Gale e Madge.

di Effie__Pn
(/viewuser.php?uid=317660)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tu non andrai a Capitol City. ***
Capitolo 2: *** Visto? ***
Capitolo 3: *** In viaggio. ***
Capitolo 4: *** Siamo pronti ***
Capitolo 5: *** Indimenticabili ***
Capitolo 6: *** It's all for you. ***
Capitolo 7: *** Let the games begin. ***
Capitolo 8: *** Trust him. ***



Capitolo 1
*** Tu non andrai a Capitol City. ***


I giochi di Gale e Madge.

Quella mattina Gale si era alzato presto per incontrare Katniss nei boschi. Era una bella giornata estiva, il sole era caldo e l’aria odorava di  erba fresca, bagnata dalla pioggia notturna. Peccato che Gale non notasse niente di tutto ciò. Quello era il giorno della Mietitura, in cui la paura prendeva il sopravvento su tutto. Il giovane cacciatore si addentrò nel bosco con il suo passo silenzioso, e raggiunse il solito puntro d’incontro. Katniss non era ancora arrivata, così Gale preparò una sorta di colazione con le provviste che aveva con sé. Dopo poco, la sua Catnip, sorridente come sempre quando era nei boschi, lo raggiunse. Mentre mangiavano e discutevano dell’imminente Mietitura, Gale si incantò a guardarla. Ciuffi di capelli scarmigliati spuntavano fuori dalla lunga treccia castana,e gli occhi grigi scrutavano l’orizzonte con l’aria guardinga di chi nella vita ha già visto troppo. Era bella, la sua Catnip, anche se non se ne rendeva conto. Molti ragazzi a scuola erano innamorati persi di lei, e tutti invidiavano Gale per la loro vicinanza. Lui però non sapeva nulla dei sentimenti di Katniss, dato che non li lasciava mai trasparire. Sapeva solo che lei non voleva sposarsi e che non voleva avere figli. Nemmeno Gale li voleva. Chi avrebbe avuto il coraggio di mettere al mondo dei figli in un mondo come il loro?

Mentre si perdeva in queste riflessioni, cacciava in silenzio accano a Katniss, e raccoglieva i frutti della trappole che aveva piazzato il giorno prima. Raccolsero anche un po’ di fragole.

Tornando verso la città, Gale si sentì preda dell’ansia.  Il suo nome compariva elle bocce di vetro per ben quarantadue volte. La fortuna non era a suo favore.
Gale e Katniss bussarono alla porta del sindaco Undersee, al quale vendevano abitualmente le fragole. Venne ad aprire la figlia sedicenne, Madge. Era molto bella, la classica bellezza da figlia di commerciante. Nulla ache vedere con la bellezza scura e marcata di Katniss.
 Madge aveva un qualcosa di diafano, coi capelli biondi legati da un nastro e con un costoso vestito bianco.
“Bel vestito!”- le disse Gale senza pensarci. Lo sguardo che Madge gli rivolse era indecifrabile. “Beh- rispose- se mi tocca andare a Capitol City, voglio farlo in pompa magna.”
A Gale venne spontaneo consolarla, quando il suo sguardo cadde sulla spilla che Madge aveva appuntato sul vestito.
Era d’oro, e avrebbe sfamato la sua famiglia per mesi.
“Tanto tu non ci andrai, a Capitol City!”- le disse, aspro.
Madge parve sconcertata da quella risposta, e senza proferire parola, prese le fragole che Katniss le porgeva e la pagò. Chiuse la porta.

Madge Undersee. Figurarsi se Madge Undersse sarebbe andata a Capitol City.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Visto? ***


La piazza del Distretto 12 era gremita di gente, e il silenzio che vi regnava era surreale. Tutti i ragazzi in età sorteggiabile si radunarono rapidamente al centro. Sul palco c’era Effie Trinket, l’accompagnatrice del Distretto 12 arrivata direttamente da Capitol City. Era ridicola con quella parrucca rosa, e il suo accento era insopportabile. Gale le fece il verso rivolto verso Katniss, che si trovava dal’altro lato della piazza. Quella sarebbe stata l’ultima Mietitura per Gale, mentre lei ne avrebbe dovute affrontare altre due. Avrebbe voluto proteggerla, ma non sapeva come.

“Prima le signore!”- sentenziò Effie Trinket dal palco. La sua mano guantata rovistò a lungo nella grande boccia di vetro piena di bigliettini, fino a sceglierne uno.
“Madge Undersee!”. Il nome risuonò a vuoto nella grande piazza, mentre la ragazza bionda saliva sul palco.
Bella come non mai, era paralizzata dallo stupore e dalla paura.

“E ora il giovano uomo!”- strillò Effie mentre estraeva un bigliettino dalla seconda boccia.
Il Distretto 12 si fermò per un istante quando quella voce squillante pronunciò il nome di Gale Hawthorne.
Il cuore del ragazzo perse un battito, mentre tutti si giravano verso di lui. Katniss lo guardò, sconvolta e spaventata.
Gale si fece coraggio, e salì sul palco.

“Su, stringetevi la mano!”
Gale si allungò verso Madge, che raccolse la sua mano tesa e la strinse. Quando i loro occhi si incontrarono, Madge lo guardò con rabbia.
Due pacificatori li spinsero nel Palazzo di Giustizia e li separarono, chiudendo ognuno in una stanza.

Gale si guardava intorno senza nemmeno vedere davvero quello che c’era nella stanza. Un pacificatore aprì la porta ed entrarono Hazelle, sua madre, Vick, Rory e la piccola Posy.
Hazelle, in lacrime, abbracciò so figlio.
“Mamma, proteggili. Non fargli avere altre nomine.”
“Tranquillo, Gale. Sono al sicuro. Tu fa del tuo meglio.”
Rory, Vick e Posy saltarono al collo di Gale, piangendo.
Proprio in quel momento entrò un pacificatore che li portò via.
Subito dopo, entrò Katniss, che senza dire nulla si fiondò fra le braccia aperte di Gale. Non seppero dire per quanto tempo restarono così,fino a quando Katniss disse: “Penserò io a loro, Gale. Tu pensa a vincere. Vinci per loro, Gale.”
“Catnip, io...”- iniziò Gale, proprio mentre il pacificatore entrò per dividerli.
Dovette separarli con la forza, tanto che Gale teneva stretta la sua Catnip.
Il pacificatore condusse anche lui fuori, in un auto che lo portò alla stazione. Il treno era lussuosissimo, ma Gale non riusciva a sopportare quella vista. Lui si sentiva vivo solo nei boschi, e lì temeva di soffocare.
Ignorò il continuo chiacchiericcio di Effie e guardò fuori dalla finestra la sua vita allontanarsi sempre più in fretta, man mano che il treno prendeva velocità.

Sentì qualcuno che si avvicinava, ma non si voltò.
Vide il bel volto di Madge riflesso nel vetro.
“Visto?-disse la ragazza- Alla fine ci vado, a Capitol.”
La sua voce era colma di asprezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** In viaggio. ***


Gale era disteso sul letto del lussuoso scompartimento che gli avevano assegnato. Non riusciva a prendere sonno, e si rigirava continuamente fra le coperte di pesante velluto. Fuori, la calda notte estiva scorreva lenta, mentre il treno sfrecciava verso Capitol City.
Già, Capitol City. Non c’era mai stato, perché la gente dei distretti non poteva andarci. Ma la Capitale non lo attirava. Lui amava casa sua, amava il suo distretto e la sua vita di sempre. Purtroppo, a causa di quei maledettissimi Giochi non gli sarebbe stato più possibile riprendere la sua vita. Infatti era consapevole che sarebbe morto nell’arena. Era forte e sapeva cacciare, ma non avrebbe potuto competere con i Favoriti, che si allenavano per i Giochi della Fame fin da bambini.
Quindi, tra sé, disse addio a tutti quelli a cui voleva bene.
Sua madre, Hazelle. Era una donna forte, che a differenza della madre di Katniss non si era scoraggiata dopo la morte del marito, ma si era data da fare e aveva accudito lui e i suoi fratelli con amore. Gale avrebbe voluto ringraziarla un’ultima volta per quello che aveva fatto per loro.
Rory, che da poco era entrato in età sorteggiabile. Piccolo, curioso e allegro, adorava suo fratello maggiore, che era quasi un padre per lui. Gale pianse amaramente per lui, per la vita che avrebbe dovuto affrontare da solo.
I piccoli, Vick e Posy. Un con un cuore d’oro, l’altra ancora troppo piccola per capire il mondo che la circondava. Guardava tutto con gli occhi ingenui dell’infanzia, e Gale sperava che non perdesse mai quello sguardo.
La sua mente volò a suo padre. Gli aveva detto addio cinque anni prima, ma avrebbe mentito se avesse detto che gli mancava. Non avevano un buon rapporto. O meglio, non avevano alcun rapporto, dato che il padre in casa non c’era mai, e in quelle poche ore in cui era a casa, dormiva. Per Gale era un estraneo.
A chi altro doveva dire addio?
Alla sua Catnip. Gale non aveva parole per esprimere ciò che rappresentava nella sua vita. Un punto fermo, forse, che lo aveva aiutato durante gli anni più duri. Un’amica, per i momenti tristi e di rabbia. Il ragazzo era addirittura arrivato a pensare che, un giorno, sarebbe diventata sua moglie e sua compagna per la vita. Ora quel sogno non si sarebbe realizzato.
Le disse addio, singhiozzando.
Nel frattempo, la luce del sole faceva capolino nella stanza attraverso i vetri.
Esausto, Gale scivolò giù dal letto, e recuperò una camicia dal cassettone pieno di vestito che era nello scompartimento, a sua completa disposizione.
Barcollò fino allo scompartimento che fungeva da sala da pranzo, e una volta entrato rimase senza fiato. Un tavolo rettangolare occupava in lunghezza l’intero vagone, ed era ricoperto da una quantità di cibo enorme. Gale non aveva mai visto così tanto cibo in tutta la sua vita. Vassoi di carne, dolci, cesti ricolmi di frutti di cui non sapeva nemmeno il nome, e poi ancora pane di ogni forma e qualità, scodelle piene di creme e salse. All’improvviso si ricordò di avere fame. Probabilmente non avrebbe più mangiato niente del genere, quindi, si sedette e senza esitazione stacco una coscia dall’enorme tacchino arrostito che aveva davanti e gli diede un morso. Era la cosa più deliziosa che avesse mai mangiato. Non contentò, allungò le mani sul tavolo afferrando tutto quello che poteva, e riempiendo il piatto.
Improvvisamente, sentì un grassa risata.
“Bravo, bravo ragazzo”- disse una voce gracchiante che sembrava provenire dall’angolo del vagone dove stavano gli alcolici. Una testa emerse dalle bottiglie, rivelando Haymitch Abernathy, unico vincitore ancora in vita del Distetto 12 e mentore.
Oltre a questo, Haymitch era famoso per la sua “predilezione per le bevande alcoliche”. In altre parole, era un grande ubriacone.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Siamo pronti ***


“Bravo ragazzo”- ripeté Haymitch sollevandosi da terra e barcollando verso il tavolo. Indossava un paio di pantaloni eleganti beige, che erano però macchiati di vino rosso. Anche la camicia bianca era lercia, con macchie di cibo, vino e vomito. I capelli biondi erano incollati al volto, tutt’uno con la barba di tre giorni.
“E così tu sei il maschietto di quest’anno”- disse Haymitch, visibilmente ubriaco- “Bravo. Mangia, perché tra qualche settimana potresti non avere niente da mettere sotto i denti. Sempre se sarai vivo.” Detto questo, scoppiò a ridere.
Gale lo guardò disgustato. Conosceva il mentore solo di vista, perché lo vedeva spesso sbraitare vicino al banco di liquori del Forno. E ora la sua vita dipendeva in buona parte da lui. Bene, un ottimo inizio. Non gli rispose, continuando a mangiare. Haymitch sedette di fronte a Gale, sorseggiando un liquido chiaro, probabilmente un superalcolico. Fu in quel momento che entrò Madge. Dal suo volto si capiva che aveva pianto, forse per tutta la notte. I begli occhi verdi erano gonfi, le guance rigate dalle lacrime, tutto in lei era sconvolto.
Non aveva niente in comune con la bella ragazza dall’abito bianco che era salita sul palco appena il giorno prima. Sussurrò un “Buongiorno” con voce rotta e si sedette, lo sguardo spento che guardava oltre il cibo, oltre Gale ed Haymitch, oltre il treno. Guardava verso casa.
“E tu invece sei la ragazza.- disse Haymitch- Sei carina. Questo giocherà a tuo favore. Una bella donna fa sempre colpo sugli sponsor.” Ridacchiò.
 Gale era stufo di tutte quelle risate. “Tu sei il nostro mentore, no? Perché non ci dai dei consigli? Perché non ci aiuti invece di bere in continuazione?”- urlò. La disperazione soffocata durante la notte emerse in un singhiozzo, che si apprestò a mandare giù.
“Calmo, ragazzo, calmo. Sì, sono il vostro mentore, e sì, vi darò un consiglio. Eccolo qua. Restate vivi.” A quelle parole, Madge scoppiò a piangere, la paura di entrare nell’arena si faceva sempre più solida. Gale invece rimase fermo, in silenzio, con lo sguardo fisso su Haymitch. Passarono alcuni minuti di silenzio, interrotto solo dai singulti dell’inconsolabile Madge.
Poi Gale disse:”Non è divertente. Non per noi. Chi ti credi di essere per giocare con le nostre vite? Ci basta già Capitol City a ricordarci la nostra impotenza. Non abbiamo bisogno di questi stupidi consigli!”
Detto questo, scrollò Madge dal suo pianto, la afferrò per un braccio e la condusse fuori dallo scompartimento, lasciando un Haymitch esterrefatto, col bicchiere di liquore a mezz’aria.

***

Gale trascinò Madge per tutto il treno, cercando un posto tranquillo dove farla calmare. Ma gli inservienti di Capitol City erano dappertutto. Non si era mai soli, su quel treno, ma c’erano sempre loro pronti a saltar fuori da qualche angolo per “prendersi cura di te”, o meglio per sorvegliarti. Finalmente giunsero nell’ultima carrozza di quell’immenso treno, vuota e apparentemente priva d’inservienti. Gale fece accomodare Madge in un angolo, poi le sedette accanto. La ragazza aveva smesso di piangere, ma il dolore e la paura indugiavano ancora sul suo volto, e gli occhi erano ancora persi nel vuoto. Sembrava arrivata lì per caso.
“Madge.”- la chiamò Gale.
Nessuna risposta.
“Madge!”- ripeté,toccandole una spalla.
La ragazza si scosse, e lo guardò con gli occhi gonfi.
“Non piangere. Calmati.”
“E perché dovrei?- reagì Madge - tra poche settimane sarò morta. MORTA! Ho appena detto addio alla mia famiglia, ai miei amici, alla mia vita di sempre! Perché non dovrei piangere? Dimmelo, avanti! Dimmelo tu, tu che sai sempre tutto!” La rabbia che era rimasta sepolta da qualche parte esplose tutta insieme. La sua voce si era alzata di un’ottava, diventando quasi isterica. Ora Madge era in piedi, e vagava nel vagone come un’anima in pena. Gale abbassò gli occhi. Che cosa avrebbe dovuto risponderle? Anche lui si sentiva così. Ma disperarsi non avrebbe portato a nulla.
“Piangere non ti servirà, Madge. Purtroppo non cambierà le cose. Anzi, ti penalizzerà. Orami è successo, sei stata scelta,
siamostati scelti. Abbiamo una possibilità di tornare indietro, di tornare a casa. E’ remota, ma è pur sempre una possibilità. E non possiamo buttarla via a forza di lacrime. Se gli Hunger Games ti spaventano tanto da paralizzarti, trova un motivo per vincerli.”
Madge si fermò.
“Tu dove hai preso tutta questa tranquillità?”- disse. Cercava di assumere un tono sprezzante, ma la tristezza vanificava i suoi tentativi.
“Non sono tranquillo, Madge. —le rispose Gale, alzandosi da terra ed avvicinandosi a lei- Sono terrorizzato quanto te. Ho paura di morire, ho paura degli altri Tributi, ho paura persino di Haymitch. So che morirò, e in cuor mio ho già detto addio alla mia famiglia. Ma non morirò senza provare a sopravvivere.”
“Tu potresti farcela, sei forte. Io ho vissuto una vita agiata, non so cosa voglia dire avere fame. Non so fare nulla, a parte suonare il pianoforte. Ma non mi aiuterà nell’arena. Io non sono una cacciatrice, come te. Non ho possibilità.”
Gale si rese conto che aveva ragione. Era la figlia del sindaco, ed era meglio nutrita di lui, ma non sapeva maneggiare un coltello, figurarsi un arco. Il corpo minuto non era abituato alla fatica e agli stenti come il suo.
Decise che l’avrebbe aiutata, in un modo o nell’altro.
“Vieni. – le disse – Andiamo a cercare Haymitch. Dovrà insegnarci qualcosa. Dovrà aiutarci.”
Prese la mano di Madge e la condusse fuori, giusto in tempo per incrociare Effie Trinket che setacciava l’intero treno per trovarli.
“Eccoci- le disse Madge – Siamo pronti.”
 
*Angolo autrice*
Ehilà, salve!
Allora, ho allungato il capitolo fino a quanto mi è stato possibile, ma è comunque più lungo dei precedenti.
Volevo ringraziare tutti delle recensioni, e per favore, continuate a farmi notare i difetti della storia e/o della scrittura! Grazie, e ciao :D

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Indimenticabili ***


Cap. 5

*angolo autrice*
Salve a tutti voi che ancora avete la pazienza di seguirmi! Scusatemi se pubblico questo capitolo con un po’ di ritardo, ma ho avuto problemi di connessione. Detto questo, ho un piccolo avvertimento sulla storia: gli altri personaggi che incontreremo sono gli stessi dei giochi “originali”. Ovvero ci saranno Cinna, Portia, Cato ecc... Questo perché (nella mia immaginazione) ho provato semplicemente a sostituire Katniss e Peeta con Gale e Madge. Lo scenario resta lo stesso. Detto questo, buona lettura a tutti! :D


“Finalmente vi ho trovati! Questa è MALEDUCAZIONE, ragazzi. Io sarò la vostra accompagnatrice in questi Hunger Games, ed è mio preciso compito farvi arrivare in orario, ovunque voi dobbiate andare.”- disse Effie, con una voce che ricordava vagamente un chiodo nel cervello. La parrucca rosa che indossava, tutta riccioli vaporosi e pendenti luccicanti, le faceva sembrare la testa molto più grande di quanto non fosse.
Con un gesto cortese ma che tradiva una certa irritazione, Effie prese Madge per un braccio e la spinse verso il vagone ristorante, intimando a Gale di seguirle.
Là trovarono Haymitch, che beveva a lunghe sorsate da una fiaschetta, stravaccato sulla sedia e con le gambe sul tavolo.
“Tu!- strillò Effie- Dove sono finite le buone maniere?!”
Haymitch non le diede più attenzione di quanta de avrebbe data ad una bollicina nello champagne.
Si limitò solo a togliere i piedi dal tavolo, dicendo: “Ah, me li hai riportati. Brava, brava. Voi due- si rivolse a Gale e Madge – Voi non mi piacete per niente.”
“Tu- disse, rivolto a Madge- tu sei molto carina, ma sei una frignona. Agli sponsor non piacciono le frignone. Non convincono nessuno. Mentre tu- Haymitch si girò verso Gale, e il suo sguardo si fece più cupo- Tu sei solo un piccolo presuntuoso. Non vuoi i miei consigli? Bene. Nell’arena te la vedrai da solo. Tutti e due ve la vedrete da soli. Io sono STUFO di questi maledettissimi Giochi!”. Detto questo, Haymitch uscì dal vagone bestemmiando contro tutti i santi, contro i Giochi, contro Capitol City e persino contro Effie.
Gale e Madge si rivolsero unno sguardo interrogativo. Come avrebbero fatto a sopravvivere? Gale vide che le lacrime facevano di nuovo capolino tra le ciglia di Madge, e per calmarla l’abbracciò. Effie Trinket invece non era scioccata dalla brutale reazione di Haymitch. Si scosse e sfiorò le spalle dei ragazzi, che erano ancora abbracciati. “Su, su, su, non rattristatevi! Parlerò io con quel bestione di Haymitch. Cercherò di convincerlo ad aiutarvi, almeno un po’.”
Se non fosse stato per quel tono di voce squillante e per l’accento affettato di Capitol City, quella frase sarebbe suonata davvero gentile.

***
Quando il treno arrivò a Capitol City, nella stazione regnava il caos. Giornalisti, fotografi e cameramen avanzavano a spintoni tra la folla in delirio per raggiungere il convoglio e trovare la migliore inquadratura. La folla invece, si accontentava soltanto dello scorcio del viso di un Tributo, o di una breve occhiata ai mentori e agli accompagnatori. Molti cercavano di essere inquadrati dalle telecamere.
Mentre il treno rallentava, Madge si avvicinò al finestrino, guardando con disprezzo le persone che la mandavano a morte. Sembravano così allegri, anche se sapevano che il Tributo che stavano fissando sarebbe morto nel giro di una settimana. Improvvisamente le mancò l’aria, e decise di aprire il vetro. Dalla folla si levò un grido mentre decine di mani si allungavano per toccarla, e decine di rose piovevano davanti ai suoi occhi. La ragazza si tirò subito indietro, come se il vetro scottasse. Alla sue spalle si levò una voce :”Visto? Tu piaci, carina. Evita di frignare per i prossimi giorni, e forse riuscirò a procurarti uno sponsor.” Haymitch concluse la frase con una risata.
In quel momento la porta dello scompartimento si aprì, e Madge si voltò. Era Gale, seguito a ruota da una Effie Trinket più martellante del giorno prima. Madge leggeva negli occhi di Gale lo stesso disgusto che provava lei in quel momento. Anche a lui quella gente faceva lo stesso effetto. Il treno si fermò con una frenata alquanto brusca. “Bene! Oggi sarà una grande, grande, grande giornata!”- esordì Effie, prima che Haymitch le rivolgesse un’occhiataccia che la fece ammutolire. Dunque si limitò a dire “Su, scendiamo da questo treno”

***
Un’ automobile li accompagnò fino agli appartamenti riservati ai Tributi al Centro d’Addestramento. La vettura era persino più lussuosa del treno, e si muoveva silenziosamente. Il Centro era un’enorme costruzione che comprendeva una palestra, dove tutti i concorrenti si sarebbero allenati fino all’inizio dei giochi, e un palazzo di dodici piani, dove i Tributi avrebbero alloggiato assieme al loro staff. Il resto del complesso era chiamato Centro Immagine. Gale e Madge furono accompagnati là da Effie, che chiuse ognuno di loro in una stanza. Gale,in quella stanzetta bianca senza finestre si sentiva soffocare. Quando arrivò a pensare che l’avrebbero tenuto chiuso lì fino all’inizio dei Giochi, la porta si aprì e comparvero tre ragazze, indubbiamente di Capitol City. Erano vestite di colori sgargianti, con acconciature elaborate. Senza dire una parola, spinsero dentro un lettino, e vi fecero accomodare Gale. Poi, come se avessero ricevuto un segnale, lo immobilizzarono e gli tolsero i vestiti. Gale provò un moto di imbarazzo mentre gli sfilavano i pantaloni, lasciandolo completamente nudo. Ma quelle tre, che dovevano essere il suo staff di preparatrici, non dissero una parola, e lo spinsero fuori dalla stanza fino ad un salone con file e file di vasche da bagno. Senza tanti complimenti lo scaricarono in una vasca che ribolliva e che emanava un terribile odore dolciastro.

***
Madge non ne poteva più. Erano due ore circa che i suoi preparatori, un uomo e due donne, la ungevano di creme e giravano attorno al suo lettino con le pinzette in mano.
Quegli aggeggi erano davvero infernali, ma il momento peggiore, ovvero quello della cera calda per rimuovere i peli dalle gambe, era passato. Finalmente i tre capitolini sembrarono averne abbastanza di torturarla, perché la riportarono nella stanzetta dove aveva atteso prima.
Trovò qualcuno ad aspettarla. Era un giovane uomo dalla testa rasata, vestito di semplici abiti scuri e con una riga dorata sulle palpebre.
“Ciao, Madge.- le sorrise- io sono Cinna, e sarò il tuo stilista. E’ il mi primo anno qui ai Giochi.”
“Piacere”- rispose Madge in un soffio.
“Ora ti darò un’occhiata. Sei davvero molto carina. Non assomigli alla gente del tuo Distretto. Non sei del – come lo chiamate- Giacimento, vero?”
“No. Sono... sono la figlia del Sindaco.”
“Ecco spiegata la tua diversità. Potresti sembrare una cittadina del Distretto 1. Ma noi non siamo “Favoriti”, giusto?” Cinna le fece l’occhiolino.
Lo stilista le piaceva, e molto.

***
Le tre oche (Gale aveva deciso di soprannominarle così), si erano occupate per lui solo per un’ora. Giusto il tempo di spuntargli i capelli e di fargli qualcosa al viso. Ora Gale sentiva una strana sensazione là dove normalmente c’era la barba. Chissà che diavoleria gli avevano fatto. Ora si trovava di nuovo nella stanzetta bianca e soffocante di prima. Una donna alta e magrissima fece capolino dalla porta. Ciocche di capelli azzurri le ricadevano sulla fronte. Gale non sapeva dire quanti anni avesse.
“Salve. Tu sei Gale, vero? Il mio nome è Portia, sono la tua stilista.”
“Salve”.
“Vieni qua, fatti guardare un po’.- girò attorno al ragazzo con aria soddisfatta- Caspita! Sei proprio un bel ragazzo. Uno come te non dovrebbe faticare molto per ottenere dei buoni sponsor. Fammi un bel sorriso, ora, per favore.”
Controvoglia, Gale tese le labbra nel miglior sorriso di cui era capace.
“Su, avanti. Sorridi.”
“Non ci sono abituato. Non ci sono molti motivi per sorridere, da dove vengo io.”
“Hai ragione. Scusami, non volevo mancarti di rispetto.”
Gale rimase stupito da quell’inaspettata gentilezza. Tutto sommato, la capitolina non era poi così insopportabile.
“Ora, Gale, penseremo ai tuoi abiti per la sfilata. Io e il mio socio abbiamo preparato qualcosa che vi renderà indimenticabili.”
Mentre diceva questo, a Portia brillavano gli occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** It's all for you. ***


Madge non riusciva a staccare gli occhi dalla propria immagine riflessa nello specchio. Cinna le aveva fatto indossare un abito lungo fino ai piedi e fermato su una spalla da una grande spilla d’oro con sopra inciso il simbolo del Distretto 12. Il vestito era di un materiale leggerissimo, dai colori cangianti. Rosso scuro all’altezza del petto, per poi passare all’arancione cupo fino a cadere nel giallo. Dal fondo della gonna partiva un complicato arabesco di fili intrecciati, rossi come il sangue. Nell’insieme, Madge sembrava una fiamma. Piccola, tremula, ma al tempo stesso leggera, piena di vita, affascinante. Affascinante. Già. Haymitch le aveva detto che sarebbe piaciuta al pubblico, ma ora ne era davvero convinta. Scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte. Una parte di essi era raccolta, mentre il resto scendeva morbido sulle spalle, intrecciati con fili d’oro per renderli più lucenti. Madge brillava di luce propria.

***

Gale si stava fissando allo specchio con aria perplessa quando entrò Portia, la sua stilista. “Oh, stai benissimo- gli disse la donna- farai davvero colpo”
“Non ne sono poi così sicuro.”
Indossava una tunica a mezze maniche lunga fino ai piedi, color arancio scuro. Poggiato sulle spalle aveva un mantello che cadeva pesantemente a terra. Il mantello era fissato su una spalla da una spilla d’oro con inciso il simbolo del suo Distretto, ed era rosso cupo, con un complicato intreccio di fili arancioni e dorati. Il tutto faceva sembrare Gale una fiamma: forte, vigoroso, potente e oscuro.
Oscuro. Era così che si sentiva.
Sui capelli scuri aveva una sottilissima corona d’alloro fatta di bronzo.
Ma tuttavia non era convinto che quell’abbigliamento fosse una scelta saggia, così domandò a Portia:
“Da dove avete preso l’idea di questo costume?”
“Vedi,qualche millennio fa- rispose Portia - un popolo che viveva oltre l’Oceano creò un vastissimo impero, e chiamò la sua capitale Roma. I Romani (questo era il loro nome) erano abili strateghi militari e avevano un esercito imbattibile, per l’epoca. Il loro impero durò secoli, e trovò spazio per le arti più raffinate, oltre a quella militare. Gli abiti che indosserete tu e la tua compagna ricalcheranno il loro stile. Lo chiamano “stile impero”.
Noi vogliamo farvi apparire forti, come lo erano loro.”
“E perché il fuoco. Non dovremmo essere vestiti da minatori?”
“I minatori estraggono il carbone, e il carbone viene bruciato. Voi rappresentate l’essenza stessa del vostro Distretto. Voi siete l’energia.”

***
Madge stava aspettando Gale accanto al carro contrassegnato con il simbolo del loro Distretto. Gli altri Tributi erano come lei incollati ai carri, e nell’aria c’era tensione. La porta di un ascensore si aprì, rivelando Gale in tutta la sua statura. Madge arrossì quando lo vide, avvolto da un pesante mantello che gli dava un’aria di superiorità. Lui si diresse subito verso il loro carro, visibilmente teso.
“Ciao- le disse – Stai benissimo.” Era vero. Madge era splendente nel suo abito “stile impero”.
“Grazie.” La ragazza divento rossa come il proprio vestito. “Anche tu. Voglio dire, sei bellissimo. Cioè, stai benissimo.”
“Grazie.” Era arrossita o era solo una sua impressione?
Per fortuna Cinna li raggiunse proprio quando la situazione si stava facendo imbarazzante.
Lo stilista andò dritto al punto.
“Voglio che sorridiate, che salutiate il pubblico. Ma non sbilanciatevi troppo. Dovrete sembrare anche pericolosi. Tutto chiaro?”
Gale e Madge annuirono.
“Bene, si comincia.”

***
L’inno nazionale di Panem suonava dagli altoparlanti mentre il primo carro usciva nel tramonto dell’Anfiteatro Cittadino. Gale e Madge sarebbero stati gli ultimi.
Quando il loro carro si mosse, Madge sussultò.
“Ho paura- sussurrò a Gale – E se non piacessimo?”
“Tranquilla, piacerai di certo. Sei fantastica con quel vestito.”- le rispose Gale.
La luce del Sole morente li investì mentre varcavano la soglia, grida di ammirazione si levavano dagli spalti.
In pochi secondi tutta l’attenzione del pubblico era rivolta sui tributi del Distretto 12. Sembravano due fiamme, affascinanti e letali. Migliaia di occhi li fissavano, migliaia di mani si tendevano per toccarli.
Gale per un secondo rimase impassibile, ma poi cominciò a reagire, salutando la folla con un sorriso luminoso, ma distaccato, quasi annoiato. Madge, dal canto suo, aveva già fatto perdere la testa a decine di uomini e donne della Capitale con il suo incantevole sorriso, incorniciato dai motivi fiammanti del suo abito.
I carri rallentarono e si disposero per ascoltare il discorso del Presidente Snow, che da tempo immemore governava Panem e tutti loro.

***

“Ottimo lavoro, ragazzi, davvero un ottimo,ottimo, ottimo lavoro!”- trillò Effie Trinket non appena i ragazzi scesero dal carro.
“Ben fatto.”- si limitò a dire Haymitch.
Gale sentiva su di sé gli sguardi degli altri tributi. Lo sapevano, sapevano che lui e Madge avevano catalizzato tutta l’attenzione dei Capitolini. Ed erano arrabbiati.
Perfetto. Gale incrociò lo sguardo del tributo maschio del Distretto 2, vestito con un’armatura dorata con tanto di elmo alato. I suoi occhi lampeggiavano di odio.

***

“Sono pessimo, lo so. Ma cosa posso farci? Io li DISPREZZO. Non posso far finta di essere contente di essere qui”.
Gale stava discutendo con Haymitch. In teoria, avrebbero dovuto preparare l’intervista. In teoria. In pratica stavano discutendo da un’ora.
“Tu devi solo rispondere alle domande con un sorriso. Ti costa tanto?”- sbraitò Haymitch.
Gale non rispose. Era troppo stanco per rispondergli.
Negli ultimi tre giorni lui e Madge avevano affrontato l’addestramento assieme agli altri Tributi. Haymitch aveva chiesto loro di tenersi lontano dalle cose in cui avevano già esperienza. Gale quindi aveva evitato le trappole, la botanica e il tiro con l’arco. In quello non era bravo come Katniss, ma era migliore degli altri Tributi.
Madge purtroppo non sapeva fare quasi nulla. Aveva una buona mira, e con una fionda era capace di far male. Ma non di uccidere. I coltelli la spaventavano, e non riusciva a scagliare una freccia. Gale aveva cercato di insegnarle a fare delle trappole, ma senza successo. In compenso, si era rivelata abile nel distinguere le piante commestibili da quelle velenose. Aveva una buona memoria, ma la memoria aiuta poco quando si è un Tributo negli Hunger Games.Gale era preoccupato per lei, anche se a questo punto dello show, avrebbe dovuto pensare solo a se stesso.
“Ci rinuncio- disse Haymitch – Fa quello che vuoi, rispondi come ti pare. Ma non venire a lagnarti da me se poi non ottieni sponsor.
"E’ difficile che non ottenga sponsor" pensò Gale.
Ed era vero. Aveva ottenuto un 10 alla sessione privata con gli Strateghi, un voto che avevano ottenuto solo i Favoriti. Aveva sicuramente attratto gli occhi di qualche sponsor.

***
Madge era esausta, dopo aver passato l’ultima ora ad andare su e giù per la stanza con delle scarpe infernali che le aveva dato Effie. Erano altissime e molto scomode, ma a detta di Effie erano indispensabili.
La ragazza era preoccupata. Aveva ottenuto un 6 all’addestramento, e solo grazie alla sua buona mira con la fionda. Un punteggio intermedio come quello le avrebbe consentito di passare inosservata agli occhi degli altri tributi, ma non le avrebbe procurato nessuno sponsor. Cercò di scacciare via l’angoscia, concentrandosi sul dolore che le attanagliava i piedi.
Gale aveva cercato di aiutarla, durante l’addestramento, ma lei non era capace di fare quasi nulla.
Niente da fare, il peso dallo stomaco non se ne andava.
Tra pochi giorni sarebbe morta. Forse proprio il giorno dopo. Questo pensiero la sconcertava. Possibile che non potesse  fare nulla per cercare di sopravvivere?
Gale le aveva detto di reagire, di non disperarsi.
“Ebbene, se devo reagire, reagirò”- mormorò tra sé e sé.

***
“Ed ecco, dal Distretto 12, l’incantevole Madge Undersee!!”
La voce di Caesar Flickerman, lo storico presentatore degli Hunger Games, rimbombava nelle orecchie di Madge, mentre si alzava e si dirigeva verso il centro del palco.
“Benvenuta Madge. Sei bellissima, stasera”
“G-g-grazie Caesar.”
“Ooh, qualcuno qui è emozionato. Tranquilla, Madge, non ti mangerò! Allora, parlaci di te. Vieni dal Distretto 12, ma non sembri una del... come lo chiamate? Giacimento?”
“Sono.. sono la figlia del sindaco Undersee.”
“Aah, ecco spiegato. Ora, Madge, parliamo della tua sfilata sul carro. Eri davvero meravigliosa con quel vestito. Siete d’accordo con me?”- disse Caesar rivolgendosi al pubblico.
La folla esplose in applausi e grida.
Madge risentì la voce di Haymitch, quando nel treno le disse: “Visto? Tu piaci, carina. Evita di frignare, e forse riuscirò a procurarti qualche sponsor.”
Quell’intervista era la sua ultima occasione per ottenere un’aiuto.
“Grazie, grazie a tutti, davvero.”- disse con un sorriso, sperando che fosse abbastanza affascinante.
“Parliamo ora del tuo punteggio, Madge. Un sei. Non è molto, ma non è nemmeno poco. Cosa ci dici in proposito?”
Madge decise di giocare quella domanda a suo favore.
“Mah, chissà. Forse valgo solo un sei, o forse no. Forse ho nascosto le mie abilità. O forse no. Lo scoprirete presto.” Concluse questa frase con un sorriso, il più ammaliante possibile, che fece ammutolire la sala.
"Ci sono riuscita. Ho fatto colpo." Il peso che le bloccava lo stomaco stava lentamente svanendo.
“Ora, prima che scada il tuo tempo, ho un’ultima domanda. C’è qualche ragazzo, nel Distretto 12, che aspetta il  tuo ritorno?”
"Oh. Oh no. Questo di certo non lo dico a VOI" pensò Madge.
Ma non poteva non rispondere, e doveva essere certa di aver colpito gli sponsor. Così decise di dire la verità.
“C’è un ragazzo, del quale non dirò MAi il nome, per il quale ho una cotta da un po’. – ridacchiò, cercando di sembrare frivola – Ma spesso lui mi tratta male. Non so davvero cosa fare.” Pronunciò questa frase con un aria corrucciata, come una bambina che non poteva ottenere il giocattolo che desiderava.
Qualcuno dal pubblico gridò: “NON TI MERITAA!”
Caesar scoppiò a ridere, e il segnale acustico segnò la fine dell’intervista. Madge tirò un sospiro di sollievo mentre tornava al suo posto. Era riuscita a fare colpo senza esporsi troppo. O quasi. Il fatto che tutta Capitol City sapesse che aveva una cotta le dava fastidio.

***
“Benvenuto Gale. Benvenuto.” Caesar accolse Gale.
Portia gli aveva fatto indossare dei semplici pantaloni neri, una camicia bianca, e una cravatta nera appositamente allentata. Le maniche della camicia erano tirate su, per dare un effetto ancora più trasandato. Ma a giudicare dai fischi di approvazione del pubblico, quella scelta era stata perfetta.
“Allora, Gale. Tu, a differenza della tua compagna di Distretto, hai il tipico aspetto “da Distretto 12”. Non è uno schianto?”
Il teatro venne quasi giù dagli applausi, mentre decine di Capitolini piangevano per il loro amore non corrisposto.
Gale non si degnò nemmeno di rispondere. Si limitò solo ad un mezzo sorriso, quasi un ghigno.
“Parlaci del tuo addestramento. Hai ottenuto un bel 10, un voto insolito per il tuo Distretto.”
Il disprezzo di Gale per quella gente cresceva sempre più. “Credo che sottovalutiate il nostro Distretto. Le difficoltà ci temprano. E non abbiamo niente da perdere.”
Non era vero. Lui aveva tutto da perdere. Sua madre. I suoi fratelli. Katniss.
Katniss. Non pensava a lei da tempo. Era troppo preoccupato a cercare di sopravvivere.
“Bene, mi piaci così. Intimidatorio.”
Caesar Flickerman era un idiota.
“Ora, Gale, parliamo di te. Hai una ragazza che ti aspetta a casa?”- disse Caesar.
Dove voleva arrivare, quell’insopportabile Capitolino?
“Come?”- gli rispose Gale, alzando un sopracciglio, come se fosse del tutto indifferente all’argomento.
“Andiamo, Gale. Sei un bel ragazzo, ci sarà qualcuno di speciale per te. O magari tu sei speciale per qualcuno.”
“Se sono speciale per qualcuno, non lo so e non voglio saperlo. Ma per me... c’è qualcuno di speciale. E’ la mia amica, la mia compagna, la mia confidente. Più di questo non vi dirò.”
“Beh, sono certo che l’interessata capirà subito che stai parlando di lei. Non vuoi dirci nemmeno il suo nome?”
Gale iniziò a sudare. Avrebbe dovuto rivelare il nome della ragazza che occupava i suoi pensieri davanti a tutta quella gente? MAI.
“No, non lo dirò. Buona sera.” Il segnale suonò e Gale tornò al suo posto senza aggiungere altro.

***

Una volta tornati nell’appartamento, Effie e Haymitch diedero la buonanotte e si ritirarono nelle loro stanze.
Gale e Madge rimasero soli.
“Sei stata molto brava nella  tua intervista, Madge.” – disse Gale.
“Grazie. A-anche tu.”
Passò un minuto di silenzio imbarazzante.
“E così... sei innamorato di Katniss.”
“Come.. come hai fatto a capirlo?”
“La tua amica, la tua compagna, la tua confidente. Chi altri può essere?!”
“Già.. chi altri può essere?”- mormorò Gale.
“Bene. Buonanotte, Gale.”
Madge si voltò e si diresse verso la sua stanza.
“E tu? Chi è che ti tratta male, chi è quello per cui hai una cotta?”
La ragazza si fermò, senza voltarsi, il vestito d’organza dorata che ondeggiava.
“Tu.” Le spalle ebbero un fremito, mentre Madge proseguiva verso la sua stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Let the games begin. ***


Quella notte, Madge non chiuse occhio. La paura di ciò che avrebbe dovuto affrontare il giorno dopo la schiacciava. Riusciva a malapena a respirare. Si rigirò fra le pesanti coperte per tutta la notte, pensando a ciò che l’aspettava fuori dalla sua stanza. Temeva l’arrivo dell’alba, perché avrebbe significato uscire da lì ed affrontare la morte. Così continuò a rigirarsi fra le coperte, godendosi, anche se per poco, la sensazione di essere al sicuro.

***

Gale non riusciva a dormire. E nemmeno a stare disteso. Per tutta la notte rimase in piedi ad osservare Capitol City dalla sua finestra.  Il suo corpo era immobile, ma la sua mente vagava a chilometri e chilometri di distanza. Quanto avrebbe voluto risvegliarsi, scoprire che si era trattato solo di un brutto sogno. Quanto avrebbe voluto che l’alba che ormai avanzava sulla città fosse solo un’illusione. Quanto avrebbe voluto fuggire nei boschi con Katniss, per ritrovare quella sensazione di libertà, solo per una volta ancora. Ma purtroppo questo era impossibile. L’indomani sarebbe iniziata la più devastante esperienza della sua vita. Forse l’ultima esperienza.
Provò a convincersi che sarebbe andato tutto bene, ma senza successo. Così continuò a guardare fuori dalla finestra, immobile.

***
La camera di lancio era vuota, quando Madge e Cinna vi entrarono. Sarebbero stati i primi ed ultimi ad utilizzarla.
Madge era in uno stato di torpore, dovuto alla notte insonne e al terrore. Cinna le fece indossare gli abiti per l’Arena: un paio di pantaloni, scarponi, una maglietta e un giaccone. I capelli vennero raccolti in una coda di cavallo, in modo che non le fossero d’intralcio.
Madge assisteva a tutti questi preparativi come una semplice spettatrice. In lei ogni singola cellula si dibatteva per impedirle di andare verso una morte certa. Tutto il suo corpo dava lo stesso segnale: “non voglio morire.”
Quando Cinna finì i preparativi, la fece sedere. Madge sentiva lo sguardo dello stilista su di lei, e si decise finalmente ad alzare gli occhi.
“Vuoi parlarne?”- le chiese Cinna.
“No… ecco io… non lo so. Ho paura. Tanta, troppa paura. Pensavo che con lo spirito giusto sarei riuscita a tenerla a bada, la paura. E invece mi paralizza. Non so nemmeno se riuscirò a scendere dal piedistallo.”
“Haymitch non ti ha dato indicazioni in merito?”
“Mi ha detto di stare lontana dalla Cornucopia, e… e di trovare l’acqua. Proprio così. Ha detto che l’acqua è il mio migliore amico.”
“Segui il suo consiglio. Lui sa cosa dice.”
“Lo farò.”
Dall’altoparlante, una voce annunciò “Dieci secondi.”
Madge rivolse a Cinna uno sguardo triste e rassegnato, ed entrò nel cilindrò di vetro.

***
La prima cosa che Gale vide all’uscita del tunnel fu la luce. Una luce gialla, forte. Dopo pochi secondi i suoi occhi si abituarono e vide che si trovava in una radura, affiancato su un lato da una folta foresta, su un altro da un lago e sull’altro ancora da uno strapiombo.
Gale quasi sogghignò quando vide i boschi. Quello era pane per i suoi denti. Si guardò attorno. Aveva sessanta secondi per decidere cosa fare. Avrebbe potuto seguire il consiglio di Haymitch, e fuggire lontano dalla Cornucopia. O avrebbe potuto fare di testa sua e buttarsi nella mischia.
Il gong suonò prima che potesse prendere una decisione. Senza pensarci troppo, si tuffò in avanti, verso uno zaino posato a mezzo metro da lui.
Se lo mise in spalla e corse in avanti, mentre attorno a lui già scorrevano le prime gocce di sangue. Riuscì ad afferrare un coltello, prima di essere spinto a terra dal Tributo dell’11, che gli strappò il coltello di mano. Non appena Gale vide la lama avvicinarsi al suo stomaco, scattò in avanti, sbilanciando il tributo e guadagnandosi la fuga. Non pensò più alle armi: adesso conosceva davvero la paura di morire, e voleva solo trovare un posto sicuro nel bosco in cui nascondersi. Con lo zaino in spalla, sparì tra gli alberi.

***
Madge era fuggita nel bosco non appena era suonato il gong. Non si era nemmeno fermata a raccogliere una pagnotta caduta dalle mani di un tributo colpito a morte che le era praticamente rotolata sui piedi. Non si era ancora fermata, correva senza sosta nei boschi, alla ricerca di un riparo. Ben presto rimpianse di non aver preso la pagnotta: le sarebbe stata utile per calmare la fame. Ma ancora non aveva trovato l’acqua.
Si avvicinò ad un sentiero in pendenza, e fu costretta a rallentare per non cadere. Scese con calma, guardandosi continuamente alle spalle e aggrappandosi agli alberi per non scivolare.
“Pensa, Madge, pensa. Cosa hai imparato a scuola sull’acqua?”
Ma la sete, la fame e la stanchezza avevano preso il sopravvento, e Madge non riusciva a pensare.
Continuò a camminare senza meta, senza un attimo di riposo. Quando passò vicino ad uno stagno, per poco non andò oltre.
Si tuffò nell’acqua senza farsi troppi domande, e bevve finché non ebbe lo stomaco pieno d’acqua.
Poi riprese a camminare per cercare un riparo, ma senza allontanarsi troppo dal laghetto, il suo unico punto fermo in quella foresta di paura.

***
Gale continuò a camminare fino a notte fonda. Ancora non aveva trovato l’acqua, e la disidratazione stava cominciando a dare i primi segni. Ma non voleva fermarsi. Nello zaino aveva trovato una borraccia piena d’acqua, ma incoscientemente l’aveva finita subito.
Ora era esausto.
Stava camminando nel bosco quando scorse una piccola figura su di un albero. La riconobbe: era la minuscola ragazzina proveniente dal distretto 11. Era stata abbastanza scaltra da trovare un rifugio sugli alberi. Gale proseguì: non aveva armi, e poi non avrebbe mai fatto del male ad una bambina così indifesa.
Indifesa. Quella parola gli riportò alla mente Madge. Chissà come se l’era cavata. Era morta?
Quasi come se gli avessero letto nel pensiero, gli strateghi proiettarono il resoconto dei morti nel cielo scuro dell’arena. C’erano stati tredici morti, ma Madge non era tra loro. Aveva trovato il modo di sopravvivere, almeno per un altro giorno. Il pensiero di Madge gli fece male. Quella ragazza era innamorata di lui, e lui l’aveva sempre trattata male. Il rimorso si fece spazio tra le sue emozioni, ma ben presto fu spazzato via da qualcosa di più urgente. Il bisogno di bere.
Si fermò a sedere su un masso, disperato, guardando fra le sue mani la borraccia vuota.
Chiuse gli occhi, cercando di riordinare i suoi pensieri, ma la mente era confusa. Si addormentò prima che potesse decidere di rialzarsi.


***
Madge decise di vagare tutta la notte nel bosco. Se si fosse fermata a dormire qualcuno l’avrebbe potuta uccidere nel sonno. E se per una strana fortuna nessuno l’avesse uccisa, ci avrebbe pensato il freddo.
Così strinse i denti e continuò a camminare. Piccoli passi, per poi tornare indietro, nelle vicinanza del lago.
Stava proprio avvicinandosi allo specchi d’acqua quando scorse una figura appoggiata ad un masso, alla sua destra. Si avvicinò, cautamente, cercando di non farsi vedere. Ma le fu subito chiaro che quel tributo, chiunque fosse, era addormentato.
Si fece più vicina, con la speranza di poter trovare qualcosa da rubare mentre l’ignaro tributo dormiva.
Con stupore si rese conto che la figura addormentata altri non era che Gale. Sul bel volto illuminato dalla luna si vedevano i segni della giornata faticosa. Le membra erano irrigidite: forse aveva freddo.
Madge continuava a  guardarlo dormire, incantata, ma all’improvviso Gale si mosse.
Spaventata, subito Madge si ritirò indietro. Si sarebbe svegliato? Che le avrebbe fatto? L’avrebbe uccisa?
Ma in realtà Gale era ancora addormentato.
Così la ragazza si fece coraggio e gli chiuse il giaccone tirando su la lampo. Così avrebbe auto meno freddo.
Notò che aveva in mano una borraccia, vuota.
Gliela prese dalle mani e la riempì con l’acqua del lago, per poi rimettergliela fra le dita. Con un ramoscello segnò sul terreno la direzione in cui si trovava l’acqua e silenziosamente si allontanò.
Continuò a camminare per tutta la notte, scuotendo la testa al pensiero di quello che aveva fatto. La sua devozione a Gale superava tutto. Anche gli Hunger Games.

***
Quando Gale si risvegliò, il mattino dopo, aveva le membra intirizzite dal freddo.
Fece per chiudere il giaccone, ma notò che era già chiuso. “Strano- pensò – Non ricordo di averlo fatto.”
Cercò di alzarsi, e vide che tra le mani reggeva ancora la borraccia. Solo che ora era piena d’acqua.
“Che cosa sta succedendo?”-pensò.
Si guardò attorno, e vide che qualcuno aveva disegnato una freccia sul terreno.
Seguì la direzione indicata e trovò uno stagno.
Era stato vicino all’acqua per tutto quel tempo e non se n’era accorto.
Ma chi aveva fatto tutto questo per lui?
Dall’altra parte del lago, scorse una testa di capelli biondi che si allontanava.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Trust him. ***


Erano passati due giorni dall’inizio dei Giochi, e Gale aveva iniziato ad orientarsi nell’immensa foresta.
Dopo quella strana notte in cui qualcuno gli aveva riempito la borraccia d’acqua, aveva trovati altri stagni, e addirittura un fiume.
Non aveva armi, ma con le sue trappole riusciva a catturare selvaggina a sufficienza. Dal primo giorno, non aveva incontrato altri  Tributi, nemmeno Madge.
Madge. Chissà che fine aveva fatto. Non aveva visto il suo volto delicato nel cielo dell’arena.
In fin dei conti, forse era più scaltra di quanto non pensasse.

***

Madge era ad un passo della morte.  Non mangiava da due giorni, e la poca acqua che beveva le bastava appena ad idratarsi. Vagava per i boschi in uno stato di trance, trascinando con sé tutto quello che incontrava. La notte precedente un altro  Tributo l’aveva trovata mentre vagava semicosciente per il bosco, e le aveva tirato un coltello. Qualcosa, forse l’istinto di sopravvivenza che si nascondeva da qualche parte dentro di lei, la fece scansare, e il coltello le colpì il braccio destro, poco sopra il gomito. Lo aveva estratto con dolori fortissimi, l’aveva pulito e se lo era infilato alla cintura. Strappò un lembo della maglia e fasciò la ferita, dalla quale sgorgava parecchio sangue.  Quindi continuò a vagare per i boschi, ciondolando, sbattendo contro alberi e cadendo in ore di sonno profondo nascosta tra i cespugli.
Quella mattina, quando si svegliò da un sonno durato troppo tempo,  le braccia le tremavano anche per il semplice sforzo di piegarsi.
A fatica si alzò, e barcollò fino al lago per bere un sorso d’acqua.
Avvicinò il volto alla superficie d’acqua fresca,  e in quel momento lo vide.
Un’ombra si muoveva dalla parte opposta del laghetto.
Madge alzò lentamente lo sguardo, senza muovere un muscolo, senza osare un respiro.
Vide un corpo muscoloso, un ragazzo.
Labbra carnose, occhi grigi.
Gale.

***

Il  cervello di Madge ordinò ai muscoli di scattare e correre via: Gale ora era un nemico, un avversario negli Hunger Games. Ma le membra indebolite dalla fame non risposero al suo comando, e Madge cadde in avanti,  piombando pesantemente nelle acque del lago.
Gale, con due abili balzi, fece il giro del laghetto e la raggiunse, tirandola fuori  dall’acqua. Era svenuta per la paura, la fame e la fatica. Gale la prese in braccio, muovendosi il più cautamente possibile per non fare troppo rumore. Madge era sempre stata piccola, ma la fame le aveva tolto buona parte del suo peso.
La portò in un luogo appartato, una specie di piccola capanna che Gale si era costruito, mimetizzata tra le foglie verdi. La distese sul terreno, si tolse la giacca e la appallottolò, per farle un cuscino.
Osservandola,  vide i segni della stanchezza sul suo bel volto. 
Gale si chinò su di lei, le sollevò la nuca con una mano, e le appoggiò la borraccia con l’acqua alle labbra.
Non appena sentì l’acqua fresca sul viso, Madge si svegliò di soprassalto.
Si ritrovò a fissare Gale, che la guardava con aria perplessa.
“Cosa mi sta facendo? Lasciami andare. LASCIAMI.”
Si dibatteva come un uccello in gabbia * mente Gale restava impassibile a guardarla con un sopracciglio alzato.
“Hai finito?”
“Perché mi stai aiutando? Non mi devi niente.”
“No, è vero.  Ma ho pensato che fare squadra per un po’ avrebbe fatto comodo ad entrambi. Non sembra che tu te la stia passando bene, ultimamente.”- le rispose Gale, sarcastico.
“Sto benissimo.”
“Ah, sì? Da quant’è che non mangi?
Madge non rispose.
“Ecco, lo immaginavo. Ora stattene qui buona buona , mentre io vado a controllare le mia trappole.”
Si allontanò in fretta senza darle il tempo di replicare. Così Madge si distese di nuovo, piombando in un sonno profondo.

***

Gale era ritornato poco dopo con due cogli in mano, e aveva trovato Madge di nuovo addormentata.
Senza svegliarla, accese un piccolo fuoco  per cuocere le prede, e lo spense rapidamente non appena furono cotte.
Osservava la ragazza bionda, domandandosi se fosse stata lei, un paio di notti prima, a coprirlo e a dargli dell’acqua. Lei intanto dormiva, ignara di tutto. Sembrava una bambina, capitata in quel gioco al massacro per puro caso.
Dormiva, lei, tranquilla, come se un’arena piena di assassini fosse il posto più sicuro al mondo.
Gale si ritrovò a sorridere mentre la guardava dormire: piccola, indifesa, eppure in qualche modo determinata.

***
Avevano mangiato dopo il calar del sole, in silenzio, troppo affamati per parlare.  Gale diede a Madge una porzione più grande, per tentare di compensare i giorni di vuoto.
Lei accettò, riconoscente, ma non sembrava in vena di parlare.
Teneva gli occhi bassi, e se per caso incrociava quelli di Gale, distoglieva subito lo sguardo.

Non appena fece buio, nel cielo vennero proiettati i morti della giornata. Due ragazzini, dal 7 e dal 10.
Gale fece distendere Madge sul fondo della rudimentale capanna, e la coprì con un telo che aveva trovato nello zaino. Poi sedette,dandole le spalle, a fare la guardia.

Passarono i minuti, poi le ore, e Gale era sempre più stanco. Alla fine rinunciò a fare la guardia, e si distese accanto a Madge.
Improvvisamente lei sussurrò: “Ho paura, Gale.”
Lui si girò, lentamente, e la cinse con un braccio.
“Lo so. Anche io ho paura. Ma non ti devi preoccupare. Ora ci sono io.”
“Perché lo fai? Potresti avere qualche possibilità se non...”
“Perché, qualche notte fa, mi hai dato dell’acqua?”
“Lo sai perché.”
Gale sospirò. Si, lo sapeva il perché. Madge era innamorata di lui.  Era talmente innamorata di lui da andare contro le regole dei Giochi. Gale apprezzava quello che aveva fatto. Non per l’acqua, quella avrebbe potuto trovarla da solo. Ma Madge, con un piccolo gesto, aveva fatto capire che avrebbe giocato secondo le sue regole.  Quella piccola e indifesa ragazzina, seppure in piccolo, si era ribellata al sistema.
Gale sorrise, mentre questi pensieri gli attraversavano come un lampo la mente.
“Sì, lo so perché” – rispose
“Ma non mi hai ancora detto perché tu stai aiutando me.”
Gale non  rispose. Perché la stava aiutando? Perché era indifesa, forse. Perché gli suscitava tenerezza. Pietà.
Ma non poteva dirglielo. L’avrebbe ferita. Così le rispose con un brusco:
“Perché così volevo. Ora dormi.”

Madge sospirò e chiuse gli occhi. Si sentiva una stupida, perché invece di essere spaventata, si sentiva al sicuro, avvolta nel grande braccio di Gale.
“Stupida ragazzina- disse a se stessa- smettila di perderti in fantasie assurde. Sei nell’arena. E questi sono gli Hunger Games. Non c’è spazio per l’amore. Persino Gale potrebbe ucciderti.”
Eppure qualcosa dentro di lei diceva di fidarsi del ragazzo.
 
 
 






  *=citazione da Jane Eyre

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1893913