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di honeyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

betato da MedusaNoir



Al suono mandato dalla cabina di comando schiusi gli occhi e assonnata mi resi conto di essere senza cintura, completamente scomposta e un tantino sporgente verso il sedile alla mia destra. Prontamente presi la cintura per riallacciarla, cercando di ricompormi e, imbarazzata per essermi presa uno spazio in più, sorrisi al vicino per poi riporre la mia attenzione fuori dal finestrino, dal piccolissimo finestrino dell'aereo, ammirando le nuvole aspettando di poter vedere dall'alto la città del mio cuore: New York.

In attesa dei bagagli decisi di recarmi al bagno per rinfrescarmi, soprattutto in viso, poiché sentivo una stanchezza disumana addosso. D'altra parte erano le cinque del mattino quando avevo preso l'aereo a Milano e, dopo nove ore di viaggio, eccomi a New York con sei ore di fuso: essendo le 8.00 am, ho tutta una bella giornata davanti a me.

Uscita dal bagno intravidi il mio bagaglio e mi ci fiondai con rapidità tale che poteva apparire una riserva di oro; ero letteralmente a pezzi e avrei dato tutto pur di potermi lanciare in un letto e dormire per ore.

Beh, magari anche per giorni...

Vista la situazione in cui mi trovavo dovevo risparmiare e rinunciare al gran lusso di un taxi, quelle “belle” macchine gialle che mi guardavano con occhietti lucidi, implorandomi di poggiare il mio bel sederino pigro sui loro sedili...

Bel sederino?

Sbuffai, contrastata dai miei stessi pensieri, e ripresi la marcia verso il compromesso economico: un bus sudicio e pieno di gente diretto a Manhattan.

«Biglietto, signorina» disse scorbutico l'autista.

Gli porsi il mio e andai a prendere posto nell'ultimo sedile rimasto vuoto. Prima di sedermi provai ad alzare la valigia per riporla nell'apposito spazio, ma a stento riuscii a non cadere con lei addosso a un ragazzo seduto nel lato opposto al mio.

«Aspetta, ti do una mano.»

Mi girai per guardarlo e sì, era proprio il ragazzo che ha rischiato di trovarsi schiacciato da me e la mia valigia. Capelli scombinati, all'apparenza morbidi, occhi scuri, un leggero strato di barba sul viso, corpo da urlo...

Davvero? Ti sembra davvero il caso di fare questi pensieri?

Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo per non sembrare una pazza scostumata in piena crisi isterica e così, appena in tempo prima che si rendesse conto d'esser fissato da una maniaca made in Italy, gli sorrisi ringraziandolo; lui rispose con un cenno del capo e le mie guance arrossirono.

Uffa...

Detestavo arrossire, eppure era una caratteristica di me che spesso veniva apprezzata, però mi faceva sentire troppo esposta e non amavo sapere che era così facile per altre persone – bei ragazzi in primis - leggermi dentro.

Finalmente presi posto e per rilassarmi un po' accesi l'iPod impostando la ripetizione casuale.

Troublemaker... ah ah, molto divertente, caro iPod.

Una volta partiti ci misi veramente poco a crollare in un sonno profondo, cullata dall'andamento del bus.

Avvertii qualcuno toccarmi il braccio, ma ero troppo stanca e con la mano cercai di togliere quell'elemento disturbante dal mio corpo, mi girai mettendomi ancora più comoda e cercai di tornare tranquilla al mio sonno.

«Ma... oh, affari tuoi. Resta sul bus sentii dire con tono stizzito.

Bus?

«Oh cazzo!» urlai in italiano, spalancando gli occhi. Mi resi conto immediatamente di quanto fosse poco educato strillare in quel modo e misi le mani davanti alla bocca, vergognandomi da morire.

Il ragazzo che gentilmente mi aveva aiutata alla partenza scoppiò a ridere sonoramente mentre prendeva di nuovo la mia valigia.

Che carino...

Scossi immediatamente il capo, sconcertata da come fosse facile ammaliarmi.

Alzai lo sguardo per ringraziarlo, ancora una volta, ma venni interrotta dalla sua voce.

«Benvenuta a New York!» esclamò, facendo l'occhiolino.

Oh Dio... grazie!

I miei ormoni avevano preso il sopravvento e in seguito a quel gesto del bel ragazzo iniziarono un party, ma in quel momento non fui in grado di proferir parola e così gli sorrisi, consapevole d'esser totalmente rossa in viso - ma poco importava, chi l'avrebbe più visto?

Lo guardai allontanarsi verso l'uscita del bus e mi decisi che era arrivato il momento di svegliarsi sul serio o non sarei sopravvissuta mezzo giornata, sola e semi squattrinata com'ero.

 

Mi guardai attorno qualche secondo ancora incredula d'essere a New York, chiusi gli occhi per prendere un respiro profondo e inspirai a pieni polmoni l'aria della Grande Mela quasi come fosse la mia unica possibilità d'uscita, o di riuscita.

Fu inevitabile ripensare a quanto potessi essere felice al momento se la situazione fosse stata differente, se non mi avessero voltato le spalle senza una reale ragione, se...

No, non è il momento di ripensare a ciò che mi hanno fatto!

Il sarcasmo della mia mente stranamente fece spazio alla pura e semplice ragione: in questo momento non potevo permettermi di star male per quello che era successo.

Presi la cartina dallo zaino, allontanando così i brutti pensieri, e cercai di capire dove fossi di preciso per dirigermi finalmente verso casa di Amy, la nuova casa di Amy.

Avevo conosciuto Amy diversi anni prima durante la mia prima e unica vacanza studio fatta proprio qui a New York. La sua famiglia mi ospitò per ben tre mesi, i mesi più belli di tutta la mia vita, e io ricambiai ospitandola l'anno successivo.

È stato strano rendermi conto come bastasse non conoscere un posto per poterlo amare e apprezzare in modo incondizionato. Ricordo ancora molto bene quanto fosse innamorata di Milano, ero sconvolta perché conoscendo la sua città natale non mi capacitavo di come potesse trovare così suggestiva una città a mio avviso piatta, grigia e banale come la mia.

Amavo Milano, nonostante gli aggettivi con i quali la descrivevo, e amavo l'Italia che è pur sempre casa mia e rimane un grande orgoglio per me sapere di esser nata in una nazione così ricca di storia e di meraviglie, ma sono sempre stata attratta dall'immensità degli Stati Uniti, dalla loro contemporaneità disarmante e dall'assenza, o quasi, di quel maledetto e insistente pregiudizio che impedisce agli artisti di esprimersi davvero – cosa un po' troppo ricorrente in Italia, mio malgrado.

Arrivai sotto la palazzina di Amy dove fortunatamente trovai il portiere proprio all'ingresso.

«Buongiorno! Sono una cara amica della signorina Amy Roberts, sa per caso dirmi come raggiungere il suo appartamento?»

Il portiere mi guardò con il sorriso stampato in volto e fu prontissimo nel rispondermi.

«Buongiorno a lei signorina! Guardi, deve entrare nel cortile e prendere la scala A – sesto piano sulla sinistra.»

Sorrisi alla sua risposta e lo ringraziai.

Presi l'ascensore, sei piani erano decisamente troppi e la mia pigrizia di certo non si sarebbe tirata indietro in momenti come questo.

Suonai il campanello e attesi la risposta; non ebbi neanche il tempo di dire chi fossi che la porta si aprì e mi ritrovai al collo le braccia della dolce Amy.

«Oh mio Dio, Barb! Cosa ci fai qui?» urlò nell'abbraccio.

Troppa tensione accumulata, troppa emozione, anzi troppe emozioni. E così fu inevitabile per me scoppiare il lacrime.
Si staccò dall'abbraccio e iniziò a guardarmi mortificata; probabilmente comprese subito il problema, anche se dubito potesse immaginare tutto quello che era successo, sarebbe stato assurdo pure per una veggente.

Mi condusse dentro casa facendomi appoggiare la valigia vicino alla porta di ingresso e ci sedemmo sul divano in soggiorno.

«Tesoro, vuoi raccontarmi tutto per favore?» chiese con dolcezza.

Asciugai le lacrime con un fazzoletto preso dallo zaino e con voce strozzata iniziai a parlare.

«Io... io sono... scappata, Amy.»

Rabbrividii nel vedere i suoi occhi aprirsi come non mai, mentre rimaneva in silenzio.

«Ho provato ad aprirmi, ho provato a spiegare loro quanto amassi recitare e il desiderio che ho di rendere il mio sogno reale. Ho provato con ogni mia cellula a far capire loro che questa sono io: Barbara che sogna di poter arrivare un giorno a essere fiera di sé per aver interpretato ogni genere di personaggio, per essere arrivata nei cuori degli spettatori, per aver reso giustizia ai ruoli in cui si è calata, per aver svolto bene e nel miglior modo possibile un lavoro che è da quando sono nata che desidero di poter fare» confessai tutto d'un fiato.

Amy mi guardò per un attimo prima di rispondere, forse aveva bisogno anche lei di un po' di tempo per metabolizzare il tutto.

«Barbi, lo sai che ti voglio bene ma non so se questa sia stata davvero una buona idea. Cerca di non fraintendermi, appoggio il tuo voler inseguire i tuoi sogni e penso sia giusto tu sia qui, solo... non così!»

Scossi il capo e decisi di non voler continuare il discorso, non per il momento.

«Io... sono troppo stanca oggi per parlarne.»

Annuì e mi sorrise, concludendo la discussione, almeno per quel giorno.

Da lì in poi, per almeno tre ore, parlammo del più e del meno toccando ogni tasto possibile escluso quello tabù. Mi raccontò del suo stage per la rivista Vogue, di quanto fosse dura per lei doversi mordere la lingua il più delle volte ma che niente e nessuno le avrebbe impedito di sfondare e diventare un'eccellente redattrice.

Parlammo della mia permanenza qui a New York e concordammo che mi avrebbe ospitata finché non mi avrebbero dato la stanza al college della scuola.

Durante i nostri vari racconti mi introdusse una novità davvero molto bella e inaspettata: dopo tre anni il suo ragazzo, Justin, le aveva chiesto di sposarlo.
«Oh. Mio. Dioooooooooooooooooooo» urlai entusiasta mentre Amy arrossiva.

Era bello vederla per una volta così esposta, era più semplice per me leggerle negli occhi la gioia.

«Beh, ancora non c'è una data e considerando lo stage non penso accadrà prima di terminarlo e aver qualcosa di più stabile, però...» e lasciò in sospeso una frase che racchiudeva tutto il suo essere, tutto l'amore che provava per quel ragazzo meraviglioso che la rendeva così felice.

Si alzò per sistemare dei vestiti lasciati in giro.

«Amy, ti dispiace se faccio una passeggiata? Ho bisogno di liberare un po' di tensione.»

«Certo, verrei con te se non stessi aspettando Justin! Però posso sistemarti la camera per gli ospiti, così al tuo ritorno sarà tutto a posto.»

Mi alzai dal divano e lei mi seguì fino al pianerottolo che dava sulle scale. Ero quasi arrivata ai gradini e girandomi le chiesi un'ultima volta, «Sei sicura che a Justin non darà fastidio la mia presenza in casa? Voglio dire, ormai convivete e siete promessi sposi, forse sono di troppo, no?»

Non mi accorsi che nel mentre stavo proseguendo la mia marcia verso le scale, così, prima che me ne potessi rendere conto, prima che Amy concludesse il suo “stai attenta”, prima che qualsiasi cosa mi impedisse di fare l'ennesima figura maldestra ecco che il mio piede finì dritto dentro il secchio di acqua con il quale pulivano le scale. Persi immediatamente l'equilibrio e, a occhi chiusi, pensando al mio corpo volar giù per le scale, credetti di morire.

Sentii delle mani cingermi il busto, appena sotto il seno, il mio viso sbattere contro qualcosa di duro e le mie braccia allacciarsi a un qualcosa di apparentemente stabile.

«Ehi, inizio a pensare tu lo faccia apposta!» disse il ragazzo che mi salvò la vita.

Aprii gli occhi e mi accorsi di aver praticamente abbracciato il mio salvatore con il viso poggiato al suo petto. Alzai lo sguardo per ringraziarlo e mi maledissi per non aver riconosciuto la voce.

«O-oddio, scusami...» mormorai, pietrificandomi. Il bel ragazzo di stamattina mi aveva appena salvato la vita.

Senza staccarmi da lui mi accorsi di avergli bagnato le scarpe con l'acqua del secchio e mi sentii ancora più in imbarazzo.

Sei un disastro!

«Uhm... non che avere una ragazza a contatto con il mio corpo mi dispiaccia poi così tanto, ma pensi di staccarti, piccolo danno?»

Piccolo danno?

Va bene, avrà anche impedito di schiantarmi a terra, ma si sarebbe potuto risparmiare quel nomignolo.

Staccai le braccia da lui e cercai di ricompormi mentre toglieva le sue mani calde e ben salde dal mio busto. Per un secondo mi sentii girare la testa.

«Tutto bene, Barbi?» chiese Amy molto preoccupata. Si sarà sicuramente presa un bello spavento con quel mio quasi-volo.

«Sì, tutto bene...» farfugliai, sul punto di iniziare a urlare con me stessa per non fare mai attenzione e finire in situazioni così imbarazzanti.

«Barbi... uhm...» sussurrò il ragazzo, per poi continuare, «Ehi, vicina, ma la tua amica ha sempre questo vizio di cascare addosso alle persone?» chiese divertito.

Dio, stavo cominciando a odiarlo.

Amy rise, divertita, e stizzita iniziai a scendere le scale, cercando di sbollire l'ira che stava prendendo possesso del mio corpo.

Che bella presa che ha però... e che pettorali!

Bene, ci mancavano i miei pensieri perversi.

«Barbi, non è il caso che ti cambi prima di uscire?» mi fece notare Amy, tentando di non umiliarmi per non essermi resa conto dell'ovvio: pantalone e scarpe fradice, ottima combinazione per uscire.

Feci marcia indietro e risalii le scale, lanciando uno sguardo di fulmini e saette al ragazzo divertito della mia goffaggine, entrai dentro casa di Amy e mandai al diavolo la mia passeggiata liberatoria.

 

«Ma toglimi una curiosità: Matt prima ha detto delle frasi che... cioè, vi siete già visti?» chiese Amy mentre girava per la stanza alla ricerca delle lenzuola pulite da mettere al letto a me destinato.

«Sul bus per arrivare qui dal JFK... mi ha dato una mano a metter su la valigia avendo visto che stavo per crollargli addosso!» risposi seccata.

«Amoooore!» si sentì dall'ingresso. Justin era arrivato.

«Ne riparliamo, mia cara, i tuoi occhietti svelano più delle tue parole o del tuo tono scocciato. Tesoro, siamo qui in camera, qualcuno ci ha fatto una sorpresa!»

Salutai Justin felice di rivederlo dopo tanti anni, se si considera che quando lo conobbi non erano ancora una coppia. Dopo qualche domanda di rito e battute varie decisi di andare a farmi una bella doccia e lasciarli un po' soli.

Sì, sei un tantino di troppo, mia cara!

La gentilezza unica e indistinguibile dei miei pensieri.

Entrando in bagno mi accorsi della vasca, così abbandonai l'idea della doccia per qualcosa di più rilassante. Presi uno dei flaconcini posti lì vicino e versai un po' di bagnoschiuma mentre l'acqua riempiva la vasca.

Schiuma e bollicine... perfetto!

Ripensai alla frase di Amy perché proprio non riuscivo a comprendere cosa potessero dire i miei occhi più delle mie parole. Lungi da me il pensiero di averle fatto capire un interesse inesistente nei confronti di quel Matt!
Sì, era indubbiamente un bel ragazzo con un bel fisico, degli occhi profondi e magnetici, dal capello sexy, la barbetta che gli dava un'aria attraente, le labbra che urlavano al bacio...

Altro?

Era assolutamente fuori discussione, stop.

Scossi il capo e tornai a rilassarmi prima di finire quel pericoloso elenco.

Bussarono alla porta mentre ero ancora dentro il bagno. Presi l'accappatoio, lo misi e aprii.

«Barbi, noi andiamo dai genitori di Justin, non sapevamo del tuo arrivo e avevamo promesso loro che saremmo passati nel tardo pomeriggio. Magari ci vediamo più tardi per un gelato. Ti va di venire? Ti scrivo dove e ti aspettiamo nel caso.»

«No, sono distrutta! Penso non cenerò nemmeno e mi lancerò nel letto... jet lag» risposi, strizzando l'occhio per farle intendere che è tutto okay.

Mai e poi mai sarei uscita con la coppietta. Justin era un ragazzo d'oro e molto simpatico, ma non mi è mai piaciuto fare la terza incomoda e di certo non era un buon modo per iniziare la mia vita newyorkese.

Eravamo verso gli ultimi giorni di Settembre e il caldo non aveva ancora lasciato del tutto la città, misi così un pigiama leggero e semplice: canotta e pantaloncini, giusto per restare comoda.

Presi valigia e zaino e provai a sistemare lo stretto necessario per quei giorni in cui sarei rimasta da Amy.

Nel rovistare lo zaino mi capitò tra le mani la lettera per i miei genitori e mi si bloccò il respiro.

La mia famiglia era convinta io fossi in vacanza con amici e che sarei ritornata a metà Ottobre ma così non era. Ero partita senza dire niente, decisione presa quasi d'istinto dopo l'ennesima, intensa litigata con mio padre. Sia lui che mia madre non riuscivano proprio a concepire la mia passione per la recitazione ed ero stanca di lottare contro un muro di mattoni ben costruito.

Sospirai, pensando a quanto male gli recherà il giorno in cui leggeranno la lettera e si renderanno conto che la loro primogenita non avrebbe fatto ritorno ad Ottobre, né i mesi successivi.

Se la sono cercata.

Sì, ma questo non rende il tutto indolore.

Il suono del campanello attirò la mia attenzione e per una volta ringraziai il cielo di avermi mandato una distrazione.

Aprii la porta senza badare a chiedere chi fosse o guardare dallo spioncino della porta.

«Ehi, Barbi» salutò il “ragazzo della porta accanto”.

«Prima di tutto Barbara e non Barbi, non mi risulta tu sia mio stretto amico e in quel modo mi chiamano gli amici» dissi stizzita. Ripresi fiato per poi continuare: «e poi... ehm... che... vuoi?» Terminai rapidamente, realizzando che era davanti a me a petto nudo.

Che bel panorama! Bella, la casa di Amy...

Sicuramente si accorse della mia attenzione verso i suoi pettorali perché sorrise compiaciuto prima di rispondermi.

«Niente, ”Barbara”... stavo pensando di uscire e mi chiedevo se ti andasse di unirti a me!»

Oh, se esci a petto nudo sì!

«Io n... non ti conosco, perché dovrei uscire con te?»

Mi sfilò dalle mani la lettera dei miei genitori mentre tentavo di rispondere al suo invito usando il senno e non altro.

«Che fai? Ridammela!» gli ordinai saltellando per cercare di riprenderla.

«Sei troppo cucciola quando saltelli!» rise.

Lo guardai, sollevando un sopracciglio, incredula.

«Okay, se accetto me la restituisci negoziai, ricomponendomi nella speranza di mostrarmi seria.

Sorrise e in poco più di due secondi lasciò un bacio sui miei capelli, scappò verso la porta di casa sua e prima di chiuderla, lasciandomi a bocca aperta sull'uscio di Amy, ammiccò dicendomi: «Questa la tengo come garanzia! Passo a prenderti tra dieci minuti, muoviti!»

In quel momento avrei tanto voluto sbattere i piedi come una bambina ma cercai di trattenermi, se non altro per non umiliarmi del tutto.

Sarei mai riuscita a riposare? Iniziavo a dubitarne.

Non solo ero stata obbligata sotto ricatto a uscire con lui – ragazzo sconosciuto, o meglio conosciuto grazie alla mia goffaggine – per di più avevo solo dieci minuti di tempo per prepararmi.

Dalla valigia già aperta presi un paio di jeans e una camicia che decisi di infilare sopra la canotta che avevo già addosso. Misi solo un filo di mascara e matita nera, poi andai in cucina per scrivere un biglietto ad Amy:

 

NO, NON SONO SCAPPATA ANCHE DA TE... SEMPLICEMENTE HAI UN VICINO STRONZO E BRAVO CON I RICATTI.
A DOPO

BARBI

 

«Tieni.»

Afferrai la lettera e la poggiai sopra il mobile vicino all'ingresso, dal quale presi invece le chiavi di casa.

«Sei stata veloce a prepararti» notò squadrandomi.

«Avevo scelta?» risposi sarcastica.

Matt fece spallucce e chiamò l'ascensore.

Uhm... in ascensore. Si fa interessante la serata!

«Ehm... non possiamo fare le scale?» chiesi imbarazzata.

«Non sono un maniaco, Barbi, sono solo gentile, tranquillizzati!»

Sapevo di averlo appena conosciuto e di non aver alcun interesse nei suoi confronti, ma alcune volte gli ormoni impazzivano inspiegabilmente portandomi a scabrosi pensieri.

Sì, è un bel ragazzo ma dovevo rilassarmi.

Sarà l'astinenza, cara?

Dio, quanto avrei voluto poter spegnere quei dannati pensieri.

L'ascensore arrivò ed entrammo. Mi ero messa il più vicino possibile alla porta per poter sgattaiolare fuori nell'istante esatto della riapertura.

Matt, alle mie spalle, schiacciò il pulsante del piano terra e l'ascensore chiuse le porte automatiche.

Ero tesissima e non riuscivo nemmeno a spiegarmelo, non aveva alcun senso.

Sentii un mano accarezzarmi il braccio, scendendo dalla spalla; quel tocco mi fece sussultare e irrigidire. Ero troppo irrequieta e questo comportamento non mi avrebbe portato a nulla, se non a una lunga serie di figuracce.

«Ehi, rilassati. Te lo giuro, ti ho chiesto di farmi compagnia perché mi andava di farti passare una bella serata... È solo gentilezza» disse con tono tranquillo.

Mi voltai per guardarlo e sembrava sincero. I suoi occhi, scuri e profondi, non sembravano mentire - anche se non conoscendolo potevo leggere ben poco dalle sue espressioni, ma perlomeno sembravano coincidere con il suo tono di voce.

Annuii con il capo e mi rigirai, sentendo le porte riaprirsi.

«Dove andiamo?» chiesi, seguendolo indipendentemente dalla risposta.

«Volevo fare due passi, boh... ti va se andiamo al Battery Park?»

Lo fissai come un bambino guarderebbe l'insegnante se in prima elementare iniziasse a parlare di fisica quantistica.

Matt rise.

«Dai, ti ci porto così non ti ritroverai più a fare questa faccia!»

Mi strinsi nelle spalle e ricominciammo la marcia.

Erano le sette del pomeriggio, le strade erano piene di traffico, taxi gialli ovunque e una fiumana di turisti in giro in ogni singolo angolo della città. New York era sempre troppo bella, indipendentemente dalla stagione.

«Cosa ti porta qui a New York?» domandò Matt a un certo punto.

«È una storia lunga...» E non mi andava proprio di parlarne. A quanto pare comprese perché non indagò oltre.

Girammo l'angolo, dove c'era un enorme Starbucks. Dio mi tenga lontana da quel posto o faccio fuori tutti i suoi dolci fino a star male.

«Baaaaaarbiiiii!» sentii urlare. Era Amy che passeggiava poco distante da Starbucks.

Matt e io ci stavamo dirigendo verso Amy e Justin quando Amy disse una frase che mi fece storcere il naso.

«Oh, che sorpresa vedervi qui insieme...»

«Amy» dissi con tono di rimprovero «devo dirti due cose, vieni.»

«Justin, vai con Matt a ordinare qualcosa? Noi prendiamo posto.»

Entrammo così da Starbucks e una volta sedute le rivolsi uno sguardo fulminante.

«Scusa, lo so... mi dispiaceva tantissimo essere fuori con Justin e lasciarti sola a casa, così ho pensato di chiedere a Matt di farti uscire! Mi è sembrato aveste una certa intesa...»

Sbarrai gli occhi a tal punto che temetti potessero uscire dalle orbite. Come diavolo poteva pensare che tra me e Matt ci fosse intesa? Che genere di intesa?

Sessuale... magari?

Nascosi il volto con le mani per la disperazione. Ormai non sapevo chi mi stesse tradendo di più tra il mio cervello e i suoi pensieri punzecchianti o la mia amica americana con le supposizioni basate sul nulla.

«È un bel ragazzo, non lo metto in dubbio, ma non ci conosciamo per niente... non ci siamo nemmeno presentati!» esclamai.

Amy alzò le mani in segno di resa e mi sorrise.

«Eccoci!» I ragazzi ci raggiunsero con un sacco di prelibatezze scelte a caso, ma non importava: qui era tutto buono.

Sedendosi Justin lasciò un rapido bacio sulle labbra di Amy e io avvertii inevitabilmente una stretta allo stomaco.

Quanto tempo era che qualcuno non faceva così con me? In realtà nessuno si era mai comportato in quel modo, nonostante i miei diciannove anni, l'unica storia che avevo avuto era durata meno di un mese e... No, dovevo lasciar perdere quei pessimi ricordi.

Matt mi diede una gomitata leggera per richiamare la mia attenzione; alzai lo sguardo e gli sorrisi, cercando di non far trapelare nulla dai miei occhi, almeno questa volta.

«Ehi, Matt, ma che cafone sei? Presentati a Barbi!»

«Amy» la richiamai a denti stretti.

Matt si alzò dalla sedia e con gesto teatrale mi rivolse una sorta di inchino.

«Gentile signorina, è un immenso onore per me conoscerla. Mi presento, sono Matthew Ian Clarke.» Sporse la mano aspettandosi la mia in risposta.

Imbarazzatissima afferrai la sua mano, mentre con quella che avevo ancora libera mi coprivo il viso per nasconderne il rossore.

«Il suo nome, dolce milady?»

«Barbara Lea Loveti» risposi, soffocando le risate.

Baciò la mia mano e ritornò a sedersi.

«Contenta, Amy?» le domandò alla fine di quel teatrino.

«Uhm...» Faceva anche la difficile ora? Ero allibita.

«In realtà, considerando il fatto che Barbi sogna di diventare un'attrice mi sarei aspettata una performance migliore da parte sua. Tu, Matt, invece, sei stato impeccabile!»

«M-ma...» balbettai poco prima che scoppiasse una sonora risata di gruppo.

La serata terminò tranquillamente, chiacchierando del più o del meno nemmeno fossimo vecchi amici presi dai propri racconti.

Ne avevo proprio bisogno.

 

Era passata poco più di una settimana dall'ultima volta che avevo visto Matt, dalla serata di risate e frappuccini buonissimi da Starbucks. Ammisi a me stessa che la cosa mi dispiaceva un po'.

«Dove stai andando?» chiese Amy, vedendomi già vestita alle nove del mattino, cosa alquanto insolita per i miei standard.

«La scuola... Mi hanno mandato una mail qualche giorno fa perché l'insegnante di danza vuole vedere le matricole.»

«Farai anche danza?» esclamò, stupita.

«Lasciamo perdere, credimi!» risposi rassegnata. Danza era una materia che speravo di non seguire. Andare agli spettacoli non mi era mai dispiaciuto, al contrario amavo guardare delle belle coreografie sia di contemporaneo, hip-hop o classico. Ma ballare io?

Se intendi fare il comico...

Sì, era tremendamente vero. Una volta provai ad andare in discoteca, di nascosto dai miei genitori, e tornai a casa in perfetto orario perché in pochi minuti ero diventata il guest della serata grazie alla mia immensa abilità nel far ridere tutta la sala.

Presi le chiavi poggiate nel piattino sul mobile e salutai Amy con la mano. Aspettando l'ascensore, guardai la porta di casa di Matt e dentro di me sperai con tutto il cuore che ne uscisse con quella sua aria da “sono troppo figo, lo so”, ma così non fu.

La scuola non era tanto distante da casa di Amy, ci misi veramente poco ad arrivare.

Dramatic Arts Academy of New York”.

La scritta risultava imponente all'ingresso dell'immensa struttura che dava accesso al campus. Vi entrai intimidita: se solo non fosse stato per danza non sarei stata così agitata.

Afferrai subito un opuscolo con la cartina, cercai l'edificio verso il quale mi sarei dovuta dirigere e dopo pochi minuti lo trovai.

Questa scuola era davvero grande, piena di edifici, spazi aperti, la sezione di canto, danza, recitazione, doppiaggio, regia, sceneggiatura, scenografia... C'era davvero di tutto lì dentro. I dormitori invece si trovavano vicino all'ingresso e accanto c’erano la mensa e la biblioteca.

Arrivai all'edificio, dove trovai già tantissimi ragazzi nel corridoio che dava accesso all'aula, dentro la quale doveva esserci l’insegnante.

Rabbrividii all'idea di dover ballare davanti ad altri, anche gente incapace come me.

Cercai qualcuno a cui chiedere informazioni e trovai una ragazza in apparenza normale - non una di quelle “me la tiro perché posso”.

«Scusa, sai cosa... cioè, chiamano loro o...»

Lei mi sorrise e rispose tranquilla che avrebbero chiamato gli insegnanti uno alla volta facendoci entrare.

Appena terminò la frase mi accorsi che una ragazza era appena uscita in lacrime.

Cazzo.

Quello era uno di quei momenti in cui lo yoga mi avrebbe fatto bene, non dovevo andare in iperventilazione per nessuna ragione.

Calma, Barbara, è tutto ok!

Entrarono, man mano, altre dieci persone e la tensione nel corridoio si faceva sempre più consistente; le ragazze che prima scambiavano parole, risate e irritanti gridolini da pettegole ora erano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.

«Barbara Lea Loveti.»

Oddio, tocca a me.

L'aula era spaziosa e coperta di specchi. Sulla parete di fronte all'ingresso erano state posizionate le sbarre e il muro accanto era attraversato da enormi finestre.

L'insegnante era seduta su uno sgabello in modo molto elegante, al suo posto avrei assunto una posa totalmente diversa e molto poco fine.

«Buongiorno» dissi, cercando di non esitare.

Lei, con sguardo di superiorità, fece un cenno con il capo.

Dire “buongiorno” no, eh?

Effettivamente era poco simpatico il suo modo di atteggiarsi.

«Sono Eleonor Hudson Smith, insegnante di danza classica in questa accademia da innumerevoli anni.»

La guardai rimanendo in silenzio per paura di dire cose inappropriate.

«Hai mai ballato in vita tua... Barbara?» disse, controllando sul foglio il mio nome.

«No, mai , sig...»

«Signorina, grazie» terminò prima che potessi darle della signora. Riprese subito chiedendomi di andare alla sbarra.

A quel punto era inutile nasconderlo, me la stavo facendo sotto.

«Come ben sai, cara Barbara, danza ti darà ben 5 dei 12 crediti che, nel caso in cui tu studiassi e fossi eccellente, otterresti alla fine del tuo primo anno.»

Cinque dannati crediti a una materia che non avevo idea come avrei fatto a superare.

Fantastico!

«Prima posizione, grazie!» ordinò improvvisamente.

Prima posizione?

Cominciai a sudare freddo, non avendo la più pallida idea di cosa volesse dalla mia vita con quella richiesta. La guardai, sperando non mi urlasse contro e decidesse di eliminarmi del tutto prima ancora di iniziare i corsi.

«Quei dannati attori che accettano gente che non ha mai danzato... IDIOTI! Ecco cosa sono» sbuffò presa dall'ira.

Dentro di me mi feci piccola piccola. Penso di non essere mai stata così intimorita davanti a qualcuno durante il corso di tutta la mia vita.

«Vai, vai. Tanto che ti faccio ballare a fare? Non sai proprio niente. Fatti trovare qui alle sei in punto.»

«Di stasera?» mi uscii spontaneo e me ne pentii meno di un secondo dopo.

«Magari potessi permetterti di perdere altro tempo, mia cara! VAI!»

Scappai fuori dall'aula con una tale velocità che sembrava avessi un drago sputafuoco alle calcagna.

Passai le ore successive nel giardino del campus in preda al panico. Perché diavolo mi aveva chiesto di tornare in aula più tardi? Sarei stata l'unica? Che vergogna.

Le domande scorrevano veloci nella mia testa, una dietro l'altra senza sosta. Era una situazione paradossale e quando avevo scelto di iscrivermi in questa scuola era per riuscire a diventare un'attrice davvero brava e completa, ma mai e poi mai avrei immaginato fossero rigidi a tal punto da pretendere persone eccellenti in tutte le discipline.

Dovevo ammettere di non aver minimamente pensato a prepararmi almeno un pochino per il corso, ma che senso avrebbe avuto fare una o due lezioni prima di oggi? Forse a quest'ora saprei cos'è la prima posizione, niente di più.

Continuavo ad agitarmi, oltre la frustrazione stava prendendo piede la rabbia.

In recitazione ero portata, me la cavavo bene e, anche se normalmente ero timida ed era facile farmi arrossire, quando interpretavo un ruolo mi calavo completamente nel personaggio e interiorizzavo il suo essere, il suo carattere, tutto dando sempre il 100%.

Ammazzai il tempo girovagando per il campus e curiosando un po' ovunque e poco prima dell'orario stabilito ritornai all'edificio di Malefica.

Le calza a pennello, lo ammetto.

Mi strinsi nelle spalle.

Entrando nell'edificio notai di essere sola.

Barbara, non sarai l'unica, tranquilla, mi ripetevo come un mantra cercando di calmarmi e in quel momento arrivò Malefica.

«Vieni!» disse senza nemmeno voltarsi a guardarmi.

Entrammo in aula e aspettai le sue parole.

«Tra tutti gli studenti visti oggi sei decisamente l'unica messa davvero così male. Sì, di incapaci ne ho visti tanti... oggi come ogni santissimo anno, ma tu...» E mi guardò con sdegno. «Tu, mia cara, come puoi essere così sfacciata da entrare in questa scuola senza sapere nulla di danza?»

Era una domanda retorica, vero?

Nel dubbio rimasi in silenzio.

«Purtroppo per te, o per me temo, amo le sfide perciò non permetterò che tu vada via di qui senza aver imparato qualcosa. Di tempo da perdere non ne ho, ecco perché ho deciso di affiancarti un Tutor con il quale dovrai seguire le mie lezioni e che dovrai vedere tutti i giorni, per almeno due ore, in privato così che tu possa imparare e, che Dio mi assista, arrivare al pari dei tuoi compagni. Nota bene, occhi blu, non mi interessa quanti corsi avrai o quanto dovrai studiare per superare le altre materie... Questa è un'imposizione che dovrai seguire se vorrai quei 5 crediti.»

Mi guardò soddisfatta, notando il mio silenzio e il mio sguardo spaventato.

«Entra, mio caro!» disse infine, rivolgendosi alla porta.

La porta si aprì ed entrò un ragazzo.

Matt!

«Piacere, sono Matt!» si presentò gongolando.

Era ufficiale: qualcuno ce l’aveva con me.

 

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Grazie a tutti coloro i quali sono passati di qua e hanno deciso di leggere il prologo di questa storia.
Ringrazio la splendida Beta Reader, che mi ha dato le dritte per non proporvi un capitolo drammaticamente ricco di errori, ringrazio Alba, sempre pronta ad incoraggiarmi e sostenermi, e tutte le persone che mi hanno dimostrato interesse ancor prima di leggere.

Spero con tutto il cuore il prologo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito per tornare a leggere i prossimi capitoli e, se così fosse, vi lascio il link del gruppo dentro il quale inserirò immagini, spoiler o, più semplicemente, potremo parlare in modo più immediato della storia: honeyes !

Queste, invece, sono delle storie che vi consiglio di leggere: | Gli eroi di Sandpoint | :)

Grazie ancora a tutti!
Willa 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

betato da MedusaNoir



Ero così infuriata che, nel momento stesso in cui Malefica lasciò l'aula, presi la mia borsa con stizza e mi diressi anche io verso l'uscita.

Fu in quel momento che le domande trovarono spazio all'interno della mia mente: come poteva essere reale tutto questo? Come potevo ritrovarmi per la terza volta la stessa persona in tre contesti differenti? In principio sul bus dell'aeroporto, ma dovevo ammettere che lì incontrare qualcuno fosse normale; successivamente come vicino di casa di Amy, ma in fondo le coincidenze esistono; infine come tutor nella scuola di arti drammatiche da me scelta, e questo era decisamente troppo.

Stavo uscendo dal campus quando sentii una mano premere sulla mia spalla: era Matt, naturalmente. Mi voltai per dargli l'opportunità di parlare.

«Posso capire cosa ti passa per la testa?» domandò, totalmente spiazzato dal mio irrazionale comportamento.

Ai suoi occhi, effettivamente, poteva non aver alcun senso il mio atteggiamento da lunatica in preda a una crisi isterica, ma ero consapevole di essere al centro di una situazione surreale: come potevo incontrare sempre lo stesso ragazzo in una città grande come New York?

«Fammi capire, mi stai per caso pedinando?» chiesi, irritata.

Matt reagì facendo quasi uscire gli occhi fuori dalle orbite e ammisi a me stessa che, al suo posto, avrei fatto lo stesso.

«Scusa, hai ragione. È che davvero non capisco come sia possibile incontrarti tre volte in tre contesti differenti.» conclusi, sperando di apparire meno fuori di testa.

«Sono al terzo anno, non puoi colpevolizzarmi d'aver scelto prima di te questa scuola.» replicò, alzando le spalle e assumendo così un'aria innocente.

In fin dei conti non potevo dargli torto: era la miglior scuola di arti drammatiche degli Stati Uniti. Illustri attori, ballerini, musicisti, registi, produttori e molte altre figure avevano studiato proprio in quegli edifici, prima di diventare “famosi”.

Sorrisi, decidendo che era il caso di finire lì il discorso, e ripresi a camminare verso casa.

Casa di Amy... sospirai.

Passarono pochi minuti prima di arrivare al nostro, o meglio loro, palazzo; salutai Matt con la mano, arrivati sul pianerottolo, ed entrai in casa di Amy, sperando di non essere sola.

«Ehi, Barb, com'è andata?» si interessò, lasciandomi giusto il tempo di chiudere la porta.

Le chiesi di poter fare una doccia, prima di iniziare a parlare della mia giornata e di tutti i pensieri che popolavano la mia testa in quel momento, e lei sorrise in segno di consenso.

Uscita dalla doccia, decisamente più rilassata, misi dell'olio ai capelli e li avvolsi in un asciugamano a mo' di turbante – trucco imparato da mia madre...

Ti mancano, eh?

Sì, mi mancano tanto i miei genitori, però c'è un ma troppo grande e non avrei mai potuto lasciare che la nostalgia mandasse tutto all'aria.

Indossai una canotta nera e dei leggings bianchi, tornai da Amy e ci sedemmo sul divano in sala.

«Ho preparato dei budini al cioccolato, ti va?» chiese Amy.

Annuii, come se si potesse rispondere no a un budino di cioccolato, e lei non esitò a lanciare il suo sguardo intimidatorio che sottintendeva un “sto aspettando, sputa il rospo!

«Se non ti dispiace, vorrei prima poterti parlare di quel che è successo a casa... a Milano, intendo.»

Fu così che iniziai a raccontarle ciò che era accuduto con i miei genitori.

Sembrava assurdo che lei non sapesse ancora niente, così come io non fossi a conoscenza dell'ufficialità del suo fidanzamento con Justin, ma nonostante ci sentissimo almeno una volta a settimana eravamo entrambe molto restie nel raccontarci cose di così grande importanza tramite delle banalissime chat. Ci aiutavamo spesso in occasioni come litigate di routine, esami in vista, colloqui, infatuazioni varie ecc... Lei aveva in programma di partire per l'Italia, così da potermi riferire di persona della splendida novità, e io, in cuor mio, sapevo che sarei finita a New York, prima o poi.

Sentii il bisogno di raccontarle tutto quello che mi era successo, tutte le emozioni soffocate dentro per paura dei giudizi o di rendere troppo reale la situazione a cui avrei dovuto far fronte. Sapevo che se mai avessi raccontato il mio trascorso a qualcuno sarebbe stata lei: Amy, un'amica che mi ha accolta nella sua vita come fossi una sorella, anche se in arrivo dall'altra parte dell'oceano.

Amy ascoltò il racconto senza interrompermi, probabilmente voleva lasciarmi finire per poi ponderare la risposta sulla base di tutte le informazioni da me lasciate. Aspettai con ansia il suo verdetto, se così potevo chiamarlo, perché prima di questo racconto non era concorde alla mia decisione di scappare e speravo davvero potesse cambiare idea.

Coscienza sporca?

No, o forse sì... non è facile abbandonare la propria famiglia, nonostante tutto.

«Come pensi di avvisarli? Voglio dire, di esserti trasferita qui e non intenzionata a ritornare a casa.»

Mi alzai dal divano, poggiando il piattino con il budino e il cucchiaio sul tavolino davanti a noi, mi diressi in camera e presi la lettera che non avevo ancora spedito.

«È una lettera che ho scritto prima di partire. Avrei voluto lasciarla a casa, a Milano, ma non ho avuto il coraggio. Avrei dovuto spedirla appena arrivata qui però...» lasciai cadere la frase.

«Domani mattina andiamo insieme, ok?»

Scossi il capo e le risposi: «Domani ho lezione!»

Confusa, Amy fece per rispondere ma si bloccò, vedendomi affondare il viso tra le mani.

«Tu lo sapevi, vero, che Matt studia alla mia stessa scuola?» chiesi, cercando di nascondere il rossore delle mie guance.

«A dire il vero, no... è un ragazzo molto riservato, lo conosco perché alcune volte va con Justin a vedere delle partite di basket, è il mio vicino, lo incrocio spesso ma niente di più.» rispose, mantenendo lo sguardo confuso in viso.

«Amy, l'insegnante di danza ha voluto vedere tutte le matricole singolarmente, ci ha esaminati e classificati. C'era gente che usciva dall'aula in lacrime...» ripresi fiato e continuai «Sai a me cos'ha detto? Che sono la peggiore tra tutte le matricole. Mi ha affidato un tutor per migliorare e arrivare pressoché al pari con gli altri... ed è l'unico modo che ho per avere i crediti necessari a superare l'anno.»

«Non mi dire che...» disse senza terminare la frase.

Annuii, leggendole negli occhi il nome di Matt.

«Questa sì che è bella!» rise.

Pochi minuti più tardi rientrò Justin, cenammo tutti insieme e verso le dieci mi diressi in camera.

Decisi di prendere il computer portatile che avevo messo in valigia da Milano, entrai nella posta elettronica, nel caso in cui avesse scritto la scuola, e trovai, invece, una mail da un contatto sconosciuto.

 

Da: rnty.mic@live.com

A: lovebea@live.com

Oggetto: none

 

Ehi, piccolo danno!
Tra le mail dell'accademia sono riuscito a trovare la tua, per fortuna – non ho ancora il tuo numero, cosa aspetti a lasciarmelo? So che abiti, momentaneamente, nella casa accanto alla mia ma non posso venire da te ogni volta che dobbiamo organizzarci per le lezioni intensive, non trovi?

Comunque, la signorina Eleonor mi ha appena scritto che vuole vederci domani mattina per le 10.00 al solito edificio. Presentati in abbigliamento consono, mi raccomando.

A domani ;)

 

P.S. Sono curioso... lovebea sta per “love” di Loveti, “b” di Barbara e “ea” di Lea, vero?

 

Cliccai su rispondi ma non ebbi il tempo di scrivere nulla perché la chat, essendo connessa, aprì una finestra con una conversazione: Matt aveva appena scritto in chat.

 

Matt: Ehi

Barb: Sì...

Matt: Cosa?

Barb: Sì, è la risposta.

Matt: …

Barb: Al post scriptum!

Matt: Ah! Sono un genio :) Ascolta, lasciami il numero di telefono... devo staccare.

Barb: 212-357-3050

* Matt ha lasciato la conversazione *

 

Rimasi male dal modo in cui abbandonò la conversazione, senza un saluto né qualcosa che mi facesse intendere che se ne sarebbe andato.

Però ha il tuo numero...

Avrei voluto il suo, per scrivergli che l'educazione non è un optional al quale ci si poteva detrarre in quel modo.

Sì, proprio per questo desideri il suo numero!

Alzai gli occhi al cielo in segno di resa e spensi il computer; presi la borsa che avrei utilizzato per la scuola e misi dentro lo stretto necessario per il giorno seguente: un cambio, l'asciugamano, un quaderno nel caso in cui sentissi bisogno di scrivere degli appunti, l'astuccio, misi anche il cellulare e poche altre cianfrusaglie.

Tornai a letto, sdraiandomi supina. Mi ritrovai a fissare il soffitto pensando ai cambiamenti che avrebbe avuto la mia vita da quel momento, dal momento in cui avevo preso l'aereo per New York. Qualche mese prima di partire, ricordai, c'erano molte persone riluttanti e scettiche quando si trattava dei classici sogni americani: “Il mito degli States... sì, un classico che poi delude. Non capirò mai tutta questa mania di partire oltreoceano quando in Italia abbiamo così tante belle cose...”, sembravano proprio le parole di chi non ha mai avuto il coraggio di andare oltre le proprie paure, di fare qualcosa di incerto, qualcosa da un finale non scontato e banale, che ti avrebbe portato a cambiare. Eppure c'erano così tante persone troppo chiuse mentalmente per comprendere quanto sia importante, per dei ragazzi, crescere seguendo le proprie passioni, inseguendo dei sogni con le proprie forze, dando l'anima per ciò che amano. Quanti rimpianti porterebbe la rinuncia a un sogno senza averci nemmeno provato? Non avrei mai accettato di ritrovarmi, un domani, con la mente invasa da perché o chissà.

Cullata da tutti quei pensieri, mi addormentai.

 

Entrai in aula poco prima delle dieci, Eleonor e Matt erano già dentro ad aspettarmi. Guardai Eleonor, intimorita, e salutai Matt con un cenno del capo, ripensando al modo maleducato con il quale si era scollegato dalla chat il giorno precedente.

«Come diavolo sei vestita?» esclamò Malefica, con un'espressione disgustata.

Abbassai lo sguardo, facendo una rapida scansione al mio abbigliamento: pantaloni lunghi, larghi e comodi, una canotta semplice e aderente e delle scarpe da tennis.

La guardai impietrita e con occhi indifesi, avrei voluto dirle che non immaginavo indumenti più comodi per una lezione di danza, ma prima che la mia incoscienza proferisse parola lei continuò il discorso.

«Nome e accento fanno intendere la tua ovvia provenienza dall'Italia, nonostante il tuo inglese sia impeccabile, ma, mia cara, dubito valga solo negli Stati Uniti: body e calzamaglia, o al massimo canotta e leggings... quelli vanno bene per la danza! Non questo scempio!» disse, indicando platealmente, dall'alto al basso, il mio corpo.

Prese il suo borsone e vi tirò fuori un paio di leggings bianchi di una lunghezza che, molto probabilmente, mi sarebbe arrivata fino al ginocchio.

«Va', in bagno e indossa questi, per favore.» concluse.

Feci come mi aveva detto e mi diressi in bagno. Con la coda dell'occhio, poco prima di uscire dall'aula, mi accorsi, dal suo gesticolare, delle direttive che stava dando a Matt.

Dio, quanto è acida!

Una volta pronta mi resi conto di indossare un intimo nero, davvero poco indicato quando si opta per dei pantaloni bianchi. Sentii subito le guance prendere colore, era davvero una situazione imbarazzante.

Tornai in aula, cercando di mettere da parte il disagio. Eleonor non c'era, trovai Matt seduto a terra ad aspettarmi. L'assenza di Malefica, che era pur sempre una figura femminile, non rese più semplice celare il mio turbamento; ciò nonostante, mi avvicinai fino ad averlo di fronte.

«Mi ha lasciato qualche indicazione per la lezione di oggi» disse, soffocando una risata.

«Che c'è?» domandai, indicandogli il sorriso accennato che dipingeva il suo volto.

«Nulla... va' alla sbarra, Barb!»

Torsi il collo per guardare alle mie spalle, il tutto senza voltarmi, e tornai a fissare Matt, rimanendo ferma sul posto.

Dubito tu possa fare una lezione di danza senza dargli le spalle!

Cominciai a provare un senso di profonda avversione verso le battutine sarcastiche della mia mente ma, mio malgrado, dovetti darle ragione. Mi girai, dando a Matt la visione del mio bel fondoschiena con intimo piuttosto visibile, e mi posizionai alla sbarra.

Notai, dando un'occhiata agli specchi, il suo sguardo rivolto proprio dove non avrei mai voluto trovarlo.

A chi la racconti?

«Oh, Gesù!» sbottai, arrossendo.

«Che hai?» chiese, confuso.

«Sì, ho dell'intimo nero... sai, non avevo previsto un abbigliamento bianco sopra. Non sono ancora diventata una veggente. Ad ogni modo, non sei autorizzato a fissare il mio bellissimo culetto!» risposi, a dir poco acida.

«Sì, devo ammettere che non è male... hai ragione.» esclamò, sogghignando.

Mi si aprii la bocca ma non riuscii a proferire parola, mi aveva appena detto che ho un bel posteriore.

Toccare per credere, Matt?

Non potevo credere ai miei stessi pensieri. Era possibile, in qualche modo, spegnere una parte della mente?

Si avvicinò, posizionandosi alle mie spalle. Alla nostra destra c'era la sbarra, davanti a noi una delle pareti ricoperte di specchi e a sinistra la parete con la porta d'ingresso, o d'uscita. Prese la mia mano e la sistemò sopra la sbarra, senza togliere la sua dal contatto. Fu inevitabile per me irrigidire ogni singolo muscolo del mio corpo.

«Ora, Barb, unisci le gambe, raddrizza la schiena ma cerca di rilassare le spalle.» ordinò, appoggiando la mano libera sul mio fianco sinistro.

Cercai di concentrarmi, continuare a respirare e seguire le sue istruzioni, ma il contatto con lui rese tutto più complicato. Chiusi gli occhi, inspirando, e senza rendermene conto irrigidii le spalle. Lui portò entrambe le sue mani sulle spalle, avvicinando il suo corpo al mio, per quanto fosse fisicamente possibile. Sentivo i nostri corpi aderire completamente, il che rese tutto ancora più imbarazzante.

«Rilassati!» sussurrò, massaggiandomi le spalle che improvvisamente si rilassarono come ammaliate dal suo tocco magico.

Perché non hai mai seguito un corso di danza prima d'ora?

«Ora, metti i piedi in linea tra loro, con la punta rivolta verso l'esterno.» continuò la spiegazione.

Abbassai di colpo lo sguardo, sentendo delle mani toccarmi coscia e polpaccio. «Cosa stai facendo?» lo ammonii.

«Le gambe, piccolo danno, devono rimanere tese!»

Era accovacciato, il volto proprio in vicinanza del mio sedere: non mi ero mai sentita a disagio come in quell'istante.

Durante le lezioni di recitazione fatte fino a quel momento non avevo mai provato una tale sensazione di imbarazzo, e i contatti fisici erano ovviamente presenti in alcune scene, ma quella non ero io: era come se il mio corpo fosse stato dato in prestito all'anima del personaggio che avrei dovuto interpretare. Era questo per me la recitazione: permettere alle anime di diversi personaggi di avere un corpo con il quale presentarsi, poter trasmettere le proprie emozioni al mondo, poter raccontare la propria storia. Sentivo, dentro di me, d'essere nata esattamente per quella ragione.

Un dolore improvviso distolse l'attenzione da quei pensieri e mi riportò alla realtà.

«Matt, mi fanno malissimo le gambe. È una posizione totalmente innaturale!» esclamai, con voce stridula causata dal dolore.

«È questione di esercizio, ci vorrà un po' di tempo.» replicò, rialzandosi.

Mossi le gambe, offrendo loro una postura più comoda, e mi voltai, senza ragione, a guardare Matt in viso.

Frenai ogni pensiero, intuendone la conclusione, e posai il dorso della mano sulla fronte per la stanchezza.

«Bene, piccola, questa era la prima posizione... se ti impegni, chissà, potremmo arrivare alla 69, che dici?» disse, strizzando l'occhio.

«Siete tutti uguali, oddio...» risposi interdetta e lui scoppiò a ridere.

Le ore seguenti passarono a suon di battute, esercizi di stretching e lunghe serie di addominali. Mi fece intendere che senza un fisico ben allenato sarebbe stato impossibile superare il corso e ottenere i miei crediti. Il mio corpo non era male: non mi consideravo magra né grassa, 51 chili per 1,71 metri di altezza erano più che giusti, il problema erano i muscoli: odiavo fare esercizi, correre, insomma ogni genere di movimento diverso dal camminare.

Mi sdraiai sul parquet dell'aula, completamente sfinita dalla lezione, mentre Matt si diresse verso la porta fermandosi, però, poco prima di uscire.

«Ti va di pranzare insieme, Barb?»

«Posso fare una doccia prima?» domandai, invece di rispondere.

«Riuscirai mai a non rispondere a una domanda con una domanda?» replicò lui, con l'ennesima domanda.

Mi sedetti, così da permettergli di notare il mio sorriso, e feci spallucce.

«Ci vediamo all'una e mezza davanti la mensa!» esclamò, uscendo.

Mi alzai, presi la borsa e mi diressi verso le docce presenti nell'edificio.

 

I giorni passarono piuttosto rapidamente, mi ritrovai catapultata a venerdì senza rendermene conto.

Entrai in aula, dieci del mattino e abbigliamento consono, ormai avevo imparato. Andai verso la sbarra, presumendo di dover ripetere, per la infinitesima volta, le posizioni e dimostrare i miei tremendamente impercettibili miglioramenti, ma Matt scosse la testa e si avvicinò.

«Oggi vorrei farti fare qualcosa di diverso...» disse, prendendomi per mano e portandomi verso l'unica parete senza né specchi né sbarra.

«Cosa...» cercai di formulare una domanda ma lui spinse il mio corpo affinché mi mettessi in ginocchio.

Non riuscii ad evitare di guardarlo negli occhi, confusa dal suo voler tenere misterioso quel che sarebbe stato il mio prossimo esercizio. Prese entrambe le mie mani e le portò a terra, facendole aderire perfettamente al pavimento.

«Ora stendi le braccia. Devono essere tese, Barb!» precisò.

Seguii i suoi comandi senza porre domande, sarebbe risultato inutile, e mi ritrovai con il busto spostato leggermente in avanti, rimanendo in ginocchio. Dallo specchio vidi Matt abbassare il corpo, afferrare i miei piedi e, mentre sussurrava un “stai tranquilla”, alzarmi le gambe e poggiarle al muro.

«Cosa cazzo stai facendo?» urlai, terrorizzata.

«Stai calma, respira e resta concentrata su ogni muscolo del tuo corpo.» rispose, severo.

Adesso cadi!

Ero derisa perfino da me stessa, il colmo. Cercai di rilassarmi, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, quando Matt lasciò i miei piedi e mi ritrovai in quella posizione assurda in un equilibrio precario.

«Aiuto...» esclamai, una frazione di secondo prima di sentire le gambe allontanarsi dal muro, le braccia cedere, la testa sbattere a terra e cadere.

Cercai di sedermi, premendo una mano sul punto in cui la mia testa era in procinto di preparare un bel bernoccolo. Sentii una lacrima scendere sul viso per il dolore alla testa. Scattai in piedi e tirai un pugno alla spalla di Matt che, nel frattempo, rideva compiaciuto, non ebbi il tempo di rendermi conto che non era una buona idea alzarsi di scatto dopo aver preso un colpo in testa: iniziai a perdere l'equilibrio, a causa della vista annebbiata, ma per fortuna lui mi prese.

Mi appoggiò la schiena al muro e si sedette accanto a me, tenne delicatamente la mia testa finché non la appoggiò sulla sua spalla. Preferii tenere gli occhi chiusi per non vedere la stanza girare.

«Sei proprio un cretino, lo sai?» dissi, con voce spezzata.

«Lo so... ma tu sei dannatamente divertente, piccolo danno!» replicò dolcemente.

Quel pomeriggio sarei dovuta andare in segreteria, aspettavo la risposta alla richiesta della camera, ma il mal di testa martellante mi impedì di fare qualsiasi cosa, compreso terminare la lezione con Matt. Fortunatamente, si offrì volontario e andò al mio posto, non avrei mai voluto perdere la possibilità di una camera tutta mia per colpa sua e delle sue folli idee per le lezioni.

 

Aprii gli occhi, il tempo di mettere a fuoco per notare dalla finestra che si era già fatta sera, e diedi un'occhiata all'orologio che segnava infatti le dieci. Mi alzai dal letto e mi diressi in cucina, sperando di trovare Amy; con mia sorpresa trovai lei, Justin e Matt seduti a tavola.

«Ehi...» mormorai, stropicciandomi gli occhi ancora intontita.

«Come ti senti?» chiese Amy, lievemente preoccupata.

«Frastornata... ma meglio!»

Matt mi regalò un sorriso che ricambiai un po' imbarazzata. Mi diressi verso il frigo, dentro al quale presi uno yogurt alla fragola, e andai a sedermi nella sedia a fianco a Matt.

Mi soffermai qualche secondo ad ascoltare la voce di Amy: era presa dal racconto della sua giornata lavorativa, con Justin e Matt in ascolto. Guardai Matt, il quale distolse lo sguardo da Amy per rivolgermi un sorriso; ricambiai, pur non comprendendo la ragione di quel gesto, così come la sua presenza in casa. Decisi di non sforzare la mente dietro a domande troppo complicate, terminai il mio yogurt e andai a farmi una doccia. Avendo dormito tutto il pomeriggio, sarebbe stato disumano riuscire a prender sonno ad un orario decente, perciò indossai un paio di jeans, una maglia lunga nera e le converse. Sbucai in cucina, chiesi ad Amy e Justin se avessero voglia di fare due passi ma entrambi risposero di essere davvero stravolti e che sarebbero andati a dormire a minuti. Avrei voluto invitare Matt ma notai subito la sua assenza dalla cucina, mi sorprese il dispiacere che mi provocò. Presi borsa, chiavi ed uscii di casa.

Pensai di andare verso Central Park, sapendo di avere ancora delle ore prima della chiusura - prevista per l'una di notte. Il cielo era nuvoloso e il vento faceva intuire l'arrivo dell'autunno, qualche giorno prima avrei trovato persone con indumenti decisamente più leggeri, mentre in quel momento cominciavano a spuntare delle giacche. Notai con piacere quanto fosse diversa Manhattan da Milano: quelle poche volte che ero andata in centro la sera, durante l'inverno e non nei fine settimana, con difficoltà avevo trovato così tante persone a passeggio. C'erano soprattutto negozianti pronti a chiudere, oppure bar aperti con i classici clienti ritardatari che facevano sforare l'orario di chiusura. Le zone più frequentate non erano realmente in pieno centro, ma nemmeno Brera e Navigli erano poi così popolati in settimana.

Quella differenza mi fece sorridere, mi sentii quasi più libera, in grado di poter fare qualsiasi cosa indipendentemente dall'ora. Probabilmente questa leggerezza non era che la conseguenza di una vita ricca di vincoli e restrizioni, mio padre non amava lasciarmi uscire e spesso mi ritrovavo in situazioni spiacevoli come il dover dire no, infinite volte, alle poche persone che nonostante tutto speravano di riuscire a vedermi anche al di fuori del contesto scolastico. Tutti quegli atteggiamenti così preistorici avevano causato quella grande bolla di rancore che viveva ormai dentro di me da diversi anni, crescendo giorno dopo giorno. Sapevo bene che non avrei resistito per sempre, che non sarebbe stato umano poter gestire tutta quella rabbia senza mai esplodere e forse era anche questo che mi aveva spinto a comprare il biglietto per New York.

Ripensai alla prima volta che avevo messo piede nel continente dei miei sogni, ai miei lontani quindici anni. Erano passati quattro anni, ormai, ma il ricordo era così limpido nella mai mente e nel mio cuore... dovevo ringraziare i miei nonni, gli unici in grado di comprendermi realmente, gli unici in grado di opporsi all'ostinazione irragionevole di mio padre. Fu il regalo più bello di sempre.

Loro ti regalarono New York, la possibilità di incontrare una ragazza splendida come Amy e tu li ringrazi sparendo per sempre dalla loro vita...

Sentii una lacrima rigarmi il viso, l'asciugai prontamente con il dorso della mano e cercai di distrarmi, pensando ad altro.

Trovai una panchina libera, così presi posto e iniziai a guardare una coppia di gemelli rincorrersi, supposi avessero massimo quattro anni, erano adorabili. Madre e padre tenevano d'occhio il gioco dei bimbi mentre chiacchieravano, guardandosi con l'amore che traspariva dagli occhi. Pensai fossero stupendi, madre, padre e figli; una famiglia felice, spensierata, almeno in apparenza, e piena d'amore.

Improvvisamente suonò il telefono, lo presi dalla borsa e mi accorsi di non conoscere il numero. Mi venne in mente la scuola, dimenticai fino a quel momento di aver lasciato Matt in segreteria e di aspettare una risposta per la stanza all'interno del campus.

Aprii il messaggio.

 

Piccolo danno, come stai?

Scusa se sono andato via prima di lasciarti il resoconto della segreteria, ho avuto un imprevisto. Comunque domani, in mattinata, devi recarti in segreteria così ti consegnano le chiavi. Hanno detto che se dopo la fine del primo semestre avrai preso tutti i crediti necessari con una buona media, la borsa di studio coprirà tutte le tue spese – stanza, retta, cibo, lezioni extra con specifiche persone interessanti...
Ma non divaghiamo! Lunedì cominciano i corsi, perciò dovremo metterci d'accordo per le nostre lezioni private... ;)

Ti aspetto domani pomeriggio a casa mia!

 

Dolce notte, piccola.

Matt

 

La mia mente riuscì a pensare solo tre cose: “piccola”; “a casa mia”; hai il suo numero!

Sorrisi, scuotendo il capo, e tornai a casa.

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Eccoci qui, con il nuovo capitolo tutto per voi.
Sono sempre più agitata, questa storia mi sta entrando nel cuore e spero tanto abbia lo stesso effetto con voi.
In seguito alla pubblicazione del prologo, devo ammettere, sono rimasta puttosto soddisfatta: non mi aspettavo così tante visite e ben dieci recensioni. Mi avete davvero resa felice.
Sono molto contenta anche che abbiate apprezzato i personaggi, ho amato leggere pareri differenti su di essi... conoscere il vostro pensiero aiuta molto! :)

Ringrazio tutte le splendide anime presenti nel gruppo - honeyes, se voleste unirvi a noi - che mi fanno ridere con i loro commenti e le loro folli idee/supposizioni. Ringrazio tutte le persone che hanno letto il prologo, chi ha recensito, chi ha letto anche questo capitolo e chi mi sostiene sempre, incoraggiandomi e spronandomi ogni giorno.
Grazie alla mia Beta Reader, ogni volta che rileggo il capitolo dopo una sua correzione mi ritrovo con il sorriso e qualche risata - è tosta, credetemi... ma è fantastica!

Anche questa volta lascio dei consigli: | Hurt Lovers | Gli eroi di Sandpoint | :)

Grazie ancora a tutti!
Willa 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

betato da MedusaNoir


 

Quella sera tornai a casa verso l'una, subito dopo essere stata a Central Park e aver ricevuto il messaggio da Matt. Passai il resto dell'intera nottata a leggere l'unico libro che ero riuscita ad infilare in valigia alla partenza: Divergent. Ricordai di averne sentito parlare da una mia compagna di classe l'anno precedente ma non ebbi modo di leggerlo prima di quel momento, così sfruttai la mancanza di sonno più che giustificata per catapultarmi nel mondo dispotico di Veronica Roth. Fu inevitabile: mi innamorai dei personaggi principali in pochissime pagine e, una volta conclusa la lettura, presi il computer per cercare maggiori informazioni sulla scrittrice. Un sorriso apparve sul mio volto non appena scoprii che era presente una stesura cinematografica del libro, trovai addirittura delle foto prese dal set e dagli scatti pubblicati dalle riviste più importanti.

Mi domandai se un giorno anche io avrei avuto l'onore di poter interpretare il ruolo di un'eroina come Tris, indubbiamente diverrebbe uno dei momenti più incredibili della mia vita.

Continuai a girovagare per la rete, scoprendo l'esistenza di un secondo libro, Insurgent, e pensai di comprarlo in lingua originale nei giorni a seguire. Guardai l'orologio, sentendo dei brontolii arrivare dal mio stomaco: erano le otto del mattino così pensai di prepararmi la colazione per poi recarmi a scuola e prendere le chiavi della mia stanza.

«Buongiorno!» esclamai, entrando in cucina e trovando Amy e Justin già pronti per uscire.

Entrambi risposero al saluto. Avvisai velocemente Amy, dicendole che quel fine settimana mi sarei trasferita a scuola, nella stanza che finalmente era pronta per me. Fu felice e dispiaciuta allo stesso tempo. Lasciò un bacio sulla mia guancia e si incamminò controvoglia verso la redazione del suo stage che, per fortuna, il sabato prevedeva solo quattro ore. Entrambi iniziavano l'orario di lavoro verso le otto e mezza, perciò erano di fretta quella mattina.

Terminata la colazione, tornai in camera, infilai dei jeans scuri e una camicia a quadri colorata, presi anche una giacca leggera da portarmi dietro. Il tempo si era guastato la sera precedente, i gradi erano scesi bruscamente e forse avrei indossato anche la giacca leggera per non prendere freddo. Uscii e, mentre chiudevo la porta con le chiavi, girai lo sguardo verso casa di Matt: quel pomeriggio sarei stata da lui, finalmente avrei visto dove viveva. Avrei studiato nei dettagli ogni angolo dell'abitazione, cercando di scoprire qualcosa in più di lui tramite il luogo in cui alloggiava. Desideravo ardentemente conoscerlo più nel profondo, nonostante mi rifiutassi di pensare ad un mio coinvolgimento nei suoi confronti.

Chi se la beve?

Scossi il capo, tolsi rapidamente le chiavi dalla serratura e chiamai l'ascensore. Fu ovvio il rossore delle mie guance dopo aver fissato l'ingresso di casa di Matt per qualche minuto; avrei potuto fare una delle mie splendide figure se avesse aperto e fosse uscito scoprendomi a guardare la sua porta. Fortunatamente non capitò, arrivò l'ascensore e scrollai di dosso l'imbarazzo.

Mi stupii, una volta arrivata al campus, di trovare così tante persone anche il sabato mattina: dimostrazione di quanti risiedevano nell'edificio piuttosto che cercare case in affitto e condivise con chissà quanta altra gente. Entrai in segreteria, stranamente vuota, e mi diressi verso la signora seduta alla scrivania.

«Buongiorno» esordii, educatamente.

«Buongiorno, signorina» rispose con un sorriso la donna senza nome.

«Sono Barbara Loveti! Ieri è passato per mio conto Matthew Clarke, un ragazzo del terzo anno. Mi ha detto di venire qui in mattinata per le chiavi della stanza.»

La signora si alzò subito dalla sedia e si diresse verso uno degli scaffali presenti nel fondo della segreteria, poi tornò indietro porgendomi un mazzo di chiavi.

«Sono Caroline McNighty, spesso troverai me qui in segreteria. Ti lascio qualche informazione, così che tu possa muoverti senza troppi problemi all'interno del campus: le stanze sono tutte dotate di un bagno personale con doccia, la tua è singola, una delle poche disponibili... non so se per te sia una bella notizia o meno, ma il lato positivo è che non dovrai gestire i tuoi orari tenendo conto della presenza di un'altra persona. La cucina non c'è, non in stanza perlomeno. Puoi trovare però la mensa aperta fino alle dieci di sera, oppure uno spazio comune all'interno del quale potete cucinare qualcosa... solitamente viene utilizzato per la colazione, difficile trovare studenti vogliosi di cucinare. Ah, stavo dimenticando, c'è anche la lavanderia in comune! Penso di aver detto tutto...» concluse, gentilmente.

«Per quanto riguarda dei lavori? Io non ho molto da parte, ho bisogno di lavorare per potermi permettere gli studi e... l'alloggio.» risposi, leggermente preoccupata.

«Cara Barbara, ogni studente viene trattato a seconda della propria situazione. L'accademia è a conoscenza del fatto che sei qui completamente sola, che non sei cittadina americana e sei senza un lavoro. Esistono delle agevolazioni: diamo la possibilità agli studenti stranieri di poter pagare tutto a fine anno, così che non dobbiate “anticipare” le rette nel caso in cui otteniate la borsa di studio. Se ti impegnerai e risulterai un'ottima studentessa, vista la situazione economica in cui ti trovi, non potremo negarti la borsa di studio.» replicò, esaustiva.

«La ringrazio, Caroline... volevo dire Signora McNighty!»

Salutò sorridendo, mi voltai e andai verso l'uscita della segreteria.

Avevo la mia stanza, un posto tutto mio, la cosa più simile ad una casa che si potesse avere nella condizione in cui ero. L'emozione mi fece venire la pelle d'oca.

Camminai lungo il corridoio del primo piano, avevo il numero 135 ed ero al 107, ero così impaziente da sembrare una bambina in attesa di andare alle giostre. Una volta davanti alla stanza entrai senza esitazione: era semplice, la classica stanza di college, eppure rimasi a fissarla ammaliata da ogni singolo dettaglio. Alla destra della porta d'ingresso c'era l'appendiabiti, alla sinistra uno spazio libero fino al comodino con accanto un letto a una piazza e mezza; davanti all'appendiabiti una parete era quasi completamente occupata da un grande armadio e subito dopo una scrivania e una sedia; sulla parete opposta alla porta c'era una finestra con vista campus, mentre più a destra c'era una cassettiera; infine, a sinistra della cassettiera e a destra del letto notai una porta che doveva condurre al bagno.

Che meraviglia...

Fremevo dalla voglia di riempire quel luogo e renderlo mio, volevo fare in modo che chi entrasse riconoscesse subito che quella era la mia stanza... la mia 135.

Tornai a casa di Amy per recuperare tutte le mie cose: immensa valigia, zaino, computer, lasciai lì solo una borsa che avrei recuperato la sera dopo essere stata da Matt.

Oh, Matt!

Sospirai, pensando al pomeriggio, per poi prendere tutti i miei bagagli e incamminarmi nuovamente verso il campus. Avevo lo zaino in spalla, la borsa tracolla, il computer in una mano e nell'altra trascinavo la valigia che grazie al cielo era dotata di ruote. Con fatica, sudata e sfinita arrivai alla mia nuova casa, impiegandoci più del solito.

Porta meno cose la prossima volta!

Come se non avessi lasciato già troppe cose a Milano, pensai.

Nonostante la stanchezza, frutto di una notte in piedi, misi in ordine tutti i miei vestiti e cianfrusaglie varie. Sul comodino posizionai una foto incorniciata, ero ritratta con mia sorella, ci abbracciavamo in una giornata di mare. Fu un suo regalo, datomi qualche giorno dopo la litigata con mio padre. Sembrava quasi avesse compreso tutto, come se intuisse che sarei andata via e volesse lasciarmi un pezzo di lei. Continuai a guardare la foto, sperando con tutto il cuore che lei non ce l'avesse con me per averla abbandonata senza nemmeno un saluto.

Quando scostai lo sguardo verso la sveglia notai con stupore come fosse volato il tempo: erano già le due del pomeriggio e l'appuntamento a casa di Matt si avvicinava.

Corsi subito in doccia, feci uno shampoo veloce e, per non perdere troppo tempo, decisi di lasciare asciugare i capelli al naturale. Indossai un paio di jeans chiari, una canotta con fantasia floreale, le mie solite converse e per il tratto di strada un giubbotto di pelle nero. Decisi di truccarmi: non avrei chiuso occhio fino a sera e un po' di trucco avrebbe mascherato la stanchezza. Un filo di matita nera, eyeliner, mascara e del burrocacao per ammorbidire le mie labbra costantemente secche ed ero pronta.

Non mi diressi subito verso casa di Matt, passai prima dalla mensa per mangiare qualcosa così arrivai da lui alle tre e mezza.

«Ciao, piccolo danno!» salutò, abbracciandomi.

Era incredibile come riuscisse a darmi quella scarica di adrenalina con un semplice contatto. Gli sorrisi ed entrai in casa, curiosa e impaziente di vedere ogni singola stanza.

Cinse i miei fianchi per fare strada: l'ingresso era in soggiorno, grandissimo e con delle portefinestre che davano su un balcone, c'era un divano con davanti la televisione e diversi mobili in stile contemporaneo. Il soggiorno aveva tre porte, una a sinistra che conduceva in cucina - una stanza leggermente più piccola ma anch'essa molto spaziosa - mentre le altre due sulla destra davano l'una accesso a un bagno grandissimo, con vasca idromassaggio, l'altra alla camera da letto. Non mi dispiaceva la casa, era accogliente e moderna, piena di dettagli che le regalavano quel tocco unico e personale.

Finito il giro della casa mi fece sedere sul divano e prese posto accanto a me dopo avermi offerto un bicchiere d'acqua.

«È una bella casa, complimenti!» mi sentii di dire.

«Sì, mia zia è arredatrice di interni... perciò, direi che ho barato.» sorrise, rivelandomi che la bellezza della casa non era tutta farina del suo sacco.

Mi alzai per portare il bicchiere in cucina e gli chiesi quali fossero le sue intenzioni per le nostre lezioni.

«Penso dovremo vederci in serata...» rispose, seguendomi. «Ho lezione quasi tutto il giorno, essendo l'ultimo anno.»

Annuii, pensando al mio orario ben più blando del suo.

«Tutto bene?» chiese, notando la mia scarsa loquacità.

«Sì, scusa... sono distrutta! Ieri, avendo dormito fino alle dieci di sera, ho passato la notte a leggere, mentre questa mattina ho trasferito tutte le mie cose al college. Credo di essere sul punto di crollare!» confessai.

«Capisco, mi spiace per la botta di ieri... ma non puoi capire che scena!»

Lo spinsi, fingendomi offesa, ma lui non si mosse di un passo. Lo sentii prendere invece la mia mano e con estrema professionalità farmi fare una giravolta seguita da un casqué che mi tolse il fiato. Avevo il suo viso vicinissimo, riuscivo perfino a sentire il nostro respiro mescolarsi. Le mie labbra si schiusero automaticamente, erano incontrollabili, mentre tutto il resto del mio corpo si irrigidii, segno della tensione che percepivo in quel momento. Avvertii la sua mano scorrere lungo la mia schiena, provocandomi dei brividi; Matt avvicinò il viso al mio fino a toccare il lobo del mio orecchio con le labbra.

«Ho bisogno di fare una doccia veloce prima di parlarti delle prossime lezioni... ti va di aspettare?» sussurrò.

Chiusi gli occhi istintivamente, cercando in qualche angolo del mio corpo la forza di reagire a quel contatto estremamente pericoloso. Riuscii, sorprendentemente, a staccarmi da lui e annuire incamminandomi verso il divano. Tutto senza proferire parola.

Mentre Matt entrava in bagno accesi il televisore: fortunatamente aveva accesso ai canali satellitari a pagamento, trovai così quelli dedicati al cinema e lasciai su un film in prima visione.

Prima visione statunitense, accidenti!

Era incredibile, credetti di provare le stesse emozioni di Colombo quando pensò di aver trovato le Indie.

Tolsi le scarpe per dispormi comodamente sul divano, stesi le gambe e poggia la testa su uno dei cuscini, sporgendomi leggermente per prenderne un altro e abbracciarlo – cosa che facevo abitualmente. Bastarono pochi minuti: comodità e stanchezza mi cullarono fino a farmi addormentare sul divano di casa di Matt.

 

Aprii gli occhi, li stropicciai e confusa mi guardai attorno. Ero su un letto ma non era quello di casa di Amy. Portai nuovamente le mani agli occhi per provare a togliere la vista annebbiata e mi resi conto di non essere nemmeno al college: ero sul letto di Matt.

«Oh, cazzo!» esclamai a voce alta. Un istante dopo entrò Matt dalla porta di camera sua.

«Dormito bene?» sorrise, facendo l'occhiolino.

«Scusa... non pensavo di essere ven... insomma, arrivata al tuo letto!» dissi, guardandomi intorno e arrossendo per l'imbarazzo.

«No, no... uscito dalla doccia ho visto che ti eri addormentata e ho pensato di farti stare più comoda.» rispose Matt con innocenza.

«Grazie e scusa, davvero...»

Mi alzai dal letto, guardai l'orologio e per fortuna notai di non aver dormito fino a tardi. Se fossi rimasta nel mondo dei sogni per tutto il pomeriggio mi sarei ritrovata a vagare ogni notte per New York.

«Hai voglia di una cena veloce?» chiese, mentre lo superavo per raggiungere il soggiorno.

Lo fissai un secondo. Improvvisamente avvertii il suo odore sulla mia pelle, doveva essermi rimasto addosso mentre dormivo sul suo letto, fu una gradevole sensazione che però non riuscivo a spiegarmi. Lui mi guardò alzando un sopracciglio, era in attesa di risposta che diedi con un cenno del capo.

Con un po' di fatica, conquistai il mio posto in cucina e preparai la cena: cucinai una carbonara arrangiata, considerando la scarsa quantità di ingredienti presenti, molti dei quali non erano nemmeno del tutto esatti. Ciò nonostante il risultato conquistò il palato di Matt che spazzolò tutta la pasta in breve tempo. Mi sorpresi nel vederlo mangiare così velocemente un mio piatto; quando ero a casa, a Milano, cucinavo raramente perché mia madre era particolarmente gelosa della sua cucina e salvo rare eccezioni cucinare era off-limits per tutti.

«Era buonissima, Barbi!» disse, leccandosi i baffi.

«Grazie. Tu sai cucinare?» chiesi, curiosa.

«No, altrimenti sarei perfetto!» rispose con una modestia inesistente.

Scossi il capo e mi alzai per sparecchiare la tavola, lui cercò di fermarmi ma lo respinsi in maniera abbastanza convincente, mandandolo in soggiorno a guardare la televisione mentre cominciavo a lavare e sistemare tutto.

Una volta finito lo raggiunsi in soggiorno, volevo sapere cosa avremmo fatto nelle prossime lezioni e magari strappargli qualche consiglio per non passare le ore di danza con Malefica intenta ad umiliarmi davanti a tutti i compagni di corso.

 

Primo giorno di lezione: avevo l'intera mattina occupata dalle ore con Malefica. Mi diressi verso l'edificio con largo anticipo, sperando di non trovare nessuno e poter provare in santa pace quel che Matt mi aveva insegnato.

Se ti impegnassi di più invece di pensare a lui...

Entrai in aula, sbuffando con me stessa, e appena alzai lo sguardo trovai una ragazza concentrata a eseguire degli esercizi. Era una bella ragazza, bionda, bel fisico e decisamente molto brava nell'eseguire quei passi. Decisi di avvicinarmi e salutarla, avrei dovuto parlare a qualcuno prima o poi e sicuramente non era il contesto adatto per far emergere il lato timido che mi contraddistingueva.

«Ciao! Sono Barbara...» dissi, porgendole la mano.

Lei interruppe i passi e si voltò, squadrandomi dalla testa ai piedi. Una scossa percorse tutto il mio corpo, quella ragazza cominciava ad essere davvero inquietante. Alzò un sopracciglio, come contrariata, e tornò ai suoi esercizi. Era davvero maleducato da parte sua non rispondere proprio a un saluto, non pretendevo diventassimo migliori amiche ma “il saluto non si toglie nemmeno ai cani” diceva sempre mia madre. Ignorai il suo gesto scortese e andai a sedermi in un angolo.

Addio esercizi!

Ovviamente con Misssono bella, brava e tu cosa sei” lì non avrei osato muovermi più del dovuto. Fortunatamente passarono pochi minuti prima che l'aula cominciasse a riempirsi. Una volta entrate altre persone iniziai a sentirmi meno tesa e cercai di convincermi che probabilmente sarebbe andato tutto bene.

Quando arrivò Malefica notai, forse impressionata, che tutti quelli che erano in piedi a provare qualche passo si erano catapultati a terra quasi senza respirare e in attesa che lei aprisse bocca. Era davvero necessario terrorizzare i propri alunni? Se era così brava come sosteneva alla presentazione, perché doveva atteggiarsi in quel modo? Proprio non riuscivo a comprendere.

Diede ordine di metterci accanto alla sbarra e constatai priva di stupore che la ragazza poco educata si era posizionata proprio vicino all'insegnate.

Classica lecchina!

Eleonor diede un rapido controllo a tutta la stanza, quasi come volesse fare l'appello incenerendoci in silenzio, e appena incrociò il mio sguardo si avvicinò.

Mayday, mayday! Stiamo precipitando!

Altroché, avevo come la sensazione che da quel momento non avrei mai più detto no ad un invito a fare bungee jumping. Cosa poteva essere peggio della mia insegnante di danza?

«Spero tu abbia imparato qualcosa durante questi giorni, occhi blu.»

Ero pietrificata, la sua sola vicinanza mi causò un arresto cardiaco seguito da palpitazioni. Forse non avrei dovuto pensare a un'eventuale borsa di studio: non avrei mai ottenuto quei maledetti crediti, era ovvio quanto mi detestasse.

La lezione si rivelò una delle peggiori esperienze della mia vita: Eleonor non fece altro che umiliarmi, ogni scusa era buona per avvicinarsi e deridermi insieme alla classe – classe capitanata dalla biondina maleducata che non aveva risposto al mio saluto. Ero furiosa, frustrata e in estremo imbarazzo. Appena terminate le ore mi lanciai verso la borsa per scappare da lì, non avrei voluto sentire la parola “danza” almeno fino al giorno successivo, ma sfortunatamente non era ancora conclusa la fase terribile della mia giornata.

«Non sapevo questa scuola accettasse anche i casi disperati! È proprio vero allora, quest'anno va di moda la beneficenza...»

All'affermazione della ragazza maleducata seguirono le risate fastidiose del suo gruppetto di amiche.

«Sei sempre la solita, Erika!» rispose, ridendo, una compagna al suo fianco.

Che dici, spacchiamo i denti a questa Erika?

L'istinto animale che era in me suggeriva proprio quello: prendere il bel visino di Erika e darle una bella ginocchiata sui denti in modo che avrebbe smesso di sorridere... ma farsi espellere dalla scuola il primo giorno di lezione non era poi così brillante come idea. Usando ogni cellula del mio corpo, uscii dall'aula e andai dritta alla mensa.

Come sospettavo la sala era piena di gente rumorosa in fila per il cibo. Aveva proprio ragione la povera Caroline della segreteria dicendo che era davvero difficile trovare giovani studenti vogliosi di cucinare. In nostro favore pensai al fatto che avevamo davvero poco tempo, soprattutto all'ora di pranzo.

Mangiai un piatto leggero, la lezione di danza mi aveva chiuso lo stomaco e non volevo rischiare per poi star male durante le ore di recitazione che avrei avuto quel pomeriggio. Per fortuna avevo un'ora prima dell'inizio del corso da me più atteso, così colsi l'attimo e andai a fare una doccia veloce.

Arrivata davanti l'aula del corso di recitazione mi soffermai a leggere un volantino:

 

The Great Gatsby

Iscrizioni ai casting aperte 1-15 Ottobre

Rivolgersi a Alexander D'Oneil (Insegnante di recitazione)

Guest Star: Nathaniel Harding nel ruolo di Jay Gatsby

 

Improvvisamente sentii una mano toccarmi la spalla: una ragazza a me sconosciuta mise il braccio intorno alle mie spalle, trascinandomi verso l'ingresso dell'aula.

«Ciao, bellezza! Io sono Jennifer, sono del secondo anno ma l'anno scorso ho fallito questo esame...» esordì, con movenze curiose. «Qual è il tuo nome?» chiese, concludendo la presentazione.

«Ehm... Barbara...» le risposi, ero molto imbarazzata a causa del suo atteggiamento espansivo poco conforme alla mia timidezza.

«Hai un accento quasi impeccabile, mia cara! Ma sono una newyorkese doc, quindi non mi sfugge nulla... di dove sei?» domandò, squadrandomi dalla testa ai piedi.

Mi sentii quasi sotto interrogatorio, speravo solo non fosse un'altra Erika: una per corso era eccessivo pure per un santo.

«Milano... sono italiana» dissi, cercando di liquidarla e tornare ai miei programmi.

«Oh, pizza!» esclamò, facendo l'occhiolino.

Alzai gli occhi al cielo ma un sorriso si impossessò del mio viso e fu impossibile nasconderglielo.

«So cosa stai pensando, te lo si legge negli occhi: chi è questa pazza e cosa vuole da me?» sospirò, per poi riprendere: «Questa scuola è frequentata sempre dalle stesse persone. Sembrano quasi tutti fatti con lo stampino, hai presente? Sedicenti che girano per il campus credendo di poter comandare tutto e tutti; decidere dove, come e quando dare una festa; arrivare dove vogliono nella vita... insomma, ci siamo capite. Mi sei sembrata diversa, nessuno studente si è mai fermato davanti agli annunci prima d'ora. Solitamente è il professore a dover implorare per una partecipazione, spesso anche minima. Si sentono tutti figli d'arte già arrivati chissà dove!»

«Tutto questo è assurdo!» obiettai con irritazione.

Jennifer annuì, concordando.

«Nessuno è obbligato a frequentare questa scuola, stare qui e studiare questo genere di discipline e per di più non è gratis! Quale assurdo motivo spinge questa gente a non partecipare a delle iniziative come una rappresentazione teatrale? Se sono qui per diventare attori è il minimo che possano fare. E lo stesso vale per ballerini, cantanti e tutto il resto...»

Cominciavo a innervosirmi, mi sembrava così assurdo che una persona si potesse imbarcare in un percorso di studi come quello per poi prendere il tutto così superficialmente.

Adesso non sfogare la tua frustrazione con questa povera anima arrivata qui per caso!

«Scusa, Jennifer. So di aver fatto una pessima impressione ma sono molto timida e mi hai parlato di un argomento che mi scalda parecchio. Possiamo ricominciare? Oggi è stata una pessima giornata.» ammisi.

Jennifer gentilmente sorrise.

Entrammo in aula in attesa dell'arrivo dei compagni e dell'insegnante che arrivarono a distanza di pochi minuti.

La lezione passò velocemente: Alexander D'Oneil, il nostro insegnante, ci fece presentare davanti a tutti compagni ma, a differenza di ciò che provavo durante il corso di danza, non sentii alcun disagio. Era sempre così, in ogni scuola di recitazione la prima cosa era la presentazione, era un modo come un altro per dar modo al professore di conoscere qualcosa di te, di studiarti mentre eri al centro dell'attenzione di un'intera platea, una sorta di test d'ingresso.

Il professore si congedò rapidamente e andò via prima che potessi avvicinarmi per parlare dello spettacolo al quale avrei voluto presenziare, ma fortunatamente l'avrei rivisto il giorno successivo perciò non mi allarmai più di tanto. Ero felice di aver terminato le lezioni, anche se avrei dovuto vedere Matt più tardi, così mi diressi verso i dormitori, sognando già qualche momento di relax più che meritato.

 

Uscii dalla mia camera verso le otto e mezza, l'incontro con Matt era fissato per le nove – pensammo fosse l'orario migliore per entrambi: non era troppo tardi né presto e, tenendo conto le due ore fisse che pretendeva Eleonor, non saremmo andati a dormire a un orario indecente.

Il campus era deserto, a quell'ora solitamente i ragazzi sono in camera, a mangiare o al massimo in giro per New York a godersi le meraviglie di una città che non dorme mai. Arrivata all'edificio sede del male notai le luci accese, cosa che non era assolutamente presente in tutti gli altri, escluso il complesso dove risiedevamo noi studenti.

Entrai, cercando di non farmi sentire, volevo fare uno scherzo a Matt e farlo spaventare: era seduto a terra, sembrava concentrato con l'iPod in mano e in cerca di qualche canzone.

«Bu!» esclamai, augurandomi di averlo spaventato.

Matt fece un salto, segno che il mio piano aveva riscosso successo, e un sorriso apparve istantaneamente sul mio volto.

«Ma razza di piccola peste» sussurrò.

Si alzò di scatto e mi prese in braccio, facendo uscire un lieve urlo che ricoprì l'intera stanza. Cominciò a farmi il solletico, pur mantenendo salda la presa per non farmi cadere: lo soffrivo dannatamente così, tra risate incontrollabili, urla, e preghiere del genere “Matt, ti scongiuro, mettimi giù”, cercavo di scappare dalla sua presa... cosa che si rivelò impossibile.

«Chiedi scusa al tuo splendido Tutor, piccolo danno!» ordinò, continuando senza sosta a solleticarmi ovunque.

Ovunque? Ti piacerebbe...

«Scus...»

Non riuscivo a terminare la parola, non con le risate che mi soffocavano.

«No, no... devi dire testuali parole: “Scusa, mio insuperabile e super attraente Tutor”»

Ah, però...

Gli diedi dei pugni sulle spalle, implorandolo di farmi scendere.

«Non ti dirò mai quella frase, brutto idiota!» lo provocai.

Matt mi buttò a terra, facendo attenzione che non prendessi colpi dolorosi, e si inginocchiò con le gambe che stringevano le mie per tenermi ferma. Aveva stretto in una sola mano i miei polsi e con l'altra continuava a farmi il solletico. Pensai di morire priva di ossigeno se non avesse smesso in breve tempo. Avvicinò il suo corpo, portandolo sopra il mio, e questo non mi aiutò a immagazzinare aria ed evitare di collassare.

«Chiedi scusa, ora!» disse, cercando di fare il serio. Per mia fortuna smise di fare il solletico così potevo preoccuparmi esclusivamente del suo viso a pochi centimetri dal mio.

Chiusi gli occhi e inspirai profondamente.

«Scusa, mio insuperabile e super “menoso” Tutor!» risposi, facendo scivolare una delle sue gambe.

Non mi ero accorta che con quella mossa, più la spinta che diedi al suo copro e le sue mani che mi stringevano perfettamente, era ovvio che il mio corpo seguisse i suoi movimenti: così mi ritrovai esattamente seduta sopra il suo bacino.

«Oh, mio Dio, scusami ti prego!» cercai di giustificarmi, con le guance che diventavano rosse più di quando andavo al mare senza mettere la protezione.

Alzai entrambe le mani, che si slacciarono dal contatto con Matt, a nascondermi il viso.

Smettila di fare la suora, oh!

No, era troppo imbarazzante. Se fosse stata una persona qualunque probabilmente non mi sarei sentita così a disagio ma lui era Matt, il mio Tutor...

Un ragazzo molto bello e attraente!

La mia mente è sempre molto gentile nel precisare ogni cosa.

«Tranquilla, Barbara! Stavamo solo... giocando.» mi rassicurò.

Mi alzai, quel contatto comprendeva parti del corpo che era meglio rimanessero nel loro lungo letargo. Anche Matt si alzò e, invece di andare verso lo stereo, tornò da me. Cinse il mio fianco destro con la sua mano sinistra e prese la mia mano sinistra con la sua destra. Lo guardai confusa, non sapevo cosa volesse fare o forse non volevo capire per paura.

«Nella danza, soprattutto quando si tratta di balli di coppia, i corpi dei due ballerini devono entrare in sintonia.» cominciò a spiegare, guidandomi in quelli che dovevano essere dei passi.

Lo stavo seguendo e questo mi stupii.

«Quello che è successo poco fa è incredibile. I nostri corpi si sono rincorsi, come se l'uno dovesse necessariamente seguire l'altro... è esattamente quello che si deve fare nella danza, Barbi.»

Abbassai lo sguardo, dopo quelle sue parole e quel che era successo non riuscivo a reggere il suo sguardo.

Inizia a piacerti, eh?

Sentii gli occhi inumidirsi, erano emozioni che non provavo da tanto, forse troppo tempo. Ero totalmente spiazzata e intimorita.

Cercai di seguire i passi dei nostri piedi, cercando di capire come lui potesse guidarmi, quando improvvisamente gli calpestai un piede.

«Scusa...»

«Tranquilla, è normale. Prima eri troppo scossa e imbarazzata, sono riuscito a portarti grazie a quello.» replicò Matt.

Lo guardai negli occhi, erano scuri ma così pieni di luce che era impossibile non cadere dentro le mille emozioni che riuscivo a provare solo in sua presenza. Mi perdevo sempre, anche solo con una frazione di secondo, con un impercettibile incrocio dei nostri sguardi. Erano magnetici i suoi occhi, così come lo era lui stesso.

Si staccò da me, senza preavviso, e si avvicinò allo stereo: da lì, partì la nostra vera lezione.

Arrivai in camera verso le undici e mezza, recuperammo il tempo perso all'inizio da bravi studenti. Subito dopo la doccia mi infilai sotto le coperte, ancora non troppo pesanti, e i pensieri invasero la mia testa: cosa stava accadendo? Se fossi stata una ragazza meno razionale, probabilmente non mi sarei soffermata più di tanto su quel che era accaduto quella sera, ma io non sapevo spegnere il cervello. Avevo bisogno di tenere sotto controllo ogni mia singola emozione, di capire da dove proveniva e perché, se ero in grado di sopraffarla, nasconderla o annullarla per sempre in qualche modo... cosa che non accadeva quasi mai. Percepivo qualcosa di strano nello stomaco e la cosa non mi faceva per niente piacere. La paura era troppa, ero troppo spaventata all'idea di potermi lasciare andare con un ragazzo, di poter sentire qualcosa per lui, senza contare che era il mio tutor e non un ragazzo qualunque conosciuto in vacanza o in un locale, mi sembrava tutto estremamente inopportuno.

Tu pensi troppo, figliola!

Avrei potuto creare un mio marchio di fabbrica con quella frase, non esisteva persona al mondo che dopo avermi conosciuto non mi avesse detto quelle maledette parole.

Mi rigirai nel letto per diverse ore e quando, finalmente, ero riuscita a prendere sonno sentii il mio cellulare suonare: era un messaggio di Amy.

 

SOS – Domani vengo da te al campus verso cena... ci sono news dall'Italia.

 

Oh cazzo.

 

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Voglio cominciare ringraziandovi tutte: grazie di vero cuore per essere entrate a leggere questa storia, aver recensito e apprezzato, per i likes messi ai capitoli... grazie per tutto, apprezzo davvero tanto ogni singola persona pronta a entrare e immergersi nelle vicende di questi due curiosi personaggi.
Un grazie speciale alle ragazze che mi hanno lasciato le recensioni, è stato incredibilmente gradevole leggere i vostri pensieri, dubbi, supposizioni ecc... mi riempite sempre di gioia.

 

Un mega grazie, come sempre, alla mia cara Beta che pazientemente corregge e mi fa morire dalle risate con i suoi commenti scritti nelle correzioni... a volte so essere davvero ingenua. ;)
Siamo al secondo capitolo, quindi terzo aggiornamento, e mi ritrovo con un grandissimo sorriso stampato il volto. Non credevo di poter trovare così tante visite, lettori e recensioni – sì, non saranno cifre astronomiche ma considero il fatto che è la mia prima storia e su EFP sono completamente sconosciuta. :)


Spero sia stato piacevole per voi leggere questo nuovo capitolo, così come per me è stato scriverlo.

 

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Il gruppo: honeyes

Grazie ancora a tutti!
Willa 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

betato da MedusaNoir

 

Passai l'intera notte fissando il soffitto, pensando a cosa volesse dire quel messaggio di SOS mandatomi da Amy: “News dall'Italia”. Cosa poteva significare? Aveva ricevuto una chiamata dai miei genitori? Le avevano scritto? L'avevano minacciata affinché mi facesse tornare? C'erano così tante possibilità che la mia mente pensò bene di usufruire completamente delle ore notturne per vagliarle tutte.
Mi alzai dal letto poco dopo l'alba; era completamente inutile stare sotto le coperte senza riuscire a chiudere occhio, perciò scelsi di utilizzare il tempo che mi avanzava per distrarmi, andando all'edificio di Malefica e provando a ripassare quel che avevo imparato con Matt. Andai avanti finché non cominciarono le lezioni, riguardando anche qualche battuta per il corso di recitazione.
La mattinata, come il pomeriggio, passò fin troppo velocemente. Nonostante sperassi di poter rimandare il più a lungo possibile quel momento, purtroppo non tardò ad arrivare: Amy si presentò alla stanza del dormitorio poco dopo le sette di sera.
«Ciao, Barbi» esclamò, entrando.
Ricambiai il saluto con il tono più gelido usato in vita mia, conseguenza dell'ansia che mi stava letteralmente logorando.
«Ti prego, dimmi tutto!» tagliai corto.
«Barbara, dimmi che hai spedito quella dannata lettera... ti prego.»
La sua domanda implicita mi colse alla sprovvista. Accaddero così tante cose in quei giorni che l'ultimo mio pensiero, un po' dovuto anche al mancato coraggio, era stato proprio recarmi in posta e provvedere a quella maledetta lettera. Mi ero ripromessa che l'avrei spedita non appena arrivata a New York ma, da buona vigliacca, accantonai l'idea durante i primi giorni fino a ritrovarmi con la mente invasa da ogni genere di cosa esclusa quella più importante: dare ai miei genitori la spiegazione della mia sparizione.
Amy dedusse la risposta grazie al silenzio che seguì la sua domanda, e non seppe nascondere il disappunto.
«Mi ha chiamata tua sorella: atterrerà qui sabato mattina.»
«Cosa ti ha detto?» chiesi ansiosa.
Finalmente, dopo la mia domanda, Amy raccontò tutto senza sosta: si trovava in ufficio quando mia sorella, Aurora, le aveva scritto un messaggio per sapere dove avrebbe potuto contattarla per parlarle a voce. Appena Amy aveva avuto modo si era fatta chiamare e fu in quel momento che era cominciato tutto. Aurora aveva interrogato Amy, richiedendo onestà, affinché le dicesse se fossi New York come sospettava – in principio Amy aveva cercato di coprirmi ma, conoscendo mia sorella, deve aver usato uno sei suoi giochi di furbizia per averle fatto vuotare il sacco.
«Così mi ha chiesto l'indirizzo e ha detto espressamente che non aveva alcuna intenzione di parlarti tramite telefono o pc» concluse.
Guardai Amy nella speranza potesse darmi qualche consiglio, qualsiasi cosa mi permettesse di vedere una via d'uscita senza troppe lacrime, ma giustamente non era lei a dover trovare una soluzione al caos che la mia codardia aveva creato.
«Grazie, Amy. Ora penserò non so che pur di non far scoppiare una guerra. Avrei dovuto rifletterci prima, conosco Aurora e il suo intuito» dissi rassegnata al fatto che avrei passato i giorni successivi con la testa in fiamme.

Quella sera la lezione con Matt andò malissimo; nonostante tentassi di seguirlo, ero in grado di rendermi conto che ogni mio pensiero era da tutt'altra parte, ma le lezioni erano obbligatorie e non avevo scuse decenti per potermi permettere delle assenze. Lui provò più volte a cercare di farmi tornare in me, di attirare l'attenzione e farmi concentrare ma non c'era verso.
«Barbara, se continui così ti mando in stanza e lasciamo perdere. Stiamo solo perdendo tempo» esclamò stizzito.
«Credi lo stia facendo di proposito?» Mi irritai.
Rimase spiazzato per qualche secondo e poi riprese: «Non ho detto questo! Posso capire il fatto che tu non riesca a vedermi come insegnante, abbiamo qualche anno di differenza, è vero, ma sono pur sempre il tuo tutor. Sto lavorando per te, Barbara» mi ammonì.
«A me non ha chiesto nessuno, sai? Non mi hanno domandato se volessi o meno un tutor e tantomeno se volessi te come tutor. Sono qui solo ed esclusivamente per quei dannatissimi crediti. Sono obbligata a restare in quest'aula con te, non credere che mi faccia piacere. Io odio ballare, è una disciplina stupida e inutile!» urlai a pieni polmoni, prendendomela con lui e la danza.
Matt non ribatté, prese la sua borsa e uscì in silenzio, lasciandomi sola con l'eco della mia voce.
I giorni seguenti seguii le lezioni regolarmente, il che permise alla mente di staccare un po' dal continuo pensare, ma quelle ore che avrei dovuto passare insieme a Matt si rivelarono una pugnalata al cuore: lui non si presentò più alle lezioni intensive e non rispose a nessuno dei miei messaggi.
Brava, Barbara! A quanto pare sei eccellente quando si tratta di allontanare tutti.
Avevo capito di aver esagerato, mi ero perfino scusata in uno dei messaggi mandati ma a quanto pare non era stato abbastanza... per lui ero andata oltre.

Al suono della sveglia mi alzai di scatto, indossai le prime cose proposte dall'armadio e uscii subito dal dormitorio in direzione Central Park: l'appuntamento era alle 10.00 in punto davanti allo Starbucks posto lungo la Broadway. Ovviamente ero in anticipo, perciò ordinai un cappuccino e presi posto in attesa di Aurora e Amy – che per starmi vicina aveva chiesto il giorno libero.
Il cuore sembrava volermi uscire dalla gola.
Aurora non era una cattiva sorella, lei amava il mio sogno e sperava con tutta se stessa riuscissi a realizzarlo; quello che lei non riusciva a comprendere erano i litigi che facevo con i nostri genitori. Con lei erano sempre stati molto più permessivi, non aveva mai dovuto discutere per poter uscire e gli orari erano palesemente più flessibili dei miei. Non aveva idea di cosa volesse dire essere soffocati dalle regole.
«Ehi...»
Era Amy, dal bancone, mentre ordinava la sua colazione. Le feci un cenno col capo e attesi il suo arrivo al tavolo.
«Come ti senti?» domandò, manifestando preoccupazione.
«Agitata» replicai laconica.
«Bea!»
Girai di scatto la testa, sapendo perfettamente che l'unica persona al mondo a chiamarmi in quel modo era lei.
«Aurora» dissi con un nodo in gola.
Rivederla provocò in me emozioni inaspettate: non ero più nervosa e spaventata ma non volevo fare altro che correrle incontro e abbracciarla fino a non permetterle più di respirare. Fu così che andò, inclusa una valle di lacrime che sommerse entrambi i nostri visi.
«Non farlo mai più, Barbi... mai!» asserì la mia dolce sorellina.
Avevo passato tuta la settimana pensando di dover litigare, arrivare a non rivolgerle più la parola o dovermi scontrare definitivamente con i miei genitori, invece il tutto si rilevò completamente differente: lei spiegò la sua voglia di venire qui e vedermi, così da riuscire a parlare con me di persona e dare l'incoraggiamento che non mi aveva mai dato. Era dispiaciuta del fatto che non le avessi detto prima della mia decisione, non mi avrebbe ostacolata ma probabilmente non sarebbe riuscita a prenderla con serenità – così come sospettavo. Mi fece comunque capire che non si sarebbe mai impicciata, trattandosi della mia vita e del mio più grande sogno. Dal mio canto, le spiegai che avevo una lettera pronta fin dalla partenza e che avrei dovuto spedirla appena arriva a New York, se non mi fossi fatta prendere dal panico.
«Mamma e papà sanno dove sei?» chiesi, curiosa.
«No, ma lo sa la nonna. Sai che lei queste cose “se le sente”» mimò le virgolette con le mani ed entrambe scoppiammo a ridere.
Amy ci osservava in silenzio, capendo abbastanza grazie al suo amore innato per l'Italia e l'italiano.
«Per quanto ti fermi?» mi informai, pensando alle mille cose che avrei voluto fare con Aurora.
«Riparto martedì in mattinata, purtroppo...» rispose seccata.
«Barbi, perché non racconti alla tua sorellina del tuo tutor?» esclamò, improvvisamente, Amy.
Ah ah, ora ci si diverte!
La guardai lanciandole occhiate fulminanti, che ignorò del tutto proprio come la mia mente inopportuna.
Decisi di confessare, sperando anche in alcuni consigli, e spiegai prima a mia sorella tutta la storia dal principio: l'arrivo sul bus, la figura oscena fatta fuori casa di Amy, il destino che si metteva in mezzo anche a scuola... da quel momento in poi fu impossibile zittire la curiosità di Aurora, mi estorse tutto compreso il giorno in cui dormii nel letto di Matt.
Bei ricordi, eh?
«Secondo me dovresti andare a casa sua e scusarti di persona» suggerì Aurora.
Amy annuì col capo per confermare.
Spaesata le guardai entrambe in cerca di un suggerimento un po' più approfondito. Cosa dovrei dirgli di persona? Le avevo già scritte, le scuse.
«Barbi, sei partita per un altro continente senza che mamma e papà sapessero nulla. Potrà mai spaventarti una conversazione con questo Matt? Io andrò da Amy, mi sistemo un po' e visto che ha preso il giorno libero per te... e me... andremo in giro per questa meravigliosa città. Tu, se dovessi finire presto, ci raggiungerai!» concluse, facendo l'occhiolino.

Suonai il campanello: nessun movimento dall'interno.
Magari non è a casa, pensai.
O magari non ti vuole aprire?
No, si sarebbe sentito qualche rumore, come dei passi; in quel modo dava proprio l'idea di essere vuota quella casa.
«Che ci fai qui?»
Forse avrei preferito l'ipotesi “casa vuota” al tono sgarbato con il quale aprì la porta.
«Volevo... cioè, io... Matt, mi dispiace» mi scusai, arrossendo.
Mi fece cenno d'entrare e senza esitare seguii il suo suggerimento. In qualche modo assurdo, sentivo di essermi legata a lui, di tenerci e di non voler perdere quella bozza di rapporto e complicità che si era creata tra noi. Avrei fatto tutto, comprese le suppliche, pur di farmi perdonare.
«Avresti potuto rispondere ai messaggi» dissi, accomodandomi sul divano del suo salotto.
Bell’inizio, devo dire! Complimenti, Barbara, sottolineò sarcasticamente il mio cervello.
Matt alzò lo sguardo su di me, scosse la testa e riprese ad andare verso la finestra.
Calò un silenzio imbarazzante.
Cerca di scioglierti, Barbara.
Quella volta non potei fare a meno di concordare e provare a rilassarmi. Mi alzai dal divano, accantonando l' esitazione, per dirigermi verso Matt che nel frattempo si era appoggiato al davanzale della sua finestra con lo sguardo rivolto verso l'esterno. Fermandomi proprio dietro al suo corpo, chiusi gli occhi e, inspirando a pieni polmoni, afferrai il suo braccio facendolo girare verso di me e attirando la sua attenzione. Mi dovetti alzare sulle punte per poter incrociare le braccia intorno al suo collo, affondare il viso nell'incavo del collo e soffocare in quell'abbraccio le ennesime scuse. Con mio stupore ricambiò l'abbraccio, strinse le sue forti braccia lungo i miei fianchi e lasciò un tenero bacio sui capelli. Una lacrima rigò il mio viso nello stesso momento in cui lui lo strinse tra le sue mani, desiderando i miei occhi puntati sui suoi. Avvicinò il suo volto al mio fino a far arrivare le sue morbidissime labbra sopra la lacrima, asciugandola - e da quel momento persi completamente il lume della ragione.
A distrarci da quell'attimo intenso fu il campanello di casa sua.
Oh, chi sarà mai il bersaglio delle tue maledizioni?
Nessuna maledizione; mi stavo esponendo troppo e, dopo quei secondi esageratamente “intimi” per due persone che hanno un rapporto studente-tutor, un diversivo era ciò di cui avevamo bisogno. Ero vulnerabile e dovevo fare in modo di non esserlo più.
Matt si diresse verso la porta per aprirla, lo seguii d'istinto, intenzionata ad andare via da quella casa per non rischiare nuovamente una situazione come quella di pochi minuti prima.
«Oh, mio Dio! Questo sì che è un gran figo, Barbi!» esclamò in italiano quella spudorata di mia sorella, nel momento esatto in cui Matt aprì la porta.
Un fulmine uscì dal mio sguardo con la speranza di colpirla in pieno. Lasciai la casa, prendendole il braccio e stringendolo infuriata, per trascinarla dritta in quella da cui proveniva. Poco prima di entrare da Amy, mi voltai e con un cenno della mano salutai il povero Matt, il quale rimase immobile e confuso in attesa di spiegazioni che non arrivarono.
«Ma dai, Barbi! Non fare l'esagerata, tanto non capisce l'italiano.»
«Amy, per favore!» incenerii anche lei.
In quel momento non sapevo quale delle mille emozioni stesse prevalendo: cosa sarebbe successo se Aurora non avesse interrotto il bacio che Matt diede sulla mia guancia? Sarei stata capace di frenarmi, nel caso in cui lui volesse andare oltre? Quanto oltre? Io cosa avrei voluto?
Tutte quelle domande risuonavano nella mia mente, una dietro l'altra, come se fossi sotto interrogatorio. Una parte del mio cervello voleva capire fino a che punto stavo lasciando il comando al mio cuore, mentre l'altra non voleva assolutamente permettere al cuore di provare alcun genere di sentimento.
No, vorrei solo capire quando ti deciderai ad ammettere quello che provi per lui!
Sbuffai, pensando di essere solo emotivamente disturbata.
«Perché sbuffi?» domandò Aurora.
«Perché quello che hai definito “figo” è il mio tutor e tale deve rimanere» le risposi inacidita.
«E quindi?» incalzò.
«E quindi, se non fossi arrivata tu non riesco a immaginare cosa sarebbe potuto succedere.» dissi, portando le mani al volto per nascondere la mia frustrazione.
Logicamente, alla mia affermazione, seguii una dettagliata spiegazione dell'accaduto.

Quel pomeriggio girammo per i più bei negozi di New York: mia sorella era arrivata con una valigia totalmente vuota, consapevole del fatto che si sarebbe data da fare con lo shopping newyorkese. Comprò così tante cose che se ne avessimo stilato una lista ci sarebbero servite più pagine di quelle usate da Dante nella sua Divina Commedia.
Verso le sei di quel pomeriggio mi squillò il cellulare, era un messaggio di Matt.

EHI, COS'È SUCCESSO CON QUELLA RAGAZZA FUORI CASA MIA?
SEI ANDATA VIA ALL'IMPROVVISO...


Lessi il messaggio con accanto due avvoltoi pronti a dare un'occhiata al telefono.
«Quel ragazzo è perso di te, Barbi» esclamò Amy.
Preferii non risponderle, così come feci con il messaggio di Matt, lasciandolo privo di spiegazioni. Sapevo che era un comportamento da codarda, come ero solita fare, ma avevo troppa paura di quei sentimenti e di quel che sarebbe potuto succedere se avessi permesso loro di crescere o manifestarsi.
Terminato il lungo giro di acquisti, tornai al dormitorio mentre Aurora andò da Amy, obbligata da quest'ultima che riteneva troppo piccolo per due persone lo spazio di un dormitorio.
Non che avesse torto...
Entrai nell'account di posta elettronica, giusto per dare un'occhiata alle eventuali comunicazioni dell'accademia e per confermare il fatto che nessuno dei miei amici italiani si era fatto sentire. Nonostante me lo aspettassi, ci rimasi male.

Matt: Ehi
Barb: :)
Matt: Che fine hai fatto oggi?
Barb: Sì, scusami... quella ragazza era mia sorella, Aurora.
Matt: Ah! Non vi somigliate tantissimo...
Barb: No, lo so...
Matt: Tutto ok?


Era arrivata la domanda che temevo di più.
Ora che pensi di fare?
Disastri, come ero solita fare da quando ero nata. Ero incerta se essere sincera o far finta di nulla e lasciare che il tempo ci facesse dimenticare a entrambi quel che era successo.
Nemmeno vi foste baciati. Come la fai lunga!

Barb: Sì, tutto ok. Tu?
Matt: Certo!
Barb: Devo andare, ciao.


La fuga? Coraggiosa!
Era l'unico modo che avevo per evitare certe domande, certi discorsi e certe situazioni; non parlare con lui o parlare lo stretto necessario la vedevo come unica via d'uscita. Lo stesso valeva per i momenti in cui ci saremmo visti, avrei limitato il tutto alle lezioni, niente di più. Mi rendevo conto di essere un controsenso - la mattina pregavo di perdonarmi affinché il nostro rapporto non mi scivolasse dalle mani e la sera ero nuovamente io a lasciarlo cadere. La mancanza di esperienza con i ragazzi mi faceva sentire inferiore, mi spaventava non sapere cosa sarebbe potuto succedere e quali fossero i passi successivi – come se esistesse una linea guida universale nei sentimenti. Tutto quello e il fatto di averlo come tutor erano le ragioni che mi spingevano ad allontanarlo.

PICCOLA, TI VA DOMANI POMERIGGIO DI RECUPERARE LE LEZIONI PERSE?
TI ASPETTO PER LE TRE NELLA SOLITA AULA.

BUONANOTTE


Quella volta era il caso di rispondere, a prescindere da tutto non avrei scelto lui, o la lezione, con mia sorella in città.

MI DISPIACE, MIA SORELLA RIPARTE FRA POCHI GIORNI E DOMANI È L'ULTIMA VOLTA CHE RIESCO A PASSARE DEL TEMPO CON LEI.
NOTTE.

Avrei potuto scrivere di più, un messaggio con una spiegazioni più esaustiva e che gli permettesse di capire che non mi mancava la voglia di vederlo, ma tutto questo non mi rendeva possibile allontanarlo e placare le emozioni. Naturalmente non rispose; spensi tutto e mi accovacciai a letto. Avevo pensato fin troppo per quella settimana, se mai avessi avuto bisogno di altri ragionamenti per risolvere la situazione non era quello il momento. Fortunatamente, in pochi minuti, crollai in un sonno profondo.

La domenica passò in modo ben troppo veloce: avevo dimenticato quanto fosse divertente stare con mia sorella e quante risate era in grado di farmi fare con le sue battute. Girammo per tutta New York a fare le peggiori figuracce immaginabili - grazie alla sua totale incompetenza nell'imparare le lingue, aveva chiesto un favore sessuale al posto di un consiglio su che linea prendere a un povero passante. Tutto per farci spiegare come poter raggiungere la Statua della Libertà senza spendere un occhio della testa.
Ero stata davvero bene quel giorno e avrei tanto voluto poterla tenere lì con me.
Quando arrivò il momento dei saluti, una stretta allo stomaco richiamò alla mia memoria che lei era l'unico pezzo di famiglia che avevo modo di avere accanto per il momento; che prima di lunghi mesi non avrei rivisto nessuno e se le cose non si sarebbero sistemate...
«Barb, darò a mamma e papà la lettera. Spiegherò loro come ti ho vista e proverò a fare in modo che possano perdonarti per essere partita senza avvisare. Tu però mi devi promettere che a Natale tornerai; per me, per loro, per i nonni» disse Aurora.
Annuii senza rispondere e la abbracciai forte.
«Ti voglio bene, Aury» sussurrai.
Concordammo anche alcune cose un po' più pratiche come il pagamento dei biglietti, nel caso di un mio ritorno durante le feste, e le volte che ci saremmo sentite su Skype.
La giornata trascorse abbastanza tranquillamente, Jennifer pranzò con me e mi aiutò a ripassare qualche battuta in vista del provino per lo spettacolo de “The Great Gatsby” - non vedevo l'ora arrivasse quel giorno, anche se per il momento non sapeva darci una data nemmeno il nostro insegnante. L'unica cosa certa era la presenza di Nathaniel Harding, unica ragione per essere terribilmente ansiosa.
Eh, quel gran bel ragazzo!
Verità indiscussa, Nathaniel oltre a essere un grande attore era un bellissimo ragazzo, molto richiesto aggiungerei.
Come? E Matt?
Alzai gli occhi al cielo.

Quel martedì sera mi sentivo in imbarazzo al pensiero di dover sostenere due ore a contatto con Matt, contando che il giorno prima mi aveva dato buca con la scusa di avere problemi personali. Sentivo che c'era qualcosa che non andava, come se avesse capito che stavo cercando di allontanarmi.
Di allontanarlo, volevi dire...
Non faceva alcuna differenza, le due cose si susseguivano; in fin dei conti, allontanare lui voleva dire allontanare me e viceversa.
Raggiunsi l'edificio di danza in perfetto orario con Matt lì, in attesa del mio arrivo.
«Ciao» dissi, entrando con un sorriso un po' forzato.
«Ciao» rispose secco Matt, che al contrario di me non sorrise affatto.
La lezione cominciò subito, senza le battutine che eravamo soliti fare prima, dopo e durante. Mi indirizzò alla sbarra, dando istruzioni su quelli che sarebbero stati gli esercizi.
«Stai sbagliando!» mi ammonì, all'improvviso.
Di poco, ma ero migliorata; grazie a lui ora sapevo le posizioni di cui parlava Eleonor e riuscivo a seguire le lezioni senza farmi urlare dietro quanto fossi incapace – almeno la maggior parte delle volte. Per questa ragione guardai i miei piedi, cercando di capire quale fosse l'errore, ma non mi sembrava ci fosse nulla di sbagliato in ciò che stavo eseguendo. Alzai lo sguardo per incrociare il suo e chiedere spiegazioni.
«Hai piegato il ginocchio. Ti ho ripetuto infinite volte che devi tenere le gambe tese durante il giro» chiarì severo.
Mi scusai, mortificata, e ripresi l'esercizio senza aggiungere altro. Provai diverse volte il giro senza perdere la presa sulle gambe, ma proprio non riuscivo a tenerle tese come richiedeva. Stanco di vedermi fallire, Matt si accovacciò chiedendo di ripeterlo per un'ultima volta. Obbediente eseguii la sua richiesta, mettendomi in posizione iniziale, spostai la gamba destra a lato e, posando su di essa il peso del mio corpo, iniziai a girare con Matt che teneva d'occhio il tutto a pochi centimetri di distanza. Nell'istante in cui il ginocchio iniziò a piegarsi lui lo bloccò con entrambe le mani, facendomi perdere l'equilibrio.
«Ahi» esclamai dolorante.
Avevo preso un botta proprio sul ginocchio, ma la cosa non scosse Matt. Non fece alcun movimento, né si preoccupò di come stavo; atteggiamento strafottente che non mi piaceva affatto, perciò presi la borsa e decisi di andare via. Pochi passi prima dell'uscita dall'aula mi fermai e girandomi verso di lui sputai fuori con tutto il rancore che avevo in corpo: «Quando ti comporterai nuovamente da persona matura, chiamami.»
Uscii da lì, sbattendo la porta.
Percorsi il giardino del campus il più rapidamente possibile, sperando non gli venisse in mente di seguirmi e ricominciare a discutere. Che razza di modi erano quelli? Capisco di essere stata ambigua, di aver chiesto perdono e successivamente essermi comportata freddamente allontanandolo, ma che diritto aveva di farmi cadere durante gli esercizi di danza, senza nemmeno preoccuparsi e chiedere se mi fossi fatta male? Quell'atteggiamento era sbagliato, non glielo avrei mai perdonato.
Mai dire mai!
Al diavolo le frasi fatte. Ero piena di difetti, lo sapevo, ma quella volta Matt mi aveva ferita nel profondo .
«Fermati, Barbara!» urlò alle mie spalle.
«Lasciami in pace, Matt. Mi sono rotta! Non mi va di rimanerci male ogni giorno con te.»
Prese la mia mano con forza bloccandomi il copro dall'insistente cammino.
«Non mi toccare!» esclamai stizzita.
«Io non capisco per quale ragione devi comportarti così. Barbara, stavo solo cercando di farti eseguire correttamente un esercizio!»
«No, no! Non osare far passare queste scemenze per altruismo. Chiunque perderebbe l'equilibrio se, mentre esegue un giro in punta di piedi, un'altra persona gli toccasse il ginocchio. Mi hai sbilanciata, cazzo. E non ti sei minimamente preoccupato... nemmeno un semplice “tutto ok?”, nulla!» sputai fuori acida e offesa.
«Lo vuoi capire, che è colpa tua, dannazione? Tu... tu mi...» sbottò, spiazzandomi.
I miei occhi chiusero le palpebre ripetutamente, confusi anch'essi dal suo tono.
«Cos-cosa vuoi dire? Io, cosa?» domandai, sperando in una spiegazione esaustiva.
«Tu... lascia perdere, Barbara. Buonanotte» disse, lasciando la presa e andando via.
Rimasi lì, nella penombra dei giardini del campus, sola. Non avevo la forza di tornare al dormitorio, né di camminare per le vie di New York com'ero solita fare. Presi posto su una delle panchine lì vicino e mi ci sdraiai guardando il cielo. Scrissi n messaggio ad Amy, avendo bisogno di un consiglio per cercare di capire qualcosa in più. Fortunatamente non era ancora andata a dormire e rispose subito.

BARBI, VOI DUE SIETE ATTRATTI L'UNO DALL'ALTRA... QUANDO PENSAVI DI AMMETTERLO?
NON CONOSCO LUI, COME TI HO SPIEGATO GIORNI FA, MA CONOSCO BENE TE E SO CHE LO STAI ALLONTANANDO PER PAURA. NON STA FACENDO ALTRO CHE COMPORTARSI DA UOMO: TU SCAPPI DOPO ESSERTI AVVICINATA E AVERLO FATTO ESPORRE? LUI FA LO STRONZO.

SII TE STESSA E LASCIATI GUIDARE DAI SENTIMENTI, ALMENO PER UNA VOLTA.
NON AVERE PAURA.

TI VOGLIO BENE!
AMY

 

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Be', chi non muore si rivede!
A quanto pare il detto non è poi così distante dalla realtà di tutti i giorni. :)
Sono passati mesi dall'ultimo aggiornamento, se non sbaglio quasi tre, e non saprei esprimere a parole il dispiacere che provo per avervi fatto attendere così tanto- purtroppo, però, ci sono situazioni, problemi ed eventi che richiedono la nostra completa attenzione e dedizione.

Ma ora sono qui... con questo nuovo capitolo contenente le news dall'Italia. :)
Come sempre, spero vi sia piciuto e non nego di avere un certo timore: andando avanti con la storia, credo sia ovvio debbano accadere cose, più o meno discutibile, e spesso non sono condivise da tutti. Questa credo sia una paura comune, ma essendomi cimentata per la prima volta in una storia mi sommergo di scrupoli. ^_^

Ho già detto troppo... :P
Vi ringrazio tutti, nessuno escluso, e do un super abbraccio alla mia Alba e la Beta Reader che, oltre fare sempre uno splendido lavoro, mi sta aiutando tantissimo in un percorso di crescita che sognavo da tanto tempo.
Grazie per le recensioni passate e per quelle che metterete in futuro - se ci saranno! xD 

Gruppo, per chi volesse news (sei viva? Aggiorni? Quando e come? ecc...): honeyes !

Queste, invece, sono delle storie che vi consiglio di leggere: | Gli eroi di Sandpoint | :)

Grazie ancora a tutti!
Willa

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

betato da MedusaNoir



Il corso di recitazione si faceva sempre più interessante: l'insegnante era davvero molto bravo, sembrava essere nato per spiegare e aiutare i suoi studenti a seguire ogni suo consiglio. C'era una ragazza, Alison, così timida da non riuscire a svolgere nessuno degli esercizi proposti ma nel giro di un paio di settimane Alexander riuscì a farla diventare una delle migliori del corso.
«Barbara, vieni qui!» disse all'improvviso il professore.
Mi diressi verso di lui, notando gli sguardi curiosi dei miei compagni – probabilmente si ponevano la mia stessa domanda: che esercizio tirerà fuori questa volta?
La lezione precedente aveva detto a uno dei nostri compagni di iniziare a comportarsi come un animale senza dirci niente, così il ragazzo si mise ad annusare in giro e leccare alcuni di noi – fu terribile e divertente allo stesso tempo. Era il suo modo per farci “sciogliere” e ricordarci che non ci saremmo dovuti vergognare di nulla perché “Siamo attori, siamo folli, divertenti e drammatici. Ad alcuni siamo anche antipatici. Siamo quello che richiedono noi siamo. Siamo l'arte di un regista in nostra mano”. Non so dove possa aver tirato fuori questa frase, ma era diventato ormai il nostro motto.
«Mia cara, sei pronta per il provino?» esordì, mostrando tutta la sua arcata dentale.
«Certo, professore!»
«Barbara, quante volte ho detto che devi chiamarmi Alex?!» mi ammonì per poi proseguire, «Comunque, ti aspetto domani pomeriggio alle tre in punto. Ah, in quest'aula!»
Oh, oh! Domani?
Diavolo no; ero pronta, sì, ma non per il giorno successivo. Per quale insano motivo non si era degnato di avvisare prima?
Sconsolata presi posto vicino a Jennifer che, notando la mia espressione, provò subito a informarsi.
«Oh, Barbi... stai dicendo che questo per te è un problema? Forza, vieni con me!» rispose in seguito alla mia confessione.
La seguii, sapendo di non avere nulla da perdere, fino ad arrivare in una delle rarissime aule vuote all'interno di tutti gli edifici dell'accademia.
«Benissimo!» sorrise con soddisfazione, guardandosi intorno.
«Ora?» chiesi curiosa.
«Non è ovvio? Be', io starò qui finché non renderai credibile la tua interpretazione di Daisy» rispose saccente.
Passarono diverse ore e infiniti “non mi hai convinta” prima che mi lasciasse andare. Volle farmi continuare finché non trovò efficace la mia rappresentazione; il che fu stancante ma utile – non avevo mai avuto un giudice così severo durante le prove.
«Grazie, Jenn!»
Strizzò l'occhio e si allontanò.
Guardai l'orologio, cercando di capire quanto tempo avessi prima di dover andare a lezione da Matt, e sconfortata notai quanto si fosse fatto tardi. Avevo giusto il tempo per mangiare un boccone e correre direttamente all'edificio maledetto.
L'idea di dover rivedere Matt dopo la litigata del giorno prima mi chiuse lo stomaco, ma per non andare da lui con il rischio di un calo di zuccheri cercai di sforzarmi, mangiando un po' di contorno e della frutta.
Durante il tragitto provai a concentrarmi sui consigli di Amy: dovevo essere me stessa e lasciarmi guidare dai sentimenti senza avere paura. Riflettei tantissimo sulle sue parole, ma una parte di me non voleva assolutamente permettere ai sentimenti di prendere in mano la situazione.
Sì, perché mai lasciarsi andare una volta tanto?
La paura di star male, soffrire, finire per l'ennesima volta con una motivazione in più per odiarmi, mi faceva credere che la ragione dovesse sempre avere tutto sotto controllo.
Peccato che la tua ragione non ragioni affatto!
Solitamente sì, quando non era in vena sarcastica.
Arrivai all'edificio con il cuore il gola. Ciò che mi fece stranire fu il mio non essermi minimamente preoccupata, fino a quel momento, del fatto che si sarebbe potuto non presentare. Ma a quel punto ero lì, non mi restava che entrare e scoprirlo.
Il corridoio era spaventosamente buio, dettaglio che non lasciava spazio all'ottimismo. La luce fioca, che penetrava le finestre, creava ombre a dir poco inquietanti; non ero mai stata impavida e quella situazione iniziava a intimidirmi. Andai con molta calma verso l'aula e nel momento in cui diedi le spalle alla porta qualcuno mi toccò la spalla, scatenando un'inevitabile urlo spacca timpani.
«Calma! Calmati, Barbara! Sono io, Matt!» disse, cercando di tranquillizzarmi.
«Dio... ti prego, non farlo mai più. Ho perso vent'anni di vita!»
Stavo tremando.
Matt accese la luce dell'aula mentre io presi posto a terra, provando a far decelerare il battito cardiaco. Pensai di morire d'infarto.
Solita esagerata!
Notai subito la freddezza del suo comportamento, ma non mi stupii affatto, evitando di rimanerci male. Sospirai e mi rialzai in fretta per cominciare la lezione.
Mi ordinò di svolgere una serie di esercizi sempre più complicati, molti dei quali non erano alla mia portata, ma non volevo dargli soddisfazione e cercai di stargli dietro il più possibile. Il mio orgoglio stava facendo la sua parte e fortunatamente per almeno metà lezione evitai grida e umiliazioni; Matt era davvero bravo in quelle cose, soprattutto quando di pessimo umore o arrabbiato con me.
Come dargli torto!
«Questo passo non è semplice, ma ti servirà per le prossime lezioni, si chiama attitude: devi sostenere il corpo in equilibrio su una gamba sola con l'altra sollevata all'indietro a formare un angolo retto con il ginocchio piegato e ruotato all'esterno – en dehors – in linea o più in alto del piede corrispondente – attitude derrière –, un braccio è sollevato in alto in IV posizione mentre l'altro è sostenuto in fuori in II posizione.» provò a spiegare, guardandomi con attenzione.
«Matt, non ho capito niente. Ti prego, non fare così.» sussurrai esasperata.
Ero totalmente sudata e sentivo la stanchezza fin dentro le ossa, mi stava letteralmente massacrando e non sapevo per quanto tempo ancora sarei riuscita a reggermi in piedi.
Nonostante le mie preghiere non si impietosì, al contrario mi rispiegò la posizione e piano piano cercò di farmi spostare gambe e braccia fino a riuscire ad assumerla.
Ce l’hai fatta e non sei ancora caduta?
Non sapevo se dare la colpa a quella postura, ma avvertii qualcosa di strano dentro…
Sentii Matt chiamarmi, la sua voce era lontana, come se provenisse da un altro luogo: ovviamente, perché ero svenuta.
Poco più tardi mi ritrovai sdraiata su un lettino in una stanza mai vista; non riuscivo a distinguere bene gli oggetti presenti, la vista era ancora appannata.
«Come ti senti?»
Mi voltai per rispondere e riconobbi i lineamenti di Matt.
«Un po' stordita» risposi, provando a metterlo a fuoco.
Prese il panno bagnato che avevo sulla fronte e lo portò con se fuori dalla stanza, per poi tornare un attimo dopo e per poggiarlo nuovamente dov'era.
«Ti ho misurato la febbre ed è un po’ alta, non sapevo bene come fare e l'infermiera di turno è stata male all'ultimo minuto… fra poco però arriva la sostituta.» spiegò imbarazzato.
«Non ti preoccupare. Grazie per...»
Non riuscii a terminare la frase, distratta da Matt che prese la mia mano per intrecciarla alla sua. Mi sentii come una spina dentro una presa: piena di energia elettrica che oltrepassava ogni parte di me.
Le forze, però, non erano tornate per molto e così, rilassata dalla presenza di Matt, chiusi gli occhi e mi addormentai.
Trascorsi l'intera notte in infermeria, dormendo beatamente come non facevo da diverso tempo. Nessun sogno, nessun rumore pronto a disturbarmi. Un lungo sonno tranquillo.
Il mattino seguente, quando mi svegliai riposata e affamata, notai la figura quasi commovente di Matt appisolata ai piedi del mio letto.
Uscii lentamente dalle coperte per avvicinarmi a lui, volevo osservarlo da vicino. Aveva il volto sulle braccia intrecciate e appoggiate al letto, l'espressione serena, dolce. Sembrava un cucciolo visto così, non il ragazzo che mi aveva urlato contro qualche giorno prima. Istintivamente, portai la mano sui suoi capelli e cominciai ad accarezzarli. Per stare più comoda, pensai di sdraiarmi a pancia in giù, così da avere la testa vicino alla sua e la mano sempre impegnata a coccolarlo.
Oh, che tenera. È passata dai litigi alle coccole!
Chissà, magari se avessi iniziato a dar retta ai sentimenti quella mente acida avrebbe smesso con i suoi commenti. Forse ne valeva la pena.
Chi lo sa?
«Ehi» sussurrò, improvvisamente, Matt.
«Ehi» risposi, interrompendo le carezze.
Ero in leggero imbarazzo, i nostri volti si trovavano a pochi centimetri di distanza e mi aveva appena beccata ad accarezzarlo.
«Come ti senti?» chiese, alzandosi e strofinandosi gli occhi.
«Meglio, ho solo molta fame. Credo la febbre sia sparita, dottore!» esclamai, arrossendo.
Annuì e ammise di essere affamato anche lui; con insistenza volle aiutarmi a scendere dal letto per poi dirigerci insieme verso la mensa e fare colazione. Si informò più volte sul mio stato, comportandosi esattamente l'opposto del Matt dei giorni precedenti. Ero contenta di quel cambiamento, probabilmente dovuto al mio mancamento.
«Oh, no!» esclamai all'improvviso.
«Che succede?» domandò perplesso.
«Alle tre ho il provino finale per la parte di Daisy nello spettacolo...» risposi, portando le mani sul viso.
«Vedrai che andrà bene!» dichiarò sorridente.
Aveva un sorriso stupendo, non riuscii a fare a meno di fissarlo; con quell'espressione chiudeva leggermente gli occhi, facendo loro assumere una forma che ricordava quella a mandorla tipica nei popoli orientali. Ero curiosa di scoprire le sue origini ma l'improvviso silenzio calato nella mensa mi fece ricordare di dover andare a lezione. D'istinto lo salutai abbracciandolo e lasciandogli un veloce bacio sulla guancia.
«Non voglio più litigare con te.» mormorai prima di lasciare la mensa e andare a lezione.
 
 
La lezione del mattino andò abbastanza bene, tenendo conto della pessima nottata e della mia forma non perfetta. Quel che non permetteva alla mia angoscia di lasciare in pace il mio corpo era il provino che avrei dovuto tenere pochi attimi dopo.
«Barbi, se lo non la smetti immediatamente giuro che una di queste notti prendo le forbici e ti taglio quei meravigliosi capelli lunghi che ti ritrovi!» mi rimproverò Jennifer, cercando di strappare dal mio viso un piccolo sorriso.
La abbracciai, sapendo che in un altro contesto, con uno stato di debolezza minore, probabilmente non avrei mai fatto un gesto così affettuoso nei confronti di una persona conosciuta da così poco tempo – ero al secondo abbraccio in una sola giornata.
Finalmente! Un po' di umanità anche da parte tua.
Davvero divertente.
«Ah, c’è anche quella strega di Erika al provino.» esclamò schifata, Jennifer.
«La conosci? Me la trovo al corso di danza, una volta ho provato a salutarla non mi ha nemmeno risposto… per non parlare del fatto che sparla ad alta voce di me insieme al suo gregge.»
«Guarda, Barbi, è al primo anno ed è qui da tanto tempo quante te… ma credimi se ti dico che si è già fatta conoscere in tutto il campus. Suo padre è il fratello del Rettore, ti ho detto tutto.»
Forse ucciderla non è poi una così buona idea…
«Barbara Lea Loveti» chiamarono.
Guardai Jennifer che strizzò l'occhio sicura di quel che sarebbe stato il risultato di quel provino.
Entrai, provando a convincermi che non avrei dovuto temere nulla: avevo studiato, ero portata per questo, era il mio sogno e non avrei di certo permesso all'ansia di rovinare tutto. Dovevo essere forte perché un giorno quella sarebbe dovuta essere parte della mia vita quotidiana.
Mi posizionai al centro del palco e girando lo sguardo verso chi mi avrebbe giudicata notai la presenza di Nate.
Questa sì che è una sorpresa!
Spiazzante, preciserei.
«Come saprai, lo spettacolo ha già il protagonista maschile» disse l'uomo che supposi dovesse essere il regista, il quale indicò Nate, «perciò quest'oggi vogliamo che le candidate al ruolo di Daisy provino con lui al fine di farci vedere chi ha l'affinità giusta per ricoprire il ruolo.»
Il mio cuore perse un battito: ero felice di poter anche solo provare con un attore del calibro di Nate ma al tempo stesso temevo il confronto.
Oltre il suo fascino...
«La storia non sarà del tutto fedele al capolavoro di Fitzgerald, ci saranno molte scene piene d'amore e sentimento per questi due personaggi così da poter rendere il crudele finale ancor più difficile da digerire.» continuò nella spiegazione il “regista”.
Sadico il tipo!
«Ecco la parte di copione che dovrete eseguire. Ti lascio dieci minuti per impararla, dopodiché vi voglio sul palco.» Finì di parlare e si diresse alla porta, probabilmente per uscire a prendere un caffè.
Dietro le quinte cominciai a studiare le due pagine del copione che mi era stato appena consegnato. Speravo con tutto il cuore di poter essere all'altezza, sarebbe stato fantastico, un'esperienza incredibile.
«Un bacio? C’è già la scena di un bacio?» urlai senza rendermene conto.
«Ciao... Barbara, giusto?»
Non ebbi nemmeno il tempo di voltarmi perché la sua voce era troppo impressa nella mia mente – non avevo perso nemmeno un suo film.
Che belle figure che fai con gli uomini migliori.
Volevo sprofondare.
«Sì, è davvero un piacere per me... Scusa se…»
Mi zittì subito, poggiando un dito sulle mie labbra che al contatto rimasero immobili e incredule.
«Ognuna di voi ha una parte diversa, ognuna di esse scelta dal vostro professore. Sono sicuro sarai all’altezza. Che ne dici di iniziare a provare insieme, leggendo il copione?» domandò, togliendo il dito dalle mie labbra.
Non potei fare altro che annuire, consapevole di essere totalmente ammaliata dal suo fascino tenebroso.
Già dimenticato il povero Matt?
 
«È un piacere incontrarla di nuovo.» dissi, guardando Nate/Gatsby nei suoi meravigliosi occhi grigi.
«Anche per me incontrarla di nuovo è un piacere.» esclamò lui nella sua perfezione. Prese la mia mano e la portò sul suo viso, accarezzandosi con gli occhi chiusi come in estasi – faticai davvero tanto a non perdere la concentrazione.
«Daisy, devo farti vedere una cosa…» mormorò, portandomi con se.
Fermalo, Barbara, il copione!
«Aspetta!» Inspirai profondamente prima di ricominciare a parlare. «Jay, io… è passato così tanto tempo»
«“Will you still love me when I’m no longer young and beautiful?”» canticchiò a voce quasi sussurrata, sfiorando il lobo del mio orecchio.
Dei brividi mi percorsero tutto il corpo.
«Per sempre.» risposi, accarezzando i suoi capelli e fu in quel momento che prese il mio volto tra le sue mani e si avvicinò pericolosamente fino a lasciarmi un indimenticabile bacio sulla bocca. Poco prima di allontanarsi morse leggermente il mio labbro inferiore per poi toccarlo delicatamente con l’indice.
Manciate di secondi che sembrarono ore, uno di quei momenti in grado di lasciarti intense emozioni.
 
«Hai baciato Nathaniel Harding?» strillò Jennifer a denti stretti per non farsi sentire troppo.
«Sì… e devo ancora riprendermi.» risposi.
«Ma com’è andato il provino secondo te?» chiese, cercando di farmi tornare sul pianeta.
«Bene… credo… scusa, devo andare un attimo in bagno.»
Entrai in bagno per sciacquarmi il viso e riprendere coscienza della situazione.
È un bellissimo ragazzo, nessuno lo mette in dubbio. Ma sei un’attrice, non puoi crollare dopo un bacio.
Era vero: il mio lavoro, o almeno quel che avrei voluto fare in futuro, era interpretare ruoli diversi e quindi provare le emozioni e i sentimenti dei più svariati personaggi. Un vero attore però non avrebbe lasciato il set portando con sé quel bagaglio… le emozioni sarebbero rimaste sulla scena.
Uscii dal bagno quasi convinta e giusto in tempo per la chiamata.
«Signorina Loveti, entri pure!» esclamò all’improvviso una ragazza che si occupava della gestione di tutti i partecipanti al provino.
Entrai nervosa nella stanza e trovai nel mezzo una sedia con davanti tutta la “giuria” pronta a darmi l’esito. Presi posto silenziosamente e con la coda dell’occhio notai lo sguardo compiaciuto di Nate che non smetteva di fissarmi.
«Ciao, Barbara», iniziò il mio professore di recitazione, «sono molto fiero di te, del tuo indistinguibile impegno al corso e dell’incredibile prova dimostrata oggi. Per quanto mi riguarda sei tra le alunne migliori che io abbia avuto da diversi anni…»
Sorrisi e lo ringraziai, mimando un “grazie” con le labbra.
«Barbara, sono Meredith Averill e ho scritto la sceneggiatura di questo spettacolo. Non potrei essere più d’accordo con Alexander: sei stata meravigliosa e per quel che mi riguarda non vedo altre candidate migliori al ruolo di Daisy.»
Era incredibile: mi stavano facendo tutti dei complimenti, solo belle parole ed elogi.
Sei nata per la recitazione, non lo avevi capito?
Lo avevo sperato, desiderato, sognato… ma non ero mai stata sicura di me.
«Per quanto mi riguarda invece, e credo di saperne giusto un pochino, trovo la tua interpretazione di poco pregio; mi sarei aspettato molto di più da una ragazza candidata al ruolo di Daisy, per non parlare del palese dislivello tra te e Nathaniel… arriva agli occhi più doloroso di un pugno allo stomaco.» disse “l’uomo forse regista”.
«Cosa ne pensi di tutto ciò, Barbara?» chiese improvvisamente Nathaniel.
«Io… ehm, io sono davvero felice di aver sentito i vostri pareri. Al corso cerco di dare il centodieci per cento ogni singolo giorno e spero sempre di riuscire a migliorare. Questo è il mio sogno, la mia passione… non riesco a pensare ad altre strade per me; il cinema, il mondo dello spettacolo, la recitazione sono tutta la mia vita. Anche se non tutti credono in me, essere qui è già un traguardo e non so se state per dirmi che sono stata presa o se volete darmi il mio primo “due di picche”, ma in ogni caso questo è solo l’inizio… sono pronta a tutto.» affermai.
Nathaniel si alzò, incamminandosi verso di me. Ero così tesa e confusa, non sapevo più cosa aspettarmi pertanto mi limitai a seguirlo con lo sguardo. Una volta arrivato proprio davanti alla mia sedia mi prese la mano, facendomi alzare e con eleganza ci fece girare entrambi verso la restante parte della popolazione degli astanti.
«Miei cari amici, vi presento la nostra Daisy! Barbara ci farà compagnia per tutta la durata del nostro limited-run-show di questa primavera a Broadway.» esclamò sorridente Nate.
«Broadway?» domandai sbalordita e lui annuì, facendomi l’occhiolino.
Si alzarono tutti contemporaneamente e iniziarono ad applaudirmi, d’istinto tolsi la mano da quella di Nate e la portai alla bocca, probabilmente nella speranza di soffocare ogni genere di suono ma mio malgrado le emozioni riuscirono a trovare sfogo attraverso le lacrime.
Ringraziai uno per uno ogni componente della giuria e uscii dalla stanza scortata dall’insegnate di recitazione che mi bloccò poco dopo per assicurarsi che stessi bene.
«Professore…» iniziai, ma lui interruppe subito il vano tentativo di esprimere la mia gratitudine.
«Alex, Barbara, quante volte te lo devo ripetere? Comunque, spero tu non ci sia rimasta troppo male per le parole di Robert.»
Ecco il nome del simpaticone…
Scossi il capo per rassicurarlo.
«Ti vedo perplessa, hai qualche domanda?» chiese gentilmente.
Non sbagliava affatto, di domande ne avevo a valanghe: come avrei fatto con i corsi? Danza? Le lezioni intensive? Matt? E se non avessi passato l’anno? Sarei dovuta tornare in Italia?
Lui comprese ogni mia perplessità, ma sapeva bene che non avrei mai potuto rinunciare a una simile occasione, così provò a spiegarmi come mi sarei dovuta comportare.
«La nostra accademia è stata creata proprio per far nascere nuove stelle… tu hai solo iniziato a brillare prima di molti altri» sorrise per poi riprendere subito: « Purtroppo però non posso garantirti che andrà tutto bene perché questo dipende solo ed esclusivamente da te. Dovrai imparare a gestire al meglio le tue giornate tra “scuola e lavoro”, così da non ritrovarti indietro con il programma e gli esami.»
«E se non ci riuscissi?» chiesi ancora perplessa.
«E se invece tu ce la facessi? Barbara, la vita è fatta di rischi soprattutto per chi come te desidera fare l’attore» concluse con un sorriso.
«Grazie di tutto, Pr… Alex!»
«Brava! Ah, prima che mi dimentico… ecco il copione. Ti consiglio di cominciare a studiare, mia cara.» Sorrise e mi lasciò sola in quel corridoio con un malloppo di fogli da studiare.
Hai voluto la bicicletta?
Esistono anche le auto, comunque…
 
«Ehi, allora com’è andata?» chiese Matt, lasciandomi a malapena entrare.
«Bene!» esclamai, sorridendo. «Non piaccio al regista ma sono stata presa e a quanto pare lo spettacolo andrà anche a Broadway.»
«Fantastico!» disse, correndo verso di me e prendendomi in braccio.
Iniziai a ridere e lo abbracciai, ne sentivo il bisogno.
Gli dirai del bacio?
No… non ancora. Era solo un provino, stavamo recitando…
Andai a sistemarmi alla sbarra, pronta per l’inizio della lezione.
«Ascolta, so che hanno già preparato la pista di pattinaggio a Rockefeller Center. Che ne dici di andare questo fine settimana?» domandò con un’espressione dolcissima.
Non potei reprimere il sorriso che partì dritto dal mio cuore. «Sì, assolutamente!» risposi veramente felice.
Finalmente le cose iniziavano ad andare bene.



* * * * *

SPAZIO AUTRICE

L'ultima volta vi ho lasciati con un "chi non muore si rivede"... a questo punto posso solo essere tornata dall'oltretomba! :)
Spero vi faccia piacere questo mio ritorno e che abbiate apprezzato il capitolo - tenendo conto che ci sono voluti due anni...

Cosa posso dirvi? In questi due anni sono cambiate tante cose, sono successe tante cose, ma la mia passione più grande e la voglia di regalare emozioni sono ancora qui... e dubito possano mai abbandonarmi.

E niente, non mi dilungo ulteriormente, colgo quindi l'occasione per ringraziare Rose - la mia ancora ♥ - perché se questo capitolo oggi è qui dovete ringraziare lei per avermi spronata, sostenuta, per aver toccato i tasti giusti e non aver mai smesso di ricordare i miei obiettivi.
Ringrazio anche Sara, la ragazza meravigliosa che mi corregge i capitoli prima di presentarveli - credetemi, è un bene! -, nonostante commetta ancora innumerevoli errori, grazie a lei ho imparato più cose che in 14 anni di scuola... ho detto tutto.

Ah, voglio anche dare il benvenuto alla nuova lettrice Verdiana ♥ sto leggendo la sua storia, se volete dare un'occhiata anche voi la trovate qui: Non credo nei supereori. Credo in te.


Gruppo, per chi volesse news - sei viva? Aggiorni? Quando e come? : honeyes !

Grazie ancora a tutti!
Jen
♥  

Note:
Descrizione “Attitude”: http://xoomer.virgilio.it/lillial2004/passiefigure.htm

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