L'alba degli eroi senza nome [parte 2]

di Aimondev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riassunto della storia precedente ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Le origini del segnale (pt1) ***
Capitolo 4: *** Le origini del segnale (pt2) ***
Capitolo 5: *** Le origini del segnale (Finale) ***
Capitolo 6: *** Ali di morte (pt1) ***
Capitolo 7: *** Ali di morte (pt2) ***
Capitolo 8: *** Ali di morte (pt3) ***
Capitolo 9: *** Ali di morte (pt 4) ***
Capitolo 10: *** Ali di morte (pt 5) ***
Capitolo 11: *** LA PIU' GRANDE SCOPERTA ***
Capitolo 12: *** Ali di morte (pt 6) ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni 1: Chiarimenti padre-figlio ***
Capitolo 14: *** Rivelazioni 2: Sideris ***
Capitolo 15: *** Nella bocca del mostro (p1) ***
Capitolo 16: *** Nella bocca del mostro (p2) ***
Capitolo 17: *** Gli ultimi baluardi (p1) ***
Capitolo 18: *** Gli ultimi baluardi (p2) ***
Capitolo 19: *** Separazione ***
Capitolo 20: *** Il palazzo di Ares ***
Capitolo 21: *** La speranza umana (p1) ***
Capitolo 22: *** La battaglia di Deres (p1) ***
Capitolo 23: *** La battaglia di Deres (p2) ***
Capitolo 24: *** Fumi di guerra ***
Capitolo 25: *** Due aquile nere ***
Capitolo 26: *** Il raggelante segreto di Ares ***



Capitolo 1
*** Riassunto della storia precedente ***


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romanzo1

-Riassunto della storia precedente
-Scontri degni di nota
-Capitoli della storia messi in ordine cronologico
-Descrizione personaggi presenti nell’epica

RIASSUNTO DELLA STORIA PRECEDENTE

Antica Grecia.

 1)L’Olimpo e la Rivoluzione degli umani

 Le divinità dell’Olimpo hanno imposto una tirannia assoluta su ogni città-stato ellenica. 
Ogni governo si è sottomesso senza opporre resistenza imponendo regimi totalitari nelle proprie aree d’influenza. 

Ma se pubblicamente l’umanità appare annichilita, nell’ombra i rivoluzionari si raccolgono compiendo azioni di guerriglia e di sabotaggio ai danni di chi ha scelto di seguire gli Olimpici.
Questi dissidenti sono chiamati Falchi Neri, perché in contrasto con l’Aquila Bianca, emblema di Zeus, e sono guidati da un uomo sfuggevole quanto leggendario, Sideris.

 Il potere dei rivoluzionari non ha mai costituito una minaccia per le onnipotenti divinità Olimpiche, le quali non si sono mai curate del problema.

Solamente il dio Ares, residente a Sparta nel suo divino palazzo, ha accolto la dichiarazione di guerra muovendo contro di loro i suoi eserciti umani.

 Ma l’ultima frontiera della guerriglia sono le spie infiltrate in ogni schieramento.

Rivoluzionari che entrano negli eserciti regolari recitando la parte di Servi dell’Olimpo, viceversa, agenti al servizio delle divinità che si insidiano tra le linee dei Falchi.

 2)Complotti per il Potere Assoluto

 Ma gli obiettivi degli Olimpici sono ben altri che gestire la situazione degli esseri umani.
Tutti loro sono alla ricerca di una donna, Pandora, dalla quale le divinità sarebbero in grado di attingere a un’energia sconfinata.

Tuttavia la brama per il raggiungimento del Potere Assoluto, ha fatto sì che gli stessi Olimpici cospirassero a vicenda.

 Da una parte il dio Apollo vuole detronizzare Zeus e diventare la principale divinità del Panteon assieme ad Hera ed Ermes.  (cap 8)
Le tre divinità chiamano se stessi l’Alba, in virtù del loro leader, dio del sole, e della nuova epoca alla quale vogliono dare inizio.

 Dall’altra parte Ares trama contro tutti per catturare Pandora e tenerla celata a Zeus ed alle altre divinità, impedendo loro di ottenere il Potere Assoluto.
Ha confessato i suoi intenti  all’amata Afrodite, che si è schierata con lui. (cap 7)

Ares inoltre è l’unico ad aver scoperto che Pandora si trova al seguito di Sideris, unico uomo in grado di occultarsi totalmente agli occhi delle divinità.

Per questo motivo nessuno è riuscito a trovare Pandora per tanto tempo.

 3)Il piano di Ares

 Ma in questo mondo un dio non può muoversi di persona o schierare sul campo i suoi servi senza che le altre divinità lo vengano a sapere.

Così Ares decise di creare una brigata di assassini e spietati professionisti della morte che agisse nell’ombra per suo conto.

Prese i guerrieri più forti della Grecia e fece in modo che tutto ciò che era loro caro fosse distrutto.  Uomini che volevano veder bruciare il mondo, senza brame di denaro o di ricchezza o di potere.  Le loro uniche Ragioni di vita, le teneva lo stesso dio della guerra, legate a un filo.

Il dio della guerra usò la brigata per assassinare i più scomodi luogotenenti della rivoluzione, alcuni sottoposti delle altre divinità e, addirittura i suoi stessi comandanti per fare in modo che nessuno potesse sospettare che fosse proprio lui il mandante dei loro efferati delitti.

Grazie a queste avvedute accortezze tutto il mondo li vede come una setta a sé stante di assassini che mira al proprio tornaconto.

Questa brigata conta cinque uomini.
Klearcos, Varsos, Kyros, Soter e Gamacton.   (cap 2)
Chiamati Innominati da Ares.  Chiamati Distruttori da tutti gli altri.
Apollo tuttavia scoprì l’inganno grazie ad un traditore tra loro, Kyros, e decise di sfruttare la situazione a suo vantaggio usandolo come informatore.

 Un giorno Ares venne a scoprire dalle sue spie di un incontro tra Sideris ed altri gerarchi della rivoluzione.
Era in previsione di quel momento che Ares aveva creato gli Innominati; tutte le loro missioni precedenti non erano altro che un preludio a quella missione.
Finalmente Ares avrebbe sfruttato la potenza dei suoi Cinque araldi, fornendo ad alcuni di loro armi intonse di potere divino.
In questo modo avrebbe rischiato il tutto per tutto poiché se fossero stati catturati da una divinità, le loro armi avrebbero dimostrato che il mandante era proprio lui.

Ma sapeva che i Cinque difficilmente avrebbero fallito.  Il loro obiettivo era catturare Sideris e farsi dire dove si trovasse Pandora.

 Fasi del piano:

 -Creare un corpo di assassini che apparentemente agisce in modo indipendente da lui
-Inviare gli assassini al luogo dove si trova Sideris
-Interrogare Sideris per scoprire dove si trova Pandora
-Rapire e portare Pandora in un luogo prescelto

 

4) Il piano dell’Alba

 
Tuttavia Ares non era l’unico ad avere spie tra le file dei rivoluzionari. Anche l’Alba aveva delle talpe.  E anche l’Alba aveva scoperto l’associazione tra Pandora e Sideris.

 Apollo congegnò quindi un piano per catturare Pandora e allo stesso tempo incolpare Ares del rapimento agli occhi di Zeus e dell’Olimpo.

 Poiché sapeva (da Kyros) che il dio della guerra avrebbe inviato in missione i suoi cinque araldi armati di armi divine al luogo dell’incontro (il palazzo dell’Apollo Licio ad Atene), fece incrementare le difese per fare in modo che venissero catturati.
Infatti tra le sue spie, diversi avevano conquistato una posizione di prestigio presso i rivoluzionari, ed avevano quindi l’autorità per farlo.

Se anche le difese non fossero riuscite a fermarli, comunque Sideris si sarebbe messo in allerta e sarebbe fuggito dalla sua postazione sicura.
E’ proprio in quel momento che i servi di Apollo lo avrebbero dovuto intercettare e quindi scoprire dove si trovasse Pandora, e catturarla.

 Perciò poco prima dell’esecuzione del piano, l’Alba mise al corrente le restanti divinità dell’Olimpo dell’incontro di Sideris, e del fatto che trovato lui avrebbero preso Pandora.

Zeus, deluso da Ares, che per secoli non era mai riuscito a scoprire dove fosse Pandora  (perché Ares volutamente non lo aveva mai dichiarato)  affidò ad Apollo il comando supremo delle armate Peloponnesiache per cingere d’assedio l’intera Atene, e impedire che nessuno fuggisse. (cap 7)

 In questo modo, l’Alba si assicurava l’appoggio da parte dell’Olimpo, e alte probabilità che gli Innominati venissero catturati.
Dunque non trovando Pandora ad Atene (perché rapita già dall’Alba) Zeus si sarebbe accanito con Ares.

 Fasi del piano:

 -Avvertire Zeus e l’Olimpo ottenendo quindi il comando delle armate
-Trattenere gli Innominati fino all’arrivo delle armate e far fuggire Sideris
-Intercettare Sideris e rapire Pandora
-Arrivo delle armate. Cattura degli Innominati.  Ares incolpato

 

 5)Il piano di Sideris

 Sideris chiamato anche Il Fantasma per la sua sfuggevolezza, fece trapelare la notizia del suo incontro volutamente, tramite Varsos (un Innominato che ha sempre agito per i rivoluzionari).  In realtà non c’era nessun governatore all’incontro, era tutto un tranello. (cap 14)

Si trovava lì ad attendere Klearcos.  Infatti visto il risentimento che quest’ultimo nutriva nei suoi confronti, era presumibile che si sarebbe presentato da solo per soddisfare la sua vendetta.

Sideris voleva restare solo con l’Innominato per rivelargli la verità sui suoi genitori.
Verità che Klearcos scoprirà solo alla fine della storia.

 Fasi del piano:

 -Far scoprire ad Ares dell’incontro per fargli mandare gli Innominati
-Attendere l’arrivo di Klearcos
-Svelargli la verità

 

6)Le ragioni degli Innominati

 Klearcos.

E’ rimasto orfano a causa della guerra che infuriava tra Rivoluzionari e sostenitori degli Olimpici.  Varsos, amico dei genitori, decise di tenerlo con sé, e gli rivelò che i suoi genitori erano ufficiali al servizio di Ares, e che i loro assassini erano i Rivoluzionari.  (cap 13)

Klearcos riempì il suo cuore di odio per tutta la vita, passando l’esistenza all’insegna della vendetta.   Decise che avrebbe ucciso Sideris in persona e sradicato per sempre il movimento dei Falchi Neri.

Ares lo fece entrare negli Innominati, e sotto la sua guida Klearcos divenne uno degli assassini più temuti nell’Ellade, e si fece fama di uomo più rapido del mondo (con la spada).

Col tempo Klearcos capì che sapere è sinonimo di potere e per avvicinarsi al suo vero bersaglio dovette interrogare centinaia di vittime.

 

Soter.

Rinnegato dagli uomini.  Ha un potere senziente dentro di sé in grado di piegare a suo piacimento i fili del fato provocando grande sfortuna o incredibile fortuna.  Soter non è in grado di controllare questo potere, perciò odia se stesso.

L’unica ragione che gli ha permesso di sopravvivere è stata la speranza di trovare la donna da lui amata, di cui perse tracce molto tempo prima.
Ares lo scelse tra i suoi Innominati, e Soter accettò di buon grado sapendo che il dio della guerra avrebbe potuto dargli informazioni e mezzi per ritrovarla.

 Gli è stato promesso che una volta ritrovata questa ragazza, gli dei avrebbero anche potuto liberarlo dalla maledizione che lo affliggeva.
Ma era una menzogna, perché la donna da lui amata è proprio Pandora.  La donna che l’Olimpo cerca.  (cap 23-24)

 

7)L’esito della missione degli Innominati

 
I cinque Innominati risultano essere più abili di quanto previsto dall’Alba, e superano tutte le difese senza essere catturati.
Sideris inoltre, in attesa di Klearcos, non si ritira subito,come previsto da Apollo.

Klearcos assieme a Soter, riesce a raggiungere Sideris facendo però scattare gli allarmi in tutto il palazzo.
Sideris si ritrova a dover fronteggiare ben due Innominati assetati di sangue, e non riesce nell’intento di mostrare la verità a Klearcos. (cap 14)

Dopo uno scontro senza esclusione di colpi, Sideris riesce a scappare nell’esatto momento in cui Atene è cinta d’assedio dall’esercito di Apollo.
Klearcos e Soter lo inseguono e tutti e tre riescono a scappare dalla città.

 Sideris raggiunge la posizione di Pandora, sicuro di essere stato seguito da nessuno al di fuori dei due Innominati. 
Soter vedendo la ragazza si riconcilia con lei, e vedendo una minaccia in Klearcos si schiera improvvisamente dalla parte di Sideris.

 

8)La morte di un dio

 
In quel momento compare Ermes in persona, incaricato di seguire Sideris nella posizione di Pandora. (cap 18)
Dichiara di voler rapire la ragazza, e, se possibile anche i due Innominati, ma quest’ultimi sarebbero andati bene anche da morti.

Sideris, Soter e Klearcos stipulano un’alleanza strategica per sconfiggere il dio.  Ma Ermes non fa altro che giocare con loro per tutto il tempo, finché non viene ferito.

 L’alleanza degli uomini più forti del mondo riesce a far sanguinare un dio.

 Ermes, infuriato incomincia a fare sul serio, ma proprio quando sta per devastare l’intera area con un singolo colpo entra in scena la dea Artemide.
Durante la colluttazione Klearcos perde il braccio destro. (cap 20)

 Nello scontro nel quale le dea misteriosamente sembra voler difendere Soter a tutti i costi,  il dio Ermes viene ucciso. Il sangue del primo Olimpico ucciso bagna il terreno.

Artemide continua a comportarsi in maniera del tutto imprevedibile, aiutando gli umani.  Pone il corpo di Ermes in una cassa e la affida a Sideris, dicendogli che arriverà il momento in cui dovrà utilizzare le armi del dio (preservate dal potere intrinseco del suo cadavere).

 

9)Il viaggio alla scoperta della verità

 

Soter decide di restare al fianco di Pandora cambiando quindi schieramento. 

Klearcos invece è imprigionato dai rivoluzionari perché continua a essere ostile nei confronti di Sideris. Quest’ultimo però vuole lasciargli modo di scoprire da solo la verità, e gli ricorda che lui ha ancora una persona cara: Varsos.

 Klearcos è combattuto tra la voglia di rivederlo e la sua vendetta personale, ma alla fine vince il primo sentimento.
Viene quindi liberato da Sideris e si mette in viaggio alla ricerca di Varsos.

Dopo alcuni giorni torna ad Atene, e interrogando un luogotenente spartano scopre che Varsos è stato visto l’ultima volta presso il massiccio dell’Imetto,  luogo famigerato per la presenza di mostri.  Nessuno è in grado di guidarlo per i labirinti di quel posto, tranne Perifete.  Un luogotenente di Sideris che si trova imprigionato nel carcere di Atene.

 Klearcos lo fa evadere, e fugge con lui e altri prigionieri fuori dalla città.
Durante la fuga viene inseguito da un luogotenente spartano, Bufago che per trovarlo dà fuoco a un intero villaggio.

Gli evasi sono costretti a combattere, e grazie alle strategie di Klearcos riescono a distruggere l’intero plotone spartano.

 Tuttavia accade qualcosa di inaspettato. I due cocchieri di Bufago si trasformano in mostri terrificanti e massacrano metà degli evasi sopravvissuti.
Perifete riesce a uccidere uno dei mostri,  ma l’altro riesce ad impadronirsi della spada divina di Klearcos, diventando quasi imbattibile. (cap 30)

Gli evasi, dopo aver acciecato il mostro, scappano nuovamente.
Sembrano in salvo, ma la creatura li raggiunge grazie al suo fiuto.
Proprio quando sta per attaccarli, viene schiacciato da un piede gigantesco.
Gli evasi sono circondati da ciclopi alti 15 metri, e da arimaspi. (cap 31)

Gli esiti dello scontro sembrano già decisi ma Klearcos riesce a riprendere la spada divina e uccide un ciclope.

I ciclopi identificandolo come un servo degli Olimpici, catturano tutti senza uccidere nessuno, così i fuggiaschi si ritrovano ospiti nella dimora di Efesto.

Durante la permanenza, il braccio mutilato di Klearcos è sostituito con un innesto meccanico e poco dopo i fuggiaschi sono condotti alla presenza di Efesto che incredibilmente si scopre essere minorato mentalmente.

 Klearcos scopre che Varsos è passato per di lì, e si trova ad attenderlo nella sua vecchia casa. I fuggiaschi se ne vanno tutti per la propria strada, e Klearcos si dirige al luogo dove Varsos lo attende. (cap 32)

 

10)Ultimatum alla Grecia

 

Poiché neppure Apollo è riuscito a catturare Pandora, Zeus va su tutte le furie.

Si manifesta a tutti gli abitanti dell’Ellade come un gigantesco cumulonembo vasto quanto il cielo, e impone il suo Ultimatum.

 Vuole che ogni uomo sulla terra dia la caccia a Sideris, (invitando implicitamente i rivoluzionari a tradirlo), e che sia portato vivo al suo cospetto.
Ogni giorno Zeus avrebbe distrutto una città, a partire dalle più piccole per finire con Sparta e Atene, se l’umanità non gli avesse dato Sideris.

La prima ad essere colpita da un lampo di energia infinitamente potente, è Egina, nell’omonima isola.
L’isola stessa esplode causando un’inondazione. (cap 21)

 

11)Il segnale

 
Poco dopo sia Ares che Apollo avvertirono  per qualche attimo l’essenza vitale di Ermes, la quale si era eclissata (dopo la sua morte).
Ares che era il dio più vicino al luogo in cui era stata rivelata, vi mandò Kyros e Gamacton  affiancati a tre nuovi Innominati.

Il sesto, il settimo e l’ottavo:  Phobos, Deimos ed Enio.

 

12)La scoperta

 
Klearcos raggiunge la vecchia casa di Varsos e lì vi scopre la verità.

In realtà i genitori (Penelope e Odisseo) erano i capisaldi della rivoluzione e lo era anche Varsos, ma quest’ultimo aveva tradito la loro causa e li aveva uccisi.
Poi aveva preso il loro figlioletto e lo aveva reso un Innominato come lo era lui.

 Klearcos è sconvolto. Trova scritto su un foglio il luogo, dove Varsos lo sta attualmente aspettando. (cap 33)

 Lo raggiunge, e si batte contro di lui fino alla morte.
Varsos sta per morire. E’ in fin di vita.
Con le sue ultime forze rivela a Klearcos come andarono realmente le cose.

 Ares aveva preso in ostaggio la famiglia di Varsos e l’aveva scambiata con la sua fedeltà.  Varsos aveva accettato a malincuore, ed aveva assassinato Odisseo e Penelope.

Poco dopo averlo fatto, pentito, andò da Sideris, il secondo in comando dopo Odisseo, per costituirsi.

Sideris anziché farlo giustiziare, decise di sfruttare quella situazione.

 Varsos era l’uomo che aveva i contatti più stretti con il dio della guerra, e se avesse agito segretamente per la rivoluzione avrebbe causato degli effetti devastanti.

Odisseo aveva sempre voluto porre delle spie sotto il comando diretto del dio della guerra, ma tutti avevano sempre fallito. Dopo la sua morte, il suo obiettivo era stato raggiunto.

Odisseo era consapevole che servendo il dio della guerra, si potevano scoprire delle verità che avrebbero sconvolto il mondo intero. Alcune da rivelare pubblicamente, altre troppo pericolose per esserlo…

Era convinto che chi le avesse scoperte, avrebbe potuto persino ascendere al rango di divinità. Voleva dunque permettere al figlio di avere accesso a quelle verità.
Varsos rispettò le volontà di Odisseo. Finse di lavorare per Ares, e riuscì persino a indirizzare il giovane Klearcos nella Brigata degli Innominati.

 Prima di morire Varsos donò a Klearcos un mezzo medaglione, che unito all’altra metà che già possedeva Klearcos formava con delle incisioni la parola “Libertà”.

Quel medaglione è una chiave per scoprire le Verità che Varsos e Odisseo prima di lui avevano ottenuto durante la loro vita. (cap 34)

 
Scontri degni di nota:

-il nome del primo personaggio/i rappresenta il vincitore.

 

-Klearcos, Kyros, Gamacton vs plotone di rivoluzionari (cap 3)

-Soter vs sentinelle rivoluzionarie (cap 4)

-Klearcos, Kyros, Gamacton vs compagnia di Falchi Neri (cap 5)

-Varsos vs unità cinefila Falchi Neri (cap 6)

-Varos vs l’ufficiale Cercione (cap 10)

-Soter vs Scirone e le testuggini carnivore (cap 10)

-Soter e Klearcos vs Sideris (cap 14)

-Kyros e Gamacton vs plotone di rivoluzionari (cap 16)

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-Klearcos, Soter, Sideris vs ERMES (cap 18)

-ARTEMIDE vs ERMES (cap 20)

-Eris, Kyros, Gamacton vs cavalleria spartana (cap 22)

-Klearcos, Perifete e gli eroi rivoluzionari vs Bufago e una divisione spartana (cap 27-28)

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-Perifete vs Bufago (cap 29)

-Superstiti rivoluzionari vs Cleobi e Bitone (cap 30)

-Orda di ciclopi ed arimaspi vs superstiti rivoluzionari (cap 31)

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-Klearcos vs Varsos (cap 34)

CAPITOLI ORDINATI CRONOLOGICAMENTE

 

(Cap 13 –seconda parte-)
Cap 23
Cap 24
Cap 11

 Cap 1
Cap 2

 Cap 7
Cap 8

 Cap 3
Cap 4
Cap 5
Cap 6

 Cap 9
Cap 10

 Cap 13
Cap 12

Cap 16
Cap 14

Cap 19
Cap 17
Cap 18
Cap 20

 Cap 25
Cap 26
Cap 27
Cap 28
Cap 29
Cap 30
Cap 31
Cap 32

 CAP 21
Cap 22
Cap 33
Cap 34


Personaggi presenti nell’Epica

 -Descritti come resi dalla mia storia-

-nella storia saranno presenti tutti i personaggi dell' Epica

 Pandora (cap 15)

 E’ la donna per cui l’Olimpo sta distruggendo il mondo. Tramite lei, gli dei sarebbero in grado di ottenere un potere sconfinato, e per questo sono disposti a sterminare l’umanità pur di trovarla.
E’ sotto la custodia di Sideris, e grazie a lui non è mai stata trovata.
Ha avuto un storia d’amore con Soter in passato, ma sono stati costretti a lasciarsi.
Dopo più di dieci anni, si sono ritrovati.

Marsya  (cap 11)

Poeta e cantore più talentuoso dell’intera Grecia.

Si faceva chiamare l’Istrione, e si considerava la reincarnazione del dio delle belle arti. Era spietato con i cantori che osavano paragonarsi a lui in abilità musicale e canora.  Chi osava sfidarlo sapeva di stringere un tacito accordo di morte che prevedeva lo scorticamento dello sconfitto.
La sua autorità divenne tale da essere paragonata a quella di un potente oligarca, e chi offendeva lui offendeva anche il suo seguito.

Kyros, travestito dal dio Apollo, all’età di soli dieci anni lo sfidò in una gara musicale e lo sconfisse.

La differenza tra i loro talenti era così evidente, che il popolo fomentato scalzò Marsya dal titolo di Istrione e lo scorticò vivo.

Kyros divenne il nuovo Istrione.

 

(SAs)Servi di Ares

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Struttura dell’esercito spartano

 Ogni cittadino spartano era sottoposto alla rigorosa agoghé, che prevedeva una severa preparazione psico-fisica e durava fino ai 18 anni.
 Chi non la superava veniva ripudiato da Sparta.

 -L’unità base dell’esercito è composta da 15 uomini (che avessero completato l’agoghé) più un ufficiale, e tutti assieme condividevano la stessa mensa.

Questa unità era detta sissizia.

 -La fusione dei componenti di due sissizie formava un’enomotia (32 uomini), e l’ufficiale più anziano, l’enomotarco, prendeva il comando. I componenti di un’enomotia prendevano la loro forza dai legami di amicizia che instauravano.
-Quattro enomotia formavano una pentecontia (128 uomini) comandata da un pentecotarco
-Quattro pentecontia davano origine ad un locos (512 uomini) guidata da un locagos.
-Quattro locoi davano origine ad una mora (2048 uomini) guidata da un capitano
-Quattro  more formavano il corpo d’armata (oltre 8000 uomini) condotto da un polemarco  (generale)


(SAs)Re Aristodemo (cap 16)

 Uno dei due re di Sparta, brusco ed estremamente violento, ha decapitato un generale Ateniese solo perché lo aveva interrotto mente parlava.
La sua strabiliante armatura composta da diverse leghe metalliche e adornata con placche d’oro e d’argento è tra le migliori del mondo ed impenetrabile, si dice.

 Dopo aver preso Atene, con un’immensa armata di spartani, si stanziò in uno dei palazzi dell’acropoli finché non fu scomodato da Zeus in persona.
Il padre degli dei lo minacciò personalmente prima di stabilire il suo Ultimatum all’intera Grecia, e gli ordinò di muoversi subito e dare la caccia a Sideris.

 Generali /Polemarchi di Aristodemo  (PM)

(PM) Polemarco

 (PM)Castore e Polluce (cap 16)

 Fratelli gemelli, e braccia del re Aristodemo, noti per la massima serietà con cui eseguono alla lettera tutti gli ordini dei loro superiori.
Durante la presa di Atene fu Polluce a occuparsi di mettere sotto assedio l’Apollo Licio, brulicante di rivoluzionari, e sterminare tutti.

Castore invece si occupò di gestire la situazione ad Atene e di far giustiziare tutti gli ufficiali ateniesi inadempienti.
Castore inoltre si mise all’inseguimento della sacerdotessa Eris quando ella rapì l’Innominato Varsos.
Non riuscì tuttavia a raggiungerla a causa del crollo di un ponte.

 Capitani di Polluce

(C) Capitano

 (C)Bufago (cap 28)

 Uno dei guerrieri più forti dell’Ellade, ha conquistato meritatamente la carica di capitano sotto Polluce. Nonostante la sua mole è molto più agile di quanto sembri.

Odia con tutto se stesso Klearcos, poiché ha sterminato tutta la sua famiglia (per ordine dello stesso Ares).e gli ha inferto una ferita al volto
Ha cercato di fermare l’evasione di Perifete e degli altri rivoluzionari, messa in atto dall’Innominato, ma ha fallito nel tentativo.

Ha poi inseguito i fuggiaschi fuori Atene mettendo a ferro e fuoco un intero villaggio e sterminandone gli abitanti.

Il luogotenente rivoluzionario Perifete si scontrò con lui in un combattimento che culminò con la vittoria di quest’ultimo.

Ma Bufago non si diede per vinto e continuò ad inseguire gli evasi, finché non cadde in una trappola di Klearcos e morì assieme a tutti i suoi uomini.

 Luogotenenti di Bufago (L)(P)(E)(U)

 (L) Locagos
(P) Pentecotarco
(E) Enomotarco
(U) Ufficiale semplice

 (P) Architele (cap 27)

 Amante del lusso e dei frutti che le vittorie dei suoi superiori gli concedono. Non è un grande combattente e non si sa come abbia fatto ad ascendere a una posizione di controllo.  Non è un Pentecotarco a tutti gli effetti, in quanto non è un cittadino di Sparta e di conseguenza non ha conseguito l’agoghé, per questo motivo non è forte e preparato quanto i suoi pari.
Proviene dall’Arcadia, regione sottomessa al dominio spartano.

 Ha inutilmente invocato la pietà di Klearcos prima di morire…Non concessa.

 

(P) Arcandro (cap 28)

 

Fratello di Architele.  Anche lui come il fratello si è rivelato essere un debole combattente ed un codardo, fuggito prima dei suoi uomini.
Ha guidato una flebile difesa contro gli evasi prima di andare in rotta e finire ammazzato da Klearcos.

 (E) Anfistene Astrabaco, Alopeco (cap 28)

 I migliori soldati di Bufago. Quando una mandria impazzita caricò la falange spartana furono tra i pochi a mantenere la freddezza.

Ferirono Perifete ed uccisero Dameto e Alessandro, i suoi due luogotenenti.

Furono uccisi in quello stesso scontro, uno di loro da Dameto (prima di morire) e gli altri due da Perifete.

 Cleobi e Bitone (cap 28)

 

Umili cocchieri iloti, ultimo anello della gerarchia militare spartana ma sorprendentemente rappresentarono la minaccia più grave per Klearcos e i fuggitivi.

Dopo che l’intero plotone di Bufago fu spazzato via assieme a lui, loro si rivelarono essere gli unici superstiti e sotto lo sbalordimento generale si trasformarono in somari mostruosi in grado di sollevare un intero tronco d’albero ed usarlo come arma.
(cap 30)

Hanno le fattezze di somari mostruosi ma in grado di ergersi in posizione eretta, raggiungendo gli 8 piedi di altezza (240 cm). Hanno una struttura muscolare incredibilmente sviluppata e così spessa da poter attenuare il danno delle spade.

I loro artigli sono in grado di squarciare le carni di un uomo con una semplicità terrificante.
Hanno una potenza nelle gambe tale da poter uccidere un essere umano con un singolo colpo di zoccolo, e correndo a quattro zampe surclassano in velocità persino un corridore olimpionico. Con la potenza dei loro denti sono inoltre in grado di strappare la testa dal collo di un uomo.

Anche da ciechi sono inoltre in grado di combattere grazie al loro olfatto.
Si considerano i primi abitanti del nuovo mondo che verrà, popolato solo da esseri superiori.

Bitone venne ucciso grazie agli sforzi combinati degli eroi rivoluzionari.
Cleobi invece, rimasto acciecato durante lo scontro con Klearcos, continuò a inseguirli brandendo la spada magica sottratta all’Innominato.

Il piede di un ciclope lo schiacciò uccidendolo.

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 (Sas) Eris

 A differenza del re Aristodemo, che agisce per Ares solo perché l’Olimpo lo ha stabilito, Eris agisce per il dio della guerra a prescindere dalle circostanze.

E’ una delle sacerdotesse votate al dio, e una dei pochissimi a sapere che gli Innominati lavorano per lui (cosa di cui neppure Aristodemo è a conoscenza). Ama alla follia il dio della guerra, il quale si fida ciecamente di lei.

 Dopo l’attacco degli Innominati all’Apollo Licio, è stata incaricata di riportare a Sparta tutti gli Innominati che fossero stati catturati (agendo quindi contro lo stesso Re Aristodemo).
Così fuggi da Atene assieme a Kyros, Gamacton e Varsos (privo di sensi), ma fu inseguita da Castore e dalla sua cavalleria.

Riuscì a far perdere le sue tracce facendo saltare un ponte grazie a degli esplosivi fornitigli da Ares.

 (Sas) INNOMINATI

 Assassini più abili del mondo, ripudiati dagli uomini e dagli dei. A volte Ares li rifornisce di potenti armi per incrementare il loro potere. Ognuno di loro ha deciso di barattare sogni, fama, denaro e onori con l’oscurità, per ragioni che hanno loro costretto a farlo.

 (personaggi originali)

Varsos
Klearcos
Soter
Kyros
Gamacton

 (personaggi non originali)

 Phobos
Deimos
Enio

(ancora senza informazioni)

 ------------------------------------

(LSi) Luogotenenti di Sideris

 Le fila della rivoluzione raccolgono ogni classe sociale. Vi si possono trovare le categorie più disparate: guerrieri, vasai, costruttori, atleti olimpionici, assassini redenti, aristocratici e molti altri.

I rivoluzionari generalmente si nascondono dalle autorità locali, anche se molte piccole comunità sono state convertite totalmente come il demo di Decelea. Ma se le autorità delle grandi metropoli come Sparta o Atene lo vengono a scoprire, l’intero demo viene rasa al suolo.

 Esiste un corpo d’elite di rivoluzionari i cui membri sono caratterizzati dalla totale devozione alla causa, un’abilità in combattimento molto temprata e un’armatura nera completa.  I membri di questo corpo sono chiamati Falchi Neri.
Alle donne non è precluso il raggiungimento di questo rango.

(LSi)Almo  (cap 26)
(Falco Nero)

Stimato tra i Falchi per il suo buonsenso e raziocinio. Fu l’unico rivoluzionario che tollerò la presenza di Soter quando si stanziò all’accampamento.

 

(LSi)Cercione (cap 4)

 Campione di lotta olimpionico.

E’ molto dedito alla causa di Sideris, e protettivo nei suoi confronti. Durante l’attacco all’Apollo Licio, si è scontrato prima con Soter e poi con Varsos ed è stato da entrambi sconfitto.
Durante l’attacco dell’esercito spartano, Perifete, suo pari più anziano gli ordinò di ritirarsi verso Sideris, portando con sé il grosso delle truppe mentre lui li intratteneva.
Cercione eseguì l’ordine a malincuore, e alla fine raggiunse la base di Sideris.

 (LSi )Scirone (cap 6)

Molto magro, molto vecchio e completamente pazzo. Persino Cercione sembra temerlo. Non è un gran combattente, ma è proprio la sua follia a renderlo così pericoloso.

Da terre molto lontane ha raccolto delle tartarughe carnivore e le ha cresciute e allevate nello sbocco fognario dell’Apollo Licio (dove fa da sentinella), nutrendole con gli intrusi che trova.

E’ stato scaraventato da Soter nel condotto fognario ed è stato quindi divorato dalle sue stesse creature, poco prima che l’intera cloaca crollasse su se stessa uccidendo i rettili.

 (LSi)Perifete (cap 13)
(Falco Nero)

 In virtù della sua stazza di quasi 8 piedi (2,40 m) è stato considerato l’uomo più grosso e uno dei più forti del mondo. Ha respinto per diversi giorni le ondate di opliti, ed ha sfondato le difese di un’impenetrabile falange spartana con la potenza della sua carica. Si è scontrato anche con Bufago, e dopo uno scontro incredibile ha stabilito la propria superiorità spezzandogli un braccio.

  Brandisce una clava enorme e così pesante che è in grado di dilaniare un uomo con un singolo colpo.
Dopo essere stato catturato, è stato imprigionato nella torre-prigione di Atene, dove i carcerieri hanno provato ad estorcergli delle informazioni con la tortura senza ottenere niente.  E’ rimasto cieco di un occhio.

 Klearcos l’ha fatto evadere assieme a un folto gruppo di rivoluzionari imprigionati, e sono fuggiti verso l’Imetto.
In quel luogo si sono palesati i mostri di cui parlavano le leggende, i ciclopi. Nonostante la sua forza, era impotente davanti a quei giganti, ed è stato quasi divorato da uno di loro.

 Perifete, alla fine del viaggio con Klearcos, se n’è andato per la sua strada, sicuro che lo avrebbe rivisto, senza sapere però se sarebbero stati alleati o nemici.

 Rivoluzionari sotto l’autorità di Perifete (tutti dal cap 27)

I rivoluzionari del reggimento di Perifete, che per ordine del loro comandante, volenti o nolenti, rimasero con lui all’Apollo Licio a difendere la ritirata dei loro compagni.
I sottoscritti sono quelli che furono imprigionati nella torre-prigione.

Alessandro
(Falco Nero)

 Giovane ufficiale pronto a sacrificarsi per i compagni. Morì assieme a Dameto per permettere la loro fuga da Atene.
Nonostante fosse un buon combattente, è stato sconfitto e ucciso dall’enomotarco Alopeco.

 Dameto 
(Falco Nero)

 Re caduto della Caria. Il suo popolo fu sterminato dagli Olimpici, e giunse sulle coste dell’Attica con un contingente, per dare man forte all’esercito di Sideris.
Riuscì a uccidere uno degli enomotarchi più forti prima di morire.

 Fenice e Cilice
Fratelli girovaghi che decisero di schierarsi dalla parte di Sideris per ritrovare la loro sorella Europa, rapita dalle forze degli Olimpici.
Il loro ardore in combattimento fu surclassato dalla rigorosissima preparazione dei guerrieri spartani. Furono uccisi entrambi.

 Alessanore
Costruttore che riuscì a salvarsi da Bufago e gli inseguitori spartani, ma subì una morte orribile per mano del mostro Cleobi che lo tranciò in due parti con un colpo.


Botachos

Magistrato e governatore di un demo dell’Attica. Si ribellò al potere degli olimpici, e per questo perseguitato dalle autorità.
Fu trafitto da parte a parte da un giavellotto, lanciato da Anfistene, mentre scappava.

 Euneo
Vecchio ristoratore. Ha una rete di contatti con i mercanti di molte demo nell’Attica.
I ristoratori e i mercanti viaggiatori (votati alla rivoluzione) sono uno dei tanti mezzi di comunicazione dei Rivoluzionari.
Fu trapassato ed impalato al muro da una lancia spartana.

Foco
Atleta Olimpionico di lancio del disco. Il suo ultimo tiro servì a intrattenere il nemico mentre i rivoluzionari rubavano dei cavalli.
Colpì in pieno la fronte di Bufago facendolo cadere dalla sua auriga, poi morì trafitto da alcune frecce.


Aleurone e Calidone 

Corridori come il padre. Appiccarono il fuoco alle stalle ateniesi per creare un diversivo di fuga dalle truppe di Bufago.
Riuscirono a sfuggire alle sue truppe, ma entrambi furono uccisi da Bitone.

Il primo sopraffatto dal panico tentò di fuggire, ma fu  raggiunto dal mostro che lo decapitò con un morso.
Il secondo fu squarciato al collo da un’artigliata micidiale.

 Pentilo
(Falco Nero)

 Giovane Falco Nero, figlio di Oreste.  Ha combattuto per rendere fiero il padre.
Fu falciato dalle spade spartane durante lo scontro con Bufago.

 Bucolo  
Assassino che cercò la redenzione combattendo per la causa della Rivoluzione.
Tentò di fermare Bufago attaccandolo su un fianco, ma fu sorpreso dalla sua velocità e morì sul colpo.

 Polemone
Oligarca giunto con Dameto dalla Caria per vendicare il genocidio del suo popolo da parte degli Olimpici.

Quando gli arcieri Arcadi puntarono verso i rivoluzionari, vedendo suo figlio Nasso indifeso, fece scudo del suo corpo e fu trafitto da diverse frecce per poi cadere in un baratro.

 Leucippo
Guidò i rivoluzionari per le selve circostanti l’arteria stradale. Conosceva molto bene il territorio boschivo locale, poiché nell’esercito di Sideris era un avanguardia a cavallo. Tentò di fermare Bufago ma fu ucciso con pochi colpi.

 Polido
Medico che ha assistito il grande Podalirio. Dopo essersi addentrato nelle prime filiere di un bosco, venne trovato dal mostro Cleobi e decapitato

 Testore Teonoe e Leucippe
(Falchi Neri)

 Padre e figlie guerriere. Nonostante la loro forza e il loro coraggio, non riuscirono a sopravvivere alle insidie della fuga.
Leucippe venne uccisa da uno spartano, e gli altri due massacrati da Cleobi.

 Telchi
Oligarca padre di Api. Non sapeva nulla del tradimento di suo figlio.
Fu ucciso dagli spartani incursori nel demo di Decelea poco dopo essere stato tradito.

 Api
Una delle spie infiltrate tra i Rivoluzionari. Al servizio di Apollo. Rivelò a Bufago l’ubicazione dei rivoluzionari nascosti a Decelea tradendo i suoi compagni e il suo stesso padre. Venne investito da un auriga fuori controllo condotta da Etolo.

 Rivoluzionari sopravvissuti

 Nella fuga solo in pochi riuscirono a cavarsela.

 Alcone
(Falco Nero)

 Uno degli arcieri più abili dell’Attica, la sua mira è infallibile. Colpì in pieno un occhio del mostro Bitone da una distanza considerevole, e accecò anche il mostro Cleobi.

Podalirio
Uno dei medici più abili di tutta la Grecia. Assieme a Polido, guarì Nasso da morte certa. Ciò che stupisce è il suo talento rispetto alla giovane età di 25 anni. Fu uno dei pochi superstiti della grande fuga.

Etolo
(Falco Nero)

Corridore olimpionico. Assieme ai suoi figli, appiccò il fuoco alle stalle ateniesi creando il giusto diversivo per scampare alle truppe di Bufago.
S’impadronì poi dell’auriga di quest’ultimo, ma perse  il controllo e uccise il traditore Api. Fu uno dei guerrieri che uccise il mostro Bitone.

Falanto
(Falco Nero)

Un guerriero abile e molto esperto. Non faceva parte del reggimento di Perifete ma fu liberato perché è un rivoluzionario molto noto nel Peloponneso. Diede il colpo di grazia a Bitone trapassandogli il collo da parte a parte.
Durante il viaggio, strappò la vita anche ad alcuni arimaspi.

 Nasso
Dopo la morte di Dameto e di suo padre Polemone, è rimasto l’ultimo superstite del popolo dei Cari. Durante il viaggio, a seguito di una ferita inferta da uno spartano, si ritrovò in fin di vita ma grazie alle cure di Polido e Podalirio è riuscito a riprendersi.

 
Nannaco
(Falco Nero)  

Il Falco Nero più vecchio dell’intero esercito. Gli piace ascoltare e raccontare storie, e per questo conosce tutte quelle dei suoi compagni. Nonostante l’età è ancora forte nel combattimento.

Agamede e Trofonio

 Progettisti e conoscitori dei vari passaggi segreti presenti ad Atene.  Probabilmente, disegnarono le strutture sotto la guida del progettista leggendario Dedalo.

Nell’intento di rubare in uno dei grandi palazzi che loro stessi avevano progettato, entrambi furono avvinti in una trappola. Trofonio riuscì a liberarsi, ma per il fratello non c’era modo, così di tutta fretta, per evitare che entrambi fossero condannati a morte lo decapitò e portò con sé la sua testa.
Questo perché nella sua follia, pensava che se le autorità avessero visto il volto del fratello, avrebbero potuto ricollegarlo al furto.
Da allora conserva il teschio del fratello parlandoci e discutendoci come se fosse ancora vivo.
Poco più tardi venne avvistato, imprigionato e condannato a morte.
Klearcos lo liberò per farsi guidare verso la via di fuga più vicina.
Dopo l’evasione si dileguò, separandosi dal resto del gruppo.


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 Carcerieri

 
Procuste (cap 27)

Nanerottolo deforme sadico oltre ogni limite. Capo carceriere.

Ha un’innata abilità nell'infliggere dolore. Da quando ha sostituito il suo predecessore incominciando a sovrintendere le segrete di Sparta, i crimini e gli omicidi nella regione si sono ridotti notevolmente.  Poiché spesso la povera gente pur di non morire di fame preferiva farsi incriminare per così finire in una cella con un pasto al giorno assicurato, il sadico Ares fu più che entusiasta nel fornire a quel folle tutti i mezzi di cui avesse bisogno per far agognare la morte ai suoi 'pazienti'.

Il risultato fu eccezionale: la criminalità e gli omicidi nel Peloponneso dimezzarono, e l'operatività aumentò. Dopo la presa di Atene, a Procuste venne affidato il controllo della Torre-prigione.

Venne ucciso da Perifete durante l’evasione. Mutilato e scaraventato in un abisso.

Afidno (cap 28)

 Assistente di Perifete.  Anche lui molto sadico.
Fu dilaniato da Perifete.

 ---Decelea----

Un villaggio votato alla causa dei Rivoluzionari.

 Decelo

Governatore eponimo della città
Assieme a molti abitanti attaccò un plotone di spartani, e in un momento di sorpresa riuscì ad assassinarne uno.
Venne massacrato assieme alla popolazione, e il villaggio bruciato

 Laodoco

 Amico di Etolo e rivoluzionario. Proprietario di una locanda. Ospitò i fuggiaschi nelle sue cantine. Quando gli spartani li scoprirono, Laodoco tentò di fermarli ma venne massacrato.

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Bestie di Artemide

 

Agrio e Orico

 Orsi spropositatamente grandi e piuttosto intelligenti. Alti quattro metri al garrese. In grado di comprendere le parole degli umani.

Aiutarono Artemide a combattere Ermes nella loro lotta.
Agrio venne lanciato in aria e disintegrato con un raggio di energia proveniente dal Caduceo del dio. Orico si ritirò spaventato.

Dopo la vittoria di Artemide, la dea affidò l’orso a Sideris.

Orico portò con sé, la cassa che teneva celata la carcassa del dio e le sue armi.

 

Servi nel Dominio di Efesto

 Ogni dominio di divinità funziona a proprio modo a seconda dell’indole del dio.
Il dominio di Efesto è il più democratico di tutti.
Infatti a gestire le attività non è lui in persona (incapacitato mentalmente) ma un consiglio di fabbri/alfieri del dio.

Quelli finora visti sono.

 Ardalo (cap 31)

Di bell’aspetto, vestito di indumenti semplici.
Colui che diede il benvenuto a Klearcos e si occupò di innestargli il nuovo braccio meccanico.

 Cedalione (cap 32)

Uomo nerboruto, calvo e scuro in volto. L’aspetto di un vero fabbro.
Il suo intero corpo è costituito dagli stessi materiali con cui è costituito il braccio destro di Klearcos.

 Cabeiro (cap 32)

Un arimaspo di sesso femminile. Si occupa di assistere il dio Efesto in persona durante il suo lavoro. Conferisce con gli ospiti del Domio al posto suo.

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Servi sotto il dominio di Efesto

 
CICLOPI (cap 30)

Giganti alti 15 metri e con un unico occhio. Asessuati.

Uno di loro schiacciò il mostro Cleobi con un piede, poi afferrò Perifete e tentò di divorarlo.
Sono in grado di riconoscere le armi permeate di energia divina e di riconoscere quindi gli alfieri degli Olimpici. Costoro sono risparmiati.

 ARIMASPI (cap 30)

Uomini barbuti, ricoperti di pelli e generalmente armati di asce. Anche loro hanno un unico occhio come i ciclopi ma la loro stazza non supera gli 8 piedi. Sono comunque enormi se confrontati a un normale essere umano.

 TALOS (cap 31)

Sono sculture colossali di uomini dalle proporzioni e i lineamenti perfetti secondo i canoni comuni. Composti in bronzo, ferro ed oro misti a materiali sconosciuti.
I ciclopi gli arrivano appena all’altezza di un ginocchio. Alti 60 metri.

All’interno delle forge di Efesto, i ciclopi ne producevano a decine, ed erano schierati in file come in un esercito. Coloro che gestiscono la produzione non conoscono il motivo per cui l’Olimpo gli ha ordinato di produrne in quantità.

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Capitolo 2
*** Prologo ***


L’alba.
Ormai divenuta manifestazione di puro orrore e foriera di morte.
Stabilisce una nuova catastrofe nel mondo.
Una nuova tragedia.
Un nuovo male.

 Nessun uomo, donna o bambino dorme tranquillo.
Non se consapevole del fatto che quella notte potrebbe essere l’ultima.
Finalmente le paure dei poveri e dei nullatenenti convergono con quelle dei re e degli oligarchi.
L’annientamento della propria razza unisce nel proprio gelido terrore anche gli acerrimi nemici.

 Il mondo degli umani è giunto al termine?
Il padre degli dei distrugge una polis al giorno.

I mostri fuoriescono dalle proprie spoglie mortali affermando che una nuova era di esseri superiori è arrivata.
E nelle nere profondità delle cave di Efesto è in costruzione un’armata di colossi più grandi di qualsiasi edificio.

 Re Aristodemo cerca con tutte le sue forze il dissidente Sideris, ben sapendo che la sua cattura può fermare l’estinzione del genere umano.

 
E in contrasto con tutta questa distruzione, in contrasto con l’inquietudine e lo sconforto che scuote le menti di ogni essere, un unico uomo finalmente si trova in pace.

 L’uomo che per due decadi aveva soppresso tutto se stesso dietro il velo della sua maschera da Innominato, finalmente era uscito.

Klearcos, aveva seppellito il corpo del suo vecchio maestro Varsos accanto a quelli della sua famiglia.

Ora sapeva chi era il vero assassino dei suoi genitori. Ora sapeva per chi doveva combattere. Ora sapeva la verità.
Gli erano occorsi vent’anni per capire chi fosse il suo vero nemico.

 Davanti ai suoi occhi, il cielo s’era fatto plumbeo: una tempesta.  Opera di Zeus.
Il padre degli Olimpici era pronto a riscuotere il suo tributo di vite umane…

Un lampo lo accecò.

Così come era accaduto il giorno prima, un’altra polis era stata cancellata per sempre dal mondo.

 Rimase a scrutare i cumulonembi spargersi nell’atmosfera dopo aver commesso il loro crimine.
Passò del tempo, poi guardò il medaglione che Varsos gli aveva donato.

“Questo medaglione contiene la verità su questo mondo. Avrai le risposte che ogni uomo ha sempre cercato.”

 Klearcos toccò il medaglione, premendo su una scanalatura.

 Dall’oggetto, filtrarono delle luci che si riflessero attorno a lui formando delle immagini. E davanti allo sbalordimento dell’Innominato, adesso un uomo gli si stagliava innanzi.

“PADRE”.

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Capitolo 3
*** Le origini del segnale (pt1) ***


Che cosa accadde la notte in cui tutto il mondo tremò?

 L’immane effige di tempesta del sovrano dell’Olimpo si manifestò nel cielo per  stabilire il suo verdetto di morte verso l’umanità.

 L’entità era così sconfinata che ogni uomo in Grecia poteva vederla. Era così terrificante che tutti sussultavano trattenendo il fiato alla sua visione e infine, era così potente che con una singola saetta poteva devastare un’intera città.

Da qualche parte nell’Arcadia…

Tutti i Falchi dell’accampamento di Sideris, atterriti, fissavano il padrone dei Cieli minacciare d’estinzione la loro razza.

 Ognuno di quegli uomini era in contemplazione, rifletteva sulle sue parole.
Ognuno di loro aveva sposato la causa di Sideris per cambiare lo stato delle cose,
per combattere la tirannia degli Olimpici e ottenere la libertà.

 Ma ora erano entrati in gioco dei fattori che nessuno avrebbe potuto prevedere.
Adesso i popoli Ellenici rischiavano l’annientamento.
Era in gioco la sopravvivenza.

 Molti di loro avevano lasciato amici e famigliari nelle città minacciate da Zeus. Gli stessi per cui s’erano impegnati a combattere.
Se salvare il proprio mondo significava mettersi contro Sideris, lo avrebbero fatto.

 Pandora ascoltava inorridita le parole di Zeus. Si voltò verso Sideris, accanto a lei. Il suo elmo avvolgente non permetteva che il volto al suo interno potesse essere contemplato, ma la donna poteva avvertire lo stesso la sua angoscia.

 "Sideris…A cosa stai pensando?”

 Il Falcone, non muoveva un muscolo.
Continuava a guardare verso il cielo, anche dopo che i foschi nembi si erano sparsi. Gli uccelli volteggiavano per quella regione, sembravano quasi in attesa di banchettare con i loro cadaveri.

 Abbassò lo sguardo verso i suoi uomini. Tutti loro avevano gli occhi puntati su di lui come lupi affamati.
Aveva capito il piano di Zeus.
Egli voleva mettergli contro i suoi stessi soldati per farlo uscire allo scoperto.

 Doro il guerriero, sguainò la spada.

 Il saggio luogotenente Almo, si alzò in piedi e s’affiancò al Falcone.
Anche lui aveva capito l’intento di Zeus.

 Che intenzioni hai, soldato?”

 “Le stesse che hanno anche loro”

 Indicò i molti Falchi in armatura nera che si erano avvicinati circondando Sideris.

 Tra loro spiccavano molti volti noti: c’era l’inventore Belone;  Pleurone,  uno dei figli di Etolo; i cugini guerrieri Pilade ed Oreste;  il fuorilegge Ione e il capitano Aristomene.

 Ognuno di noi ha perso molto mettendosi al tuo seguito Sideris” .
Disse Oreste. 

“Io ho perso mio figlio e mio padre.
Così come Pleurone e come Sirna, e come tanti altri. Tutti noi abbiamo perso dei cari amici.”

 “Quando avete scelto di seguirmi, sapevate di dover fare dei sacrifici”  Rispose Sideris.

 “Lo scopo della nostra esistenza è difendere gli uomini dal giogo degli dei, ma se uccidere te significa salvarli allora sarò ben lieto di farlo.  Intervenne Aristomene.

 “E’ un tradimento?” s’interpose Almo.
No, ha ragione” Disse Sideris  “Comprendo il suo punto di vista.

 Io rappresentavo la speranza della resistenza umana, ma ora Zeus ha deciso di distruggere tutti gli uomini indistintamente se non mi consegno a lui.
In ogni caso Egli non si fermerà.
Quando avrà la mia testa e avrà trovato ciò che cerca, questo mondo cadrà e l’umanità sarà comunque sterminata.”

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Capitolo 4
*** Le origini del segnale (pt2) ***


Le parole di Zeus erano state più efficaci di qualsiasi altro potere a sua disposizione.
Sideris rischiava di essere ucciso dai suoi stessi uomini.

 “Non temo la morte, dovreste averlo capito durante tutto questo tempo passato al mio fianco.  Ma mi preme il destino delle generazioni future, e so per certo che se Zeus mi trovasse…Non ci sarebbe alcun futuro.”

 “Quello che potrebbe accadere se tu morissi, non lo so…
Ma so con certezza quello che accadrà se noi non ti uccidiamo.” rispose
Pilade.

 Eppure è così, dovete fidarvi! Possiamo avere una speranza se continuiamo a combattere!”
Esclamò Sideris.

“Nessuna speranza…Non c’è mai stata.  Ma è stato bello crederci…”
Concluse Oreste.

 La spada di Oreste saettò verso il Falcone Nero, ma fu intercettata al volo.
Un clangore metallico risuonò per il campo.
Almo gli si era messo davanti. Con un calcio al ventre fece arretrare il prode Oreste.
Il guerriero guardò negli occhi il luogotenente Almo. “Così hai scelto”

 I Falchi accorciarono la loro distanza da Sideris.

Aristomene e Pleurone, tra i più forti di quello schieramento, s’avventarono su di lui brandendo le spade. Con un’azione repentina, il Falcone sfoderò la sua interponendola a quella del primo, e con un rapido gesto del braccio serrò la sua mano sulla spada del secondo.

 Pleurone rimase attonito nel vedere la sua spada bloccata dalla stretta di una mano, non credeva che una cosa del genere fosse possibile.
“Non sei umano”

Fulmineamente, Sideris respinse Aristomene e colpì Pleurone con l’elsa della propria spada per stordirlo.
Poi con la spada di quest’ultimo, che teneva dalla parte della lama, colpì Aristomene allo stesso modo.

 “Non ucciderlo
Disse poi rivolto ad Almo, il quale si stava battendo con Oreste.
Almo sembrava in difficoltà ma respingeva tutti i colpi dell’aggressore.

“Non è così facile. E’ un guerriero molto forte!”
In quel momento due braccia muscolose afferrarono Oreste premendolo al collo.

Il guerriero si divincolò ma quella presa era potentissima e gli aveva bloccato il respiro.
Perse i sensi e stramazzò al suolo.

 “Il grande Cercione. Almeno tu non hai perso la ragione” 
Disse Almo compiaciuto.
Il possente ufficiale raccolse l’ascia che poco prima aveva inculcato al suolo.


“Risparmia il fiato e pensa a loro”

Disse indicando la schiera di Falchi che li aveva circondati.
Pleurone, Pilade e un’intera compagnia di Falchi Neri incombeva verso l’ultimissima resistenza del Falcone Nero.

I tre rivoluzionari si accostarono schiena contro schiena.

 “Non penso sia più il caso di continuare a prendere premure con loro” Proferì Cercione.
“Sono Falchi Neri votati alla causa e agiscono per i loro ideali. Non voglio che sia versato il sangue di nessuno”  Decise Sideris.
“E’ il nostro di sangue che verrà versato se non troviamo un modo di scappare.” Intervenne Almo.

“Dovrò dunque rivelarmi per ciò che sono?” pensò il Falcone.(2:02)

 Le schiere di rivoluzionari stavano per abbattersi sui tre quando un  ruggito terrificante fece gelare il sangue di tutti.
Sulla piana cadde un silenzio panico, e tutti gli uomini ora arretravano paventando l’immane figura che si stava avvicinando.

 Una belva enorme delle dimensioni di quattro metri incombeva camminando gattoni verso Sideris.
L’orso Orico, l’immane bestia donata a Sideris dalla dea dei boschi, era stato liberato.

 L’elmo avvolgente di Sideris rendeva impercettibile la sua espressione, ma l’avvento della creatura sembrava avergli dato un sollievo.

  Almo sorrise.
Sulla schiena dell’orso gigante era seduto un uomo avvolto in un mantello nero.

 Cercione riconobbe quel mantello.
“Lui? Non posso crederci. E’ l’ultima persona che mi sarei aspettato”

 Era Soter.

Cercione continuava a dubitare di lui.
“Che intenzioni hai, Innominato?!”

 “Non ci arrivi da solo? Per la prima volta tu ed io siamo dalla stessa parte”

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Capitolo 5
*** Le origini del segnale (Finale) ***


Pandora correva.

“E’ me che cerca Zeus veramente…Non Sideris.”

La ragazza era terrorizzata da tutte quelle distruzioni e quella morte e quel sangue che era stato versato. “Tutto questo è accaduto per colpa mia” pensava.

“Sono sempre stata troppo codarda per assumermi responsabilità.”
Delle lacrime le solcavano il viso.

 Il mondo che aveva sperato potesse durare per sempre si stava infrangendo in miriadi di pezzi.
La vita che avrebbe voluto vivere con Soter era solo una mera infantile illusione che adesso riconosceva come tale.

L’istinto le diceva di scappare più che potesse da quelle oscurità; fuggire da quel mondo spietato, così diverso da lei, nel quale era nata per sbaglio e che sino ad allora aveva sempre cercato di portarla nell’abisso.

 Volare via, lontana da tutti, perché la sua presenza provocava solo dolore e morte a chi le stava accanto. Perché la sua esistenza era maledetta.
Correre per se stessa, in realtà.
Lo aveva sempre fatto.

 Pandora si fermò.

“No…Non questa volta.
Voglio smettere di scappare mentre qualcun altro copre la mia fuga.
Non questa volta”

L’espressione impaurita era stata assorbita da una nuova. Diversa, determinata.

“Zeus vuole me.
Mi avrà.
Non lascerò che le persone che mi proteggano siano uccise a causa mia. Non lascerò che Sideris si sacrifichi al mio posto.
Andrò da Zeus, di persona”

 La ragazza si diresse verso la tenda del Falcone, dove si trovava il Grande Scrigno nel quale era custodito il cadavere di Ermes con tutti i suoi averi.

 “Arriverà il momento in cui sarà necessario aprirlo” Risuonavano nella sua testa le parole di Artemide.

 Pandora si trovava davanti allo scrigno dorato. Avrebbe usato gli stivali alati del dio Ermes per raggiungere l’Olimpo, e presentarsi innanzi a Zeus.

 “Siamo responsabili dello nostre azioni”  aveva detto una volta a Soter. “Siamo artefici del proprio destino” , e troppo a lungo Pandora aveva delegato il suo a Sideris.
Poggiò le mani sullo scrigno, e tirò un respiro lungo e profondo.

 "Addio Soter. Addio amore mio”.

 E Pandora aprì il vaso…

Un lampo di luce accecante vi fuoriuscì. Un fascio di energia luminosa fu proiettato verso il cielo fino oltre le nuvole.
Un bagliore accecante che illuminò il campo rivoluzionario come se fosse giorno.
Era la luce di Ermes il messaggero. La luce di un dio.

 Tutti nell’accampamento lo videro. Sideris capì.
“Qualcuno ha aperto il vaso!”

 E in quel momento, alcune intelligenze extraplanari ebbero lo stesso accorgimento.
Avevano captato il segnale.

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Capitolo 6
*** Ali di morte (pt1) ***


Ali di morte nella vorticosa oscurità della notte.
Folate di gelido vento travolgono l’aria tiepida dell’Arcadia scuotendo impetuosamente ogni arbusto.
Un grande male sta arrivando dal cielo rispondendo alla chiamata del segnale di un dio.

 Innominati.
Identità demoniache sotto forma di uomini giunte per serbare morte e distruzione; creature della notte al servizio del dio della guerra, prive di qualsiasi forma di misericordia.

 I servi di Ares cavalcavano il cielo a gran velocità in groppa a delle creature mai viste. Erano esseri con un corpo da cavallo, ali d’aquila e un muso che sembrava un incrocio tra i due animali e culminava con un adunco becco.
Erano chiamati Ippogrifi.

 I cinque uomini ancora una volta erano stati inviati per compiere una missione impossibile il cui esito avrebbe potuto mutare le sorti del mondo.
A chiudere la colonna c’era Kyros il guitto sanguinario, artista della sofferenza e paesaggista di devastazione.

Dopo di lui seguiva Gamacton, l’uomo più grande su cui occhio umano si sia mai posato. Nessuno era mai riuscito a ferirlo seriamente.
Seguivano le tre nuove leve che Kyros pareva conoscere molto bene: Deimos, Phobos ed Enio. Erano due fratelli e una sorella, così terribili da essere soprannominati rispettivamente il Terrore, la Paura e l’Urlo.

 Kyros si rivolse a Gamacton.

 “Nei miei anni di vita ho già veduto tanti volti, ma mai credetti di poterne vedere di dissepolti.
Codeste persone le ho già contemplate, ma solo nelle tavole dei Magistri o sulle monete dorate.
Sì perché coloro che abbiamo di fronte sono morti da secoli e dovrebbero trovarsi nell’Acheronte.
Dunque non è preclusa l’abilità di riportare in vita i morti seduta stante al nostro Divino Belligerante.”

 Deimos il Terrore era, come gli altri, avvolto da una cappa nera come la notte dalla quale traspariva parte del suo volto.

 “Fa silenzio miserabile mortale, se non vuoi che ti uccida lì dove sei!” Proferì in un sussurro.

 "Ares ha deciso di chiamare noi a causa delle vostre umane inadempienze. Voi credete di essere superiori agli altri, credete di essere dei prediletti del dio della Guerra ma in realtà non siete altro che carne putrida come tutti gli esseri umani. Non osate reclamare il nome di INNOMINATO accostandovi a Noi.
Non osate paragonare le vostre abilità a quelle di un Semidio.”

 Kyros rimase in silenzio rabbrividendo.
Gamacton lanciò uno sguardo di sfida verso quei tre esseri, il quale non fu raccolto.

Phobos la Paura, ridacchiava di continuo leccandosi le labbra.
“Dai fratello, perché non li uccidiamo adesso? Ci saranno solo d’intralcio. Facciamo loro conoscere il vero terrore.”

 Kyros deglutì stringendo le piume della sua cavalcatura, pronto a scappare se necessario.
Gamacton per nulla impressionato guardò il poeta suo compagno, attendendo un suo cenno espressivo. Era pronto a rispondere alla loro minaccia in qualunque momento.
Enio l’Urlo rimase in silenzio, imperscrutabile.

 “Lascia perdere Phobos. Attieniti solo al compito richiesto. Non ho voglia di sporcarmi le mani se non è necessario”
Rispose il maggiore dei due.

 La Paura si voltò verso i due mortali mostrando solo un occhio e tenendo celato il resto del volto.
Un’iride rossa contornava una pupilla di un’intensità inverosimile. In quegli occhi, il poeta poteva contemplare gli incandescenti inferi e le travolgenti oscurità.
Per un attimo Kyros avvertì il vuoto nella sua testa. Distolse lo sguardo.
Phobos sogghignò emettendo uno stridente sibilo.

 “E’ laggiù. Siamo arrivati al luogo del segnale”.
Annunciò Deimos improvvisamente.

 Phobos toccò due casse che erano saldate ai fianchi del suo Ippogrifo.
“Sono impaziente di vedere le mie bambine all’opera”.

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Sideris irruppe nella sua tenda.
Pandora aveva appena strappato i bracciali dorati dalla carcassa di Ermes e aveva preso in mano il Caduceo.
Il Falcone incalzò su di lei afferrandole repentinamente i polsi. La sua stretta fu così decisa che la donna gemendo lasciò cadere gli oggetti divini.

 “Stupida! Cosa ti è saltato in mente?  Questo scrigno deve restare chiuso! Sigillato!”
Lasciò la presa e si chinò a raccogliere gli oggetti e riporli al loro posto. Richiuse il coperchio del vaso.
 Come hai potuto fare una cosa del genere? Ogni divinità adesso saprà, dove ci troviamo! Quello scrigno serve a coprire l’immane aura divina che il dio morto ancora emana.”

 “Sideris, ascolta: io non posso continuare a veder morire la gente per me…Devi lasciarmi andare! Userò le armi di Ermes e mi presenterò al cospetto di Zeus! Lui vuole me. In questo modo la sua ira si potrà placare, e smetterà di distruggere  il mondo”

 Sideris sembrava sorpreso dall’improvvisa tenacia della ragazza. Rimase a guardarla negli occhi e lei ricambiò il suo sguardo.

 “I tuoi intenti sono nobili, ragazza. Ma inutili.
Se consegnarti a Zeus avesse rappresentato la salvezza di questo mondo, lo avrei già fatto non credi?
Per te sono stati sterminati popoli e devastate città, ma non è nulla in confronto a ciò che accadrebbe se l’Olimpo ti trovasse, vuoi capirlo?”

 La donna non capiva.
“Ma allora perché non mi hai semplicemente uccisa,  impedendo a Zeus di avermi?”

 “Perché se tu morissi, il potere che tieni celato dentro di te fuoriuscirebbe segnalando la propria presenza all’Olimpo.  Il tuo corpo funge da involucro come quello scrigno”

 Pandora abbassò lo sguardo.

“Quindi non c’è nulla che io possa fare? Sono condannata a vivere e vedere la morte sulla testa di chi mi circonda”
“Come tutti noi. Ma finché sei con me abbiamo ancora una speranza. Ora seguimi!”

 Sideris uscì dalla sua tenda.
Almo, Cercione e Soter in groppa al grande orso Orico, erano riusciti ad acquietare gli ammutinati.

 Nell’accampamento erano poco più di cento.
Secondo disposizione di Sideris, il giorno seguente si sarebbe dovuto dividere in tre schieramenti, i quali avrebbero percorso direzioni differenti (cap 26 parte 3).
Ma la situazione costringeva Sideris ad anticipare di un giorno la sua manovra.

Il Falcone guardò uno ad uno i suoi guerrieri.

“Uomini! Comprendo le vostre ragioni e vi prometto che tutto sarà spiegato, ma adesso vi prego di seguire le mie direttive.
Non vi sto chiedendo di aiutarmi, vi sto chiedendo di salvarvi la vita!

Il segnale divino presto richiamerà qui i servi degli dei. Dobbiamo spostarci immediatamente.”
I Falchi rimasero a fissare il comandante.
“Stai mentendo. Zeus vuole solo te!”
Gridò Doro.

“Quando l’Olimpo ci avrà trovati non risparmierà nessuno.
Che lo vogliate o no, adesso io abbandonerò questa postazione.”

Alcuni Falchi estrassero le loro spade e in quel momento Orico ruggì cavernosamente. I prodi guerrieri rimasero paralizzati.

 Oreste si rivolse ai compagni.
“Nonostante tutto Sideris ha ragione.  Una volta che ci avranno trovati, gli Olimpici stermineranno tutti, senza distinzioni Penseremo più tardi a questa faccenda. Ora dobbiamo pensare solo a salvarci.”

 Aristomene e Pilade annuirono e, a loro volta, si rivolsero verso gli altri compagni incitandoli a deporre le armi e andarsene.

 Improvvisamente, un acuto stridio infranse il muro del silenzio che s’era appena formato.
I cento rivolsero i loro sguardi al cielo.

“Uccelli?”
“No…Qualcosa di molto più grande.”

 Sideris inorridì dietro il suo elmo avvolgente.
SONO GIA’ ARRIVATI!”

 “Preparatevi a combattere!”
Comandò Oreste, divenuto provvisoriamente la massima autorità in quello schieramento.

“Ora dovremo lottare per la nostra sopravvivenza”

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Capitolo 7
*** Ali di morte (pt2) ***


Note sui personaggi:

 Ione, Doro e Suto:

 Tre fratelli, un tempo famigerati banditi, ognuno a capo di un esiguo gruppo di assassini e ladri, denominati in modo eponimo come i loro capi: ioni, dori e suti.
Divennero discretamente famosi nelle loro aree di influenza anche se i loro gruppi non superavano le dieci unità.
I tre malviventi si unirono al Falcone Nero con la speranza di accumulare ricchezze da piccoli demos, usando il nome di Sideris come capro espiatorio.

Uomini di bassa statura. Con qualche cicatrice sul volto. Nessuno dei tre è un grande guerriero. Braccati per anni dalle autorità, prima di diventare rivoluzionari. Bravi ad orientarsi nelle terre dell’Arcadia.

Oreste:

 Figlio di Agamennone. Vive per vendicare la morte del padre, ucciso della madre e dal suo amante, che si stanziarono a Micene. Sua sorella Elettra è stata rapita ed è rimasta a corte come loro ostaggio.
Oreste fu costretto a fuggire, rifugiandosi da suo zio Strofio re della Focide che si scoprì essere un rivoluzionario.
Oreste si unì allo schieramento di Sideris, nel quale aveva già preso le armi anche Pilade, suo cugino.

Oreste ha una carnagione scura, capelli e occhi neri. Piuttosto alto e di bell’aspetto. Ha vissuto da principe per diverso tempo, e quindi è discretamente abile nelle arti della guerra e eccelso nell'uso dell'arco. Porchi fronteggiano la sua abilità.

“Lassù! Attenzione!” Gridò qualcuno.

Tutti alzarono gli occhi al cielo verso la minaccia incombente. C’era qualcosa dietro il velo delle tenebre notturne appena illuminata dalla luna e dai grandi bracieri dell’accampamento.

Il silenzio, perdurato alcuni attimi, che seguì quel primo avvistamento fu assordante. Gli uomini erano fermi immobili in attesa di qualcosa. Sideris cinse le spalle di Pandora e arretrò di qualche passo.

 Dall’alto caddero due casse metalliche.
I due contenitori erano precipitati al centro dell’accampamento, nel mezzo della piccola folla di soldati.

Gli uomini rimasero sbalorditi a fissare quelle casse. Da esse si udiva un ronzio dapprima flebile, poi incominciò a crescere sempre di più facendosi maestoso, infine assordante.
Le casse si spalancarono con uno schianto.

Una nube nera dinamica fuoriuscì da esse spargendosi in ogni direzione. Era uno sciame.
Innumerevoli creature nerastre della grandezza di pipistrelli attaccarono i primi soldati che gli si pararono davanti.

 Suto e alcuni dori sventolarono le proprie spade cercando di mettere in atto una difesa seppur debole. Qualcuna di quelle creature fu presa al volo e dilaniata, ma innumerevoli altre s’avvinghiarono ai corpi dei difensori ricoprendoli del tutto.
Suto gridava di dolore, mentre le diaboliche creature gli mangiavano gli occhi e gli s’infilavano nella bocca divorandolo dall’interno.
Gli altri soldati, almeno due dozzine, erano a terra, ricoperti da quei mostri.

Doro ne aveva afferrato uno: l’aveva ghermito con la mano. Quell’essere gli stava mordendo il pollice.
Il suo volto minuscolo sembrava antropomorfo. Aveva dei capelli come gli esseri umani. Erano crespi e relativamente lunghi. Il viso era pallido e rugoso, con vaghi tratti femminili. Aveva le fattezze di una donna molto brutta…Una strega.
Il resto del corpo era di un pipistrello.

L’uomo inorridì.
“Che cosa sei?” Strinse il pugno facendogli schizzare del sangue dalla bocca e uccidendolo.

 In quell’istante, precipitò un uomo dall’alto, atterrando a gambe flesse.
Doro che gli stava proprio davanti era allibito. Le parole gli si strozzarono in gola.

 L’uomo appena caduto dal cielo si ricompose e con voce roca disse
“Come osi imputridire col tuo tocco le mie bambine…Le mie ARPIE”
Poi si levò la cappa mostrandosi per ciò che era.

Il volto e la testa erano totalmente scarnificati da profonde abrasioni. I suoi occhi erano rossi. La pelle disciolta mostrava in certi tratti parte del tessuto sottostante.
Sembrava un demone degli inferi.

Prima che Doro potesse fare qualcosa, la sua testa venne avvinta dalla mano di quell’uomo. Con il pollice e l’indice premeva forte sulle tempie.
Dalla mano divamparono delle fiamme maestose che avvolsero Doro completamente.
L’uomo si divincolò sbracciando e urlando, poi cadde a terra privo di vita.
Tutti rimasero attoniti.

Il demone sogghignò alzando lo sguardo verso di loro. La cappa gli si sfilò completamente mostrando una sorta di grosso contenitore saldato sulla sua schiena.
Da esso si snudava un sistema di tubulari che accompagnavano la lunghezza delle sue braccia, per culminare sotto il palmo delle sue mani. Era da quei tubi che riusciva a far divampare le fiamme.

 “IL MIO NOME E’ PHOBOS! MI AVEVATE DIMENTICATO FORSE?”

Stese entrambe le braccia e puntò i palmi aperti verso i rivoluzionari. 
Due spropositati coni di fuoco e fiamme li investirono tutti illuminando l’intero accampamento come se fosse giorno. Gli uomini s'afflosciarono al suolo carbonizzati.

Contemporaneamente, dal cielo buio emersero delle creature mai viste prima: stalloni grandi come buoi, con l’astrusa peculiarità di avere delle immense ali d’aquila.
Una pioggia di dardi investì alcuni soldati.

Oreste e Pilade si gettarono dietro il riparo fornito da un carretto di viveri evitando le traiettorie di quel tiro mortale.

 “Non ho mai visto niente del genere! Cugino, riesci a capire cosa ci sta attaccando?!”
Gridò Pilade.
Oreste stringeva forte il suo arco: l’arma che lo aveva reso discretamente celebre in tutta l’Agrolide, più che per la sua discendenza da Agamennone.

“Ne so quanto te, cugino! L’unica cosa che so è che adesso quella creatura conoscerà il tocco delle mie frecce”

 Oreste s’affacciò con l’arco teso. Vide a diversi metri d’altezza la possente creatura svolazzare circolarmente per tutto il campo.
Il suo cavaliere bersagliava senza tregua tutti coloro che si portavano a portata di tiro, non mancava un colpo ed ogni dardo trovava il suo bersaglio.

Oreste prese la mira. La difficoltà di quel tiro era estrema: il suo bersaglio era molto lontano, a molti metri di quota e in movimento.  Puntò nella posizione, dove credeva che si sarebbe trovato e tirò.

La freccia salì fino al suo apice ma non raggiunse neppure l’altezza in cui si trovava il suo bersaglio. Il dardo sopraffatto dalla forza di gravità mutò la sua direzione verso quella del suolo.

Incoccò un’altra freccia serbando un secondo tiro ma anche questo finì come il primo.
“Non riesco a prenderlo, maledizione!”
“Il lungo peregrinaggio ti ha rammollito? Sei il miglior arco dell’Agrolide! Forza!”
“Il mio arco ha un limite di gittata, Pilade. Non posso andare oltre”
“Ma lui sì”

Dall’alto, l’arciere continuava a spargere vittime e persino Oreste rimase sorpreso dalla sua accuratezza.

 Un grande frastuono distolse l’attenzione dei due cugini. Si voltarono nella direzione delle urla che seguirono quel fracasso e rimasero di stucco. Uno dei cavalieri alati aveva colliso su una tenda, disfacendola totalmente, ed ora l’Ippogrifo imbizzarrito dal dolore provocato dalla caduta, aveva disarcionato il suo passeggero e stava scalciando a mezzaria.

 “Prode Gamacton, cosa combini? Avresti dovuto tenere le redini”
Gridò uno dei cavalieri alati.

 Dalla tenda s’alzò un essere immenso. Il più grande, che ognuno dei soldati avesse mai visto.

“Io voglio squartare! Io stufo di vedere tutto dall’alto, Kyr!”

 I soldati arretravano puntando le spade verso quell’essere a loro ignoto.
Nessuno di loro aveva mai visto un essere umano di quelle dimensioni sconvolgenti.
Persino Pleurone ed Aristomene, tra i più forti di quella schiera si tenevano alla larga paventando quell’essere.

 “Per gli inferi... Non credevo potesse esistere qualcuno di così enorme!”
Commentò Pilade.
“E’ più grande di Perifete…Molto più grande!” Disse Oreste.

 “Come ci si può difendere da qualcosa di così grande?”
Chiese Pleurone.
Archi…Archi e frecce” Concluse Aristomene

PHOBOS

Arpie

Ippogrifo

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Capitolo 8
*** Ali di morte (pt3) ***


“Tirate! Abbattete quel mostro! Abbattetelo!”

Gridò Aristomene verso i pochi arcieri della sua schiera. I soldati ubbidirono e una nube di frecce investì Gamacton.
Il gigante assunse una smorfia di disapprovazione guardando quei piccoli dardi a malapena inculcati nella spessa carne.

“Perché nessuno riesce mai a farmi provare dolore?”

Gli arcieri increduli avevano le mani tremanti.
Pleurone cercò di dire qualcosa ma le parole gli si strozzarono in gola.

Aristomene non perse la calma.
“Tirate di nuovo, forza!”
Ma questa volta Gamacton non lasciò loro tempo per reagire e incombette brandendo un grosso martello.

Agli arcieri fu rapidamente fracassato il cranio, prima che riuscissero a incoccare altre frecce. Le cervella schizzavano innaffiando il terreno. Il gigante era una furia inarrestabile.
Aristomene si gettò a terra per evitare le fatali traiettorie di quella grossa arma di metallo.

Pleurone scaraventò la sua spada contro il gigante, brandendola con entrambe le mani, ma un istante dopo fu colpito anche lui.
La sua testa esplose come quella degli altri e il suo corpo decapitato si afflosciò a terra.

La spada con cui l’aveva colpito poco prima di morire si era inculcata nel ventre di Gamacton ma non serbò troppi danni rispetto alle frecce.

“Neppure spada serve a niente contro di me”
Berciò estraendosela con una sola mano.

Si guardò attorno e notò che in mezzo ai cadaveri massacrati, saldo in piedi, c’era ancora un uomo.
Ricoperto del sangue dei suoi compagni, quest’uomo stringeva la sua spada. Era pronto a morire. Era Aristomene.

“Forza gigante! Ti sto aspettando.”

 Gamacton emise una sorta di sibilo compiaciuto, simile ad un vagito infantile. Alzò la mazza sin sopra la testa con l’intento di spappolare il nemico.
Ma la corsa del gigante fu improvvisamente arrestata. Un dardo repentino lo colpi inculcandosi poco sopra l’occhio, all’altezza del sopracciglio.

 “Dannazione! Ho mancato l’occhio.”
“Sei impazzito, Oreste? Non lo attirare qui, dannati inferi!”  
Bestemmiò Pilade.
Dovrei lasciare che massacri tutti, mentre noi ce ne stiamo nascosti, cugino?”

“No ma…ecco, lo sapevo. Sta arrivando”

 Gamacton ignorò Aristomene ed estraendosi la freccia dal volto, marciò a passo spedito verso i due soldati.
Un sorriso solcava il suo volto mentre un rivolo di sangue gli fluiva sulla faccia.

“Sei riuscito quasi a ferirmi. Sono quasi felice!”

 Il passo spedito accelerò e ora il gigante stava correndo verso di loro. Intonò un grido di guerra che fu rauco e spaventoso.

“Dividiamoci Pilade! Almeno così uno dei due potrà sopravvivere. Abbiamo una vendetta da compiere!”
D
isse Oreste, spingendo il cugino verso la direzione opposta alla sua.

 Il gigante incominciò a ridere sguaiatamente agitando la sua arma.
Prima che potesse raggiungerli, qualcosa collise su di lui con una tale potenza da farlo sbalzare a una decina di metri di distanza.
Un ruggito prolungato e intenso coprì ogni altro suono. Gamacton a fatica si rialzò.

 Davanti a lui un immenso orso ritto sulle zampe posteriori raggiungeva il doppio della sua altezza.
“L’orso Orico! Questa non se l’aspettava. Ora la situazione è ribaltata.” Disse Oreste.

 Gamacton contemplò la bestia con la curiosità e la sorpresa di un infante.
Sentì un bruciore alla spalla sinistra: aveva dei profondi squarci dai quali colavano copiosamente dei fiotti di sangue scuro.

Toccò la ferita imprimendosi la mano di quel liquido. Non lo aveva mai visto così intenso fuoriuscire dal suo corpo.
“Dolore! Riesco a sentirlo finalmente.” Sorrise.

L’orso con le fauci grondanti di sangue schiumante incombette verso la sua preda.
Appena fu a portata, Gamacton cercò di colpirlo con il suo martello.
Falciò l’aria, un paio di volte, ma al terzo colpo lo prese sul muso.
La bestia perse un dente ma poi attaccò l’uomo azzannandolo a un braccio.

 Gamacton urlò lasciando cadere l’arma.
Uno degli artigli era penetrato profondamente nell’altro braccio facendo cadere il gigante a terra, sotto il peso dell’enorme belva.

Gamacton mise a raccolta tutta la sua forza cercando di spingere lontana la testa dell’animale ma l’orso era molto più forte di lui.
La bile di Orico gocciolava sulla testa del gigante, mentre con le fauci s’avvicinava ineluttabilmente.

Nessuno sarebbe potuto intervenire in nessun modo, poiché le scale di grandezza andavano oltre le possibilità d’azione di chiunque.

Dall’alto Kyros incominciò a bersagliare l’orso con numerosi dardi ma la spessa pelliccia impediva anche solo di causargli il minimo danno.
Allora, volò in picchiata verso la belva.
Il cavallo alato gli tirò un calcio dritto in testa. L’orso con uno scatto tentò di ghermirlo ma le prede gli sfuggirono all’ultimo momento.

 All’improvviso si udì uno squillo acutissimo e prolungato. Entrambi gli Innominati dovettero tapparsi le orecchie e il cavallo alato per poco non disarcionò Kyros.
Orico si voltò di scatto verso una direzione, come se avesse captato qualcosa, e vi si diresse risparmiando quindi la vita al gigante ferito.

 Gamacton si rialzò pieno di profondi graffi e lacerazioni.
“Torna qui, dove vai?”
Kyros atterrò col suo ippogrifo.

“Fermati gigante, non aizzarlo. Non hai visto le sue dimensioni? come puoi anche solo pensare di affrontarlo? Non cercare di fare paragoni.”
-----------

In mezzo a quello scenario dinamico di fiamme e soldati in fuga, davanti alla tenda di Sideris, c’erano Almo e Cercione a fare da sentinelle.

 “Non posso stare fermo mentre tutto intorno a me c’è una battaglia che infuria, Almo!”

“Calmati. Gli ordini di Sideris erano chiari e logici. Non possiamo permettere che qualcuno recuperi il vaso.”

“Ma come possono sapere che si trova proprio qua dentro? Gli Innominati stanno cercando Pandora e nient’altro.”

“Non lui a quanto pare.”

Rispose Almo indicando davanti a sé.
Davanti a loro era atterrato un ippogrifo. Un Innominato scese dalla sua groppa.

La cappa lo avvolgeva ricoprendolo fino al mento e dal colletto s’intravedeva una sorta di maschera metallica che celava la metà inferiore del suo volto.

Della metà superiore si potevano contemplare solo i suoi occhi spenti, la pelle cadaverica e, in contrasto con essi, dei lunghi e vitali capelli smossi di un nero acceso.

 “Fatemi passare” sussurrò l’entità.

“Dovrai ucciderci prima!” Gridò Cercione incombendo con la sua ascia.
Non percorse pochi metri che l’Innominato emise uno stridulo sibilo così acuto e potente che tutti nell’accampamento dovettero tapparsi le orecchie.

Cercione e Almo che si trovavano nel punto di massima propagazione sonora, crollarono a terra mentre rivoli di sangue fluivano dalle orecchie e dal naso.
Persero i sensi.

L’Innominato, rivelatosi essere Enio l’Urlo, entrò nella tenda del falcone. Il vaso si trovava lì.  Enio lo aprì illuminando tutta l’area.
Fu sorpresa nel trovare al suo interno il cadavere del dio Ermes e tutti i suoi divini cimeli. Un dio era morto. Non credeva che fosse possibile.

Raccolse il Caduceo, i bracciali e i calzari infilandoli dentro la propria cappa.
Emettevano parecchia luce, ma non della stessa magnitudine della prima volta.

 Poiché il vaso era stato precedentemente aperto, l’energia luminosa dei divini oggetti al suo interno, trattenuta da esso, era stata già in gran parte dissipata emettendo il segnale.
Era bastata meno di un’ora tuttavia (da quando era stato aperto), a far cumulare agli oggetti abbastanza luminescenza da poter illuminare l’intera tenda.

 Enio tirò fuori anche il dio morto. Senza il minimo rispetto per la somma eminenza che egli era, lo gettò a terra, lo afferrò per le gambe e arretrò facendolo strisciare sul terreno. Era rimasto ancora caldo grazie allo scrigno che aveva conservato il suo corpo.
Enio arretrò fino all’uscita. Una volta fuori si accorse di una presenza alle sue spalle e lasciò la presa.

L’immane orso Orico era dietro di lei. Immenso. Alto quanto la grande tenda di Sideris. S’accucciò a quattro zampe e con la potenza di una zampata tentò di tranciare la preda a metà con un singolo colpo.

 La donna s’inclinò in avanti e cadde a terra evitando la percossa mortale, che invece abbatté un paio di pali di legno che sorreggevano l’allestimento.

Enio s’allontanò più che poté, si voltò e nuovamente incominciò ad emettere il suo grido.
L’orso tuttavia era intelligente e aveva intuito le sue intenzioni.
Non le lasciò tregua. Incalzò verso di lei senza sosta con le zanne e gli artigli. Enio era così impegnata ad evitare quei colpi da non riuscire ad incrementare la potenza del suo strillo. Continuava ad arretrare strisciando e rotolandosi a terra.

L’immane zampa, grande quanto lei, le sfiorò appena una spalla. L’artiglio era così pesante e acuminato da tranciarle la stoffa e l’armatura e lacerarle la carne.
Se l’avesse colpita in pieno sarebbe stata spappolata come un insetto.

 Enio afferrò allora il Caduceo del dio caduto e lo puntò contro l’animale.

Orico era memore della morte di suo fratello Agrio e dei terribili effetti che provocava quell’oggetto. La paura lo sopraffece, e incominciò a correre via verso un riparo.

Enio reggendosi il braccio ferito, e continuando a puntare l’arma, arretrò verso la sua cavalcatura. Sapeva che Orico, nascosto da qualche parte, non le avrebbe dato modo di recuperare la salma di Ermes. Inoltre se avesse utilizzato il Caduceo avrebbe generato un nuovo segnale e sarebbe stato rischioso. Così si accontentò delle armi e spiccò il volo.

Size Orico

ENIO

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Capitolo 9
*** Ali di morte (pt 4) ***


Phobos avanzava per l’accampamento inseguendo tutti coloro che cercavano di sfuggirgli per poi bruciarli vivi.
In mezzo ai cadaveri arsi, un uomo fingeva di essere morto ma i suoi spasmi di terrore rendevano inutile quella sceneggiata.
Phobos sogghignò avvicinandosi a quell’umanità.

Non ti piace il fuoco, vero?”
Lo toccò con il piede cercando di rivoltarlo a pancia in su.
L’uomo si voltò: era Ione, il terzo dei tre fratelli fuorilegge.

“Vi prego signore, risparmiatemi! Vi dirò ogni cosa. Vi dirò dov’è Sideris! E’ lui che cercate vero?”

 Phobos sorrise. Sembrava non aver udito una sola parola di ciò che l’uomo gli avesse detto.

“Dimmi: tu pensi che io sia un incapace inetto che non sarebbe in grado di uccidere nessuno senza il potere del fuoco?”
“Cosa? No, non l’ho detto!”
“LO HAI PENSATO!”
"No, non è vero!”
“Mi dai del bugiardo!?”
“Sì…no! Ti prego risparmiami…”

 Phobos afferrò il superstite per le guance puntando il palmo della propria mano nella sua bocca.
“Prova a darmi del bugiardo, adesso!”

Ione si dimenava cercando di scansare quella mano. Non riusciva neppure ad urlare. Il suo volto divenne rosso acceso, nuvole di fumo gli uscivano dalle orecchie, gli occhi liquefecero.
Quando divenne rovente Phobos ritrasse la mano.

“Ahi! Mi hai bruciato!”  Disse ironicamente al cadavere.

 All’improvviso qualcosa gli avvinghiò entrambe le braccia facendogli provare dolore.
“Prova a usare le tue fiamme adesso!” Disse qualcuno alle sue spalle.

Era l’inventore Belone. Lo aveva avvinto con due fruste ricoperte di aghi, uncini e spuntoni.  Quegli aculei erano serviti ad agganciare l’Innominato oltre che a ferirlo.

Belone, alle spalle di Phobos, impugnava le due sferze, le quali avvincevano entrambe le braccia del nemico. Stava tirando forte verso la sua direzione per immobilizzarlo.

Queste sono le armi innovative che mi hanno reso celebre! Grazie agli uncini, riesco ad agganciare il nemico con molta facilità e gli spuntoni fanno il resto del lavoro. E’ inutile che provi a liberarti…Ho allenato giorno e notte le mie braccia per mantenere salda la presa. E comunque se anche riuscissi a liberarti, non faresti che ferirti ulteriormente con i ganci.”
Disse con superbia. E le sue grosse braccia, sproporzionate rispetto al resto del corpo, gli davano ragione.

“Vediamo se riesci a puntarmi contro i palmi delle tue mani!”

 Phobos, con le braccia sanguinanti e rivolte all’indietro non provò neppure a contrastarlo in una gara di forza ben sapendo che, quale che fosse l’esito, i suoi arti avrebbero finito per ferirsi e scarnificarsi ulteriormente.
Alcuni soldati uscirono dai loro ripari avvicinandosi all’Innominato.
“Forza uccidetelo adesso che è immobilizzato. Tagliategli la gola.”

I falchi incombettero a spada tratta ma l’espressione sbeffeggiante di Phobos restò immutata. Quando i rivoluzionari si trovavano a pochi metri, Phobos ritrasse il collo all’indietro innescando un meccanismo mortale.

Dalla cappa nera che lo rivestiva, partirono diversi pugnali diretti in ogni direzione.

I rivoluzionari furono colpiti in pieno e morirono immediatamente. Belone ricevette una pugnalata al ventre.  Gridò di dolore ma non lasciò andare la presa.

“E quello…cos’era!?”
Phobos sogghignò.
Un’invenzione migliore della tua!”

Si levò la cappa rivelando un’armatura nera ricoperta da aculei di ferro.
“Ognuno di questi aculei è un pugnale pronto al lancio. Mi basta flettere la testa all’indietro per sganciarne otto in ogni direzione”
Belone rimase in deliquio davanti alla magnificente fattura di quella corazza.

“Quella è fattura di un dio…” Disse sputando sangue.

 “Ve l’avevo detto che il fuoco non è la mia unica risorsa.”

Phobos cercò di districarsi delle sferze ma l’inventore le teneva ancora salde.
“Sei tenace, eh? Mi costringi a sprecare altri otto pugnali. Non avrei mai creduto che uno come te ne valesse tanti.”

L’Innominato diede di nuovo un colpo di nuca e i pugnali da lancio innestati nell’armatura furono scagliati di nuovo in ogni direzione.
Belone fu colpito in fronte questa volta. Stramazzò al suolo senza emettere un gemito e Phobos poté liberarsi di quella misera invenzione.

 Contemplando quello scenario di fiamme e morte si sentì orgoglioso. Inspirò profondamente quell’aria putrida, sorridendo amabilmente verso ogni soldato che aveva sterminato.
Senza indugio estrasse un fischietto che utilizzò per richiamare il suo Ippogrifo, vi salì sopra e spiccò il volo.

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Un forastico quanto magnificente ippogrifo di colore bianco splendente galoppava imbizzarrito per le vie dell’accampamento.
Le sue dimensioni spropositate costituivano un serio pericolo per i soldati in fuga, i quali furono travolti e calpestati. Le ossa si frantumavano come fuscelli sotto il suo peso enorme.

 In contrasto con quella baraonda di soldati che fuggivano terrorizzati, un Falco Nero, un tempo ammaestratore di cavalli inseguiva l’ippogrifo.

“Dobbiamo fermare quella bestia!  Bargilo e anche tu fratello, aiutatemi a domarlo.”
“Domarlo?”
Ripeté il fratello sconcertato mentre gli stava dietro.
“Deliade quello lì non è uno dei cavalli di nostro padre…Stiamo parlando di una bestia alata grossa quanto una casa. Non riusciremo neppure a salirci sopra.”
“Sì invece. Guarda: su entrambi i fianchi del cavallo ci sono delle scale a pioli ciondolanti collegate alla sella. Permettevano al suo cavaliere di salirgli in groppa. Useremo quelle”.
“Devi essere pazzo!”
Esclamò Bargilo affiancando i due fratelli.
Lo sguardo di Deliade si fece determinato.

“Ora o mai più!”

 Quando il mezzo equino rallentò la sua corsa furiosa, Deliade allungò il passo e con un salto afferrò la scala a pioli ciondolante.
L’ippogrifo incominciò ad agitarsi scalciando ed emettendo striduli nitriti. Volteggiò su se stesso cercando di sbalzarlo via ma Deliade non lasciava la presa.

 Bargilo, rimasto indietro con il fratello di Deliade, era allibito.
“Tuo fratello è uno dei migliori. Ha domato gli stalloni più selvaggi, ma nessun addestratore  per quanto abile ed esperto può sperare di domare una creatura come questa”
“Non importa! Dobbiamo aiutarlo.”
“Aiutarlo? Ma…”
“ATTENZIONE!”

 L’ippogrifo li stava caricando a tutta velocità. I due ragazzi si scansarono in direzioni opposte evitando l’impatto con la bestia.
Deliade che era salito di qualche gradino, era piuttosto rintronato ma non abbastanza da non capacitarsi di ciò che era accaduto.

“Fratello! Bargilo!”
Gridò a gran voce. “Non vi vedo. State bene?”

“Bene no. Ma sono vivo!”

Gridò Bargilo all’altro lato, aggrappato alla scala a pioli simmetrica a quella di Decelo.
“Dov’è mio fratello?”
“Sono qui!”
Rispose una voce proveniente da dietro. Il ragazzo s’era avvinghiato alla grossa e scura coda della bestia.
“Cerca di resistere!”

Ma la creatura come se avesse accettato quella sfida eseguì un salto spropositato balzando così in alto che fu possibile inquadrare il panorama dell’intero accampamento e dei colli circostanti.
Poi ridiscese in picchiata verso terra. L’urto con il terreno fu così devastante che Bargilo lasciò la presa sfracellandosi al suolo.

 “BARGILO!” gridarono all’unisono i due fratelli mentre l’ippogrifo calpestava il suo cadavere. Ma le grida si strozzarono in gola quando l’animale compì un secondo salto. Arrivò alla medesima altezza del primo ma poi spianò le ali e incominciò a salire in alto, sempre più in alto.

 I due fratelli erano terrorizzati, infreddoliti e affaticati. Deliade con le mani tremanti salì di un altro paio di gradini aggrappandosi infine alle cime della sella.

 La presa del fratello stava per cedere. La coda del cavallo era un appiglio troppo precario. Gli arti dell’equino costituivano l’unica via che avrebbe dovuto percorrere per arrivare al punto in cui era giunto Deliade. Dall’arto avrebbe potuto agguantare la scala e quindi salirgli in groppa.
Doveva spostarsi in fretta perché la sua presa stava per cedere. Allungò la mano, e appena riuscì a toccare la gamba, con uno slancio arrivò ad afferrarla.
Pochi secondi dopo raggiunse anche la scala a pioli.

 Intanto, la quota alla quale erano arrivati incominciava a farsi sentire. Il gelido freddo li faceva sussultare e lacrimare. Le lacrime che solcavano i loro visi si congelavano sulle guance.
Ma il fratello di Deliade non cedette e proseguendo di pochi centimetri alla volta raggiunse infine la stessa altezza in cui si trovava il parente.
Si appigliò alle medesime cime che saldavano la sella, in groppa all’equino.

 “Quale malsana idea hai avuto fratello!”

 La bestia nitrì infastidita da quel carico extra e volò ancora più in alto assumendo una posizione verticale.
I due rivoluzionari a loro volta si ritrovarono appesi con i piedi nel vuoto.
La bestia alata raggiunse l’apice del suo volo, quindi riassunse la posizione orizzontale preparandosi a scendere in picchiata.

“Tieniti stretto fratello!”

 L’ippogrifo si tuffò nel vuoto a tutta velocità e il vento impetuoso si infranse su di loro come una potentissima onda. Contemporaneamente l’animale incominciò a roteare su se stesso all’ impazzata cercando a tutti i costi di abbattere i due passeggeri. La rotazione fu violentissima e a entrambi sembrò di trovarsi nell’occhio di un ciclone.

L’aria era irrespirabile, il freddo era pungente e i violentissimi strattoni incrinavano le loro ossa. Infine l’ippogrifo, ormai esausto, raggiunto il culmine delle sue energie, interruppe quella manovra.

 Decelo si ritrovò sospeso nel vuoto, senza alcun appiglio al quale aggrapparsi. Solo la mano del fratello avvinghiata al suo braccio lo separava dalla morte.

 “Lasciami cadere fratello! Altrimenti non ce la farai…Precipiterai anche tu!”
Gridò al parente che aveva superato la sfida dell’ippogrifo, ed ora si trovava sulla sella.
“No, non ti lascerò! Domeremo questa belva insieme. Ormai abbiamo vinto!”
“Tu hai vinto! Esiste un solo cavaliere per ogni cavallo e io non sono stato considerato degno di cavalcarlo.”

Deliade ammorbidì la stretta della sua mano lasciandosi cadere.
“Non farlo fratello!”

 “Addio fratello mio. Addio Bellerofonte, domatore di cavalli.”

Si lasciò andare definitivamente e precipitò nel vuoto.

Personaggi importanti:
Bellerofonte

http://mitologia.dossier.net/bellerofonte.html

Armatura di Phobos

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Capitolo 10
*** Ali di morte (pt 5) ***


Poco lontano dall’accampamento, Sideris e Soter correvano assieme a una figura incappucciata: Pandora.
“Pensavo che ti interessasse la sorte dei tuoi uomini. Li hai lasciati allo sbaraglio.” Commentò pungente Soter.
“Non se è in ballo la sorte del mondo. Pandora rappresenta questo.”
“Già, anche per me.”

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In quel momento una folata di vento freddo li investì costringendo loro a fermarsi e ripararsi con le mani.
Quando si scoprirono, davanti ai loro occhi si stagliava il più terribile degli alfieri di Ares: Deimos, colui che s’era imposto come Signore degli Innominati.

 L’Ippogrifo che cavalcava era nero come la tenebra. I suoi occhi rossi di fuoco, gioielli delle cave degli inferi. Scalciava e nitriva, impaziente di un ordine del suo cavaliere.
Deimos discese da cavallo con un salto.

Il suo volto scoperto era in parte decomposto, la sua pelle era marcia, in testa teneva un mezzo teschio che fungeva da elmo, ma nonostante tutto, i presenti si accorsero di quale fosse la sua identità.
Quella mascella squadrata e quei lineamenti duri, quegli occhi piccoli e malvagi non lasciavano dubbi. Deimos era un antico re del passato che si era macchiato di crimini inverecondi e innominabili e tutti fin da bambini imparavano la sua storia e a riconoscere il suo volto, assieme a quelli dei suoi due fratelli.

 Dalla cappa fece uscire un congegno. Prima che i presenti potessero capire qualcosa, da esso fu scagliata, a una velocità impercepibile, una rete che avvinghiò Pandora.
La ragazza, avviluppata dalla rete, cadde a terra priva di sensi.

“Che cosa…Che cosa le hai fatto?” Chiese Soter.
“Sta bene. E’ solo stordita.” Rispose l’Antico Re.
Come hai fatto a trovarci?” Chiese Sideris.

“La ragazza emana un potere enorme. Non è difficile per me percepirlo… Così come anche lo scrigno di Ermes. Complimenti davvero!”

Incominciò a battere le mani. “E’ stato duro lo scontro con il dio? Scommetto che siete stati aiutati da un'altra divinità. Solo un Olimpico può uccidere un Olimpico.”
Sideris e Soter rimasero in deliquio. Quell’uomo sapeva troppe cose.

 “Ermes ha provato a catturare la ragazza ma ha miseramente fallito…Come pensi di riuscirci tu?” Chiese Sideris.
“Perché questa volta nessun dio vi aiuterà”

 In quel momento atterrò un secondo Ippogrifo. Phobos era assetato di sangue e fremente di uccidere.
"Vi ucciderò entrambi!” Dichiarò esaltato facendo impennare la sua bestia.
“Ti conviene scendere da lì, se vuoi affrontarmi!” Dichiarò calmo Soter.
“Io non credo che tu meriti questo onore!”  Rispose la Paura, e poco dopo spronò l’ippogrifo per caricare il nemico.

 Quando furono in un raggio di contatto, con una pronta schivata, Soter evitò l’Ippogrifo in corsa e, alzando la spada sopra la testa, lo infilzò al ventre.

La veemenza della carica fece sì che la spada provocasse un profondo taglio lungo tutta la pancia. Stridendo di dolore, l’animale cadde a terra in preda agli spasmi.
Dal ventre fuoriuscirono dei violacei intestini che parvero contorcersi come dei serpenti schizzando sangue dappertutto.

Deimos guardò con disprezzo suo fratello.
“Idiota! Quello non è un avversario come gli altri.”

 Phobos si rialzò voltandosi verso il suo nemico. I suoi occhi spaventosi incrociarono quelli di Soter, ma quest’ultimo sostenne il suo sguardo senza timore, ricambiandolo della stessa rabbia e intenzione omicida.

“Che tu sia maledetto!” Esclamò Phobos irridente. “Non credevo di poter avere questo interesse ma… Voglio sapere il tuo nome.”

“Mi chiamo Soter…”

 Dopo quella risposta, Phobos scattò verso di lui. Da una fessura della sua armatura, all’altezza del polso, fuoriuscì una spada lunga. Con un colpo discendente incalzò su Soter per dilaniarlo.
In quel medesimo istante, un corvo si gettò in picchiata frapponendosi tra i due e subì il colpo fatale al posto di Soter.

Nel momento di confusione, Soter scattò con la sua lama trafiggendo il nemico a una spalla. Gli trapassò l’armatura e la spada penetrò per qualche centimetro nella carne.
Phobos gridò di dolore.

 “…E sono già stato maledetto.” Aggiunse il giovane.

 Phobos digrignò i denti furibondo puntandogli contro il palmo di una mano. Con grande sorpresa di Soter, da esso fuoriuscì un getto di fiamme.
I riflessi incondizionati del ragazzo gli permisero di scansarsi e arretrare all’ultimo istante estraendo la propria lama dalla spalla del nemico.

 “Credevo fossi un guerriero onorevole!” Commentò.

“Non ho mai detto niente del genere.” Rispose tirando fuori un fischietto da una sacca. “Anzi, l’onore è una delle mie vittime preferite.”
Se lo portò in bocca e incominciò a fischiare. Era un suono quasi impercettibile.

 “Che cosa stai facendo?”
“Oh, lo scoprirai…Lo scoprirai. Intanto gioca un po’ con me”


Da entrambi i polsi fuoriuscirono delle lame.
Soter non si lasciò minimamente impressionare. I suoi erano gli occhi di un lupo rabbioso. “Te ne pentirai!”  Questa volta fu lui a scattare verso Phobos.

La propria spada incominciò a vibrare assumendo un colore violaceo.

Phobos incrociò le sue due lame per intercettare la calata discendente dell’avversario. Per un attimo sembrò che queste stessero per infrangersi a causa della potenza di quella di Soter, ma poi assunsero anche loro un proprio colore.

Incominciarono ad emanare energia verde. Erano armi magiche. Armi da Innominato

 “Ares ti ha concesso addirittura due armi divine?” Chiese Soter.
Phobos sorrise “E’ naturale. Siamo a un livello superiore rispetto a voi e…”

Un ronzio sempre più forte interruppe il suo discorso “Oh, le mie piccole sono già arrivate.”
Una nuvola nera si avvicinava alla loro postazione. Arpie. A centinaia.

 “Quindi quel fischio serviva a richiamarle? Sei un folle! Divoreranno anche te.”
“Tu credi? Ho già provveduto a immunizzarmi dai loro attacchi…sei tu che devi preoccuparti.”

La nuvola nera s’avvicinò mostrando nitidamente tutte le componenti di quella sciamata: orride streghe con ali da pipistrello, delle dimensioni di un colibrì.
Soter girò la sua lama rivoltandola di piatto per incrementare l’area di impatto mortale. Le sue falciate erano rapidissime e precise, la loro potenza era grandiosa.

Grazie al potere divino della spada, bastavano un paio di colpi per schiacciare una dozzina di quegli esseri.

Tuttavia, il loro enorme numero costringeva il guerriero ad arretrare sempre più. Alcuni esemplari riuscivano a superare la barriera della sua arma e arrivavano ad avvinghiarglisi al corpo e succhiargli il sangue.

Soter dovette retrocedere di corsa. Nella fuga si staccò di dosso qualcuno di quei mostri.
Phobos sghignazzò divertito “sapevo che sarebbe finita così…In fin dei conti sei solo un uomo.”
Quell’uomo correva in tondo con lo scopo di andare incontro a Phobos e portare con se lo sciame.

 “Sei duro di comprendonio. Ti ho detto che nessuna di loro mi attaccherà.”

 Soter non prestò attenzione alle sue parole e, alzando la spada sin sopra la testa, gliela scagliò contro.
Phobos appena in tempo interpose le due spade magiche per parare il colpo.

La lama dell’Innominato Maledetto collise contro quelle dell’altro facendo erompere schegge e zampilli incandescenti. Poi cadde a terra come sconfitta.

 In quel frangente Soter, continuando a correre, estrasse dalla cappa due pugnali.
“Cosa vorresti fare con quelli? Ormai SEI MORTO!”

 Phobos gli puntò contro i palmi delle mani e fece fuoco.
Fu proprio in quel momento che avvertì un lancinante dolore in quei punti.
Prima di potersi rendere conto di cosa fosse successo, Soter con una capriola aveva eluso il getto di fiamme e ridotto la distanza tra loro. Era su di lui.

Si trovava con la propria fronte contro quella del suo nemico. Aveva bloccato le sue braccia sotto le proprie ascelle e con le mani gli immobilizzava le spalle. Nonostante Phobos fosse così famigerato non aveva molta forza fisica e questo sarebbe stato fatale.

“AAaaargh!  Cosa mi hai fatto Bastardo?!”

Si lagnò. Il suo sguardo dapprima beffardo e maligno era ora disperato.

“Ho lanciato due pugnali sui palmi delle tue mani. La mia intenzione era esattamente quella di fare in modo che usassi il tuo getto di fiamme. Ho notato che per attivare quel tuo marchingegno ti basta flettere le mani all’indietro esponendo tutto il palmo della mano verso il tuo nemico. Colpendo i tuoi palmi in pieno, li ho inchiodati in quella medesima posizione. Non potrai più smettere di tenere le mani aperte e quindi di generare fiamme adesso!”

 Le mani di Phobos, infatti, non avevano modo di piegarsi in avanti a causa dei pugnali piantati sui rispettivi palmi che impedivano tali movimenti.

 Soter si stupì della sua stessa intuizione. Era peculiare di Varsos e Klearcos, adottare strategie così sofisticate contro il nemico. Se fossero stati lì chissà se avrebbero fatto diversamente.

Phobos cercò di liberarsi da quella stretta, ma il giovane che lo teneva saldo era molto più forte di lui.
“Non otterrai nulla immobilizzandomi! Presto le mie bambine divoreranno te risparmiando me!”

 “Forse nessuno dei tuoi mostri ti attaccherà. Ma tu attaccherai loro!”

In quel momento Phobos flesse la testa all’indietro per attivare la trappola dei pugnali. Udì un rumore cigolante e poi nient’altro.
Flesse nuovamente la testa, ma nessuno degli spuntoni fuoriusciva dalla corazza.

“Si è…Si è inceppata?Impossibile!”
“Io sono il guerriero maledetto. Mi pareva di averti avvertito!”

 Le fiamme continuavano a fuoriuscire dirompenti e i piccoli mostri, invece di preoccuparsi del pericolo imminente, come se avessero tutti una volontà unica, si avventarono sul nemico come delle falene incontro alla luce.

 “Nooooo! Figlie mie non venite qui! Noooo.”

Tutte le arpie si tuffarono verso le fiamme commettendo un suicidio di massa. Gli esserini crollavano a terra uno dopo l’altro con le ali bruciate stridendo e contorcendosi. Alla fine l’intera sciamata fu carbonizzata.

 Soter con occhi spietati guardò il suo avversario.
“Non so più che farmene delle tue braccia” Disse.

 Strinse forte gli arti di Phobos e con uno scatto glieli torse così violentemente da poter sentire il fragore delle sue ossa.
Phobos gridò disperatamente mentre le sue mani ancora continuavano a far uscire fuoco e fiamme.

“Addio…” Proferì Soter.

E con uno scatto all’indietro si allontanò lasciando il redivivo al suo destino.

Le braccia di Phobos, incapaci di muoversi, caddero sui propri fianchi ma le vampe incandescenti non smisero di eruttare e il suo stesso fuoco incominciò a divorarlo.
La punizione delle fiamme che sempre egli stesso aveva impartito al suo prossimo, adesso gli si stava rivoltando contro per analogia.
Le strilla di Phobos erano terribili.

Inutilmente fuggiva in ogni direzione, si rotolava a terra e scalciava cercando di estinguere quel male. Appariva ora molto più patetico di quanto il suo nome volesse suscitare.

Ironicamente tutto ciò che riuscì a ottenere fu l’attivazione della trappola dei pugnali, i quali vennero sparati in ogni direzione senza colpire nessuno.
Phobos imprecava, si dannava e bestemmiava gli dei mentre le fiamme lo consumavano.
Infine incominciò a invocare il nome del fratello.

“Salvami fratello! Salvami ti scongiuro!”

 Deimos rimase freddo a guardare il suo parente. Con un gesto fulmineo gli scagliò contro un oggetto che lo colpì al collo, inculcandovisi dentro.
L’oggetto era la punta di qualcosa di indefinito. Una specie di dardo dello spessore di un ago. Phobos stramazzò a terra sopraffatto da spasmi muscolari.

 “Questa è la tua ultima occasione” Proferì Deimos.

 E Soter che stava dando le spalle al suo avversario credendolo sconfitto, vide sbalordito un’immane ombra proiettarsi su di lui.
Si voltò e inorridito dovette alzare la testa per quanto era diventato enorme l’Innominato della Paura: una massa informe di muscoli scarnificati che si stava elevando dalle fiamme.

Deimos

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Capitolo 11
*** LA PIU' GRANDE SCOPERTA ***


In questo capitolo si scopre finalmente dove volevo andare a parare fin da quando ho incominciato a scrivere la storia. Il senso di tutto ciò che di vago è rimasto in ogni parte precedente è riassunto qua.

Ora, chi mi ha seguito fin qui capirà perché nel primissimo capitolo della serie (quella mattina di due anni fa), avevo esposto la mia indecisione riguardo la sezione in cui avrei dovuto postare la storia.

Mi scuso per chi, amante dell’epica, è arrivato a leggere fin qui (anche se i segnali che ho dato erano tanti) credendo in ciò che la storia ha mostrato finora.

 
STRAVOLGIMENTO

LA PIU’ GRANDE SCOPERTA

Il giorno seguente.

Klearcos era esausto e madido di sudore, reduce di innumerevoli notti insonni, viaggi senza sosta, marce forzate e duri combattimenti.
Aveva appena seppellito il corpo del suo vecchio maestro dopo averlo sconfitto e ucciso. Egli, prima di morire, gli aveva rivelato la verità su di lui e sui suoi genitori.

 Ulisse, padre di Klearcos, era in realtà colui che aveva dato vita al movimento dei rivoluzionari. Era il superiore di Sideris, prima che quest’ultimo ottenesse il comando.

 Il suo reale obiettivo fu raggiunto solo con la morte, grazie a Varsos, suo carnefice, il quale riuscì ad entrare nelle grazie di Ares.

Fu sotto le direttive del dio della guerra che Varsos ottenne gran parte delle informazioni che a lungo Ulisse aveva cercato.

 Ed ora quell’inestimabile eredità stava per essere trasferita al figlio di Ulisse, Klearcos. Quell’eredità non era fatta di  possedimenti terreni o denaro o potentissime armi, ma di qualcosa di gran lunga più prezioso: la Verità.

 Le shoccanti rivelazioni di prima non erano altro che un preludio di qualcosa di ben più maestoso e sconvolgente.
La più grande scoperta di tutte.

 
Dopo aver premuto sul medaglione lasciatogli da Varsos, da esso scaturirono delle luci danzanti.  Davanti allo sconvolgimento di Klearcos, le luci si mescolavano e formavano un caleidoscopio di colori concentrate in una sfera sospesa nel vuoto.
La figura incominciò ad assumere delle forme e dimensioni ben definite. Le proporzioni e i tratti divennero umani.

 Klearcos retrocedeva sbalordito.

Quale magia è mai questa?”

 L’uomo che gli si stagliava innanzi aveva una corta barba biondo cenere e lunghi capelli dello stesso colore. I suoi tratti erano logori e consumati dalle difficoltà di una vita, ma i suoi sottili occhi bruni erano ancora sprizzanti di vitalità e al contempo scaturenti d’arguzia.

Erano passati venti lunghi anni ma Klearcos poteva riconoscerlo. Era suo padre. Ulisse.

 L’Innominato cadde in ginocchio.
Cosa stava accadendo?
Per tutta la vita aveva sempre creduto di essere in possesso di tutte le verità del mondo, ma quegli ultimi due giorni aveva avuto delle rivelazioni così sconvolgenti da far scuotere le fondamenta della sua anima.

Adesso ogni parte del suo essere fu annichilita alla vista di quell’uomo, il quale, anche se passivamente, aveva condizionato due decadi della sua esistenza.

 “Infine sei giunto, figlio mio”
Disse solenne la figura.
“Padre…Sei davvero tu?”

Domandò Klearcos, allungando una mano tremante verso la gamba dell’apparizione.
La mano lo attraversò, come fosse uno spettro.

“Sei un fantasma?”

 “Il mio nome è Interfaccia.
Non sono tuo padre, ma lo rappresento in ogni sua forma:  fisica, mentale, psicologica, relazionale e ideale. La volontà che mi anima è la sua.
In un certo senso è come se lo fossi in tutto e per tutto.

Io sono il frutto delle scoperte e dei sacrifici di uomini coraggiosi. Uomini come tuo padre o come Varsos, i quali, per tutta la vita hanno combattuto arduamente per fendere questo pertugio di VERITA’.
Ora dimmi: vuoi davvero conoscerla? Sei in grado di resistere all’urto delle mie parole?”


Klearcos si ricompose. Si asciugò le lacrime che gli erano scese alla vista di quell’uomo e si rialzò in piedi.

 “Sono pronto.”

 Ulisse sorrise.
“E sia.”

Attorno a loro ogni cosa si oscurò. Si ritrovarono in un travolgente vuoto illuminato da miriadi di puntini luminosi che sembravano stelle.
Klearcos riusciva a vedere ancora nitidamente suo padre e se stesso, ma lo scenario era scomparso. Era come se si trovassero nella volta celeste quando fa buio.

 Ulisse incominciò a parlare.

 “Molti anni orsono, prima della mia nascita e di quella di mio padre e di suo padre prima di lui, prima della fondazione di molte grandi città, l’isola di Atlantide ospitava la civiltà più progredita di tutte.”

 “Atlantide? Non ne ho mai sentito parlare.”

 “Perché la memoria del suo nome è andata perduta nel tempo, dopo che essa si inabissò.
Gli astronomi di quell’isola avevano risposto alla maggior parte dei ‘Perché’ sulla vita.
Avevano dato un senso logico al giorno, alla notte ed alle stagioni.  
Scoprirono che oltre l’infinità del cielo, oltre la terra in cui ci troviamo esiste uno spazio  di gran lunga più vasto.


Scoprirono l’esistenza di miliardi, infinite terre, come la nostra e anche più grandi, alimentate da altrettanti soli e sospese in un vorticoso nulla senza età.

Ipotizzarono l’esistenza di altri….Mondi.  
Mondi come questo!
Mondi che ospitano altre civiltà, altre culture aliene. Dove gente come noi nasce, cresce e muore.”

 Klearcos pesava ogni parola scandita dal genitore, quasi stentando a dare una valenza logica a quelle frasi.

Ulisse indicò in una direzione nel buio e l’incredulo spettatore seguì il cenno della mano. Vide una luminosa sfera rossa muoversi nell’oscurità lasciando una scia dello stesso colore.
Ulisse continuò a narrare la sua storia.

 “Ma poi accadde qualcosa di incredibile.

Nel cuore della notte, una rotta di fuoco solcò la volta celeste inondando di terrore il cuore degli antichi. Una sfera di luce che illuminava la notte come fosse giorno.

 Quel corpo luminoso perse il suo splendore a poco a poco spegnendosi nella profonda oscurità. Ma le stranezze non erano finite poiché poco più tardi, nella seconda fase della notte, una fitta nebbia colpì le terre comprese tra la Macedonia e la Tessaglia, impedendo agli abitanti di vedere a un palmo di distanza.

 La nebbia si diradò dopo diversi giorni e quello che rivelò, cambiò la vita degli uomini segnando l’inizio di un’era.
Dove prima non c’era altro che una piana arida si era elevata un’immensa montagna.
Sai di quale monte sto parlando, Klearcos?

 Dall’oscurità dietro Ulisse, si aprì una finestra verso la realtà che mostrava le nebbiose pendici di un monte di cui non era visibile la vetta.
Klearcos lo riconobbe.

 “L’Olimpo!”

 “L’Olimpo…”
Confermò Ulisse.

“E da quella montagna che coloro che noi definiamo Olimpici e veneriamo come divinità sono discesi aggiogando ogni razza di queste terre.”

 “Per quale motivo nessuno ne sapeva niente?
Secondo gli storici il monte Olimpo, così come le divinità olimpiche, si sono sempre trovati lì, dall’inizio dei tempi.”

Osservò confuso Klearcos.

 “Perché a dettare la storia sono stati gli dei.
Per generazioni hanno voluto far credere ciò che volevano far credere, e la verità è andata perduta nel tempo.
La storia, i miti, le leggende, tutto ciò che sai sul mondo…Non è reale, Klearcos.”

 L’Innominato strinse gli occhi, impietrito da quelle verità.
Attorno a lui, dal nulla cosmico, comparvero i volti marmorei degli dei dell’Olimpo, così come l’umanità li aveva voluti rappresentare.

 “Ascoltami, figlio mio.
Coloro che vedi, quelli che ci governano dall’alto asserendo arrogantemente di essere divinità, sono tanto mortali quanto lo siamo noi.

Non c’è nulla di sacro dietro coloro che chiamiamo divinità dell’olimpo. Non c’è nulla di divino.
Sanguinano come noi, bramano come noi, hanno i nostri difetti… i nostri sogni… le nostre paure . Paura di morire.”

 “Chi…Cosa sono gli dei?”

 "Estranei da oltre l’eternità del cielo.
Nati in un mondo lontano dal nostro…
Resti di una civiltà infinitamente più progredita della nostra.
La loro tecnologia è così avanzata che ai nostri occhi appaiono come divinità.

Non esistono gli dei Klearcos.

Tutto ciò che hai visto fino adesso è frutto della scienza e del più grande inganno mai ordito.”

 Klearcos si sentì poco lucido.

Nella sua testa vorticavano voci e visi di gente conosciuta, ma solo le parole e i volti di taluni tuonavano su quelle di tutti gli altri: coloro che erano già a conoscenza di tutto.
Prima era troppo stolto per afferrare le loro parole e completare il quadro generale.

 Sideris glielo aveva detto:

 “E se tutto ciò che ti avessero detto sin dalla nascita non fosse reale?
So che non darai credito a nessuna delle parole che uscirà dalla mia bocca. Per tal motivo lascerò che arrivi alla verità da solo…
La verità ti renderà libero, e così io voglio liberarti dei vincoli che ti rendono schiavo di questa società corrotta.”   [cap 26]

 Ermes glielo aveva detto:

  "Tu credi sempre di sapere tutto, piccolo Klearcos.  Per tutta la vita hai arrogantemente creduto di conoscere la verità su questo mondo... Quello che credevi di sapere.
Tu non hai idea di quali forze sono in gioco in questo momento. Non puoi neppure immaginarlo, Klearcos. E se ci riuscissi, ti renderesti conto di quanto tu, misero mortale, sei insignificante."
[cap 18]

Varsos glielo aveva detto:

“Credi di sapere tutto, Klearcos? NON SAI NIENTE.
La gente dà retta a fugaci illusioni alle quali dà il fallace nome di realtà. Ma cos'è la realtà se non un' opinione? [cap 34]

 Tutto combaciava. Ogni cosa tornava, convergendo nell’assoluta coerenza di quel discorso, come un mosaico che finalmente prendeva forma.

La realtà era ad un passo da lui, eppure infinitamente lontana.

 “Cosa vogliono da noi?”
Chiese infine il ragazzo.

 Interfaccia rispose.

 “Sono alla ricerca di qualcosa ma né io, tuo padre, né Varsos abbiamo capito cosa.
Probabilmente sono alla ricerca di fonti di energia. Un’energia vitale insita in alcune persone che noi non riusciamo a comprendere.
Pandora è una di quelle persone, e l’ultima della serie…
La loro precedente vittima fu una donna che forse conoscerai come Elena di Troia.”

 “Lei?”

 “Io, i miei fratelli e gran parte dei re greci tentammo invano di riprendercela. Mettemmo sotto assedio la città dove era custodita ma inutilmente. Infine escogitai un modo per penetrare quelle mura, ma ormai era troppo tardi. La donna era scomparsa.”

 Klearcos rimase zitto, immobilizzato. Cadde il silenzio per alcuni attimi.
Poi riprese a parlare.

 Padre…Cosa posso fare?”

 Ulisse s’avvicinò al figlio.

 “Il tuo destino è fermare questo male che ha stretto in pugno i sogni di libertà degli uomini. Queste fantomatiche divinità non sono diverse da un qualsiasi altro invasore.
Klearcos…Dobbiamo liberarci o saremo annientati. Zeus sta già incominciando la sua opera di sterminio. Non abbiamo più molto tempo.”

 “Che speranze abbiamo noi contro la potenza di questa…Civiltà aliena?”

 Ulisse si avvicinò sfiorando con la mano il volto di suo figlio.

 “Non si può sconfiggere un dio…
Ma la scienza può essere combattuta con la scienza. Tu stesso ti sei impadronito già di alcuni frammenti di essa.

 Indicò la spada e la mano artificiale.

 

Ci si può impadronire della scienza.
La si può usare a proprio vantaggio e manovrare…E’ per questo che esistono speranze.

Tu
puoi diventare un dio.

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Così ha inizio la vera storia.

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Capitolo 12
*** Ali di morte (pt 6) ***


 Una protuberanza di nervi e muscoli colpì Soter in piena faccia, facendolo sbalzare a diversi metri da dove si trovava.

Phobos di umano non aveva più nulla.
Non aveva più una testa. Non aveva più gambe o braccia.
Era diventato una massa rigonfia di muscoli informi e in continuo mutamento. Da essa coagulavano putrescenti fluidi e dense secrezioni. Innumerevoli protuberanze muscolari emerse da un blocco centrale, si attorcigliavano tra loro e tastavano il suolo come se avessero vita propria.
La creatura faceva schiantare i suoi tanti arti in modo del tutto casuale spargendo distruzione indistintamente.

 “Non ho mai visto niente del genere”
Dichiarò Soter, dopo essersi ripreso dal colpo.
Incominciò ad arretrare tenendosi lontano da quell’entità infernale.

 “Soter, allontanalo da Pandora!”
Gridò Sideris afferrando la rete dentro cui ella si trovava.

 “E’ quello che sto facendo!”

Le mille proboscidi del mostro si abbatterono sull’Innominato, il quale, con la sua spada fiammeggiante, ne dilaniò un paio e arretrò.
Nella direzione diametralmente opposta a quella dello scontro, alcuni falchi neri in fuga si erano fermati a guardare la scena.

 Oh…Per gli inferi! Quale creatura abbiamo di fronte questa volta?”
Esordì sbalordito Pilade.

Oreste che gli stava a fianco aveva già puntato il bersaglio con il suo arco.
La freccia saettò e colpì il mostro ma non ebbe alcun esito. La creatura non sembrava avere punti vulnerabili: né occhi, né orecchie, né cuore, né cervello. Solo una massa informe di muscoli.

 "E’ tutto Inutile.” Commentò Pilade.

Oreste lo guardò sdegnato.

“Conosci altri modi? Dovrai usare anche tu il tuo arco, cugino. Una simile aberrazione non può essere combattuta a corpo a corpo.”

 “Ah si? E allora perché lui lo sta facendo?”
Rispose Pilade indicando Soter.

 Diversi tentacoli avevano ghermito l’Innominato, ma con la spada divina continuava a mutilarne altrettanti. Continuava a combattere.

E’ un folle! Finirà per farsi ammazzare.”

Proferì Oreste e, in quel momento, un loro commilitone gli passò davanti, correndo nella direzione del mostro.

 “Cleostrato?”
Cleostrato dove stai andando!?”

 L’uomo chiamato Cleostrato non era né un eroe né un pazzo, ma aveva un’ossessione: quando vedeva qualcosa di valore, niente o nessuno poteva impedirgli di rubarla, neppure la certezza di morire.

 “Quell’armatura. L’armatura del Distruttore! Sarò ricco se riesco a prenderla.”
Gridò Cleostrato.

 La corazza spuntonata di Phobos era rimasta a terra illesa nonostante l’esplosione e la conseguente trasformazione dell’Innominato. Si trovava  a pochi metri dal mostro, il quale però era rivolto nella parte opposta: verso Soter.

 “Questo è il momento buono!”

 Nel momento in cui Cleostrato raggiunse quel pezzo d’armatura, dal dietro di Phobos spuntarono dozzine di putrescenti lingue che sguiscianti come serpenti lo ghermirono.

Cleostrato, con l’armatura tra le mani, urlante, fu trascinato verso la massa primaria del mostro. Altre orride protuberanze si incollarono a lui come delle ventose e lo trascinarono verso il blocco centrale. L’uomo fu assorbito dalla creatura tramite i suoi orripilanti movimenti di peristalsi.
Oreste e Pilade dopo aver assistito alla scena rimasero impietriti.

 Anche Soter era stato immobilizzato dagli innumerevoli prolungamenti di quell’essere. La stretta di alcuni tentacoli gli aveva fatto cedere la presa sulla spada, che cadde a terra.
L’Innominato fu sollevato ad alcuni metri da terra per essere anch’egli fagocitato.

Inutilmente si contorceva ma dentro di sé sapeva che il suo destino era imminente.
Tuttavia se il suo sacrificio fosse servito ad allontanare il mostro da Pandora, sarebbe morto senza rimpianti.

Si voltò verso il Falcone. Si stava allontanando con la ragazza tenendo bene d’occhio sia il mostro sia Deimos, il quale era rimasto immobile a gustarsi la scena.

 A causa della spettacolare trasformazione di Phobos, nessuno aveva prestato attenzione a Deimos. Non tenere in considerazione le facoltà del semidio sarebbe stato letale.

 Sideris non percorse pochi passi, che Deimos repentinamente lanciò un oggetto a terra. Da esso scaturì una luce accecante che investì tutti i presenti.
Tutto accadde incredibilmente in fretta.

 Soter urlò qualcosa, ma le sue parole si persero nel frastuono dello scontro.
La velocità di Deimos era sovrannaturale e, con uno scattò, si ritrovò a un passo dal Falcone. Nella mano stringeva una mazza che ribolliva di potere divino nero.

Sideris non riuscì a parare il colpo in tempo e il fendente colpì in pieno il suo volto

 L’elmo del Falcone non resse il colpo e fu spazzato via. Il metallo di cui era composto si frantumò in una miriade di frammenti e schegge e, sotto di esso, la testa dell’uomo fu fracassata.

Il sangue di Sideris macchiò il terreno, ed egli cadde a terra.
Morto.

 L’Innominato del Terrore non perse tempo. Con una mano raccolse la rete dentro cui si trovava Pandora, sollevandola quasi come se non avesse peso e si diresse verso la sua cavalcatura.

 Soter urlava impazzito di rabbia e disperazione, mentre il mostro Phobos continuava a trascinarlo verso di sé per inghiottirlo.
L’uomo si trovava ormai sommerso per metà nel blocco centrale, e le contrazioni lo facevano scivolare sempre più all’interno.

Prima che anche la sua testa fosse inghiottita da quella massa muscolare, l’Innominato gridò più che poté protendendo il braccio verso Deimos.
“IO TI UCCIDERO’!”

 Deimos si voltò verso di lui ricambiando l’odio con lo scherno.

“Tu sei già morto.”
E intanto l’unica cosa che ancora affiorava di Soter era la sua mano accusatrice, e un istante dopo più nulla.

 

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Capitolo 13
*** Rivelazioni 1: Chiarimenti padre-figlio ***


Quella travolgente oscurità che aveva isolato dal mondo Klearcos e suo padre si diradò con la stessa rapidità con la quale era sorta.

L’Innominato rimase sconvolto dalle parole del genitore. Tutto ciò che credeva reale, non era altro che il velo di un’illusione, un inganno perfettamente congegnato. 
Aveva sempre provato a credere in un mondo senza divinità. Un mondo senza quelle potentissime entità trascendentali che dall’alto dei loro scranni sul Trono Nebbioso, si arrogavano il diritto di poter mandare a morire migliaia di uomini per i propri tornaconti.

 Gli dei non esistono.

Ora ne aveva avuta riprova: Ora sapeva. 
Klearcos: l’uomo che per venti anni si era sporcato le mani del sangue dei suoi simili, che aveva perso la propria famiglia, la propria casa, il proprio onore e che fu spinto a uccidere il suo stesso maestro, ora aveva ottenuto il giusto guadagno per una vita di indicibili sofferenze. Ora conosceva la verità.

 Gli dei sono comuni invasori, come i barbari dal nord o i persiani.  Gli dei sono stranieri da un altro mondo. Tutto ciò che c’era di esoterico dietro l’origine delle divinità era stato sradicato e razionalizzato scientificamente.

 Ripensò a Ermes. Ripensò a quando la propria spada lambì la sua orbita facendo sgorgare fiotti copiosi di sangue che inondarono il terreno.
Questi invasori possono sanguinare. Questi alieni possono morire.

 Distolse l’attenzione da quei truci pensieri e il suo sguardo si rivolse verso quello del padre: Ulisse.
Ora ricordava il suo nome, e la sua voce così profonda, saggia, autorevole. Il suo sguardo intenso, sicuro, disteso. Era suo padre.

 “Padre, ci sono molte cose che voglio sapere da te.”
Ulisse sorrise “Posso dirti tutto ciò che so, adesso.”

Klearcos si avvicinò al genitore.
“…L’unico modo che aveva Varsos per guadagnare la fiducia di Ares era uccidere i capi dei rivoluzionari. Cioè voi. Sapevi che alla fine Varsos sarebbe venuto a uccidere mia madre e te?”

 Ulisse abbassò lo sguardo.

“Me lo aspettavo…”  Rispose in un soffio  

Varsos era troppo buono e troppo ingenuo. Voleva che Penelope ed io ci preparassimo al momento della nostra dipartita e così mi lasciò intendere ciò che stava per fare.

Per un Falco Nero l’Ideale viene prima di ogni cosa, anche della famiglia. Varsos lo sapeva bene. Era il mio luogotenente più devoto.

Eppure ho lasciato che distruggesse i miei ideali e la mia famiglia per la sua. Ho lasciato che uccidesse Penelope e me. Per quale ragione l’avrei fatto, secondo te?”

 “Avevi mandato numerose spie alla corte di Ares, ma furono tutte neutralizzate. Per te la presenza di una sola spia valeva davvero questo prezzo?”
Il figlio alzò il tono, chiaramente contrariato.

Ulisse sorrise.

Non era una semplice spia.
Varsos era anche il mio migliore amico. E io ho voluto fidarmi del mio amico fino alla fine e anche oltre.
Così, quando giunse nella nostra casa, gli lasciai trovare questo Medaglione-Interfaccia che stai usando tu adesso. Quando lo attivò e mi vide apparire di fronte a lui il suo stupore fu immenso.
Oh, non ha mai pianto tanto quanto quel giorno! Non ha mai riso, né bevuto tanto.

Gli dissi che sapevo già cosa avrebbe fatto per la sua famiglia. Penelope ed io avevamo deciso di morire consapevoli, ma in cambio lui avrebbe dovuto agire come Innominato e servo di Ares accumulando più informazioni possibili, da usare contro il dio stesso al momento giusto.

Inoltre… Avrebbe dovuto fare in modo che il dio della guerra ti considerasse come Innominato. Gli dissi di spezzare il Medaglione in due parti, dartene una e tenere con sé l’altra. Questo medaglione è un artefatto molto prezioso, ma diviso in due parti non ha né valore né utilità. Gli dissi di darti la seconda metà, soltanto dopo aver ritenuto che tu fossi pronto. Una volta apprese le mie direttive andò da Sideris che rettificò ogni mia parola.”

Klearcos sferrò un pugno in faccia a suo padre. Il pugno però non ottenne alcun esito a causa della natura incorporea del genitore e lo attraversò come se fosse fatto d’aria.

 “Padre… Tu hai idea di cosa io abbia passato? Sai cosa vuol dire vivere aborrito dagli uomini? Odiato, disprezzato, vessato come un mostro e per vent’anni seguire le tracce di un assassino che in realtà non c’è mai stato?! Sai cosa vuol dire guardarsi le spalle ogni singolo giorno della propria vita conoscendo soltanto la morte e la disperazione e la solitudine?
Ho riempito il mio cuore di odio. L’ho fatto per te! Per la vendetta! E cosa ne ho ricavato? SOLO ODIO!”

 Ulisse lo guardò consapevole della sofferenza di suo figlio.

“La vendetta non porta mai a nulla, figlio mio. Ma tutto ciò che hai fatto ti ha concesso l’ottenimento di un risultato certamente più prezioso di qualunque altro tesoro. La verità vale tutto questo? Sì.
 Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo. Io ho desiderato con tutto il mio cuore che almeno mio figlio non fosse uno schiavo. Le armi che possiedi valgono più oro di quanto ne possegga un’intera nazione; le tue abilità in combattimento non sono seconde a quelle di nessuno.
Figlio mio, tu puoi salvare il mondo e puoi cambiarlo.”

 Klearcos rimase meditativo, in silenzio. Vivere in un mondo di odio nell’incoscienza non gli avrebbe causato altrettanto dolore.
Gli occhi di Ulisse si riempirono di vivida arguzia e dalla sua mano si materializzò un piccolo cavallo di legno.

 “Ti ricordi quando te lo diedi? Fu il mio primo regalo. Te lo portai al mio ritorno da Troia. Rappresentava l’astuzia che trionfa sulla forza. Ma il mio vero Cavallo di Troia, sei proprio tu figlio mio.”

 L’Innominato cercò di ritirare il suo amaro pianto. Dopo anni di singhiozzi a denti stretti, oramai le sue lacrime erano divenute usuali negli ultimi giorni.
Il suo cuore si riempì di un sentimento che ormai gli era familiare, la tristezza.

 Che cos’è un eroe?

Una persona che mette in gioco se stesso per il raggiungimento di un bene che non è il proprio. Ma in realtà un risultato personale lo ottiene: la gloria, la commemorazione, il ricordo della gente, l’ammirazione degli altri per molti anni a venire. Tutto questo ridimensiona la figura di un cosiddetto “eroe”.

Ma quando un uomo compie delle azioni incredibili atte a raggiungere il proprio obiettivo, pagando non solo con la propria vita e con quella dei propri cari, ma anche con la propria immagine, sfigurando il ricordo che le persone hanno di sé, senza cercare la gloria personale, morendo nel silenzio, colui è un eroe senza nome.

Klearcos si rese conto dell’inestimabile lascito dei suoi genitori.
Si avvicinò ad Ulisse e lo abbracciò, ma nuovamente la figura non risultò sensibile al tatto.

 Ulisse sorrise.

“Se avessi potuto abbracciarti figlio mio, lo avrei già fatto.”

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Capitolo 14
*** Rivelazioni 2: Sideris ***


“Prima hai detto che rappresenti mio padre in ogni sua forma ma non lo sei realmente. Che cosa vuol dire?”

 “Io sono una MACCHINA. Un’intelligenza costruita dalla civiltà aliena e a loro sottratta.
Io sono il prodotto degli uomini che mi hanno utilizzato prima di te.
Quando assumo la forma di uno di loro, ne divento la loro perfetta copia. I loro ricordi sono i miei ricordi. La loro volontà è la mia volontà. Così come la loro forma, la loro voce, desideri, paure, raziocinio, difetti, sentimenti. Ogni cosa, o quasi...
L’unico aspetto che non viene simulato è l’ego. Sono consapevole di non essere realmente tuo padre, ma solo la sua immagine.

Oltre alla copia di Ulisse, il Medaglione ha emulato alcuni altri duplicati.
La memoria di ognuno di essi è messa in comune con quella di tutti gli altri, ma è aggiornata solo fino al loro ultimo accesso. Mi spiego: l’ultima volta che Varsos ha aperto il Medaglione, è stata quella notte di venti anni fa, pertanto io sono a conoscenza delle azioni di Varsos fino a quel momento ma non so cosa abbia fatto in questi ultimi 20 anni.
Tuttavia, nel momento in cui tu mi hai invocato, il Medaglione ha contemplato tutti i tuoi ricordi e progressi e me ne ha messo al corrente.

 Anche in questo preciso momento il Medaglione sta creando una tua copia spiccicata, cosicché anch’essa potrà essere invocata in futuro.
Penserà e parlerà come te, anche dopo che tu sarai morto.”

 Klearcos era allibito da quella rivelazione.
“Varsos… Hai copiato anche la sua immagine…”

 Ulisse sorrise. I suoi capelli incominciarono a farsi più scuri, la barba sparì, gli occhi diventarono color cielo, i suoi lineamenti mutarono del tutto.
Ulisse aveva preso la forma di un Varsos più giovane di vent’anni.

 “Ragazzo…Sei cresciuto parecchio”
“Non posso credere ai miei occhi…Vecchio!”

 “Vecchio? Già.  E’ con questo irriverente appellativo che ti riferivi a me. Ora ricordo. Ma adesso siamo coetanei o sbaglio? Sono vent’anni che non ti vedo, e tu hai ora i miei stessi anni.”

 Klearcos incominciò a intuire il funzionamento di quel formidabile oggetto che gli aveva permesso di rivedere suo padre. Il Varsos che aveva di fronte non sapeva nulla di ciò che aveva fatto e vissuto direttamente nei suoi ultimi vent’anni di vita.

 “Varsos, sai già cosa è appena accaduto qui?”Chiese Klearcos con tono grave.
“Non c’è bisogno che mi spieghi nulla, Klearcos. Nel momento in cui mi hai invocato, ho contemplato tutta la tua vita come se l’avessi vissuta con i miei occhi.
Dunque Ares non ha tenuto fede alla sua parola…
Ho tradito tutti e ho perso tutto. Che fallimento sono stato!”

 Diverse lacrime solcarono il viso del giovane Varsos. Si coprì il volto con una mano e s’accasciò a terra, rosso in viso battendo i pugni sul terreno.
Chiaramente la sua reazione era relativa a un ventottenne impetuoso e pieno di ardore, che con grande amarezza aveva barattato le vite dei propri cari, sperando di salvarne altri. Ma il mondo gli cadde addosso quando vide che la sua scelta aveva portato con sé solo altro sangue.

Il Varsos anziano, quello reale che Klearcos aveva seppellito, aveva già speso da tempo tutte le sue lacrime.

 Klearcos si avvicinò, sfiorandogli la spalla incorporea.

“Onorerò i tuoi sacrifici, maestro. Sono quello che sono grazie e te, e grazie a te estinguerò questo male che attanaglia gli uomini!”
Varsos alzò la testa ammiccando un finto sorriso.

Ti chiedo scusa per tutto Klearcos. Ti sarei stato più utile da vivo che da morto.
Ma, avendo perso tutto, il mio unico volere è stato quello di perire assieme a coloro che amavo di più e onorare la promessa che ti avevo fatto…”

 "Noi saremo dei vendicatori. Metteremo a tacere i nostri demoni. Nessun uomo può vivere con un odio tanto grande accumulato dentro di sé...Klearcos, io ti giuro che avrai la tua vendetta.”  (cap 13, Parte 1)

 “Volevo darti la vendetta che io non ho mai avuto.
Tuttavia non abbiamo ancora messo a tacere i nostri demoni…” Aggiunse rialzandosi.

 “Varsos, hai visto nei miei occhi anche lo scontro con Ermes?”
“Ho visto il Messaggero sanguinare, sì. Poi ha usato il suo vero potere e tu sei svenuto. E’ incredibile che tu sia sopravvissuto.
Aver visto uno di quei maledetti cani alieni stramazzare nel fango come un comune essere umano, mi riempie di gioia.”

 “Soter mi ha detto che Ermes è stato ucciso da Artemide…Che cosa significa?”

“Ne so quanto te, Klearcos. Non so cosa abbia in mente la dea dei boschi e per quale motivo abbia ucciso uno dei suoi stessi consanguinei.”

“Dunque, ci sono ancora molti fatti di cui sia io che voi siamo all’oscuro.”

 “Esattamente. Abbiamo combattuto a lungo per ottenere questo spiraglio di Verità, Klearcos. Ma ci sono cose di cui né io né nessuno degli ologrammi del Medaglione sapremmo dirti niente. Dovrai utilizzare i mezzi a tua disposizione per scoprire molti dei loro segreti e andare avanti da solo. Puoi invocarci tutte le volte che desideri per parlare con noi.
Ti aiuteremo.
Questa volta non sarai solo.”

Klearcos ebbe un capogiro. Si strofinò gli occhi.

“Assurdo! Tutto quello che mi sta accadendo è assurdo. Mi sembra un sogno…”
“A volte la realtà è più incredibile dei nostri stessi sogni.”

A parlare fu una voce femminile.  Klearcos alzò gli occhi e al posto di Varsos vide una donna. La sua bellezza indomabile incarnava tenacia e la risolutezza che la caratterizzavano. Davanti a sé aveva Penelope.

“Madre”
“I nostri sacrifici hanno avuto dei grandi esiti. Vedo in te un guerriero addirittura più grande di ciò che fu tuo padre e i guerrieri che lo precedettero. Sei cresciuto, figlio mio”

La donna baciò il figlio sulla fronte e tutto ciò che Klearcos riuscì ad avvertire fu una lieve brezza e un brivido percorrergli la schiena.

“A lungo abbiamo atteso tessendo il telo della nostra strategia. Adesso, figlio mio, farai la mossa che per tanto tempo abbiamo rimandato. Il nostro mondo ne ha bisogno e noi Ologrammi ti guideremo.”

“Quanti Ologrammi possiede il Medaglione?”
“Siamo in quattro per adesso.”
“Quattro? Mio padre, Varsos, te e…Chi è l’ultimo?”

“Il quarto Ologramma è colui che conosci col nome di Sideris, Il Falcone Nero.
Ma non può essere invocato dal Medaglione poiché così lui ha stabilito.”

 “Cosa vuol dire?…Sono io che controllo questo Artefatto.”

 “E’ vero, ma Sideris conosce cose che noi ancora ignoriamo.
Sideris, che si spacciava per il secondo di tuo padre era in realtà colui che ci guidava.  E’ colui che ha fornito a tuo padre questo Medaglione e ci ha rivelato la Verità che ora anche tu conosci.”

 “Madre, chi si cela veramente dietro quell’uomo.”

 
“Non un uomo… “
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Nella lontana Arcadia un insediamento umano stava bruciando.
Ombre nere schizzavano via assieme alla notte stessa.
Una mostruosa aberrazione di fibre e muscoli stava devastando con i suoi innumerevoli tentacoli tutto ciò che non era stato divorato dalle fiamme.

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“La civiltà aliena che stiamo combattendo ha raggiunto un grado di tecnologia tale da poter produrre esseri viventi.”

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Un uomo con la testa sfondata e all’apparenza morto si rialzò da una pozza del suo stesso sangue. Il volto tumefatto era indistinguibile.

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“…Sideris è uno di questi.
Ha voltato le spalle alla specie aliena che un tempo serviva. E’ fuggito celandosi come solo lui poteva e ha organizzato le nostre forze istruendo tuo padre e alcuni altri.”

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La faccia di quell’uomo incominciò a rigenerarsi, così come ogni sua sanguinante lacerazione. Gli occhi e il naso devastati dalla colluttazione ripresero forma. Generò un nuovo volto: neutro, inespressivo, privo di sopracciglia e capelli, gli occhi albini.
L’uomo si voltò verso il mostro chiamato Phobos che indistintamente distruggeva e divorava tutta l’area.

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“Sideris è una macchina”
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Le sue braccia presero la forma di oblunghi bastoni cavi, il loro colore prese un aspetto metallico.
L’uomo fissò un altro istante quell’orrendo essere che gli si stagliava innanzi.
Poi dai suoi arti proruppero delle fiamme che investirono la creatura.
Il mostro guaiva stridulamente mentre l’intensità di quelle fiamme gli facevano perdere pezzi.
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“Presto lui ti chiamerà a combattere.”

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Capitolo 15
*** Nella bocca del mostro (p1) ***


Soter aveva perso la sua Ragione.
Colei per cui aveva combattuto alacremente per la propria intera esistenza era stata infine rapita.  Il Falcone Nero era morto e ben presto lo sarebbe stato anche lui.

Si trovava nei disgustosi e putrescenti meandri dell’organismo di un mostro.
Era stato fagocitato da una creatura fuori dal mondo. I movimenti peristalsici lo facevano scivolare in un’oscurità sempre più profonda. I succhi gastrici lo avrebbero consumato come il più misero brandello di carne.
Gli mancava l’aria, e sapeva che di lì a poco tutto sarebbe finito perciò lasciò che il tempo facesse il suo corso abbandonando la propria mente al delirio.

 

Quando era stato?

Quand’era il momento esatto in cui Soter si accorse che ogni singola pagina della propria esistenza era stata stilata dal calamo di un’entità trascendentale dotata di un infinito potere, superiore a quello di qualsiasi Olimpico?

Nel Peloponneso, dove era nato, era legittimo abbandonare o uccidere i propri figli nel caso in cui la famiglia fosse povera o il bambino fosse malato o deforme, frutto di una relazione indesiderata o addirittura per semplice voluttà. 
Soter non seppe mai la ragione per la quale era stato ceduto alle maligne intemperie del Taigeto, la catena di monti che domina Sparta.
Aveva importanza?

 Ciò che contava fu l’imprevedibile provvedimento del destino di far sì che una carovana di peloponnesiaci marciasse di ritorno dalle Olimpiadi, proprio per quei sentieri, nel momento in cui il bimbo disperato vagiva con la massima lena.

 Le cupe voragini alle pendici del Taigeto erano chiamate… “depositi”. Perché tra le tenebrose profondità di quei gorghi erano depositate le spoglie cadaveriche di coloro che non avevano superato la prova della vita.

Soter invece era stato semplicemente abbandonato al gelo, sottoposto all’agoge prima del tempo. 

A tenera età non avrebbe mai superato quella sfida se delle mani femminili non lo avessero raccolto dal fango strappandolo da morte certa.

 Cosa stai facendo Iphis?” chiese un oplita che si era staccato dalla carovana per raggiungere la donna.
Iphis era una ragazza esile con capelli scuri e corti, come si confaceva alle necessità delle donne spartane e peloponnesiache. Il suo volto era scarno e stravolto. I solchi sul viso denotavano più inverni di quanti invece dimostrassero il suo corpo.
Abbracciò il bimbo abbandonato.

 L’oplita vide la ragazza abbracciare quel gracile esserino, sorpreso nell’osservare che fosse ancora vivo.  
Iphis, lascia stare. E’ di cattivo auspicio raccogliere un figlio di nessuno.” Le afferrò un polso, ma la donna incominciò a urlare assieme al bambino e stringerlo ancora più forte.  

“Questo scarto non ci ridarà nostro figlio, Iphis. Devi fartene una ragione.”

 Gli occhi della donna bagnarono di lacrime il viso del bimbo e il proprio, ma la sua stretta rimase salda e non si mosse da dov’era.
Le condizioni di Iphis commossero il soldato greco. La perdita del loro figlio, pochi istanti dopo il parto l’aveva sconvolta al punto da farle perdere la sanità mentale. Ora era più che comprensibile che vedesse quel trovatello morituro come un’anima da proteggere.

“E va bene…Prendilo. Ma ora torniamo alla carovana.”

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I ricordi di Soter vorticavano velocissimamente, e in men che non si dica si ritrovò a poco più di 5 inverni a stringere la mano della madre tra le sue.
Iphis fu una delle innumerevoli vittime colpite da un’epidemia di peste che imperversò sulla città di Kolkos e su tutta la regione per alcuni mesi.

Con gli occhi fissi su quelli di lui, la donna esalò il suo ultimo respiro.

 “E’ incredibile che il bambino sia sopravvissuto. Quasi tutti i suoi coetanei sono morti.”
“Deve essere stato benedetto dalle divinità”

Benedetto…

 Le fulminee reminiscenze dell’Innominato lo catapultarono a diversi inverni di distanza, tra le grigie mura di un abitazione nella città alta.

 “Dovevi morire tu quella volta!”  
Urlava il padre adottivo ubriaco sguainando la sua spada.

Soter si scansò velocemente evitando un fendente che infranse un vaso e tranciò di netto alcuni lumini. Una lampada ad olio cascò a terra e incominciò ad ardere.
“Lo sapevo che avresti portato solo sventure!” La lama tentò nuovamente di lambire il ragazzo il quale per evitarla perse l’equilibrio stramazzando al suolo.  L’arma colpì una botte alle sue spalle dalla cui spaccatura fuoriuscì il liquido di cui era ricolmo: olio.

Goffamente l’uomo utilizzò un piede come leva per liberare la sua arma dal legno di cui era composto il barile ma nel farlo lo rovesciò a terra facendolo rotolare sul fuoco.
Soter se ne accorse e allontanandosi più che poteva gridò verso il genitore: 

Levati di lì! Sta per scoppiare tutto! Mettiti in salvo!”
Ma in quegli onnubilati ricordi le parole, per quanto si sforzasse a gridarle, uscivano  fuori come vaghi sussurri.  

 “Chiuderò qui il sipario della tua miserabile esistenza!”
“Corri fuori di lì!
” urlò Soter mentre le fiamme incominciavano a divorare la superficie della botte d’olio, ma ancora una volta le parole non arrivavano al genitore.

Infine il fuoco, alimentato dal combustibile, s’ingigantì paurosamente nell’arco di pochi istanti. Le vampe incandescenti inghiottirono l’uomo e poi l’intera abitazione.

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Parentesi anacronistiche 1:

Domini

La maggior parte degli dei hanno stabilito basi segrete e laboratori su tutta la Grecia. La gente comune crede che quelle regioni siano luoghi esoterici e invalicabili. I mostri che si trovano nelle aree il più delle volte sorvegliano gli ingressi per intimidire chiunque pensi di accedervi.

 Gli dei amano circondarsi di umani straordinari nel proprio settore, gli esemplari più meritevoli dell’umanità (araldi) i quali lavorano come dipendenti nei loro domini.
Ares si circonda dei migliori assassini, Efesto dei migliori fabbri, Apollo dei migliori artisti, Artemide dei migliori cacciatori e così via…
Gli Araldi sono forniti di mezzi tecnologicamente avanzati che moltiplicano le abilità individuali rendendoli dei veri e propri semidei.

 Non è detto che gli Araldi siano in possesso delle informazioni riguardanti questo sistema. A discrezione della divinità che governa il dominio hanno accesso a più o meno informazioni di altri. Le divinità più accondiscendenti permettono ai loro sottoposti di avere accesso a un frammento di verità.

 Gli Araldi che per caso o premeditatamente giungono alle soglie del dominio di una divinità differente dalla propria, sono risparmiati dalle sentinelle e portati al cospetto del dio davanti al quale dovranno giustificare la propria presenza.

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Capitolo 16
*** Nella bocca del mostro (p2) ***


Soter sentiva caldo.  Le fiamme avevano raggiunto anche lui.

Riaprì gli occhi e si ritrovò in un’oscurità ancora più profonda di quella della precedente allucinazione.  Il calore si rivelò essere reale. La temperatura era aumentata. Che fossero gli acidi digestivi del mostro?
Lo spazio era così ristretto da non consentirgli neppure di stendere un braccio per tutta la propria lunghezza.

L’aria continuava a mancare ma questa volta il dolore che gli stava procurando la torrida caldana lo spronò ad agognare la sopravvivenza.
In piena agitazione, con le mani tremanti cercava una via di fuga tra quella massa fibrosa di carne e muscoli facendosi strada tra i viscosi orifizi.

 I nauseabondi fluidi inondarono l’Innominato dalla testa ai piedi al fine di lubrificare il suo passaggio attraverso la camera organica nella quale sarebbe stato digerito.

L’uomo sprofondò ulteriormente. Il calore lo fece urlare di dolore. Cominciò a dimenarsi energicamente mettendo a raccolta tutte le proprie forze.
Improvvisamente nella disperata ricerca tentoni di una via di uscita tastò qualcosa di diverso. Era metallico.

 Con la mano ci ritornò sopra e questa volta l’afferrò. Qualunque cosa fosse, nella logica della disperazione, l’avrebbe accolta come un appiglio per la salvezza.

E il metallo ricambiò la stretta. Quell’ignoto materiale gli aveva letteralmente afferrato la mano aderendo con la sua superficie fibrosa su ogni singolo dito.

Prima che Soter potesse sorprendersi e ritrarre la mano, la superficie di metallo, come un inverecondo serpente, strisciò su tutto il suo avambraccio. 
L’Innominato cercò di divincolarsi spaventato. Che quell’essere fosse un nuovo orrore, ospite della creatura più grande? Si chiese sgomento.

La lega vivente continuava a ricoprire il suo corpo senza che l’Innominato potesse nulla per impedirglielo.  Nel giro di pochi secondi si era estesa su tutto il torace, poi gli rivestì le gambe, l’altro braccio e infine si cosparse anche sul volto.
Il suo urlo di terrore assunse una tonalità anch’essa metallica. Innaturale.

 

Phobos non era più nemmeno umano. L’antico re di un remoto passato divenuto Innominato aveva assaltato l’accampamento dei falchi lasciando tutti di sorpresa.
E se prima la prospettiva di poter placare la sua distruzione era annichilita dalla sua abilità e dai mezzi di cui disponeva, in seguito la sua trasformazione aveva fatto perdere agli uomini ogni speranza.

Ma adesso la speranza umana divampava manifestandosi sotto forma di fiamme incandescenti. Sideris s’era rialzato dalla morte e come un onnipotente stregone aveva plasmato a proprio piacimento la realtà stessa del proprio corpo.

Le sue braccia erano divenute bastoni cavi dai quali erompevano lingue di fuoco incandescenti che si alzavano fino a sei metri investendo l’orrenda creatura.

 Non riesco a credere ai miei occhi! E’ una battaglia tra mostri” commentò Pilade, al sicuro su una colle scosceso.
“Quello lì è Sideris, Pilade. L’ho visto rialzarsi. Non è umano, è uno di loro” osservò Oreste che gli era seduto accanto.”

 L’immane mostruosità perdeva grandi masse organiche le quali colavano sul terreno come cera sciolta. Strideva in modo acuto e penetrante a ogni colata. Era un mostro ma il dolore poteva percepirlo come chiunque altro, questo era certo.

Lentamente incominciò a sentire anche la paura.

Non potendo avanzare verso Sideris, l’essere arretrò sopraffatto dal dolore. Ma i suoi movimenti erano goffi e impacciati. Se fosse stata una creatura mortale sarebbe morta per le ferite già da diverso tempo, invece continuava a soffrire intensissimamente agognando la morte. Quello era il fio per aver abbandonato la propria umanità: un dolore lancinante e prolungato.

Anziché ferirsi come qualsiasi altro essere, la creatura soffriva nel ridurre le proprie dimensioni passando dai sette ai quattro metri di altezza.

Non aveva arti, occhi od organi interni ma solo una massa bulbosa che sostituiva di continuo i pezzi mutilati finché aveva il materiale sufficiente per farlo.

Sideris non demorse, innaffiando il demone con le fiamme dell’abisso nel quale sarebbe dovuto sprofondare per sempre. La creatura rimpicciolì pateticamente fino a diventare una densissima macchia di sangue sul terreno.

Al suo centro era steso a terra un uomo in posizione fetale. Era rivestito di una minacciosa quanto tenebrosa armatura nera. L’uomo si alzò in piedi e Sideris riconobbe la corazza di Phobos che indossava prima della trasformazione. Si mise in guardia.

L’elmo avvolgente dell’uomo si aprì mettendo in luce il suo viso. Era Soter.

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Parentesi anacronistiche 2:

Armamentario 1

 Alcune divinità danno agli Araldi libero accesso ai loro depositi d’armi fornendo loro oggetti più o meno forti a seconda della situazione. Chiaramente non possono rischiare di fornire all’Araldo armi troppo potenti. Così secondo la situazione hanno accesso a determinati oggetti che possono scegliere.

Le balestre singole o a ripetizione sono tra le armi standard assieme alle armi bianche composte di leghe metalliche più avanzate rispetto al normale.

 
All’ultimo livello di concessione l’Araldo ha diritto a un’arma tecnologicamente avanzata. Possono essere spade (come nel caso di Soter e Klearcos), fruste (Varsos), mazze (Deimos) o armature complete (Phobos). Sono armi apparentemente normali ma dotate di un sistema di sicurezza biometrico in grado di riconoscere il dna delle cellule di una o più persone prestabilite. Se i risultati dei test biometrici corrispondono, chi le brandisce è in grado di attivare le funzionalità tecnologiche dell’arma.

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Capitolo 17
*** Gli ultimi baluardi (p1) ***


Entrambi i guerrieri rimasero reciprocamente meravigliati nell’osservare le condizioni in cui si trovavano. L’inespressività di Sideris tuttavia non lasciava trasparire nulla.

Soter era corazzato dalla testa ai piedi con un’armatura nera lucida che lo aveva riparato dai getti di fiamme incandescenti scaturiti da Sideris.

Il Falcone aveva un volto privo di qualsiasi tratto distintivo, come il disegno stilizzato di un bambino. La sua fisionomia era umanoide in tutto tranne che dalla parte superiore degli avambracci, i quali assumevano la forma di oblunghi bastoni concavi da cui adesso fuoriusciva del fumo.

Le anomale protuberanze incominciarono a mutare rimodellandosi nella forma umana originaria. Dopodiché l’uomo si chinò per raccattare ciò che restava del proprio elmo. Era frantumato in una miriade di pezzi. Tastò per alcuni istanti quello più grande e improvvisamente il metallo di cui esso era composto incominciò a plasmarsi assumendo la composizione della cera. Gli altri frammenti furono attratti ad esso come fosse il loro centro gravitazionale. L’elmo tornò ad assumere la forma di partenza e infine si solidificò.  Se lo infilò sul capo.

 Soter e tutti i presenti rimasero senza fiato. Per la seconda volta l’enigmatico Falcone aveva dato prova di possedere poteri al di là di ogni comprensione.

Su cento soldati che popolavano l’accampamento prima dell’attacco, ne erano rimasti meno di dieci e lo stavano attorniando a grande distanza. Tutti lo avevano visto.
Oreste e Pilade tenevano il Falcone Nero sotto tiro con i propri archi.

I luogotenenti Almo e Cercione, che avevano ripreso i sensi perduti dopo aver provato a mettersi tra l’Urlo e il proprio obiettivo, erano stati silenziosi spettatori di tutta la scena.

Stralunati si convogliarono anche loro verso Sideris.  A seguire pochi altri guerrieri. C’era anche l’immane orso di quattro metri Orico. La bestia aveva avuto abbastanza raziocinio da infilarsi al collo le catene del Vaso dove era custodito il cadavere di Ermes per portarlo lontano da quel luogo.

 Immagino che abbiate tutti diverse domande” disse Sideris.

 Si diresse verso una zona rialzata, abbastanza vicina all’accampamento da tenerlo sotto controllo e abbastanza vicina ad una selva per rifugiarvisi nel caso in cui i servi di Ares fossero tornati.  Si sedette.
Gli uomini gli si avvicinarono con le armi sguainate.

 “Abbassate le vostre spade” Comandò Almo. “Non so quale sia la sua reale natura  ma converrete tutti con me che ha combattuto valorosamente dalla nostra parte, e ci ha salvato da quel mostro.”
“Sono d’accordo.”  Commentò Soter, e da sotto la visiera dell’elmo, con i suoi ferini occhi verdi, scrutò uno ad uno i sopravvissuti dello scontro.

Almo, Cercione, Aristomene, Oreste e Pilade erano tutti luogotenenti e tra i più forti guerrieri della schiera rivoluzionaria.  Gli altri tre, così come Doro, Suto e Ione, erano poco più che briganti che si unirono alla rivoluzione come pretesto per accumulare ricchezze.
Acconsentirono tutti tacitamente calando le proprie armi.

 Sideris prese parola.
“Sarò sincero. La situazione è critica. Le probabilità di salvezza sono sotto l’uno per cento. Ma saranno ancora inferiori se non collaboreremo.”

C’era qualcosa di più in lui. Non sembrava essere nemmeno più quello di prima. Tuttavia dalle sue parole lasciò trasparire una tonalità di rammarico e dispiacere come prova di non aver perso la propria empatia verso il mondo.
I soldati rimasero in silenzio a guardarlo.

 “Avrei preferito evitarlo, ma immagino che solo la cruda verità possa convincervi a fidarvi di me… Sono un essere creato da coloro che voi chiamate divinità dell’Olimpo.  Sono qui per salvare tutti gli uomini e le donne dalle distruzioni che essi causeranno.”

 Sideris pesò più che poté le proprie parole esponendo solo il necessario e cercando di rendere la storia più verosimile possibile a quelle genti rispetto a lui primitive.

 “Se è come affermi per quale motivo non ti sei costituito a Zeus? Avresti potuto sacrificarti e salvare tutti noi da questo genocidio.”  Commentò stizzito Oreste.

 “Se la mia vita avesse fatto la differenza, non avrei esitato a scambiarla per la vostra salvezza.  Ma se avessero preso me, il vostro destino sarebbe stato segnato. Attraverso me avrebbero potuto recuperare Pandora molto prima di ora.”

Per quale ragione quella Pandora è più importante di qualsiasi altra cosa?” Chiese Pilade.

 Gli Olimpici sono venuti qui alla ricerca di un potere sconfinato.  Un’energia così grandiosa da far annichilire persino loro. Questo potere è assopito e celato nel corso della storia in taluni individui. Prima di Pandora ci furono altri CONTENITORI di questo potere che Zeus rapì in successione.
Ci fu Elena di Troia prima di lei, per la quale scoppiò la grande guerra.
Ci fu Elettra di Micene quello stesso periodo, e molte decadi fa ci fu Egina, la donna da cui prese il nome l’isola che è stata distrutta da Zeus poco fa. Per innumerevoli secoli gli dei dell’Olimpo ne rapirono a decine.
Pandora, è l’ultima della serie.”

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Parentesi anacronistiche 3:

Armamentario 2

Le spade tecnologicamente avanzate sono di base delle lame d’acciaio, quindi di fattura e materiali molto superiori a quelle comuni che sono di bronzo o di ferro.
Una reazione emotiva oppure un momento di grande concentrazione dell’utilizzatore genera un forte segnale elettrico che si irradia per tutto il corpo.

 L’elsa della spada, che è ricoperta di neuroricevitori in grado di rispondere automaticamente a questi segnali elettrici amplificandoli e generando lungo tutta la lama un fascio al plasma riscaldato (un gas ad altissime temperature), costituito da particelle cariche di energia e confinato da un campo di forza proiettato dall’impugnatura.

Il gas viene rilasciato da minuscoli fori posti regolarmente per tutta la spada in modo da dargli la forma giusta.

 Simula un livello di durezza pari a 6 nella scala di mohs, pertanto in grado di scalfire qualsiasi ferro e persino il marmo, e non può essere danneggiata da altre armi d’acciaio.

 Il contatto della spada su un materiale simula il lavoro di una sega circolare quando messa in funzione, e il risultato è la capacità di tranciare materiali col minimo sforzo.
Per esempio la lama di Klearcos può tagliare una colonna di marmo anche se con estrema difficoltà.

 L’arma è stata opportunamente calibrata per non essere eccessivamente letale, cioè in grado di rappresentare un pericolo per le divinità stesse. Infatti sulla base di questa tecnologia sarebbe possibile progettare una spade molto più potenti, in grado di frantumare e tagliare con terrificante facilità qualsiasi materiale esistente in natura.

 Dal momento che l’efficienza energetica del laser è risibile (3%), generare un plasma di una certa intensità avrebbe richiesto un quantitativo di energia spropositato. Per questo motivo la spada non possiede un generatore né un interruttore ma è invece  alimentata dal sistema nervoso umano stesso che fa le veci di entrambi.
Le reazioni emotive sono in grado di generare un quantitativo di energia enorme che il marchingegno è in grado di sfruttare a suo vantaggio e di amplificarlo abbastanza da generare il plasma della potenza prestabilita.

 Staccare le mani dall’elsa oppure affievolire la presa sono sufficienti per comandare alla spada di interrompere il flusso di energia e quindi tornare a livello standard.

 Le armi quando attivate assumono un colore paragonabile all’indole dell’utilizzatore.

Klearcos: rosso
Soter: viola
Phobos: verde
Deimos: nero

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N.A

(Non ho fatto grandi ricerche sulla tecnologia descritta. Ovviamente si tratta di una mia speculazione basata su alcune fonti scientifiche reali. Se qualcuno trova qualcosa di estremamente illogico o incoerente me lo segnali, e cercherò di adattarlo meglio alle esigenze della storia.)

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Capitolo 18
*** Gli ultimi baluardi (p2) ***


Oreste rimase di stucco. Il suo volto olivastro impallidì.
I battiti del suo cuore fermarono per un attimo.

“Hai detto…Elettra di Micene? Stai mentendo.”
“Non ne avrei motivo.”
“Stai mentendo!!” 

Gli occhi di Oreste si riempirono di furore. Sguainò la spada e caricò il Falcone Nero.
Se fosse mai stato in grado di procurare danno a Sideris, non lo avrebbe mai potuto sapere poiché Pilade, Almo e Cercione si frapposero.
Cercione lo immobilizzò da dietro. Pilade e Almo gli bloccarono le braccia.

 “Accidenti cugino, calmati, ti prego! Non è il momento.  Se non manteniamo la calma avremmo perso in partenza, lo capisci questo?”
Pilade ora teneva stretto il suo volto tra le mani.
Oreste si accasciò seduto a terra. Piangeva.

“Elettra…Mi faceva avere sue notizie ogni mese, per anni… Poi smise di farlo all’improvviso. Non avrei mai creduto…Speravo…”
Ci furono attimi di silenzio. Poi si riprese.

“Che fine fanno coloro che contengono questo potere?”
“credo che i CONTENITORI periscano all’estrazione”

Oreste non disse più nulla.
Soter strinse i pugni.

“Se le cose stanno così, devo partire adesso! Non permetterò che Pandora…”
“Se partissi ora, non otterresti nulla. Troverai solo morte. Occorrono diversi giorni agli Olimpici per assorbire tutto quel potere. Devono applicare delle procedure lunghe. Abbiamo ancora tempo prima della morte dell’ospite. Abbiamo alcuni giorni.”

“Ogni secondo è importante” Ribatté Soter.

“E dove andresti? Vorresti recarti da solo sulla cima dell’Olimpo? Non faresti neppure in tempo ad avvicinarti prima di essere ridotto a un cumulo di cenere.
Tutto ciò che ci rimane, siamo noi stessi, lo capisci? Il mondo intero è alla nostra ricerca. Se qualche guardia cittadina, attratta dalle nostre luci, vedesse dei peregrini muoversi di notte s’insospettirebbe immediatamente. Ci darebbero la caccia e questa è l’ultima cosa che vogliamo.
Capite da voi che la situazione è critica. Non possiamo permetterci di scontrarci tra noi. Dobbiamo superare i nostri attriti per la salvezza. L’unico modo è raccogliere i vessilli di tutti gli eserciti.”

“Ma come possiamo noi pochi guerrieri in una tale impresa?...” chiese Aristomene e continuò  “…Ogni città è divisa tra rivoluzionari e fedelissimi delle divinità.”

 Ho un piano per riunire un’armata. Ma ho bisogno del vostro aiuto. Partirete domani, alle prime luci dell’alba.”

Dopo che Sideris ebbe illustrato le fasi della sua strategia, i superstiti allestirono esigui vettovagliamenti in quella zona. Erano abbastanza modesti da permetter loro di riprenderseli e ritirarsi velocemente in caso di avvistamento nemico.  Non prepararono neppure un braciere per combattere il freddo notturno.
L’orso Orico era scomparso tra le tenebre della foresta a caccia di selvaggina.

 Nessuno riuscì a trovare la serenità necessaria per assopirsi. Oreste si era isolato su un punto rialzato a contemplare l’infinità dell’orizzonte. Pilade e Aristomene stavano con i briganti Acheo, Ischi ed Elleno a ripeter loro le azioni del giorno che avrebbe seguito.  Almo e Cercione provarono a prendere sonno sulle proprie brande, ma senza alcun risultato.

 Sideris era rimasto a gambe e braccia conserte, come fosse in meditazione.
“Pensavo che quelli come te non avessero bisogno di dormire.” osservò Soter.

“Sto recuperando le energie. Ma non è da intendersi come la concezione di sonno che hanno gli umani, anche se il fine è lo stesso.” Rispose Sideris senza aprire gli occhi.

“Ho una domanda da farti. Quanto tempo fa sei stato creato dagli dei?”

“Il tempo è un concetto relativo, ma per come vuoi intenderlo…Le mie origini risalgono a prima della vostra storia”
Capisco. Dunque hai vissuto abbastanza da vedere rapiti e uccisi tutti i ‘contenitori’ prima di Pandora, giusto?” Chiese Soter curioso e provocatorio.
“E’ esatto.”

“E cosa hai fatto per impedirlo? Forse dormivi anche allora.” 

Se vuoi colpirmi con le tue parole, sappi che sprechi il tuo fiato. E’ una lunga storia. Troppo lunga perché sia narrata e recepita in una sola notte, e non abbiamo tempo. Ti basti solo sapere che perseguo questa missione dai tempi di Elena di Troia. Sia lei che Elettra di Micene furono rapite per quanti sforzi potessimo fare.”

 “Se avevi la capacità di trasformarti e compiere ciò che ti ho visto fare, per quale motivo non lo hai fatto prima per difendere Pandora?”
Sideris rimase in silenzio per qualche istante. Guardò con intensità il palmo della propria mano.
“Prima non sapevo, ma ora ricordo.”
“Di cosa stai parlando?”
“Non avevo questa capacità prima che Deimos mi colpisse in testa distruggendo parte del mio cranio. Quel colpo deve aver annientato un…Limite che le divinità avevano imposto su di me prima che fuggissi dal loro dominio. Le mie reali capacità rimasero sopite per decadi... Prima di oggi.
Quando ogni speranza sembrava essere perduta, ecco che la sorte ricominciò a scorrere dalla nostra parte.”

Sideris fissò il suo interlocutore, poi lo sguardo cadde sull’armatura.

 “Le probabilità che Deimos distruggesse quel limite, senza intaccare le zone vitali del mio cervello erano infime. Le probabilità che tu sopravvivessi una volta ingoiato dal mostro erano altrettanto basse. Tutto ciò è accaduto affinché ti salvassi la vita.”

 Soter constatò la verità nelle sue parole. Il demone che faceva di lui il guerriero maledetto lo aveva salvato da morte certa riuscendo, questa volta più delle altre, ad annichilire un’altissima probabilità di morte.

 “Ragazzo tutte le volte che ci sei di mezzo tu le leggi della statistica vengono meno. Ho osservato il tuo scontro con Phobos prima che si trasformasse.  Anche allora ti salvasti dalla morte con l’ausilio del caso.
Credo ci sia qualcosa in te…Un’ombra gigantesca che neppure io riesco a sondare. Qualcosa di così sconosciuto e nascosto che persino gli Olimpici hanno ignorato.  Ma il mio è solo un vago presentimento derivato da ciò che non riesco a comprendere.”

 “Eppure non mi ha aiutato a salvare Pandora.”

“Se davvero questa cosa possiede una coscienza…Credo voglia unicamente che tu resti in vita, nient’altro.”

 La testa di Soter pulsava forte. Aveva combattuto intensamente quel giorno e i diversi chock che aveva subito lo avevano stremato.
“Sono stanco. Vado a riposare.”
Si diresse verso la propria brandina. Aveva intenzione di levarsi l’armatura ma la stanchezza tradì le proprie aspettative e crollando su di essa fu colto dall’abbraccio di Morfeo.

 

Uno strattone alla spalla lo fece ridestare. Con uno scatto felino si rivoltò puntando la spada alla gola di colui che aveva avuto l’ardore di scuoterlo in modo così brusco.

 “C-Calmati”  disse Acheo, il giovane che lo aveva svegliato. 

“Dobbiamo nasconderci! gli Innominati sono tornati!”
“Che cosa?!”

Si guardò intorno. Era ancora buio, ma gli altri erano tutti svegli e velocemente stavano riprendendo il proprio equipaggiamento per correre nella zona boschiva vicina. La sua attenzione ricadde verso l’orizzonte, in contemplazione di qualcosa che sarebbe arrivata presto. 
Dove?” Si rivolse al ragazzo.
“Lassù” 

Indicò un punto nero molto distante, tra le nubi, che andava contro vento. Vista la distanza e le spropositate dimensioni della figura non poteva di certo essere un uccello normale. Si chiese come avessero fatto a notare un particolare così piccolo nell’immensità della volta stellata in un’ora così tarda, poi ripensò alle nuove straordinarie capacità di Sideris.
Velocemente, prese la sua roba e segui il gruppo verso la foresta.

 Gli uomini erano appostati dietro dei robusti tronchi d’albero a controllare la situazione.
L’aria pareva tranquilla fin quando non si udirono dei forti stridii di rapace,
gli stessi emessi dagli ippogrifi nel precedente attacco. Gli urli animaleschi facevano sussultare gli animi. Ischi sobbalzò e Cercione gli pose una nerboruta quanto salda mano sulla schiena per calmare i suoi tremori.

Affacciandosi videro che l’essere volava basso come se fosse alla ricerca di qualcuno.  Ma l’intero accampamento era stato abbandonato e gli unici superstiti si nascondevano ora nella foresta. Come pensavano, la creatura era un ippogrifo.
Tutti i rivoluzionari nascosti trattennero il fiato. Soter strinse l’elsa della propria spada.

 “C’È QUALCUNO!?” gridò il misterioso cavaliere in groppa alla creatura.
Gli astanti nascosti rimasero in silenzio.
“Se c’è qualcuno mi risponda. Sono uno dei vostri. Ho delle notizie.” continuava a gridare.

 La voce effettivamente non era nessuna di quelle degli Innominati conosciuti da Soter e Sideris, ma ciò non avrebbe certo implicato nulla. Poteva essere un inganno per farli uscire allo scoperto.

Non sapendo come reagire i falchi guardarono tutti il Falcone, in attesa di un comando. L’uomo si affacciò quel che bastava per inquadrare il cavaliere volante. Dopo alcuni istanti uscì allo scoperto.

“Cosa fai? È rischioso!” protestò Soter. 
“È disarmato.” Rispose Sideris.  “Vestito solo di pelli e stoffa. Non ha nulla con cui minacciarci se non la bestia stessa. Non abbiamo motivo di preoccupazione.”

Come poteva averlo notato da quella distanza? Si chiese Soter. Poi si rispose da solo.
Il Falcone trascendeva ogni normale capacità umana e anche la sua vista era sovrannaturale.
Uno ad uno i soldati seguirono il loro capo, e infine anche Soter uscì dal nascondiglio.
Il cavaliere volante che li aveva individuati dopo un paio di larghe manovre atterrò sul punto più alto della zona rialzata attigua all’accampamento.

 La creatura , maestosa e imponente, dall’alto dei suoi cinque metri dominava l’intera vallata con lo sguardo.  Era uno stallone bianco di forme e proporzioni grandiose. Se anche avesse avuto delle dimensioni normali, sarebbe stato comunque e con ogni probabilità il maschio alpha di un branco. I suoi muscoli marmorei e madidi di sudore brillavano di una luce di surreale magnificenza sotto i pallidi raggi di una luna calante.  Il suo cavaliere dovette usare delle scale a pioli per scendere dal suo dorso.

L’ippogrifo scalciò e sbuffò chiaramente innervosito dalla presenza vicina dei rivoluzionari. Gli uomini guardarono la bestia con reverenziale timore. La sua magnificenza levava il fiato.

Calmati, PEGASO!” disse il cavaliere cercando di acquietare la sua bestia. Poi si voltò.
Aristomene lo riconobbe.

“Bellerofonte!”
“Comandante!”

Gli altri seguirono la scena, confusi. Aristomene spiegò “è uno stalliere sotto il mio comando, un allevatore di…Cavalli”.

Guardarono la maestosa belva alata che dacché pareva minacciosa e terribile poco prima, adesso, sotto la mano rasserenante del nuovo padrone appariva calma e mansueta.  Comunque i presenti si avvicinarono con cautela.

Aveva perso il suo cavaliere Innominato. Era come imbizzarrito, ma io sono riuscito a domarlo!” Spiegò Bellerofonte.

Incredibile…” fu la reazione di quasi tutti i presenti. Soter a cui, da Innominato, non era stato mai né concesso né mostrato nulla di simile restò senza fiato.
Persino Sideris rimase costernato. Per quanto tempo avesse vissuto su quel mondo, gli esseri umani alla fine trovavano sempre un modo per sbalordirlo. Rimase comunque composto.

“Hai detto che avevi delle notizie, recluta.” Esordì. “Parla

 Bellerofonte si mise sull’attenti davanti all’enorme mole del Falcone.

“Poco dopo lo scontro li ho seguiti…Gli Innominati intendo.”
“E cosa hai scoperto?”

Sono andati a Sparta. Nel palazzo di Ares. Sono rimasto a controllare la zona qualche tempo ma non si sono spostati di lì”

Sideris era confuso. Perché non portare la donna direttamente sull’Olimpo? Che piani avevano per lei? Non poteva dare nulla per certo ma comunque aveva ottenuto un' informazione che avrebbe dato loro un piccolo vantaggio.

“Ottimo lavoro.”

Si avvicinò al cavallo alato con una mano protesa, ma a pochi passi di distanza la bestia stridette minacciosa.
“Sembra proprio che la creatura riconosca solo te come padrone.” Disse Sideris al ragazzo.

Bellerofonte guardò la sua nuova cavalcatura orgoglioso dell’impresa compiuta.

Non è stato facile.” Commentò senza superbia  ma adesso io e Pegaso siamo grandi amici.” 
L’ippogrifo sbuffò.

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Parentesi anacronistiche 4:

Armamentario 3: la frusta di Varsos

Il manico della frusta è l’oggetto tecnologicamente avanzato di Varsos. Dalla punta di esso è possibile riprodurre fino a quattro proiezioni illusorie della stessa frusta. Il manico contiene il thong, cioè l’intero corpo della frusta, super-compresso al suo interno. Dall’impugnatura è possibile tramite un pulsante, estendere la parte superiore in modo proporzionale al tempo in cui lo si è lasciato premuto. Quando si rilascia, la frusta si stabilizza a quelle dimensioni

Ha una lunghezza massima che arriva a diversi chilometri.


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Capitolo 19
*** Separazione ***


I bagliori di un tiepido mattino tinsero di rosati riflessi gli erbosi prati che attorniavano il gruppo di falchi accasermati poco lontano dall’ormai fatiscente accampamento. Alcuni di loro notarono solo ora, con i chiarori del giorno, i sublimi boccioli di fiori che in sinergia con i barlumi del sole formavano un caleidoscopio di colori impressionante.

Soter era sveglio. Sideris lo era sempre stato. Quella prima luce dell’alba avrebbe lanciato loro il segnale per dare inizio al contrattacco.

Il periodo degli indugi era terminato. Ora era tempo per Sideris di risvegliare l’ombra del Falco. Un’ombra fatta di uomini e donne, lance e spade. La grande armata finalmente sarebbe sorta dall’oscurità per gridare ai loro nemici che avrebbero anche potuto strappar loro la vita, ma mai avrebbero quietato la voce di chi combatte per un ideale, per un valore, per la libertà. Ciò per cui si sarebbero trascesi i propri limiti.

 Ma in che modo riconvertire le anime spaventate di coloro che avevano abbracciato la causa del Falco  e in che modo aprire gli occhi a tutti quelli che non l’avevano fatto quandanche i più fedeli tra i rivoluzionari, annichiliti dallo strapotere degli Olimpici, avevano voltato la faccia al Falcone Nero per salvare le proprie famiglie dalla distruzione?

 “Scambierò il terrore reverenziale che ha messo in ginocchio gli uomini, con la speranza”
Proferì sommessamente il Falcone verso i suoi prodi guerrieri. Erano gli ultimi rimasti ma allo stesso tempo i primi…Della grande armata che avrebbe raccolto.

 “…La speranza che darò alle popolazioni sarà così incandescente da riuscire ad avvampare persino la gelida morsa di paura con cui Zeus tiene avvinto il mondo.”

 La compagnia di sopravvissuti si scioglie.

Ora i falchi, rispettando un preciso piano di Sideris, sono in viaggio verso regioni diverse per raccogliere sotto la propria autorità tutti coloro che sarebbero stati pronti a combattere per la salvezza.

 “Se volete la pace, preparatevi alla guerra.”

 Oreste viaggiava a nord con Pilade, diretti entrambi verso l’Agrolide, alla riconquista del proprio regno di cui era legittimo erede.
Cercione e Almo
accompagnati dall’orso Orico, avrebbero girato le boscose colline dell’Arcadia per richiamare gli oltre quattromila soldati sparsi, secondo disposizione di Sideris, per tutta la regione.
Aristomene era diretto a sudovest, verso la Messenia, dove oltre centocinquantamila uomini e donne, ridotti a iloti da Sparta, agognavano la distruzione della città.
Acheo, Ischi ed Elleno sarebbero andati a nord alla ricerca di altri alleati.

 La libertà, così fugace, illusoria” Commentò Sideris mentre anche Bellerofonte spiccava il volo assieme alla sua cavalcatura. A lui spettava il viaggio più lungo. Si sarebbe dovuto recare nella lontana Licia, a comunicare la notizia nelle varie corti cittadine della morte di diversi oligarchi che erano partiti per l’ideale rivoluzionario.

Soter e Sideris erano rimasti soli. Rimasero a guardare il cavallo alato che spariva nell’orizzonte diretto verso oriente, mentre l’alba adesso incombeva imponente su gran parte della regione.

 “Ti fidi veramente di loro?”

“Innominato, le loro Ragioni sono salde quanto le tue. Non credere di essere l’unico al mondo che combatte per qualcosa di più che per la propria semplice esistenza. Io sono in grado di leggere nell’animo delle persone e decifrare le loro vere intenzioni. Se dicono il vero o mentono, posso sentirlo sempre.”
Soter sbuffò.

“Che ne può capire un mostro della falsità che si cela nell’uomo?”

 Sideris ignorò l’ingiuria e si mise in marcia. 

“E noi dove siamo diretti!? Verso il Monte Olimpo?”
Pensavo che lo avessi capito: non possiamo andare…”

Fu bloccato da un improvviso oscurarsi del sole. Il cielo, dapprima limpido e immacolato. venne coperto da degli immani e plumbei cumulonembi di una densità paurosa. Come promesso da Zeus, si stava ripetendo nuovamente la tragedia del giorno precedente. Il re degli dei avrebbe esatto un nuovo tributo di sangue e vite umane. La scomparsa di un’altra polis avrebbe fatto da ulteriore monito per tutti gli uomini.
Dall’ammasso di nembi fuoriuscì un fascio di energia che colpi il mondo da qualche parte. Un roboante fragore sconvolse Soter, che fu costretto a coprirsi le orecchie con le mani. La terra sotto i suoi piedi tremò. 

Sideris rimase immobile, non si scompose di un millimetro.

 Pochi minuti dopo le nuvole si disparsero nell’aria e il cielo tornò a essere sereno e trasparente come se nulla fosse accaduto.

L’esplosione è avvenuta a circa 18,25 chilometri da qui. La città di Astron è stata rasa al suolo.”

Annunciò Sideris, le cui capacità matematiche gli permettevano di valutare con assoluta precisione le distanze.
“Ma c’è qualcosa che non riesco a comprendere.” Continuò “Se hanno preso Pandora allora che senso ha che Zeus continui a distruggere le città? Con ogni probabilità gli Innominati non l’hanno condotta a lui.”
“Che cosa?”

“Ci sono alte probabilità che Pandora sia ancora qui nel Peloponneso e non sul Monte Olimpo. Zeus non sa ancora dov’è. Ciò vuol dire che forse abbiamo più tempo del previsto.”
“Se è così, vuol dire che si trova ancora a Sparta. A circa 40 chilometri da qui. È li che dobbiamo andare”

 Sideris lo guardò intensamente. Il magnetico carisma che scaturiva dai suoi occhi era di una tale travolgente potenza che persino uno come Soter dovette distogliere lo sguardo.

 Se vuoi andare, fa pure. Ma sappi che, per quanto il fato abbia voluto la tua sopravvivenza fino ad ora , se andrai a Sparta morirai. È il potere di Ares in persona che vuoi sfidare. Non hai alcuna possibilità adesso. Né tu, né io, né nessun uomo al mondo.
Preferirei invece che tu mi segua nel mio viaggio. Sono sicuro che con te al mio fianco, avrò maggiori probabilità di successo.
A te la scelta.”

 “Mi stai chiedendo di scegliere tra te e Pandora?” Rise l’Innominato.
“Ti sto chiedendo di scegliere tra la vita e la morte. Perché se decidi di andare a Sparta, non riuscirai raggiungere la tua amata nemmeno con lo sguardo.”

Adesso l’uomo gli aveva voltato le spalle e aveva preso a viaggiare per la propria strada.
Soter rimase a guardarlo. L’attrazione magnetica con cui quell’essere lo stava richiamando a sé era più forte di qualsiasi altra cosa.  Tutto gli diceva di cogliere l’attimo e seguirlo subito poiché sotto la sua guida gli uomini avrebbero potuto rivoltare le sorti di un destino di morte e distruzione che pareva già essere scritto. Avrebbero potuto vincere.
Soter lo avvertiva come un presagio. Una speranza folle.
Avvertì un formicolio lungo tutta la schiena.

 “Maledizione!” 
Ringhiò, seguendo il capo della rivoluzione.

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Parentesi anacronistiche 5:

Arpie:

Pipistrelli vampiro delle dimensioni di poco più di cinque centimetri, su cui sono state fatte sperimentazioni genetiche: disinibizione dei geni che regolano la fame e l’aggressività. E tramite la tecnica della transgenesi (inserimento di geni provenienti da organismi diversi nel genoma di un dato organismo) hanno acquisito sostitutivamente alla loro vista cieca, la visione termica che è peculiare nelle zanzare.

Il risultato di queste sperimentazioni ha dato luogo a sciamate di questi organismi con una foga incontrollata di divorare, e prosciugare del proprio sangue qualsiasi altro organismo si trovi sulla loro strada lasciando dietro di sé solo una scia di cadaveri.

Per essere in grado di controllare questi sciami distruttivi si deve far uso di due oggetti.  Una lozione, da cospargersi sul corpo, che funga da isolante termico per ingannare la visione termica delle arpie, e risultare quindi invisibili. Un fischietto in grado di emettere ultrasuoni, richiamando perciò le creature a sé, le quali divoreranno qualsiasi cosa si trovi intorno.

Peloponneso

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Capitolo 20
*** Il palazzo di Ares ***


Pandora aprì gli occhi nel momento stesso in cui i mostruosi cavalli alati atterrarono su una superficie marmorea.
Era così terrorizzata dalla sua precedente condizione da aver perso temporaneamente i sensi. L’aria rarefatta di quell’alta quota, mista allo spavento di aver raggiunto una tale altezza e ai continui sobbalzi della bestia che la trasportava, l’avevano rintronata.

La prigione di corde che la avvinghiava era  l’unico appiglio che la separasse da un volo mortale.
Si trovava ancora avviluppata a una specie di rete per pescatori, saldata su una delle cinghie che legavano la sella sul dorso dell’equino volante.

Dopo che l’ippogrifo toccò terra, il suo cavaliere, Deimos scese dalla sua groppa per avvicinarsi alla prigioniera. Slegò il laccio che teneva la rete avvinta al destriero, prese Pandora e, come se non avesse peso, la gettò a terra senza premure.
La ragazza, frastornata da quell’ultimo strattone, rigettò tutto il contenuto del suo stomaco sulla lucida piattaforma di marmo.

La vasta balconata su cui si trovavano faceva parte del settore privato del palazzo di Ares. Difatti la sua ubicazione era celata, e ogni lato della sua forma rettangolare era ombreggiato da un muro.

 Il gigante Gamacton, che aveva perso la sua cavalcatura durante la battaglia, si trovava sulla stessa bestia che cavalcava Kyros. Il poeta smontò da cavallo utilizzando una scaletta a pioli legata alla sua sella, poiché la bestia era troppo alta da consentirgli di farlo nel modo convenzionale.  Gamacton invece poteva permetterselo. Con un violento strattone balzò a terra, facendo sbilanciare la creatura che nitrì  per lo spavento.
Kyros che a causa di quella manovra avrebbe rischiato di cadere a terra lo guardò con aria torva. Poi si ricompose e si rivolse agli altri due compagni.

 “Un’ode voi o amici e antichi re. Abbiamo vinto!
È stato un grand’onore per me, sono contento!
La vostra abilità eguaglia di certo la vostra fama,
non per nulla da secoli la gente vi loda e v’ acclama.
Ahime mi spiace per la perdita del vostro parente.
Il ricordo del suo eroismo mi rimarrà per sempre in mente”

“Fa silenzio, saltimbanco…” Disse Deimos mentre slegava Pandora.
Enio l’Urlo rimase in silenzio, poi accortasi dell’arrivo di una presenza si mise sull’attenti.
La donna era la più diligente tra gli Innominati e la più solerte nel rispetto della gerarchia, anche perché non spiccicava una parola, quindi non faceva domande ma eseguiva soltanto.

Gli altri si rivolsero verso quella presenza senza concederle il rispetto che la sua autorità meritava.
Eris, la sacerdotessa di Ares e sua intermediaria, era in piedi davanti a loro. Non fece caso all’irriverenza degli altri sottoposti. In altri casi avrebbe distrutto chiunque avesse osato mancarle di rispetto anche solo con uno sguardo, ma sapeva bene quanto il suo padrone considerasse importanti quegli uomini.

Era tuttavia chiaramente contrariata dal trattamento aggressivo che Deimos stava riservando alla prigioniera. Ma nonostante questo, l’aver adempito la propria missione la frenò dal rimproverarlo. Inoltre, nonostante la propria carica privilegiata, non voleva provocare il sanguinario e imprevedibile Re del Terrore causando problemi ad Ares.

 “Non vedo Phobos tra voi  esordì la sacerdotessa.
“Ha fallito.” Commentò secco, suo fratello Deimos. “Non lo vedrai più.”
Liberò la ragazza dalla prigionia e con un calcio la fece rotolare verso Eris.

 A questo punto la sacerdotessa non poté più trattenersi.
Come osi!? Questa donna è di grande importanza per Ares!” 

“Allora riprenditela in fretta. Io non so che farmene! Ora voglio la mia ricompensa.”

La ricompensa. È vero. Gli Innominati non erano uomini qualunque: erano spietati mercenari che non paventavano la morte e non desideravano i valori che la vita poteva offrirgli. Ciò li rendeva indomabili persino per il dio della guerra, che per assoggettarli avrebbe dovuto accontentare le loro brame per le quali combattevano con tutto loro stessi.  Inoltre quelle tre nuove aggiunte avevano già conosciuto la morte, e grazie al dio della guerra l’avevano sconfitta.

La donna schioccò le dita, e dall’oscurità di un passaggio uscirono delle figure incappucciate, suoi servitori che afferrarono Pandora e la portarono dentro.

 “Troverai ciò che cerchi nella sala termale” Disse Eris. E rientrò nell’edificio.
Deimos con un ghigno seguì la sacerdotessa, ed Enio a sua volta.

Kyros rimase indietro e a quell’ultima frase rabbrividì.  Era venuto a sapere qual era il cocente desiderio per cui si crogiolava Deimos.

Se i testi degli antichi tomi ci narrano il vero
C’era una cosa, ricordo, che sollazzava il Re del Terrore:
nuotar nel sangue degli uomini e fagocitar cadaveri per intero.
Questo è il motivo che lo rese noto, il suo aberrante piacere.”

Pandora non ricordò molto di quanto aveva camminato e di quanti corridoi aveva percorso.  Gli interni del palazzo di Ares, che nessuno aveva mai veduto, parevano essere dei labirinti di lunghezza spropositata.  Due figure incappucciate la tenevano per le braccia trascinandola per tutto il tragitto, e davanti, a guidare il gruppo, c’era una donna che non aveva mai visto, la quale poco prima aveva impartito degli ordini agli Innominati.

Quale sarebbe stato il suo destino?
La sua vista era annebbiata e per sua fortuna non era abbastanza lucida da dare una risposta a quella domanda. Anche se poteva intuire che la morte sarebbe stata di gran lunga preferibile.

 Girato l’angolo, si ritrovò in una stanza più vasta. Al suo centro c’era un’unica porta, o meglio un portone di grande altezza e finemente decorato.

 “Siamo giunti”
Disse Eris.

La sacerdotessa si avvicinò a un pertugio a un angolo. Si protese in avanti con il volto, spalancando gli occhi, quasi come scrutasse qualcosa. Poi poggiò entrambe le mani su un ripiano e, dopo alcuni istanti, con un rombo cavernoso la porta incominciò ad aprirsi da sola.
Magia divina.

 “Dove…Dove mi portate?” Riuscì a dire la prigioniera. Ma nessuno rispose. Le figure incappucciate la trascinavano nell’oscurità di quell’apertura calandola per terra.
Eris rimase a guardarla anche mentre le due grandi ante della porta le si richiudevano davanti, lasciando Pandora nell’oscurità più totale.

Quando si risveglio la luce aveva invaso il luogo dentro cui si ritrovava. La vista di ciò che si ritrovò innanzi, la rintronò ancora di più. Erano come gli interni di una lussuosa villa: vaste stanze, raffinate colonne corinzie, e scalinate marmoree che portavano a un’ampia balconata. Tutto era illuminato dalla luce di un sole tiepido e piacevole. Non c’era nulla di terribile in quella visione.

Quasi arrivò a credere che fosse stato tutto un lungo sogno di un’altra vita. O forse era già morta e quelli erano i Campi Elisi?
Davanti a lei si gloriava il trionfo della natura. Le montagne granitiche giganteggiavano su una vallata, lussureggianti selve la ricoprivano accompagnati da torrenti e fiumiciattoli. Niente che l’uomo non avesse intaccato.

Spalancò le braccia, mentre il vento le carezzava i capelli e l’astro lucente le baciava la fronte. Le sue candide vesti le svolazzarono attorno, anch’esse coinvolte nella danza dell’aria.
Non ebbe alcuna preoccupazione, nessun timore. Per un attimo fu felice.
Solo un attimo.

“Ti piace questo posto?”
Avvertì una voce alle spalle che la distolse dal suo sogno.      

Si voltò di scatto. C’era un uomo poggiato su una delle colonne. Un ragazzo piacente dai folti capelli neri la stava fissando con penetranti occhi bruni. Attorno a lui poteva avvertire qualcosa di indefinibile. Un alone, un’aura dorata calda e benevola.

 Pandora lo guardò rapita e spaventata.

“Dove mi trovo?”

L’uomo le sorrise amabilmente mentre con cautela fece un paio di passi verso di lei.
“Sarai al sicuro qui, non temere. Nessuno ti troverà. Neppure l’Olimpo”

La donna era sempre più confusa. Da chi era stata catturata e perché?

Ma tu chi sei?” Gli chiese, senza rendersi conto che intanto l’uomo aveva già percorso la poca distanza che li separava e ora le si ritrovava a pochi centimetri.

L’uomo le carezzò la guancia con un dito.
Mi hanno chiamato con innumerevoli nomi nel corso dei secoli. Epiteti irriverenti e brutali e sanguinari e temibili…Ma tu non devi temere il mio nome. Sarò per te tutto ciò che ti separa dalla felicità che non hai mai potuto ottenere.”

 Sotto la tabarda e le eleganti stoffe di cui l’uomo era vestito Pandora vide un’armatura lucente e troppo perfetta per essere del mondo mortale. Ogni cosa le lasciò intendere che colui che aveva davanti non era un uomo.
Pandora arretrò spaventata. Aveva capito tutto.

“Non so cosa avete in mente tu e l’Olimpo, ma non mi lascerò ingannare. Il tuo nome è Ares e io lo so per certo. Non c’è niente di umano in te! Né il tuo aspetto, né il tuo odore né la tua presenza. Mi volevate? Ebbene sono vostra. Uccidetemi ora ma finitela con questa tortura!”

L’uomo si rattristò da quell’ultimo sfogo.
“Non voglio ucciderti, né torturarti.” Si avvicinò ancora a lei.

“Stammi lontano!” Gli urlò.  “Siete solo assassini e bugiardi. Non c’è niente di vero nelle vostre parole e se non avete intenzioni di uccidermi, lo farò io stessa”

 Pandora si voltò alle sue spalle, correndo verso la balconata che s’affacciava sull’infinità della natura. La disperazione non la fece esitare un solo istante. Nel momento in cui con un salto il suo piede si poggiò sulla ringhiera e l’altro verso il vuoto, il suo corpo sbalzò all’indietro, come trattenuto da un muro di forza.

La donna precipitò sul marmo bianco del balcone, ma non avvertì alcun dolore. Come se, nel momento in cui il suo corpo collise con violenza sul pavimento, quest’ultimo frenò di propria iniziativa la caduta adagiandola piano sulla superficie.

 Ares rimase a guardarla per nulla meravigliato. Sembrava aver previsto quell’istinto suicida e aveva fatto in modo che non avesse alcun esito.

Spero che ti troverai bene qui…” Commentò dispiaciuto. …Farò in modo di darti tutto ciò che necessiti. Questi sono i tuoi appartamenti, sentiti libera di andare dove vuoi.” Detto questo, le voltò le spalle e sparì dietro le colonne così come era comparso, mentre Pandora rimase accasciata a terra cercando di arginare la propria disperazione e il proprio pianto scavandosi il volto con le mani.  

Ares si trovava seduto sul suo scranno, da qualche parte nel suo immenso palazzo, avvolto dalle oscurità entro cui si sentiva ora a proprio agio. Il volto corrucciato e pieno di dolore. Con una mano si coprì il viso.

 “Ho visto come la guardavi! Che intenzioni hai con lei?

Gli gridò una voce femminile tra quelle ombre. Ares riconobbe subito il profumo e la musicalità della sua voce, anche quando era infuriata.
La bellissima Afrodite era in piedi davanti a lui. Nei suoi occhi meravigliosi scorreva la rabbia derivata dalla gelosia della loro nuova ospite.

 “Voglio soltanto che rimanga celata all’Olimpo. Voglio solo continuare a vivere sereno con te, mio amore. Evitare che questo mondo ci crolli addosso a causa della pazzia di Zeus.”
“C’è dell’altro tra voi. Lo sento.”

Ares si voltò verso il suo viso accaldato da quel furore e sostenne il suo sguardo. Si alzò in piedi e con le mani le cinse le gote.
“Ci sei solo tu! Mia regina, mia dea, mio amore, sei la mia vita e tutto ciò che è al di fuori di te vive solo per preservare la nostra unione.”

 Lo sguardo infervorato della dea della bellezza si fece più calmo e si addolcì a quelle parole. Le sue dita sottili e soavi si avvolsero ai polsi del dio.

“Ti credo, amore mio. E farò in modo di esserti complice per tutta l’eternità. Farò in modo che l’Olimpo non sappia mai del luogo in cui è nascosta quella ragazza.”
Ares le sorrise lasciandola andare dolcemente. La dea gli ricambiò il sorriso e soddisfatta gli diede le spalle allontanandosi.
Ma prima di raggiungere l’uscio esitò qualche istante.
Si voltò verso di lui.

La sua espressione era deformata nella smorfia più crudele e spietata che la dea avesse mai assunto. I suoi occhi erano pieni di odio e risaltavano dei riflessi di malvagità innaturale. Ares sussultò.

 “…Ma se oserai anche solo guardarla in quel modo, ella morirà”

 E i tratti della sua voce, fino a poco prima musicale e melodiosa, divennero oltremodo striduli e sinistri.

Parentesi anacronistiche 6:

Mostri 1

Cleobi e Bitone

I laboratori divini hanno sviluppato nuove sostanze in grado di demolire una parte del dna dell’individuo, per riconfigurarne i legami e le basi.

 Gli individui a cui è stato concesso questo privilegio sono stati selezionati e rapiti dalle divinità, e provengono da tutte le classi sociali. Il loro obiettivo è servire l’Olimpo e controllare il lavoro degli altri esseri umani.

L’oggetto che rilascia la sostanza è stato innescato all’interno dell’individuo e si attiva solo in caso di forte carica adrenalinica oppure con uno sforzo di volontà.

Nella sostanza sono presenti dei mutageni, in questo caso delle nano-macchine in grado di emettere potenti radiazioni atte a modificare il dna, prima di essere espulsi dall’organismo.

In questo modo è stato possibile progettare dei mostri geneticamente modificati usando il corpo umano come base.

Cleobi e Bitone, posti davanti alla morte, furono soggetti ad una forte spinta di adrenalina che portò all’attivazione dei mutageni.

I geni mutati si vanno a incastonare perfettamente con la parte coinvolta di dna evitando quindi di creare degli aborti aberranti ma conferendo unicamente qualità predominanti che non vadano in conflitto con quelle già possedute.

 Il modello usato da Cleobi e Bitone, oltre a conferire loro la forma di somari, era anche un inibitore di miostatina: cioè permetteva uno sviluppo muscolare ed una crescita spropositata rispetto al modello iniziale. Inoltre ogni errore genetico, malattia ereditaria o difetto fisico viene cancellato dalle radiazioni permettendo uno sviluppo consistente dei cinque sensi e un maggiore controllo della capacità muscolare e mentale.
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Miostatina inibita

http://www.who-sucks.com/people/monstrous-myostatin-misfortunes-a-collection-of-myostatin-deficiency-pictures

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Capitolo 21
*** La speranza umana (p1) ***


Nei tre giorni che seguirono, furono rase al suolo altrettante polis.

 Il terrore con il quale ora l’Olimpo attanagliava l’umanità era più forte che mai.

Dalla villa più lussuosa al tugurio più fatiscente, ovunque regnava l’impotenza. Dall’umile pastore al temerario condottiero di guerra, nessuno aveva possibilità di salvezza. L’incapacità di evitare la morte di amici e parenti era un macigno che gravava ora su chiunque.

Zeus non esitava un momento, a rammentare all’umanità quanto poco valesse per lui, e quanto quegli esseri fossero patetici e insignificanti. Neutralizzati freddamente come lo sono gli insetti dall’uomo. Scacciati dalle loro case e minacciati di estinzione tutti i giorni.

Ogni città era stata messa in subbuglio per trovare il ricercato numero uno di tutta la Grecia, la cui irreperibilità aveva portato l’Olimpo a prendere in ostaggio l’umanità intera. Fu il terrore e la lotta per la sopravvivenza a riportare la civiltà a uno stato barbarico. Chiunque fosse sospettato di essere affiliato al Falcone Nero era additato e messo alla gogna da coloro che fino il giorno prima erano amici.

Gli eserciti di tutta la Grecia si erano mobilitati, coordinati dai re di Sparta e dal governo di Atene, sulle tracce dei ricercati. Per ottenere la minima informazione, furono torturati e uccisi centinaia di uomini, ritenuti sospetti, assieme alle loro famiglie. Ma nessuno sapeva dare informazioni veritiere su di lui.

Come spesso accade, per far placare le torture, molti confessarono il falso.
Alcuni si tolsero la vita per paura di vivere.

 Ma altri, pochi, continuavano a combattere per la propria libertà.

 “Gli uomini sono deboli. Hanno sempre preferito barattare la sicurezza per la libertà. Ma così facendo non otterranno mai né l’una né l’altra. Se ne stanno accorgendo solo ora, di fronte all’annientamento.”
Commentò Almo fissando da una collina gli stendardi rivoluzionari di tutta l’Arcadia. Li aveva riuniti.

“È per questo motivo che abbiamo mentito a tutti?” rispose Cercione con fare provocatorio.
Almo strinse gli occhi.

“Il Falcone è molto astuto. Ha capito che non avremmo mai potuto convincerli con la verità. Non se l’Olimpo ci minaccia di sterminio. Era chiaro che qualcuno avrebbe provato a tradirci se avessimo detto di essere ancora al servizio della rivoluzione.”

 “Per questo abbiamo fatto credere di essere diventati araldi inviati dagli dei per condurli alla ricerca di Sideris… E tutti loro hanno accettato ben felici di avere una guida.”  Replicò Cercione sconsolato dall’ipocrisia e dal tradimento di coloro che un tempo formavano il suo esercito rivoluzionario.
Almo gli buttò una mano sulla spalla.
“Non prendertela, amico. Gli uomini sono fatti così.”

 Cercione fissò la spada scintillante, chiaramente di fattura divina, che Almo riponeva nella fodera. Poi abbassò lo sguardo verso la propria cintura.
Gli bastò uno sforzo di volontà per fare in modo che una grossa coda metallica, similare a quella di un drago, attaccata ad essa, si protendesse verso l’alto.

 Con riverente timore gli uomini lo avevano soprannominato “Il Caudato”, quando egli, assieme al compagno Almo, si diresse verso i vari schieramenti rivoluzionari per riunirli sotto il suo comando dietro una menzogna. Ma non tutti però credettero che Cercione potesse essere in verità un araldo degli dei, e alcuni lo attaccarono senza aspettar replica.

Da sotto l’abito del luogotenente rivoluzionario fuoriuscì una sorta di coda draconica, che fulmineamente, con una spazzata, lacerò le carni degli aggressori imbrattandosi del primo sangue…

 Cercione ritornò al presente.

“Stento a credere che Sideris avesse calcolato tutto sin dall’inizio.  Se non ci avesse dato la mappa dove era tracciata la posizione di quelle armi e non le avessimo trovate, di certo nessuno avrebbe mai creduto alla nostra menzogna. Chissà dove ha trovato artefatti simili e da quanto tempo li aveva tenuti nascosti sotto terra?”

Almo impugnò l’elsa della sua spada e la rivolse al cielo. La lama si rivesti di una luce verde acqua. Di una tonalità tranquilla e rilassante.

“Doveva averle nascoste durante le nostre peregrinazioni per tenerle pronte nel momento opportuno. Ora che il momento è arrivato e che noi pochi ci siamo dimostrati fedeli a lui anche nella situazione più disperata, ha deciso di darci la piena autonomia sui suoi eserciti e questi doni straordinari.”

Cercione annuì, restando a guardare gli oltre quattromila uomini accampati su tutto il territorio con centinaia di bracieri accesi.
Alle loro spalle l’orso Orico ruggì dichiarando la sua presenza. Le zanne imbrattate di sangue dimostravano che aveva appena divorato la sua cena. Al collo teneva ancora il vaso con le spoglie di Ermes.

“Spero che stia andando bene anche agli altri” disse Almo.

 

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Un grande sole cocente ardeva sulla piana di Micene. In cielo, diversi rapaci necrofagi erano stati attratti dalla morte fresca che era stata poco prima impartita su quelle terre. Diversi cadaveri marcescenti erano appesi ad altrettanti pali e rappresentavano uno scenario raccapricciante per qualunque viandante. I corpi inverecondi costeggiavano tutta la strada che dava alla città.

 La luce dell’astro rifletteva forte sulle armature e sugli scudi delle schiere di opliti che si trovavano disposti attorno alla città per arginare le cariche della popolazione irrequieta.
“Vogliamo giustizia! Giustizia contro Clitennestra”.
“Avete ucciso i miei figli solo per un sospetto!”
“Assassini! Avete distrutto intere famiglie!”

 Le poche centinaia di opliti sembravano scogli inamovibili contro cui si battevano i pugni della smagrita e affranta popolazione. La plebe incominciò a lanciare pietre che si riversarono come pioggia sui soldati.  A questo tipo di attacco i soldati furono molto più vulnerabili.

Qualcuno sulle retrovie, sorpreso dal lancio, stramazzò al suolo dopo essere stato colpito in testa. A quel punto, un comando ordinò agli opliti di attaccare.
La fila di scudi colpì forte gli inermi corpi della popolazione. Molti cascarono a terra, altri furono spintonati. Le lance dei soldati misero fine alle vite dei più vicini. Tutti gli altri arretrarono spaventati.

In mezzo a quell’accozzaglia di umanità sventurata si fecero strada due figure avvolte di neri mantelli che ne celavano il volto. I due si fermarono davanti alla folla a qualche metro dalla fila di scudi.

“Che cessi questa follia!” Gridò uno dei due.   “Comandante! Fa ritirare i tuoi uomini immediatamente.”

L’uomo con indosso l’elmo da comandante non ebbe reazione:  Chi credi di essere, pezzente? L’unica autorità che riconosco è quella di Egisto, signore di Micene e dell’Agrolide, e della sua regina Clitennestra”

 L’uomo incappucciato si scoprì il viso. 
“Risponderai all’autorità del figlio di Agamennone, Oreste, legittimo erede al trono di tutta l’Agrolide.”
I soldati ammutolirono sbalorditi e abbassarono le loro armi.

Il comandante altrettanto sorpreso rimase a scrutare i lineamenti del giovane e del suo compagno che intanto si era anche egli scoperto.
“E io sono Pilade, suo cugino, e legittimo erede al trono del regno della Focide.”

Gli opliti restarono in attesa di un comando del loro superiore che rimase a guardarli.
Incominciò a sogghignare  

E io sono Licinnio, il Lawaghetas al comando dell’esercito.
Poco furbo da parte vostra presentarvi da soli innanzi alle porte di Micene. In quanto figli di traditori dell’Olimpo e quindi di tutta la Grecia, la regina Clitennestra vi vuole morti!”

Puntò la spada verso i due rampolli, e tutto l’esercito seguì il suo gesto incominciando ad attorniarli.
Oreste e Pilade rimasero imperscrutabili. Erano preparati a quella reazione.

 “La regina sarà felice di avere in dono le vostre teste su un piatto d’argento”
Seguitò il generale facendo cenno ai suoi uomini di incombere su di loro.

 Dalla cappa Oreste tirò fuori un grande arco scintillante. O meglio, un’astrusa struttura dalla forma di un arco al cui centro vi era un grosso buco, ma era privo di corda per tendere le frecce.
Non ne aveva bisogno.

Con la mano sinistra puntò l’arma verso gli assalitori e con la destra, ricoperta da un guanto,  fece uno strano gesto con tre dita. Un fascio di luce fuoriuscì dal buco centrale e, triforcandosi, colpì in pieno tre soldati i quali sbalzarono in aria finendo a terra. Sopraffatti da tremiti convulsivi esalarono il loro ultimo respiro.

La spada di Pilade brillava di un celeste acceso. La fece ondeggiare sopra la testa per poi colpire lo scudo di un nemico. Si frantumò assieme all’armatura e il soldato venne dilaniato con un singolo colpo.

 Gli altri opliti arretrarono attoniti e sbalorditi.
Licinnio lasciò cadere la sua arma costernato.
Il popolo tutto intorno ammutolì per alcuni istanti.

"Ascoltatemi bene…” Gridò Oreste a quella popolazione.
“Non sono solo l’erede al trono, ma ora agisco per conto di un’autorità assoluta, alla quale voi tutti dovrete sottostare.  Siamo Araldi dell’Olimpo e queste armi magiche ne sono la prova!
In nome di Zeus io sollevo Egisto e Clitennestra dal comando di questa città e ne sostituisco l’autorità”

Poi si rivolse verso il generale Licinnio.

“Hai qualche altra obiezione, Lawaghetas?”

L’uomo cadde in ginocchio.
“Servo solo voi, Sire. In nome dell’Olimpo vi prego di guidarci.”

E la folla tutto intorno esplose in un boato di esultanza. Erano stufi della tirannia della regina, ma soprattutto pensavano che la vicinanza con un servo dell’Olimpo li avrebbe salvati dalla distruzione.

Le porte di Micene furono spalancate e l’intero esercito seguito dal popolo entrò in città. Gli opliti dilagarono nella grande agorà guidati da Licinnio e accedettero al palazzo reale.

 “Cosa significa quest’intrusione!?” Gridò Egisto che sedeva al trono con sua moglie.
Licinnio, è forse un tradimento? Guardie, accorrete!”

Le poche sentinelle di guardia alla sua corte si trovarono davanti l’intero esercito e messi alle strette, lasciarono cadere le armi.
Egisto sguainò la sua spada, mentre la moglie arretrava.

“Licinnio, perché?”
Il generale non disse una parola, ma invece si mise da parte per far passare due figure che la regina riconobbe molto bene.
“O-Oreste!? Come sei riuscito a…”
“Sono un servitore di Zeus e dell’Olimpo madre. E in nome della mia vendetta e dell’Olimpo adesso vendicherò mio padre, tuo marito!”

Alzò il suo arco puntando Egisto e, prima che egli potesse reagire, Oreste chiuse la mano a pugno. Come prima, fuoriuscì un fascio di luce che colpì l’uomo, ma questa volta aveva una tale potenza da provocargli un grosso buco in mezzo al petto. Anche nel muro di mattoni alle sue spalle la materia stessa, in una circoscritta forma circolare, evaporò lasciando che i raggi del sole penetrassero all’interno dell’edificio.

Clitennestra gridò terrorizzata mentre il figlio incombeva verso di lei per assaporare la sua vendetta. Oreste rinfoderò l’arco, poiché la morte che le avrebbe riservato non ne prevedeva l’utilizzo.

Il suo pugnale saettò inculcandosi nel grembo della madre e bagnandosi di sangue.
“Fu così che uccidesti mio padre? Così uccidesti Agamennone!?”
Le sussurrò a un orecchio.

Gli occhi di Clitennestra, puntati verso la sua prole, erano spalancati ed emanavano una rabbia e un rancore sconfinati. La sua mano si strinse su quella di Oreste, e le unghie gli s’infilarono in profondità nella carne.

“Hai mentito. Non sei un araldo dell’Olimpo…Tu non sei come loro. Io li ho visti” I suoi occhi indemoniati si rivolsero verso le piccole ferite provocate dalla stretta delle sue unghie.

“Perdi sangue…Come ogni comune mortale. E tu non sai cosa sono capaci i veri araldi di un dio…
Presto, molto presto li vedrai… Il momento è quasi arrivato e allora…Non basterà il tuo esercito a salvarti, e neppure quella tua arma magica.
 Le Furie stanno arrivando! Verranno a prenderti.”

La sua roca risata gli fece accapponare la pelle e quando aveva cessato le sue risa la donna era già morta, ma quegli occhi riempiti di odio e follia lo stavano ancora fissando…

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Re Oreste si affacciò alla balconata del palazzo reale. Sotto di lui oltre trentamila uomini acclamarono la conquista del suo trono.
L’inseparabile cugino Pilade lo affiancò:
“E adesso cosa faremo?”

Il re raccolse un papiro tenuto celato in una sacca e lo srotolò.

“Sideris ha pianificato le mosse di ognuno di noi. All’interno di questo manoscritto che abbiamo trovato sotto la terra assieme alle armi, vi è descritto non solo il loro funzionamento ma anche in che modo agire.
L’idea di fingerci araldi dell’Olimpo è stata vittoriosa ma quanto a lungo potrà durare? Non posso dirlo né riesco a prevedere come una partita a scacchi le mosse che farà il nostro nemico in risposta alle nostre.
Possiamo solo fidarci di Sideris a questo punto.”

 Pilade annuì, e notò un velo di profonda amarezza sul volto del cugino. Sua sorella Elettra era davvero sparita, probabilmente rapita dagli dei come aveva detto il Falcone e persa per sempre. Oreste aveva la faccia di un uomo dedito solo alla vendetta, ma c’era dell’altro.

“Noto una traccia di inquietudine nei tuoi occhi, cugino….Cosa ti ha detto Clitennestra prima di morire?”
Oreste rimase a fissare le cupe montagne lontane. Non si voltò.

“Mi ha lanciato una maledizione, un presagio di morte… Non so cosa ci aspetta, ma non è niente di buono.”

Personaggi:


Parentesi anacronistiche 7:

Armamentario 4: l’arco di Oreste.

L’arma agisce in sinergia con la mano dell’utilizzatore, il quale, tramite l’uso di uno speciale guanto ricoperto di sensori, è in grado di stabilire la modalità e gli effetti dell’arma e colpire al tempo stesso.
L’intelligenza artificiale dell’arco è in grado di prendere in input la forma assunta dalla mano guantata e come output scatenare dei fasci di energia dall’incavo centrale dell’arco. L’arma è alimentata a energia solare e dotata di una duratura batteria.
Una volta puntato il bersaglio (o i bersagli) con l’arco, l’utilizzatore deve muovere le dita in un certo modo per stabilire modalità e potenza.

 Alzare un dito: emette un fascio di energia che colpisce in modo rettilineo.
Si possono sparare fino a cinque colpi (uno per ogni dito) contemporaneamente, che saranno emessi in modo rettilineo rispetto all’inclinazione definita dalle dita, partendo dal punto di propagazione dell’arco.

In base alla velocità con cui viene alzato il dito, il colpo sarà più o meno veloce.
Chiudere la mano a pugno: serve a caricare la potenza del laser. L’arco di tempo in cui la mano resta chiusa a pugno è proporzionale alla carica energetica del colpo. Dopo aver stabilito la potenza è sufficiente procedere alzando uno o più dita.

Raggiunto il punto di massima potenza accumulabile l’arma non accumula ulteriore potere.
Poggiare la mano sull’arco: Disattiva provvisoriamente i sensori del guanto impedendo che gesti inconsulti facciano partire un colpo.
Spianare la mano: genera un campo di energia che copre l’utilizzatore. Qualsiasi oggetto fisico che entra all’interno del campo viene bloccato da una scarica elettrica ad altissimo voltaggio

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Capitolo 22
*** La battaglia di Deres (p1) ***


I nomi in grassetto stanno a indicare personaggi mitologici documentati (su internet e fuori)

http://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_guerra_messenica

Quel sole tinto di rosso era di cattivo auspicio per i locali poiché presagiva che, di lì a poco, sarebbe stato versato molto sangue.

La regione chiamata Messenia era la riserva di schiavi di Sparta. Gli abitanti, dopo aver perso una guerra contro i laconici, furono privati di ogni diritto e chiamati Iloti. Gli spartani li tennero a bada per decadi con la sola forza del terrore derivato dalla propria abilità guerriera, superiore a quella di chiunque.  Ma in realtà erano invece gli spartani a temere nascostamente la loro forza. I messeni erano dieci volte più numerosi: erano centinaia di migliaia. Un popolo intero che bruciava nel fuoco del rancore.

 

E ora l’infuocata luce dell’astro si rifletteva sullo scudo di un uomo che dall’alto di un colle scrutava i suoi nemici. Il suo volto era celato da un elmo avvolgente della forma di un falcone.

Alle sue spalle lo seguivano una miriade di guerrieri. Così tanti che forse una tale armata non era mai stata veduta prima in Grecia. Molti avevano armature in cuoio, altri erano coperti di pellicce, la maggior parte erano vestiti solo con le proprie stoffe. Ma alcune centinaia di loro, avevano un equipaggiamento da oplita.

 

Quell’armata infatti era originariamente formata da uomini di ogni sotto-regione della Messenia, i quali avevano trucidato le esigue forze spartane locali e dato fuoco a tutti gli accampamenti di controllo in quelle zone. Infine avevano rubato le loro armature.

 

“Sono un’infinità, comandante! E sono pervasi da una foga che non è di questo mondo! Attaccano i nostri soldati come se la loro vita non valesse niente. Si immolano sulle lance dei nostri opliti per permettere a quelli dietro di loro di avere il sopravvento!”

Aveva spiegato il capitano Tirteo al polemarco Anassandro, nella tenda comando.


“Non mi interessano queste scuse!” gridò il comandante scagliando un bicchiere colmo di vino ai piedi dell’interlocutore.

“Il vallo che difendiamo è l’ultimo baluardo prima della sacra Sparta, te ne rendi conto? Schiererai nuovamente i tuoi uomini e questa volta dovranno avere successo. Non esiste sconfitta per uno spartano fintanto che non si trovi esanime sul proprio scudo! ORA ANDIAMO A CREARE UNA LINEA DIFENSIVA!”

 

Alcuni comandanti, come Emperamo, udite quelle parole schiamazzarono fomentati. L’altro polemarco Anassidamo, approvò la decisione del suo pari in silenzio.

 

“Mio signore. Lasciate a me il comando della prima linea”

Aveva detto rocamente Leneo, un tetro e cupo capitano spartano i cui modi avevano sempre inquietato il suo superiore. L’uomo si leccava la bocca in continuazione e i suoi occhi erano quelli di una belva feroce.

Tutti rabbrividirono.  Si conosceva bene tra le fila lacedemoni il disprezzo che quell’uomo avesse per la vita umana, compreso quella dei suoi sottoposti e dei modi brutali con cui essi venivano puniti.

Come poteva una tale bestia essere stata partorita da una donna spartana? Chi lo conosceva dall’infanzia lo ricordava come un giovane spartiata eccelso in ogni sua dote, piuttosto chiuso in se stesso, ma non di certo una belva come era diventato solo di recente.

 

“Va bene, Leneo. Terrai tu la prima linea.” Rispose Anassandro

 

Le falangi spartane si disposero cingendo tutto il perimetro di quelle colline, dalle quali sarebbe discesa l’orda di lì a poco. Erano appena diecimila, contro un intero popolo in movimento e avevano lo svantaggio della posizione. Nonostante ciò erano tutti consapevoli di quanto potesse essere letale e inamovibile una falange spartana sulla difensiva. Quale che fosse stato l’esito, sarebbe stata un’ecatombe.

 

Il capoguerra dei messeni teneva alto il suo scudo lucente, gridando e incitando il popolo alle sue spalle. Mai come ora dagli occhi di quegli iloti risplendeva la speranza di una vittoria.

Androclo, Alone, Dafni  preparate la fanteria per lo scontro frontale” comandò l’uomo con l’elmo da falcone ai suoi luogotenenti.

“…Alettore, Ischi: la cavalleria sui lati”

 

E migliaia di messeni discesero dalle colline come onde di tempesta: miriadi di corpi di uomini, donne, anziani e fanciulli armati solo di bastoni e di grezze lame. Tutti pronti a morire per una folle speranza di libertà.

 

“Cianippo!” Urlò Leneo ad uno dei suoi pentecotarchi. Sguinzaglia i cani.

“Sicuro!”  urlò compiaciuto l’addestratore solcato da infinite cicatrici.

“Liberate i molossi!”  ordinò a sua volta ai suoi uomini.

Appena I quadrupedi furono liberati dalle loro gabbie, schizzarono indiavolati verso quella moltitudine.  

I molossi balzavano sulle loro prede con tanta rapidità da non lasciar loro il tempo di reagire. Azzannavano le loro vittime al collo trucidandole sul colpo, segno che quelle belve erano state appositamente addestrate per uccidere più che portate a espletare il loro primario bisogno di cibo.

I cani difatti, una volta sbranata la preda non esitavano un istante a lanciarsi sulla successiva.

 

Tra le fila dei messeni ci fu subito scompiglio.

Non fatevi prendere dal panico!”  Gridò Androclo. E quando una delle bestie balzò su di lui, con lesta prontezza, il comandante si scansò su un lato e la decapitò al volo con la sua spada.

Il muso della bestia roteò in aria innumerevoli volte, prima di precipitare a terra ancora mugghiante. Vincendo quell’iniziale paura, la spropositata quantità di combattenti incominciò ad avere la meglio sugli animali, abbattendosi su di loro come mosche su una carogna. Anche le donne, munite di grossi coltelli si gettarono contro i quadrupedi occupati a divorare i corpi delle precedenti vittime. 

 

Le bestie avevano avuto un impatto travolgente su quella prima ondata di uomini, squartandone alcune centinaia e mandandone in rotta altrettanti. I pochi cani rimasti guaivano da una parte all’altra dello schieramento, venendo colpiti di tanto in tanto da qualcheduno che si trovasse alla loro portata.

Il comandante Alone, noto nel suo villaggio per essere un eccellente guaritore, era chino su una donna ferita, cercando di fermare l’emorragia di una lesione.

Le grida dei suoi sottoposti lo distolsero dal suo lavoro.  Quando alzò lo sguardo vide una marea di frecce oscurare il cielo. Nessuno avrebbe avuto il tempo di scappare, e solo in pochi tra loro possedevano uno scudo. Lui non era tra questi.

 

Ma proprio mentre quell’infinità di dardi stava per abbattersi su di loro, avvenne qualcosa di innaturale quanto spaventoso.  Si chiese se non stesse solo vivendo uno stranissimo sogno quando quelle frecce furono deviate dalla loro direzione attuale da un’onda d’aria proveniente dal basso.

Alcune di esse si frantumarono su un muro invisibile, altre tornarono indietro nel loro verso.  Gli arcieri lacedemoni che avevano serbato il tiro si trovarono del tutto alla sprovvista. Molti di loro caddero trafitti dai loro stessi proiettili.

 

Ma cosa era accaduto?

Tutti gli uomini presenti, messeni e spartani, si rivolsero basiti verso colui che aveva gridato poco prima del miracolo.

L’uomo con l’elmo da falcone aveva alzato il suo scudo lucente, ma nulla di più. Eppure gran parte degli astanti era convinta che fosse opera di magia divina.


E questa volta furono gli spartani ad essere spauriti e in preda allo scompiglio.

Gli iloti lanciarono un grido di esultanza. E dopo che il falcone si sincerò che tutti i mastini fossero stati massacrati, comandò una seconda carica. L’orda ricominciò la sua corsa verso i nemici.

Decine di migliaia di uomini si aggiunsero alle poche migliaia precedenti andando a creare una massa di uomini di tutt’altra consistenza.  La portata di quell’attacco fu così sconfinata che fin sulla linea dell’orizzonte si poteva ammirare la forza con cui la Messenia minacciava Sparta.  Gli scudi spartani formavano un argine che si andava a estendere per diversi chilometri.

Quando quella forza inarrestabile colpì quel muro inamovibile l’impatto fu devastante.

Una massa di umanità fuori controllo si abbatteva sul ferro degli scudi ribaltandosi o facendo ribaltare i loro nemici. Il peso di quella quantità si fiondò sugli spartani con tale imponente foga, da rendere inutile la loro abilità di combattenti. Innumerevoli iloti furono trafitti dalla selva di lance degli spartani, ma il loro numero era così grande che le perdite non furono altro che una goccia nell’oceano.

 

Cianippo, l’addestratore di cani, fustigava i nemici col suo flagello. Tre uomini furono feriti gravemente. Altri si tenevano lontani.

Il comandante degli iloti Dafni, uomo di grande costituzione, rimase impassibile. Continuò a marciare coprendosi il volto con le braccia.  La frusta gli lacerava la pelle e lambiva lo strato muscolare sottostante, eppure l’uomo pareva insensibile alle frustate. Giunto a un passo da Cianippo, scattante gli mise una mano al collo. Le sue mani da lavoratore della terra erano callose e molto più grandi del normale. Cianippo lasciò cadere la sferza. La stretta al collo era così forte che gli uscì del sangue dal naso.  Restò a fissare allibito il suo assassino per quegli ultimi attimi, prima che anche gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite.

Dafni sorrise. I suoi stessi uomini ebbero paura di lui, ma inneggiarono lo stesso il suo nome.

 

La cavalleria messenica incombette ai lati. Centinaia di uomini vestiti di pelli e muniti di bastoni e qualche lama furono intercettati da cavalieri ben più armati subordinati di Sparta: gli elidi di Pisa.

La disciplina a cavallo dei cavalieri elidi spazzò via gran parte di quegli straccioni in groppa agli equini. Le loro stesse cavalcature persero il controllo disarcionandoli.

I sopravvissuti rimasti a terra videro il rapido disfacimento della loro divisione.

 

Re Enomao, signore degli elidi, in piedi sulla sua quadriga dalle ruote dentate trainata da un tiro di cavalle rapide come il vento, si faceva largo in mezzo allo schieramento nemico tranciando le ossa degli equini nemici.

“Psilla! Apinna! Forza galoppate come il vento!”  Spronò Mirtilo, servitore di Enomao nonché miglior auriga greco.

Il comandante messeno Alettore riuscì a colpire e atterrare un paio di cavalieri elidi con il suo lungo bastone. Poi si rivolse verso il loro re.

Il confronto durò poco. Le ossa pastorali della sua cavalcatura schizzarono in aria, tranciate dalle ruote dentate e, nel momento in cui il comandante rimase in aria prossimo a morire, maledisse quella fredda indifferenza sul viso del suo assassino.

Per Enomao quello scontro non era stato più impegnativo di schiacciare una mosca. Non provava niente nell’uccidere nemici così deboli.

Alettore si schiantò a terra rompendosi l’osso del collo.

 

In un punto imprecisato della battaglia, il Falcone si faceva strada in mezzo alle linee del nemico puntando il suo scudo contro i soldati. Un bassorilievo circolare su di esso prese a illuminarsi di una strana luce azzurra. Nel giro di un attimo tutti i soldati furono scaraventati via dalle loro posizioni per poi riprecipitare finendo per morire o ferirsi gravemente. I messeni al suo seguito finirono le vite di quelli caduti a terra e attaccarono di nuovo.

 

Ovunque passava il Falco, gli spartiati venivano catapultati in aria prima ancora di riuscire ad avvicinarsi abbastanza da poterlo attaccare. Tutti gli altri, intimoriti da quel potere fuori dal mondo, per quanto fossero valorosi guerrieri, si ritrovarono impotenti a fuggire verso le retrovie.

 

“Bene, bene, bene…Falcone Nero, Sideris. O come vuoi essere chiamato. Ci sei tu in persona dietro a questo attacco  proferì una voce roca alle spalle del guerriero dallo scudo lucente.

 

Il comandante Leneo si stagliava in piedi in mezzo a quello sterminio e a quella morte fresca. Dietro di lui c’erano cinque guerrieri spartani tutti con lo stesso sguardo e la stessa perfidia negli occhi. Una perfidia che non aveva nulla di naturale…Nulla di umano.

Leneo si leccò la bocca.  Abante, Dedalione Prendetelo”

Due dei cinque soldati alle sue spalle sorrisero diabolicamente e dei sinistri riflessi balenarono nei loro occhi.

Il loro corpo fu pervaso da tremiti convulsivi. Dalla bocca schiumarono torrenti di bile e saliva. Gli occhi si rigirarono completamente. Dalle loro carni emersero protuberanze artigliate, affiorarono scaglie, spuntarono piume.

Urlarono entrambi. Dapprima le loro grida erano umane. Poi alla voce naturale se ne aggiunse una seconda più squillante, più stridula. 

 

Messeni e lacedemoni interruppero i loro scontri facendo cerchio attorno a quegli indicibili orrori. 

Ognuno di loro era a conoscenza dell’esistenza di mostruosità come i centauri, i ciclopi o altre creature presenti nelle narrazioni degli anziani. Ma questi esseri avevano sempre fatto parte delle storie e mai della realtà. Un silenzio panico era calato su quella parte di piana, e adesso tutti gli spettatori sapevano che quelle degli anziani non erano più solo storie.

Due immani ali piumate fuoriuscirono dalle spalle di Dedalione, che con un balzo spiccò il volo.

Intanto Abante era divenuto così grosso che le sue vesti e persino l’armatura non erano più state in grado di contenerlo. Egli aveva scaglie verdognole su tutti i suoi quasi tre metri di altezza e dalle sue robuste mascelle sporgevano due file di denti aguzzi. Dal posteriore faceva agitare sinuosamente una lunghissima coda.

La coscienza dell’uomo che fu un tempo si sentì onnipotente.

I suoi occhi gialli contemplarono la carne umana che aveva attorno. Con inverosimile agilità, si approssimò ad alcuni soldati e, spalancando le fauci fece guizzare una rosea lingua biforcuta con la quale agguantò un guerriero messeno per attirarlo a se.

La corazza di cuoio non trattenne la pressa del suo morso e i denti affondarono profondamente nel petto della vittima.

Abante fu meravigliato dalla facilità con la quale riusciva a dare la morte. Volle testare ancora le sue capacità.

Sguisciò tra le linee degli uomini con una rapidità incontrastabile. I lunghi artigli che fuoriuscivano dagli arti ne dilaniavano le armature penetrando nei loro punti vitali.

Con veloci spazzate di coda ne buttava a terra cinque per volta. I primi a subire l’impatto della sferzata si ruppero la spina dorsale.

Nessuno era al sicuro dai suoi attacchi, né i messeni né gli spartani. Erano tutte prede per Abante.

Non c’era modo di placare una simile forza. Entrambi gli schieramenti arretrarono attoniti. Alcuni uomini fuggirono terrorizzati.


Due mani artigliate agguantarono un paio di fuggiaschi. I due uomini videro il terreno sotto i proprio piedi farsi sempre più distante. Videro gli eserciti diventare sempre più piccoli fino a sembrare formiche e videro l’intero vallo che gli spartani stavano difendendo in un unico sguardo. Poi precipitarono.

Non soddisfatta, la creatura volante che li aveva afferrati si calò in picchiata su un gruppo di messeni in fuga travolgendoli e uccidendoli nell’impatto.

Dedalione, lo spartano mutato in volatile, era più piccolo di Abante, la sua altezza superava appena i due metri. Dalle sue spalle spuntavano grosse ali la cui apertura alare doveva superare il doppio della propria altezza. Al centro del viso aveva ora un adunco becco e il suo intero corpo era ricoperto di piume e di penne. I suoi rapaci occhi sottili fissavano l’uomo con l’elmo del falcone.

 

“Quale ironia per il Falcone Nero, essere destinato a perire per mano di un falco…Un vero uomo falco. Ciò che lui non sarà mai.”    La sua voce era stridula e lacerante, fin troppo fastidiosa.

 

“Sei diventato un falco adesso, questo è vero… Ma sei mai stato un uomo?” Rispose il condottiero dei messeni.

La mostruosità con la forma di falco stridette offesa e incominciò a battere fortemente le ali alzando un gran polverone.

La visuale del condottiero era molto limitata. Attivò il suo scudo e un’altra di quelle potentissime ondate d’aria spazzò via la polvere.
La vista che ottenne rivelò Abante, l’uomo rettile incombere su di lui con le sue zampe artigliate. Le sue mani immonde languirono lo scudo per un istante, prima che la bestia fosse investita in pieno dal getto di potere emanato da esso. Fu sbalzata di pochi metri, ma riuscì a cadere in piedi frenandosi al terreno con le sue grinfie.

 

Il Falcone avvertì poi uno spostamento d’aria alle sue spalle, e se non fosse stato per i suoi riflessi fulminei, sarebbe stato certamente squartato.

Invece in quella frazione d’istante si accorse di Dedalione e, voltandosi di scatto riuscì a parare l’attacco nemico e respingerlo di qualche metro, ma la foga con cui era stato colpito lo fece crollare a terra di schiena.

 

Abante dall’altra parte, si approfittò del momento per far guizzare la sua lingua contro l’uomo caduto. La protuberanza si appiccicò all’elmo del Falcone strappandoglielo via dalla testa.

Il muso di falco vibrò in aria come l’animale che rappresentava e poi crollò a terra emettendo un rumore metallico.

 

“Ero curioso di saperlo…” sibilò la creatura.

“È Dunque questo il vero volto del Falcone Nero” .

 

L’uomo, adesso divelto del suo avvolgente copricapo, si ricompose.

I suoi lunghi capelli biondo cenere erano smossi dal vento, gli occhi di identico colore attraversavano temerari il mostruoso muso del suo nemico: era Aristomene.

 

Si stagliava in piedi, da solo, tra i due mostri. Entrambi pronti a scattare su di lui.

Il temerario luogotenente del Falcone incominciò a vacillare. La sua testa si fece pesante, e avvertì il tocco della paura.  Si aspettava la venuta dei mostri. Sideris glielo aveva presagito in alcuni scritti che gli aveva lasciato trovare. Ma Aristomene, forte del suo scudo dai poteri epici, credeva di essere divenuto imbattibile. Ora, trovatisi davanti a quei mostri, non lo pensava più.

“In fondo, sei solo umano” Commentò Dedalione.

Una pioggia di frecce si abbatté sul corpo piumato del mostro. Quel tiro non gli procurò gravi danni, visto lo spessore delle penne che lo ricoprivano, ma uno dei dardi s’inculcò sotto il suo occhio, trapassandogli il volto.

L’essere si voltò furente stridendo in modo così acuto e stridulo da costringere tutti gli umani presenti a coprirsi le orecchie.

La seconda cavalleria dei messeni era giunta sul campo e aveva trovato il coraggio di opporsi al proprio destino.

“Affronta noi, bestia!” gridò Ischi, il comandante di quel plotone a cavallo.

 

Dedalione accettò la sfida e si abbatté furibondo su quei cavalieri. Ali nere incombevano sul loro schieramento. Gli equini imbizzarrivano, sotto le redini degli uomini che cercavano di mantenere il controllo. Il mostrò falciò l’intero reggimento atterrando una decina di soldati. Il comandante Ischi gli scagliò contro una lancia. La frenesia di quella situazione gli impedì di essere maggiormente accurato e l’arma colpì solo la spalla sinistra trapassandola da parte a parte.

 

La creatura ignorò il dolore e lo raggiunse in pochi attimi.

L’artiglio della sua mano destra agguantò il volto di Ischi, mentre con gli arti inferiori lacerava il collo della cavalcatura uccidendola tra atroci dolori.

Gli occhi del mostro Dedalione, ricolmi di un odio senza nome, si assottigliarono cercando di ghermire l’anima stessa della sua vittima assieme alla sua vita.

La testa di Ischi esplose.

 

Intanto Aristomene cercava di prendere in pieno l’uomo lucertola, facendo scaturire dal suo scudo scariche di pura energia che colpivano il terreno deflagrandosi.

Ma il mostro schivava e sguisciava, scansava ed eludeva ogni colpo riducendo sempre più le loro distanze. A cosa serviva un’arma tanto potente se non si era in grado di usarla? Si chiese Aristomene.

Giunto a un metro di distanza, il mostruoso Abante scatenò tutta la sua potenza in un colpo di coda discendente.


Il luogotenente rivoluzionario, con sorpresa del mostro, lasciò andare lo scudo che

era troppo ingombrante da permettergli movimenti fluidi, e con scatto fulmineo schivò il colpo.

La coda collise fragorosamente sul terreno e la spada dell’umano reagì con maggiore rapidità abbattendosi su di essa ma non prima di aver assunto un cupo colore grigio.  La coda del mostro venne tranciata di netto dalla spada divina del guerriero.

 

Abante ruggì di dolore. Con l’artiglio tentò di agguantare il suo avversario che di riflesso, si chinò eludendo e contrattaccando. Il mostro ruggì ancora di più quando si vide il braccio mutilato.

E Aristomene in preda alla furia si lanciò sul suo avversario lacerandogli tranci di carne e squame a ogni colpo. Questa volta era il mostro Abante a sentire il terrore, e con tutta la sua velocità si divincolò allontanandosi il più possibile dal pericoloso guerriero.

“Ora ho capito che questo scudo, per quanto formidabile, non è l’arma adatta per contrastarti” Disse.

 

Gli occhi spaventati di Abante si fecero beffardi e canzonatori. 

“Non pensare che sia finita, miserabile feccia”.

Ruggì ferocemente. I suoi occhi si dilatarono e sul muso spuntarono grosse vene.

Dalle mutilazioni inferte grondò vischioso sangue verde. Poi una nuova coda e un nuovo braccio si rigenerarono dagli orribili squarci.

Tutti gli spettatori dello scontro inorridirono, compreso il suo avversario.

 

Sei veramente un mostro” Commentò Aristomene con un ghigno. Non gli era sfuggito che il suo nemico aveva però il fiato corto a causa di quello sforzo, e che le lacerazioni sul corpo stavano continuando a sanguinare.

Aristomene era in difficoltà: nessuno dei suoi uomini poteva aiutarlo. E non solo per codardia, ma anche perché davanti a un simile avversario si sarebbero ritrovati di fronte a morte certa.

Intorno a lui i messeni avevano respinto gran parte degli spartani e la maggior parte era ferma al limitare dell’area del duello per assistere allo spettacolo. Altri stavano ancora muovendo battaglia contro le file lacedemoni. Ma un piccolo gruppo di spartani era rimasto e lo stava fissando imperscrutabile. C’era un uomo in mezzo ad altri tre  che trucidavano qualsiasi messeno provasse ad avvicinarsi a lui. Era l’uomo che aveva ordinato alla lucertola e al falco di attaccare. Probabilmente doveva essere il più pericoloso sul campo.

L’uomo lo guardava come un lupo fissa la sua preda. Aveva mandato i suoi lacchè solo per testare le capacità di Aristomene, e di questo lui se ne era accorto.

Il finto Falcone Nero era un bersaglio succulento per quei mostri ed era certo che se la battaglia fosse durata troppo, il misterioso spartano l’avrebbe conclusa in fretta.

 

Aristomene era agitato.

Una goccia di sudore freddo calò lungo le tempie: era solo.

Se solo Sideris fosse lì sarebbe stato certo della vittoria, anche se quei mostri lo avessero attaccato tutti insieme. Ma se anche i suoi vecchi compagni come Cercione, Almo o Oreste lo avessero affiancato, avrebbe avuto certamente più possibilità.

Ma adesso doveva pensare a finire quello scontro il più presto possibile o sarebbe stato sopraffatto dalla foga di quei mostri.

 

Raccolse il suo scudo e incominciò a correre verso Abante. Una lancia si schiantò sul terreno davanti a lui, a pochi centimetri dalla sua faccia.

Dedalione era in aria. Aveva trucidato da solo un intero plotone di cavalleria e ora stava scagliando dall’alto tutte le lance dei cadaveri.

 

Aristomene non si fece distrarre. Cambiò direzione e continuò a correre verso il suo nemico.

“Devo essere preciso” pensò.

Basta un piccolo errore, e sono morto.”

Si scansò evitando il colpo di un’altra lancia. Roteò su se stesso e, ingaggiato il bersaglio, scagliò contro di lui il proprio scudo magico.

L’oggetto era veloce e puntava al collo dell’uomo lucertola.

Ma il mostro Abante lo era di più. E abbassandosi rapidamente riuscì a evitare la decapitazione.

“E’ LA MIA SPADA CHE DEVI TEMERE, MOSTRO!”

Urlò il signore dei messeni agitando la sua lama permeata di potere grigio.

 

Abante fece guizzare la sua oblunga lingua che si incollò al polso del nemico bloccandoglielo.

Aristomene non riusciva più a muovere la mano.

“Ti ho preso, finalmente”  Dichiarò la lucertola facendo schioccare la mandibola e preparandosi al pasto imminente.

“No. Io ti ho preso!”

 

Buttandosi di lato, Aristomene schivo una delle lance scagliate da Dedalione, e al contempo costrinse Abante a flettere la testa nella stessa direzione.

 

“Sono stato impreciso con quel lancio, ma  ho vinto lo stesso.” dichiarò l’umano.

La lucertola non capì. Poi la sua testa fu dilaniata di netto all’altezza della mandibola

da un disco dietro di sé.

 

Lo scudo magico aveva cambiato direzione nel volo ripercorrendo quello stesso tratto e decapitando il mostro.

 

L’oggetto collise inculcandosi al terreno.

Rigenera questo!” commentò sprezzante.

 

Aristomene senza perdere tempo lo riprese, puntando il mostro volante che lo bersagliava dall’alto…Troppo in alto per essere colpito dalle onde d’aria del suo scudo.

 

Agendo d’istinto, l’uomo diresse lo scudo nella parte opposta rispetto alla posizione del suo avversario.

La velocità con cui venne sbalzato in aria fu così elevata che Dedalione fu incapacitato a reagire. Sbigottito… fu colpito in pieno da quel proiettile umano, a venti metri da terra.

Arrivato al culmine di quella salita, l’umano incominciò a precipitare. Ammorbidì l’aria col suo scudo per rallentare quella caduta.

 

“Tu sei già morto.”

 

Metà testa dell’uomo falco scivolò dalla sua posizione. Poi il resto del corpo la seguì, sopraffatto dalla forza di gravità, sfracellandosi al suolo.

 

 

 

Parentesi anacronistiche 8:

Armamentario 5: La coda di Cercione.

 

Un’installazione composta di materiali nanorod (o iperdiamante) che comprende un cinturone ricoperto nella parte posteriore da minuscoli aghi che attecchiscono alla spina dorsale per captare i neurotrasmettitori attraverso cui la grossa coda può muoversi e ruotare a comando dell’utilizzatore come fosse un muscolo volontario con articolazioni mobili.

 

 

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Capitolo 23
*** La battaglia di Deres (p2) ***


“La nostra difesa non reggerà ancora a lungo…Ma moriremo con le armi in mano! Il mio unico rimpianto è di avere così pochi uomini da sacrificare per la gloria di Ares, nostro dio!”

Disse il polemarco Anassandro, comandante assoluto degli spartani sul campo, preparandosi a combattere.

“Ares non potrà punirci una volta che saremo morti… Neppure Castore e Polluce avrebbero potuto vincere contro un nemico così numeroso." 

Commentò Anassidamo con la spada tratta restando a guardare l’infuriare della battaglia davanti a se.

 

Il comandante Tirteo, noto per fomentare gli animi nelle battaglie, intonava il suo ultimo canto di guerra sotto una pioggia di frecce che investiva il suo intero contingente.

A centinaia erano gli uomini caduti sotto le lance e le spade dei suoi spartani. Ancora a centinaia continuavano ad attaccare accumulando pile di cadaveri. C’erano sei messeni morti per ogni spartano caduto.

 

Una contadina messena trafitta in grembo da un soldato spartano stava strillando di dolore.  Un giovane come lei la teneva tra le braccia.

Bissa, sorella, non ti agitare…Alone ti curerà vedrai. Andrà tutto bene.”

“No Eumelo…Sto per morire. Ma prima, voglio scoprirlo…Voglio vedere cosa si prova a volare.”

“Bissa, tu… Ci eravamo promessi di farlo tutti insieme, nella nostra casa, per fuggire lontani da questa miseria.”

La donna carezzò il volto del fratello piangente.

“Ormai è troppo tardi. Prenditi cura dei nostri fratelli Meropi e Agrone.”

Detto questo, la donna ritrasse la mano pervasa da tremiti. I suoi occhi si rigirarono e cominciò a schiumare: stava per trasformarsi. Il fratello spaventato arretrò.

 

Le braccia della donna crebbero in lunghezza trasformandosi in ali e su tutto il corpo spuntarono piume bianche. Il volto mutò e al centro di esso comparve un adunco becco. I suoi piedi erano divenuti lunghe zampe di uccello. Era divenuta una donna gabbiano.  A differenza di Dedalione, l’uomo falco, però, aveva dovuto sacrificare le braccia in cambio delle ali e le sue dimensioni non erano aumentate.

 

Il nuovo mostro guardò suo fratello con un ultimo barlume di affetto e poi prese il volo.  Atterrò sulla testa di uno degli spartani e con i grossi artigli gli cavò entrambi gli occhi. L’uomo con le orbite sanguinanti crollò a terra esanime.

La rapidità della donna gabbiano era tale da non poter essere anticipata facilmente. Con la medesima facilità, saltò sulla testa di un secondo guerriero e poi un terzo mettendo in atto lo stesso meccanismo di morte.

Quando colpì anche il comandante Tirteo, l’abilità di quest’ultimo gli permise di sferrarle una veloce falciata al petto.

La donna mostruosa gli fece volare l’elmo dalla testa e cominciò a sferrargli furiose beccate al volto fino a farlo cadere a terra. Anche una volta che fosse morto, il volatile continuava a martoriare il suo cadavere per vendicare i genitori e tutti gli amici trucidati in battaglia.

Poi una lancia la trafisse da parte a parte, seguita da una seconda.

Bissa stramazzò al suolo e nel riflesso dei suoi occhi c’erano i suoi fratelli, urlanti e disperati per il suo triste destino.  Morì felice per avere almeno vendicato i suoi morti.

 

 

Da un’altra parte della battaglia il nerboruto Dafni aveva portato alla vittoria il suo schieramento e adesso teneva tra le mani la testa del comandante spartano Emperamo, strappata dal collo con la sola forza delle sue braccia.

Con un urlo più di bestiale compiacimento che di trionfo lanciò la testa verso i suoi uomini come ricompensa della battaglia. La folla, nel delirio della vittoria seguì il suo grido.

Intorno a lui i messeni, com’era presumibile dal loro numero, avevano massacrato ogni oplita fino all’ultimo. Nessuno tra i loro nemici, infatti, aveva abbandonato il campo di battaglia. Per gli eroici spartani non esisteva il significato della resa.

Quando in una determinata zona udì degli schianti terribili, il grosso pastore Dafni vi si diresse per capire da cosa fossero provocati.

Facendosi strada in una fitta folla di iloti, vide davanti a sé il prode signore della guerra Aristomene ricoperto di sangue in mezzo ai cadaveri di creature mostruose: un uomo rettile e quello che sembrava un falco.

Tutti intonarono il nome del generale. Veniva epitetato come “Lo sterminatore di mostri”.

 

Lo spartano Leneo arricciò il naso.

“Pensavo che la loro trasformazione fosse migliore di così, non credevi Cisso?”  Si rivolse a uno degli spartani alle sue spalle.

“Non tutti hanno ricevuto il nostro stesso privilegio, Leneo. Loro non erano altro che abomini, mentre noi manteniamo le nostre fattezze umane…”

Leneo guardò gli altri due. 
“Non esitate allora! Anche voi:
Marone, Astraio.  Attaccate il Falcone e prendetelo vivo. Gli mostreremo quanto è stato stupido a esporsi in questo modo.”

 

I tre spartani avanzarono a passo deciso verso Aristomene. L’uomo era fin troppo stanco e provato per un altro scontro ma in palio c’era la sua vita. Si mise in guardia.

“Fermatevi!”

Fu Dafni a gridare frapponendosi tra loro e il suo comandante.  Leneo e i suoi uomini lo guardarono con sufficienza.

 

“Colui che state per attaccare non è il Falco! Si è presentato a noi messeni come Aristomene, un araldo degli dei, pronto a guidare il nostro popolo alla salvezza. Ha strappato quell’elmo dalla testa di Sideris in persona, e ci condurrà da quello vero per catturarlo e consegnarlo all’Olimpo!”

Gli interlocutori parvero sorpresi. Aristomene non aggiunge una parola. Leneo alzò lo sguardo verso l’uomo dallo scudo magico.

“Se ciò che dice il tuo luogotenente è vero, perché hai attaccato gli spartani?”

Il capoguerra degli iloti si prese qualche istante prima di rispondere pesando bene ogni parola che avrebbe dovuto dire. Come nel caso della battaglia precedente, un singolo errore nella formulazione avrebbe significato la morte.

Camminò verso quei quattro nemici.

 

Spartani?... Messeni? Che significato ha la politica di fronte all’annientamento?

Ho indossato questo elmo per diventare il più grande bersaglio di tutta la Grecia. Voglio che ogni esercito del mondo giunga innanzi alla mia armata per scontrarsi con essa. A ogni battaglia, solo i più forti sopravvivranno. Costoro faranno parte della razza eletta e con loro giungerò fino al vero Sideris! Egli sarà catturato e tutti noi saremo salvi dall’ira degli dei.”

Aristomene pronunciò quelle parole con decisione. In contrasto con l’inquietudine e la paura che teneva dentro.

 

Cisso guardò gli altri due, e poi il suo leader. Sembrava che quelle parole li avessero convinti. 

Leneo si leccò la bocca, segno che fosse realmente compiaciuto.  

Dunque, ci condurrai dal Falcone?”

Aristomene annuì.

“Sai, questa tua idea di far sopravvivere solo i più forti per creare una razza eletta mi piace… Mi piace davvero tanto. Scommetto che tu ed io diverremo grandi amici…

E in onore della nostra amicizia ho deciso di risparmiarti…”

 

Tutti gli astanti restarono assorti nelle sue parole cercando di capire dove volesse andare a parare.

“Ma per quanto riguarda tutti gli altri... Beh ho i miei dubbi  che possano tutti far parte di una razza eletta. Cisso tu che ne pensi?”

Il lacchè sorrise, sapeva che di lì a poco ci sarebbe stato da divertirsi: 

Penso che la mia lama sia stata asciutta per troppo tempo.”

“E allora perché non mettiamo alla prova questo esercito? Vediamo chi merita di vivere e chi di morire!”

Il volto del generale messeno s’incupì. Aveva capito cosa stava per succedere e non gli piaceva affatto. Cercò di placare l’istinto bestiale di quei mostri.

“Gli uomini sono già stati sorteggiati durante questa battaglia. È inutile spargere altro sangue.”

 

Ma gli occhi di Leneo s’erano già riempiti di un male fuori dal mondo, e tutti i suoi soldati avevano ascoltato il messaggio che traspariva da essi.

Marone e Astraio saltarono in direzioni diverse. Se un grillo avesse avuto dimensioni umane avrebbe compiuto lo stesso balzo fatto da loro, di una trentina di metri.

Il loro corpo era rimasto tale e quale ma dalla loro testa erano fuoriuscite grosse corna da caprone e i loro occhi erano rossi come sanguigne gemme dalle cave degli inferi.

Le loro spade si muovevano con una velocità folle lambendo uomini, donne e fanciulli senza alcuna pietà. Tranciavano mani e piedi come se fossero burro. Si infilavano nei punti scoperti dall’armatura spartana per scovare la vita nel corpo degli uomini ed estirparla via di netto.

Uno dei guerrieri messeni fu facilmente atterrato con un calcio e la sua testa spappolata sotto i piedi di Astraio.

 
Anto!! Nooo!”  Gridò uno degli uomini poco lontani e nella foga cominciò a mutare.

Acantide, vuoi trasformarti adesso? Davanti a tutti?  Chiese una giovane che gli si era affiancata

“Sì Acanto…Ormai… È l’unico modo…”  Urlò lui rosso in volto.

“PER SOPRAVVIVERE”  La sua voce si fece stridula.

 

La fanciulla si rivolse a due ragazzini. “Erodio, Scheneo facciamo quella cosa adesso”.

 

I tre incominciarono a seguire l’esempio del fratello maggiore, Acanto. Dalle braccia dei fanciulli si spiegarono delle ali piumate e il loro intero corpo divenne, come accaduto ad altri, quello di un uccello.

La mutazione della ragazza fu differente: su tutta la sua pelle fuoriuscirono delle spine, gli arti si allungarono a dismisura assumendo una pigmentazione verde, tra i suoi capelli sbocciarono fiori e le sue dimensioni triplicarono.

“Bene. Sembra che voi siate già stati prescelti! Sarete risparmiati.” Sentenziò il cornuto Astraio, procedendo verso altra carne da macellare.

 

In un’altra parte della piana, l’allevatore Atteone, assistente del pentecotarco Cianippo il quale poco prima di morire aveva ordinato la carica dei molossi, stava cercando disperatamente i pochi mastini che erano riusciti a scappare dopo il primo attacco. Era lui a dar da mangiare ai cani. L’uomo, i cui lunghi capelli neri gli arrivavano a toccare i fianchi, era un amante della natura e si era sempre opposto al trattamento spietato cui erano sottoposti i suoi cuccioli.

E, infatti, i forastici molossi si dimostrarono subito mansueti sotto i riguardi di quel curioso individuo, che con somma benevolenza li aveva acquietati.

 

All’improvviso alcuni cani cominciarono a ringhiare. Da quella direzione in mezzo a un centinaio di cadaveri, completamente ricoperto di sangue, un essere dagli occhi rossi e le corna caprine lo stava fissando. Gli iloti terrorizzati attorno a lui stavano fuggendo sparsi. Il mostruoso spartano Marone stava per incombere su di lui.


“Anche tu sarai messo sotto esame! Non credere di salvarti solo perché sei di Sparta!” Disse, correndo in quella direzione con la velocità di un cavallo.

Appena entrò in quello che i cani ritenevano essere proprio territorio, fu azzannato alle gambe e al braccio con cui teneva la spada da tre di quelle belve.

Come se il bestione che lo aveva addentato non avesse peso, agitò il braccio destro per mutilare gli altri due con la lama, e con il sinistro agguantò la bestia e la scaraventò sul terreno con tanta foga da spaccargli il cranio.

 

A quella visione Atteone s’infuriò.

Il suo urlo di rabbia fu udito per tutto il vallo. La sua voce era bassa e profonda. Sempre di più.

Le sue gambe si riempirono di peluria e crebbero in dimensioni. I suoi piedi si staccarono e al loro posto emersero dei grossi zoccoli. L’espansione del suo corpo fu tale che la sua pelle si staccò e, da sotto di essa, ne emerse un’altra più robusta e resistente. La sua muscolatura si compattò mostrando un corpo così solido e possente da non poter essere umano. E dal capo dei suoi tre metri di altezza, emersero delle magistrali corna ramificate: grossi palchi ossei che ricordavano quelli di un cervo.

  

Davanti a quella vista Marone si bloccò.

“Ma che sorpresa. Non sei un uomo come gli altri. Vorrà dire che ti risparmierò la vita.”

Ma nel momento in cui gli voltava le spalle, l’uomo cervo lo incornò con una tale potenza da farlo rotolare a terra per diversi metri.

 “MA IO NON RISPARMIERO’ LA TUA!”

 

Un uomo normale si sarebbe rotto tutte le ossa, ma Marone si rialzò come niente.

“Sciocco! Ti sei appena giocato l’unica possibilità di sopravvivenza che avevi.”

Leneo si leccò la bocca.

“Questi iloti sono troppi. I miei uomini, per quanto potenti, nel giro di alcune ore possono ammazzarne appena qualche centinaio…Anche meno se si mettono a scappare in questa maniera, ma non basta. Dobbiamo ucciderne molti di più, tu non credi Cisso?”

 

“Signore, mi è venuta una fantastica idea.” Rispose il suo depravato sottoposto. “E se proponeste ai messeni di guadagnarsi la propria vita uccidendo i propri compagni?”

Leneo sghignazzò. “Oh, ma che bel gioco! In questo modo faranno da soli il lavoro sporco. Mi piace…Mi piace moltissimo! Quanti ne saranno rimasti? Centoventimila? Dovranno essere molti di meno!”.

 

Guardò le migliaia di iloti che lo circondavano, alcuni anche a diverse leghe di distanza. Socchiuse gli occhi, raccolse l’aria nei polmoni e poi gridò come nessun umano sarebbe stato in grado di fare, per essere certo che tutti potessero arrivare a sentire le sue parole.

Aristomene e Dafni che si trovavano a pochi metri di distanza, dovettero tapparsi le orecchie per attenuare quell’intensità sonora. Cisso non si scompose.

 

“STATEMI BENE A SENTIRE ILOTI, E ANCHE VOI SPARTANI SOPRAVVISSUTI! VI OFFRO UNA CHIAVE PER ENTRARE A FAR PARTE DEL NOSTRO POPOLO ELETTO.

SE VOLETE SOPRAVVIVERE, OGNUNO DI VOI DOVRA’ UCCIDERE TRE…NO, CINQUE, CINQUE PERSONE A CASO!

E A TESTIMONIANZA DI CIO’, PORTARMI LE LORO LINGUE!

CHI RIESCE NELL’IMPRESA, CON ANCORA LA PROPRIA LINGUA IN BOCCA, NON AVRA’ PIU’ NULLA DA TEMERE DA ME O DAI MIEI UOMINI!”

 

ma signore, però…E se provassero a ingannarci strappando le lingue di quelli che sono già morti?”

Per gli dei, hai ragione! …Beh lasciami puntualizzare una cosa.” Leneo riprese di nuovo fiato e poi gridò nuovamente.

“SE PROVATE A STRAPPARE LA LINGUA DA UN CADAVERE, SIA ESSO QUELLO DI UN UOMO, DI UN CAVALLO O DI UN CANE, IO LO SAPRO’ E VERRO’ A MANGIARVI IL CUORE!”

Cisso era confuso.

“Signore ma…Avete la capacità divinatoria di venirlo a sapere?”

“No” Sorrise Leneo. “Ma loro che ne sanno? Se nonostante tutto vorranno disubbidirmi allora per il loro coraggio è giusto che siano risparmiati.”

Cisso rise. “Signore. Siete davvero incredibile!”

 

“E adesso non perdere tempo! Anche tu sei nel gioco, vecchio mio. Vammi a prendere cinque lingue. Comincia da quel grassone laggiù. Ma ricorda che Aristomene non si tocca.”

Cisso non se lo fece ripetere e con un salto raggiunse Dafni, “il grassone”. Le sue spade si abbatterono sincrone su di lui, rapide come la folgore. I vestiti del bersaglio furono dilaniati, come la sua pelle. Ma oltre ad essa le lame trovarono una resistenza così solida che non si poteva trattare del corpo di un semplice umano.

 

Le mani villose di Dafni bloccarono quelle dell’aggressore. La sua stretta era forte, e lo diveniva sempre più. Il tratti del suo volto si fecero sempre più curvi e stilizzati e poi le lame stesse che erano entrate superficialmente nella sua carne si frantumarono.

I vestiti si strapparono, l’armatura esplose e l’uomo, massiccio oltre l’incredibile, restò nudo. Il colore del suo corpo era grigio e solcato lungo la muscolatura in modo così evidente che sembrava fatto di pietra. Effettivamente: era diventato di roccia.

 

Dafni tirò fuori la lingua.

“Ecco la mia! Vienila a prendere.”

 

“Anche tu dunque sei uno dei prescelti!”

 

Cisso gli saltò con le gambe al petto facendo leva per liberarsi da quella stretta. Ma non bastava. I suoi polsi erano bloccati all’interno di una morsa strettissima. Era come se fossero schiacciati sotto una tonnellata di pietra.

Allora gli si attorcigliò al collo con entrambe le gambe, ma quella stretta non era abbastanza salda da vincere la sfida della pietra.

 

Leneo sorrise nel vedere il subordinato in difficoltà. Cisso era forte, ma finire in lotta con quell’uomo di roccia rappresentava una grande sfida anche per lui.

Tuttavia, così come l’energumeno aveva sorpreso tutti nella trasformazione, anche il suo avversario avrebbe fatto lo stesso.

 

Sia gli arti che il collo di Cisso si allungarono in modo inquietante. Si stava lentamente attorcigliando attorno al gozzo del suo nemico aumentando la stretta del suo cappio.

I polsi schiacciatigli da Dafni non sembravano dolergli poi tanto. Era come comprimere una superficie elastica. Le sue dita si riarrotolarono sui polsi del nemico, avvinghiandoglisi addosso e andando a ribaltare la situazione.

 

Alla fine anche l’uomo di roccia dovette cedere a quella morsa pazzesca. Lasciò andare la presa, e crollò di schiena al suolo.

Un uomo normale sarebbe esploso, un mostro probabilmente sarebbe rimasto strangolato. Ma la consistenza del corpo di Dafni era così solida che gli permise di sopravvivere.

 

“Cisso! Lascialo andare. Ha superato la prova, nonostante tutto. Ci serviranno guerrieri come lui.”  Decise Leneo.

Il sottoposto eseguì.

Intanto, ovunque sulla piana, gli iloti, in preda al terrore di quei mostri letali, avevano cominciato a mettersi l’uno contro l’altro. Dapprima sfociando in piccole risse. Poi qualcuno estrasse il coltello e fu vera battaglia… O un monumento al massacro.

Non c’erano regole, né gruppi, né certezze dietro quegli attacchi. Solo la foga folle e disperatissima di strappare le lingue ai propri fratelli, prima di essere ammazzati.

 

E nel mezzo di quegli scempi, l’abnorme uomo cervo Atteone incalzava ferocemente su Marone facendolo sbalzare da una parte all’altra. Le spade del guerriero non ressero contro le corna del mostro. Era rimasto a mani nude, come d’altronde era il suo avversario.

Marone balzava da una parte all’altra evitando i molossi che gli correvano dietro con la bava alla bocca e, di tanto in tanto, prendendone qualcuno per una zampa e strapparlo a metà come se fosse stata solo una stoffa lacera, facendo infuriare maggiormente Atteone.

Le traiettorie dei balzi di Marone erano divenute così imprevedibili che neppure il cervo riuscì a tenerlo sotto controllo.

Fino a che in un momento di distrazione, Atteone si trovò un braccio al collo che lo trascinò all’indietro facendolo cascare.

 

Sei solo un aborto!  Disse Marone strangolando la sua vittima.

“…Un esperimento delle divinità, prima che generassero NOI. I veri eletti!

Più veloci, più forti, più resistenti senza perdere la purezza di un essere umano!”

 

Una freccia, diretta da una certa distanza, colpì Marone al collo senza però inculcarsi troppo in profondità.

Voglio prendere la tua di lingua, brutto bastardo!” gridò il guerriero che aveva serbato il tiro: Androclo, luogotenente di Aristomene. Camminava senza paura verso lo spartano mostruoso, incoccando un’altra freccia al suo arco.

La seconda lo colpì in petto.

“Avete creato il caos! Vi siete serviti della paura per metterci uomo contro uomo!”

Marone attese che l’uomo cervo nella sua stretta perdesse i sensi, per alzarsi in piedi e incombere verso il folle umano che lo stava arrogantemente sfidando.

Una terza freccia lo colpì in petto, ma il mostro cornuto non temeva nulla dalle armi di fattura umana, e non perse nemmeno tempo a coprirsi.

Semplicemente: camminava verso Androclo, come follemente stava facendo anche lui.

 

…E voi un tempo vi definivate uomini come noi? Con che coraggio?!” Sferrò una quarta freccia che lo colpì sul torace, e adesso si trovava a pochi metri dall’essere cornuto.

Quest’ultimo alzò il braccio pronto a strappargli il cuore dal petto, e probabilmente Androclo era pronto a morire in questo modo.

Marone fu spazzato via da una forza inarrestabile che non si riuscì a definire.

 

Zanne elefantine gli avevano passato il petto da parte a parte inculcandolo a terra. Grigi tentacoli fuoriuscenti da una bocca infernale, gli avevano afferrato il volto infilandovisi in ogni orifizio. E giganteschi artigli gli sprofondarono in profondità nella carne.

Un mostro sbucato dalle profondità degli inferi aveva ucciso Marone sul colpo, e lo stava divorando. Poi alcuni cani gli si avvicinarono scodinzolanti.

Atteone riprendendo il fiato da quello scontro riconobbe il suo odore. 

“Leone! Sei tu, bello?”

Il mostruoso quadrupede si girò tirando fuori un’invereconda lingua venosa che sembrava più un grosso verme viola, dal quale vi uscì un serpente munito di denti affilati. Emise un verso sibilante che sembrava compiacimento.

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Battaglia di Deres:

 

Messeni (iloti):

[numero combattenti: 200 000]

[perdite: 80 000]

 

 

Comandante supremo: Aristomene

Comandanti di fanteria:  Androclo, Alone, Dafni (mutante: uomo di roccia)

Comandanti di cavalleria: Alettore, Ischi

 

Altri:

Anto

Mutanti:

Bissa (gabbiano), Eumelo (corvo) , Meropi (civetta) , Agrone (piviere)

Acantide, Erodio, Scheneo (cardellini), Acanto (Acanthus –pianta spinosa-)

 

Spartani (+elidi)

[numero combattenti: 13 000]

[perdite: 11 000]

 

Comandanti supremi spartani(Polemarchi): Anassandro, Anassidamo

Capitani spartani: Leneo, Emperamo, Tirteo

Pentecotarchi: Cianippo  [addestratore di cani]

Comandante supremo degli elidi: Re Enomao  

 

Altri:

Mirtilo (auriga di Enomao)

 

Mutanti:

Abante (lucertola) , Dedalione (falco)

Super uomini:

Cisso (edera), Marone, Astraio

 

Atteone (cervo)

Leone (cane mostruoso)

Parentesi anacronistiche 9:

Armamentario 6: Lo scudo di Aristomene

Lo scudo è in grado di generare un potente campo elettromagnetico. Impiega gli impulsi dell’energia elettrica per creare uno scudo esterno e invisibile in grado di resistere agli attacchi più devastanti.
Nell’armatura è incorporato un dispositivo noto come supercapacitatore che trasforma il pezzo di armatura in cui è installato, in una batteria gigante. Quando si percepisce una minaccia, l’energia accumulata nel supercapacitatore viene scaricata sulla superficie metallica producendo il campo elettromagnetico. In quel momento si genera un campo di forza che non potrà essere attraversato da nessun corpo esterno.  Il suo limite però sta nel fatto che il campo  non dura più di un secondo.
Il supercapacitatore impiega poi alcuni secondi per ricaricarsi, e in quel momento lo scudo risulta essere “indifeso”.

 È possibile attivare il campo di forza anche in modo manuale, tramite alcuni pulsanti posti dietro lo scudo, al fine di plasmarne il raggio d’azione entro cui lo scudo deve agire.

Nella modalità –ombrello-  il campo di forza copre un’intera area di un diametro fino a venti volte quello dello scudo (come utilizzato da Aristomene contro la prima pioggia di frecce).
Oppure nella modalità intensiva il campo di forza viene caricato in termini di densità, e quindi di spinta (come utilizzato da Aristomene per balzare in aria raggiungendo l’uomo falco).

A seconda di quanto viene caricato, il tempo di recupero può aumentare.
Oppure è possibile concentrare il campo di forza in una sfera e spararla come fosse un proiettile. L’impatto è devastante ma la gittata è scarsa.

 Lo scudo è composto di kevlar e altri materiali super-leggeri ed estremamente resistenti che guadagnano in usabilità.  È progettato anche per essere lanciato. Lo scudo per risultare ancora più letale attiva automaticamente un campo di forza rotazionale attorno alla sua circonferenza, che lo rende estremamente affilato. Dopo una certa distanza, lo scudo torna indietro come un boomerang.

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Capitolo 24
*** Fumi di guerra ***


“Noi non prestammo alcuna attenzione alle antiche profezie.

Come dei folli ripiombavamo nelle vecchie diatribe e combattemmo così come avevamo fatto per generazioni, fino al giorno in cui i mostri infernali si rivelarono dalle oscurità entro cui s’erano annidati e il nuovo nemico venne tra noi.

E ora siamo qui sull’orlo della distruzione, poiché il regno del caos, infine, è arrivato.

I racconti degli anziani erano veri. Le leggende erano reali. I demoni esistono e ora stanno venendo a prendersi il mondo che hanno sempre agognato: il mondo degli uomini.”

 

“La battaglia di Deres fu una delle più sanguinose che il mondo avesse mai ricordato sino a quel giorno.

Centinaia di migliaia di persone erano state osteggiate da pochi. Nell’aria riecheggiava rimbombante una voce grottesca che parlava con la lingua degli uomini.

 Fu terrificante quasi come quel giorno…Quando il cielo si plasmò a immagine di Zeus, e terribili lampi colpirono la terra, trasformando il nostro mondo in una valle di lacrime.

La voce grottesca ricattò gli eserciti che si davano battaglia:  disse che avremmo potuto salvarci da quell’incubo se gli avessimo portato cinque lingue, strappate da altrettante bocche di esseri umani.  Dovevamo strapparle quando essi erano ancora in vita, suppliziandoli, in caso contrario i mostri ci avrebbero punito.”

 

La morte dei nemici aveva infine illuminato il popolo eletto. Coloro che si erano distinti erano ritti sulle proprie gambe, stringendo tra le mani i loro macabri trofei…Tutti gli altri giacevano a terra morti e senza lingua serviti come banchetto per i corvi.

I vivi erano poco più di quindicimila. Era stato un genocidio. E ora, Messeni e Lacedemoni, che fino a poco prima combattevano tra loro, si mescolavano assieme come un’unica armata. 

Adesso diverse fiumane di gente erano in attesa davanti ad alcune tende spartane, dentro le quali altrettanti di quei mostri, come solerti burocrati, controllavano una per una le lingue donate, che avrebbero svolto la funzione di chiave per entrare nel popolo prescelto.

Ci si sarebbe dovuti limitare a cinque lingue, ma, poiché gli uomini sono depravati, avidi e sanguinari e i loro bisogni illimitati, alcuni ne palesarono più di venti per mostrarsi da subito più degni degli altri. Ma ciò che risultò strano fu che gli spartani, i guerrieri più forti di tutti, nati per la battaglia, si limitarono tutti a presentare il minimo richiesto.  Furono gli iloti, i miserabili servi, a macchiarsi più del dovuto del sangue dei loro stessi fratelli, poiché non sarebbero mai riusciti a rubare la lingua agli odiati nemici lacedemoni.

 

Leneo, il nuovo generale, si leccò le labbra dall’eccitazione nel vedere così tanti premi.

“Guarda Aristomene…  disse al comandante dei messeni indicando alcune mostruosità ricoperte di penne e piume, esseri che avevano mutato le proprie sembianze pur di sopravvivere e che ora camminavano affiancando gli umani nella stessa armata.

“…A me piace la meritocrazia, e adesso possiamo dire di aver portato alla luce il vero popolo eletto.”

Cisso, il pupillo di Leneo, entrò di gran lena dentro la tenda superando tutti gli altri, e fece rotolare due teste: erano i due Polemarchi e generali supremi dell’esercito spartano Anassandro e Anassidamo. Quei mostri avevano trucidato i loro stessi superiori.  Agivano realmente per compiacere Ares?  Aristomene non ne era più sicuro. Erano diventati una scheggia impazzita preda della propria follia. Un nucleo dedito al solo terrorismo. 

Dai a degli uomini un po’ di potere ed essi faranno di tutto per ottenerne dell’altro e annientare i più deboli.

L’uomo, Aristomene, rabbrividì, ora veniva la parte più difficile: andare a caccia del Falcone Nero e annettere al proprio esercito tutti coloro che, secondo la logica perversa di Leneo, sarebbero stati degni. 

Era piano del Falcone quello di fare in modo di far credere a tutti di essere lui. Aristomene lo aveva seguito alla lettera indossando il suo elmo. Ma adesso? Anche quell’inconveniente era previsto?

 

Guarda Aristomene” lo ridestò il generale supremo Leneo.

“Adesso possiamo anche setacciare il mondo dal cielo.”   Disse indicando le umanità mutate che ora erano ricoperte di penne e piume ed erano dotate di possenti ali spiegate. La pelle sulla faccia era segnata da una mascherina rossa che li caratterizzava ulteriormente come specie. Sembravano cardellini.

“Seguimi” disse l’anziano.  Era nudo, calvo, la pelle madida di una sostanza lucida e divelta da ogni peluria. Proseguì arrancante verso le oscurità di un corridoio.  
Per terra c’erano tubolari ovunque e le pareti apparentemente di metallo sembravano l’allucinante confine di un incubo: piene di leve, manopole e specchi per altri mondi.
Una donna, ugualmente nuda, calva e nelle stesse condizioni dell’altro, lo seguiva a pochi passi.
“Vogliamo farlo veramente? Saremo puniti per questo. Già quello che abbiamo fatto potrebbe portarci alla morte, lo sai?”
Disse scansando con un piede il corpo esanime di un essere apparentemente umano, ma il cui buco in testa rivelava ingranaggi e parti che non avevano nulla di organico.

“Non ha importanza. Sarebbe molto peggio se non agissimo in fretta invece poiché il nostro sogno morirebbe assieme a questo pianeta. E poi…Noi non moriremo per questo.”
Dopo aver percorso una certa distanza, i due anziani giunsero verso un enorme finestra da cui poterono contemplare il mondo. Era meraviglioso, ricoperto dagli oceani e avvolto dal suo manto di pallidi effimeri nembi.
“Bellissima” commentò la donna, mente l’uomo agitava un marchingegno facendo balenare lambi purpurei contro gli esseri che erano seduti su delle sedie davanti ad alcuni pannelli.

L’uomo si avvicinò alla finestra, contemplando la meraviglia della vita che affiorava da fuori di essa, in contrasto con la non-vita che aveva spento poco prima e che dominava dentro ognuna di quelle stanze.
“Vogliamo farlo?”
“Facciamolo insieme!”
I due umani spinsero assieme una leva rossa e, illuminati dalla luce riflessa del corpo celeste, si abbandonarono in un bacio appassionato. La stanza in cui si trovavano fu illuminata da lampi rossi e fu scossa da un terremoto.

Il re di Sparta Aristodemo sedeva sul suo scranno di legno a capotavola, nella sua terrificante figura corazzata di piastre placcate d’oro e d’argento. Il cielo dell’Agrolide, sotto cui si trovava era placido e sereno. Il sovrano teneva con un unico sguardo tutti i sovrani dell’intera Grecia.

I più importanti gli stavano attorno: Acrisio signore di Argo; Creonte sovrano di Tebe; Re Pandione di Atene Ialiso signore di Rodi e i suoi fratelli Lindo e Camiro.

C’erano poi vari altri sovrani minori:  Meandro re di Pessinunte;  Ditti, signore dell’isola di Serifo; Epito, re di Arcadia; Liparo eponimo re dell’isola di Lipari;

Enopione signore di Chio, re eete dalla Colchide, Mane di Frigia e Idamante da Creta.

Tutte queste autorità riunivano insieme una grande armata di oltre centomila uomini.

 

“Sovrani di tutta l’Ellade, siete stati qui riuniti per volere dell’Olimpo!  I rivoltosi che da tempo immemore sporcano la nostra bella terra, ora si sono fatti avanti.  Nel Peloponneso, su tre campi differenti, si sono mostrati altrettanti uomini che affermano di essere inviati dell’Olimpo, al solo scopo di farsi seguire dai piccoli. Ma io so che è un inganno. Costoro sono in realtà i cani del Falcone Nero, il cui scopo è destabilizzare il nostro mondo.

I messeni a centinaia di migliaia hanno minacciato seriamente la nostra libertà. Altrettanti dissidenti hanno preso Micene, e molti altri si trovano nell’Arcadia…”

“…A questo proposito, mio Primo-Inter-Pares, chiediamo immediati rinforzi  Disse Epito, signore di quella terra.

Aristodemo bloccò l’impertinente interruzione con un gesto della mano.

“Interrompimi un’altra volta e non vivrai abbastanza da vedere la tua terra venire liberata da quei ratti.”

Epito si ammutolì.

Aristodemo continuò a parlare:  L’invasione dell’Arcadia, la presa di Micene, e sette giorni fa, l’insurrezione dei messeni… Sono solo uno specchietto per le allodole.

Vogliono attirarci verso il Peloponneso, ma non è lì che si trova il Vero Falcone. Voi sapete dove si trova l’Imetto?”

Contemplò i volti degli altri re studiandone le espressioni di sorpresa.
“Attica!” Esclamò Pandione. “Per quale motivo l’uomo più ricercato dell’Olimpo dovrebbe portarsi nella bocca delle Aquile?”

Aristodemo strinse gli occhi.
“Evidentemente perché forse non tutte le Aquile servono lo stesso nido…Avete mai sentito parlare dell’Imetto? E’ lì che il Falcone è diretto. È per di lì che è stato visto andare.”

“Il massiccio dell’Imetto…” Sussurrò Creonte.  “Si narra che tra quelle montagne leggendarie si aggirino mostri oltre ogni immaginazione. Un labirinto di rocce affilate come lame, da cui nessuno è mai riuscito a uscire vivo. Chi ci condurrà? E con quale forza riusciremo ad averla vinta?”

Aristomene sorrise.

“Ecco la risposta alla prima domanda! Portate qui il pezzente”

 

Due spartani entrarono nella tenda comando dove un uomo sporco di fango e letame venne fatto entrare. Un uomo quasi scheletrico, aveva gli occhi dilatati e un terribile sorriso sdentato. Stringeva tra le mani un teschio umano.

 

“Il mio nome è Trofonio, progettista di innumerevoli labirinti e allievo del leggendario Dedalo. Miei potenti re, vi condurrò io a destinazione verso l’alcova del grande ribelle.”

Tutti i re nella sala restarono allibiti da quelle parole. Solo il re di Atene ebbe l’ardore di manifestare un’ovvia obiezione.

“Aristomene, vuoi davvero affidarti a questo vecchio pazzo?  Questo straccione!”

Il re di Sparta strinse i denti dalla rabbia. 

“Stai attento, Pandione perché in questo ‘vecchio pazzo’ brilla imperitura una fiamma. La fiamma dei prescelti dell’Olimpo. Costui è un Eletto”

“Eletto?! Ma di cosa stai parlando?”

“Qui rispondo alla seconda domanda:  mi chiedevi con quale forza avremmo potuto averla vinta? Trofonio, mostra a questi mortali che cosa vuol dire essere un PRESCELTO”

 

Il vecchio sorrise ancora più orribilmente e d’un tratto gli occhi sbucarono fuori dalle orbite, facendo inorridire tutti i presenti.  Emise uno squillo acuto e stridulo che parve essere lo stridio di un demone.

Da fuori la tenda comando si udirono innumerevoli urli sguaiati che divennero via via sempre più ferali.

“Ma che cosa…”

Tutti i re si affacciarono fuori dalla tenda e gridarono di orrore e sorpresa.

“Dei dell’Olimpo…”

Aristodemo sorrise.

In mezzo alle schiere di uomini, uno su cento, sopraffatto da gemiti e convulsioni di dolore, prendeva le sembianze di un mostro.

Uno dopo l’altro gli Eletti si facevano avanti: uomini di pietra, uomini ricoperti di corteccia, mostruosità alate e molto altro…

“Con un’armata di questo genere, nessun uomo, neppure il Falcone, riuscirà mai a contrastarci”

Parentesi anacronistiche 10:

Ciclopi:

(Vedi il capitolo 1)  Sono i guardiani di Efesto. Il risultato vincente della sinergica intesa tra ingegneria genetica e informatica. Gli esseri sono stati creati sulla base di feti di esseri umani resi radioattivi prima della nascita e trattati con ingenti modifiche agli alleli di miostatina e follistatina (vedi parentesi anacronistiche 6) atti a farli crescere spropositatamente nel giro di pochi giorni. Infine poiché le radiazioni avevano provocato in loro diversi effetti collaterali (incapacità di parlare, l’unico occhio, mancanza di organi genitali) tra cui un’instabilità mentale che rendeva loro caotici e intrattabili,  prima della crescita veniva  impiantato in una zona del loro cervello un chip  che programma il loro comportamento in relazione a determinate situazioni.

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Capitolo 25
*** Due aquile nere ***


Il sole batteva arrogante sulle alte colline sabbiose dalle quali, all’orizzonte, era già possibile scrutare i primi imponenti profili del massiccio dell’Imetto.

Due figure incappucciate si stavano incamminando verso la montagna. Alle loro spalle la grande metropoli di Atene era già sparita dietro alcune grandi rocce.  Nessun uomo sano di mente avrebbe mai percorso quell’itinerario, eppure la guida dei due aveva un passo sicuro e deciso. Poi si bloccò.

“Ci hanno trovati.”

“Che cosa?” Soter, l’Innominato alle sue spalle estrasse la spada guardandosi attorno, ma la situazione era del tutto statica e nell’aria poteva udire solo lo stridio di qualche sparuto mangiatore di carcasse alato.

“Hai sentito qualcuno o visto qualcosa, Sideris?”

“Nulla che le prerogative sensoriali di un uomo possano criptare.”

“Che cosa vuol dire?”

Sideris si avvicinò al compagno di viaggio, puntando un dito verso la sua nuova armatura, sottratta tempo prima all’Innominato Phobos.

Il Falcone emise un fischio che si fece via via sempre più sottile fino a sparire del tutto. Soter non capiva.

Poi il falcone si chinò davanti a lui e agguantò con mano quelle che al compagno non sembrarono essere altro che briciole.

“Tecnologia. Con questo affare Ares poteva rintracciare i nuovi Innominati in qualsiasi momento. Me ne sono accorto solo poco fa, dopo aver avvertito degli impulsi impercettibili a qualsiasi umano. Ma è stato per un tempo abbastanza lungo perché chi è in ascolto potesse localizzarci…”

Soter restò in deliquio.  “Stregoneria…Chiaroveggenza…Divinazione. Potevano sapere dove ci trovavamo”

“Non più adesso.”

“Comunque, una ragione in più per affrettarci. Forza muoviti!”

Sideris restò immobile a pensare.

“Forse c’è qualcosa che posso fare per te, ora che il mio intero potere è risvegliato”

S’avvicinò verso l’Innominato passo dopo passo sovrastandolo con tutta la sua imponenza dei suoi due metri di altezza. Il ragazzo gli arrivava a malapena all’altezza del ventre.

La tua armatura…” Disse poi il Falcone

“…La tua armatura è una delle armi inibite che le divinità usano per armare i propri araldi. In realtà il modello che hai indosso ha un potere offensivo catastrofico e una difesa impenetrabile, ma Ares ha deciso di inibire i loro poteri.

Perché? Per evitare che nelle missioni che affida ai suoi succubi, essi diventassero così tremendamente micidiali da attirare l’attenzione delle altre divinità.

Ma adesso siamo già al centro di ogni attenzione e dunque se possiamo vendere cara la pelle, lo faremo.

E quindi di cosa dispone questo gioiellino tecnologico?  Un sistema di rilascio di qualche pugnale e che altro? Un ridicolo lanciafiamme di cinque metri di gittata?” 

Soter rimase in silenzio ad ascoltarlo. Non riusciva a comprendere una sola parola. Dove voleva andare a parare?

Sideris toccò uno dei suoi spallacci con una mano. Le punta delle dita si sciolsero appiccicandosi sulla corazza sotto forma di un metallo densissimo.

Soter fece per muovere il braccio per difendersi in qualche modo, ma non riusciva a spostare un solo muscolo in quel momento. Era come se l’armatura non glielo permettesse. Neppure i bulbi oculari riuscivano a cambiare direzione: gli si erano affossati nelle orbite. Il fiato gli si fermò in gola poiché non riusciva a distendere né a dilatare il diaframma. Non riusciva a muovere la lingua per proferire parola.  Era completamente inerme ed alla mercé di Sideris, il quale se avesse voluto avrebbe potuto far di lui quello che desiderava.

Improvvisamente, una fitta lancinante alla testa gli provocò il dolore più intenso e sconvolgente della propria vita. La sua intera esistenza gli si ripresentò davanti, compresi i momenti più insignificanti: ogni singolo attimo vissuto. Come se in un istante avesse ripercorso i suoi ventiquattro anni. Poi…

-Aggiornamento completato- 

Proferì una voce non umana proveniente dalla propria corazza. Era come se si trovasse in un sogno. Nulla di ciò che stava accadendo intorno a lui sembrava avere un senso.

Sideris rilasciò la mano dalla corazza e si allontanò.

Adesso Soter poteva muoversi. Era confuso e spaventato. Aveva immaginato tutto? Era stata solo un’allucinazione? Incominciò a guardarsi attorno per vedere se c’era qualcuno oltre a loro due.

Nessuno. Ma allora cosa era appena accaduto?

 

“Ho disinibito le funzionalità della tua armatura, precedentemente bloccate. Adesso puoi dargli i comandi semplicemente con una parola. Imparerai strada facendo.

La notte era calata ma anziché accamparsi, i due viandanti continuavano a battere il passo,  sempre più veloci. 
Soter era sbalordito delle proprie capacità.

“Ora posso tagliare il buio delle tenebre con il mio sguardo, e correre senza stancarmi a una velocità che non avrei creduto possibile”

Sideris correva affiancandolo. Sembrava avere le stesse capacità.

E allora?” Chiese Soter “Che cos’hai in mente? Hai detto che un uomo ci avrebbe aiutato. Credi che vagando alla cieca in questo labirinto di rocce potremmo trovarlo?”

“Sarà lui a trovare noi”

Dopo aver vagato per diverso tempo presso le insidiose oscurità dell’Imetto, entrambi videro una figura. Sembrava un uomo. Ma ciò che non era chiaro era la sua distanza da loro.  Per dissonanza cognitiva, la figura umanoide sembrava trovarsi a pochi metri. Man mano che si avvicinavano capirono che in realtà si trovava molto più distante e che le sue dimensioni erano superiori rispetto a quelle di qualsiasi uomo o animale che avessero mai visto.

“Per gli inferi!  Che cos’è quel mostro?”
“Un Guardiano.  Siamo arrivati esattamente dove volevamo
.”

Ora a pochi passi dalla creatura, Soter ne poté comprendere le reali e mostruose dimensioni. La testa dell’Innominato arrivava all’altezza del malleolo. Doveva fare diversi passi indietro per contemplare il mostro nella sua interezza. Completamente nudo, senza peli né organi genitali. Al centro della fronte imperava un unico occhio.

“Ciclope”

Il mostro emise un grugnito appena li vide. In mezzo ai piedi della creatura c’era una folla di esseri barbuti ricoperti di pelliccia e dall’unico occhio: Arimaspi.  Le loro dimensioni erano umane, anche se imponenti quanto Sideris.
Il Falcone non disse una parola. Spalancò le braccia e rimase a guardare il gigante, finché, sorprendentemente, esso non si inginocchiò davanti a lui.

Gli Arimaspi sembravano averlo riconosciuto. Gli fecero strada. Soter lo seguì. Forse avevano davvero una valida speranza.

Camminarono per diverso tempo seguendo quelle strane creature. Lungo il percorso Soter ebbe sorpresa di vedere altre di quelle sentinelle giganti dall’unico occhio. Tutti s’inginocchiavano davanti al passaggio del Falcone.

Proseguirono finché dopo aver varcato diversi corridoi di roccia e oscure gallerie non giunsero innanzi a una grossa pietra che ostruiva il passaggio. Alcuni Arimaspi si misero ai lati carezzando la sua levigata superficie, e dopo poco, come oggetto di una potente stregoneria, la roccia si aprì davanti a loro come un’immensa porta.

Al di là del passaggio, delle fioche e innumerevoli fiaccole piantate a terra diedero un nuovo spessore alla realtà all’interno della caverna.

C’erano delle colonne doriche, costruzioni umane all’interno di un monumento naturale. I pilastri si facevano sempre più robusti e imponenti man mano che il gruppo proseguiva e che l’interno della caverna si faceva sempre più vasto e il soffitto sempre più alto.

Le colonne divennero immani quando si ritrovarono in una sala centrale. Il soffitto che sorreggevano era divenuto troppo alto per essere scrutato. E alle basi dei pilastri, ovunque c’erano movimenti, clangori e grida. Centinaia di Arimaspi al lavoro portavano carri ripieni di attrezzatura o riparavano grosse falle.  I ciclopi, a decine facevano lavori preclusi a qualsiasi gruppo sollevando giganteschi pezzi di metallo e portandoli a lavorare presso una brace su misura di gigante.

Infine, meraviglia delle meraviglie, arrivarono a contemplare dei Colossi più grandi di qualsiasi palazzo o cinta muraria mai vista in qualsiasi polis greca.  I ciclopi che erano già dei giganti, non erano abbastanza alti da arrivare all’altezza di un loro ginocchio. I colossi erano cinque.

“Il fumo si alza dall’Imetto. L’ora è tarda e Sideris il Falcone Nero finalmente è giunto nel reame di Efesto.  Ammira i Colossi, soldati su misura di un dio”
A parlare fu un uomo, questa volta con due occhi e gli stessi tratti di un umano. I fumi della forgia avevano reso il suo volto nero.

“Cedalione, fedele amico. Sono pronti?”
“Quasi. Abbiamo ancora bisogno di revisionarli e inoltre, non è facile trovare qualcuno in grado di manovrarli. Stiamo addestrando gli Arimaspi da quasi un anno, ma le nostre unità sono eccezionali solo nella forgiatura. Nessuno è pronto a coordinare  i movimenti dei colossi.”

“Troveremo in fretta una soluzione. I nemici presto saranno alle nostre porte, lo sento.”
“Nemici? Chi intendi?”
“Non lo so ancora. Ma qualcuno ci ha spiato mentre eravamo diretti qui. Dobbiamo affrettarci.”

Cedalione annuì preoccupato e tornò a dirigere i suoi Arimaspi nel lavoro.

 L’Innominato a questo punto trattenne Sideris.
“Aspetta un attimo. Ora voglio che mi spieghi tutto quanto”
Sideris annuì.
“Lo avrei fatto comunque. 
Come sai, gioco a scacchi con l’Olimpo da molto tempo, e il mio intento quest’ultimo periodo è stato quello di allungare la partita nascondendo Pandora il più a lungo possibile. Ma Zeus ha fatto una mossa scaltra con il suo Ultimatum alla Grecia.  Ha distrutto numerose polis trucidando il popolo senza fare distinzione tra amici e nemici.
Ora, tutti coloro che sognavano un mondo libero dal giogo degli dei, pur di salvare se stessi e i propri cari, mi hanno voltato le spalle.
Solo in pochissimi mi sono rimasti vicini.  Dieci uomini: Cercione, Almo, Oreste, Pilade, Aristomene, Acheo, Ischi, Elleno, Bellerofonte…e sorprendentemente tu.
A tutti loro ho dato uno straccio di mappa, e,  divisi per gruppi, avrebbero dovuto viaggiare in luoghi differenti.  Nella mappa ho tracciato dei punti dove, nei miei innumerevoli viaggi ho seppellito degli Artefatti di Ares, che rubai tempo fa.
Gli Artefatti sono potenti come la tua spada, ma l’influenza che essi suscitano negli uomini è ancora più potente.  Così giocando sulle emozioni di paura e sconforto del popolo, ho dato direttiva ai  miei prescelti di fingersi Araldi degli dei, scesi sulla terra per riunire gruppi di uomini in un’armata da scagliare contro il Falcone Nero, e il suo esercito.  Sarà davanti all’armata e in un luogo prescelto che  mi paleserò a tutti mostrando pubblicamente che gli dei possono essere sconfitti…e uccisi.
Ma prima di questo, metterò in gioco anche la mia ultima risorsa, perché la forza degli uomini da sola non basta contro l’Olimpo.
L’armata che si trova in questa Forgia piegherà l’ultima resistenza al servizio dell’Olimpo, e poi…Con questi immani colossi, alla testa dei popoli liberi del mondo, scaleremo l’Olimpo scaraventando al suolo le false divinità.”

Soter fu scosso da quelle parole.
“E Pandora?”
“Ce la riprenderemo”

Soter guardò i giganteschi Colossi di 60 metri.

“Può davvero una forza di invasione terrestre riuscire ad avere esito contro la forza dell’Olimpo?”
“Forse. Perché dalla nostra parte abbiamo due Aquile. Non ricordi?”

Il Falcone si voltò in una direzione, dove una figura stava camminando verso di loro. Tutti erano genuflessi davanti a quella donna. Scoiattoli, volpi e piccole talpe la seguivano ovunque ella andasse. La sua bellezza era surreale e i suoi occhi verdi erano penetranti come lame.

 “Ricordo di questa splendida donna…Qual è il suo nome?”
“E’ una delle due Aquile, il suo nome dovrebbe esserti già giunto all’orecchio…Artemide.”

 La donna parlò.
“I miei omaggi Falcone Nero. Se ti trovi qui in questo momento, vuol dire che ciò che sarebbe dovuto accadere è successo: ti sei liberato del limite che arginava i tuoi ricordi e le tue prerogative. Quel blocco che io non ero in grado di rimuovere è stato rimosso. Sapevo che il Destino avrebbe rimediato a questa esigenza.”

Sideris la guardò consapevole.
“Sì. Ora è tutto diverso. Ricordo di te. Ricordo che anni fa stabilimmo questo incontro e questo piano d’attacco, assieme a Efesto…Ma la situazione ora è degenerata: Pandora è stata rapita, e le armi di Ermes ci sono state sottratte.”
“Coloro che hanno rapito la donna non agiscono per conto dell’Olimpo. L’Olimpo non sa niente del rapimento e continua a credere che a tenerla sia ancora tu.”

 “Non è stato l’Olimpo?” Intervenne Soter. “Ma allora CHI?”
Artemide lo guardò con i suoi occhi pungenti.
Fu Sideris a rispondere: 
Ares. Se sono stati gli Innominati a rapire la ragazza e se dopo quasi due settimane ancora non abbiamo avuto riscontro da Zeus, allora vuol dire che la sta tenendo sotto la sua custodia…Ma non conosco il motivo di questo suo gesto”

Ares” Soter strinse i denti.
“Non scoraggiarti” Disse la bella dea.  Abbiamo ancora delle risorse dalla nostra per capovolgere la situazione. E se è stato Ares e non Zeus a prendere la donna, allora possiamo tirare un respiro di sollievo. Voi Falchi avete degli alleati forti. Anche Efesto combatterà contro l’Olimpo.”

“Per quale motivo dovreste aiutarci e uccidere la vostra stessa gente?” Chiese l’Innominato.
“E’ una questione di cui non posso parlare. Ti basti solo sapere che rischieremo la vita assieme a voi

Soter strinse gli occhi.

“Per ora ho sentito solo parole. Se avete un piano d’attacco, voglio farne parte il più presto possibile”

Con indicibile arroganza voltò le spalle alla dea e al Falcone e si ritirò.

“È  molto risoluto. Non avevo dubbi” Disse Artemide con un sorriso.

Sarà una carta vincente per volgere la Guerra a nostro favore.” Rispose Sideris. Poi dopo aver porto i suoi omaggi ad Artemide si congedò dirigendosi verso Cedalione.  “Ho trovato uno dei cinque guerrieri che manovreranno i colossi.”
“Chi?” chiese l’uomo. “Quel ragazzo che ti seguiva?” rise. “Potrei rimediare di meglio. Uomini forti e molto più allenati.”

Sideris scosse la testa.  “Era un Innominato, un tempo Araldo di Ares. Non esistono uomini più letali in questo mondo.”
“Oh! Lui. Un a-araldo di Ares”
ripeté incredulo Cedalione “Pensavo fossero più grossi”.


“SIDERIS!” Esclamò una voce baritonale.
“MIO SIGNORE, SEI DAVVERO TU!”  Un Arimaspo correva verso di lui. Dopo un po’ che si avvicinava il Falcone Nero si accorse che era ben più grosso degli altri, e che, incredibilmente non era nemmeno un arimaspo, ma solo…Un umano, cieco di un occhio.

Perifete lo abbracciò facendo sembrare Sideris poco più di un nano. Il viso del Falcone si schiacciò contro il suo petto villoso e nerboruto.
“Pensavamo che non saresti mai arrivato!” Disse il gigante con una vena di commozione.  “Siamo rimasti qui dopo aver incontrato la Dea. Ci ha detto di restare, perché sapeva che saresti arrivato prima o poi…Pensavo mentisse…Pensavo…”

“Perifete! Il più grande e il più forte dei miei luogotenenti. Non posso esprimere il compiacimento che trovo nel rivederti vivo e…Quasi in salute” Guardò il suo occhio cieco.

“Questo…Graffio non è nulla per me.  Mi ricorda solo l’odio che nutro verso gli Spartani e i cani dell’Olimpo.  A lungo sono stato torturato, ma né io né nessuno dei miei uomini ha mai ceduto informazioni importanti al nemico”
“Non mi aspettavo nulla di meno da te
” Rispose il Falcone, ben consapevole che le informazioni veramente importanti, per motivi di estrema sicurezza non le aveva rivelate neppure ai suoi seguaci più vicini a lui.   

“Ma aspetta! Guarda!” Esclamò entusiasta Perifete indicando i soldati che si stavano avvicinando “i tuoi uomini più fedeli sono rimasti con te. Costoro non ti hanno mai voltato le spalle.”

Venne Alcone, uno degli archi più infallibili di tutta la Grecia. Si era fatto un nome durante le passate Olimpiadi, come anche molti tra le fila dei rivoluzionari.
Seguirono Etolo, corridore olimpionico, il suo volto era consumato dal pianto e dalla sofferenza per la perdita dei suoi figli ma la vista del Falcone mostrò una nuova luce nei suoi occhi; e Falanto, il terrore dei Peloponnesiaci.
Poi arrivarono Podalirio, uno dei più abili medici della Grecia. Giunse Nasso, principe e ultimo superstite della stirpe dei Cari. E arrancante li raggiunse il vecchio Nannaco, venerando bardo ancora dedito alla battaglia.
“Non sei solo.”

Parentesi anacronistiche 11:

Arimaspi:

La zona dell’Imetto un tempo radioattiva, ha modificato in tempi più antichi la prole di tutti i clan e nuclei di esseri umani che vivevano lì.  Con il passare delle generazioni, i discendenti sono diventati sempre più robusti e imponenti a causa delle radiazioni. E, quando venne alla luce la prima bimba dal solo occhio, poiché i ciclopi si erano già stanziati e le popolazioni del posto li consideravano al pari di divinità, venne vista come un’eletta degli dei e sacerdotessa di tutti loro.  Con il tempo, nacquero molti altri bambini con un unico occhio tra i vari clan. Questa nuova discendenza chiamò se stessa ARIMASPI e si impegnò di servire i ciclopi e il dio Efesto.  Il nome della bambina divenuta Sacerdotessa è Cabeiro (vedi capitolo 1)

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Capitolo 26
*** Il raggelante segreto di Ares ***


Il raggelante segreto di Ares

I giorni passavano e Pandora continuava a girare per i vasti e lussuosi appartamenti dove Ares l’aveva fatta prigioniera. Avvertì un forte senso di disperazione e sconforto. La gabbia in cui si trovava poteva essere molto più angusta e tortuosa, è vero, ma la ragazza aveva vissuto nella prigionia sin dal suo primo momento di vita. I suoi genitori, membri di una grande famiglia aristocratica, l’avevano sempre tenuta rinchiusa impedendole di uscire.

se fossi vincolato nelle quattro mura di una cella che altri chiamano ‘casa’, costretto a rimanervi finché il volere di qualcuno che non vedi mai non cambia non fuggiresti anche tu, anche se disposto a sacrificare l’unico vantaggio dei due pasti caldi assicurati?”

Per un attimo udì cristallina nella mente la sua voce da ragazzina.  Quelle parole le aveva dette a Soter molto tempo prima.

“Bè…Forse.  Ma non ci si può opporre al proprio destino”

Rispose ancora vivida nella sua mente la voce del ragazzo.

“Davvero lo pensi?” Rispose lei.

 

Soter, l’Innominato, il cane nero di cui la popolazione faceva riferimento con tremolanti sussurri, l’uomo che ama.

Solo nei pochi sporadici momenti passati insieme si era sentita davvero libera. Ma poi che era successo?

La sua casa fu bruciata, assieme alla sua città, tutti gli abitanti furono trucidati perché l’Olimpo voleva lei. Sarebbe stata rapita dalle forze di Zeus se il Falcone Nero non l’avesse presa in tempo, ma per salvarsi fu costretta a vagare con quest’ultimo nell’anonimato per tutti gli anni vissuti fino a quel momento. E quindi, fu di nuovo schiava di decisioni altrui.

L’ultimo sprazzo di libertà lo riottenne quell’unica altra volta aver rivisto Soter. Passò con lui pochi giorni, ma furono i più intensi e felici della propria vita.

Quando, l’Ultimatum di Zeus infranse il suo idillio di felicità e vide che per la seconda volta non solo coloro che la circondavano ma il mondo intero stava rischiando la morte a causa sua, compì quello che inizialmente credeva essere un gesto di coraggio. Aprì il Vaso.

Non ottenne altro che ulteriore morte e la compromissione del piano del suo protettore. Fu quindi catturata nuovamente e resa schiava per l’ennesima volta.

Ed ora si trovava lì. Non sapeva neppure dove, né se avesse mai più rivisto altre persone.

Rimase malinconica a fissare la vallata davanti a sé. Si era fatta sera. Poteva udire il canto dei grilli e il fruscio del vento che batteva sulle meravigliose montagne di granito ricoperte di foreste e fiumi.

Si sentì una stupida, e tutto ciò che voleva era porre termine alla propria esistenza che fino ad allora non aveva fatto altro che arrecare guai agli altri.

Ma anche i tentativi per togliersi la vita erano risultati vani. Appena provava a superare la ringhiera della balconata o scontrarsi con violenza contro le pareti o il pavimento, un’energia invisibile la frenava e la cullava a terra senza arrecarle alcun danno. Cercò oggetti affilati per tagliarsi le vene ai polsi ma non ce n’era nessuno. Tutto il cibo che le veniva lasciato in una cesta non aveva bisogno di utensili per essere consumato.  Tentò di mordersi la lingua o strangolarsi con le proprie mani, ma sembrava come se la stanza stessa riuscisse a comprendere la sua volontà e placasse al principio i suoi tentativi. Ogni volta che tentava il suicidio la donna perdeva la propria sensibilità e crollava a terra.

“L’uomo si illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono elementi superiori che controllano e guidano il destino di ognuno di noi.  E questi elementi sono il volere di quelli che noi chiamiamo divinità”

Ricordò la frase del Soter adolescente detta molto tempo prima. Lei non era mai stata d’accordo, ma solo ora si capacitava del vero nelle sue parole.

Tornò negli alloggi. Lo spazio a sua disposizione veniva esteso di giorno in giorno.

Ares passava ogni tanto cercando in vano di comunicare con lei ma senza ottenere alcun esito.  Davanti a lui la ragazza si richiudeva in se stessa senza spiccicare una parola. Lo odiava come non odiava nessuno, e Ares lo percepiva.

 

Ogni giorno, il dio della guerra le lasciava l’accesso a nuove sale e corridoi per farla sentire più libera ma la curiosità della ragazza fu sempre soppressa da quello stato di depressione in cui si trovava. Restò in pochi metri quadrati chiusa nel suo mutismo, fino a quella sera.

Un barlume impulsivo la fece alzare.  A piedi nudi percorse le diverse lussuose stanze che non aveva ancora potuto vedere. 

C’erano giardini lussureggianti con uccelli variopinti che emettevano suoni sublimi, sistemi termali sofisticatissimi, mausolei pieni di meravigliose sculture e affreschi.

Ma niente riusciva a suscitare la sua attenzione né ad attivare la sua curiosità, fino a che, girando per un corridoio, non udì un brusio. Erano dei sussurri di due persone.

Provenivano da una porta socchiusa.

Si avvicinò quel che bastava per sentire le parole accostandosi alla porta.  Riconobbe una delle voci: era Ares, ma l’altra era sconosciuta.

Era una voce stridula e sinistra che non aveva mai sentito.

“Lo hai fatto di nuovo!.. La sei venuta a trovare!  Tu ami quella donna, Ares? Hai scambiato l’amore per una mortale per il mio?!”

“Non è così, Afrodite. Mi assicuro solo che la ragazza non deperisca…Ci serve viva e lo sai”

“Non prendermi in giro…C’è dell’altro. Dimmi tutto ciò che sai o andrò a prenderla personalmente per strapparle gli occhi.”

Il cuore di Pandora stava per esplodere, ma voleva vedere da chi proveniva quella voce. Aprì di poco la porta per vedere chi si celava all’interno.

La vasta sala era vuota. Al centro di essa vi era solo Ares che le dava le spalle. Si sforzò di controllare in ogni angolo ma non vi era altri che lui.

 

“Non puoi farlo! Non te lo lascerò fare!” disse il dio con decisione. Poi ci fu una lunga pausa.

 

Vuoi mettermi alla prova?”  Di nuovo quel sussurro stridulo inquietantissimo. Ma sembrava essere stato Ares a sibilare.

“Sento qualcosa…”  il dio iniziò a sniffare l’aria.

Questa volta non c’erano dubbi. Era lui a parlare.

Ares si voltò di scatto.

I suoi occhi erano sbarrati e guizzavano di follia e la sua espressione era contorta in una smorfia di terribile malvagità.

Eccoti!” Urlò con quella stessa voce stridula  “De-mo-nio!  De-mo-niooo!”

Con uno scatto agguantò il collo della ragazza con le due mani e incominciò a stringere.

Mostri 2: Dedalione e altri ibridi-uccelli

(Vedi Parentesi Anacronistiche 6)

La peculiarità dell’agente mutageno di Dedalione, rispetto a quella degli altri ibridi mutati sta nell’inclusione di un inibitore di miostatina (presente anche in quello di Cleobi e Bitone) che rende la trasformazione molto più imponente e robusta di quanto potrebbe essere. L’agente permette anche uno sviluppo delle prerogative sensoriali molto maggiore e una superiore manovrabilità e velocità di volo rispetto a qualsiasi altro mostro. Le sue spesse penne gli conferiscono un’armatura naturale più resistente del ferro. Allo stesso modo, gli artigli sono affilati come lame.

Gli altri ibridi mutati hanno lo svantaggio di sacrificare le proprie braccia che divengono ali, mentre Dedalione le mantiene. Inoltre gli altri ibridi non sviluppano la stessa sovrannaturale robustezza, ma mantengono quella che avevano.

Questo definisce livelli differenti di mutageni:

Al livello 1 ci sono tutte quelle mutazioni di base che realizzano un ibrido tra un uomo e una bestia.
Al livello 2 oltre alla realizzazione dell’ibrido, il mutageno include accrescimenti di forza, costituzione e dimensioni e altre abilità, molto maggiori rispetto a quelle di base dei due ceppi genetici genitori.

Non si conoscono altri livelli.

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