We could steal time just for one day

di C h a r l o t
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le precauzione non sono mai troppe ***
Capitolo 2: *** Non c'è spazio per noi, qui. ***
Capitolo 3: *** La notte delle ciliegie ***
Capitolo 4: *** Uno a zero ***



Capitolo 1
*** Le precauzione non sono mai troppe ***


Salve a tutti!
Ma proprio tutti...beh, comunque: ci tenevo a dire che questo è un tentativo forse un po' pretenzioso di riscrivere il libro dalla prospettiva del mio personaggio preferito, ossia Patrick.
Ci tenevo a precisare che, nonostante ci abbia provato, tendo a mischiare aspetti del libro e del film (che in alcuni punti sono realmente differenti) quindi scusate se non sarò esattaente fedele al libro, anche perchè so già che da modesta storia identica al libro, diventerà un delirio inventato da me.
Forse tutto ciò non ha senso e nessuno leggerà, però fa niente: sono la prima autrice di long in questa sezione! *feel like a boss*
Buona lettura :)

 

 

 

Primo giorno del mio ultimo anno di liceo. Wow, speravo in un’accoglienza trionfale da parte dei più piccoli, ma niente. Che delusione.
Come prima lezione oggi ho chimica, ottimo inizio.
Mia sorella Sam ed io ci avviamo verso l’aula del professor Stuart, stiamo per entrare quando vedo con la coda dell’occhio Brad, il nostro quarterback, nonché mio ragazzo.
Lo guardo e gli sorrido, lui controlla che non ci sia nessuno che conosce nelle vicinanze e ricambia.
Che bello il suo sorriso.
Bene, dopo questo avvenimento la noiosa lezione di chimica sarà decisamente più sopportabile.
Mentre il prof. Stuart ci chiede delle nostre vacanze, ringrazio di essermi accaparrato l’ultimo posto, così sarò l’ultimo a cui lo chiederà e avrò tempo per inventarmi la mia estate.
Devo inventarmela perché non posso raccontare a tutta la classe che la prima parte dell’estate è stata bellissima e bruttissima allo stesso tempo. È stata bellissima perché ho fatto l’amore con Brad.
Solo che lui continua costantemente a vivere nel terrore che suo padre lo venga a scoprire in qualche modo, teme di andare all’inferno.
È stata bruttissima perché poi non ci siamo più visti, i suoi genitori l’hanno ricoverato in un centro per le dipendenze.
Solo quando mancavano pochi giorni all’inizio della scuola e io passavo le mie giornate a piangere, lui si è presentato sotto casa, lanciando sassolini alla mia finestra.
Mi ha detto che dovevamo tenerlo segreto, ma che non poteva stare senza di me, perché mi ama.
Nonostante io sia così innamorato di lui, e vorrei tanto poterlo gridare al mondo intero, mantengo le sue condizioni perché non potrei mai permettermi di perderlo. MAI.
La campanella suona e possiamo finalmente muoverci da quel luogo pieno di provette e arnesi potenzialmente pericolosi, qui Sam ed io dobbiamo separarci, perché lei andrà alla lezione di spagnolo e io andrò a laboratorio.
Non faccio in tempo a varcare la soglia che qualche idiota che pensa di essere originale dice: «Ciao Niente, come sono andate le vacanze?» onestamente, non so nemmeno chi sia quella che mi ha posto la domanda, ma sono così stufo di sentirmi chiamare con quello stupido nomignolo propinatomi fin troppo tempo fa, che ricambio alzando il dito medio della mia mano destra, per poi sedermi più lontano possibile da quella tizia così simpatica.
La classe inizia a riempirsi, e noto che la maggior parte dei presenti sono matricole con lo sguardo terrorizzato e perso nel vuoto. Un classico.
Decido di far calare un po’ la tensione inscenando una fantastica imitazione del professor Callahan.
Mi alzo in piedi, mi disegno con un carboncino barba e baffi tipici del nostro insegnante e inizio ad fargli il verso.
Riscuoto subito un gran successo, la gente ride e vedo la tensione abbandonare i loro volti almeno un poco. Bene, il mio obbiettivo è stato raggiunto.
Decido di finire in bellezza con una delle sue solite frasi, quando sento le risate spegnersi.
È dietro di me, me lo sento.
Mi volto e lo vedo guardarmi con disapprovazione: «Bene, bene, chi abbiamo qui? Lo sai che sei in una classe piena di matricole? Non è già abbastanza umiliante per te come cosa? Ora, siediti e inizia a leggere il primo capitolo del manuale».
Obbedisco e torno al mio posto, decido però di dare ancora un po’ di fastidio inventandomi il titolo del “primo capitolo del manuale”.
Manuale, poi: che parola stupida! In quanti ancora usano questo termine per definire un libro scolastico?
Mah, solo il Callahan!
È a metà della lezione che noto un ragazzino, occhi azzurri e capelli corti. Mi sta fissando con un mezzo sorriso stampato in faccia, appena si rende conto di essere stato scoperto distoglie subito lo sguardo.
Sembra simpatico.
Finalmente dopo altre lezioni assolutamente non degne di nota, possiamo andarcene da quel buco di scuola.
Anche il primo giorno del mio ultimo anno di liceo è andato.
Salgo sul pickup di Sam ed esordisco: «Oggi un’altra testa di cazzo mi ha nuovamente chiamato Niente.  Quando la smetteranno? Cristo. A te com’è andata la giornata?». Mi volto verso mia sorella e le sorrido.
«Lasciali stare quelli, Patrick! Non hanno un minimo di vita sociale e pensano di essere fighi, da compatire. Comunque a me è andata bene, stasera si va con Alice e Mary Elisabeth al Big Boy, ok?».
Trovo molto carina come cosa il fatto che mi abbia invitato, ma io vorrei tanto riuscire a vedermi con Brad, non stiamo un po’ insieme da qualche giorno.
«Non so, forse stasera mi vedo con Brad» mi scappa un sorrisetto quando lo dico, i miei amici me lo fanno sempre notare, è una cosa inevitabile.
«Ah, d’accordo! Fammi sapere se ci raggiungi o meno».
«Sicuro!» a volte trovo assurdo come il destino ci abbia fatti incontrare, con tutte le figlie viziate che ci sono in giro, mio padre abbia sposato proprio la madre di Sam che, detto tra noi, è la ragazza più fantastica che conosco.
Le voglio un bene enorme.
Arriviamo a casa e accendo lo stereo, mi va di ascoltare un po’ di Blondie.
Sono già passate un paio d’ore e Brad non si è ancora fatto vivo per farmi sapere se questa sera ci vedremo, così decido che, se non mi farà sapere niente entro la fine di questo disco, andrò al Bigo Boy con gli altri.
In ogni caso, ci sono buone probabilità di trovarlo lì con i suoi amici e compagni di squadra.

Eccoci qui, solito tavolo, soliti amici, solite cazzate.Siamo semplicemente noi: Sam, Bob, Mary Elisabeth, Alice ed io.
Amici da sempre, da quando ne abbiamo memoria.
Stiamo parlando del più e del meno tra fumo di sigaretta, birra e qualche muffin al doppio cioccolato e cocco, quando sentiamo la campanella della porta tintinnare.
Un gruppo di ragazzi entra, noto le iniziali della squadra di football sulla loro felpa.Subito le loro voci irrompono nella tavola calda, spezzando la quiete.
Per ultimo, vedo entrare un ragazzo non molto alto, di corporatura muscolosa e i capelli castano chiaro non troppo corti.
In una parola? Brad.
Gli atleti si dirigono verso il primo tavolo libero che vedono, io non gli stacco gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, quanto a lui, mi rivolge brevi sguardi in cui cerca di comunicarmi qualcosa, che non afferro immediatamente.
Ordinano qualcosa da mangiare e da bere, la loro spavalderia si percepisce lontano un miglio: loro sono i giocatori di football della scuola che vince il campionato juniores da cinque anni di fila.
Esattamente da quando Brad è entrato in squadra.
Un caso? Non direi.
Li guardo pavoneggiarsi per la loro popolarità, quando vedo i suoi occhi castani fissarmi.
Arrossisco leggermente, il suo sguardo mi fa sempre quest’effetto.
Come se gli avessi letto nella mente mi dirigo in bagno, mentre lui fa esattamente la stessa cosa.
Fuori dai servizi semplici compagni di scuola, dentro amanti passionali.
«Perché non ti sei fatto sentire per questa sera?» gli chiedo fingendomi infastidito.
«Scusami, ma ho avuto mio padre attorno per tutto il pomeriggio.
Sai com’è, non potevo alzare la cornetta per dire qualcosa tipo “ehi ciao Patrick, alias mio ragazzo, che ne dici se ci vediamo questa sera e andiamo a spassarcela sul campo da golf che mio padre abitualmente frequenta?”» riesce a strapparmi una risata, ci riesce sempre.
Mentre facciamo questo discorso, blocchiamo la porta con il cestino, meglio non farsi scoprire.
«Bene, siamo al sicuro» gli dico sorridendo con gli occhi.
«Direi di sì» risponde lui.
Mi avvicino lentamente al suo viso, gli faccio una carezza: «Mi sei mancato, quarterback».
«Anche tu, Niente» non riesce quasi a finire la frase, perché le mie labbra hanno sfiorato le sue.
Forse non sarà il posto più romantico dove baciarsi con il proprio ragazzo, ma ci si deve accontentare e, d’altro canto, quando baci la persona che ami, l’unica cosa che conta è che siete lì insieme.
Decidiamo di non andare oltre al bacio, seppur lungo e bramato.
Usciamo a distanza di qualche secondo l’uno dall’altro.
Le precauzioni non sono mai troppe.

 


IMPORTANTE: questa storia è sì frutto della mia fantasia, ma non sarei mai e poi mai riuscita ad andare avanti se non fosse stato per Chiara, una mia compagna di classe che mi ha dato idee geniali per continuare. Quindi un po' di merito va anche a lei.

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Capitolo 2
*** Non c'è spazio per noi, qui. ***


«Oggi fa un caldo tremendo, Patrick, non portarti dietro la giacca!» mi dice Lily, la mamma di Sam.
Effettivamente oggi c’è un bel sole splendente e il cielo è terso.
Dopo aver salutato i nostri genitori saltiamo sul pickup di Sam, non è neppure uscita dal vialetto che esordisce con un: «Beh, com’è che sei così sorridente questa mattina?» mentre lo dice fa una faccia buffa, a metà tra il malizioso e il divertito.
La guardo e solo allora mi accorgo che è vero, non ho fatto altro che sorridere da quando sono uscito dal quel bagno, ieri sera.
È stato così bello rivederlo dopo quasi una settimana di sguardi fugaci, mi mancavano le sue labbra, e il suo profumo.
Non ho bisogno di rispondere alla domanda di mia sorella, sa perfettamente il motivo del mio incessante sorriso, ed è felice per me.
Arriviamo a scuola giusto in tempo, la campanella suona non appena chiudiamo a chiave la macchina.ù
Una volta entrato, la realtà mi ripiomba addosso: io sono Niente, uno che dopo aver scoperto la musica “giusta” è stato declassato dalla scala gerarchica scolastica e che è innamorato del quarterback, ma lui non può neanche guardarmi quando siamo rinchiusi in queste quattro dannatissime mura.
Perché la società non capisce, perché la società è limitata.
Ci incontriamo per i corridoi mentre ci dirigiamo ognuno nelle proprie aule, lui non mi guarda nemmeno, ci sono i suoi due amici o, come amo definirli io, le sue “scimmie ammaestrate”.
Percepisco come una fitta al cuore, quanto odio il fatto di non poterci salutare, di non poterci nemmeno guardare.
Arrivo nell’aula della signorina Johnson e mi siedo.
Non presto molta attenzione alle sue spiegazioni su William Shakespeare, perché sono troppo occupato a guardare fuori dalla finestra, sperando di vederlo passare mentre si allena.
Curiosa come cosa, dal momento che il campo da football è dall’altra parte della scuola.
Mi ritrovo senza neanche accorgermene, a disegnare numerose “B” sul foglio che tecnicamente avrebbe dovuto ospitare i miei appunti di letteratura inglese, ma sono così soprappensiero che non riuscirei neanche a dire come mi chiamo.
«Bene, adesso per esempio il signor Patrick potrebbe riassumerci ciò che abbiamo detto fino ad ora» mi risveglio dalla mia trance e mi accorgo che la professoressa è esattamente di fianco a me e sta osservando il mio quaderno, su cui c’è scritto tutto meno che la lezione su Shakespeare.
Con gli occhi persi nel vuoto non cerco nemmeno di risponderle: «Continua così, mio caro, e quella lettera sarà l’unico voto che ti darò per il resto di quest’anno, e non ti conviene visto che sei all’ultimo» dice questa frase con un tono gelido, e non ha nemmeno tutti i torti, infondo.
Solitamente le risponderei in modo del tutto sarcastico, da persona apparentemente incurante del mondo quale sono, ma oggi no. Oggi sono triste, come se per la prima volta avessi realizzato che in questo mondo non c’è spazio per l’amore tra me e Brad.
La lezione finisce e decido che per la prossima ora me ne starò sugli spalti del campo da football, a fumare un po’.
Non ho nessuna intenzione di andare da quello psicopatico di matematica, proprio per niente.
Aspiro nervosamente il fumo che invade i miei polmoni, era quello che ci voleva.
Noto che vicino a me ci sono fin troppi mozziconi di sigaretta, sarebbe il caso di smettere, sto fumando troppo in questo periodo.
Non potevo uscire un’ora prima? Se fossi uscito invece di perdere tempo con Shakespeare, avrei potuto vederlo allenarsi, proprio qui, davanti a me.
Il sole picchia forte sugli spalti senza nessuna copertura, e il mio abbigliamento scuro non aiuta. Credo di essermi scottato le spalle.
Decido quindi di tornare dentro la scuola, in tempo per il pranzo.
Riempio il mio vassoio con un paio di fette di pizza e una lattina di Cola e raggiungo il nostro tavolo.
Mary Elisabeth sta graffettando insieme le pagine del Punk Rocky, il suo fanzine.
«Ehi, si può sapere dove sei finito nell’ora di matematica? Ho dovuto coprirti. Mi devi un favore» mi risponde lei in tono scontroso, io le sorrido e non me la prendo molto per il suo modo di fare, ci sono abituato e se non fosse così, non sarebbe la nostra Mary Elisabeth.
Sam invece capisce che c’è qualcosa che non va, lei capisce sempre tutto. Mi guarda e mi appoggia una mano sulla spalla, il suo sguardo è dolce e comprensivo, so che a lei posso dire tutto, così decido che una volta arrivati a casa le racconterò per filo e per segno tutte le mie ultime sensazioni.
Sto per addentare una fetta di pizza quando vedo arrivare i Devils, nonché la nostra squadra di football.
Osservo tutti i miei compagni che, alla loro entrata, li acclamano come se avessero riportato la pace nel mondo, trovo che sia leggermente esagerato dal momento che si sono solo allenati per un’amichevole che ci sarà tra qualche giorno.
Il mio sguardo si fissa sul quarterback, perché spero vivamente che mi guardi anche lui, come quella sera al Big Boy.
Ho bisogno dei suoi occhi per tranquillizzarmi e farmi capire che è tutto ok, che anche se non possiamo mostrarci al mondo per come siamo, andrà tutto bene.
Ho bisogno di un bacio, lungo o corto che sia, di una carezza.
Ho bisogno di sentirmi chiamare “Niente” da lui. Perché odierò anche questo soprannome che ormai ho dalle medie ma, quando lo dice lui, lo amo.
Perché lui pronuncia quella parola con una dolcezza spropositata, so che non lo dice per offendermi, è un gioco tra noi due.
In sostanza: adoro quando mi chiama Niente, ma è concesso solo a lui, neanche mia sorella può farlo.
Mi passa di fianco ed è allora che decido che o la va o la spacca, devo almeno provarci: «Ciao Brad» la mia voce sembra quasi amplificata.
Davvero Niente ha osato rivolgere la parola a Brad Heys, il ragazzo più in vista della scuola? I miei occhi incrociano i suoi, che subito cambiano direzione in preda ad una specie di attacco d’ansia.
L’attimo che è intercorso dal mio saluto alla reazione generale mi è parso infinito, come se il tempo si fosse fermato e tutti gli occhi fossero puntati su di me.
La mia speranza che Brad ricambiasse viene immediatamente frantumata dalla fragorosa risata dei suoi compagni di squadra: «Cos’è Brad, ti sei fatto il moroso? Fai strage di cuori da entrambe le parti!» poi, pensando che non fosse abbastanza, si sono rivolti a me: «Ehi Niente, non ti è ancora passata la cotta per Heys? Inizi a diventare petulante» si danno leggere gomitate a vicenda, per farsi forza e per sottolineare l’argutezza della battuta.
A questo punto sono così giù di morale e imbarazzato, che non riesco a immaginare come la situazione potrebbe andare peggio, non può.
E invece…
Non so esattamente come io abbia fatto a trattenere le lacrime, dopo aver visto il mio ragazzo ridacchiare alla squallida battuta fatta da uno dei più stupidi e decerebrati individui nella scuola.
È allora che ho distolto lo sguardo, sapendo che non sarei riuscito a resistere ancora. Finalmente quegli energumeni se ne vanno ed io esordisco con un: «Io me ne vado, ci vediamo dopo» mi alzo dal tavolo senza aver toccato cibo.
La giornata finisce ed io posso tornarmene a casa, non voglio parlare con nessuno, eccetto forse Sam.
Sto per avviarmi al parcheggio quando sento due ragazzi che parlano tra di loro: «Hai sentito di quel tipo strano? Ha picchiato Sean fuori dalla palestra!»
«Sì, pazzesco! Ho sentito dire che sembrava un tipo tranquillo e invece gli ha fatto davvero male»
«Infatti, mi hanno detto che è al primo anno, frequenta la stessa classe di Niente, hai presente?»
Faccio finta di non sentire il nome che hanno usato per definirmi, se fosse stata una giornata migliore avrei fatto pagare loro la loro abbondanza di “originalità”.
Mentre scendo gli ultimi gradini della scalinata penso a chi abbia potuto fare una cosa simile, e l’unica persona che mi viene in mente è quello strano ragazzino che mi fissava a laboratorio.
Non sembra aggressivo ed è al primo anno. Non che mi importi, sto solo cercando un modo per distrarmi.
Arrivo al pickup e salgo in macchina aspettando mia sorella, sto per accendere la radio quando sento un bisbiglio: «Ehi, Patrick» mi giro e vedo Brad appoggiato con la schiena al veicolo che guarda davanti a sé.
«Cosa c’è?» non vorrei essere così scontroso, ma un po’ ce l’ho con lui.
«Scusa per prima, non volevo ferirti» sento nella sua voce tutta la sincerità possibile, non posso fare a meno di perdonarlo.
«No, tranquillo. Forse sono stato io ad esagerare»
«Non è colpa tua, è colpa mia e di tutto il resto del mondo. Senti, ci vediamo stasera?» mi si illumina il viso quando gli sento porre questa domanda.
«Certo, solito posto?»
«Solito posto, Niente»
«Allora a dopo, quarterback».
Assurdo come una sola frase possa cambiare una giornata, uno dei numerosi effetti dell’amore, presumo.


IMPORTANTE: questa storia è sì frutto della mia fantasia, ma non sarei mai e poi mai riuscita ad andare avanti se non fosse stato per Chiara, una mia compagna di classe che mi ha dato idee geniali per continuare. Quindi un po' di merito va anche a lei.

Oh, e grazie mille per le recensioni e per le visualizzazioni! :3

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Capitolo 3
*** La notte delle ciliegie ***


Riflesso nello specchio vedo un ragazzo con lo sguardo fisso intento a cercare una sorta di tranquillità nei miei stessi occhi.
Perché sono nervoso?
Non mi era mai capitato prima, al limite una scalpitante impazienza in prospetto di una serata romantica con Brad, ma nervosismo mai.
Mi sistemo i capelli come al solito spettinati, tento un sorriso incoraggiante.
Incoraggiante?
Perché sento il bisogno di essere incoraggiato?
Busso alla porta della camera di Sam, lei non mi chiede neanche chi sono, lo sa perché io busso sempre nello stesso modo ed è diventato quasi come un segnale in codice.
«Che c’è, Patrick?» mi domanda lei con uno sguardo quasi preoccupato: di solito non parlo mai con nessuno quando sto per uscire con Brad, sono troppo felice e mi sembra di perdere tempo.
«Andrà tutto bene, vero?»
«Cosa dovrebbe andare bene?» ha uno sguardo interrogativo.
«Tra me e Brad, andrà tutto bene, vero?»
«Lo ami?»
Non mi aspettavo questa domanda, rimango quasi basito, ma rispondo comunque: «Lo amo più di ogni altra cosa al mondo».
Lei sorride sinceramente: «Allora non può che andare bene».
Adesso sorrido anche io, la abbraccio «Grazie Sam, davvero».
Mi stringe ancora di più «Figurati fratello maggiore di sole tre settimane. Ora và dal tuo Lui».
Ci allontaniamo e con un inchino indietreggio e chiudo la porta alle mie spalle.
Faccio un lungo respiro: sono pronto.
«Io esco!» grido a nessuno in particolare, spero solo che qualcuno mi abbia sentito, non vorrei si preoccupassero.
Esco di casa ancora pensieroso per gli ultimi avvenimenti che si sono succeduti in questi giorni.
Starò veramente facendo la cosa giusta mettendo i miei sentimenti così tanto in gioco con un ragazzo che non vuole mostrarsi per come è veramente?
Quasi mi stupisco della lucidità e della freddezza di questo ultimo ragionamento, scrollo la testa come per farlo scivolare via e mi dirigo verso il campo da golf.
A volte mi immagino l’espressione che avrebbero quei vecchi ricconi con la mente più chiusa di un caveau se vedessero come il loro lussuoso e verdeggiante campo si trasforma alla sera, quando decine di ragazzi gay si ritrovano per passare una serata tranquilla, lontana da sguardi indiscreti e soprattutto dai pregiudizi.
Comunque, spero riusciremo a chiarire questa sera, perché a volte non capisco alcuni suoi atteggiamenti con i suoi amici: va bene mantenere il segreto, ma potrebbe evitare di ridacchiare a battute fatte con il solo intento di ferirmi.
Vorrei sentirgli dire che non gli importa dei suoi compagni, della sua reputazione e del football, che vuole solo stare con me.
Ma non potrei mai chiedergli una cosa del genere, perché sono così egoista da precludere la nostra storia al suo futuro?
Dovrei smetterla di lagnarmi così tanto.
Senza neanche accorgermene arrivo al campo da golf, mi apposto alla nostra solita buca e aspetto che arrivi.
Il cielo inizia ad imbrunire e all’orizzonte si scorge l’ultimo frammento di sole che lentamente va a coricarsi.
Le stelle iniziano a fare capolino e la luna diventa la protagonista della scena: luminosa e lattescente, con il suo pallido chiarore dona un’atmosfera più intima a quel luogo che si trasforma drasticamente dal giorno alla notte.
Cerco di capire in quanti saremo questa notte, quando lo vedo arrivare con un cestino in mano: «Ehi» mi dice lui.
«Ciao Brad, cos’hai in mano?» chiedo incuriosito.
«Ciliegie, sono il tuo frutto preferito, no?» nonostante la luce fioca riesco a vederlo sorridere.
Dio, credo che la luna in questo momento stia bruciando d’invidia, perché ora il protagonista della scena è il suo sorriso, non può che essere lui.
«Certo che lo sono, ma come hai fatto a trovarle? È settembre!»
«Ho i miei contatti. E poi dovevo farmi perdonare» mentre dice questa frase si siede vicino a me, ed io da quel preciso istante in poi mi sento protetto e felice.
«Dai, vieni giù» mi accompagna la testa verso le sue gambe distese sull’erba, ora posso distintamente vedere il suo viso perfetto e, sullo sfondo, un numero indescrivibile di puntini luminosi.
«Chiudi gli occhi e apri la bocca» io ubbidisco perché mi fido di lui, più di chiunque altro.
Dopo pochi secondi sento il dolce sapore di una ciliegia, lui stacca il picciolo e l’addento «Ottima» gli sorrido.
Continuiamo così per un po’: io con la testa appoggiata alle sue gambe che guardo il cielo, lui seduto sul green ad imboccarmi con le ciliegie.
È dopo aver ricevuto un bacio invece dell’ennesimo frutto che capisco di averlo già perdonato, senza neanche chiedergli spiegazioni.
«Allora sabato avrai la prima partita della stagione» gli dico «Già…» il suo tono di voce è però distante, come se non stesse veramente prestando attenzione a quello che sta dicendo«Cosa c’è?»
«Nulla, stavo solo pensando al gesto che potrei fare»
«Di che gesto stai parlando, scusa?» inizio a perdere il filo del discorso, che siano ragionamenti da quarterback? Mah.
«Del gesto che farò ogni volta che segnerò un punto, per farti capire che te lo sto dedicando» non credo di aver mai percepito così tante emozioni diverse in un solo istante.
Lui sta mettendo a rischio tutto ciò che ama e per cui ha faticato in questi anni per me.
Mi sta mettendo al primo posto, prima del suo ruolo, prima dei suoi amici, prima di suo padre e soprattutto prima della sua ragazza ufficiale, la cheerleader Nancy.
«Lo farai davvero?» la mia voce quasi si spezza per l’emozione
«Certo, sono più che deciso a farlo»
«E se qualcuno lo notasse?» ad un certo punto vengo preso dal panico, non voglio metterlo nei guai.
«Sarà una cosa discreta, non preoccuparti. Ci tengo».
Già, lui ci tiene a me.
«È una delle cose più tenere che tu abbia mai fatto, Brad» sussurro con un filo di voce
«Sono contento che tu stia apprezzando la mia idea» alza la testa per osservare il cielo, dopo qualche secondo l’abbassa e riprende la frase che ha lasciato a metà «Ti amo Patrick»
«Anche io» gli do una leggera spinta e lui si sdraia a terra, mi sposto affinché i nostri visi possano quasi toccarsi.
Rimango ad osservarlo per un po’, cercando di cogliere più particolari possibili: i suoi grandi occhi castani, i suoi capelli che profumano di camomilla, il suo piccolo naso posto perfettamente al centro del viso, le sue labbra pallide che aspettano solo le mie.
Mi avvicino lentamente, appoggio il mio naso al suo e poi è la volta delle nostre bocche.
Un bacio così non ce lo davamo da qualche settimana, finalmente liberi dal segreto possiamo mostrarci vicendevolmente tutto l’amore che proviamo l’uno per l’altro.
Sento il sapore delle sue labbra, credo di avere una dipendenza da esso.
Il rosso passione delle ciliegie è nulla in confronto a quella che ci mettiamo noi nel scambiarci bramosi baci pieni di noi.
Ad un certo punto avverto il bisogno di andare oltre, ho bisogno di lui.
Gli infilo una mano sotto la maglietta, lo aiuto a togliersela e poi faccio la stessa cosa su me stesso: in questo modo posso osservare meglio il suo fisico scolpito dai duri allenamenti giornalieri ai quali si sottopone.
È perfetto, non potrei descriverlo in altro modo.
Sembra quasi una statua scolpita da Michelangelo, senza nessuna traccia di imperfezioni.
Gli bacio il collo, lo sento pulsare freneticamente.
Torno alle sue labbra e questa volta è lui a prendere l’iniziativa, mi slaccia i jeans ed io lo copio.
Sono al settimo cielo, finalmente di nuovo un po’ di intimità tra noi due.
Ricordo ancora la nostra prima volta, quando lui mi ha detto che mi amava.
Eravamo alla festa che avevo organizzato per la fine della scuola, ero così felice che mi sembrava di vivere in un sogno.

Mi sveglio con il sole che mi accarezza il viso, sento calore sulle mie spalle e mi rendo conto che ho addosso la felpa dei Devils.Mi guardo intorno e non lo vedo, al suo posto, un bigliettino:

“Ho il ritrovo con la squadra questa mattina presto, ti lascio la mia giacca così non avrai freddo.
Ci vediamo in giro, Niente.
 
P.S. la giacca tienila tu, me la restituirai appena ne avremo occasione, ti amo.                                                                                                        Il tuo quarterback"

Stringo a me il pezzetto di carta ed è solo adesso che realizzo una cosa: io dovrei essere a scuola adesso!
Mi alzo di scatto e corro verso la scuola, non ho idea di che ore siano, ma sono sicuramente in ritardo.
Arrivato nel parcheggio butto la giacca di Brad nel pickup di Sam, non posso sicuramente andare in giro indossandola! Sarebbe da pazzi incoscienti.
Suona la campanella della seconda ora e un gran numero di ragazzi esce dalle aule per precipitarsi nei corridoi, osservo con espressione beata tutti i presenti, cercando invano di tornare nel mondo reale.
Ad un certo punto scorgo Brad con Nancy: «Amore, dove hai lasciato la giacca della squadra? Non l’avrai mica persa!» chiede lei con fare apprensivo
«No, è semplicemente a lavare» risponde lui sorridendo sotto i baffi.
Io faccio lo stesso mentre ricambio il suo sguardo d’intesa.
Non potrebbe andare meglio, proprio no.



IMPORTANTE: questa storia è sì frutto della mia fantasia, ma non sarei mai e poi mai riuscita ad andare avanti se non fosse stato per Chiara, una mia compagna di classe che mi ha dato idee geniali per continuare. Quindi un po' di merito va anche a lei.

Grazie per tutte le visualizzazioni, vi invito a recensire qualora abbiate apprezzato lo scorso capitolo (ma anche se vi ha fatto schifo, le critiche, se costruttive, sono sempre ben accette!). So che siamo un piccolo fandom, se così si può definire, ma tengo molto a questo libro/film e so che c'è altra gente che è stata colpita dalla sua bellezza.

A presto!

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Capitolo 4
*** Uno a zero ***


Sono passati alcuni giorni da quella sera al campo da golf, ed è come se fossi rinato.
L’ho capito dal fatto che, dopo una delle ennesime repliche scontrose di Mary Elisabeth, ho risposto con una bella frase colma d’ironia.
«Vedo con piacere che sei tornato ad essere tagliente come una lama di rasoio, Patrick. Che gioia.» dice lei.
«Solo per te, tesoro!» ammicco io.
Me ne vado in giro con un sorriso ebete per tutta la scuola, devo risultare piuttosto stupido in effetti, ma non posso farne a meno: questa sera ci sarà la prima partita dell’anno e Brad inaugurerà “il gesto”.
Prima però devo sorbirmi una noiosa e alquanto inutile giornata di lezioni.
Entro nella classe della signorina Johnson e noto espressioni terrorizzate sulle facce dei miei compagni di corso.
«Ehi fanciulli, che succede di così terribile?» chiedo a quelle persone di cui non ricordo i nomi.
«Niente, sei sempre il solito! Oggi la Johnson interroga, e nessuno sa nulla.» mi risponde una ragazza con lunghi capelli biondi ossigenati e un’espressione totalmente assente e distaccata dal mondo: dev’essere un genio mancato.
«Ottimo, grazie Einstein» mi siedo nelle prime file, quando il resto degli studenti è disperatamente rifugiato in fondo.
Entra la giovane professoressa di letteratura inglese e si sente un gelo arrivare con lei.
Mentre la scruto accomodarsi alla cattedra realizzo che la Johnson interrogherà quest’oggi, e io non so nemmeno l’argomento delle ultime lezioni.
Mi prende il panico, ma è come se la mia mente accantonasse questa sensazione di disagio per lasciare spazio al tepore che l’immagine di Brad in divisa, mentre mi dedica un punto, mi da.
Inizio a sorridere come prima, la strega se ne accorge: «Bene bene, come mai siamo così sorridenti, Patrick?» chiede lei con un soffio.
«Beh, vede professoressa, si dia il caso che io sia innamorato» non so nemmeno da dove mi sia uscita questa frase, mi stupisco a tal punto che mi giro per controllare di essere stato proprio io a pronunciarla.
Aspetto con un misto di sfida e panico la reazione dell’insegnante e, giuro, tutto mi sarei aspettato tranne un suo sorriso.
«Che romanticone, il nostro Patrick. Bene, non voglio rovinare la tua aura estatica. Non ti interrogherò oggi» se credessi in Dio, ora credo proprio che lo ringrazierei.
Le ore scorrono piacevolmente veloci e la mia allegria, insieme al mio sorriso, aumentano man mano l’avvicinarsi della sera.
 
«Sam, sbrigati! Faremo tardi se non muovi il tuo culo da quel bagno!» strillo a mia sorella dalla porta d’ingresso.
Se non fosse la proprietaria dell’auto e di conseguenza non avesse lei le chiavi, la lascerei a casa senza pensarci due volte.
«Arrivo Patrick, arrivo!» sento la sua voce provenire dal piano superiore.
Mentre scende le scale mi chiede: «Com’è che hai tutta questa fretta di andare alla partita stasera, fratello?» un sorriso beffardo le spunta sul viso senza la minima traccia di imperfezioni.
«Sai che odio arrivare in ritardo alla partite, poi tutti i coglioni interessati solo alle cheerleaders prenderanno i posti migliori!»
«E a te non interessa avere quei posti per vedere meglio il quarterback, vero?» un’inevitabile risatina fuoriesce dalla mia bocca.
«No, assolutamente no. Cosa te lo fa pensare?» cerco disperatamente di mantenere un’espressione seria, ma purtroppo non ce la faccio: quando si parla di Brad ogni singola particella del mio corpo sprizza felicità.
Arriviamo al campo da football della scuola e lo troviamo ancora stranamente vuoto, o siamo noi che siamo arrivati troppo presto, o sono gli altri che non capiscono niente.
Opto per la seconda, in ogni caso.
Ci sediamo in un punto favorevole degli spalti, da qui riuscirò a vedere perfettamente ogni singolo movimento di Brad, il che è congeniale alla serie di eventi che dovrebbero succedersi questa sera.
Tempo un quarto d’ora e gran parte della scuola è arrivata per assistere alla partita, forse eravamo veramente noi ad essere troppo in anticipo.
«Sei nervoso?» mi chiede Sam, questa volta però nella sua voce non c’è malizia o scherno, è veramente preoccupata per me, vuole sapere cosa sto provando.
«Un po’ sì, devo ammetterlo. Ho paura che lo scoprano, che la sua carriera sportiva si interrompa per colpa mia» mi faccio d’un tratto serio, come se gli inconvenienti a cui avevo pensato all’inizio della settimana avessero deciso di tornare, dopo avermi illuso di essere partiti per una terra lontana.
«Andrà tutto bene, rilassati. Se ha deciso di farlo vuol dire che ha la situazione sotto controllo, no?»
«Lo spero davvero, non vorrei si sen-» non faccio in tempo a finire la frase che la voce del telecronista invade la privacy dei nostri discorsi.
«Buona sera cittadini di Pittsburgh! Siete pronti per la prima partita dell’anno dei nostri paladini?» il pubblico urla parole perlopiù incomprensibili in risposta.
«Bene, allora facciamoli entrare! Go Devils!» la folla impazzisce non appena il quarterback infrange la striscia di carta su cui è stampato il loro simbolo.
A quel punto il mio cuore si ferma.
È così bello, anche da quassù. Corre con così tanta disinvoltura che sembra non aver fatto nient’altro per tutta la vita.
Tenendo in mano il casco, i capelli sono liberi di svolazzare mossi dalla brezza serale. Quanto vorrei poterlo stringere, dargli un bacio di buona fortuna.
La partita inizia ed è subito evidente che la squadra locale è in netto vantaggio rispetto a quella ospite, ovvero i Jaguar.
Non appena si entra nel vivo del gioco, sono così preso dai suoi movimenti e dalla preoccupazione che si possa far male, che tutti gli altri pensieri scompaiono.
La palla ovale sfreccia da una parte all’altra del campo, sembra quasi dotata di vita propria.
Tra il pubblico scorgo tifosi incalliti con i visi dipinti di blu e rosso, i colori dei Devils.
È allora che mi rendo conto di avere ancora io la sua felpa, non ho avuto modo di riconsegnargliela. Spero che questo non gli abbia creato problemi.
Siamo a metà partita e le due squadre non hanno ancora segnato un punto, inizio a pensare che la sfiga li farà finire zero a zero giusto per il gusto di vedermi soffrire aspettando una cosa che non arriverà.
È mentre sto per sussurrare una cosa all’orecchio di Sam, e quindi distolgo lo sguardo, che sento un boato provenire dalla curva dei Devils.
«Incredibile signori! Hays ha deciso di iniziare bene la stagione deliziandoci con questo mirabolante touchdown!» la mia attenzione torna a rivolgersi verso il campo, dove in un millesimo di secondo riesco a localizzare Brad, che prontamente si sfila il casco, si passa una mano davanti alla bocca come se si stesse asciugando il sudore e la punta verso il pubblico, più o meno nella mia direzione.
Ora, non so come abbia fatto a vedere dove cavolo mi trovo, se ha tirato a caso e azzeccato per miracolo la mia posizione, però credo che il mio cuore abbia smesso di battere per tutta la durata dell’atto.
Solo adesso ho capito che quello è il suo gesto, e che non si stava pulendo dal sudore, stava mimando una specie di bacio, un bacio verso di me.
Non appena mi riprendo dalla mia trance, scatto in piedi per esultare, dopotutto, sono o non sono uno studente di questa scuola?
Allora esultiamo, diamine!
Passato l’entusiasmo, Sam mi poggia una mano sulla spalla «Patrick, io vado un attimo in bagno. Torno subito!».
Faccio cenno di sì con la testa, non prestando troppa attenzione, sono troppo concentrato sul numero 12.
Effettivamente, è praticamente un miracolo che io mi sia accorto della voce che mi chiamava: «Ehi, Patrick!», giro di scatto la testa e vedo quel ragazzino simpatico di laboratorio, di cui assolutamente non ricordo il nome.
«Ciao! Tu sei nel mio corso di laboratorio!» gli sorrido sinceramente. Ora come ora, sono così in estasi che potrei ringraziare anche chi mi chiama Niente.
«Come sta andando il tuo orologio?» aggiungo dopo un breve silenzio che poteva diventare imbarazzante.
«Ah, lo sta costruendo mio padre! Il tuo?» chiede gentilmente la matricola.
«Il mio? Mh, vediamo…il mio, più che un orologio, sembra una barca!» rispondo convinto, dimenticandomi di avere davanti uno sconosciuto non abituato alla mia ironia.
Il ragazzo tenta una risata mal riuscita, così, in una botta di altruismo gli domando: «Vuoi sederti qui? Oppure stai aspettando degli amici…?» da come scatta prontamente, deduco che sia venuto qui da solo, probabilmente obbligato dai suoi genitori o cose simili.
«Grazie per non avermi chiamato Niente, comunque. È un soprannome che mi porto dietro da troppo tempo, e chi mi chiama così pensa anche di essere originale!» tento di strappargli un sorriso, ma probabilmente è molto nervoso.
«Comunque perdonami, ma non mi ricordo il tuo nome…» dovrei assumere del fosforo in pillole, perché faccio dannatamente schifo con i nomi.
Torna Sam e faccio gli onori di casa presentandole Charlie (dovrò tenermelo a mente) e, dopo la fine della partita, decidiamo di andare tutti e tre al Big Boy, dal momento che Bob è impegnato con la cameriera dell’Olive Garden e Mary Elisabeth è stata nuovamente beccata dai suoi a diluire il brandy con il tè.
Arriviamo nella tavola calda e, incuriosito da quello strano personaggio che ci siamo portati dietro, inizio a fare un po’ di domande al nostro nuovo amichetto, che sembra sciogliersi man mano che gli poniamo quesiti personali. Curioso.
La mia attenzione viene rapita dalla campanella della porta che, tintinnando, annuncia l’ingresso di qualcuno, e quel qualcuno è Brad.
Ok, purtroppo non è solo, però vederlo sorridere anche se non per causa mia, mi fa star bene.
È felice per il risultato della partita e io non posso che esserlo per lui.
«Ciao Niente!» esordisce un suo compagno di squadra
«Sì, ehilà Niente!» infierisce un altro
«E smettetela, diamine! Questo scherzo ha la muffa, è andato!» sbuffo senza neanche guardarli in faccia.
L’unica cosa che mi solleva il morale è che lui sia serio, non ridacchia questa volta.
I nostri sguardi si sfiorano ed io torno in paradiso.


IMPORTANTE: questa storia è sì frutto della mia fantasia, ma non sarei mai e poi mai riuscita ad andare avanti se non fosse stato per Chiara, una mia compagna di classe che mi ha dato idee geniali per continuare. Quindi un po' di merito va anche a lei.

Salve a tutti! Dopo un sacco di tempo ho aggiornato, sì: ci ho messo così tanto perchè in realtà pensavo di chiudere questa storia, viste le poche visualizzazioni e le poche idee che in questo periodo ho.
Ma, dopo un po' di discorsi con una mia carissima amica e una recensione del tutto inaspettata, ho deciso di pubblicare anche il quarto capitolo.
Spero vi piaccia e, se vi va, sentitevi pure liberi di lasciare una recensione!
Buon proseguimento di vacanze a tutti!

Ah! Ci tenevo particolarmente a ringraziare
IceMin, che è appunto colei che ha recensito la storia facendomi riaccendere la fiammella :)

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