Inferno

di ladygagas heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inferno - locus I ***
Capitolo 2: *** Inferno - locus II ***
Capitolo 3: *** Inferno - locus III ***



Capitolo 1
*** Inferno - locus I ***


Inferno

«Non riuscirai a sfuggirmi, verrai con me fino all’inferno! »
 

Una giornata come tante per Andrea, giovane ragazzo di soli sedici anni, mentre studiava nella sua stanza. Fuori cadevano i primi fiocchi di neve della stagione, era soltanto ottobre, un po’ prematuro per la prima nevicata ma piacque molto a tutti. Anche al ragazzo. Si affrettò e chiamò una persona a lui speciale: Chiara. Oggi, tra la neve e il ghiaccio, le avrebbe rivelato i suoi sentimenti per lei. Non aspettava altro. Finì di studiare in fretta e fece per prendere il cellulare con le dita già in posizione per comporre quel numero che ricordava a memoria, quando si bloccò. «Ah, ma c’è lei…» queste le uniche parole che uscirono dalla bocca del ragazzo. In effetti, era un problema. Questa ‘lei’ era una certa Kometeria, aveva sicuramente un nome fantasioso, infatti, i suoi erano di origini greche e per questo il suo nome poteva apparire strano. La ragazza in questione aveva dei lucenti capelli neri, tinti di scarlatto sulle punte. Non era eccessivamente alta e si vestiva solitamente di nero sfoggiando comunque, un look eccentrico ma alla moda. Nel complesso era una ragazza molto carina e graziosa, del suo carattere si sapeva poco o forse nulla. Nessuno la frequentava, non perché fosse scorbutica o maleducata, semplicemente perché era come se, intorno alla ragazza, partisse un’aura malvagia. Una sensazione strana che provavano tutti. Sarà per via del suo nome? Infatti, Kometeria vuol dire "luoghi di riposo"ovvero i cimiteri. Chissà perché ha un nome così macabro. Anche se molte dicerie dicono di come lei sia perfida e malvagia, cosa mai dimostrata, sono tutti innamorati di lei, è una vera e propria vamp. Evita il contatto con gli altri ma quando questo è presente le sue ‘vittime’ diventano completamente dipendenti da lei come sotto l’effetto di un sortilegio. Andrea no. Lui amava follemente Chiara non si era mai interessato a Kometeria, eppure spesso lei lo seguiva ovunque andasse ‘stalkerandolo’ letteralmente, osservando ogni suo piccolo movimento o spostamento. Era davvero inquietante. Non poteva nemmeno uscire per comprare delle caramelle che, ecco scorgere, dalla vetrina del negozio, la ragazza intenta a fissarlo con un sorriso diabolico. Si sentiva sempre i suoi occhi addosso e non si sentiva mai libero di poter svolgere qualsiasi azione quotidiana. Beh, Chiara era più importante! Andrea aveva deciso. Doveva assolutamente andare da Kometeria e dirle tutto così almeno avrebbe smesso di seguirlo con così tanta insistenza. La sua vita non poteva continuare così! Prese con decisione il cellulare e si chiuse in bagno per chiamare Chiara, inchiavando la porta. Neanche in casa era sicuro, lo sapeva. Lei era fuori, e lo stava fissando dalle ampie vetrate della casa, senza mai fermarsi, con la neve fino alle ginocchia. Sembrava che non facesse altro. Lo fissava intensamente senza lasciargli un minuto di pace. Forse nemmeno il bagno era abbastanza sicuro.
«Hei Chiara? Sono Andrea! Ti va di uscire oggi, dovrei parlarti… »
«Sì, anch’io… » rispose lei arrossendo, anche se, Andrea non riusciva a vederlo.
«A casa mia tra mezz’ora? »
«Ci sarò! A dopo! »
Conclusa la telefonata, spense il cellulare per non essere disturbato e uscì, ben coperto, per parlare con quella piccola stalker. Sapeva benissimo che lei era lì fuori, una volta arrivato al giardino si guardò intorno con una certa ansia, che cresceva sempre più. Il giardino esterno all’abitazione di Andrea era abbastanza ampio e non mancavano alberi anche molto alti, cercando, trovò infine la ragazza sopra il ramo di uno di essi. Si trovava su un albero di media altezza, s’inquietò moltissimo vedendo che il ramo era all’altezza esatta del vetro che dava sulla sua camera. Era incredibile notare come fosse salita in alto con le proprie forze. Notò che guardava fissa la sua camera. Forse non l’aveva notato. Beh, era spaventosa. Sarebbe stato meglio rientrare la sua presenza gli metteva i brividi, però non poteva lasciare che Chiara la vedesse! Doveva prendersi coraggio. Tentennò vedendo della bava color rosso sangue uscire dalla sua bocca. Cos’era?! Un animale?! Non riusciva a comprendere se fosse sangue finto, ma sembra tutto così realistico. Forse era malata… Dopotutto era freddissimo e stare tutto il giorno fuori con i vestiti leggeri che portava, non era la soluzione migliore. Aveva letto qualche libro di medicina dagli scaffali del padre ma non trovava nella sua memoria un possibile collegamento con i due fattori. E poi fissò i suoi denti. Sembravano denti di uno squalo! Incredibilmente affilati e pungenti, avrebbe potuto strappare una mano a una persona senza il minimo sforzo. Come può esiste un essere umano che come bava ha il sangue e che ha i denti da bestia? Comunque, Chiara non avrebbe sicuramente tardato e lui non voleva trattenersi con la stalker  in primo luogo perché lo terrorizzava e secondo perché non voleva assolutamente ammalarsi. Fece un respiro profondo la salutò attirando la sua attenzione. Quando lei si girò la bava e i denti sparirono. Ora sembrava normale come tutte.
«Hei… » Disse per attaccare bottone Andrea, mentre si malediceva. Era spaventoso il modo in cui lei lo fissava.
«Ciao Andrea caro… » mormorò con voce fioca la ragazza senza minimamente abbassare lo sguardo sul ragazzo.
«Ehm, senti… devo parlarti… »
Lei non rispose, continuò semplicemente a fissarlo senza fare una piega.
«Io amo Chiara, voglio solo lei, quindi smettila di seguirmi! Mi stai rovinando la vita! VATTENE!>> Disse Andrea con un tono forse po’ troppo violento. In quel momento gli si gelò il sangue nelle vene. Il viso della ragazza era completamente cambiato aveva assunto un’espressione orrenda. Aveva un viso completamente contorto dall’odio e dal disprezzo e quei suoi occhi, fino a qualche momento fa di color nocciola, sembravano che andassero quasi in fiamme. Il terrore s’impossessò di Andrea. Temeva la sua risposta, per quanto ne sapeva, avrebbe potuto anche fargli del male, era completamente bloccato dalla paura e non sarebbe mai riuscito a reagire, in più il suo viso sembrava quella di un demone pronto a scoppiare in un terribile ululato di rabbia e frustrazione. Che cosa avrebbe fatto se lei lo avesse attaccato? Sì, era solo una ragazza in fondo, ma le sue gambe non riuscivano a non tremare per l’ansia e il suo cuore sembrava immobile nell’attesa della risposta che sembrava addirittura poter cambiare la sua vita di bene in male. La ragazza arricciò le labbra, estrasse un pettine nero dalla borsa che portava appresso e cominciò a pettinarsi. Andrea incominciava a sudare. Il suo cuore non batteva. Sembrava morto. La ragazza aprì la bocca, prese fiato e fece per parlare. Tentennò. Scese dall’albero. Il cuore di Andrea non avrebbe sopportato ancora tutta quella tensione che sembrava comandare ogni pezzo del suo corpo. Si avvicinò lentamente a lui mentre lo fissava con occhi, quasi tristi. Poi furono vicinissimi. Gli mise una mano sulla spalla. Brividi. Adagiò la sua bocca adornata da un rossetto rosso fiammante all’orecchio del ragazzo, mormorando con voce fioca quasi impercettibile:
«Ci vedremo domani caro… »
Rispose freddamente lei, avviandosi verso la propria abitazione. Andrea tirò un sospiro di sollievo: finalmente solo! O almeno così credeva. Chiara non tardò all’appuntamento, anzi, per l’emozione arrivò con un quarto d’ora d’anticipo e suonato il campanello entrò in casa.
«Ah, eccoti! » Disse salutandola Andrea con il solito sorriso a trentadue denti.
«Eccomi! » Rispose lei sorridendo con una dolcezza infinita.
Detto ciò, Andrea la invitò a sedersi in cucina dove presero una tazza di cioccolata calda, per riscaldarsi un po’. Era tutto perfetto. La mano del ragazzo scivolò sulle spalle della giovane, per poi, con gesto lento, stringerla a se in segno di affetto e desiderio di protezione. I cuori dei due battevano a una velocità impressionante, sembravano due tamburi. Rimasero stretti fino alla fine della pausa e una volta che ebbero terminato di bere la cioccolata, lui con la mano le accarezzò i capelli mostrando tutta la propria dolcezza e fissandola negli occhi, intenerito dal viso della ragazza intimidita che era completamente rosso, come il suo dopotutto. Avrebbe voluto che quel momento non sarebbe finito mai. Ormai le sue preoccupazioni non esistevano più. I votacci a scuola, le risse con i bulli, la poca popolarità… Niente di tutto ciò riusciva più a penetrare nella mente del ragazzo che era concentrato su tutte altre idee. Finalmente dopo la prematura morte della madre, sembrava provare un senso di gioia immensa capace di guarire un cuore ferito dai maltrattamenti del padre e dalla perdita della madre. Era come se quel momento magico cucisse i tagli di cui il suo cuore era pieno donandogli un sentimento di enorme gioia. Incredibile come il sentimento che li univa fosse così forte. Con lei vicino si sentiva di poter superare ogni ostacolo che la vita gli avrebbe messo in mezzo. Era il momento giusto per rivelarle ogni suo più profondo sentimento e per dedicare la sua esistenza a lei, alla persona che amava.
«Senti Chiara, riguardo alla cosa che ti dovevo dire… »
«Ah sì e anch’io volevo dirti che… » ribatté lei
«Ti amo! » dissero contemporaneamente mentre i visi di entrambi diventavano rossi. Incredibile! Chiara lo ricambiava, semplicemente non riusciva a crederci. La ragazza dei suoi sogni gli aveva detto che lo amava. Lo squillo del telefono della giovane ruppe il silenzio che si era creato e con suo immenso dispiacere Chiara fu obbligata ad andarsene prima del previsto.
«A domani! » Gridò lei con il suo solito entusiasmo mentre diede un bacio sulla guancia al suo nuovo ragazzo, per poi finalmente salutarlo con immensa dolcezza. Era la ragazza perfetta: dolce, graziosa, educata, brava a scuola, era simpatica a tutti. Cosa c’era di meglio? Andrea non era ancora informato di quello che sarebbe successo di lì a poco. Chiara non sarebbe mai ritornata. Mai.
La mattina seguente di buon’ora il ragazzo si alzò e prese il bus cittadino per dirigersi al cimitero dove riposavano i suoi genitori. Suo padre e sua madre, che persone completamente diverse! Lui, un poco di buono, che passava le sue nottate a bere senza portare un soldo in casa, ma anzi, spendendo i pochissimi soldi che avevano a disposizione per nutrirsi. Lei invece era una donna esemplare, gran lavoratrice aveva un modesto lavoro e ogni giorno lavorava fino a mattina inoltrata per riuscire a far mangiare il suo unico figlio. Una madre davvero esemplare, un padre pessimo. Spesso l’uomo aveva picchiato la moglie perché quest’ultimo voleva mandare Andrea a un orfanatrofio per risparmiare soldi e non averlo tra i piedi e quando la moglie si oppose, scoppiò una furiosa lite. C’era sangue dappertutto. Con la morte dei suoi, il padre morto per alcool e la madre per una febbre molto alta (a quanto diceva il padre prima di morire) ricevette un’enorme eredità dai nonni paterni, vergognandosi ancora di più del padre che aveva molti soldi, ma non osava nemmeno spenderne uno per il bene della sua famiglia. Arrivato al camposanto, si diresse alle lapidi dei suoi e ci stesse una bella mezz’ora. Mentre pregava, silenziosamente, gli sembrò di scorgere tra le lapidi la sua ‘stalker’ che rideva divertita mentre aveva un cadavere tra le mani. Scosse la testa. Ora era sparita. Forse aveva solamente un bel po’ di confusione, sarebbe meglio tornare a casa disse tra se. Una volta che ebbe cambiato i fiori secchi con altri nuovi, prese un mezzo pubblico e per le dieci si ritrovò a casa. La scena che vide lì davanti fu terribile. Silenziosamente pregò affinché fosse solo la sua mente che giocava brutti scherzi. Purtroppo, non era così. Davanti a casa sua vide Kometeria, sporca completamente (da testa ai piedi) di sangue umano, mentre tra le braccia teneva stretto il corpo senza vita di Chiara. Stava esaminando i suoi organi che sembravano a colpo d’occhio ancora freschi e la vide con i suoi occhi strapparle il cuore a mani nude. Una goccia di sangue gli sporcò il viso. Non riusciva a crederci, non poteva crederci… No, non poteva essere vero. Ora che finalmente aveva trovato l’unica ragione per cui vivere l’aveva persa. Che senso aveva vivere? Era orfano, senza amici, era in una difficile situazione e ora, non aveva nemmeno più la sua Chiara… Avrebbe dovuto avvisare immediatamente la polizia ma sarebbe stato del tutto inutile. Per quel poco che conosceva Kometeria, sapeva che non si sarebbe mai fatta scoprire e aveva paura che avrebbero accusato lui dell’omicidio con un inganno della killer che aveva di fronte. E ora che Chiara era morta al suo, privata degli organi vitali che la killer inserì in borse termiche, che cosa avrebbe fatto? Ora finalmente che aveva provato un briciolo di felicità capace di alleviare le grandi sofferenze che aveva patito ecco spuntare un’altra terribile disgrazia. Non sapeva come reagire, come continuare a vivere con quell’orrenda immagine stampata nella mente. Quando si riprese dal trauma, si diresse verso Kometeria con tutta la forza che aveva in corpo. Lei con mossa decisa gli prese il polso e con una forza disumana e con una mossa repentina gli ruppe l’osso del polso. Andrea svenne. Si rialzò la mattina dopo verso mezzogiorno… Che sogno raccapricciante che aveva fatto! Fortuna che era solamente un sogno, disse tra se prima di vedere sulla vetrata della cucina una scritta fatta con il sangue. ‘Appresto’. 

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Capitolo 2
*** Inferno - locus II ***


Inferno

«Non riuscirai a sfuggirmi, verrai con me fino all’inferno!»
 

La mattina dopo l’omicidio di Chiara fu, per Andrea, la più terribile della sua vita ma non sapeva al pericolo contro di cui stava andando. Dopo aver notato la scritta di sangue sulla vetrata della cucina, l’aveva cancellata senza perdere tempo e si era rimesso a letto, credendo che fosse tutto uno scherzo della sua mente. Non riusciva a crederci. Eppure quel dolore era così tangibile. Aveva perso tutto quello che gli rimaneva di bello per cui lottare e per cui andare avanti. Ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto era sempre più dura continuare ad andare avanti. Si svegliò qualche ora più tardi e in ogni piccola azione quotidiana vedeva il viso della persona che amava e che aveva perduto, il dolore era lacerante. Si conoscevano da qualche anno e solo qualche giorno prima si erano confessati i propri sentimenti reciprocamente, sembrava tutto andare per il verso giusto fino alla giornata conclusa una trentina d’ore prima. L’animo del ragazzo era vacillante, il suo cuore quasi fermo, si sentiva completamente atarassico, i suoi occhi erano spenti, imbevuto di tristezza fino alla testa, rigato dalle lacrime più amare che ebbe versato in tutta la sua sfortunata vita. Doveva farla pagare a quella sporca assassina, aveva rovinato il più bel sorriso del mondo, l’unico capace di scaldargli il cuore come nessun altro, l’ira prese il possesso del corpo del ragazzo che, impulsivamente, prese un cappotto, poiché fuori era molto freddo, e, si diresse fuori, nel suo giardino.
«So che ci sei, DEMONE!»
A quel grido, nessuna risposta.
«VIENI FUORI!»
Continuò il ragazzo sgolandosi la gola per la rabbia che provava in corpo. L’ira ormai sembrava l’unico sentimento che il giovane provava, un senso d’ira sia per la morte della fidanzata che per la frattura al polso messa a punto dall’assassina la sera prima. Rassegnato dall’assenza di risposto, Andrea decise di rientrare: forse l’aveva finalmente lasciato in pace! E invece sentì un tonfo dietro alle sue spalle, era lei ne era certo. Anche se fino a un momento prima urlava d’ira e sembrava quasi che potesse sconfiggere qualsiasi cosa, al solo sentire i passi di Kometeria le gambe gli tremarono. Anche il più coraggioso tra i leoni diventava un agnellino impaurito nel sentire la sua risata raggelante che scorreva nelle orecchie della povera vittima, quasi ipnotizzandola.
«Non riuscirai a sfuggirmi, verrai con me fino all’inferno!».
Fu la risposta agghiacciante della ragazza accompagnata da un’altra delle sue risate demoniache. Se prima le gambe di Andrea tremavano ora, lo facevano ancora di più, sembrando indomabili, il sudore cominciava a scendere, gli occhi a tentennare nello svolgere il proprio dovere. Naturalmente, la vittima era terrorizzata quanto inquietata dalla risposta della ragazza che le era dietro e di cui avvertiva solo la presenza. Infatti, temeva girare lo sguardo. Andrea non avrebbe mai pensato che la risposta della giovane era così letterale, ma lo scoprirà, per sua sfortuna, molto presto.  La paura bloccò ogni arto del ragazzo, paralizzandolo. Che cosa doveva fare? Inutile provare a resisterle. Kometeria sapeva essere malvagia, crudele, inquietante ma anche veramente sensuale. La sua voce poteva essere pungente quanto una spada e delicata quanto una piuma. Doveva fuggire. La sua vita non poteva continuare così! Quella stalker lo stressava, lo inquietava, lo rendeva schiavo di una libertà assente. Non le rispose, si limitò a chiudersi in casa e preparare una valigia mettendoci dentro quale provvista, tutti i soldi che aveva e tutti i vestiti che potevano entrare. Il suo treno, stando al sito internet, sarebbe stato in stazione per le diciassette ma il ragazzo non poteva resistere ancora in quella casa, sapendo che lei lo guardava, che lo osservava sempre e dovunque. Dopo un pasto veloce, alle quattordici era già in stazione. Il treno non tardò di molto e si diresse verso la sua meta: Cuma, in Campania. Fin da piccolo aveva tanto amato i laghi e aveva sempre desiderato vederne uno, forse con una piccola gita al lago d’Averno lo avrebbe tranquillizzato e si sarebbe divagato. Forse con un po’ di svago sarebbe riuscito a dimenticare, almeno per un giorno, le orrende cose che gli erano accadute nel corso della sua vita. Chi poteva mai immaginare che quello sarebbe stato l’inizio della sua rovina? Andrea, ignaro di ogni cosa, osservava il paesaggio. Non aveva mai viaggiato in treno. È incredibile –pensò tra se e se– come i paesaggi pur cambiando da regione a regione restano così simili e monotoni. Che sia davvero così? Beh, forse era solo la grande disperazione che circondava la sua vita che gli impediva di vedere ogni paesaggio come unico, riuscendo a vedere solo cosa accomuna posti e non cosa li rende unici e irresistibili. La sua mente, offuscata da tali pensieri, non riusciva più, mancando dell’allegria classica dei ragazzi, di vedere la realtà come dono per l’umanità. Quella nube velenosa che aleggiava intorno alla sua anima sembrava ferire i suoi occhi rendendoli malati e inadatti alla vista del bene e delle cose giuste. La sua vita, scossa in precedenza da altre disgrazie di vario tipo, ora trovava il culmine della sua tristezza assoluta nella più profonda e intima solitudine. Dal finestrino del treno poteva scorgere un bellissimo tramonto che sembrava dipingere l’aura intorno di se di un color rossastro rendendo il paesaggio come fiabesco. Niente, neppure quella meraviglia, sembrava rallegrare il cuore di Andrea, i suoi occhi erano spenti e privi di ogni luce e guardavano senza emozione o sentimento il paesaggio fuori dal finestrino del treno. Il suo cellulare emise una breve suoneria accompagnata da una graziosa voce: nuovo messaggio. Cercò il cellulare nel suo zaino provando a puntare alla zona da dove proveniva la suoneria e in men che non si dica, aveva il suo cellulare in mano. Quando aprì il messaggio per leggerlo rimase pietrificato.
‘Tesoro, ci vediamo all’hotel Cuma tra mezz’ora
-Kometeria’
Come sapeva la sua destinazione? Non gli aveva nemmeno rivolto la parola e ora lei, magicamente sapeva la destinazione del suo viaggio ed era già sul posto. In più sapeva dell’hotel, dove aveva prenotato per una notte. Non poteva rivederla, non voleva. Rivedere quel sorriso e quegli occhi demoniaci… No, avrebbe dormito anche per strada ma non con lei. Avrebbe preferito la morte. Arrivato a Cuma, non si diresse all’albergo ma prese immediatamente l’autobus per andare al lago. In realtà nei suoi programmi doveva andare domani dopo una dormita all’hotel ma non voleva rivedere quella bestia infernale. Salì in fretta e furia sul pullman apposito e si sedette il più lontano possibile dai finestrini e abbassando di molto il capo. E se lei lo avrebbe riconosciuto? Non sapeva come avrebbe potuto reagire e, a dirla tutta, non voleva nemmeno saperlo. Solo immaginare il suo viso infuriato bastava per fargli sobbalzare il cuore, lasciandolo inquieto. Il lago non era molto distante dalla città di Cuma, infatti, arrivò in poco tempo. La vista era da mozzare il fiato, ma neppure questa sembrava far colpo sul ragazzo che un minuto prima era entusiasta di vedere il lago. Il sole era ormai calato e si avvicinava una sera fredda, non aveva un letto, dove dormire e nemmeno una coperta per ripararsi dal freddo. L’unica cosa che poteva usare come coperta era un telo da mare, ma non lo avrebbe coperto molto. Gli serviva un luogo chiuso, possibilmente. Il tempo non era dei migliori sembrava che diluviasse a momenti. Per sua grande (s)fortuna video che, vicino al lago, delle coltri di fumo, quasi impercettibili, uscivano da qualche specie di caverna. Si avvicinò per vedere più da vicino quel particolare fenomeno e vide che la sua intuizione era giusta. C’era una grotta al di sotto che a occhio nudo sembrava molto profonda e senza illuminazione. Ma la cosa che a lui più interessava era il fumo caldo che perlomeno lo poteva riscaldare più che un misero telo da mare. Per questo motivo si avvicino all’entrata a strapiombo della grotta e si sedette per usufruire del caldo tepore proveniente da essa. Si stava già riscaldando quando la roccia dove era seduto cedé e cadde nella grotta riparandosi con le mani, una volta toccata terra, svenne. Si risvegliò circa sei ore più tardi, anche se era difficile a dirsi perché la grotta era buia come la pece e senza un filo di luce. In più Andrea non riusciva più a trovare l’entrata da cui era entrato. Provò più volte a cercare una possibile via di fuga ma invano. Non c’era nulla. La caverna in se era molto ampia e grande e gli ci volle un bel po’ per analizzare ogni luogo e cercare un’uscita che non c’era. In più il ragazzo fu costretto ad abituarsi a quel buio che per alcuni minuti lo rese completamente cieco. Dopo ore di giri in tondo, ed estenuanti ricerche vane ritrovò il "fumo" caldo che lo aveva attirato fino in quel posto e per il quale era caduto. Forse conduceva all’uscita. Andrea cominciò a rassicurarsi e parve quasi divertito. ‘Ma certo! – Pensò – è ovvio! Questo calore viene da un fuoco di qualche banda di boy-scout che staranno facendo un campeggio! Però poi sorsero i primi dubbi. Un campeggio. A Dicembre. Suonava strano. Magari non erano boy-scout ma esploratori che amavano andare all’avventura in situazione estreme proprio come quelli in tv! Woah! – Pensò Andrea mentre sorrideva come un ebete – magari avrebbero potuto fargli anche un autografo! Apparirò in tv – si ripeteva con viso emozionato forse in preda alla follia – diventerò famoso e tutti mi saranno amici perché sono apparso in televisione! Ormai non c’era più alcun dubbio. Dopo le sue sfortunate esperienze, comprese le ultime vissute, era diventato completamente pazzo. E allora anche Chiara… – Si disse da solo in un ennesimo scatto di pazzia – ritornerà sicuramente per vedere l’autografo! Segui una risata raggelante. Aveva completamente perso il senno della ragione. Le sue mani presero a posarsi su i suoi capelli neri che con violenza venivano spettinati mentre estraeva dalla tasta il coltellino, regalo del nonno morto, da cui non si separava. Mi farò bello per Chiara e…e…e ci ameremo per sempre! PER SEMPRE! Quest’ultimo ‘per sempre’ suonava più come una minaccia che come una dichiarazione. Quando le mani finirono di spettinare i capelli del ragazzo, impugnando il coltellino incisero un enorme sorriso nel viso di Andrea che in seguito si staccò a mani nude e con una certa violenza la carne a mani nude. «Le palpebre sono inutili! Oscurano solo la mia vista!» Queste le sue ultime parole prima di bruciarsele con l’accendino e mentre esse andavano a fuoco, lui rideva rilasciando tutte le emozioni che aveva dentro come pazzia. «Cosa ci faccio ancora qui? Gli esploratori mi aspettano!» ed eccolo sfrecciare verso la direzione da cui proveniva quel caldo tepore. Si fermò di colpo. «Un minuto! La mamma diceva sempre di non correre mai con un coltello in mano, che stupido che sono! Potrei ferirmi!» detto questo cercò inutilmente di infilarsi il coltellino nella tasca per poi decidere di infilzare il mento con il coltellino lasciandolo lì per ogni evenienza, così era comodissimo, bastava mettere una mano sotto il mento per sentire il manico d’argento e con mossa agile far uscire la lama dalle carni. Semplice, no? Riprese la sua folle corsa e si fermò davanti ad una porta da cui proveniva quell’immenso calore che s’intensificava man mano che si avanzava. Una scritta in latino, sopra la porta, recitava:

“Incipit peccatorum peccatorumque coemeterium. Satanae, Draconis Falsi Vatis Christi Satanque, imperium.’’

(Inizia il cimitero dei peccati e dei peccatori. Il dominio di Satana, il Dragone il falso profeta e l’avversario di Cristo)

Alla lettura di questa scritta una scossa fece cadere alcuni massi dietro Andrea che gli bloccarono la via del ritorno e improvvisamente, quasi per sconvolgere ancora di più una mente che i dolori aveva portato alla pazzia, Andrea riprese conoscenza, il senno gli tornò, non si sa come e non si sa perché, ma c’era qualcuno dietro tutto ciò che si divertiva e, voleva vedere come avrebbe sopportato il giovane tutto quello che i suoi occhi stavano per vedere, tutta quella sofferenza e quella dannazione. Il suo cuore e il suo spirito sarebbero rimasti canditi e puri oppure il seme del peccato germoglierà nel corpo di un ragazzo fino a quel momento puro?
 

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Capitolo 3
*** Inferno - locus III ***


Inferno

«Non riuscirai a sfuggirmi, verrai con me fino all’inferno! »
 

Andrea, riprese conoscenza e senno come se si fosse svegliato da un incubo. ‘Dove sono?’ ‘Come ci sono finito?’ e una lunga serie di altre domande martellavano la sua mente. Era come se non ricordasse nulla. L’unico vago ricordo è una scia di calore e poi il vuoto totale. Si stava ancora riprendendo quando notò di essere su un posto strano. Una grandissima distesa di sabbia. Comunissima sabbia se non fosse che essa aveva un color violaceo. Che fosse finito in qualche riserva o qualcosa del genere? Beh non si direbbe. Non sembrava esserci nemmeno una forma di vita, la presenza sia animale sia vegetale era assente. Era su un’altura non molto alta e vide una scalinata scavata nella roccia che gli permetteva di scendere in quello strano deserto, e alle sue spalle, un’inquietante porta nera. Poi arrivarono le urla. Seguite dai gemiti. Dai pianti. La porta si aprì. Alle sue spalle, un gruppo di uomini e donne seminudi di tutte le età, incatenati, camminavano goffamente avanzando verso di lui mentre bestemmiavano Dio e il loro seme. Avanzavano con mossa lenta. Quale strano posto era quello?! Vide che quelle persone, se così si potevano definire, trainavano una specie di enorme carro dorato. Ornato con le più belle pietre preziose mai viste sulla terra. Vedendo arrivare un corteo così disgustoso ma allo stesso tempo imponente, pensò bene di nascondersi per evitare di essere visto da chi era nel carro. Magari era qualcuno d’importante e non gradiva particolarmente la sua presenza. Voleva evitare ennesimi guai. Nascosto dietro una roccia, poco presenti nel deserto, osservo silenziosamente il carro che entrava grandiosamente. Nel suo centro, sorgeva un grande trono fatto completamente d’oro. Le rifiniture erano di argento e bronzo, cuscini rossi con delle figure ricamate con del candido filo bianco. A vista d’occhio sembrava valere una fortuna. In più, il trono era arricchito con svariati diamanti, rubini e smeraldi. Ma non erano i soli. Ingenti quantità di pietre adornavano quel trono teatrale. Vedeva una figura seduta su di esso che sembrava bere una sostanza rossastra, vino forse. Non vide subito il viso, ma si concentrò dapprima su cosa indossava. Calze a rete, tacchi e un’inquietante mantello nero svolazzante. Portava un top per coprire le zone intime, adornato da svariati teschi e ossa. Chiunque era aveva uno stile davvero dark e gotico, non particolarmente bello secondo i pensieri del ragazzo. Ma il peggio doveva ancora venire. Mentre osservava la collana che portava al collo, fatta di ambra e topazio, finalmente alzò gli occhi per vedere il viso di quella donna che era seduta come una regina vittoriana. Non riuscì a credere a quello che vide. Per prima vide un viso dolce, sensuale e di gran bellezza. Non lo conosceva ma qualcosa gli diceva che quello era il viso della bellissima Cleopatra regina d’Egitto. Sfregò gli occhi per guardare meglio. Ora vedeva Mary I Tudor, detta Maria la Sanguinaria, colei che aveva provocato moltissimi morti attuando una repressione per fermare la crescita della religione protestante. Com’era possibile? Eppure era proprio il suo viso, non c’era nessun dubbio. Era incredulo. Il viso cambiò ancora. Stavolta era Ilse Koch, una delle più malvagie naziste di tutti i tempi. Detta Cagna di Buchenwald per il suo crudele sadismo e immoralità riguardo ai prigionieri. Scuoiava i tatuaggi sulla pelle umana degli internati uccisi nei campi per farne paralumi e che la sua tavola fosse imbandita con pelle di teschi umani mummificata. Com’era possibile? Tutte queste persone erano tutte morte! Come potevano essere tutte davanti a lui? E per di più tutte e tre insieme in una stessa persona? Il viso cambiò di nuovo e Andrea sì stupì nel vedere più di mille volti diversi di donne malvagie che si erano fatte un nome per la loro crudeltà. Il tutto in pochi secondi. Eppure riconosceva ogni viso e ne provava terrore. Infine il viso cambiò per un’ultima volta. Questa volta era una ragazza bella, dalla carnagione pallida. Con dei lunghi capelli neri tinti di rosso scarlatto sulle punte. Andrea si pietrificò. Non c’era nessun dubbio, era proprio lei. Era Kometeria. Perché era lì? Come faceva a cambiare forma e aspetto, assomigliando a tutto e per tutto a donne di grande malvagità? Non riusciva a trovare risposta per nessuna di tutte le domande che sembravano tamburellare la sua testa, lasciandolo senza una sicurezza di dove era e di chi fosse tutta quella gente. Ma soprattutto, chi era Kometeria? Quale belva è in lei?! Era ancora tartassato da queste e altre mille domande, ma continuò comunque a vedere l’avanzare del carro spinto da quella gente. Quelle povere persone sembravano soffrire tantissimo e urlavano spesso per il grande sforzo. Alla minima lamentela Kometeria (o chiunque sia) la colpiva senza pietà con una lunga frusta nera, laccata di rosso nell’impugnatura. Era sicuramente un pezzo grosso, non c’era alta spiegazione. Sì, ovvio. Era stata mandata da qualcuno di più importante di lei per svolgere una missione. Forse quello strano posto era una specie di base militare nazista che si ostinava alla schiavitù degli ebrei e dell’idea di una singola razza ariana. Non c’era altra spiegazione. Chi l’aveva mandata nella sua città? E cosa poteva esserci in un piccolo paesino marchigiano che poteva interessare tanto il suo capo? La processione continuò. Dietro al carro sei satiri, creature mitologiche aventi gambe da capra e corpo da uomo, erano vestiti con delle armature molte pregiate, con varie decorazioni d’oro e di argento. Un fodero d’argento racchiudeva una spada dalla punta di diamante. Questi reggevano sei bandiere. La prima raffigurava una testa di dragone affiancato dalla lettera ebraica zain (ז) il cui valore numerico è sette mentre la pronuncia è corrispondente alla nostra lettera zeta. L’altro mostrava delle corna con affianco la lettera ebraica iod (י) la quale si legge come l’y e indica il valore numerico dieci. Nella terza bandiera era raffigurato un diadema e vicino sempre la lettera iod.  La quarta bandiera non riportava immagini ma nomi, ognuno dei quali era una bestemmia. Dieci in totale. Nella quinta c’era il viso di un leone e nell’ultima c’erano disegnate chiaramente delle zampe di orso. Andrea non comprendeva il significato. Non trovava nessun collegamento logico tra di esse. Questi satiri erano seguiti da altri cinque satiri per fila e in totale ogni fila era formata da sei satiri. Il corteo finì con questi ultimi che si diressero insieme al carro sempre verso sud per poi sparire dalla vista del ragazzo. Andrea non si sentiva ancora abbastanza sicuro e decise di aspettare ancora un po’. Quando la paura lo abbandonò e sentì solo silenzio intorno a se, risalì l’altura dalla quale era entrato per vedere se il corteo era effettivamente sparito dalla sua vista. Era così. In quel momento, sentì chiamare il suo nome, si girò e vide un uomo vestito con una classica toga romana e una corona d’alloro sulla testa.
«Chiunque tu sia, uomo o dio, aiutami per pietà!»
Chiese implorante Andrea che si sentiva perso e solo.
«Non temere –disse questo– sono mandato da Dìke, la giustizia, per aiutarti e farti da guida in questo luogo di pena eterna. Sono Emidees, messaggero della verità. Ti guiderò in questo luogo di eterna tortura affinché tu compia il tuo destino, il quale è scritto da Dìke che non è altri che Dio.>>
Andrea si tranquillizzò sapendo che lo avrebbe aiutato e guidato.
«Dove siamo? E qual è la nostra meta?»
«Siamo dove le anime pagano la loro pena, nell’inferno. La nostra meta, per ora, è il fiume Cocito, seguimi e vedrai con i tuoi occhi.»
La sua guida si girò e Andrea notò con immenso orrore che era divisa a metà orizzontalmente. Non aveva la schiena, ma il suo corpo era senza la metà dietro. Ciò permetteva di vedere i vari organi. Ogni tanto succedeva che qualche organo cadesse poiché l’interno del suo corpo era in putrefazione e molte mosche gli giravano attorno. Ora che ci pensava le mosche prima non c’erano. Erano apparse dopo l’inquietante corteo di poco tempo prima. Un po’ disgustato dalle viscere del suo maestro, continuò ad avanzare evitando di guardarlo per quanto fosse possibile. Quella vista gli faceva venire il voltastomaco. Dopo diverse ore di viaggio si accorse che non stava più camminando sulla sabbia ma sopra del ghiaccio. Anche la temperatura era incredibilmente scesa. Improvvisamente la sua guida si fermò e girandosi verso Andrea disse:
«Siamo arrivati al Cocito, dove sono puniti gli eretici, coloro che si allontanarono dalla vera fede. Come nella vita ebbero mancanza della vera essenza della vita, cioè Dio, ora sotto questa lastra di ghiaccio, immersi nelle fredde acque del fiume, cercano invano di rompere questo ghiaccio indistruttibile per prendere aria, ma non riusciranno. L’aria gli verrà sempre di più a mancare fino a che non annegheranno nel peggiore dei modi tra atroci sofferenze. E si risveglieranno immediatamente per affogare nuovamente nello stesso modo fino alla fine dei tempi. E –disse, precedendo una domanda del giovane– se intendi parlare con loro, sappi che è impossibile. La lastra di ghiaccio è troppo spessa perché permetta una discussione.»
Andrea restò stupito. La lastra di ghiaccio per quanto spessa permetteva di vedere il fondo. La scena era raccapricciante. Concentrò il suo sguardo verso un dannato che nuotando velocemente era arrivato sotto i suoi piedi e cercava inutilmente di rompere la lastra di ghiaccio con pugni e calci. Per quanto sarebbe resistito ancora? L’ossigeno gli cominciava a mancare. Fece una smorfia. Cerco comunque di rompere quella lastra fallendo di continuo. Infine l’ossigeno gli mancò, e con una faccia straziante esalò l’ultimo respiro prima di rinascere nuovamente per subire nuovamente la stessa pena. Era incredibile il grande numero di dannati che erano lì sotto, che colpivano con forza la lastra mentre bestemmiavano.  Mentre osservavano la scena raccapricciante, ecco arrivare davanti a loro una figura femminile. Teneva in mano una verga, nell'altra teneva salda un contenitore pieno di un liquido verdognolo che profumava di menta. Ad Andrea prese voglia di bere, e quel liquido, probabilmente un miscuglio di erbe tra cui spiccava la menta, era perfetto per dissetarlo. Stava per avvicinarsi incautamente alla donna quando ecco il suo maestro prenderlo per i vestiti e trattenerlo. La figura femminile contemporaneamente avanza sempre più e infine fu visibile. Donna di grandissima bellezza, vestita solamente dai suoi lucenti capelli biondi, che sembravano illuminare quel luogo d’immensa malinconia a tristezza. La ragazza si avvicinò ancora di più per poi chiedere:
«Viaggiatori, che tanto avete viaggiato, sarei onorata di darvi la mia bevanda alla menta affinché con le sue proprietà curative vi guarisca e vi disseti.» la voce della donna era ipnotica e molto sensuale. Il giovane non riuscì a resistere e si stava per catapultare dalla donna per prendere un po’ di quel delizio infuso ma Emidees, lo afferrò una seconda volta, tenendolo stretto. E disse alla donna: «Circe ingannatrice, costui non sarà un tuo schiavo animale come fu la grande flotta d’Odisseo e di tanti prima di lui. Il tuo malefico inganno fu scoperto già una volta, non cercare di ostacolare il suo cammino dettato da Dio, deve compiere il suo destino.»
A queste parole della guida, la donna incominciò inaspettatamente ad urlare come avesse un demone dentro. Nelle urla si distinguevano bestemmie in tutte le lingue che erano parlate sulla terra. I suoi lineamenti perfetti e il suo corpo snello si trasformarono in quello di un grande demone con ali di pipistrello che adornavano già da prima Circe, ma erano nascoste nei suoi capelli. Con una lode a Dio da parte di Emidees, l’infernale demone sparì in un altro punto del fiume per tornare con la sua attività di guardiano.
«Con quelle grandi ali di pipistrello, crea tre venti freddi che ghiacciano perennemente questo fiume. Ogni fiume ha un suo guardiano, ma stai tranquillo amico mio, nessuno può competere contro il volere di chi può tutto.»
Dette queste parole rassicuranti fece cenno al ragazzo di proseguire, continuando a passare sopra il fiume ghiacciato che poi sarebbe sfociato nell’Acheronte, la loro prossima meta.

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