White and Black.

di giulia_strayeah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giulia. ***
Capitolo 2: *** Il coso di nome Emanuele. ***
Capitolo 3: *** Maledizione! ***



Capitolo 1
*** Giulia. ***


  Domenica mattina. 
Ore 10:03.
Mi sono alzata di scatto, ho sempre odiato le sveglie, soprattutto nei giorni festivi.
La scuola era finita, ma come del tutte le domeniche, non potevo fare a meno di godermi una mattinata così soleggiata nella piazza mio piccolo paesino in provincia di Napoli.
Mi sono “affrettata” a vestirmi(beh, forse “affrettata” non è proprio la parola adatta, diciamo che non stavo del tutto dormendo in piedi con la camicia in mano) e ho avvertito mia madre che stavo per uscire.
Mi chiamo Giulia e ho… si, questa è la fase più dura, ho solo quattordici anni.
Detesto la mia età, per svariate ragioni.
Non mi sento “sfortunata” come molte altre ragazze, le cose essenziali le ho.
Ho genitori, parenti ed amici che mi vogliono bene, e nonostante non vivessi nel lusso più totale ho tutto quello che mi serve per “continuare a vivere”.
Insomma… non mi reputo la persona più felice del mondo, ma comunque vivo abbastanza serena.
Poi si sa, l’adolescenza è un po’ strana, è come se ti mancasse sempre un qualcosa, un qualcosa di estremamente importante, un qualcosa che ti completa, un qualcosa di cui hai estremamente bisogno.
Vivo di musica, amo recarmi in piazza ad ascoltare i musicisti di strada, soprattutto la domenica mattina, in giornate come questa.
Ed eccomi qua.
Seduta in panchina con un esta-thè in mano, con gli occhi socchiusi, a godermi la magia di quelle poche, pochissime note in grado di portarmi in un universo parallelo, un giro turistico che vorrei non avesse mai fine.
Oramai i musicisti mi conoscevano benissimo e osavano scambiare quattro parole con me tra un pezzo e l’altro.
Mi incantava chiacchierare con loro, avevano sempre qualcosa di interessante da dirmi, sapevano tante, tantissime cose.
“Ora vado al bar ‘chè le mie amiche mi staranno aspettando da un pezzo, credo che dovrò lasciarvi. Passerò più tardi per un saluto, a dopo!”
“A dopo Giulia!” rispose Lorenzo. Lorenzo non era un suonatore di flauto come tanti. Lui era la persona con la quale osavo confidarmi, alla quale chiedevo una miriade di consigli, sapeva sempre cosa rispondermi.
Era un amico. Avere un amico di trent’anni alla mia età può sembrare un po’ buffo, ma dato che “buffo” è la mia parola d’ordine non c’è nulla di che stupirsi.
“Lore, noi ci vediamo sulla nostra panchina, come al solito!”
Mi recai al bar dove le mie amiche aspettavano impazienti. Lo sguardo spietato di Sara diceva tutto.
“ Come al solito, sono già le undici!” Iniziò a lamentarsi in tono sarcastico.
“Tanto non hai neppure finito di bere la Coca-Cola.” Replicai.
“Ahahah. Che si dice di bello?” chiese Paola, domanda scontatuccia.
“Dico che tra un po’ devo andare. Mia madre mi ha chiesto di rincasare presto.” Non era vero. La verità era che mi scocciavo di stare lì ad ascoltare i soliti pettegolezzi.
“ Uhh Giù, sei la solita. Vieni in ritardo e resti con noi solo pochi minuti.”
“Non è mica colpa mia! Mi alzo tardi e per salutarvi devo fare i salti mortali!” un’altra balla.
Squilla il telefono. Bel pretesto per darmela a gambe.
“D’oh, questa è lei. Starà già brontolando. Ragazze dovete perdonarmi…”
“Ok, va bene. Ci vediamo domani per gli esami orali.”
“Au revoir.”
Sul retro del bar, dovevo correre sul retro del bar!
Tutte le domeniche me la svignavo lì.
Mi sedevo sulla panchina e aspettavo che arrivasse Lorenzo.
Quella era la “nostra panchina”.
Peccato che quella mattina c’era già qualcun altro seduto lì, cosa mai capitata da quando Lorenzo ed io abbiamo iniziato a darci appuntamento in quel luogo.
Era un ragazzo sui diciotto anni intento ad accordare una chitarra. 
Strano, non l’avevo mai visto in giro prima d’ora.
Senza troppe esitazioni mi feci avanti[...]

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Capitolo 2
*** Il coso di nome Emanuele. ***


"Che ci fai tu qua?"
Lo strano tizio mi squadrò dalla testa ai piedi, con aria stranita, poi sorrise:"Accordo la mia chitarra, in piazza c'è troppo rumore e non riuscirei a sentire bene le corde..."
Aveva un buffo accento Veneto.
Annuii, la cosa stava iniziando ad infastidirmi.
Lato positivo: aveva una chitarra acustica fra le mani. Ma andiamo Giulia, davvero queste cose riescono a farti compassione?
Un essere strano appena maggiorenne si era seduto sulla panchina tua e di Lorenzo.
Ma questo qui la chitarra non la può accordare a casa sua? Che so, a Venezia? A Verona?
L'importante è che alzi i tacchi.
Scocciata e disturbata dall'idea che quel coso fosse ancora seduto lì, decisi di reagire: "Scusami, ma qui non puoi restare. Aspetto una persona importante, questa è la panchina dove ci diamo sempre appuntamento; se non ti dispiace..."
Eccolo di nuovo che mi fissava.
Ma era scemo o cosa?
"Piacere, Emanuele."
COSA?! Anche le presentazioni?! Ma cosa c'era che non andava in lui?
Ero leggermente imbarazzata dalla cosa:"e-emh...Piacere, Giulia; non so se hai colto la mia richiesta..."
Sorrise di nuovo:"certo, ho capito, scusami... adesso vado"
Fumata bianca! Habemus Papam! Il miracolo era stato compiuto, era ora!
"Grazie mille, ehm... Emanuele giusto?"
Ecco che iniziavo a prenderci simpatia, finalmente aveva afferrato. La solita bimba viziata che è contenta quando ottiene ciò che voleva!
"Ahah, si, Giulia... ci si becca!"
"Spero solo che la prossima volta non sarà proprio su questa panchina!"
i miei toni sarcastici non potevo risparmiarmeli neppure con gli sconosciuti.
"Tranquilla, ho inteso bene... ora meglio che vada, lascio te il tuo amico nella vostra ehm... intimitàààhh!"
Ahahah, simpatico il coso!
In pochi secondi svanì, sembrava andasse di fretta.
Aspettai seduta sulla panchina qualche minuto, prima che intravedessi la sagoma di Lorenzo avvicinarsi sempre di più.
Erano le undici e mezzo.

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Capitolo 3
*** Maledizione! ***


“E’ tanto che aspetti?” eccolo lì, il mio Lore.
“Figurati Lore, solo pochi minuti… Corri qui, fatti abbracciare!” ero felicissima di vederlo lì.
Quell’uomo era la mia salvezza. Lo adoravo. Ogni volta che lo vedevo, gli correvo dietro, peggio di una stalker, e questa cosa sembrava che a lui piacesse.
Mi venne incontro e mi abbracciò: “come stai piccola? Dì la verità, ti sono mancato questa settimana?”
“Neanche un po’. Sei così brutto che non pensare a te mi ha fatto stare meglio.” Gli feci la linguaccia.
Rise: “ma davvero? Che c’è, sei di cattivo umore oggi? Chi è venuto qui prima di me, eh?”
Eccolo che ricominciava a intuire e intuire, come lo detestavo!
“Nessuno… ero qui sola, sulla panchina ad aspettarti… come sempre, no?” provai a mentire per vedere la sua reazione.
“e tu lo sai che le balle non si raccontano a Lorenzo, no?”
In un istante è successo quello che non sarebbe mai dovuto succedere.
Emanuele. Era corso alla velocità della luce, come se volesse qualcosa da me.
Aveva il fiatone: “Scu-scusami… il plettro! L’a-avevo lasciato qui… uff… d’ah, eccolo! Ciao Giulia!”
Ciao Giulia. Maledetto!
Lorenzo rise: “ecco che come al solito avevo ragione io. Voi due vi conoscete?”
Emanuele taci. Ti prego, fall… “Beh, diciamo di si. Ero qui fino a qualche minuto fa, ma la tua amica ha insistito perché mi alzassi… Eri tu la persona che doveva incontrare scommetto!”
Maledetto due volte!
“Giù, sei sempre la solita! Ahahah, tanto contro di me non hai speranze, bellezza.”
“Ehm… ok Lore, hai vinto. Ma la vendetta arriverà presto, sappilo.”
“Dovete scusarmi, devo proprio scappare adesso. E’ che da poco mi sono trasferito qui, ancora devo ambientarmi…  Verona è molto diversa, ma mi piace questo paesino. Alla prossima Giulia!”
Salutò con la mano e se ne andò. Almeno avevo capito di dov’era originario, il tipo.
Lorenzo finì di scrutarlo, poi si rivolse a me: “che ragazzo buffo… oh, eccolo che inciampa! Ahah, sembra così buono e innocente! Ma chissà perché, da una città così grande e bella, ha avuto il coraggio di venire fin qui. La gente è proprio strana!”
Già, che strano. Però mi piaceva. Quell’Emanuele aveva qualcosa che mi affascinava, nascosto chissà dove.
Sentivo che aveva le capacità di colpirmi e affondarmi, solo che ancora non avevo avuto il piacere di provarlo.
“Senti Lore, è quasi mezzogiorno. Torno a casa ‘chè è meglio. Oggi è stata una mattinata un po’ insolita…”
“Oh Emanuele, Emanuele del mio corazon…” davvero divertente Lore, davvero mooolto divertente.
“Lasciamo perdere vah, sei senza speranza. Ciao Lorenzito!”
“Ohi Giù, aspetta! Fatti salutar…”
Cavolo com’ero corsa via in fretta! Un paio di minuti ed ero già a casa.
Tentai di aprire la porta tre o quattro volte, ma niente da fare. 
Quella serratura non l’avevo mai capita in quattordici anni di esistenza.
Mi limitai a suonare il campanello.
“Chi è?” la voce di papà.
“Sono io!” 
“Io chi?” detestavo quando faceva così. Ma chi potevo essere? La presentatrice Avon? Una testimone di Geova? Il fantasma formaggino?
Sbuffai: “Giulia.”
Appena entrata, non potevo risparmiarmi il: “Che caldo che fa oggi! Non si respira neanche un po’! Ciao pà, ciao mà. Che si mangia oggi?”
Mamma si affrettò a rispondere: “Spaghetti e vongole, e come secondo vari tipi di pesce.”
Santa Domenica! Almeno mamma era in casa, e non avrei dovuto cucinare io.
Per di più, amavo le vongole.
Preparai la tavola, e corsi a spogliarmi.
Indossai un vestitino di cotone leggero, senza maniche.
Seduta a tavola, iniziai a mordere un po’ di pane aspettando che arrivassero gli spaghetti.
“E’ pronto!” Oh, che belle parole!
Divorai tutto ciò che era possibile divorare, e andai in camera mia a provare qualche accordo con la chitarra.
Non ero un mito a suonare, ma pian piano stavo imparando a fare qualcosina.
Chiusi la porta, aprii il balcone e iniziai a strimpellare.
Che momento rilassante!
Scacciavo via tutti i pensieri, allegri o tristi, e mi immergevo in quelle pochissime note, che riuscivano a farmi stare bene.
A malincuore posai la chitarra di papà.
Sembrava strano, ma il suono dello strumento era come se non cessasse.
Lo sentivo ancora, arrivava da fuori, leggermente più lieve.
Questa volta però, non si limitava a semplici accordi, ma si cimentava in stacchetti complicatissimi, che lasciavano a bocca aperta.
Ma chi poteva essere? I miei vicini di casa neppure ce l’avevano una chitarra!
Forse uno di loro ha scoperto di essere Jimi Hendrix e se n'è procurata una.
Che strano. Forse era meglio approfittarne.
Mi stesi sul letto, e ascoltai ad occhi chiusi, senza pronunciare un’acca.
Lasciavo che la mia mente si perdesse in quella musica; ahh... che musica!
Mi sentivo sollevata, il mio cuore palpitava come non aveva mai fatto.
Sembrava un sogno. Avrei voluto che non avesse più fine.

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