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Capitolo 1 *** Riassunto della storia precedente ***
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romanzo1
-Riassunto
della storia precedente
-Scontri
degni di nota
-Capitoli
della storia messi in ordine cronologico
-Descrizione
personaggi presenti nell’epica
RIASSUNTO
DELLA
STORIA PRECEDENTE
Antica
Grecia.
1)L’Olimpo e la Rivoluzione degli umani
Le
divinità dell’Olimpo hanno imposto una tirannia
assoluta su ogni città-stato
ellenica.
Ogni
governo si è sottomesso senza opporre resistenza imponendo
regimi totalitari
nelle proprie aree d’influenza.
Ma
se pubblicamente l’umanità appare annichilita,
nell’ombra i rivoluzionari si
raccolgono compiendo azioni di guerriglia e di sabotaggio ai danni di
chi ha
scelto di seguire gli Olimpici.
Questi
dissidenti sono chiamati Falchi Neri, perché in contrasto
con l’Aquila Bianca,
emblema di Zeus, e sono guidati da un uomo sfuggevole quanto
leggendario,
Sideris.
Il
potere dei rivoluzionari non ha mai costituito una minaccia per le
onnipotenti
divinità Olimpiche, le quali non si sono mai curate del
problema.
Solamente
il dio Ares, residente a Sparta nel suo divino palazzo, ha accolto la
dichiarazione di guerra muovendo contro di loro i suoi eserciti umani.
Ma
l’ultima frontiera della guerriglia sono le spie infiltrate
in ogni
schieramento.
Rivoluzionari
che entrano negli eserciti regolari recitando la parte di Servi
dell’Olimpo,
viceversa, agenti al servizio delle divinità che si
insidiano tra le linee dei
Falchi.
2)Complotti per il Potere Assoluto
Ma
gli obiettivi degli Olimpici sono ben altri che gestire la situazione
degli
esseri umani.
Tutti
loro sono alla ricerca di una donna, Pandora, dalla quale le
divinità sarebbero
in grado di attingere a un’energia sconfinata.
Tuttavia
la brama per il raggiungimento del Potere Assoluto, ha fatto
sì che gli stessi
Olimpici cospirassero a vicenda.
Da
una parte il dio Apollo vuole detronizzare Zeus e diventare la
principale
divinità del Panteon assieme ad Hera ed Ermes.(cap 8)
Le
tre divinità chiamano se stessi l’Alba, in
virtù del loro leader, dio del sole,
e della nuova epoca alla quale vogliono dare inizio.
Dall’altra
parte Ares trama contro tutti per catturare Pandora e tenerla celata a
Zeus ed
alle altre divinità, impedendo loro di ottenere il Potere
Assoluto.
Ha
confessato i suoi intentiall’amata
Afrodite, che si è schierata con lui. (cap
7)
Ares
inoltre è l’unico ad aver scoperto che Pandora si
trova al seguito di Sideris,
unico uomo in grado di occultarsi totalmente agli occhi delle
divinità.
Per
questo motivo nessuno è riuscito a trovare Pandora per tanto
tempo.
3)Il piano di Ares
Ma
in questo mondo un dio non può muoversi di persona o
schierare sul campo i suoi
servi senza che le altre divinità lo vengano a sapere.
Così
Ares decise di creare una brigata di assassini e spietati
professionisti della
morte che agisse nell’ombra per suo conto.
Prese
i guerrieri più forti della Grecia e fece in modo che tutto
ciò che era loro
caro fosse distrutto.Uomini
che volevano
veder bruciare il mondo, senza brame di denaro o di ricchezza o di
potere.Le loro
uniche Ragioni di vita, le teneva lo
stesso dio della guerra, legate a un filo.
Il
dio della guerra usò la brigata per assassinare i
più scomodi luogotenenti
della rivoluzione, alcuni sottoposti delle altre divinità e,
addirittura i suoi
stessi comandanti per fare in modo che nessuno potesse sospettare che
fosse
proprio lui il mandante dei loro efferati delitti.
Grazie
a queste avvedute accortezze tutto il
mondo li vede come una setta a sé stante di assassini che
mira al proprio
tornaconto.
Questa
brigata conta cinque uomini.
Klearcos,
Varsos, Kyros, Soter e Gamacton. (cap 2)
Chiamati
Innominati da Ares.Chiamati
Distruttori
da tutti gli altri.
Apollo
tuttavia scoprì l’inganno grazie ad un traditore
tra loro, Kyros, e decise di
sfruttare la situazione a suo vantaggio usandolo come informatore.
Un
giorno Ares venne a scoprire dalle sue spie di un incontro tra Sideris
ed altri
gerarchi della rivoluzione.
Era
in previsione di quel momento che Ares aveva creato gli Innominati;
tutte le
loro missioni precedenti non erano altro che un preludio a quella
missione.
Finalmente
Ares avrebbe sfruttato la potenza dei suoi Cinque araldi, fornendo ad
alcuni di
loro armi intonse di potere divino.
In
questo modo avrebbe rischiato il tutto per tutto poiché se
fossero stati
catturati da una divinità, le loro armi avrebbero dimostrato
che il mandante
era proprio lui.
Ma
sapeva che i Cinque difficilmente avrebbero fallito.Il loro obiettivo era catturare Sideris e
farsi dire dove si trovasse Pandora.
Fasi
del piano:
-Creare
un corpo di assassini che apparentemente agisce in modo indipendente da
lui
-Inviare
gli assassini al luogo dove si trova Sideris
-Interrogare
Sideris per scoprire dove si trova Pandora
-Rapire
e portare Pandora in un luogo prescelto
4)
Il
piano
dell’Alba
Tuttavia
Ares non era l’unico ad avere spie tra le file dei
rivoluzionari. Anche l’Alba aveva
delle talpe.E
anche l’Alba aveva
scoperto l’associazione tra Pandora e Sideris.
Apollo
congegnò quindi un piano per catturare Pandora e allo stesso
tempo incolpare
Ares del rapimento agli occhi di Zeus e dell’Olimpo.
Poiché
sapeva (da Kyros) che il dio della guerra avrebbe inviato in missione i
suoi cinque
araldi armati di armi divine al luogo dell’incontro (il
palazzo dell’Apollo
Licio ad Atene), fece incrementare le difese per fare in modo che
venissero
catturati.
Infatti
tra le sue spie, diversi avevano conquistato una posizione di prestigio
presso
i rivoluzionari, ed avevano quindi l’autorità per
farlo.
Se
anche le difese non fossero riuscite a fermarli, comunque Sideris si
sarebbe
messo in allerta e sarebbe fuggito dalla sua postazione sicura.
E’
proprio in quel momento che i servi di Apollo lo avrebbero dovuto
intercettare
e quindi scoprire dove si trovasse Pandora, e catturarla.
Perciò
poco prima dell’esecuzione del piano, l’Alba mise
al corrente le restanti
divinità dell’Olimpo dell’incontro di
Sideris, e del fatto che trovato lui
avrebbero preso Pandora.
Zeus,
deluso da Ares, che per secoli non era mai riuscito a scoprire dove
fosse
Pandora(perché
Ares volutamente non lo
aveva mai dichiarato)affidò
ad Apollo
il comando supremo delle armate Peloponnesiache per cingere
d’assedio l’intera
Atene, e impedire che nessuno fuggisse.
(cap 7)
In
questo modo, l’Alba si assicurava l’appoggio da
parte dell’Olimpo, e alte
probabilità che gli Innominati venissero catturati.
Dunque
non trovando Pandora ad Atene (perché rapita già
dall’Alba) Zeus si sarebbe
accanito con Ares.
Fasi
del piano:
-Avvertire
Zeus e l’Olimpo ottenendo quindi il comando delle armate
-Trattenere
gli Innominati fino all’arrivo delle armate e far fuggire
Sideris
-Intercettare
Sideris e rapire Pandora
-Arrivo
delle armate. Cattura degli Innominati.Ares incolpato
5)Il
piano di
Sideris
Sideris
chiamato anche Il Fantasma per la sua sfuggevolezza, fece trapelare la
notizia
del suo incontro volutamente, tramite Varsos (un Innominato che ha
sempre agito
per i rivoluzionari).In
realtà non
c’era nessun governatore all’incontro, era tutto un
tranello. (cap 14)
Si
trovava lì ad attendere Klearcos.Infatti
visto il risentimento che quest’ultimo nutriva nei suoi
confronti, era
presumibile che si sarebbe presentato da solo per soddisfare la sua
vendetta.
Sideris
voleva restare solo con l’Innominato per rivelargli la
verità sui suoi genitori.
Verità
che Klearcos scoprirà solo alla fine della storia.
Fasi
del piano:
-Far
scoprire ad Ares dell’incontro per fargli mandare gli
Innominati
-Attendere
l’arrivo di Klearcos
-Svelargli
la verità
6)Le
ragioni degli
Innominati
Klearcos.
E’
rimasto orfano a causa della guerra che infuriava tra Rivoluzionari e
sostenitori degli Olimpici.Varsos,
amico dei genitori, decise di tenerlo con sé, e gli
rivelò che i suoi genitori
erano ufficiali al servizio di Ares, e che i loro assassini erano i
Rivoluzionari. (cap 13)
Klearcos
riempì il suo cuore di odio per tutta la vita, passando
l’esistenza all’insegna
della vendetta.Decise
che avrebbe
ucciso Sideris in persona e sradicato per sempre il movimento dei
Falchi Neri.
Ares
lo fece entrare negli Innominati, e sotto la sua guida Klearcos divenne
uno
degli assassini più temuti nell’Ellade, e si fece
fama di uomo più rapido del
mondo (con la spada).
Col
tempo Klearcos capì che sapere è sinonimo di
potere e per avvicinarsi al suo
vero bersaglio dovette interrogare centinaia di vittime.
Soter.
Rinnegato
dagli uomini.Ha un
potere senziente
dentro di sé in grado di piegare a suo piacimento i fili del
fato provocando
grande sfortuna o incredibile fortuna.Soter non è in grado di controllare questo
potere, perciò odia se
stesso.
L’unica
ragione che gli ha permesso di sopravvivere è stata la
speranza di trovare la
donna da lui amata, di cui perse tracce molto tempo prima.
Ares
lo scelse tra i suoi Innominati, e Soter accettò di buon
grado sapendo che il
dio della guerra avrebbe potuto dargli informazioni e mezzi per
ritrovarla.
Gli
è stato promesso che una volta ritrovata questa ragazza, gli
dei avrebbero
anche potuto liberarlo dalla maledizione che lo affliggeva.
Ma
era una menzogna, perché la donna da lui amata è
proprio Pandora.La
donna che l’Olimpo cerca.(cap
23-24)
7)L’esito
della
missione degli Innominati
I
cinque Innominati risultano essere più abili di quanto
previsto dall’Alba, e
superano tutte le difese senza essere catturati.
Sideris
inoltre, in attesa di Klearcos, non si ritira subito,come previsto da
Apollo.
Klearcos
assieme a Soter, riesce a raggiungere Sideris facendo però
scattare gli allarmi
in tutto il palazzo.
Sideris
si ritrova a dover fronteggiare ben due Innominati assetati di sangue,
e non
riesce nell’intento di mostrare la verità a
Klearcos. (cap 14)
Dopo
uno scontro senza esclusione di colpi, Sideris riesce a scappare
nell’esatto
momento in cui Atene è cinta d’assedio
dall’esercito di Apollo.
Klearcos
e Soter lo inseguono e tutti e tre riescono a scappare dalla
città.
Sideris
raggiunge la posizione di Pandora, sicuro di essere stato seguito da
nessuno al
di fuori dei due Innominati.
Soter
vedendo la ragazza si riconcilia con lei, e vedendo una minaccia in
Klearcos si
schiera improvvisamente dalla parte di Sideris.
8)La
morte di un
dio
In
quel momento compare Ermes in persona, incaricato di seguire Sideris
nella
posizione di Pandora. (cap 18)
Dichiara
di voler rapire la ragazza, e, se possibile anche i due Innominati, ma
quest’ultimi sarebbero andati bene anche da morti.
Sideris,
Soter e Klearcos stipulano un’alleanza strategica per
sconfiggere il dio.Ma
Ermes non fa altro che giocare con loro
per tutto il tempo, finché non viene ferito.
L’alleanza
degli uomini più forti del mondo riesce a far sanguinare un
dio.
Ermes,
infuriato incomincia a fare sul serio, ma proprio quando sta per
devastare
l’intera area con un singolo colpo entra in scena la dea
Artemide.
Durante
la colluttazione Klearcos perde il braccio destro.
(cap 20)
Nello
scontro nel quale le dea misteriosamente sembra voler difendere Soter a
tutti i
costi,il dio Ermes
viene ucciso. Il
sangue del primo Olimpico ucciso bagna il terreno.
Artemide
continua a comportarsi in maniera del tutto imprevedibile, aiutando gli
umani.Pone il
corpo di Ermes in una
cassa e la affida a Sideris, dicendogli che arriverà il
momento in cui dovrà
utilizzare le armi del dio (preservate dal potere intrinseco del suo
cadavere).
9)Il
viaggio alla
scoperta della verità
Soter
decide di restare al fianco di Pandora cambiando quindi schieramento.
Klearcos
invece è imprigionato dai rivoluzionari perché
continua a essere ostile nei
confronti di Sideris. Quest’ultimo però vuole
lasciargli modo di scoprire da
solo la verità, e gli ricorda che lui ha ancora una persona
cara: Varsos.
Klearcos
è combattuto tra la voglia di rivederlo e la sua vendetta
personale, ma alla
fine vince il primo sentimento.
Viene
quindi liberato da Sideris e si mette in viaggio alla ricerca di Varsos.
Dopo
alcuni giorni torna ad Atene, e interrogando un luogotenente spartano
scopre
che Varsos è stato visto l’ultima volta presso il
massiccio dell’Imetto,luogo
famigerato per la presenza di mostri.Nessuno è in grado di guidarlo per i
labirinti di quel posto, tranne Perifete.Un luogotenente di Sideris che si trova imprigionato nel
carcere di
Atene.
Klearcos
lo fa evadere, e fugge con lui e altri prigionieri fuori dalla
città.
Durante
la fuga viene inseguito da un luogotenente spartano, Bufago che per
trovarlo dà
fuoco a un intero villaggio.
Gli
evasi sono costretti a combattere, e grazie alle strategie di Klearcos
riescono
a distruggere l’intero plotone spartano.
Tuttavia
accade qualcosa di inaspettato. I due cocchieri di Bufago si
trasformano in
mostri terrificanti e massacrano metà degli evasi
sopravvissuti.
Perifete
riesce a uccidere uno dei mostri,ma
l’altro riesce ad impadronirsi della spada divina di
Klearcos, diventando quasi
imbattibile. (cap 30)
Gli
evasi, dopo aver acciecato il mostro, scappano nuovamente.
Sembrano
in salvo, ma la creatura li raggiunge grazie al suo fiuto.
Proprio
quando sta per attaccarli, viene schiacciato da un piede gigantesco.
Gli
evasi sono circondati da ciclopi alti 15 metri, e da arimaspi. (cap 31)
Gli
esiti dello scontro sembrano già decisi ma Klearcos riesce a
riprendere la
spada divina e uccide un ciclope.
I
ciclopi identificandolo come un servo degli Olimpici, catturano tutti
senza
uccidere nessuno, così i fuggiaschi si ritrovano ospiti
nella dimora di Efesto.
Durante
la permanenza, il braccio mutilato di Klearcos è sostituito
con un innesto
meccanico e poco dopo i fuggiaschi sono condotti alla presenza di
Efesto che
incredibilmente si scopre essere minorato mentalmente.
Klearcos
scopre che Varsos è passato per di lì, e si trova
ad attenderlo nella sua
vecchia casa. I fuggiaschi se ne vanno tutti per la propria strada, e
Klearcos si
dirige al luogo dove Varsos lo attende. (cap
32)
10)Ultimatum
alla
Grecia
Poiché
neppure Apollo è riuscito a catturare Pandora, Zeus va su
tutte le furie.
Si
manifesta a tutti gli abitanti dell’Ellade come un gigantesco
cumulonembo vasto
quanto il cielo, e impone il suo Ultimatum.
Vuole
che ogni uomo sulla terra dia la caccia a Sideris, (invitando
implicitamente i
rivoluzionari a tradirlo), e che sia portato vivo al suo cospetto.
Ogni
giorno Zeus avrebbe distrutto una città, a partire dalle
più piccole per finire
con Sparta e Atene, se l’umanità non gli avesse
dato Sideris.
La
prima ad essere colpita da un lampo di energia infinitamente potente,
è Egina,
nell’omonima isola.
L’isola
stessa esplode causando un’inondazione. (cap
21)
11)Il
segnale
Poco
dopo sia Ares che Apollo avvertironoper
qualche attimo l’essenza vitale di Ermes, la quale si era
eclissata (dopo la
sua morte).
Ares
che era il dio più vicino al luogo in cui era stata
rivelata, vi mandò Kyros e
Gamactonaffiancati
a tre nuovi
Innominati.
Il
sesto, il settimo e l’ottavo:Phobos,
Deimos ed Enio.
12)La
scoperta
Klearcos
raggiunge la vecchia casa di Varsos e lì vi scopre la
verità.
In
realtà i genitori (Penelope e Odisseo) erano i capisaldi
della rivoluzione e lo
era anche Varsos, ma quest’ultimo aveva tradito la loro causa
e li aveva
uccisi.
Poi
aveva preso il loro figlioletto e lo aveva reso un Innominato come lo
era lui.
Klearcos
è sconvolto. Trova scritto su un foglio il luogo, dove
Varsos lo sta
attualmente aspettando. (cap 33)
Lo
raggiunge, e si batte contro di lui fino alla morte.
Varsos
sta per morire. E’ in fin di vita.
Con
le sue ultime forze rivela a Klearcos come andarono realmente le cose.
Ares
aveva preso in ostaggio la famiglia di Varsos e l’aveva
scambiata con la sua
fedeltà. Varsos
aveva accettato a
malincuore, ed aveva assassinato Odisseo e Penelope.
Poco
dopo averlo fatto, pentito, andò da Sideris, il secondo in
comando dopo
Odisseo, per costituirsi.
Sideris
anziché farlo giustiziare, decise di sfruttare quella
situazione.
Varsos
era l’uomo che aveva i contatti più stretti con il
dio della guerra, e se
avesse agito segretamente per la rivoluzione avrebbe causato degli
effetti
devastanti.
Odisseo
aveva sempre voluto porre delle spie sotto il comando diretto del dio
della
guerra, ma tutti avevano sempre fallito. Dopo la sua morte, il suo
obiettivo
era stato raggiunto.
Odisseo
era consapevole che servendo il dio della guerra, si potevano scoprire
delle
verità che avrebbero sconvolto il mondo intero. Alcune da
rivelare
pubblicamente, altre troppo pericolose per esserlo…
Era
convinto che chi le avesse scoperte, avrebbe potuto persino ascendere
al rango
di divinità. Voleva dunque permettere al figlio di avere
accesso a quelle
verità.
Varsos
rispettò le volontà di Odisseo. Finse di lavorare
per Ares, e riuscì persino a
indirizzare il giovane Klearcos nella Brigata degli Innominati.
Prima
di morire Varsos donò a Klearcos un mezzo medaglione, che
unito all’altra metà
che già possedeva Klearcos formava con delle incisioni la
parola “Libertà”.
Quel
medaglione è una chiave per scoprire le Verità
che Varsos e Odisseo prima di
lui avevano ottenuto durante la loro vita. (cap
34)
Scontri
degni di
nota:
-il nome del primo personaggio/i rappresenta il vincitore.
-Klearcos,
Kyros, Gamacton vs plotone di rivoluzionari (cap 3)
-Soter
vs sentinelle rivoluzionarie (cap 4)
-Klearcos,
Kyros, Gamacton vs compagnia di Falchi Neri (cap 5)
-Varsos
vs unità cinefila Falchi Neri (cap 6)
-Varos
vs l’ufficiale Cercione (cap 10)
-Soter
vs Scirone e le testuggini carnivore (cap 10)
-Soter e Klearcos vs Sideris
(cap 14)
-Kyros
e Gamacton vs plotone di rivoluzionari (cap 16)
---------------
-Klearcos, Soter, Sideris vs
ERMES (cap 18)
-ARTEMIDE
vs ERMES (cap 20)
-Eris,
Kyros, Gamacton vs cavalleria spartana (cap 22)
-Klearcos,
Perifete e gli eroi rivoluzionari vs Bufago e una divisione spartana
(cap
27-28)
----------
-Perifete
vs Bufago (cap 29)
-Superstiti
rivoluzionari vs Cleobi e Bitone (cap 30)
-Orda
di ciclopi ed arimaspi vs superstiti rivoluzionari (cap 31)
----------
-Klearcos
vs Varsos (cap 34)
CAPITOLI
ORDINATI CRONOLOGICAMENTE
(Cap 13 –seconda
parte-)
Cap 23
Cap 24
Cap 11
Cap 1
Cap 2
Cap 7
Cap 8
Cap 3
Cap 4
Cap 5
Cap 6
Cap 9
Cap 10
Cap 13
Cap 12
Cap 16
Cap 14
Cap 19
Cap 17
Cap 18
Cap 20
Cap 25
Cap 26
Cap 27
Cap 28
Cap 29
Cap 30
Cap 31
Cap 32
CAP
21
Cap 22 Cap 33
Cap 34
Personaggi
presenti
nell’Epica
-Descritti
come
resi dalla mia storia-
-nella storia saranno presenti tutti i personaggi dell' Epica
Pandora
(cap 15)
E’
la donna per cui l’Olimpo sta distruggendo il mondo. Tramite
lei, gli dei
sarebbero in grado di ottenere un potere sconfinato, e per questo sono
disposti
a sterminare l’umanità pur di trovarla.
E’
sotto la custodia di Sideris, e grazie a lui non è mai stata
trovata.
Ha
avuto un storia d’amore con Soter in passato, ma sono stati
costretti a
lasciarsi.
Dopo
più di dieci anni, si sono ritrovati.
Marsya(cap 11)
Poeta
e cantore più talentuoso dell’intera Grecia.
Si faceva chiamare
l’Istrione, e si
considerava la reincarnazione del dio delle belle arti. Era spietato
con i
cantori che osavano paragonarsi a lui in abilità musicale e
canora.Chi osava
sfidarlo sapeva di stringere un tacito
accordo di morte che prevedeva lo scorticamento dello sconfitto.
La
sua autorità divenne tale da essere paragonata a quella di
un potente oligarca,
e chi offendeva lui offendeva anche il suo seguito.
Kyros,
travestito dal dio Apollo, all’età di soli dieci
anni lo sfidò in una gara
musicale e lo sconfisse.
La
differenza tra i loro talenti era così evidente, che il
popolo fomentato scalzò
Marsya dal titolo di Istrione e lo scorticò vivo.
Ogni
cittadino spartano era sottoposto alla rigorosa agoghé, che
prevedeva una
severa preparazione psico-fisica e durava fino ai 18 anni. Chi non la superava
veniva ripudiato da
Sparta.
-L’unità
base dell’esercito è composta da 15 uomini (che
avessero completato l’agoghé) più
un ufficiale, e tutti assieme condividevano la stessa mensa.
Questa
unità era dettasissizia.
-La
fusione dei componenti di due sissizie
formava un’enomotia
(32
uomini), e l’ufficiale più anziano, l’enomotarco,
prendeva il comando. I componenti di un’enomotia
prendevano la loro forza dai legami di amicizia che
instauravano.
-Quattro
enomotia formavano una pentecontia
(128 uomini) comandata da un pentecotarco
-Quattro
pentecontia davano origine ad un locos
(512 uomini) guidata da un locagos.
-Quattro
locoi davano origine ad una mora (2048
uomini) guidata da un capitano
-Quattro
more formavano il
corpo d’armata (oltre
8000 uomini) condotto da un polemarco
(generale)
(SAs)Re
Aristodemo (cap
16)
Uno
dei due re di Sparta, brusco ed estremamente violento, ha decapitato un
generale Ateniese solo perché lo aveva interrotto mente
parlava.
La
sua strabiliante armatura composta da diverse leghe metalliche e
adornata con
placche d’oro e d’argento è tra le
migliori del mondo ed impenetrabile, si
dice.
Dopo
aver preso Atene, con un’immensa armata di spartani, si
stanziò in uno dei
palazzi dell’acropoli finché non fu scomodato da
Zeus in persona.
Il
padre degli dei lo minacciò personalmente prima di stabilire
il suo Ultimatum
all’intera Grecia, e gli ordinò di muoversi subito
e dare la caccia a Sideris.
Generali
/Polemarchi
di Aristodemo(PM)
(PM)
Polemarco
(PM)Castore
e
Polluce (cap
16)
Fratelli
gemelli, e braccia del re Aristodemo, noti per la massima
serietà con cui
eseguono alla lettera tutti gli ordini dei loro superiori.
Durante
la presa di Atene fu Polluce a occuparsi di mettere sotto assedio
l’Apollo
Licio, brulicante di rivoluzionari, e sterminare tutti.
Castore
invece si occupò di gestire la situazione ad Atene e di far
giustiziare tutti
gli ufficiali ateniesi inadempienti.
Castore
inoltre si mise all’inseguimento della sacerdotessa Eris
quando ella rapì
l’Innominato Varsos.
Non
riuscì tuttavia a raggiungerla a causa del crollo di un
ponte.
Capitani
di Polluce
(C)
Capitano
(C)Bufago
(cap
28)
Uno
dei guerrieri più forti dell’Ellade, ha
conquistato meritatamente la carica di capitano sotto Polluce.
Nonostante la
sua mole è molto più agile di quanto sembri.
Odia
con tutto se stesso Klearcos, poiché ha
sterminato tutta la sua famiglia (per ordine dello stesso Ares).e gli
ha
inferto una ferita al volto
Ha cercato di fermare l’evasione di Perifete e degli
altri rivoluzionari, messa in atto dall’Innominato, ma ha
fallito nel
tentativo.
Ha
poi inseguito i fuggiaschi fuori Atene
mettendo a ferro e fuoco un intero villaggio e sterminandone gli
abitanti.
Il
luogotenente rivoluzionario Perifete si
scontrò con lui in un combattimento che culminò
con la vittoria di
quest’ultimo.
Ma
Bufago non si diede per vinto e continuò ad
inseguire gli evasi, finché non cadde in una trappola di
Klearcos e morì
assieme a tutti i suoi uomini.
Luogotenenti
di Bufago (L)(P)(E)(U)
(L)
Locagos
(P) Pentecotarco
(E) Enomotarco
(U) Ufficiale semplice
(P)
Architele (cap
27)
Amante
del lusso e dei frutti che le vittorie dei
suoi superiori gli concedono. Non è un grande combattente e
non si sa come
abbia fatto ad ascendere a una posizione di controllo. Non è un
Pentecotarco a tutti gli effetti, in
quanto non è un cittadino di Sparta e di conseguenza non ha
conseguito l’agoghé,
per questo motivo non è forte e preparato quanto i suoi pari.
Proviene dall’Arcadia, regione sottomessa al
dominio spartano.
Ha
inutilmente invocato la pietà di Klearcos
prima di morire…Non concessa.
(P)
Arcandro (cap
28)
Fratello
di Architele.Anche
lui come il fratello si è rivelato
essere un debole combattente ed un codardo, fuggito prima dei suoi
uomini.
Ha guidato una flebile difesa contro gli evasi
prima di andare in rotta e finire ammazzato da Klearcos.
(E)
Anfistene Astrabaco, Alopeco (cap
28)
I
migliori soldati di Bufago. Quando una mandria
impazzita caricò la falange spartana furono tra i pochi a
mantenere la
freddezza.
Ferirono
Perifete ed uccisero Dameto e
Alessandro, i suoi due luogotenenti.
Furono
uccisi in quello stesso scontro, uno di
loro da Dameto (prima di morire) e gli altri due da Perifete.
Cleobi
e Bitone (cap
28)
Umili
cocchieri iloti, ultimo anello della
gerarchia militare spartana ma sorprendentemente rappresentarono la
minaccia
più grave per Klearcos e i fuggitivi.
Dopo
che l’intero plotone di Bufago fu spazzato via assieme a lui,
loro si
rivelarono essere gli unici superstiti e sotto lo sbalordimento
generale si
trasformarono in somari mostruosi in grado di sollevare un intero
tronco
d’albero ed usarlo come arma. (cap
30)
Hanno
le fattezze di somari mostruosi ma in grado di ergersi in posizione
eretta,
raggiungendo gli 8 piedi di altezza (240 cm). Hanno una struttura
muscolare
incredibilmente sviluppata e così spessa da poter attenuare
il danno delle
spade.
I
loro artigli sono in grado di squarciare le carni di un uomo con una
semplicità
terrificante.
Hanno
una potenza nelle gambe tale da poter uccidere un essere umano con un
singolo colpo
di zoccolo, e correndo a quattro zampe surclassano in
velocità persino un
corridore olimpionico. Con la potenza dei loro denti sono inoltre in
grado di
strappare la testa dal collo di un uomo.
Anche
da ciechi sono inoltre in grado di combattere grazie al loro olfatto.
Si
considerano i primi abitanti del nuovo mondo che verrà,
popolato solo da esseri
superiori.
Bitone
venne ucciso grazie agli sforzi combinati degli eroi rivoluzionari.
Cleobi
invece, rimasto acciecato durante lo scontro con Klearcos,
continuò a
inseguirli brandendo la spada magica sottratta all’Innominato.
Il
piede di un ciclope lo schiacciò uccidendolo.
--------------------
(Sas)
Eris
A
differenza del re Aristodemo, che agisce per Ares solo
perché l’Olimpo lo ha
stabilito, Eris agisce per il dio della guerra a prescindere dalle
circostanze.
E’
una delle sacerdotesse votate al dio, e una dei pochissimi a sapere che
gli
Innominati lavorano per lui (cosa di cui neppure Aristodemo
è a conoscenza).
Ama alla follia il dio della guerra, il quale si fida ciecamente di lei.
Dopo
l’attacco degli Innominati all’Apollo Licio,
è stata incaricata di riportare a
Sparta tutti gli Innominati che fossero stati catturati (agendo quindi
contro
lo stesso Re Aristodemo).
Così
fuggi da Atene assieme a Kyros, Gamacton e Varsos (privo di sensi), ma
fu
inseguita da Castore e dalla sua cavalleria.
Riuscì
a far perdere le sue tracce facendo saltare un ponte grazie a degli
esplosivi
fornitigli da Ares.
(Sas)
INNOMINATI
Assassini
più abili del mondo, ripudiati dagli uomini e dagli dei. A
volte Ares li
rifornisce di potenti armi per incrementare il loro potere. Ognuno di
loro ha
deciso di barattare sogni, fama, denaro e onori con
l’oscurità, per ragioni che
hanno loro costretto a farlo.
(personaggi
originali)
Varsos
Klearcos
Soter
Kyros
Gamacton
(personaggi
non originali)
Phobos
Deimos
Enio
(ancora
senza informazioni)
------------------------------------
(LSi)
Luogotenenti
di Sideris
Le
fila della rivoluzione raccolgono ogni classe sociale. Vi si possono
trovare le
categorie più disparate: guerrieri, vasai, costruttori,
atleti olimpionici,
assassini redenti, aristocratici e molti altri.
I
rivoluzionari generalmente si nascondono dalle autorità
locali, anche se molte
piccole comunità sono state convertite totalmente come il
demo di Decelea. Ma
se le autorità delle grandi metropoli come Sparta o Atene lo
vengono a
scoprire, l’intero demo viene rasa al suolo.
Esiste
un corpo d’elite di rivoluzionari i cui membri sono
caratterizzati dalla totale
devozione alla causa, un’abilità in combattimento
molto temprata e un’armatura
nera completa.I
membri di questo corpo
sono chiamati Falchi Neri.
Alle
donne non è precluso il raggiungimento di questo rango.
(LSi)Almo
(cap
26)
(Falco
Nero)
Stimato
tra i Falchi per il suo buonsenso e raziocinio. Fu l’unico
rivoluzionario che
tollerò la presenza di Soter quando si stanziò
all’accampamento.
(LSi)Cercione
(cap
4)
Campione
di lotta olimpionico.
E’
molto dedito alla causa di Sideris, e protettivo nei suoi confronti.
Durante l’attacco
all’Apollo Licio, si è scontrato prima con Soter e
poi con Varsos ed è stato da
entrambi sconfitto.
Durante
l’attacco dell’esercito spartano, Perifete, suo
pari più anziano gli ordinò di
ritirarsi verso Sideris, portando con sé il grosso delle
truppe mentre lui li
intratteneva.
Cercione
eseguì l’ordine a malincuore, e alla fine
raggiunse la base di Sideris.
(LSi
)Scirone (cap
6)
Molto
magro, molto vecchio e completamente pazzo. Persino Cercione sembra
temerlo.
Non è un gran combattente, ma è proprio la sua
follia a renderlo così
pericoloso.
Da
terre molto lontane ha raccolto delle tartarughe carnivore e le ha
cresciute e
allevate nello sbocco fognario dell’Apollo Licio (dove fa da
sentinella),
nutrendole con gli intrusi che trova.
E’
stato scaraventato da Soter nel condotto fognario ed è stato
quindi divorato
dalle sue stesse creature, poco prima che l’intera cloaca
crollasse su se
stessa uccidendo i rettili.
(LSi)Perifete
(cap
13)
(Falco
Nero)
In
virtù della sua stazza di quasi 8 piedi (2,40 m)
è stato considerato l’uomo più
grosso e uno dei più forti del mondo. Ha respinto per
diversi giorni le ondate
di opliti, ed ha sfondato le difese di un’impenetrabile
falange spartana con la
potenza della sua carica. Si è scontrato anche con Bufago, e
dopo uno scontro
incredibile ha stabilito la propria superiorità spezzandogli
un braccio.
Brandisce una clava enorme e
così pesante che
è in grado di dilaniare un uomo con un singolo colpo.
Dopo
essere stato catturato, è stato imprigionato nella
torre-prigione di Atene,
dove i carcerieri hanno provato ad estorcergli delle informazioni con
la
tortura senza ottenere niente.E’
rimasto cieco di un occhio.
Klearcos
l’ha fatto evadere assieme a un folto gruppo di rivoluzionari
imprigionati, e
sono fuggiti verso l’Imetto.
In
quel luogo si sono palesati i mostri di cui parlavano le leggende, i
ciclopi. Nonostante
la sua forza, era impotente davanti a quei giganti, ed è
stato quasi divorato
da uno di loro.
Perifete,
alla fine del viaggio con Klearcos, se n’è andato
per la sua strada, sicuro che
lo avrebbe rivisto, senza sapere però se sarebbero stati
alleati o nemici.
Rivoluzionari
sotto l’autorità di Perifete (tutti
dal cap 27)
I
rivoluzionari del reggimento di Perifete, che per ordine del loro
comandante,
volenti o nolenti, rimasero con lui all’Apollo Licio a
difendere la ritirata
dei loro compagni.
I
sottoscritti sono quelli che furono imprigionati nella torre-prigione.
Alessandro (Falco
Nero)
Giovane
ufficiale pronto a sacrificarsi per i compagni. Morì assieme
a Dameto per
permettere la loro fuga da Atene.
Nonostante
fosse un buon combattente, è stato sconfitto e ucciso
dall’enomotarco
Alopeco.
Dameto (Falco
Nero)
Re
caduto della Caria. Il suo popolo fu
sterminato dagli Olimpici, e giunse sulle coste dell’Attica
con un contingente,
per dare man forte all’esercito di Sideris.
Riuscì a uccidere uno degli enomotarchi più forti
prima di morire.
Fenice
e Cilice Fratelli
girovaghi che decisero di schierarsi
dalla parte di Sideris per ritrovare la loro sorella Europa, rapita
dalle forze
degli Olimpici.
Il loro ardore in combattimento fu surclassato
dalla rigorosissima preparazione dei guerrieri spartani. Furono uccisi
entrambi.
Alessanore
Costruttore
che riuscì a salvarsi da Bufago e gli
inseguitori spartani, ma subì una morte orribile per mano
del mostro Cleobi che
lo tranciò in due parti con un colpo.
Botachos Magistrato
e governatore di un demo dell’Attica.
Si ribellò al potere degli olimpici, e per questo
perseguitato dalle autorità.
Fu trafitto da parte a parte da un giavellotto,
lanciato da Anfistene, mentre scappava.
Euneo
Vecchio ristoratore. Ha una rete di contatti con
i mercanti di molte demo nell’Attica.
I ristoratori e i mercanti viaggiatori (votati
alla rivoluzione) sono uno dei tanti mezzi di comunicazione dei
Rivoluzionari.
Fu trapassato ed impalato al muro da una lancia
spartana.
Foco Atleta
Olimpionico di lancio del disco. Il suo
ultimo tiro servì a intrattenere il nemico mentre i
rivoluzionari rubavano dei
cavalli.
Colpì in pieno la fronte di Bufago facendolo
cadere dalla sua auriga, poi morì trafitto da alcune frecce.
Aleurone e Calidone
Corridori come il padre. Appiccarono il fuoco
alle stalle ateniesi per creare un diversivo di fuga dalle truppe di
Bufago.
Riuscirono a sfuggire alle sue truppe, ma
entrambi furono uccisi da Bitone.
Il
primo sopraffatto dal panico tentò di fuggire,
ma furaggiunto dal
mostro che lo
decapitò con un morso.
Il secondo fu squarciato al collo da
un’artigliata micidiale.
Pentilo (Falco
Nero)
Giovane
Falco Nero, figlio di Oreste.Ha
combattuto per rendere fiero il padre.
Fu falciato dalle spade spartane durante lo
scontro con Bufago.
Bucolo
Assassino che cercò la redenzione combattendo per
la causa della Rivoluzione.
Tentò di fermare Bufago attaccandolo su un
fianco, ma fu sorpreso dalla sua velocità e morì
sul colpo.
Polemone Oligarca
giunto con Dameto dalla Caria per
vendicare il genocidio del suo popolo da parte degli Olimpici.
Quando
gli arcieri Arcadi puntarono verso i
rivoluzionari, vedendo suo figlio Nasso indifeso, fece scudo del suo
corpo e fu
trafitto da diverse frecce per poi cadere in un baratro.
Leucippo Guidò
i rivoluzionari per le selve circostanti
l’arteria stradale. Conosceva molto bene il territorio
boschivo locale, poiché
nell’esercito di Sideris era un avanguardia a cavallo.
Tentò di fermare Bufago
ma fu ucciso con pochi colpi.
Polido Medico
che ha assistito il grande Podalirio. Dopo
essersi addentrato nelle prime filiere di un bosco, venne trovato dal
mostro
Cleobi e decapitato
Testore
Teonoe e Leucippe (Falchi Neri)
Padre
e figlie guerriere. Nonostante la loro
forza e il loro coraggio, non riuscirono a sopravvivere alle insidie
della fuga.
Leucippe venne uccisa da uno spartano, e gli
altri due massacrati da Cleobi.
Telchi
Oligarca padre di Api. Non sapeva nulla del
tradimento di suo figlio.
Fu ucciso dagli spartani incursori nel demo di
Decelea poco dopo essere stato tradito.
Api Una
delle spie infiltrate tra i Rivoluzionari. Al
servizio di Apollo. Rivelò a Bufago l’ubicazione
dei rivoluzionari nascosti a
Decelea tradendo i suoi compagni e il suo stesso padre. Venne investito
da un
auriga fuori controllo condotta da Etolo.
Rivoluzionari
sopravvissuti
Nella
fuga solo in pochi riuscirono a cavarsela.
Alcone (Falco
Nero)
Uno
degli arcieri più abili dell’Attica, la sua
mira è infallibile. Colpì in pieno un occhio del
mostro Bitone da una distanza
considerevole, e accecò anche il mostro Cleobi.
Podalirio Uno
dei medici più abili di tutta la Grecia.
Assieme a Polido, guarì Nasso da morte certa. Ciò che stupisce è il suo talento rispetto alla giovane età di 25 anni.
Fu uno dei
pochi superstiti della
grande fuga.
Etolo
(Falco
Nero)
Corridore
olimpionico. Assieme ai suoi figli,
appiccò il fuoco alle stalle ateniesi creando il giusto
diversivo per scampare
alle truppe di Bufago.
S’impadronì poi dell’auriga di
quest’ultimo, ma
perseil controllo
e uccise il traditore
Api. Fu uno dei guerrieri che uccise il mostro Bitone.
Falanto (Falco
Nero)
Un
guerriero abile e molto esperto. Non faceva
parte del reggimento di Perifete ma fu liberato perché
è un rivoluzionario
molto noto nel Peloponneso. Diede il colpo di grazia a Bitone
trapassandogli il
collo da parte a parte.
Durante il viaggio, strappò la vita anche ad
alcuni arimaspi.
Nasso Dopo
la morte di Dameto e di suo padre Polemone,
è rimasto l’ultimo superstite del popolo dei Cari.
Durante il viaggio, a
seguito di una ferita inferta da uno spartano, si ritrovò in
fin di vita ma
grazie alle cure di Polido e Podalirio è riuscito a
riprendersi.
Nannaco (Falco
Nero)
Il
Falco Nero più vecchio dell’intero esercito.
Gli piace ascoltare e raccontare storie, e per questo conosce tutte
quelle dei
suoi compagni. Nonostante l’età è
ancora forte nel combattimento.
Agamede
e Trofonio
Progettisti
e conoscitori dei vari passaggi
segreti presenti ad Atene.Probabilmente,
disegnarono le strutture sotto la guida del progettista leggendario
Dedalo.
Nell’intento
di rubare in uno dei grandi palazzi
che loro stessi avevano progettato, entrambi furono avvinti in una
trappola.
Trofonio riuscì a liberarsi, ma per il fratello non
c’era modo, così di tutta
fretta, per evitare che entrambi fossero condannati a morte lo
decapitò e portò
con sé la sua testa.
Questo perché nella sua follia, pensava che se le
autorità avessero visto il volto del fratello, avrebbero
potuto ricollegarlo al
furto.
Da allora conserva il teschio del fratello
parlandoci e discutendoci come se fosse ancora vivo.
Poco più tardi venne avvistato, imprigionato e
condannato a morte.
Klearcos lo liberò per farsi guidare verso la via
di fuga più vicina.
Dopo l’evasione si dileguò, separandosi dal resto
del gruppo. ------------------------------
Carcerieri
Procuste
(cap
27)
Nanerottolo
deforme sadico oltre ogni limite. Capo carceriere.
Ha
un’innata
abilità
nell'infliggere dolore. Da quando ha sostituito il suo predecessore
incominciando a sovrintendere le segrete di Sparta, i crimini
e gli
omicidi nella regione si sono ridotti
notevolmente. Poiché spesso la
povera gente pur di non morire di fame preferiva farsi incriminare per
così
finire in una cella con un pasto al giorno assicurato, il sadico Ares
fu più
che entusiasta nel fornire a quel folle tutti i mezzi di cui avesse
bisogno per
far agognare la morte ai suoi 'pazienti'.
Il
risultato fu eccezionale: la criminalità e gli
omicidi nel Peloponneso dimezzarono, e l'operatività
aumentò. Dopo la
presa di Atene, a Procuste venne affidato il controllo della
Torre-prigione.
Venne
ucciso da Perifete durante l’evasione. Mutilato
e scaraventato in un abisso.
Afidno
(cap
28)
Assistente
di Perifete. Anche
lui molto sadico.
Fu dilaniato da Perifete.
---Decelea----
Un
villaggio votato alla causa dei Rivoluzionari.
Decelo
Governatore
eponimo della città
Assieme a molti abitanti attaccò un plotone di
spartani, e in un momento di sorpresa riuscì ad assassinarne
uno.
Venne massacrato assieme alla popolazione, e il
villaggio bruciato
Laodoco
Amico
di Etolo e rivoluzionario. Proprietario di
una locanda. Ospitò i fuggiaschi nelle sue cantine. Quando
gli spartani li
scoprirono, Laodoco tentò di fermarli ma venne massacrato.
------------
Bestie
di Artemide
Agrio
e Orico
Orsi
spropositatamente grandi e piuttosto intelligenti. Alti quattro metri
al
garrese. In grado di comprendere le parole degli umani.
Aiutarono
Artemide a combattere Ermes nella loro lotta.
Agrio
venne lanciato in aria e disintegrato con un raggio di energia
proveniente dal
Caduceo del dio. Orico si ritirò spaventato. Dopo
la vittoria di Artemide, la dea affidò
l’orso a Sideris.
Orico
portò con sé, la cassa che teneva celata la
carcassa del dio e le sue armi.
Servi
nel Dominio di Efesto
Ogni
dominio di divinità funziona a proprio modo
a seconda dell’indole del dio.
Il dominio di Efesto è il più democratico di
tutti.
Infatti a gestire le attività non è lui in
persona (incapacitato mentalmente) ma un consiglio di fabbri/alfieri
del dio.
Quelli
finora visti sono.
Ardalo
(cap
31)
Di
bell’aspetto, vestito di indumenti semplici.
Colui che diede il benvenuto a Klearcos e si
occupò di innestargli il nuovo braccio meccanico.
Cedalione (cap
32)
Uomo
nerboruto, calvo e scuro in volto. L’aspetto
di un vero fabbro.
Il suo intero corpo è costituito dagli stessi
materiali con cui è costituito il braccio destro di
Klearcos.
Cabeiro (cap
32)
Un
arimaspo di sesso femminile. Si occupa di
assistere il dio Efesto in persona durante il suo lavoro. Conferisce
con gli
ospiti del Domio al posto suo.
-------------
Servi sotto il dominio di Efesto
CICLOPI
(cap
30)
Giganti
alti 15 metri e con un unico occhio.
Asessuati.
Uno
di loro schiacciò il mostro Cleobi con un
piede, poi afferrò Perifete e tentò di divorarlo.
Sono in grado di riconoscere le armi permeate di
energia divina e di riconoscere quindi gli alfieri degli Olimpici.
Costoro sono
risparmiati.
ARIMASPI
(cap
30)
Uomini
barbuti, ricoperti di pelli e generalmente
armati di asce. Anche loro hanno un unico occhio come i ciclopi ma la
loro
stazza non supera gli 8 piedi. Sono comunque enormi se confrontati a un
normale
essere umano.
TALOS
(cap
31)
Sono
sculture colossali di uomini dalle
proporzioni e i lineamenti perfetti secondo i canoni comuni. Composti
in
bronzo, ferro ed oro misti a materiali sconosciuti.
I ciclopi gli arrivano appena all’altezza di un
ginocchio. Alti 60 metri.
All’interno
delle forge di Efesto, i ciclopi ne
producevano a decine, ed erano schierati in file come in un esercito.
Coloro
che gestiscono la produzione non conoscono il motivo per cui
l’Olimpo gli ha
ordinato di produrne in quantità.
L’alba.
Ormai
divenuta manifestazione di puro orrore e foriera di morte.
Stabilisce
una nuova catastrofe nel mondo.
Una
nuova tragedia.
Un
nuovo male.
Nessun
uomo, donna o bambino dorme tranquillo.
Non se consapevole del fatto
che quella notte
potrebbe essere l’ultima.
Finalmente
le paure dei poveri e dei nullatenenti convergono con quelle dei re e
degli
oligarchi.
L’annientamento
della propria razza unisce nel proprio gelido terrore anche gli
acerrimi
nemici.
Il
mondo degli umani è giunto al termine? Il
padre degli dei distrugge una polis al giorno.
I
mostri fuoriescono dalle proprie spoglie mortali affermando che una
nuova era
di esseri superiori è arrivata.
E
nelle nere profondità delle cave di Efesto è in
costruzione un’armata di
colossi più grandi di qualsiasi edificio.
Re
Aristodemo cerca con tutte le sue forze il dissidente Sideris, ben
sapendo che
la sua cattura può fermare l’estinzione del genere
umano.
E
in contrasto con tutta questa distruzione, in contrasto con
l’inquietudine e lo
sconforto che scuote le menti di ogni essere, un unico uomo finalmente
si trova
in pace.
L’uomo
che per due decadi aveva soppresso tutto se stesso dietro il velo della
sua
maschera da Innominato, finalmente era uscito.
Klearcos,
aveva seppellito il corpo del suo vecchio maestro Varsos accanto a
quelli della
sua famiglia.
Ora
sapeva chi era il vero assassino dei suoi genitori. Ora sapeva per chi
doveva
combattere. Ora sapeva la verità.
Gli
erano occorsi vent’anni per capire chi fosse il suo vero
nemico.
Davanti
ai suoi occhi, il cielo s’era fatto plumbeo: una tempesta.Opera di Zeus.
Il
padre degli Olimpici era pronto a riscuotere il suo tributo di vite
umane…
Un
lampo lo accecò.
Così
come era accaduto il giorno prima, un’altra polis era stata
cancellata per
sempre dal mondo.
Rimase
a scrutare i cumulonembi spargersi nell’atmosfera dopo aver
commesso il loro
crimine.
Passò
del tempo, poi guardò il medaglione che Varsos gli aveva
donato.
“Questo medaglione contiene la
verità su
questo mondo. Avrai le risposte che ogni uomo ha sempre
cercato.”
Klearcos
toccò il medaglione, premendo su una scanalatura.
Dall’oggetto,
filtrarono delle luci che si riflessero attorno a lui formando delle
immagini.
E davanti allo sbalordimento dell’Innominato, adesso un uomo
gli si stagliava
innanzi.
Che
cosa accadde la notte in cui tutto il mondo tremò?
L’immane
effige di tempesta del sovrano dell’Olimpo si
manifestò nel cielo per stabilire
il suo verdetto di morte verso l’umanità.
L’entità
era così sconfinata che ogni uomo in Grecia poteva vederla.
Era così terrificante
che tutti sussultavano trattenendo il fiato alla sua visione e infine,
era così
potente che con una singola saetta poteva devastare un’intera
città. Da
qualche parte nell’Arcadia…
Tutti
i Falchi dell’accampamento di Sideris, atterriti, fissavano
il padrone dei
Cieli minacciare d’estinzione la loro razza.
Ognuno
di quegli uomini era in contemplazione, rifletteva sulle sue parole.
Ognuno
di loro aveva sposato la causa di Sideris per cambiare lo stato delle
cose,
per
combattere la tirannia degli Olimpici e ottenere la libertà.
Ma
ora erano entrati in gioco dei fattori che nessuno avrebbe potuto
prevedere.
Adesso
i popoli Ellenici rischiavano l’annientamento.
Era
in gioco la sopravvivenza.
Molti
di loro avevano lasciato amici e famigliari nelle città
minacciate da Zeus. Gli
stessi per cui s’erano impegnati a combattere.
Se
salvare il proprio mondo significava mettersi contro Sideris, lo
avrebbero
fatto.
Pandora
ascoltava inorridita le parole di Zeus. Si voltò verso
Sideris, accanto a lei.
Il suo elmo avvolgente non permetteva che il volto al suo interno
potesse
essere contemplato, ma la donna poteva avvertire lo stesso la sua
angoscia.
"Sideris…A
cosa
stai pensando?”
Il
Falcone, non muoveva un muscolo.
Continuava
a guardare verso il cielo, anche dopo che i foschi nembi si erano
sparsi. Gli
uccelli volteggiavano per quella regione, sembravano
quasi in attesa di banchettare con i loro cadaveri.
Abbassò
lo sguardo verso i suoi uomini. Tutti loro avevano gli occhi puntati su
di lui
come lupi affamati.
Aveva
capito il piano di Zeus.
Egli
voleva mettergli contro i suoi stessi soldati per farlo uscire allo
scoperto.
Doro
il guerriero, sguainò la spada.
Il
saggio luogotenente Almo, si alzò in piedi e
s’affiancò al Falcone.
Anche
lui aveva capito l’intento di Zeus.
“Che intenzioni hai, soldato?”
“Le
stesse che
hanno anche loro”
Indicò
i molti Falchi in armatura nera che si erano avvicinati circondando
Sideris.
Tra
loro spiccavano molti volti noti: c’era l’inventore
Belone; Pleurone, uno dei figli di Etolo; i
cugini guerrieri
Pilade ed Oreste;il fuorilegge Ione e il capitano Aristomene.
“Ognuno di noi ha perso molto mettendosi al
tuo seguito Sideris” .
Disse
Oreste.
“Io
ho perso mio
figlio e mio padre.
Così come
Pleurone e come Sirna, e come tanti altri. Tutti noi abbiamo perso dei
cari
amici.”
“Quando
avete
scelto di seguirmi, sapevate di dover fare dei sacrifici”Rispose
Sideris.
“Lo
scopo della
nostra esistenza è difendere gli uomini dal giogo degli dei,
ma se uccidere te
significa salvarli allora sarò ben lieto di farlo.”Intervenne Aristomene.
“E’ un tradimento?”
s’interpose Almo.
“No, ha ragione”
Disse Sideris“Comprendo
il suo punto di vista.
Io
rappresentavo
la speranza della resistenza umana, ma ora Zeus ha deciso di
distruggere tutti
gli uomini indistintamente se non mi consegno a lui.
In ogni caso
Egli non si fermerà.
Quando avrà la mia
testa e avrà trovato ciò
che cerca, questo mondo cadrà e
l’umanità sarà comunque
sterminata.”
Le
parole di Zeus erano state più efficaci di qualsiasi
altro potere a sua
disposizione.
Sideris
rischiava di essere ucciso dai suoi stessi uomini.
“Non
temo la
morte, dovreste averlo capito durante tutto questo tempo passato al mio
fianco.Ma mi preme
il destino delle generazioni
future, e so per certo che se Zeus mi trovasse…Non ci
sarebbe alcun futuro.”
“Quello
che
potrebbe accadere se tu morissi, non lo so…
Ma so con
certezza quello che accadrà se noi non ti
uccidiamo.” rispose
Pilade.
“Eppure è così, dovete
fidarvi! Possiamo
avere una speranza se continuiamo a combattere!” Esclamò
Sideris.
“Nessuna
speranza…Non c’è mai stata.Ma è stato
bello crederci…” Concluse
Oreste.
La
spada di Oreste saettò verso il Falcone Nero, ma fu intercettata
al volo.
Un
clangore metallico risuonò per il campo. Almo
gli si era messo davanti. Con un calcio al ventre fece arretrare il
prode
Oreste.
Il
guerriero guardò negli occhi il luogotenente Almo. “Così hai scelto”
I
Falchi accorciarono la loro distanza da Sideris.
Aristomene
e Pleurone, tra i più forti di quello schieramento,
s’avventarono su di lui
brandendo le spade. Con un’azione repentina, il Falcone
sfoderò la sua
interponendola a quella del primo, e con un rapido gesto del braccio
serrò la
sua mano sulla spada del secondo.
Pleurone
rimase attonito nel vedere la sua spada bloccata dalla stretta di una
mano, non
credeva che una cosa del genere fosse possibile. “Non
sei umano”
Fulmineamente,
Sideris respinse Aristomene e colpì Pleurone con
l’elsa della propria spada per
stordirlo.
Poi
con la spada di quest’ultimo, che teneva dalla parte della
lama, colpì
Aristomene allo stesso modo.
“Non
ucciderlo”
Disse
poi rivolto ad Almo, il quale si stava battendo con Oreste.
Almo
sembrava in difficoltà ma respingeva tutti i colpi
dell’aggressore.
“Non
è così
facile. E’ un guerriero molto forte!” In
quel momento due braccia muscolose afferrarono Oreste premendolo al
collo.
Il
guerriero si divincolò ma quella presa era potentissima e
gli aveva bloccato il
respiro.
Perse
i sensi e stramazzò al suolo.
“Il
grande
Cercione. Almeno tu non hai perso la ragione”
Disse
Almo compiaciuto.
Il
possente ufficiale raccolse l’ascia che poco prima aveva
inculcato al suolo.
“Risparmia il
fiato e pensa a loro” Disse
indicando la schiera di Falchi che li aveva circondati. Pleurone,
Pilade e un’intera compagnia di Falchi Neri incombeva verso
l’ultimissima
resistenza del Falcone Nero.
I
tre rivoluzionari si accostarono schiena contro schiena.
“Non
penso sia
più il caso di continuare a prendere premure con
loro” Proferì
Cercione. “Sono
Falchi
Neri votati alla causa e agiscono per i loro ideali. Non voglio che sia
versato
il sangue di nessuno” Decise
Sideris. “E’
il nostro di
sangue che verrà versato se non troviamo un modo di
scappare.” Intervenne
Almo.
“Dovrò
dunque
rivelarmi per ciò che sono?”
pensò il Falcone.(2:02)
Le
schiere di rivoluzionari stavano per abbattersi sui tre quando un ruggito terrificante fece
gelare il sangue di
tutti.
Sulla
piana cadde un silenzio panico, e tutti gli uomini ora arretravano
paventando l’immane
figura che si stava avvicinando.
Una
belva enorme delle dimensioni di quattro metri incombeva camminando
gattoni
verso Sideris.
L’orso
Orico, l’immane bestia donata a Sideris dalla dea dei boschi,
era stato liberato.
L’elmo
avvolgente di Sideris rendeva impercettibile la sua espressione, ma
l’avvento
della creatura sembrava avergli dato un sollievo.
Almo
sorrise.
Sulla
schiena dell’orso gigante era seduto un uomo avvolto in un
mantello nero.
Cercione
riconobbe quel mantello. “Lui?
Non posso
crederci. E’ l’ultima persona che mi sarei
aspettato”
Era
Soter.
Cercione
continuava a dubitare di lui. “Che
intenzioni
hai, Innominato?!”
“Non
ci arrivi
da solo? Per la prima volta tu ed io siamo dalla stessa parte”
Capitolo 5 *** Le origini del segnale (Finale) ***
Pandora correva.
“E’
me che cerca
Zeus veramente…Non Sideris.”
La
ragazza era terrorizzata da tutte quelle distruzioni e quella morte e
quel
sangue che era stato versato. “Tutto
questo è accaduto per colpa mia”
pensava.
“Sono
sempre
stata troppo codarda per assumermi responsabilità.” Delle
lacrime le solcavano il viso.
Il mondo che aveva sperato potesse
durare per
sempre si stava infrangendo in miriadi di pezzi.
La
vita che avrebbe voluto vivere con Soter era solo una mera infantile
illusione
che adesso riconosceva come tale.
L’istinto
le diceva di scappare più che potesse da quelle
oscurità; fuggire da quel
mondo spietato, così diverso da lei, nel quale era nata per
sbaglio e che sino ad
allora aveva sempre cercato di portarla nell’abisso.
Volare
via, lontana da tutti, perché la sua presenza provocava solo
dolore e morte a
chi le stava accanto. Perché la sua esistenza era maledetta. Correre
per se stessa, in realtà.
Lo aveva sempre fatto. Pandora
si fermò.
“No…Non
questa volta.
Voglio smettere
di scappare mentre qualcun altro copre la mia fuga.
Non questa
volta”
L’espressione
impaurita era stata assorbita da una nuova. Diversa, determinata.
“Zeus vuole me.
Mi avrà.
Non lascerò che
le persone che mi proteggano siano uccise a causa mia. Non
lascerò che Sideris
si sacrifichi al mio posto.
Andrò da Zeus,
di persona”
La
ragazza si diresse verso la tenda del Falcone, dove si trovava il
Grande
Scrigno nel quale era custodito il cadavere di Ermes con tutti i suoi
averi.
“Arriverà
il
momento in cui sarà necessario aprirlo” Risuonavano
nella sua testa le parole di
Artemide.
Pandora
si trovava davanti allo scrigno dorato. Avrebbe usato gli stivali alati
del dio
Ermes per raggiungere l’Olimpo, e presentarsi innanzi a Zeus.
“Siamo
responsabili dello nostre azioni”aveva
detto una
volta a Soter. “Siamo artefici del
proprio destino” , e troppo a lungo Pandora aveva
delegato il suo a Sideris.
Poggiò
le mani sullo scrigno, e tirò un respiro lungo e profondo.
"Addio
Soter. Addio
amore mio”.
E
Pandora aprì il vaso…
Un
lampo di luce accecante vi fuoriuscì. Un fascio di energia
luminosa fu proiettato
verso il cielo fino oltre le nuvole.
Un
bagliore accecante che illuminò il campo rivoluzionario come
se fosse giorno.
Era
la luce di Ermes il messaggero. La luce di un dio.
Tutti
nell’accampamento lo videro. Sideris capì.
“Qualcuno
ha aperto il vaso!”
E
in quel momento, alcune intelligenze extraplanari ebbero lo stesso
accorgimento.
Avevano
captato il segnale.
Ali
di morte nella vorticosa oscurità della notte.
Folate
di gelido vento travolgono l’aria tiepida
dell’Arcadia scuotendo impetuosamente
ogni arbusto.
Un grande male sta arrivando dal cielo
rispondendo alla chiamata del segnale di un dio.
Innominati.
Identità
demoniache sotto forma di uomini giunte per serbare morte e
distruzione; creature
della notte al servizio del dio della guerra, prive di qualsiasi forma
di
misericordia.
I
servi di Ares cavalcavano il cielo a gran velocità in groppa
a delle creature
mai viste. Erano esseri con un corpo da cavallo, ali d’aquila
e un muso che
sembrava un incrocio tra i due animali e culminava con un adunco becco.
Erano
chiamati Ippogrifi.
I
cinque uomini ancora una volta erano stati inviati per compiere una
missione
impossibile il cui esito avrebbe potuto mutare le sorti del mondo.
A
chiudere la colonna c’era Kyros il guitto sanguinario,
artista della sofferenza
e paesaggista di devastazione.
Dopo
di lui seguiva Gamacton, l’uomo più grande su cui
occhio umano si sia mai
posato. Nessuno era mai riuscito a ferirlo seriamente.
Seguivano
le tre nuove leve che Kyros pareva conoscere molto bene: Deimos, Phobos
ed
Enio. Erano due fratelli e una sorella, così terribili da
essere soprannominati
rispettivamente il Terrore, la Paura e l’Urlo.
Kyros
si rivolse a Gamacton.
“Nei
miei anni di vita ho già veduto tanti volti, ma mai credetti
di poterne vedere
di dissepolti. Codeste
persone le ho già contemplate, ma solo nelle tavole dei
Magistri o sulle monete
dorate. Sì
perché coloro che abbiamo di fronte sono morti da secoli e
dovrebbero trovarsi
nell’Acheronte. Dunque
non è preclusa l’abilità di riportare
in vita i morti seduta stante al nostro Divino
Belligerante.”
Deimos
il Terrore era, come gli altri, avvolto da una cappa nera come la notte
dalla
quale traspariva parte del suo volto.
“Fa
silenzio miserabile
mortale, se non vuoi che ti uccida lì dove sei!”
Proferì in un
sussurro.
"Ares
ha deciso
di chiamare noi a causa delle vostre umane inadempienze. Voi credete di
essere
superiori agli altri, credete di essere dei prediletti del dio della
Guerra ma
in realtà non siete altro che carne putrida come tutti gli
esseri umani. Non
osate reclamare il nome di INNOMINATO accostandovi a Noi.
Non osate
paragonare le vostre abilità a quelle di un
Semidio.”
Kyros
rimase in silenzio rabbrividendo.
Gamacton
lanciò uno sguardo di sfida verso quei tre esseri, il quale
non fu raccolto.
Phobos
la Paura, ridacchiava di continuo leccandosi le labbra. “Dai
fratello,
perché non li uccidiamo adesso? Ci saranno solo
d’intralcio. Facciamo loro
conoscere il vero terrore.”
Kyros
deglutì stringendo le piume della sua cavalcatura, pronto a
scappare se
necessario.
Gamacton
per nulla impressionato guardò il poeta suo compagno,
attendendo un suo cenno
espressivo. Era pronto a rispondere alla loro minaccia in qualunque
momento.
Enio
l’Urlo rimase in silenzio, imperscrutabile.
“Lascia
perdere
Phobos. Attieniti solo al compito richiesto. Non ho voglia di sporcarmi
le mani
se non è necessario” Rispose
il maggiore dei due.
La
Paura si voltò verso i due mortali mostrando solo un occhio
e tenendo celato il
resto del volto.
Un’iride
rossa contornava una pupilla di un’intensità
inverosimile. In quegli occhi, il
poeta poteva contemplare gli incandescenti inferi e le travolgenti
oscurità.
Per
un attimo Kyros avvertì il vuoto nella sua testa. Distolse
lo sguardo.
Phobos
sogghignò emettendo uno stridente sibilo.
“E’
laggiù.
Siamo arrivati al luogo del segnale”. Annunciò
Deimos improvvisamente.
Phobos
toccò due casse che erano saldate ai fianchi del suo
Ippogrifo. “Sono
impaziente di vedere le mie bambine all’opera”.
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Sideris
irruppe nella sua tenda.
Pandora
aveva appena strappato i bracciali dorati dalla carcassa di Ermes e
aveva preso
in mano il Caduceo.
Il
Falcone incalzò su di lei afferrandole repentinamente i
polsi. La sua stretta
fu così decisa che la donna gemendo lasciò cadere
gli oggetti divini.
“Stupida!
Cosa
ti è saltato in mente?Questo scrigno
deve restare chiuso! Sigillato!” Lasciò
la presa e si chinò a raccogliere gli oggetti e riporli al
loro posto. Richiuse
il coperchio del vaso. “Come
hai potuto fare una cosa del genere? Ogni divinità adesso
saprà, dove ci
troviamo! Quello scrigno serve a coprire l’immane aura divina
che il dio morto ancora
emana.”
“Sideris,
ascolta: io non posso continuare a veder morire la gente per
me…Devi lasciarmi
andare! Userò le armi di Ermes e mi presenterò al
cospetto di Zeus! Lui vuole
me. In questo modo la sua ira si potrà placare, e
smetterà di distruggere il
mondo”
Sideris
sembrava sorpreso dall’improvvisa tenacia della ragazza.
Rimase a guardarla
negli occhi e lei ricambiò il suo sguardo.
“I
tuoi intenti
sono nobili, ragazza. Ma inutili.
Se consegnarti a
Zeus avesse rappresentato la salvezza di questo mondo, lo avrei
già fatto non
credi?
Per te sono
stati sterminati popoli e devastate città, ma non
è nulla in confronto a ciò
che accadrebbe se l’Olimpo ti trovasse, vuoi
capirlo?”
La
donna non capiva. “Ma
allora
perché non mi hai semplicemente uccisa, impedendo
a Zeus di avermi?”
“Perché
se tu
morissi, il potere che tieni celato dentro di te fuoriuscirebbe
segnalando la
propria presenza all’Olimpo. Il
tuo
corpo funge da involucro come quello scrigno”
Pandora
abbassò lo sguardo.
“Quindi
non c’è
nulla che io possa fare? Sono condannata a vivere e vedere la morte
sulla testa
di chi mi circonda” “Come tutti noi.
Ma finché sei con me abbiamo ancora una speranza. Ora
seguimi!”
Sideris
uscì dalla sua tenda.
Almo,
Cercione e Soter in groppa al grande orso Orico, erano riusciti ad
acquietare
gli ammutinati.
Nell’accampamento
erano poco più di cento.
Secondo
disposizione di Sideris, il giorno seguente si sarebbe dovuto dividere
in tre
schieramenti, i quali avrebbero percorso direzioni differenti (cap 26
parte 3).
Ma
la situazione costringeva Sideris ad anticipare di un giorno la sua
manovra.
Il
Falcone guardò uno ad uno i suoi guerrieri.
“Uomini!
Comprendo le vostre ragioni e vi prometto che tutto sarà
spiegato, ma adesso vi
prego di seguire le mie direttive. Non
vi sto chiedendo di aiutarmi, vi sto chiedendo di salvarvi la vita!
Il
segnale divino presto richiamerà qui i servi degli dei.
Dobbiamo spostarci
immediatamente.”
I Falchi rimasero a fissare il comandante. “Stai
mentendo. Zeus vuole solo te!”
Gridò Doro.
“Quando
l’Olimpo ci avrà trovati non
risparmierà
nessuno.
Che lo vogliate
o no, adesso io abbandonerò questa postazione.”
Alcuni
Falchi estrassero le loro spade e in quel momento Orico
ruggì cavernosamente. I
prodi guerrieri rimasero paralizzati.
Oreste
si rivolse ai compagni. “Nonostante
tutto Sideris ha ragione.Una
volta che
ci avranno trovati, gli Olimpici stermineranno tutti, senza distinzioni
Penseremo
più tardi a questa faccenda. Ora dobbiamo pensare solo a
salvarci.”
Aristomene e Pilade annuirono e, a loro volta, si rivolsero verso
gli
altri compagni incitandoli a deporre le armi e andarsene.
Improvvisamente,
un acuto stridio infranse il muro del silenzio che s’era
appena formato.
I
cento rivolsero i loro sguardi al cielo.
“Uccelli?”
“No…Qualcosa di molto
più grande.”
Sideris
inorridì dietro il suo elmo avvolgente.
“SONO GIA’
ARRIVATI!”
“Preparatevi
a
combattere!”
Comandò
Oreste, divenuto provvisoriamente la massima autorità in
quello schieramento. “Ora
dovremo
lottare per la nostra sopravvivenza”
Tre
fratelli, un tempo famigerati banditi, ognuno a capo di un esiguo
gruppo di
assassini e ladri, denominati in modo eponimo come i loro capi: ioni,
dori e
suti.
Divennero
discretamente famosi nelle loro aree di influenza anche se i loro
gruppi non
superavano le dieci unità.
I
tre malviventi si unirono al Falcone Nero con la speranza di accumulare
ricchezze da piccoli demos, usando il nome di Sideris come capro
espiatorio.
Uomini
di bassa statura. Con qualche cicatrice sul volto. Nessuno dei tre
è un grande
guerriero. Braccati per anni dalle autorità, prima di
diventare rivoluzionari.
Bravi ad orientarsi nelle terre dell’Arcadia.
Oreste:
Figlio
di Agamennone. Vive per vendicare la morte del padre, ucciso della
madre e dal
suo amante, che si stanziarono a Micene. Sua sorella Elettra
è stata rapita ed
è rimasta a corte come loro ostaggio.
Oreste
fu costretto a fuggire, rifugiandosi da suo zio Strofio re della Focide
che si
scoprì essere un rivoluzionario.
Oreste
si unì allo schieramento di Sideris, nel quale aveva
già preso le armi anche
Pilade, suo cugino.
Oreste
ha una carnagione scura, capelli e occhi neri. Piuttosto alto e di
bell’aspetto. Ha vissuto da principe per diverso tempo, e
quindi è
discretamente abile nelle arti della guerra e eccelso nell'uso
dell'arco. Porchi fronteggiano la sua abilità.
“Lassù!
Attenzione!”
Gridò qualcuno.
Tutti
alzarono gli occhi al cielo verso la minaccia incombente.
C’era qualcosa dietro
il velo delle tenebre notturne appena illuminata dalla luna e dai
grandi
bracieri dell’accampamento.
Il
silenzio, perdurato alcuni attimi, che seguì quel primo
avvistamento fu
assordante. Gli uomini erano fermi immobili in attesa di qualcosa.
Sideris cinse
le spalle di Pandora e arretrò di qualche passo.
Dall’alto
caddero due casse metalliche.
I
due contenitori erano precipitati al centro
dell’accampamento, nel mezzo della
piccola folla di soldati.
Gli
uomini rimasero sbalorditi a fissare quelle casse. Da esse si udiva un
ronzio
dapprima flebile, poi incominciò a crescere sempre di
più facendosi maestoso,
infine assordante.
Le
casse si spalancarono con uno schianto.
Una
nube nera dinamica fuoriuscì da esse spargendosi in ogni
direzione. Era uno
sciame.
Innumerevoli
creature nerastre della grandezza di pipistrelli attaccarono i primi
soldati
che gli si pararono davanti.
Suto
e alcuni dori sventolarono le proprie spade cercando di mettere in atto
una
difesa seppur debole. Qualcuna di quelle creature fu presa al volo e
dilaniata,
ma innumerevoli altre s’avvinghiarono ai corpi dei difensori
ricoprendoli del
tutto.
Suto
gridava di dolore, mentre le diaboliche creature gli mangiavano gli
occhi e gli
s’infilavano nella bocca divorandolo dall’interno.
Gli
altri soldati, almeno due dozzine, erano a terra, ricoperti da quei
mostri.
Doro
ne aveva afferrato uno: l’aveva ghermito con la mano.
Quell’essere gli stava
mordendo il pollice. Il
suo volto minuscolo sembrava antropomorfo. Aveva dei capelli come gli
esseri
umani. Erano crespi e relativamente lunghi. Il viso era pallido e
rugoso, con vaghi
tratti femminili. Aveva le fattezze di una donna molto
brutta…Una strega.
Il
resto del corpo era di un pipistrello.
L’uomo
inorridì.
“Che
cosa sei?” Strinse il pugno facendogli schizzare del sangue
dalla bocca e
uccidendolo.
In
quell’istante, precipitò un uomo
dall’alto, atterrando a gambe flesse.
Doro
che gli stava proprio davanti era allibito. Le parole gli si
strozzarono in
gola.
L’uomo
appena caduto dal cielo si ricompose e con voce roca disse “Come
osi
imputridire col tuo tocco le mie bambine…Le mie
ARPIE” Poi
si levò la cappa mostrandosi per ciò che era.
Il
volto e la testa erano totalmente scarnificati da profonde abrasioni. I
suoi
occhi erano rossi. La pelle disciolta mostrava in certi tratti parte
del
tessuto sottostante.
Sembrava
un demone degli inferi.
Prima
che Doro potesse fare qualcosa, la sua testa venne avvinta dalla mano
di
quell’uomo. Con il pollice e l’indice premeva forte
sulle tempie.
Dalla
mano divamparono delle fiamme maestose che avvolsero Doro
completamente.
L’uomo
si divincolò sbracciando e urlando, poi cadde a terra privo
di vita.
Tutti
rimasero attoniti.
Il
demone sogghignò alzando lo sguardo verso di loro. La cappa
gli si sfilò
completamente mostrando una sorta di grosso contenitore saldato sulla
sua
schiena.
Da
esso si snudava un sistema di tubulari che accompagnavano la lunghezza
delle
sue braccia, per culminare sotto il palmo delle sue mani. Era da quei
tubi che
riusciva a far divampare le fiamme.
“IL
MIO NOME E’
PHOBOS! MI AVEVATE DIMENTICATO FORSE?”
Stese
entrambe le braccia e puntò i palmi aperti verso i
rivoluzionari.
Due
spropositati coni di fuoco e fiamme li investirono tutti illuminando
l’intero
accampamento come se fosse giorno.
Gli uomini s'afflosciarono al suolo carbonizzati.
Contemporaneamente,
dal cielo buio emersero delle creature mai viste prima: stalloni grandi
come
buoi, con l’astrusa peculiarità di avere delle
immense ali d’aquila.
Una
pioggia di dardi investì alcuni soldati.
Oreste e Pilade si gettarono dietro il
riparo
fornito da un carretto di viveri evitando le traiettorie di quel tiro
mortale.
“Non
ho mai
visto niente del genere! Cugino, riesci a capire cosa ci sta
attaccando?!”
Gridò
Pilade.
Oreste
stringeva forte il suo arco: l’arma che lo aveva reso
discretamente celebre in
tutta l’Agrolide, più che per la sua discendenza
da Agamennone.
“Ne
so quanto
te, cugino! L’unica cosa che so è che adesso
quella creatura conoscerà il tocco
delle mie frecce”
Oreste
s’affacciò con l’arco teso. Vide a
diversi metri d’altezza la possente creatura
svolazzare circolarmente per tutto il campo.
Il
suo cavaliere bersagliava senza tregua tutti coloro che si portavano a
portata
di tiro, non mancava un colpo ed ogni dardo trovava il suo bersaglio.
Oreste
prese la mira. La difficoltà di quel tiro era estrema: il
suo bersaglio era
molto lontano, a molti metri di quota e in movimento.Puntò nella posizione, dove credeva che si
sarebbe trovato e tirò.
La
freccia salì fino al suo apice ma non raggiunse neppure
l’altezza in cui si
trovava il suo bersaglio. Il dardo sopraffatto dalla forza di
gravità mutò la
sua direzione verso quella del suolo.
Incoccò
un’altra freccia serbando un secondo tiro ma anche questo
finì come il primo. “Non
riesco a
prenderlo, maledizione!”
“Il lungo
peregrinaggio ti ha rammollito? Sei il miglior arco
dell’Agrolide! Forza!”
“Il mio arco ha
un limite di gittata, Pilade. Non posso andare oltre”
“Ma lui sì”
Dall’alto,
l’arciere continuava a spargere vittime e persino Oreste
rimase sorpreso dalla
sua accuratezza.
Un
grande frastuono distolse l’attenzione dei due cugini. Si
voltarono nella
direzione delle urla che seguirono quel fracasso e rimasero di stucco.
Uno dei
cavalieri alati aveva colliso su una tenda, disfacendola totalmente, ed
ora l’Ippogrifo
imbizzarrito dal dolore provocato dalla caduta, aveva disarcionato il
suo
passeggero e stava scalciando a mezzaria.
“Prode
Gamacton,
cosa combini? Avresti dovuto tenere le redini” Gridò
uno dei cavalieri alati.
Dalla
tenda s’alzò un essere immenso. Il più
grande, che ognuno dei soldati avesse mai
visto.
“Io
voglio squartare!
Io stufo di vedere tutto dall’alto, Kyr!”
I
soldati arretravano puntando le spade verso quell’essere a
loro ignoto.
Nessuno
di loro aveva mai visto un essere umano di quelle dimensioni
sconvolgenti.
Persino
Pleurone ed Aristomene, tra i più forti di quella schiera si
tenevano alla
larga paventando quell’essere.
“Per
gli
inferi... Non credevo potesse esistere qualcuno di così
enorme!” Commentò
Pilade. “E’
più grande
di Perifete…Molto più grande!” Disse
Oreste.
“Come
ci si può
difendere da qualcosa di così grande?” Chiese
Pleurone.
“Archi…Archi e frecce”
Concluse Aristomene
Gridò
Aristomene verso i pochi arcieri della sua schiera. I soldati
ubbidirono e una
nube di frecce investì Gamacton.
Il
gigante assunse una smorfia di disapprovazione guardando quei piccoli
dardi a
malapena inculcati nella spessa carne.
“Perché
nessuno
riesce mai a farmi provare dolore?”
Gli
arcieri increduli avevano le mani tremanti.
Pleurone
cercò di dire qualcosa ma le parole gli si strozzarono in
gola.
Aristomene
non perse la calma. “Tirate
di
nuovo, forza!”
Ma
questa volta Gamacton non lasciò loro tempo per reagire e
incombette brandendo
un grosso martello.
Agli
arcieri fu rapidamente fracassato il cranio, prima che riuscissero a
incoccare
altre frecce. Le cervella schizzavano innaffiando il terreno. Il
gigante era
una furia inarrestabile.
Aristomene
si gettò a terra per evitare le fatali traiettorie di quella
grossa arma di
metallo.
Pleurone
scaraventò la sua spada contro il gigante, brandendola con
entrambe le mani, ma
un istante dopo fu colpito anche lui.
La
sua testa esplose come quella degli altri e il suo corpo decapitato si
afflosciò
a terra.
La
spada con cui l’aveva colpito poco prima di morire si era
inculcata nel ventre
di Gamacton ma non serbò troppi danni rispetto alle frecce.
“Neppure spada serve a niente contro di
me”
Berciò
estraendosela con una sola mano.
Si
guardò attorno e notò che in mezzo ai cadaveri
massacrati, saldo in piedi,
c’era ancora un uomo.
Ricoperto
del sangue dei suoi compagni, quest’uomo stringeva la sua
spada. Era pronto a
morire. Era Aristomene. “Forza
gigante!
Ti sto aspettando.”
Gamacton
emise una sorta di sibilo compiaciuto, simile ad un vagito infantile.
Alzò la
mazza sin sopra la testa con l’intento di spappolare il
nemico.
Ma
la corsa del gigante fu improvvisamente arrestata. Un dardo repentino
lo colpi
inculcandosi poco sopra l’occhio, all’altezza del
sopracciglio.
“Dannazione!
Ho
mancato l’occhio.”
“Sei impazzito,
Oreste? Non lo attirare qui, dannati inferi!” Bestemmiò
Pilade.
“Dovrei lasciare che massacri tutti,
mentre
noi ce ne stiamo nascosti, cugino?” “No
ma…ecco, lo
sapevo. Sta arrivando”
Gamacton
ignorò Aristomene ed estraendosi la freccia dal volto,
marciò a passo spedito
verso i due soldati.
Un
sorriso solcava il suo volto mentre un rivolo di sangue gli fluiva
sulla faccia. “Sei
riuscito
quasi a ferirmi. Sono quasi felice!”
Il
passo spedito accelerò e ora il gigante stava correndo verso
di loro. Intonò un
grido di guerra che fu rauco e spaventoso.
“Dividiamoci
Pilade! Almeno così uno dei due potrà
sopravvivere. Abbiamo una vendetta da
compiere!”
Disse
Oreste,
spingendo il cugino verso la direzione opposta alla sua.
Il
gigante incominciò a ridere sguaiatamente agitando la sua
arma.
Prima
che potesse raggiungerli, qualcosa collise su di lui con una tale
potenza da
farlo sbalzare a una decina di metri di distanza.
Un
ruggito prolungato e intenso coprì ogni altro suono.
Gamacton a fatica si
rialzò.
Davanti
a lui un immenso orso ritto sulle zampe posteriori raggiungeva il
doppio della
sua altezza. “L’orso
Orico!
Questa non se l’aspettava. Ora la situazione è
ribaltata.” Disse
Oreste.
Gamacton
contemplò la bestia con la curiosità e la
sorpresa di un infante.
Sentì
un bruciore alla spalla sinistra: aveva dei profondi squarci dai quali
colavano
copiosamente dei fiotti di sangue scuro.
Toccò
la ferita imprimendosi la mano di quel liquido. Non lo aveva mai visto
così
intenso fuoriuscire dal suo corpo. “Dolore!
Riesco
a sentirlo finalmente.” Sorrise.
L’orso
con le fauci grondanti di sangue schiumante incombette verso la sua
preda.
Appena
fu a portata, Gamacton cercò di colpirlo con il suo martello.
Falciò
l’aria, un paio di volte, ma al terzo colpo lo prese sul muso.
La
bestia perse un dente ma poi attaccò l’uomo
azzannandolo a un braccio.
Gamacton
urlò lasciando cadere l’arma.
Uno
degli artigli era penetrato profondamente nell’altro braccio
facendo cadere il
gigante a terra, sotto il peso dell’enorme belva.
Gamacton
mise a raccolta tutta la sua forza cercando di spingere lontana la
testa dell’animale
ma l’orso era molto più forte di lui. La bile di Orico gocciolava sulla testa del gigante, mentre
con le fauci s’avvicinava ineluttabilmente.
Nessuno
sarebbe potuto intervenire in nessun modo, poiché le scale
di grandezza
andavano oltre le possibilità d’azione di chiunque.
Dall’alto
Kyros incominciò a bersagliare l’orso con numerosi
dardi ma la spessa pelliccia
impediva anche solo di causargli il minimo danno.
Allora,
volò in picchiata verso la belva.
Il
cavallo alato gli tirò un calcio dritto in testa.
L’orso con uno scatto tentò
di ghermirlo ma le prede gli sfuggirono all’ultimo momento.
All’improvviso
si udì uno squillo acutissimo e prolungato. Entrambi gli
Innominati dovettero
tapparsi le orecchie e il cavallo alato per poco non
disarcionò Kyros.
Orico
si voltò di scatto verso una direzione, come se avesse
captato qualcosa, e vi
si diresse risparmiando quindi la vita al gigante ferito.
Gamacton
si rialzò pieno di profondi graffi e lacerazioni. “Torna
qui, dove
vai?” Kyros
atterrò col suo ippogrifo.
“Fermati
gigante, non aizzarlo. Non hai visto le sue dimensioni? come puoi anche
solo
pensare di affrontarlo? Non cercare di fare paragoni.” -----------
In mezzo a quello scenario dinamico di fiamme e soldati in fuga,
davanti alla
tenda di Sideris, c’erano Almo e Cercione a fare da
sentinelle.
“Non
posso stare
fermo mentre tutto intorno a me c’è una battaglia
che infuria, Almo!”
“Calmati.
Gli
ordini di Sideris erano chiari e logici. Non possiamo permettere che
qualcuno
recuperi il vaso.”
“Ma
come possono
sapere che si trova proprio qua dentro? Gli Innominati stanno cercando
Pandora
e nient’altro.”
“Non
lui a quanto
pare.”
Rispose
Almo indicando davanti a sé. Davanti
a loro era atterrato un ippogrifo. Un Innominato scese dalla sua
groppa.
La
cappa lo avvolgeva ricoprendolo fino al mento e dal colletto
s’intravedeva una
sorta di maschera metallica che celava la metà inferiore del
suo volto.
Della
metà superiore si potevano contemplare solo i suoi occhi
spenti, la pelle
cadaverica e, in contrasto con essi, dei lunghi e vitali capelli smossi
di un
nero acceso.
“Fatemi
passare”
sussurrò l’entità.
“Dovrai
ucciderci prima!” Gridò
Cercione incombendo con la sua ascia.
Non
percorse pochi metri che l’Innominato emise uno stridulo
sibilo così acuto e
potente che tutti nell’accampamento dovettero tapparsi le
orecchie.
Cercione
e Almo che si trovavano nel punto di massima propagazione sonora,
crollarono a
terra mentre rivoli di sangue fluivano dalle orecchie e dal naso.
Persero
i sensi.
L’Innominato,
rivelatosi essere Enio l’Urlo, entrò nella tenda
del falcone. Il vaso si
trovava lì. Enio
lo aprì illuminando
tutta l’area. Fu
sorpresa nel trovare al suo interno il cadavere del dio Ermes e tutti i
suoi
divini cimeli. Un dio era morto. Non credeva che fosse possibile.
Raccolse
il Caduceo, i bracciali e i calzari infilandoli dentro la propria
cappa.
Emettevano
parecchia luce, ma non della stessa magnitudine della prima volta.
Poiché
il vaso era stato precedentemente aperto, l’energia luminosa
dei divini oggetti
al suo interno, trattenuta da esso, era stata già in gran
parte dissipata
emettendo il segnale.
Era
bastata meno di un’ora tuttavia (da quando era stato aperto),
a far cumulare
agli oggetti abbastanza luminescenza da poter illuminare
l’intera tenda.
Enio
tirò fuori anche il dio morto. Senza il minimo rispetto per
la somma eminenza
che egli era, lo gettò a terra, lo afferrò per le
gambe e arretrò facendolo
strisciare sul terreno. Era rimasto ancora caldo grazie allo scrigno
che aveva
conservato il suo corpo. Enio
arretrò fino all’uscita. Una volta fuori si
accorse di una presenza alle sue
spalle e lasciò la presa.
L’immane
orso Orico era dietro di lei. Immenso. Alto quanto la grande tenda di
Sideris.
S’accucciò a quattro zampe e con la potenza di una
zampata tentò di tranciare
la preda a metà con un singolo colpo.
La donna
s’inclinò in avanti e cadde a terra
evitando la percossa mortale, che invece abbatté un paio di
pali di legno che
sorreggevano l’allestimento.
Enio
s’allontanò più che poté, si
voltò e nuovamente incominciò ad emettere il suo
grido.
L’orso
tuttavia era intelligente e aveva intuito le sue intenzioni.
Non
le lasciò tregua. Incalzò verso di lei senza
sosta con le zanne e gli artigli.
Enio era così impegnata ad evitare quei colpi da non
riuscire ad incrementare
la potenza del suo strillo. Continuava ad arretrare strisciando e
rotolandosi a
terra.
L’immane
zampa, grande quanto lei, le sfiorò appena una spalla.
L’artiglio era così pesante
e acuminato da tranciarle la stoffa e l’armatura e lacerarle
la carne.
Se
l’avesse colpita in pieno sarebbe stata spappolata come un
insetto.
Enio
afferrò allora il Caduceo del dio caduto e lo
puntò contro l’animale.
Orico
era memore della morte di suo fratello Agrio e dei terribili effetti
che
provocava quell’oggetto. La paura lo sopraffece, e
incominciò a correre via
verso un riparo.
Enio
reggendosi il braccio ferito, e continuando a puntare l’arma,
arretrò verso la
sua cavalcatura. Sapeva che Orico, nascosto da qualche parte, non le
avrebbe
dato modo di recuperare la salma di Ermes. Inoltre se avesse utilizzato
il
Caduceo avrebbe generato un nuovo segnale e sarebbe stato rischioso.
Così si accontentò
delle armi e spiccò il volo.
Phobos
avanzava per l’accampamento inseguendo tutti coloro che
cercavano di sfuggirgli
per poi bruciarli vivi.
In
mezzo ai cadaveri arsi, un uomo fingeva di essere morto ma i suoi
spasmi di
terrore rendevano inutile quella sceneggiata.
Phobos
sogghignò avvicinandosi a
quell’umanità.
“Non ti piace il fuoco, vero?”
Lo
toccò con il piede cercando di rivoltarlo a pancia in su.
L’uomo
si voltò: era Ione, il terzo dei tre fratelli fuorilegge. “Vi
prego
signore, risparmiatemi! Vi dirò ogni cosa. Vi
dirò dov’è Sideris! E’ lui
che
cercate vero?”
Phobos
sorrise. Sembrava non aver udito una sola parola di ciò che
l’uomo gli avesse
detto.
“Dimmi:
tu pensi
che io sia un incapace inetto che non sarebbe in grado di uccidere
nessuno senza
il potere del fuoco?”
“Cosa? No, non
l’ho detto!”
“LO HAI
PENSATO!”
"No, non è
vero!”
“Mi dai del
bugiardo!?”
“Sì…no! Ti prego
risparmiami…”
Phobos
afferrò il superstite per le guance puntando il palmo della
propria mano nella
sua bocca. “Prova
a darmi
del bugiardo, adesso!”
Ione
si dimenava cercando di scansare quella mano. Non riusciva neppure ad
urlare.
Il suo volto divenne rosso acceso, nuvole di fumo gli uscivano dalle
orecchie,
gli occhi liquefecero.
Quando
divenne rovente Phobos ritrasse la mano.
“Ahi!
Mi hai
bruciato!”Disse
ironicamente al cadavere.
All’improvviso
qualcosa gli avvinghiò entrambe le braccia facendogli
provare dolore. “Prova
a usare
le tue fiamme adesso!” Disse
qualcuno alle sue spalle.
Era
l’inventore Belone. Lo aveva avvinto con due fruste ricoperte
di aghi, uncini e
spuntoni.Quegli
aculei erano serviti ad
agganciare l’Innominato oltre che a ferirlo.
Belone,
alle spalle di Phobos, impugnava le due sferze, le quali avvincevano
entrambe
le braccia del nemico. Stava tirando forte verso la sua direzione per
immobilizzarlo.
“Queste sono le armi innovative che mi hanno
reso celebre!Grazie agli uncini,
riesco ad agganciare il nemico con molta facilità e gli
spuntoni fanno il resto
del lavoro. E’ inutile che provi a liberarti…Ho
allenato giorno e notte le mie
braccia per mantenere salda la presa. E comunque se anche riuscissi a
liberarti, non faresti che ferirti ulteriormente con i
ganci.”
Disse
con superbia. E le sue grosse braccia, sproporzionate rispetto al resto
del
corpo, gli davano ragione.
“Vediamo
se
riesci a puntarmi contro i palmi delle tue mani!”
Phobos,
con le braccia sanguinanti e rivolte all’indietro non
provò neppure a
contrastarlo in una gara di forza ben sapendo che, quale che fosse
l’esito, i
suoi arti avrebbero finito per ferirsi e scarnificarsi ulteriormente. Alcuni
soldati uscirono dai loro ripari avvicinandosi all’Innominato. “Forza uccidetelo adesso che
è
immobilizzato. Tagliategli la gola.”
I
falchi incombettero a spada tratta ma l’espressione
sbeffeggiante di Phobos
restò immutata. Quando i rivoluzionari si trovavano a pochi
metri, Phobos ritrasse
il collo all’indietro innescando un meccanismo mortale.
Dalla
cappa nera che lo rivestiva, partirono diversi pugnali diretti in ogni
direzione.
I
rivoluzionari furono colpiti in pieno e morirono immediatamente. Belone
ricevette una pugnalata al ventre. Gridò
di dolore ma non lasciò andare la presa.
“E
quello…cos’era!?” Phobos
sogghignò.
“Un’invenzione migliore
della tua!”
Si
levò la cappa rivelando un’armatura nera ricoperta
da aculei di ferro. “Ognuno
di
questi aculei è un pugnale pronto al lancio. Mi basta
flettere la testa all’indietro
per sganciarne otto in ogni direzione” Belone
rimase in deliquio davanti alla magnificente fattura di quella corazza.
“Quella
è
fattura di un dio…”
Disse sputando sangue.
“Ve
l’avevo
detto che il fuoco non è la mia unica risorsa.”
Phobos
cercò di districarsi delle sferze ma l’inventore
le teneva ancora salde. “Sei
tenace, eh?
Mi costringi a sprecare altri otto pugnali. Non avrei mai creduto che
uno come
te ne valesse tanti.”
L’Innominato
diede di nuovo un colpo di nuca e i pugnali da lancio innestati
nell’armatura
furono scagliati di nuovo in ogni direzione.
Belone
fu colpito in fronte questa volta. Stramazzò al suolo senza
emettere un gemito
e Phobos poté liberarsi di quella misera invenzione.
Contemplando
quello scenario di fiamme e morte si sentì orgoglioso.
Inspirò profondamente
quell’aria putrida, sorridendo amabilmente verso ogni soldato
che aveva
sterminato.
Senza indugio estrasse un fischietto che utilizzò per richiamare il suo Ippogrifo, vi salì sopra e spiccò il volo.
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Un
forastico quanto magnificente ippogrifo di colore bianco splendente
galoppava
imbizzarrito per le vie dell’accampamento.
Le
sue dimensioni spropositate costituivano un serio pericolo per i
soldati in
fuga, i quali furono travolti e calpestati. Le ossa si frantumavano
come
fuscelli sotto il suo peso enorme.
In
contrasto con quella baraonda di soldati che fuggivano terrorizzati, un
Falco
Nero, un tempo ammaestratore di cavalli inseguiva l’ippogrifo.
“Dobbiamo
fermare quella bestia! Bargilo
e anche
tu fratello, aiutatemi a domarlo.”
“Domarlo?” Ripeté
il fratello
sconcertato mentre gli stava dietro. “Deliade
quello
lì non è uno dei cavalli di nostro
padre…Stiamo parlando di una bestia alata
grossa quanto una casa. Non riusciremo neppure a salirci
sopra.” “Sì invece.
Guarda: su entrambi i fianchi del cavallo ci sono delle scale a pioli
ciondolanti
collegate alla sella. Permettevano al suo cavaliere di salirgli in
groppa. Useremo
quelle”.
“Devi essere
pazzo!” Esclamò
Bargilo affiancando i due fratelli.
Lo
sguardo di Deliade si fece determinato. “Ora
o mai più!”
Quando
il mezzo equino rallentò la sua corsa furiosa, Deliade
allungò il passo e con un
salto afferrò la scala a pioli ciondolante.
L’ippogrifo
incominciò ad agitarsi scalciando ed emettendo striduli
nitriti. Volteggiò su
se stesso cercando di sbalzarlo via ma Deliade non lasciava la presa.
Bargilo,
rimasto indietro con il fratello di Deliade, era allibito. “Tuo
fratello è
uno dei migliori. Ha domato gli stalloni più selvaggi, ma
nessun
addestratoreper
quanto abile ed esperto
può sperare di domare una creatura come questa”
“Non importa!
Dobbiamo aiutarlo.”
“Aiutarlo? Ma…”
“ATTENZIONE!”
L’ippogrifo
li stava caricando a tutta velocità. I due ragazzi si
scansarono in direzioni
opposte evitando l’impatto con la bestia. Deliade
che era salito di qualche gradino, era piuttosto rintronato ma non
abbastanza
da non capacitarsi di ciò che era accaduto. “Fratello!
Bargilo!”
Gridò
a gran voce. “Non vi vedo. State
bene?” “Bene
no. Ma
sono vivo!”
Gridò
Bargilo all’altro lato, aggrappato alla scala a pioli
simmetrica a quella di Decelo. “Dov’è
mio
fratello?”
“Sono qui!” Rispose
una voce
proveniente da dietro. Il ragazzo s’era avvinghiato alla
grossa e scura coda
della bestia. “Cerca
di
resistere!”
Ma
la creatura come se avesse accettato quella sfida eseguì un
salto spropositato balzando
così in alto che fu possibile inquadrare il panorama
dell’intero accampamento e
dei colli circostanti.
Poi
ridiscese in picchiata verso terra. L’urto con il terreno fu
così devastante
che Bargilo lasciò la presa sfracellandosi al suolo.
“BARGILO!”
gridarono all’unisono i due fratelli mentre
l’ippogrifo calpestava il suo
cadavere. Ma le grida si strozzarono in gola quando l’animale
compì un secondo
salto. Arrivò alla medesima altezza del primo ma poi
spianò le ali e incominciò
a salire in alto, sempre più in alto.
I
due fratelli erano terrorizzati, infreddoliti e affaticati. Deliade con
le mani
tremanti salì di un altro paio di gradini aggrappandosi
infine alle cime della
sella.
La
presa del fratello stava per cedere. La coda del cavallo era un
appiglio troppo
precario. Gli arti dell’equino costituivano l’unica
via che avrebbe dovuto
percorrere per arrivare al punto in cui era giunto Deliade.
Dall’arto avrebbe
potuto agguantare la scala e quindi salirgli in groppa.
Doveva
spostarsi in fretta perché la sua presa stava per cedere.
Allungò la mano, e
appena riuscì a toccare la gamba, con uno slancio
arrivò ad afferrarla.
Pochi
secondi dopo raggiunse anche la scala a pioli.
Intanto,
la quota alla quale erano arrivati incominciava a farsi sentire. Il
gelido
freddo li faceva sussultare e lacrimare. Le lacrime che solcavano i
loro visi
si congelavano sulle guance.
Ma
il fratello di Deliade non cedette e proseguendo di pochi centimetri
alla volta raggiunse
infine la stessa altezza in cui si trovava il parente.
Si
appigliò alle medesime cime che saldavano la sella, in
groppa all’equino.
“Quale
malsana
idea hai avuto fratello!”
La
bestia nitrì infastidita da quel carico extra e
volò ancora più in alto
assumendo una posizione verticale.
I
due rivoluzionari a loro volta si ritrovarono appesi con i piedi nel
vuoto.
La
bestia alata raggiunse l’apice del suo volo, quindi riassunse
la posizione
orizzontale preparandosi a scendere in picchiata.
“Tieniti
stretto
fratello!”
L’ippogrifo
si tuffò nel vuoto a tutta velocità e il vento
impetuoso si infranse su di loro
come una potentissima onda. Contemporaneamente l’animale
incominciò a roteare
su se stesso all’ impazzata cercando a tutti i costi di
abbattere i due
passeggeri. La rotazione fu violentissima e a entrambi
sembrò di trovarsi
nell’occhio di un ciclone.
L’aria
era irrespirabile, il freddo era pungente e i violentissimi strattoni
incrinavano le loro ossa. Infine l’ippogrifo, ormai esausto,
raggiunto il
culmine delle sue energie, interruppe quella manovra.
Decelo
si ritrovò sospeso nel vuoto, senza alcun appiglio al quale
aggrapparsi. Solo
la mano del fratello avvinghiata al suo braccio lo separava dalla morte.
“Lasciami
cadere
fratello! Altrimenti non ce la farai…Precipiterai anche
tu!” Gridò
al parente che aveva superato la sfida dell’ippogrifo, ed ora
si trovava sulla
sella. “No,
non ti
lascerò! Domeremo questa belva insieme. Ormai abbiamo
vinto!”
“Tu hai vinto!
Esiste un solo cavaliere per ogni cavallo e io non sono stato
considerato degno
di cavalcarlo.” Deliade
ammorbidì la stretta della sua mano lasciandosi cadere. “Non
farlo
fratello!”
“Addio
fratello
mio. Addio Bellerofonte, domatore di cavalli.”
Si
lasciò andare definitivamente e precipitò nel
vuoto.
Poco
lontano dall’accampamento, Sideris e Soter correvano assieme
a una figura
incappucciata: Pandora. “Pensavo
che ti
interessasse la sorte dei tuoi uomini. Li hai lasciati allo
sbaraglio.”
Commentò
pungente Soter. “Non
se è in
ballo la sorte del mondo. Pandora rappresenta questo.”
“Già, anche per
me.”
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In
quel momento una folata di vento freddo li investì
costringendo loro a fermarsi
e ripararsi con le mani.
Quando
si scoprirono, davanti ai loro occhi si stagliava il più
terribile degli
alfieri di Ares: Deimos, colui che s’era imposto come Signore
degli Innominati.
L’Ippogrifo
che cavalcava era nero come la tenebra. I suoi occhi rossi di fuoco,
gioielli
delle cave degli inferi. Scalciava e nitriva, impaziente di un ordine
del suo
cavaliere.
Deimos
discese da cavallo con un salto.
Il
suo volto scoperto era in parte decomposto, la sua pelle era marcia, in
testa
teneva un mezzo teschio che fungeva da elmo, ma nonostante tutto, i
presenti si
accorsero di quale fosse la sua identità.
Quella
mascella squadrata e quei lineamenti duri, quegli occhi piccoli e
malvagi non
lasciavano dubbi. Deimos era un antico re del passato che si era
macchiato di
crimini inverecondi e innominabili e tutti fin da bambini imparavano la
sua
storia e a riconoscere il suo volto, assieme a quelli dei suoi due
fratelli.
Dalla
cappa fece uscire un congegno. Prima che i presenti potessero capire
qualcosa,
da esso fu scagliata, a una velocità impercepibile, una rete
che avvinghiò
Pandora.
La
ragazza, avviluppata dalla rete, cadde a terra priva di sensi.
“Che
cosa…Che
cosa le hai fatto?”
Chiese Soter. “Sta
bene. E’
solo stordita.” Rispose
l’Antico Re.
“Come hai fatto a trovarci?”
Chiese
Sideris. “La
ragazza
emana un potere enorme. Non è difficile per me
percepirlo… Così come anche lo
scrigno di Ermes. Complimenti davvero!”
Incominciò
a battere le mani. “E’
stato duro lo
scontro con il dio? Scommetto che siete stati aiutati da un'altra
divinità.
Solo un Olimpico può uccidere un Olimpico.”
Sideris
e Soter rimasero in deliquio. Quell’uomo sapeva troppe cose.
“Ermes
ha
provato a catturare la ragazza ma ha miseramente
fallito…Come pensi di
riuscirci tu?” Chiese
Sideris. “Perché
questa
volta nessun dio vi aiuterà”
In
quel momento atterrò un secondo Ippogrifo. Phobos era
assetato di sangue e fremente
di uccidere. "Vi
ucciderò
entrambi!”
Dichiarò esaltato facendo impennare la sua bestia. “Ti
conviene
scendere da lì, se vuoi affrontarmi!” Dichiarò
calmo Soter. “Io
non credo
che tu meriti questo onore!” Rispose
la
Paura, e poco dopo spronò l’ippogrifo per caricare
il nemico.
Quando
furono in un raggio di contatto, con una pronta schivata, Soter
evitò
l’Ippogrifo in corsa e, alzando la spada sopra la testa, lo
infilzò al ventre.
La
veemenza della carica fece sì che la spada provocasse un
profondo taglio lungo
tutta la pancia. Stridendo di dolore, l’animale cadde a terra
in preda agli
spasmi.
Dal
ventre fuoriuscirono dei violacei intestini che parvero contorcersi
come dei
serpenti schizzando sangue dappertutto.
Deimos
guardò con disprezzo suo fratello. “Idiota! Quello non è un
avversario come
gli altri.”
Phobos
si rialzò voltandosi verso il suo nemico. I suoi occhi
spaventosi incrociarono
quelli di Soter, ma quest’ultimo sostenne il suo sguardo
senza timore, ricambiandolo
della stessa rabbia e intenzione omicida.
“Che
tu sia
maledetto!” Esclamò
Phobos irridente. “Non credevo di
poter
avere questo interesse ma… Voglio sapere il tuo
nome.”
“Mi
chiamo Soter…”
Dopo
quella risposta, Phobos scattò verso di lui. Da una fessura
della sua armatura,
all’altezza del polso, fuoriuscì una spada lunga.
Con un colpo discendente
incalzò su Soter per dilaniarlo.
In
quel medesimo istante, un corvo si gettò in picchiata
frapponendosi tra i due e
subì il colpo fatale al posto di Soter.
Nel
momento di confusione, Soter scattò con la sua lama
trafiggendo il nemico a una
spalla. Gli trapassò l’armatura e la spada
penetrò per qualche centimetro nella
carne.
Phobos gridò di
dolore.
“…E
sono già
stato maledetto.” Aggiunse
il giovane.
Phobos
digrignò i denti furibondo puntandogli contro il palmo
di una mano. Con
grande sorpresa di Soter, da esso fuoriuscì un getto di
fiamme.
I
riflessi incondizionati del ragazzo gli permisero di scansarsi e
arretrare
all’ultimo istante estraendo la propria lama dalla spalla
del nemico.
“Credevo
fossi
un guerriero onorevole!”
Commentò.
“Non
ho mai
detto niente del genere.”
Rispose tirando fuori un fischietto da una sacca.
“Anzi, l’onore è una delle mie vittime
preferite.”
Se
lo portò in bocca e incominciò a fischiare. Era
un suono quasi impercettibile.
“Che
cosa stai
facendo?”
“Oh, lo
scoprirai…Lo scoprirai. Intanto gioca un po’ con
me” Da
entrambi i polsi fuoriuscirono delle lame.
Soter
non si lasciò minimamente impressionare. I suoi erano gli
occhi di un lupo
rabbioso. “Te ne
pentirai!”Questa
volta fu lui a scattare verso
Phobos.
La
propria spada incominciò a vibrare assumendo un colore
violaceo.
Phobos
incrociò le sue due lame per intercettare la calata
discendente dell’avversario.
Per un attimo sembrò che queste stessero per infrangersi a
causa della potenza
di quella di Soter, ma poi assunsero anche loro un proprio colore.
Incominciarono
ad emanare energia verde. Erano armi magiche. Armi da Innominato
“Ares
ti ha
concesso addirittura due armi divine?”
Chiese Soter.
Phobos
sorrise “E’ naturale.
Siamo a un livello
superiore rispetto a voi e…”
Un
ronzio sempre più forte interruppe il suo discorso “Oh, le mie piccole sono già
arrivate.”
Una
nuvola nera si avvicinava alla loro postazione. Arpie. A centinaia.
“Quindi
quel
fischio serviva a richiamarle? Sei un folle! Divoreranno anche
te.”
“Tu credi? Ho
già provveduto a immunizzarmi dai loro
attacchi…sei tu che devi preoccuparti.”
La
nuvola nera s’avvicinò mostrando nitidamente tutte
le componenti di quella
sciamata: orride streghe con ali da pipistrello, delle dimensioni di un
colibrì.
Soter
girò la sua lama rivoltandola di piatto per incrementare
l’area di impatto
mortale. Le sue falciate erano rapidissime e precise, la loro potenza
era
grandiosa.
Grazie
al potere divino della spada, bastavano un paio di colpi per
schiacciare una
dozzina di quegli esseri.
Tuttavia,
il loro enorme numero costringeva il guerriero ad arretrare sempre
più. Alcuni
esemplari riuscivano a superare la barriera della sua arma e arrivavano
ad
avvinghiarglisi al corpo e succhiargli il sangue.
Soter
dovette retrocedere di corsa. Nella fuga si staccò di dosso
qualcuno di quei
mostri.
Phobos
sghignazzò divertito “sapevo
che sarebbe
finita così…In fin dei conti sei solo un
uomo.”
Quell’uomo
correva in tondo con lo scopo di andare incontro a Phobos e portare con
se lo
sciame.
“Sei
duro di
comprendonio. Ti ho detto che nessuna di loro mi
attaccherà.”
Soter
non prestò attenzione alle sue parole e, alzando la spada
sin sopra la testa, gliela
scagliò contro.
Phobos
appena in tempo interpose le due spade magiche per parare il colpo.
La
lama dell’Innominato Maledetto collise contro quelle
dell’altro facendo
erompere schegge e zampilli incandescenti. Poi cadde a terra come
sconfitta.
In
quel frangente Soter, continuando a correre, estrasse dalla cappa due
pugnali. “Cosa
vorresti
fare con quelli? Ormai SEI MORTO!”
Phobos
gli puntò contro i palmi delle mani e fece fuoco.
Fu
proprio in quel momento che avvertì un lancinante dolore in
quei punti.
Prima
di potersi rendere conto di cosa fosse successo, Soter con una capriola
aveva
eluso il getto di fiamme e ridotto la distanza tra loro. Era su di lui.
Si
trovava con la propria fronte contro quella del suo nemico. Aveva
bloccato le sue
braccia sotto le proprie ascelle e con le mani gli immobilizzava le
spalle.
Nonostante Phobos fosse così famigerato non aveva molta
forza fisica e questo
sarebbe stato fatale.
“AAaaargh!Cosa mi hai fatto
Bastardo?!”
Si
lagnò. Il suo sguardo dapprima beffardo e maligno era ora
disperato.
“Ho lanciato due pugnali sui palmi delle
tue mani. La mia intenzione era esattamente quella di fare in modo che
usassi
il tuo getto di fiamme. Ho notato che per attivare quel tuo
marchingegno ti
basta flettere le mani all’indietro esponendo tutto il palmo
della mano verso
il tuo nemico. Colpendo i tuoi palmi in pieno, li ho inchiodati in
quella
medesima posizione. Non potrai più smettere di tenere le
mani aperte e quindi
di generare fiamme adesso!”
Le
mani di Phobos, infatti, non avevano modo di piegarsi in avanti a causa
dei
pugnali piantati sui rispettivi palmi che impedivano tali movimenti.
Soter
si stupì della sua stessa intuizione. Era peculiare di
Varsos e Klearcos, adottare
strategie così sofisticate contro il nemico. Se fossero
stati lì chissà se
avrebbero fatto diversamente.
Phobos
cercò di liberarsi da quella stretta, ma il giovane che lo
teneva saldo era molto
più forte di lui. “Non
otterrai
nulla immobilizzandomi! Presto le mie bambine divoreranno te
risparmiando me!”
“Forse
nessuno
dei tuoi mostri ti attaccherà. Ma tu attaccherai
loro!”
In
quel momento Phobos flesse la testa all’indietro per attivare
la trappola dei
pugnali. Udì un rumore cigolante e poi
nient’altro.
Flesse
nuovamente la testa, ma nessuno degli spuntoni fuoriusciva dalla
corazza.
“Si
è…Si è
inceppata?Impossibile!”
“Io sono il
guerriero maledetto. Mi pareva di averti avvertito!”
Le
fiamme continuavano a fuoriuscire dirompenti e i piccoli mostri, invece
di
preoccuparsi del pericolo imminente, come se avessero tutti una
volontà unica, si
avventarono sul nemico come delle falene incontro alla luce.
“Nooooo!
Figlie
mie non venite qui! Noooo.”
Tutte
le arpie si tuffarono verso le fiamme commettendo un suicidio di massa.
Gli
esserini crollavano a terra uno dopo l’altro con le ali
bruciate stridendo e contorcendosi.
Alla fine l’intera sciamata fu carbonizzata.
Soter
con occhi spietati guardò il suo avversario. “Non
so più che
farmene delle tue braccia”
Disse.
Strinse
forte gli arti di Phobos e con uno scatto glieli torse così
violentemente da
poter sentire il fragore delle sue ossa.
Phobos
gridò disperatamente mentre le sue mani ancora continuavano
a far uscire fuoco
e fiamme.
“Addio…”
Proferì Soter.
E con uno scatto
all’indietro si allontanò lasciando
il redivivo al suo destino.
Le
braccia di Phobos, incapaci di muoversi, caddero sui propri fianchi ma
le vampe
incandescenti non smisero di eruttare e il suo stesso fuoco
incominciò a
divorarlo.
La
punizione delle fiamme che sempre egli stesso aveva impartito al suo
prossimo, adesso
gli si stava rivoltando contro per analogia.
Le
strilla di Phobos erano terribili.
Inutilmente
fuggiva in ogni direzione, si rotolava a terra e scalciava cercando di
estinguere
quel male. Appariva ora molto più patetico di quanto il suo
nome volesse
suscitare.
Ironicamente
tutto ciò che riuscì a ottenere fu
l’attivazione della trappola dei pugnali, i
quali vennero sparati in ogni direzione senza colpire nessuno.
Phobos
imprecava, si dannava e bestemmiava gli dei mentre le fiamme lo
consumavano.
Infine
incominciò a invocare il nome del fratello.
“Salvami
fratello! Salvami ti scongiuro!”
Deimos
rimase freddo a guardare il suo parente. Con un gesto fulmineo gli
scagliò contro
un oggetto che lo colpì al collo, inculcandovisi dentro.
L’oggetto
era la punta di qualcosa di indefinito. Una specie di dardo dello
spessore di
un ago. Phobos stramazzò a terra sopraffatto da spasmi
muscolari.
“Questa
è la tua
ultima occasione”
Proferì Deimos.
E
Soter che stava dando le spalle al suo avversario credendolo sconfitto,
vide
sbalordito un’immane ombra proiettarsi su di lui.
Si
voltò e inorridito dovette alzare la testa per quanto era
diventato enorme l’Innominato
della Paura: una massa informe di muscoli scarnificati che si stava
elevando
dalle fiamme.
In
questo capitolo si scopre finalmente dove volevo andare a parare fin da
quando
ho incominciato a scrivere la storia. Il senso di tutto ciò
che di vago è
rimasto in ogni parte precedente è riassunto qua.
Ora,
chi mi ha seguito fin qui capirà perché nel
primissimo capitolo della serie
(quella mattina di due anni fa), avevo esposto la mia indecisione
riguardo la
sezione in cui avrei dovuto postare la storia.
Mi
scuso per chi, amante dell’epica, è
arrivato a leggere fin qui (anche se i segnali che ho dato erano tanti)
credendo in ciò che la storia ha mostrato finora.
STRAVOLGIMENTO
LA
PIU’ GRANDE SCOPERTA
Il
giorno seguente.
Klearcos
era esausto e madido di sudore, reduce di innumerevoli notti insonni,
viaggi
senza sosta, marce forzate e duri combattimenti.
Aveva
appena seppellito il corpo del suo vecchio maestro dopo averlo
sconfitto e
ucciso. Egli, prima di morire, gli aveva rivelato la verità
su di lui e sui suoi
genitori.
Ulisse,
padre di Klearcos, era in realtà colui che aveva dato vita
al movimento dei
rivoluzionari. Era il superiore di Sideris, prima che
quest’ultimo ottenesse il
comando.
Il
suo reale obiettivo fu raggiunto solo con la morte, grazie a Varsos,
suo
carnefice, il quale riuscì ad entrare nelle grazie di Ares.
Fu
sotto le direttive del dio della guerra che Varsos ottenne gran parte
delle
informazioni che a lungo Ulisse aveva cercato.
Ed
ora quell’inestimabile eredità stava per essere
trasferita al figlio di Ulisse,
Klearcos. Quell’eredità non era fatta di possedimenti terreni o
denaro o potentissime
armi, ma di qualcosa di gran lunga più prezioso: la
Verità.
Le
shoccanti rivelazioni di prima non erano altro che un preludio di
qualcosa di
ben più maestoso e sconvolgente.
La
più grande scoperta di tutte.
Dopo
aver premuto sul medaglione lasciatogli da Varsos, da esso scaturirono
delle
luci danzanti.Davanti
allo
sconvolgimento di Klearcos, le luci si mescolavano e formavano un
caleidoscopio
di colori concentrate in una sfera sospesa nel vuoto.
La
figura incominciò ad assumere delle forme e dimensioni ben
definite. Le
proporzioni e i tratti divennero umani.
Klearcos
retrocedeva sbalordito.
“Quale magia è mai questa?”
L’uomo
che gli si stagliava innanzi aveva una corta barba biondo cenere e
lunghi
capelli dello stesso colore. I suoi tratti erano logori e consumati
dalle
difficoltà di una vita, ma i suoi sottili occhi bruni erano
ancora sprizzanti
di vitalità e al contempo scaturenti d’arguzia.
Erano
passati venti lunghi anni ma Klearcos poteva riconoscerlo. Era suo
padre.
Ulisse.
L’Innominato
cadde in ginocchio.
Cosa
stava accadendo?
Per
tutta la vita aveva sempre creduto di essere in possesso di tutte le
verità del
mondo, ma quegli ultimi due giorni aveva avuto delle rivelazioni
così
sconvolgenti da far scuotere le fondamenta della sua anima.
Adesso
ogni parte del suo essere fu annichilita alla vista di
quell’uomo, il quale,
anche se passivamente, aveva condizionato due decadi della sua
esistenza.
“Infine
sei
giunto, figlio mio” Disse
solenne la figura. “Padre…Sei
davvero tu?”
Domandò
Klearcos, allungando una mano tremante verso la gamba
dell’apparizione.
La
mano lo attraversò, come fosse uno spettro.
“Sei
un
fantasma?”
“Il
mio nome è
Interfaccia.
Non sono tuo
padre, ma lo rappresento in ogni sua forma: fisica,
mentale, psicologica, relazionale e
ideale. La volontà che mi anima è la sua.
In un certo
senso è come se lo fossi in tutto e per tutto.
Io
sono il
frutto delle scoperte e dei sacrifici di uomini coraggiosi. Uomini come
tuo
padre o come Varsos, i quali, per tutta la vita hanno combattuto
arduamente per
fendere questo pertugio di VERITA’.
Ora dimmi: vuoi
davvero conoscerla? Sei in grado di resistere all’urto delle
mie parole?”
Klearcos
si ricompose. Si asciugò le lacrime che gli erano scese alla
vista di quell’uomo
e si rialzò in piedi.
“Sono
pronto.”
Ulisse
sorrise. “E
sia.”
Attorno
a loro ogni cosa si oscurò. Si ritrovarono in un travolgente
vuoto illuminato
da miriadi di puntini luminosi che sembravano stelle.
Klearcos
riusciva a vedere ancora nitidamente suo padre e se stesso, ma lo
scenario era
scomparso. Era come se si trovassero nella volta celeste quando fa buio.
Ulisse
incominciò a parlare.
“Molti
anni
orsono, prima della mia nascita e di quella di mio padre e di suo padre
prima
di lui, prima della fondazione di molte grandi città,
l’isola di Atlantide
ospitava la civiltà più progredita di
tutte.”
“Atlantide?
Non
ne ho mai sentito parlare.”
“Perché
la
memoria del suo nome è andata perduta nel tempo, dopo che
essa si inabissò. Gli
astronomi di
quell’isola avevano risposto alla maggior parte dei
‘Perché’ sulla vita.
Avevano dato un
senso logico al giorno, alla notte ed alle stagioni.
Scoprirono che
oltre l’infinità del cielo, oltre la terra in cui
ci troviamo esiste uno spazio
di gran lunga
più vasto. Scoprirono
l’esistenza
di miliardi, infinite terre, come la nostra e anche più
grandi, alimentate da
altrettanti soli e sospese in un vorticoso nulla senza età.
Ipotizzarono
l’esistenza
di altri….Mondi.
Mondi come
questo!
Mondi che ospitano
altre civiltà, altre culture aliene. Dove gente come noi
nasce, cresce e muore.”
Klearcos
pesava ogni parola scandita dal genitore, quasi stentando a dare una
valenza
logica a quelle frasi.
Ulisse
indicò in una direzione nel buio e l’incredulo
spettatore seguì il cenno della
mano. Vide una luminosa sfera rossa muoversi
nell’oscurità lasciando una scia
dello stesso colore.
Ulisse
continuò a narrare la sua storia.
“Ma
poi accadde
qualcosa di incredibile.
Nel
cuore della
notte, una rotta di fuoco solcò la volta celeste inondando
di terrore il cuore
degli antichi. Una sfera di luce che illuminava la notte come fosse
giorno.
Quel
corpo
luminoso perse il suo splendore a poco a poco spegnendosi nella
profonda
oscurità. Ma le stranezze non erano finite poiché
poco più tardi, nella seconda
fase della notte, una fitta nebbia colpì le terre comprese
tra la Macedonia e
la Tessaglia, impedendo agli abitanti di vedere a un palmo di distanza.
La
nebbia si
diradò dopo diversi giorni e quello che rivelò,
cambiò la vita degli uomini
segnando l’inizio di un’era.
Dove prima non c’era
altro che una piana arida si era elevata un’immensa montagna.
Sai di quale
monte sto parlando, Klearcos?
Dall’oscurità
dietro Ulisse, si aprì una finestra verso la
realtà che mostrava le nebbiose
pendici di un monte di cui non era visibile la vetta.
Klearcos
lo riconobbe.
“L’Olimpo!”
“L’Olimpo…” Confermò
Ulisse.
“E
da quella
montagna che coloro che noi definiamo Olimpici e veneriamo come
divinità sono
discesi aggiogando ogni razza di queste terre.”
“Per
quale
motivo nessuno ne sapeva niente?
Secondo gli
storici il monte Olimpo, così come le divinità
olimpiche, si sono sempre
trovati lì, dall’inizio dei tempi.” Osservò
confuso Klearcos.
“Perché
a
dettare la storia sono stati gli dei.
Per generazioni
hanno voluto far credere ciò che volevano far credere, e la
verità è andata
perduta nel tempo.
La storia, i
miti, le leggende, tutto ciò che sai sul
mondo…Non è reale, Klearcos.”
L’Innominato
strinse gli occhi, impietrito da quelle verità.
Attorno
a lui, dal nulla cosmico, comparvero i volti marmorei degli dei
dell’Olimpo, così
come l’umanità li aveva voluti rappresentare.
“Ascoltami,
figlio mio.
Coloro che vedi,
quelli che ci governano dall’alto asserendo arrogantemente di
essere divinità,
sono tanto mortali quanto lo siamo noi.
Non
c’è nulla di
sacro dietro coloro che chiamiamo divinità
dell’olimpo. Non c’è nulla di
divino.
Sanguinano come
noi, bramano come noi, hanno i nostri difetti… i nostri
sogni… le nostre paure .
Paura di morire.”
“Chi…Cosa
sono
gli dei?”
"Estranei
da
oltre l’eternità del cielo.
Nati in un mondo
lontano dal nostro…
Resti di una
civiltà infinitamente più progredita della nostra.
La loro
tecnologia è così avanzata che ai nostri occhi
appaiono come divinità.
Non
esistono gli
dei Klearcos.
Tutto
ciò che
hai visto fino adesso è frutto della scienza e del
più grande inganno mai
ordito.”
Klearcos
si sentì poco lucido.
Nella
sua testa vorticavano voci e visi di gente conosciuta, ma solo le
parole e i
volti di taluni tuonavano su quelle di tutti gli altri: coloro che
erano già a
conoscenza di tutto.
Prima
era troppo stolto per afferrare le loro parole e completare il quadro
generale.
Sideris
glielo aveva detto:
“E
se tutto ciò che ti avessero detto sin dalla
nascita non fosse reale? So
che non darai credito a nessuna delle parole
che uscirà dalla mia bocca. Per tal motivo
lascerò che arrivi alla verità da
solo…La
verità ti renderà libero, e così io
voglio liberarti dei vincoli che ti rendono schiavo di questa
società
corrotta.”[cap 26]
Ermes
glielo aveva detto:
"Tu
credi sempre di sapere tutto,
piccolo Klearcos. Per
tutta la vita hai
arrogantemente creduto di conoscere la verità su questo
mondo... Quello che
credevi di sapere.
Tu non hai idea di quali forze sono in gioco in questo momento. Non
puoi
neppure immaginarlo, Klearcos. E se ci riuscissi, ti renderesti conto
di quanto
tu, misero mortale, sei insignificante." [cap
18]
Varsos
glielo aveva detto:
“Credi
di sapere tutto, Klearcos? NON SAI NIENTE. La
gente dà retta a fugaci illusioni alle quali dà
il fallace nome di realtà. Ma
cos'è la realtà se non un' opinione? [cap
34]
Tutto
combaciava. Ogni cosa tornava, convergendo nell’assoluta
coerenza di quel
discorso, come un mosaico che finalmente prendeva forma.
La
realtà era ad un passo da lui, eppure infinitamente lontana.
“Cosa
vogliono
da noi?” Chiese
infine il ragazzo.
Interfaccia
rispose.
“Sono
alla
ricerca di qualcosa ma né io, tuo padre, né
Varsos abbiamo capito cosa.
Probabilmente
sono alla ricerca di fonti di energia. Un’energia vitale
insita in alcune
persone che noi non riusciamo a comprendere.
Pandora è una di
quelle persone, e l’ultima della serie…
La loro
precedente vittima fu una donna che forse conoscerai come Elena di
Troia.”
“Lei?”
“Io,
i miei
fratelli e gran parte dei re greci tentammo invano di riprendercela.
Mettemmo
sotto assedio la città dove era custodita ma inutilmente.
Infine escogitai un
modo per penetrare quelle mura, ma ormai era troppo tardi. La donna era
scomparsa.”
Klearcos
rimase zitto, immobilizzato. Cadde il silenzio per alcuni attimi.
Poi
riprese a parlare.
“Padre…Cosa posso fare?”
Ulisse
s’avvicinò al figlio.
“Il
tuo destino
è fermare questo male che ha stretto in pugno i sogni di
libertà degli uomini. Queste
fantomatiche divinità non sono diverse da un qualsiasi altro
invasore.
Klearcos…Dobbiamo
liberarci o saremo annientati. Zeus sta già incominciando la
sua opera di
sterminio. Non abbiamo più molto tempo.”
“Che
speranze
abbiamo noi contro la potenza di questa…Civiltà
aliena?”
Ulisse
si avvicinò sfiorando con la mano il volto di suo figlio.
“Non
si può
sconfiggere un dio…
Ma la scienza
può essere combattuta con la scienza. Tu stesso ti sei
impadronito già di alcuni
frammenti di essa.
Indicò
la spada e la mano artificiale.
“
Ci si può
impadronire della scienza.
La si può usare
a proprio vantaggio e manovrare…E’ per questo che
esistono speranze.
Una
protuberanza di nervi e muscoli colpì Soter in piena faccia,
facendolo sbalzare
a diversi metri da dove si trovava.
Phobos
di umano non aveva più nulla.
Non
aveva più una testa. Non aveva più gambe o
braccia.
Era
diventato una massa rigonfia di muscoli informi e in continuo
mutamento. Da
essa coagulavano putrescenti fluidi e dense secrezioni. Innumerevoli
protuberanze muscolari emerse da un blocco centrale, si attorcigliavano
tra
loro e tastavano il suolo come se avessero vita propria.
La
creatura faceva schiantare i suoi tanti arti in modo del tutto casuale
spargendo distruzione indistintamente.
“Non
ho mai
visto niente del genere” Dichiarò
Soter, dopo essersi ripreso dal colpo.
Incominciò
ad arretrare tenendosi lontano da quell’entità
infernale.
“Soter,
allontanalo
da Pandora!” Gridò
Sideris afferrando la rete dentro cui ella si trovava.
“E’
quello che
sto facendo!”
Le
mille proboscidi del mostro si abbatterono sull’Innominato,
il quale, con la
sua spada fiammeggiante, ne dilaniò un paio e
arretrò.
Nella
direzione diametralmente opposta a quella dello scontro, alcuni falchi
neri in
fuga si erano fermati a guardare la scena.
“Oh…Per gli inferi! Quale creatura
abbiamo di
fronte questa volta?”
Esordì
sbalordito Pilade.
Oreste
che gli stava a fianco aveva già puntato il bersaglio con il
suo arco.
La
freccia saettò e colpì il mostro ma non ebbe
alcun esito. La creatura non sembrava
avere punti vulnerabili: né occhi, né orecchie,
né cuore, né cervello. Solo una
massa informe di muscoli.
"E’
tutto
Inutile.”
Commentò Pilade.
Oreste
lo guardò sdegnato.
“Conosci
altri
modi? Dovrai usare anche tu il tuo arco, cugino. Una simile aberrazione
non può
essere combattuta a corpo a corpo.”
“Ah
si? E allora
perché lui lo sta facendo?” Rispose
Pilade indicando Soter.
Diversi
tentacoli avevano ghermito l’Innominato, ma con la spada
divina continuava a
mutilarne altrettanti. Continuava a combattere.
“E’ un folle! Finirà per farsi
ammazzare.”
Proferì
Oreste e, in quel momento, un loro commilitone gli passò
davanti, correndo
nella direzione del mostro.
“Cleostrato?” “Cleostrato dove stai andando!?”
L’uomo
chiamato Cleostrato non era né un eroe né un
pazzo, ma aveva un’ossessione:
quando vedeva qualcosa di valore, niente o nessuno poteva impedirgli di
rubarla, neppure la certezza di morire.
“Quell’armatura.
L’armatura del Distruttore! Sarò ricco se riesco a
prenderla.” Gridò
Cleostrato.
La
corazza spuntonata di Phobos era rimasta a terra illesa nonostante
l’esplosione
e la conseguente trasformazione dell’Innominato. Si trovavaa pochi metri dal mostro,
il quale però era
rivolto nella parte opposta: verso Soter.
“Questo
è il
momento buono!”
Nel
momento in cui Cleostrato raggiunse quel pezzo d’armatura,
dal dietro di Phobos
spuntarono dozzine di putrescenti lingue che sguiscianti come serpenti
lo
ghermirono.
Cleostrato,
con l’armatura tra le mani, urlante, fu trascinato verso la
massa primaria del
mostro. Altre orride protuberanze si incollarono a lui come delle
ventose e lo
trascinarono verso il blocco centrale. L’uomo fu assorbito
dalla creatura
tramite i suoi orripilanti movimenti di peristalsi.
Oreste
e Pilade dopo aver assistito alla scena rimasero impietriti.
Anche
Soter era stato immobilizzato dagli innumerevoli prolungamenti di
quell’essere.
La stretta di alcuni tentacoli gli aveva fatto cedere la presa sulla
spada, che
cadde a terra.
L’Innominato
fu sollevato ad alcuni metri da terra per essere anch’egli
fagocitato.
Inutilmente
si contorceva ma dentro di sé sapeva che il suo destino era
imminente.
Tuttavia
se il suo sacrificio fosse servito ad allontanare il mostro da
Pandora,
sarebbe morto senza rimpianti.
Si
voltò verso il Falcone. Si stava allontanando con la ragazza
tenendo bene
d’occhio sia il mostro sia Deimos, il quale era rimasto
immobile a gustarsi la
scena.
A
causa della spettacolare trasformazione di Phobos, nessuno aveva
prestato
attenzione a Deimos. Non tenere in considerazione le facoltà
del semidio
sarebbe stato letale.
Sideris
non percorse pochi passi, che Deimos repentinamente lanciò
un oggetto a terra.
Da esso scaturì una luce accecante che investì
tutti i presenti.
Tutto
accadde incredibilmente in fretta.
Soter
urlò qualcosa, ma le sue parole si persero nel frastuono
dello scontro.
La
velocità di Deimos era sovrannaturale e, con uno
scattò, si ritrovò a un passo
dal Falcone. Nella mano stringeva una mazza che ribolliva di potere
divino nero.
Sideris
non riuscì a parare il colpo in tempo e il fendente
colpì in pieno il suo volto
L’elmo
del Falcone non resse il colpo e fu spazzato via. Il metallo di cui era
composto si frantumò in una miriade di frammenti e schegge
e, sotto di esso, la
testa dell’uomo fu fracassata.
Il
sangue di Sideris macchiò il terreno, ed egli cadde a terra.
Morto.
L’Innominato
del Terrore non perse tempo. Con una mano raccolse la rete dentro cui
si
trovava Pandora, sollevandola quasi come se non avesse peso e si
diresse verso
la sua cavalcatura.
Soter
urlava impazzito di rabbia e disperazione, mentre il mostro Phobos
continuava a
trascinarlo verso di sé per inghiottirlo.
L’uomo
si trovava ormai sommerso per metà nel blocco centrale, e le
contrazioni lo
facevano scivolare sempre più all’interno.
Prima
che anche la sua testa fosse inghiottita da quella massa muscolare,
l’Innominato
gridò più che poté protendendo il
braccio verso Deimos. “IO
TI
UCCIDERO’!”
Deimos
si voltò verso di lui ricambiando l’odio con lo
scherno.
“Tu
sei già
morto.” E
intanto l’unica cosa che ancora affiorava di Soter era la sua
mano accusatrice,
e un istante dopo più nulla.
Quella
travolgente oscurità che aveva isolato dal mondo Klearcos e
suo padre si diradò
con la stessa rapidità con la quale era sorta.
L’Innominato
rimase sconvolto dalle parole del genitore. Tutto ciò che
credeva reale, non
era altro che il velo di un’illusione, un inganno
perfettamente
congegnato.
Aveva
sempre provato a credere in un mondo senza divinità. Un
mondo senza quelle
potentissime entità trascendentali che dall’alto
dei loro scranni sul Trono
Nebbioso, si arrogavano il diritto di poter mandare a morire migliaia
di uomini
per i propri tornaconti.
Gli
dei non esistono.
Ora
ne aveva avuta riprova: Ora sapeva.
Klearcos:
l’uomo che per venti anni si era sporcato le mani del sangue
dei suoi simili, che
aveva perso la propria famiglia, la propria casa, il proprio onore e
che fu
spinto a uccidere il suo stesso maestro, ora aveva ottenuto il giusto
guadagno
per una vita di indicibili sofferenze. Ora conosceva la
verità.
Gli
dei sono comuni invasori, come i barbari dal nord o i persiani.Gli dei sono stranieri da
un altro mondo. Tutto
ciò che c’era di esoterico dietro
l’origine delle divinità era stato sradicato
e razionalizzato scientificamente.
Ripensò
a Ermes. Ripensò a quando la propria spada lambì
la sua orbita facendo sgorgare
fiotti copiosi di sangue che inondarono il terreno.
Questi
invasori possono sanguinare. Questi alieni possono morire.
Distolse
l’attenzione da quei truci pensieri e il suo sguardo si
rivolse verso quello
del padre: Ulisse.
Ora
ricordava il suo nome, e la sua voce così profonda, saggia,
autorevole. Il suo
sguardo intenso, sicuro, disteso. Era suo padre.
“Padre,
ci sono
molte cose che voglio sapere da te.” Ulisse
sorrise “Posso dirti tutto
ciò che so,
adesso.”
Klearcos
si avvicinò al genitore. “…L’unico
modo che
aveva Varsos per guadagnare la fiducia di Ares era uccidere i capi dei
rivoluzionari. Cioè voi. Sapevi che alla fine Varsos sarebbe
venuto a uccidere
mia madre e te?”
Ulisse
abbassò lo sguardo.
“Me
lo aspettavo…”Rispose in un soffio
“Varsos era troppo buono e troppo ingenuo.
Voleva che Penelope ed io ci preparassimo al momento della nostra
dipartita e
così mi lasciò intendere ciò che stava
per fare.
Per
un Falco
Nero l’Ideale viene prima di ogni cosa, anche della famiglia.
Varsos lo sapeva
bene. Era il mio luogotenente più devoto.
Eppure
ho
lasciato che distruggesse i miei ideali e la mia famiglia per la sua.
Ho
lasciato che uccidesse Penelope e me. Per quale ragione
l’avrei fatto, secondo
te?”
“Avevi
mandato numerose
spie alla corte di Ares, ma furono tutte neutralizzate. Per te la
presenza di
una sola spia valeva davvero questo prezzo?”
Il
figlio alzò il tono, chiaramente contrariato.
Ulisse
sorrise.
“Non era una semplice spia. Varsos
era anche
il mio migliore amico. E io ho voluto fidarmi del mio amico fino alla
fine e
anche oltre.
Così, quando
giunse nella nostra casa, gli lasciai trovare questo
Medaglione-Interfaccia che
stai usando tu adesso. Quando lo attivò e mi vide apparire
di fronte a lui il
suo stupore fu immenso.
Oh, non ha mai
pianto tanto quanto quel giorno! Non ha mai riso, né bevuto
tanto.
Gli
dissi che
sapevo già cosa avrebbe fatto per la sua famiglia. Penelope
ed io avevamo
deciso di morire consapevoli, ma in cambio lui avrebbe dovuto agire
come
Innominato e servo di Ares accumulando più informazioni
possibili, da usare
contro il dio stesso al momento giusto.
Inoltre…
Avrebbe
dovuto fare in modo che il dio della guerra ti considerasse come
Innominato.
Gli dissi di spezzare il Medaglione in due parti, dartene una e tenere
con sé l’altra.
Questo medaglione è un artefatto molto prezioso, ma diviso
in due parti non ha
né valore né utilità. Gli dissi di
darti la seconda metà, soltanto dopo aver
ritenuto che tu fossi pronto. Una volta apprese le mie direttive andò da Sideris che rettificò ogni mia parola.”
Klearcos
sferrò un pugno in faccia a suo padre. Il pugno
però non ottenne alcun esito a
causa della natura incorporea del genitore e lo attraversò
come se fosse fatto
d’aria.
“Padre…
Tu hai
idea di cosa io abbia passato? Sai cosa vuol dire vivere aborrito dagli
uomini?
Odiato, disprezzato, vessato come un mostro e per vent’anni
seguire le tracce
di un assassino che in realtà non c’è
mai stato?! Sai cosa vuol dire guardarsi
le spalle ogni singolo giorno della propria vita conoscendo soltanto la
morte e
la disperazione e la solitudine?
Ho riempito il
mio cuore di odio. L’ho fatto per te! Per la vendetta! E cosa
ne ho ricavato?
SOLO ODIO!”
Ulisse
lo guardò consapevole della sofferenza di suo figlio.
“La
vendetta non
porta mai a nulla, figlio mio. Ma tutto ciò che hai fatto ti
ha concesso l’ottenimento
di un risultato certamente più prezioso di qualunque altro
tesoro. La verità
vale tutto questo? Sì. Nessuno è
più schiavo di colui che si ritiene
libero senza esserlo. Io ho desiderato con tutto il mio cuore che
almeno mio
figlio non fosse uno schiavo. Le armi che possiedi valgono
più oro di quanto ne
possegga un’intera nazione; le tue abilità in
combattimento non sono seconde a
quelle di nessuno.
Figlio mio, tu
puoi salvare il mondo e puoi cambiarlo.”
Klearcos
rimase meditativo, in silenzio. Vivere in un mondo di odio
nell’incoscienza non
gli avrebbe causato altrettanto dolore.
Gli
occhi di Ulisse si riempirono di vivida arguzia e dalla sua mano si
materializzò
un piccolo cavallo di legno.
“Ti
ricordi
quando te lo diedi? Fu il mio primo regalo. Te lo portai al mio ritorno
da
Troia. Rappresentava l’astuzia che trionfa sulla forza. Ma il
mio vero Cavallo
di Troia, sei proprio tu figlio mio.”
L’Innominato
cercò di ritirare il suo amaro pianto. Dopo anni di
singhiozzi a denti stretti,
oramai le sue lacrime erano divenute usuali negli ultimi giorni.
Il
suo cuore si riempì di un sentimento che ormai gli era
familiare, la tristezza.
Che
cos’è un eroe?
Una
persona che mette in gioco se stesso per il raggiungimento di un bene
che non è
il proprio. Ma in realtà un risultato personale lo ottiene:
la gloria, la
commemorazione, il ricordo della gente, l’ammirazione degli
altri per molti
anni a venire. Tutto questo ridimensiona la figura di un cosiddetto
“eroe”.
Ma
quando un uomo compie delle azioni incredibili atte a raggiungere il
proprio
obiettivo, pagando non solo con la propria vita e con quella dei propri
cari,
ma anche con la propria immagine, sfigurando il ricordo che le persone
hanno di
sé, senza cercare la gloria personale, morendo nel
silenzio, colui è un eroe senza nome.
Klearcos
si rese conto dell’inestimabile lascito dei suoi genitori.
Si
avvicinò ad Ulisse e lo abbracciò, ma nuovamente
la figura non risultò
sensibile al tatto.
Ulisse
sorrise.
“Se
avessi
potuto abbracciarti figlio mio, lo avrei già fatto.”
“Prima
hai detto
che rappresenti mio padre in ogni sua forma ma non lo sei realmente.
Che cosa
vuol dire?”
“Io
sono una
MACCHINA. Un’intelligenza costruita dalla civiltà
aliena e a loro sottratta.
Io sono il
prodotto degli uomini che mi hanno utilizzato prima di te.
Quando assumo la
forma di uno di loro, ne divento la loro perfetta copia. I loro ricordi
sono i
miei ricordi. La loro volontà è la mia
volontà. Così come la loro forma, la loro
voce, desideri, paure, raziocinio, difetti, sentimenti. Ogni cosa, o
quasi...
L’unico aspetto
che non viene simulato è l’ego. Sono consapevole
di non essere realmente tuo
padre, ma solo la sua immagine.
Oltre
alla copia
di Ulisse, il Medaglione ha emulato alcuni altri duplicati.
La memoria di
ognuno di essi è messa in comune con quella di tutti gli
altri, ma è aggiornata
solo fino al loro ultimo accesso. Mi spiego: l’ultima volta
che Varsos ha
aperto il Medaglione, è stata quella notte di venti anni fa,
pertanto io sono a
conoscenza delle azioni di Varsos fino a quel momento ma non so cosa
abbia
fatto in questi ultimi 20 anni.
Tuttavia, nel
momento in cui tu mi hai invocato, il Medaglione ha contemplato tutti i
tuoi
ricordi e progressi e me ne ha messo al corrente.
Anche
in questo
preciso momento il Medaglione sta creando una tua copia spiccicata,
cosicché anch’essa
potrà essere invocata in futuro.
Penserà e
parlerà come te, anche dopo che tu sarai morto.”
Klearcos
era allibito da quella rivelazione. “Varsos…
Hai
copiato anche la sua immagine…”
Ulisse
sorrise. I suoi capelli incominciarono a farsi più scuri, la
barba sparì, gli
occhi diventarono color cielo, i suoi lineamenti mutaronodel
tutto.
Ulisse
aveva preso la forma di un Varsos più giovane di
vent’anni.
“Ragazzo…Sei
cresciuto parecchio”
“Non posso
credere ai miei occhi…Vecchio!”
“Vecchio?
Già.E’
con questo irriverente
appellativo che ti riferivi a me. Ora ricordo. Ma adesso siamo coetanei
o
sbaglio? Sono vent’anni che non ti vedo, e tu hai ora i miei
stessi anni.”
Klearcos
incominciò a intuire il funzionamento di quel formidabile
oggetto che gli aveva
permesso di rivedere suo padre. Il Varsos che aveva di fronte non
sapeva nulla di
ciò che aveva fatto e vissuto direttamente nei suoi ultimi
vent’anni di vita.
“Varsos,
sai già
cosa è appena accaduto qui?”Chiese
Klearcos con tono grave. “Non
c’è bisogno
che mi spieghi nulla, Klearcos. Nel momento in cui mi hai invocato, ho
contemplato tutta la tua vita come se l’avessi vissuta con i
miei occhi.
Dunque Ares non
ha tenuto fede alla sua parola…
Ho tradito tutti
e ho perso tutto. Che fallimento sono stato!”
Diverse
lacrime solcarono il viso del giovane Varsos. Si coprì il
volto con una mano e
s’accasciò a terra, rosso in viso battendo i pugni
sul terreno.
Chiaramente la sua reazione era relativa a un ventottenne impetuoso e
pieno di
ardore, che con grande amarezza aveva barattato le vite dei propri
cari,
sperando di salvarne altri. Ma il mondo gli cadde addosso quando vide
che la
sua scelta aveva portato con sé solo altro sangue.
Il
Varsos anziano, quello reale che Klearcos aveva seppellito, aveva
già speso da
tempo tutte le sue lacrime.
Klearcos
si avvicinò, sfiorandogli la spalla incorporea.
“Onorerò
i tuoi
sacrifici, maestro. Sono quello che sono grazie e te, e grazie a te
estinguerò
questo male che attanaglia gli uomini!” Varsos
alzò la testa ammiccando un finto sorriso.
“Ti chiedo scusa per tutto Klearcos. Ti sarei
stato più utile da vivo che da morto. Ma,
avendo perso
tutto, il mio unico volere è stato quello di perire assieme
a coloro che amavo
di più e onorare la promessa che ti avevo
fatto…”
"Noi
saremo dei vendicatori. Metteremo a tacere i nostri
demoni. Nessun uomo può vivere con un odio tanto grande
accumulato dentro di
sé...Klearcos, io ti giuro che avrai la tua vendetta.”(cap
13,
Parte 1)
“Volevo
darti la vendetta che io non ho mai avuto. Tuttavia non
abbiamo ancora messo a tacere i nostri demoni…”
Aggiunse rialzandosi.
“Varsos, hai
visto nei miei occhi anche lo scontro con Ermes?” “Ho visto il Messaggero sanguinare,
sì. Poi ha
usato il suo vero potere e tu sei svenuto. E’ incredibile che
tu sia
sopravvissuto.
Aver visto uno di quei maledetti cani alieni stramazzare
nel fango come un comune essere umano, mi riempie di gioia.”
“Soter
mi ha detto che Ermes è stato ucciso da
Artemide…Che cosa significa?”
“Ne
so quanto te, Klearcos. Non so cosa abbia in
mente la dea dei boschi e per quale motivo abbia ucciso uno dei suoi
stessi
consanguinei.”
“Dunque,
ci sono ancora molti fatti di cui sia io
che voi siamo all’oscuro.”
“Esattamente.
Abbiamo combattuto a lungo per
ottenere questo spiraglio di Verità, Klearcos. Ma ci sono
cose di cui né io né
nessuno degli ologrammi del Medaglione sapremmo dirti niente. Dovrai
utilizzare
i mezzi a tua disposizione per scoprire molti dei loro segreti e andare
avanti
da solo. Puoi invocarci tutte le volte che desideri per parlare con
noi.
Ti aiuteremo.
Questa volta non sarai solo.” Klearcos
ebbe un capogiro. Si strofinò gli occhi.
“Assurdo!
Tutto
quello che mi sta accadendo è assurdo. Mi sembra un
sogno…” “A
volte la
realtà è più incredibile dei nostri
stessi sogni.”
A
parlare fu una voce femminile.Klearcos
alzò gli occhi e al posto di Varsos vide una donna. La sua
bellezza indomabile
incarnava tenacia e la risolutezza che la caratterizzavano. Davanti a
sé aveva
Penelope.
“Madre”
“I nostri
sacrifici hanno avuto dei grandi esiti. Vedo in te un guerriero
addirittura più
grande di ciò che fu tuo padre e i guerrieri che lo
precedettero. Sei
cresciuto, figlio mio”
La
donna baciò il figlio sulla fronte e tutto ciò
che Klearcos riuscì ad avvertire
fu una lieve brezza e un brivido percorrergli la schiena.
“A
lungo abbiamo
atteso tessendo il telo della nostra strategia. Adesso, figlio mio,
farai la
mossa che per tanto tempo abbiamo rimandato. Il nostro mondo ne ha
bisogno e
noi Ologrammi ti guideremo.”
“Quanti
Ologrammi
possiede il Medaglione?”
“Siamo in
quattro per adesso.”
“Quattro? Mio
padre, Varsos, te e…Chi è
l’ultimo?”
“Il
quarto Ologramma è colui che conosci col nome di Sideris, Il
Falcone Nero.
Ma non può essere
invocato dal Medaglione poiché così lui ha
stabilito.”
“Cosa
vuol dire?…Sono
io che controllo questo Artefatto.”
“E’
vero, ma
Sideris conosce cose che noi ancora ignoriamo.
Sideris, che si
spacciava per il secondo di tuo padre era in realtà colui
che ci guidava. E’
colui che ha fornito a tuo padre questo
Medaglione e ci ha rivelato la Verità che ora anche tu
conosci.”
“Madre,
chi si
cela veramente dietro quell’uomo.”
“Non un uomo… “
---- Nella
lontana Arcadia un insediamento umano stava bruciando.
Ombre
nere schizzavano via assieme alla notte stessa.
Una
mostruosa aberrazione di fibre e muscoli stava devastando con i suoi
innumerevoli tentacoli tutto ciò che non era stato divorato
dalle fiamme. ----
“La
civiltà
aliena che stiamo combattendo ha raggiunto un grado di tecnologia tale
da poter
produrre esseri viventi.”
----
Un
uomo con la testa sfondata e all’apparenza morto si
rialzò da una pozza del suo
stesso sangue. Il volto tumefatto era indistinguibile.
----
“…Sideris
è uno
di questi.
Ha voltato le
spalle alla specie aliena che un tempo serviva. E’ fuggito
celandosi come solo
lui poteva e ha organizzato le nostre forze istruendo tuo padre e
alcuni altri.”
----
La faccia di quell’uomo incominciò a rigenerarsi,
così come ogni sua sanguinante
lacerazione. Gli occhi e il naso devastati dalla colluttazione
ripresero forma.
Generò un nuovo volto: neutro, inespressivo, privo di
sopracciglia e capelli,
gli occhi albini.
L’uomo
si voltò verso il mostro chiamato Phobos che indistintamente
distruggeva e
divorava tutta l’area.
----
“Sideris è una macchina”
---
Le sue braccia presero la forma di oblunghi bastoni cavi, il loro colore
prese un aspetto
metallico.
L’uomo
fissò un altro istante quell’orrendo essere che
gli si stagliava innanzi.
Poi
dai suoi arti proruppero delle fiamme che investirono la creatura.
Il
mostro guaiva stridulamente mentre l’intensità di
quelle fiamme gli facevano
perdere pezzi.
---- “Presto lui ti chiamerà a
combattere.”
Soter
aveva perso la sua Ragione.
Colei
per cui aveva combattuto alacremente per la propria intera esistenza
era stata
infine rapita.Il
Falcone Nero era morto
e ben presto lo sarebbe stato anche lui.
Si
trovava nei disgustosi e putrescenti meandri dell’organismo
di un mostro.
Era
stato fagocitato da una creatura fuori dal mondo. I movimenti
peristalsici lo facevano
scivolare in un’oscurità sempre più
profonda. I succhi gastrici lo avrebbero
consumato come il più misero brandello di carne.
Gli
mancava l’aria, e sapeva che di lì a poco tutto
sarebbe finito perciò lasciò
che il tempo facesse il suo corso abbandonando la propria mente al
delirio.
Quando
era stato?
Quand’era
il momento esatto in cui Soter si accorse che ogni singola pagina della
propria
esistenza era stata stilata dal calamo di
un’entità trascendentale dotata di un
infinito potere, superiore a quello di qualsiasi Olimpico?
Nel
Peloponneso, dove era nato, era legittimo abbandonare o uccidere i
propri figli
nel caso in cui la famiglia fosse povera o il bambino fosse malato o
deforme,
frutto di una relazione indesiderata o addirittura per semplice
voluttà.
Soter
non seppe mai la ragione per la quale era stato ceduto alle maligne
intemperie
del Taigeto, la catena di monti che domina Sparta.
Aveva
importanza?
Ciò
che contava fu l’imprevedibile provvedimento del destino di
far sì che una
carovana di peloponnesiaci marciasse di ritorno dalle Olimpiadi,
proprio per
quei sentieri, nel momento in cui il bimbo disperato vagiva con la
massima lena.
Le
cupe voragini alle pendici del Taigeto erano chiamate…
“depositi”. Perché tra
le tenebrose profondità di quei gorghi erano depositate le
spoglie cadaveriche
di coloro che non avevano superato la prova della vita.
Soter
invece era stato semplicemente abbandonato al gelo, sottoposto
all’agoge prima
del tempo.
A
tenera età non avrebbe mai superato quella sfida se delle
mani femminili non lo
avessero raccolto dal fango strappandolo da morte certa.
“Cosa stai facendo Iphis?”
chiese un
oplita che si era staccato dalla carovana per raggiungere la donna.
Iphis
era una ragazza esile con capelli scuri e corti, come si confaceva alle
necessità delle donne spartane e peloponnesiache. Il suo
volto era scarno e stravolto.
I solchi sul viso denotavano più inverni di quanti invece
dimostrassero il suo
corpo.
Abbracciò
il bimbo abbandonato.
L’oplita
vide la ragazza abbracciare quel gracile esserino, sorpreso
nell’osservare che
fosse ancora vivo.
“Iphis, lascia stare. E’
di cattivo auspicio
raccogliere un figlio di nessuno.” Le
afferrò un polso, ma la donna
incominciò a urlare assieme al bambino e stringerlo ancora
più forte. “Questo
scarto
non ci ridarà nostro figlio, Iphis. Devi fartene una
ragione.”
Gli
occhi della donna bagnarono di lacrime il viso del bimbo e il proprio,
ma la
sua stretta rimase salda e non si mosse da dov’era.
Le
condizioni di Iphis commossero il soldato greco. La perdita del loro
figlio,
pochi istanti dopo il parto l’aveva sconvolta al punto da
farle perdere la
sanità mentale. Ora era più che comprensibile che
vedesse quel trovatello
morituro come un’anima da proteggere.
“E
va bene…Prendilo.
Ma ora torniamo alla carovana.”
--------
I
ricordi di Soter vorticavano velocissimamente, e in men che non si dica
si
ritrovò a poco più di 5 inverni a stringere la
mano della madre tra le sue.
Iphis
fu una delle innumerevoli vittime colpite da un’epidemia di
peste che imperversò
sulla città di Kolkos e su tutta la regione per alcuni mesi.
Con
gli occhi fissi su quelli di lui, la donna esalò il suo
ultimo respiro.
“E’
incredibile
che il bambino sia sopravvissuto. Quasi tutti i suoi coetanei sono
morti.”
“Deve essere
stato benedetto dalle divinità” Benedetto…
Le
fulminee reminiscenze dell’Innominato lo catapultarono a
diversi inverni di
distanza, tra le grigie mura di un abitazione nella città
alta.
“Dovevi
morire
tu quella volta!”
Urlava
il padre adottivo ubriaco sguainando la sua spada.
Soter
si scansò velocemente evitando un fendente che infranse un
vaso e tranciò di
netto alcuni lumini. Una lampada ad olio cascò a terra e
incominciò ad ardere. “Lo
sapevo che
avresti portato solo sventure!”
La lama tentò nuovamente di lambire il
ragazzo il quale per evitarla perse l’equilibrio stramazzando
al suolo. L’arma
colpì una botte alle sue spalle dalla
cui spaccatura fuoriuscì il liquido di cui era ricolmo: olio.
Goffamente
l’uomo utilizzò un piede come leva per liberare la
sua arma dal legno di cui
era composto il barile ma nel farlo lo rovesciò a terra
facendolo rotolare sul
fuoco.
Soter
se ne accorse e allontanandosi più che poteva
gridò verso il genitore:
“Levati di lì! Sta per scoppiare tutto!
Mettiti in salvo!”
Ma
in quegli onnubilati ricordi le parole, per quanto si sforzasse a
gridarle, uscivanofuori
come vaghi sussurri.
“Chiuderò
qui il
sipario della tua miserabile esistenza!”
“Corri fuori di
lì!”
urlò Soter mentre le fiamme incominciavano a divorare la
superficie della botte
d’olio, ma ancora una volta le parole non arrivavano al
genitore.
Infine
il fuoco, alimentato dal combustibile, s’ingigantì
paurosamente nell’arco di
pochi istanti. Le vampe incandescenti inghiottirono l’uomo e
poi l’intera
abitazione.
La
maggior parte degli dei
hanno stabilito basi segrete e laboratori su tutta la Grecia. La gente
comune crede
che quelle regioni siano luoghi esoterici e invalicabili. I mostri che
si
trovano nelle aree il più delle volte sorvegliano gli
ingressi per intimidire
chiunque pensi di accedervi.
Gli
dei amano circondarsi
di umani straordinari nel proprio settore, gli esemplari più
meritevoli dell’umanità
(araldi) i quali lavorano come dipendenti nei loro domini.
Ares si circonda dei migliori
assassini, Efesto dei migliori fabbri, Apollo dei migliori artisti,
Artemide
dei migliori cacciatori e così via…
Gli Araldi sono forniti di
mezzi tecnologicamente avanzati che moltiplicano le abilità
individuali
rendendoli dei veri e propri semidei.
Non
è detto che gli Araldi
siano in possesso delle informazioni riguardanti questo sistema. A
discrezione
della divinità che governa il dominio hanno accesso a
più o meno informazioni
di altri. Le divinità più accondiscendenti
permettono ai loro sottoposti di
avere accesso a un frammento di verità.
Gli
Araldi che per caso o premeditatamente giungono alle soglie del dominio
di una
divinità differente dalla propria, sono risparmiati dalle
sentinelle e portati
al cospetto del dio davanti al quale dovranno giustificare la propria
presenza.
Soter
sentiva caldo.Le
fiamme avevano
raggiunto anche lui.
Riaprì
gli occhi e si ritrovò in un’oscurità
ancora più profonda di quella della
precedente allucinazione.Il
calore si
rivelò essere reale. La temperatura era aumentata. Che
fossero gli acidi
digestivi del mostro? Lo
spazio era così ristretto da non consentirgli neppure di
stendere un braccio
per tutta la propria lunghezza.
L’aria
continuava a mancare ma questa volta il dolore che gli stava procurando
la
torrida caldana lo spronò ad agognare la sopravvivenza.
In
piena agitazione, con le mani tremanti cercava una via di fuga tra
quella massa
fibrosa di carne e muscoli facendosi strada tra i viscosi orifizi.
I
nauseabondi fluidi inondarono l’Innominato dalla testa ai
piedi al fine di
lubrificare il suo passaggio attraverso la camera organica nella quale
sarebbe stato
digerito.
L’uomo
sprofondò ulteriormente. Il calore lo fece urlare di dolore.
Cominciò a
dimenarsi energicamente mettendo a raccolta tutte le proprie forze.
Improvvisamente
nella disperata ricerca tentoni di una via di uscita tastò
qualcosa di diverso.
Era metallico.
Con
la mano ci ritornò sopra e questa volta
l’afferrò. Qualunque cosa fosse, nella
logica della disperazione, l’avrebbe accolta come un appiglio
per la salvezza.
E
il metallo ricambiò la stretta. Quell’ignoto
materiale gli aveva letteralmente
afferrato la mano aderendo con la sua superficie fibrosa su ogni
singolo dito.
Prima
che Soter potesse sorprendersi e ritrarre la mano, la superficie di
metallo, come
un inverecondo serpente, strisciò su tutto il suo
avambraccio.
L’Innominato
cercò di divincolarsi spaventato. Che quell’essere
fosse un nuovo orrore,
ospite della creatura più grande? Si chiese sgomento.
La
lega vivente continuava a ricoprire il suo corpo senza che
l’Innominato potesse
nulla per impedirglielo.Nel
giro di
pochi secondi si era estesa su tutto il torace, poi gli
rivestì le gambe, l’altro
braccio e infine si cosparse anche sul volto. Il
suo urlo di terrore assunse una tonalità anch’essa
metallica. Innaturale.
Phobos
non era più nemmeno umano. L’antico re di un
remoto passato divenuto Innominato
aveva assaltato l’accampamento dei falchi lasciando tutti di
sorpresa.
E
se prima la prospettiva di poter placare la sua distruzione era
annichilita
dalla sua abilità e dai mezzi di cui disponeva, in seguito
la sua
trasformazione aveva fatto perdere agli uomini ogni speranza.
Ma
adesso la speranza umana divampava manifestandosi sotto forma di fiamme
incandescenti. Sideris s’era rialzato dalla morte e come un
onnipotente
stregone aveva plasmato a proprio piacimento la realtà
stessa del proprio
corpo.
Le
sue braccia erano divenute bastoni cavi dai quali erompevano lingue di
fuoco incandescenti
che si alzavano fino a sei metri investendo l’orrenda
creatura.
“Non riesco a credere ai miei occhi! E’
una
battaglia tra mostri” commentò Pilade,
al sicuro su una colle scosceso. “Quello
lì è
Sideris, Pilade. L’ho visto rialzarsi. Non è
umano, è uno di loro”
osservò Oreste
che gli era seduto accanto.”
L’immane
mostruosità perdeva grandi masse organiche le quali colavano
sul terreno come
cera sciolta. Strideva in modo acuto e penetrante a ogni colata. Era un
mostro
ma il dolore poteva percepirlo come chiunque altro, questo era certo.
Lentamente
incominciò a sentire anche la paura.
Non
potendo avanzare verso Sideris, l’essere arretrò
sopraffatto dal dolore. Ma i
suoi movimenti erano goffi e impacciati. Se fosse stata una creatura
mortale sarebbe
morta per le ferite già da diverso tempo, invece continuava
a soffrire
intensissimamente agognando la morte. Quello era il fio per aver
abbandonato la
propria umanità: un dolore lancinante e prolungato.
Anziché
ferirsi come qualsiasi altro essere, la creatura soffriva nel ridurre
le
proprie dimensioni passando dai sette ai quattro metri di altezza.
Non
aveva arti, occhi od organi interni ma solo una massa bulbosa che
sostituiva di
continuo i pezzi mutilati finché aveva il materiale
sufficiente per farlo.
Sideris
non demorse, innaffiando il demone con le fiamme dell’abisso
nel quale sarebbe
dovuto sprofondare per sempre. La creatura rimpicciolì
pateticamente fino a
diventare una densissima macchia di sangue sul terreno.
Al
suo centro era steso a terra un uomo in posizione fetale. Era rivestito
di una
minacciosa quanto tenebrosa armatura nera. L’uomo si
alzò in piedi e Sideris
riconobbe la corazza di Phobos che indossava prima della
trasformazione. Si
mise in guardia.
L’elmo
avvolgente dell’uomo si aprì
mettendo in luce il suo viso. Era Soter.
-------
Parentesi anacronistiche 2:
Armamentario 1
Alcune
divinità danno agli
Araldi libero accesso ai loro depositi d’armi fornendo loro
oggetti più o meno
forti a seconda della situazione. Chiaramente non possono rischiare di
fornire
all’Araldo armi troppo potenti. Così secondo la
situazione hanno accesso a
determinati oggetti che possono scegliere.
Le
balestre singole o a
ripetizione sono tra le armi standard assieme alle armi bianche
composte di
leghe metalliche più avanzate rispetto al normale.
All’ultimo livello di
concessione l’Araldo ha diritto a un’arma
tecnologicamente avanzata. Possono
essere spade (come nel caso di Soter e Klearcos), fruste (Varsos),
mazze
(Deimos) o armature complete (Phobos). Sono armi apparentemente normali
ma
dotate di un sistema di sicurezza biometrico in grado di riconoscere il
dna
delle cellule di una o più persone prestabilite. Se i
risultati dei test
biometrici corrispondono, chi le brandisce è in grado di
attivare le
funzionalità tecnologiche dell’arma.
Entrambi
i guerrieri rimasero reciprocamente meravigliati
nell’osservare le condizioni in
cui si trovavano. L’inespressività di Sideris
tuttavia non lasciava trasparire
nulla.
Soter
era corazzato dalla testa ai piedi con un’armatura nera
lucida che lo aveva riparato
dai getti di fiamme incandescenti scaturiti da Sideris.
Il
Falcone aveva un volto privo di qualsiasi tratto distintivo, come il
disegno
stilizzato di un bambino. La sua fisionomia era umanoide in tutto
tranne che
dalla parte superiore degli avambracci, i quali assumevano la forma di
oblunghi
bastoni concavi da cui adesso fuoriusciva del fumo.
Le
anomale protuberanze incominciarono a mutare rimodellandosi nella forma
umana
originaria. Dopodiché l’uomo si chinò
per raccattare ciò che restava del
proprio elmo. Era frantumato in una miriade di pezzi. Tastò
per alcuni istanti quello
più grande e improvvisamente il metallo di cui esso era
composto incominciò a
plasmarsi assumendo la composizione della cera. Gli altri frammenti
furono
attratti ad esso come fosse il loro centro gravitazionale.
L’elmo tornò ad
assumere la forma di partenza e infine si solidificò.Se lo infilò
sul capo.
Soter
e tutti i presenti rimasero senza fiato. Per la seconda volta
l’enigmatico
Falcone aveva dato prova di possedere poteri al di là di
ogni comprensione.
Su
cento soldati che popolavano l’accampamento prima
dell’attacco, ne erano
rimasti meno di dieci e lo stavano attorniando a grande distanza. Tutti
lo
avevano visto.
Oreste
e Pilade tenevano il Falcone Nero sotto tiro con i propri archi.
I
luogotenenti Almo e Cercione, che avevano ripreso i sensi perduti dopo
aver
provato a mettersi tra l’Urlo e il proprio obiettivo, erano
stati silenziosi
spettatori di tutta la scena.
Stralunati
si convogliarono anche loro verso Sideris.A seguire pochi altri guerrieri. C’era anche
l’immane orso di quattro
metri Orico. La bestia aveva avuto abbastanza raziocinio da infilarsi
al collo
le catene del Vaso dove era custodito il cadavere di Ermes per portarlo
lontano
da quel luogo.
“Immagino che abbiate tutti diverse
domande”
disse Sideris.
Si
diresse verso una zona rialzata, abbastanza vicina
all’accampamento da tenerlo
sotto controllo e abbastanza vicina ad una selva per rifugiarvisi nel
caso in
cui i servi di Ares fossero tornati.Si
sedette.
Gli
uomini gli si avvicinarono con le armi sguainate.
“Abbassate
le
vostre spade” Comandò Almo. “Non so
quale sia la sua reale natura ma
converrete tutti con me che ha combattuto valorosamente dalla nostra
parte, e
ci ha salvato da quel mostro.” “Sono
d’accordo.”Commentò Soter, e da sotto la visiera
dell’elmo, con i suoi ferini occhi verdi, scrutò
uno ad uno i sopravvissuti
dello scontro.
Almo,
Cercione, Aristomene, Oreste e Pilade erano tutti luogotenenti e tra i
più
forti guerrieri della schiera rivoluzionaria.Gli altri tre, così come Doro, Suto e Ione,
erano poco più che briganti
che si unirono alla rivoluzione come pretesto per accumulare ricchezze.
Acconsentirono
tutti tacitamente calando le proprie armi.
Sideris
prese parola. “Sarò
sincero.
La situazione è critica. Le probabilità di
salvezza sono sotto l’uno per cento.
Ma saranno ancora inferiori se non collaboreremo.”
C’era
qualcosa di più in lui. Non sembrava essere nemmeno
più quello di prima.
Tuttavia dalle sue parole lasciò trasparire una
tonalità di rammarico e
dispiacere come prova di non aver perso la propria empatia verso il
mondo.
I
soldati rimasero in silenzio a guardarlo.
“Avrei
preferito evitarlo, ma immagino che solo la cruda verità
possa convincervi a
fidarvi di me… Sono un essere creato da coloro che voi
chiamate divinità
dell’Olimpo.Sono
qui per salvare tutti
gli uomini e le donne dalle distruzioni che essi causeranno.”
Sideris
pesò più che poté le proprie parole
esponendo solo il necessario e cercando di
rendere la storia più verosimile possibile a quelle genti
rispetto a lui
primitive.
“Se
è come affermi
per quale motivo non ti sei costituito a Zeus? Avresti potuto
sacrificarti e
salvare tutti noi da questo genocidio.”Commentò stizzito Oreste.
“Se
la mia vita
avesse fatto la differenza, non avrei esitato a scambiarla per la
vostra salvezza.Ma
se avessero preso me, il vostro destino
sarebbe stato segnato. Attraverso me avrebbero potuto recuperare
Pandora molto
prima di ora.”
“Per quale ragione quella Pandora è
più
importante di qualsiasi altra cosa?” Chiese Pilade.
“Gli Olimpici sono venuti qui alla ricerca di
un potere sconfinato.Un’energia
così
grandiosa da far annichilire persino loro. Questo potere è
assopito e celato
nel corso della storia in taluni individui. Prima di Pandora ci furono
altri
CONTENITORI di questo potere che Zeus rapì in successione. Ci
fu Elena di
Troia prima di lei, per la quale scoppiò la grande guerra.
Ci fu Elettra
di Micene quello stesso periodo, e molte decadi fa ci fu Egina, la
donna da cui
prese il nome l’isola che è stata distrutta da
Zeus poco fa. Per innumerevoli
secoli gli dei dell’Olimpo ne rapirono a decine.
Pandora, è
l’ultima della serie.”
------------------------------
Parentesi
anacronistiche 3:
Armamentario
2
Le
spade tecnologicamente
avanzate sono di base delle lame d’acciaio, quindi di fattura
e materiali molto
superiori a quelle comuni che sono di bronzo o di ferro. Una reazione emotiva oppure
un momento di grande concentrazione dell’utilizzatore genera
un forte segnale
elettrico che si irradia per tutto il corpo.
L’elsa
della spada, che è
ricoperta di neuroricevitori in grado di rispondere automaticamente a
questi
segnali elettrici amplificandoli e generando lungo tutta la lama un
fascio al
plasma riscaldato (un gas ad altissime temperature), costituito da
particelle
cariche di energia e confinato da un campo di forza proiettato
dall’impugnatura.
Il
gas viene rilasciato da
minuscoli fori posti regolarmente per tutta la spada in modo da dargli
la forma
giusta.
Simula
un livello di
durezza pari a 6 nella scala di mohs, pertanto in grado di scalfire
qualsiasi
ferro e persino il marmo, e non può essere danneggiata da
altre armi d’acciaio.
Il
contatto della spada su
un materiale simula il lavoro di una sega circolare quando messa in
funzione, e
il risultato è la capacità di tranciare materiali
col minimo sforzo.
Per esempio la lama di
Klearcos può tagliare una colonna di marmo anche se con
estrema difficoltà.
L’arma
è stata
opportunamente calibrata per non essere eccessivamente letale,
cioè in grado di
rappresentare un pericolo per le divinità stesse. Infatti
sulla base di questa
tecnologia sarebbe possibile progettare una spade molto più
potenti, in grado
di frantumare e tagliare con terrificante facilità qualsiasi
materiale
esistente in natura.
Dal
momento che l’efficienza
energetica del laser è risibile (3%), generare un plasma di
una certa intensità
avrebbe richiesto un quantitativo di energia spropositato. Per questo
motivo la
spada non possiede un generatore né un interruttore ma
è invece alimentata
dal sistema nervoso umano stesso
che fa le veci di entrambi.
Le reazioni emotive sono
in grado di generare un quantitativo di energia enorme che il
marchingegno è in
grado di sfruttare a suo vantaggio e di amplificarlo abbastanza da
generare il
plasma della potenza prestabilita.
Staccare
le mani dall’elsa
oppure affievolire la presa sono sufficienti per comandare alla spada
di
interrompere il flusso di energia e quindi tornare a livello standard.
Le
armi quando attivate
assumono un colore paragonabile all’indole
dell’utilizzatore.
(Non
ho fatto grandi ricerche
sulla tecnologia descritta. Ovviamente si tratta di una mia
speculazione basata
su alcune fonti scientifiche reali. Se qualcuno trova qualcosa di
estremamente
illogico o incoerente me lo segnali, e cercherò di adattarlo
meglio alle
esigenze della storia.)
Oreste
rimase di stucco. Il suo volto olivastro impallidì.
I battiti del suo cuore fermarono per un
attimo.
“Hai
detto…Elettra di Micene? Stai mentendo.”
“Non ne avrei
motivo.”
“Stai
mentendo!!” Gli
occhi di Oreste si riempirono di furore. Sguainò la spada e
caricò il Falcone Nero.
Se
fosse mai stato in grado di procurare danno a Sideris, non lo avrebbe
mai
potuto sapere poiché Pilade, Almo e Cercione si frapposero.
Cercione
lo immobilizzò da dietro. Pilade e Almo gli bloccarono le
braccia.
“Accidenti
cugino, calmati, ti prego! Non è il momento.Se non manteniamo la calma avremmo perso in partenza, lo
capisci
questo?” Pilade
ora teneva stretto il suo volto tra le mani.
Oreste
si accasciò seduto a terra. Piangeva.
“Elettra…Mi
faceva
avere sue notizie ogni mese, per anni… Poi smise di farlo
all’improvviso. Non
avrei mai creduto…Speravo…” Ci
furono attimi di silenzio. Poi si riprese.
“Che
fine fanno
coloro che contengono questo potere?”
“credo che i
CONTENITORI periscano all’estrazione” Oreste
non disse più nulla.
Soter
strinse i pugni. “Se
le cose
stanno così, devo partire adesso! Non permetterò
che Pandora…”
“Se partissi ora,
non otterresti nulla. Troverai solo morte. Occorrono diversi giorni
agli
Olimpici per assorbire tutto quel potere. Devono applicare delle
procedure
lunghe. Abbiamo ancora tempo prima della morte dell’ospite.
Abbiamo alcuni giorni.” “Ogni
secondo è
importante” Ribatté
Soter.
“E
dove andresti?
Vorresti recarti da solo sulla cima dell’Olimpo? Non faresti
neppure in tempo
ad avvicinarti prima di essere ridotto a un cumulo di cenere.
Tutto ciò che ci
rimane, siamo noi stessi, lo capisci? Il mondo intero è alla
nostra ricerca. Se
qualche guardia cittadina, attratta dalle nostre luci, vedesse dei
peregrini
muoversi di notte s’insospettirebbe immediatamente. Ci
darebbero la caccia e
questa è l’ultima cosa che vogliamo.
Capite da voi
che la situazione è critica. Non possiamo permetterci di
scontrarci tra noi.
Dobbiamo superare i nostri attriti per la salvezza. L’unico
modo è raccogliere
i vessilli di tutti gli eserciti.”
“Ma
come
possiamo noi pochi guerrieri in una tale impresa?...” chiese
Aristomene e continuò “…Ogni città è divisa tra
rivoluzionari e
fedelissimi delle divinità.”
“Ho
un piano per riunire un’armata. Ma ho bisogno del vostro
aiuto. Partirete
domani, alle prime luci dell’alba.”
Dopo
che Sideris ebbe illustrato le fasi della sua strategia, i superstiti
allestirono esigui vettovagliamenti in quella zona. Erano abbastanza
modesti da
permetter loro di riprenderseli e ritirarsi velocemente in caso di
avvistamento
nemico. Non
prepararono neppure un
braciere per combattere il freddo notturno.
L’orso
Orico era scomparso tra le tenebre della foresta a caccia di selvaggina.
Nessuno
riuscì a trovare la serenità necessaria per
assopirsi. Oreste si era isolato su
un punto rialzato a contemplare l’infinità
dell’orizzonte. Pilade e Aristomene
stavano con i briganti Acheo, Ischi ed Elleno a ripeter loro le azioni
del
giorno che avrebbe seguito.Almo
e
Cercione provarono a prendere sonno sulle proprie brande, ma senza
alcun
risultato.
Sideris
era rimasto a gambe e braccia conserte, come fosse in meditazione. “Pensavo
che
quelli come te non avessero bisogno di dormire.”
osservò Soter.
“Sto
recuperando
le energie. Ma non è da intendersi come la concezione di
sonno che hanno gli
umani, anche se il fine è lo stesso.”
Rispose Sideris senza aprire gli occhi.
“Ho
una domanda
da farti. Quanto tempo fa sei stato creato dagli dei?”
“Il
tempo è un
concetto relativo, ma per come vuoi intenderlo…Le mie
origini risalgono a prima
della vostra storia” “Capisco. Dunque hai vissuto abbastanza da
vedere rapiti e uccisi tutti i ‘contenitori’ prima
di Pandora, giusto?” Chiese
Soter curioso e provocatorio.
“E’
esatto.” “E
cosa hai
fatto per impedirlo? Forse dormivi anche allora.”
“Se vuoi colpirmi con le tue parole, sappi
che sprechi il tuo fiato. E’ una lunga storia. Troppo lunga
perché sia narrata
e recepita in una sola notte, e non abbiamo tempo. Ti basti solo sapere
che perseguo
questa missione dai tempi di Elena di Troia. Sia lei che Elettra di
Micene furono
rapite per quanti sforzi potessimo fare.”
“Se
avevi la
capacità di trasformarti e compiere ciò che ti ho
visto fare, per quale motivo
non lo hai fatto prima per difendere Pandora?” Sideris
rimase in silenzio per qualche istante. Guardò con
intensità il palmo della
propria mano. “Prima
non
sapevo, ma ora ricordo.”
“Di cosa stai
parlando?”
“Non avevo
questa capacità prima che Deimos mi colpisse in testa
distruggendo parte del
mio cranio. Quel colpo deve aver annientato un…Limite che le
divinità avevano
imposto su di me prima che fuggissi dal loro dominio. Le mie reali
capacità
rimasero sopite per decadi... Prima di oggi.
Quando ogni
speranza sembrava essere perduta, ecco che la sorte
ricominciò a scorrere dalla
nostra parte.” Sideris
fissò il suo interlocutore, poi lo sguardo cadde
sull’armatura.
“Le
probabilità
che Deimos distruggesse quel limite, senza intaccare le zone vitali del
mio
cervello erano infime. Le probabilità che tu sopravvivessi
una volta ingoiato
dal mostro erano altrettanto basse. Tutto ciò è
accaduto affinché ti salvassi
la vita.”
Soter
constatò la verità nelle sue parole. Il demone
che faceva di lui il guerriero
maledetto lo aveva salvato da morte certa riuscendo, questa volta
più delle
altre, ad annichilire un’altissima probabilità di
morte.
“Ragazzo
tutte
le volte che ci sei di mezzo tu le leggi della statistica vengono meno.
Ho
osservato il tuo scontro con Phobos prima che si trasformasse.Anche allora ti salvasti
dalla morte con
l’ausilio del caso.
Credo ci sia
qualcosa in te…Un’ombra gigantesca che neppure io
riesco a sondare. Qualcosa di
così sconosciuto e nascosto che persino gli Olimpici hanno
ignorato.Ma il mio
è solo un vago presentimento derivato
da ciò che non riesco a comprendere.”
“Eppure
non mi
ha aiutato a salvare Pandora.”
“Se
davvero
questa cosa possiede una coscienza…Credo voglia unicamente
che tu resti in
vita, nient’altro.”
La
testa di Soter pulsava forte. Aveva combattuto intensamente quel giorno
e i
diversi chock che aveva subito lo avevano stremato. “Sono
stanco.
Vado a riposare.” Si
diresse verso la propria brandina.
Aveva intenzione di levarsi l’armatura ma la stanchezza
tradì le proprie
aspettative e crollando su di essa fu colto dall’abbraccio di
Morfeo.
Uno
strattone alla spalla lo fece ridestare. Con uno scatto felino si
rivoltò puntando
la spada alla gola di colui che aveva avuto l’ardore di
scuoterlo in modo così
brusco.
“C-Calmati”disse
Acheo, il giovane che lo aveva
svegliato.
“Dobbiamo
nasconderci! gli Innominati sono tornati!”
“Che cosa?!”
Si
guardò intorno. Era ancora buio, ma gli altri erano tutti
svegli e velocemente
stavano riprendendo il proprio equipaggiamento per correre nella zona
boschiva
vicina. La sua attenzione ricadde verso l’orizzonte, in
contemplazione di
qualcosa che sarebbe arrivata presto.
“Dove?” Si
rivolse al ragazzo.
“Lassù”
Indicò
un punto nero molto distante, tra le nubi, che andava contro vento.
Vista la
distanza e le spropositate dimensioni della figura non poteva di certo
essere
un uccello normale. Si chiese come avessero fatto a notare un
particolare così
piccolo nell’immensità della volta stellata in
un’ora così tarda, poi ripensò
alle nuove straordinarie capacità di Sideris.
Velocemente,
prese la sua roba e segui il gruppo verso la foresta.
Gli
uomini erano appostati dietro dei robusti tronchi d’albero a
controllare la
situazione.
L’aria
pareva tranquilla fin quando non si udirono dei forti stridii di rapace,
gli
stessi emessi dagli ippogrifi nel precedente attacco. Gli urli
animaleschi
facevano sussultare gli animi. Ischi sobbalzò e Cercione gli
pose una nerboruta
quanto salda mano sulla schiena per calmare i suoi tremori.
Affacciandosi
videro che l’essere volava basso come se fosse alla ricerca
di qualcuno.Ma
l’intero accampamento era stato
abbandonato e gli unici superstiti si nascondevano ora nella foresta.
Come pensavano,
la creatura era un ippogrifo.
Tutti
i rivoluzionari nascosti trattennero il fiato. Soter strinse
l’elsa della
propria spada.
“C’È
QUALCUNO!?” gridò il misterioso cavaliere in
groppa alla creatura.
Gli
astanti nascosti rimasero in silenzio.
“Se
c’è qualcuno mi risponda. Sono uno dei vostri. Ho
delle notizie.” continuava a gridare.
La
voce effettivamente non era nessuna di quelle degli Innominati
conosciuti da
Soter e Sideris, ma ciò non avrebbe certo implicato nulla.
Poteva essere un inganno
per farli uscire allo scoperto.
Non
sapendo come reagire i falchi guardarono tutti il Falcone, in attesa di
un
comando. L’uomo si affacciò quel che bastava per
inquadrare il cavaliere
volante. Dopo alcuni istanti uscì allo scoperto.
“Cosa
fai? È rischioso!” protestò Soter.
“È
disarmato.” Rispose Sideris.“Vestito
solo di pelli e stoffa. Non ha nulla con cui minacciarci se non la
bestia
stessa. Non abbiamo motivo di preoccupazione.”
Come
poteva averlo notato da quella distanza? Si chiese Soter. Poi si
rispose da
solo.
Il
Falcone trascendeva ogni normale capacità umana e anche la
sua vista era
sovrannaturale.
Uno
ad uno i soldati seguirono il loro capo, e infine anche Soter
uscì dal
nascondiglio.
Il
cavaliere volante che li aveva individuati dopo un paio di larghe
manovre
atterrò sul punto più alto della zona rialzata
attigua all’accampamento.
La
creatura , maestosa e imponente, dall’alto dei suoi cinque
metri dominava
l’intera vallata con lo sguardo.Era uno
stallone bianco di forme e proporzioni grandiose. Se anche avesse avuto
delle
dimensioni normali, sarebbe stato comunque e con ogni
probabilità il maschio
alpha di un branco. I suoi muscoli marmorei e madidi di sudore
brillavano di
una luce di surreale magnificenza sotto i pallidi raggi di una luna
calante.Il suo
cavaliere dovette usare
delle scale a pioli per scendere dal suo dorso.
L’ippogrifo
scalciò e sbuffò chiaramente innervosito dalla
presenza vicina dei
rivoluzionari. Gli
uomini guardarono la bestia con reverenziale timore. La sua
magnificenza levava il fiato.
“Calmati, PEGASO!” disse il
cavaliere
cercando di acquietare la sua bestia. Poi si voltò.
Aristomene
lo riconobbe. “Bellerofonte!”
“Comandante!” Gli
altri seguirono la scena, confusi. Aristomene spiegò
“è uno stalliere sotto il
mio comando, un allevatore di…Cavalli”.
Guardarono
la maestosa belva alata che dacché pareva minacciosa e
terribile poco prima,
adesso, sotto la mano rasserenante del nuovo padrone appariva calma e
mansueta.Comunque
i presenti si avvicinarono con
cautela.
“Aveva perso il suo cavaliere Innominato. Era
come imbizzarrito, ma io sono riuscito a domarlo!” Spiegò
Bellerofonte.
“Incredibile…” fu la
reazione di quasi
tutti i presenti. Soter
a cui, da Innominato, non era stato mai né
concesso né mostrato nulla di simile restò senza
fiato. Persino
Sideris rimase costernato. Per quanto tempo avesse vissuto
su quel mondo, gli esseri umani alla fine trovavano sempre un modo per
sbalordirlo. Rimase comunque composto.
“Hai
detto che
avevi delle notizie, recluta.”
Esordì. “Parla
Bellerofonte
si mise sull’attenti davanti all’enorme mole del
Falcone.
“Poco
dopo lo
scontro li ho seguiti…Gli Innominati intendo.”
“E cosa hai
scoperto?”
“Sono andati a Sparta. Nel palazzo di Ares. Sono rimasto a controllare la zona qualche
tempo ma non si sono spostati di lì”
Sideris
era confuso. Perché non portare la donna direttamente
sull’Olimpo? Che piani
avevano per lei? Non poteva dare nulla per certo ma comunque aveva
ottenuto un'
informazione che avrebbe dato loro un piccolo vantaggio.
“Ottimo
lavoro.”
Si
avvicinò al cavallo alato con una mano protesa, ma a pochi
passi di distanza la
bestia stridette minacciosa. “Sembra
proprio
che la creatura riconosca solo te come padrone.” Disse
Sideris al ragazzo.
Bellerofonte
guardò la sua nuova cavalcatura orgoglioso
dell’impresa compiuta.
“Non è stato facile.”
Commentò senza
superbia “ma adesso io e Pegaso siamo grandi amici.”
L’ippogrifo
sbuffò.
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Parentesi
anacronistiche 4:
Armamentario
3: la frusta di Varsos
Il
manico della frusta è l’oggetto tecnologicamente
avanzato di Varsos. Dalla punta di esso è possibile
riprodurre fino a quattro proiezioni
illusorie della stessa frusta. Il manico contiene il thong,
cioè l’intero corpo
della frusta, super-compresso al suo interno.
Dall’impugnatura è possibile
tramite un pulsante, estendere la parte superiore in modo proporzionale
al
tempo in cui lo si è lasciato premuto. Quando si rilascia,
la frusta si
stabilizza a quelle dimensioni
Ha
una lunghezza massima che arriva a diversi
chilometri.
I
bagliori di un tiepido mattino tinsero di rosati riflessi gli erbosi
prati che
attorniavano il gruppo di falchi accasermati poco lontano
dall’ormai fatiscente
accampamento. Alcuni di loro notarono solo ora, con i chiarori del
giorno, i
sublimi boccioli di fiori che in sinergia con i barlumi del sole
formavano un
caleidoscopio di colori impressionante.
Soter
era sveglio. Sideris lo era sempre stato. Quella prima luce
dell’alba avrebbe
lanciato loro il segnale per dare inizio al contrattacco.
Il
periodo degli indugi era terminato. Ora era tempo per Sideris di
risvegliare
l’ombra del Falco. Un’ombra fatta di uomini e
donne, lance e spade. La grande
armata finalmente sarebbe sorta dall’oscurità per
gridare ai loro nemici che
avrebbero anche potuto strappar loro la vita, ma mai avrebbero quietato
la voce
di chi combatte per un ideale, per un valore, per la
libertà. Ciò per cui si
sarebbero trascesi i propri limiti.
Ma
in che modo riconvertire le anime spaventate di coloro che avevano
abbracciato
la causa del Falcoe
in che modo aprire
gli occhi a tutti quelli che non l’avevano fatto quandanche i
più fedeli tra i
rivoluzionari, annichiliti dallo strapotere degli Olimpici, avevano
voltato la
faccia al Falcone Nero per salvare le proprie famiglie dalla
distruzione?
“Scambierò
il
terrore reverenziale che ha messo in ginocchio gli uomini, con la
speranza” Proferì
sommessamente il Falcone verso i suoi prodi guerrieri. Erano gli ultimi
rimasti
ma allo stesso tempo i primi…Della grande armata che avrebbe
raccolto.
“…La
speranza
che darò alle popolazioni sarà così
incandescente da riuscire ad avvampare
persino la gelida morsa di paura con cui Zeus tiene avvinto il
mondo.”
La
compagnia di sopravvissuti si scioglie.
Ora
i falchi, rispettando un preciso piano di Sideris, sono in viaggio
verso
regioni diverse per raccogliere sotto la propria autorità
tutti coloro che
sarebbero stati pronti a combattere per la salvezza.
“Se
volete la
pace, preparatevi alla guerra.”
Oreste
viaggiava a nord con Pilade, diretti entrambi verso
l’Agrolide, alla
riconquista del proprio regno di cui era legittimo erede.
Cercione
e Almo accompagnati
dall’orso Orico, avrebbero
girato le boscose colline dell’Arcadia per richiamare gli
oltre quattromila soldati sparsi, secondo disposizione di Sideris, per
tutta la
regione.
Aristomene
era diretto a sudovest, verso la Messenia, dove oltre
centocinquantamila uomini
e donne, ridotti a iloti da Sparta, agognavano la distruzione della
città.
Acheo,
Ischi ed Elleno sarebbero andati a nord alla ricerca di altri alleati.
“La libertà, così fugace,
illusoria”
Commentò Sideris mentre anche Bellerofonte spiccava il volo
assieme alla sua
cavalcatura. A lui spettava il viaggio più lungo. Si sarebbe
dovuto recare
nella lontana Licia, a comunicare la notizia nelle varie corti
cittadine della
morte di diversi oligarchi che erano partiti per l’ideale
rivoluzionario.
Soter
e Sideris erano rimasti soli. Rimasero a guardare il cavallo alato che
spariva
nell’orizzonte diretto verso oriente, mentre l’alba
adesso incombeva imponente
su gran parte della regione.
“Ti
fidi
veramente di loro?”
“Innominato,
le
loro Ragioni sono salde quanto le tue. Non credere di essere
l’unico al mondo
che combatte per qualcosa di più che per la propria semplice
esistenza. Io sono
in grado di leggere nell’animo delle persone e decifrare le
loro vere
intenzioni. Se dicono il vero o mentono, posso sentirlo
sempre.” Soter
sbuffò.
“Che
ne può
capire un mostro della falsità che si cela
nell’uomo?”
Sideris
ignorò l’ingiuria e si mise in marcia.
“E
noi dove
siamo diretti!? Verso il Monte Olimpo?” “Pensavo che lo avessi capito: non possiamo
andare…”
Fu
bloccato da un improvviso oscurarsi del sole. Il cielo, dapprima
limpido e
immacolato. venne coperto da degli immani e plumbei cumulonembi di una
densità
paurosa. Come promesso da Zeus, si stava ripetendo nuovamente la
tragedia del
giorno precedente. Il re degli dei avrebbe esatto un nuovo tributo di
sangue e
vite umane. La scomparsa di un’altra polis avrebbe fatto da
ulteriore monito
per tutti gli uomini.
Dall’ammasso
di nembi fuoriuscì un fascio di energia che colpi il mondo
da qualche parte. Un
roboante fragore sconvolse Soter, che fu costretto a coprirsi le
orecchie con
le mani. La terra sotto i suoi piedi tremò.
Sideris
rimase immobile, non si scompose di un millimetro.
Pochi
minuti dopo le nuvole si disparsero nell’aria e il cielo
tornò a essere sereno
e trasparente come se nulla fosse accaduto.
“L’esplosione è avvenuta a
circa 18,25
chilometri da qui. La città di Astron è stata
rasa al suolo.”
Annunciò
Sideris, le cui capacità matematiche gli permettevano di
valutare con assoluta
precisione le distanze. “Ma
c’è qualcosa
che non riesco a comprendere.” Continuò
“Se hanno preso Pandora allora che
senso ha che Zeus continui a distruggere le città? Con ogni
probabilità gli
Innominati non l’hanno condotta a lui.”
“Che cosa?”
“Ci
sono alte
probabilità che Pandora sia ancora qui nel Peloponneso e non
sul Monte Olimpo.
Zeus non sa ancora dov’è. Ciò vuol dire
che forse abbiamo più tempo del
previsto.”
“Se è così, vuol
dire che si trova ancora a Sparta. A circa 40 chilometri da qui.
È li che
dobbiamo andare”
Sideris
lo guardò intensamente. Il magnetico
carisma che scaturiva dai suoi occhi era di una tale travolgente
potenza che
persino uno come Soter dovette distogliere lo sguardo.
“Se
vuoi andare, fa pure. Ma sappi che, per quanto il fato abbia voluto la
tua
sopravvivenza fino ad ora , se andrai a Sparta morirai. È il
potere di Ares in
persona che vuoi sfidare. Non hai alcuna possibilità adesso.
Né tu, né io, né nessun
uomo al mondo. Preferirei
invece che tu mi segua nel mio viaggio. Sono sicuro che con te al mio
fianco,
avrò maggiori probabilità di successo.
A
te la scelta.”
“Mi
stai chiedendo di scegliere tra te e Pandora?” Rise
l’Innominato. “Ti
sto chiedendo di scegliere tra la vita e la morte. Perché se
decidi di andare a
Sparta, non riuscirai raggiungere la tua amata nemmeno con lo
sguardo.”
Adesso
l’uomo gli aveva voltato le spalle
e aveva preso a viaggiare per la propria strada.
Soter rimase a guardarlo. L’attrazione
magnetica con cui quell’essere lo stava richiamando a
sé era più forte di
qualsiasi altra cosa. Tutto
gli diceva
di cogliere l’attimo e seguirlo subito poiché
sotto la sua guida gli uomini
avrebbero potuto rivoltare le sorti di un destino di morte e
distruzione che
pareva già essere scritto. Avrebbero potuto vincere.
Soter lo avvertiva come un presagio. Una
speranza folle.
Avvertì un formicolio lungo tutta la
schiena.
“Maledizione!” Ringhiò,
seguendo il capo della
rivoluzione.
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Parentesi
anacronistiche 5:
Arpie:
Pipistrelli
vampiro delle dimensioni di poco più di cinque centimetri,
su cui sono state
fatte sperimentazioni genetiche: disinibizione dei geni che regolano la
fame e
l’aggressività. E tramite la tecnica della
transgenesi (inserimento di geni
provenienti da organismi diversi nel genoma di un dato organismo) hanno
acquisito
sostitutivamente alla loro vista cieca, la visione termica che
è peculiare
nelle zanzare.
Il
risultato di queste sperimentazioni ha dato luogo a sciamate di questi
organismi con una foga incontrollata di divorare, e prosciugare del proprio sangue qualsiasi altro organismo si trovi sulla loro strada lasciando
dietro
di sé solo una scia di cadaveri.
Per
essere in grado di controllare questi sciami distruttivi si deve far
uso di due
oggetti.Una
lozione, da cospargersi sul
corpo, che funga da isolante termico per ingannare la visione termica
delle
arpie, e risultare quindi invisibili. Un fischietto in grado di
emettere
ultrasuoni, richiamando perciò le creature a sé,
le quali divoreranno qualsiasi
cosa si trovi intorno.
Pandora
aprì gli occhi nel momento stesso in cui i mostruosi cavalli
alati atterrarono
su una superficie marmorea.
Era
così terrorizzata dalla sua precedente condizione da aver
perso temporaneamente
i sensi. L’aria rarefatta di quell’alta quota,
mista allo spavento di aver
raggiunto una tale altezza e ai continui sobbalzi della bestia che la
trasportava, l’avevano rintronata.
La
prigione di corde che la avvinghiava eral’unico appiglio che la separasse da un volo
mortale.
Si
trovava ancora avviluppata a una specie di rete per pescatori, saldata
su una
delle cinghie che legavano la sella sul dorso dell’equino
volante.
Dopo
che l’ippogrifo toccò terra, il suo cavaliere,
Deimos scese dalla sua groppa
per avvicinarsi alla prigioniera. Slegò il laccio che teneva
la rete avvinta al
destriero, prese Pandora e, come se non avesse peso, la
gettò a terra senza
premure.
La
ragazza, frastornata da quell’ultimo strattone,
rigettò tutto il contenuto del
suo stomaco sulla lucida piattaforma di marmo.
La
vasta balconata su cui si trovavano faceva parte del settore privato
del
palazzo di Ares. Difatti la sua ubicazione era celata, e ogni lato
della sua
forma rettangolare era ombreggiato da un muro.
Il
gigante Gamacton, che aveva perso la sua cavalcatura durante la
battaglia, si
trovava sulla stessa bestia che cavalcava Kyros. Il poeta
smontò da cavallo
utilizzando una scaletta a pioli legata alla sua sella,
poiché la bestia era
troppo alta da consentirgli di farlo nel modo convenzionale.Gamacton invece poteva
permetterselo. Con un
violento strattone balzò a terra, facendo sbilanciare la
creatura che
nitrìper
lo spavento.
Kyros
che a causa di quella manovra avrebbe rischiato di cadere a terra lo
guardò con
aria torva. Poi si ricompose e si rivolse agli altri due compagni.
“Un’ode
voi o
amici e antichi re. Abbiamo vinto!
È stato un
grand’onore per me, sono contento!
La vostra abilità
eguaglia di certo la vostra fama,
non per nulla da
secoli la gente vi loda e v’ acclama.
Ahime mi spiace
per la perdita del vostro parente.
Il ricordo del
suo eroismo mi rimarrà per sempre in mente”
“Fa
silenzio, saltimbanco…” Disse Deimos mentre
slegava Pandora.
Enio
l’Urlo rimase in silenzio, poi accortasi
dell’arrivo di una presenza si mise
sull’attenti.
La
donna era la più diligente tra gli Innominati e la
più solerte nel rispetto della
gerarchia, anche perché non spiccicava una parola, quindi
non faceva domande ma
eseguiva soltanto.
Gli
altri si rivolsero verso quella presenza senza concederle il rispetto
che la
sua autorità meritava.
Eris,
la sacerdotessa di Ares e sua intermediaria, era in piedi davanti a
loro. Non
fece caso all’irriverenza degli altri sottoposti. In altri
casi avrebbe
distrutto chiunque avesse osato mancarle di rispetto anche solo con uno
sguardo, ma sapeva bene quanto il suo padrone considerasse importanti
quegli
uomini.
Era
tuttavia chiaramente contrariata dal trattamento aggressivo che Deimos
stava
riservando alla prigioniera. Ma nonostante questo, l’aver
adempito la propria
missione la frenò dal rimproverarlo. Inoltre, nonostante la
propria carica
privilegiata, non voleva provocare il sanguinario e imprevedibile Re
del
Terrore causando problemi ad Ares.
“Non
vedo Phobos
tra voi”esordì la
sacerdotessa. “Ha
fallito.” Commentò
secco,
suo fratello Deimos. “Non lo vedrai
più.”
Liberò
la ragazza dalla prigionia e con un calcio la fece rotolare verso Eris.
A
questo punto la sacerdotessa non poté più
trattenersi.
“Come osi!? Questa donna
è di grande
importanza per Ares!” “Allora
riprenditela in fretta. Io non so che farmene! Ora voglio la mia
ricompensa.”
La
ricompensa. È vero. Gli Innominati
non erano uomini qualunque: erano spietati mercenari che non
paventavano la
morte e non desideravano i valori che la vita poteva offrirgli.
Ciò li rendeva
indomabili persino per il dio della guerra, che per assoggettarli
avrebbe
dovuto accontentare le loro brame per le quali combattevano con tutto
loro
stessi.Inoltre
quelle tre nuove
aggiunte avevano già conosciuto la morte, e grazie al dio
della guerra
l’avevano sconfitta.
La
donna schioccò le dita, e
dall’oscurità di un passaggio uscirono delle
figure incappucciate, suoi
servitori che afferrarono Pandora e la portarono dentro.
“Troverai
ciò che cerchi nella sala termale”
Disse Eris. E rientrò nell’edificio.
Deimos con un ghigno seguì la
sacerdotessa, ed Enio a sua volta.
Kyros
rimase indietro e a quell’ultima
frase rabbrividì.Era
venuto a sapere
qual era il cocente desiderio per cui si crogiolava Deimos.
“Se
i testi degli antichi tomi ci narrano il vero C’era
una cosa, ricordo, che sollazzava il Re del Terrore:
nuotar
nel sangue degli uomini e fagocitar cadaveri per intero.
Questo
è il motivo che lo rese noto, il suo aberrante
piacere.”
Pandora
non ricordò molto di quanto aveva
camminato e di quanti corridoi aveva percorso.Gli interni del palazzo di Ares, che nessuno aveva mai
veduto, parevano
essere dei labirinti di lunghezza spropositata. Due
figure incappucciate la tenevano per le
braccia trascinandola per tutto il tragitto, e davanti, a guidare il
gruppo, c’era
una donna che non aveva mai visto, la quale poco prima aveva impartito
degli
ordini agli Innominati.
Quale
sarebbe stato il suo destino?
La sua vista era annebbiata e per sua fortuna
non era abbastanza lucida da dare una risposta a quella domanda. Anche
se
poteva intuire che la morte sarebbe stata di gran lunga preferibile.
Girato
l’angolo, si ritrovò in una
stanza più vasta. Al suo centro c’era
un’unica porta, o meglio un portone di
grande altezza e finemente decorato.
“Siamo
giunti” Disse
Eris.
La
sacerdotessa si avvicinò a un
pertugio a un angolo. Si protese in avanti con il volto, spalancando
gli occhi,
quasi come scrutasse qualcosa. Poi poggiò entrambe le mani
su un ripiano e, dopo
alcuni istanti, con un rombo cavernoso la porta incominciò
ad aprirsi da sola.
Magia divina.
“Dove…Dove
mi portate?”
Riuscì a dire la prigioniera. Ma nessuno rispose. Le figure
incappucciate la
trascinavano nell’oscurità di
quell’apertura calandola per terra.
Eris rimase a guardarla anche mentre le
due grandi ante della porta le si richiudevano davanti, lasciando
Pandora nell’oscurità
più totale.
Quando si risveglio la luce aveva invaso
il luogo dentro cui si ritrovava. La vista di ciò che si
ritrovò innanzi, la
rintronò ancora di più. Erano come gli interni di
una lussuosa villa: vaste
stanze, raffinate colonne corinzie, e scalinate marmoree che portavano
a un’ampia
balconata. Tutto era illuminato dalla luce di un sole tiepido e
piacevole. Non
c’era nulla di terribile in quella visione.
Quasi
arrivò a credere che fosse stato
tutto un lungo sogno di un’altra vita. O forse era
già morta e quelli erano i Campi
Elisi?
Davanti a lei si gloriava il trionfo della natura. Le montagne
granitiche giganteggiavano
su una vallata, lussureggianti selve la ricoprivano accompagnati da
torrenti e fiumiciattoli.
Niente che l’uomo non avesse intaccato.
Spalancò
le braccia, mentre il vento le
carezzava i capelli e l’astro lucente le baciava la fronte.
Le sue candide
vesti le svolazzarono attorno, anch’esse coinvolte nella
danza dell’aria.
Non ebbe alcuna preoccupazione, nessun
timore. Per un attimo fu felice.
Solo un attimo.
“Ti
piace questo posto?” Avvertì
una voce alle spalle che la
distolse dal suo sogno.
Si voltò di scatto. C’era
un uomo poggiato su una delle colonne. Un
ragazzo piacente dai folti capelli neri la stava fissando con
penetranti occhi
bruni. Attorno a lui poteva avvertire qualcosa di indefinibile. Un
alone, un’aura
dorata calda e benevola.
Pandora
lo guardò rapita e spaventata.
“Dove
mi trovo?”
L’uomo
le sorrise amabilmente mentre con
cautela fece un paio di passi verso di lei. “Sarai
al sicuro qui, non temere. Nessuno ti troverà. Neppure
l’Olimpo”
La
donna era sempre più confusa. Da chi
era stata catturata e perché?
“Ma
tu chi sei?” Gli chiese, senza rendersi conto che
intanto l’uomo aveva già
percorso la poca distanza che li separava e ora le si ritrovava a pochi
centimetri.
L’uomo
le carezzò la guancia con un
dito.
“Mi
hanno chiamato con innumerevoli nomi nel corso dei secoli. Epiteti
irriverenti e
brutali e sanguinari e temibili…Ma tu non devi temere il mio
nome. Sarò per te
tutto ciò che ti separa dalla felicità che non
hai mai potuto ottenere.”
Sotto
la tabarda e le eleganti stoffe di
cui l’uomo era vestito Pandora vide un’armatura
lucente e troppo perfetta per
essere del mondo mortale. Ogni cosa le lasciò intendere che
colui che aveva
davanti non era un uomo.
Pandora arretrò spaventata. Aveva capito
tutto.
“Non
so cosa avete in mente tu e l’Olimpo,
ma non mi lascerò ingannare. Il tuo nome è Ares e
io lo so per certo. Non c’è
niente di umano in te! Né il tuo aspetto, né il
tuo odore né la tua presenza. Mi volevate? Ebbene sono vostra. Uccidetemi ora
ma
finitela con questa tortura!”
L’uomo
si rattristò da quell’ultimo
sfogo.
“Non voglio ucciderti, né torturarti.”
Si avvicinò ancora a lei.
“Stammi lontano!” Gli
urlò. “Siete
solo assassini
e bugiardi. Non
c’è niente di vero nelle vostre parole e se non
avete intenzioni di uccidermi,
lo farò io stessa”
Pandora
si voltò alle sue spalle,
correndo verso la balconata che s’affacciava
sull’infinità della natura. La
disperazione non la fece esitare un solo istante. Nel momento in cui
con un
salto il suo piede si poggiò sulla ringhiera e
l’altro verso il vuoto, il suo
corpo sbalzò all’indietro, come trattenuto da un
muro di forza.
La
donna precipitò sul marmo bianco del
balcone, ma non avvertì alcun dolore. Come se, nel momento
in cui il suo corpo
collise con violenza sul pavimento, quest’ultimo
frenò di propria iniziativa la
caduta adagiandola piano sulla superficie.
Ares
rimase a guardarla per nulla
meravigliato. Sembrava aver previsto quell’istinto suicida e
aveva fatto in
modo che non avesse alcun esito.
“Spero
che ti troverai bene qui…”Commentò
dispiaciuto. “…Farò in modo di darti tutto
ciò che
necessiti. Questi sono i tuoi appartamenti, sentiti libera di andare
dove vuoi.”
Detto questo, le voltò le spalle e sparì dietro
le colonne così come era
comparso, mentre Pandora rimase accasciata a terra cercando di arginare
la
propria disperazione e il proprio pianto scavandosi il volto con le mani.
Ares
si trovava seduto sul suo scranno,
da qualche parte nel suo immenso palazzo, avvolto dalle
oscurità entro cui si
sentiva ora a proprio agio. Il volto corrucciato e pieno di dolore. Con
una
mano si coprì il viso.
“Ho
visto come la guardavi! Che intenzioni hai con lei?”
Gli
gridò una voce femminile tra quelle
ombre. Ares riconobbe subito il profumo e la musicalità
della sua voce, anche
quando era infuriata.
La bellissima Afrodite era in piedi
davanti a lui. Nei suoi occhi meravigliosi scorreva la rabbia derivata
dalla
gelosia della loro nuova ospite.
“Voglio
soltanto che rimanga celata all’Olimpo. Voglio solo
continuare a vivere sereno
con te, mio amore. Evitare che questo mondo ci crolli addosso a causa
della
pazzia di Zeus.”
“C’è
dell’altro tra voi. Lo sento.”
Ares
si voltò verso il suo viso accaldato
da quel furore e sostenne il suo sguardo. Si alzò in piedi e
con le mani le cinse
le gote. “Ci
sei solo tu! Mia regina, mia dea, mio amore, sei la mia vita e tutto
ciò che è
al di fuori di te vive solo per preservare la nostra unione.”
Lo
sguardo infervorato della dea della bellezza
si fece più calmo e si addolcì a quelle parole.
Le sue dita sottili e soavi si
avvolsero ai polsi del dio.
“Ti
credo, amore mio. E farò in modo di esserti complice per
tutta l’eternità. Farò
in modo che l’Olimpo non sappia mai del luogo in cui
è nascosta quella ragazza.” Ares
le sorrise lasciandola andare
dolcemente. La dea gli ricambiò il sorriso e soddisfatta gli
diede le spalle
allontanandosi.
Ma prima di raggiungere l’uscio esitò
qualche istante. Si voltò verso di lui.
La
sua espressione era deformata nella
smorfia più crudele e spietata che la dea avesse mai
assunto. I suoi occhi
erano pieni di odio e risaltavano dei riflessi di malvagità
innaturale. Ares
sussultò.
“…Ma
se oserai anche solo guardarla in quel modo, ella
morirà”
E
i tratti della sua voce, fino a poco
prima musicale e melodiosa, divennero oltremodo striduli e sinistri.
Parentesi
anacronistiche 6:
Mostri
1
Cleobi
e Bitone
I
laboratori divini hanno sviluppato nuove sostanze in grado di demolire
una
parte del dna dell’individuo, per riconfigurarne i legami e
le basi.
Gli
individui a cui è stato concesso questo privilegio sono
stati selezionati e
rapiti dalle divinità, e provengono da tutte le classi
sociali. Il loro
obiettivo è servire l’Olimpo e controllare il
lavoro degli altri esseri umani.
L’oggetto
che rilascia la sostanza è stato innescato all’interno
dell’individuo e si attiva solo
in caso di forte carica adrenalinica oppure con uno sforzo di
volontà.
Nella
sostanza sono presenti dei mutageni, in questo caso delle nano-macchine
in
grado di emettere potenti radiazioni atte a modificare il dna, prima di
essere
espulsi dall’organismo.
In
questo modo è stato possibile progettare dei mostri
geneticamente modificati usando
il corpo umano come base.
Cleobi
e Bitone, posti davanti alla morte, furono soggetti ad una forte spinta
di
adrenalina che portò all’attivazione dei mutageni.
I
geni mutati si vanno a incastonare perfettamente con la parte coinvolta
di dna
evitando quindi di creare degli aborti aberranti ma conferendo
unicamente
qualità predominanti che non vadano in conflitto con quelle
già possedute.
Il
modello usato da Cleobi e Bitone, oltre a conferire loro la forma di
somari,
era anche un inibitore di miostatina: cioè permetteva uno
sviluppo muscolare ed
una crescita spropositata rispetto al modello iniziale. Inoltre ogni
errore
genetico, malattia ereditaria o difetto fisico viene cancellato dalle
radiazioni permettendo uno sviluppo consistente dei cinque sensi e un
maggiore
controllo della capacità muscolare e mentale.
------------------ Miostatina
inibita
Nei
tre giorni
che seguirono, furono rase al suolo altrettante polis.
Il
terrore con
il quale ora l’Olimpo attanagliava
l’umanità era più forte che mai.
Dalla
villa
più lussuosa al tugurio più fatiscente, ovunque
regnava l’impotenza. Dall’umile
pastore al temerario condottiero di guerra, nessuno aveva
possibilità di
salvezza. L’incapacità di evitare la morte di
amici e parenti era un macigno
che gravava ora su chiunque.
Zeus
non
esitava un momento, a rammentare all’umanità
quanto poco valesse per lui, e
quanto quegli esseri fossero patetici e insignificanti. Neutralizzati
freddamente come lo sono gli insetti dall’uomo. Scacciati
dalle loro case e
minacciati di estinzione tutti i giorni.
Ogni
città era
stata messa in subbuglio per trovare il ricercato numero uno di tutta
la
Grecia, la cui irreperibilità aveva portato
l’Olimpo a prendere in ostaggio
l’umanità intera. Fu il terrore e la lotta per la
sopravvivenza a riportare la
civiltà a uno stato barbarico. Chiunque fosse sospettato di
essere affiliato al
Falcone Nero era additato e messo alla gogna da coloro che fino il
giorno prima
erano amici.
Gli
eserciti
di tutta la Grecia si erano mobilitati, coordinati dai re di Sparta e
dal
governo di Atene, sulle tracce dei ricercati. Per ottenere la minima
informazione, furono torturati e uccisi centinaia di uomini, ritenuti
sospetti,
assieme alle loro famiglie. Ma nessuno sapeva dare informazioni
veritiere su di
lui.
Come
spesso
accade, per far placare le torture, molti confessarono il falso.
Alcuni si
tolsero la vita per paura di vivere.
Ma
altri,
pochi, continuavano a combattere per la propria libertà.
“Gli
uomini sono deboli. Hanno sempre preferito barattare la sicurezza per
la
libertà. Ma così facendo non otterranno mai
né l’una né l’altra. Se ne
stanno
accorgendo solo ora, di fronte all’annientamento.” Commentò
Almo fissando da una collina
gli stendardi rivoluzionari di tutta l’Arcadia. Li aveva
riuniti.
“È
per questo motivo che abbiamo mentito a tutti?”
rispose Cercione
con fare provocatorio.
Almo strinse gli occhi. “Il
Falcone è molto astuto. Ha capito che non avremmo mai potuto
convincerli con la
verità. Non se l’Olimpo ci minaccia di sterminio.
Era chiaro che qualcuno
avrebbe provato a tradirci se avessimo detto di essere ancora al
servizio della
rivoluzione.”
“Per
questo abbiamo fatto credere di essere diventati araldi inviati dagli
dei per condurli
alla ricerca di Sideris… E tutti loro hanno accettato ben
felici di avere una
guida.” Replicò
Cercione
sconsolato dall’ipocrisia e dal tradimento di coloro che un
tempo formavano il
suo esercito rivoluzionario.
Almo gli buttò una mano sulla spalla. “Non prendertela, amico. Gli uomini
sono fatti
così.”
Cercione
fissò la spada scintillante,
chiaramente di fattura divina, che Almo riponeva nella fodera. Poi
abbassò lo
sguardo verso la propria cintura.
Gli bastò uno sforzo di volontà per fare
in modo che una grossa coda metallica, similare a quella di un drago,
attaccata
ad essa, si protendesse verso l’alto.
Con
riverente timore gli uomini lo
avevano soprannominato “Il Caudato”, quando egli,
assieme al compagno Almo, si
diresse verso i vari schieramenti rivoluzionari per riunirli sotto il
suo
comando dietro una menzogna. Ma non tutti però credettero
che Cercione potesse
essere in verità un araldo degli dei, e alcuni lo
attaccarono senza aspettar
replica.
Da
sotto l’abito del luogotenente
rivoluzionario fuoriuscì una sorta di coda draconica, che
fulmineamente, con una
spazzata, lacerò le carni degli aggressori imbrattandosi del
primo sangue…
Cercione
ritornò al presente.
“Stento
a credere che Sideris avesse calcolato tutto sin dall’inizio.Se non ci avesse dato la
mappa dove era
tracciata la posizione di quelle armi e non le avessimo trovate, di
certo
nessuno avrebbe mai creduto alla nostra menzogna. Chissà
dove ha trovato
artefatti simili e da quanto tempo li aveva tenuti nascosti sotto
terra?”
Almo
impugnò l’elsa della sua spada e la
rivolse al cielo. La lama si rivesti di una luce verde acqua. Di una
tonalità
tranquilla e rilassante.
“Doveva
averle nascoste durante le nostre peregrinazioni per tenerle pronte nel
momento
opportuno. Ora che il momento è arrivato e che noi pochi ci
siamo dimostrati
fedeli a lui anche nella situazione più disperata, ha deciso
di darci la piena
autonomia sui suoi eserciti e questi doni straordinari.”
Cercione annuì, restando a guardare gli oltre quattromila
uomini accampati su
tutto il territorio con centinaia di bracieri accesi.
Alle loro spalle l’orso Orico ruggì
dichiarando la sua presenza. Le zanne imbrattate di sangue dimostravano
che
aveva appena divorato la sua cena. Al collo teneva ancora il vaso con
le spoglie
di Ermes.
“Spero
che stia andando bene anche agli altri”
disse Almo.
------------------------------
Un
grande sole cocente ardeva sulla
piana di Micene. In cielo, diversi rapaci necrofagi erano stati
attratti dalla
morte fresca che era stata poco prima impartita su quelle terre.
Diversi
cadaveri marcescenti erano appesi ad altrettanti pali e rappresentavano
uno
scenario raccapricciante per qualunque viandante. I corpi inverecondi
costeggiavano
tutta la strada che dava alla città.
La
luce dell’astro rifletteva forte sulle
armature e sugli scudi delle schiere di opliti che si trovavano
disposti
attorno alla città per arginare le cariche della popolazione
irrequieta. “Vogliamo
giustizia! Giustizia contro Clitennestra”.
“Avete
ucciso i miei figli solo per un sospetto!”
“Assassini!
Avete distrutto intere famiglie!”
Le
poche centinaia di opliti sembravano
scogli inamovibili contro cui si battevano i pugni della smagrita e
affranta
popolazione. La plebe incominciò a lanciare pietre che si
riversarono come
pioggia sui soldati.A
questo tipo di
attacco i soldati furono molto più vulnerabili.
Qualcuno
sulle retrovie, sorpreso dal
lancio, stramazzò al suolo dopo essere stato colpito in
testa. A quel punto, un
comando ordinò agli opliti di attaccare.
La fila di scudi colpì forte gli inermi
corpi della popolazione. Molti cascarono a terra, altri furono
spintonati. Le
lance dei soldati misero fine alle vite dei più vicini.
Tutti gli altri
arretrarono spaventati.
In
mezzo a quell’accozzaglia di umanità
sventurata si fecero strada due figure avvolte di neri mantelli che ne
celavano
il volto. I due si fermarono davanti alla folla a qualche metro dalla
fila di
scudi.
“Che
cessi questa follia!”
Gridò uno dei due.“Comandante! Fa
ritirare i tuoi uomini immediatamente.”
L’uomo
con indosso l’elmo da comandante
non ebbe reazione:“Chi credi di essere, pezzente? L’unica
autorità che riconosco è quella
di Egisto, signore di Micene e dell’Agrolide, e della sua
regina Clitennestra”
L’uomo
incappucciato si scoprì il
viso. “Risponderai
all’autorità del figlio di Agamennone, Oreste,
legittimo erede al trono di
tutta l’Agrolide.” I
soldati ammutolirono sbalorditi e
abbassarono le loro armi.
Il
comandante altrettanto sorpreso
rimase a scrutare i lineamenti del giovane e del suo compagno che
intanto si era
anche egli scoperto. “E
io sono Pilade, suo cugino, e legittimo erede al trono del regno della
Focide.”
Gli
opliti restarono in attesa di un
comando del loro superiore che rimase a guardarli.
Incominciò a sogghignare
“E
io sono Licinnio, il Lawaghetas al comando dell’esercito. Poco
furbo da parte vostra presentarvi da soli innanzi alle porte di Micene.
In
quanto figli di traditori dell’Olimpo e quindi di tutta la
Grecia, la regina
Clitennestra vi vuole morti!”
Puntò
la spada verso i due rampolli, e
tutto l’esercito seguì il suo gesto incominciando
ad attorniarli.
Oreste e Pilade rimasero
imperscrutabili. Erano preparati a quella reazione.
“La
regina sarà felice di avere in dono le vostre teste su un
piatto d’argento” Seguitò
il generale facendo cenno ai
suoi uomini di incombere su di loro.
Dalla
cappa Oreste tirò fuori un grande
arco scintillante. O meglio, un’astrusa struttura dalla forma
di un arco al cui
centro vi era un grosso buco, ma era privo di corda per tendere le
frecce.
Non ne aveva bisogno.
Con
la mano sinistra puntò l’arma verso
gli assalitori e con la destra, ricoperta da un guanto, fece uno strano gesto con
tre dita. Un fascio
di luce fuoriuscì dal buco centrale e, triforcandosi,
colpì in pieno tre
soldati i quali sbalzarono in aria finendo a terra. Sopraffatti da
tremiti
convulsivi esalarono il loro ultimo respiro.
La
spada di Pilade brillava di un
celeste acceso. La fece ondeggiare sopra la testa per poi colpire lo
scudo di
un nemico. Si frantumò assieme all’armatura e il
soldato venne dilaniato con un
singolo colpo.
Gli
altri opliti arretrarono attoniti e
sbalorditi.
Licinnio lasciò cadere la sua arma
costernato.
Il popolo tutto intorno ammutolì per
alcuni istanti.
"Ascoltatemi
bene…”
Gridò Oreste a quella popolazione. “Non
sono solo l’erede al trono, ma ora agisco per conto di
un’autorità assoluta,
alla quale voi tutti dovrete sottostare.Siamo Araldi dell’Olimpo e queste armi magiche
ne sono la prova!
In nome di Zeus io sollevo Egisto e Clitennestra dal comando di questa
città e
ne sostituisco l’autorità” Poi
si rivolse verso il generale
Licinnio.
“Hai
qualche altra obiezione, Lawaghetas?” L’uomo cadde in ginocchio. “Servo solo voi, Sire. In
nome dell’Olimpo vi prego di guidarci.”
E
la folla tutto intorno esplose in un
boato di esultanza. Erano stufi della tirannia della regina, ma
soprattutto pensavano
che la vicinanza con un servo dell’Olimpo li avrebbe salvati
dalla distruzione.
Le
porte di Micene furono spalancate e l’intero
esercito seguito dal popolo entrò in città. Gli
opliti dilagarono nella grande
agorà guidati da Licinnio e accedettero al palazzo reale.
“Cosa
significa quest’intrusione!?”
Gridò Egisto che sedeva al trono con
sua moglie.
“Licinnio,
è forse un tradimento? Guardie, accorrete!”
Le
poche sentinelle di guardia alla sua
corte si trovarono davanti l’intero esercito e messi alle
strette, lasciarono
cadere le armi. Egisto sguainò la sua spada, mentre la
moglie arretrava.
“Licinnio,
perché?” Il
generale non disse una parola, ma
invece si mise da parte per far passare due figure che la regina
riconobbe
molto bene. “O-Oreste!?
Come sei riuscito a…”
“Sono
un servitore di Zeus e dell’Olimpo madre. E in nome della mia
vendetta e dell’Olimpo
adesso vendicherò mio padre, tuo marito!”
Alzò
il suo arco puntando Egisto e,
prima che egli potesse reagire, Oreste chiuse la mano a pugno. Come
prima,
fuoriuscì un fascio di luce che colpì
l’uomo, ma questa volta aveva una tale
potenza da provocargli un grosso buco in mezzo al petto. Anche nel muro
di
mattoni alle sue spalle la materia stessa, in una circoscritta forma
circolare,
evaporò lasciando che i raggi del sole penetrassero
all’interno dell’edificio.
Clitennestra
gridò terrorizzata mentre
il figlio incombeva verso di lei per assaporare la sua vendetta. Oreste
rinfoderò
l’arco, poiché la morte che le avrebbe riservato
non ne prevedeva l’utilizzo.
Il
suo pugnale saettò inculcandosi nel
grembo della madre e bagnandosi di sangue. “Fu
così che uccidesti mio padre? Così uccidesti
Agamennone!?” Le
sussurrò a un orecchio.
Gli
occhi di Clitennestra, puntati verso
la sua prole, erano spalancati ed emanavano una rabbia e un rancore
sconfinati.
La sua mano si strinse su quella di Oreste, e le unghie gli
s’infilarono in
profondità nella carne.
“Hai
mentito. Non sei un araldo dell’Olimpo…Tu non sei
come loro. Io li ho visti” I
suoi occhi
indemoniati si rivolsero verso le piccole ferite provocate dalla
stretta delle
sue unghie.
“Perdi
sangue…Come ogni comune mortale. E tu non sai cosa sono
capaci i veri araldi di
un dio…
Presto,
molto presto li vedrai… Il momento è quasi
arrivato e allora…Non basterà il tuo
esercito a salvarti, e neppure quella tua arma magica. Le Furie stanno
arrivando! Verranno a
prenderti.”
La
sua roca risata gli fece accapponare
la pelle e quando aveva cessato le sue risa la donna era già
morta, ma quegli
occhi riempiti di odio e follia lo stavano ancora fissando…
----
Re Oreste si affacciò alla balconata del palazzo reale.
Sotto di lui oltre
trentamila uomini acclamarono la conquista del suo trono.
L’inseparabile cugino Pilade lo
affiancò:
“E adesso cosa faremo?”
Il
re raccolse un papiro tenuto celato
in una sacca e lo srotolò.
“Sideris
ha pianificato le mosse di ognuno di noi. All’interno di
questo manoscritto che
abbiamo trovato sotto la terra assieme alle armi, vi è
descritto non solo il loro
funzionamento ma anche in che modo agire.
L’idea
di fingerci araldi dell’Olimpo è stata vittoriosa
ma quanto a lungo potrà
durare? Non posso dirlo né riesco a prevedere come una
partita a scacchi le
mosse che farà il nostro nemico in risposta alle nostre.
Possiamo
solo fidarci di Sideris a questo punto.”
Pilade
annuì, e notò un velo di profonda
amarezza sul volto del cugino. Sua sorella Elettra era davvero sparita,
probabilmente
rapita dagli dei come aveva detto il Falcone e persa per sempre. Oreste
aveva
la faccia di un uomo dedito solo alla vendetta, ma c’era
dell’altro.
“Noto una traccia di inquietudine nei
tuoi occhi, cugino….Cosa ti ha detto Clitennestra prima di
morire?”
Oreste rimase a fissare le cupe montagne
lontane. Non si voltò.
“Mi
ha lanciato una maledizione, un presagio di morte… Non so
cosa ci aspetta, ma
non è niente di buono.”
L’arma
agisce in sinergia con la mano dell’utilizzatore, il quale,
tramite l’uso di
uno speciale guanto ricoperto di sensori, è in grado di
stabilire la modalità e
gli effetti dell’arma e colpire al tempo stesso.
L’intelligenza
artificiale dell’arco è in grado di prendere in
input la forma assunta dalla
mano guantata e come output scatenare dei fasci di energia
dall’incavo centrale
dell’arco. L’arma è alimentata a energia
solare e dotata di una duratura
batteria.
Una
volta puntato il bersaglio (o i bersagli) con l’arco,
l’utilizzatore deve
muovere le dita in un certo modo per stabilire modalità e
potenza.
Alzare
un dito:
emette un fascio di energia
che colpisce in modo rettilineo.
Si
possono sparare fino a cinque colpi (uno per ogni dito)
contemporaneamente, che
saranno emessi in modo rettilineo rispetto all’inclinazione
definita dalle
dita, partendo dal punto di propagazione dell’arco.
In
base alla velocità con cui viene alzato il dito, il colpo
sarà più o meno
veloce. Chiudere
la mano a pugno:
serve a caricare la potenza
del laser. L’arco di tempo in cui la mano resta chiusa a
pugno è proporzionale
alla carica energetica del colpo. Dopo aver stabilito la potenza
è sufficiente
procedere alzando uno o più dita.
Raggiunto
il punto di massima potenza accumulabile l’arma non accumula
ulteriore potere. Poggiare
la mano sull’arco:Disattiva
provvisoriamente i sensori del guanto impedendo che gesti
inconsulti facciano partire un colpo. Spianare
la mano:
genera un campo di energia
che copre l’utilizzatore. Qualsiasi oggetto fisico che entra
all’interno del
campo viene bloccato da una scarica elettrica ad altissimo voltaggio
Quel
sole
tinto di rosso era di cattivo auspicio per i locali poiché
presagiva che, di lì
a poco, sarebbe stato versato molto sangue.
La
regione
chiamata Messenia era la riserva di schiavi di Sparta. Gli abitanti,
dopo aver
perso una guerra contro i laconici, furono privati di ogni diritto e
chiamati
Iloti. Gli spartani li tennero a bada per decadi con la sola forza del
terrore
derivato dalla propria abilità guerriera, superiore a quella
di chiunque.Ma in
realtà erano invece gli spartani a
temere nascostamente la loro forza. I messeni erano dieci volte
più numerosi: erano
centinaia di migliaia. Un popolo intero che bruciava nel fuoco del
rancore.
E
ora l’infuocata
luce dell’astro si rifletteva sullo scudo di un uomo che
dall’alto di un colle
scrutava i suoi nemici. Il suo volto era celato da un elmo avvolgente
della
forma di un falcone.
Alle
sue
spalle lo seguivano una miriade di guerrieri. Così tanti che
forse una tale armata
non era mai stata veduta prima in Grecia. Molti avevano armature in
cuoio,
altri erano coperti di pellicce, la maggior parte erano vestiti solo
con le
proprie stoffe. Ma alcune centinaia di loro, avevano un equipaggiamento
da
oplita.
Quell’armata
infatti era originariamente formata da uomini di ogni sotto-regione
della Messenia,
i quali avevano trucidato le esigue forze spartane locali e dato fuoco
a tutti
gli accampamenti di controllo in quelle zone. Infine avevano rubato le
loro
armature.
“Sono
un’infinità, comandante! E sono pervasi
da una foga che non è di questo mondo! Attaccano i nostri
soldati come se la
loro vita non valesse niente. Si immolano sulle lance dei nostri opliti
per
permettere a quelli dietro di loro di avere il sopravvento!”
Aveva
spiegato il capitano Tirteo
al
polemarco Anassandro,
nella
tenda comando.
“Non mi interessano queste scuse!”
gridò
il comandante scagliando un bicchiere colmo di vino ai piedi
dell’interlocutore.
“Il
vallo che difendiamo è l’ultimo baluardo
prima della sacra Sparta, te ne rendi conto? Schiererai nuovamente i
tuoi
uomini e questa volta dovranno avere successo. Non esiste sconfitta per
uno
spartano fintanto che non si trovi esanime sul proprio scudo! ORA
ANDIAMO A
CREARE UNA LINEA DIFENSIVA!”
Alcuni
comandanti, come Emperamo,
udite
quelle parole schiamazzarono fomentati. L’altro polemarco Anassidamo,
approvò la
decisione del suo pari in silenzio.
“Mio
signore. Lasciate a me il comando della
prima linea”
Aveva
detto
rocamente Leneo,
un tetro e
cupo capitano spartano i cui modi avevano sempre inquietato il suo
superiore.
L’uomo si leccava la bocca in continuazione e i suoi occhi
erano quelli di una
belva feroce.
Tutti
rabbrividirono.Si
conosceva bene tra le
fila lacedemoni il disprezzo che quell’uomo avesse per la
vita umana, compreso
quella dei suoi sottoposti e dei modi brutali con cui essi venivano
puniti.
Come
poteva
una tale bestia essere stata partorita da una donna spartana? Chi lo
conosceva
dall’infanzia lo ricordava come un giovane spartiata eccelso
in ogni sua dote,
piuttosto chiuso in se stesso, ma non di certo una belva come era
diventato
solo di recente.
“Va
bene, Leneo. Terrai tu la prima linea.” Rispose
Anassandro
Le
falangi
spartane si disposero cingendo tutto il perimetro di quelle colline,
dalle
quali sarebbe discesa l’orda di lì a poco. Erano
appena diecimila, contro un
intero popolo in movimento e avevano lo svantaggio della posizione.
Nonostante
ciò erano tutti consapevoli di quanto potesse essere letale
e inamovibile una
falange spartana sulla difensiva. Quale che fosse stato
l’esito, sarebbe stata
un’ecatombe.
Il
capoguerra
dei messeni
teneva alto il suo scudo lucente, gridando e incitando il popolo alle
sue
spalle. Mai come ora dagli occhi di quegli iloti risplendeva la
speranza di una
vittoria.
“Androclo,
Alone, Dafnipreparate la fanteria per lo scontro frontale”
comandò
l’uomo con l’elmo da falcone ai suoi luogotenenti.
“…Alettore,
Ischi: la
cavalleria sui lati”
E
migliaia
di messeni discesero dalle colline come onde di tempesta: miriadi di
corpi di
uomini, donne, anziani e fanciulli armati solo di bastoni e di grezze
lame.
Tutti pronti a morire per una folle speranza di libertà.
“Cianippo!”
Urlò
Leneo ad uno dei suoi pentecotarchi. Sguinzaglia i cani.
“Sicuro!”urlò
compiaciuto l’addestratore solcato da
infinite cicatrici.
“Liberate
i
molossi!”ordinò
a sua volta ai suoi
uomini.
Appena
I
quadrupedi furono liberati dalle loro gabbie, schizzarono indiavolati
verso
quella moltitudine.
I
molossi
balzavano sulle loro prede con tanta rapidità da non lasciar
loro il tempo di
reagire. Azzannavano le loro vittime al collo trucidandole sul colpo,
segno che
quelle belve erano state appositamente addestrate per uccidere
più che portate
a espletare il loro primario bisogno di cibo.
I
cani
difatti, una volta sbranata la preda non esitavano un istante a
lanciarsi sulla
successiva.
Tra
le fila
dei messeni ci fu subito scompiglio.
“Non fatevi prendere dal panico!”
Gridò
Androclo. E quando una delle bestie
balzò su di lui, con lesta prontezza, il comandante si
scansò su un lato e la
decapitò al volo con la sua spada.
Il
muso
della bestia roteò in aria innumerevoli volte, prima di
precipitare a terra
ancora mugghiante. Vincendo quell’iniziale paura, la
spropositata quantità di
combattenti incominciò ad avere la meglio sugli animali,
abbattendosi su di
loro come mosche su una carogna. Anche le donne, munite di grossi
coltelli si
gettarono contro i quadrupedi occupati a divorare i corpi delle
precedenti
vittime.
Le
bestie
avevano avuto un impatto travolgente su quella prima ondata di uomini,
squartandone alcune centinaia e mandandone in rotta altrettanti. I
pochi cani
rimasti guaivano da una parte all’altra dello schieramento,
venendo colpiti di
tanto in tanto da qualcheduno che si trovasse alla loro portata.
Il
comandante Alone, noto nel suo villaggio per essere un eccellente
guaritore,
era chino su una donna ferita, cercando di fermare
l’emorragia di una lesione.
Le
grida dei
suoi sottoposti lo distolsero dal suo lavoro.Quando alzò lo sguardo vide una marea di frecce
oscurare il cielo.
Nessuno avrebbe avuto il tempo di scappare, e solo in pochi tra loro
possedevano uno scudo. Lui non era tra questi.
Ma
proprio
mentre quell’infinità di dardi stava per
abbattersi su di loro, avvenne
qualcosa di innaturale quanto spaventoso.Si chiese se non stesse solo vivendo uno stranissimo sogno
quando quelle
frecce furono deviate dalla loro direzione attuale da un’onda
d’aria
proveniente dal basso.
Alcune
di
esse si frantumarono su un muro invisibile, altre tornarono indietro
nel loro
verso.Gli arcieri
lacedemoni che
avevano serbato il tiro si trovarono del tutto alla sprovvista. Molti
di loro
caddero trafitti dai loro stessi proiettili.
Ma
cosa era
accaduto?
Tutti
gli
uomini presenti, messeni e spartani, si rivolsero basiti verso colui
che aveva
gridato poco prima del miracolo.
L’uomo
con
l’elmo da falcone aveva alzato il suo scudo lucente, ma nulla
di più. Eppure
gran parte degli astanti era convinta che fosse opera di magia divina.
E questa volta furono gli spartani ad essere spauriti e in preda allo
scompiglio.
Gli
iloti
lanciarono un grido di esultanza. E dopo che il falcone si
sincerò che tutti i
mastini fossero stati massacrati, comandò una seconda
carica. L’orda ricominciò
la sua corsa verso i nemici.
Decine
di
migliaia di uomini si aggiunsero alle poche migliaia precedenti andando
a creare
una massa di uomini di tutt’altra consistenza. La portata di
quell’attacco fu così sconfinata
che fin sulla linea dell’orizzonte si poteva ammirare la
forza con cui la
Messenia minacciava Sparta.Gli
scudi
spartani formavano un argine che si andava a estendere per diversi
chilometri.
Quando
quella forza inarrestabile colpì quel muro inamovibile
l’impatto fu devastante.
Una
massa di
umanità fuori controllo si abbatteva sul ferro degli scudi
ribaltandosi o
facendo ribaltare i loro nemici. Il peso di quella quantità
si fiondò sugli
spartani con tale imponente foga, da rendere inutile la loro
abilità di
combattenti. Innumerevoli iloti furono trafitti dalla selva di lance
degli
spartani, ma il loro numero era così grande che le perdite
non furono altro che
una goccia nell’oceano.
Cianippo,
l’addestratore di cani, fustigava i nemici col suo flagello.
Tre uomini furono
feriti gravemente. Altri si tenevano lontani.
Il
comandante degli iloti Dafni, uomo di grande costituzione, rimase
impassibile.
Continuò a marciare coprendosi il volto con le braccia.La frusta gli lacerava la
pelle e lambiva lo
strato muscolare sottostante, eppure l’uomo pareva
insensibile alle frustate.
Giunto a un passo da Cianippo, scattante gli mise una mano al collo. Le
sue
mani da lavoratore della terra erano callose e molto più
grandi del normale.
Cianippo lasciò cadere la sferza. La stretta al collo era
così forte che gli
uscì del sangue dal naso.Restò a
fissare allibito il suo assassino per quegli ultimi attimi, prima che
anche gli
occhi gli schizzassero fuori dalle orbite.
Dafni
sorrise. I suoi stessi uomini ebbero paura di lui, ma inneggiarono lo
stesso il
suo nome.
La
cavalleria messenica incombette ai lati. Centinaia di uomini vestiti di
pelli e
muniti di bastoni e qualche lama furono intercettati da cavalieri ben
più
armati subordinati di Sparta: gli elidi di Pisa.
La
disciplina a cavallo dei cavalieri elidi spazzò via gran
parte di quegli
straccioni in groppa agli equini. Le loro stesse cavalcature persero il
controllo disarcionandoli.
I
sopravvissuti rimasti a terra videro il rapido disfacimento della loro
divisione.
Re
Enomao, signore degli elidi,
in piedi
sulla sua quadriga dalle ruote dentate trainata da un tiro di cavalle
rapide
come il vento, si faceva largo in mezzo allo schieramento nemico
tranciando le
ossa degli equini nemici.
“Psilla!
Apinna! Forza galoppate come il vento!”
Spronò Mirtilo,
servitore
di Enomao nonché miglior auriga greco.
Il
comandante messeno Alettore riuscì a colpire e atterrare un
paio di cavalieri
elidi con il suo lungo bastone. Poi si rivolse verso il loro re.
Il
confronto
durò poco. Le ossa pastorali della sua cavalcatura
schizzarono in aria,
tranciate dalle ruote dentate e, nel momento in cui il comandante
rimase in
aria prossimo a morire, maledisse quella fredda indifferenza sul viso
del suo
assassino.
Per
Enomao
quello scontro non era stato più impegnativo di schiacciare
una mosca. Non
provava niente nell’uccidere nemici così deboli.
Alettore
si
schiantò a terra rompendosi l’osso del collo.
In
un punto
imprecisato della battaglia, il Falcone si faceva strada in mezzo alle
linee
del nemico puntando il suo scudo contro i soldati. Un bassorilievo
circolare su
di esso prese a illuminarsi di una strana luce azzurra. Nel giro di un
attimo
tutti i soldati furono scaraventati via dalle loro posizioni per poi
riprecipitare finendo per morire o ferirsi gravemente. I messeni al suo
seguito
finirono le vite di quelli caduti a terra e attaccarono di nuovo.
Ovunque
passava il Falco, gli spartiati venivano catapultati in aria prima
ancora di
riuscire ad avvicinarsi abbastanza da poterlo attaccare. Tutti gli
altri,
intimoriti da quel potere fuori dal mondo, per quanto fossero valorosi
guerrieri, si ritrovarono impotenti a fuggire verso le retrovie.
“Bene,
bene, bene…Falcone Nero, Sideris. O come
vuoi essere chiamato. Ci sei tu in persona dietro a questo attacco”proferì una
voce roca alle spalle del
guerriero dallo scudo lucente.
Il
comandante Leneo si stagliava in piedi in mezzo a quello sterminio e a
quella
morte fresca. Dietro di lui c’erano cinque guerrieri spartani
tutti con lo
stesso sguardo e la stessa perfidia negli occhi. Una perfidia che non
aveva
nulla di naturale…Nulla di umano.
Leneo
si
leccò la bocca.“Abante,
Dedalione
Prendetelo”
Due
dei
cinque soldati alle sue spalle sorrisero diabolicamente e dei sinistri
riflessi
balenarono nei loro occhi.
Il
loro
corpo fu pervaso da tremiti convulsivi. Dalla bocca schiumarono
torrenti di
bile e saliva. Gli occhi si rigirarono completamente. Dalle loro carni
emersero
protuberanze artigliate, affiorarono scaglie, spuntarono piume.
Urlarono
entrambi. Dapprima le loro grida erano umane. Poi alla voce naturale se
ne
aggiunse una seconda più squillante, più stridula.
Messeni
e
lacedemoni interruppero i loro scontri facendo cerchio attorno a quegli
indicibili orrori.
Ognuno
di
loro era a conoscenza dell’esistenza di
mostruosità come i centauri, i ciclopi
o altre creature presenti nelle narrazioni degli anziani. Ma questi
esseri avevano
sempre fatto parte delle storie e mai della realtà. Un
silenzio panico era
calato su quella parte di piana, e adesso tutti gli spettatori sapevano
che
quelle degli anziani non erano più solo storie.
Due
immani
ali piumate fuoriuscirono dalle spalle di Dedalione, che con un balzo
spiccò il
volo.
Intanto
Abante
era divenuto così grosso che le sue vesti e persino
l’armatura non erano più
state in grado di contenerlo. Egli aveva scaglie verdognole su tutti i
suoi
quasi tre metri di altezza e dalle sue robuste mascelle sporgevano due
file di
denti aguzzi. Dal posteriore faceva agitare sinuosamente una
lunghissima coda.
La
coscienza
dell’uomo che fu un tempo si sentì onnipotente.
I
suoi occhi
gialli contemplarono la carne umana che aveva attorno. Con inverosimile
agilità, si approssimò ad alcuni soldati e,
spalancando le fauci fece guizzare
una rosea lingua biforcuta con la quale agguantò un
guerriero messeno per attirarlo
a se.
La
corazza
di cuoio non trattenne la pressa del suo morso e i denti affondarono
profondamente nel petto della vittima.
Abante
fu
meravigliato dalla facilità con la quale riusciva a dare la
morte. Volle
testare ancora le sue capacità.
Sguisciò
tra
le linee degli uomini con una rapidità incontrastabile. I
lunghi artigli che
fuoriuscivano dagli arti ne dilaniavano le armature penetrando nei loro
punti
vitali.
Con
veloci
spazzate di coda ne buttava a terra cinque per volta. I primi a subire
l’impatto della sferzata si ruppero la spina dorsale.
Nessuno
era
al sicuro dai suoi attacchi, né i messeni né gli
spartani. Erano tutte prede
per Abante.
Non
c’era
modo di placare una simile forza. Entrambi gli schieramenti arretrarono
attoniti. Alcuni uomini fuggirono terrorizzati.
Due mani artigliate agguantarono un paio di fuggiaschi. I due uomini
videro il
terreno sotto i proprio piedi farsi sempre più distante.
Videro gli eserciti
diventare sempre più piccoli fino a sembrare formiche e
videro l’intero vallo
che gli spartani stavano difendendo in un unico sguardo. Poi
precipitarono.
Non
soddisfatta, la creatura volante che li aveva afferrati si
calò in picchiata su
un gruppo di messeni in fuga travolgendoli e uccidendoli
nell’impatto.
Dedalione,
lo
spartano mutato in volatile, era più piccolo di Abante, la
sua altezza superava
appena i due metri. Dalle sue spalle spuntavano grosse ali la cui
apertura
alare doveva superare il doppio della propria altezza. Al centro del
viso aveva
ora un adunco becco e il suo intero corpo era ricoperto di piume e di
penne. I
suoi rapaci occhi sottili fissavano l’uomo con
l’elmo del falcone.
“Quale
ironia per il Falcone Nero, essere
destinato a perire per mano di un falco…Un vero uomo falco.
Ciò che lui non
sarà mai.”La
sua voce era stridula e lacerante, fin
troppo fastidiosa.
“Sei
diventato un falco adesso, questo è vero…
Ma sei mai stato un uomo?”
Rispose il condottiero
dei messeni.
La
mostruosità con la forma di falco stridette offesa e
incominciò a battere
fortemente le ali alzando un gran polverone.
La
visuale
del condottiero era molto limitata. Attivò il suo scudo e
un’altra di quelle
potentissime ondate d’aria spazzò via la polvere.
La vista che ottenne rivelò Abante, l’uomo rettile
incombere su di lui con le
sue zampe artigliate. Le sue mani immonde languirono lo scudo per un
istante,
prima che la bestia fosse investita in pieno dal getto di potere
emanato da esso.
Fu sbalzata di pochi metri, ma riuscì a cadere in piedi
frenandosi al terreno
con le sue grinfie.
Il
Falcone
avvertì poi uno spostamento d’aria alle sue
spalle, e se non fosse stato per i
suoi riflessi fulminei, sarebbe stato certamente squartato.
Invece
in
quella frazione d’istante si accorse di Dedalione e,
voltandosi di scatto
riuscì a parare l’attacco nemico e respingerlo di
qualche metro, ma la foga con
cui era stato colpito lo fece crollare a terra di schiena.
Abante
dall’altra parte, si approfittò del momento per
far guizzare la sua lingua
contro l’uomo caduto. La protuberanza si appiccicò
all’elmo del Falcone
strappandoglielo via dalla testa.
Il
muso di
falco vibrò in aria come l’animale che
rappresentava e poi crollò a terra
emettendo un rumore metallico.
“Ero
curioso di saperlo…” sibilò
la
creatura.
“ÈDunque questo il vero volto del Falcone
Nero” .
L’uomo,
adesso divelto del suo avvolgente copricapo, si ricompose.
I
suoi lunghi
capelli biondo cenere erano smossi dal vento, gli occhi di identico
colore
attraversavano temerari il mostruoso muso del suo nemico: era
Aristomene.
Si
stagliava
in piedi, da solo, tra i due mostri. Entrambi pronti a scattare su di
lui.
Il
temerario
luogotenente del Falcone incominciò a vacillare. La sua
testa si fece pesante,
e avvertì il tocco della paura.Si
aspettava la venuta dei mostri. Sideris glielo aveva presagito in
alcuni
scritti che gli aveva lasciato trovare. Ma Aristomene, forte del suo
scudo dai
poteri epici, credeva di essere divenuto imbattibile. Ora, trovatisi
davanti a
quei mostri, non lo pensava più.
“In
fondo, sei solo umano”
Commentò
Dedalione.
Una
pioggia
di frecce si abbatté sul corpo piumato del mostro. Quel tiro
non gli procurò
gravi danni, visto lo spessore delle penne che lo ricoprivano, ma uno
dei dardi
s’inculcò sotto il suo occhio, trapassandogli il
volto.
L’essere
si
voltò furente stridendo in modo così acuto e
stridulo da costringere tutti gli
umani presenti a coprirsi le orecchie.
La
seconda
cavalleria dei messeni era giunta sul campo e aveva trovato il coraggio
di opporsi
al proprio destino.
“Affronta
noi, bestia!”
gridò
Ischi, il comandante di quel plotone a cavallo.
Dedalione
accettò la sfida e si abbatté furibondo su quei
cavalieri. Ali nere incombevano
sul loro schieramento. Gli equini imbizzarrivano, sotto le redini degli
uomini
che cercavano di mantenere il controllo. Il mostrò
falciò l’intero reggimento
atterrando una decina di soldati. Il comandante Ischi gli
scagliò contro una
lancia. La frenesia di quella situazione gli impedì di
essere maggiormente accurato
e l’arma colpì solo la spalla sinistra
trapassandola da parte a parte.
La
creatura
ignorò il dolore e lo raggiunse in pochi attimi.
L’artiglio
della sua mano destra agguantò il volto di Ischi, mentre con
gli arti inferiori
lacerava il collo della cavalcatura uccidendola tra atroci dolori.
Gli
occhi
del mostro Dedalione, ricolmi di un odio senza nome, si assottigliarono
cercando di ghermire l’anima stessa della sua vittima assieme
alla sua vita.
La
testa di
Ischi esplose.
Intanto
Aristomene cercava di prendere in pieno l’uomo lucertola,
facendo scaturire dal
suo scudo scariche di pura energia che colpivano il terreno
deflagrandosi.
Ma
il mostro
schivava e sguisciava, scansava ed eludeva ogni colpo riducendo sempre
più le
loro distanze. A cosa serviva un’arma tanto potente se non si
era in grado di
usarla? Si chiese Aristomene.
Giunto
a un
metro di distanza, il mostruoso Abante scatenò tutta la sua
potenza in un colpo
di coda discendente.
Il luogotenente rivoluzionario, con sorpresa del mostro,
lasciò andare lo scudo
che
era
troppo ingombrante
da permettergli movimenti fluidi, e con scatto fulmineo
schivò il colpo.
La
coda
collise fragorosamente sul terreno e la spada dell’umano
reagì con maggiore
rapidità abbattendosi su di essa ma non prima di aver
assunto un cupo colore
grigio.La coda del
mostro venne
tranciata di netto dalla spada divina del guerriero.
Abante
ruggì
di dolore. Con l’artiglio tentò di agguantare il
suo avversario che di
riflesso, si chinò eludendo e contrattaccando. Il mostro
ruggì ancora di più quando
si vide il braccio mutilato.
E
Aristomene
in preda alla furia si lanciò sul suo avversario
lacerandogli tranci di carne e
squame a ogni colpo. Questa volta era il mostro Abante a sentire il
terrore, e
con tutta la sua velocità si divincolò
allontanandosi il più possibile dal
pericoloso guerriero.
“Ora
ho capito che questo scudo, per quanto
formidabile, non è l’arma adatta per
contrastarti” Disse.
Gli
occhi
spaventati di Abante si fecero beffardi e canzonatori.
“Non
pensare che sia finita, miserabile
feccia”.
Ruggì
ferocemente. I suoi occhi si dilatarono e sul muso spuntarono grosse
vene.
Dalle
mutilazioni inferte grondò vischioso sangue verde. Poi una
nuova coda e un
nuovo braccio si rigenerarono dagli orribili squarci.
Tutti
gli
spettatori dello scontro inorridirono, compreso il suo avversario.
“Sei veramente un mostro”
Commentò Aristomene
con un ghigno. Non gli era sfuggito che il suo nemico aveva
però il fiato corto
a causa di quello sforzo, e che le lacerazioni sul corpo stavano
continuando a
sanguinare.
Aristomene
era in difficoltà: nessuno dei suoi uomini poteva aiutarlo.
E non solo per
codardia, ma anche perché davanti a un simile avversario si
sarebbero ritrovati
di fronte a morte certa.
Intorno
a
lui i messeni avevano respinto gran parte degli spartani e la maggior
parte era
ferma al limitare dell’area del duello per assistere allo
spettacolo. Altri
stavano ancora muovendo battaglia contro le file lacedemoni. Ma un
piccolo
gruppo di spartani era rimasto e lo stava fissando imperscrutabile.
C’era un
uomo in mezzo ad altri tre che
trucidavano qualsiasi messeno provasse ad avvicinarsi a lui. Era
l’uomo che
aveva ordinato alla lucertola e al falco di attaccare. Probabilmente
doveva
essere il più pericoloso sul campo.
L’uomo
lo
guardava come un lupo fissa la sua preda. Aveva mandato i suoi
lacchè solo per
testare le capacità di Aristomene, e di questo lui se ne era
accorto.
Il
finto
Falcone Nero era un bersaglio succulento per quei mostri ed era certo
che se la
battaglia fosse durata troppo, il misterioso spartano
l’avrebbe conclusa in
fretta.
Aristomene
era agitato.
Una
goccia
di sudore freddo calò lungo le tempie: era solo.
Se
solo
Sideris fosse lì sarebbe stato certo della vittoria, anche
se quei mostri lo
avessero attaccato tutti insieme. Ma se anche i suoi vecchi compagni
come
Cercione, Almo o Oreste lo avessero affiancato, avrebbe avuto
certamente più
possibilità.
Ma
adesso doveva
pensare a finire quello scontro il più presto possibile o
sarebbe stato
sopraffatto dalla foga di quei mostri.
Raccolse
il
suo scudo e incominciò a correre verso Abante. Una lancia si
schiantò sul
terreno davanti a lui, a pochi centimetri dalla sua faccia.
Dedalione
era in aria. Aveva trucidato da solo un intero plotone di cavalleria e
ora
stava scagliando dall’alto tutte le lance dei cadaveri.
Aristomene
non
si fece distrarre. Cambiò direzione e continuò a
correre verso il suo nemico.
“Devo
essere preciso”
pensò.
“Basta un piccolo errore, e sono morto.”
Si
scansò
evitando il colpo di un’altra lancia. Roteò su se
stesso e, ingaggiato il
bersaglio, scagliò contro di lui il proprio scudo magico.
L’oggetto
era veloce e puntava al collo dell’uomo lucertola.
Ma
il mostro
Abante lo era di più. E abbassandosi rapidamente
riuscì a evitare la
decapitazione.
“E’
LA MIA SPADA CHE DEVI TEMERE, MOSTRO!”
Urlò
il
signore dei messeni agitando la sua lama permeata di potere grigio.
Abante
fece
guizzare la sua oblunga lingua che si incollò al polso del
nemico
bloccandoglielo.
Aristomene
non riusciva più a muovere la mano.
“Ti
ho preso, finalmente” Dichiarò
la lucertola
facendo schioccare la mandibola e preparandosi al pasto imminente.
“No.
Io ti ho preso!”
Buttandosi
di lato, Aristomene schivo una delle lance scagliate da Dedalione, e al
contempo costrinse Abante a flettere la testa nella stessa direzione.
“Sono
stato impreciso con quel lancio, ma ho
vinto lo stesso.”
dichiarò
l’umano.
La
lucertola
non capì. Poi la sua testa fu dilaniata di netto
all’altezza della mandibola
da
un disco
dietro di sé.
Lo
scudo
magico aveva cambiato direzione nel volo ripercorrendo quello stesso
tratto e
decapitando il mostro.
L’oggetto
collise inculcandosi al terreno.
“Rigenera questo!” commentò
sprezzante.
Aristomene
senza perdere tempo lo riprese, puntando il mostro volante che lo
bersagliava
dall’alto…Troppo in alto per essere colpito dalle
onde d’aria del suo scudo.
Agendo
d’istinto, l’uomo diresse lo scudo nella parte
opposta rispetto alla posizione
del suo avversario.
La
velocità
con cui venne sbalzato in aria fu così elevata che Dedalione
fu incapacitato a
reagire. Sbigottito… fu colpito in pieno da quel proiettile
umano, a venti
metri da terra.
Arrivato
al
culmine di quella salita, l’umano incominciò a
precipitare. Ammorbidì l’aria
col suo scudo per rallentare quella caduta.
“Tu
sei già morto.”
Metà
testa dell’uomo
falco scivolò dalla sua posizione. Poi il resto del corpo la
seguì, sopraffatto
dalla forza di gravità, sfracellandosi al suolo.
Parentesi
anacronistiche 8:
Armamentario
5: La coda di Cercione.
Un’installazione
composta di materiali nanorod (o
iperdiamante) che comprende un cinturone ricoperto nella parte
posteriore da
minuscoli aghi che attecchiscono alla spina dorsale per captare i
neurotrasmettitori attraverso cui la grossa coda può
muoversi e ruotare a
comando dell’utilizzatore come fosse un muscolo volontario
con articolazioni
mobili.
“La
nostra difesa non reggerà ancora a lungo…Ma
moriremo con le armi in mano! Il mio unico rimpianto è di
avere così pochi
uomini da sacrificare per la gloria di Ares, nostro dio!”
Disse
il
polemarco Anassandro, comandante assoluto degli spartani sul campo,
preparandosi a combattere.
“Ares
non potrà punirci una volta che saremo
morti… Neppure Castore e Polluce avrebbero potuto vincere
contro un nemico così
numeroso."
Commentò
Anassidamo
con la spada tratta restando a guardare l’infuriare della
battaglia davanti a
se.
Il
comandante Tirteo, noto per fomentare gli animi nelle battaglie,
intonava il
suo ultimo canto di guerra sotto una pioggia di frecce che investiva il
suo
intero contingente.
A
centinaia
erano gli uomini caduti sotto le lance e le spade dei suoi spartani.
Ancora a
centinaia continuavano ad attaccare accumulando pile di cadaveri.
C’erano sei
messeni morti per ogni spartano caduto.
Una
contadina messena trafitta in grembo da un soldato spartano stava
strillando di
dolore.Un giovane
come lei la teneva
tra le braccia.
“Bissa,
sorella, non ti agitare…Alone ti curerà vedrai.
Andrà
tutto bene.”
“No
Eumelo…Sto
per morire. Ma prima, voglio scoprirlo…Voglio vedere
cosa si prova a volare.”
“Bissa,
tu… Ci eravamo promessi di farlo tutti
insieme, nella nostra casa, per fuggire lontani da questa
miseria.”
La
donna
carezzò il volto del fratello piangente.
“Ormai
è
troppo tardi. Prenditi cura dei nostri fratelli Meropi
e
Agrone.”
Detto
questo, la donna ritrasse la mano pervasa da tremiti. I suoi occhi si
rigirarono e cominciò a schiumare: stava per trasformarsi.
Il fratello
spaventato arretrò.
Le
braccia
della donna crebbero in lunghezza trasformandosi in ali e su tutto il
corpo
spuntarono piume bianche. Il volto mutò e al centro di esso
comparve un adunco
becco. I suoi piedi erano divenuti lunghe zampe di uccello. Era
divenuta una
donna gabbiano.A
differenza di
Dedalione, l’uomo falco, però, aveva dovuto
sacrificare le braccia in cambio
delle ali e le sue dimensioni non erano aumentate.
Il
nuovo
mostro guardò suo fratello con un ultimo barlume di affetto
e poi prese il
volo. Atterrò
sulla testa di uno degli spartani
e con i grossi artigli gli cavò entrambi gli occhi.
L’uomo con le orbite
sanguinanti crollò a terra esanime.
La
rapidità della
donna gabbiano era tale da non poter essere anticipata facilmente. Con
la
medesima facilità, saltò sulla testa di un
secondo guerriero e poi un terzo
mettendo in atto lo stesso meccanismo di morte.
Quando
colpì
anche il comandante Tirteo, l’abilità di
quest’ultimo gli permise di sferrarle
una veloce falciata al petto.
La
donna
mostruosa gli fece volare l’elmo dalla testa e
cominciò a sferrargli furiose
beccate al volto fino a farlo cadere a terra. Anche una volta che fosse
morto,
il volatile continuava a martoriare il suo cadavere per vendicare i
genitori e
tutti gli amici trucidati in battaglia.
Poi
una
lancia la trafisse da parte a parte, seguita da una seconda.
Bissa
stramazzò al suolo e nel riflesso dei suoi occhi
c’erano i suoi fratelli,
urlanti e disperati per il suo triste destino.Morì felice per avere almeno vendicato i suoi
morti.
Da
un’altra
parte della battaglia il nerboruto Dafni aveva portato alla vittoria il
suo
schieramento e adesso teneva tra le mani la testa del comandante
spartano Emperamo,
strappata dal collo con la sola forza delle sue braccia.
Con
un urlo
più di bestiale compiacimento che di trionfo
lanciò la testa verso i suoi
uomini come ricompensa della battaglia. La folla, nel delirio della
vittoria
seguì il suo grido.
Intorno
a
lui i messeni, com’era presumibile dal loro numero, avevano
massacrato ogni
oplita fino all’ultimo. Nessuno tra i loro nemici, infatti,
aveva abbandonato
il campo di battaglia. Per gli eroici spartani non esisteva il
significato
della resa.
Quando
in una
determinata zona udì degli schianti terribili, il grosso
pastore Dafni vi si
diresse per capire da cosa fossero provocati.
Facendosi
strada in una fitta folla di iloti, vide davanti a sé il
prode signore della
guerra Aristomene ricoperto di sangue in mezzo ai cadaveri di creature
mostruose: un uomo rettile e quello che sembrava un falco.
Tutti
intonarono il nome del generale. Veniva epitetato come “Lo
sterminatore di
mostri”.
Lo
spartano
Leneo arricciò il naso.
“Pensavo
che la loro trasformazione fosse
migliore di così, non credevi Cisso?”Si
rivolse a
uno degli spartani alle sue spalle.
“Non
tutti hanno ricevuto il nostro stesso
privilegio, Leneo. Loro non erano altro che abomini, mentre noi
manteniamo le
nostre fattezze umane…”
Leneo
guardò
gli altri due. “Non esitate allora! Anche voi: Marone,
Astraio.Attaccate il Falcone e prendetelo vivo. Gli mostreremo
quanto è stato
stupido a esporsi in questo modo.”
I
tre
spartani avanzarono a passo deciso verso Aristomene. L’uomo
era fin troppo
stanco e provato per un altro scontro ma in palio c’era la
sua vita. Si mise in
guardia.
“Fermatevi!”
Fu
Dafni a
gridare frapponendosi tra loro e il suo comandante.Leneo e i suoi uomini lo guardarono con
sufficienza.
“Colui
che state per attaccare non è il Falco!
Si è presentato a noi messeni come Aristomene, un araldo
degli dei, pronto a
guidare il nostro popolo alla salvezza. Ha strappato
quell’elmo dalla testa di
Sideris in persona, e ci condurrà da quello vero per
catturarlo e consegnarlo
all’Olimpo!”
Gli
interlocutori parvero sorpresi. Aristomene non aggiunge una parola.
Leneo alzò
lo sguardo verso l’uomo dallo scudo magico.
“Se
ciò che dice il tuo luogotenente è vero,
perché hai attaccato gli spartani?”
Il
capoguerra degli iloti si prese qualche istante prima di rispondere
pesando
bene ogni parola che avrebbe dovuto dire. Come nel caso della battaglia
precedente, un singolo errore nella formulazione avrebbe significato la
morte.
Camminò
verso quei quattro nemici.
“Spartani?... Messeni? Che significato ha la
politica di fronte all’annientamento?
Ho
indossato questo elmo per diventare il più
grande bersaglio di tutta la Grecia. Voglio che ogni esercito del mondo
giunga
innanzi alla mia armata per scontrarsi con essa. A ogni battaglia, solo
i più
forti sopravvivranno. Costoro faranno parte della razza eletta e con
loro
giungerò fino al vero Sideris! Egli sarà
catturato e tutti noi saremo salvi
dall’ira degli dei.”
Aristomene
pronunciò quelle parole con decisione. In contrasto con
l’inquietudine e la
paura che teneva dentro.
Cisso
guardò
gli altri due, e poi il suo leader. Sembrava che quelle parole li
avessero
convinti.
Leneo
si
leccò la bocca, segno che fosse realmente compiaciuto.
“Dunque, ci condurrai dal Falcone?”
Aristomene
annuì.
“Sai,
questa tua idea di far sopravvivere solo i
più forti per creare una razza eletta mi piace…
Mi piace davvero tanto.
Scommetto che tu ed io diverremo grandi amici…
E
in onore della nostra amicizia ho deciso di
risparmiarti…”
Tutti
gli
astanti restarono assorti nelle sue parole cercando di capire dove
volesse
andare a parare.
“Ma
per quanto riguarda tutti gli altri... Beh
ho i miei dubbi che
possano tutti far
parte di una razza eletta. Cisso tu che ne pensi?”
Il
lacchè sorrise,
sapeva che di lì a poco ci sarebbe stato da divertirsi:
“Penso che la mia lama sia stata asciutta per
troppo tempo.”
“E
allora perché non mettiamo alla prova questo
esercito? Vediamo chi merita di vivere e chi di morire!”
Il
volto del
generale messeno s’incupì. Aveva capito cosa stava
per succedere e non gli
piaceva affatto. Cercò di placare l’istinto
bestiale di quei mostri.
“Gli
uomini sono già stati sorteggiati durante
questa battaglia. È inutile spargere altro sangue.”
Ma
gli occhi
di Leneo s’erano già riempiti di un male fuori dal
mondo, e tutti i suoi
soldati avevano ascoltato il messaggio che traspariva da essi.
Marone
e
Astraio saltarono in direzioni diverse. Se un grillo avesse avuto
dimensioni
umane avrebbe compiuto lo stesso balzo fatto da loro, di una trentina
di metri.
Il
loro
corpo era rimasto tale e quale ma dalla loro testa erano fuoriuscite
grosse
corna da caprone e i loro occhi erano rossi come sanguigne gemme dalle
cave
degli inferi.
Le
loro
spade si muovevano con una velocità folle lambendo uomini,
donne e fanciulli
senza alcuna pietà. Tranciavano mani e piedi come se fossero
burro. Si
infilavano nei punti scoperti dall’armatura spartana per
scovare la vita nel
corpo degli uomini ed estirparla via di netto.
Uno
dei
guerrieri messeni fu facilmente atterrato con un calcio e la sua testa
spappolata sotto i piedi di Astraio.
“Anto!!
Nooo!” Gridò
uno degli uomini poco lontani e nella
foga cominciò a mutare.
“Acantide,
vuoi trasformarti adesso? Davanti a tutti?”Chiese una giovane che gli
si era affiancata
“Sì
Acanto…Ormai…
È l’unico modo…”Urlò lui
rosso in volto.
“PER
SOPRAVVIVERE” La sua voce si fece stridula.
La
fanciulla
si rivolse a due ragazzini. “Erodio,
Scheneo facciamo quella cosa adesso”.
I
tre
incominciarono a seguire l’esempio del fratello maggiore,
Acanto. Dalle braccia
dei fanciulli si spiegarono delle ali piumate e il loro intero corpo
divenne,
come accaduto ad altri, quello di un uccello.
La
mutazione
della ragazza fu differente: su tutta la sua pelle fuoriuscirono delle
spine,
gli arti si allungarono a dismisura assumendo una pigmentazione verde,
tra i
suoi capelli sbocciarono fiori e le sue dimensioni triplicarono.
“Bene.
Sembra che voi siate già stati
prescelti! Sarete risparmiati.”
Sentenziò il cornuto
Astraio, procedendo verso altra carne da macellare.
In
un’altra
parte della piana, l’allevatore Atteone, assistente del
pentecotarco Cianippo
il quale poco prima di morire aveva ordinato la carica dei molossi,
stava
cercando disperatamente i pochi mastini che erano riusciti a scappare
dopo il
primo attacco. Era lui a dar da mangiare ai cani. L’uomo, i
cui lunghi capelli
neri gli arrivavano a toccare i fianchi, era un amante della natura e
si era
sempre opposto al trattamento spietato cui erano sottoposti i suoi
cuccioli.
E,
infatti,
i forastici molossi si dimostrarono subito mansueti sotto i riguardi di
quel
curioso individuo, che con somma benevolenza li aveva acquietati.
All’improvviso
alcuni cani cominciarono a ringhiare. Da quella direzione in mezzo a un
centinaio di cadaveri, completamente ricoperto di sangue, un essere
dagli occhi
rossi e le corna caprine lo stava fissando. Gli iloti terrorizzati
attorno a
lui stavano fuggendo sparsi. Il mostruoso spartano Marone stava per
incombere
su di lui.
“Anche tu sarai messo sotto esame!
Non
credere di salvarti solo perché sei di Sparta!” Disse,
correndo in quella
direzione con la velocità di un cavallo.
Appena
entrò
in quello che i cani ritenevano essere proprio territorio, fu azzannato
alle
gambe e al braccio con cui teneva la spada da tre di quelle belve.
Come
se il
bestione che lo aveva addentato non avesse peso, agitò il
braccio destro per mutilare
gli altri due con la lama, e con il sinistro agguantò la
bestia e la scaraventò
sul terreno con tanta foga da spaccargli il cranio.
A
quella
visione Atteone s’infuriò.
Il
suo urlo
di rabbia fu udito per tutto il vallo. La sua voce era bassa e
profonda. Sempre
di più.
Le
sue gambe
si riempirono di peluria e crebbero in dimensioni. I suoi piedi si
staccarono e
al loro posto emersero dei grossi zoccoli. L’espansione del
suo corpo fu tale
che la sua pelle si staccò e, da sotto di essa, ne emerse
un’altra più robusta
e resistente. La sua muscolatura si compattò mostrando un
corpo così solido e
possente da non poter essere umano. E dal capo dei suoi tre metri di
altezza,
emersero delle magistrali corna ramificate: grossi palchi ossei che
ricordavano
quelli di un cervo.
Davanti
a
quella vista Marone si bloccò.
“Ma
che sorpresa. Non sei un uomo come gli
altri. Vorrà dire che ti risparmierò la
vita.”
Ma
nel
momento in cui gli voltava le spalle, l’uomo cervo lo
incornò con una tale
potenza da farlo rotolare a terra per diversi metri.
“MA
IO NON RISPARMIERO’ LA TUA!”
Un
uomo
normale si sarebbe rotto tutte le ossa, ma Marone si rialzò
come niente.
“Sciocco!
Ti sei appena giocato l’unica
possibilità di sopravvivenza che avevi.”
Leneo
si
leccò la bocca.
“Questi
iloti sono troppi. I miei uomini, per
quanto potenti, nel giro di alcune ore possono ammazzarne appena
qualche
centinaio…Anche meno se si mettono a scappare in questa
maniera, ma non basta.
Dobbiamo ucciderne molti di più, tu non credi
Cisso?”
“Signore,
mi è venuta una fantastica idea.” Rispose
il
suo depravato sottoposto. “E se
proponeste
ai messeni di guadagnarsi la propria vita uccidendo i propri
compagni?”
Leneo
sghignazzò. “Oh, ma che
bel gioco! In
questo modo faranno da soli il lavoro sporco. Mi piace…Mi
piace moltissimo!
Quanti ne saranno rimasti? Centoventimila? Dovranno essere molti di
meno!”.
Guardò
le
migliaia di iloti che lo circondavano, alcuni anche a diverse leghe di
distanza.
Socchiuse gli occhi, raccolse l’aria nei polmoni e poi
gridò come nessun umano
sarebbe stato in grado di fare, per essere certo che tutti potessero
arrivare a
sentire le sue parole.
Aristomene
e
Dafni che si trovavano a pochi metri di distanza, dovettero tapparsi le
orecchie per attenuare quell’intensità sonora.
Cisso non si scompose.
“STATEMI
BENE A SENTIRE ILOTI, E ANCHE VOI
SPARTANI SOPRAVVISSUTI! VI OFFRO UNA CHIAVE PER ENTRARE A FAR PARTE DEL
NOSTRO
POPOLO ELETTO.
SE
VOLETE SOPRAVVIVERE, OGNUNO DI VOI DOVRA’
UCCIDERE TRE…NO, CINQUE, CINQUE PERSONE A CASO!
E
A TESTIMONIANZA DI CIO’, PORTARMI LE LORO
LINGUE!
CHI
RIESCE NELL’IMPRESA, CON ANCORA LA PROPRIA
LINGUA IN BOCCA, NON AVRA’ PIU’ NULLA DA TEMERE DA
ME O DAI MIEI UOMINI!”
“ma signore, però…E se
provassero a
ingannarci strappando le lingue di quelli che sono già
morti?”
“Per gli dei, hai ragione! …Beh lasciami
puntualizzare una cosa.” Leneo riprese di nuovo
fiato e poi gridò
nuovamente.
“SE
PROVATE A STRAPPARE LA LINGUA DA UN
CADAVERE, SIA ESSO QUELLO DI UN UOMO, DI UN CAVALLO O DI UN CANE, IO LO
SAPRO’
E VERRO’ A MANGIARVI IL CUORE!”
Cisso
era
confuso.
“Signore
ma…Avete la capacità divinatoria di
venirlo a sapere?”
“No”
Sorrise
Leneo. “Ma loro che ne sanno? Se
nonostante tutto vorranno disubbidirmi allora per il loro coraggio
è giusto che
siano risparmiati.”
Cisso
rise.
“Signore. Siete davvero
incredibile!”
“E
adesso non perdere tempo! Anche tu sei nel
gioco, vecchio mio. Vammi a prendere cinque lingue. Comincia da quel
grassone
laggiù. Ma ricorda che Aristomene non si tocca.”
Cisso
non se
lo fece ripetere e con un salto raggiunse Dafni, “il
grassone”. Le sue spade si
abbatterono sincrone su di lui, rapide come la folgore. I vestiti del
bersaglio
furono dilaniati, come la sua pelle. Ma oltre ad essa le lame trovarono
una
resistenza così solida che non si poteva trattare del corpo
di un semplice
umano.
Le
mani
villose di Dafni bloccarono quelle dell’aggressore. La sua
stretta era forte, e
lo diveniva sempre più. Il tratti del suo volto si fecero
sempre più curvi e
stilizzati e poi le lame stesse che erano entrate superficialmente
nella sua
carne si frantumarono.
I
vestiti si
strapparono, l’armatura esplose e l’uomo, massiccio
oltre l’incredibile, restò
nudo. Il colore del suo corpo era grigio e solcato lungo la muscolatura
in modo
così evidente che sembrava fatto di pietra. Effettivamente:
era diventato di
roccia.
Dafni
tirò
fuori la lingua.
“Ecco
la mia! Vienila a prendere.”
“Anche
tu dunque sei uno dei prescelti!”
Cisso
gli
saltò con le gambe al petto facendo leva per liberarsi da
quella stretta. Ma
non bastava. I suoi polsi erano bloccati all’interno di una
morsa strettissima.
Era come se fossero schiacciati sotto una tonnellata di pietra.
Allora
gli
si attorcigliò al collo con entrambe le gambe, ma quella
stretta non era
abbastanza salda da vincere la sfida della pietra.
Leneo
sorrise
nel vedere il subordinato in difficoltà. Cisso era forte, ma
finire in lotta
con quell’uomo di roccia rappresentava una grande sfida anche
per lui.
Tuttavia,
così come l’energumeno aveva sorpreso tutti nella
trasformazione, anche il suo
avversario avrebbe fatto lo stesso.
Sia
gli arti
che il collo di Cisso si allungarono in modo inquietante. Si stava
lentamente
attorcigliando attorno al gozzo del suo nemico aumentando la stretta
del suo
cappio.
I
polsi
schiacciatigli da Dafni non sembravano dolergli poi tanto. Era come
comprimere
una superficie elastica. Le sue dita si riarrotolarono sui polsi del
nemico,
avvinghiandoglisi addosso e andando a ribaltare la situazione.
Alla
fine
anche l’uomo di roccia dovette cedere a quella morsa
pazzesca. Lasciò andare la
presa, e crollò di schiena al suolo.
Un
uomo
normale sarebbe esploso, un mostro probabilmente sarebbe rimasto
strangolato.
Ma la consistenza del corpo di Dafni era così solida che gli
permise di
sopravvivere.
“Cisso!
Lascialo andare. Ha superato la prova,
nonostante tutto. Ci serviranno guerrieri come lui.”Decise Leneo.
Il
sottoposto eseguì.
Intanto,
ovunque sulla piana, gli iloti, in preda al terrore di quei mostri
letali,
avevano cominciato a mettersi l’uno contro l’altro.
Dapprima sfociando in
piccole risse. Poi qualcuno estrasse il coltello e fu vera
battaglia… O un
monumento al massacro.
Non
c’erano
regole, né gruppi, né certezze dietro quegli
attacchi. Solo la foga folle e
disperatissima di strappare le lingue ai propri fratelli, prima di
essere
ammazzati.
E
nel mezzo
di quegli scempi, l’abnorme uomo cervo Atteone incalzava
ferocemente su Marone
facendolo sbalzare da una parte all’altra. Le spade del
guerriero non ressero
contro le corna del mostro. Era rimasto a mani nude, come
d’altronde era il suo
avversario.
Marone
balzava da una parte all’altra evitando i molossi che gli
correvano dietro con
la bava alla bocca e, di tanto in tanto, prendendone qualcuno per una
zampa e
strapparlo a metà come se fosse stata solo una stoffa
lacera, facendo infuriare
maggiormente Atteone.
Le
traiettorie dei balzi di Marone erano divenute così
imprevedibili che neppure
il cervo riuscì a tenerlo sotto controllo.
Fino
a che
in un momento di distrazione, Atteone si trovò un braccio al
collo che lo
trascinò all’indietro facendolo cascare.
“Sei solo un aborto!”Disse Marone strangolando
la sua vittima.
“…Un
esperimento delle divinità, prima che
generassero NOI. I veri eletti!
Più
veloci, più forti, più resistenti senza
perdere la purezza di un essere umano!”
Una
freccia,
diretta da una certa distanza, colpì Marone al collo senza
però inculcarsi
troppo in profondità.
“Voglio prendere la tua di lingua, brutto
bastardo!” gridò il guerriero che aveva
serbato il tiro: Androclo,
luogotenente di Aristomene. Camminava senza paura verso lo spartano
mostruoso,
incoccando un’altra freccia al suo arco.
La
seconda
lo colpì in petto.
“Avete
creato il caos! Vi siete serviti della
paura per metterci uomo contro uomo!”
Marone
attese che l’uomo cervo nella sua stretta perdesse i sensi,
per alzarsi in
piedi e incombere verso il folle umano che lo stava arrogantemente
sfidando.
Una
terza
freccia lo colpì in petto, ma il mostro cornuto non temeva
nulla dalle armi di
fattura umana, e non perse nemmeno tempo a coprirsi.
Semplicemente:
camminava verso Androclo, come follemente stava facendo anche lui.
“…E voi un tempo vi definivate uomini
come
noi? Con che coraggio?!” Sferrò una
quarta freccia che lo colpì sul torace,
e adesso si trovava a pochi metri dall’essere cornuto.
Quest’ultimo
alzò il braccio pronto a strappargli il cuore dal petto, e
probabilmente
Androclo era pronto a morire in questo modo.
Marone
fu
spazzato via da una forza inarrestabile che non si riuscì a
definire.
Zanne
elefantine gli avevano passato il petto da parte a parte inculcandolo a
terra.
Grigi tentacoli fuoriuscenti da una bocca infernale, gli avevano
afferrato il
volto infilandovisi in ogni orifizio. E giganteschi artigli gli
sprofondarono
in profondità nella carne.
Un
mostro
sbucato dalle profondità degli inferi aveva ucciso Marone
sul colpo, e lo stava
divorando. Poi alcuni cani gli si avvicinarono scodinzolanti.
Atteone
riprendendo il fiato da quello scontro riconobbe il suo odore.
“Leone!
Sei
tu, bello?”
Il
mostruoso
quadrupede si girò tirando fuori un’invereconda
lingua venosa che sembrava più
un grosso verme viola, dal quale vi uscì un serpente munito
di denti affilati.
Emise un verso sibilante che sembrava compiacimento.
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Battaglia
di Deres:
Messeni
(iloti):
[numero
combattenti:
200 000]
[perdite:
80
000]
Comandante
supremo: Aristomene
Comandanti
di fanteria:Androclo,
Alone, Dafni (mutante:
uomo di roccia)
Lo
scudo è in grado
di generare un potente campo elettromagnetico. Impiega gli impulsi
dell’energia
elettrica per creare uno scudo esterno e invisibile in grado di
resistere agli
attacchi più devastanti.
Nell’armatura è
incorporato un dispositivo noto come supercapacitatore che trasforma il
pezzo
di armatura in cui è installato, in una batteria gigante.
Quando si percepisce
una minaccia, l’energia accumulata nel supercapacitatore
viene scaricata sulla
superficie metallica producendo il campo elettromagnetico. In quel
momento si
genera un campo di forza che non potrà essere attraversato
da nessun corpo
esterno.Il suo
limite però sta nel
fatto che il camponon
dura più di un
secondo.
Il
supercapacitatore impiega poi alcuni secondi per ricaricarsi, e in quel
momento
lo scudo risulta essere “indifeso”.
È
possibile
attivare il campo di forza anche in modo manuale, tramite alcuni
pulsanti posti
dietro lo scudo, al fine di plasmarne il raggio d’azione
entro cui lo scudo
deve agire.
Nella
modalità
–ombrello-il
campo di forza copre
un’intera area di un diametro fino a venti volte quello dello
scudo (come
utilizzato da Aristomene contro la prima pioggia di frecce).
Oppure nella
modalità intensiva il campo di forza viene caricato in
termini di densità, e
quindi di spinta (come utilizzato da Aristomene per balzare in aria
raggiungendo
l’uomo falco).
A
seconda di quanto
viene caricato, il tempo di recupero può aumentare.
Oppure è possibile
concentrare il campo di forza in una sfera e spararla come fosse un
proiettile.
L’impatto è devastante ma la gittata è
scarsa.
Lo
scudo è composto
di kevlar e altri materiali super-leggeri ed estremamente resistenti
che
guadagnano in usabilità.È progettato
anche per essere lanciato. Lo scudo per
risultare ancora più letale attiva automaticamente un campo
di forza rotazionale
attorno alla sua circonferenza, che lo rende estremamente affilato.
Dopo una
certa distanza, lo scudo torna indietro come un boomerang.
“Noi
non prestammo alcuna attenzione alle
antiche profezie.
Come
dei folli ripiombavamo nelle vecchie
diatribe e combattemmo così come avevamo fatto per
generazioni, fino al giorno
in cui i mostri infernali si rivelarono dalle oscurità entro
cui s’erano
annidati e il nuovo nemico venne tra noi.
E
ora siamo qui sull’orlo della distruzione,
poiché il regno del caos, infine, è arrivato.
I
racconti degli anziani erano veri. Le
leggende erano reali. I demoni esistono e ora stanno venendo a
prendersi il
mondo che hanno sempre agognato: il mondo degli uomini.”
“La
battaglia di Deres fu una delle più
sanguinose che il mondo avesse mai ricordato sino a quel giorno.
Centinaia
di migliaia di persone erano state
osteggiate da pochi. Nell’aria riecheggiava rimbombante una
voce grottesca che
parlava con la lingua degli uomini.
Fu
terrificante quasi come quel giorno…Quando il cielo si
plasmò a immagine di
Zeus, e terribili lampi colpirono la terra, trasformando il nostro
mondo in una
valle di lacrime.
La
voce grottesca ricattò gli eserciti che si
davano battaglia:disse
che avremmo
potuto salvarci da quell’incubo se gli avessimo portato
cinque lingue,
strappate da altrettante bocche di esseri umani.Dovevamo strapparle quando essi erano ancora
in vita, suppliziandoli, in caso contrario i mostri ci avrebbero
punito.”
La
morte dei
nemici aveva infine illuminato il popolo eletto. Coloro che si erano
distinti
erano ritti sulle proprie gambe, stringendo tra le mani i loro macabri
trofei…Tutti gli altri giacevano a terra morti e senza
lingua serviti come
banchetto per i corvi.
I
vivi erano
poco più di quindicimila. Era stato un genocidio. E ora,
Messeni e Lacedemoni,
che fino a poco prima combattevano tra loro, si mescolavano assieme
come
un’unica armata.
Adesso
diverse fiumane di gente erano in attesa davanti ad alcune tende
spartane,
dentro le quali altrettanti di quei mostri, come solerti burocrati,
controllavano una per una le lingue donate, che avrebbero svolto la
funzione di
chiave per entrare nel popolo prescelto.
Ci
si
sarebbe dovuti limitare a cinque lingue, ma, poiché gli
uomini sono depravati,
avidi e sanguinari e i loro bisogni illimitati, alcuni ne palesarono
più di
venti per mostrarsi da subito più degni degli altri. Ma
ciò che risultò strano
fu che gli spartani, i guerrieri più forti di tutti, nati
per la battaglia, si
limitarono tutti a presentare il minimo richiesto.Furono gli iloti, i miserabili servi, a
macchiarsi più del dovuto del sangue dei loro stessi
fratelli, poiché non
sarebbero mai riusciti a rubare la lingua agli odiati nemici lacedemoni.
Leneo,
il
nuovo generale, si leccò le labbra
dall’eccitazione nel vedere così tanti premi.
“Guarda
Aristomene…”disse al comandante dei
messeni indicando
alcune mostruosità ricoperte di penne e piume, esseri che
avevano mutato le
proprie sembianze pur di sopravvivere e che ora camminavano affiancando
gli
umani nella stessa armata.
“…A
me piace la meritocrazia, e adesso possiamo
dire di aver portato alla luce il vero popolo eletto.”
Cisso,
il
pupillo di Leneo, entrò di gran lena dentro la tenda
superando tutti gli altri,
e fece rotolare due teste: erano i due Polemarchi e generali supremi
dell’esercito spartano Anassandro e Anassidamo. Quei mostri
avevano trucidato i
loro stessi superiori.Agivano
realmente
per compiacere Ares?Aristomene
non ne
era più sicuro. Erano diventati una scheggia impazzita preda
della propria
follia. Un nucleo dedito al solo terrorismo.
Dai
a degli
uomini un po’ di potere ed essi faranno di tutto per
ottenerne dell’altro e
annientare i più deboli.
L’uomo,
Aristomene, rabbrividì, ora veniva la parte più
difficile: andare a caccia del
Falcone Nero e annettere al proprio esercito tutti coloro che, secondo
la
logica perversa di Leneo, sarebbero stati degni.
Era
piano
del Falcone quello di fare in modo di far credere a tutti di essere
lui.
Aristomene lo aveva seguito alla lettera indossando il suo elmo. Ma
adesso?
Anche quell’inconveniente era previsto?
“Guarda Aristomene” lo
ridestò il
generale supremo Leneo.
“Adesso
possiamo anche setacciare il mondo dal
cielo.”Disse
indicando le umanità mutate che ora erano ricoperte di penne
e piume ed erano
dotate di possenti ali spiegate. La pelle sulla faccia era segnata da
una
mascherina rossa che li caratterizzava ulteriormente come specie.
Sembravano
cardellini.
“Seguimi”
disse l’anziano. Era nudo, calvo, la pelle madida
di una sostanza lucida e divelta da ogni peluria. Proseguì
arrancante verso le oscurità di un corridoio.
Per terra c’erano tubolari ovunque e le pareti apparentemente
di metallo sembravano l’allucinante confine di un incubo:
piene di leve, manopole e specchi per altri mondi.
Una donna, ugualmente nuda, calva e nelle stesse condizioni
dell’altro, lo seguiva a pochi passi.
“Vogliamo farlo veramente? Saremo puniti per questo.
Già quello che abbiamo fatto potrebbe portarci alla morte,
lo sai?”
Disse scansando con un piede il corpo esanime di un essere
apparentemente umano, ma il cui buco in testa rivelava ingranaggi e
parti che non avevano nulla di organico.
“Non ha importanza. Sarebbe molto peggio se non agissimo in
fretta invece poiché il nostro sogno morirebbe assieme a
questo pianeta. E poi…Noi non moriremo per questo.”
Dopo aver percorso una certa distanza, i due anziani giunsero verso un
enorme finestra da cui poterono contemplare il mondo. Era meraviglioso,
ricoperto dagli oceani e avvolto dal suo manto di pallidi effimeri
nembi.
“Bellissima” commentò la donna, mente
l’uomo agitava un marchingegno facendo balenare lambi
purpurei contro gli esseri che erano seduti su delle sedie davanti ad
alcuni pannelli.
L’uomo si avvicinò alla finestra, contemplando la
meraviglia della vita che affiorava da fuori di essa, in contrasto con
la non-vita che aveva spento poco prima e che dominava dentro ognuna di
quelle stanze.
“Vogliamo farlo?”
“Facciamolo insieme!”
I due umani spinsero assieme una leva rossa e, illuminati dalla luce
riflessa del corpo celeste, si abbandonarono in un bacio appassionato.
La stanza in cui si trovavano fu illuminata da lampi rossi e fu scossa
da un terremoto.
Il
re di
Sparta Aristodemo sedeva sul suo scranno di legno a capotavola, nella
sua
terrificante figura corazzata di piastre placcate d’oro e
d’argento. Il cielo
dell’Agrolide, sotto cui si trovava era placido e sereno. Il
sovrano teneva con
un unico sguardo tutti i sovrani dell’intera Grecia.
I
più
importanti gli stavano attorno: Acrisio
signore di Argo;
Creonte sovrano di Tebe; Re Pandione di Atene Ialiso
signore di Rodi e i suoi fratelli Lindo e Camiro.
C’erano
poi vari altri sovrani minori:Meandro re di
Pessinunte; Ditti,
signore dell’isola di Serifo; Epito,
re di Arcadia; Liparo eponimo
re
dell’isola di Lipari;
Enopione signore di Chio, re
eete dalla Colchide, Mane di Frigia e Idamante da Creta.
Tutte queste autorità riunivano
insieme una grande armata di oltre centomila uomini.
“Sovrani
di tutta l’Ellade, siete stati qui riuniti per volere
dell’Olimpo!I
rivoltosi che da tempo immemore sporcano la
nostra bella terra, ora si sono fatti avanti.Nel Peloponneso, su tre campi differenti, si sono mostrati
altrettanti
uomini che affermano di essere inviati dell’Olimpo, al solo
scopo di farsi
seguire dai piccoli. Ma io so che è un inganno. Costoro sono
in realtà i cani
del Falcone Nero, il cui scopo è destabilizzare il nostro
mondo.
I
messeni a centinaia di migliaia hanno minacciato seriamente la nostra
libertà.
Altrettanti dissidenti hanno preso Micene, e molti altri si trovano
nell’Arcadia…”
“…A
questo proposito, mio Primo-Inter-Pares, chiediamo immediati rinforzi”Disse Epito, signore di quella terra.
Aristodemo bloccò
l’impertinente
interruzione con un gesto della mano.
“Interrompimi un’altra
volta e non
vivrai abbastanza da vedere la tua terra venire liberata da quei
ratti.”
Epito
si
ammutolì.
Aristodemo
continuò a parlare:“L’invasione dell’Arcadia, la
presa di
Micene, e sette giorni fa, l’insurrezione dei
messeni… Sono solo uno
specchietto per le allodole.
Vogliono
attirarci verso il Peloponneso, ma non
è lì che si trova il Vero Falcone. Voi sapete
dove si trova l’Imetto?”
Contemplò
i
volti degli altri re studiandone le espressioni di sorpresa.
“Attica!” Esclamò Pandione.
“Per quale motivo l’uomo più ricercato
dell’Olimpo
dovrebbe portarsi nella bocca delle Aquile?”
Aristodemo
strinse gli occhi.
“Evidentemente perché forse non tutte le Aquile
servono lo stesso nido…Avete
mai sentito parlare dell’Imetto? E’ lì
che il Falcone è diretto. È per di lì
che è stato visto andare.”
“Il
massiccio dell’Imetto…”
Sussurrò Creonte.“Si narra che tra quelle montagne leggendarie si
aggirino mostri oltre
ogni immaginazione. Un labirinto di rocce affilate come lame, da cui
nessuno è
mai riuscito a uscire vivo. Chi ci condurrà? E con quale
forza riusciremo ad
averla vinta?”
Aristomene
sorrise.
“Ecco
la risposta alla prima domanda! Portate
qui il pezzente”
Due
spartani
entrarono nella tenda comando dove un uomo sporco di fango e letame
venne fatto
entrare. Un uomo quasi scheletrico, aveva gli occhi dilatati e un
terribile
sorriso sdentato. Stringeva tra le mani un teschio umano.
“Il
mio nome è Trofonio, progettista di
innumerevoli labirinti e allievo del leggendario Dedalo. Miei potenti
re, vi
condurrò io a destinazione verso l’alcova del
grande ribelle.”
Tutti
i re
nella sala restarono allibiti da quelle parole. Solo il re di Atene
ebbe
l’ardore di manifestare un’ovvia obiezione.
“Aristomene,
vuoi davvero affidarti a questo vecchio pazzo?Questo straccione!”
Il
re di Sparta
strinse i denti dalla rabbia.
“Stai
attento, Pandione perché in questo ‘vecchio
pazzo’ brilla imperitura una fiamma. La fiamma dei prescelti
dell’Olimpo.
Costui è un Eletto”
“Eletto?!
Ma di cosa stai parlando?”
“Qui
rispondo alla seconda domanda:mi
chiedevi con quale forza avremmo potuto averla vinta? Trofonio, mostra
a questi
mortali che cosa vuol dire essere un PRESCELTO”
Il
vecchio
sorrise ancora più orribilmente e d’un tratto gli
occhi sbucarono fuori dalle
orbite, facendo inorridire tutti i presenti.Emise uno squillo acuto e stridulo che parve essere lo
stridio di un
demone.
Da
fuori la
tenda comando si udirono innumerevoli urli sguaiati che divennero via
via
sempre più ferali.
“Ma
che
cosa…”
Tutti
i re
si affacciarono fuori dalla tenda e gridarono di orrore e sorpresa.
“Dei
dell’Olimpo…”
Aristodemo
sorrise.
In
mezzo
alle schiere di uomini, uno su cento, sopraffatto da gemiti e
convulsioni di
dolore, prendeva le sembianze di un mostro.
Uno
dopo
l’altro gli Eletti si facevano avanti: uomini di pietra,
uomini ricoperti di
corteccia, mostruosità alate e molto altro…
“Con
un’armata di questo genere, nessun uomo, neppure il Falcone,
riuscirà mai a
contrastarci”
Parentesi
anacronistiche 10:
Ciclopi:
(Vedi
il capitolo 1)Sono
i guardiani di Efesto. Il risultato
vincente della sinergica intesa tra ingegneria genetica e informatica.
Gli
esseri sono stati creati sulla base di feti di esseri umani resi
radioattivi
prima della nascita e trattati con ingenti modifiche agli alleli di
miostatina
e follistatina (vedi parentesi anacronistiche 6) atti a farli crescere
spropositatamente
nel giro di pochi giorni. Infine poiché le radiazioni
avevano provocato in loro
diversi effetti collaterali (incapacità di parlare,
l’unico occhio, mancanza di
organi genitali) tra cui un’instabilità mentale
che rendeva loro caotici e
intrattabili,prima
della crescita veniva
impiantato in una
zona del loro cervello
un chip che
programma il loro
comportamento in relazione a determinate situazioni.
Il
sole
batteva arrogante sulle alte colline sabbiose dalle quali,
all’orizzonte, era
già possibile scrutare i primi imponenti profili del
massiccio dell’Imetto.
Due
figure
incappucciate si stavano incamminando verso la montagna. Alle loro
spalle la
grande metropoli di Atene era già sparita dietro alcune
grandi rocce.Nessun
uomo sano di mente avrebbe mai
percorso quell’itinerario, eppure la guida dei due aveva un
passo sicuro e
deciso. Poi si bloccò.
“Ci
hanno trovati.”
“Che
cosa?”
Soter,
l’Innominato alle sue spalle estrasse la spada guardandosi
attorno, ma la
situazione era del tutto statica e nell’aria poteva udire
solo lo stridio di
qualche sparuto mangiatore di carcasse alato.
“Hai
sentito qualcuno o visto qualcosa,
Sideris?”
“Nulla
che
le prerogative sensoriali di un uomo possano criptare.”
“Che
cosa vuol
dire?”
Sideris
si
avvicinò al compagno di viaggio, puntando un dito verso la
sua nuova armatura,
sottratta tempo prima all’Innominato Phobos.
Il
Falcone
emise un fischio che si fece via via sempre più sottile fino
a sparire del
tutto. Soter non capiva.
Poi
il
falcone si chinò davanti a lui e agguantò con
mano quelle che al compagno non
sembrarono essere altro che briciole.
“Tecnologia.
Con questo affare Ares poteva
rintracciare i nuovi Innominati in qualsiasi momento. Me ne sono
accorto solo
poco fa, dopo aver avvertito degli impulsi impercettibili a qualsiasi
umano. Ma
è stato per un tempo abbastanza lungo perché chi
è in ascolto potesse
localizzarci…”
Soter
restò
in deliquio.“Stregoneria…Chiaroveggenza…Divinazione.
Potevano sapere dove ci
trovavamo”
“Non
più
adesso.”
“Comunque,
una ragione in più per affrettarci.
Forza muoviti!”
Sideris
restò immobile a pensare.
“Forse
c’è qualcosa che posso fare per te, ora
che il mio intero potere è risvegliato”
S’avvicinò
verso l’Innominato passo dopo
passo sovrastandolo con tutta la sua imponenza dei suoi due metri di
altezza.
Il ragazzo gli arrivava a malapena all’altezza del ventre.
“La
tua armatura…”
Disse poi il Falcone
“…La
tua armatura è una delle armi inibite che le
divinità usano per armare i propri
araldi. In realtà il modello che hai indosso ha un potere
offensivo
catastrofico e una difesa impenetrabile, ma Ares ha deciso di inibire i
loro
poteri.
Perché?
Per evitare che nelle missioni che affida ai suoi succubi, essi
diventassero
così tremendamente micidiali da attirare
l’attenzione delle altre divinità.
Ma
adesso siamo già al centro di ogni attenzione e dunque se
possiamo vendere cara
la pelle, lo faremo.
E
quindi di cosa dispone questo gioiellino
tecnologico?Un
sistema di rilascio di
qualche pugnale e che altro? Un ridicolo lanciafiamme di cinque metri
di
gittata?”
Soter
rimase in silenzio ad ascoltarlo.
Non riusciva a comprendere una sola parola. Dove voleva andare a parare?
Sideris
toccò uno dei suoi spallacci con
una mano. Le punta delle dita si sciolsero appiccicandosi sulla corazza
sotto
forma di un metallo densissimo.
Soter
fece per muovere il braccio per difendersi
in qualche modo, ma non riusciva a spostare un solo muscolo in quel
momento.
Era come se l’armatura non glielo permettesse. Neppure i
bulbi oculari
riuscivano a cambiare direzione: gli si erano affossati nelle orbite.
Il fiato
gli si fermò in gola poiché non riusciva a
distendere né a dilatare il diaframma.
Non riusciva a muovere la lingua per proferire parola.Era completamente inerme ed alla mercé di
Sideris, il quale se avesse voluto avrebbe potuto far di lui quello che
desiderava.
Improvvisamente,
una fitta lancinante
alla testa gli provocò il dolore più intenso e
sconvolgente della propria vita.
La sua intera esistenza gli si ripresentò davanti, compresi
i momenti più
insignificanti: ogni singolo attimo vissuto. Come se in un istante
avesse
ripercorso i suoi ventiquattro anni. Poi…
-Aggiornamento
completato-
Proferì
una voce non umana proveniente
dalla propria corazza. Era come se si trovasse in un sogno. Nulla di
ciò che
stava accadendo intorno a lui sembrava avere un senso.
Sideris
rilasciò la mano dalla corazza e
si allontanò.
Adesso
Soter poteva muoversi. Era
confuso e spaventato. Aveva immaginato tutto? Era stata solo
un’allucinazione?
Incominciò a guardarsi attorno per vedere se c’era
qualcuno oltre a loro due.
Nessuno.
Ma allora cosa era appena
accaduto?
“Ho
disinibito le funzionalità della tua armatura,
precedentemente bloccate. Adesso
puoi dargli i comandi semplicemente con una parola. Imparerai strada
facendo.
La
notte era calata ma anziché
accamparsi, i due viandanti continuavano a battere il passo, sempre più veloci.
Soter era sbalordito delle proprie
capacità.
“Ora
posso tagliare il buio delle tenebre con il mio sguardo, e correre
senza
stancarmi a una velocità che non avrei creduto
possibile”
Sideris
correva affiancandolo. Sembrava avere
le stesse capacità.
“E
allora?” Chiese Soter “Che cos’hai in
mente? Hai detto che un uomo ci
avrebbe aiutato. Credi che vagando alla cieca in questo labirinto di
rocce
potremmo trovarlo?”
“Sarà
lui a trovare noi”
Dopo
aver vagato per diverso tempo
presso le insidiose oscurità dell’Imetto, entrambi
videro una figura. Sembrava
un uomo. Ma ciò che non era chiaro era la sua distanza da
loro.Per
dissonanza cognitiva, la figura umanoide
sembrava trovarsi a pochi metri. Man mano che si avvicinavano capirono
che in
realtà si trovava molto più distante e che le sue
dimensioni erano superiori
rispetto a quelle di qualsiasi uomo o animale che avessero mai visto.
“Per
gli inferi!Che
cos’è quel mostro?”
“Un
Guardiano.Siamo
arrivati esattamente
dove volevamo.”
Ora
a pochi passi dalla creatura, Soter
ne poté comprendere le reali e mostruose dimensioni. La
testa dell’Innominato
arrivava all’altezza del malleolo. Doveva fare diversi passi
indietro per
contemplare il mostro nella sua interezza. Completamente nudo, senza
peli né
organi genitali. Al centro della fronte imperava un unico occhio.
“Ciclope”
Il
mostro emise un grugnito appena li
vide. In mezzo ai piedi della creatura c’era una folla di
esseri barbuti
ricoperti di pelliccia e dall’unico occhio: Arimaspi.Le loro dimensioni erano
umane, anche se
imponenti quanto Sideris.
Il Falcone non disse una parola. Spalancò le braccia e
rimase a guardare il
gigante, finché, sorprendentemente, esso non si
inginocchiò davanti a lui.
Gli
Arimaspi sembravano averlo
riconosciuto. Gli fecero strada. Soter lo seguì. Forse
avevano davvero una
valida speranza.
Camminarono
per diverso tempo seguendo
quelle strane creature. Lungo il percorso Soter ebbe sorpresa di vedere
altre
di quelle sentinelle giganti dall’unico occhio. Tutti
s’inginocchiavano davanti
al passaggio del Falcone.
Proseguirono
finché dopo aver varcato
diversi corridoi di roccia e oscure gallerie non giunsero innanzi a una
grossa
pietra che ostruiva il passaggio. Alcuni Arimaspi si misero ai lati
carezzando
la sua levigata superficie, e dopo poco, come oggetto di una potente
stregoneria, la roccia si aprì davanti a loro come
un’immensa porta.
Al
di là del passaggio, delle fioche e
innumerevoli fiaccole piantate a terra diedero un nuovo spessore alla
realtà all’interno
della caverna.
C’erano
delle colonne doriche,
costruzioni umane all’interno di un monumento naturale. I
pilastri si facevano
sempre più robusti e imponenti man mano che il gruppo
proseguiva e che
l’interno della caverna si faceva sempre più vasto
e il soffitto sempre più
alto.
Le
colonne divennero immani quando si
ritrovarono in una sala centrale. Il soffitto che sorreggevano era
divenuto
troppo alto per essere scrutato. E alle basi dei pilastri, ovunque
c’erano
movimenti, clangori e grida. Centinaia di Arimaspi al lavoro portavano
carri
ripieni di attrezzatura o riparavano grosse falle.I ciclopi, a decine facevano lavori preclusi
a qualsiasi gruppo sollevando giganteschi pezzi di metallo e portandoli
a
lavorare presso una brace su misura di gigante.
Infine,
meraviglia delle meraviglie,
arrivarono a contemplare dei Colossi più grandi di qualsiasi
palazzo o cinta
muraria mai vista in qualsiasi polis greca.I ciclopi che erano già dei giganti, non erano
abbastanza alti da
arrivare all’altezza di un loro ginocchio. I colossi erano
cinque.
“Il
fumo si alza dall’Imetto. L’ora è tarda
e Sideris il Falcone Nero finalmente è
giunto nel reame di Efesto.Ammira
i
Colossi, soldati su misura di un dio” A
parlare fu un uomo, questa volta con
due occhi e gli stessi tratti di un umano. I fumi della forgia avevano
reso il
suo volto nero.
“Cedalione,
fedele amico. Sono pronti?”
“Quasi. Abbiamo
ancora bisogno di revisionarli
e inoltre, non è facile trovare qualcuno in grado di
manovrarli. Stiamo
addestrando gli Arimaspi da quasi un anno, ma le nostre
unità sono eccezionali
solo nella forgiatura. Nessuno è pronto a coordinare i movimenti dei
colossi.”
“Troveremo
in fretta una soluzione. I nemici presto saranno alle nostre porte, lo
sento.”
“Nemici?
Chi intendi?”
“Non
lo so ancora. Ma qualcuno ci ha spiato mentre eravamo diretti qui.
Dobbiamo
affrettarci.” Cedalione
annuì preoccupato e tornò a
dirigere i suoi Arimaspi nel lavoro.
L’Innominato
a questo punto trattenne
Sideris. “Aspetta
un attimo. Ora voglio che mi spieghi tutto quanto” Sideris
annuì. “Lo
avrei fatto comunque.
Come
sai, gioco a scacchi con l’Olimpo da molto tempo, e il mio
intento quest’ultimo
periodo è stato quello di allungare la partita nascondendo
Pandora il più a
lungo possibile. Ma Zeus ha fatto una mossa scaltra con il suo
Ultimatum alla
Grecia.Ha
distrutto numerose polis
trucidando il popolo senza fare distinzione tra amici e nemici.
Ora,
tutti coloro che sognavano un mondo libero dal giogo degli dei, pur di
salvare
se stessi e i propri cari, mi hanno voltato le spalle.
Solo
in pochissimi mi sono rimasti vicini.Dieci uomini: Cercione, Almo, Oreste, Pilade, Aristomene,
Acheo, Ischi,
Elleno, Bellerofonte…e sorprendentemente tu.
A
tutti loro ho dato uno straccio di mappa, e,divisi per gruppi, avrebbero dovuto viaggiare in luoghi
differenti.Nella
mappa ho tracciato dei punti dove, nei
miei innumerevoli viaggi ho seppellito degli Artefatti di Ares, che
rubai tempo
fa.
Gli
Artefatti sono potenti come la tua spada, ma l’influenza che
essi suscitano
negli uomini è ancora più potente.Così
giocando sulle emozioni di paura e sconforto del popolo, ho dato
direttiva
aimiei prescelti
di fingersi Araldi
degli dei, scesi sulla terra per riunire gruppi di uomini in
un’armata da
scagliare contro il Falcone Nero, e il suo esercito.Sarà davanti all’armata e in un luogo
prescelto che mi
paleserò a tutti
mostrando pubblicamente che gli dei possono essere
sconfitti…e uccisi.
Ma
prima di questo, metterò in gioco anche la mia ultima
risorsa, perché la forza
degli uomini da sola non basta contro l’Olimpo.
L’armata
che si trova in questa Forgia piegherà l’ultima
resistenza al servizio dell’Olimpo, e poi…Con questi immani colossi, alla
testa dei popoli liberi del
mondo, scaleremo l’Olimpo scaraventando al suolo le false
divinità.”
Soter
fu scosso da quelle parole. “E
Pandora?”
“Ce la riprenderemo” Soter
guardò i giganteschi Colossi di 60
metri.
“Può
davvero una forza di invasione terrestre riuscire ad avere esito contro
la
forza dell’Olimpo?”
“Forse.
Perché dalla nostra parte abbiamo due Aquile. Non
ricordi?”
Il
Falcone si voltò in una direzione,
dove una figura stava camminando verso di loro. Tutti erano genuflessi
davanti
a quella donna. Scoiattoli, volpi e piccole talpe la seguivano ovunque
ella
andasse. La sua bellezza era surreale e i suoi occhi verdi erano
penetranti come
lame.
“Ricordo
di questa splendida donna…Qual è il suo
nome?”
“E’
una delle due Aquile, il suo nome dovrebbe esserti già
giunto
all’orecchio…Artemide.”
La
donna parlò. “I
miei omaggi Falcone Nero. Se ti trovi qui in questo momento, vuol dire
che ciò
che sarebbe dovuto accadere è successo: ti sei liberato del
limite che arginava
i tuoi ricordi e le tue prerogative. Quel blocco che io non ero in
grado di
rimuovere è stato rimosso. Sapevo che il Destino avrebbe
rimediato a questa
esigenza.”
Sideris
la guardò consapevole. “Sì.
Ora è tutto diverso. Ricordo di te. Ricordo che anni fa
stabilimmo questo
incontro e questo piano d’attacco, assieme a
Efesto…Ma la situazione ora è
degenerata: Pandora è stata rapita, e le armi di Ermes ci
sono state
sottratte.”
“Coloro
che hanno rapito la donna non agiscono per conto dell’Olimpo.
L’Olimpo non sa
niente del rapimento e continua a credere che a tenerla sia ancora
tu.”
“Non
è stato l’Olimpo?” Intervenne
Soter. “Ma allora CHI?”
Artemide lo guardò con i suoi occhi
pungenti.
Fu Sideris a rispondere:
“Ares.
Se sono stati gli Innominati a rapire la ragazza e se dopo quasi due
settimane
ancora non abbiamo avuto riscontro da Zeus, allora vuol dire che la sta
tenendo
sotto la sua custodia…Ma non conosco il motivo di questo suo
gesto”
“Ares”
Soter strinse i denti.
“Non scoraggiarti” Disse la bella
dea.“Abbiamo ancora delle risorse dalla nostra per
capovolgere la
situazione. E se è stato Ares e non Zeus a prendere la
donna, allora possiamo
tirare un respiro di sollievo. Voi Falchi avete degli alleati forti.
Anche
Efesto combatterà contro l’Olimpo.”
“Per
quale motivo dovreste aiutarci e uccidere la vostra stessa
gente?” Chiese
l’Innominato.
“E’
una questione di cui non posso parlare. Ti basti solo sapere che
rischieremo la
vita assieme a voi”
Soter
strinse gli occhi.
“Per
ora ho sentito solo parole. Se avete un piano d’attacco,
voglio farne parte il
più presto possibile”
Con
indicibile arroganza voltò le spalle
alla dea e al Falcone e si ritirò.
“Èmolto risoluto. Non avevo
dubbi” Disse
Artemide
con un sorriso.
“Sarà
una carta vincente per volgere la Guerra a nostro favore.”
Rispose Sideris.
Poi dopo aver porto i suoi omaggi ad Artemide si congedò
dirigendosi verso
Cedalione.“Ho trovato uno dei cinque guerrieri che
manovreranno i colossi.”
“Chi?” chiese l’uomo. “Quel
ragazzo che ti seguiva?” rise. “Potrei rimediare di
meglio. Uomini forti e molto più allenati.” Sideris
scosse la testa.“Era
un Innominato, un
tempo Araldo di Ares. Non esistono uomini più letali in
questo mondo.”
“Oh!
Lui. Un a-araldo di Ares” ripeté
incredulo Cedalione “Pensavo fossero
più grossi”.
“SIDERIS!” Esclamò una voce
baritonale.
“MIO SIGNORE, SEI DAVVERO TU!”Un Arimaspo correva verso di lui. Dopo un po’
che si avvicinava il Falcone Nero si accorse che era ben più
grosso degli altri,
e che, incredibilmente non era nemmeno un arimaspo, ma
solo…Un umano, cieco di
un occhio.
Perifete
lo abbracciò facendo sembrare
Sideris poco più di un nano. Il viso del Falcone si
schiacciò contro il suo
petto villoso e nerboruto.
“Pensavamo che non saresti mai arrivato!”
Disse il gigante con una vena di commozione.“Siamo rimasti qui dopo aver incontrato la Dea.
Ci ha detto di restare,
perché sapeva che saresti arrivato prima o
poi…Pensavo
mentisse…Pensavo…”
“Perifete!
Il più grande e il più forte
dei miei luogotenenti. Non posso esprimere il compiacimento che trovo
nel
rivederti vivo e…Quasi in salute”
Guardò il suo occhio cieco.
“Questo…Graffio
non è nulla per me.Mi
ricorda solo l’odio
che nutro verso gli Spartani e i cani dell’Olimpo.A lungo sono stato
torturato, ma né io né
nessuno dei miei uomini ha mai ceduto informazioni importanti al
nemico”
“Non
mi aspettavo nulla di meno da te”
Rispose il Falcone, ben consapevole
che le informazioni veramente importanti, per motivi di estrema
sicurezza non
le aveva rivelate neppure ai suoi seguaci più vicini a lui.
“Ma
aspetta! Guarda!” Esclamò entusiasta
Perifete indicando i soldati che si stavano avvicinando “i
tuoi uomini più fedeli sono rimasti con te. Costoro non ti
hanno mai
voltato le spalle.”
Venne
Alcone, uno degli archi più
infallibili di tutta la Grecia. Si era fatto un nome durante le passate
Olimpiadi, come anche molti tra le fila dei rivoluzionari.
Seguirono Etolo, corridore olimpionico,
il suo volto era consumato dal pianto e dalla sofferenza per la perdita
dei
suoi figli ma la vista del Falcone mostrò una nuova luce nei
suoi occhi; e
Falanto, il terrore dei Peloponnesiaci.
Poi arrivarono Podalirio, uno dei più
abili medici della Grecia. Giunse Nasso, principe e ultimo superstite
della
stirpe dei Cari. E arrancante li raggiunse il vecchio Nannaco,
venerando bardo
ancora dedito alla battaglia.
“Non sei solo.”
Parentesi
anacronistiche 11:
Arimaspi:
La
zona dell’Imetto un tempo
radioattiva, ha modificato in tempi più antichi la prole di
tutti i clan e
nuclei di esseri umani che vivevano lì.Con il passare delle generazioni, i discendenti sono
diventati sempre più
robusti e imponenti a causa delle radiazioni. E, quando venne alla luce
la
prima bimba dal solo occhio, poiché i ciclopi si erano
già stanziati e le
popolazioni del posto li consideravano al pari di divinità,
venne vista come
un’eletta degli dei e sacerdotessa di tutti loro.Con il tempo, nacquero
molti altri bambini
con un unico occhio tra i vari clan. Questa nuova discendenza
chiamò se stessa
ARIMASPI e si impegnò di servire i ciclopi e il dio Efesto.Il nome della bambina
divenuta Sacerdotessa è
Cabeiro (vedi capitolo 1)
I
giorni
passavano e Pandora continuava a girare per i vasti e lussuosi
appartamenti
dove Ares l’aveva fatta prigioniera. Avvertì un
forte senso di disperazione e
sconforto. La gabbia in cui si trovava poteva essere molto
più angusta e
tortuosa, è vero, ma la ragazza aveva vissuto nella
prigionia sin dal suo primo
momento di vita. I suoi genitori, membri di una grande famiglia
aristocratica,
l’avevano sempre tenuta rinchiusa impedendole di uscire.
“se
fossi vincolato nelle quattro mura di una
cella che altri chiamano ‘casa’, costretto a
rimanervi finché il volere di
qualcuno che non vedi mainon
cambia non fuggiresti anche tu, anche se disposto a sacrificare
l’unico
vantaggio dei due pasti caldi assicurati?”
Per
un attimo udì cristallina nella mente la sua
voce da ragazzina.Quelle
parole le
aveva dette a Soter molto tempo prima.
“Bè…Forse. Ma non
ci si può opporre al proprio
destino”
Rispose
ancora vivida nella sua mente la voce del
ragazzo.
“Davvero
lo pensi?”
Rispose lei.
Soter,
l’Innominato, il cane nero di cui la
popolazione faceva riferimento con tremolanti sussurri,
l’uomo che ama.
Solo
nei pochi sporadici momenti passati insieme si
era sentita davvero libera. Ma poi che era successo?
La
sua casa fu
bruciata, assieme alla sua città, tutti gli abitanti furono
trucidati perché
l’Olimpo voleva lei. Sarebbe stata rapita dalle forze di Zeus
se il Falcone
Nero non l’avesse presa in tempo, ma per salvarsi fu
costretta a vagare con
quest’ultimo nell’anonimato per tutti gli anni
vissuti fino a quel momento. E
quindi, fu di nuovo schiava di decisioni altrui.
L’ultimo
sprazzo di libertà lo riottenne quell’unica altra
volta aver rivisto Soter.
Passò con lui pochi giorni, ma furono i più
intensi e felici della propria
vita.
Quando,
l’Ultimatum di Zeus infranse il suo idillio di
felicità e vide che per la
seconda volta non solo coloro che la circondavano ma il mondo intero
stava
rischiando la morte a causa sua, compì quello che
inizialmente credeva essere
un gesto di coraggio. Aprì il Vaso.
Non
ottenne
altro che ulteriore morte e la compromissione del piano del suo
protettore. Fu
quindi catturata nuovamente e resa schiava per l’ennesima
volta.
Ed
ora si
trovava lì. Non sapeva neppure dove, né se avesse
mai più rivisto altre
persone.
Rimase
malinconica a fissare la vallata davanti a sé. Si era fatta
sera. Poteva udire
il canto dei grilli e il fruscio del vento che batteva sulle
meravigliose
montagne di granito ricoperte di foreste e fiumi.
Si
sentì una
stupida, e tutto ciò che voleva era porre termine alla
propria esistenza che
fino ad allora non aveva fatto altro che arrecare guai agli altri.
Ma
anche i
tentativi per togliersi la vita erano risultati vani. Appena provava a
superare
la ringhiera della balconata o scontrarsi con violenza contro le pareti
o il
pavimento, un’energia invisibile la frenava e la cullava a
terra senza
arrecarle alcun danno. Cercò oggetti affilati per tagliarsi
le vene ai polsi ma
non ce n’era nessuno. Tutto il cibo che le veniva lasciato in
una cesta non
aveva bisogno di utensili per essere consumato.Tentò di mordersi la lingua o strangolarsi con
le proprie mani, ma
sembrava come se la stanza stessa riuscisse a comprendere la sua
volontà e
placasse al principio i suoi tentativi. Ogni volta che tentava il
suicidio la
donna perdeva la propria sensibilità e crollava a terra.
“L’uomo
si
illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono elementi
superiori
che controllano e guidano il destino di ognuno di noi. E
questi elementi sono il volere di
quelli che noi chiamiamo divinità”
Ricordò
la
frase del Soter adolescente detta molto tempo prima. Lei non era mai
stata
d’accordo, ma solo ora si capacitava del vero nelle sue
parole.
Tornò
negli
alloggi. Lo spazio a sua disposizione veniva esteso di giorno in
giorno.
Ares
passava
ogni tanto cercando in vano di comunicare con lei ma senza ottenere
alcun
esito.Davanti a
lui la ragazza si
richiudeva in se stessa senza spiccicare una parola. Lo odiava come non
odiava
nessuno, e Ares lo percepiva.
Ogni
giorno,
il dio della guerra le lasciava l’accesso a nuove sale e
corridoi per farla
sentire più libera ma la curiosità della ragazza
fu sempre soppressa da quello
stato di depressione in cui si trovava. Restò in pochi metri
quadrati chiusa
nel suo mutismo, fino a quella sera.
Un
barlume
impulsivo la fece alzare.A
piedi nudi
percorse le diverse lussuose stanze che non aveva ancora potuto vedere.
C’erano
giardini lussureggianti con uccelli variopinti che emettevano suoni
sublimi,
sistemi termali sofisticatissimi, mausolei pieni di meravigliose
sculture e
affreschi.
Ma
niente
riusciva a suscitare la sua attenzione né ad attivare la sua
curiosità, fino a
che, girando per un corridoio, non udì un brusio. Erano dei
sussurri di due
persone.
Provenivano
da una porta socchiusa.
Si
avvicinò
quel che bastava per sentire le parole accostandosi alla porta.Riconobbe una delle voci:
era Ares, ma
l’altra era sconosciuta.
Era
una voce
stridula e sinistra che non aveva mai sentito.
“Lo
hai fatto di nuovo!.. La sei venuta a
trovare!Tu ami
quella donna, Ares? Hai
scambiato l’amore per una mortale per il mio?!”
“Non
è così, Afrodite. Mi assicuro solo che la
ragazza non deperisca…Ci serve viva e lo sai”
“Non
prendermi in giro…C’è
dell’altro. Dimmi tutto ciò che sai o
andrò a prenderla
personalmente per strapparle gli occhi.”
Il
cuore di
Pandora stava per esplodere, ma voleva vedere da chi proveniva quella
voce.
Aprì di poco la porta per vedere chi si celava
all’interno.
La
vasta
sala era vuota. Al centro di essa vi era solo Ares che le dava le
spalle. Si
sforzò di controllare in ogni angolo ma non vi era altri che
lui.
“Non
puoi
farlo! Non te lo lascerò fare!” disse il dio con
decisione. Poi ci fu una lunga
pausa.
“Vuoi mettermi alla prova?”Di nuovo quel sussurro
stridulo
inquietantissimo. Ma sembrava essere stato Ares a sibilare.
“Sento
qualcosa…”il dio iniziò a
sniffare l’aria.
Questa
volta
non c’erano dubbi. Era lui a parlare.
Ares
si
voltò di scatto.
I
suoi occhi
erano sbarrati e guizzavano di follia e la sua espressione era contorta
in una
smorfia di terribile malvagità.
“Eccoti!” Urlò con
quella stessa voce
stridula “De-mo-nio!De-mo-niooo!”
Con
uno
scatto agguantò il collo della ragazza con le due mani e
incominciò a
stringere.
Mostri
2: Dedalione e altri ibridi-uccelli
(Vedi
Parentesi Anacronistiche 6)
La
peculiarità dell’agente mutageno di Dedalione,
rispetto a quella degli altri ibridi mutati sta
nell’inclusione di un inibitore
di miostatina (presente anche in quello di Cleobi e Bitone) che rende
la
trasformazione molto più imponente e robusta di quanto
potrebbe essere. L’agente
permette anche uno sviluppo delle prerogative sensoriali molto maggiore
e una
superiore manovrabilità e velocità di volo
rispetto a qualsiasi altro mostro.
Le sue spesse penne gli conferiscono un’armatura naturale
più resistente del
ferro. Allo stesso modo, gli artigli sono affilati come lame.
Gli
altri ibridi mutati hanno lo svantaggio di
sacrificare le proprie braccia che divengono ali, mentre Dedalione le
mantiene.
Inoltre gli altri ibridi non sviluppano la stessa sovrannaturale
robustezza, ma
mantengono quella che avevano.
Questo
definisce livelli differenti di mutageni:
Al
livello 1 ci sono tutte quelle mutazioni di
base che realizzano un ibrido tra un uomo e una bestia.
Al livello 2 oltre alla realizzazione dell’ibrido,
il mutageno include accrescimenti di forza, costituzione e dimensioni e
altre
abilità, molto maggiori rispetto a quelle di base dei due
ceppi genetici
genitori.