Ubi gaio, ego gaia.

di shesfelix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Evanna

Il viso di lui era a solo qualche centimetro di distanza. Le sue labbra, ancor meno.
Lei lo guardava assorta (molto probabilmente la natura del suo sorriso inebetito era dovuta anche a quel bicchiere di Martini che aveva trangugiato poco prima -non aveva mai retto l’alcol), soffermandosi sulle iridi. Le mozzarono il fiato, com’era già successo prima. Pur trovandosi nella semi-oscurità, riuscì ad ammirarli ancora: occhi verdi, attratti da ogni centimetro quadrato della pelle del suo viso come da una calamita.
Dall’altra stanza provenivano musica e un vocio che, pur essendo ovattati, le rimbombavano nella testa. Pensava di sentirsi male da un momento all’altro. Il profumo di lui di certo non l’aiutava, ne era inebriata; e nemmeno la sua presenza, dato che il disimpegno era alquanto stretto e la stava seppellendo tra i cappotti. Inoltre, le espirava delicatamente sulle labbra, facendola piacevolmente rabbrividire, ed era così vicino che i ricci castani le potevano solleticare la fronte.
Doveva ammettere che l’importantissimafesta che avrebbe permesso a suo padre di concludere quel grosso affare si stava rivelando diversa da tutte le altre. Non ci andava mai volentieri; avrebbe come sempre preferito uno dei suoi soliti pomeriggi di shopping sfrenato con quell’adorante quartetto che considerava le sue migliori amiche sin dalle elementari; erano inseparabili. Insomma, quell’oretta trascorsa in Rolls Royce non era stata così tanto sprecata, dopotutto. E poi, poteva giurare che quel ragazzo fosse proprio di quella cittadina. Questo le bastava per farle giudicare Holmes Chapel accettabile (per non parlare dei ragazzi) e sopportare anche un eventuale trasferimento.
Ed ecco che dopo momenti che sembrarono interminabili, lui cominciò a diminuire la distanza tra di loro, per poi doverla annullare completamente. Chiuse gli occhi in attesa, sorridendo.
Ma il contatto non ci fu. Come aveva potuto “rifiutare” una come lei? Era la più popolare della scuola e non per niente, tutti le sbavavano dietro. Non riusciva a capacitarsene. Forse non si era reso conto con chi aveva a che fare.
Riaprì gli occhi sbuffando imbronciata, e lo guardò, notando che non era più il centro della sua attenzione: il ragazzo aveva voltato il viso verso la porta e la sua espressione trasudava una certa angoscia. Gli accarezzò una guancia, riuscendo di nuovo a guardarlo negli occhi. Tuffo al cuore.
«Che succede?»
«Shh, parla più piano» sussurrò agitato indietreggiando «Ho sentito qualcuno. Io qui non ci posso stare. Se mi trovano, penseranno che…»
Fece per replicare, ma lui la zittì poggiandole l’indice sulle labbra. Gli obbedì docile sbattendo più volte le ciglia.
«Non devono trovarmi. Caccerebbero me e mia… e sarebbe la fine» continuò allontanandosi. Cercava con lo sguardo una via d’uscita.
«Guarda, lì c’è una finestra!»
Si precipitò dove indicato, cercando invano di aprirla. Stava quasi per scardinarla, quando lei, fermandolo con un gesto, fece scorrere il listello e di conseguenza entrare uno spiffero gelato dalla fessura. Le sembrò di averlo messo a disagio.
«Beh… grazie. È stato… bello, conoscerti» disse impacciato evitando il suo sguardo «Ora… direi che… dovrei andare»
«Oh…» rispose amareggiata. Quello che riuscì a fare fu restare immobile a guardarlo tenersi saldamente cavalcioni alla trave. Non poteva lasciarselo scappare così. «Com’è che ti chiami?» domandò interessata sporgendosi verso di lui.
Evidentemente lo colse di sorpresa, dato che si sbilanciava all’esterno sempre più mantenendo le distanze, fino a che non perse l’equilibrio e cadde.
«Harry… mi chiamo Harry…» rispose tra i lamenti.
Lei si affacciò. Non doveva essersi fatto male, la distanza dal suolo era minima. Ma un momento… era l’effetto della luce della luna, dell’alcol, o quel ragazzo le parve stupendo? Non ebbe il tempo di pensare. Sentì vociferare da dietro il pannello e istintivamente si girò. Doveva avvisarlo. «Dovresti sbrigarti, ho sentito…» Ma quando si affacciò nuovamente, era scomparso.
La porta fu aperta.
«Evanna! Che ci fai qui?»




Questa è la mia prima ff in assoluto, quindi spero siate comprensivi se non è il massimo. Ce la metterò sempre tutta per migliorare e rendere più comprensibili possibile gli avvenimenti e gli stati d'animo.
Il titolo è una frase latina che significa "se tu sarai felice, lo sarò anch'io". Se volete contattarmi su twitter, sono @shesfelix. Vi sarei anche grata se recensiste per farmi sapere come vi sembra. Grazie in anticipo!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Evanna

«Ti ho cercata per tutta la casa! E perché la finestra è aperta? Si gela!» esordì una voce delicata.
«Louis…» mugugnò. Strizzò leggermente gli occhi. Si sentiva distrutta: si era di nuovo addormentata sulla poltrona della libreria, in una posizione alquanto scomoda; e per di più, aveva sognato per l’ennesima volta (da circa quattro anni) quel ragazzo. Tutto si ripeteva sempre nei minimi particolari. Ormai aveva smesso anche di chiedersi se fosse successo davvero o era solo frutto del suo bisogno di colmare quell’enorme vuoto.
 
Louis

Rabbrividì, non appena ebbe chiuso la finestra. Acciderbolina, che umidità…!, esclamò tra sé e sé stringendosi nella felpa consunta dell’Hollister. Gli mancava, quel negozio. Non ci metteva piede precisamente da tre anni, otto mesi e quattordici giorni. Da quando loro padre era andato in bancarotta si erano costretti a risparmiare ogni singolo penny; avevano dovuto vendere casa, mobili, auto, argenteria, gioielli; dovuto dire addio a comodità e abitudini…
«Evy, così ti prenderai un malanno di quelli mai visti, ne sei consapevole?» chiese accigliato. Dalla morte dei loro genitori (due anni prima a causa di un maledetto incidente d’auto) e, nel giro di poco tempo, quella improvvisa dello zio che si era preso cura di loro, Simon, era diventato iperprotettivo nei confronti di sua sorella. Erano rimasti soli al mondo e lui aveva acquisito sulle proprie spalle il peso di tutte le responsabilità, essendo il maggiore. Era cresciuto d’un tratto, nonostante fosse comunque rimasto un “Peter Pan” nel profondo e avesse conservato i suoi modi “aristocratici”.
Lo zio Simon abitava a Londra. Aveva lasciato tutto ai suoi nipoti, ma lì non era facile vivere, soprattutto se si possedeva una casa con esercizio commerciale sottostante -specificatamente una libreria- da mandare avanti a diciannove anni. Aveva rinunciato persino all’università. Gli affari non andavano bene come per suo zio; aveva ancora tanto da imparare.
 «Sì, Louis…» si schiarì la voce mettendosi composta.
La guardò con un sorriso intenerito. Anche Evanna era maturata, più di quanto si potesse aspettare. Aveva dovuto sopportare l’abbandono delle sue “migliori amiche”, l’adattarsi a nuovi ritmi di vita, i lutti, il trasferimento… Aveva superato quasi tutto in fretta, levandosi di dosso l’aria da bambina viziata. Gli ricordava troppo la mamma. Lei e suo marito mancavano, a entrambi. Louis cercava di non farglielo pesare. Voleva solo il meglio per sua sorella.
«La colazione è già pronta. Dovresti correre in cucina se non vuoi che si freddi!» avvisò scompigliandole la chioma dai ricci color dell’oro. Obbedì senza fare storie: si alzò assonnata, gli impresse un bacio sulla guancia e filò su per le scale. Era tanto fiero di lei.
 
Harry

Driiiiiiiin.
Harry mugugnò, annaspando con la mano, e spense la sveglia. Non aveva mai odiato così tanto quel suono da quando abitava a Londra, dato che segnava l’inizio del nuovo anno scolastico. Andare a scuola era diventato un incubo -nonostante a lui piacesse studiare- e, se non fosse stato per Rebecca e Charlie, avrebbe già rinunciato alle sue aspirazioni.
Si rilassò tra le lenzuola, sorridendo nello scorgere le persone ritrarre nelle foto sul comodino: sua madre Anne, le due amiche, e poi lei, Elisabeth. Conoscerla era stata una delle cose migliori della sua vita, non tanto per il fatto che fosse  di nobili origini (era imparentata con i reali inglesi) o che la sua famiglia avesse accolto in casa sua lui e Anne offrendole l’impiego di cameriera; semplicemente, era stato fortunato perché in Liz aveva trovato tutto quello di cui aveva bisogno: una persona che gli volesse bene e lo accettasse per quello che era.
 
Elisabeth

La gente e le cose scorrevano velocemente sotto i suoi occhi e le gocce di pioggia picchiettavano sui vetri oscurati della limousine nera.
«Harry, ti sarei grata se la smettessi di tamburellare sulla maniglia, grazie…» ammonì pacatamente. Il ragazzo si bloccò all’istante. A Elisabeth dispiacque di essergli rivoltasi con quel tono; non faceva parte della sua indole. Quel giorno era particolarmente in ansia: era il suo primo giorno in una scuola pubblica e voleva dare la migliore impressione di sé. Voleva essere giudicata per le sue capacità e non favorita per la sua posizione sociale. Aveva talmente assillato i suoi genitori che alla fine avevano accettato, e così adesso era diretta all’istituto frequentato dall’unico vero amico che avesse mai avuto. Sarebbero stati insieme, lui l’avrebbe aiutata ad ambientarsi, e poi moriva dalla voglia di conoscere le amiche di cui aveva tanto sentito parlare.
Ed ecco che l’auto si fermò davanti all’imponente edificio di mattoncini rossi circondato dal verde, la London’s High School. Harry andò ad aprirle lo sportello munito di ombrello. Lo ringraziò con un sorriso, mentre James li salutava per riportare l’auto a Green Park. Si guardò attorno. Quel posto già iniziava a piacerle.
«Io entro a prendere gli orari, poi devo fare un salto in libreria qui vicino per ritirare il libro che ho ordinato»
«Potrei andarci io, sempre se non ti dispiace» suggerì desiderosa di essergli d’aiuto.
«Mi faresti un gran favore, Liz…!» Le diede le indicazioni. «C’incontriamo all’entrata principale!» e lo vide correre tra gli studenti riparandosi con la cartella.
Sospirò e iniziò a camminare tra le vie. Tutto le sembrava nuovo. Dopo qualche minuto lesse l’insegna “Tommo’s library”. Che nome strano!, pensò sbattendo le ciglia. Doveva essere quella. Si fece coraggio ed entrò, provocando il tipico suono della campanella.
«Arrivo!» disse una voce dal retro accompagnata da vari rumori.
Elisabeth si guardò intorno. Era un locale accogliente, con i mobili di un rilassante celestino e le poltrone color panna sparse in giro con qualche tavolino.
«Un attimo e sono subito da lei» Il proprietario fece la sua comparsa a testa bassa con due libri in mano. «Scusi l’attesa, stavo…» alzò lo sguardo e si bloccò. Elisabeth ebbe un colpo al cuore.



Ed ecco a voi il primo e vero capitolo di questa ff! Come avrete capito, quello descritto nel prologo era solo un sogno, da adesso incomincia la vera storia.
Vi prego di farmi sapere che ne pensate o di avvertirmi se ci sono errori nella trascrizione. I primi capitoli sono un po' corti, ma piano piano saranno più corposi. Spero che vi appassioniate sempre di più. Baci, Fel.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Louis

Non aveva mai immaginato che una ragazza potesse essere di una bellezza simile. Quei boccoli tendenti al platino, la pelle chiarissima, gli occhi celeste-cielo da cerbiatto, lo avevano lasciato senza fiato. Era l’unica cosa di cui era consapevole in quell’istante. Rimase così per qualche secondo buono, poi si riprese. «Ciao… In cosa posso esserti utile?» andò verso il bancone e ci poggiò i volumi. La guardò sorridente.
La ragazza si scosse dai suoi pensieri e si schiarì la  voce. «Buongiorno, dovrei ritirare un libro in nome di Harold Styles, se possibile»
«Oh, intendi Harry…!» s’illuminò. Doveva essere una sua amica. «Vediamo un po’…» prese una scala, ci salì, e iniziò a scorrere con l’indice su uno scaffale. «Amleto… Amleto… Eccolo qui!» lo prese vittorioso e si voltò verso di lei, intenta a studiare l’ambiente  circostante. Louis continuò a guardarla anche mentre scendeva le scale, nonostante sapesse che l’ultimo piolo era difettoso e bisognava fare attenzione ad appoggiarci il piede. Non si meravigliò quando, cercando di dire qualcosa sull’opera, invece di esporre le sue conoscenze in materia si ritrovò a pancia in su sul pavimento. Fece una smorfia. Doveva sempre succedergli qualcosa d’imbarazzante.
«Oddio!» mandò un urlo lei portandosi le mani al petto e inginocchiandosi al suo fianco «Aspetta, non muoverti…» gli sollevò dolcemente la nuca «Potresti avere qualcosa di rotto»
Gli parve un angelo, Louis era come incantato. «Oh, non credo…!» si rizzò in piedi di scatto «Sto bene, sto bene» rise nervosamente. Iniziò ad arrossire, provocando un amabile sorriso.
 
Rebecca

La lunga coda castana oscillava dietro la sua nuca e a volte le schiaffeggiava fastidiosamente una guancia a furia di correre così velocemente. Il viso era bagnato più dalla pioggia che dal sudore. Sentiva l’umidità entrarle fin nelle ossa. Aveva anche rischiato di scivolare. Il suo fisico atletico non era preparato a simili situazioni. Avrebbe potuto evitare tutto quello stress semplicemente andando a scuola in macchina con sua mamma e Mr. Bicipiti. E invece no: doveva sempre ridursi all’ultimo momento per fare i compiti (o per meglio dire, copiarli). Charlie la stava aspettando in palestra. Era l’unica su cui poteva fare affidamento, dato che Harry era impegnato con la sua amica. Chissà quanto era in ansia. Trasgredire le regole non le era mai piaciuto e sicuramente un’ammonizione il primo giorno di scuola non l’avrebbe proprio digerita.
«Ti prego, Niall, ti prego» piagnucolò una voce dal fondo di un vicolo cieco vicino l’istituto mentre Rebecca ci passava davanti.
Si bloccò subito. Niall. Conosceva fin troppo bene quel nome. Si nascose dietro un cassonetto per mettersi in ascolto. Voleva capire che stava combinando questa volta.
«Non dirai niente a Phoebe; non è vero, ranocchietta?» cercò invano di trattenere una risata fragorosa e derisoria.
Smise di piovere all’improvviso.
«Non chiamarmi così… Ti prego, mi fai male, lasciami…!»
Rebecca non riusciva a vedere molto pur sporgendosi, il vicolo era avvolto dalla penombra.
«Allora, è vero che tutto quello che è successo rimarrà tra me e te?»
«Sì, sì, ma lasciami ora…!»
«Buon per te!»
Seguì una serie di schiaffi, pugni, calci, insulti, versi disumani. Le si chiuse lo stomaco. Era terribile quello che stava succedendo. Doveva intervenire.
Uscì allo scoperto e si avventò sull’aggressore tirandolo per un braccio. «Senti, razza di energumeno, se non la smetti, giuro che io…!» ma fu spinta all’indietro e cadde sui mattoni bagnati. Sentì un dolore lancinante all’osso sacro.
Niall diede un ultimo calcio alla sua vittima, la contemplò e infine si voltò verso Rebecca, guardandola dall’alto. Nessuna parola fu proferita, comparve solo l’ombra di un sorriso. Prese la cartella poggiata al muro, si mise l’altra mano in tasca e si avviò verso l’uscita del vicolo.
«Non la passerai liscia, Horan!» gli urlò dietro lei dopo essersi alzata, e gli scagliò contro una lattina raccolta dal suolo, che nemmeno lo centrò. Era stanca di vederlo tiranneggiare tutti senza che potesse fare qualcosa.
Sospirò e un colpo di tosse soffocato le ricordò che in quella stradina era presente anche qualcun altro. Si avvicinò, riconoscendo la divisa della scuola che frequentava anche lei: era un ragazzo, rannicchiato in posizione fetale verso il muro. Le si strinse il cuore quando scoprì di chi si trattava. Come aveva potuto ridurlo in quello stato? Le salirono le lacrime agli occhi. S’inginocchiò accarezzandogli il viso. «È tutto finito» sussurrò guardando i rivoli di sangue scorrergli dalla narice e dal labbro «Vieni, ti porto in infermeria» e lo aiutò ad alzarsi.
 
Charlie

Guardò impaziente il grande orologio della palestra. La lancetta dei secondi avanzava, avanzava, avanzava. Dov’era Rebecca? Incominciò a tamburellare sulla panca. Molto probabilmente si era fermata a parlare con il gruppo degli ambientalisti o dei vegetariani. Come sempre. Sbuffò. Com’era possibile che trasportasse con la sua parlantina chiunque?
In quel momento fu aperta la porta che portava al campo da calcio. Fu colta da un’agitazione tremenda, che si tramutò in qualcosa che non sapeva spiegarsi quando spuntò quell’inconfondibile ciuffo biondo.
«Niall! Che ci fai qui?» si precipitò da lui mentre percorreva a passo sicuro la stanza, senza degnarla di uno sguardo. Sgranò gli occhi nel costatare che aveva la maglia sporca di sangue.
«Entro a scuola, microbo, non vedi?»
«Aspetta, ma che ti è successo…?»
«Non sono affari tuoi. Ora, se permetti, vado in bagno a cambiarmi» disse scrollandosela di dosso «Ah, se stai aspettando quella perdente della tua amica, Rebecca, non credo si farà vedere per adesso. Quindi ti conviene andare in classe»
«Che le hai fatto…?» chiese con voce spezzata.
«Nulla, microbo, non le è successo niente. Diciamo che è impegnata a salvare l’umanità dai cattivi» rise sarcastico.
Charlie rimase senza fiato. Ogni volta che sorrideva, succedeva; ogni volta che lo guardava negli occhi, si perdeva. Era strano da spiegare. Era come il rapporto che hanno certe vittime col loro carnefice/tormentatore. Provava un certo piacere nel farsi trattare male da lui. E non sapeva se era una cosa giusta o solo un sentimento scellerato da reprimere.
«Facciamo così, Charlize Atkinson: tu non fai l’infame spifferando a Mr. Bicipiti o chicchessia di avermi visto qui. In cambio, il sottoscritto Niall James Horan s’impegna a eliminare il ricordo della tua inutile presenza. Ci stai?»
Le comparve un sorriso a trentadue denti. «Ci sto!» e lo guardò scomparire. Le sembrò un compromesso davvero allettante.



Ecco qui il secondo capitolo! Mi ci è voluto un bel po' prima di convincermi che andasse bene, soprattutto la parte di Louis, però credo di esser riuscita a dar l'idea di ciò che avevo in testa.
Come vi son sembrate queste due ragazze? E chi sarà mai il ragazzo misterioso? Fatemi sapere un po' le vostre opinioni! A presto, Fel.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Phoebe

«Psst. Psssst»
Era dall’inizio della lezione che Phoebe cercava di stare attenta a ciò che diceva il professor Oliveras, con scarsi risultati. Anche il primo giorno di scuola ovviamente Liam doveva darle fastidio. Aveva preso a lanciarle palline di carta. Sapeva come irritarla al punto giusto.
«Psssssssssst»
Il professore incominciò a tracciare uno schema alla lavagna. Era il momento adatto. Si voltò infastidita. Liam si trovava due banchi più dietro nella fila accanto e la squadrava col suo solito sguardo intenso. Era difficile rimanere con i piedi per terra, dal momento che i suoi occhi color nocciola esercitavano sul suo stomaco una forza oscura e avevano l’odioso potere di accelerarle il battito del cuore.
«Che c’è?» sussurrò impercettibilmente, acida.
Le fece cenno di raccogliere i fogli appallottolati e finiti sotto la sua sedia. Obbedì e ne schiuse uno. “Dov’è tuo fratello?”, lesse. Diede una rapida occhiata in giro; la invase un senso di vuoto. Era vero: il suo gemello non c’era. Forse era stata troppo occupata a guardare gesticolare Paco per accorgersene. Dannazione. Si rigirò verso il ragazzo e fece spallucce sconsolata. Le indicò l’altro pezzo di carta. Lo aprì preoccupata. “Hai voglia di una sveltina?
«Mi fai schifo» gli soffiò indignata mentre lui ammiccava.
«Señor Payne, señorita Malik!» tuonò lo spagnolo diventando rosso in viso «Se avete tante cose da dirvi» scrisse qualcosa su un foglio rosa e lo strappò «ve le direte in punizione, dopo le lezioni! Bel modo d’incominciare l’anno!»
Phoebe guardò incollerita Liam, che la ricambiò con alzando le sopracciglia, compiaciuto. Suonò la campanella.
«Sarai contento, Payne, complimenti!» sbatté irata il libro sul banco di lui.
«Potremo farci compagnia, da buoni amici…» ammiccò.
Lei sbuffò e si diresse verso la porta. Non sarebbe mai cambiato. Mai. Avrebbe continuato a essere quel sadico-porco-pervertito che era sempre stato. Si asciugò il taglio degli occhi e uscì dall’aula, scontrandosi con qualcuno. Sorrise nel riconoscerlo.
«È bello vederti» le sorrise spostandole i capelli corvini dietro l’orecchio «Mi sei mancata»
«Anche tu. Avevo proprio bisogno di te» e si sbilanciò per baciarlo.
 
Liam

Forse questa volta ci era andato pesante con Phoebe, doveva ammetterlo. In fondo non c’entrava nulla in quella storia… Nonostante tutto, Liam era comunque uno sciupa femmine di per sé.
Sospirò amareggiato e raccolse le sue cose. Uscì sotto lo sguardo vigile di Paco, sorridendogli imbarazzato, e si ritrovò in corridoio. Si bloccò subito. Proprio appoggiati a uno degli stipiti, c’erano loro due: Phoebe e il suo “adorabile” ragazzo, Niall. Non c’era niente di più fastidioso e irritante della loro visione. Tossì rumorosamente e li sorpassò. Aveva qualcosa di più importante a cui pensare: doveva trovare Zayn.
Man mano che procedeva, gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Per ognuno aveva un sorriso, un saluto, una pacca, un occhiolino. Adorava essere adulato, e far parte della squadra di calcio della scuola apportava popolarità e tutta una serie di benefici. Cosa riempiva la sua vita? Il calcio, le feste, le ragazze, il sesso. E con che scopo? Cercare di scacciare dai suoi pensieri lei. Semplicemente questo.
 
Zayn

Si morse assorto il labbro inferiore, avvertendo un dolore lancinante. Si era già dimenticato che gli facesse male, nonostante si trovasse ancora in infermeria e nell’aria aleggiasse un pungente odore di disinfettante. Chiuse gli occhi in attesa che passasse. Anche questa volta si era lasciato sopraffare. Si riprometteva di reagire, ma poi andava a finire sempre nello stesso modo. Era stufo, frustrato, demotivato. Forse neanche il tango quel giorno sarebbe servito a tirarlo su; forse sapeva già dove andare. Si sarebbe di certo sentito meglio.
«Ti fa ancora male, vero?» La figlia di Mrs. Parker gli si era posta davanti e lo guardava con i suoi occhioni verdi. Zayn poteva vederci il suo riflesso per quanto fosse vicina.
«Sì, ma non preoccuparti; ci sono abituato» sorrise amareggiato «Sai, non ti ho ancora ringraziato…» Era una delle più popolari e lui non sapeva nemmeno il suo nome… Si sentì stupido.
«Rebecca» sorrise rassicurante «Mi chiamo Rebecca»
«Allora, Zayn ti ringrazia; anche se non dovevi intrometterti… Niall poteva farti di peggio»
«Non preoccuparti… Ci sono abituata!» ripeté a sua volta con ilarità.
«Sai… sei simpatica!»
La ragazza arrossì «G-grazie… anche tu»
La ringraziò. «Ora vado, dai. Non vorrei che mi dessero per disperso…!» rise provocando la stessa reazione in lei, solo con una nota di malinconia.
«Oh, certo… Comunque stai tranquillo: ne parlerò al preside Brown e di certo comprenderà! Oh, e se continua a procurarti dolore, non esitare a venire da me o mia madre…!» disse tutto d’un fiato. Era tornata della sua carnagione naturale.
«Ti ringrazio ancora, Rebecca. Verrò di certo, nel caso. Ci vediamo» sorrise e si avviò alla porta. Si guardarono un’ultima volta e poi uscì, incontrando Liam che passava proprio di lì.
Subito il suo migliore amico gli rivolse una raffica di domande, preoccupato. Strada facendo, Zayn gli spiegò tutto per filo e per segno.
 
 
 
Ed ecco qui il terzo capitolo! Spero di non avervi fatto aspettare troppo; se eravate impazienti di leggerlo, allora mi compiaccio, dato che significa che la storia è di vostro gradimento (eheh).
Come avrete visto, i ragazzi sono un po’ diversi da come si descrivono di solito o come li hanno etichettati; ho voluto stravolgere gli schemi per vedere come andava. Che ne dite di farmi sapere che ne pensate? Inoltre, vorrei un vostro parere sulla coppia che preferite sino ad ora. Non che ci siano molti elementi disponibili (siamo ancora all’inizio), però mi piacerebbe fare questo sondaggio. Non fatemi rimanere sulle spine…!
Infine, volevo ringraziare tutti voi che recensite (pochi - Frà e V. per le loro assidue recensioni), voi che le avete messe nelle preferite/ricordate/da seguire, e voi lettori “silenziosi” (controllo le visualizzazioni, siete davvero in tanti ò.ò). Da questi ultimi vorrei una partecipazione più attiva, ma la leggete, e per me è già una grande soddisfazione.
Credo di essermi dilungata troppo, quindi vi saluto nella speranza che vi facciate sentire! Baci, Fel.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Evanna

Non si era mai sentita così sola, nella mensa. Quello era il terzo anno che frequentava quell’istituto e non aveva fatto ancora amicizia. Era seduta al solito tavolo isolato e osservava gli studenti con aria disinteressata. Tutti facevano parte di un gruppo: i ragazzi della squadra di calcio con le cheerleader, i “figli di papà”, gli “strafottenti”, gli “alternativi”, gli “studiosi”, i vegetariani, i ragazzi “normali”, e per finire, gli “asociali”. Ed Evanna? Beh, lei non faceva parte nemmeno degli ultimi menzionati. Si sentiva fuori luogo; era come se si trovasse in una bolla che la rendeva invisibile agli altri. Chi l’avrebbe mai detto che la “popolare miss Tomlinson” sarebbe scomparsa per sempre una volta trasferitasi a Londra? Sapeva di essere cambiata e sentiva di essere certamente diventata una persona migliore. Si era persino rassegnata al fatto che, pur avendo cambiato corsi più volte, non fosse più capace d’intavolare una conversazione con qualcuno che non fosse Louis o un professore. Quell’anno sarebbe stato “piatto” come tutti gli altri, se lo sentiva.
 

Harry

La mensa era affollatissima, quasi non ci si poteva mettere piede. Trovare un tavolo libero sarebbe stata un’impresa senza Rebecca, dato che era andata dal preside per discutere di “un affare importante”. Tutti i giorni era lei, infatti, che riusciva a farsi spazio tra la folla per conquistare l’agognato posto a sedere; era un po’ la loro portavoce. Ora che ci pensava, si rese conto di avere per compagnia soltanto la merenda che gli aveva preparato Anne. Senza nemmeno Charlie ed Elisabeth (che erano state convocate dal professor Oliveras per una buona causa) sarebbe stata dura.
Si aggirò tra i tavoli, evitando a priori quello a cui era seduto Niall. Dopo un’occhiata generale, finalmente ne scorse uno, abbastanza lontano, che ospitava una sola persona. Si convinse a raggiungerlo.
 
Evanna

Dopo aver fatto un sospiro profondo, Evanna cominciò a infilzare le foglioline d’insalata e successivamente masticarle. Arricciò il naso per il troppo aceto. Quando si sarebbe decisa a portarsi la merenda da casa? Forse mai: preferiva mangiare quella poltiglia verde piuttosto che dare a Louis un’ulteriore preoccupazione.
Era arrivata alla quarta forchettata, quando «Scusami se ti disturbo, potrei sedermi qui? È tutto pieno e…» disse una voce. Un ragazzo.
Lei s’irrigidì. Pensava a tutto come a niente. La mente le si era svuotata. «Certo, certo… in effetti non aspetto nessuno» disse col tono più naturale che poté riprodurre e voltandosi. Non lo avesse mai fatto. Riusciva a malapena a respirare, i battiti avevano preso ad accelerare e lei si sentiva completamente incapace di muoversi davanti a quel viso troppo familiare ma anche sconosciuto, per dirla breve. «Prego» sorrise calmandosi, e gli indicò la panca opposta.
Il ragazzo la ringraziò, poggiò la scatola di latta che aveva in mano, si sedette. Poi alzò la testa e la massa di ricci scomposti tremolò tutta. Lei ne seguiva incantata ogni movimento. «Oh, ma io ti conosco!» disse ad un tratto, provocandole un colpo al cuore «Eri al corso delle dieci del professor Oliveras, ne sono sicuro!»
«Mi fa piacere che ti ricordi di me… Di solito non mi nota mai nessuno…» abbassò lo sguardo arrossendo. Ne era lusingata. Poteva giurare fosse stata sua la capigliatura ricciuta che in una delle prime file non faceva altro che spostarsi agitata da un lato all’altro del banco per copiare ciò che scriveva il docente alla lavagna.
«Io sono Harry, Harry Styles, piacere!» le porse le mani con un sorriso a dir poco stupendo.
«Evanna, Evanna Tomlinson» gliela strinse. Non si sentiva così leggera da chissà quanto. Forse la sua vita avrebbe finalmente avuto una svolta.
 
Niall

La campanella che segnava la fine delle lezioni suonò e Niall sentì improvvisamente scorrere nelle sue vene quella vitalità persa durante le ore precedenti. Si sentiva come un carcerato che ha scontato la sua pena, sentiva odore di libertà.
Raccolse la sua cartella dal pavimento e si ritrovò subito accanto a Phoebe, come se avesse avuto le ali ai piedi.
«Niall…» fece un sorriso stentato.
L’abbracciò. «Hey, amore, è tutto a posto… Non sono arrabbiato con te per oggi» la guardò negli occhi per rassicurarla e le accarezzò dolcemente una guancia «E poi la punizione non è tutto quell’inferno che dicono, su…»
«Niall, non ti ho detto tutto…» abbassò lo sguardo, colpevole.
Sgranò gli occhi, allarmato. «S-sarebbe?» Con lui era sempre stata sincera, almeno sino a quel momento.
Fece un sospiro profondo prima di parlare. «Non è stata tutta colpa mia: la punizione… è stata data anche a Liam»
Rimase stupito di quanto fosse preoccupata. Phoebe sapeva quanto Niall “odiasse” Liam.
«Se quel rintronato prova  a toccarti… lo ammazzo!»
«Tranquillo, Niall… Ti assicuro che non gli parlerò, lo ignorerò, e se proverà ad avvicinarsi a me… potrei anche sferrargli un calcio nelle parti basse» gli accarezzò dolcemente la guancia - lei si sentiva poco sicura delle sue parole «So come difendermi, lo sai»
«Fai attenzione. Mi fido di te» le prese il viso tra le mani e la baciò.
 
 
 
Ave, lettori! Arrivati a questo punto, vi starete chiedendo che razza di obbrobrio abbiate appena letto. A dir la verità, io in primis mi sento insoddisfatta di ciò che ho scritto; non volevo venisse così, ma davvero non sono riuscita a fare di meglio o modificare qualcosa. Inoltre, in questo periodo mi sento abbastanza insoddisfatta del mio “lavoro” e demotivata, quindi invoco la vostra clemenza. Dopotutto, sono ancora all’inizio, e mi serve solo del tempo per migliorare. Inoltre, spero di non far precipitare la storia nel banale/noioso o scrivere cose surreali, è l’ultima cosa che vorrei accada. Aspetto un vostro parere. A presto, Fel.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Louis

Nella libreria regnava il silenzio più assoluto, interrotto dal leggero ticchettio della pioggia sulla vetrina a diamante. Louis stava appoggiato allo stipite della porta da cui si accedeva al retro e osservava la stanza con soddisfazione, a braccia conserte. Tutto era al proprio posto e nell’aria aleggiava il profumo antico dei libri, che rendeva ancora più accogliente quel luogo. Ciò che gli importava davvero era che la libreria fosse sempre perfetta e facesse sentire a proprio agio i suoi clienti.
Louis faceva quello che poteva; a volte Evanna lo aiutava nelle pulizie, anche se lui glielo impediva. Quello dove abitavano era un palazzo abbastanza vecchiotto nel quartiere di Pimlico, a due piani e monofamiliare. I mattoncini rossi della facciata si erano scuriti a causa dello smog, il legno degli infissi aveva bisogno di una riverniciata; per non parlare delle pareti dell’appartamento e dei mobili. Ma a loro non importava. Lui lì si sentiva davvero a casa. Non avrebbe cambiato dimora per niente al mondo.
Nel locale si poteva avvertire anche una melodia, che cercava in tutti i modi di imparare nei più impercettibili particolari per poi riuscire a ricordarla ogni volta che ne avesse sentito il bisogno: lo stropiccio delle pagine di ”Romeo e Giulietta”. In un negozio come quello, quel suono sarebbe stato scontato. Louis però pensava fosse diverso, non tanto perché fosse la sua opera preferita: il suo interesse era dovuto a chi lo produceva - un essere dotato di così tanta grazia che chiunque l’avrebbe considerata una principessa. Stava con la schiena dritta, le gambe leggermente incrociate; il viso era fermo e impassibile, tranne che per un sorriso leggero causato dalla lettura. Teneva il libro nel palmo e con l’indice dell’altra mano indicava il rigo interessato. La sua naturalezza lo catturava letteralmente.
Era davvero una fortuna che Elisabeth (così si chiamava - era un nome stupendo) avesse accettato di passare nel pomeriggio: era talmente mortificato che quell’opera non ci fosse quando gliel’aveva richiesta, dato che non aveva un vasto assortimento e non si riforniva quasi mai. Così le aveva suggerito di ritornare: le avrebbe dato il suo libro. Quando se l’era ritrovata davanti, non aveva resistito a invitarla a restare.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dallo scampanellio causato da uno dei suoi pochi clienti abituali, che si ritrovò nel locale non appena ebbe chiuso l’ombrello.
«Buon pomeriggio, Louis!» fece un largo sorriso, andandogli incontro.
«A te! Hey ma… che ti è successo?» chiese notando dei piccoli tagli sul labbro.
«Mi hanno picchiato… di nuovo» ammise amareggiato.
«Mi dispiace, Zayn… Secondo me dovresti parlarne con tua sorella, non credi?» il libraio recuperò il libro che il ragazzo stava leggendo in quel periodo e glielo porse.
«È la persona meno indicata con cui confidarmi, credimi: le procurerei solo problemi» lo prese e si sedette sulla poltrona accanto a Elisabeth. La guardò come se fosse un alieno.
«Vado a preparare il the, torno subito»
A Louis dispiaceva molto che Zayn venisse trattato in quel modo; quasi tutti lo avevano preso di mira. Era “grande e grosso”, aveva quell’aria da duro che solo in pochi hanno; eppure non avrebbe fatto male a una mosca… sempre se non fosse capitata sotto le sue scarpe da tango.
Una volta pronto il the, prese un vassoio, ci poggiò le tazzine e tornò nel negozio, desideroso di fare una bella figura con Elisabeth, che scoprì sempre immersa nella lettura.
Mentre varcava la soglia, trovò alla porta d’ingresso un’altra delle sue clienti abituali, che sospirava, impegnata a modellare i propri capelli per riportarli alla loro forma originale. Sbatté più volte gli occhi, guardandosi intorno con la sua solita aria altezzosa. Si accorse del libraio solo quando ebbe poggiato il vassoio sul tavolino.
 «Ciao, Louis» disse con voce smielata e provocante salutandolo con un movimento leggero della mano.
Zayn alzò gli occhi al cielo, irritato.
«Ciao, Eleanor» salutò cortese porgendole il libro che stava leggendo, poi si sedette e sorseggiò tranquillo il suo the.
«Grazie…» gli sussurrò all’orecchio. Gli diede un leggero bacio sulla guancia, inebriandolo del suo profumo.
 
Liam

Nell’aula di punizione il silenzio regnava imperterrito. Mr. Thomas osservava composto i visi degli studenti. Liam si trovava in prima fila, ma ciò che lo metteva in soggezione non era lo sguardo del professore di letteratura inglese, bensì la presenza di Phoebe. Provava una certa inquietudine nel sapere che stava qualche banco più dietro e probabilmente lo osservava. Avvertiva la spiacevole sensazione di quando ci si trova in una stanza buia senza uno straccio di senso di orientamento, si sentiva nudo, vulnerabile, all’oscuro di quello che lei pensava, sotto pressione. Stare con lei faceva quell’effetto, era sempre stato così. Figuriamoci come sarebbe stato essere al posto di Niall. Tutti i suoi tormenti avrebbero avuto di certo fine, e lui non avrebbe sofferto di istinti omicidi ogni volta che li vedeva insieme o lo incontrava.
Era stato troppo sleale con Liam: anni e anni d’amicizia andati in fumo per fargli un dispetto, mettendosi con Phoebe pur sapendo che lui ne fosse innamorato da sempre. Loro tre e Zayn erano stati inseparabili, un tempo: facevano ogni cosa insieme, si difendevano a vicenda, erano l’ombra l’uno dell’altro. Quel legame era stato spezzato da tre anni, per la ragione sopraelencata, e nulla era stato più come prima. La ragazza non aveva mai saputo perché i due non si fossero più parlati da un momento all’altro. Aveva chiesto anche a suo fratello se ne sapesse qualcosa, ma non aveva ricevuto risposta e forse si era rassegnata a essere la ragazza di Niall e assecondarlo in ogni suo volere riguardo l’amico. Liam non faceva altro che fomentare quell’odio verso se stesso, così almeno Phoebe sarebbe stata felice, pur con qualcuno che faceva finta di amarla. Ma era questo che voleva davvero?
 
Phoebe

Guardò l’orologio: erano le sette e mezza. Valeva a dire che era in quella stanza da più di due ore. Manca poco, manca poco,si ripeteva. Già, perché non ce la faceva più a trovarsi a così poca distanza da Liam… E poi, quel silenzio la opprimeva, la costringeva a riflettere su ciò che provava per lui; questo non avrebbe portato a nulla di buono.
Mettersi con Niall era stata la cosa giusta da fare: a Liam non sarebbe mai piaciuta, poteva avere tutte le ragazze che desiderava ai suoi piedi. Perché scegliere lei? Le bastava essere sua amica, come del resto era sempre stato. Con Niall stava bene; la trattava da principessa, non avevano mai litigato, e ogni volta che ne aveva bisogno, lui c’era. Non poteva lamentarsi. Anche se provava odio verso Liam, Phoebe non se ne faceva problemi. Le bastava assecondarlo nelle sue richieste. Gli voleva bene, in un certo senso glielo doveva.
Gli voleva bene. Forse era questo che non andava nel loro rapporto. Era un “amore fraterno”, piuttosto. Perché, quando stava col suo ragazzo, non provava nulla di tutto ciò che succedeva quando si trovava in compagnia di Liam.
Merda, ci stava pensando. Era la sua fine.
 
 
 
Sono più che felice di aver postato un nuovo e più sostanzioso capitolo. Vi ho fatto aspettare più tempo del solito perché volevo che fosse accettabile e migliore del precedente; infatti, ne sono abbastanza soddisfatta e spero che sia piaciuto anche a voi. Quindi, per esserne sicura, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate (tramite una recensione o anche su twitter, menzionando @shesfelix).
Per quanto riguarda Eleanor Calder, premetto di non avere niente contro di lei. Ho solo immaginato che la sua figura si possa addire al personaggio a cui ho pensato, perciò spero di non aver “offeso” nessuno di voi, anche perché non la “conosco di persona”, quindi non posso esprimere alcun giudizio.
Ringrazio tutti voi che leggete e recensite. Per qualsiasi cosa, potete contattarmi su twitter o tramite un messaggio privato su EFP. Baci, Fel.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Phoebe

Pensando a Liam in un certo senso tradiva Niall, si sentiva dannatamente in colpa. Ma lui era diventato un incubo, un’ossessione; una piacevole ossessione.
Si scosse dai suoi pensieri sospirando, con un leggero sorriso sulle labbra. Consultò nuovamente l’orologio: erano quasi le otto. Pochi minuti e non avrebbe più vissuto nell’angoscia. Scorse la cattedra, esultando nel constatare che Mr. Thomas non c’era, e nemmeno Liam, più avanti. Fece un sospiro di sollievo, rilassata, e si aggiustò il ciuffo.
«Come sei bella quando mi pensi» sussurrò al suo orecchio accarezzandole la guancia con l’indice.
Phoebe sussultò. «Come ti salta in mente, Payne, sei cretino?! E poi non ti stavo pensando» si difese stizzita e incrociò le braccia, scostandosi da lui. La irritava troppo quando si comportava così.
«Si vede lontano un miglio che lo stavi facendo. Non saresti arrossita, altrimenti»le fece notare con aria da saccente «Resterò a guardarti in silenzio, fa’ come se non ci fossi»
Si portò istintivamente una mano alla guancia. Non poteva averlo fatto. Voleva scomparire. «Dai, Payne, non ho voglia di scherzare. Sono arrabbiata con te, lasciami in pace»
«Sei arrabbiata con me solo perché il tuo fidanzatino ti ha detto di esserlo? Mi sorprende il potere decisionale che hai sulla tua vita, miss Malik. Da quando ci stai insieme, gli fai da cagnolino»
Rimase senza parole. Era una delle poche cose serie e sensate che le avesse detto da chissà quanto. Lo guardò negli occhi, non riuscendo più a staccarsene. «Non sono il suo cagnolino… Lui mi ama» sussurrò convinta.
«Ah sì, ti ama…?» alzò un sopracciglio, enigmatico. Quello sguardo magnetico la stava consumando piano piano, facendo crollare le sue certezze. Lo vide avvicinarsi lentamente a lei. «Come fa ad amarti se…»
«Bene, ragazzi, la punizione è terminata!» esordì Mr. Thomas entrando nell’aula «Okay, farò finta di non averti visto fuori posto, Payne: non voglio crearti problemi per la squadra. Potete andare… E non fate di nuovo cavolate» concluse sorridente.
Lo salutarono e uscirono. Mr. Thomas era il professore più comprensivo e dal sorriso più dolce che Phoebe avesse mai conosciuto. Forse perché era molto giovane e quindi capiva i suoi studenti. Lo adorava.
Una volta per strada, non trovò più Liam accanto a sé. In quegli ultimi minuti aveva acquisito il potere di scomparire e apparire improvvisamente, facendola così spaventare. Decise d’incamminarsi, con o senza di lui: era in ansia per Zayn e voleva controllare che stesse meglio di quella mattina. Voleva tanto sapere chi era a ridurlo in quelle condizioni ogni santa volta; non sarebbe tornato vivo a casa.
«Ma guarda un po’: il tuo ragazzo non si è preoccupato nemmeno di venirti a prendere»
«Sei così ostinato a perseguitarmi e rendermi la vita difficile, eh?» sorrise sarcastica vedendo che Liam si era fermato davanti a lei e faceva capolino dal finestrino della sua auto sportiva.
«Dai, sali a bordo: è umido e sta per piovere. Non vorrai mica ammalarti per le audizioni delle cheerleader. Non dormirei la notte se dovesse sceglierle Eleanor» fece l’occhiolino.
Lei rise, questa volta per davvero. «Va bene, ma facciamo in modo che non si ripeta» precisò, ed entrò in macchina. Si sentiva un piacevole tepore.
Liam ripartì. Era silenzioso, apparentemente preoccupato. «Scusa per stamattina…» disse all’improvviso.
Era la seconda volta che la sorprendeva in quel modo. Che gli succedeva? «Tranquillo, ormai la punizione ce la siamo beccati e in quel bigliettino potevi scriverci qualcosa di meno squallido»
Seguì ancora del silenzio. La pioggia che aveva cominciato a picchiettare poco prima sul tettuccio si fece più fitta. Era così strano trovarsi lì con quell’atmosfera. Phoebe si mise a riflettere su ciò che le aveva detto riguardo Niall. Le costava davvero tanto ammettere che aveva ragione.
 
Charlie

«Okay, Reb. Buonanotte e a domani» disse. Riattaccò, sospirando, poggiò il cellulare sul comodino e sprofondò tra le lenzuola. Era reduce da una conversazione di tre ore con Rebecca, durante la quale aveva parlato solo lei. Era sempre stato così, ma a Charlie stava bene: adorava ascoltare la gente, e parlare non le era mai piaciuto. Era anche per questo che erano diventate subito amiche: erano diverse, non si capivano con un semplice sguardo, e Rebecca aveva compreso che in certi casi le parole non servono.
Sospirò nuovamente. Zayn, perfetto, occhi, labbra. Non aveva fatto altro che ripetere quelle parole, oltre che dirle continuamente che l’aveva ringraziata per averlo “salvato” e gli aveva sfiorato il viso praticamente tutto il tempo. Poteva ancora sentire quel tono eccitato nelle sue orecchie. Non la biasimava: Rebecca era innamorata di Zayn dal primo momento che l’aveva visto e sicuramente non le sembrava vero di essergli stata così vicino e addirittura avergli parlato.
Loro due si erano sempre dette tutto, ma di una cosa non era mai venuta al corrente: che le piacesse Niall. La distruggeva non poterglielo dire, ma sarebbe stato troppo complicato da spiegare, e poi era necessario doverlo nascondere, anche a lei. L’avrebbe di certo rimproverata, ma Charlie non avrebbe comunque cambiato idea; sapeva che in fondo quel biondino aveva qualcosa di buono dentro di sé, e questo contribuiva ad attrarla maggiormente: toccava a lei portare allo scoperto quella parte nascosta.
 
Phoebe

«Allora, dirai al biondino del passaggio?» riprese Liam mentre svoltava a sinistra.
Ci pensò su quel che occorreva, poi rispose «Non credo… È irrilevante. Perché ci siamo fermati?» chiese allarmata.
Dopo aver fissato il vuoto per un po’, si voltò verso di lei e la guardò negli occhi. Phoebe quasi si spaventò per l’espressione “truce e disperata” che aveva in volto. Non poteva sostenere quello sguardo, non voleva, eppure non abbassò il viso, nemmeno quando lo vide avvicinarsi. Non riusciva nemmeno a muoversi, aveva la mente annebbiata e la lingua impastata.
«Spero che non gli dirai nemmeno di questo…» sussurrò a nemmeno un centimetro dalle sue labbra.
Sentiva il respiro caldo di lui solleticarle la pelle, il cuore batterle come mai era successo. Era troppo vicino. Lottava contro se stessa per non cedere, ma ogni volta che ci provava, soccombeva sempre di più.
Finalmente la baciò, e fu l’esperienza più elettrizzante che avesse vissuto. Phoebe poggiò piano una mano sulla guancia e prese ad accarezzargliela. Lui sembrava più titubante.
Quando si staccarono, lei sentiva le labbra formicolare e lo stomaco in subbuglio. Non osò alzare il viso, doveva essere arrossita più del dovuto. Nemmeno Liam si mosse, né proferì parola. Sembrava emozionato. Non sapeva dire per quanto rimasero così: Phoebe era certa di non essersi mai sentita bene come adesso, neanche quando si trovava in intimità con Niall. Avrebbe desiderato che il tempo si fermasse, se solo lui gliene avesse dato la possibilità: le si avvicinò di nuovo e la baciò ancora, questa volta con più foga. Senza che se ne accorgesse, se lo ritrovò sopra mentre abbassava il sedile.
«Liam…» lo guardò con gli occhi lucidi. Si era già tolto la maglietta. Gli mise le mani sul petto e glielo percorse; era completamente incapace di ribellarsi.
«Adoro quando dici il mio nome…» sussurrò baciandole il collo (facendola rabbrividire), poi la scrutò. La voce era roca, le iridi gli luccicavano, e lui era bellissimo.
«Payne, non farmene pentire» sussurrò poggiandogli delicatamente l’indice sulle labbra, riacquistando il fare acido e distaccato nei suoi confronti, quella maschera che usava con lui per non far trasparire le proprie emozioni. Ma stava succedendo, stava tradendo Niall. E in quell’istante era l’unica cosa che voleva: avere Liam tutto per sé, anche se solo per quegli istanti.
A lui non doveva importare un granché, molto probabilmente Phoebe Malik era solo un altro nome da scrivere “sull’agenda delle tipe con cui aveva concluso qualcosa”. Ma a lei non importava: lo aveva aspettato per troppo tempo.
Lui annuì e le fece un leggero sorriso. Era per lei.
Ogni cellula della sua pelle bramava un contatto. Non avrebbe resistito a lungo. Ma finalmente lui si abbassò su di lei; pochi secondi e si sarebbe sentita felice e libera di decidere sulla propria vita.



 
 Buonasera a todos! Sì, perché posto solo di sera; ma ho possibilità di farlo solo in questa parte della giornata, e dovete scusarmi.
Beh, come vi è sembrato questo capitolo? Come avete visto, per adesso mi sono concentrata maggiormente sulla coppia “Liebe”, però vi prometto che nei prossimi capitoli ci sarà spazio anche per gli altri protagonisti. Qualcuno mi ha chiesto di scrivere qualcos’altro su Harry. Davvero lo vorrei anch’io, e farò di tutto per dare anche a lui un po’ di spazio.
Comunque… Qual è la vostra impressione sulla storia? Mi farebbe molto felice una vostra recensione. Ho bisogno di sapere cosa ne pensate, è davvero molto importante per me!
Ringrazio tutti voi che recensirete e voi, lettori silenziosi (vi vedo ò.ò). Se qualcuno vorrebbe essere avvisato degli aggiornamenti dei capitoli, non deve far altro che chiedermelo tramite una recensione o menzionando @shesfelix su twitter.
Detto questo, mi ritiro, attendendo vostri pareri. Goodnight, Fel.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Elisabeth

«Io sono Louis» le aveva deetto porgendole la mano, raggiante.
«Elisabeth, piacere» aveva sorriso lei, stringendogliela impercettibilmente come le aveva insegnato Mrs. Bennet. “Le signorine di buona famiglia si distinguono per la loro grazia”. Glielo aveva ripetuto in continuazione.
 
Da quando lo aveva visto varcare la soglia del retro della libreria, Louis non aveva fatto altro che occuparle i pensieri con la sua voce delicata, gli occhi di quel celeste limpido e i modi di fare. Quella notte non aveva dormito, ma Elisabeth non era stanca, anzi: si sentiva leggera e allo stomaco uno strano formicolio. Persino suo padre aveva notato una luce diversa negli occhi - era molto raro che si accorgesse di qualcosa. Non sapeva cosa fosse di preciso, ma la faceva stare bene.
«Elisabeth… Ci stai ascoltando?» la voce calma di sua madre la scosse da pensieri più che piacevoli.
A tavola, tutti la guardavano con aria interrogativa, si sentì come accerchiata. Scrutò Harry, seduto accanto a lei; la sua espressione non era delle migliori.
«S-scusate, io… mi ero distratta» ammise arrossendo, e abbassò lo sguardo sulla colazione.
«Dicevamo» riprese suo padre «che stasera avremo con noi a cena uno dei più ricchi imprenditori di Londra -nonché mio lontano parente- e la sua famiglia»
«Oh, bene…» sorrise, poco interessata a quella notizia.
«Dovrai indossare il tuo abito migliore, tesoro»
«Lo farò senz’altro, mamma»
Non era una novità che i suoi genitori invitassero qualcuno a cena. Non riusciva proprio a capire perché ci tenessero più del solito a farsi ascoltare.
Guardò nuovamente Harry e le si strinse il cuore. Sapeva esattamente a cosa stava pensando: Anne e i domestici non avevano un minuto di riposo, si affannavano in continuazione per fare bene il loro lavoro. E loro due erano preoccupati.
Elisabeth si riprometteva sempre che non sarebbe diventata come i suoi genitori. Quel mondo fatto di feste, lusso, scandali, non faceva per lei; e sicuramente dare ordini non era un’abilità che le apparteneva.
 
Rebecca

Raccolse i suoi capelli in una coda disordinata e sbadigliando si diresse in cucina. Come ogni mattina, sua mamma Elena era seduta al tavolo e sorseggiava tranquilla il suo caffè, accompagnandolo con una merendina dietetica. Pur essendosi appena svegliata, era bellissima nel suo completo sportivo e con i capelli raccolti in uno chignon. Era incredibile quanto si assomigliassero, in tutti i sensi. Elena diceva sempre che le ricordava se stessa da adolescente e le avrebbe offerto il meglio e tutto ciò che non aveva mai avuto dai suoi genitori.
Sua madre l’aveva fatta crescere e aveva raggiunto i suoi scopi senza l’aiuto di nessuno, né tantomeno quello di suo padre, scomparso nel nulla non appena ebbe saputo della sua “esistenza”. Rebecca era molto fiera di lei. Voleva solo che la smettesse di ripetere di sentirsi vecchia nonostante avesse solo trentadue anni.
«Heilà, Becky!» esordì Mr. Bicipiti con allegria mentre la ragazza salutava Elena con un bacio.
Alzò lo sguardo irata, come se potesse incenerirlo - odiava essere chiamata con quel diminutivo, specialmente da lui. Era seduto su un attrezzo ed eseguiva degli esercizi con i pesi, con un sorriso che mascherava lo sforzo, la canottiera rigorosamente bianca e inzuppata di sudore e i muscoli scolpiti messi in risalto dai suoi movimenti.
«Buongiorno, Joe» fece un sorriso sforzato, prendendo dal frigo la sua spremuta d’arancia senza zucchero.
Rebecca non riusciva proprio a capire come sua madre avesse potuto innamorarsi, sei anni prima, di un simile individuo; uno di quei palestrati paragonabili ad armadi che si possono vedere solo nei film d’azione, carente d’umorismo e aspirante culturista. Non per niente, era professore d’educazione fisica e aveva fatto subito breccia nel cuore di Elena, essendo entrambi molto attenti alla cura del proprio corpo. Anche per questo, tutti a scuola lo chiamavano “Mr. Bicipiti”.
Aveva sempre cercato di farle da padre, ma nel modo sbagliato. Però rendeva felice sua madre, ed era questa la cosa importante.
 
Zayn

«Forza con quelle flessioni!» incitò Mr. Bicipiti, soffiando poi nel suo fischietto a intervalli brevi e regolari «Malik, smettila di lamentarti, non sei una signorinella! Prendi esempio da Payne, piuttosto!» urlò quando gli fu arrivato davanti mentre passava tra le file, e fischiò nuovamente, dirigendosi verso un altro ragazzo scarso in materia per metterlo sotto pressione.
Zayn alzò gli occhi al cielo, affannato, mentre cercava di non far schiantare il suo viso contro il pavimento della palestra. Odiava l’ora di educazione fisica quasi più dell’essere picchiato.
«Allora, dicevi di ieri…?» domandò Liam, curioso di sapere altri dettagli sulla giornata precedente, mentre eseguiva i suoi esercizi senza il minimo sforzo sostenendosi con un solo braccio e tenendo l’altro arto dietro la schiena.
Zayn si voltò verso di lui tra le smorfie e lo guardò. Liam era tutto ciò che avrebbe voluto essere: atletico, ammirato e rispettato da tutti, desiderato dalle ragazze. Insomma, un modello da seguire. Quasi non ci credeva che dopo tutto quello che si era detto su di lui e che gli succedeva, fosse ancora suo amico e addirittura lo difendesse. «Nulla, nulla…» rispose distrattamente. Toccare l’argomento “Eleanor Calder” sarebbe stato come mettere il dito nella piaga. Meglio defilare. «Tu, piuttosto?»
«Dovresti avere già una mezza idea» divagò con un leggero sorriso.
«Oh, quella cosa, giusto!» Era ormai quasi inutile che glielo chiedesse, faceva parte della sua routine. «E di grazia, si può sapere con chi sei “andato in palestra”, questa volta?»
«Una come tante» rispose semplicemente, facendogli l’occhiolino.
«Oh, ho capito» Zayn cominciò a mettere più impegno nell’esercizio. Gli dava fastidio quando il suo migliore amico gli nascondeva delle cose o le lasciava dette a metà, come se non lo considerasse “degno di sapere”.
«Bravo, Malik, così va meglio» disse la voce smielata di qualcuno che si era piantato davanti a lui e Liam e che sicuramente non era Mr. Bicipiti «Sai, a volte penso che se tu non fossi… così, qualche possibilità con me ce l’avresti»
I due alzarono lo sguardo. Zayn stava per scoppiare da un momento all’altro. «Taci, Eleanor»
«Avanti, Zayn, sai la dolce El com’è fatta; le piace scherzare, giocare…» Il tono malizioso con cui pronunciò queste parole non gli piacque per niente, non avrebbe portato a nulla di buono. Sapeva che Liam si comportava così per “aiutarlo”, ma non faceva altro che peggiorare tutto quanto.
«Già… soprattutto parlare con buoni amici…» continuò sospirando e sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi da santarellina «Sai, Payne, avrei davvero bisogno di parlare con un amico come te, oggi pomeriggio…» guardò l’interpellato, seguendo ipnotizzata ogni suo movimento. Sembrava lo stesse denudando con gli occhi.
Liam sorrise, tra chissà quali pensieri. Zayn avrebbe solo voluto vomitare.





E dopo qualche mesetto di assenza, ecco qui per voi un nuovo capitolo, fresco fresco. Dovete scusarmi, ma ho avuto problemi e ho avuto bisogno di una pausa. Spero che vi abbia fatto piacere l’aggiornamento e che mi facciate sapere cosa ne pensate, accetto di tutto. Baci, Fel. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Harry

«Signorina, dobbiamo tornare a casa» fece notare James a Elisabeth.
Liz sospirò leggermente, senza lasciar trasparire alcun cenno di nervosismo. «Arriviamo, James…!» rispose, e salutò rammaricata la nuova amica.
«Ha fatto piacere anche a me, conoscerti. A domani, Elisabeth!»
Harry rimase a fissare le fossette createsi sulle guance di Evanna. Era davvero adorabile e si era dimostrata molto gentile nei suoi confronti, diversamente da altre persone.
«Harry…?»
Si distolse dai suoi pensieri. «Sì…?»
«Credo che… Elisabeth ti stia aspettando» sorrise timida.
Harry constatò che aveva ragione. «Oh, sì, già, giusto…! Sai, torno con lei a casa. Allora… vado! A domani, Evy!» la salutò impacciato, dirigendosi verso la limousine. Vi entrò, rischiando di sbattere la testa sul tettuccio, guardò per l’ultima volta Evanna, le sorrise e richiuse lo sportello. Chiuse gli occhi sospirando. Aveva fatto la figura del perfetto imbecille. «Cazzo!» sferrò un pugno contro il vetro, scusandosi poi con Elisabeth.
«Ti va di raccontarmi?» gli chiese calma quando erano nei pressi di Buckingham Palace, dopo uno snervante silenzio.
«Sono un disastro, Liz… Per quanto tempo sono rimasto lì davanti a lei? Eh? E con che espressione, poi…! “Sai, torno con lei a casa“, ma che avevo per la mente?! E poi… l’ho chiamata “Evy”» disse sconcertato «”Evy”, capisci?! La conosco da nemmeno un giorno e come la chiamo? “Evy”! Come se fosse la cosa più naturale del mondo. Che idiota!» gesticolò animatamente.
Quando era nervoso, cominciava a sparare a raffica cose incoerenti e completamente sbagliate al momento sbagliato. Avrebbe voluto essere risucchiato dalle viscere della Terra immediatamente e sparire dalla memoria di ogni essere vivente che avesse avuto la sfortuna di incontrarlo.
«Harry… prima di tutto, mantieni la calma. Autocommiserandoti, non risolverai nulla. Può capitare di distrarsi, no? E poi, che ne puoi sapere? Magari puoi averle fatto una buona impressione e le stai anche simpatico!»
Ma parlare con Harry in uno dei suoi tanti momenti di disperazione era quasi impossibile; era come parlare al muro. Anzi, il muro si poteva anche riuscire a convincere…!
«Potrebbe anche d’arsi, ma resta il fatto che ho fatto una figura di…» riprese scendendo dall’auto.
«Sei un umano, Harry… E lei non mi sembra il tipo che bada a dettagli così insignificanti. Vedrai che se ne sarà già dimenticata!»
«Voglio crederci»
 
Charlie

«Microbo, è da non so quanto che mi stai seguendo. Si può sapere cosa vuoi?» sbottò Niall sbraitando, provocando lo sdegno dei passanti.
Charlie indietreggiò intimorita e cominciò a tremare, così tanto che persino le lentiggini sul suo viso parevano muoversi. Aveva ovviamente calcolato una possibile reazione di quel genere, ma Niall l’aveva presa alla sprovvista.
Quella mattina, si era svegliata con l’intento di tener fede al suo proposito: scoprire chi davvero si nascondeva dietro l’apparentemente impenetrabile sguardo di ghiaccio di Niall James Horan, che poi se lo si guardava attentamente, tanto arido non era. Charlie lo aveva intuito, lo sapeva: Niall magari era solo un’anima tormentata. Così, a scuola lo aveva osservato nei minimi particolari, annotando tutto mentalmente, e aveva pensato a un piano per sapere di più su di lui e le sue abitudini, tutto all’insaputa di Rebecca e Harry, che sicuramente le avrebbero impedito di “ficcare il naso” in affari che non la riguardavano, soprattutto se questi affari coinvolgevano il temuto Niall Horan. Ma Charlie era così: timida quanto testarda e desiderosa di andare fino in fondo ai dilemmi più intricati, un po’ come quegli ispettori di polizia di cui amava tanto leggere. Quando erano terminate le lezioni, aveva salutato Harry, Rebecca, Elisabeth ed Evanna, aveva atteso il passaggio di Niall e infine lo aveva pedinato. Avevano attraversato Pimlico, Westminster, St. James’s e ora si stavano dirigendo verso Soho. Quel quartiere le aveva fatto sempre venire i brividi; i suoi nonni le avevano espressamente proibito di aggirarsi da quelle parti dopo le 17, e lei aveva accolto con molto piacere la loro indicazione. Almeno sino a quel giorno.
E adesso eccoli lì faccia a faccia. Il viso di Niall stava perdendo quel colorito paonazzo, e i suoi occhi la stavano fissando in un modo indefinibile. Charlie prese coraggio, deglutendo e trovando la forza di staccarsi da loro.
«N-niente… Sto solo tornando a casa…»
«Ah sì? Una pulce di buona famiglia come te abiterebbe nel malfamato quartiere di Soho? Wow, sei sempre più una rivelazione, Atkinson!»
Charlie non sapeva che rispondere. Niall aveva fatto una più che giusta osservazione: lei abitava a St. James’s con i nonni. «Beh, sì… sto per tornare a casa. In effetti, sto facendo una ricerca… un reportage su Soho!» disse illuminandosi.
«Un reportage, dici, eh…? E su cosa, sentiamo» chiese riprendendo a camminare.
Charlie si sentì più sicura e sorrise impercettibilmente: aveva, anche se minimamente, conquistato la sua fiducia. S’incamminò, cercando di stare al suo passo. «Sull’ambiente, sulla gente che ci vive, sulla vita notturna… Sì, insomma, un po’ di tutto. Ero venuta a fare un “giro di perlustrazione”»
«Ne parli come se fosse una zona di guerra» disse scuotendo la testa amareggiato.
«Sì, insomma, sai, non so come spiegarlo!» gesticolò animatamente sforzandosi di non farsi distrarre dalle sue iridi «Mi piacerebbe conoscere di più, ecco» Ad un tratto Niall si bloccò davanti a un portoncino blu. Charlie si arrestò bruscamente, guardandolo cercare le chiavi in una tasca. «Oh, allora è qui che abiti…» osservò.
«A quanto pare sì! E se ho capito a cosa stai pensando, la mia risposta è “no”: non ti aiuterò con quello stupido reportage, d’accordo?»
«Ma Niall, ascoltami…»
«Ho detto di no» scandì lui «E ora lasciami in pace, microbo. Ti consiglio di tornare a casetta se non vuoi che qualche cattivone ti faccia la bua!» disse bruscamente, quando era già ormai nell’edificio.
«Ma Niall…»
«Addio» troncò secco lui, chiudendole in faccia il portone.
 
Niall

Si appoggiò sospirando al portone. Quella Atkinson non gli lasciava mai nemmeno un po’ di pace, era come una fastidiosa zanzara nell’orecchio. Ora sapeva anche dove abitava. Niall sperò con tutto se stesso che non tornasse a “trovarlo”. Già gli aveva rovinato il ritorno a casa, uno dei pochi momenti in cui non si sentiva oppresso, in cui sfuggiva alla realtà dove era costretto a vivere.
Salì le scale scricchiolanti fino al secondo piano, tra le lamentele della vedova Smith e i latrati del suo bavoso bulldog, i quali comparivano sul pianerottolo superiore per rimproverare sempre e solo lui di fare troppo rumore. Cercò di ignorarli, entrando nell’appartamento e richiudendo la porta dietro di sé. Il forte odore di alcol lo stordì all’istante. Forse non si sarebbe mai abituato a quella puzza stagnante, e nemmeno al russare fragoroso di suo padre proveniente dal soggiorno. Ormai Niall aveva perso il conto di quante volte lo aveva scoperto steso scompostamente sul divano, col braccio penzolante e una bottiglia di whiskey, brandy, o semplice vino adagiata sul pavimento. Era la stessa scena che si ripeteva ogni giorno. Lui ringraziava non si sa che santo in Paradiso: preferiva di gran lunga vederlo in quello stato che trovarlo sveglio.
«Mamma, sono tornato!» annunciò poggiando la cartella sul pavimento e dirigendosi in cucina. “Tanto non si sveglia neanche se demoliscono la casa”, pensò passandogli davanti.
 




 
Ciao a tutti, ecco qui per voi un altro capitolo che spero sia di vostro gradimento. “Spero”, perché a dir la verità non ho vostre notizie, e mi è davvero difficile continuare a scrivere, soprattutto perché non so se sto procedendo nel modo giusto. Quindi mi farebbe molto piacere una recensione o un commento veloce menzionandomi come @shesfelix su twitter.
In ogni caso, vi ringrazio per leggere questa ff, è molto importante per me.
Per adesso credo sia tutto. A presto, Fel.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Evanna

Ti prego, fa che sia lui”, ripeteva tra sé e sé senza fiato mentre si scapicollava dall’angolo più remoto della casa per raggiungere la sua camera e rispondere al cellulare. Aveva sentito il suono a malapena, tra le voci dei Take That, e adesso era una corsa contro il tempo. “Non riattaccare, ti scongiuro”, pregava tra i denti mentre era ormai giunta a destinazione. L’apparecchio era lì, sulla scrivania. Lo prese senza esitare un attimo.
«Pronto?» rispose lei con voce affannata.
Il cuore le batteva così tanto… E il silenzio interminabile che le offriva il ricevitore la mise ulteriormente in ansia.
«Pronto?... Evanna?»
Evanna chiuse gli occhi affranta. «Louis…» sospirò «scusami se non ti rispondevo; ascoltavo della musica con le cuffiette e…»
Di solito suo fratello reclamava la sua presenza in libreria dal retro, e quando non otteneva risposta, la cercava al telefono, non potendo lasciare il negozio incustodito.
«A dir la verità, Evy, non volevo chiamare te… Volevo contattare il rifornitore, ma a quanto pare mi son distratto…»
«Oh, bene… Di nulla, Lou, stai più attento. Cercami, se hai bisogno» disse, e riattaccò leggermente delusa.
Delusa, come sempre. Perché continuava a illudersi? Infondo, non poteva assolutamente pretendere che qualcuno gradisse la sua presenza o fosse magari anche incuriosito da lei. Chi era lei per chiedere tutto questo? Nessuno. Solo una creatrice di false speranze e desiderosa di avverare utopie. Di conseguenza, con che coraggio aveva creduto che ci fosse una minima possibilità che lui avrebbe potuto chiamarla quel pomeriggio stesso o i giorni seguenti?
Stava per riavviare la musica, ma ecco che sentì nuovamente il cellulare squillare. Sul display poté leggere il suo nome. No, non poteva essere vero; non poteva essere davvero Harry. “Che fai, stupida, rispondi!”, si disse scuotendosi dai suoi pensieri, constatando che l’apparecchio insisteva a suonare.
«Pronto?» rispose schiarendosi la voce, e si riportò i riccioli dietro l’orecchio, come se potesse vederla.
«E… Evanna? Ciao, sono Harry» Lei sorrise. Avrebbe potuto riconoscerla sua voce anche tra cent’anni. «Come stai?»
«Bene, grazie, e tu?»
«Bene, bene!»
«Harry…?» chiese lei sentendo dei bisbigli sommessi e concitati.
«Sì, sì, sono qui. Erm… sì, volevo chiederti se avevi programmi per… uhm… venerdì prossimo, di sera»
Lei sgranò gli occhi, e si fece aria sentendosi avvampare. «Venerdì prossimo, dici?» Era un appuntamento? Evanna incrociò le dita.
«Sì, cioè… il padre di Elisabeth ha chiesto al preside se è possibile fare un “ballo di benvenuto”, uno di quelli all’americana, no? Come li fanno in altre scuole, e così via… Ecco, Mr. Brown ha accettato. Domani ufficializzerà l’evento, e io volevo assicurarmi di non rimanere senza “accompagnatrice”, quindi… volevo chiederti se ti farebbe piacere andarci con me. Non sei obbligata, ovviamente»
Evanna avrebbe voluto gridare e saltare per tutta la casa. «Uhm, vediamo… Per venerdì credo di non avere alcun impegno che non sia il mio appuntamento fisso con mio fratello, il divano, una pizza e un bel film… Mettendo il caso che Louis perdonerà sicuramente questo mio attentato alla tradizione, credo proprio che non rifiuterò!» rise arrossendo.
«Bene, benissimo» esclamò lui. Era certa che in quel momento Harry stesse sorridendo o facendo qualcosa del genere, dato che il tono della sua voce era uforico.
 
Louis

Aveva appena terminato di parlare col rifornitore per l’ordinazione e ripreso a parlare con Zayn dell’Abercrombie&Fitch -la conversazione si era spostata sui modelli senza che potesse rendersene conto- quando sentì provenire dalle scale del retro dei passi precipitosi, paragonabili a quelli di una mandria di bufali impazziti in fuga. Si voltò allarmato.
«Louis, Louis, Louis! Tu non immagini!» disse con difficoltà sua sorella facendo irruzione nel negozio. Fece un cenno di saluto al cliente (che la ricambiò divertito) prendendo fiato.
«E lei chi è, Louis? Non credevo tenessi nascosto un simile gioiellino in casa» osservò incuriosito Zayn, già appoggiato al bancone «Non dirmi che… è la tua ragazza» concluse scettico.
«No, Zayn, è mia sorella Evanna. Frequentate la stessa scuola, sai? Ah, e per tua informazione: non sono fidanzato» disse calmo versandosi del the.
Sembrò molto più sollevato. «In effetti la vostra somiglianza è sorprendente… Oh, davvero? Non l’avevo mai vista, prima d’ora; la nostra scuola è così grande… beh, farò tesoro della sua conoscenza, allora» concluse strizzandole l’occhio e bevendo. Lei gli sorrise imbarazzata.
«Allora, Evy, spara!»
Parve alquanto eccitata di raccontare. «La settimana prossima a scuola daranno un ballo!»
«Un ballo?!» esclamò il cliente, interessato.
Evanna annuì. «Il preside non ha ancora ufficializzato l’evento, ma ho già ricevuto un invito e ho accettato!» disse fiera.
«E chi sarebbe il fortunato?» domandò sorseggiando la bevanda, con un mezzo sorriso. Non vedeva sua sorella così elettrizzata da quando le aveva regalato la parure di Tiffany&Co. Era passato sin troppo tempo.
«Harry Styles!» esclamò sorridente. Il ragazzo quasi sputò il suo the. «L’amico di Elisabeth, proprio lui» cantilenò «Allora, che ne pensi?»
«Cosa ne penso? Sono davvero contento, te lo meriti!» sorrise e l’abbracciò forte.
Elisabeth… Gli tornarono alla mente i suoi boccoli (dovevano essere così tanto morbidi…), le sue labbra fini, la risata cristallina, gli occhi cele…
«Perché non vieni anche tu? Ti divertirai!» esordì lei.
«Vuoi tenermi tra i tuoi piedi anche a scuola in una festa come quella?» scherzò lui.
«Pensi troppo al lavoro» lo ammonì «E poi non mi dai fastidio. Potresti anche verificare con i tuoi occhi che la tua sorellina fa la brava»
«Proposta allettante, ma a parte gli scherzi, non mi sembra una buona idea. Non sono uno studente, e poi…»
«Sì dai, Lou! T’invito io, e non ti consiglio di rifiutare!» s’intromise Zayn esuberante, poi spegnendosi.
«Visto? Dai, dai, dai!» Evanna lo stordì così tanto che alla fine Louis dovette accettare.
 
Elisabeth

Erano da poco passate le 19 quando quei parenti mai conosciuti in vita sua erano arrivati. Liz aveva avuto pochissimo tempo per prepararsi, riuscendo nel frattempo a convincere Harry a chiamare Evanna. Ma eccola lì, nel suo vestitino celeste che s’intonava perfettamente all’incarnato, e i capelli raccolti da un fioccone.
 
«Sembri una bambola, come al solito» le aveva detto l’amico guardandola appoggiato allo stipite della porta con uno dei suoi sorrisini, mentre lei si osservava all’enorme specchiera.
«E tu il solito impertinente, Harold» aveva risposto lei sorridendo amabilmente «Già ripreso dalla forte eccitazione?»
«Quante volte devo ripeterti che non mi chiamo Harold?»
«Mi piace chiamarti così, mi fa pensare a te come un damerino»
«Ogni suo desiderio è un ordine, milady» disse mettendosi sull’attenti, vestito di tutto punto, e provocando la risata di Elisabeth.
Amava scherzare con Harry, solo lui riusciva a farla ridere davvero. La faceva sentire una ragazza “normale”.
 
Era seduta già da un bel po’ alla consolle nella sua camera, a pettinarsi e  a guardare nel vuoto anziché nello specchio. Pensava, a ciò che era successo prima a cena: suo padre le aveva indicato Dylan, il figlio dei suoi lontani parenti, come accompagnatore al ballo. Era evidente che invece quel “consiglio” fosse un vero e proprio ordirne. Elisabeth non se ne stupì; era successo sempre, in qualsiasi occasione, che i suoi genitori decidessero sulla sua vita, e lei stava cominciando a stancarsi di sentirsi chiusa in una gabbia.




Buonasera a tutti! Perdonatemi il periodo di silenzio, e soprattutto questo capitolo. Ho avuto una "crisi dello scrittore"; non riuscivo a stendere qualcosa che già la depennavo. Comunque l'importante è che i risultati alla fine sono arrivati! Spero di ricevere qualche vostro parere. A presto, Fel.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Liam

«Put your hands all over, put your hands all over me…»cantava Liam a occhi chiusi, sovrapponendo la sua voce a quella di Adam Levine. Improvvisava molto spesso brevi concerti, quando riusciva a ritagliarsi un po’ di tempo, tra tutti i suoi numerosi impegni. Era bravo a cantare, ma non aveva mai mostrato al pubblico le sue abilità, tranne durante le recite scolastiche; quindi si limitava principalmente a esibirsi sotto la doccia.
«Payne…? Payne, insomma!» sentì lui strillare fuori della macchina. Liam si voltò, notando divertito la scena e aprendo lo sportello. «Smettila di ridere, stupido!» sospirò lei stizzita, sedendosi «E la prossima volta, assicurati di tenere la musica a un volume ragionevole»
Sempre se ci sarà, una prossima volta, pensò lui mettendo in moto l’auto. «Alla buon’ora, Eleanor! Quasi non ci speravo più»
«Chiacchere, chiacchere, Payne. Allora, come sto?» chiese esuberante.
«Bene, El, bene» rispose guardando distrattamente il vestito striminzito «Ti proclameranno sicuramente “reginetta”»
In effetti, era di gran lunga interessato al tragitto da percorrere. Non sapeva per quale oscura ragione stesse andando al ballo con lei, aveva accettato solo per evitare scocciature con tutte le ragazze con cui era andato, e magari distrarsi dal pensiero di Phoebe. Anche Eleanor, dal canto suo, aveva i suoi interessi nel farsi vedere con lui. Entrambi avevano solo da guadagnarci.
Liam spense il motore e la radio appena ebbe parcheggiato nel cortile della scuola. Già si sentiva la musica provenire dalla palestra. Chiuse gli occhi sospirando, con la testa appoggiata allo schienale, mentre la ragazza si ritoccava il trucco.
«Allora, pronto?»
«Tu che dici?» sorrise ammiccando, e uscirono dall’abitacolo.
Tutti i presenti nel parcheggio si fermarono alla loro comparsa, bisbigliando al vicino. Liam si aggiustò la chioma col suo charme innato e un sorriso malizioso, e si pose al fianco di Eleanor, che inforcò il suo braccio con altezzosità. Si diressero all’interno dell’edificio e presentarono i loro nomi; poi potettero entrare. La grande stanza era quasi piena; al ballo era andata in pratica tutta la scuola. Già avevano cominciato a salutarlo e adularlo, quando si vide venire in contro Zayn. Sembrava agitato.
«Liam, eccoti qui, ti aspettavo!»
«Chi non muore si rivede, direi» rise sarcastico.
«Io credo che andrò un po’ in giro. Son qui dentro da neanche cinque minuti e l’aria è già “inquinata”» annunciò la ragazza smorfiosamente, rivolta a Malik, e si dileguò tra la folla.
Quei due non riuscivano proprio a sopportarsi; Liam cercava sempre di limitare le provocazioni da parte di lei, le uniche in effetti.
«Ma sei venuto al ballo con… quella?» domandò l’amico incredulo, mentre lui ricambiava con gesti e sorrisi chiunque gli rivolgesse un saluto.
«Tu chi hai invitato?» glissò abilmente la domanda.
«Nessuno…»
«Perché non vai dalla Parker? È sola soletta alla scrivania a segnare i presenti. Le farà piacere, un po’ di compagnia» ammiccò malizioso, ricevendo come risposta uno sguardo cupo che sembrava chiedesse “sei serio?”.
«Magari dopo… Ora sto aspettando delle persone. Va beh, ci si vede in giro!» annunciò dandogli una pacca sulla spalla, e si mischiò tra gli studenti.
Liam si diresse al tavolo delle bevande e si versò un bicchiere di Coca-cola, giusto per sciacquarsi la vocca. Si guardò in giro, finché il suo sguardo non si fermò su di lei.
 
Harry

«Dolce Evanna Tomlinson, mi concede l’onore di questo ballo?»
«Se proprio insiste…» sorrise lei, prendendo la mano che le porgeva suo fratello, alzandosi e allontanandosi verso il gruppo di ragazzi che si cimentavano in un lento.
Harry non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Gli sembrava perfetta nel semplice vestitino nero, che si prestava a esaltare la sua figura snella e la carnagione chiara. Stava abbracciata a Louis con morbidezza, dondolando piano a ritmo della musica. Avrebbe voluto tenerla stretta a sé allo stesso modo…
«Insolito, questo posto» esordì Dylan, che era stato tutto il tempo in silenzio, come Elisabeth.
Harry spostò lo sguardo su di loro, seduti l’uno accanto all’altra. Lei stava composta con le mani in grembo e guardava i due amici ballare, con aria triste e rassegnata. Sapeva quanto le costasse essere lì e non poter divertirsi come davvero voleva; accondiscese remissiva a ogni volere dei genitori.
Il suo accompagnatore osservava gli altri studenti con evidente sdegno, come se fossero affetti da qualche malattia altamente contagiosa, con occhi di un celeste deciso (quasi ci si accecava guardandoli). Era uno di quei “figli di papà”, molto “vecchio stile”, con la brillantina tra i capelli corvini. Aveva il suo fascino, ma era troppo altezzoso per stare a contatto con la gente “normale”. Sin da quando aveva messo piede in casa, Harry aveva avuto una misteriosa avversione nei suoi confronti, accentuatasi durante la cena, quando era stato trattato a mo’ di cameriere in quanto gli aveva puntualmente chiesto di versargli l’acqua nel bicchiere. Doveva fare qualcosa per impedire a Liz di farsi convincere a frequentarlo come più di un conoscente.
«Credo che dovrai abituarti, che tu lo voglia o meno, dato che dovrai passarci altre tre ore scarse. Oppure, non ti resta che chiamare l’autista; a te la scelta!» gli disse con impercettibile sarcasmo.
Dylan lo guardò smarrito; Elisabeth lo implorava con lo sguardo, di non appesantire la situazione. Intanto, la canzone era terminata e i due fratelli tornarono da loro, abbracciati per il fianco e sorridenti.
«Che sono quelle facce da funerale? Dai, siamo a un ballo, dobbiamo divertirci!» esordì Louis.
«Ben detto!» lo appoggiò ridendo Evanna, alzando il pugno con enfasi.
«Per esempio… Elisabeth, che ne dici di ballare?» chiese lui porgendole la mano.
«Io, ballare…? Non so se sia una buona idea…» disse agitata abbassando lo sguardo.
«Provare, non nuoce» sorrise incoraggiante.
Lo guardò piano, timida, con un leggero rossore sugli zigomi che andava accentuandosi. Poi sorrise e gli prese la mano con delicatezza. «Va bene» sussurrò alzandosi.
Harry sorrise, come Evanna, del resto. Molto probabilmente pensavano entrambi la stessa cosa: quei due avrebbero formato proprio una bella coppia. Dylan, invece, li guardava infastidito.
«Ragazzi, finalmente riesco a vedervi; vi ho cercati dappertutto!»
I componenti del gruppetto si voltarono in direzione della voce: aveva fatto la sua comparsa Zayn. Lo salutarono, tra diversi sentimenti.
«Ci cercavi?» domandò Louis tenendo la mano all’amica, incuriosito.
«Sì insomma… più che altro cercavo te»
«Me…?» domandò stranito «È successo qualcosa di cui hai bisogno di parlarmi?»
«È una cosa urgente…» ammise imbarazzato, accarezzandosi il collo come se fosse a disagio «Devo parlarti ora» aggiunse mettendogli una mano sul braccio.
Il bruno dagli occhi celesti guardò dispiaciuto i presenti, e indirizzandosi a Elisabeth, disse «Balleremo tra un po’, te lo prometto»
Poi, li videro disperdersi tra gli studenti. Harry guardò Liz, che si era seduta. Sembrava delusa, e non poteva biasimarla. Sicuramente gli avrebbe impedito di rincuorarla, davanti a tutta quella gente; si limitò a baciarle il capo, poi si diresse verso Evanna.
«Ti va di ballare?»
«Molto volentieri»
 
Zayn

Si addentrava con fatica nella folta schiera di invitati con al seguito Louis, voltandosi spesso per accertarsi che fosse ancora dietro di lui, tanto ce l’amico talvolta gli stringeva il braccio per rassicurarlo. Zayn sorrideva a ogni sua mossa.
Molti ignoravano il suo passaggio, alcuni si scostavano infastiditi, altri lo spintonavano. Non era una novità: era abituato alle occhiatacce maliziose e alle risate derisorie (che riceveva nel migliore dei casi), che in quegli istanti pregava fossero ridotte al minimo. Quasi riusciva a sentire spalmarsi addosso gli sguardi che aveva imparato a conoscere. Provava profonda umiliazione, non per i gesti in sé, ma per la presenza del suo amico. Cos’avrebbe pensato di lui?
«Hey, Malik! Sta’ attento a dove metti i piedi, potresti inciampare!» sentì dirsi da una voce fin troppo familiare seguita da singhiozzi sommessi, prima di ritrovarsi prono sul pavimento.
Louis lo aiutò a rialzarsi, accertandosi sulle sue condizioni. Poi rivolse uno sguardo indignato al ragazzo che li osservava strafottente. «E tu, chi saresti per avere il diritto di trattarlo in questo modo?»
«Niall James Horan. La domanda è: chi sei tu, per parlarmi così?»
«Sono Louis, e ti conviene lasciare stare il mio amico»
Zayn si sentì rincuorato. Già lo venerava di per sé, ma ciò che era appena successo gli fece rendere conto che Louis era uno dei pochi di cui poteva fidarsi davvero.
«Ah, si? Il tuo amico?» scoppiò in una risata fragorosa «Altrimenti che mi fai, moscerino?»
Louis stava per controbattere, quando Zayn prese la parola «Basta, andiamo: non perdiamo tempo con gente del genere» disse prendendolo per il braccio e portandolo con sé.
«Ci vediamo dopo, ranocchietta!» intimò ancora Niall.
Si voltò a guardarlo mentre camminava, e lo scorse mentre litigava animatamente con Phoebe; poi, finalmente aprì le porte d’emergenza e si ritrovarono nel corridoio deserto. Zayn si appoggiò alla parete, chiuse gli occhi e sospirò. Dio mio, che ho combinato, pensò, e si passò la mano tra i capelli. Sentiva che Louis lo stava osservando con sguardo apprensivo, ma l’unica cosa che gli riusciva in quel momento era rimanere immobile.
«Dunque è lui, quel Niall» osservò rompendo il silenzio, mettendosi accanto a lui.
«Già, l’energumeno che sta con mia sorella» confermò sospirando e decidendosi a guardare il suo profilo. Lo analizzò interamente, scandagliando ogni centimetro quadrato della sua pelle, e inspirando il suo profumo. Notò la curva delle ciglia, del naso, le labbra fini… Forse, non gli era mai stato così vicino in vita sua. quello era il suo momento.
Louis rise, mostrando la sua dentatura candida «”Energumeno” è dir poco»
Zayn sorrise, e lo guardò intensamente negli occhi. «Grazie, Lou» riuscì a dire, completamente paralizzato.
«Di niente, Zayn. So che tu avresti fatto lo stesso per me»
Darei la vita per te, disse tra sé e sé. Continuò a mantenere il contatto visivo e, prima che potesse rendersi conto delle sue azioni, si sorprese a premere le labbra contro le sue e accarezzargli il viso mentre approfondiva il contatto. Lentamente gli percorse la schiena sino ad attirarlo dal sedere. Si sentiva bene, vivo.
Louis lo respinse con forza, distaccandosi bruscamente da lui. Aveva il fiato corto e lo guardava con gli occhi sgranati. Zayn non sapeva cosa dire.
«Louis…» disse languidamente una voce proveniente dalle porte d’emergenza. Si voltarono verso di essa, constatando che molto probabilmente erano osservati da tempo attraverso la fessura. «Scusate, non avevo intenzione d’interrompervi»
«Elisabeth, aspetta» urlò l’interpellato vedendola dileguarsi tra la folla. Gli gettò uno sguardo incomprensibile, poi scattò a raggiungerla.



Buona domenica delle Palme a tutti! Spero stiate tutti bene.
Il balli di per sé mi danno troppo di America (?), ma questo era diverso in un certo senso. Spero che l'idea vi sia piaciuta.
Fatemi sapere un pò le vostre opinioni: una recensione, menzionando @shesfelix su twitter, facendomi una domanda a questo link (http://ask.fm/shesfelix) o boh non so. Per me è davvero tanto importante. Un bacio, dolcezze. Fel.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Phoebe

«Sì che la colpa è tua! Ti ho visto, sai? Non negare l’evidenza!» urlò affondandogli l’indice nel petto, incollerita.
Niall la sovrastava e osservava dalla sua altezza considerevole con quegli occhioni celesti. «Ma io non gli ho fatto nulla! È solo inciampato davanti ai miei occhi, Phe, e non sono riuscito a trattenermi da qualche risata, tutto qui. Poi quel… com’è che si chiama? Ah, Louis, ha attaccato briga. Secondo te, non avrei dovuto rispondere alla provocazione?»
«Fammi il favore di risparmiarmi le tue storie fantasiose, Niall, ti prego» rispose esasperata, gesticolando.
«Puoi anche chiedere in giro, potranno confermarti che è andata così»
« È meglio se vado a prendere un po’ d’aria» annunciò «Non provare a seguirmi»
«Lo so che tornerai da me, tanto»
Lei gli scoccò un’occhiataccia e si diresse verso l’uscita. Aveva bisogno di calmarsi e riflettere bene sulla questione, e per ora l’unica cosa che voleva era andare via di lì. Spinse con maleducazione chiunque non si spostasse al suo passaggio, imprecando. I suoi pensieri correvano veloci, più delle sue gambe.
Aveva da poco passato il tavolo delle bevande, quando… «Cenerentola, già scappi? Non è mezzanotte, da quel che mi è parso di capire»
Phoebe sgranò gli occhi e si bloccò di colpo. Liam. Il cuore cominciò a battere velocemente, mentre lo stomaco le si chiudeva. Era indecisa sul da farsi, poi si risolse a  voltarsi verso di lui. Rimase inchiodata al pavimento: la stava osservando cupamente con un sorrisetto che sapeva il fatto suo, con schiena e piede destro appoggiati al muro. Nella mano stringeva un bicchiere di plastica, che portava alla bocca di tanto in tanto. Poteva vedere, anche da quella distanza, il pomo d’Adamo spostarsi quando deglutiva. Si sentiva stranamente calma.
«Ciao, Payne…!» lo salutò imbarazzata quando gli fu vicina; parlare con qualcuno, anche solo per distrarsi, le avrebbe fatto bene.
«Dove credevi di andare, eh?» ammiccò sorseggiando la Coca-Cola.
«A fare una passeggiata» rispose poco convita.
«Non si direbbe, dalle fiamme nei tuoi occhi. Sembrerebbe proprio che hai litigato col biondino. Questa è una benedizione!»
«Non dire sciocchezze, non ne sai nulla»
«Vi ho visti, Malik, e tu sembravi anche abbastanza presa in causa» fece notare alzando il sopracciglio.
Phoebe non rispose, solo abbassò lo sguardo, dato che quello fisso con cui lui la osservava  l’aveva messa in soggezione. Si chiese come facesse a tenere gli occhi aperti per così tanto a lungo senza sbattere le palpebre.
«Ti va?» chiese, porgendole un bicchiere di Martini.
«Grazie» sussurrò prendendolo e bevendo.
«Che hai da sorridere?»
«Pensavo» disse lei lasciando che le bollicine le solleticassero il palato.
«A cosa?»
«Al fatto che bevi la Coca-Cola, quando in pratica tutto il resto della scuola è ubriaco fradico. Mi ricorda di quando eravamo piccoli» confessò, persa nei suoi pensieri.
«Già, bei tempi» ammise con una punta di nostalgia, riprendendosi subito «Io credo di avere un grosso punto a mio favore, rispetto a tutti questi alcolizzati» disse indicandole la calca col bicchiere.
«E quale sarebbe, Payne? Fammi sentire» domandò divertita.
«Primo: non puzzo come un animale morto; secondo: posso contare sull’aiuto di un amico molto “gasato”»
«Ma sta’ zitto!» scoppiò a ridere Phoebe, spingendogli leggermente il braccio.
Liam rise, strizzando gli occhi. Lei lo guardava incantata. Negli ultimi anni non lo aveva mai visto scherzare con qualcuno in quel modo.
«È la verità. Se vuoi, puoi provare tu stessa»
Lei scosse la testa sorridendo. «Non cambierai mai»
«Chi ti dice che tu mi conosca davvero?»
«Il mio buon senso» ribatté lei saccente incrociando le braccia al petto.
«E vediamo… Saresti sorpresa se ti invitassi a ballare?»
«Tu, ballare con me? No, è alquanto impossibile» rise nervosa  versandosi dell’altro Martini.
«Vieni» la incoraggiò prendendole la mano libera, e accennò col capo alla pista «Il biondino non ne saprà nulla, se hai paura di lui»
Il ricordo di Niall e della lite le guizzò nella mente come un lampo, azionando in lei una specie di desiderio di rivincita. In fondo, si stava solo prendendo una libertà di cui non sarebbe mai venuto a conoscenza, per di più con Liam, il quale intrecciava le sue dita in modo molto invitante. Si morse il labbro inferiore.
«Va bene» accettò.
Trangugiò d’un fiato l’alcolico, fino all’ultima goccia. Rise briosamente e gli strinse dolcemente la mano guardandolo nelle iridi tendenti al miele. Appena si furono spostati in un punto più appartato, Liam poggiò gli arti sui suoi fianchi, mentre Phoebe gli cingeva il collo con gli avambracci. Fortunatamente era di poco più alto di lei e non doveva fare grandi sforzi per tenere gli occhi inchiodati ai suoi, dondolando a ritmo di musica. Lei poggiò il capo sul suo petto, coperto da una camicia bianca leggermente sbottonata. Poteva sentire il battito del suo cuore; era tutto così irreale.
Liam cominciò a baciarle leggermente il collo e ad accarezzarle il fondoschiena, facendola rabbrividire. La testa prese a girarle.
«Malik… sii mia» le sussurrò all’orecchio, mordendole piano il lobo.
Phoebe gemette impercettibilmente, allungando il collo. Si strinse maggiormente a lui e gli lasciò languidi baci sulla pelle scoperte, riuscendo solo a dire che lo era già. «Andiamo…»
 
Rebecca

La palestra era piena di gente; era impossibile metterci un passo. Non aveva mai notato che ci fossero così tanti studenti in quella scuola. Diede un’occhiata panoramica alla stanza. Era soddisfatta di se stessa – aveva organizzato quella festa completamente da sola. Sembrava che tutti si stessero divertendo; tranne lei. A nessuno era passato nemmeno per l’anticamera del cervello il pensiero di invitarla. Aveva passato la serata registrando nomi, intrufolandosi di tanto in tanto nella camera per scroccare qualche bicchiere di Bacardi. Adesso non aveva più ragioni di trovarsi lì e si sentiva abbastanza a disagio. Decise che era meglio tornare a casa. Con Charlie e gli altri si sarebbe scusata l’indomani o al limite avrebbe mandato un messaggio più tardi.
Prese una bottiglia a caso dal tavolo lì vicino, infilò il copri-spalle e si diresse verso l’uscita, proprio quando avevano messo Iris dei Goo Goo Dolls. Avrebbe solo dovuto mandare un messaggio e sua madre e Mr. Bicipiti sarebbero andati a prenderla.
«And I’d give up forever to touch you, ‘cause I know that you feel me somehow…» canticchiava lei seguendo la musica, passeggiando per il corridoio deserto.
All’improvviso le venne da pensare a Zayn, magnifico com’era. Lo aveva incontrato all’entrata del ballo. Avevano scambiato qualche parola e lui le aveva sorriso, facendola dimenticare del mondo intero. Erano stati secondi preziosi, tra i più belli che avesse mai vissuto. Poi lui era entrato e Rebecca aveva compreso che già le mancava. Come poteva mancarle qualcosa che non era mai stata sua?
«And I don’t want the world to see me, ‘cause I don’t think that they’d understand…» fece eco al cantante un ragazzo che le era appena passato accanto, con passo poco più svelto del suo, che procedeva a capo chino con la giacca nera poggiata sulla spalla.
Rebecca si arrestò di colpo. «When everything’s made to be broken, I just want you to know who I am» continuò lei, sorridendo lievemente.
Vide il ragazzo fermarsi, come se stesse metabolizzando una notizia inaspettata. Lei restò immobile, soprattutto quando inchiodò gli occhi ai suoi.
«Rebecca…!» la salutò imbarazzato accarezzandosi il dorso del collo «Scusami, non ti avevo proprio vista»
«Ciao, Zayn…» sorrise, diventando lievemente rossa in viso. Fece qualche passo, raggiungendolo. Poi ripresero a camminare. «Non preoccuparti. Anche tu a gironzolare per i corridoi?»
«Tornavo a casa»
«Anch’io. Festa di cattivo gusto?» domandò osservando il suo profilo.
«No, anzi. Preferisco andare via, non mi sento a mio agio. Tu?»
«Stesso» rispose accigliata.
«E quella cos’è?» chiese divertito accennando alla bottiglia.
«Oh…» rise nervosa rigirandola tra le mani «Non so neanch’io perché l’ho presa» confessò.
Zayn sorrise. «È un peccato non consumarla»
«Concordo; ed è ancora presto per tornare a casa»
Nel frattempo, erano giunti davanti alla porta che dava sul campo da calcio. La guardarono entrambi.
«Potremmo fare un giro, se ti va» propose lui «Sempre meglio di pensare e auto-commiserarsi» aggiunse, rivolto più che altro a se stesso.
«Certo!» accettò Rebecca, elettrizzata, e si mostrarono al cospetto di una luna pallida.
Mentre camminavano piano a bordo campo, lei studiava il suo profilo, illuminato da una luce lattiginosa. Era sempre più bello; assomigliava a un angelo; no, lui era un angelo. Le iridi ramate si socchiusero e lui sollevò il mento ed espirò rumorosamente.
«A volte mi chiedo se a questo mondo valgo qualcosa» esordì Zayn  rompendo il silenzio.
Aggrottò la fronte. «Che intendi dire?»
«Ti sei mai sentita un “niente”? come se fossi invisibile?» cercò di spiegare, guardando un punto imprecisato davanti a sé.
Rebecca capì subito che quella volta avrebbe dovuto stare in silenzio e ascoltare: stava avendo fiducia in lei, si stava confidando con lei, non più di un’estranea. Non doveva lasciarsi sfuggire nessuna delle sue preziose parole.
«Sì,ti capisco benissimo» rispose. In effetti sì, poteva davvero.
Lui fece cenno col mento alle tribune. Lei comprese che la stava invitando a sedersi, così non sprecò tempo e salì tre gradini più in alto, facendogli posto.
«Tu non puoi capire» fece quasi con scherno.
«Perché non potrei?»
«Non immagini minimamente cosa sento, Rebecca; tutto ciò che corre incessantemente qui» indicò esasperato il capo con l’indice.
Le si strinse il cuore nell’accorgersi che gli si erano inumiditi gli occhi. Sotto la luce della luna le sembrava ancor più vulnerabile; più di quanto non lo fosse stato quando lo aveva soccorso in quel vicolo buio.
«Mi hai appena chiesto se mi fossi mai sentita invisibile… sì, mi succede; tutti i giorni»
«Scusa, non immaginavo…» abbassò il capo, visibilmente pentito.
«Lascia stare» sorrise lievemente e gli accarezzò la schiena in modo protettivo, sperando che continuasse.
«Penso di essere un errore. Insomma… nulla mi va mai bene; tutto ciò che faccio è sbagliato o ferisce gli altri»
«Non dovresti scusarti per chi sei» rispose accarezzandogli dolcemente i capelli. Era una sensazione incredibile, quei momenti le sembravano irreali. «Credo che tu sia speciale»
«Lo dici perché non mi conosci»
In effetti, non lo conosceva. Aveva sentito sul suo conto certe storie di pessimo gusto -della cui stragrande maggioranza erano leggende metropolitane- ma Rebecca non si lasciava persuadere dall’aura demoniaca di cui tutta la scuola gli aveva fatto carico. Rebecca osservava tutto ciò che gli succedeva, e ora poteva avvertire il suo dolore tanto che le veniva da piangere.
«Tu dici?»
Lo vide annuire. «Per esempio, se sapessi cos’ho fatto stasera…»
Capì che Zayn aveva un disperato bisogno di confidarsi. «Mi piacerebbe, saperlo» ribatté decisa guardandolo negli occhi, fremente per la confessione.
«Conosci Louis, il fratello di Evanna Tomlinson?»
«Sì, da poco. Sono simpatici» rispose mascherando l’inquietudine che cresceva.
«Ecco… Poco fa l’ho baciato»
Zayn le raccontò di ciò che provava per lui, di quanto non potesse più tenerglielo segreto, della reazione che aveva avuto e di Elisabeth. A ogni parola, Rebecca si sentiva schiacciare sempre più. Il cuore le si era frantumato in tanti piccoli pezzettini.
Nonostante non avesse nemmeno più la forza di respirare, lo abbracciò forte appoggiando il capo nell’incavo del suo collo e inspirandone il profumo delicato. Si sentì al sicuro, protetta come non mai; pensò che non le importava nient’altro che vederlo felice. La fragilità che le aveva mostrato, anche se inconsciamente, le aveva fatto rendere conto di aver bisogno di lui nonostante non potesse minimamente pensarlo, e che doveva prendersi cura di lui a ogni costo.
«Non sei solo» sussurrò sorridendogli, dopo che si furono sciolti dall’abbraccio.
Zayn le sorrise lievemente, riconoscente. «Ora tocca a te»
«Cosa?»
«Dire perché ti senti invisibile»
Rebecca esitò. «Al ragazzo che mi piace, piace qualcun altro; per lui più o meno non esisto»
«Benvenuta nel club, allora» e le strinse la mano energicamente, mostrandole una dentatura candida.
 
Charlie

Aveva fatto la strada con i Tomlinson, rifiutando il passaggio di Elisabeth ed Harry.
«Sicura che non vuoi che ti accompagniamo?» chiese Louis appoggiandosi allo stipite del portone.
Lei annuì. La salutarono, con un velo di preoccupazione negli occhi.
Charlie s’incamminò stringendosi nella giacca. Stava scendendo l’umidità e le strade erano deserte. La Londra notturna l’aveva affascinata e spaventata allo stesso tempo, sin da piccola. Ricordava che aspettava trepidante sotto le coperte che i suoi genitori uscissero dalla sua camera dopo averle augurato la buonanotte, per poi venire allo scoperto e rintanarsi nella finestra a diamante, a scrutare il viale tutt’altro che affollato; sino alla loro morte.
Era stato un trauma fortissimo per lei apprendere la straziante notizia. Aveva solo sette anni quando quella notte aveva visto le auto della polizia fermarsi sotto casa sua e, sentendo suonare il campanello, incuriosita era andata a origliare ciò che gli agenti stavano riferendo alla sua baby-sitter. Da allora aveva cercato di occupare la mente in continuazione, e lo studio era ciò che glielo permetteva al massimo. Non doveva soffermarsi a pensare, mai; se lo avesse fatto sarebbe arrivata la sua fine.
Louis ed Evanna le erano stati simpatici sin da subito; aveva visto nei loro occhi qualcosa in cui si riconosceva. Venire a conoscenza della loro storia le aveva fatto capire che quello era il suo stesso identico sguardo: lo sguardo di chi ne ha passate tante e soffre in sordina. Avevano parlato a lungo delle loro esperienze, davanti a una tazza di tè in libreria. Charlie per la prima volta si era sentita capita, e i tre ormai uniti da un legame particolare. Li ammirava: riuscivano a tenere sotto controllo il loro dolore. Lei invece no.
 
Niall

In palestra non era rimasto quasi più nessuno. Decise di salutare chi conosceva e si diresse verso Soho. Sospirò. Era stata una lunga e faticosa giornata: a scuola era stato convocato dal preside per un atto di vandalismo con cui non aveva a che fare, sua mamma aveva perso il lavoro, le tubature del bagno erano scoppiate e, dulcis in fundo, aveva litigato con Phoebe; per Zayn, per di più. Avrebbe dovuto stare attento, se voleva prendersi i suoi piccoli momenti di gloria. Tra lui e la sua ragazza non c’erano stati mai battibecchi; non poteva permettersi di perdere l’unica persona a cui stava a cuore, oltre sua madre. Aveva bisogno di lei; della sicurezza che gli faceva sentire.
«’Fanculo!» sussurrò calciando con forza una lattina di birra, bloccandosi subito per mettersi in ascolto.
«Aiuto…» piagnucolava una voce proveniente da una stradina buia «Ti prego, no…»
Niall si sentì a disagio, gli vennero i brividi: gli passarono per la testa diverse scene spiacevoli; alcune in cui era vittima, altre in cui era carnefice. La sua mente cominciò a pensare sul da farsi, mentre passava davanti alla scena. Notò due sagome nella penombra: una che schiacciava l’altra alla parete mentre quest’ultima piangeva e si dimenava – era sicuramente una ragazza. Aveva, a grandi linee, due alternative: far finta di nulla e lasciare che un delitto venisse consumato, oppure intervenire ed essere d’aiuto a qualcuno. Non voleva sentirsi codardo.
O la va, o la spacca, pensò avvertendo l’adrenalina scorrergli in tutto il corpo. Subito raggiunse i due e scaraventò al suolo quello che si rivelò un barbone.
«Che stavi tentando di fare, eh?» gli gridò avventandosi sull’uomo malandato e sferrandogli più pugni sul viso.
Si fermò solo quando vide fuoriuscire dalle narici del sangue. Si rialzò, prendendo fiato e guardandolo con disprezzo. Era evidente che fosse ubriaco, e a lui ricordava troppo suo padre. La violenza sulle donne era ciò che odiava di più al mondo: si era sempre ripromesso che non ne avrebbe mai toccato una senza il suo consenso. Non sarebbe diventato come il suo genitore. Ma Zayn, allora…?
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dai singhiozzi irrefrenabili della vittima, rannicchiata su se stessa come un gattino spaventato. Niall le si avvicinò cautamente. Vide che tremava e le avvolse le spalle con la sua giacca. Lei sussultò, stringendosi maggiormente a sé.
«Hey, è tutto finito… Non voglio farti del male» sussurrò accarezzandole i capelli ricci, sorprendendosi ad abbracciarla.
«G-grazie…» gemette flebilmente.
«Ti ha fatto qualcosa?»
«N-no, n-no…»
Niall ne fu di gran lunga sollevato. «È meglio andare via. Ti accompagno a casa, vieni» sussurrò dolcemente porgendole la mano.
La ragazza gliela prese tremante e si alzò barcollando, così che poterono guardarsi finalmente negli occhi. Lui rimase completamente pietrificato.
«Niall…»
«Atkinson» disse con una leggera asprezza nel tono «Cristo, che cazzo ci fai a Soho a quest’ora, sei impazzita? Hai visto che cazzo stava per succedere?» disse alzando la voce.
Era arrabbiato con lei, ma la verità era che si era preoccupato a morte. Si calmò quando vide che le lacrime avevano ripreso a solcarle gli zigomi e lei a tremare come una foglia.
«Niall, io…»
«Sta’ zitta, microbo» e l’abbracciò forte.




Ciao a tutti, sono tornata! Direi che questo capitolo è abbastanza più lunghetto dei precedenti, forse per farmi perdonare per la mia assenza. Io personalmente lo adoro, ma vorrei sapere dei vostri pareri, sinceramente. Mi farebbe davvero molto piacere! Grazie di leggere ciò che scrivo :) Fel.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Louis

«Lou, non credi che sia ora di scendere? Ci staranno aspettando!» esordì Evanna «E il ciuffo sta benissimo, smettila di guardarti allo specchio» aggiunse sorridendo e spingendogli lievemente il braccio.
La guardò smarrito. Erano su per giù dieci minuti che aveva parcheggiato la loro Mini blu notte sotto casa di Elisabeth e Harry, ma non si era ancora deciso a uscirne. Era nervoso: quella mattina Harry li aveva chiamati e invitati a passare del tempo insieme e Louis aveva colto la palla al balzo. Il giorno prima non era riuscito a parlare con Elisabeth, perciò aveva pensato che quella poteva essere l’occasione buona per chiarirle l’accaduto.
«C-cosa?»
Sua sorella gli ripeté ciò che aveva detto, scandendo le parole; poi sorrise e gli accarezzò una guancia. A Louis si scaldò il cuore. Era per lei se aveva tenuto duro e per cui avrebbe continuato a lottare.
Le sorrise. «Ti voglio bene» sussurrò, e le baciò piano la guancia.
«Anch’io» gli rispose intrecciandogli una mano «Andiamo?»
Annuì, e si diressero insieme verso la palazzina color del cielo quand’è sereno. L’ammirarono, poi citofonarono.
«C’incontriamo nuovamente, signori Tomlinson» annunciò Dylan solennemente apparendo sulla soglia del portone.
Louis restò incredulo. Ancora lui? Era una piaga vivente.
«Spero non ti rechi disturbo» sorride cortesemente Evanna.
«Ovvio che no» ribatté con un sorriso ipocrita.
«Ragazzi, finalmente!» Harry sbucò dietro di lui, seguito da Elisabeth. Li salutarono e li fecero entrare. «Dylan se ne sta andando e non avremo il piacere di averlo con noi quest’oggi. Non è vero, Dylan?» aggiunse quasi minaccioso.
«Proprio così. Oh, è arrivato il mio autista. A presto!» e si dileguò.
Harry chiuse il portone e vi appoggiò le spalle sospirando, sfinito. «Qualcuno mi dissuada dal commettere un omicidio!»
«Non essere così severo…»
«Liz, tu sei troppo buona»
Louis non riusciva a staccarle gli occhi di dosso mentre li conducevano in salotto. Seguiva ogni sua mossa. Gli sembrava una bellissima e aggraziata dea dalle movenze leggiadre, e la sua vista continuava a togliergli il fiato com’era successo la prima volta.
«Avete davvero una bella casa, complimenti!»
«Ti ringrazio, Evanna» rispose Elisabeth raggiante.
In effetti, Louis dovette ammettere che alla famiglia Windsor il buon gusto non mancava di certo. Si sentiva a suo agio tra mobili antichi, vasi e tappeti pregiati e bei quadri.
«Già, proprio una bella casa»
«E non hai visto la libreria! Liz, che ne dici di accompagnarci Louis? Sarà sicuramente interessato a visitarla» propose Harry speranzoso.
«Se può fargli piacere, perché no» rispose balbettando e arrossendo.
«Sì, sarebbe bello» ammise Louis sorridendole rassicurante avvicinandosi a lei.
Gli sorrise timidamente. «Vieni»
Sentì un sommesso battere di mani dietro di lui, mentre le camminava accanto. Il suo nervosismo era aumentato a dismisura e lui non faceva altro che guardarsi attorno cercando di dire qualcosa d’intelligente, dal momento che nessuno dei due proferiva parola. Infine si fermarono davanti a una porta, che Elisabeth aprì.
«Prego» sussurrò con sguardo basso.
Entrarono e Louis si ritrovò davanti uno spettacolo unico: scaffali pieni di libri e alti sino al soffitto (scolpito con motivi floreali) che seguivano il perimetro della stanza esagonale, poltrone, tavolini, moquette soffice e un pianoforte color mogano con un candeliere come soprammobile.
«Dio mio, ma è bellissima» riuscì a sussurrare, avvicinandosi agli scaffali per esaminarne il contenuto e annusarne l’odore.
«Grazie. È uno dei posti che preferisco» confessò la ragazza.
Louis prese a costeggiare gli scaffali sino al pianoforte, sotto il suo sguardo attento. Senza rendersene conto sollevò la copertura, si sedette e cominciò a suonare. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica: quanto gli era mancato quel suono, era da tanto che non toccava un pianoforte. Smise solo quando sentì poggiarsi con dolcezza una mano sulla sua spalla. Si voltò e sorrise arrossendo.
«Scusami, avrei dovuto chied…»
«Per Elisa» sussurrò sedendosi accanto a lui «Adoro questo brano. Suona ancora, per favore» richiese sorridendo timidamente.
Louis riprese e la melodia riempì nuovamente l’ambiente, risuonando all’unisono con i battiti del suo cuore.
«Elisabeth…» cominciò sospirando poco dopo aver terminato il pezzo.
«Sì…?»
«È da ieri che questo pensiero mi tormenta. Devi scusarmi»
«Per cosa?»
«Per l’episodio di Zayn»
«Oh, Zayn» sussurrò rassegnata «Louis credimi, non dirò a nessuno ciò che è successo, se è questo a preoccuparti. Sono che riguardano voi e suppongo che non vogliate che si sappia in giro, per adesso, quindi… puoi stare tranquillo»
«Elisabeth, no… A me non è mai interessato Zayn; né un ragazzo in generale» disse speranzoso che capisse.
«Allora non comprendo perché ti preme così tanto che io…»
La sua voce si affievoliva man mano che Louis avvicinava il viso al suo. L’attenzione del giovane era catturata interamente dalle sue fini, rosee e invitanti labbra, su cui premette le proprie. Quel contatto gli parve ciò che al mondo si potesse provare di più bello. Chiuse gli occhi e prese con cautela il suo viso infiammato dall’imbarazzo tra le mani come se avesse paura che potesse scomparire, o potesse farle del male; poi schiuse leggermente le labbra, accogliendo infine le sue tra le proprie e rendendo quel bacio più lungo e caldo. Louis non riusciva a sentire che il tepore e la morbidezza della sua pelle, il respiro affannato di lei che gli solleticava l’epidermide e il battito del suo cuore. Piano Elisabeth si fece coraggio e intrecciò le dita tra i suoi capelli. Quando quell’intenso momento terminò lei teneva lo sguardo basso, col viso avvampato e i boccoli che glielo incorniciavano, tutta tremante. Louis le prese una mano e le baciò dolcemente il dorso, poi la costrinse a guardarlo negli occhi. Fu come un colpo al cuore per lui incrociarli, ma tentò di conservare la calma.
«Ecco, perché m’importa»
 
Harry

«Oh, Louis…» sospirò Evanna.
L’ultima nota della melodia risuonò per tutta la casa e la vide riaprire gli occhi, abbozzando un sorriso. Harry non aveva fatto altro che osservarla incantato per tutto il tempo e aveva constatato con preoccupazione che ora le sue iridi brillavano lucide. La guardò interdetto.
«Credo sia stato lui a suonare»
«Davvero? Cosa te lo fa pensare?» domandò incuriosendosi.
«Beh: ai pianoforti non resiste, e poi questo era il brano preferito di mia madre, quindi potrebbe essere…»
«Mi dispiace, non avevo idea che…»
Evanna fece una smorfia per fargli capire che andava tutto bene ma Harry non si sentì affatto sollevato. Si diede per l’ennesima volta dello “stupido”.
«Ecco qui, ragazzi!» Anne fece la sua comparsa in salotto con un vassoio colmo di dolci che posizionò sul tavolino al centro della cerchia di divani e poltrone dov’erano seduti. «Fammi indovinare: tu devi essere Evanna! Harry mi ha parlato molto di te e devo dire che la sua descrizione non ti rende minimamente giustizia» disse alla bionda facendole l’occhiolino.
La ragazza sorride amabilmente, leggermente rossa sugli zigomi. «Molto piacere»
«Tolgo il disturbo. Fa’ il bravo, Harry» raccomandò scompigliandogli i ricci ribelli.
«Come avrai capito, lei è mia madre» precisò imbarazzato «Devi scusarla, le piace mettermi in ridicolo»
«Vi assomigliate molto. Ha il tuo stesso sorriso» osservò Evanna addentando un muffin al cioccolato.
Intuì che molto probabilmente era un complimento quindi si sentì lusingato e le sorrise.
«Come mai Dylan era qui?»
Rifletté se fosse una buona idea parlargliene così prematuramente. Il signor Windsor aveva espressamente vietato a sua figlia di spifferarlo in giro ed era già tanto se si era confidata con Harry. Conosceva da poco Evanna, ma gli ispirava fiducia; e comunque se il progetto fosse andato in porto tutti lo avrebbero saputo.
«Vogliono costringere Liz a fidanzarsi con lui -sai, “roba da nobili”- e Dylan era qui per “corteggiarla”. Per adesso, lei resiste» le disse a voce bassa, con una punta di rassegnazione. Chissà per quanto.
 
Liam

Quella notte era stata una delle più soddisfacenti della sua vita. Liam si era ben impresso in mente i sospiri di Phoebe, le sue mani sul proprio corpo, l’espressione di piacere e brama con cui l’osservava, le iridi marron-verdi inchiodate alle sue color miele, per non parlare dei graffi che gli aveva inciso nella pelle, che gli bruciavano ancora. Nonostante la doccia il suo profumo non era andato via.
Ogni volta che passava era più coinvolto, più attratto da lei, dal suo modo di fare. Quando si trovavano così (petto contro petto, fronte contro fronte, vulnerabili, senza né controllo né pudore) lei si presentava diversa ai suoi occhi: sembrava che si desse a lui completamente, anima e corpo; che con lui facesse sul serio; che facessero l’amore, insomma.
Liam affondò il capo nel poggiatesta della sua auto, sospirando aveva sentito il bisogno di tornare in garage e risiedersi sul sedile del guidatore, quella mattina. Il loro odore, il loro sudore, il loro sapore, erano tutti lì dentro, come imprigionati. E quei momenti e quei ricordi erano tutti suoi.
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dalla suoneria del cellulare. Guardò lo schermo e sgranò gli occhi: un messaggio da parte di Phoebe. I battiti del cuore cominciarono ad accavallarsi all’interno della cassa toracica. Col fiato corto lo aprì e lesse:
Io e Niall abbiamo fatto pace. Dimentica stanotte e non cercarmi.”
A Liam ci volle del tempo prima che potesse realizzarne il significato. Avevano fatto pace, giusto? Per lei ciò che era successo tra di loro era stato solo un errore, solo sesso? Avrebbe dovuto immaginarlo. In fondo, sapeva che Phoebe teneva fin troppo a Niall; sapeva che non lo avrebbe mai lasciato, ma soprattutto che non si sarebbe mai innamorata di lui.
«Sai cosa, Phoebe Malik? Fottiti» sibilò con rabbia scagliando il cellulare sul sedile accanto.
Uscì dall’auto e si passò una mano tra i capelli per poi dare un calcio alla cassettina degli attrezzi.
«Hey, Payne!»
Liam si voltò in direzione della voce smielata, preso alla sprovvista.
«Eleanor, ma Cristo avvisare non si usa più? Un messaggio, una chiamata, dei segnali di fumo… no…?»
La ragazza squittì una risata mentre scendeva la scalinata e si levava il cappotto. «Non dirmi che ti ho spaventato»
«No, non mi hai spaventato» cantilenò lui di rimando «Come hai fatto a trovarmi?»
«Mi ha fatto entrare la tua governante» spiegò fiera per chissà quale oscuro motivo , studiando le proprie unghie. Poi lo guardò negli occhi. «Che succede? Ti vedo… triste»
«No, non sono triste. Perché sei venuta?»
«Sai, Payne…» sussurrò guardandolo innocentemente e mordendosi il labbro inferiore, mentre gli accarezzava il collo con un’unghia «Non me lo ricordo. A volte, si fanno delle cose senza motivo o solo perché se ne ha voglia» continuò, portandogli una mano sul senso e abbassandosi la cerniera laterale del corto vestito.
Liam cominciò ad andare in tilt, osservando il tubino che scendeva aderendo alle sue forme e notando che era completamente nuda. «E tu di cos’hai voglia, Eleanor?» sussurrò serio stringendo ancora di più la protuberanza.
Lei schiuse leggermente le labbra e un lampo d’insicurezza le guizzò nelle iridi, così lui ne approfittò per prenderla in braccio e lasciarla attorcigliare le gambe attorno ai suoi fianchi, per poi comprimerla allo sportello dell’auto.




Eccomi con un capitolo fresco fresco di giornata, dal momento che l'ho terminato proprio poco fa! Allora, raccontatemi, che ne pensate in generale e degli intrecci che si stanno creando? Qual è la vostra coppia preferita sino ad adesso?
Prima dei saluti, volevo dire che LA SCUOLA E' FINITA E COMINCIANO LE VACANZE. Passate una bella e rilassante estate!
Fel.

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