Land of Make-Believe

di Gipsy Danger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Pregare - [The leaden sky is a heavy sign] ***
Capitolo 2: *** 01. Sognare - [the sun is broken up by the bright white dregs] ***
Capitolo 3: *** 02. Vagare- [the ringing in my ears is sharp] ***
Capitolo 4: *** 03. Dimenticare - [Quickening, quickening, the low-flying swallow makes a figure of eight] ***
Capitolo 5: *** 04. Ricominciare - [As it flies over the valley of buildings] ***
Capitolo 6: *** 05. Scegliere - [an evening shower is on its way] ***
Capitolo 7: *** 06. Dubitare - [On the path of cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Capitolo 8: *** 07. Sfidare - [I look up to the Sky] ***
Capitolo 9: *** 08. Distruggere - [Over there, over there, a skillful toddling walk] ***
Capitolo 10: *** 09. Fidarsi - [crowding at the coffee shop, looking for a final rest] ***
Capitolo 11: *** 11. Cadere - [I can't go back, I can't go back] ***
Capitolo 12: *** 12. Sorridere - [On the Path of Cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Capitolo 13: *** 13. Ripetere - [the two of us are walking like soldiers] ***
Capitolo 14: *** 14. Osservare - [Because I'm also stuck in cowardice, I look up to the sky] ***
Capitolo 15: *** 15. Vacillare - [A timid heart is at disadvantage with someone who likes danger] ***
Capitolo 16: *** 16. Cominciare - [On the path of cloudy weather...]\\ Epilogue Arc 1. ***
Capitolo 17: *** 17 - Scontro. ***
Capitolo 18: *** 18 - Bugie. ***
Capitolo 19: *** 19. Sorriso. ***
Capitolo 20: *** 20. Fuori. ***



Capitolo 1
*** 00. Pregare - [The leaden sky is a heavy sign] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten

-Forever we’ve been-

00. Pregare
[The leaden sky is a heavy sign]
Terra#10: Germoglio.


*
“Mi ha sorpreso apprendere che la parola samurai voglia dire: servire.”
Nathan Algren – L’ultimo Samurai

*

Gli fanno male le mani.
Alla prima palata di terra gli si sono riempite di vesciche biancastre e doloranti che, poi, sono scoppiate, lasciandogli i palmi rossi e irritati. Adesso anche la pelle si è ritirata e ha cominciato a sanguinare.
Hijikata Toshizou scruta il reticolo rosso scuro che gli cola tra le dita, indifferente, prima di pulirsi le mani sugli hakama in un gesto sbrigativo. Ha di meglio da fare che piangere.
Torna a scrutare il terreno con l’occhio critico degno di un figlio di contadini.
La buca.
È troppo profonda? Troppo larga? Basterà?

‘Va bene così,’ Si dice infine, sicuro. Lascia cadere la vanga che ha maneggiato con tanta fatica sin'ora: non gli serve più. Si inginocchia e tira a sé il sacco di iuta. Lo apre.

Il germoglio di bambù è giallastro e fiappo; le poche, tenere foglie che lo avvolgono penzolano mestamente da un fusto appena sbozzato. Sembrerebbe morto, non fosse per la protuberanza verde chiaro che balugina in cima.
È per quella che Toshi si è sporcato all’inverosimile e l’ha tolto dai rifiuti prima che potesse sparire, fagocitato dalla dimenticanza.
Lo prende con delicatezza. Il sangue e il sudore formano una patina scivolosa sul mozzicone di pianta, rendendo difficile maneggiarla.
Con cautela, il bambino la sposta nella buchetta che ha scavato per lei. Il legno morto è duro e irto di schegge a contatto con i suoi palmi spellati. Spinge la terra al suo posto, in un monticello scuro e soffice, seppellendo la parte putrescente del bambù, finché non è solo quella minuscola punta di freccia verde pastello.

Fatta. È fatta.

Si asciuga la fronte col dorso della mano, lasciandosi uno sbaffo di fango in faccia. Con uno sbuffo, allontana i capelli dalla faccia. Si alza in piedi, concedendo a sé stesso un istante per ricomporsi.

Uno sguardo al cielo: nuvole basse tingono la volta immensa di un grigio plumbeo, ferroso. Si preannuncia brutto tempo.

Distrattamente, si chiede se qualcuno lo sentirà, attraverso quella cortina di vapore acqueo.

Batte le mani martoriate tre volte, richiamando l’attenzione degli dei. Ha i palmi talmente impastati di sangue e terra che fanno un umido, schifosissimo ciac, ma spera che ai Kami non importi.
Bene così. Ora, inchino.
Poi, anche quel pensiero si dissolve.
"Vi prego."
Non esiste altro che la preghiera. Quella che ha sempre ripetuto tra sé e sé, quasi ogni notte. Quella che ha messo radici dentro di lui da quando ha memoria.
Radici salde e profonde come quelle di un sakura.
Parte esitante. Viene da sola.
Vola.
"Vi prego, o dei, concedetemi la possibilità di realizzare questo mio desiderio.
Permettetemi di diventare un samurai."
È quello che finora ha sempre bisbigliato al vuoto. Questa è la prima volta che chiede davvero a qualcuno di accontentarlo. Che si trova abbastanza coraggio per recitarla ad alta voce.
"Non m’importa di tutto il resto. Non m’importa se dovrò allenarmi fino a non stare più in piedi. Non m’importa quanto farà male. Non importa se nessuno mi ascolterà.
È tutto ciò che voglio. Tutto ciò che desidero."

Silenzio. Solo silenzio a rispondere.

Poi, una goccia.
Una goccia che cade dal cielo e gli colpisce il naso.

Toshi spalanca gli occhi, batte le palpebre.

Un’altra lo centra dritto in fronte. E un’altra gli cade sulla spalla. E un’altra ancora…

Un sorriso gli si dipinge in faccia.

Piove.
Piove in piena estate, dopo mesi di siccità. Piove sul villaggio Ishida, nella provincia di Musashi, in un Giappone che - nessuno lo sa, ancora- sta cambiando. Piove sui tetti delle case, sui gatti acciambellati agli angoli delle strade e sui contadini al ritorno dal lavoro.
Piove sui suoi dubbi, sulle sue paure. Piove su di lui, bambino inzaccherato fino ai capelli, stanco e felice.


Piove sul germoglio della speranza, ai suoi piedi.

Non è stato un gran rituale.
Però qualcuno, a quanto pare, l’ha ascoltato.



[632 parole]
#

Note dell'autrice:

Una piccola precisazione storica: Hijikata ha davvero piantato un bambù all'età di otto anni. E ha davvero giurato su di essa di diventare un samurai. La pianta si leva ancora oggi nel giardino di casa Sato, dove Toshizou passò la maggior parte dell'infanzia e dell'adolescenza e dove cominciò a prendere lezioni di kenjutsu da Kondou. Se avete la fortuna di fare una visita a Tokyo e non vi tocca restare chiuse in casa per tutta l'estate come la sottoscritta, fateci una visitina ;].

*sbadiiiiiiiiiiiiglio*

E come si dice? Si finisce una storia, se ne comincia un'altra. Mi pare ovvio ;]. Come avevo accennato nelle note finali di Burning, dunque, eccomi qui - prima del previsto, ma mi premeva postare presto qualcosa.

Dunque. Land of Make-Believe nasce per la Challenge "The Four Elements" di xdxdxdxd, sul forum di EFP. Si tratta di una raccolta di....48 shots, una per ogni prompts delle quattro tabelle su cui è basata questa sfida, ognuna con un POV diverso a seconda del personaggio a cui ho associato il prompt. Inclusi gli improbabili- o forse dovrei dire invisibili, dato che la serie glissa spesso e abbondantemente su di loro.

Eh già. Ne avrò di roba con cui stressarvi.

Per rendere la cosa un po' più agevole, ho deciso di dividere il totale di 48 capitoli  in tre "momenti" della storia della Shinsengumi.  Si parte dal passato, come appunto avrete constatato. Forever we've been, come cantano gli HIM in Nightside of Eden (kudos a Ellie per avermi fatto notare quanto questa canzone sia calzante con i minna-san); dato che solo "passato" mi sembrava banale, ho aggiunto quel "Donten"; significa cielo piovoso, ed è il titolo di una splendida canzone dei Does (nonchè epica opening di Gintama) che ha ispirato questa prima sezione di Land. Qui la potete ascoltare. Quanto ai lyrics...beh, per la fine del passato, li avrete tutti in mano ;] ognuno è stato riportato sotto il titolo della one-shot.

Avviso già da ora che numerose shot prendono spunto dalla storia della vera Shinsengumi (utilissime fonti d'informazione sono stati svariati siti web, libri a tema- tra cui il Moeyo Ken- bloggers che meriterebbero una statua, traduzioni di drama-cd e least but not last, i pochi frammenti tradotti del diario personale di Nagakura Shinpachi, pubblicato nel 1998 e purtroppo irreperibile anche solo in inglese): da qui l'avvertimento di What if.

Che altro dire?  Spero che questa serie possa piacere a persone più disparate. Cercherò di essere più eclittica possibile e di toccare sia argomenti allegri che tristi, in modo da avere un lavoro variegato. Ringrazio fin d'ora chi mi lascerà un commento, chi mi seguirà e chi semplicemente leggera. Buona lettura ^^.

Mata ne,
Kei


four elements

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Capitolo 2
*** 01. Sognare - [the sun is broken up by the bright white dregs] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten

-Forever we’ve been-

01. Sognare
 [The sun is broken up by the bright white dregs]
Aria#12. Cielo.


*
“Vola solo chi osa farlo”
Luis Sepùlveda - la gabbianella e il gatto

*


A naso in su per guardare il cielo.

Quando lo vede così, con la testa rovesciata verso l’alto e le sopracciglia aggrottate, il suo maestro comincia a sbuffare. E, mentre il ragazzo si affretta a rimettersi in piedi e ad afferrare il bastone che gli riposa di fianco, gli scaglia dietro sempre la solita frase.
Si comincia.
“Ci risiamo, vedo. Stai ancora controllando che gli dei non stiano per crollarti in testa, ragazzino?”
Ogni volta, Harada Sanosuke non può fare a meno di darsi dello stupido- inutilmente.
“Vi chiedo scusa, sensei. Stavo solo pensando.”

Sbuffo. Sbuffo.

“Pensare troppo ti fa male, Sano-kun. Tieni i piedi piantati per terra e gli occhi sull’avversario, o finirai per ricevere una solenne batosta.”
È più forte di lui, lo sanno entrambi: basta un niente perchè la sua mente si stacchi dal mondo e spicchi il volo.
Per quanto sia sbagliato.
Per quanto sia pericoloso.
“Sì, sensei.”

Sbuffo.

“Non ti è servita la lezione?”
Con questa battuta nelle orecchie, Sanosuke si porta automaticamente una mano allo stomaco. Attraverso alla trama leggera dell’haori, la cicatrice è dura e fredda. A volte gli sembra di sentirla pulsare. Allora ricorda: la sua vita avrebbe dovuto terminare due anni prima, affogata in un lago di sangue.
“Sì.” risponde allora. Convinto. Secco. Morire una volta gli è bastato.

Arrivati qui c’è sempre una pausa.

Dipende da come si sente Tani Sanjuro: se è una buona giornata se ne andrà masticando insulti.
Se è una cattiva giornata, sbufferà per la centesima volta, si lascerà cadere le braccia lungo i fianchi e, dopo un’occhiatina veloce al cielo, scruterà il suo allievo.
“Ma che diavolo ci vedi, là in alto, me lo dici?”
A questa domanda, Sano non risponde mai.

D’altra parte, gli manca l’aria per essere sincero. Come potrebbe parlare? Come potrebbe spiegare?
Fissa di rimando il maestro, serio. Lascia che le palpebre si chiudano, solo per un istante. Sprazzi di azzurro gli riempiono gli occhi. Un debole tremito di aspettativa lo attraversa.
Non è bravo a mentire, ma si sforza di farlo.

“Niente, sensei. Pensavo e basta.”

A quel punto nemmeno Tani-dono sa più cosa dirgli. Se ne va – stavolta davvero – scuotendo la testa.
“Io non so che fare, con te. ”
"Mi dispiace, sensei."
"Fa che non succeda più. Concentrati sulla realtà...i voli pindarici non hanno mai salvato la vita a nessuno."
"Hai, sensei."
"Bravo ragazzo."

Harada non prova nemmeno a dargli ascolto.
Aspetta che l’uomo giri l’angolo, si siede con la schiena contro il muro caldo e si appoggia il bastone sulle ginocchia.
I suoi occhi salgono. Superano la recinzione di legno che segna il confine della palestra, superano anche le colline offuscate dalla nebbiolina dell’afa. Su. Più su ancora. Per prima trova la linea dell’orizzonte: nei giorni assolati e senza fine passati nel cortile del dojo, è una riga bianca e sbiadita come gesso calpestato.
Più su. Su.
E poi.
Azzurro chiaro. Lì: una curva infinita sopra di lui. Azzurro scuro. Blu ciano, picchiettato di nuvole- bianchi sbaffi di pennello dimenticati su un foglio immenso.
Su. Fino ad essere accecato dalla luce del sole, fino a sentire il suo calore penetrargli nelle ossa e scioglierlo.

E proprio quando il collo gli comincia a bruciare e gli sembra di stare per capovolgersi sull’erba seccata dall’estate, Sano sente una strana calma scendergli dentro e dissolvere nel nulla l’ansia, l’attesa, la frustrazione.
D’accapo. Siamo d’accapo, pensa.
Un sorriso soddisfatto gli si disegna in viso.
Va tutto bene. Posso resistere ancora per un po’.

I sogni saranno anche inutili, ma nei suoi diciannove anni di vita questi sguardi rubati sono l’unica cosa che gli ha impedito di soffocare. In attesa di un cambiamento che, lo sa, sta arrivando.

[616 parole]

#

Note dell'autrice:

Tani Sanjuro è realmente esistito; si pensa che Sano abbia frequentato il suo dojo ad Osaka come suo allievo e che da lui abbia imparato tutto quello che  sapeva sul combattimento con la lancia. Più avanti, Tani e suo fratello sarebbero stati coinvolti proprio da Harada stesso nella Shinsengumi, diventando capitani a loro volta.

Well, fuck. Un esame d'inglese lungo otto ore per un dannato certificato linguistico upper intermediate, quasi sei giorni di febbre a trentanove fissa e cinque di nullafacenza forzata. -.-" Meh. Che schifezza.
Confidando che prima o poi mi passi la tremarella convulsa e mi ritorni la voce, ecco il secondo capitolo. All'inizio, dato che si trattava del prompt libero della tabella aria, pensavo di usare la parola "soffocare" e parlare del tentato seppuku di Sano, ma alla fine la storia ha preso la piega che ha preso e devo dire che mi piace di più così.
Ringrazio Ellie per il commento e a Nejiko per aver inserito Land tra le ricordate, oltre ad avermi recensita. E naturalmente tutti coloro che hanno anche solo letto.


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Capitolo 3
*** 02. Vagare- [the ringing in my ears is sharp] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

02. Vagare
 [The ringing in my ears is sharp]
Acqua#3. Scorrere.


*
“Mia madre diceva sempre che mia sorella Satsu era come il legno, radicata al terreno come un albero sakura. Ma a me diceva che ero come l'acqua. L'acqua si scava la strada attraverso la pietra, e quando è intrappolata, si crea un nuovo varco.”
Sayuri Nitta – Memorie di una Geisha
*


C’era una volta.

Le storie, d’altra parte, iniziano sempre così. La sua non può essere tanto differente dalle altre.

Lungo la strada, attraverso le ore passate a mettere un piede davanti all’altro, con la sottile polvere giallastra ad infilarsi nei suoi sandali e monti, fiumi, boschi a scorrergli di fianco, Nagakura Shinpachi ha imparato a raccontare il passato e aspettare il futuro.
Un po’ perché, in questo modo, non sente la stanchezza accumularsi sulle sue spalle insieme alla fatica e al sudore; un po’ perché vagare esige il suo prezzo in memoria, e lui non vuole dimenticarsi da dove viene.

Comincia sempre allo stesso modo.

C’era una volta il figlio di un feudatario che non aveva mai visto la sua terra.

Suo padre ha sempre amato fregiarsi di quel titolo.
Ne parla e parla e parla, e non si preoccupa troppo dei dettagli - eppure nemmeno lui ha mai messo piede in quel pezzo di terreno in mano al clan Matsumae. Probabilmente non lo vedrà mai.
Lui sì, ne avrebbe avuto la possibilità, ma nel suo peregrinare Shinpachi non ha sentito alcun bisogno di visitarla. Quella striscia di campi che porta alla sua famiglia centocinquanta koku all'anno e un nome rispettato è sempre stata lì e, se tutto va bene, sempre ci resterà.
E tanto basta.

Tanto non è casa sua più di quanto non lo sia quella in cui era cresciuto, a Edo.

Era il secondogenito, quindi non avrebbe mai potuto ereditare nulla. Per questo motivo un giorno decise di partire e lasciare dietro di sé quanto era stato.

Mettersi in strada è stato più facile di quanto pensasse.
Per le prime miglia c’è stato solo quel senso alieno, quell’oppressione a schiacciargli il petto in una morsa e l’impulso a girare sui tacchi e a tornare indietro, alla noia del portico in pieno sole e del giardino dalle lunghe ombre, al quieto ripetersi delle attività a cui è sempre stato abituato.

Poi, lentamente, anche quel bisogno si è acquietato. Come un gatto al sole, si è accovacciato dentro di lui, in profondità, e lì si è assopito.

E così se ne andò.
Per miglia e miglia, in luoghi di cui aveva sentito parlare per tutta la vita. Un passo davanti all'altro, e davanti un altro ancora.

Ci sono giorni buoni e giorni cattivi.

Nei primi gli sembra di non avere problemi di sorta. Si ferma ai dojo, resta per qualche tempo, impara, insegna. Scambia qualche parola e tutto va liscio come se fosse davvero nato per questa vita, per vagabondare e andare dove lo porta la corrente.
Poi ci sono i giorni in cui ad ogni passo deve ripetersi che no, non ha sbagliato tutto, che questa sua scelta è davvero ciò che vuole. Che non sta buttando il suo futuro. Che la strada è quella giusta e che la sta affrontando bene.
Ma i dubbi restano.

Inevitabile. È stato inevitabile.

In giorni così non c’è rimedio. Non c’è cura. L’ha imparato in fretta.

Non può fare altro che andare avanti. Ripetersi che passerà, come passa tutto. Alzarsi e camminare.
Cercare. Un corso d’acqua. Anche un ruscello basta.

Quando infine l’oscurità cala su di lui, sul bivacco che prepara lui stesso o nella stanza in cui si ferma a riposare, portando con sé le ombre degli oni che e di  tutto ciò che spaventa l’essere umano, Shinpachi si stringe alla spada con tutte le sue forze.
Chiude gli occhi e tende l’orecchio, mettendosi in ascolto.

Acqua. Acqua in movimento. Acqua che scorre.

Al buio, ascolta ogni goccia farsi strada nel silenzio della notte e cerca di convincersi che va tutto bene. Che tutto andrà a posto.
Tutti i fiumi partono da una sorgente e da essa si allontanano. Lui sta solo seguendo il letto del suo, un passo alla volta verso quello che lo aspetta.
C’era una volta. E ci sarà ancora. Dopo il dojo di Yurimoto Shozo e dopo quello di Tsubochi Tsume e ancora più in là.

Si va avanti.
Dovunque sia, quel suono è l’unica cosa in grado di calmarlo.

Ha perso il conto di quante volte si è addormentato così, a metà di quelle rassicurazioni e con il rumore dell’acqua nelle orecchie, un debole sorriso in viso e la certezza che per quanto oltre si spingerà, la via non finisce.
Questa è la sua storia, ancora tutta da scrivere.

Come l’acqua intrappolata, anche lui si scaverà la sua strada.



[797 parole]
#

Note dell'Autrice:

La febbre è passata, domani mi aspetta una dannata verifica di matematica che sicuramente topperò in pieno - ma a questo non c'è rimedio - e in generale mi aspetta una carrellata di verifiche di epiche proporzioni. Della serie: di bene in meglio, ohssì. O.O
Aaanyway...penso che se l'ispirazione continua a soffiare dalla mia parte, questo lavoro si presenterà più facile di quanto avevo previso. Mi diverto tantissimo a scrivere dei minna-san; è prendere un bel respiro tra un'equazione, Tasso e le varie scartoffie per gli ultimi contest a cui mi sono iscritta.

Per quanto riguarda questo capitolo ero un po' - molto- incerta, dato che è la prima volta che scrivo una Shinpachi-center, ma il risultato mi pare perlomeno decente. Aw, povero tesoro, ha bisogno di più spazio. E dire che sul piano storico la sua è tra le biografie più complete, grazie al fatto che è morto solo nel 1915  e che ha lasciato dietro di sè un botto d'informazioni- tra cui un diario introvabile in qualunque altra lingua a parte il giapponese. Deiiiii lo voglio >.<.

Da come si sarà capito, Shinpachi era appunto il secondogenito di un feudatario che non aveva mai lasciato la sua provincia. Non si sa molto dei suoi primi anni, se non che il nome che veniva usato per chiamarlo, da bambino, era Eiji. o Eikichi. Cominciò a frequentare il dojo di Okada Juumatsu all'età di otto anni e a diciannove decise di lasciare il clan e completare la sua formazione di spadaccino spostandosi da un dojo all'altro. Entrambe le palestre citate - Yurimoto Shozo e Tsubochi Tsume- sono state realmente frequentate da lui: nella prima ricevette il grado di Menkyou Kaiden, il massimo livello per un esperto di kenjutsu, e nella seconda incontrò e strinse amicizia con Shimada Kai, con cui sarebbe poi entrato nella Shinsengumi.

Come al solito, un ringraziamento a Ellie_x3 per la recensione e il beta reading e a Nejiko, per il commento, il supporto e la chiacchierata via mp ;]; e, ovviamente, a tutti coloro che dedicano un po' del loro tempo alla lettura dei miei scleri. Spero che anche questo capitolo vi piaccia.













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Capitolo 4
*** 03. Dimenticare - [Quickening, quickening, the low-flying swallow makes a figure of eight] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


03. Cercare di Dimenticare
[Quickening, quickening
The low-flying swallow makes a figure of eight]
Fuoco#4. Scottatura.



*
Per cancellare una vita ci vuole un attimo; per cancellare un attimo ci vuole una vita.”
Jim Morrison

*


Crack.
 “Che diamine sta succedendo?”
La voce di Nobutaka-san, brusca. Il suono pesante dei suoi passi in avvicinamento.

Il giovane non si gira. Conosce quel tono a memoria. In due mesi di lavoro ha fatto in tempo ad imparare che, per quanto si sforzi di non farsi notare, al guardiano del cancello non si fa mai sfuggire nulla.
In due falcate sarà da lui, con le sopracciglia aggrottate e quel lampo di fastidio in fondo agli occhi, come sempre quando gli si rivolge. Con le mani piantate sui fianchi e la mascella indurita dal fastidio di dover parlare con un ragazzino.

Accovacciato sui talloni, il ronin fissa quello che resta della lanterna: la carta sottile, l’inchiostro del kamon che sfrigola a contatto con la fiamma, i cocci della base laccata di nero.
La cera per terra, la striscia di un rosso collerico e irritato sul dorso della sua mano.
Guarda, ma non vede davvero.

Ha dodici anni, la shinai stretta in pugno e l’orrore negli occhi.
La cera frammista a grasso dilaga sul pavimento, esalando un vapore pestilenziale. L’odore di legno bruciato lo investe con la forza di una mazza. Si china, afferra la lanterna, la lascia cadere con un grido.
I frammenti schizzano ovunque. Passi in corridoio, la fusuma che si apre.
Hajime non la sente.
Il dolore gli percorre il braccio come una scossa elettrica. Gli sembra di aver tuffato la mano in mezzo al fuoco.
“Hajime?!”
Si volta di scatto. Hiroaki. È solo Hiroaki. Per un attimo si convince di potersi concedere un sospiro di sollievo, quello successivo il cuore riprende a martellargli nel petto.
‘Non è successo niente.’ Vorrebbe dire. La sua bocca non collabora. Non riesce a fare altro che guardare mentre suo fratello individua il disastro, a occhi sgranati, e si precipita a riparare al danno.
“Dei del cielo, nii-san, che hai combinato?” sbotta, affogando la fiamma già morente nella cera.

Pulsa. La scottatura pulsa. La pelle brucia. Accovacciato sul pavimento, Hajime si tira la manica fino sulle dita, sperando che quel maledetto, terribile formicolio si fermi. La seta scivolosa gli accarezza il dorso della mano, spedendogli fitte fino al gomito.
“Mi dispiace,” riesce a sputare fuori, infine, “Ho…devo aver colpito la lanterna con la shinai…”
Hiroaki scuote la testa. Ha solo un anno più di lui e l’atteggiamento di un adulto.
“Tu e la tua mano sinistra.”
Hajime incassa il colpo senza fiatare, ma dentro di lui il commento affonda e scotta tanto quando la fiammella della stupida lanterna che ha abbattuto con la shinai. Tu e la tua mano sinistra. Glielo ripetono in continuazione, quasi che l’unica causa di un’occasionale sbadataggine sia il suo essere mancino.

Si guarda il palmo, aggrotta le sopracciglia.
No, davvero non li riesce a scorgere, quei demoni che dovrebbero guidare le sue dita.
Hiroaki, purtroppo per lui, ci vede benissimo.

“Che hai fatto lì?”
Hajime resiste all’impulso di nascondere la mano dietro la schiena.
“Niente.”
Suo fratello lascia perdere la lanterna e si avvicina. “Niente come il livido di ieri?” chiede, un sorrisetto esasperato a piegargli le labbra. “Fammi vedere.”
“Ti dico che non è niente,” con gli occhi, il ragazzo fruga il dojo, in cerca di una via di fuga. Non ne trova. Scansa Hiroaki, come un gatto messo all’angolo. “Torna ai tuoi calcoli, ani-san; non dovresti perdere tempo con me,” puntualizza, più secco di quanto intenda davvero.
Hiroaki lascia cadere il commento nel vuoto.
“Fammi vedere.” Ripete, quieto.
Hajime sbuffa, ma la mano di suo fratello resta tesa e aperta sotto il suo naso. Riluttante, gli porge la sua. In confronto alla sua pelle bollente, quella di Hiroaki è piacevolmente fredda.
Hiroaki gli arrotola la manica ed esamina la lunga striatura rosa scuro.
“Niente di grave,” commenta, “basterà un impacco freddo. Che stavi cercando di fare, comunque?”
Hajime avverte il sangue raggiungergli bruscamente le guance.
“Secondo te?” borbotta, imbarazzato. “Volevo spegnere il fuoco, prima che facesse danni.”
“Baka. Si sarebbe estinto da solo. E comunque non basta una fiammella così piccola per appiccare un incendio.” Hiroaki sbircia la cera ormai solidificata, i resti di carta e lo stoppino consumato.

Hajime non lo guarda. Riesce a sentire le dita del fratello contrarsi sulle sue, calli lasciati dal pennello e dall’abaco sfregare contro quelli che la spada ha impresso su di lui.
“Mi dispiace.” Ripete.
Pausa. Hiroaki gli allunga un goffo colpetto sul braccio.
“Neh, Hajime-chan. Non fare quella faccia. Vieni, ti aiuto con l’impacco.”
Occhi azzurro chiaro si alzano, perplessi.
“Ma la lanterna-”
“Possiamo ripulire dopo. Resterà solo una chiazza un poco più scura.”
 
Si alza. Nobutaka è già lì, a fiatargli sul collo, la mano appoggiata sull’elsa della katana che gli pende dal fianco a ricordargli che lì non è altro che un randagio.
“Allora, Saitou-kun? Che avete combinato?”
Saitou Hajime gli dedica un’occhiata fugace.
“Troppo zelo e un kata,” risponde, freddo.
“Voi e la vostra mano sinistra.” La voce del guardiano schizza disapprovazione. Saitou non si spreca a scegliere una risposta pungente per lui. Non ha voglia di discutere.
“Pensate a rimediare a questo disastro. Avete lezione tra un’ora.”
“Hai.”
“Non voglio ritardi.”
“Non ve ne saranno.”
Nobutaka lo scruta, quasi a decidere se lo stia prendendo in giro. Mastica un paio di imprecazioni e se ne va.
Saitou torna a osservare la lanterna rotta. L’alone di cera si è seccato- basterà grattarlo via perché tutto torni come prima.
Tutto o quasi.

Una chiazza poco più scura…
‘Avevi ragione tu, ani-san,’ si dice il ronin. Per un attimo gli ritorna alla mente il freddo dell’acqua sulla pelle e la voce di Hiroaki a distrarlo, insieme al dolore.
Se solo fosse ancora così. Prima. In un'altra vita.
Una smorfia gli increspa le labbra, poi anch’essa svanisce sotto la consueta maschera impassibile.

Quella vita si è conclusa. L’ha bruciata lui stesso, affogandola nel cherosene prima di darla alle fiamme.

Si chiamava Yamaguchi Hajime, un tempo.
Ora, non più.

[982 parole]

#

Note dell'autrice:

E fuori quattro.

Se Shinpachi si è prestato volentieri alla shot precedente e Sano e Toshi hanno collaborato - più o meno - Saitou si è rivelato una spina nel fianco. Per non dire in molti altri posti. Ho scritto questo capitolo due volte e altrettante l'ho cestinato, prima che l'ispirazione mi desse il calcio in culo finale. Serviva che scoprissi che Aizu, dove gli Shinsengumi hanno combattuto la loro ultima battaglia e Saitou è stato sepolto, ai giorni nostri si chiama Fukushima.
Il vero Saitou Hajime è stato costretto, a diciannove anni, a rifugiarsi a Kyoto e a lavorare come istruttore in una palestra di un conoscente del padre per evitare il linciaggio, in seguito all'uccisione di un hatamoto - un samurai di grado superiore al suo - in un duello. Oltre ad un fratello maggiore particolarmente bravo in matematica - Hiroaki, appunto- aveva anche una sorella maggiore, Katsu.

Approfitto dell'occasione per segnalare il sito Autori per il Giappone, aperto a tutti gli scrittori - amatoriali, professionisti, fanwriters e chi più ne ha più ne metta - per sostenere una raccolta fondi per il Giappone. Nonostante sia aperto da poco, la quota di storie raccolta è già notevole - siamo oltre le trecentocinquanta.
E io spero che continui a crescere.

Grazie a Ellie_x3 e Satomi, che hanno commentato e mi sopportano giornalieramente, a kaliangel e _Annawhite_ che hanno inserito la storia tra le preferite. E, come sempre, a chi legge e basta. <3



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Capitolo 5
*** 04. Ricominciare - [As it flies over the valley of buildings] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten

-Forever we’ve been-

04. Ricominciare
[As it flies over the valley of buildings]
Terra#2. Radici.


*
“Aprile è il mese più crudele, crescendo
Gigli dalle terre morte, mischiando
Memorie e desiderio
Risvegliando fredde radici con la pioggia di primavera”
T.S Eliot

*

Ogni volta si ripete che non ci cascherà.
Puntualmente, perde.
“Neh, Sano.”
La lancia traccia un ultimo arco nell’aria e si ferma. Harada se l’appoggia sulle spalle, di traverso, come fosse un semplice bastone per i secchi dell’acqua. Si allontana i capelli dalla fronte sudata con una manata.
“Che c’è?”
Shinpachi non risponde – non subito. I suoi occhi corrono sulla custodia che Kondou Isami ha tra le mani, brillano di una scintilla di curiosità.
Heisuke lo scruta, nervoso. È la prima volta che il ronin si dimostra interessato nei suoi confronti. E non è sicuro che la cosa gli piaccia.
Sanosuke si avvicina, il capo appena inclinato per schermarsi dal sole del tramonto.
Unita a quella di Shinpachi, la sua ombra è così lunga che Todou, per un attimo, si chiede se non lo inghiottirà intero.
Paura. Fanno paura, si ripete.  Fino a qualche mese fa quei due nemmeno si conoscevano, eppure sembra che siano insieme da sempre. Sono un binomio. Una monade bilobata senza porte né finestre. Tutto ciò che li unisce agli altri studenti dello Shieikan Dojo sono i pasti a sbafo e due desideri.
Uno, cambiare le cose.
Due, metterlo alla prova.
Lui. Il ragazzino. L’ultimo arrivato che ha ancora tutto da dimostrare.
Kondou passa le dita lungo il dorso della spada, alzandola a livello del viso per controllare che il codolo sia dritto. Ne testa l’impugnatura, studia i riflessi della luce sull’acciaio, la piccola incisione sul fodero.
 “Possiedi un’arma notevole, Todou-kun,” commenta infine, porgendo la katana a Hijikata perché continui l’esame. “ La lama è di buona fattura.”
“E i fronzoli pure.” Aggiunge Okita. Non si è ancora mosso, appoggiato alla fusuma aperta; nella sua voce non c’è traccia di sarcasmo, eppure Heisuke sente le guance avvampargli.
È bella, sì, la sua spada. Non è uno di quei giocattoli ingioiellati per nobili, ma al confronto la lama scalfita con cui Shinpachi si è presentato a tutti loro e quella graffiata di Souji sembrano rottami. 
Rottami con cui farebbe volentieri a cambio.   
“Souji.” Il tono perentorio di Hijikata fredda ogni possibilità di commento.

Quasi.
“Neh, Hijikata-san, qual è il problema? È un dato di fatto.”
Harada. Con un sopracciglio inarcato e una punta d’ironia a tingergli la voce. Eppure è l’unico che lo stia guardando in faccia. Tutti gli altri sguardi sono fissi sulla katana, attraversati dallo stesso pensiero.
Di nuovo, Souji è l’unico senza peli sulla lingua. L'unico a darvi voce.
“Dev’essere costata molto.”
Heisuke stringe i pugni.
“Non ne ho idea,” bofonchia.
“Oh? Non l’hai presa tu?”
“No.”
Okita incrocia le braccia al petto magro. Nemmeno il sole rossastro riesce a scaldargli la pelle pallida.
“Un regalo, dunque.”
Già, bel regalo. Il più sciocco e inutile che possa esserci; l’appropriato dono da un Daimyo ad una semplice popolana. L’appropriato augurio al figlio bastardo che li lega: di combattere e sparire prima di poter accampare qualche diritto sull’eredità dei fratellastri.
Ogni volta si ripete che non ci cascherà.
Ogni volta che guarda quella maledetta spada, non può fare a meno di vederla per quello che è.
Un dannato scorno. Che urla a chiunque abbia occhi per vedere la sua origine.
Un incidente di percorso. Un figlio illegittimo, capitato lì solo per seguire Yamanami Keisuke.
E tutti loro lo sanno.
“Farai meglio a dimenticarti la persona che te l’ha data.”
Di nuovo quel tono leggero; ci sono ancora occhi puntati su di lui. Verdi e penetranti, troppo acuti. Ma stavolta Heisuke ha la sensazione che non sia un male.
“Che…?”
Souji abbozza quel suo sorrisetto sghembo, da gatto.
“Sai usarla, quella spada?”
“Certo che sì!”
“Bene. Perché importa solo quello, qui. Da dove venga, chi te l’abbia data, chi tu sia non sono che dettagli,” lo sguardo verde passa sugli altri. Ognuno di loro, non ancora uomini, non ancora soldati.  Il sogghigno di Souji si allarga in una smorfia di sfida. “O qualcuno di voi li trova rilevanti?”
Nessuno si azzarda a rispondere.
Negli occhi di Harada c’è ancora dubbio, in quelli di Kondou il lieve imbarazzo di quella situazione spinosa. Ma il pregiudizio manca.
Per la prima volta, nessuno ha qualcosa da dire. Poi, Hijikata riprende la parola.
 “Todou-kun, sai combattere?”
Heisuke gonfia il petto, indispettito.
“Non sarei qui, altrimenti,” replica.
“Hm. E che stile?”
Hokushin Itto Ryu; ho studiato allo stesso dojo di San’nan-san e poi presso Ito Kashitaro-dono.”
Un mormorio. Non ancora di approvazione, ma se non altro di riconoscimento. Hijikata resta freddo, ma un accenno di sorriso gli piega le labbra.
“E sei disposto ad imparare?”
Imparare. Vivere. Cancellare il passato. Inseguire il presente.
Heisuke annuisce.
“Sì.”
Shinpachi è il primo a muoversi. Raccoglie la shinai che gli riposava al fianco, si ripulisce gli hakama dalla polvere e si rizza in piedi. Lo scruta, una mano sui fianchi, serio.
“Beh, che fai lì impalato?” chiede, infine, “trovati una spada di legno, no? Prima che Souji ti riempia di legnate voglio vedere che cosa sai fare.”
Ed è un sorriso quello che ha stampato in faccia.

Mentre corre a recuperare una shinai, l’aspettativa che gli prude le mani e l’adrenalina che comincia a vorticargli nelle vene, Heisuke si lascia finalmente andare ad un lungo, lungo respiro. Non si era nemmeno reso conto di trattenere il fiato.
La strada per essere accettato è lunga. Ed è scomoda, dissestata e sassosa e dovrà dimostrare di saperla percorrere.
Non importa.
Il primo passo è fatto.

Le sue radici lo accompagnano, ma non possono fermarlo.
Non più.


[905 parole]

#

Note dell'autrice:

Si era appena finito di parlare di passati disastrosi.
E poi arriva Todou, scodinzolante, e mi manda a gambe all'aria tutto il pathos.
DDDX
Scherzi a parte. Credo che il POV multiplo resterà vita natural durante il mio dio; più proseguo, più assorbo il cambiamento. Mi piace vedere le differenti reazioni dei personaggi. Tra l'altro è l'unica storia che non mi fa venire l'ulcera a causa di blocchi, problemi di stesura, casini vari e intoppi - salvo quando i minna-san non collaborano *coffcoffSaitoucoffcoff*.
Devo decidermi a scrivere più raccolte ._. ecco. Se non altro per mantenere un briciolo di sanità tra le long fic.

Passando al punto di vista storico, come si sarà capito ho preferito dare rilievo al significato secondario del prompt "radici". Nel caso di Todou si tratta di legami un poì particolari, dato che secondo i dati raccolti è molto probabile che fosse il figlio illegittimo di un signore feudale, Todou Izuminokami, e di una semplice borghese. Come Shinpachi non poteva accampare nessun diritto ereditario sui possedimenti del padre, ma la katana che utilizzava era del genere che solo i samurai di rango elevato si potevano permettere. Una bella differenza rispetto alla katana di Hijikata e di altri ex- appartenenti alla classe comune.

Che dire di più? Nada. Mi sembra di aver detto tutto. Ah, ecco: dalla prossima shot si parte per Kyoto. Eee...beh. Cominceranno le rogne vere. O.o
Come sempre ringrazio Ellie_x3, Satomi e _Annawhite_ per aver commentato, chi ha messo tra i preferiti, chi segue, chi soltanto legge e chi sopporta i miei scleri quotidiani. ;]

Until next time.



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Capitolo 6
*** 05. Scegliere - [an evening shower is on its way] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


05. Scegliere
[An evening shower is on its way]
Fuoco#1. Fiamma.

*
“Lascia le paure alle spalle
E prova a prendere il sentiero meno battuto
Quel primo passo che fai è la falcata più lunga…”
If today was your last day, Nickelback


*

Un prestito?”
Ritardo, ritardo, ritardo.
Si sta facendo maledettamente tardi, e se c’è una cosa che detesta con tutto il cuore è esserne consapevole e ritrovarsi, tuttavia, ancora lì.
Seduto a questo basso tavolino, con una tazza di the a raffreddarsi davanti e Okita a fissarlo come se abbia appena messo fuori un paio di corna.

“Kondou-san?”
“Sto bene, Souji,” borbotta l’interpellato, e forse è vero – ma solo da fuori. Dentro di lui regna il caos, e per quanto Kondou Isami tenga all’ordine non può farci proprio niente.
Ansia. Aspettativa. Timore. Un maledetto, sonoro guazzabuglio. Al momento è l’irritazione a sovrastare il tutto. Quieta e rassegnata.
“ Un prestito.” Ripete, infine. Suona come il gong di un funerale. Kami, no. Fate che abbia capito male. “Proprio oggi?!”

Evidentemente, gli dei in questo momento sono occupati: Souji annuisce, le palpebre abbassate a celare le iridi dello stesso colore del sencha.
“Hai, hai, Kondou-san,” insiste, appoggiando la tazza. “Pensavo di avervi già accennato la cosa.” La scruta per un lungo attimo, seguendo le volute di schiuma bianco-giallastra e i riccioli di vapore, prima di spiare di nuovo il suo mentore. Il suo volto ha una contrazione involontaria, come se stia faticando a contenere un sorriso divertito davanti all’espressione sempre più accigliata dell’uomo.
“O forse m’è sfuggito di mente,” ammette, con una piccola smorfia. Falso disappunto subito sostituito da un ghigno felino. “D’altra parte, temo di avere qualche difficoltà a prestare attenzione a Toshizou, quando parla. ”
Tanto per cambiare.
Kondou esala un sospiro frustrato, incrociando le braccia al petto.
“ Dovresti portargli un minimo di rispetto.” Attacca. E si ferma. I preparativi l’hanno sfinito. È troppo, troppo stanco, troppo agitato per mettere in piedi una ramanzina seria. Okita incassa il colpo senza battere ciglio.
“ Vi chiedo scusa,” replica, allegro. “È più forte di me, sapete? Finché non apre bocca riesco ancora a concentrarmi, ma quando comincia a sproloquiare davvero-”
Souji.
“Gomen.”

Attimo di pausa.

Respiro profondo. Non stare lì impalato, mantieni il controllo. Distraiti. Ecco. Sorso di the. Prendi fiato. Il sencha di oggi è amaro. Gli lascia sulla lingua un alone ferroso, ma Kondou lo ingoia senza un fiato. Bene. Posa la tazza. Calma.
Sì, certo. Come no. Sempre che Hijikata Toshizou si decida ad arrivare. Maledetto lui e la sua decisione di prendersi una spada degna di questo nome all'ultimo momento.
“E comunque è in ritardo,” decreta Souji. “Non fate finta che la cosa non vi dia fastidio.”
Cielo, dammi la pazienza. Perché se mi dai la forza faccio una strage. 
“Non poteva andarci prima, da Nobu-san, a chiederle questo benedetto prestito?” esplode, infine. Okita ride sotto i baffi. Kondou gli spedisce un’occhiataccia. ““Che c’è da ridere,?”
“Niente. Siete solo così serio…”
“Questa è una faccenda seria.”
…e nessuno lo capisce.
Deve esserci qualche magia all’opera, oggi; la fattura di uno spirito in vena di giocare, perché la gente si assopisca e perfino le menti più acute si spengano nel torpore caldo di quest’estate.
L’ultima, prima che il profumo di erba seccata al sole si tramuti nel freddo odore di pioggia sui ciottoli di Kyoto.

Sembra così definitivo…

“Non vi arrabbiate, Kondou-san. Sapete bene che tengo quanto voi a questo progetto.”
“Gomen, Souji.” Kondou Isami si passa una mano sul viso. Nemmeno il buio dietro le palpebre riesce a donargli un barlume di calma. “Solo…faccio ancora fatica ad accettare tutto questo.”
Ancora una volta, passa in rassegna quel “tutto”.
La proposta. Come una scintilla. Come una fiamma nel buio.
La decisione.
I preparativi.
Okita sorride.
“È un bel passo in avanti, neh?” constata, gentile.
Malgrado il ritardo, malgrado la smania, Kondou ricambia il sorriso.
“Uscito direttamente da un libro,” concorda, pensando con gratitudine a quelle storie con cui è cresciuto. “È questo a renderlo così irreale. È troppo…”
“Bello per essere vero?”
Kondou si stringe nelle spalle. Suona pericoloso. Qualcosa dentro di lui avvisa che ci sarà un tempo in cui rimpiangerà quelle parole.

Non oggi, però.

“Hai.” Mormora. Pausa. “Quando ero bambino… ah, non importa, Souji. Non ti voglio annoiare con queste sciocchezze.”
Okita si limita a guardarlo da sopra la tazza. Lo sguardo di sempre, attento e vivido. E viene da un ragazzo grande, che ormai capisce più di quanto dovrebbe.
“Vi prego di continuare, Kondou-san. Sapete che non mi date alcun fastidio.”
 “Quando ero bambino, mio padre mi raccontava spesso le grandi leggende cinesi,” riprende. “Storie di eroi, o di semplici uomini. Ogni volta che ci ripenso, non riesco a smettere di meravigliarmi di quanto le storie possano essere preziose. Allora erano tutto, per me.”
Adesso ho voi, aggiunge mentalmente. Una trentina di giovani scalmanati pronti a lanciarsi a testa bassa nella vita, qualunque cosa gli si presenti davanti.
Ma basta pensieri: Souji aspetta.
“Ho sempre cercato di rispettare i valori che vi erano infusi. Sono un sogno a cui non credo di aver mai saputo rinunciare interamente. Ora che è qui, che siamo a un passo dal recarci alla Capitale…” ride. “Dei del cielo, confesso di aver quasi paura che possa sfumare tutto!”

Un tonfo, da fuori, prima che Souji possa replicare. I due sobbalzano, una mano alle spade. Un secondo di silenzio, poi dal cortile esterno si alza una stringa d’improperi.
Okita sbuffa una risata.

“Ho come il sospetto che Shinpachi-kun si sia fatto sfuggire di mano qualcosa, Kondou-san.”
Probabilmente sul piede di Harada, considerati gl’insulti sanguinosi.
L’interpellato crolla il capo.
No, decisamente oggi gli dei non sono in casa per lui.

“Vado a controllare,” si arrende, alzandosi, “mi spiace interrompere la nostra chiacchierata, Souji, ma…”
Il giovane alza una mano, fermando le scuse con la solita espressione cortese. “Non preoccupatevi, sensei. Possiamo riprendere più tardi. Vi dispiace se non mi unisco a voi, per stavolta? Ci tenevo a sbrigare un paio di faccende.”
“Assolutamente no, non ti preoccupare.”
“Grazie. Vi terrò da parte i dango.”
“Ah…! Se ti fa piacere, finiscili pure. Non preoccuparti per me.”
“Ma…”
“Niente ma.” Kondou si sistema il daisho al fianco. Sorride, ma i suoi occhi sono velati, la sua mente già da rivolta altrove. “Mangi fin troppo poco, Souji. Ne hai necessità più tu che io.”
Okita alza gli occhi al cielo con uno sbuffo, ma non ribatte.
“Andate,” incalza, “dal volume, credo che stia per scoppiare una rissa.”
“-…figlio di buona madre!” ulula Sano dal cortile, quasi cogliendo il suggerimento. Kondou si passa una mano sul viso, rassegnato – forse più felice di quando non ammetterebbe di potersi distrarre. Si avvia.

Da solo, Souji rimesta il fondo del sencha con un dito. Il vento s’infiltra tra le fusuma socchiuse. Attraverso la fessura, il ningen riesce a vedere le porte del dojo.
Chiuse.
Per tutti, tranne che per i ricordi.
I giorni sempre uguali. Gli allenamenti. Girovagare per Edo. Dare lezioni. Accogliere chi arriva. Salutare chi se ne va. Discutere fitto. Nutrire illusioni per dimenticare che, svegliandosi, si troverà il mondo uguale a come lo si è lasciato.
Ma anche…
Le risate. Il sudore. I lividi. La volontà di imparare. Di crescere. Le sfide, il codice. La frustrazione. I sogni. Le speranze. Così belle, perché tali.
Il principio. Prima che la fiamma si trasformi in un incendio, e la storia in mito.
Souji sospira.

Guardare avanti, per non perdere un sogno e non vedere il passato che evapora. È una scelta condivisibile. Forse quella che fa meno soffrire.

Tuttavia, Kondou-san, non state forse già perdendo qualcosa?


[1.210]

#

Note dell'Autrice:

...E diventano sempre più lunghi 'sti capitoli ò.ò che diamine! Mi scombinano tutti i piani! (Come se fosse una novità, neh?)
Parlando di scombinamenti di piani...questa shot avrebbe dovuto essere esclusivamente in POV Kondou. Avevo già fatto un primo tentativo per l'altra raccolta in elaborazione, Dear Agony, e non era andato neanche troppo male. Ma dopo questo...*le viene male solo pensarci* Erhm.
Diciamo che prima che mi venga voglia di riprovarci crescerà la barba a Kazama O_O. Dire che è un suicidio non rende l'idea. Mi sento, tuttavia, piuttosto soddisfatta di com'è venuto questo pezzo - per quanto mi sia toccato ripiegare su Okita e far cascare i bagagli sul piede di Sano per smuovermi XD.  

Venendo alle note storiche. Come si sarà capito (spero) la shot è ambientata poco prima della partenza degli allievi dello Shieikan Dojo da Edo; la decisione non era stata presa direttamente da Kondou, bensì da un primo "comandante" del gruppo, un ronin che aveva lanciato la proposta di spostarsi a Kyoto per sostenere lo shogunato attraverso l'azione diretta. L'idea di Hijikata e del prestito è presa da Moeyo Ken (il capitolo riguardante la questione mi ha fatta spanciare dal ridere XD). Per questioni di capitoli non ho potuto includere l'episodio nella serie, ma mi sembrava quantomeno d'obbligo citarlo <3.

Da questo capitolo in poi, il ciclo si concentrerà di più sugli avvenimenti strettamente legati alla Shinsengumi e meno al passato dei singoli protagonisti (quindi niente più seghe mentali. Quasi). Ho i prompt pronti, i POV stabiliti e, a questo punto, zero idee su come verrà fuori la prossima shot. Fare previsioni con i minna-san che m'incasinano ogni singolo capitolo è impossibile.

Ringrazio come al solito Ellie_x3, Satomi e _Annawhite_ per le recensioni, kaliangel, Nejiko e Megumi2 che mi seguono e chi semplicemente legge. Ci si vede alla prossima shot (si spera non tra cent'anni >.<) che, scuola permettendo, dovrebbe saltare fuori abbastanza presto...








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Capitolo 7
*** 06. Dubitare - [On the path of cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

06. Dubitare
[On the path of cloudy weather,
fearfully walking in the rain]

Aria#10. Atmosfera.

*
“ I’m everything you know
You wonder friend or foe,
I'm the burning in your throat when you swallow,
Then you spit me out
Your stomach full of doubt,
Still you're faking every word out of your mouth.
And you won't let go,
It's all about control

Understand I'm born to lead
you will follow”
Sr-71, Goodbye

*

Quanto lo odia, quel sorriso.
Davvero.
È stucchevole. Sognante. Proiettato direttamente dal palazzo degli dei.
Per lui, che ha sempre fatto in modo di rimanere ben piantato al mondo reale, da voltastomaco.

“ Neh, neh, Hijikata-san, ma ci pensate?! Quasi a Kyoto. La capitale! Ancora stento a crederlo...”
“Hm.”
“Ma avete visto la gente, per strada?! Ci lasciano il passo. E Kiyokawa-san ha detto che lo shogun ci concedera udienza- sembra uscito tutto da un racconto, come i quarantotto ronin... ”

Sì, certo. Come no.

Solo che loro sono…quanti? Duecento, secondo Kondou – un altro a cui, al solo menzionare la coda infinita di uomini che marcia sotto il sole autunnale, brillano gli occhi come un bambino davanti ai regali. E si aggiungeranno altri, molti altri. Vedrai, Toshi-kun.
Bene, ecco.
Loro sono i duecento allo sbaraglio.
Da qualunque prospettiva la guardi, l'eccitata chiacchiera continua di Heisuke sembra una maledetta presa per i fondelli e la loro rimane una compagnia di scapestrati, disgraziati, squattrinati e indebitati.
Non che lui faccia eccezione alla regola, intendiamoci. Col prestito che ha dovuto chiedere a sua sorella il suo nome è entrato nella lunga lista di ronin senza paga che da mesi si devono arrangiare per sopravvivere. E che compongono i tre quarti del loro gruppo.
5 ryo.
Un furto, gli ricorda la coscienza, acida. Ogni volta che ci ripensa gli viene mal di stomaco. 5 ryo per il suo sogno da bambino: comprarsi una katana degna di questo nome. Senza ruggine, senza graffi, che non lo abbandonasse inerme nel mezzo di una lotta.
Non ti bastavano quelle del dojo? Valeva la pena di essere così egoista?
Non ha saputo dare risposta a quella domanda.
E tuttavia, di chiedere un prestito a Kiyokawa-sama non se l’è sentita.
Non dopo che ha fatto così tanto per loro.

“Hijikata-san?”
Heisuke. Lo sta guardando. Con quell’ombra perplessa in fondo agli occhi chiari e la fronte corrugata in maniera comica, le sopracciglia che quasi si toccano.
Hijikata non può fare a meno di sorridere.
Durante le ultime estati la crescita metà dei ragazzi del dojo è pressoché esplosa: Souji supera Kondou di tutta la testa, Shinpachi è l’armadio a tre ante che ha sempre promesso di diventare, Sano li sovrasta tutti, alto e secco come la yari che usa… solo Todou è rimasto uguale. Un tappo di uno e sessanta che dimostra a malapena quindici anni e scoppia dalla voglia di compensare il fatto a suon di spada.
Nonché l’unico che deve ancora tirare lo sguardo per guardarlo in faccia.
“Vi sentite bene?” lo sente chiedere, “mi rispondete a grugniti.”
Non mi dire.
Succede abbastanza spesso, da quando è arrivato l’altro gruppo.

“Sto benissimo,” replica, “È solo questo maledetto caldo. Non riesco a pensare.”
Magari fosse davvero così.
Magari potesse dimenticarsi per un po’ della fila infinita, della strada che si snoda davanti a loro da quindici giorni, delle donne che chiamano i bambini in casa quando li vedono passare.

Degli altri.
Li cerca con la coda dell’occhio, lasciando Heisuke a sbuffare, stufo del muso lungo del suo senpai, e a raggiungere i suoi compagni.

Kamo Serizawa non ha l’aria dell’uomo che è appena uscito di prigione. Semmai i suoi tirapiedi: lo strisciante Niimi Nishiki, Hirayama Goro, Noguchi Kenji…quelli sì, quelli non sono che cani rognosi. Si muovono in branco: mangiano, bevono, litigano, aizzano. Sempre insieme, cone un'unica entità.
Per un allievo solo sarebbe difficile metterli alle corde, ma anche un cieco è in grado di capire che presi uno alla volta non valgono nulla. Quando lo Shieikan è unito,  i problemi non li toccano.

È Serizawa a disorientarlo.
L’assassino di tre innocenti. Il pazzo. Quello che non ha niente da perdere. Quello che, appena i loro gruppi si sono incrociati, ha ribadito con forza la sua fedeltà allo shogun e la sua intenzione di dare tutto il suo appoggio.
Quasi inciampa sulla strada dissestata. Hijikata impreca, riprende il ritmo.
Forse è troppo prevenuto. Da quando sono partiti da Edo gli pare di essere diventato paranoico, a forza di macinare congetture e ipotesi.
Non lo so inquadrare, ecco tutto, ammette, con riluttanza.

Da lontano, Serizawa cattura i suoi occhi prima che possa distoglierli.
Si studiano. Il samurai la cui fama gli ha salvato la vita e il ronin che ancora non ha ucciso nessuno.
Poi, Serizawa sorride.
Un lupo che digrigna i denti davanti alla preda.

Hijikata abbassa lo sguardo sull'acciottolato. Accellera, i pugni affondati nelle maniche dell'haori, le unghie conficcate nei palmi.
È questo che mi logora i nervi.
Sono duecento. Il futuro non ancora disegnato, la strada quasi alla fine. Presto entreranno a Kyoto, gli occhi della capitale saranno puntati su di loro.
La sola prospettiva rende l’atmosfera pesante come piombo. Qualcuno, prima o poi, finirà per commettere un passo falso…

E l’istinto gli dice che il branco Mito non aspetta altro.

[804]
#

Note dell'Autrice:

Finalmente un capitolo sotto le 1000 parole O.o cominciavo a non sperarci più. Mi scuso per il ritardo di quasi un mese, ma maggio è stato un rush di verifiche, interrogazioni, prove di teatro e squisitezze simili, e ogni goccia d'ispirazione l'ho spremuta su Derail, la fanfiction che al momento rappresenta il mio progetto principale.
So. Per quanto riguarda le note storiche:
Kiyokawa Hiroshi fu colui che per primo lanciò l'idea di andare a Kyoto per servire lo shogun. Lo Shieikan dojo aderì all'iniziativa con entusiasmo; insieme ad esso si mosse un numero decisamente consistente di ronin, samurai e fedeli del Bakufu. Il gruppo ci mise sedici giorni a raggiungere Kyoto, armi e bagagli. Lungo la strada si aggiunse al gruppo la fazione Mito, capeggiata da Serizawa Kamo - un guerriero piuttosto conosciuto, rispettato per la sua forza e temuto per i suoi scatti d'ira e di violenza. Proprio in un raptus di rabbia, Serizawa decapitò tre suoi sottoposti senza un motivo apparente e devastò letteralmente un tempio di Edo. Fu condannato a morte per giustificazione non valida: sostenne di aver sentito l'ispirazione divina e di essere stato spinto da essa. Kiyokawa lo scagionò con la promessa di aiutarli nella causa del Bakufu. Non avendo niente da perdere, Serizawa si unì così a quel primo nucleo di uomini...ma non esattamente ai loro ideali.
Oh well. Ma questa è roba del prossimo capitolo v.v

Ringrazio Ellie_x3, Satomi, Eikotchi e Nejiko per le recensioni, chi mi segue e chi legge e basta, come sempre. Se tutto va bene dovrei riuscire ad aggiornare - ... no, meglio che stia zitta O.o non si sa mai.
Bis bald.
Kei

 




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Capitolo 8
*** 07. Sfidare - [I look up to the Sky] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

07. Sfidare
[I look up to the sky]
Fuoco#08. Falò.

*
“Like a dog without a bone, an actor out on loan
Riders on the storm
There's a killer on the road
If you give this man a ride, sweet family will die
Killer on the road”
Riders on the storm, Santana
*

È il crepitio a svegliarlo.

Heisuke si strofina gli occhi appiccicosi di sonno, batte le palpebre per scacciare le distese d’erba di Edo del suo sogno ancora davanti.  La notte del piccolo villaggio di Mibu è rossa di bagliori sanguigni e puzza di bruciato.
C’è un continuo scricchiolare di fondo, una serie di schiocchi sempre più forti, e un rombo che cresce – come di animale infuriato.
Per un lungo attimo, Heisuke rimane immobile sul futon spiegazzato, istupidito dal caldo e dal sonno. Getta le coperte da parte e barcolla alla finestra, si sporge.
Sgrana gli occhi.
“AL FUOCO!”

In un attimo, il dormitorio è sveglio. Occhi che si guardano nel buio, Sano che solleva la testa arruffata dal cuscino con l’aria di chi ucciderebbe volentieri il colpevole di aver interrotto il sogno migliore della sua vita. Shinpachi sobbalza e sbatte un ginocchio contro il muro, una mano già sulla katana e i capelli così sparati che sembra più un cespuglio che un essere umano.

“Che hai da gridare, Heisuke?”
“C’è un incendio!”
Iridi azzurro chiaro si dilatano nella penombra. Un mormorio scuote i presenti.
“Cosa?”
“Non può essere-”
“Ragazzino, non è che te lo sei sognato?”
Heisuke stringe i pugni.
“Guardate fuori se non mi credete!” rincara. “Che diavolo fare ancora lì?”

Esitano.

“Heisuke,” chiama Harada. È perfettamente lucido, teso come una molla. “Ne sei sicuro?”
È in quel momento che cominciano le urla, giù in strada.
“Al fuoco!”
“Acqua! Portate dell’acqua!”
“Aiko! Dov’è Aiko? I bambini!”
Al fuoco!”
Heisuke freme. Gli manca la voce, insieme al respiro. Il vento cambia, spirando verso di loro, gli riempie la bocca di quel puzzo dolciastro. Un soffio rovente che gli fodera la gola di bitume liquido e irritante.  Tossisce.
“Viene dalla casa-.”

“YAGI-DONO.” Lo interrompe una voce di donna. La porta del dormitorio si spalanca. È una domestica. Avrà a malapena la sua età, ed è terrorizzata. Li fissa, implorante, appoggiandosi alla fusuma per riprendere fiato. “La casa va a fuoco! V-vi prego! Aiuto!!”
È sufficiente.
Shinpachi scatta in piedi,  acciuffando gli hakama.
MUOVERSI!” urla.

Il dormitorio si riempie di rumore.

Non è il fuoco in sé a fargli paura. In un mondo in cui le case sono di fragile legno ad incastro, gli incendi domestici sono una realtà piuttosto comune. Se cominci a lasciarti spaventare dal ruggito delle fiamme, dalle sue tinte scarlatte e dagli scoppi delle scintille, non riuscirai mai a fermarlo.

È il riflesso negli occhi di Okita a gelare il sangue nelle vene di Heisuke. Un lampo omicida, brutale, sanguinario, indirizzato alla figura in piedi davanti al gigantesco nido di fiamme sbocciato nel cortile di casa Yagi.
Souji ringhia come un animale ferito e Serizawa sorride.

“Che diavolo sta facendo?” sibila Shinpachi. Alza un braccio a schermarsi gli occhi, accenna un paio di passi verso il comandante. Sano lo acciuffa per il colletto prima che possa muoversi.
“Shinpachi, resta qui.”
“È pericoloso! Potrebbe restare coinvolto!”
L’espressione di Sano, illuminata dai bagliori arancio del fuoco, è impenetrabile. Accenna col capo alla loro destra.
Niimi Nishiki e Goro Hirayama ricambiano lo sguardo, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra del primo, una smorfia a deformare il viso orbo dell’altro.
Le mani sull’impugnatura delle katana.

“Che volete?” chiede Niimi, beffardo, avvicinandosi.
Heisuke deglutisce.
“L’incendio….abbiamo portato dell’acqua.” Si è quasi ammazzato, cercando la fonte e riempiendo affannosamente i secchi, ed è grato che sia buio, così che nessuno lo veda stringersi nelle spalle sotto l’occhiata disgustata di Goro ai suoi ginocchi striati di sangue e all’haori lordo di terra.
Nishiki inarca un sopracciglio.
“Nessuno vi aveva chiesto niente, ma suppongo che un grazie sia d’obbligo. Lasciatela lì e andatevene.”
Andarsene? Come?
“ Ci hanno mandato per aiutare.” Interviene Heisuke, con un filo di voce. La mano di Sano gli cala sulla spalla. Il lanciere fissa Goro. Un lupo che rizza il pelo davanti a un cane, minaccioso.
“Non serve.”
“Allora sei cieco.” Ringhia Shinpachi tra i denti.
“Ma il fuoco-" obietta qualcuno dalle retrovie.
“È perfettamente sotto controllo.”
Dal petto di Shinpachi sgorga un ringhio.
“Sotto controllo?” Esplode. “Quello?! Se non ci muoviamo a spegnerlo attaccherà le case!”
Niimi socchiude gli occhi, annoiato. Sorride.

“Non succederà. Sempre che il vostro Kondou-san implori il perdono di Serizawa-dono in tempo.”

La stretta sulla sua spalla diventa una morsa ferrea. Heisuke si lascia sfuggire un piccolo gemito.
“Che diavolo ti prende?” sbotta, rivolto ad Harada, ma l’amico non lo guarda.
Fissa l’uomo prostrato a terra, inghiottito dall’ombra della casa di Yagi-Dono, tra il fuoco e Serizawa. Il boato delle fiamme è tale che non riescono a sentire una sola parola di ciò che dice, ma non è necessario.

Basta la faccia di Hijikata, corso a trattenere Okita prima che si lanci addosso a Kamo.
Basta l’espressione stravolta di Shinpachi, quella oltraggiata e furibonda di Sano.
Basta il sorriso di Serizawa. Mente Kondou-san, in ginocchio, la fronte che tocca terra, a supplicare di lasciare che i suoi uomini plachino il falò.

I pugni di Heisuke si serrano, duri e tesi come pietre. Dietro di lui, gli allievi dello Shieikan esplodono in un coro furioso. Si conficca le unghie nei palmi e sente il sangue colargli tra le dita sudare, la corda del secchio bruciargli le ferite, ma non è niente, niente, niente in confronto alla rabbia.
La katana. Dove ho lasciato la katana? Ma che importa? Potrebbe scagliarsi contro la faccia ghignante di Goro anche a mani nude e strappargli il sorriso sprezzante insieme ai denti, ridurli il naso a una poltiglia, picchiarlo fino a fargli esaurire la voce, sentirlo implorare come il loro capo – Dojo.
“Che pena. Temo proprio che anche con tutta la sua buona volontà, Kondou-san non otterrà nulla.” commenta Niimi.
“Tu….” Sibila Shinpachi, livido. Apre e chiude le mani e trema. “Tu, maledetto…”
“Attento, Nagakura-san, se vi scivola la lingua potrei essere costretto a lavare l’insulto col vostro sangue.”
“Non aspetto altro, razza di...”
“Shinpachi."
No, Sano, si meriterebbe...”
“Non serve.” La voce di Harada è bassa e ringhiosa. “Guarda.”

Serizawa sta guardando dalla loro parte. Attraverso l’aria tremolante che sale dal falò, Heisuke distingue il suo lieve cenno del capo, il sussulto di sollievo di Kondou.

Nishiki emette uno sbuffo.
“Pare che alla fine ce l’abbia fatta.” 
Taci, Niimi.” Sano scosta il samurai con una spallata che potrebbe buttarlo a terra. Nishiki non reagisce, osservando soddisfatto il lanciere correre verso il fuoco con il suo carico d’acqua. Shinpachi lo segue a ruota, e con lui gli altri allievi, timidi fantasmi nella notte rimasti. Nella penombra Heisuke vede arrivare altre sagome dalla strada per il pozzo, sente le loro voci concitate.

“Non vai, ragazzino?”
Si gira. Goro è sempre davanti a lui, le braccia ostentatamente incrociate a dimostrare che non farà nulla per aiutarli.
Heisuke resiste a stento all’idea di tirargli addosso l’acqua, secchio e tutto.
“La pagherete.” Minaccia, sordo.
“Puoi anche risparmiare il fiato. La colpa è solo vostra.”
Cosa…?”
“Non sarebbe successo nulla, se solo il vostro comandante si fosse ricordato di noi.” Goro fa una pausa e un cenno con la testa. “ Oh, ma non temere. Serizawa-san è in grado di pazientare. Per questa volta vi va bene. Semmai avrete bisogno di rinfrescarvi la memoria, avanza ancora del legno.”

È così che il ragazzo diventa uomo, imparando ad odiare.
Harada gli passa di fianco, scuote l’amico più giovane. Lancia a Hirayama un’occhiata velenosa.
“Andiamo, Heisuke. Non risolverai niente rodendoti il fegato.” Mormora. “Anche questa maledetta notte dovrà pur finire. Sbrighiamoci.”

Heisuke si scrolla di dosso la mano del lanciere, raccoglie il secchio e corre avanti. Entro mattina sarà più dolorante che mai e avrà ginocchia e piedi contusi, lacerati e sporchi all’inverosimile, ma non importa.

Porterà acqua fino a spaccarsi la schiena per spegnere il falò, ma già sa che passerà molto, molto tempo prima che il suo orgoglio cancelli l’ustione dell’umiliazione.

[1269]


#

Note dell'autrice

Acc. Cos'è che avevo detto la volta scorsa? Un capitolo sotto le mille parole. Ugh. Proprietà di sintesi, portami via.
Sorvolando sulla quantità, mi sono divertita a scrivere questa one-shot. Il prompt, falò, è stato uno di quelli che mi ha spinta a buttarmi sulla Four Elements Challenge, proprio per l'attinenza a questo episodio piuttosto famoso - che è stato trattato nel dettaglio in Reimeiroku, tra l'altro <3. Le cg di Kazuki Yone sono state davvero ispiratrici. In pratica, essendo arrivato per ultimo nel gruppo della Roshingumi, Serizawa e la sua fazione erano stati dimenticati da Kondou-san durante la "conta" degli alloggi per tutti, e di conseguenza erano rimasti senza rifugio per la notte. Sul momento Serizawa non sembrò disturbato dalla cosa: si limitò a chiedere di poter fare un falò per scaldarsi. Ottenuto il permesso, impilò una catasta di legna tale che il fuoco divenne gigantesco, tanto da mettere a serio rischio anche le abitazioni di Mibu ( all'epoca una frazione di Kyoto, situata nella periferia della vecchia capitale). Per poter spegnere l'incendio, Kondou fu costretto a implorare il perdono di Serizawa, il quale acconsentì finalmente a lasciare che il falò fosse spento.
Inizialmente questo episodio non avrebbe dovuto essere trattato da Heisuke. Ormai, tuttavia, si è capito che i minna-san fanno quello che vogliono O.o morale della favola, me lo sono tenuto. E ne sono stata molto felice.

Ringrazio come sempre i recensori: Ellie_x3, Satomi, AliceinHeartland e Theoryofadeadman; oltre a loro chi segue, chi legge e chi non dice nulla e basta. Spero continuerete a leggere questa storia.

Alla prossima,
Kei




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Capitolo 9
*** 08. Distruggere - [Over there, over there, a skillful toddling walk] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

08. Distruggere
[Over there, over there, a skillful toddling walk]
Aria#02. Ossigeno.

*
“Per chi è considerato guerriero, durante il combattimento l'annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione. Reprimete qualsiasi emozione o compassione. Uccidete chiunque vi ostacoli, ancorché fosse Dio, o Buddha in persona. Questo è il cuore dell'arte del combattimento.”
Hattori Hanzo- Kill Bill vol. 1

*

Finisce per guardarla più spesso di quanto non voglia, quella tavola.

Una parata e un affondo. Il suo avversario scarta a destra. La sua posa di guardia è un castello di carte in bilico: ha i piedi sulla stessa linea e la presa sulla shinai è troppo rigida.
Ciò nonostante, si vanta di essere un provetto spadaccino.
Souji glielo lascia credere. Odia la scarsa modestia. Gli scava dentro come acido.

“Yamazaki, è roba vostra?”
Sente l’interpellato avvicinarsi, ma non si volta a guardarlo. Tutta la sua attenzione è calamitata dal pezzo di carta che ha per le mani: una griglia in inchiostro colorato, con una cinquantina di quadretti. All’interno di ciascuno sono racchiuse due lettere in un alfabeto estraneo.
“Oh, ecco dov’era finita! Temevo di averla persa durante il viaggio.”
Okita si rigira il foglio davanti agli occhi.
“Che cos’è?”
Susumu si fa riconsegnare la tabella.
“Un regalo di un occidentale ospite di mio padre.” spiega. “Un uomo di scienza, a sua detta. Non ho avuto occasione di conoscerlo a sufficienza per verificare se lo fosse realmente.”
Souji sposta il peso da un piede all’altro, accigliato.
“Questo non risponde alla mia domanda.”
Yamazaki rotea gli occhi.
“Un poco di pazienza e ve lo avrei spiegato.” borbotta.
“Allora?”
“Si chiama tavola di Mendeleev. Stando a quanto mi raccontava quell’uomo, servirebbe per classificare gli elementi.”
Souji inarca un sopracciglio.
“Non bastavano i soliti?” Acqua, legno, metallo, fuoco, aria e terra sembrano molto più semplici di tutte quelle scritte minute.
Yamazaki sorride.
“A quanto pare no. Ma ogni elemento ha caratteristiche ben precise.”

Un attimo di sospensione e poi è braccio contro braccio, le shinai che si oppongono a vicenda. È un test di forza. Normalmente li lascia a Shinpachi. Lui preferisce giocare di agilità.
Ma non oggi.
Oggi ha bisogno di tenere la mente occupata. E lo sforzo fisico va benissimo.

Le dita di Yamazaki sulla carta, ad indicare. A spiegare.
“ Questo è l’idrogeno. Il più semplice. E subito dopo c’è l’elio. È un elemento nobile: non reagisce con nulla.”
Come Saitou-kun, si dice Souji. Con rammarico, perché è mesi che Hajime non si fa vedere allo Shieikan, e si è perso la partenza. Peccato, era interessante. Se non altro, era in grado di tenergli dietro.
“Che nomi assurdi.” ridacchia, per scacciare il pensiero.
“Saranno facili i nostri, per loro.”
“Hm. Avete ragione. E questo?”
“Carbonio. Si lega agli altri più facilmente.”
Ecco. Shinpachi. Che appena arrivato ha fatto prima quasi a botte con Sano e poi è diventato la sua ombra.
“Come diavolo fate a ricordarvi tutte queste cose?”
Yamazaki si stringe nelle spalle.
“Sono un buon ascoltatore.” mormora, modesto.

L’avversario attacca di punta. Souji si flette di fianco, parando con la shinai perché l’altro non lo colpisca di taglio. Lo spinge via e si lancia contro di lui.
Prega che lo colpisca. Ha voglia di ferire. Di sentire il bruciore dei lividi e il pulsare sordo delle ossa incrinate, per lenire il bisogno feroce di rispondere con forza uguale e contraria.

“Che altro c’è, poi?”
“Mi state prendendo in giro, Okita-kun?”
“Io? Mi sto solo annoiando. Allora, continuiamo o no?”
“Mercurio, argento e oro. Questi sono noti anche a noi.”
Mercurio. Heisuke, quello scricciolo senza requie, perennemente mosso dal desiderio di dimostrare di valere quanto gli altri. E oro…l'oro è Sano. Ce l’ha negli occhi, e, in fondo, anche nel cuore, per quanto si sforzi di nasconderlo.

Il colpo cala sul suo polso. Con forza. E anche se è cresciuto contando le botte guadagnate in dojo, il dolore gli esplode in corpo, gli consuma le ossa e le tramuta in frammenti anneriti.. Lampi bianchi e rossi gli lampeggiano davanti agli occhi, lo accecano.
E non arriva altro.
Souji allontana l'avversario con un fendente, a denti stretti. L'intero braccio gli pulsa, ora pietra ora carne, ma non concede alla ferita nemmeno un'occhiata.
“Perchè ti sei fermato?” sbotta, brusco.
Hijikata, fermo in un angolo del dojo,
“Il combattimento è sospeso.” dichiara.
La rabbia gli gonfia le vene come una marea.
“Nemmeno a pensarci.” sibila Okita.
“Siete entrambi senza protezioni: è troppo rischioso. Ringrazia il cielo che il colpo non ti abbia sfondato il braccio.”
Vero: è stato fortunato. Ma il commento non fa altro che irritarlo.
“Sto benissimo.”
“Souji.”
“Se non cominciamo ad abituarci adesso a combattere davvero, quando saremo pronti, Hijikata-san?”
Toshizou tace. Non si chiamano mai per cognome -  crescere assieme ha eradicato qualunque formalità tra loro – ma questa è una delle rare volte in cui la cortesia nasconde ben altro.
“Hai ragione.” decide, infine. “Ma ti avverto, Souji. Se ti spezzi il polso, sei fuori.”
Fuori.
Già. Come se non avessero già programmato di rispedirlo a casa, dopo che Serizawa ha quasi dato fuoco a mezza Mibu e lui ha cominciato a detestarlo.
Okita si rimette in guardia. Vede negli occhi del nemico una scintilla di scherno.
Ignora il dolore.
Ricomincia.

“Il silicio. L'inflessibile. Dicono che gli specchi siano fatti di questo elemento. È così rigido che perfino da fluido solidifica.”

Come Hijikata.

Souji fa una smorfia.
Il vice e le sue paure. I suoi dubbi. La sua... oh, come l'ha definita Serizawa? Ingenuità da campagnolo.
Allo Shieikan Hijikata non era così. Per lui era semplicemente Toshi, la parodia di un fratello maggiore piuttosto seccante. Bravo con la spada e con la strategia nel sangue.
Ora quel fratello sta scomparendo sotto una corazza d'acciaio. Prima o poi annegherà nella marea crescente di sangue.
Souji ne è certo.

È più forte di lui. È tutto ciò che sa fare, alla fine. Spingersi oltre il limite, sentire il corpo tendersi quasi sin al punto di rottura.  
Lottare.
È nato per questo. Lo respira. Lo vive.
È la sua unica abilità.
Souji inclina la spada, indirizzando la punta verso l'avversario. Si raccoglie.
Serra gli occhi per un istante, e quello successivo c'è Serizawa davanti a lui. A imporgli di non badare al polso ferito.
Di crescere.
Di odiare.
Di più.

“E questo? Perchè c'è scritto due, sopra al simbolo?”
Yamazaki posa il pennello e la tabella dell'inventario. Osserva la lettera. Una tonda, piccola O.
“ Perchè l'ossigeno si trova sempre composto da due particelle, almeno in natura.” si strofina il mento come un vecchietto, lasciandosi uno sbaffo di inchiostro sulla guancia. “Trovarlo allo stato puro è impossibile. E per fortuna.”
Souji inclina il capo.
Yamazaki sospira. Ha una montagna di lavoro da svolgere e tutto sembra complottare contro di lui, per impedirgli di completarlo.
“L'ossigeno è nell'aria che respiriamo. Senza, non potremmo vivere. Ma solo quando è in coppia...”

Ora.
Crack!
“MATE!”

Ed è di nuovo nel dojo, la shinai puntata verso il basso, gli occhi socchiusi nella posa di guardia. Dietro di lui, lo sfidante.
A terra, il respiro rotto e il volto imperlato di sudore freddo. Si tiene il braccio destro, piegato in un angolo innaturale.
Rotto.
Hijikata. Dietro la maschera di rabbia che gli stravolge il viso c'è l'esasperazione.
Lentamente, Souji abbandona la posizione. Si raddrizza e infila la shinai nella cintura.
Nel polso ha schegge di vetro roventi. Fa così male che per un attimo gli sale il vomito, ma stringe la mascella e si rifiuta di cedere. Non più. È finito il tempo in cui si lasciava intimidire da una ferita così insignificante.  Non più. Mai più.
Incrocia lo sguardo di Hijikata. Sorride.

"...Allo stato puro, l'ossigeno annienta qualunque cosa. Come voi, Okita-kun."

“Sembra che, dopotutto, resterò ancora per un po', Hijikata-san.”  mormora Souji, dolcemente.
Così il ragazzo diventa uomo.

[1200]

#

Note dell'Autrice:

E rieccomi, dopo una settimana in Liguria particolarmente ispirativa e una al male, a condividere con dieci persone una casetta che ne avrebbe potuto contenere solo quattro (un desfo XD). Ormai ho rinunciato a essere sintetica, quindi in malora anche il rant sulle parole.
Quello di attribuire un elemento ad ogni persona è un giochetto che facevo in terza superiore - il che dovrebbe dire tutto sul mio grado di attenzione in classe. Che ci volete fare, quando avete davanti un gorilla peloso che minaccia di darvi "richiamini" sui "compitini" se non fate i "bravini" la cosa è abbastanza ardua. Mi è venuto in mente per puro caso, e come vedete è stato il cardine dell'intera shot. Come lo stesso Yamazaki afferma, l'ossigeno allo stato puro - composto cioè da una sola molecola - è uno degli elementi più distruttivi, essendo fortemente instabile. Okita Souji fatto e finito, a poco tempo di distanza dal disastro combinato da Serizawa.

Mi sono presa una piccola licenza anacronistica - la tavola periodica degli elementi è stata ideata da Mendeleev nel 1869, un anno dopo la morte di Hijikata. Spero me la perdonerete, era necessaria ai fini della shot.

Un ringraziamento rinnovato a Ellie_x3 e Satomi, recensitrici fedeli, a chi segue, a chi legge, a chi passa per caso. E  ad Aldo, che ha sopportato i miei scleri su quale elemento andasse meglio per quello o per questo da bravo chimico. Grazie, papà.
 
Hasta luego.

Kei

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Capitolo 10
*** 09. Fidarsi - [crowding at the coffee shop, looking for a final rest] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


09. Fidarsi
[Crowding around the coffee shop, looking for a final rest]
Acqua#03. Zampillo.

*
“They say there’s no such a place as Paradise.
Even if you walk ‘til the end of the earth…there’s nothing there. No matter how far away you go.
It’s always the same road. That goes on, and on.
But in spite of that…why am I so driven to find it?
I hear a voice inside of me.
It says: “Search…for Paradise”.
Kiba, Wolf’s Rain

*


Troppo. Parlano troppo.

E non si accorgono che basterebbe così poco, perché la fonte riprenda a dare acqua…

Il ronin infila le mani gelate nelle maniche, in cerca di un po’ di calore. Si è svegliato presto, stamattina. Un sogno e strani discorsi l’hanno fatto meditare tutta la notte, eppure non è stanco.
Per la prima volta dopo molto tempo, non lo è.

“Sarà colpa di un rospo?” si chiede uno dei contadini, perplesso.  Un altro scuote la testa, sconsolato.
“Un demone, semmai! Si è mai sentito di un animale che si comporta così? Avremmo dovuto onorare di più i kami, invece che preoccuparci di queste voci sulla Capitale! Questa è la giusta punizione.”
“Macché demone.” Un terzo affianca il duo, una gerla sulle spalle e una smorfia in volto. “Lo so io chi è stato: quella peste di Maki. L’ho visto giocare qua vicino l’altro ieri, lui e quegli altri scavezzacollo... ci avrà messo un sasso per farci uno scherzo.”
“Taci, Moeru! Che dici?! È un segno! E le tue chiacchiere finiranno solo per peggiorare le cose e-”
“Sveglia, vecchio! È uno scherzetto da bambini, stai farneticando.”

Uomini dei campi. Spicci, ma non abbastanza. Se invece di ciarlare dessero un’occhiata più da vicino eviterebbero di perdere tempo.
E di farlo perdere a lui.

Ha imparato a essere paziente, Hajime, ma anche lui ha i suoi limiti.

La voce allegra della padrona lo distrae.

“The caldo, Saitou-san?”
Saitou. Fa così strano sentirsi chiamare così, ancora non vi ha fatto il callo. Hajime si limita ad un cenno del capo.
“Arigatou.”

“…sono gli dei!”
“…è Maki! Maki, come ve lo devo dire? Adesso vado a casa e sua madre mi sente, oh, se mi sente, quel ragazzo ne ha fatta una di troppo!”

Idioti. Forse dovrebbe andare ad aiutarli, risparmierebbe tempo.
Meglio di no, suggerisce l'istinto. Si farebbe notare troppo. E a lui va benissimo che la gente si scordi di lui, che lo lasci nella marea grigia degli indifferenti.

La locandiera sembra leggergli nel pensiero.
Ecco. Lei è una di quelle che vede oltre la facciata.
Non gli piace.

“Vi arrecano fastidio?”
Il the è bollente, gli ustiona la lingua e pare fuoco. Il freddo autunnale rattrappisce e lo abbandona come una foglia morta.
“No. Non davvero.” È diventato piuttosto bravo anche a mentire, Hajime. Si esercita ogni giorno, per ispessire la maschera che lo protegge. “Nonostante sia alquanto difficile ignorarli.”
“Oh, lo so. Che volete farci? Sono uomini. Se fossero nati con un pizzico di buonsenso in più, a quest’ora non sarebbero lì a discutere.”
È un commento da donna di campagna, sfrontata e poco rispettosa, ma nel suo piccolo Saitou non può fare altro che trovarsi d’accordo. E la cosa lo mette a disagio.
Non scoprirti. Non sbilanciarti. Non fidarti di nessuno.
“Quanto dista la Capitale da qui?” domanda, cambiando discorso.

Lei lo scruta.
“Dipende da cosa andate a farci, Saitou-san.” Replica, circospetta.
“Per essere tanto indiscreta dovete essere abituata a dare ospitalità ad assassini.”
Il commento taglia, ma sulla donna rimbalza.
“Ammetto che a me e mio marito è capitato, sì. E, viste le conseguenze, gradirei che non si ripetesse.”

Hajime si prende un attimo per pensare. Dalla fonte otturata, l’acqua esce a spruzzi con un singhiozzo quasi umano.

“Sto cercando qualcuno.” Mormora. E i ricordi ballano dietro le sue palpebre, nelle volute del the: di come, vagabondando, è arrivato allo Shieikan. La rabbia cocente nell’ingiustizia di essere scacciato dai dojo dove ha vinto, solo per il suo essere mancino. La sorpresa nel trovare solo quattro allievi a badare alla palestra, in assenza dei maestri.
La confusione.
Quando, vedendolo impugnare la shinai con la sinistra, Okita Souji ha sorriso.

“Per vendetta o per pura curiosità?”
Saitou tace.
“Vi chiedo scusa. Non volevo essere invadente.”
“No, non fa nulla. Stavo solo pensando.” Deglutisce. Il sencha è all’improvviso amaro. “Mi è capitato di udire i discorsi di vostro marito e altri ospiti, l’altra sera. Di un gruppo di ronin radunatisi nella Capitale per riportare l’ordine, e della concessione dello shogun di formare un corpo d’armata.”
“Ah, i Mibu-Roshi. Sì, è così. Ormai sono in città da un paio di mesi in pianta stabile.” La donna sorride. “Vi siete perso per strada, voi che volete raggiungerli?”
Saitou si stringe nelle spalle.
“Una specie.”

Alla fine del duello con Okita aveva più lividi che altro, ma la cosa non gli ha impedito di tornare allo Shieikan. Ancora e ancora.
Fino alla proposta di partire.
Saitou mette giù il the.

Lì si è fermato. Lì ha tracciato la sua linea di confine. È stato un bel sogno, finché è durato. Non poteva andare più in là.
Si è fidato di Souji, durante quel primo scontro. No, non solo: si è fidato di sé stesso. Non va bene. Non può permetterselo.
L’ultima volta che se l’è concesso ha ucciso un hatamoto.
L’ultima volta è stato scacciato e disconosciuto.

“Sapete, sono passati di qua.”
Ancora una volta la voce della donna lo riporta alla realtà. È pensosa. “In effetti, ora che ci penso, uno di loro deve avermi lasciato un biglietto, qualora mi fossero state chieste informazioni da qualcuno in particolare.”
L’occhiata è più penetrante che mai.
“Un biglietto?”

“Posso fidarmi di voi?”
Saitou esita.
No.
Io non lo farei.
Io non mi fiderei di me stesso.
Hiroaki l’ha fatto. Sua sorella, sua madre, suo padre. E guarda com’è finita.

Però c’è quella punta di curiosità. Lo stesso bisogno pulsante che l’ha spinto a mettersi in strada. È successo quattordici giorni fa, quando ha trovato lo Shieikan chiuso ed è stato colpito dalla fredda, dura consapevolezza di aver perso l’unico luogo dove avevano cominciato ad accettarlo.
È un sentimento molto piccolo, fievole, incerto. Ma lo manda avanti. Un passo dietro l’altro.
E adesso gli dice che non può fermarsi qui.
Hanno lasciato una traccia. Per te.
Hajime annuisce.
“Vi ascolto.”

*

“Allora, ricordate: tre ore di cammino da qui, poi troverete il bivio. Prendete a destra. Dovreste farcela a raggiungere il prossimo ryokan prima di notte. E poi non avete che da proseguire sempre dritto.”
“Arigatou Gozaimasu.”
La donna gli sorride con cortesia. È una di quelle che vede oltre, si ricorda Hajime. E adesso la cosa non gli dispiace poi tanto.
“Buona fortuna.” Gli augura.
“Anche a voi.”
Di cuore.

La porta si chiude e le strade si separano.
Saitou resta solo, di nuovo, sulla via per Kyoto. I contadini sono ancora lì a bisticciare. Uno è andato a recuperare un ragazzino bruno per il sole, rosso in faccia per la vergogna e il pianto.

Di acqua, neanche l’ombra. Il sasso è ancora al suo posto.

Saitou sospira.

Dovrebbe davvero proseguire. Eppure sa che quella maledetta fontana col singhiozzo lo tampinerebbe fino all’esaurimento.
Non metterti in mostra, lo redarguisce l’istinto.
Saitou lo ignora. Passa tra i contadini, si rabbocca una manica, la infila nel condotto. Muschio. Alghe. E qualcosa di duro e liscio.
Lo stringe e lo strappa.

L’acqua nel legno tossisce, sputacchia. Il primo schizzo è fresco e vivace. Ne segue un secondo, un terzo.
I contadini ammutoliscono. Perfino Maki smette di frignare.

Suo malgrado, Saitou abbozza un mezzo sorriso. Stringe il ciottolo umido nel palmo della mano e prosegue senza voltarsi, le indicazioni ben salde in mente e un pizzico di euforia, dopo molto, molto tempo.
I suoi pensieri altrove.
Un luogo sicuro. Forse. Non sarà mai come casa, ma è cento, mille volte meglio di essere da solo.
Chi lo ha accettato lo aspetta e la fonte è libera. È una buona giornata.

Forse, alla fine della strada, imparerà perfino a curare anche lo zampillo di fiducia nato dentro di lui.
Oggi si sente da tanto.

[1.321]


#

Note dell'Autrice:


Quasi un mese, una settimana prolifica in montagna e scleri vari dopo, rieccomi. Ovviamente ho sforato anche questa volta, ma chissenefrega. La shot è nata in un rush d'ispirazione inaspettato, ormai ero convinta che non ci sarebbe stato niente da fare e di doverla rimandare. Phew.
Il primo incontro tra Saitou e i minna dello Shieikan fa parte della sua Route in Reimeiroku. Il "biglietto" è totalmente campato per aria. E Shinpachi ringrazia per essersi fatto fregare il capitolo (in origine avrebbe dovuto essere incentrato su di lui. Oh well. Si rifarà.)
La prossima è con Sano, coming at you from every side.

Come al solito, un grazie a Ellie_x3, Satomi e Kaliangel che hanno recensito, i lettori silenziosi, chi segue, chi legge, blah e blah.

Until next time,
Kei <3

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Capitolo 11
*** 11. Cadere - [I can't go back, I can't go back] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-



10. Cadere (e rialzarsi)
[I can‘t go back, I can‘t go back]
Fuoco#03. Cottura.


*
“Per sette volte che cadi, rialzati otto”.
Daruma
*


È una sfida che non può vincere. Non stavolta.

“Signore, ve lo chiedo per favore…”
“Puoi anche far scomodare gli dei, ronin, non ti aiuteranno.”
Harada si tira le maniche dell’haori sulle mani, sperando che bastino a nascondere i suoi pugni contratti. Si umetta le labbra.
Ancora. Provaci ancora.
È penoso, lo sa. Non è mai stato robusto quanto Shinpachi, ma appena arrivato da Edo se non altro i muscoli li aveva. Ora si stanno logorando anche quelli. Gli hakama gli cadono bassi sulle anche, ha lo stomaco contratto in un nodo e la vista annebbiata dalla fame. Più che un lupo, come insiste a chiamarlo la gente, è un randagio. Battuto, affamato e senza speranza.
Ma non c’è nessuna pietà negli occhi del negoziante.
“La possiamo pagare.” insiste, ingoiando la frustrazione.
“Non li voglio, i vostri soldi.” ringhia il mercante. Se possibile è ancora più secco di lui, ma ciò che gli manca in stazza compensa in veleno. “Sono sporchi di sangue. Non voglio nemmeno vederli.”
“Signore-”
“No. Basta così. Ho sopportato fin troppo - e voi non avete alcun senso di decoro né dignità, se vi ostinate a strisciare alla mia porta per mendicare del cibo.”
Harada soffoca un ringhio.
“Non sto mendicando un bel niente. Voglio solo comprare da mangiare.”
“Come un onesto cittadino?” Il negoziante sorride, sprezzante. Il sogghigno si trasforma in una smorfia di rabbia. “Siete penoso. Fuori. Subito.”
Sano resta dov’è.
“Perché?”
“Ho detto fuori!”
“Perché? Datemi un buon motivo! Perché dovreste comportarvi in modo diverso per noi?”
L’uomo si prende un lungo attimo per squadrarlo da capo a piedi. Harada sostiene il suo sguardo, ma vorrebbe sprofondare. Gli occhi dell’intero negozio sono su di lui, sulle vesti da civile impolverate. Sul suo volto, senza pudore, senza traccia dell’usuale discrezione.
Con aperto odio.
“Non ho nessuna intenzione di sfamare un branco di assassini.” scandisce il mercante, a voce abbastanza alta perché tutti lo sentano.
Sano deglutisce. Ha la gola arida.
Non ce la posso fare.
“Stiamo solo cercando di proteggere la capitale.” mormora.
L’occhiata che gli viene riservata è sterile, indifferente.
“Nessuno vi ha mai chiesto di farlo.” Un cenno verso l’uscita. Lo stesso che si fa a un animale.
Con un senso di nausea opprimente, Harada non può fare altro che girarsi e andarsene. Ad ogni passo la sacca di tela gli dondola nel pugno e gli batte contro il fianco, ricordandogli che è vuota, vuota, vuota, e che lui ha perso.
Ancora una volta.

 Non è colpa loro.
Oh, per favore. Non raccontiamoci idiozie.
Si è seduto vicino al tempio, sperando che nessuno lo riconosca. Se ritarda è probabile che Hijikata-san si faccia scoppiare una vena per il nervoso, ma non se la sente di tornare così, con l’orgoglio a pezzi e appena un pugno di riso. Non ce la farebbe a sopportare l’espressione delusa di Heisuke, né le occhiate sempre più preoccupate del comandante e del vice.
Figuriamoci l’espressione compiaciuta di Niimi.
Un paio di ragazzi lo vedono e prendono a tirargli sassi. Sono poco più giovani di Heisuke, mocciosi che se la farebbero nei pantaloni se lo vedessero passare con l’unità al completo. Ma oggi lui è da solo, e tanto basta.
“Ehi, Miburo! Ti hanno cacciato via un’altra volta?”
Una piccola pietra appuntita lo colpisce in fronte. Sano scocca un’occhiata torva al mandante. Di norma si alzerebbe e li caccerebbe via a calci senza pensarci due volte.
È costretto a tollerarli, occupato com’è a racimolare quel poco di decenza che gli resta.
Socchiude gli occhi e sopporta, chiedendosi se Inoue - san non sia riuscito a raccattare qualcos’altro. Tofu. Soba. Qualunque cosa, pur di rimpinguare la cena.
“Non abbaia più, adesso che non ci sono gli altri.”
“Cane del Bakufu!”
“Sì, cane! Gli sta proprio bene. Vengono a distruggere Kyoto e pretendono che gli diamo da mangiare senza che spendano un soldo.”
All’inizio, a dire il vero, il denaro c’era. Hijikata ha tirato giù i kami dal cielo pur di convincere il fratello maggiore a concedergli il prestito necessario. È stato Serizawa a dilapidarli. In donne, sakè, scommesse, banchetti. E se da una parte Kondou è stato costretto a contribuire per mettere a tacere le malelingue, dall’altra ci sono state le spese mediche, l’alloggio, il cibo.
Finché i finanziamenti dello Shieikan si sono esauriti.
Serizawa e i suoi continuano a tornare ubriachi da Shimabara quasi ogni notte.
Loro sono costretti a chiedere prestiti e faticano perfino a mettere insieme un pasto per tutti.
I ragazzi ridono.
“Hai fame, Miburo?”
Sì, dannazione.
Sono due mesi che non mangia a sazietà. Gli pare di avere lo stomaco ridotto alle dimensioni di una mela, un buco nero perennemente contratto e dolorante.
Si sforza di farsi bastare quel che riescono a trovare - riso, qualche verdura. Una volta Souji è riuscito a tornare a casa Yagi con della carne, dopo una contrattazione epica, e allora è stata una festa - ma per il suo corpo traditore non è mai sufficiente.
Una zaffata improvvisa gli raggiunge il naso. Profumo di braci, fumo e pesce arrostito. Sano spalanca gli occhi.
È così vicino che si può immaginare il rosso dei carboni, il grasso che scoppietta e  scivola lungo i bastoncini, la pelle dei pesci dorata dalle fiamme. Dei no, per favore. È una tortura. La bocca gli si riempie di acquolina. La pancia gli brontola. Prima che possa riflettere è in piedi e sta mettendo un passo dietro l’altro, senza pensare, diretto verso la fonte del profumo.

È una ragazzina. Piccola, minuta, se si avvicinasse gli arriverebbe a malapena allo sterno. Sano la osserva muoversi intorno al fuoco con la destrezza di una donna di casa, avvolta nel suo yukata azzurro chiaro. Per quanto si sforzi di fissarla, è sempre fuori fuoco. Tutta la sua attenzione è focalizzata sulle forme allungate dei pesci, infilzati sugli spiedi. Da dietro l’angolo il loro profumo è così forte che muore dalla voglia di strapparli dai bastoncini, cotti o no, e portarseli via tutti.
Non dovrebbe essere così difficile.
Il pensiero gli sfarfalla pigro nella mente. Di nuovo, Harada si concentra sulla ragazza. È un poco in carne, ma piuttosto graziosa, con un viso rotondo e capelli neri ben pettinati e raccolti. Sembra una bambina. Sarebbe così facile buttarla per terra con una spinta, prendere il pesce e poi…poi…
Che diavolo ti viene in mente? No. No. Assolutamente no. Passi domandare la carità, ma…rubare?
Eppure sembra l’unica via che gli resta…
“Neh, Masa!”
La ragazzina s’irrigidisce, e Sano con lei. Conosce quella voce. Sono i giovani di prima.
Tre, indolenti, le gambe coperte di sbucciature e cicatrici e i capelli ancora acconciati da bambini malgrado l’età. Uno si avvicina, gli altri ronzano intorno agli spiedi. Masa cerca di guadagnare la porta, ma si trova tagliata fuori.
“Dove vai così di fretta?” scherza uno. Ha la testa rasata come un monaco.
“Koichi, vai via. Oggi non ho tempo.”
“Ma come? Noi veniamo a trovarti e ci cacci via così?”
Masa serra le labbra; con la coda dell’occhio scorge un movimento alle sue spalle.
“Ehi! Giù le mani!” alza il ventaglio per il fuoco, minacciosa. Testa rasata le afferra il polso.
“Non sei molto gentile, sai?”
“Koichi! Digli di non toccare il pesce! È per mio padre!”
“Chi, il vecchio?” sghignazza uno. Sfila un bastoncino e lo dondola sotto il naso di Masa. Le mani della ragazza scattano a vuoto, e subito lei viene spinta indietro, con abbastanza forza da mandarla col sedere per terra. Risate. Sano stringe i pugni. “Lui non ne ha bisogno! E tu nemmeno. Guardati: più grassa di una scrofa.”
Gli occhi di Masa lampeggiano.
“Metti giù quello spiedo.” Sibila, accovacciandosi.
“Scrofa, scrofa! Continua pure a grufolare, tanto nessuno-”
Il ragazzo non finisce la frase. In un attimo Masa è scattata verso l’alto e lo ha colpito. Dritto allo stomaco, con una testata che, per quanto debole, farebbe invidia a un teppistello di strada. Il pesce vola per aria e Sano, interdetto, quasi si mette a ridere all’assurdità della scena, dimentico dei suoi problemi. Una donna che picchia un uomo. Una donna in miniatura, per di più.
Il sorriso gli si cancella dalla faccia quando Testa rasata afferra Masa per i capelli e la tira in piedi, scrollandola. Lei grida.
“Questa ce la paghi! Non l’hai ancora imparato il tuo posto, mocciosa?!”
Adesso basta. Basta.
“Potrei rigirarti la domanda.” ringhia Harada, uscendo allo scoperto. Non si prende nemmeno la briga di sguainare la katana, andando incontro al trio con un sorriso minaccioso.

La vendetta è così dolce che per un po’ si scorda perfino di avere una voragine, al posto dello stomaco.

Cinque minuti dopo il fuoco è morto sotto la sabbia tirata su dalla zuffa, i ragazzi sono spariti e lui ha le nocche spellate e più fame che mai. In compenso, ha un sorriso da un orecchio all’altro, soddisfatto per la prima volta da un pezzo.
Sano si pulisce il sangue sugli hakama.
“State bene?” chiede.
Masa non risponde, tremante in un angolo. È scarmigliata e ha un bernoccolo in fronte, lì dove ha colpito il ragazzo, ma non è nulla.
Nulla in confronto allo sguardo.
Harada deglutisce a vuoto. Potrebbe imporsi. Potrebbe arrabbiarsi, perché è un samurai, ha diritto a una maledetta risposta, a un po’ di rispetto.
Potrebbe.
Quegli occhi, quegli occhi gli fanno più male delle sassate. Perché all’improvviso capisce.
Lui ha visto tre mocciosi che meritavano una lezione. Lei, un uomo che massacrava di botte tre coetanei fino a metterli in fuga. E poco importa se l’ha salvata – è sangue quello sulle sue mani, quello che gli cola da qualche graffio.
Sangue che non gli appartiene.
Rimangono immobili per attimi che paiono eterni, lui e la ragazza, le ultime braci crepitanti tra loro, il profumo di carne cotta e affumicata che infesta il giardino.
Profumo.
Harada si china, raccoglie uno dei pesci dalla cenere, si rigira lo stecco tra le mani. Ha un po’ di polvere di carbone sulla coda, ma la pelle è bruna e croccante e la consistenza tenera. Deve lottare con la tentazione di portarselo alla bocca, mordere, saziarsi.
Contegno, baka. Non spaventarla.
Indossa il suo migliore sorriso di circostanza, alza gli occhi.
Di nuovo, gli si stringe lo stomaco.
La ragazza è sparita.  E lui è solo nel cortile. Solo con un pranzo abbandonato e un magone tale da strangolare anche la fame.

Ha perso. Ancora una volta.


*

“Sano? C’è qualcuno che ti vuole.”
Harada alza gli occhi. No, non se l’è immaginato – Heisuke c’è davvero, appoggiato a braccia conserte contro la fusuma. E sembra sinceramente sorpreso delle parole che gli sono uscite di bocca.
“Creditori?” scherza Shinpachi, seduto a fare il filo alla spada. È l’unico che ancora si permetta di fare battute sullo stato delle loro finanze, ma Sano non è dell’umore giusto per rispondere al sorriso dell’amico.
“Non chiamarli, Shinpachi, finisce che ce li troviamo alla porta davvero.” Borbotta, alzandosi. “Che succede? Problemi?”
Heisuke si stringe nelle spalle, vago. Gli occhi azzurri sono sgranati. Sano inarca un sopracciglio, ma non fa commenti, seguendolo.
È solo nel corridoio che il ragazzino si decide a sputare il rospo.
“Sano – san?”
“Eh.”
“Siamo amici, vero?”
Al tappo è spuntata la vena sentimentale?
“Che domande sono?”
“Dai, rispondi. Sì o no?”
“Ovvio che sì, chibibaka. Che diavolo ti salta in testa?”
Heisuke fa una pausa, rosicandosi il labbro inferiore. Un topo incastrato all’angolo.
“A me lo puoi dire.” Borbotta, infine.
Harada lo guarda storto.
“Dire cosa?”
“Beh, sai…”
“Heisuke, parla chiaro. Che cos’avrei fatto?”
Heisuke lascia perdere il labbro e comincia a tormentarsi le dita.
“Ehm…ecco…c’è…c’è una ragazza al cancello e…hmm, ecco, come posso dire? Niente, siccome vai piuttosto spesso a Shimabara…insomma…pensavo di toglierti d’impaccio prima che Hijikata – san vi vedesse e che venissero fuori problemi…”
Una ragazza? Il cuore di Sano salta un battito. Ecco. Merda. Ci mancava solo quella. Forse uno dei tanti mercanti “offesi” dalla loro presenza, forse –
Poi il suo cervello registra la parola Shimabara. E casca l’asino.
“Heisuke, che accidenti ti salta in testa?!”
Il giovane capitano si ferma, un’espressione addolorata in viso. Espressione che non ci mette niente a trasformarsi in indignazione.
“Senti, Sano, è già abbastanza brutto che tu e Shinpachi ve ne andiate a bere e a visitare le geishe senza che mi diciate niente: almeno potresti evitare di fare lo scemo! Ti sto coprendo le spalle!”
“Ma coprendo le spalle per COSA, per l’amor del cielo?!”
“Per la stupidaggine che hai fatto! Anche se immagino che possa succedere a tutti…” occhiata ansiosa. “Dirai a Hijikata che è stato un incidente, vero?”
“C-O-S-A?!”
Heisuke si ferma. Ha la faccia rossa come un papavero, le mani che sfarfallano nell’aria come impazzite.
“I - insomma, hai fatto un…un…b-b-b…”
“Un cosa, un embolo?” Sano sbuffa, gli occhi rivolti al soffitto. “Heisuke, non ho tutto il pomeriggio e stiamo già facendo aspettare l’ospite, chiunque sia, quindi o ti dai una mossa.”
“Un bambino!” esplode Heisuke, i pugni stretti. Tre giovani ronin poco più avanti si girano a guardarli “Hai fatto un bambino con una geisha?! Non potevi controllarti?”
Sano si blocca in mezzo al corridoio, una statua di sale. Le occhiate stralunate degli altri Roshingumi e quella imbarazzata di Heisuke gli sembrano lontanissime.
Così come la sua voce, quando la ritrova. Calmissima, granitica.
“Heisuke. Cos’è che ti sfugge del fatto che NON posso aver fatto figli con nessuna, dal momento che possiamo permetterci solo di sognarcela, Shimabara?”
Heisuke ammutolisce. Potrebbe quasi leggere i suoi pensieri in un fumetto sopra la sua testa: eh già, com’è stato possibile?
“Non…non sei andato…?”
NO. Ti pare?! Con che soldi avrei pagato, dannazione? E comunque le geishe sono artiste, non si prestano a quel genere di cose.” Sano sospira, passandosi una mano tra i capelli. Incenerisce con un’occhiata il drappello di novellini che li stanno osservando e picchia la lancia per terra. Ecco. Ci mancava il tappo, a ricordargli che la fame ha tanti volti diversi.
“E comunque grazie tante, eh, nanerottolo. La prima cosa che ti viene in mente se una donna viene a fare reclami è che l’abbia messa incinta?”
Heisuke rimpicciolisce sotto la sua occhiata di fuoco. Apre la bocca, ma non ne esce alcun suono per una pausa più che rivelatrice.
“Ehm. Ecco…”
Stai calmo. Stai calmo. Non puoi ammazzarlo, poi ti tocca fare seppuku.
“Stare con Shinpachi ti fa male.” Decreta il lanciere. E gira sui tacchi, perché se restasse lì un minuto di più finirebbe per prendere Heisuke per i capelli – l’unica cosa lunga che il tappo possieda – e lanciarlo sul tetto.
Via, veloce.
“E voi tornate in dojo.” Abbaia, passando di fianco al gruppetto di ronin. “Se siete ancora in mezzo ai piedi quando torno giuro che non vi rimarrà un osso intero in corpo! Via! Filate!”
I giovani, poco più che ragazzini, quasi si calpestano nella fretta di ritirarsi.

Harada li ignora e marcia fino alla soglia di casa Yagi, vero il Cancello. A passi larghi e testa bassa, con la voglia di rompere la testa a qualcuno.
Dannazione ad Heisuke e alle sue domande idiote.
Dannazione a Shinpachi che lo travia.
Dannazione alla  giornata orribile.
Dannazione a questa situazione assurda.
E dannazione anche all’ospite, chiunque essa-
“Harada – san?”
Sia.
A Sano manca un battito. Quasi non l’aveva riconosciuta, troppo preso dai suoi pensieri, ma ora che se la trova davanti è impossibile sbagliarsi. Avvolta in un kimono verde e chiaro e con i capelli ordinati in una crocchia sulla nuca, c’è Masa. Sembra una bambina, con quella veste e quell’aria computa sul viso.
Regge una pila di o-bento in mano.

E Harada, prima ancora che lei s’inchini, si scusi, lo ringrazi, prima ancora di evitarle quell’imbarazzato contegno, abbozza un sorrisetto.

Sette volte giù, otto su, dice il detto. Come la bambola Daruma.

Forse oggi, dopotutto, non è stata una completa sconfitta.


[2.619]




#

Note dell'Autrice:

Due paroline veloci veloci prima di passare al commento personale:
a) Per il particolare dell'embolo nel battibecco tra Sano ed Heisuke, passatemelo. Ci stava troppo bene, pur non essendo conosciuto allora.
b) Questa shot ha doppio significato. All'inizio non ci avevo fatto caso, ma con il siparietto tra il nano e la stanga mi sono improvvisamente ricordata, complice una conversazione su FB, che restare incinta in inglese si dice "bun in the oven", pagnotta nel forno. Guarda caso, il personaggio di Masa è ispirato alla figura reale della moglie di Sano, sua omonima, e la prima cosa che Heisuke va a pensare è che sia lì per reclamare una possibile gravidanza (responsabilità: ovviamente del nostro VM18 su due gambe, ovvero Sano). Azzeccato con il tema della cotture XD.
Detto questo...

FINALMENTE, CAZZO. >.> Scusate lo sfogo, ma è da luglio che la shot è quasi pronta e continuo a rigirarmela. Il finale è stata una via crucis, non riuscivo a rendere decentemente le interazioni tra Sano e Masa. Alla fine ho risolto tutto con un bel taglione, ma senza l'OAV di Harada non sarei andata molto distante. Cheppalleeeh. ;A; prima che mi venga voglia di scrivere di nuovo con il signor testardo, qui, passeranno secoli. Ovviamente, vista la mia coerenza nel tener fede alle promesse delle NDA, finirò per ritrovarmelo tra i piedi da qui a pochissimo.

Così come il capitolo sul falò, anche questa era una delle scene che mi ero immaginata dall'inizio della challenge. Gli anni della fame sono stati riportati nel diario di Shinpachi come uno tra i periodi peggiori, per l'allora Roshingumi: mentre la fazione di Mito aveva abbastanza denaro, quella dello Shieikan si è ritrovata presto squattrinata e incapace di concordare le richieste di banchetti e altre occasioni mondane di Serizawa con il sostentamento dei singoli membri, fino quasi al punto da costringere gli uomini a chiedere l'elemosina. Ho voluto rappresentare un episodio positivo per non scadere nel patetico, ma purtroppo nella realtà le cose sono state ben diverse.
Il personaggio di Masa è di mia proprietà e, come ho già detto, ispirato alla vera moglie di Harada. Di lei si sa molto poco, se non che fosse figlia di mercanti: da qui lo spunto per un suo possibile incontro con Harada. Il suo comportamento può risultare anomalo, in quanto abbastanza "violento" per i canoni di allora, ma d'altra parte Masa si trova a fronteggiare suoi coetanei e soprattutto la certezza che se non tenta almeno di salvare il pesce sarà punita dalla famiglia. E perché mi ero immaginata Harada restare piuttosto sorpreso davanti ad una "teppistella" infagottata in un kimono. E perché, diamine, se Chizuru può portare una spada al fianco e agitarla sotto il naso delle persone, penso che almeno nel contesto dell'anime un tentativo di difesa non sia così anormale.
Mi pare di aver detto tutto v.v quindi passo ai ringraziamenti.

Come al solito, un arigatou gigantesco a Ellie_x3 e a Satomi per le recensioni, a chi ha letto in silenzio, chi segue, e tutti i poveretti che hanno avuto la malsana idea di aprire questa storia XD.

Ci vediamo al prossimo capitolo. Scuola e ispirazione permettendo, si spera prima della fine del mondo.
Tschuss.

Kei





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Capitolo 12
*** 12. Sorridere - [On the Path of Cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

11.  Sorridere:
[On the Path of cloud wather, fearfully walking in the rain]
Acqua#10. Acqua cheta.

*
"Vi Veri Veniversum Vivus Vici.
Con la forza della verità, in vita, ho conquistato l’universo."
Faust
*

Cos’è un sorriso?

Yamanami Keisuke si è ritrovato spesso a chiederselo, dal loro arrivo a Mibu. Per quanto sciocca sia, è una domanda che lo assilla.
Una variabile in continuo mutamento.
“Hijikata – kun, dovreste calmarvi. Non fa bene rimuginare troppo.”
Hijikata, per esempio, sorride di rado.  Nemmeno nelle sue giornate migliori allo Shieikan era particolarmente allegro, ma la sua era un’espressione tranquilla, calma, un segno di rilassamento. Quando se lo permetteva, anche il resto degli studenti sapeva che andava tutto bene.
Ora Hijikata sorride quando minaccia. È il ghigno di un lupo che snuda le zanne per intimidire, sfrontato, che non avrebbe remore a squarciare la gola a chi gli sta davanti.
E la cosa più curiosa è che lui non se ne accorge.

Passi su e giù per la stanza. Da fuori arrivano le risate dei bambini del quartiere. San’nan ne intravede un paio tampinare Harada, di ritorno dalla pattuglia. Una piccolina di quattro anni si alza in punta di piedi per aggrapparsi all’estremità smussata della lancia, incurante dell’espressione esasperata del Miburoshi.
Quanto passerà prima che sua madre la venga a prendere in tutta fretta?, si chiede. È già successo, di recente.
Ormai non suscitano più solo disprezzo nelle persone. La paura sta cominciando a scivolare al primo posto.
Ma non è ancora all’apice.
Non ancora.
Ed è questo, il problema.

“Non sto lavorando abbastanza.” Il borbottio masticato suona amaro. Hijikata intreccia le mani dietro la schiena, poi le passa sul davanti. Incrocia le braccia e si ferma vicino alla finestra. L’inverno ha spruzzato Kyoto del candore della neve. I tetti delle case sono ammantati di bianco e grigio, lì dove la neve è stata macchiata dal fumo dei comignoli. Il giardino di casa Yagi si è trasformato in un angolo silenzioso, addormentato sotto una coltre gelida. San’nan ringrazia che siano solo in tredici dello Shieikan, ad essere rimasti, o il dojo non potrebbe contenerli tutti.

“Questo non è vero.”
“L’avete sentito anche voi, San’nan – san. L’hanno sentito tutti.”
“Non credo Serizawa – san avesse il diritto di farvelo notare di fronte agli uomini, in ogni caso.”
Hijikata serra gli occhi. La mascella contratta guizza, i tendini del collo sono come cavi sotto pelle. Non sorride: ricorda. E San’nan non può fare a meno di ripensare a quella conversazione dell’altra sera.

“Di cosa vi preoccupate, Hijikata? La faccenda è chiusa. La magistratura di Osaka ha riconosciuto la colpevolezza degli allievi della scuola di Sumo; non ci saranno ritorsioni contro di noi.”
“Non è questo il punto! Avete una vaga idea di ciò che pensa la gente di Kyoto? Dopo l’incidente le voci sono raddoppiate. Non siamo la polizia del Bakufu, siamo assassini, per loro. E tutto per il vostro comportamento! Non vi permetterò di rovinare il nome della Roshingumi!”
Il sorriso di Serizawa è più frequente di quello di Hijikata. Lento e rilassato, una piega sbilenca in un volto su cui è rimbalzata anche la prigione. Senza effetto.
È il genere di allegria che nasconde una tempesta.
“Direi che è il mio turno di farvi una domanda. Hijikata – kun, perché siete venuto fin qui, nella Capitale?”
Il viso di Hijikata è cereo.
“Pensavo fosse chiara. Per costruirci un nome. Perché Kondou Isami sia rispettato.”
Non c’è un briciolo di esitazione nella sua voce, ma non è sufficiente. Non per Serizawa. La sua risata – sarcastica, ustionante – rimbomba nella stanza.
“Rispetto per Kondou – kun, hm? In questo caso, non stai lavorando abbastanza duramente.”
“Cosa?”
“Apparteneva ad una famiglia di contadini da Tama, giusto? Riesci a capire quanto sia difficile per un civile essere riconosciuto come samurai?”
“Non mi serve che me lo ricordiate.” Le mani di Hijikata si aprono e si chiudono, come preda di uno spasmo. Come Souji quando cerca l’impugnatura della spada, come Shinpachi quando una sassata vagante lo centra…per sbaglio. “Ho visto quanto si è impegnato per conquistarsi il diritto di portare la spada. Ero lì quando l’hanno sottovalutato…ma ora, finalmente, abbiamo una possibilità di allontanare i pregiudizi. E non lascerò che svanisca per causa vostra.”
Le sopracciglia di Serizawa si inarcano appena – e c’è ancora quel sorriso, mentre si porta la lunga pipa affusolata alle labbra e la brace prende vita sotto il suo respiro.
“Non basta.” Ripete, sbuffando il fumo dalle narici.
“Che diavolo significa non basta?!”
“Hai la passione necessaria, ma non puoi tirare avanti con i tuoi bei discorsi. Ti manca la determinazione per sporcarti le mani, per fare qualunque cosa sia necessaria.” Gli occhi grigi fissano Hijikata, ma sono distanti. “Non importa ciò che dirai: Kondou – kun è nato contadino e sarà sempre tale. È la natura del mondo, il senso comune dal punto di vista del pubblico generale. Non può cambiare in dieci, venti anni.”

Cos’è un sorriso?
La nostra espressione di vittoria, la nostra maniera di sfidare il mondo. San’nan osserva quello di Harada, mezzo nascosto sotto un velo di scocciatura, mentre si abbassa per permettere ai bambini di aggrapparsi alla lancia sulle sue spalle e li scarrozza in giro, tra le risate generali.
Quando torna a guardare Hijikata, ve ne trova un altro. Una parodia contorta.
“ Potrà anche non averne avuto il diritto, ma l’ha fatto,” mormora il ronin. “ E la cosa peggiore è che più ci penso, più mi accorgo che è ha ragione. È vero. I bei discorsi non ci stanno portando da nessuna parte.”
San’nan ascolta in silenzio. Riesce a carpire la scintilla del giovane samurai – quella che gli brucia nel fondo degli occhi e che risale in superfice quando Hijikata comincia a dare ordini. Che Toshizou abbia la stoffa per diventare un capo migliore di Serizawa, più efficiente, più deciso, più forte, nessuno lo mette in dubbio. Ma il suo è un impulso che deve ancora emergere.
E perché possa farlo…

Un sorriso.
Quest’involontaria rivolta dell’uomo davanti alla sua fragilità. All’unica alternativa – uccidi o sii preda.
Un sorriso, sul volto di San’nan.
“Posso capire il vostro nervosismo, Hijikata – kun. Credetemi, è così.”
“Apprezzo la comprensione, ma serve a poco.” Hijikata si ferma di nuovo di fianco alla finestra. Anche Kondou è uscito in strada, a schermare il suo esecutivo prima che una delle tante madri accorra a difendere la prole. “Quella frase…maledizione, vorrei che smettesse di girarmi in testa. Vorrei non averla sentita.”

Quella frase.

“Sapendo questo, volete ancora fare di Kondou – kun un samurai agli occhi altrui?”
L’espressione di Hijikata parla da sola. Gli occhi sono freddi e duri come ametiste, la postura rigida. La bocca ridotta in una linea tanto sottile da impedire a qualunque parola di fuggirne.
Serizawa fa compiere un elegante arabesco al ventaglio di ferro che stringe in mano. Peserà mezzo chilo, ma lui lo maneggia come fosse una piume. Volteggio, giro, volteggio. Assente.
Il sorriso è ancora lì, provocatorio.
“Allora dovete diventare un demone, Hijikata – kun.”
C’è curiosità, oltre la diffidenza nello sguardo del ronin.
“Un demone…?”
“Non importa quanto famosi diverrete, ritornelli come ‘figli di pezzenti’ vi seguiranno ovunque. Dunque non dovete esitare di dimostrare il contrario e fare di chiunque un nemico. A costo di sprofondare nel sangue per primo.”
Il ventaglio si chiude, una tagliola di metallo elegante.
“Questo è ciò che intendo con il diventare un demone. Per il bene di Kondou – kun. Se potete farlo, allora avrete una possibilità di capovolgere le regole di questo mondo.”

Non c’è stata risposta, così come non c’è ora. Hijikata gira per la stanza, un animale in gabbia. San’nan resta a guardare.
Non si è intromesso nella discussione. È più comodo, oh, mille volte più comodo lasciare che Niimi e gli altri seguaci di Serizawa lo credano un debole, più adatto alla diplomazia che alla spada. Non c’è neppure bisogno di essere particolarmente cauti – basta indossare la maschera giusta e avere cura di non rovinarla.
Un sorriso.
Una menzogna.
Con Serizawa è diverso: è una vecchia volpe, già troppo vicina alla morte per non subodorare una minaccia quando gli si accosta. Con lui dev’essere più attento. O rischia di passare per pessimo attore. Come l’ultimo arrivato, Saitou Hajime.
Osservare, incamerare, rielaborare. Vedere le linee – di – colpa di ognuno, capire dove lo porteranno.
Questo, il suo compito.
E ora non può che concedersi un lieve sorriso, scorgendo quelle di Hijikata. Lo porteranno su un cammino di sangue, lo sa già.
“Permettere un consiglio, Hijikata – kun?”
Il ronin batte le palpebre, accenna stancamente un sì. Nemmeno lui ci crede fino in fondo, ma non può impedirsi di sperare che ci sia una maniera per uccidere quel maledetto tarlo.
“Ditemi pure.”
“Promettetemi di ascoltarmi fino in fondo.”
Occhiata perplessa.
Ingenuità, muori. Non c’è più spazio per te.
San’nan sorride, rassicurante.
“Credo sia giunto il momento di accettare il consiglio di Serizawa – san. A modo nostro.”



Un sorriso.
Nelle mani giuste, si trasforma in un incubo.


[1454 words]


N\A:

E rieccomi a voi.
Per prima cosa la nota tecnica: questa shot è liberamente ispirata alla route di Hijikata in Reimeiroku, in cui compare il colloquio tra lui e  Serizawa. Mi sono concessa una piccola licenza temporale, spostando in inverno un episodio che si svolge in una stagione più mite. Nella fattispecie, la Roshingumi aveva avuto un piccolo alterco con alcuni studenti di una scuola di sumo di Kyoto.
Serizawa si era intromesso e aveva risolto la cosa a colpi di spada, uccidendo alcuni studenti e ferendone altri, per poi andare a questionare alla Magistratura di Osaka.
Di qui la protesta di Hijikata.

Il prompt è stato a lungo oggetto di indecisione. Il detto "l'acqua cheta rompe i ponti" stava bene sia per Saitou che per San'nan. Alla fine ho deciso per quest'ultimo, sfruttando la sua apparente calma. Direi che sono più soddisfatta del tentativo fatto con Kondou, anche se sono ben lungi dall'uguagliare altre rappresentazioni di questo personaggio.

Oooook...mi pare di aver detto tutto. Mancano solo quattro capitoli alla fine della prima parte, gente: parte il countdown <3.
Un grazie a Satomi, Ellie_x3 e Hikari92 per i commenti, a chi legge, a chi segue, a chi passa.

Alla prossima,
Kei

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Capitolo 13
*** 13. Ripetere - [the two of us are walking like soldiers] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


13.  Ripetere:
[The two of us are walking like soldiers]
Terra#04. Eclittica.

*
“This second chance I know won't last
But it's ok, got no regrets
And I, I feel the end is near
I'm a fool
Can't get closer
But I'm doing what I should

I've been drowning in sorrow
chasing tomorrow
running away
Now you're crossing the border
sealing tomorrow
but you're not afraid”

Sinéad, Within Temptation

*

Giriam giriam intorno al Sole
intorno alla Terra, la Luna s'avvita...

Dovrebbe concentrarsi, ma quella filastrocca non smette di tormentarlo. Si allunga pigra tra un pensiero e l'altro, complice del profumo d'incenso. Da quando ha messo piede nella casa da tè, non l'ha più abbandonato.

Giriam giriam intorno al Sole.

È fermo, lui, in questo istante. Fermo al centro della stanza dalle pareti dipinte e fermo d'intenti.
“Possiamo iniziare, Amagiri – dono?”

La diffidenza negli occhi del Satsuma inginocchiato davanti a lui è palese. Un miscuglio di rispetto, timore, nervosismo – anche ribrezzo, sì.
Ribrezzo per i suoi capelli rossi e gli occhi azzurro ghiaccio.
Troppo poco ordinari, anche per un oni.
Amagiri Kyuuju si dimentica spesso che agli occhi umani è alieno tanto quanto i gaijin approdati sulle coste con le loro navi nere.  Cose che capitano. Agli oni non interessa poi così tanto il proprio aspetto fisico.
“Hai.”

Un cenno di assenso. Il Satsuma si allunga e prende la missiva.
“Mi aspetto che venga presentata ai vostri due compagni,” ammonisce, ma la voce gli muore in gola sotto lo sguardo dell'oni. Imperscrutabile.
Davvero ti aspetti qualcosa, ningen? Veramente?
Ancora una volta, Amagiri si limita a un cenno del capo.
“Naturalmente. Com'è già stato stato stabilito, sono portavoce per tutti e tre.”
Il funzionario stringe le labbra.
Forse spera di mantenere un certo contegno, con la maschera di bronzo che gli presenta, ma Amagiri è bravo a leggere oltre la facciata.
Al di là del grazioso contegno, l'uomo sta pensando che tre oni sono anche troppi.

“Mi chiedo perché non si siano presentati a loro volta.”
“Non sarebbe stato necessario. Conoscono i termini del patto quanto me, se non meglio.” Shiranui di malavoglia, Kazama perché deve, ricorda Amagiri. “E avevano affari a cui badare.”
“Oh?”
Amagiri prende un respiro profondo.
Trova un punto tranquillo e concentrati.
Tra poco uscirà dalla stanza e dalla casa da té, tra poco sarà tutto finito. Non vale la pena di indispettirsi per l'indiscrezione di un essere umano.
Tace, dispiega la missiva, la legge – conosce già il testo a memoria, è solo per dare una parvenza di umanità a quest'incontro.

Come già prima, lo trova una stupidaggine.

I feudi ribelli non fanno che scannarsi alle spalle gli uni degli altri, troppo guerrafondai per rinunciare alle liti interne, ma quando si tratta di siglare accordi non è necessario né lo spreco di carta né l'umiliazione di appartarsi per firmarla.
Tra gli umani basta la parola. Così facile da rompere, così ipocrita.
Per tenere sotto scacco loro ci vuole una catena ben più forte.

“Ho controllato e ricontrollato affinché fosse tutto in ordine,” lo informa il funzionario, distaccato.

Amagiri lo ignora e scorre le ultime righe dell'accordo.
Qui, nell'inchiostro, è racchiusa la sorte della sua razza. Sempre che razza si possa ancora chiamare.
Dopo le rappresaglie dello shogun contro la loro presa di posizione, sono rimasti in tre – e, secondo gli umani dei clan Satsuma, Chooshu e Tosa, inevitabilmente destinati a spegnersi.
Lui glielo lascia credere.

Giriam giriamo intorno al sole
intorno alla terra la luna s'avvita
non moriamo di morte, noi...

“Va bene.”

*

Kazama non c'è ad aspettarlo fuori.
Amagiri lancia a Shiranui un'occhiata interrogativa, e il demone più giovane risponde con una stretta di spalle.

“Si annoiava.” borbotta, a mo' di scusa.
“Ti avevo chiesto di tenerlo d'occhio.”
“Hai paura che si faccia ammazzare?” ironizza il cecchino. Il suo è un sorriso scherzoso solo a metà. Fino a qualche secolo fa sarebbe stata una battuta.
Adesso è realtà.
Amagiri scuote il capo. Non sono nella capitale, sotto gli occhi dello Shogun e dei suoi cani da guardia, ma non per questo si fida della discrezione di Edo.
“Almeno ti ha detto dov'era diretto?”
“No. Se ti consola, non dovremmo frugare i bordelli. Anche se una visita non mi sarebbe dispiaciuta.” Shiranui si appoggia al muro del vicolo, prende qualcosa dalla vita e se lo passa tra le mani. Una pistola, una di quelle nuove armi dall'Occidente.
Amagiri non commenta.

“Com'è andata con le trattative?”
“Come doveva andare.”
“Quanto mi piace il tuo lato espansivo, Amagiri, davvero! Volevo venirci anch'io, comunque”
“Avresti ammazzato tutti per noia.” puntualizza l'oni, in tono pratico. “Per non parlare di Kazama.”
Pausa.
“Da dove viene quella?”

Shiranui sbarra gli occhi e subito il suo sguardo si accende d'irritazione.
“Non l'ho rubata, se è questo che stai chiedendo.” sibila, offeso. Le iridi viola percorrono l'arma. L'intera struttura dello strumento puzza di morte e di polvere da sparo. “È stato un ningen.”
“A rubarla?”
“A prestarmela, spiritoso-” un giorno o l'altro dovremo fare due parole sul rispetto per chi è più maturo di lui, si dice Amagiri, con una punta di irritazione - “Ho scambiato due chiacchiere con lui e i suoi compagni su questo nuovo tipo di armi. Non sono male, sai? Affatto.”
“Le armi o i ningen?”
Silenzio.

Amagiri lancia un'occhiata alla via. Luci, colore, musica, profumi, risate, chiacchiere. Loro non appartengono a questo mondo. E nemmeno un patto con i tre feudi più fedeli all'Imperatore possono cambiare la loro natura.

È solo una sistemazione temporanea.
Passerà anche questo.
Come ogni altra cosa.
“Meglio non affezionarsi a nessuno.”
“Chi, io? A quegli...insetti? Stai scherzando, spero.”
Amagiri alza una mano, in segno di pace. Era necessario specificarlo. Quelli di loro che sono rimasti soli hanno finito per disperdere il proprio sangue accoppiandosi con gli umani e convivendo con l'altra razza. A loro non è più concesso.

“Andiamo a cercare Kazama – dono.” mormora. “Vedi di non ammazzare qualcuno.”
“Oh, non temere.” Il volto di Shiranui s'indurisce. “Aspetterò il momento adatto e le persone giuste.”
Con questo patto si attesta l'alleanza tra i clan Satsuma, Chooshu, Tosa e i rimanenti oni dell'Ovest-

Più ci ripensa più gli pare un'idiozia. Ma Amagiri non può dimenticare che anche l'idea di essere distrutti da un gruppo di umani sembrava un'assurdità, quando il loro clan era numeroso e la decisione di restare ben distanti dalla guerra pronta a scoppiare era salda.
Non è un errore che vuole ripetere.

“Dobbiamo farlo per forza?” mormora Shiranui, sovra pensiero, mentre si avviano.
Amagiri annuisce.
“Non durerà per sempre.”
La carta si sbriciola, l'inchiostro rinsecchisce. I ningen muoiono. Come l'eterno cammino della Terra intorno al Sole, ogni cosa prima o poi si consuma e ricomincia.

Loro non ne saranno mai toccati.
Come sempre.


Giriam giriam intorno al Sole
intorno alla Terra la Luna s'avvita
Non moriamo di morte, noi.

Di capogiro perdiamo la vita.


 [1110 words]

N\A:

Due note tecniche e poi mi dileguo.
1. La filastrocca che Amagiri si rigira in mente è presa dal fumetto americano Il Corvo di J. O' Barr. Pensavo fosse calzante.
2. Il contesto è completamente inventato. Ovvero, questa è un'ipotetica missing moment che vede gli oni nel momento in cui stringono l'alleanza con i tre feudi citati nel testo. I massacri a cui si riferisce Amagiri sono stati perpetrati dallo Shogun tempo prima, davanti alla reazione neutrale degli oni davanti alla necessità di difendere il Paese dagli sbarchi gaijin. That is all.

Dopo tante liti, azioni, scontri, incontri eccetra non sono riuscita a produrre niente di meglio di un'introspettiva extra - strong. Spero non sia soporifera. E non lasciatevi fregare - è solo la pace prima della tempesta. :3

Meno tre capitoli, siori e siore!

Kei

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Capitolo 14
*** 14. Osservare - [Because I'm also stuck in cowardice, I look up to the sky] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


14.  Osservare:
[Because I'm also stuck in cowardice,
I look up to the sky]
Terra#04. Legno.

*
“(Everything falls apart, even the people who never frown eventually break down)
The sacrifice of hiding in a lie
(Everything has to end, you'll soon find we're out of time left to watch it all unwind)
The sacrifice is never knowing

Pushing me away, Linkin Park

*

Sul legno c'è una chiazza ovale. Il bordo sinistro è liscio e perfetto, una scottatura, l'impronta di una moneta; quello destro è una cresta frastagliata che s'inarca sulle venature.
Yamazaki l'osserva, corrucciato.

È arrivato a casa Yagi da mesi, ormai. Abbastanza a lungo per sapere che i Miburoshi preferiscono allenarsi all'aperto, qualunque tempo ci sia, perché chiusi tra quelle mura prima o poi si finisce per soffocare. Per sapere dove vengono tenute le (scarse) provviste e dove vanno la scopa e lo straccio.
Per poter andare a prendere quest'ultimo senza che nessuno gli dica nulla.

Si guarda intorno, indeciso. Non c'è nessuno, almeno a prima vista. Potrebbe mettersi in ascolto, potrebbe cercare di carpire qualcosa di più dei colpi secchi e dei “men!” che arrivano dal campo. Potrebbe. Dubita che ne ricaverebbe qualcosa.
Oggi non è giornata.

Yamazaki posa il secchio, si inginocchia e inzuppa lo straccio. Lo strizza, lo appoggia sul legno e comincia a sfregare. È un lavoro ingrato, un lavoro che spetterebbe alle donne di casa.
A quanto sembra, è anche l'unico che riesce a calmarlo.

La stoffa gratta sul legno. Nodi, imperfezioni, schegge. Tutte piallate, tutte rese invisibili dal tempo, dall'abilità del falegname.
La macchia, al centro dell'alone scuro, spicca come un occhio. Un occhio che vede tutto, un occhio che risponde al suo sguardo.

Yamazaki chiude la mente e si concentra su di essa.
Dentro la macchia c'è un mondo.

A volte ci vede una sbavatura d'inchiostro, come quelle che Okita – kun ha lasciato sul libretto di haiku di Hijikata. Altre, una stella esplosa. Con le viscere fumanti che ne interrompono la perfezione, l'addome squarciato – avrà fatto seppuku, sarà stato il Sole ad ordinarle di suicidarsi per il puro gusto di farlo?
È il fondo nero di un pozzo sfondato. O la sua bocca vista dall'annegato che vi è caduto dentro, il grembo tondo di una donna incinta.

È un trucco, e lo sa benissimo, ma fa niente. A lui va bene. È più costruttivo di osservare gli altri allenarsi, migliaia di gesti ripetuti all'infinito, o di stare tra i piedi a qualcuno dei comandanti.
Guarda la macchia e la mente scorre via con le gocce d'acqua. Intanto lui si perde nelle pieghe del legno, e ogni giorno quello gli presenta qualcosa di nuovo. Il gatto nero che ha rubato il pesce l'altro ieri, la luna piena di ieri.

Oggi è un giorno storto.
E adesso devo-
Oggi non fa che ricordargli quella cosa.
                                      - sciacquare.
Yamazaki tuffa la pezza nel secchio e la strizza. L'acqua si tinge di rosa. Chiaro, per ora. Ma l'alone per terra è scuro, così scuro.
Si romperà la schiena e l'acqua diventerà nera, prima di aver finito.

Di nuovo la macchia. Oggi gli dà fastidio, oggi lo disgusta. La nasconde con lo straccio e sfrega più forte che può. Le mani gli fanno già male.
Le sue stupide mani. Mani da figlio di agopuntori, mani di un marmocchio che voleva diventare samurai.
La macchia, la macchia.
Yamazaki sussulta e molla lo straccio. Si guarda il palmo. L'ombra della scheggia è nera sotto la sua pelle.
Brucia. L'afferra e la sfila e sta a guardare la goccia di sangue che si gonfia sulla sua mano

e sgorga

e cade

e là!
Sul pavimento.


Sciacquare.
La macchia lo fissa. Come ha fatto l'occhio cieco di quella cosa, la notte prima.

*

“Hijikata – san, che cos'è successo?!”
Saitou si gira con la mano che vola all'elsa della katana appena ringuainata, ma si ferma.
“Yamazaki – kun.” mormora. Che sia un riconoscimento, che sia solo per avvertire Hijikata, Yamazaki non saprebbe nemmeno dirlo.
Perché non ha importanza, adesso. La risposta è davanti a lui.

Non è il corpo a fargli più impressione. Ha visto corpi di condannati a morti dilaniati da ferite molto peggiori: questo non è né più ne meno di un fantoccio. Attraverso gli strappi delle vesti la pelle è una colata di cera, elastica e imperlata di sudore – ne avverte il puzzo, penetrante. Le membra giacciono scomposte, come quelle di un burattino. Le gambe, spezzate durante il loro ultimo passo. Le mani irrigidite in artigli. Le braccia piegate ad un angolo assurdo, quasi buffo.
E poi, sopra le spalle, la voragine.

Non si accorge di essere indietreggiato finché non sente il tonfo della fusuma alle spalle e sente il legno contro le spalle.
Il legno è coperto da una pozza nera. Nera, perché nera? Ma naturale, la luce non basta – altrimenti vedrebbe, vedrebbe tutto.
Il filamento dell'esofago stritolato dagli ultimi spasmi dei nervi, gli spuntoni d'osso – netti: come dita protese – che emergono dalla massa molle, gli anelli schiacciati della trachea. Il baluginare del midollo, il rosso scuro della carne che si schiude, oscena al pari di una vulva spalancata, pronta ad ingoiare il mondo intero. Tutto.
Anche il sangue che dilaga sul pavimento – non avresti mai detto che è così colloso, vero?
Anche il ghigno osceno sul volto del morto.

Quel volto che è spiccato dal corpo e sembra capitato lì per caso.
Quel volto rivolto verso di lui.

Quel volto. Con un sorriso nascosto dai capelli sfuggiti al nodo tradizionale e la pelle rattrappita, così falsa. Con un occhio ridotto in una poltiglia sanguinolenta lì dove una lama ha sfondato l'orbita e l'altro – l'altro – dei del cielo, l'altro-

“Le spiegazioni dopo,” afferma Hijikata, secco, il respiro completamente calmo. “Yamazaki – kun, chiama San'nan – san e digli di venire qui. Subito.”
Yamazaki non lo sente. Guarda il morto e il morto guarda lui, attraverso l'unico occhio rimasto.

Spalancato.
ROSSO.

*

Rosso.
Ieri notte tutto era di quel colore. Quando ha vomitato era sicuro che perfino la cena fosse scarlatta, una colata di sangue scesa sul mondo intero.
Ciò che può fare la suggestione, gli borbotta la voce del padre all'orecchio, familiare. Yamazaki strizza con rabbia lo straccio, bagna, sfrega, sciacqua.
Suggestione, paranoia.

Lui sa solo che quello che è successo  dopo è dipeso solo da lui. Rimanere inchiodato al suo posto, farsi riprendere da Hijikata, farsi vedere da Ibuki mentre lo stomaco lo ha tradito di nuovo e Hijikata, San'nan e Saitou facevano sparire il corpo: tutta colpa sua.

La macchia lo guarda,
“Se una quantità tale di sangue ti fa impallidire e star male così, non sarai in grado di combattere.” ha sentenziato Hijikata.
Ma non è il sangue, avrebbe voluto dire.
È quell'occhio.

Bagnare.
Strizzare.
Sfregare.
Sciacquare.
Ancora e ancora.


Suo padre ha sempre detto che c'è fin troppo legno dentro di lui. Una sovrabbondanza di radici che lo tengono ancorato al suo posto come un solido sakura, che l'hanno portato in giro così come l'edera si protende verso una nuova casa, che non gli fanno temere le frane provocate dai commenti derisori sul loro conto.
Ma il legno, per quanto possa galleggiare, finisce per farsi impregnare prima o poi. E allora marcisce. Si riempie di vermi, di tarli.
Irreversibilmente.

La macchia è diventata il suo tarlo.
Hai visto, oh, hai visto? Sì che l'hai visto, sì, l'hai visto e lui hai visto te. Si chiama morte. Morte. Succederà anche a te, prima o poi. Sarai aperto allo stesso modo. Più nudo di così davvero non si può, vero? Più esposto al mondo non si può.

Sciacquare...

Yamazaki si ferma per un istante. Ha le mani rosse e sul dorso si stanno aprendo minuscoli tagli. Quando stacca lo straccio dai suoi palmi – com'è difficile! Come se qualcuno l'avesse cucito – vede il tremore che li percorrono.

Il sangue del morto è ancora lì. È un alone impercettibile, davvero, Hijikata – san non avrebbe mai permesso di mettere in allarme gli abitanti di casa Yagi. Ai suoi occhi, tuttavia, è una pozza senza fine.
E sa che ogni volta che passerà di qui finirà per ricordarsi quel cadavere, l'acciaio macchiato, quell'espressione ferina sul volto di Hajime.

Quell'occhio nella macchia.

Abbassa lo sguardo: è ancora lì, beffardo, a scrutarlo dal piccolo sole esploso. Un'orbita vuota. Un bulbo scoppiato.

Yamazaki stringe le labbra e si impone di non vomitare di nuovo. Immerge lo straccio, lo strizza, lo appoggia sul legno. Ci preme sopra il palmo.
Sfrega.

C'è un'altra cosa che dicono del legno – che alcuni tipi si spezzano ma non si piegano.
E ancora. Che le bambole Daruma, che di legno sono fatte, cadono sette volte per rialzarsi otto.
Che il legno cresce nella direzione dettata dal vento e dal sole, e che rami rimasti attaccati al tronco a volte rivivono.
A volte.

Non è il suo caso. Qualcosa si è spezzato, e lui lo sa. Una parte di lui spera ancora di poter diventare un samurai, di poter combattere fianco e fianco con gli altri alla luce del giorno.
Un'altra gli ricorda che non lo sarà mai. Non dopo il discorsetto fatto con Hijikata dopo l'incidente, non dopo il suo sguardo dubbioso.

Sfrega, bagna, strizza, sfrega.
Sciacquare.

La macchia lo guarda, lui risponde allo sguardo. Lo disgusta, ma resterà lì ancora un po'. E forse tornerà anche domani, e dopodomani.

Finché non riuscirà a sostenere quell'occhiata di accusa. Finché non capirà in che modo può essere utile.
Verrà la Morte e avrà i suoi occhi, ma almeno lui avrà imparato a guardarla di rimando.


[1540 words]


***

N\A.

Meno due!
La shot è basata sulla route di Hijikata in Reimeiroku, che è la più vicina a Yamazaki. Hijikata e Saitou hanno a che fare con un Rasetsu "sperimentale" creato da Niimi, e Susumu ha la brutta idea di andare a controllare cosa sia successo a massacro avvenuto. Inutile dire che la sua reazione non mette esattamente Hijikata a proprio agio con l'idea di avere Yamazaki tra le possibili future file di ronin.
Avevo una mezza idea di farla sulla morte imminente di Serizawa, ma come al solito i piani vanno a puttane, quindi ho smesso di farmi problemi V.v.
Poi. Che altro? Oh, sì. Credits ai Linkin Park, senza il cui album non avrei scritto un bel niente. E il discorso di "Sciacquare" è un piccolo omaggio a King. Quel che succede quando si scrive poco tempo dopo essersi messi a leggere Misery.

Prossima settimana, Praga e Monaco :3. Spero di tornare con tutte le dita dei piedi ancora attaccate, dato che prevedono minime di - 30 e massime di - 13.

Rinnovo i ringraziamenti ai recensori, ai lettori, a chi inciampa per caso. -w-

Kei






 

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Capitolo 15
*** 15. Vacillare - [A timid heart is at disadvantage with someone who likes danger] ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


15.  Vacillare (e resistere):
[A timid heart is at disadvantage to someone who likes danger]
Acqua#11. Annegare.

*
“Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia”
I Fiumi, Ungaretti

*



L'acqua si scava sempre la propria strada, così gli hanno detto; ma nessuno ha mai parlato di cosa succede quando la piccola goccia isolata raggiunge il terreno impermeabile e vi resta intrappolata, incapace di dissolversi, incapace di proseguire oltre con le sue sorelle.

Shinpachi guarda il foglio bianco e sospira. Forse perché fuori piove, oggi, forse perché gli sembra che l'intero mondo gli stia per crollare addosso, ha un'idea abbastanza chiara di come deve sentirsi quella goccia.

In trappola. Sei piedi sotto terra, lì dove non si spingono nemmeno gli insetti. Schiacciata dal peso della terra, troppo piccola per essere assorbita – ma non abbastanza da scivolare tra i sassi e i detriti.
In bilico. Un punto di accumulazione.

E l'acqua sale.

Pioveva anche ieri, ora che ci pensa. Ricorda la sensazione della stoffa appiccicata alla schiena e il riflesso della pioggia sulla katana di Saitou, quella puntata su di lui nel loro alterco. La loro piccola zuffa.
Shinpachi fa una smorfia. Quasi gli dispiace non essere stato beccato: d'altra parte, Saitou non è così stupido da riferire a Hijikata che ben due neo – capitani hanno infranto il codice, scagliandosi l'uno contro l'altro.

No, così sembra quasi un duello vero, considera, mentre le gocce di pioggia rimbalzano sulla carta di riso.
Se lo fosse stato a quest'ora uno di noi sarebbe morto. E l'altro prossimo ad essere ucciso per insubordinazione.
Ormai è chiaro a tutti che nemmeno i membri più alti del loro gruppo sono intoccabili. Con il corpo di Serizawa che si fredda in attesa di essere seppellito e quello della sua donna, sarebbe difficile scordarlo.
Tuttavia, non è la paura della morte a costringergli la gola.

È essere stato estromesso. È essere stato costretto a farsi coprire le spalle.

Saitou ha accennato ad un alterco con Hijikata. Non al fatto che abbia cominciato io.
Saitou ha confessato di aver risolto il tutto. Non ha detto nulla riguardo al fatto che l'abbiamo fatto, sì, ma con la spada. Una lama sguainata contro l'altra.

Saitou ha parlato di screzi.
Non di quello che gli ho davvero rinfacciato.

Mi avete lasciato fuori. Tutti quanti.
Ha saputo la verità dal sangue secco che incrostava la lancia di Harada, e dal sibilo lieve della pietra pomice sulla lama lievemente umida di Souji.  Serizawa Kamo è morto e nessuno gli ha detto nulla. Erano troppo preoccupati all'idea che la sua lealtà verso l'ex – capo della fazione di Mito fosse più forte di quella che porta alla loro bandiera. Non è venuto qui per farsi amici, no, ma pensava di potersi fidare e di essere degno di essere ricambiato.


E adesso, oltre al danno, davanti a lui si delinea anche la beffa. Nella sua forma più ipocrita.

Un epitaffio.

Parole che solo un simpatizzante della scuola di Mito potrebbe scrivere. Per nascondere la violenza brutale e il puzzo di alcool sotto l'immagine di un uomo dall'animo forte e nobile, d'acciaio. Perché la figura di Serizawa non sfiguri, in una storia – la loro – che è già stata contaminata dal puzzo della morte, di fianco a chi gli organizzerà un funerale, questo pomeriggio.

Per far sembrare che sia tutto a posto.
Ci fidiamo ancora di te.
Shinpachi stringe i denti. Le sue nocche si fanno dello stesso colore della carta che sta schiacciando nel pugno, con un crepitio che sembra quello di un piccolo animale dalle ossa frantumate.

Eccoli, i sentimenti della goccia in trappola. Per la prima volta è costretto a qualcosa che non vuole fare. Per la prima volta è oppresso dal peso della diffidenza verso i suoi stessi compagni.
E dentro di sé sa che non se ne dimenticherà mai, nemmeno con tutta la sua buona volontà.

L'acqua si scava la sua strada, dicono.
Lui, oggi, in quell'inchiostro nero – l'unica chiave della sua liberazione – vorrebbe annegare.



Note dell' Autrice:
Ero indecisa se postare oggi questo capitolo, visto che sono presa dallo studio, ma alla fine anche il dubbio è andato a farsi benedire. D'altra parte, tra cinque giorni devo mettere su Bittersweet, quindi tanto valeva aggiornare finché possibile senza intralciare i miei altri lavori.
Come si può notare, questa è la shot più corta della raccolta. La scelta di non rappresentare la morte di Serizawa è stata voluta, in quanto mi sono proposta di ripercorrere anche i momenti semplici come questo. L'ambientazione: poco dopo l'uccisione di Serizawa e la mattina seguente ad un possibile confronto tra Shinpachi e Saitou sulla decisione di estromettere il primo dalla "spedizione". Mi sono basata su un'immagine dal gioco di Reimeiroku. Tenendo le dita incrociate,  forse la vedremo quest'estate, quando la nuova serie animata di Hakuouki uscirà :3.

Manca solo una one - shot, ormai, per completare la prima parte della raccolta. Spero di non metterci un altro mese a finirla ^^" rimando le note generali su questo primo settore al prossimo capitolo, dunque, come conclusione numero 1 della raccolta.

Come al solito, un grazie infinite a chi legge, chi recensisce, chi ha inserito tra seguite\preferite\ricordate.
Al prossimo capitolo <3.

Kei










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Capitolo 16
*** 16. Cominciare - [On the path of cloudy weather...]\\ Epilogue Arc 1. ***


Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-

16.  Cominciare:
Aria#7. Brezza.

*
“Io e la mia ombra ci siamo messi in cammino
come un uccello folle, come un cieco ti seguo
come può una stella sola osare.”
Qualcuno con cui correre, David Grossman

*


Non crede più nelle favole.
Da piccola era tutto un altro discorso – quando era una bambina viveva per i racconti che suo padre le mormorava prima di spegnere la luce.
Il mondo fuori dalla porta non era interessante neanche la metà di quello costruito con le parole.
Ora ciò che l'aspetta là, oltre la soglia, è tutto quello che le resta. È un posto freddo, cattivo, feroce.
Il mondo si è mangiato sua padre.
Il mondo l'ha lasciata orfana.
Il mondo aspetta anche lei.
Senza la giusta protezione finisci per essere inghiottito vivo e masticato – non può avventurarsi da sola all'esterno, non così: è per questo che ha tirato fuori il piccolo specchio dal cassetto.
Ora, mentre guarda la propria immagine nella superficie increspata, si dice che la ragazza che vede deve sparire. Ad ogni costo.
L'obi se ne va per primo. Non è lungo come quello di un'attrice, ma avrebbe lo stesso bisogno di una mano amica, una che sappia come districare i nodi; ma le amiche non ci sono, allontanate dalla cautela e dalla necessità di troncare i rapporti, ad uno ad uno, perché nessuno la deve fermare.
Lotta contro la striscia di stoffa. Le spalle bruciano, le dita scivolano – alla fine ci riesce. Poi tocca allo yukata senza pretese, senza ricami: alla figlia di un medico non si addicono i fronzoli.
La seta fruscia sulla sua pelle. L'aria fredda traccia brividi sulle sue spalle.
Li ignora.
Sopporta, sopporta.
Stringe i denti e raccoglie le bende.
Ecco, questo sarà difficile.
È piccola, è magra: il suo corpo non ha ancora preso curve troppo evidenti, ma il suo petto sì, e non va bene. Si guarda i seni acerbi, piccoli, le punte dei capezzoli appena più scure della pelle chiara.
Via.
Qualcun'altra si fermerebbe a piangere sulla sua femminilità perduta quando non è ancora sbocciata.
China il capo e comincia a svolgere le fasce.
Adagio, ora.
Un giro, due. Incrocio. Schiacciare e stringere, trattenere il respiro. Quando ha finito riesce a stento a boccheggiare, oppressa dal desiderio di strapparsi via tutto. Si nasconde con l'haori, prima che la tentazione diventi troppo forte. Poi la casacca. Si sistema: se le pieghe sono ben tese, non si vede nulla.
L'aria fischia attraverso la carta di riso, fa fremere la fusuma come se qualcuno stesse cercando di aprirla. Lei si rannicchia e si infila gli hakama in fretta, per non guardare la propria ombra spaurita.
Nasconditi. Nessuno deve vederti.
Ultimo, i capelli. Via i fermagli elaborati, via il laccio di seta. Ciocche nere le ricadono sulle spalle. Sono lunghe – troppo. Non le ha mai tagliate prima, e la sua mano malferma si rifiuta di collaborare.
Non può chiudere gli occhi,, lei, mentre raccoglie la lama sottile e comincia a recidere le ciocche più lunghe.
Quando ha finito, nello specchio c'è un ragazzino androgino e tanto sottile da sembrare in punto di spezzarsi da un momento all'altro. Ha ancora un rimasuglio di capelli sulla guancia, una limatura nera.
La toglie con due dita. La pelle è asciutta.
Si ripromette che non piangerà, qualunque cosa succeda.
Ancora non lo sa, ma è la più grande menzogna che possa regalare a sé stessa.

(E la superficie dello specchio è incrinata, lì dove non può vederlo.
Quando apre la fusuma, la brezza soffia e fa inclinare la superficie.
Lo vedete?
Lì.
Quella crepa sottile.
Lì, a tagliare la gola di una ragazza cancellata).


***

C'era una volta.

Non crede più alle favole; eppure, quando si ritrova davanti alla porta di casa, si ferma a sfiorare i vecchi graffi nel legno con la solennità che si tributa ad un altare del sacrificio.  Segue le pieghe scavate, rese lisce dalla pioggia e dal tempo, e ricorda la fatica di grattare via la vernice.
Inseguendo un sogno -  questa impellente necessità di lasciare un segno, quasi la bambina che era avesse già intuito di non avere un futuro certo.
La rattristano, quegli stupidi segni, ma allo stesso tempo risvegliano memorie.
La voce di suo padre, il calore dei suoi sorrisi, la premura nei suoi gesti.
La brezza soffia ancora, portandole all'orecchio un tintinnio sommesso dall'ombra. Chizuru si guarda alle spalle.
Eccolo, appeso vicino all'ingesso: il furin. L'estate è passata, l'inverno sta arrivando in fretta – non importa, la campanella continua a suonare lieve. Lo stormire delle foglie può coprirla, ma non soffocarla.

C'era una volta.

Si sistema il bagaglio sulle spalle, stringe la mano sul fodero della kodachi. Goffa, si sistema la spada alla vita.
Spera di non doverla usare mai.

(Ma è solo un'idea.
Dopotutto, la sua storia non è ancora stata raccontata
e forse, se esiti ancora, non saprai mai se sarai
la fanciulla in pericolo o il tuo stesso salvatore).


La brezza soffia.
Non un addio: solo un arrivederci.

Cauta, Yukimura Chizuru si mette in cammino e comincia a scrivere da sola la sua storia.


*

[On the Path of Cloudy Weather
a girl who has forgotten her umbrella
is fearfully walking in the rain]


END.


Note dell'autrice:
Ed eccoci. Avevo pianificato questo capitolo da una vita, ma confesso di non essere mai stata sicura se sarei riuscita davvero a raggiungerlo. Ora, guardando i quindici che l'hanno preceduto, posso dirmi soddisfatta.
Quando ho iniziato questa raccolta ero ancora nel periodo in cui, se qualcosa non m'ispirava, la lasciavo a metà. Non avevo la minima idea se avrei portato a termine o meno il lavoro e a dirla tutta era il mio problema minore - avevo fretta di mettere su carta ogni cosa.
Poi è arrivato Derail, in tutta la sua mole e schifosa indole despota, e Land è diventata un modo per rilassarsi e distogliere occasionalmente l'attenzione dalla long in corso. Non è mai stato divertente, no, a volte avrei voluto prendere a capocciate la tastiera.
Ciò non di meno, è stato. E sarà, visto che questa è solo la prima parte della storia. Il resto arriverà a settembre, perché da questo momento in poi tutta la mia attenzione va esclusivamente a Bittersweet, che manterrà gli aggiornamenti regolari ogni dieci giorni, e Derail, ancora inedita e attualmente a metà strada. Land of Make - believe dovrà aspettare. Piccolo spoiler - il titolo dell'arc: Bakuchi Dancer; la canzone ispiratrice: Hero degli Skillet.
Ecco, insomma. Ho detto tutto. Ringrazio una volta di più chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui - recensori, lettori, seguaci eccetra - e vi rimando a settembre per l'inizio della seconda parte. :3



Kei



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Capitolo 17
*** 17 - Scontro. ***


Land of Make - Believe
Part 2: Hero


17.  Scontro:
Acqua#7. Goccia.

*
[I must have dreamed a thousand dreams
Been haunted by a million screams
But I can hear the marching feet
They're moving into the street ]

*


Le avevano detto che la città sarebbe stata una vista splendida, in grado di risollevarle lo spirito. Allora perché in questo momento non vorrebbe fare altro che sprofondare?
[Una goccia di sudore lungo la sua schiena, prima di molte. Un dito ghiacciato che le accarezza le vertebre, come a decidere quale spezzare per prima].

Chizuru deglutisce, la gola così secca da farle male. Si spreme la lingua per una stilla di saliva e non ne ricava nulla. Acqua. Ha bisogno d'acqua. L'odore del sangue la prosciuga di qualunque forza.
Guarda verso l'alto, e l'acciaio le lecca la gola.
[Una goccia di sangue lungo la guancia del morto. Cola nella sua bocca spalancata in quel sorriso folle e lei pensa a come le dita si sono protese verso di lei, adunche, al sibilo soffocato della creatura].

Gli occhi dell'uomo che la minaccia sembrano neri nel buio, inchiostro liquido.
“Non ti muovere. Se scappi, ti ucciderò.”
Una promessa. Nel suo sguardo, Chizuru legge che la manterrà. Che se azzarda un passo l'afferrerà per i capelli e le aprirà la gola senza rimpianto.
Ma io non sono un mostro.
Pietà: per lei non ne resta neanche una goccia.

“Fukuchou, ordini?” la voce dell'altro guerriero risuona nel vicolo. Ha il volto di un ragazzo della sua età, eppure nell'ombra i suoi tratti sono affilati, remoti. La guarda come guarderebbe un pezzo di carne inerte, una bambola.
Pensa, Chizuru, distraiti. Mantieni la calma. Come diceva otou – san? Fai come la bambola Daruma, per sette volte che cadi rialzati otto.
Rialzati. Rialzati. Il suo corpo glielo sta urlando, ma lei non riesce a muoversi.  Il sangue le ronza nelle orecchie, così forte che quasi non sente la risposta.

“Togliete loro gli haori. Ai corpi penserà Yamazaki – kun.”
Gli haori...azzurro polvere, con triangoli bianchi a rappresentare i picchi innevati. La sua mente terrorizzata tace, il suo istinto le urla: “Morte”.
Sa con chi ha a che fare, all'improvviso. E il peso della realizzazione è la goccia che fa traboccare il vaso.
Il mondo si capovolge. L'acciaio le graffia il collo. Lo sguardo verde del terzo guerriero si tinge di un pizzico di perplessità.

È persa nelle strade di Kyoto, in balia della corrente, e non può fare nulla per frenare la caduta.
Io non sono un mostro.

Buio.

N\A
Hola mi gente! Come avevo promesso, Land of Make - Believe riparte nei primi giorni di settembre con la sua seconda parte. Il titolo, avrete sicuramente notato, ha subito un lieve cambiamento; alla fine non ho utilizzato la canzone Hero degli Skillet, ma ci tenevo ad inserirla in qualche modo, perché questo arc si focalizza proprio su questa tematica.
La protagonista di Hero è, infatti, Chizuru. Chizuru che arriva a Kyoto, Chizuru che dà il suo punto di vista sulla Shinsengumi e sugli eventi. In questa parte di Land la tematica storica è decisamente meno evidenziata, per lasciare il posto agli avvenimenti dell'anime. Ci tenevo, tuttavia, a mantenere un POV unico e il tema di fondo protagonista - personaggi per approfondire un po' quell'anima candida di Chizuru. Diciamocelo, non ha molto spessore in Hakuouki -w- meritava un po' di attenzioni.

Un'ultima nota prima di lasciarvi: il genere storico è stato rimosso dalle note di Land of Make - Believe. Il motivo è molto semplice. Dopo attenta considerazione, sono arrivata alla conclusione che l'introspettività prevale sugli eventi prettamente storici - e tra l'altro mi è capitato di leggere ultimamente un lavoro che si attiene alla lettera al significato di "storico", ed è tutt'altra cosa rispetto a Land. Quindi, pur attingendo molto alle fonti di documentazione, Land abbandona da questo momento il genere :3 d'altra parte, Hero si allaccia più ad Hakuouki Shinsengumi Kitan come lo conosciamo dai giochi e dagli episodi. Mi sembrava appropriato un cambiamento.

Ringrazio lettori, eventuali recensori e semplici passer - by, come sempre. A presto <3

Kei

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Capitolo 18
*** 18 - Bugie. ***


Land of Make - Believe
Part 2: Hero

18.  Bugie:
Terra#1. Pietre.

*
[Now, did you read the news today?
They say the danger has gone away
But I can see the fire's still alight
They're burning into the night]

*

La prima cosa che incontra, entrando,  sono gli sguardi.  È come essere presa a sassate.  È allora che le viene quell'idea insolita – menti. Menti spudoratamente. Accumula bugie, come quando giocavi per strada a fare finta che.

Conta.
Un sassolino, due sassolini, tre sassolini.

Il Demone, Okita, ammicca nella sua direzione e le indirizza un sorriso sornione.
Chizuru fa un passo indietro, resistendo alla tentazione di nascondersi dietro ad Inoue. Quasi si aspetta che le pupille tonde del giovane si trasformino in liste sottili e pericolose, come quelle di un gatto.
“Buongiorno. Hai dormito bene? Perché ti sono rimasti i segni del tatami sulla faccia...”
Le parole le vengono balbettanti, le mani si alzano in risposta. Chizuru sente le proprie guance bruciare sotto le dita.

Troppi occhi. Tutti puntati su di lei. Diffidenti, cauti. Un terzetto di uomini dall'altro capo della stanza le scoccano un'occhiata sonnolenta, annoiata. Un altro – haori di un gradevole giallo oro, i capelli scuri stretti nel nodo da samurai – la scruta con aperta curiosità.
Chizuru nicchia.
Quattro sassolini, cinque sassolini, sei sassolini.

Le parole le scivolano addosso, mentre il ragazzo della sera prima – Saitou – ripercorre gli eventi. Mormora una scusa quando le viene chiesta la sua versione.
Non ha visto niente.
Non sa niente.
Non ha fatto nulla di male.
“Dunque non hai preso parte all'azione?” chiede l'uomo con la bandana verde, incrociando le braccia. Occhi sinceri. Occhi aperti e amichevoli, di un limpido azzurro. “Da quello che aveva raccontato Souji, mi pareva di aver capito che avessi addirittura aiutato alcuni dei nostri esecutivi.”
Sette sassolini, otto, nove.

Chizuru incassa la testa nelle spalle. Aiutare? Lei? Ma l'ha vista bene? Dopo ieri notte non è più nemmeno sicura di sapersi difendere.
“N-no, io...io stavo scappando da quei ronin. Mi sono riparata in un vicolo e-e...e quelle...” persone. Non può definirle persone. La voce le muore in gola, al ricordo “sono stati loro a ucciderli, e poi Okita – san è arrivato e...”
Gli occhi azzurri non la lasciano un secondo.
Troppo tardi Chizuru si accorge del suo errore – adesso le iridi del ronin sono dure come zaffiri. La schiacciano, la pestano. Fanno male, soffocandola lentamente sotto il peso delle sue stesse menzogne. Si è rovinata da sola.
“Allora hai visto tutto.”

Non importano più le corde che le devastano i polsi. Non importano più nemmeno le preghiere inarticolate che le escono di bocca. Il suo essere maldestra ha firmato la sua condanna a morte.

Dieci sassolini.
Ora sono pietre.



N\A:

Dopo un mese. Colpa dell'università, di Derail agli ultimi capitoli e del corri corri generale. Scusate ç_ç
Un grazie a Fla che ha recensito, a coloro che hanno letto e a chi è passato per caso. Come sempre.

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Capitolo 19
*** 19. Sorriso. ***


Land of Make - Believe
Part 2: Hero

19.  Sorriso:
Fuoco#6. Calore.


*
[There's too many men, too many people
Making too many problems
And there's not much love to go around
Can't you see this is a land of confusion?]

*
Avanza con passi felpati sul tatami, Heisuke davanti a sistemare per lei il vassoio con la cena. C'è un cuscino ad attenderla, il più piccolo e il meno scalcagnato. Sembra allettante, ma Chizuru fa da tempo a meno della comodità: si è scottata una volta, non ripeterà mai più lo stesso sbaglio.
È tra Nagakura e Harada. E lei non riesce a dimenticare che il primo era pronto a lasciarla giustiziare e il secondo a obbligarla a spogliarsi.
Sarà per questo che si sente le guance improvvisamente calde?

“Vieni pure a sederti qui. Non mordiamo mica, tranquilla.” Harada le fa spazio e batte un colpetto sul tatami, incoraggiante. Il suo compagno è ancora preso dal borbottare contro Heisuke. Si lamenta che c'è poco da mangiare, Nagakura – eppure i muscoli che guizzano sotto la sua pelle sono forti, fasci di nervi.
Nervosa, Chizuru s'impone di non pensarci. Va tutto bene. Va tutto bene, davvero. Harada aspetta che si sieda per cominciare a mangiare: non la guarda, non la sfiora, i movimenti misurati, le iridi ambrate che seguono solo il tragitto delle bacchette tra la ciotola e le sue labbra.
Chizuru mastica, grata di quella quieta pazienza. Il riso comincia a sapere meno di stoppa, nella sua bocca. Forse riuscirà finalmente a non strozzarsi con un pasto.
Forse, appunto.

“Anche stasera la cena è una miseria. Quindi...mi rifarò con la tua!”
“Shinpat-san! Bastardo, smettila di fregarmi il cibo! Ho fame e devo crescere!”
“Beh, io sono più grosso di te, quindi ho bisogno di più sostentamento!”
Stoviglie che sbattono, imprecazioni, scricchiolii. Nagakura ed Heisuke si guardano in cagnesco, a metà tra il gioco e il ringhio. Una gomitata vola nella sua direzione – Chizuru si fa più piccola ben prima che la possa anche solo sfiorare, ma non succede niente.
Harada, al suo fianco, sospira.

“Scusali,” mormora, “Si comportano sempre così.”

Chizuru aggrotta le sopracciglia. Una parte di lei vorrebbe dirgli di smetterla di trattarla come una bestiolina spaventata – sono umana anch'io, forse più di voi. L'altra, abituata alla sottomissione, china la testa.
“Ad ogni pasto?” s'informa.
Harada alza gli occhi al cielo.
“Non si sanno controllare nemmeno con degli ospiti.” risponde. La guarda e la sua bocca si stira in un ghignetto divertito.
Chizuru non può fare a meno di ricambiare il sorriso. Un sorriso e una risatina, quando Heisuke quasi vola a gambe all'aria.
“È la prima volta che te lo vedo fare.”  La voce di Harada la prende alla sprovvista.
“Cosa...?”
“Sorridere. Dovresti farlo più spesso." Quegli occhi ambrati sono tiepidi, finalmente. Contagiati. Harada inclina il capo "Mia madre diceva che la felicità segue chi sorride." mormora.
Chizuru batte le palpebre.

Non c'è nome per il fiotto di calore che le sboccia nel petto.

N\A:
Un altro mese nel mezzo degli aggiornamenti @.@ aaah, gomen, gomen! Giuro che non volevo far passare così tanto Q_Q spero che, come idenizzo, il capitolo vi sia piaciuto. Harada - centric, stavolta, perché mi ha particolarmente colpita - nel gioco - questa scena. Che è lungi dall'essere romantica, ma che trovo assurdamente tenera.
Come sempre, ringrazio per commenti, letture e semplici passaggi! <3 alla prossima

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Capitolo 20
*** 20. Fuori. ***



20.  Fuori:
Terra#3. Scalata.


*
[This is the world we live in
And these are the hands we're given
Use them and let's start trying
To make it a place worth living in]

*

Sei mesi, e tutti in salita. In bilico, come essere appesi alla roccia viva solo con le unghie e la forza di volontà.
Non ci si sente mai soli, nel quartiere generale.
C'è fin troppo da fare. Riordinare, lavare, rassettare, preparare il the. Fare in modo che il dojo sia pulito – quel sacrario dove aveva timore a mettere piede, appena arrivata – e curare quel piccolo quadrato verde davanti a casa Yagi.
Quando hanno cominciato a fidarsi di lei un po' di più le hanno permesso di cucinare. Solo le ferite le trattano ancora da soli.
Chizuru li scorge, capitani e soldati. I primi nascondono le piaghe dietro ad un sorrisetto di condiscendenza o uno sguardo indifferente; i secondi non la guardano nemmeno.
Se solo sapessero che cos'ha imparato da suo padre...ma va bene così. Non è pronta a sopportare la vista del sangue, dopo quella notte. Che pensino pure di lei quello che vogliono. È il piccolo paggio gracile di Hijikata – ci sono altri nomi, altre teorie, e la fanno arrossire di vergogna. Ma lei è sempre la stessa ragazzina quieta, inoffensiva, imbranata.  Non può fare del male a nessuno.
Ma allora perché non la lasciano uscire?

Sei mesi. Un passo dietro l'altro. Arrancare, perdere il fiato. Sentirsi ogni giorno un po' più tranquilla, e ogni notte agitarsi in preda ad un'angoscia senza nome. Scoprirsi a guardare la luna, a desiderare di uscire.
Questa non è la sua vita. È trattenere il fiato e attendere che Hijikata le dia abbastanza fiducia per lasciarle varcare il cancello.
Perché la decisione spetta a lui, lo sanno entrambi.
E Chizuru si rattrappisce, cerca di rendersi invisibile quando lo vede passare. Rimane immobile nel futon, quando la luce della stanza del vicecomandante soffoca e muore. Quando l'uomo si chiude la fusuma alle spalle e passa davanti alla sua porta, lei non respira, la faccia verso il muro.
E Hijikata la soppesa con noncuranza, un'occhiata veloce quando Chizuru posa il vassoio, quando la trova in cortile tra i panni stesi ad asciugare. Quando la scorge seduta dietro ad una colonna, le gambe tirate al petto e un'occhiata quasi rabbiosa verso il cancello che la tiene prigioniera.

Sei mesi d'attesa, sei mesi di scivolate sulla ghiaia. Sei mesi di domande non pronunciate e di risposte sepolte sotto la cenere.
Quando finalmente la chiama da lui e le conferma il permesso di uscire, casuale, come se avesse davanti un cagnolino da portare a spasso, Chizuru si chiede che espressione deve avere.
Perché è la prima volta che coglie l'ombra di un sorriso su quel volto impassibile. Un incoraggiamento, o una sfida.

La salita è finita. La scalata comincia ora.

N\A:

E' vecchia di secoli, e ce ne sono altre due subito dopo, ma per riempire il tempo morto ho decido di aggiornare. Chissà che, con il movie di Hakuouki in arrivo, Urakata ed estate in arrivo, non mi torni l'ispirazione per finire questa raccolta una volta per tutte.
E sì, l'impostazione è off. Non mi andava di fare il solito sbatti di titolo e frin fran. Storia della Filosofia mi ha esaurita x.x
Come sempre, ringrazio chi ha letto, commentato, dato questa storia per morta e chi leggerà.

Kei

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