CAPITOLO TERZO
Usop sbirciò ancora una volta verso Nami che, spaparanzata
sulla sua comodissima sdraio, le lunghe gambe accavallate, studiava gli ultimi
appunti di viaggio seguendo i quali avrebbe poi schizzato la prima bozza della
cartina della Grand Line. Lei si accorse di essere osservata e, intuendo già i
pensieri dell’altro, corrucciò la fronte e domandò bruscamente: «Che c’è?»
«Niente», mentì
Usop, cercando di trattenere un risolino sciocco. Senza successo. Cosa che,
ovviamente, gli costò una scarpa fra gli occhi.
«Imbecille»,
borbottò la navigatrice, tornando ad accomodarsi come se nulla fosse sulla sua
sdraio e rassettandosi su una spalla i lunghi capelli che aveva raccolto in una
coda di cavallo.
Ormai erano due
giorni che gli altri continuavano a prendere in giro lei e Zoro per quella
sciocchezza dell’anello, tanto che, esasperata, la ragazza aveva deciso di
toglierlo e di riporlo insieme a tutti gli altri gioielli e oggetti preziosi
per evitare di essere ancora bersagliata dai loro stupidi scherzi. Peccato solo
che, quando aveva provato a farlo, quello non era venuto via dal suo dito;
neanche con l’ausilio del sapone e dell’olio.
Questo, com’è
logico supporre, aveva scatenato ulteriormente l’ilarità dei loro compagni, che
vedevano in quella coincidenza un segno inevitabile del destino e già
pretendevano che lei e lo spadaccino convolassero a nozze non appena arrivati
all’isola successiva.
Neanche a dirlo,
per ripicca, Nami aveva raddoppiato, anziché dimezzare, il debito che Zoro
aveva nei suoi confronti; dopotutto, continuava a ripetere, era tutta colpa sua
e di quello stramaledetto diamante.
Eh… Ma questo stramaledetto diamante è
meraviglioso, accidentaccio! Nami si lasciò andare all’ennesimo sospiro,
osservando l’anello che non voleva saperne di venir via. E quel pazzo di Zoro
aveva persino avanzato l’ipotesi di tranciarle il dito con una delle sue katana
pur di non avere nuovamente debiti esosi nei suoi confronti. A quel punto,
però, aveva dovuto nuovamente sfoderare per davvero le spade, sì, ma solo per
difendersi da Sanji che nelle ultime ore, più che mai, era intenzionato a
fargli la pelle.
La ragazza si
abbandonò ad un verso affranto, poggiando con fare sconsolato la fronte contro
le ginocchia che aveva tirato su al petto. Alla fine, cominciò a ragionare, era
davvero importante andarsene in giro con quell’anello al dito? L’idea la
infastidiva alquanto. Non perché ormai lei e Zoro erano diventati bonariamente
l’oggetto di scherno da parte dei loro compagni, bensì perché portare addosso
qualcosa che non poteva togliere le dava la sensazione che le venisse limitata
quella libertà che tanto amava. Se si fosse trattato di un anello che poteva
sfilare quando e quanto più le pareva, sarebbe stato decisamente diverso.
Aggrottando la
fronte con aria infastidita, Nami si domandò per quale dannata ragione gli
uomini volessero accalappiarla nei modi più subdoli possibili, come già aveva
tentato di fare Absalom. Quel pensiero, tuttavia, quasi la fece scoppiare a
ridere, poiché sapeva perfettamente che Zoro non aveva avuto alcun secondo
fine, con quel regalo. S’interrogò, piuttosto, sul modo in cui se lo fosse
procurato, perché di certo non lo aveva né comprato né rubato. Dunque, dove lo
aveva preso? Glielo aveva dato qualcuno o lo aveva semplicemente trovato?
«Fossi in Zoro, ci
penserei due volte prima di sposarti.» La voce di Usop la riportò al presente e
lei si volse a fissarlo di nuovo con fare infastidito. «Sei troppo violenta.»
«Posso esserlo
molto di più, se vuoi.»
«E pure permalosa»,
aggiunse il cecchino, agitando pigramente per aria il sandalo con cui la
compagna gli aveva quasi sfondato l’osso frontale. «Dovresti saper accettare
con maggior ironia gli scherzi.»
«Fatti gli affari
tuoi», rimbeccò Nami, tornando a stendersi sulla sdraio con indolenza e
sbadigliando e chiudendo gli occhi come se volesse appisolarsi lì. In effetti
non le sarebbe dispiaciuto per niente, soprattutto perché il tepore del sole e
la leggera brezza che si era levata e che le accarezzava il corpo invogliava
davvero a concedersi una breve pennichella all’aperto.
Il rumore dei passi
dell’amico che si avvicinava a lei per riportarle la scarpa le arrivò ovattato,
tanto che neanche si accorse che Usop si era accovacciato sui talloni accanto
alla sua sedia e ora la fissava con curiosità sempre crescente. Per meglio
dire, fissava il diamante che lei portava al dito. Strinse le labbra carnose e
vi passò su una mano con fare pensieroso. «Mi chiedo da dove provenga
quell’anello», rifletté a mezza voce. Nami socchiuse un occhio, ma non parlò,
in attesa che lui continuasse. «Zoro non ruba.»
Certo che no, pensò
la ragazza; altrimenti sarebbe stato un grandissimo ipocrita a rinfacciarle di
essere una ladra della peggior specie. Che poi non lo era per davvero, visto
che rubava soltanto ai criminali e mai alla gente innocente.
«Dimentichi che è
pure uno squattrinato», fece notare ad Usop.
Questi si volse a
fissarla, i gomiti poggiati sulle gambe. «Anche tu ti stavi ponendo la stessa
domanda, vero?» chiese con fare retorico. «Ieri sera ho provato a indagare, ma
Sanji ha berciato per tutto il tempo contro di lui, quindi non sono riuscito a
cavargli una parola.»
«Magari dopo lo
farò io», si ripromise la ragazza, ben sapendo di riuscire ad essere assai
persuasiva. Le bastava un ricatto o, nel caso di Sanji, un occhietto malizioso.
Oppure, più semplicemente, una sberla. D’accordo, forse era davvero violenta
come l’accusava Usop, ma era così bella e affascinante che non c’era rischio
che rimanesse zitella. A patto che io
decida mai di sposarmi, disse fra sé e sé, mentre tornava a stiracchiarsi
sotto i piacevoli raggi del sole.
Sanji gli lanciò l’ennesimo sguardo assassino, mentre
affogava il proprio dolore nell’alcol. «Guarda che io ti ho capito», esordì con
voce roca, scrutandolo attentamente in volto e cercando di capire se fosse
sincero o meno.
Zoro alzò un
sopracciglio con fare perplesso, benché già preparato psicologicamente a
sentirlo farneticare su quel dannato anello. Non domandò nulla, comunque,
preferendo aspettare che fosse il cuoco a continuare nel suo discorso.
Per una volta,
oltretutto, questi si era lasciato vincere dal proprio orgoglio virile e aveva
deliberatamente evitato di prendere un bicchiere, preferendo ingollare il rum
direttamente dal collo della bottiglia. Doveva riconoscere che era molto più
gustoso, bevuto in quel modo. «Tu la stai solo illudendo», accusò. L’altro
sbuffò e si attaccò alla propria, di bottiglia, distogliendo lo sguardo e
fissandolo nel vuoto. «È inutile che fai il finto tonto», insisteva Sanji, fra
i denti. «Le prometti un matrimonio felice soltanto perché speri che si conceda
a te prima delle nozze.» Zoro si rese conto di non aver mai sentito un’idiozia
peggiore di quella. Non contro di lui, per lo meno. «E dopo aver rubato la sua
innocenza, l’abbandonerai», concluse il cuoco, soffocando un rutto subito dopo.
«Ma io te lo impedirò, puoi scommetterci», minacciò infine, tornando a bere un
lungo sorso mentre continuava a fissarlo con astio crescente.
«Sei ubriaco», gli
fece notare pazientemente lo spadaccino.
«Che fai, svii il
discorso?»
«Pensala come
vuoi.»
Scrollò le spalle e
Sanji batté il palmo della mano sulla superficie del tavolo della cucina a cui
i due erano seduti, l’uno di fronte all’altro, mentre Brook assisteva alla
scena con un certo qual divertimento.
«Se non neghi, vuol
dire che ho ragione!»
«E se lo faccio,
vuol dire che nego l’evidenza, no?» Zoro scosse il capo e si volse a guardare
lo scheletro, puntando il pollice di una mano oltre la spalla per additare il
cuoco. «È strafatto. Portalo tu da Chopper per un rimedio contro la sbornia,
ché io mi sono stufato di averlo fra i piedi.»
«Sono lucidissimo!»
fu la violenta protesta che arrivò da Sanji. Il quale tentò di alzarsi sulle
gambe, ma quelle non ressero e lo costrinsero di nuovo a sedersi, questa volta
con malagrazia e battendo la fronte contro il tavolo.
«Yohohoho», prese a
canticchiare Brook, dopo quella sonora zuccata. «Una botta come quella sarebbe
capace di farmi schizzare fuori le cervella. Benché io non le abbia», si
ritenne in diritto di aggiungere. Ricambiò lo sguardo di Zoro e domandò:
«Quindi è vero che le hai dato quell’anello solo per vedere le sue mutandine?»
Esasperato, lo
spadaccino decise di cambiare aria. Serrò meglio la presa attorno alla propria
fiasca di rum e si alzò da dov’era seduto, pronto a lasciare la cucina. Esitò
solo quando, di nuovo, la voce di Sanji tornò a riempire la stanza. «Tu vuoi
solo rubarle l’innocenza!»
«Quella l’ha persa
già da un pezzo, te l’assicuro!» ribatté l’altro, spazientito, senza rendersi
conto dell’ambiguità della propria frase. Perché sì, almeno lui non la
intendeva da un punto di vista sessuale; evidentemente, si era dimenticato di
avere a che fare con i due membri più lussuriosi dell’equipaggio.
«Yohohoho!» Brook
rise, battendosi una delle scheletriche mani sull’altrettanto scheletrica
coscia. «Se ce l’assicura lui, vuol dire che ha già ottenuto quel che voleva!»
«Dannatissimo
bastardo!» strepitò invece Sanji, cercando nuovamente di rimettersi in piedi.
Ci riuscì, grazie alla rabbia che lo induceva a scagliarsi contro quella
fortunatissima testa d’alga; tuttavia, crollò a terra dopo appena tre passi,
privo di sensi.
Zoro, che aveva già
aperto bocca pronto a urlare contro entrambi i compagni, la richiuse di scatto
e fissò il cuoco con fare interdetto. Provò a dargli un calcetto sul fianco,
per vedere se avesse qualche reazione, senza però ottenere alcun risultato.
Preoccupato, tirò su col naso e si umettò le labbra con la punta della lingua.
«Vado ad allertare Chopper», decise, facendo cenno a Brook di occuparsi di
Sanji. «Portalo in infermeria, nel frattempo.»
Uscito sul ponte della nave, dovette ripararsi l’occhio sano
dal riverbero dei raggi solari per mezzo di una mano. Si guardò poi attorno,
alla ricerca del medico di bordo, ma tutto ciò che vide furono Rufy e Franky
che ridevano insieme a prua e Nami e Usop che parlottavano fra loro non molto
distante dal punto in cui si trovava.
«Dov’è Chopper?»
domandò ai due più vicini, che si volsero nella sua direzione solo in quel
momento, segno che non si erano accorti prima della sua presenza.
«Che è successo?»
chiese di rimando il cecchino, scrutandolo perplesso. «Ti sei ferito di nuovo?»
«E come avrei
potuto?» replicò Zoro, trovando assai sciocca quella domanda. Non è che lui
passasse tutto il santo giorno a farsi del male. Soprattutto, non ci teneva a
farselo da solo. Si ricordò delle cicatrici che aveva alle caviglie, due delle
tante che sfregiavano il suo corpo, e dovette riconoscere che magari sì,
qualche volta sapeva essere masochista.
«Che è successo,
allora?» s’intromise Nami, cercando di capire la situazione. Fra tutti, ormai
lei e Zoro sembravano davvero gli unici a non far troppo caso a tutta quella stupida
faccenda dell’anello – di fidanzamento,
solevano puntualizzare gli altri, a parte Sanji.
«Il cuoco s’è
bevuto il cervello», fu la risposta annoiata che le diede lo spadaccino,
facendo cenno con il capo verso la cucina. «Spero si sia rotto le corna,
cadendo a terra.»
Preoccupata, Nami
scese le gambe giù dalla sdraio, sedendosi e puntellando le piante dei piedi
sull’erba. «È svenuto o lo hai steso tu?» In quella, Brook uscì all’aria aperta,
sorreggendo su una spalla il corpo del cuoco di bordo; lei si alzò e fece
qualche passo nella loro direzione. «Oddio, è grave?»
Già esasperato per
la mole di domande che la ragazza aveva snocciolato in cinque secondi netti,
Zoro ritenne opportuno attaccarsi nuovamente alla bottiglia.
«Vado a chiamare
Chopper!» si stava proponendo Usop, nel frattempo.
Non fece che pochi metri,
perché Rufy, avendoli scorti da lontano, s’affrettò verso di loro con
espressione disperata in volto. «Sanji!» esclamò, portandosi le mani fra i
capelli neri e rischiando di far cadere il copricapo di paglia. «Adesso come
faremo per la cena?!»
«Complimenti per l’altruismo»,
sospirò Nami, guardandolo malissimo, mentre Brook, col cuoco in spalla, seguiva
Usop.
«Niente paura,
fratello», intervenne Franky, raggiungendoli e facendo cenno alle sue spalle
con il pollice della mano destra. «Possiamo mangiare un boccone laggiù.»
Rufy, Nami e Zoro,
gli unici rimasti sul ponte con lui, volsero la loro attenzione all’orizzonte
e, oltre la prua della nave, poterono scorgere la sagoma di un’isola.
«Si mangia!» rise
il capitano, correndo nuovamente a prora con una mano sul cappello per non
farlo volare via.
«Possibile che
siamo già arrivati su una nuova isola dopo appena ventiquattr’ore di viaggio?»
si domandò invece la navigatrice, dando un’occhiata al logpose che aveva al
polso.
Zoro scrollò le
spalle e diede un altro sorso al suo rum, mostrando di interessarsi assai poco
alla faccenda. Franky invece si grattò il capo con fare perplesso. «Non saprei,
non ho chiesto dettagli sulla distanza che c’è fra questa e l’isola che
abbiamo lasciato ieri. Non ci ho pensato.»
«Io sì,
e anche se mi è stato detto che erano vicine, credevo ci avremmo messo più
tempo», confessò Nami, scrutando il profilo della loro nuova tappa che poteva
scorgersi in lontananza. Alla fine, comunque, preferì fare spallucce anche lei,
decidendo di non pensarci più.
'Sto giro il capitolo è venuto più lungo. Questo perché d'ora in poi comincerà la parte avventurosa. Ovviamente non aspettatevi epiche battaglie.
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato fino ad ora e/o che hanno aggiunto la presente long tra le storie seguite. :)
Un bacio e buon fine settimana!
Shainareth
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