
- Fammi capire bene: mi hai trattata con indifferenza,
ostilità e forse anche avversione, solo ed esclusivamente per difenderti? -
domandò circospetta e cauta cercando di creare la propria difesa nell’eventualità
di un’accusa.
- Sì. -
- Ah sì? Mi sembra un comportamento un po’ strano, il
tuo? -
- Hai ragione. - rispose abbassando le palpebre. - Mi
dispiace. -
- Cos’è questa? La giornata internazionale dell’ammissione
di colpe? - chiese sarcastica.
- Sto cercando di spiegarti il motivo di tanti
comportamenti. Non si tratta di una giustificazione nei tuoi confronti, solo
di una spiegazione. Non sono mai stata molto loquace e allegra, neanche
durante l’adolescenza e la perdita di mia sorella, la persona a cui tenevo
di più nella mia vita, mi ha immalinconita, avvilita e incupita
maggiormente. Lei è morta mentre giocava con degli amici. Aveva la tua
età, il tuo carattere, il tuo entusiasmo, l’amore per la vita e per gli
altri: si chiamava Patricia. -. Quelle parole risuonarono risolute nella
stanza. Nella sua mente ancora echeggiava quel nome, il suo stesso nome.
- Il mio non volere che tu frequentassi gli amici, che
viaggiassi con loro, è sempre derivato da quel brutto ricordo. Lei è morta
così. Durante una gita con gli amici, è caduta in un burrone. Ho sofferto
tanto, non ho mai dimenticato, e non volevo che quei tristi ricordi
riemergessero nella mia mente. -. Il suo tono era rilassato, non artefatto
da oscuri pensieri. Stava raccontando la verità, quella parte del suo
passato che per tanto tempo aveva represso in fondo al cuore e alla mente
nella speranza che potesse cancellarlo per sempre.
- Mi…dispiace. Io non lo sapevo. - esclamò fievolmente
sentitamente scossa da quella confessione e sentendosi mortificata per
quello che aveva pensato e detto su di lei.
- Sono io a doverti delle scuse. Ti ho sempre invidiata
Patty. Tu crescevi e anche se non c’era tua madre, se io non ti amavo come
una figlia, se tuo padre era lontano per lavoro, tu non ti scoraggiavi mai,
cercavi sempre una maniera per andare avanti. Esattamente come lei. Mi sono
sempre sentita più debole rispetto a te. La tua amicizia per quei ragazzi,
l’amore per Holly: sentimenti che sono cresciuti dentro di te e per i
quali hai dato tanto. Io non sono mai stata capace di amare qualcuno come
te. Mentre tu crescevi, io rimpiangevo la mia mancata giovinezza. La mia
Patricia era tornata. La vedevo in te. Ha ragione tuo padre. Se solo io
avessi voluto, ti avrei potuto amare come amavo lei e l’avrei fatta
rivivere. -. Le lacrime le rigavano il volto silenziosamente. Patty la
guardò con la vista annebbiata. Non pensava che quella donna fredda e
distaccata, potesse nutrire dei sentimenti profondi e che la vita l’avesse
messa così a dura prova! Aveva sentito affiorare dentro di se il sentimento
della rabbia e dell’ira perché a causa di Alison la sua vita aveva subito
dei cambiamenti drastici, aveva rischiato di perdere Holly. Invece era
davvero una donna sola, che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, a cui
aprire il cuore e la mente per poter esprimere liberamente i pensieri.
- Anch’io ti devo delle scuse. Non ho mai fatto nulla
per capirti e mi sono dedicata solo a me stessa e ai miei amici. -
- Forse…dovremmo provare a recuperare il tempo perduto.
- le disse guardandola e accennando un lieve sorriso. Era bella Alison, di
una bellezza diversa da quella di sua madre, ma pur sempre una donna
affascinante. Senza distogliere lo sguardo da lei, si accomodò alla sedia
sistemata vicino il letto e istintivamente afferrò la sua mano tra le sue.
- Avete deciso il nome del mio fratellino? -
- Non ancora. Lo faremo insieme, tutti e tre, anzi, tutti
e quattro. Adesso c’è anche Holly! - esclamò facendola arrossire. - Tuo
padre mi ha detto che ha attraversato mezzo mondo per venire da te. Allora
avevo proprio torto su di lui. -
- Beh, evidentemente sì. E’ vero, dal Brasile alla
Francia e poi qui in Spagna. -
- Come in un film. Siete sorprendenti. Cos’ hai
provato? -
- A cosa ti riferisci? - le chiese cercando di
districarsi al meglio tra domande imbarazzanti e supposizioni scomode e
spinose che Alison avrebbe potuto farle.
- Ti avrà pur detto qualcosa, o dato un bacio o un atto
di amore, no? Non sarà venuto da così lontano per rimanere sempre il
solito timido, incapace in amore! -
- Alison! E’ un po’ imbarazzante. E’ successo tutto
così in fretta. Comunque è vero, ho provato delle forti emozioni ieri. Ero
così affitta per averlo abbandonato alla fine della partita, senza neppure
gioire con lui della vittoria, che sono andata all’aeroporto in preda alla
disperazione. Proprio mentre mi stavo imbarcando, l’ho visto dietro di me,
che mi inseguiva. Voleva me, Alison. Prima di partire per la Francia mi
telefonò e mi disse che…che mi voleva bene. - le disse facendo leva sul
suo coraggio. Le era difficile parlare così apertamente dei suoi
sentimenti, soprattutto con Alison. Ma non aveva paura. Per quanto
difficile, stava provando un senso di sollievo nel rivelarle i suoi sogni e
le sue emozioni.
- Non immaginavo quanto vere fossero le sue parole.
Pensavo fosse il desiderio di riabbracciare una vecchia cara amica, seppur
consapevole dei miei sentimenti. Mi sbagliavo. Mi sono sempre sbagliata sui
sentimenti che lui provava per me, non ho mai capito quello che realmente
provava per me, fino a quando…non l’ho visto in aeroporto. L’ho
sentito urlare il mio nome mentre mi imbarcavo. Non penso di essermi sentita
mai così male come ieri. - disse chiudendo gli occhi. Un viaggio dentro se
stessa, nel suo cuore, tra i suoi ricordi più vivi e recenti, quelli che l’avevano
portata a vivere una giornata disperatamente straordinaria. Riprese fiato
cercando di riorganizzare in un attimo i pensieri che vorticosamente
viaggiavano nella sua mente.
- Lui era lì, a pochi passi da me. Finalmente lo vedevo
dopo tre anni e non potevo corrergli incontro, abbracciarlo…sentirmi sua.
Stavo solcando il portellone dell’aereo quando ho udito ancora la sua
voce. Mi sono voltata e lui era in bilico sul corridoio mobile appena
ritirato. Mi ha gridato che mi amava. Un ultimo, disperato gesto di amore.
Proprio come tre anni fa. Prima di partire, rischiando di perdere l’aereo
per il Brasile, lui corse da me per abbracciarmi un’ultima volta. Sento
ancora su di me la brezza di quella primavera, il calore del suo abbraccio,
le sue parole di affetto. -. Alison l’ascoltava mentre sognante descriveva
le sue sensazioni cullate quasi da una magica melodia. Dov’era lei quando
erano accadute tutte quelle vicende? La sua disperazione nell’abbandonare
il ragazzo che le gridava di amarla. Cosa aveva potuto provare in quel
momento? Una prostrazione infinita, una sensazione di vuoto e di nulla, l’incapacità
di vedere il proprio futuro, di poter ancora sognare o vivere la
quotidianità con serenità. Lo stesso perdimento in cui era caduta lei alla
morte di Patricia, la sofferenza, la solitudine, l’ombra del buio che pian
piano prendeva forma dentro di se.
- …e poi, quando sono tornata a casa ieri sera, priva
di forze e privata del dono più grande che il Signore mi abbia fatto, del
mio Holly, nel momento più sconfortante della mia vita, l’ho visto seduto
lì, sui gradini del portone, sotto la pioggia: mi aspettava. Era venuto da
Parigi solo per me. Mi ha fatta sentire importante, unica. Lo amo ancora di
più di prima e non lo lascerò mai. Ho bisogno di Holly come dell’aria
che respiro, ho bisogno di farmi percorrere dai brividi che un suo sguardo
mi può provocare. Lui è parte di me, e se non ci fosse, sarebbe come se
non esistessi io. Non smetterei mai di parlare di lui, di come gioca a
calcio, della sua amicizia, del suo calore, ma in particolare dell’amore
profondo che prova per me. Mi emoziona parlarne, ma mi rendo conto che il
sentimento che provo per lui è così appassionante, è come un’onda di
amore che ti travolge e che di volta in volta ti vivifica, ti risolleva e ti
spinge ad amare ancora di più. Sono consapevole di dipendere dall’amore
che sento per lui e ne sono felice. -. Alison la guardò senza proferire
parola. Non avrebbe potuto dire nulla. Una confessione fatta tutta d’un
fiato, recitata come se si trovasse sul più grande palcoscenico teatrale.
Ancora una volta l’aveva stupita. Seppur imbarazzata, ma senza timore, le
aveva parlato dei loro sentimenti descrivendoli con pathos impari, parole
dettate dal cuore, proferite da una voce carezzevole, innamorata di una vita
che d’ora in avanti le avrebbe riservato solo gioie. Sorrise alla giovane
figlia e si accarezzò il ventre cercando di sentire la creatura che man
mano cresceva dentro di se. Aveva ragione George. Non avrebbe potuto
desiderare una figlia migliore e lei non aveva alcun diritto di proferire
sul loro amore. Intuì che la notte aveva sigillato quel grande sentimento
ma decise che non le avrebbe domandato nulla. Doveva aver fiducia in lei
perché potesse dargliene a sua volta. Le sorrise. Capì che quella stella
era tornata a brillare, a rifulgere in alto nel cielo e che con il suo
calore avrebbe riscaldato i cuori della loro famiglia e illuminato il loro
futuro.
Barcellona, sei anni dopo
- Dai Amy corri o arriveremo in ritardo! - la incitò
Julian afferrandola per mano.
- Odio questi tacchi. Perché non ho indossato delle scarpe
più comode. -
- Forza, siamo quasi arrivati. E’ impensabile che una
delle testimoni arrivi in ritardo. -
- Scherzi? Mai quanto Jenny e Philip. Con quel pancione
sfido che Jenny possa arrivare in tempo. -
- Sono sicuro che sono già lì. - le disse ironizzando
sulle frasi della moglie. Finalmente arrivarono al sagrato della chiesa dove
un rigoroso servizio d’ordine chiese loro di esibire l’invito. Julian
afferrò per mano Amy e corsero verso l’altare. Le navate erano gremite di
invitati ci cui parte volti conosciuti di ex e nuovi compagni di squadra.
Videro Philip e Jenny chiacchierare vicino l’altare con Bruce e Evelyn.
- Finalmente siete arrivati! - esclamò Jenny seduta al
banco dei testimoni.
- Amy aveva un problema con le sue scarpe. -
- Avete finito di prendermi in giro? -. I sei amici risero
divertiti e si scambiarono battute ironiche per rasserenare l’atmosfera.
- Holly dov’è? - chiese Julian a Bruce e Philip.
- E’ con Tom e Benji. Nervosissimo. Sta scavando una
trincea nella sacrestia della chiesa. -
- Ho idea che qualcuno dovrà andarli a chiamare perché la
sposa sta arrivando. - disse Evelyn guardando verso l’entrata.
All’intonare della marcia nuziale e al lento incedere della
sposa lungo il tappeto rosso, la funzione ebbe inizio. Lui la guardava come se
si trattasse di una creatura nuova, quasi aliena, a lui sconosciuta. Invece era
lei, la ragazza che anni prima aveva scoperto di amare, colei di cui non
riusciva più a fare a meno, il cui solo parlare sembrava accarezzargli il cuore
e la mente. Avvolta nel lungo abito di un color oro tenue continuava a camminare
dolcemente fin quando George Gatsby non la consegnò al suo braccio. Sorrisero
alla piccola Sarah, la sorellina nata sette anni prima. Le sollevò il velo
facendolo ricadere sulle spalle scoperte e la guardò intensamente. I loro occhi
brillavano di una luce tanto intensa da poter abbagliare tutti i presenti, i
loro sorrisi erano sinonimi di dolcezza, amicizia, sentimenti, amore indefinito.
La baciò sulla guancia, la prese per mano e si voltarono verso il prete per
dare inizio alla celebrazione.
- Adesso che siete marito e moglie, se volete, potete
esprimere i vostri sentimenti, qui dinanzi a tutti coloro che amorevolmente vi
hanno accompagnato nel loro cammino. - disse loro il prete alzando le mani in
segno di benedizione. Si voltarono l’uno di fronte all’altra e si presero
per mano. I cuori palpitavano all’unisono e i loro occhi brillavano della
stessa luce intensa, l’uno per l’altra.
- Sembra quasi irreale, un sogno dal quale non volersi
risvegliare mai più. Eri qui accanto a me ancora prima che io nascessi. Tu,
il mio primo pensiero il mattino e l’ultimo della sera. Tante volte ti ho
chiesto scusa per non aver sempre compreso i tuoi sentimenti, per aver
anteposto altro all’amore che ho per te. Ma quando ho scoperto che dentro di
me stava nascendo questo meraviglioso sentimento, di amarti, ho provato un
indefinibile calore, una sensazione meravigliosa. E ancora una volta tu eri
accanto a me, a regalarmi il tuo cuore, il tuo affetto, la tua amicizia, a
condividere ogni momento di questa mia meravigliosa vita. Anche se può
sembrare retorico, credimi, amore mio, sono le parole più sincere e vero che
il mio cuore può esprimere: ti amo e ti amerò per sempre. - le disse
emozionato. Patty non distoglieva gli occhi da quel ragazzo che sette anni
prima le aveva detto che l’amava.
- Io…Holly, amore mio, tante volte, quando tu eri
lontano, mi affacciavo alla finestra della mia stanza e speravo di vederti
passare, aspettarmi sul ponte come sempre…tale era la solitudine che
provavo, l’assenza di te…e così durante quei lunghi pomeriggi, quando
sola tornavo a casa, speravo di poter incontrare il mio capitano che
dolcemente, silenziosamente, si è sempre preso cura di me. Per ogni singolo
attimo della mia umile vita, dal giorno in cui l’ho scoperto, non ho mai
smesso di amarti e la tua lontananza ha solo rafforzato i miei sentimenti
verso di te. Sei ricomparso nella mia vita in un momento in cui il buio era
più vicino della luce, in cui lo sconforto e la disperazione avevano
offuscato ogni speranza alimentando i rimorsi e il rancore. Come un raggio di
sole sei arrivato tu, che hai aiutato un bocciolo a fiorire, un’adolescente
a diventare donna. Holly io ti appartengo, tu sei parte di me ed io parte di
te, un unico pensiero che ci accarezza, una sola anima che vive per vivere il
nostro grande amore. -. L’aveva ascoltata attentamente e non aveva potuto
fare a meno di commuoversi. Gli occhi erano annebbiati dalla vista. Le prese
il volto tra le mani e la guardò attentamente, disegnando le morbide,
semplici linee di quell’ovale nobile e gentile. I suoi occhi scuri
rifulgevano e le labbra rosse coperte da un velo lucido, parevano sussurrare
parole d’amore.
La baciò con passione e la strinse a se sigillando quel momento che
indelebile sarebbe rimasto nei loro cuori e in quelli di quanti erano stati
testimoni della loro semplice storia d’amore. |
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