Intervista con l'uomo

di okioki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0.00 - 0.45 ***
Capitolo 2: *** 00.45 - 01.30 ***



Capitolo 1
*** 0.00 - 0.45 ***



L'uomo, quando l'aveva intravisto, era seduto sul bancone del locale a bere.
Il ragazzo aveva cercato in lungo e in largo qualcuno, ma quando l'aveva visto le ricerche erano cessate all'istante. Non sapeva dire cosa l'avessero catturato, forse gli occhi. Forse le increspature sul suo viso: non doveva avere più di trent'anni. O l'aria di vita vissuta che sembrava circondare la sua persona. Sì, forse gli occhi.
Fatto sta che si era deciso ad avvicinarsi.
L'uomo, quasi a percepire la sua presenza e le sue intenzioni, si girò. Sorrise. Aveva un bel sorriso, ma tutto nel suo viso gli dava una cadenza triste.
Il ragazzo arrossendo distolse lo sguardo, si sedette nella sedia accanto, avvicinando il barista.
«Una birra» chiese.
Il barista gli lanciò un'occhiata sospettosa. «Dì un po' ragazzo, ce l'hai diciott'anni?»
Il ragazzo annuì, mentendo, mentre il barista gli versava una Peroni e poi si allontanava.
«Non hai diciott'anni» disse l'uomo, sorridendogli tenero. Era un'affermazione.
Il ragazzo bevve un sorso della sua birra. «Tu che ne sai?» chiese con un cipiglio di sfida, sbattendo le ciglia.
Aveva letto in una rivista gay che era un buon modo per attirare su di sé la curiosità degli altri uomini.
L'uomo alzò le spalle. «Hai l'aria di un ragazzino in piena crisi ormonale» confessò. Poi assottigliò i suoi splendidi occhi. «Sedici. Devi avere sedici anni. Mi ricordi tanto mia sorella.» Bevve un lungo sorso dal suo bicchiere, accentuando nel sorriso triste una sfumatura malinconica.
Il ragazzo s'incupì. «Ti sembro una femmina?» domandò, pensando che allora non c'era nessuna possibilità.
L'uomo rise. «No, no» lo assicurò. «Ho solo detto che me l'ha ricordi. Anche lei si occupava del giornalino della scuola» gli rivelò.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi. «Come fai a saperlo?»
L'uomo rise di nuovo, anche se questa sua risata aveva un tono più forzato, accennò al suo marsupio e alla penna che fuoriusciva dalla tasca. «Hai anche l'aria intellettuale, e muovi le mani come se non vedessi l'ora di sentire qualcosa.»
Il ragazzo annuì, aggrottando la fronte, chiedendosi come questi particolari avessero fatto dedurre all'uomo la sua passione. Non sapendo che altro fare, bevve ancora un po' di birra guardando il barista servire altri drink.
«La vuoi sentire allora?» chiese l'uomo.
Il ragazzo si girò. «Che cosa?» chiese distratto.
«Una storia!» esclamò l'uomo. Ridendo si leccò le labbra, mentre per la prima volta nella serata i suoi occhi si accendevano di vita.
«Certo» sorrise il ragazzo, confuso. «Che tipo di storia?»
«Una storia autobiografica. La mia» disse.
«Ah» fu l'unico verso che fece il ragazzo. Sorpreso, tirò fuori dal marsupio il registratore.
L'uomo ridacchiò, avvicinandosi a lui per sussurrargli qualcosa all'orecchio. « Però ti avverto:è la storia di un'amore gay. Di un uomo per un altro uomo, in cui fanno molto sesso... ma che te lo dico a fare se stai in locale del genere! Non ti darebbe nessun problema, a te storie del genere potrebbero addirittura far eccitare!»
Il ragazzo si ritrasse di scatto, irrigidendosi nel suo imbarazzo.
«Scusa» mormorò l'uomo, in un cambio d'umore brusco, improvvisamente pentito. «Certe abitudini sono vecchie ad andarsene... E tu mi ricordi troppo un mio amico, per non stuzzicarti.»
Riuscì a strappare un sorriso al ragazzo. «Ti ricordo molta gente...» commentò.
«Sola la gente buona» precisò l'uomo, guardando nel suo bicchiere il liquido melenso. «Tutta gente a cui avrei voluto raccontare questa storia, ma non riesco. La racconterò a te...» disse con voce lontana.
Il ragazzo annuì.
«Bene» riprese l'uomo schiarendosi la gola, «se vuoi comincio.»
Il ragazzo premette subito un bottone sul registratore, incitando con un cenno l'uomo a cominciare a parlare. Era emozionato, non gli era mai capitata niente del genere, e quell'uomo era davvero bello.
L'uomo sospirò, i suoi occhi luccicarono.
«È stato il primo uomo di cui mi sia mai innamorato, andandoci a letto. Avevo diciott'anni, lui una ventina più di me. Era uno degli uomini più carismatici che avessi mai incontrato. Un artista. Ero convinto che sarei morto dopo ventidue anni, che non avrei più voluto vivere» rise, quando disse queste parole. «Ma quando l'ho incontrato ho pensato che nemmeno il tempo di tutta questa terra mi sarebbe bastato per amarlo come volevo. Ho creduto di morire quando mi ha detto che io non avevo più bisogno di lui. L'avrei voluto, invece non sono morto.»
Il ragazzo rimase in silenzio per lungo tempo, ipnotizzato dalle parole dell'uomo. Commosso, quasi. Anche senza aver sentito la storia, solo dall'accennare della fine.
Scuotendo la testa stoppò il registratore. «No, no» disse. «Devi raccontare bene la tua storia. Io ascolto solo belle storie.»
«Credevo di essere un buon oratore» si giustificò l'uomo, scusandosi.
Infatti lo era. Il ragazzo era rimasto incantato dalle poche parole pronunciate.
«C'è un procedimento da seguire. Ora ricomincio» lo avvertì il ragazzo, spingendo di nuovo il tasto di registrazione. «Come ti chiami?» chiese poi, con voce professionale.
L'uomo non poté trattenere un Ah! di esclamazione, prima di rispondere, anche lui serio: «Christian... Christian.»
«Vuoi raccontarmi la sua storia, quindi?» attaccò allora il ragazzo.
«Come?» domando l'uomo.
«Dal principio.»
L'uomo fece un sorriso stanco. «Avremmo bisogno di tutta la notte, ragazzo... e di un'altro bicchiere di gin» disse, e poi chiamò il barista per farsi riempire di nuovo il bicchiere.
Il ragazzo aveva messo pausa, e stava lì ad aspettare, smanioso di sentire parlare ancora l'uomo e affascinato dal modo in cui si portava il bicchiere alle labbra. E poi gli occhi, quei bellissimi, stramaledetti occhi.
«Vuoi?» chiese l'uomo porgendogli il bicchiere di gin.
Il ragazzo annuì, bevendone un sorso. Era caldo, bruciava.
Finalmente l'uomo posò il bicchiere. «Dal principio...» (il ragazzo si affrettò a riavviare la registrazione)«... ma è una lunga storia la mia. Credo che comincerò parlandoti della compagnia teatrale della città» decise l'uomo.
«Quale compagnia, quale città» ribatté il ragazzo a macchinetta.
«Non diamo nome alle cose...» sviò l'uomo, muovendo la mano in segno di diniego.
«Era l'inverno dei miei diciott'anni quando arrivai lì. Ero eccitatissimo. Pensavo: “l'ultima opportunità da cogliere al balzo prima di morire”. » L'uomo fece una risata amara, vedendo le ciglia aggrottate del ragazzo. «Non so perché mi sentissi così appagato, non avevo nemmeno una passione smisurata per il teatro» disse accigliandosi, poi sorrise. «A dire il vero lo so. L'unico motivo per cui avevo scelto quella strada era perché il mio migliore amico era pieno di teatro, e viveva solo di quello... prima d'incontrare me.»
Il ragazzo scorse una luce soddisfatta negli occhi dell'uomo, mentre diceva quelle cose, e pensò che l'uomo provava piacere nell'essere desiderato.
Ma l'uomo negò subito. «Scusa, non è questa la storia che devo raccontarti. Avvolte ricado nei vecchi vizi, devo sembrarti molto vanitoso» si scusò scuotendo il capo. «Sta il fatto che, nonostante avessi preso il teatro alla leggera – non che ci fosse qualcosa che prendessi seriamente - tutti mi giudicavano molto bravo. E io me ne compiacevo, perché pensavo: “non mi importa niente del teatro, e non m'impegno nemmeno, ma sono bravo”. Un giorno alla nostra scuola ci furono delle audizioni, a cui partecipò... mah, non sto qui a spiegarti tutta la storia. Ci furono delle audizioni, e io riuscii a farmi prendere in quell'importante compagnia teatrale. Il mio amico la prese malissimo, non solo perché me ne sarei dovuto andare via...»
«Era solo un amico?» domandò il ragazzo, incuriosito.
L'uomo scosse la testa, sospirando. «No, lui era...» Si leccò le labbra. «Era qualcosa per me, di molto importante. E ogni tanto ci scopavo, l'avevo sverginato io.»
Il ragazzo arrossì violentemente, ma l'uomo parve accorgersene dopo, troppo impegnato con i suoi ricordi. Un sorrisetto ironico si dipinse sul suo viso, per poi mutare in qualcosa di più dolce.
«Come dicevo,» riprese «il mio amico la prese molto male. Me ne sarei dovuto andare via quando il nostro rapporto era strettissimo. Se non ci vedevano per una settimana stavamo male e lui avrebbe dovuto resistere senza vedermi per mesi. Questo era il vero motivo. Ma Giorgio era orgoglioso, preferì farmi credere che in realtà a lui scocciasse il fatto che io, il ragazzo che non aveva una passione, avrei avuto la possibilità che era stata negata a lui ingiustamente, il ragazzo nato e vissuto sotto la stella del teatro. La madre attrice, il padre critico teatrale...» L'uomo fece una smorfia. «Forse avrei dovuto capire che era soltanto un modo per nascondere il vero problema, invece non lo feci.
Anch'io la presi malissimo.
Ero davvero arrabbiato. Credevo che sarei stato compiaciuto della sua invidia. Mi ero iscritto al teatrale solo per lui, e inoltre smaniavo fin dall'inizio di superarlo per fargli dispetto. Invece la presi male anch'io. Ripensandoci adesso, forse era perché non volevo separarmi da lui, ma non ne sono sicuro. A quell'età negavo a me stesso certi pensieri. Ricordo che pensavo con rabbia che lui sarebbe dovuto essere felice con me, che era solo un rancoroso del cazzo, che se io ero bravo e lui no non era colpa mia. Credo di avergli detto qualcosa del genere, anche. Inoltre credo che non sopportassi il fatto che per quanto cercassi di farlo concentrare solo su di me, mettesse il teatro sempre prima di me.
«Sì, mi da fastidio anche adesso. Se lui avesse rinunciato alla scuola per seguirmi non si sarebbero creati tutti quei problemi, mi preferì il teatro. Quindi partii senza dirgli addio, di pessimo umore.
Una volta nella nuova città non so cosa mi prese. Era euforico. Credo che nella mia mente vedessi quell'essere contentissimo come una ripicca verso Giorgio. Perfino il mio improvviso interessamento al teatro era senz'altro dovuto a lui. Ero talmente felice al punto che non mi mise di cattivo umore nemmeno aver telefonato a mia sorella: lei accolse la notizia felicissima, dicendomi che se avessi avuto bisogno mi avrebbe mandato i soldi. Ricordo che nel sentirle pronunciare queste parole pensai “Allora fra quattro anni avrò una morte in gran stile!”. Mi feci mandare i soldi e comprai un bel appartamento. Appena entrai in casa diedi fuoco ai vecchi copioni di teatro, alle mie opere preferite, a tutte le foto che in momento di improvvisa crisi di nostalgia mi ero portato dietro, in preda alla furia. E poi scoppiai a ridere. Continuai a questo ritmo per giorni interi, finchè non ricevetti la chiamata da quelli della compagnia, con l'invito di venire a teatro per cominciare a familiarizzare con gli altri attori, e provare.
«Adesso dovrei vergognarmi di come ero: molto disturbato, succube dei miei sbalzi umorali. Da quando avevo litigato con Giorgio, e con mia sorella lontana, non c'era più nessuno a tenermi d'occhio. Quelli sono stati i mesi in cui raggiunsi l'apice dell'uso con la cocaina... è da lì che non sono riuscito più a farne a meno...»
«Cosa?!» si lasciò sfuggire il ragazzo, spalancando gli occhi. L'uomo, pensò, era assorto nel suo discorso e probabilmente non si era accorto di quello che diceva.
«Ah, sì. Prendevo cocaina da quando avevo sedici anni» lo informò l'uomo. «Ma ora sono pulito. Saranno anni che non la prendo... Ti crea problemi?» gli domandò sorridendo divertito.
Il ragazzo scosse la testa. «No, no... solo che... niente» farfugliò lasciando perdere.
L'uomo corrugò la fronte. «No, aspetta... sei mesi, sei mesi. In una notte credo di aver sgasato» si corresse. «Comunque, sì. È sicuramente da lì che mi prese la dipendenza. Vedi, ora devo subirne le conseguenze» gli disse, indicando la mano con cui teneva il bicchiere.
Il ragazzo vide che tremava impercettibilmente.
«Riprendiamo» sospirò l'uomo lanciando un'occhiata al registratore. «Quanta memoria hai? Perché vorrei raccontare la storia con molta calma...»
Il ragazzo guardò il registratore: erano passati quasi venti minuti. «Abbastanza per una notte» rispose. Tanto nel marsupio, se il racconto si fosse protratto per ore, aveva altre SD cards.
«Bene. Appena ricevuta la chiamata mi dissi che il giorno dopo sarei andato alla compagnia. E così feci. Tutto l'entusiasmo iniziale fu smorzato appena entrai dentro. Non era, alla fine, molto diverso dalla scuola di teatro. Fatto sta che mi presentai a tutti sorridente ed entusiasta e recitai un pezzo di Caligola di Camus, il mio pezzo forte. Feci una bella impressione: tutti mi dissero che avevo un viso molto espressivo, e la voce e le movenze proprie del teatro. Alcuni arrivarono a dire che sarei andato bene anche per il cinema. Cominciavo a fare amicizia con i ragazzi più giovani, avevano pressapoco la mia età, anche se io ero il più piccolo, l'unico che studiava ancora, anche se privatamente. Ad alcuni di loro piacevo, alle femmine sopratutto. Ma non ci feci mai caso, l'unica donna di cui mi sia mai innamorata è stata mia sorella... e con questo nella mia vita mi sono innamorato solo di due persone» L'uomo tacque, portandosi il bicchiere alla bocca e bevendo altro gin.
Il ragazzo sapeva che era una cosa ben strana quella che aveva detto, ma evitò di chiedere qualche spiegazione. Le tre volte che aveva nominato la sorella, l'uomo aveva assunto un'espressione molto triste e tormentata. Inoltre non era questa la storia che voleva raccontare.
«Ma piacevo anche a qualche ragazzo. Cominciai a scopare all'occasione con uno. Si chiamava Edoardo, era il primo con cui cui lo facevo da quando ero arrivato in città. Non che mi piacesse molto, ma mi stimolava in maniera sessuale. Era un porco...» si leccò le labbra, bevendo altro gin.
Il ragazzo era di nuovo a disagio, ma fece di tutto per non farlo vedere. Cominciava a sentire una leggera tensione nel basso ventre.
Purtroppo l'uomo, con il suo bellissimo sguardo, se ne accorse. «Beh, mi hai dato tu il via libera sulle scene spinte, no?» gli disse scherzando, ma poi il suo viso divenne serio: «Ah, ma non dirmi che volevi rifilarlo come un lavoro a scuola!»
Il ragazzo in un primo momento ci aveva pensato, ma poi si era costretto a ricredersi: a scuola già si vociferava che fosse gay, non voleva dare l'indizio finale.
Sorrise. «Ho smesso di poter credere di farlo da quando ho sentito “ lo scopavo e lo sverginavo”» gli rispose.
L'uomo ricambiò il sorriso, alzò la mano verso la guancia del ragazzo, quasi volesse accarezzarlo. Ma subito dopo si ritrasse, abbandonando il sorriso, e schiarendosi la gola. «Scusa» mormorò.
Il ragazzo non rispose, gli era sembrato per un attimo di poter annegare nei colori degli occhi dell'uomo e il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata.
«Beh, praticamente gli piaceva essere sottomesso. A letto stava sempre sotto e gli godeva quando gli facevo male. Di solito per la parte attiva con le mie precedenti relazione me la dovevo contendere – tutti tipi virili – invece con lui era sempre assicurato che ero io quello che penetrava. Penso che è per questo che mi venne l'abitudine di scopare solo con lui. Tutte le mie relazioni sono libere, ma non scopavo in giro. Credo fossi ancora con la testa su Giorgio, quindi non mi andava di rimorchiare. Inoltre anche lui pippava e passavamo la maggior parte del tempo a sballarci e a fare sesso e a recitare. In fondo, è stato un bel periodo.
Non mi fraintendere. Mi sentivo bene, anche se con l'aiuto della droga, ed ero felice. Ma infondo non è questa la felicità che le persone vogliono.
La gente, nonostante faccia di tutto per trovare la felicità, vuole meritarsela. Quella che provavo io era la felicità vuota di un demente. Insipida, senza sapore.
Passammo cinque mesi così, poi qualcosa cambiò quando mi assegnarono un ruolo principale in un'opera. Stavamo in giro per l'Italia, verso nord, a... ma che dico, non facciamo i nomi dei luoghi ho detto!
«Ci alternavamo le parti minori, mentre le parti principali erano assegnate sempre agli attori con più esperienza. Però l'attore che faceva il diavolo si fece male e fui scelto io a sostituirlo.
Questo non piacque a nessuno. Insomma, ero il più giovane e uno degli ultimi arrivati, che diritto avevo io di fare la parte del protagonista? Ah, perché stavamo recitando una revisione del Paradiso Perduto di Milton. Si lamentarono così tanto i bastardi, che lo scenografo dovette farmi cambiare ruolo con l'arcangelo Raffaele, che appariva solo per cinque minuti in una discussione con Adamo.
Mi irritai tantissimo e decisi che avrei rubato la scena a tutti, recitando come un dio.
Sì, passai le ultime ore prima di andare in scena ad attorcigliarmi le budella per quanto era arrabbiato. Dio, pensavo, è così ingiusto! Non era tanto l'atto in sé. Come ti ho già detto del teatro m'importava ben poco, avevo già programmato che per i ventidue anni la mia carriera sarebbe finita. Quello che mi faceva imbestialire era il fatto che mi avessero ricordato Giorgio e il modo in cui l'aveva presa. La sua invidia di serpe e la sua infamia come amico. Me l'avevano ricordato dopo che erano mesi che non ci pensavo e mi sballavo solo di cocaina e lui non mi aveva ancora chiamato, quando credevo che dopo pochi giorni alla mia partenza mi avrebbe telefonato. Come stai? Quando torni? Ti manco? Mi aspettavo di sentire. Con chi stai? Ti sei già fatto tutta la città? Con chi scopi? Mi avrebbe fatto piacere ascoltare il tono acido e isterico di gelosia. Ma ancora meglio, mi avrebbe fatto sentire benissimo sentirmi dire: mi manchi, ho bisogno di te. Ecco, credo che è questo che pensavo. Il solo fatto che non mi avesse chiamato voleva dire che il teatro era più importante di me. Un'ora prima dell'entrata in scena Edoardo venne da me, aveva visto come ero arrabbiato. Quando sono irato tendo a muovermi e a tremare tutto, tenendo gli occhi sempre vigili, la testa scattante... Ovviamente tentò di consolarmi nell'unico modo che sapeva, mi sussurrò cose sporche all'orecchio: che cosa avremmo fatto dopo, quanta voglia aveva di farsi sbattere in bagno... queste cose da puttana. Improvvisamente mi accorsi di avere la mente lucida per la prima volta da molto tempo, capii che con quel ragazzo non avevo instaurato nessun tipo di rapporto che non fosse sbatterci in continuazione. Non sapevo niente di importante di lui, a parte le sue preferenze sessuali, e io non gli avevo mai detto niente di me. Andando a letto con lui era come se andassi ogni volta a letto con un tipo appena conosciuto. Mi ricordo che non gli prestai molta attenzione e che ero parecchio scocciato, tanto che ad un punto lui se ne andò offeso.
Cominciò il primo atto. Mancava ancora tanto al mio, ma mi ritrovai a leggere la mia parte velocemente, perché per tutto il tempo di prova non avevo fatto che arrovellarmi con il pensiero di Giorgio. Era una specie di ossessione: volevo essere sempre al centro dei suoi pensieri. E così gli atti passarono in un batter d'occhio, quando finalmente giunse il mio atto. L'attore che dovevo sostituire nella parte del diavolo si fece avanti con le stampelle, si era storto una caviglia o qualcosa di simile, e mi disse qualcosa del genere: “Ti do un consiglio, non prendertela se non ti va sempre una parte principale. Il bello di noi attori di teatro, al contrario di quelli del cinema, e che facendo anche delle comparse possiamo recitare al nostro meglio e trasmettere un'emozione al pubblico per tutta la durata della serata”. In quel momento non ero in vena di sentire consigli da nessuno, quindi risposi con un sorrisino sarcastico, andando in scena. Quel tipo mi aveva fatto ricordare di un libro che avevo letto e mi era piaciuto molto: Queste oscure materie di Pullman. Che prendeva ispirazione dal poema che stavamo recitando. Allora mi ricordai: io adoravo il personaggio di Satana. Era così distopico da quello della realtà... non tanto diabolico, ma più umano. E questo mi fece infuriare ancora di più. Ma pian piano, mentre recitavo la scena di cinque minuti, parlando con l'attore che era Abramo, la mia rabbia si trasformò in nostalgia. L'attore con le stampelle, nel suo modo di parlare disdegnando il cinema, mi aveva ricordato in qualche modo Giorgio. Era una nostalgia molto simile alla felicità che volevo, quindi, una volta finita la mia scena fui davvero felice.
«Quello che non mi aspettavo e che fossero così contenti gli altri di me. Persone che prima si erano lamentate del privilegio che mi sarebbe potuto spettare si ritrovarono in fila a farmi i complimenti.
Lo scenografo mi baciò sulle guance, congratulandosi. Poi quando arrivò da me l'attore con le stampelle, Alessandro, si chiamava Alessandro, improvvisamente lo vidi in un'altra maniera. Alto, virile e bello, con i capelli scuri e gli occhi verdi mi ricordava Giorgio. Non so perché, a lui non assomigliava d'aspetto: Giorgio aveva gli occhi ambrati, ed era esile, seppur più sulla categoria di persone che ti fanno tenerezza che su quelle che avresti voglia di sbatterti.
Doveva avere venticinque anni, e Dio se volevo piacergli.
Mi disse che alla fine avevo fatto proprio ciò che gli avevo detto, ridendo. E già da lì avrei dovuto capire che non era per niente simile a Giorgio, ma non so come, ancora adesso, il mio cervello lo paragona a lui. Beh, mi ritrovai immerso nella malinconia, rivivendo quello che avevo vissuto con Giorgio nella prima adolescenza. Un impulso di desiderio esteta: volevo piacergli, volevo stare al centro di ogni suo pensiero erotico, volevo che mi ammirasse e pensasse continuamente a me, volevo superarlo.






CONTINUA




Note:


Questo racconto è di una lunga serie incentrata su due personaggi che ho creato per un concorso, e che poi mi son rimasti nel cuore. Christian & Giorgio.
Sono due amici, migliori amici, o forse qualcosa di più. Ma non in questa storia. Questa storia è incentrata solo su uno di loro e sul suo amore.
Tutto il racconto si dovrebbe svolgere in una notte... Ero partita che volevo pubblicarla come One shot, ma credo che la spezzetterò in più parti, mettendoci anche altre relazioni che alla fine sono state importanti per la crescita di Christian.

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Capitolo 2
*** 00.45 - 01.30 ***


 

 

«Un impulso di desiderio esteta: volevo piacergli, volevo stare al centro di ogni suo pensiero eroti­co, volevo che mi ammirasse e pensasse continuamente a me, e infine, volevo superarlo» disse deci­so l'uomo, picchiettando sul bicchiere. Il ragazzo ripensò alle parole che aveva detto all'inizio della storia: era davvero un buon oratore, s'immedesimava. Ed inoltre era bellissimo in questo suo modo di fare, magnetico, catturava lo sguardo.
«Non avevo messo in conto che fosse etero, e sinceramente non m'importava nemmeno. In fondo in molti non sono gay fino a quando non assaggiano un uccello» ridacchiò. «Lui faceva lo stupido con le ragazze più giovani, eppure non mi venne in mente in un primo momento... Capisci? Ero così ac­cecato dai miei desideri che non vedevo nemmeno la realtà delle cose. Dopo la fine dello spettacolo un critico letterario venne a farmi i complimenti e stranamente mi donò un mazzo di rose. Io sorrisi, era strano, questi di solito sono regali che si fanno alle donne, ma accettai comunque di buon grado. Mi lasciò un bigliettino nel mazzo, ricordo le parole ancora oggi: chi è costui che vestito da angelo interpreta così soavemente la parte di un diavolo? Decisi di conservarlo, nonostante le rose il giorno dopo erano appassite. Qui si apre una piccola pa­rentesi nella mia vita... come si chiama... deja-vù. Non è un termine fantastico, deja-vù? Una cosa che avevo già vissuto... ecco, mi sembrava di rivivere la mia adolescenza come ho detto. Alessandro mi appariva così simile a Giorgio, che non pensai più un istante a lui concentrandomi solo sul sedurre Alessandro. Ogni mia azione era calibrata per provocare una reazione in lui. E quanto gongolavo quando mi accorgevo che le mie manovre avevano effetto... ero vanitoso! Edoardo non esisteva più, nemmeno il sesso aveva su di me qualche attrattiva se non era collegato a Alessandro... mi ritrovavo a sussurrare il suo nome di notte, nei momenti di sollievo, e Dio, era struggimento tale! Non so dirti se si possa considerare o meno una storia d'amore, anzi, non so nem­meno se io gli piacevo come persona o come possibile amante. Non me lo ha mai fatto intuire, e an­che se sapeva quale era la mia natura si divertiva ad indispettirmi. Non credo successe niente di eclatante mentre ero fissato con lui... no, aspetta! Allora... mi ricordo che un giorno lo invitai a cena, mi sembra per qualcosa tipo “mi devo sdebitare” e altre cazzate lì, ero un incredibile ruffiano, e sa­pevo bene come accattivarmi la gente. Fatto sta che andammo a cena in un ristorante cinese della zona, solo io e lui, dopo una serata passata a teatro. Era felice, mi ricordo, era stato davvero difficile riuscire ad invitarlo da solo senza coinvolgere gli altri amici della compagnia o le donne, quindi non volevo proprio farmi sfuggire l'occasione. Mi sembra che mentre camminavamo per il luogo, gli sfiorai due o tre volte la mano con la mia, sorridendogli malizioso, e lui ricambiò il mio sorriso con uno molto gentile... Eravamo arrivati lì che ridevamo come matti, io per lo meno – lui era molto composto – avevo una nota isterica e ansiosa nella voce. Ero sempre stato bravo con i ragazzi che mi piacevano, ma con lui non sapevo cosa fare. Era bellissimo, bravo, gentile, interessante, di solito quando pensavo a lui – e quando non pensavo a lui? – non avevo nient'altro per la mente. Mi ero persino dimenticato che avevo cominciato a cercarlo perché assomigliava a Giorgio. Ma non penso fosse solo il fatto che non sapevo cosa fare con lui... ma sentivo che c'era qualcosa che storpiava il momento. L'emozione. Inconsciamente, parlandoci, avevo compreso non era per niente simile a Giorgio, e piano piano, invisibilmente la mia smania di soggiogarlo e possederlo si stava allentan­do... Comunque non credo che pensassi a niente del genere a momento, o se anche lo pensavo non potevo accettarlo. Come ti ho detto, negavo a me stesso certi pensieri. Al massimo mi sarò chiesto “ Ce l'ha davvero lungo come sembra?” o “Chissà come scopa...” …Ero davvero diverso allora, poi l'insieme di tutte le esperienze mi ha fatto maturare...
Allora, seduti sul tavolo, mentre aspettavamo la cena cominciammo a parlare. Te l'ho già detto: amavo stuzzicarlo. Quindi l'argomento virava o alludeva quasi sempre al sesso. Gli chiesi, mentre parlavamo di teatro “Tu sei molto prestante vero?” con un sorriso lussurioso. Ma lui non mi conce­deva mai la soddisfazione di vederlo imbarazzato o a disagio... non era per niente come Giorgio. Doveva saper trattare con le persone, perché anche se lo mettevo in situazioni simili ero sempre io ad uscire indispettivo. Smussava le mia allusioni con la facilità con cui recitava in maniera così bril­lante, l'ammiravo, ma non penso per il teatro in sé, ma perché sarebbe stata una di quelle persone che sarebbero sicuramente piaciute a Giorgio. Se piaceva così tanto addirittura a me. Come ti dice­vo m'indispettiva, io cercavo di parlare di scopate, esperienza sessuale e cose di questo genere, lui tornava a parlare di teatro. E mi criticava pure! Mi faceva notare, con un sorrisetto ironico che ero davvero presuntuoso, e al contrario di destare la sua ammirazione il mio atteggiamento non gli pia­ceva per niente. Allora io mi fingevo offeso, ma nemmeno questo aveva presa su di lui come spera­vo. Liquidava le mie scenate con un sorrisetto e una scrollata di spalle. Quella sera però era veramente veramente indispettito. Non riuscivo a capacitarmi di non piacergli, di non riuscire a metterlo in imbarazzo, di non riuscire a metterlo a disagio. Tutto l'entusiasmo era andato scemando quando mi ero scontrato contro il suo muro di impassibilità. E avevo bevuto qual­che goccio di troppo, e questo non succedeva mai... perché già da allora sapevo di avere la sbornia triste. E quando ero triste di solito pensavo a Giorgio, e questa non era la cosa terribile, non era la cosa che più temevo, la cosa che più temevo era di pensare a mia sorella. Ma tanto quando stavo con Alessandro non pensavo a nient'altro. Ah, ma forse è meglio che ti spieghi: finora ti ho parlato esprimendo tutte le emozioni che ho realmente provato in quelle situazioni. Ma la verità è che sono un bravo attore, dopotutto, quindi riuscivo a fare “buon viso a cattivo gioco” o come lo vuoi chia­mare. L'unico in grado di farmi incazzare così tanto era Giorgio... Comunque non so con quale au­dacia, forse dovuta al vino, mi sono scoperto così tanto quel giorno! Alessandro era lì, cazzo, a far­mi girare le palle se vogliamo proprio dirla tutta, ma la testa mi girava e quindi gli dissi senza tanti giri di parole che avrei voluto fare sesso con lui. E gli chiesi se ci stava. Rimase a bocca aperta, cre­do di avergli rovinato la cena con quella rivelazione. Era sconcertato, aveva perso ogni accenno di sarcasmo e i sorrisini ironici erano evaporati. Mi disse qualcosa sul tizio che scopavo prima – il ma­iale... – ma non erano parole che volevo da lui, quindi da sotto il tavolo, dove non ci poteva vedere nessun, mi sfilai la scarpa cominciandogli a toccare il pacco. Lui mi guardava come se avessi dato di matto: una cosa era scherzare, una cosa era provarci seriamente. Purtroppo, per quanto tollerante poteva essere non era gay, e me ne accorsi perché non si era minimamente eccitato. Ah, ora che ci penso può anche darsi che lo sia; magari il problema ero io, magari non ero il suo tipo... ma quei pensieri allora non mi sfioravano minimamente. Poi... non ricordo molto, se non il fatto che ce ne eravamo andati, e quando avevo capito quello che avevo fatto – quando ormai ero a letto – mi ero roso dalla vergogna, per poi prenderla alla leggera e riderci sopra. Chi era lui infondo per rifiutarmi e prendermi in giro? Anche io ero bello, anche io se ne avessi avuta la possibilità lo avrei rifiutato. Poi lo sdegno divenne improvvisamente eccitazione. Credo di essermici masturbato molte notte, con l'episodio della cena. Il giorno dopo era tutto normale comunque, credo abbia capito che ero veramente ubriaco e che mi abbia perdonato... o forse me ne sarò uscito con qualcosa sulla mia fa­miglia tanto per fargli pena... ma non ricordo, non ricordavo nemmeno il giorno dopo per quanto ero fuori. Ma da quel momento in poi il mio invaghimento si era dissolto, e non ci provai più. Certo capitava che ogni tanto la facessi qualche battutina, ma era lui che me le serviva su un piatto d'ar­gento!
« Ma basta, mi ero deciso, non potevo più vivere come un derelitto, dovevo trovarmi una ragione di vita oltre al teatro. Cominciava a darmi una noia mortale, non pensavo più alle ripicche e ad altre cose, non pensavo più alla vendetta contro Giorgio: me lo stavo dimenticando. Me lo stavo lascian­do scivolare di dosso, mi si stava spegnendo la voglia che sempre avevo avuto di soggiogarlo, di renderlo dipendente da me. Non che m'importassi, o mi sforzassi di pensare a lui, no la cosa più im­portante, basilare per certi versi, era che lui pensasse sempre a me. Ma dovevo trovare veramente qualcosa da fare, altrimenti mi sarei suicidato. Certo sniffare coca era una bella occupazione, dovevo andarci piano però, perché rischiavo di essere strafatto anche duran­te le prove. Era diventata una specie di dipendenza. Mi faceva stare bene, come quasi mai nessuno aveva fatto nella mia esistenza... Anche questo è un pensiero che ho maturato dopo, a quel tempo non avrei nemmeno saputo dire perché mi facevo di cocaina. È vero, l'avevo scoperto molto giovane, verso i sedici anni, mi fino ad allora non era stata una di quelle droghe di cui necessitavo. Non era mai stata una dipendenza, sniffavo occasionalmente: quando riuscivo Giorgio convincerlo a farlo, o quando ancora stavo con Gabriele. Beh, diciamo che era Gabriele che mi aveva iniziato... sono così spiaciuto che abbiamo perso i contatti, ma in un certo senso se voglio rimanere pulito non dovrei frequentare tutta questa merda, quindi è un bene. Per fortuna ancora non mi erano cominciate le crisi d'astinenza, e qualche giorno – qualche ora e cinque giorno sarà stato il record? – potevo anche passarlo senza la voglia di sniffarmi qualcosa. Decisi che sarei andato a divertirmi in qualche discoteca gay. Non so perché presi quella decisione, era la prima volta che andavamo in una discoteca gay, che le feste e i rave e le orgie a cui mi trascinava Gabriele non erano proprio le stesse cose.
Una sera quindi, da solo, decisi di andare in discoteca, si chiamava … non importa.
Non sapevo nemmeno io cosa avevo in testa, ma cominciavo a sentirmi molto male. Un malessere che non sapevo nemmeno io da dove proveniva; non sniffavo da qualche giorno. E intanto sforzan­domi di non pensare a niente mi dicevo “Coraggio, Christian, ancora qualche anno... sopporta anco­ra qualche anno e potrai mandare tutti a fanculo!”. Dio... ero così pietoso, pietoso con una propen­sione al dramma e all'autocommiserazione: mi chiedo come non facessi a piangere – ma no, di soli­to quando stavo così mi prendevano le crisi isteriche. Appena entrai in discoteca ebbi un'impressio­ne bruttissima, non era proprio il tipo di posto che di solito frequentavo. Non dico che mi sentivo a disagio, ma non mi sembrava un bel posto. Angeli mezzi nudi e pompati che ballavano sui cubi, tizi mezzi ubriache che quasi scopavano nella sala ( non dico che non mi sarebbe piaciuta l'idea), e gen­te vestita in modo grottesco. Credo che fosse questo ciò che mi dava fastidio, non tanto il trucco ma per il modo esagerato in cui erano truccati. Da bambino, ancora me lo ricordo, avevo una paura as­surda dei clown, per un preciso episodio che non ti sto qui a raccontare, e anche se crescendo la fo­bia è passata, ne risentivo ancora un po'. Non che ne avessi proprio paura, ne che fossero truccati proprio come pagliacci, ma non ero molto lucido.
Ormai era stato tirato in ballo, però, e non mi restava altro che ballare... nel vero senso della parola! Ero sempre vissuto nel mio piccolo universo, ma non avevo mai pensato che ci potessero essere ti­pologie di persone differenti da come le avevo incontrati. Certo, lo sapevo, ma non ci avevo mai troppo spaziato con la mente: insomma, infondo avevo fatto tutto, l'attivo, il passivo, sesso a tre e perfino orgie con più persone, avevo fatto addirittura sesso con qualche ragazza! Invece ora dovevo rivedere il tutto. Comunque stavo ballando con un tizio, non mi ricordo nemme­no la faccia, quando improvvisamente sentii un altro che si strusciava come un ossesso contro il mio fondo schiena. Mi girai, in quel momento ero completamente partito, dovevo aver preso qualche pa­sticca... ma ora non ricordo. Mi girai, comunque, e trovai questa tappetta dal corpo sgraziato e spi­goloso per una ragazza, che mi sorrideva e ammiccava leccandosi le labbra. Era fuori, l'ho già detto, vidi che aveva vagamente qualche atteggiamento di Laila, ed ero già partito. Puoi immaginare che ci andai a letto. Anche se non posso raccontare niente perché questa è stata una delle serate in cui non ricordo quasi niente. Del mattino seguente però ricordo bene. Mi svegliai stordito in un apparta­mento non mio, e girandomi vidi una donna con il trucco sbavato che dormiva accanto a me e russa­va sonoramente. Non mi ricordavo un cazzo, a parte il fatto che le avevo preso il culo e che l'aveva­mo fatto senza preservativo. Avrei voluto morire, ma non tanto per quello, ma perché ricominciavo a sentirmi una merda. Avevo appena chiaro l'unico motivo per cui ci avevo fatto sesso: mi ricordava mia sorella, cazzo, ed era qualcosa che non doveva succedere. Non volevo ricadere sempre nello stesso circolo vizioso. Ebbi paura, quindi schizzai il più velocemente e silenziosamente fuori dalla casa con in testa solo la di trattenere i conati di vomito e di farmi di cocaina.
Dopo non ci pensavo nemmeno più, avevo come la testa vuota, e mi sentivo bene. Talmente bene che nemmeno il fatto di dover andare a teatro mi mise di cattivo umore. È stato un periodo strano quello, nemmeno io sapevo perché mi sentivo così di merda. Ma odiavo essere triste, come odiavo pensare a cose spiacevoli, quindi abusavo nell'uso della droga. Le canne non mi bastavano più, qua­si non mi facevano effetto.
Comunque andai a teatro. Alcuni di noi erano stati scelti per partecipare a un'audizione de Il piccolo principe per una compagnia molto famosa, e io ero uno di quelli. Quel giorno, strafatto com'ero penso di non aver fatto una bella impressione, perfino Edoardo, che non mi parlava da tempo, mi si era accostato per chiedermi se andava tutto bene. La sera poi, quando finimmo di provare varie sce­ne, mi stavo incamminando per casa quando mi si fermò il cuore. Sotto casa mia, nella luce della sera, c'era la ragazza dell'altra notte. Lo sballo mi era un po' passato, quindi riuscii ad accorgermi che non era affatto una ragazza, ma un ragazzo, per quanto equivoco poteva sembrare. Quando mi vide mi andò incontro sorridendo. Io ero molto inquietato. Non volevo vederlo, non volevo sentirlo ne ricordarlo, mi avrebbe portato alla mente tutte memorie spiacevoli. Credo che pensassi a questo, ma nonostante tutto gli sorrisi, chiedendogli come avesse fatto a sapere dove abitavo. Lui mi rispose ridacchiando che glielo avevo detto io, e che gli avevo anche detto che quando avesse avuto voglia di parlare poteva farlo con me. Dentro stavo morendo, attanagliato di nuovo da quel disagio che si era dissolto brevemente. Capii che non me la potevo cavare facilmente, gli avevo detto delle cose sotto l'effetto della droga e sotto l'effetto del complesso che avevo nei confronti di mia sorella, lui ci credeva veramente. Lo invitai a bare qualcosa in un bar vicino. Volevo restare lucido, ma non so come, mi ritrovai ad ordinare un paio di birre. Mi parlò di quello che era successo l'altra sera, di cosa avevamo fatto prima e nel mentre. Del fatto che si fosse trovato così bene con me da raccontar­mi i problemi con la sua famiglia che non riuscivano ad accettarlo... Il fatto che non mi ricordassi niente era quasi un sollievo per me: non amavo questo genere di drammi e mi sentivo alquanto a di­sagio ad essere il suo “confidente” senza nemmeno conoscerlo. All'inizio l'avevo addirittura scam­biato per una ragazza! Mentre parlava il dubbio mi attanagliava, speravo vivamente di non avergli raccontato niente di me. Temevo ciò che potevo dire da ubriaco e fatto, ma questo non m'impediva di continuare ad essere vizioso.
Poi quando ebbe finito di raccontare nuovamente ciò a cui non avevo prestato attenzione mi disse che anche io gli avevo parlato dei fatti miei prima di finire a letto insieme. Sperai vivamente non di mia sorella, non di mia sorella... Il sangue mi si gelava al solo pensiero che qualcuno lo sapesse. Ma mi disse che gli avevo parlato di un ragazzo con cui ero molto amico, e che mi mancava mi mancava da morire. Fu allora che mi ricordai di Giorgio.
Dopo quest'ultima rivelazione ero molto scocciato. Perché quando non lo pensavo qualcuno me lo doveva far venire in mente? Quindi infastidito gli chiesi senza tanti giri di parole cosa volesse vera­mente da me, e lui arrossì chinando il capo. Allora mi ricordai che non sapevo nemmeno il suo nome. Era un ragazzo davvero molto ambiguo comunque, non era diciamo proprio un “uomo”, ma più uno di quegli efebi che piacciono – secondo me – a quegli pseudo-eteri. Non era come i soliti ragazzi che avevo conosciuto fino a quel momento. Effeminato, per questo non poteva piacermi. Mi ridisse cose che sapevo di già, ma a cui non avevo minimamente pensato. Mi disse che l'aveva­mo fatto senza preservativo e che lui era sano, e voleva sapere se ero sano anch'io. Gli dissi di sì tanti per togliermi da quella situazione, ma in realtà non lo sapevo. Certo, mi ero sempre accurato di usare preservativi e tutto, ma d'altronde avevo fatto un sacco di porcate. Ma non mi importava, vo­levo solo che se ne andasse e mi lasciasse andare a casa di nuovo “felice”.
Ma non era finita, continuò a parlare di come l'avevo fatto sognare a letto, raccontandomi cosa gli era piaciuto di più... Io speravo soltanto che non si fosse innamorato di me, non era il mio tipo. Poi mi disse che voleva essere mio amico, che voleva davvero, perché per lui ero una splendida perso­na. Ero dubbioso, mi pareva tutto surreale. Nonostante conoscessi molte persone potevo dire di aver avuto soltanto tre amici in tutta la mia vita: Giorgio, Valerio e Gabriele. Gli altri per lo più erano scopa amici, legati a me per attrazione fisica. Invece quei tre me li ero scelti personalmente come amici, me li ero scelti io. E poi avevo l'impressione che non sarebbe finita bene, perché ci ero anda­to a letto insieme ancora prima che si instaurasse un rapporto, e quindi temevo che fosse un po' in­namorato di me... ero egocentrico e vanitoso, non c'è bisogno che te lo ripeta. Avvolte, adesso, mi vergogno incredibilmente di com'ero. Ma poi ragionai, tra una birra e l'altra, che anche con i miei amici avevo fatto sesso. E poi mi serviva qualcuno vicino che non mi aiutasse a perdermi completa­mente. Allora gli sorrisi e gli dissi di sì. Lui si chiamava Nicola.
«Per un poco riuscimmo ad essere amici – o almeno ci provai – normali. Vedevo che mi desiderava, ma ero determinato a non finirci a letto, non era il mio tipo. Per un po', come ti ho detto, ci riuscim­mo. Poi però cominciai ad uscire di testa, e lui cominciò a farmi da, in certo senso, madre. Avevo un problema, una dipendenza, con la droga.

 

CONTINUA

 

 

Credo di non aver fatto tanti errori, ma non ho revisionato. ^^'

 

Seconda parte del racconto Intervista con l'uomo. Per chi non l'avesse capito e non avesse letto i libri di Anne Rice, il titolo prende ispirazione da Intervista col vampiro, anche se si parla di tutt'altro! Non ho mai scritto qualcosa di veramente angst, ma con questa seconda parte credo di essermici avvicinata di parecchio, e le cose non potranno fare altro che peggiorare. Credo di essermi fatta un'idea precisa di quanto manchi alla fine: due o tre capitoli. Dal prossimo si entra nel vivo della storia, penso sarà un capitolo un po' lunghetto e non so per certo quando potrà arrivare. Ringrazio chi mi ha aggiunto alle seguite e alle preferite ( ehi, una recensione sarebbe più che gradita! ^^) e chi ha commentato lo scorso capitolo. Davvero. Grazie.

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