Hermione non crede più alle fiabe

di Chiara_93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I – Non c'è nessun lieto fine ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Il punto di non ritorno ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Il primo sangue ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - L'oscurità dentro ***



Capitolo 1
*** Capitolo I – Non c'è nessun lieto fine ***


Capitolo I – Non c'è nessun lieto fine

 

Mentre Madama Chips sollevava delicatamente il lenzuolo dal viso marmoreo e immobile di Ron, Hermione pensava a Biancaneve. È strano come funzioni il cervello, come ci protegga da ciò che può distruggerci. Era di fronte al cadavere del ragazzo che aveva amato, morto avvelenato per nessuna ragione, e tutto ciò che riusciva a fare era maledire quella fiaba stupida, falsa e ingannevole.

Il bacio del principe azzurro non ha mai risvegliato nessuna principessa, rifletteva Hermione, stringendo fra le sottili dita la manona rigida e gelida di Ronald Weasley. Nessuno che sia stato ibernato per cent'anni si risveglierà mai con un bacio. L'amore non può riportare indietro i morti.

 

Ron era sereno, anche se non sembrava affatto che dormisse. Sembrava morto, tutto qui.

Parole senza senso e senza suono uscivano dalle bocche corrugate di Madama Chips e della professoressa McGranitt, che l'aveva svegliata con parole gravi nel cuore della notte e accompagnata su in infermeria. Volevano confortarla, rincuorarla. Le assicurarono che Ron aveva lottato fino all'ultimo, che il veleno era raro, potente e senza antidoto e che lui aveva resistito come un leone prima di soccombere.

Ma tutto ciò non significava nulla per Hermione Granger, in quella tetra notte di marzo. Era come se avesse il cranio sepolto nell'ovatta, estraniato dalla realtà. Tutto ciò che riusciva a fare era guardare distrattamente un cadavere, e pensare alle fiabe della sua infanzia. Sentiva una vaga angoscia, ma niente di drammatico.

 

Accarezzava meccanicamente il dorso della mano di Ron, facendo passare le dita fra i peli, ma era altrove con la mente. L'amore non risveglia i morti: nella fiaba originale, al principe scivola la bara e l'urto fa sputare a Biancaneve il pezzo di mela avvelenata che aveva in gola. Se lo ricordava benissimo: aveva letto, da bambina, il libro dei fratelli Grimm.

Una punta di divertimento spezzò la trance del suo cervello: Ron l'avrebbe sicuramente presa in giro per questo, l'avrebbe chiamata secchiona... ma non finì mai il pensiero: fu allora, letale e doloroso come un pugnale di ghiaccio nella fronte, che Hermione si rese conto che Ron era morto, morto! Morto, e non le avrebbe mai più detto niente. Morto!

Ron è morto, le sussurrò una vocina nel cervello. Tutti gli anni che le rimanevano da vivere, Ron sarebbe rimasto morto. Morto! È morto, morto!

 

Vacillò, e finalmente ebbe coscienza dell'enormità della situazione. Non era un brutto sogno, non era un'allucinazione, non c'entravano niente le fiabe. Era nell'infermeria del castello, assieme al cadavere del ragazzo con cui aveva intensamente condiviso gli ultimi sei anni di vita. Ed era morto! Morto!

Morto, morto!, cantilenò la vocina, è morto! Ad Hermione tremavano le mani, ma era lucidissima. Il suo pensiero continuava a volare alto, lontano dal freddo dell'infermeria.

 

Idee strane. Riflessioni assurde.

Pensò che, a volte, nella vita, hai la fortuna di sapere che tutto sta per cambiare, che nulla sarà più come prima. Ti rendi conto che attorno a te si apre una voragine, tutte le strade che avevi pensato di poter percorrere svaniscono, e hai di fronte una scelta. Puoi gettarti nel buio, rifugiarti nella legittima disperazione, piangere, urlare, dare pugni al muro, e chi ti biasimerà? Oppure puoi reagire e incamminarti sull'unica, stretta, tortuosa via fuori dal baratro e chi sa come andrà. Morto!

Madama Chips le posò una mano sulla spalla, cautamente, e chiese se avesse bisogno di qualcosa. Vuoi restare in infermeria? Vuoi una pozione calmante? Qualunque cosa, cara, qualunque cosa.

 

Hermione non aveva bisogno di nulla. Harry era chiuso da ore e ore nello studio di Silente. Mamma Weasley non aveva retto alla notizia ed era sotto shock al San Mungo. Ginny aveva preso un sedativo ed era immersa in un sonno artificiale, in una cameretta separata dell'infermeria. Lavanda Brown, quella faccia fetida, aveva avuto una crisi di convulsioni ed era stata portata a casa dai genitori. Si erano tutti chiusi nel buio.

Hermione, Hermione decise di no. Lo decise lì, in quell'istante, e si rese pienamente conto di trovarsi nella frazione di secondo più cruciale della sua vita. Qualcosa scattò nella sua testa, come un meccanismo che improvvisamente si sblocchi.

E si chinò su Ron, lo abbracciò e posò le labbra sulla bocca immobile, per un ultimo, lunghissimo, infinito bacio.

 

L'amore non risveglia i morti. Baciando Biancaneve, il principe azzurro non l'ha salvata.

È stato lui ad essere salvato da quel bacio. Quel bacio che l'ha salvato da una vita di bugie, menzogne e illusioni. Dopo essersi sollevato, il principe azzurro non ha più creduto alle fiabe, non ha più creduto ai baci miracolosi. È andato avanti, forte di se stesso.

 

Ron non era stato salvato dal bezoar di Harry, dalle frenetiche cure di Lumacorno, Piton, Silente e Madama Chips. E non lo salvò, ovviamente, neanche il bacio della ragazza che segretamente aveva sempre amato. Rimase morto. Morto!

Hermione si rialzò. Qualcosa era morto per sempre dentro di lei, qualcos'altro era tornato alla vita. «Andiamo, ho finito. Voglio tornare in dormitorio» mormorò. La vocina nel suo cervello si faceva sempre più insistente: è morto, morto, morto, morto, morto! Non sapeva quanto avrebbe retto ancora. Il cuore batteva come un tamburo.

«Cara, forse è meglio...» tentò Madama Chips.

«No!» gridò quasi la ragazza, per soverchiare le urla nella sua testa: morto, morto, morto!

«Va bene» concesse la professoressa McGranitt, «seguimi».

 

La guidò, senza fiatare, nei corridoi gelidi di Hogwarts. Ogni passo, per Hermione, era più difficile di quello prima. Qualcosa le impediva di deglutire, e la sua testa letteralmente esplodeva di urla: morto, morto, morto! Si costrinse a zittirla, si fece violenza, si conficcò le unghie nel palmo, si morse la lingua e deglutì il sangue.

Dopo quelli che parvero secoli, giunsero alla torre dei Grifondoro. Hermione stava per cedere, ma trovò la forza di rimanere impassibile e guardare negli occhi Minerva McGranitt. Un dolore inesprimibile era inciso nelle rughe dell'anziana insegnante. Sospirò, mormorando la parola d'ordine al ritratto della Signora Grassa, e sussurrò con compassione: «Deve farti malissimo».

Hermione annuì: «Più di quanto immagina». Poi, contrasse le labbra e disse duramente: «Ma ce la farò; vivrò». È morto, è morto, è morto, è morto!

«Sii forte» disse la professoressa, con una tenerezza aliena, e la lasciò dopo le ultime offerte di rito di qualsiasi cosa la potesse aiutare. Hermione la guardò allontanarsi, poi si richiuse il ritratto alle spalle, sfrecciò in bagno, chiuse la porta a chiave e lanciò un incanto del silenzio per non disturbare nessuno. È morto, è morto, è morto, è morto, e finalmente scoppiò a piangere, a quattro zampe sulle lustre piastrelle del bagno delle ragazze.

 

Si era molto sopravvalutata, prima. Pianse, gridò, imprecò, diede calci al muro, rise follemente, vomitò un grumo acido e verdastro nel cesso, sfogò tutta la sua rabbia e il suo dolore, si svuotò completamente finché la voce malefica nel suo cervello tacque. Ma quando finì, e si rialzò stravolta, gli occhi affossati e i capelli sconvolti, la sua determinazione non era calata di un atomo.

Nessuno l'avrebbe potuta fermare.

--Spazio Autore
Ditemi cosa ne pensate, se l'idea è buona e se vi sembra che la storia possa avere sviluppi interessanti. L'idea mi è venuta dal niente, spero vi piaccia. Ciao e buona domenica.

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Il punto di non ritorno ***


 

Capitolo II – Il punto di non ritorno

 

Il mattino dopo, a colazione, l'atmosfera era tranquilla. Un cielo grigio e opprimente premeva sul soffitto incantato mentre i primi studenti prendevano posto attorno ai quattro lunghi tavoli. Un osservatore attento avrebbe intuito che c'era qualcosa che non andava: non c'erano professori, tranne un impietrito Vitious che fissava vacuamente la Sala Grande, dimentico del piatto di uova e pancetta davanti a sé.

Ma non c'erano osservatori attenti, quella mattina, e nessuno sospettò la tragedia che incombeva su Hogwarts.

 

Al tavolo dei Grifondoro, Hermione sedeva da sola, mangiando di gusto. Né Ginny né Harry erano presenti, ancora sopraffatti dalla disgrazia. Salutò cordialmente Calì Patil, e quando questa le chiese dove fosse Lavanda, si strinse nelle spalle e disse di non saperlo – la ragazza era stata informata privatamente, il giorno prima, della morte di Ron e la crisi di panico l'aveva colta sul pavimento dell'ufficio della McGranitt, mentre tutti gli altri erano a lezione.

Hermione stava finendo di bere l'ultima tazza di caffellatte, quando improvvisamente, come se fossero spuntati dal pavimento, gli insegnanti vestiti a lutto e il professor Silente presero posto al loro tavolo, rimanendo in piedi e con un'espressione contrita. Hermione pensò: ci siamo, e il suo cuore accelerò i battiti. Cominciò a scrutare la Sala, e il tavolo dei Serpeverde con più attenzione, in attesa di trovare conferma dei suoi sospetti, anzi delle sue certezze.

Il Preside ottenne il silenzio (ma sarebbe bastata la sua espressione solenne a zittire tutti) e fece un breve annuncio con voce convenientemente tragica. Spiegò come uno dei ragazzi più brillanti, generosi e allegri del Grifondoro fosse rimasto vittima di un «barbaro avvelenamento» e scese nei dettagli. Narrò lentamente della pozione d'amore (Romilda Vane sbiancò e affondò la testa fra le braccia) e di come una bottiglia di idromele barricato destinata a lui, ad Albus Silente, fosse stata sabotata con un potentissimo veleno e che «nonostante i tempestivi soccorsi, Ronald Weasley non è più tra noi». Un mormorio costernato serpeggiò nella sala. Silente chiese un minuto di silenzio, che fu doverosamente rispettato, e poi chiese «rispetto e comprensione per chi era vicino a Ron».

Infine fece un breve accenno alla necessità di combattere il male universale e di non cedere all'odio, promettendo «che sarà fatta la più assoluta chiarezza».

 

Tutto questo, ad Hermione, interessava solo relativamente. Molti la guardavano incuriositi, ma lei aveva occhi solo per il tavolo dei Serpeverde. Banale, scontato, evidente chi fosse il colpevole materiale della morte di Ron. Hermione lo sapeva già da prima di vederlo diventare verdognolo e agitato, prima che i suoi occhi sprofondassero nel terrore, prima che si mettesse le mani nei corti capelli biondi. Harry aveva avuto ragione fin dall'inizio. Silente concludeva il suo discorso con un profondo: «A Ronald Weasley!», ed Hermione fu assolutamente, indiscutibilmente certa che Draco Malfoy dovesse morire e lei doveva ucciderlo. Sentì un odio misurato, ragionato, civilizzato infiammarle il petto e il suo cervello schizzò a mille, escogitando un piano perfetto, furbo e a prova d'errore.

Era intelligente, diavolo se lo era.

 

Inghiottì l'ultimo sorso di caffellatte, si alzò ed uscì dalla Sala, consapevole di essere sotto gli occhi di tutta la scolaresca rimasta seduta, e per tutto quel giorno Hermione Granger risultò irrintracciabile. Nessuno, d'altronde, la cercò. Cosa fece in quelle ore di buco, lo si capì solo giorni dopo. Derubò l'armadio proibito del sotterraneo di Piton, quello segnalato con “pericolo!”. Svuotò il suo baule di tutto ciò che avesse valore e lo infilò in uno zainetto.

Entrò nel settore vietato della biblioteca e sottrasse furtivamente Degli incanti senza perdono, un logoro tomo di magia nera. Si chiuse nel bagno di Mirtilla Malcontenta a preparare una sfrigolante pozione rosso mattone che verso con la massima attenzione in boccette avvolte da una calotta anti-urto. Nascose, con metodica freddezza, una boccetta nella torre dei Grifondoro, una all'entrata dello studio di Silente, una sotto il tavolo di Tassorosso in Sala Grande, una nella guferia e infine ne accatastò otto in un angolo riparato dei sotterranei.

E mentre preparava l'attentato, non un dubbio sfiorò Hermione Granger. Non un'esitazione scalfì la sua risolutezza a fare ciò che doveva. Terminò alle sei di pomeriggio, quando ormai il cielo era quasi completamente buio. Aveva programmato tutto alla perfezione, i tempi collimavano. Ora rimaneva l'ultimo, cruciale passaggio.

 

Hermione trovò il signor Gazza che trascinava le ginocchia artritiche per il castello, lo seguì fino ad un'area deserta, gli puntò la bacchetta alle spalle e mormorò: «Imperio!». Gazza s'arrestò, si voltò e trottò verso di lei, il volto serafico e impassibile. Gli diede poche istruzioni: trovare Gregory Goyle, portarlo da lei con una scusa. Il custode obbedì, e dopo poco tornò con il nervoso, spaventato guardaspalle di Malfoy. Allora Hermione impose la maledizione Imperius anche su di lui, ordinò a Gazza di sparire e si concentrò sul tarchiato, brutto e stupido Serpeverde. Gli cacciò in quella zucca marcia ciò che doveva fare, e lo rimandò in aula, ciondolante come uno zombie (ma in fin dei conti era così anche al naturale). Corse di nuovo nel dormitorio femminile, indossò il mantello, si mise lo zainetto a tracolla, mise un paio di scarpe solide, sfrecciò giù tenendo d'occhio l'orologio e finalmente, dopo la più breve giornata della sua vita, si appostò dietro la scalinata della Sala d'Ingresso. Si sedette a terra, e aspettò che il suo piano meraviglioso si dipanasse ordinatamente. Mancavano ancora dieci minuti alle sei e mezza, l'ora in cui le pozioni Deflagranti si sarebbero attivate.

 

Per dieci minuti, non aveva nulla da fare, se non riflettere. E di nuovo la sua testa volò lontano, e pensò che era ancora in tempo. Una corsa a perdifiato per il castello, poteva annullare le pozioni. Avrebbe cancellato la memoria a Gazza e Goyle. Tutto sarebbe tornato come prima, e lei avrebbe potuto riprendere i panni della ragazza annientata dalla vita. Sì, fu tentata, Hermione Granger fu tentata di tornare indietro. Intuì i pericoli del percorso su cui, fra otto minuti, si sarebbe avviata. Intuì che non sarebbe mai più tornata ad Hogwarts da studentessa. Intuì che la sua vita come la conosceva era finita.

Ma non fece nulla. Aspettò pazientemente, covando l'odio e la rabbia fino alle sei e ventinove. Tic-tac, tic-tac, fece l'orologio, quando la lancetta dei secondi toccò lo zero.

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Il primo sangue ***


Capitolo III – Il primo sangue

 

In quell'istante, un boato scosse il castello fino alle fondamenta. La torre di Grifondoro era saltata in aria, non crollando per puro miracolo. Ancora tutto tremava, quando la seconda pozione esplose, e la scala dello studio di Silente crollò. La terza esplosione dilaniò, dopo qualche secondo, la guferia, uccidendo quasi tutti gli uccelli. Hermione si strinse la testa fra le ginocchia, preparandosi all'esplosione più vicina. E venne: il tavolo dei Tassorosso fu scagliato in aria, le grandi finestre s'infransero in una pioggia di schegge, ferendo alcuni elfi che stavano pulendo la Sala. Lei si tappò le orecchie, tutto le ballava davanti, ma il peggio doveva venire. Dieci secondi, e le otto boccette nel seminterrato detonarono, e fu come se un immane terremoto scuotesse Hogwarts, facendo crollare pietre dal soffitto e sprofondando i sotterranei di Piton nelle fognature.

Era fatta; non si tornava più indietro.

«Tutti gli studenti lascino subito l'edificio! Tutti gli studenti lascino ordinatamente l'edificio e si rechino al campo di Quidditch, è un'emergenza!» annunciò in tutta la scuola la voce ansiosa della McGranitt, magicamente amplificata. Un pigia pigia generale scaturì, ed Hermione rimase ferma ad osservare il fiume di studenti che scappava confusamente, chi urlando e chi piangendo. Vide Calì Patil, vide Luna Lovegood, vide la professoressa Sprite, in un caotico mucchio di corpi, vestiti che si strappavano, cartelle che si rompevano e libri, quaderni e inchiostro che si sparpagliavano a terra.

 

Il suo piano funzionò alla perfezione. Goyle aveva ritrovato Draco e il suo compare Tiger, e al momento dell'esplosione, gli aveva impedito di scappare con gli altri.

«Ti vuole Piton» aveva farfugliato. Draco, che aveva passato una giornata d'inferno, tormentato da rimorsi indicibili, annuì stancamente, indifferente agli scoppi. Pensò che una punizione lo attendeva per il madornale errore. Non la morte, quello no, c'era il Giuramento fatto a sua madre... forse la maledizione Cruciatus... oppure Piton voleva farlo fuggire, aveva architettato quell'attentato per dargli un diversivo... magari gli erano addosso... si guardò attorno, alla ricerca degli sgherri di Silente.

Seguì Goyle, con Tiger che scalpicciava dietro. Il suo fido scimmione lo portò nella Sala d'Ingresso, che sembrava la scena di una battaglia. Fecero per scendere le scale. Fogli strappati e lembi di mantelli, statue rovesciate, calcinacci caduti, un lago d'inchiostro al centro, una scarpa abbandonata.

«Be'?» fece, nervosamente.

«Malfoy!» esclamò una voce femminile. Si voltarono tutti e tre, e videro Hermione Granger, avvolta nel mantello nero, il cappuccio in testa, che scendeva velocemente le scale, la bacchetta puntata verso di loro. Allora Draco capì tutto, ed ebbe una paura indescrivibile.

 

«Schifosa Mezzosangue!» urlò Tiger, facendo le mosse di estrarre la sua bacchetta.

Hermione lo anticipò e urlò senza pensare: «Avada Kedavra!». Un lampo di crudele luce verde, e Vincent Tiger rotolò disordinatamente giù per gli scalini.

Goyle, imbambolato, non fece nulla.

«Malfoy» sibilò Hermione, a pochi metri dal biondino: «sei stato tu, vero?».

Draco sentì l'intestino che gli cedeva, e non rispose.

«Crucio». Tutto l'odio, tutta la rabbia, tutto il rimpianto e la paura, tutti i sogni infranti e gli incubi realizzatisi, Hermione concentrò tutto in quella parola. Draco fu sollevato in aria, strillando, e si schiantò sul corrimano di marmo, contorcendosi come si era contorto Ron.

Sangue sprizzò dal naso fratturato del Serpeverde.

«Sei stato tu, vero, sporco idiota?» ululò Hermione. Lo scaraventò sull'altro corrimano, frantumandogli qualche ossa, poi evocò un incantesimo di levitazione e lo sollevò a mezz'aria, contuso, sanguinante e assolutamente fuori di sé.

«Aiuto, aiuto, aiuto!» strepitò Draco, il volto contratto.

«Sei stato tu? Ammettilo!»

«Sì, sì, sì, mi dispiace» gridò il biondino. Hermione fendé l'aria con la bacchetta, e lo lanciò giù dalle scale, giù nella polvere, e sentì lo schiocco del bacino che si fratturava.

 

Goyle rimase impassibile, solo vagamente incuriosito dalle urla animalesche del suo padrone. A terra, torturato dal dolore più atroce dell'universo, Draco Malfoy vedeva di sbieco la figura ammantata di nero di Hermione che scendeva lentamente le scale, come se avesse tutto il tempo del mondo. Fa' che venga Silente, fa' che venga Piton, fa' che mi salvino, pregò il Serpeverde.

Dal basso, vide il volto marmoreo e impassibile della ragazza. Un sinistro bagliore rossastro le illuminava gli occhi nella penombra del cappuccio, le mani candide stringevano la bacchetta. La puntò verso di lui.

«No, no! Per favore! Non volevo!» supplicò Draco.

«È troppo tardi» rispose Hermione, con un risolino spaventoso, «è troppo tardi per te... e per me. Devo andare fino in fondo».

«No, è stato un errore, no!». Hermione lo guardò con odio puro, lo rivoltò con un tocco della bacchetta, in modo da guardarlo bene in faccia.

 

Mentre le labbra di Hermione Granger si curvavano nell'ultimo Anatema che Uccide, le preghiere di Draco furono esaudite.

«Signorina Granger!» esclamò una voce sepolcrale.

Albus Silente, Severus Piton ed Harry Potter erano in piedi, in cima alla scalinata, uno più trasecolato e incredulo dell'altro. La Sala d'Ingresso devastata, il corpo di Tiger bocconi sul pavimento, Goyle imbambolato, Draco in agonia, Hermione intenta a finirlo.

Fu allora che Hermione si rese nuovamente conto di essere in un istante cruciale. Silente affondò una mano nella lunga veste verde smeraldo, ma ai suoi occhi la scena sembrò al rallentatore. Poteva scegliere. Scegliere se finire Draco, ed essere catturata, forse uccisa, processata, svergognata, internata ad Azkaban, sottoposta al bacio del Dissennatore.

Oppure risparmiare il maledetto Serpeverde, difendersi e fuggire. Poteva scegliere fra la vendetta immediata, calda e brutale, e un altro tipo di vendetta, fredda e calcolata.

La scelta per lei fu facile.

 

«Impedimenta!». Frustò la bacchetta e i tre maghi caddero al suolo. In altri tempi, Silente avrebbe certo fermato la fattura. Ma era debole, aveva una mano annerita, era moribondo, e fu sopraffatto. Piton impiegò un istante a liberarsi dall'incantesimo, Harry urlò: «Hermione, che stai facendo!?». La ragazza si lanciò a perdifiato verso il portone, inseguita dagli Schiantesimi del professore di Pozioni. Quando fu sulla soglia, Piton scagliò un incantesimo diverso. Hermione non lo identificò: seppe solo che una sorta di sacco viola l'avvolse per un momento, ma sparendo subito dopo e senza provocarle alcun impaccio.

Corse sul prato buio, si girò e chiuse il pesante portone corazzato con una magia. L'ultima cosa che vide, mentre i battenti di bronzo si accostavano, furono gli occhi verdi di Harry che, stralunati, la guardavano senza capire. Poi il portone si chiuse.

 

Quando Piton lo riuscì a forzare, cioè subito, Hermione Granger era scomparsa. Qualcuno dei fuggiaschi del campo di Quidditch disse di aver visto una figura nera che correva verso i cancelli. La professoressa McGranitt andò a controllare e li trovò aperti dall'interno, i due Auror di guardia Schiantati. Di Hermione Granger, nessuna traccia. Draco Malfoy fu portato in infermeria, mezzo morto, trasferito immediatamente al San Mungo e ricoverato in terapia intensiva. Madama Chips non poté far altro che constatare la morte di Vincent Tiger. Hogwarts aveva subito dei danni strutturali, lievi ma dolorosi. Due elfi erano morti, crivellati dalle schegge di vetro in Sala Grande. Harry Potter si ritirò da scuola.

 

Il Ministero della Magia spiccò un mandato di cattura per Hermione Jane Granger. Era definitivamente finito il tempo delle fiabe.


Angolo Autore
Ehi ragazzi! Ecco il terzo capitolo! Scusate se non ho messo un commento al secondo, ma erano pronti entrambi! :) 
Ditemi che ve ne pare... plz.
--Chiara

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - L'oscurità dentro ***


Capitolo IV – L'oscurità dentro

 

Hermione non avrebbe mai dimenticato la prima notte da fuggiasca. Subito fuori dal perimetro protetto del castello, tentò invano di Smaterializzarsi. Provò una, due, tre volte, senza riuscirci... aveva appena seguito la prima lezione del corso, non era capace. Un buio fittissimo e terrificante accecò i suoi occhi, quando una coltre di nubi coprì la luna piena.

Aggirò Hogsmeade, un grappolo di luci giallastre nell'oscurità, senza sapere dove mettesse i piedi. «Lumos» mormorò, ma la fioca luce magica bastava appena a rischiarare l'aria di fronte al suo naso. Sentiva voci, suoni, versi di animali, il soffio del vento, il frusciare delle foglie, ma non riusciva ad identificare la direzione.

Il peggio venne quando entrò in un bosco. Gufi e civette ululavano, le parve di sentire perfino il latrare di un lupo mannaro, cespugli e alberi ovunque guardasse, a sbarrarle il passo, e ad un certo punto mise un piede in fallo, scivolò a terra, nel terriccio duro e gelato, si ferì un braccio tagliandosi sulle pietruzze aguzze, tentò di curarsi, ma era troppo, troppo stanca per evocare una magia efficace.

 

Dolorante, esausta, Hermione crollò a terra in quella spaventosa radura fra i boschi scozzesi, ansimante. Non aveva mai avuto paura del buio, ma non poté trattenersi dal rannicchiarsi e chiudere gli occhi, sperando che tutto svanisse... sperando di risvegliarsi nel caldo, morbido letto nel dormitorio di Grifondoro, sperando che fosse stato tutto un incubo... allora cominciò a fantasticare, i suoi pensieri si fecero illogici e sprofondò in uno stato di torpore invincibile... sognò, o delirò, di essere ancora al primo anno... e vide un gigantesco troll di montagna stordito da una clava volante... e un ragazzino, ancora un bambino, dai capelli color carota che sorrideva, stupefatto...

Hermione si raggomitolò a terra, pensando: dormo un po', riposo gli occhi, poi riprendo, mi stanno cercando ma veramente non ce la faccio, solo cinque minuti. Cominciava a non sentire più le dita e i piedi. Socchiuse le palpebre...

 

«Vieni da me» sibilò una voce femminile che esisteva solo nella sua testa. «Vieni da me, Hermione Granger, vieni da me, e avrai il potere che desideri. Il potere di fare il bene... e di fare il male... il potere di riportare indietro i morti, il potere di punire e di premiare... vieni da me». Ed era nel vuoto più nero che si possa immaginare... tutto attorno a lei, l'abisso. Ai suoi piedi un'unica, brillante, luminosa striscia di sangue che si perdeva nel nulla... cominciò a correre forsennatamente su quella sola ancora di salvezza, inseguita da un mostro fatto di oscurità, seguì il sangue in tutti i suoi tortuosi giri e rigiri, finché non giunse ad una pozza più grande, e oltre non c'era più nulla.

Al centro della pozza, Hermione vide Draco che si agitava, in preda al dolore, maledicendo i Mezzosangue e chiedendo scusa, supplicando perdono piangendo come un bambino. Pagliuzze rosse salivano nell'aria morta, Hermione guardò in basso e vide un oceano di sangue che ribolliva furiosamente, come lava in un vulcano. Si voltò, il mostro, una nuvola nera, tempestosa e impalpabile, le era addosso... e c'era solo una via di fuga.

 

Si gettò nel lago, non sentì l'impatto, sprofondò nel buio. Per un tempo immemorabile, tutto fu oscurità. Poi una luce illuminò una figura, di fronte a lei.

Hermione trasalì. Era di fronte a se stessa.

L'altra Hermione la guardò, sorrise e spalancò le braccia. Era bellissima e trionfante, la pelle candida e perfetta come il marmo più pregiato. Potere, potere puro riverberava da lei.

Potere, e promesse di giustizia e vendetta. Potere di riparare ai torti subiti.

Attratta irresistibilmente, Hermione le si avvicinò, fino a toccarla, fino ad abbracciarla.

Allora, in quell'istante, l'altra Hermione si decompose, e stava abbracciando un cadavere, scarnificato e orribile, le orbite vuote e i capelli mummificati, le labbra ritratte a mostrare i denti di un teschio. Urlò di orrore, cercò di ritrarsi, ma era stretta nella morsa, si dimenò, gridò, scalciò e...

 

«Eccola!». Una rude voce maschile la riportò alla realtà. «Viva! Prendetela viva!».

Hermione si risvegliò da qualsiasi cosa stesse sognando, senza capire niente, si mise istintivamente in piedi, vide movimento fra i cespugli, uomini che l'accerchiavano.

«Arrenditi! In nome del Ministero!». La Squadra Speciale Magica l'aveva trovata. Lampi rossi sfrecciarono nell'aria, lei scappò, si gettò fra i rovi, strappandosi i vestiti, massacrandosi la pelle, si fece strada, ignorando il dolore, si mosse a casaccio, si allontanò, inseguita dagli Schiantesimi.

 

Ritrovò terreno libero, corse più veloce, ansimando di terrore, così forte da non sentire lo scorrere di un ruscello sotto di lei. Le mancò il suolo sotto i piedi e franò rovinosamente in un fossato, sbatté la gamba, sentì un dolore lancinante, e si rese conto che il suo ginocchio si era appena fratturato.

«Trovatela!». Voleva urlare ma si costrinse a tacere, zoppicò fino al ruscello che scintillava sotto la luna, si gettò nell'acqua gelida, lo guadò a fatica... si accasciò sull'altra sponda, svenuta. Non riusciva più a respirare. L'aria usciva dai suoi polmoni, ma non rientrava.

 

È la fine, pensò. Così finisce Hermione Granger.

Due paia di piedi, lambiti da un mantello nero, entrarono nel suo campo visivo, offuscato dalle ferite. Mani d'acciaio la presero per le ascelle, la sollevarono, la cominciarono a trascinare verso il bosco, sbatacchiando la gamba ferita.

Prima di perdere definitivamente i sensi, Hermione fece ancora in tempo a pensare che, con tutta probabilità, a trascinarla erano due Mangiamorte.

E ne fu felice. Poi tutto si fece buio, e sprofondò nell'oscurità dentro.


Angolo Autore
Ehi, spero che vi piaccia! Dal prossimo capitolo, la storia avrà una svolta importante! 
Ditemi che ne pensate!
--Chiara

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