Vincoli e libertà

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Se c’erano dei momenti in cui avrebbe voluto avere Nami al suo fianco… beh, quello sarebbe stato l’ideale. Nami aveva un senso dell’orientamento invidiabile, mentre lui… eh.

   Si guardò attorno cercando di non dare a vedere la cruda realtà dei fatti, cosa che per fortuna gli riusciva benissimo grazie alla sua solita espressione corrucciata. E poiché non c’era nessuno nei paraggi, si lasciò andare ad un grosso, grossissimo sospiro di rassegnazione, che lo rese libero di ammettere con se stesso che sì, si era immancabilmente perso.

   Si grattò la nuca, scompigliandosi i corti capelli verdi e gettò uno sguardo alla battigia, sulla quale andavano a morire le onde, a pochi passi dal punto in cui si trovava. Si domandò per quale dannato motivo la sua idea di seguire come punto di riferimento il mare che scorgeva all’orizzonte dall’entroterra non avesse funzionato; eppure, non si capacitava, era proprio in mare che avevano lasciato la Sunny, giusto? Per forza, sì. Quindi perché lì non c’era il porto? Perché non c’era la loro bella nave? Zoro davvero non ricordava di aver lasciato l’isola a nuoto per giungere in un altro posto, né di essere stato nuovamente teletrasportato altrove.

   D’un tratto scorse qualcosa. O meglio, sentì un verso strano che lo indusse a fissare con fare curioso un’ombra che, al tramonto, non riusciva a distinguere benissimo a causa della lontananza. Si trattava di un qualcosa di piccolo, paffuto e ondeggiante. Che fosse Chopper? No, Chopper non camminava in modo tanto sgangherato.

   Aguzzò la vista e finalmente il suo occhio, l’unico sano che gli era rimasto, riuscì a mettere a fuoco la figura di una papera che avanzava nella sua direzione. Una papera. Una papera marina. Esistevano davvero le papere marine? Boh. Anche il papero di Bibi era particolare, visto che viveva in un regno pieno di sabbia; quindi perché meravigliarsi?

   Zoro rimase a fissarla con fare interessato fino a che quella non arrestò le zampette palmate a pochissima distanza da lui. Alzò la testolina e incrociò il suo sguardo.

   «Squek!» esordì la papera dal piumaggio scuro.

   Lo spadaccino sollevò un sopracciglio con espressione curiosa. Infine, non si trattenne dal chiederle: «Sai mica dov’è il porto?»

   L’animale aprì le ali, agitandole con fare concitato. «Squek! Squek! Squek!»

   Ecco, adesso Zoro avrebbe voluto che ci fosse Chopper, con lui. «Non capisco, parla chiaro!» ebbe la faccia tosta di protestare, muovendosi istintivamente con aria minacciosa. Sentendo odore di pericolo, la papera gli si avventò contro, alzandosi a mezz’aria e beccandogli il capo. «Ma brutta…!» Zoro levò le braccia oltre la testa, sperando di scacciarla, ma senza alcun risultato. Non gli rimase che la fuga. «Giuro che se riesco a mettere mano alle spade, stasera mangerò anatra arrosto!» Sempre ammesso che fosse riuscito a tornare alla Sunny.

   Evidentemente, però, qualcuno dall’alto doveva vegliare su di lui. Forse Kuina? Non ci è dato saperlo, poiché queste sono cose troppo grandi per noi comuni mortali. Tuttavia, sappiamo che questo incidente di percorso non fu del tutto nocivo.

   Questo perché, mentre lui correva per sottrarsi alle beccate della papera, quest’ultima non demordeva e lo seguiva, ferendolo ora al capo ora alle braccia con cui il giovane cercava di ripararsi senza troppo successo. Persa infine la pazienza, Zoro ruggì di rabbia e con un gesto rapido e sgarbato riuscì finalmente nell’impresa di allontanare il volatile da sé. Il quale si alzò in volo, verso il cielo al tramonto; però, per la paura, decise anche di lasciargli un ricordo sulla zucca. Maleodorante e persino doloroso.

   «Se ti prendo, ti faccio a fette, lurida bestia!» urlò lo spadaccino, non sapendo se tenersi la testa con le mani o meno, visto il male e, soprattutto, lo schifo. Imprecando fra i denti, gettò un ultimo, astioso sguardo alla papera che scompariva in lontananza; poi, cercando di capire come diamine avesse fatto, quella, a fargli male come se fosse stato colpito da un sasso, abbassò la pupilla nera sulla sabbia bagnata.

   Corrucciò lo sguardo e, curioso, si accovacciò sui talloni, prendendo a fissare quello che, a quanto pareva, l’animale gli aveva lasciato in regalo. Si fece coraggio e lo prese fra le mani, cercando di liberarlo dalla sabbia e dal guano della papera: sembrava in tutto e per tutto qualcosa che avrebbe fatto felici milioni e milioni di donne.

   Sorrise, portandosi una mano davanti alla bocca con fare soddisfatto e ritenendosi l’uomo più fortunato del mondo. Poi però si ricordò di cosa aveva fatto con quella mano e per poco non vomitò per lo schifo.














Preciso subito che questa storia è ancora in corso, nel senso che non l'ho ancora portata a termine. Ma state tranquilli, perché ho le idee più o meno chiare in merito alla trama e perciò la porterò senz'altro a termine. Anche perché prevedo solo una manciata di capitoli, niente a che vedere con le chilometriche long della mia prima saga su One Piece.
Detto questo, prima di chiudere aggiungo solo un'ulteriore precisazione: sarà una ZoNami non ZoNami. È un po' difficile da comprendere, forse, ma è questo il motivo per cui non ho segnalato alcun pairing nella presentazione della fanfiction. Oh, e mi riservo di modificare il rating nel qual caso il resto della storia dovesse richiederlo.
Grazie per aver letto questo primo capitolo che funge da introduzione! Alla prossima!
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO PRIMO




«Per quale dannato motivo lo avete lasciato andare da solo?!»

   Era più di mezz’ora, ormai, che Nami stava inveendo contro Usop e Sanji, rei di essere stati poco attenti durante la loro ultima escursione sull’isola in cui erano approdati circa sei giorni prima. Quello era il pomeriggio in cui avrebbero dovuto salpare per far rotta verso la tappa successiva della Grand Line, dal momento che il logpose aveva finalmente effettuato la sua registrazione. E Zoro? Si era allontanato con i due compagni, ma poi si era perso. E ora toccava rimandare la partenza perché lui non era ancora tornato.

   «Nami-san», provò a giustificarsi Sanji, disperato all’idea che lei potesse essere adirata nei suoi confronti. Soprattutto perché, in effetti, la colpa di quanto accaduto era anche sua, visto che lui e Zoro avevano iniziato a battibeccare come al solito e alla fine si erano divisi per non doversi azzuffare fisicamente. Che poi, a ben guardare, le loro liti – ammesso che così potessero davvero chiamarsi – non erano serie; semplicemente, erano l’unico modo in cui i due ragazzi riuscivano a rapportarsi. «Il fatto è che quel marimo…»

   Tacque di botto, fulminato dallo sguardo furioso della compagna. «Non mi importa di chi sia la colpa», affermò lei. «Vi avevo raccomandato di tenerlo d’occhio proprio per questo!» Puntò un dito contro il capitano, che se ne stava affacciato al parapetto, con il mento sulla cimasa e le braccia penzoloni, lo sguardo fisso sul molo in attesa dell’arrivo di Zoro. «Anche Rufy non ha senso dell’orientamento, per questo Robin e Franky l’hanno tenuto costantemente sotto controllo!»

   E, a onor del vero, avevano anche fatto un ottimo lavoro, grazie anche alla mole del cyborg e alle tante mani che Robin, ogni tanto, aveva dovuto far sbocciare qua e là per tenere a bada il loro capitano durante i suoi immancabili ed instancabili attacchi di entusiasmo.

   Anche Usop cercò di aprire bocca, soprattutto perché non gli andava di prendersi pure la colpa di Sanji e di quell’altro scimunito che pareva avere una bussola rotta al posto del cervello. Tuttavia, di nuovo la navigatrice interruppe le spiegazioni che stavano per esserle fornite, pronta a ricominciare con la ramanzina.

   In verità, quasi non mise insieme dieci parole – che noi non riporteremo per pudore – che la voce di Rufy risuonò forte e allegra fino al punto in cui si trovavano tutti e tre. «Zoro!» stava dicendo il capitano, sbracciandosi in direzione del molo. «Siamo qui!»

   Subito Nami gli fu accanto e serrò le mani attorno alla cimasa del parapetto. «Stupido spadaccino da quattro soldi!» non mancò di gridare, pur sollevata dal fatto che finalmente fosse riuscito a raggiungerli. «Ti avevo detto di restare accanto agli altri!»

   «Ti sei perso come al solito, eh?» se la rideva frattanto Rufy, seguendo l’amico con lo sguardo, mentre questi risaliva sulla nave, le mani in tasca, sordo alle proteste e agli insulti di Nami. E di Sanji, che si era unito alle invettive perché la bella navigatrice si era adirata con lui a causa sua e del suo inesistente senso dell’orientamento.

   Zoro finse di non sentire nessuno e, anzi, atteggiò i lineamenti del volto in un’espressione soddisfatta. Cosa che, neanche a dirlo, urtò ulteriormente i nervi di Nami. «Cos’è quel sorriso menefreghista?» pretese di sapere la ragazza quando le fu di fronte, i pugni sulle anche, il busto leggermente piegato in avanti.

   «To’», rispose soltanto il giovane, tirando le mani fuori dalle tasche e lanciandole qualcosa che Nami, presa alla sprovvista, per poco non fece cadere sull’erba che ricopriva le tavole del ponte della nave.

   «Cos’è?» domandò Rufy, avvicinandosi a lei e sbirciando da sopra alla sua spalla. Nami aprì i pugni in cui aveva stretto ciò che lo spadaccino le aveva appena passato, sia pure con malagrazia, e rimase senza parole. «Un anello?» s’interrogò il capitano in vece dell’amica.

   «Un anello?» ripeté Usop, stranito, fissando la scena e facendosi anche lui più vicino.

   «Dove l’hai trovato?» chiese invece Sanji, rivolgendosi a Zoro che intanto, sbadigliando, si era andato a sedere sulle scalette del ponte. «Mica l’hai fregato a qualcuno?»

   «Ma figurati», ribatté l’altro, accigliato. «È solo che…»

   «Ma questo è un diamante!» esclamò Nami, ripresasi dallo shock iniziale e coprendo la voce di tutti gli altri. I due si volsero nella sua direzione e la videro intenta ad esaminare meticolosamente il gioiello, con tanto di monocolo all’occhio. «Un diamante vero!»

   «Scherzi?» non si capacitava Usop, cercando di studiare anche lui quella meraviglia. «È enorme!»

   «Quanto credete che varrà?» domandò Rufy, più entusiasta che curioso.

   «Un bel po’ di quattrini, direi!»

   A quel punto, il sorriso di Zoro si fece più largo di prima. «Quindi, Nami, adesso abbiamo pareggiato i conti, dico bene?» Perché sì, il suo unico intento, dando a lei l’anello defecato dalla papera, era appunto quello di azzerare il debito che aveva nei suoi confronti.

   La navigatrice si voltò di scatto nella sua direzione, come se lui l’avesse appena insultata. «Non dire fesserie!» sbottò difatti. «Questo copre solo la metà di quanto mi devi!» ci tenne a precisare. Poi, però, tornò a rimirare l’anello e, tutta contenta, se lo infilò al dito. «Ma ti perdono per il ritardo. Questo posso farlo.»

   «Troppa grazia…» fu l’ironica risposta del compagno, che la fissò con aria infastidita e non si accorse dell’arrivo di Robin che scendeva proprio dalle scalette su cui lui era accomodato.

   La giovane archeologa, ancora ignara di quanto accaduto, arrestò i suoi passi circa a metà della fila di gradini di legno e studiò la situazione dall’alto. Quindi, con espressione serena, chiese alla sua amica: «Matrimonio in vista?»

   Quella domanda lasciò tutti senza parole per alcuni istanti. Dopo, però, Usop cominciò a rotolarsi dal ridere sul ponte insieme a Rufy, mentre Sanji si avventava con uno dei suoi portentosi calci contro Zoro e quest’ultimo, imprecando, era costretto a sfoderare le spade per tenere a bada quella furia umana dalle sopracciglia arrotolate.

   «Robin!» gracchiò Nami, stringendosi nelle spalle e inorridendo all’idea. «Come ti salta in mente di giungere a una conclusione del genere?!»

   Divertita dalla reazione che i loro compagni avevano avuto a causa della sua semplice curiosità, l’altra insistette nello scherzo, rimanendo però mortalmente seria in volto. «Hai un anello di diamanti all’anulare sinistro», si limitò a constatare con estrema semplicità. «Che altro avrei dovuto pensare?»

   «Chopper! Franky! Brook!» stava chiamando Rufy, frattanto, mentre si teneva la pancia per le troppe risate e si asciugava una lacrima all’angolo dell’occhio. «Questa dovete proprio sentirla: Zoro e Nami si sposano!»

   «Chiudi quella bocca, tu!» strillarono i due presunti fidanzati, accoppandolo entrambi con un pugno.














Mi sono resa conto che, postando il primo capitolo, avevo omesso il paragrafo finale, sigh! D:
Comunque sia, come vi avevo già anticipato, adesso credo che tutti quelli che stanno leggendo capiranno perché la presente è una fanfiction ZoNami non ZoNami. :°D Tra l'altro penso anche che ne verrà fuori un qualcosa di abbastanza folle, visto che ho intenzione di focalizzarmi sull'avventura e non soltanto sui sentimenti dei personaggi. Temo per questi ultimi, in realtà, perché almeno per una volta vorrei provare a scrivere una storia senza far vincere il mio animo da fangirl... Chissà se ne sarò in grado! :'(
Intanto ringrazio tutti coloro che hanno letto anche questo secondo capitolo e rassicuro i recensori che quanto prima risponderò ai pareri che mi hanno lasciato in merito al primo, scusandomi per il solito ritardo (tanti impegni e imprevisti, sorry).
Un bacio e buona giornata a tutti!
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




Usop sbirciò ancora una volta verso Nami che, spaparanzata sulla sua comodissima sdraio, le lunghe gambe accavallate, studiava gli ultimi appunti di viaggio seguendo i quali avrebbe poi schizzato la prima bozza della cartina della Grand Line. Lei si accorse di essere osservata e, intuendo già i pensieri dell’altro, corrucciò la fronte e domandò bruscamente: «Che c’è?»

   «Niente», mentì Usop, cercando di trattenere un risolino sciocco. Senza successo. Cosa che, ovviamente, gli costò una scarpa fra gli occhi.

   «Imbecille», borbottò la navigatrice, tornando ad accomodarsi come se nulla fosse sulla sua sdraio e rassettandosi su una spalla i lunghi capelli che aveva raccolto in una coda di cavallo.

   Ormai erano due giorni che gli altri continuavano a prendere in giro lei e Zoro per quella sciocchezza dell’anello, tanto che, esasperata, la ragazza aveva deciso di toglierlo e di riporlo insieme a tutti gli altri gioielli e oggetti preziosi per evitare di essere ancora bersagliata dai loro stupidi scherzi. Peccato solo che, quando aveva provato a farlo, quello non era venuto via dal suo dito; neanche con l’ausilio del sapone e dell’olio.

   Questo, com’è logico supporre, aveva scatenato ulteriormente l’ilarità dei loro compagni, che vedevano in quella coincidenza un segno inevitabile del destino e già pretendevano che lei e lo spadaccino convolassero a nozze non appena arrivati all’isola successiva.

   Neanche a dirlo, per ripicca, Nami aveva raddoppiato, anziché dimezzare, il debito che Zoro aveva nei suoi confronti; dopotutto, continuava a ripetere, era tutta colpa sua e di quello stramaledetto diamante.

   Eh… Ma questo stramaledetto diamante è meraviglioso, accidentaccio! Nami si lasciò andare all’ennesimo sospiro, osservando l’anello che non voleva saperne di venir via. E quel pazzo di Zoro aveva persino avanzato l’ipotesi di tranciarle il dito con una delle sue katana pur di non avere nuovamente debiti esosi nei suoi confronti. A quel punto, però, aveva dovuto nuovamente sfoderare per davvero le spade, sì, ma solo per difendersi da Sanji che nelle ultime ore, più che mai, era intenzionato a fargli la pelle.

   La ragazza si abbandonò ad un verso affranto, poggiando con fare sconsolato la fronte contro le ginocchia che aveva tirato su al petto. Alla fine, cominciò a ragionare, era davvero importante andarsene in giro con quell’anello al dito? L’idea la infastidiva alquanto. Non perché ormai lei e Zoro erano diventati bonariamente l’oggetto di scherno da parte dei loro compagni, bensì perché portare addosso qualcosa che non poteva togliere le dava la sensazione che le venisse limitata quella libertà che tanto amava. Se si fosse trattato di un anello che poteva sfilare quando e quanto più le pareva, sarebbe stato decisamente diverso.

   Aggrottando la fronte con aria infastidita, Nami si domandò per quale dannata ragione gli uomini volessero accalappiarla nei modi più subdoli possibili, come già aveva tentato di fare Absalom. Quel pensiero, tuttavia, quasi la fece scoppiare a ridere, poiché sapeva perfettamente che Zoro non aveva avuto alcun secondo fine, con quel regalo. S’interrogò, piuttosto, sul modo in cui se lo fosse procurato, perché di certo non lo aveva né comprato né rubato. Dunque, dove lo aveva preso? Glielo aveva dato qualcuno o lo aveva semplicemente trovato?

   «Fossi in Zoro, ci penserei due volte prima di sposarti.» La voce di Usop la riportò al presente e lei si volse a fissarlo di nuovo con fare infastidito. «Sei troppo violenta.»

   «Posso esserlo molto di più, se vuoi.»

   «E pure permalosa», aggiunse il cecchino, agitando pigramente per aria il sandalo con cui la compagna gli aveva quasi sfondato l’osso frontale. «Dovresti saper accettare con maggior ironia gli scherzi.»

   «Fatti gli affari tuoi», rimbeccò Nami, tornando a stendersi sulla sdraio con indolenza e sbadigliando e chiudendo gli occhi come se volesse appisolarsi lì. In effetti non le sarebbe dispiaciuto per niente, soprattutto perché il tepore del sole e la leggera brezza che si era levata e che le accarezzava il corpo invogliava davvero a concedersi una breve pennichella all’aperto.

   Il rumore dei passi dell’amico che si avvicinava a lei per riportarle la scarpa le arrivò ovattato, tanto che neanche si accorse che Usop si era accovacciato sui talloni accanto alla sua sedia e ora la fissava con curiosità sempre crescente. Per meglio dire, fissava il diamante che lei portava al dito. Strinse le labbra carnose e vi passò su una mano con fare pensieroso. «Mi chiedo da dove provenga quell’anello», rifletté a mezza voce. Nami socchiuse un occhio, ma non parlò, in attesa che lui continuasse. «Zoro non ruba.»

   Certo che no, pensò la ragazza; altrimenti sarebbe stato un grandissimo ipocrita a rinfacciarle di essere una ladra della peggior specie. Che poi non lo era per davvero, visto che rubava soltanto ai criminali e mai alla gente innocente.

   «Dimentichi che è pure uno squattrinato», fece notare ad Usop.

   Questi si volse a fissarla, i gomiti poggiati sulle gambe. «Anche tu ti stavi ponendo la stessa domanda, vero?» chiese con fare retorico. «Ieri sera ho provato a indagare, ma Sanji ha berciato per tutto il tempo contro di lui, quindi non sono riuscito a cavargli una parola.»

   «Magari dopo lo farò io», si ripromise la ragazza, ben sapendo di riuscire ad essere assai persuasiva. Le bastava un ricatto o, nel caso di Sanji, un occhietto malizioso. Oppure, più semplicemente, una sberla. D’accordo, forse era davvero violenta come l’accusava Usop, ma era così bella e affascinante che non c’era rischio che rimanesse zitella. A patto che io decida mai di sposarmi, disse fra sé e sé, mentre tornava a stiracchiarsi sotto i piacevoli raggi del sole.

 

Sanji gli lanciò l’ennesimo sguardo assassino, mentre affogava il proprio dolore nell’alcol. «Guarda che io ti ho capito», esordì con voce roca, scrutandolo attentamente in volto e cercando di capire se fosse sincero o meno.

   Zoro alzò un sopracciglio con fare perplesso, benché già preparato psicologicamente a sentirlo farneticare su quel dannato anello. Non domandò nulla, comunque, preferendo aspettare che fosse il cuoco a continuare nel suo discorso.

   Per una volta, oltretutto, questi si era lasciato vincere dal proprio orgoglio virile e aveva deliberatamente evitato di prendere un bicchiere, preferendo ingollare il rum direttamente dal collo della bottiglia. Doveva riconoscere che era molto più gustoso, bevuto in quel modo. «Tu la stai solo illudendo», accusò. L’altro sbuffò e si attaccò alla propria, di bottiglia, distogliendo lo sguardo e fissandolo nel vuoto. «È inutile che fai il finto tonto», insisteva Sanji, fra i denti. «Le prometti un matrimonio felice soltanto perché speri che si conceda a te prima delle nozze.» Zoro si rese conto di non aver mai sentito un’idiozia peggiore di quella. Non contro di lui, per lo meno. «E dopo aver rubato la sua innocenza, l’abbandonerai», concluse il cuoco, soffocando un rutto subito dopo. «Ma io te lo impedirò, puoi scommetterci», minacciò infine, tornando a bere un lungo sorso mentre continuava a fissarlo con astio crescente.

   «Sei ubriaco», gli fece notare pazientemente lo spadaccino.

   «Che fai, svii il discorso?»

   «Pensala come vuoi.»

   Scrollò le spalle e Sanji batté il palmo della mano sulla superficie del tavolo della cucina a cui i due erano seduti, l’uno di fronte all’altro, mentre Brook assisteva alla scena con un certo qual divertimento.

   «Se non neghi, vuol dire che ho ragione!»

   «E se lo faccio, vuol dire che nego l’evidenza, no?» Zoro scosse il capo e si volse a guardare lo scheletro, puntando il pollice di una mano oltre la spalla per additare il cuoco. «È strafatto. Portalo tu da Chopper per un rimedio contro la sbornia, ché io mi sono stufato di averlo fra i piedi.»

   «Sono lucidissimo!» fu la violenta protesta che arrivò da Sanji. Il quale tentò di alzarsi sulle gambe, ma quelle non ressero e lo costrinsero di nuovo a sedersi, questa volta con malagrazia e battendo la fronte contro il tavolo.

   «Yohohoho», prese a canticchiare Brook, dopo quella sonora zuccata. «Una botta come quella sarebbe capace di farmi schizzare fuori le cervella. Benché io non le abbia», si ritenne in diritto di aggiungere. Ricambiò lo sguardo di Zoro e domandò: «Quindi è vero che le hai dato quell’anello solo per vedere le sue mutandine?»

   Esasperato, lo spadaccino decise di cambiare aria. Serrò meglio la presa attorno alla propria fiasca di rum e si alzò da dov’era seduto, pronto a lasciare la cucina. Esitò solo quando, di nuovo, la voce di Sanji tornò a riempire la stanza. «Tu vuoi solo rubarle l’innocenza!»

   «Quella l’ha persa già da un pezzo, te l’assicuro!» ribatté l’altro, spazientito, senza rendersi conto dell’ambiguità della propria frase. Perché sì, almeno lui non la intendeva da un punto di vista sessuale; evidentemente, si era dimenticato di avere a che fare con i due membri più lussuriosi dell’equipaggio.

   «Yohohoho!» Brook rise, battendosi una delle scheletriche mani sull’altrettanto scheletrica coscia. «Se ce l’assicura lui, vuol dire che ha già ottenuto quel che voleva!»

   «Dannatissimo bastardo!» strepitò invece Sanji, cercando nuovamente di rimettersi in piedi. Ci riuscì, grazie alla rabbia che lo induceva a scagliarsi contro quella fortunatissima testa d’alga; tuttavia, crollò a terra dopo appena tre passi, privo di sensi.

   Zoro, che aveva già aperto bocca pronto a urlare contro entrambi i compagni, la richiuse di scatto e fissò il cuoco con fare interdetto. Provò a dargli un calcetto sul fianco, per vedere se avesse qualche reazione, senza però ottenere alcun risultato. Preoccupato, tirò su col naso e si umettò le labbra con la punta della lingua. «Vado ad allertare Chopper», decise, facendo cenno a Brook di occuparsi di Sanji. «Portalo in infermeria, nel frattempo.»

 

Uscito sul ponte della nave, dovette ripararsi l’occhio sano dal riverbero dei raggi solari per mezzo di una mano. Si guardò poi attorno, alla ricerca del medico di bordo, ma tutto ciò che vide furono Rufy e Franky che ridevano insieme a prua e Nami e Usop che parlottavano fra loro non molto distante dal punto in cui si trovava.

   «Dov’è Chopper?» domandò ai due più vicini, che si volsero nella sua direzione solo in quel momento, segno che non si erano accorti prima della sua presenza.

   «Che è successo?» chiese di rimando il cecchino, scrutandolo perplesso. «Ti sei ferito di nuovo?»

   «E come avrei potuto?» replicò Zoro, trovando assai sciocca quella domanda. Non è che lui passasse tutto il santo giorno a farsi del male. Soprattutto, non ci teneva a farselo da solo. Si ricordò delle cicatrici che aveva alle caviglie, due delle tante che sfregiavano il suo corpo, e dovette riconoscere che magari sì, qualche volta sapeva essere masochista.

   «Che è successo, allora?» s’intromise Nami, cercando di capire la situazione. Fra tutti, ormai lei e Zoro sembravano davvero gli unici a non far troppo caso a tutta quella stupida faccenda dell’anello – di fidanzamento, solevano puntualizzare gli altri, a parte Sanji.

   «Il cuoco s’è bevuto il cervello», fu la risposta annoiata che le diede lo spadaccino, facendo cenno con il capo verso la cucina. «Spero si sia rotto le corna, cadendo a terra.»

   Preoccupata, Nami scese le gambe giù dalla sdraio, sedendosi e puntellando le piante dei piedi sull’erba. «È svenuto o lo hai steso tu?» In quella, Brook uscì all’aria aperta, sorreggendo su una spalla il corpo del cuoco di bordo; lei si alzò e fece qualche passo nella loro direzione. «Oddio, è grave?»

   Già esasperato per la mole di domande che la ragazza aveva snocciolato in cinque secondi netti, Zoro ritenne opportuno attaccarsi nuovamente alla bottiglia.

   «Vado a chiamare Chopper!» si stava proponendo Usop, nel frattempo.

   Non fece che pochi metri, perché Rufy, avendoli scorti da lontano, s’affrettò verso di loro con espressione disperata in volto. «Sanji!» esclamò, portandosi le mani fra i capelli neri e rischiando di far cadere il copricapo di paglia. «Adesso come faremo per la cena?!»

   «Complimenti per l’altruismo», sospirò Nami, guardandolo malissimo, mentre Brook, col cuoco in spalla, seguiva Usop.

   «Niente paura, fratello», intervenne Franky, raggiungendoli e facendo cenno alle sue spalle con il pollice della mano destra. «Possiamo mangiare un boccone laggiù.»

   Rufy, Nami e Zoro, gli unici rimasti sul ponte con lui, volsero la loro attenzione all’orizzonte e, oltre la prua della nave, poterono scorgere la sagoma di un’isola.

   «Si mangia!» rise il capitano, correndo nuovamente a prora con una mano sul cappello per non farlo volare via.

   «Possibile che siamo già arrivati su una nuova isola dopo appena ventiquattr’ore di viaggio?» si domandò invece la navigatrice, dando un’occhiata al logpose che aveva al polso.

   Zoro scrollò le spalle e diede un altro sorso al suo rum, mostrando di interessarsi assai poco alla faccenda. Franky invece si grattò il capo con fare perplesso. «Non saprei, non ho chiesto dettagli sulla distanza che c’è fra questa e l’isola che abbiamo lasciato ieri. Non ci ho pensato.»

  «Io sì, e anche se mi è stato detto che erano vicine, credevo ci avremmo messo più tempo», confessò Nami, scrutando il profilo della loro nuova tappa che poteva scorgersi in lontananza. Alla fine, comunque, preferì fare spallucce anche lei, decidendo di non pensarci più.













'Sto giro il capitolo è venuto più lungo. Questo perché d'ora in poi comincerà la parte avventurosa. Ovviamente non aspettatevi epiche battaglie.
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato fino ad ora e/o che hanno aggiunto la presente long tra le storie seguite. :)
Un bacio e buon fine settimana!
Shainareth





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