Wonderwall (Il mio muro delle meraviglie)

di Kimberly Heiwa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Drunk, again. ***
Capitolo 2: *** All my secrets away ***
Capitolo 3: *** Say ***
Capitolo 4: *** We can hide the truth inside ***
Capitolo 5: *** Disenchated - Parte I ***
Capitolo 6: *** Disenchated - Parte II ***
Capitolo 7: *** Goodbye ***
Capitolo 8: *** There she goes ***
Capitolo 9: *** Spitting Fire ***
Capitolo 10: *** Afraid ***



Capitolo 1
*** Drunk, again. ***



Wonderwall

(Il mio muro delle meraviglie)

 

di Kimberly Heiwa

 

 

Sono in atto le estenuanti lotte con Logan e Rory si sente persa. Sciolta, vuota dentro l'anima. Ha bisogno di qualcos'altro. Ha bisogno di qualcun altro. Ovunque lei si giri tutto crolla sotto i suoi occhi e le lascia scoperto un muro, una parete alta e impolverata. Una volta pulita, rivela la sua reale bellezza: colori sgargianti ricoprono la sua superficie, i mattoni scoperti permettono di capire da quanti anni è stato costruito, i chiodi testimoniano un tentativo di abbattimento, e poi ci sono i ricordi. Tanti e importanti ricordi, ricordi di tante cose, cose condivise come CD e videocassette, come baci rubati e un amore lasciato in sospeso. Ma il muro è ancora solido, è ancora in piedi. È soltanto stato ricoperto dai detriti che ha portato il tempo. Quando Rory infila la mano in una fessura, scova una piccola chiave. A cosa possa servire non lo sa, ma lo scoprirà presto. Nel momento in cui avrà bisogno le tornerà utile, poiché le permetterà di aprire una porticina con su scritto «Solo in caso di emergenza», dove sarà custodita la foto di una persona nascosta per non soffrire: Jess Mariano. È lui l'unica ancora di salvezza, l'unica via d'uscita che le rimane.”
 

Capitolo 1.  Drunk, again.

 

Should I, should I?

Maybe I'll get drunk, again.

I'll be drunk again

I'll be drunk again

To feel a little love.

(Ed Sheeran – Drunk)

 

La porta della mansarda si è chiusa con violenza e rabbia. L'ha fatta sbattere talmente forte da far sobbalzare Rory e farle chiudere gli occhi. La fine, pensa. La conclusione di una relazione di cui si sentiva ancora completamente partecipe. Dov'era stato l'errore? Nessuna risposta; solo un grande silenzio regna attorno a lei.

Non si sente abbastanza amata, lei vuole di più, necessita di una dose maggiore per colmare quel buco nero nel suo cuore, una ferita che, alle volte, sanguina ancora.

Logan non è nient'altro che un cerotto, una protezione effimera che dà sollievo appena la si mette, ma che poi si incolla alla pelle e peggiora ulteriormente la situazione. Una copertura che sguscia via in un attimo per ogni nonnulla, un cerotto che si toglie con facilità durante la notte, quando si dorme e si ha il senso di essere in pace.

L'amarezza di questa serata trova il suo riflesso nel whisky del mini bar. Oramai soltanto l'alcol ottiene un qualche effetto terapeutico su Rory. Il liquido scende e brucia, le infiamma prima l'esofago e poi lo stomaco. Giù, sempre più giù, pesante e velenoso.

Gli occhi blu sono spenti, privati della loro solita luce, sono immobili sulle particelle d'aria cariche di odio e amore che le pareti trasudano già da un pezzo. Tutt'attorno c'è il niente, solo il vuoto.

Una goccia di pioggia scivola sul vetro della finestra, lasciando una lunga e umida coda, proprio come una piccola e triste cometa.

Il whisky le manda in fumo il cervello, e la testa non fa altro che girare in tondo, girare e rigirare...

L'ennesima lite con Logan, la goccia che fa traboccare il vaso.

È stanca di lottare, ma non riesce a stare senza di lui, a pensarsi da sola con se stessa.

L'amore che nutre per lui le provoca l'implosione pian piano, una lenta e dolorosa morte.

 

I die each time you look away

My heart, my life will never be the same

This love will take my everything

One breath, one touch will be the end of me

(Trading Yesterday – Love song requiem)

 

Una parte del suo cuore muore ogni volta che sbatte quella maledetta porta.

Rory muore ogni volta che ripensa al suo tradimento con tutte quelle damigelle.

Il whisky le permette di eliminare un po' del dolore, o almeno questo è ciò che pensa lei.

Vuole essere ubriaca. Sì, ubriaca fradicia, finché non si sentirà un poco amata.

E intanto continua a correre senza mai fermarsi, alla ricerca di una casa dove si sente ben accolta, ma nessun luogo si avvicina alla descrizione.

 

Keep on running

K-keep on running,

there's no place like home,

there's no place like home

(White Lies – Farewell to the fairground)

 

 

«Una pausa», le ha detto. Quelle due parole le risuonano in testa come un eco, facendola impazzire.

Sì, come no.

Lacrime su lacrime. Un fiume in piena che investe il suo viso e affoga le sue gote arrossate.

Solitudine.

Chissà dove si trova in questo momento Logan. Chissà con chi è per scacciarla via dai suoi pensieri.

Intanto lei piange. E mentre singhiozza brama ardentemente che arrivi una tregua per l'estenuante guerra tra l'odio e l'amore che prova per lui. Due sentimenti in apparenza opposti ma così simili da mescolarsi e diventare un tutt'uno.

Foto, foto dappertutto. Immagini di loro due, di una donna a cui non si associa, una donna che partecipa alle Figlie della Rivoluzione, ai tea party e ad una serie di eventi mondani in cui non sa nemmeno di che si parli sul serio.

Con un gesto incontrollato e brusco dovuto all'alcol, butta le cornici sul caminetto per terra, le quali, prima di riversarsi sul pavimento, si separano dalla cornice e dal vetro protettivo che va in frantumi.

Prende un piccolo pezzo di vetro tra le dita e riga la foto, togliendo con qualche graffio bianco il volto di Logan. Poi elide anche se stessa da lì. Singhiozza.

Si lascia scivolare lungo la parete e si mette la testa sulle ginocchia mentre piange, sputando tutto l'immenso dolore che la opprime e che si è accumulato nel tempo da vari contesti.

Urla e geme.

Quando il pianto arriva ad attenuarsi, stremata, chiude gli occhi arrossati e permette ai vapori dell'alcol di cullarla e portarla lontano, in un mondo tutto suo e sconosciuto agli altri.

    Desidera essere ubriaca anche quando si sveglierà, poiché solo in questo modo allungherà la vita al senso di illusione di essere amata. Ubriaca, ancora una volta.                                                                                                                                                                                                                                      



 



 

NOTA DELL'AUTRICE: Ebbene sì, non riesco a non scrivere un'altra storia ispirata alla coppia Literati. Un racconto che mi è venuto in mente grazie all'omonima canzone degli Oasis, e che mi ha fatto sviluppare tutta la trama in testa già subito aver finito 'Wait For Me'. Ed ora eccola qui, fresca fresca. Come primo capitolo devo ammettere che è un po' triste, ma è quello che ci vuole secondo me per rompere un po' il ghiaccio prima di iniziare il vero racconto, che sarà un po' diverso dai precedenti, ma spero che vi riesca comunque a trasmettere le giuste emozioni. Spero darete un'occhiata e che lascerete anche una piccola, minuscola recensione per farmi sapere che ne pensate.
Buona lettura, gente! Sono accettati consigli e critiche di ogni genere, ma niente insulti, nel caso non vi dovesse piacere.
Kim.

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Capitolo 2
*** All my secrets away ***


Capitolo 2. - All my secrets away

 

I need another story,

something to get off my chest

My life gets kinda boring

Need something that I can confess

(One Republic – Secrets)

 

Emily e Richard si sono svegliati già da un po', e se ne stanno a prendere il tè in sala da pranzo, leggendo un quotidiano o una rivista.

Suona un violoncello nel disco in vinile inserito nel giradischi. Lieve, ma che colpisce nel cuore.

Si sono fatte già le otto e Rory non si presenta. “Strano”, pensa Emily.

Sono in ritardo sulla tabella di marcia e se la nipote rimanesse ancora in camera, di sicuro farebbero ritardo alla riunione delle Figlie della Rivoluzione, così va a svegliarla.

«Richard, vado da Rory» lo avvisa.

Il marito annuisce senza staccare gli occhi dal giornale.

Giunge dinanzi alla porta di legno e bussa con cautela.

«Rory, è permesso?»

Nessuna risposta.

«Rory? Ci sei?» bussa più forte.

Neanche un accenno di un qualunque rumore.

È preoccupata, glielo si può leggere in viso. Le rughe sulla fronte si corrugano dandole un aspetto quasi arrabbiato, ma che cela un'apprensione terribile.

Adesso non aspetta più l'autorizzazione per irrompere nella mansarda.

Rory dentro non c'è. È sparita, dissolta nel vuoto. A terra ci sono solo foto tagliate e vetro dappertutto.

Il resto è pulito, splendente.

«Rory Gilmore! Se ci sei vieni subito fuori! Ti avviso che non è affatto divertente!» urla con la rabbia di una persona che non sa. È turbata. Le braccia sono distese lungo i fianchi, le mani serrate a pugno come per raccogliere lì tutta la tensione.

Rory non risponde. Rory è scappata di sicuro.

Si china per guardare sotto il letto, ma nulla. Solo gatti di polvere qua e là nascosti negli angoli.

Di sua nipote non c'è la minima traccia.

Ad un tratto scorge un biglietto sul cuscino del letto.

Lo afferra, avida. Lo legge tutto d'un fiato.

 

Sto bene. Non chiamate Logan.

Per favore, non cercatemi.

Rory

 

Emily è tentata di strapparlo, quello stupido frammento cartaceo, ma si trattiene. Preferisce portarlo al petto e stringerlo forte, come se fosse una persona in carne ed ossa; come se fosse sua nipote.

«Richard! Vieni qui, per favore» chiama. La voce va e viene e trema, trema dalla paura.

«Dimmi, Emily cara!» esclama. Il suo sorriso è effimero, e si trasforma in poco in un'espressione rattristata.

La moglie gli consegna il piccolo biglietto, esortandolo a leggerne il breve contenuto.

Poi se ne va e lo lascia solo.

Gli occhi di Richard scorrono veloci su quelle poche righe e lo fanno rimanere senza parole.

Guarda il letto vuoto. È preoccupato. Ha paura per Rory. Sospira più volte.

 

 

È un sabato autunnale come altri. Il paesaggio è dominato dall'arancione, dal giallo e dal viola delle foglie degli alberi nei prati.

Stars Hollow è attiva da poco, e la maggior parte della gente sta ancora dormendo.

Una di quella percentuale è Lane. Ronfa nel suo letto beatamente, nel tentativo di recuperare il sonno perduto tra concerti, lavoro e bambini.

Un rumore. Un altro. Sembrano nocche su legno.

«Mm... lasciatemi in pace... mamma, voglio dormire» mormora lamentosa.

Il rumore si fa sempre più frequente e fastidioso.

«Mm... ma chi è?»

Zach non s'è accorto di nulla. Russa a bocca aperta sopra il cuscino.

Lane sbuffa e affonda la testa nel cuscino.

Ne ha abbastanza e così guarda l'ora. È prestissimo! Adesso nessuno può fermarla: è una furia.

Grugnisce. E grugnisce ancor di più quando va a sbattere contro un camion giocattolo dei gemelli.

«Gli occhiali, maledizione!» ruggisce, alzando gli occhi al cielo.

Afferra la montatura, se la infila e si dirige verso la porta.

«Ora voglio proprio vedere chi diavolo bussa a quest'ora della mattina!» brontola furibonda.

Ma, appena vede chi l'ha svegliata, si ammutolisce di colpo.

«Rory...? Che ci fai tu qui?» le chiede, stupita e preoccupata.

«Scusa l'ora, Lane... Possiamo parlare...?»

 

 

Richard ed Emily non si danno pace. Chiamare Lorelai o no? Avvisarla anche se lei e sua figlia non si parlano più? I coniugi Gilmore si guardano e, senza proferir parola, decidono di aspettare ancora un po'.

 

 

Parlare di cosa?” si chiede Lane.

«Certo, certo. Ehm... aspettami qui, okay?»

Rory annuisce e osserva la porta chiudersi.

È da tanto che non fa ritorno nella sua città natale, e rivederla le fa un effetto strano, la fa sentire fuori posto, un'estranea...

Deglutisce e il battito aumenta.

Lane ritorna con una giacca sulle spalle e due tazze di caffè. Gliene porge una e sorride.

Rory la ringrazia con lo sguardo e inspira a pieni polmoni i vapori di quella bevanda scura, il suo nettare divino.

Segue l'amica e le si siede accanto sul dondolo da giardino.

Lane la scruta, portandosi avanti con la diagnosi.

«Un uomo» dice all'improvviso.

L'altra la fissa, sorpresa da quell'uscita così veloce e apparentemente senza senso.

«Non un uomo qualunque. È Logan il problema. Non è così?» continua con fare indagatore.

A Rory sembra, in quel frangente, Miss Marple. Ma sì, la vecchietta che risolve i più intricati casi mentre sorseggia cheta cheta il suo cherry brandy in salotto nei romanzi di Agatha Christie.

Non ridere pare impossibile.

«Perché ridi?» le chiede divertita.

Rory scuote la testa.

«È una cosa... stupida! Meglio che non te lo dica, fidati!» ride.

«Come vuoi!» sorride e la guarda. Le sembra cambiata, invecchiata.

«A parte gli scherzi, Rory, qual è il problema?» le domanda, di nuovo seria.

«Hai azzeccato, Lane. È lui» si fa cupa.

L'amica la guarda preoccupata.

«Hai voglia di raccontarmi?» le chiede con tono materno.

Rory abbassa la tazza e l'appoggia sul ginocchio della gamba accavallata.

 

Tell me what you want to hear

Something that were like those years

Sick of all the insicere

So I'm gonna give all my secrets away

(One Republic – Secrets

 

Aprirsi con Lane non è mai stato un problema, ma a causa della distanza che le ha separate negli ultimi anni, Rory comincia ad avere qualche difficoltà.

Schiude le labbra, ma le parole rimangono ancorate alla sua gola.

Sospira e abbassa il capo. Si sente incapace anche di confidarsi con la sua migliore amica. Si sente come se non riuscisse a leggere un brano semplice, e come se tutti i suoi compagni di scuola la guardassero ridendo di lei. Scoppia a piangere.

Lane le cinge le spalle in un abbraccio.

«Tranquilla, va tutto bene. Non aver paura» le sussurra, mentre le appoggia la testa sulla sua spalla.

Rory lascia scorrere le lacrime sulle sue guance, finché non precipitano giù per il lungo collo, dividendosi come piccoli torrenti che scendono il dirupo che segue la sorgente.

Condividere un segreto con Lane sarebbe come l'assunzione di un farmaco, le darebbe sollievo, la liberebbe dal macigno che le pressa il torace, dai mille segreti che affollano il suo cuore divenuto troppo piccolo e angusto per contenerli tutti.

«Lui mi ha tradita» mormora con la voce che va e viene. Mormora con le labbra coperte dai capelli neri di Lane.

«Mi ha tradita con le damigelle di sua sorella, Lane» ripete, stavolta guardandola negli occhi scuri, come per cercare conforto.

L'amica rimane zitta. Non si capacita di una cosa così orribile, così ignobile.

«Ti rendi conto, Lane? Logan mi ha tradita. Io... io non avrei mai pensato ad un fatto del genere. Ci sono stati vari litigi, ma non sarei mai arrivata ad immaginare che lui... che lui mi avrebbe tradita per dimenticarmi» ribadisce, un po' a scatti. Fatica a dirlo tutto in una volta: è senza forze.

«Non so che dire, Rory... mi dispiace così tanto... è solo uno stupido, Rory! Lascialo stare, passa avanti!» le dice. L'altra è in silenzio.

«È questo il problema, Lane. Io non riesco ad andare avanti. Non ce la faccio a pensarmi senza di lui. Io lo amo troppo per lasciarlo andare»

Lane rimane senza parole. Per lei quello non può essere definito amore. Logan non la merita, e lei sembra il suo cagnolino, la sua schiavetta che cade sempre ai suoi piedi.

Balza in piedi e la fissa con rimprovero.

«Eh no, cara! Questo non è amore, Rory! Questo che provi per lui si chiama dipendenza. Tu puoi stare benissimo da sola, sii forte! Non puoi continuare in questo modo... è inaccettabile! Devi liberarti di Logan! Lui... lui non è degno di un dono come te!» la ammonisce.

Scuote la testa e si asciuga le lacrime con il dorso della mano.

«Non capisci proprio, eh, Lane? Io non ci riesco. Non ce la faccio a stare sola» ribadisce.

«Allora non capisco il motivo della tua visita» le dice con rabbia. Scrolla la testa e non le permette di ribattere. Fa per entrare in casa ma Rory la tiene dalla caviglia.

«Non mi lasciare, Lane. Ho bisogno del tuo aiuto» la supplica tra le lacrime.

«Sei cambiata, Rory. Non riconosco più la mia migliore amica. Sei diversa... da quando ti lasci andare in questo stato? Io ti voglio bene, ma credo che le nostre strade si dividano per sempre se continuerai a comportarti così» sussurra con la voce roca. Le vorrebbe dare una mano, ma sembra che l'altra non la voglia accettare.

«No! Lane, no! Per favore...» la prega mentre singhiozza. Nel frattempo il torace sta compiendo un gesto incontrollato in su e in giù, e Rory è praticamente sdraiata sull'uscio della casa dell'amica.

Quasi urla, talmente è disperata.

Ha gli occhi chiusi e non riesce ad aprirli a causa delle lacrime.

Percepisce delle braccia che cercano di sollevarla e di metterla a sedere.

Delle labbra le baciano la fronte e delle mani le carezzano le guance calde.

Qualcuno la culla e le pare di tornare bambina.

«Dov'è finita la mia Rory?»

E piange ancora di più quando Lane le dice così.

 

 

Emily e Richard non si sono ancora decisi. Il telefono è sul tavolo, in attesa di venire afferrato per avviare una chiamata. Il marito allunga un braccio nella sua direzione, ma la moglie lo ferma.

«No. Ha detto che sta bene. Perché dovrebbe mentirci?» si spiega, anche se, in fondo, non ne è convinta neanche lei.

Richard la guarda sbigottito. Così si allontana lentamente dall'apparecchio bianco e continua a fissarlo. Si alza e se ne va.

Emily chiude le palpebre e stringe i pugni. Per poco trattiene le lacrime.

 

Lane le ha detto che può rimanere da lei per quanto vuole. Le ha chiesto anche di badare ai bambini quando non lavora.

Per adesso dorme sul divano.

Quando Lane entra la trova intenta a riporre la valigia accanto al mobile nell'ingresso.

«Va un po' meglio?» le chiede mentre si avvicina.

Rory ha gli occhi arrossati e cerchiati dalla stanchezza e dall'insonnia.

«Sì, va meglio, grazie» risponde.

Lane le sorride e si dirige dai bambini.

L'amica torna alla sua valigia e si vede costretta a catturare una lacrima che è scivolata sugli zigomi senza che lei si accorgesse di nulla. Sospira.

Riuscirà mai a ritornare come prima? È davvero cambiata così tanto?

Si butta sul divano e osserva il soffitto come se fosse un cielo stellato.

Cerca risposte in alto, ma non sa che tutto ciò di cui ha bisogno risiede nel profondo del suo cuore, nascosto tra le crepe di un vecchio muro...
 


 


NOTA DELL'AUTRICE: Buongiorno! Come state? 
Ecco qui fresco fresco il secondo capitolo di 'Wonderwall'. Anche questo è triste, lo so, però volevo che la questione sulla debolezza e sulla dipendenza di Rory venissero, almeno in parte, trattate. Qui compare per la prima volta il muro, ma nei prossimi capitoli sarà più presente... non vi anticipo altro.
Jess arriverà abbastanza presto. ;) Buona lettura e grazie a chiunque sia passato/a di qui! 
Un saluto,
Kim.

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Capitolo 3
*** Say ***


Capitolo 3. - Say.

 

But...

Nothing's turned out how you wanted

(OneRepublic - Say)

 

 

Biiip! Biip!

La sveglia è appena suonata.

Lane ci mette meno del solito per spegnerla, perché è sveglia già da un po'.

Stanotte non ha dormito molto. Dopo averla disattivata, balza in piedi in un attimo e si mette gli occhiali. Zach è ancora nel mondo dei sogni, invece. Lane scuote la testa, come per dire: «Sempre il solito!» e sorride con amore. Gli si avvicina con passo felpato, quasi trattenendo il respiro per non destarlo dal sonno così quieto. Inspira ogni particella del suo odore e appoggia le labbra sulle sue.

Zach sorride ancora un po' addormentato.

«Ehi» mormora, mentre si stiracchia la schiena e le braccia.

«Buongiorno» gli risponde con dolcezza.

 

 

Rory dorme ancora. Sta sognando.

Logan è presente. Le tiene la mano e la conduce verso una porta nera di un albergo, probabilmente.

Lei ha una benda sugli occhi, ma si fida ciecamente di lui.

«Logan, dove mi stai portando?» gli chiede divertita.

Lui le prende il bicchiere di champagne dalla mano e lo poggia per terra.

«Adesso vedrai» sussurra nel suo orecchio.

L'aria calda le entra nel canale uditivo, e le solletica le sensibili pareti.

Si morde il labbro inferiore e si abbandona a Logan.

Il ragazzo apre la porta e la spinge dentro.

«Logan? Dove sei?» lo chiama, con la voce influenzata dall'alcol.

Intanto, lui ha già chiuso la porta. A chiave.

Rory si fa più nervosa.

«Logan? Dove sono?»

Agitata si toglie la benda con un gesto veloce della mano.

Attorno a sé è tutto buio. Cerca un interruttore della luce, in modo da vedere meglio.

Percepisce l'umido della vernice fresca. Segue il suo olfatto e a tastoni perlustra la parete.

La superficie è liscia e appena fredda al tatto.

Schiaccia il pulsante e si accendono luci in posti diversi: sul soffitto, sotto il letto, vicino alla finestra, accanto al bagno.

Non appena accenna un passo, si forma una crepa sul pavimento. Si arresta di scatto, rimanendo immobile come una statua. Ma lo spacco si propaga fino a provocare il crollo dell'intera stanza.

Rory precipita nel vuoto. Urla.

Atterra in una specie di cantina che puzza di muffa. Starnutisce.

Un bagliore arriva dal punto in cui è caduta, ma il resto è cupo.

«C'è qualcuno?» chiede.

Nessuno risponde.

Sente dei rumori strani e contrastanti: acqua che scroscia, pentole che sbattono, uccelli che cantano, un disco degli anni Cinquanta che va.

Quel chiasso le comporta il mal di testa. Si accascia per terra e si tappa le orecchie con le mani, come una bambina quando non vuole sentire i litigi dei propri genitori.

«Basta!» urla piagnucolando.

Tutto si ferma. Ora regna il silenzio più assoluto.

Sorpresa dall'interruzione così repentina, apre gli occhi piano piano, quasi come se avesse paura che potesse tutto ricominciare una volta che fosse stata di nuovo vulnerabile.

Aspetta un po'. Niente.

Si alza in piedi e si guarda intorno. Mentre avanza di poco, i suoi passi risuonano attorno a lei.

Un mattone le cade dinanzi, facendola indietreggiare spaventata.

So if you go

and leave recklessly

We can only be me

(White Lies – Getting Even)

 

Inizialmente è stranita, ma la curiosità alla fine vince su tutte le sue paure.

Basta poco per scovare un muro alto e impolverato.

Ci soffia sopra e tante piccole parcelle si liberano nell'aria rarefatta.

Un raggio di luce bianca quasi l'acceca.

Quando riapre gli occhi azzurri, è ammutolita dalla bellezza e dalla particolarità del muro.

Non ha mai visto qualcosa del genere in vita sua: l'imponente fortificazione è composto da tanti mattoni variopinti, CD e videocassette ornano alcuni angoli, fotografie sono appiccicate nei posti più esposti, i chiodi che fuoriescono in certi punti segnalano un tentativo di abbattimento, i laterizi scoperti le permettono di immaginare da quanto tempo sia stato costruito.

Nota anche dei piccoli cofanetti ai piedi del grande divisorio.

Cosa ci sarà mai dietro?” si domanda.

Si china per dare sfogo al suo insaziabile desiderio di conoscere, ma una voce dall'alto la desta.

«Rory, svegliati. È ora di svegliarsi» è Lane.

 

 

Sbarra gli occhi tutto d'un colpo.

«Buongiorno, Rory! Come stai oggi?»

Si gira in direzione dell'amica e la fissa un po' stralunata.

«Va tutto bene? Hai una faccia strana...»

Ma Rory, la vera Rory, è ancora lì, ad ammirare il muro.

Non la sta nemmeno ascoltando. La sua mente è ancora troppo occupata dai flash dello strano sogno per dialogare con lei.

«Scusami... scusami, Lane. I-io... devo andare» balbetta.

Non dà il tempo all'altra di reagire e sgattaiola via mettendosi una giacca sopra le spalle e le scarpe, senza neanche allacciarle.

Lane adesso è seriamente preoccupata.

 

 

Quel pensiero le martella la testa.

Rivive l'odore, i rumori, i colori...

Perché un muro? Che cosa rappresenta?

Immersa nelle sue riflessioni, non s'è manco accorta di essere arrivata fino a casa sua.

No, non può rivedere sua madre. Non ora, almeno!

E poi al momento sembra una barbona, vestita così.

L'unica soluzione è sparire, evaporare, scappare. Ma scappare dove?

 

 

È tardi, ma mai troppo per una Gilmore.

Lorelai è una maestra nel prepararsi in soli quaranta secondi, in casi estremi.

Con una mano si lava i denti, con l'altra si spazzola i capelli.

Si trucca, si profuma e si veste.

Acchiappa la borsa e ha già la mano sul pomello della porta, quando il telefono squilla.

«Magari potrebbe essere importante...» pensa ad alta voce.

Tira su la cornetta e avvia la conversazione.

«Pronto?»

«Pronto, Lorelai?»

Rimane pietrificata. La voce è quella di sua madre.

«Perché mi hai chiamata?» le chiede, subito più fredda.

Emily ora ha le idee più chiare. Non le importa se hanno litigato. Rory potrebbe essere ovunque, insieme a chissà chi, potrebbe stare male, potrebbe essere stata rapita...

«Rory è scappata» le comunica, tutto d'un fiato.

Nonostante ci sia stato solo astio negli ultimi tempi, Rory è pur sempre sua figlia.

«Ah» le scivola via.

«Ti sto dicendo che tua figlia è fuggita e tu mi rispondi con un “ah”? Ma ti rendi conto della gravità della questione, Lorelai?» la rimprovera, furiosa.

«Sì...» dice, quasi con un sussurro. I sensi di colpa stanno prendendo il sopravvento.

Sua madre sbraita, ma lei non la sta più ascoltando. Rory è scappata. Ha intrapreso la sua stessa strada. Ma dove sarà andata?

«Dannazione, Lorelai! Mi stai a sentire sì o no?»

«D'accordo... provvederò a cercarla. Grazie per avermelo detto. Ora ti devo proprio lasciare...» la liquida. Può apparire menefreghista, ma, in realtà, è a pezzi.

Stacca e ripone il telefono in base.

A dirla tutta, sa perfettamente dove sia.

La conosce fin troppo bene. Ha costruito lei la sua bussola interiore, e di conseguenza sa dove essa la porti. Sempre.

Esce di casa e chiude la porta. Scende le scale del porticato, ma è obbligata a fermarsi subito.

Davanti a lei c'è Rory. Una Rory trasandata e invecchiata, assonnata e frastornata.

Nessuna delle due vuole fare un passo avanti.

Gli occhi azzurri sono incatenati gli uni con gli altri.

I muscoli facciali di Lorelai si piegano in un'espressione triste, che dà inizio alla fuoriuscita di piccole e sottili lacrime.

Anche Rory crolla, dopo un po'.

Lorelai le corre incontro, tra l'arrabbiato e il felice.

«Non farlo mai più» piange. Abbraccia la figlia con foga, bagnandole i capelli arruffati e lasciati cadere sulle minute spalle.

Rory ricambia l'abbraccio con lentezza, come per cogliere ogni piccola goccia d'affetto che sua madre le sta donando in quel preciso istante.

Intanto è arrivata anche Lane. Ha il fiatone, per quanto ha corso.

 

 

Oggi non andrà a lavoro, ha detto.

Sta fissando sua figlia da un sacco di minuti.

Rory sembra assente. Beve il caffè senza degnare nessuno di uno sguardo.

La porta si spalanca, e lascia entrare Luke, affannato come non mai.

«Dov'è? Rory? Oh santo Cielo, eccoti!» l'abbraccia, proprio come un padre.

Ma lei non ricambia. È... è strana.

Luke allenta la stretta e sposta i suoi occhi su Lorelai, in cerca di una spiegazione.

«Rory, tesoro, ti va se andiamo di sopra? Così facciamo quattro chiacchiere, okay?» le chiede piano.

L'orologio sembra aver viaggiato nel tempo, riportando Rory a una bambina di sei anni, ma comportando anche qualche cambiamento. È come se, durante il viaggio, qualcuno dall'esterno, o meglio, dal futuro, avesse imposto un radicale mutamento alla piccola Gilmore.

Lane osserva le due salire le scale, osserva la debolezza di Rory. Sembra svuotata di ogni forza, sembra privata della sua linfa vitale.

Luke è alquanto scombussolato. Tace.

 

 

Mette a sedere sul lettone la figlia. Prende una buona dose d'ossigeno, chiude gli occhi e si prepara a parlare.

«Un muro» la precede Rory. Lorelai la guarda disorientata.

«Cosa intendi dire?»

Ora poggia il suo sguardo di ghiaccio sulla madre.

«C'era un muro... un muro strano. Tappezzato da CD e videocassette... c'erano foto, foto di mia appartenenza. Foto mai scattate con una macchina fotografica, ma lasciate sviluppare nella mia testa. È come se quel muro fossi io» le confessa.

All'altra le idee continuano ad essere sfocate.

«Non capisco, tesoro... cosa c'entra un muro, adesso?»

«Io... io l'ho sognato»

Lorelai sbatte le ciglia lunghe e nere. Si dice che rappresenti un segno di nervosismo.

«Okay... e con questo?»

Rory fa spallucce.

«Con questo niente. Sono rimasta stupita. Basta, tutto qui» conclude.

La madre inchioda i suoi occhi azzurri su quelli della figlia.

Si alza dal letto mentre scuote la testa. Avanza verso la finestra con passi gravi, trascinando i piedi sul pavimento in legno. Questo scricchiola leggermente; ondeggia sotto il peso dell'ammasso di lacrime dentro Lorelai. Scosta con lentezza le tende trasparenti blu e guarda altrove, nel tentativo di non piangere. Ma è tutto inutile: il vetro peggiora le cose, mostrandole il riflesso di sua figlia a testa bassa sul letto, priva di energia, stanca. Singhiozza, e gli angoli della bocca rosea cadono verso il basso, lasciando semiaperte le labbra, scoprendo i denti dell'arcata inferiore.

Disperata, si porta a scatti le mani sul viso e si accascia per terra.

Rory si gira e osserva la madre mentre piange, mentre esprime la sua debolezza, il suo dolore interno che, come una lama affilata, la sta trafiggendo da una parte all'altra.

Si siede sulle ginocchia accanto a lei, e prende a carezzarle i capelli scuri e che profumano di vaniglia. Un aroma dolce, leggero, che si spezza facilmente in presenza di altri odori più acri. Esattamente come lei.

Le cinge le spalle e la schiena da dietro. Sembra una bimba che cerca di rassicurare la propria mamma quando essa sta male. Durante l'infanzia pensiamo che basti un semplice abbraccio per curare un male enorme, molto più grosso di noi. Solamente quando cresciamo ci rendiamo conto che non è così, che un abbraccio non risolve tutto. Lo rifiutiamo, dicendo che ci toglie l'aria, che ci soffoca. Ma, in realtà, è un importante farmaco che, divenendo adulti, ci scordiamo spesso di prendere. E, per di più, ha il vantaggio di alleviare immediatamente gran parte del dolore.

«Ti voglio bene, mamma» quattro parole fondamentali per un genitore, che lo ringraziano per tutto quello che ha fatto per i suoi figli.

Lorelai si volge in direzione del viso di Rory e la guarda con amore.

«Anch'io, tesoro. Anche io te ne voglio» risponde.

La prima parte dell'infezione è stata debellata. Ora c'è il resto. Ma insieme possono vincerla.

 

 

Tutto è stato raccontato. Hanno parlato di tutto: di Logan, ancora del muro, della fuga da casa dei nonni, della relazione con Luke, di Taylor – beh sì, lui è onnipresente nei loro dialoghi! - di ogni minima e singolare cosa che non era stata trattata in precedenza, nel periodo lungo e segnato dalla distanza e dall'ostilità. Perché, dopotutto, una madre e una figlia non si possono separare. Mai.

Ognuna ha bisogno dell'altra. Sempre.

 



Angolo dell'autrice:  Buonasera! Come state? Spero bene. Ecco qui il terzo capitolo di 'Wonderwall'. Che ve ne pare? E' reso bene il rapporto madre-figlia? Perché, sapete, io sono ancora troppo giovane per avere dei figli, così ho cercato di descrivere come meglio potevo. :) Il muro qui appare per la prima volta, ma si ripresenterà anche nei prossimi capitoli. Tranquille, Jess arriverà presto... :D
Cosa posso aggiungere? Spero davvero che vi piaccia l'evoluzione che sto dando alla storia. :) Lasciate recensioni, mi raccomando! Io quando posso ricambierò. 
Un saluto e buon proseguimento di serata!
Kim.

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Capitolo 4
*** We can hide the truth inside ***


Capitolo 4. - We can hide the truth inside

 

I'll sing it one last time for you
Then we really have to go
You've been the only thing that's right
In all I've done.

(Snow Patrol – Run)

 

Stranamente, stanotte Rory non ha sognato il muro. Niente, nemmeno un misero e impolverato mattone. Neanche un residuo di una cornice, di un CD. Neppure una traccia di una pellicola nera sciolta e aggrovigliata su se stessa. Pare che il muro abbia voluto nascondersi per evitare che la giovane Gilmore potesse aggiungere qualcosa di più riguardo la sua reale identità. Sembra che solo e soltanto Rory sia lasciata libera di sapere sul suo conto.

La mattina è chiara e fredda. L'aria che s'inserisce tra le crepe delle pareti e delle finestre le congela i pensieri, i mille pensieri che le affollano la testa.

Il cielo ha sfumature rosate e profuma di neve. È ancora troppo presto, pensa. Ma ne è sicura: la neve sta per arrivare. E quando c'è aria di neve, è sempre in arrivo un cambiamento importante.

Scende dal letto ed esce dalla camera. Non si fa scrupolo dell'ora, e sgattaiola fuori dalla porta sul retro. Non ha nulla sulle spalle; forse congelerà. Ma le calorie che il suo corpo sta bruciando per dare sfogo alla sua curiosità, producono energia che la riscalda. Percepisce qualcosa, qualcuno che la chiama, che cerca di attrarla a sé. Uno stimolo irrefrenabile che le fa perdere il controllo, che la fa partire all'inseguimento di chissà cosa come un vero e proprio segugio.

Non sente freddo, ma batte i denti. Trema e, mentre avanza, si sente le gambe sempre più pesanti, i piedi affondano tra l'erba appena tagliata. Sente la neve; quasi la intravede lassù, nascosta dalle nuvole bianche, pronta ad iniziare l'inimitabile volteggio tra l'aria sottile.

La cerca, quasi la implora di scendere e aiutarla, ma s'accascia per terra, con i piedi nudi e congelati. Le lacrime si stanno esaurendo, e le poche gocce salmastre uscite dagli occhi blu si sono ghiacciate sulle guance rosee.

Ode dei passi veloci in parte ovattati dalle ciabatte invernali.

«Rory! Ma che ci fai qui fuori?»

Lorelai tenta di sollevarla e di riscaldarla con le mani. La porta dentro e le appoggia una coperta pesante sulle spalle. È preoccupata, gli occhi sono lucidi anche se resi un po' secchi dal freddo.

Le carezza il dorso della mano con le dita, poi si sposta alla fronte nascosta dalla frangia spettinata.

«Cosa ci facevi lì?»

La lingua è intorpidita, le mascelle sono serrate. Il viso trema, gli occhi sono immobili sul pavimento. Poi il collo riesce a ruotare di qualche grado, le pupille cambiano direzione, la bocca si schiude. Esce solo un flebile sussurro: «C'era odore di neve».

E non c'è bisogno di aggiungere qualcos'altro. La neve è portatrice di notizie, di novità. Basta aspettare che scenda per capire che cosa ci voglia portare.

 

Sono le nove di mattina. Al locale ci sono solo i mattinieri. Luke è intento ad armeggiare con la macchina dei toast, che è di nuovo rotta.

«Ehi, Luke! Io sto aspettando la mia colazione da ben due minuti!» è la voce stridula di Kirk.

Se ne sta seduto in uno dei tavoli vicini al bancone, come sempre. Ha un braccio ingessato; dice che sia stato il cane della nuova vicina.

«Caspita, Kirk. Sono davvero troppi due minuti! E ripeto: due!» lo prende in giro mentre scuote la testa.

Kirk cerca di ribattere, ma una voce maschile lo zittisce. Costui è appena entrato dalla porta bianca, facendo risuonare il campanellino in cima.

«Di nuovo rotto, eh?»

Luke non si gira ancora, intento a sfidare la macchina dei toast.

«Ah, al diavolo!» sbraita, tutto rosso in viso.

L'uomo misterioso si fa avanti e dice: «Ci penso io».

Quando si gira per farlo passare, non crede ai suoi occhi.

«Jess? Che ci fai tu qui?» gli chiede sbalordito mentre boccheggia per la fatica.

Suo nipote è tornato. Il perché non lo sa, e spera con tutto se stesso che non sia successo qualcosa di brutto. Ma, in realtà, sa che ora è cambiato, che non è un ragazzino immaturo con tanta rabbia dentro. Ora è un uomo, ed è orgoglioso perché gran parte del merito va a lui, lo zio che non sapeva neanche cosa volesse dire avere a che fare con un adolescente.

Jess non risponde; è troppo indaffarato ad aggiustare quella maledetta macchina.

Il suo gomito fa un ultimo gesto brusco e subito una fetta di pane bruciacchiata rimasta incastrata balza fuori.

«Ecco fatto» dice, alzando un sopracciglio, come al suo solito.

Lo zio lo abbraccia e gli scompone un po' i capelli scuri. I suoi tratti sono cambiati leggermente: il viso si è allungato, la barba è cresciuta sulle guance e sul mento, il naso è divenuto un po' più fine, gli occhi sono divenuti più profondi. E si è anche alzato di qualche centimetro.

Sembra un'altra persona, così, a prima vista. Ma è sempre lui, il suo carattere e i suoi modi di fare non sono cambiati.

«Sbuchi sempre dal nulla tu, non è così?» gli dice, sogghignando. È felice, come se rivedesse suo figlio.

Luke si sente quasi impreparato a trattenere il suo entusiasmo; almeno, con un minimo di preavviso, avrebbe potuto mostrare il suo lato più coriaceo. Ma Jess lo sa, e lo ha fregato ancora una volta.

 

«Sembra voglia nevicare» brontola Taylor, mentre imbusta la spesa di Lane e Rory.

«Non credo, Taylor. È ancora presto per la neve... siamo solo a novembre!» risponde Lane, sicura di quello che dice.

Il vecchio Doose la guarda di traverso, come se non avesse guardato il cielo.

«Grazie e buona giornata!» si congeda, un poco offeso.

Lane sorride a Rory, che scoppia in una risata incontrollata.

Escono dal market e si dirigono da Luke, mentre camminano a braccetto come due bambine.

«A parte gli scherzi, anche a me sembra ci sia aria di neve...» ammette Rory, pensierosa.

Lane alza le spalle e riprende a fare il verso a Taylor, inconsapevole che le sta spiando da dietro la porta del suo mini-market.

 

«Luke, esigo subito un caffè! Ma non una tazza qualsiasi, una signora tazza» mima le dimensioni con le mani, misurando in aria. «Insomma, ci siamo intesi?» esordisce Lorelai, piombando come una regina nel locale. Si avvicina al bancone e cerca le labbra di Luke, che ricambia il bacio con una dolcezza fugace.

Jess osserva divertito Lorelai; sembra quasi felice di rivederla, e ride tra sé per il semplice motivo che la donna non si è ancora accorta di lui.

«Certo che la gente di Stars Hollow è cieca, quando vuole...» dice piano, mentre poggia sulle labbra la tazza contenente il caffè caldo.

Lorelai si gira per scoprire da chi venga questa battuta sarcastica.

«Tu non sei per caso...? Ma... caspita, sei... diverso dall'ultima volta» ribatte, ammirando la nuova immagine di Jess.

«A quanto pare sono sempre io. Mi sono stupito anche io, quando mi sono guardato allo specchio qualche mese fa. Non pensavo di crescere così bene!» ridacchia.

«Beh, almeno non ti è andata via l'autostima!» replica Lorelai, stavolta con uno sguardo raggelante.

Jess si fa più rigido. Forse Lorelai è ancora arrabbiata con lui...

Beve un ultimo sorso per prendere tempo. Gli bastano pochi secondi per decidere che cosa fare.

«Pensi che porterai avanti la tua rabbia per me anche nella tomba oppure pensi di metterti l'anima in pace?» la sua voce è un poco acida. Tra loro due le cose non sono mai andate a gonfie vele.

Lorelai mette giù la tazza stizzita e si fa pronta al contrattacco. Piano si volge verso il suo viso adulto, e lo guarda dritto in quegli occhi impenetrabili.

«Questo dipende da te e dalle azioni che decidi di fare, Jess.»

Deglutisce. Sente un senso di freddo percorrergli la schiena.

«Non ti deluderò.» allunga la mano davanti a lei, in modo da rendere ufficiale il giuramento.

Lorelai guarda la sua mano ferma nell'aria, quasi come se non sapesse cosa significa il gesto.

La stringe con vigore, e la promessa è fatta.

 

«Ehi Lane,» le urla Rory dalla cucina «la mia caffeina nelle vene si è esaurita. E tu lo sai che senza la mia linfa non posso andare avanti, vero?»

«Non puoi aspettare ancora un'oretta? Giusto il tempo per finire di mettere a posto...»

Rory la raggiunge nella stanza. «Un'ora? No, non posso resistere! Insomma, hai presente quei giocattoli che vanno a pile, sai, quelle specie di robot che si illuminano? Ecco, sai meglio di me che quando si scaricano si accasciano pian piano a terra e poi si spengono. Vuoi vedermi così, tra un'ora? E poi, se vuoi una mano, devi farmi rifocillare un bel po', altrimenti porta avanti la scritta: “Lane, faccio tutto io da sola” sulla fronte e non ti lamentare con una moribonda.»

Rory sfodera il suo sguardo più languido oltre all'espressione più tenera.

Lane la guarda divertita e si arrende.

«E va bene, va bene! Però dopo mi aiuti sul serio!»

Rory annuisce e corre a mettersi una giacca.

 

«Allora, Jess,» esordisce Lorelai, curiosa come non mai, «che ci fai da queste parti?»

«Ecco... volevo dire a Luke che ho messo davvero la testa a posto e, dato che le vacanze si avvicinano, ho pensato di presentarvi una persona... ehm, la mia fidanzata.»

Per poco a Lorelai non va di traverso il caffè e Luke non versa il latte bollente sul braccio di Kirk.

«Tu hai... tu hai una ragazza?!» domanda sbigottita.

Jess si fa più serio in viso.

«Sì. Ed è una cosa importante; noi viviamo insieme da qualche mese. Lei si chiama Charlotte, ma preferisce Charlie.» sorride nel dire il suo nome. È davvero innamorato.

Entrambi sono senza parole. Luke si avvicina al bancone e apre le labbra per parlare, ma la sorpresa crea un blocco.

Jess sogghigna e dice: «Intanto che vi riprendete da questo enorme choc vado a dare un'occhiata di sopra, al vecchio appartamento.»

Non appena sentono la porta di sopra aprirsi, Luke riesce a parlare.

«Noi non possiamo conoscerla!» sussurra, preoccupato.

«Oh Santo Cielo! È vero! Come facciamo con Rory? Non possiamo mica farli rincontrare e poi con...»

«Chi è che non devo incontrare?» chiede una voce molto simile a quella di Rory.

Lorelai si gira di scatto, paurosa di farsi scoprire.

«Caspita, tesoro! Mi hai fatto prendere un colpo!» ridacchia nervosamente.

Rory si avvicina e le sorride, ignara di chi è appena tornato a Stars Hollow.

«Tu... tu non devi incontrare... la moglie di Taylor!» esclama tutto d'un fiato.

Luke è rimasto ancora a bocca aperta da prima.

Rory scoppia in una sonora risata, mentre Kirk subito interviene dicendo: «Ma Taylor non ha...»

«Chiudi quel becco, Kirk!» lo zittisce subito Luke, che sembra aver riacquistato la voce.

A Lane questa messa in scena puzza un po'...

 

L'appartamento non è cambiato, escluso il letto matrimoniale al posto della vecchia branda di Luke. “Chissà se c'è ancora il vecchio e scomodo materassino” pensa Jess.

Sorride un poco man mano che i ricordi riaffiorano.

Era tutto diverso, allora. Lui era diverso.

Odiava quella città, dove tutti sanno gli affari di tutti, e la privacy risuona come un vocabolo nuovo.

Detestava i clienti del locale, sempre così impiccioni e che sanno fare solo pregiudizi.

Odiava le riunioni di Taylor, la musica di Miss Patty, la macchina dei toast, il materassino su cui dormiva, la sua auto e Gipsy che era sempre scortese.

Ma, in tutto ciò, ci sarà stato pur qualcosa che lo abbia spinto a rimanere con un po' più di gioia.

Quel qualcosa ha un nome, e lui lo sa benissimo: Rory.

Chissà dov'è adesso, chissà che fa e se si ricorda ancora di lui. Ma certo che se ne ricorda, con tutto il male che vi siete fatti a vicenda come ci si può scordare?

Si fa più cupo.

Talvolta pensa a lei, ai suoi occhi, alle sue labbra e alla sua dolcezza. Non l'ha mai dimenticata.

L'ultima volta che si sono visti è stata a Philadelphia, nella libreria. Quella volta in cui si sono baciati. Quel bacio è rimasto lì, sulle sue labbra, come un segno indelebile.

Ma era troppo tardi per rimediare; le persone cambiano idea, hanno i sentimenti mutabili, e il cuore di Rory aveva tamponato la ferita con Logan.

Forse aveva fatto così anche lui con Charlie, ma non ne è sicuro. È certo di amare quella donna ma, tuttavia, pensa ancora a Rory. E si sente uno stupido quando ripensa a come lui abbia ricambiato il suo tentativo di aiutarlo. Ma è stato meglio così, anche se fa male. Lei meritava e merita di più di quanto lui possa offrirle. Spera che prima o poi si abituerà al dolore.

Si decide ad abbandonare la stanza, poiché gli fa tornare alla mente troppe cose senza che lo voglia consciamente.

 

«Una tazza di caffè capiente, per favore. Dopo mi aspetta una giornata di lavoro con Lane.»

Lorelai finisce in fretta la sua porzione di linfa quotidiana.

«Uhm, senti, tesoro, che ne dici di andare a fare shopping? Ho visto una maglia bellissima ad Hartford, qualche giorno fa!» cerca una via si fuga.

Rory la guarda perplessa. «E quand'è che saresti andata ad Hartford?»

«L'altro giorno... ma sì, hai capito!» sorride, nervosa.

«Continuo a non capire perché proprio ad Hartford. E comunque no, non so cosa intendi... Oggi poi non posso, devo aiutare Lane.»

«Oh certo, capisco!»

«Sei inquietante con quel sorriso, sai?»

Si sentono dei passi scendere giù per le scale.

«Chi c'è di sopra?» chiede curiosa Rory.

«È Ceaser» risponde velocissima Lorelai.

«Non è possibile, Ceaser sta servendo quel tavolo laggiù!» indica con il dito.

Lorelai è in preda al panico. Sta cercando una soluzione, ma i passi si fanno sempre più vicini e non le danno il tempo di pensare con lucidità.

Una mano scosta la tenda e la suspense al bancone aumenta.

«Là sopra è tutto impolverato; dovresti pulire, ogni tanto.» esordisce.

Rory si blocca improvvisamente. È lui, è Jess. È tornato.

Jess si fa più rigido e non si muove. I suoi occhi sono incollati a quelli di Rory. Non voleva vederla; pensava vivesse a New Heaven. No, non doveva succedere. Non era pronto. Non vuole farle capire che ancora pensa a lei e che delle sere, quando Charlie gli dorme accanto, lui affoga in un mare di rimpianti.

Il tempo sembra essersi fermato. Il senso di colpa gli divora le membra e, nello stesso tempo, prova una sorta di odio verso Rory. Non accetta il fatto che lei abbia preferito Logan a lui.

Questi due sentimenti contrastanti lo spingono ad andare via, come sempre.

«Vado a fare un giro.» dice in un soffio e scompare dietro la porta bianca.

Rory abbassa lo sguardo. Cosa lo ha spinto a tornare?

«La moglie di Taylor, eh?» domanda retorica.

«Non sapevo come dirtelo... è arrivato oggi e non ne sapevamo niente!» cerca di scusarsi.

Rory finisce il caffè, lascia una banconota da cinque dollari a Luke e scivola via senza dire una parola.

Lane si congeda e rincorre l'amica.

«Rory, fermati! Aspettami!»

«Lasciami sola, Lane!» esclama arrabbiata.

«Avevi promesso che mi avresti aiutata...»

Rory si ferma.

«Hai ragione... andiamo.»

 

I didn't go far

I didn't go far

I didn't go far

And I came home

But he said there goes our love again

Home is a desperate end

cocoon my heart, cocoon my heart

And carry me to love again

(White Lies – There goes our love again)

 

 

Camminare quando è di malumore gli ha sempre fatto bene. La tensione si scarica verso il suolo e lui si sente meglio. Cosa ci fa Rory a Stars Hollow?

Si dirige al ponte. Quello è l'unico posto che lui sia mai stato in grado di sopportare.

Il legno scricchiola sotto i suoi piedi. L'acqua è scura e gli fa da specchio. Osserva il suo viso adulto, ma per un attimo appare il riflesso di un adolescente confuso e che aveva solo bisogno di essere amato. Infastidito, tira un sassolino al centro del volto. Il piccolo sasso sprofonda in acqua provocando tanti piccoli cerchi concentrici.

Adesso si è fatto pomeriggio, e tra poco si farà buio. Si ricorda solo in quel momento che non ha chiamato Charlie da quando è partito la mattina. Compone il suo numero e aspetta che risponda.

«Ehi! Mi sono preoccupata, sai? Non mi chiami dalle dieci di stamattina!» la sua voce è dolce e gli fa comparire un sorriso sulle labbra.

«Scusami, Charlie. Va tutto bene, sta' tranquilla. Sai com'è, questa città mi ha sommerso di domande... non si aspettavano un mio ritorno.»

«Beh, è comprensibile... da quant'è oramai che non ci mettevi più piede?»

«Circa due anni e mezzo.» risponde, realizzando solo ora il vero tempo che era passato.

«Mi manchi già! La casa è vuota senza di te... è così fredda.» dice, nostalgica.

Si sente in colpa. Lui ha appena rivisto Rory e un macigno è caduto sul suo cuore.

«Anche tu mi manchi.» il suo tono è indeciso.

«Amore, va tutto bene?» gli chiede, facendolo tornare alla realtà.

Lei lo ama davvero. Lo percepisce. Lui invece ha il cuore conteso tra due donne. E si sente uno schifo.

«Sì sì... scusa, non si sentiva bene. Sai, in questo posto prende poco.» mente.

«Ah, meno male! Pensavo avessi avuto un malore...»

A Jess scappa un sorriso. «Tranquilla, sto bene. Come va a lavoro?»

«Tutto a posto. Sai, sempre la stessa routine. Sean ti saluta!»

«Grazie, ricambia. Quando riesci a venire qui?»

«Non so... penso tra un paio di giorni. Giusto il tempo per finire qui in tipografia, fare le valige e arrivo.»

«Portati molti maglioni; qui si gela e sembra voglia nevicare» la avverte, mentre tira fuori dalla tasca della giacca una sigaretta sopravvissuta all'ultimo capodanno. La guarda un po' sorpreso ed è indeciso sul da farsi. Charlie odia il fumo, ed è infatti per questo che ha smesso del tutto. Ma adesso Charlie non c'è e una sigaretta si trova sola soletta nella sua tasca. Una grande tentazione per un ex fumatore. La ricaccia nella giacca e torna alla conversazione.

«Nevicare? A novembre? Mi pare alquanto strano... allora spero che non ci sia la neve quando mi metterò in viaggio! Tesoro, ora devo proprio andare. Ci sentiamo più tardi, va bene?»

«D'accordo. A dopo, Charlie.» cerca di non far trasparire i suoi sentimenti tramite la voce, ma tutto gli pare invano.

«Ehi, ti amo. Poi mi racconterai che cos'hai, okay? Ciao!» quelle due parole lo abbattono. Lei ha già capito tutto, come sempre, del resto.

«Anch'io ti... amo, Charlie.» quella pausa non doveva uscire. Magari non s'è accorta di nulla. Ma sa che questa speranza è impossibile... dopotutto, Charlotte ha appena terminato gli studi di psicologia.

Mette giù e torna a rimuginare un po' sul passato e un po' sul presente.

Il sole è andato via. Forse Luke si starà domandando che fine avrà fatto, ma non gli importa più di tanto quando c'è di mezzo Rory.

Adesso è realmente convinto che quella sigaretta, in quel preciso istante, faccia al caso suo.

 

La cena è in tavola, ma Rory non si è ancora presentata.

«Rory? È pronto da mangiare!» la chiama Lane.

Non risponde nessuno.

Continua a cercarla per la casa, quando la porta del bagno si apre ed esce Rory con addosso un asciugamano messo a guisa di turbante tutt'attorno ai capelli.

«Vado a fare quattro passi.» comunica, mentre afferra l'asciugacapelli.

«E non mangi?» le domanda in modo materno.

«Prenderò qualcosa da Luke, se mi verrà fame!» urla a testa in giù per asciugare anche le ciocche più alla radice.

«Rory... Rory!» la scuote per una spalla, facendole spegnere l'arnese. «Senti, lo so che sei arrabbiata perché tua madre ti ha mentito, ma non è giusto che continui a non volerle parlare e che continui ad essere di cattivo umore per tutto il giorno.» il suo sguardo è triste.

«Ascolta, Lane... ho solo bisogno di camminare un po' e si starmene da sola. Solo questo.» le spiega, quasi implorante. Dopodiché, non ricevendo nessuna risposta subito, riaccende l'aggeggio.

«Va bene. Ma ti dico solo un'ultima cosa.» le dice, toccandole nuovamente la spalla.

Rory smette di asciugarsi i capelli e la guarda dritta negli occhi scuri.

«Non buttare il bellissimo rapporto che hai con tua madre solo per una bugia innocente. Insomma, cerca di capirla, lo ha fatto per il tuo bene. Non si trovano facilmente madri come Lorelai, e io posso dirlo. Magari la signora Kim fosse come lei... non tornare tardi, mi raccomando.» si congeda sorridendole.

Rory rimane ancora ferma lì, con l'asciugacapelli in mano, intenta a meditare su ciò che l'amica le aveva appena detto.

 

Combinazione ha anche un accendino dietro. Appoggia la stretta sigaretta sulle labbra, fa scorrere la rotellina sotto il pollice sinistro e aspetta che una debole fiamma esca per bruciare la piccola punta del cilindro bianco e arancione. La prima boccata gli dà un po' di sollievo. È un orribile vizio; lo sa. Ma è una delle poche cose che riesce ad alleviargli la tensione.

 

È da qualche minuto che cammina senza una meta precisa. Stars Hollow è piena zeppa di posti verdi, panchine e spazi in cui rilassarsi. Ma ora tutto ciò non fa per lei, poiché la gente non la lascerebbe in pace neanche per un secondo. Si ferma per strada e pensa a dove andare. Alla fine, si focalizza il ponte. Certo, è perfetto in quel momento!

I suoi passi sono veloci, quasi come se fremesse all'idea di tornare in quel luogo saturo di ricordi, di ricordi di lei e di Jess.

La sera è fredda e il cielo si tinge di sfumature di rosa e viola. Gli alberi e gli arbusti sono cresciuti dall'ultima volta, ma non hanno chiuso del tutto la strada. È silenzioso. Il rumore dei suoi pensieri si fa più forte.

Mentre si fa sempre più vicina al ponte, intravede una figura di un uomo  seduto e che fuma una sigaretta con molta malinconia. Le basta poco per realizzare che quell'uomo è Jess.

Ecco, ci voleva solo quest'altra coincidenza. Hanno pensato allo stesso rifugio. Quello è il loro rifugio. Non sa cosa fare. Dovrebbe avvicinarsi e parlargli oppure andare via all'istante?

Dopo molti indugi, si decide per la prima.

Con passi poco incerti si avvicina a lui e Jess se n'è accorto di sicuro, dato che si è voltato verso di lei. Sospira e gli si siede accanto molto lentamente.

«Pensavo avessi smesso.» esordisce, ammirando i suoi capelli e i suoi tratti adulti.

«Infatti è così. Ma questa mi era rimasta dallo scorso capodanno e l'ho trovata per caso in tasca.» le spiega monocorde. Aspira per l'ultima volta molto intensamente, pian piano la sfila dalle labbra secche e la spegne sul legno del ponte. Poi prende un lembo di fazzoletto che aveva nei pantaloni e l'avvolge.

«Almeno così evito di inquinare questo posto.» dice, ficcando la cicca in tasca.

Rory si fa sfuggire un sorriso a fior di labbra.

Jess fa per alzarsi senza nemmeno rivolgerle uno sguardo.

«Potresti restare ancora un po',» gli chiede afferrandogli una caviglia «per favore?»

Jess ha un attimo di esitazione. La mano di Rory è scivolata sulla punta della scarpa.

Come può dirle di no?

Asserisce con il capo e Rory allenta la presa. Le si siede accanto e aspetta che sia lei a parlare.

Sente il cuore martellarle in petto come se fosse impazzito. Le labbra si seccano, le mani si raffreddano. Le guance si fanno sanguigne per l'emozione e l'imbarazzo.

Apre la bocca varie volte per iniziare un discorso, ma le parole le muoiono sulle labbra.

Quel silenzio è insopportabile. La sigaretta si è consumata già ed era l'unica che aveva in tasca. Le unghie non hanno un buon sapore, e le pellicine poi lasciano scoperta la carne e fanno un male terribile. A quanto pare, per liberarsi dell'oppressione deve riuscire a parlare con lei. È l'unica soluzione.

«Che ci fai qui a Stars Hollow?» domanda senza immettere fiato. Riesce a malapena a guardarla negli occhi blu.

Non può dirgli la verità. Anche perché non saprebbe che cosa dire. Lo sa che con Jess può parlare di tutto, ma non si vedono da un anno e mezzo...

«Per le vacanze» risponde semplicemente. Ma il suo sorriso poco convinto fa capire tutto al suo interlocutore.

Jess sogghigna.

«Farò finta di crederci.»

«Beh, sentiamo: tu invece perché sei a Stars Hollow?» esclama in aria di sfida.

«Per il tuo identico motivo.»

«Farò finta di crederci!» ride piano seguita da lui.

Le loro mani sono poco distanti l'una dall'altra. Rory è da un po' che le fissa.

Una forza sconosciuta la porta ad avvicinarla piano a quella di Jess.

La sua pelle è leggermente ruvida perché insecchita dall'inverno.

Le dita sottili si incuneano tra le sue e stringono il palmo, sollevandolo di un poco dalla piattaforma lignea.

Quel contatto scioglie come un sole a mezzogiorno d'estate ogni preoccupazione. Ricambia la stretta e avvicina la coscia a quella di Rory.

È tutto inutile, una perdita di tempo. Loro non riescono a non avere bisogno l'uno dell'altra.

Se non le loro bocche, le loro mani, le loro spalle o i loro sguardi finiscono sempre per incontrarsi.

Ogni individuo, per quanto sia di indole impulsiva, possiede una parte razionale, una parte che riconosce quando un'azione è giusta o quando essa potrebbe essere sbagliata. Ma è tuttavia difficile ragionare con zelo quando si tratta dell'amore.

 

It could be wrong, could be wrong
But it should've been right
It could be wrong, could be wrong
Let our hearts ignite
(Muse – Resistance)

 

Una scarica elettrica gli percorre la schiena, ma qualcosa di ignoto lo spinge a continuare.

Non può succedere come a Philadelphia nella libreria. Ma il suo viso è ormai attaccato al suo e lei non vuole allontanarlo.

Sente che Rory ha paura. I suoi occhi tremano, le sue mani si ancorano saldamente alle sue.

Il suo respiro le scalda il collo scoperto, le infuoca la pelle. Ruota il busto di qualche grado e si ritrova faccia a faccia con Jess.

I loro sguardi si cercano e si alzano pian piano finché si incontrano, riscoprendo quella luce di cui erano dotati un tempo.

It could be wrong, could be wrong
Are we digging a hole?
It could be wrong, could be wrong
This is out of control

(Muse – Resistance)

 

Non possono. È sbagliato lasciarsi andare alle emozioni in questa maniera.

Charlie. Cosa direbbe se lo venisse a scoprire?

Logan. Sono solo in pausa, ma non sono del tutto separati per sempre.

I volti di entrambi evaporano sotto il calore del loro amore così ardente.

Le punte dei loro nasi si sfiorano.

It could be wrong, could be wrong
It could never last
It could be wrong, could be wrong
Must erase it fast

(Muse – Resistance)

 

L'attesa di quel gesto sta distruggendo i loro cuori. Li strazia.

Quella forza che ogni volta li fa avvicinare sembra sempre trovare una forza uguale e contraria.

Stavolta le forze che si oppongono sono due: si chiamano Charlotte e Logan.

Le labbra sono distanti forse un millimetro le une dalle altre, ma non riescono a completare quel bacio che tanto bramavano.

Love is our resistance

they'll keep us apart and they won't stop
Breaking us down and hold me

(Muse - Resistance)

«Non possiamo» sussurra Rory.

Il suo viso si sposta e raggiunge l'orecchio. La mano sinistra sale fino al collo di Jess e prende a carezzarlo con il pollice.

Jess appoggia la fronte sulla spalla di Rory, passando le dita tra quei capelli profumati e morbidi.

L'amore è la loro resistenza.

«Non possiamo e questo... è inaccettabile. Ma le cose stanno così e non possiamo farci nulla.» bisbiglia al suo orecchio. Le sue labbra lasciano la loro asciutta impronta sul collo.

Jess la stringe più a sé. Perché i loro tempi non coincidono mai? Perché deve esserci sempre qualcun altro di mezzo?

«Lo so» ammette con la voce soffocata dalla chioma castana.

Rilascia un debole bacio tra il lobo e il collo di Rory, inspirando il suo profumo ed inebriandosene.

«Ora è meglio andare via. Ci staranno cercando...»

Annuisce sulla sua spalla per poi staccarsi del tutto.

Si alzano e si guardano ancora per un po' negli occhi, perdendosi nel labirinto delle loro anime.


 

The night has reached its end
We can't pretend
We must run, we must run
It's time to run

(Muse – Resistance)

«Cosa accadrà adesso?» gli domanda.

«Non lo so.»

«Come ci dovremmo comportare? Ci riparleremo?»

«Forse dovremmo mantenere il segreto. Sai, se la gente vedesse che ci frequentiamo, che ridiamo... la interpreterebbe in modo errato.»

«Qui siamo al sicuro. Qui possiamo stare insieme.»

Jess le sorride. Quel sorriso cela una terribile preoccupazione.

«Sì, è vero. Dormiamoci su e poi vedremo domani con più chiarezza, va bene?»

Rory annuisce.

«Io vado a destra e tu a sinistra. Stasera non ci siamo visti. Intesi?»

«Intesi. Allora buonanotte, Jess.»

«Buonanotte, Rory.»

Si scambiano gli ultimi sorrisi e imboccano strade differenti.

Passare del tempo insieme potrebbe non essere un'ottima idea, potrebbero innamorarsi ancora più di prima. Troveranno una soluzione. Per il momento possono nascondere la verità nei loro cuori. Lì nessuno potrà metterci mai mano.
 


ANGOLO DELL'AUTRICE: Buonasera! Beh, è tardino, lo so, ma non ho mai tempo e quindi ecco qui con un ritardone questo quarto capitolo. 
Come avete passato le vostre vacanze? Spero bene. Io sono riuscita a realizzare il mio sogno di andare a Dublino. :D 
Dunque, che ve ne pare dal punto prettamente narrativo e lessicale? Si accettano commenti e consigli di ogni tipo, quindi scrivete, scrivete e scrivete tutto ciò che vi viene in mente! Un bacione a tutte e al prossimo capitolo. Spero di non farvi attendere così tanto :( 
Con affetto, 
Kim.


 

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Capitolo 5
*** Disenchated - Parte I ***


Capitolo 5. Disenchanted

You're just a sad song

With nothing to say

About a life long

Wait for a hospital stay.”

My Chemical Romance, Disenchanted

È da una buona manciata di minuti che la sta osservando dalla vetrina del locale.

È così bella, lei. Circondata da un'aura che trasmette dolcezza ed estrema grazia. Quando pensa a lei si sente a casa. Forse non ha mai smesso di amarla.

I suoi occhi chiari dalle sfumature quasi pastello di un oceano ancora da scoprire; i suoi capelli, rossi come la passione. La sua pelle bianca, come la neve. I pensieri e le emozioni trasparono da quelle fessure così luminose, e fanno sì che niente di lei possa passare inosservato.

Si ricorda quando erano le sue di mani ad accarezzarle i lunghi capelli ramati, quando erano i suoi di occhi ad amarla soltanto guardandola, quando erano le sue labbra a sfiorare la sua bocca e ad esportarle, ad ogni bacio, un pezzo di anima. Ma adesso tutto è cambiato.

Un battito tra i tanti colpisce più forte le pareti del suo petto, un macigno che precipita all'improvviso come una bomba durante una guerra, coinvolgendo anche parti del corpo che non vorrebbero partecipare allo scontro.

Forse il problema maggiore è quello: non ha mai smesso di amarla. Solo il pensiero di Rory gli faceva venire il batticuore, ad ogni ora, ogni giorno, ogni anno. Sempre.

Ma adesso c'è Charlie, e lui si sente colpevole.

È combattuto: da una parte c'è la ragazza che ha sempre voluto amare; dall'altra la donna della sua vita.

Charlotte non è una qualunque, non è Shane. Lei è una donna, una donna con cui metterebbe su famiglia, una donna a cui giurerebbe amore eterno dinanzi ad un altare, la donna che riempirebbe di regali, la donna che sa che lo amerebbe e che ci sarebbe sempre. Charlotte non scappa.

Invece vede Rory ancora come quel suo amore adolescenziale, così intenso da perdere il controllo.

Sorride al ricordo dei suoi occhi che brillavano quella sera, davanti alla pompa di benzina.

Sorride al ricordo dei suoi improvvisi gesti impacciati e al ricordo di quelle parole che s'erano fatte timide ed impaurite e che non uscivano mai al momento giusto.

Sorride al ricordo di lei e di lui insieme.

E infine l'ultimo sorriso si dipinge sul suo volto quando ripensa che, per la prima volta, si era sentito amato e necessario: era stato lui il motivo dei suoi sorrisi, ma anche delle sue lacrime.

La sera precedente aveva detto di mantenere il segreto e di parlarsi di nascosto. Ma a che scopo, alla fine? A quale scopo, se alla fine non riuscirà ad affrontarla?

Il cellulare gli squilla in tasca, insistente.

«Pronto?»

«Jess! Questa sarà la quinta volta che ti chiamo! Ma avevi il silenzioso?» è lei.

La sua voce lo fa ritornare alla mera realtà. Alza per l'ultima volta lo sguardo e vede Rory, dall'interno del locale di Luke, sorridergli con innocenza.

Fa un passo avanti, attraversa la strada, calpesta il suo cuore.

Rory china di poco il capo, quasi come se si sentisse un'illusa.

«Scusami, Charlie. Scusami.» le chiede scusa per tutto. Il suo tono è mortificato. I suoi sentimenti in subbuglio.


 

Jess non ha risposto al suo piccolo saluto: che fosse arrabbiato con lei?

Il suo stomaco serra la membrana che è addetta a far entrare il cibo. La fame che aveva fino a poco fa non c'è più; non si ha più fame quando si è tristi, quando si è delusi, quando ci si sente in colpa.

«Ehi, Rory. Va tutto bene?» le chiede una voce famigliare. È Lane.

Vorrebbe tanto dirle la verità, ma non le pare né il posto e né il momento adatto. È un'impresa ardua rispondere a quella così facile domanda, a quel “va tutto bene?”. No, niente adesso va bene. No, non va bene perché c'è sempre qualche ostacolo che la separa da lui. No, non va bene perché si sente sola ad affrontare la rottura con Logan e ad affrontare, dopo parecchi anni, Jess.

«Sì... tutto a posto.» decide di dire, facendo scivolare le parole in un sospiro.

Lane, con fare materno, si china di un po' e le poggia le labbra sulla fronte. Poi, le versa del caffè anche se la tazza era quasi piena.

Beve tutto d'un sorso e sgattaiola via dal locale.

Sul viso asiatico di Lane compare un'espressione di preoccupazione.


 

I suoi passi sono veloci, i singhiozzi le torturano il petto, il cuore si dilania.

Non ha risposto al suo sorriso, e lei lo ama, lo ama più di prima ma, nel contempo, lo odia, lo odia come non mai. Odia il suo carattere, odia la sua non comunicazione, odia tutto ciò che hanno fatto insieme. E odia se stessa, odia il suo modo di fare, odia la sua incapacità di rimanere sola dopo una fine di un rapporto, odia questa dipendenza da lui, da Logan o da Dean. Odia se stessa e basta.

Odia Jess con tutto il cuore. Ama Jess con tutta la sua anima.

Scappa, scappa da una realtà troppo concreta e si rifugia nel suo luogo preferito: il vecchio ponte.


 

«Comunque, tornando a noi, Jess: ho una notizia cattiva da darti.»

«Dimmi.» deglutisce.

«Purtroppo non riesco a venire per l'inizio del mese, ma dovrai aspettare fino alle vacanze di Natale.» gli comunica, un poco mogia.

«Oh. E come mai?» si siede sul ponte.

«Miranda è andata da poco in maternità, e il capo mi ha chiesto se potessi sostituirla io... non sai quanto mi dispiace!»

Quella notizia, stranamente, non gli provoca nessuna reazione. Non è né triste, né malinconico... nulla. Deglutisce nuovamente. Si sente in colpa.


 

Le lacrime, come fiumi in piena, le travolgono il viso, colano come lava lungo gli zigomi, la affogano finendole sulle labbra e la acciecano, annebbiandole la vista.

Giunge al ponte e intravede Jess che guarda l'acqua nera, giocherellando nervosamente con il cellulare.

I singhiozzi sono divenuti fastidiosi; si è stufata di piangere, ma le lacrime scendono, scendono come sangue da una ferita.

Lui allora, appena di accorge della sua presenza, fa per alzarsi, come se volesse soccorrerla, ma Rory lo respinge sia verbalmente che fisicamente.

«Non voglio il tuo aiuto! Va' via!» la sua voce s'è fatta stridula, le corde vocali sono talmente sottili che le dolgono.

Tenta invano di cingerla in un abbraccio, di tirarla a sé, ma le mani di Rory lo allontanano, gli graffiano il cuore, gli tolgono la forza.

«Rory, per favore... ti prego!» la implora, cercando i suoi occhi chiari.

Lei scuote la testa.

«Lasciami in pace!» piagnucola, divincolandosi dalla morsa di Jess.

Guarda altrove, mentre è alla ricerca di una via d'uscita.

«Io non ti voglio! Vattene, lasciami in pace, per l'amor del cielo!» inizia urlando, ma conclude quasi senza voce. Ansima, disperata. «Lasciami, Jess... lasciami...» lo implora, fissando la piattaforma scricchiolante.

«Vuoi che me ne vada? Va bene. Ma dimmelo guardandomi negli occhi, almeno.» le dice, cercando il suo viso sotto tutti quei capelli. «Ti prego, guardami.»

Lei scuote di nuovo la testa. Poi, la alza piano, inspirando lentamente e con gli occhi chiusi.

Quando li apre, Jess ha tra le mani il suo viso bagnato dalle lacrime. I suoi occhi tremano, in attesa che lei dica la sua volontà. Ma non riesce, non riesce ad allontanarlo se lo guarda negli occhi; non è più come quando era andato a trovarla al campus, quell'orgoglio era scemato nel tempo. Adesso è diverso.

Jess aspetta, paziente. Quando vede che Rory non riesce a dirgli di andarsene, un istinto naturale balza fuori all'improvviso: la bacia. Non sa il perché di quel gesto, ma lo fa. Non ci sta troppo a pensare su; la sua mente è completamente disconnessa.

Le mani di Rory sono aggrovigliate attorno ai polsi di Jess, quasi come se volessero trattenerlo.

Quando la bacia, la stretta di Rory si fa più potente. Lo vorrebbe allontanare, ma qualcosa glielo impedisce. Come sempre.

Quel bacio è dolce e li culla per qualche secondo. Quel bacio non permette ad entrambi di ragionare con lucidità. Quel bacio fa sì che non sia necessario respirare. Quel bacio è improvviso, istintivo.

Quel bacio è stato atteso.

Jess separa piano le sue labbra da quelle di lei e abbassa lo sguardo, rendendosi conto di quanto è appena accaduto o, meglio, di quanto ha appena fatto. Lui, solo lui.

Rory è senza parole, senza fiato, senza idee. Sbatte le ciglia bagnate come se fossero ali di una farfalla.

Le mani, che prima avevano trattenuto i polsi di Jess, scivolano lentamente.

Jess emula i suoi gesti: abbandona il viso di Rory.

Un enorme punto interrogativo vaga per la sua testa, ma le parole si nascondono, timide.

Al contrario di Jess, lei non ha abbassato lo sguardo. Gli occhi ancora sono lucidi e tremanti.

Rory si è divisa in due: una parte lo odia, l'altra lo ama. Durante il bacio, nessuna delle due parti aveva ancora risposto, ma entrambe avevano solo subito.

Ora, invece, la parte dell'odio balza fuori senza alcuna esitazione e le fa tirare uno schiaffo sulla guancia di Jess. Quest'ultimo non sembra tanto sorpreso da tale gesto. Il suo viso segue la direzione della sberla per sentirne di meno l'intensità. Infine, si porta una mano alla guancia offesa e se la copre con tutto il palmo. Non esige spiegazioni, poiché è ben consapevole di cosa ha appena combinato.

L'altra parte, tuttavia, come se volesse scusarsi di quanto appena fatto, interviene subito dopo.

Rory avanza, in balia del solo e nudo ritaglio di sé che lo ama fino a perdere il controllo, avanza verso di lui, lo incalza a guardarla negli occhi, avvicina il suo viso a quello di Jess e risponde al suo gesto con la stessa modalità: lo bacia. Lo bacia con semplicità, con le labbra asciutte.

Jess subisce in silenzio. È perplesso.

Una volta staccatosi, lei lo guarda con una dolcezza devastante e le parole, come scolari durante una disputa in classe, intervengono tutte assieme, senza seguire un ordine preciso.

«Jess... perché? Perché oggi non mi hai salutata? Perché mi hai baciata? Perché... perché di nuovo?» gli domanda.

«Rory... è complicato. Io non so come spiegartelo...» farfuglia.

«Perché scappi sempre? Perché mi hai tenuta all'oscuro della tua bocciatura, di tuo padre...?»

Jess espira. Al contrario di quanto avrebbe fatto da ragazzo, ora la fissa negli occhi, in quelle iridi così chiare.

«A volte è più facile non dire niente piuttosto che vedere come un rapporto si logora con il tempo. Io ero il disastro di Stars Hollow... chi mai avrebbe cercato di capirmi? Luke mi ha sbattuto fuori di casa, il preside mi ha bocciato e non mi ha dato i biglietti... quei dannati biglietti che tu volevi tanto! Come avrei potuto comunicarti una cosa del genere? Eh?» urla.

Rory scuote la testa. «Io, Jess, io avrei cercato di capirti! Io ho sempre cercato di capirti, sempre! Ma tu niente, non mi hai dato mai nessun aiuto! Litigavamo e te ne andavi; sparivi. Poi riapparivi con i biglietti per i Distillers. Tu non mi hai mai parlato... e io mi sono stancata di tutto questo!»

Quelle parole così taglienti le trafiggono il cuore da parte a parte. Fanno male. Le parole fanno male. Fanno male perché hanno avuto il tempo di affilarsi nel tempo, nel non detto.

E sbraita perché lo ama e lo ha sempre amato. Quando amiamo qualcuno, pretendiamo che la persona interessata sia perfetta, senza difetti; che ci dica sempre tutto, che non ci siano segreti di alcun tipo; che sia compatibile con noi così che non ci siano litigi. Ma, purtroppo, non sempre è così: gli esseri umani sono il peggior modello della perfezione. E, per di più, quando ci innamoriamo, le nostre paure crescono a dismisura: abbiamo perennemente paura, paura di non essere adatti, paura di non meritarci quell'amore, paura di non essere abbastanza empatici, paura di noi stessi, paura di metterci a nudo. Ed è per questo che spesso camuffiamo i fatti e raccontiamo bugie; ma bugie in principio bianche, innocenti. Perché abbiamo paura.

«Io avevo paura, Rory, dannazione! Va bene così? L'ho detto! Sei contenta, ora?» sbotta, tutto in un colpo. Allarga le braccia di scatto e la guarda con la stessa intensità di quella sera a casa di Kyle.

Lei continua a non capire.

«Paura? Paura di che? I-io...» prova a dire, ma lui l'interrompe.

«Io, Rory, non tu! Ero io il problema, ero il problema per tutta questa stupida città! Tu non hai mai avuto paura? Be', non mi sorprende affatto.» termina con una tacca di acidità. Fa per andarsene, ma Rory lo rincorre: non hanno ancora finito.

«Che vuoi dire? Che vuoi dire con “non mi sorprende affatto”? Avanti, dimmelo! Parlami, porca miseria!» lo esorta a parlare una volta per tutte.

Jess sogghigna. Si arresta, proprio come desidera Rory.

«Non mi sorprende che tu non abbia mai avuto paura, crescendo in questa città da diabete! Tu hai avuto una famiglia, Rory. Sei cresciuta circondata da affetto. Io no! Mia madre è fuori di testa, mio padre mi ha abbandonato e io ho vissuto per strada! Sono cresciuto sentendomi dire che sono una nullità e che creo solo problemi! E scusami tanto se mi sono innamorato di te e avevo paura di non essere alla tua altezza!» conclude.

Dagli occhi ormai rossi di Rory scendono lacrime sottili. Tira su con il naso.

«Tu hai avuto l'occasione di avere una famiglia, Jess. Luke si è fatto in quattro per te e tu non hai voluto riconoscere il suo sforzo. Io, Jess, io... io, Dio santo!, io... io mi sono innamorata di te e ho fatto di tutto per capirti, per aiutarti, per farti dare una possibilità da tutti. Ma, a quanto pare, non è servito a nulla.» la voce le trema. Volge le spalle, decisa ad andarsene. Poi, però, si gira e torna indietro. Se il sacco è per tre quarti svuotato, tanto vale svuotarlo tutto.

«Io ho sempre scelto te. Ti ho sempre messo al primo posto. Ho lasciato Dean, ho litigato con mia madre. Io ti ho amato a prescindere da ciò che si diceva sul tuo conto. E se pensi che tu non sia stato alla mia altezza, mi deludi. E la sai una cosa? Che io... io ti amo ancora adesso. E non riesco a dimenticarti. Ogni cosa che faccio, ogni libro che leggo... mi ricorda te. Ma, a quanto pare, dovrò sforzarmi. Me ne vado io, adesso, per una volta, Jess. Me ne vado. Ti ho teso la mano milioni di volte ma tu non l'hai colta. Per quanto ti possa amare, non posso continuare in questo modo, mi capisci? Credo... credo sia tutto.» le esce a fatica. Stavolta volta le spalle definitivamente. Volta le spalle al suo passato, alla persona che sarà sempre nascosta in un recondito angolo del suo cuore, della sua anima. Ma adesso volta le spalle. Tutto questo è umano: nel momento che un'azione che facciamo ci ferisce, scatta in automatico la nostra personale difesa, ossia ci allontaniamo. Per quanto possa far male, è un sistema di protezione che ci permette di non autodistruggerci.

____Fine prima parte____


 

ANGOLO DELL'AUTRICE: I'm baaack! Scusate per la lunghissima assenza, ma è stato un periodo molto faticoso e non ho avuto il tempo di pubblicare nulla. :(
Comunque sia, la faccio breve:
1) Come state? Tutto a posto? Per le scrittrici: se avete scritto o aggiornato qualche vostra storia scrivetelo pure nelle eventuali recensioni, perché, molto probabilmente non ho fatto in tempo a leggere tutti i capitoli delle vostre fan fic o originali ;) ;
2) Che ve ne pare di questo capitolo? Cosa pensate di questa spessa discussione tra i nostri Rory e Jess?
3) E' la prima volta che faccio una prima e una seconda parte del capitolo, però provare non costa nulla, no? :) Anche perché sarebbe venuto un capitolo troppo lungo, e così ho optato per la divisione in due. Che ne pensate di questa scelta?
Mamma mia quante domande! 'o.o Non siete costrette a rispondere a tutte, sappiatelo! :)
Be', io ora vi lascio a questo capitolo e vi auguro buona lettura! 
Grazie per il tempo che avete dedicato a questa storia e, mi raccomando, recensite numerose/i! Sono accettati commenti d'ogni tipo.
Bacioni e a presto (sì sì, a presto! La prossima volta non vi farò aspettare troppo :( )
Kim.


 

 

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Capitolo 6
*** Disenchated - Parte II ***


Capitolo 6. Disenchanted – Parte II

Staring at the bottom of your glass

Hoping one day you'll make a dream last

But dreams come slow and they go so fast

You see her when you close your eyes

Maybe one day you'll understand why

Everything you touch slowly dies

(Passenger, Let her go)

Quando le parole servono davvero non ci sono mai. Quando il fiato dev'esserci manca. Sempre.

Jess, infatti, non ha le forze per ribattere. Cosa dovrebbe aggiungere? Ogni frase che uscirebbe dalla sua bocca manderebbe in frantumi tutto, così come ogni suo gesto. È sempre stato così.

Perché fai questo?, perché non te ne vai?, sta' alla larga: espressioni ripetitive, divenute oramai automatiche, quando si tratta di lui.

Segue la figura di Rory allontanarsi e farsi man mano più piccola, fino a scomparire dietro ad un ramo di un albero. Se n'è andata. L'ha fatto veramente. Chi si crede di essere? L'uomo più potente del mondo? Si dà dello stupido. Peccato che non abbia senso darsi dello stupido quando ormai è troppo tardi. Ed è una sciocchezza dire che 'non è mai troppo tardi'. Stupide frasi fatte. Stupido mondo. Stupido. Sei uno stupido, pensa.

Ogni energia rimastogli è stata bruciata dalla rabbia e, successivamente, se n'è andata con Rory.

Si passa velocemente la lingua sulle labbra, e le sente screpolate, secche, morte. Non vi è alcuna traccia di quel bacio condiviso da poco.

Il cuore batte come quando ci si rende conto di aver fatto una cavolata, l'ennesima cavolata, quella che decide cosa verrà dopo.

La testa gli pare scoppiare, la zona delle tempie gli pulsa in modo incredibile, la fronte sembra in ebollizione.

Percepisce il sangue più caldo del solito, più denso e che, mentre scorre, gli raschia le sottili pareti dei suoi vasi sanguigni.

L'ha lasciata andare. Ha lasciato andare tutto ciò che aveva, con lei.

Non è per fare troppo i romantici e i melodrammatici, ma è così. Rory è tutt'altro che lui al femminile: è il suo opposto. Ma, pur essendo il suo opposto, è ciò che lo completa, ciò che gli permette di stare in equilibrio, perché esiste sempre una forza uguale e contraria che fa stare un corpo in equilibrio. E se lo dice la fisica sarà pur vero, no?

Dissero, dicono e diranno sempre che gli opposti si attraggono, ma alla fine è davvero così? Chissà.

Potrebbe anche essere, ma ciò non toglie il fatto che non ci siano scontri, ma, anzi, essi sono raddoppiati, triplicati. Se si vuole il proprio opposto lo si odia per forza.

Chi è che non odierebbe l'incarnazione del proprio contrario?

Si lascia cadere per terra e, quasi inconsapevolmente, ficca la testa tra le ginocchia e se la copre con le mani, proteggendosi dall'esterno.

Well you only need the light when it's burning low
Only miss the sun when it starts to snow
Only know you love her when you let her go

Only know you've been high when you're feeling low
Only hate the road when you're missing home
Only know you love her when you let her go
And you let her go

È diverso dall'ultima volta, diverso da Philadelphia. Ora è stata lei ad andarsene da lui. È stata lei, di sua spontanea volontà. Non è stato lui a cacciarla, seppure in modo implicito e cortese. Se n'è andata. Forse per sempre.

Non si è mai sentito così. Altre volte aveva sentito la sua mancanza, altre volte si era sentito in colpa, altre volte aveva avuto sensazioni di rimorso, ma non a tal punto di accovacciarsi per terra e sforzarsi dal non piangere.

Perché, quando si capisce di aver fatto una castroneria, si viene assaliti da scosse, che si dirigono alla pancia, alla testa, al cuore... Si viene assaliti da scosse non solo nervose, ma scosse di parole, parole che, come picchi, ci martellano in modo veloce, troppo veloce.

E sì, si piange. Talvolta. Se si è consapevoli abbastanza.

Non si è mai sentito così. Altre volte avevano litigato, ma era sempre stato lui ad andarsene. Non aveva avuto mai l'occasione di sentirsi come le persone che rimanevano fino all'ultimo a discutere, mentre lui girava i tacchi anche troppo presto, a volte. Perché a scappare era sempre stato bravo. A rimanere no. E la sua reazione è quella di accasciarsi a terra e dondolarsi, come un bambino. Cullarsi. Rassicurarsi.

E gli manca già. Adesso, grazie a questo senso di mancanza, di vuoto, ha la prova delle sue ipotesi sui sentimenti che prova per Rory.

Ci manca il sole quando inizia a nevicare.

Ci rendiamo conto che ci serve la luce quando il lumino si sta spegnendo.

Odiamo la strada quando ci manca casa.

Ci rendiamo conto di amare quando lasciamo andare chi amiamo.

A volte è necessario arrivare al limite o ad un ultimatum per capire davvero ogni cosa.

Adesso ha capito. Ha capito che la ama. Ma lei se n'è andata.

Non ne vuole sapere di alzarsi e camminare. Continua a cullarsi. Come un bambino. Perché, alla fin fine, il bambino che è in noi esce sempre a farci compagnia poco prima di arrivare alla nostra consapevolezza da adulti.

Gli manca. Ma lei se n'è andata.
 

ANGOLO DELL'AUTRICE : Buonasera! Fine seconda parte del 5 capitolo, Disenchanted. Un capitolo un po' corto, è vero, ma che, secondo me, è pieno di emozioni. E' il capitolo incentrato su Jess e le sue sensazioni e, come ben sappiamo, Jess è conciso. :D
Che ve ne pare? 
Scrivetemi, recensite! 
A presto, 
Kim.


 

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Capitolo 7
*** Goodbye ***


Capitolo 7 – Goodbye

The mourning dove sings

with two broken wings

Carry me home

I'm not afraid

The stars in my eyes

Were shimmering lies

Carry me home

Don't let me fade away”

(The Killers, Carry me home)

 

Sono passati un paio di giorni da quella mattinata lì, al ponte. È da un paio di giorni che Rory non esce da casa di Lane. Se ne sta là, rannicchiata nel letto, con le coperte rimboccate fino al collo, a fissare il vuoto. Si rifiuta di parlare con chiunque. Ha l'aspetto di una persona che dorme poco.

Il muro non è andato a trovarla. Non sente Lorelai da un bel po'. Deve avere chiamato, in questi giorni freddi, ma non deve aver sentito. È una sorta di trance, quella in cui si trova adesso Rory.

 

«Sto solo dicendo che non può stare qui per sempre, Lane» dice Zach.

«Avanti, Zach! Sta passando un brutto periodo... cerca di capire» tenta di convincerlo Lane.

«No, cerca di capire tu me, Lane!» si alza in piedi di scatto.

Lane fa cenno di abbassare la voce, zittendolo con un dito. «Abbassa la voce!» lo ammonisce.

Zach, stizzito, raggiunge la moglie vicino al lavabo in cucina.

«Lane» dice con dolcezza, spingendola a guardarlo negli occhi, «lo sai che ti amo, ma... senti, lo so quanto tu voglia bene a Rory, ma non è più una bambina, Lane. Ce la può fare anche da sola» conclude.

Lane non fa altro che scuotere la testa. Si scioglie dalla debole stretta del marito e torna, con foga ascendente, a lavare i piatti.

«Tesoro, non fare così. Molla un secondo questi benedetti piatti e ascoltami» riprende a parlare. La sua mano raggiunge quella di Lane e una lieve pressione spinge le dita a lasciare il piatto bianco e liscio.

«Tu non...» esordisce senza il controllo del tono di voce. «Tu non capisci, Zach» continua, abbassando di qualche tacca il volume. «Rory è fragile, soprattutto in questo periodo. E noi...»

«E noi abbiamo già due bambini a cui badare, Lane» interrompe Zach. «Non è nostra figlia. È una donna, non una bimba che ha bisogno della baby sitter e neanche troppo vecchia per una badante» conclude.

Gli occhi scuri di Lane si riempiono di lacrime. «Non sa dove altro andare, Zach. Non sa dove altro andare» spiega, tremante.

Lo sguardo del marito si addolcisce. «Vieni qui» sussurra, facendosi più vicino per abbracciarla.

«Non sa dove altro andare» ripete, tra i singhiozzi.

 

Rory ha sentito tutto. Appena Lane si è messa a piangere, si è subito allarmata. Non vorrebbe mai che la sua migliore amica stesse male.
Sa che Zach ha ragione. Ha ragione su tutto. Non è una bambina, non più. Comincia a sentirsi in colpa. Stringe di più il piumone. Raccoglie le gambe e se le porta al petto, tenendole unite e ancorate al materasso.

Perché ho capito solo adesso che ero un peso, per Zach e forse anche per Lane?, pensa. No, non forse, si corregge. Lane le vuole bene... ma a lei sembra che sia un senso di compassione a spingerla a tenerla in casa sua. Allora l'unica soluzione è togliere il disturbo. Ma alla fine... non sa dove altro andare.

 

«Devi lasciarla andare, Lane. Lasciala andare per la sua strada. Non caricarti del suo male... tu hai fatto tanto per lei, ma adesso è giunto il momento di lasciarla andare» le dice.

Lane non fa in tempo a ribattere che Rory fa capolino dalla stanza. È quasi strano rivedere la porta aperta, dato che è stata chiusa per troppo. Il suo viso è già rigato dalle lacrime. Poche, ma che le hanno fatto profondi solchi.

La coppia scioglie l'abbraccio che li teneva uniti e si gira verso l'ospite.

Rory prende fiato e fa un piccolo sì con la testa.

Senza l'ausilio di parole, dice tante cose.

Avanza verso Lane. La cinge in un abbraccio, come per ringraziarla e, nel contempo, come per salutarla.

Poi guarda Zach. Gli sorride soltanto.

Va verso l'ingresso e apre la porta. La sua figura si dissolve dietro quel pannello di legno.

I coniugi si rivolgono uno sguardo interrogativo. È successo tutto così velocemente che non hanno avuto il tempo di realizzare cosa stesse davvero accadendo.

Lane, quasi offesa con Zach, torna a lavare i piatti.

Zach, ancora sconvolto, fissa la porta. Ha appena ripreso la moglie per averle fatto da madre, ma lui stesso, adesso, si sente come un padre quando la figlia se ne va di casa.

Fissa la porta.

 

Fuori fa freddo, e le calde coperte che l'avvolgevano fino a pochi minuti fa non ci sono più. La sensazione che le invade il corpo è alquanto bizzarra: si sente una sedicenne che scappa dai suoi genitori. Il primo impulso è quello di tornare dentro quella casa accogliente, far finta di niente pur di continuare a vivere dormendo e sentendosi accudita. No. Basta. Adesso basta. Sei fuori, Rory, si dice. Sei fuori. Come un bambino alle armi con i suoi primi passi, mette in modo goffo un piede davanti all'altro e cammina piano. Si sente bene, si sente libera, mentre cammina così. È fuori, è uscita dalla gabbia dove si era imposta di stare. Sorride, felice, quasi senza controllo.

La città la guarda con strani occhi, quasi come se non fosse più abituata a vederla girovagare per le strette vie di Stars Hollow.

Non le è mai piaciuto essere sotto l'occhio di bue, ma adesso sembra non farci caso. Perché adesso è fuori, libera. È felice non perché Lane e suo marito la tenevano prigioniera, ma perché, per una buona volta, non si è fermata a pensare e a rimuginare sulla mattinata al ponte. È stata impulsiva, spinta dalle parole di Zach: devi lasciarla andare. Lane è come sua madre: entrambe sono protettive nei suoi confronti, perché la amano, e lei lo sa. Ma adesso è una donna. Non deve costringere nessuna delle due a prendersi cura di lei stabilendosi in casa loro.

E sa che, anche se si allontana per un po', non dimenticherà mai la strada di casa, perché quella è scritta dentro ognuno di noi. Si trasloca, si cambiano i mobili, il colore delle pareti, l'indirizzo. Ma non si possono cambiare le persone che per noi sono la nostra casa.

Non è piacevole andare via, lasciarsi andare via da casa. Ma ora è quello che ci vuole per lei: andare altrove. Non scappare. Andare altrove. Conoscere da sola parti di sé che prima non conosceva. Perché a volte, la solitudine è la migliore cura. Non bisogna vederla sotto una cattiva luce, perché la solitudine vera e propria è solo solitudine allo stato puro, senza malinconia, tristezza o rimpianto. La solitudine siamo noi e solo noi, con le nostre paure, i nostri modi di fare e il nostro modo di essere.

Decide di partire. Segue il suo istinto. Ma, prima, per affrontare la solitudine, deve salutare sua madre, Luke, Logan, Emily, Richard e... sì, anche Jess.

 

«Mi stai dicendo che non la senti da così tanto?» chiede Luke, mentre vaga tra i tavoli e serve caffè.

«Già» risponde Lorelai, con tono mogio. Neanche il caffè riesce a sollevarle il morale.

Il campanello suona e Jess entra, portandosi dietro una valigia.

Luke si blocca per un attimo. «E quella che cos'è?» gli domanda.

Jess fa spallucce. «Una valigia» ribatte.

«Grazie tante. Fin lì ci arrivo anche io. Che vuol dire? Riparti?» continua a chiedere, rincorrendolo fino al bancone.

«Ciao, Lorelai» saluta, un po' sorpreso, come se non si aspettasse anche lei lì.

«Tu! Che è successo?» si gira di scatto, impugnando il cucchiaino come un coltello.

Sebbene abbia la punta arrotondata, lo fa sobbalzare comunque.

«Mi fai paura. Metti giù quel coso» la incalza.

«Non sottovalutare un cucchiaino, perché sarei in grado di farti male anche con questo!» ringhia.

Appena il cucchiaino è tornato nel caffè, al sicuro, Jess comincia a parlare.

«Torno a casa... da Charlie. Torno a Philadelphia per un po'» risponde allo zio, mentre prende un muffin, senza chiedere nulla.

«Certo, prendi pure un muffin... ehm... e perché?» dice Luke, non capendo.

«Perché... perché Charlie non può venire prima della vigilia di Natale, quindi non so cosa fare qui per venti giorni» risponde. Avvolge il muffin nel tovagliolo e lo mette in valigia.

Luke fa sì con la testa, ma i conti non gli tornano.

«Torni a casa solo per Charlie? Nient'altro?» investiga.

Jess annuisce, stavolta allungando un braccio per raggiungere una ciambella, ma lo zio lo precede e gliela prende lui.

«Come no» ridacchia acida Lorelai.

Jess, stizzito, si volta verso di lei. «E sentiamo, Lorelai. Cosa hai da dire?»

«Cos'ho da dire?» dice, mettendo giù la tazza. «Ti dico che non sai mantenere i patti, Jess. E ti dico anche che non sai recitare» attacca.

Jess sogghigna. Potrebbe sembrare divertito, ma in realtà sa cosa voglia dire sul serio.

«Ah sì? E perché non saprei recitare?» chiede.

«Perché è evidente che non torni a casa solo per Charlie. Di sicuro hai litigato, perché scegli sempre la stessa modalità: scappi. E sappiamo entrambi da chi adesso tu stia fuggendo» gli dice, sapendo di aver ragione.

L'altro si morde un labbro, infastidito da quella scomoda situazione.

«Ora capisci perché non potrei mai fidarmi di te? Non servono patti, strette di mani e giuramenti sulla Bibbia, con te, Jess. Perché sei troppo testardo e orgoglioso per mantenere una promessa. Sai che ti dico? Vattene pure. Non mi hai sorpresa. Ma non ti azzardare a parlarmi mai più. Non voglio avere niente a che fare con quelli come te» conclude, piena di rabbia.

Si scambiano un ultimo sguardo. Sta zitto, perché una sola parola potrebbe rendere la questione ancora più irrecuperabile. Dopodiché, Lorelai esce dal locale.

Luke scuote la testa.

«Ora è meglio che vada» dice, senza degnare lo zio di uno sguardo.

«Jess» lo blocca Luke, prima che sgattaioli via, «ci vediamo a Natale con Charlie. Non combinare casini, d'accordo?» lo guarda negli occhi.

Jess, che freme di andarsene, fa sì con il capo e apre la porta.

 

Lorelai cammina verso casa, con passi veloci e nervosi. Continua a pensare a quanto odi Jess e a quanto vorrebbe spaccargli quella faccia da strafottente. Non è cresciuto per niente, pensa. Arriva finalmente davanti a casa, e una sorpresa la sta aspettando sugli scalini.

«Che ci fai qui?» le chiede, mentre si fa più vicina.

Rory si alza e si rifugia tra le sue braccia. Le erano mancate.

Lorelai si dimentica per un attimo dell'astio che ha per Jess e si dimentica del motivo dell'allontanamento tra lei e sua figlia.

«Vieni dentro, qui si congela» dice, sciogliendosi per un attimo dall'abbraccio.

Una volta in casa, entrambe si mettono a sedere al tavolo in cucina.

«Sono contenta che tu sia tornata. Io non sopporto starti lontana, tesoro» le dice, con gli occhi lucidi.

Quelle ultime parole bloccano per un secondo Rory. Piega le labbra in un sorriso forzato e abbassa la testa.

«Cosa c'è che non va? È successo qualcosa?» domanda, carezzando la mano della figlia con la sua.

Ma certo che c'è qualcosa che non va, pensa. Mette da parte l'argomento Jess e fa finta di niente.

Rory prende un respiro profondo e guarda la madre, con sguardo innocente.

«Ecco... vedi, mamma... io ho deciso di andare a New York per un po'» dice tutto d'un fiato.

Ciò lascia un attimo senza parole Lorelai.

«Oh» riesce solo a farsi uscire.

«Non è perché io non voglia stare con te, anzi. Ma... ho bisogno di stare un po' da sola, adesso» continua, con adagio.

«V-va bene, tesoro. Insomma, capisco...» lascia in sospeso la seconda parte della frase.

«Ma?» interviene Rory.

«Ma... promettimi che mi chiamerai, tesoro. Devo sapere se stai bene. Okay?» le chiede, con le lacrime agli occhi.

«Lo farò» la rassicura, mentre si sporge per abbracciarla forte. «Lo prometto» aggiunge, con la voce soffocata dal tentativo di trattenere le lacrime.

 

«E così... sei pronta» dice Lorelai.

«Sì. Sono pronta» afferma Rory, toccando la valigia accanto alla sua sedia.

Fuori è ancora buio, e in città la maggior parte sta dormendo.

«Il tuo caffè con un aggiunta di panna» dice Luke, poggiando la tazza sul tavolino, «e il tuo» rivolgendosi a Lorelai.

Il viso di Rory, alla vista di quella coccola, si illumina in un sorriso.

«Allora, quale sarà il tuo progetto?» chiede Lorelai, curiosa e premurosa.

«Be'», risponde la figlia, leccandosi la panna rimasta sulle labbra, «salgo sul bus, scendo a New York...»

«Sai già dove andare a dormire?» interrompe Lorelai.

«Sì, ho visto un posticino su internet. Niente di che, un appartamento di pochi metri quadri a Greenwich Village, vicino a Washington Square. Per pagare l'affitto cercherò un lavoro vicino a casa, sperando di trovarlo... starò per conto mio. Mi farà bene» conclude, sorridendo.

«Sì, lo credo anche io, tesoro. Ci verrai a trovare per le feste, vero?» chiede ancora.

Rory annuisce e continua a bere il caffè con panna.

«Che ore sono?» chiede a Luke.

Si gira verso l'orologio. «Sono le sei e quarto. Il bus dovrebbe arrivare a minuti» le dice.

«Meglio cominciare a prepararsi, anche perché se perdo questo non ne passa più nessuno» spiega brevemente Rory.

Entrambe finiscono il proprio caffè e vanno, tutti e tre, verso la stazione degli autobus.

Restano a parlottare finché il bus arriva e spinge tutti a salutarsi.

La prima ad abbracciare Rory è Lorelai, che ne approfitta per dirle quanto le voglia bene e per dire le solite cose che si dicono in queste situazioni: mi raccomando, fa' attenzione, mangia, stai attenta ai ladri, attraversa sulle strisce, chiudi a chiave, eccetera.

Luke, più ermetico e conciso nei saluti, si limita ad abbracciarla forte e a darle le immancabili pacche sulla schiena.

L'autista apre la porta e lascia Rory salire con il suo bagaglio. Prende posto nella parte centrale del bus. Dicono che le persone che si siedono lì siano degli spiriti liberi, pronti ad affrontare la solitudine e il confronto con se stessi. E sarà così.

Saluta dal finestrino i due, un po' triste, ma pronta per una nuova esperienza.

Appena il bus si mette in movimento e le figure di Lorelai e Luke si fanno sempre più lontane, tira fuori dalla borsa un taccuino, dove c'è una lista:

  • Mamma;

  • Luke;

  • Lane;

  • Paul Anka;

  • Nonni;

  • Logan;

  • Jess.

 

Quegli ultimi tre nomi sono ancora da spuntare, ma sono i più difficili. Il viaggio, per fortuna, è lungo e le permetterà di pensare quanto vuole.

Chissà Jess dov'è, pensa. E Jess è in macchina e, mentre guida, pensa a lei.

   


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Capitolo 8
*** There she goes ***


Capitolo 8 – There she goes

 

There she goes

there she goes again

Racing thru' my brain

And I just can't contain

This feelin' that remains

(The La's - There she goes)

 

New York, la “Grande Mela”, la metropoli americana per eccellenza, la ospita ancora una volta. In tutti questi anni non ha cambiato molto il suo volto; si è soltanto modernizzata ancora di più.

I taxi gialli affollano le sue intricate vie, la gente cammina sui marciapiedi, Times Square splende di luci a neon e Broadway incanta il mondo con i suoi musical.

Ricorda quando ci capitò la prima volta: era appena sedicenne e pensava che gli hot dog non fossero consentiti nella metropolitana... “Come sei provinciale!” le aveva detto. Il suo sorriso entusiasta adesso, nel risentire quella voce, si affievolisce e lascia che un senso di malinconia si impossessi di lei.

È passato del tempo, lei è cambiata, lui è cambiato, New York è cresciuta. Quel mondo caotico che le era estraneo, a quel tempo, con Jess accanto, non le pareva così spaventoso. Ma ora non è lì con lei e Rory si sente piccola, come un puntino perso in uno spazio bianco, come una goccia nell'oceano. Sola e indifesa, in mezzo a milioni di persone che camminano freneticamente accanto a lei, che parlano al cellulare la cui marca è ben conosciuta; persone che parlano in slang stretto; persone che non conosce.

Il primo impatto con questo mondo così modernizzato è come il primo giorno di scuola: le scale sembrano avere troppi scalini, pare che le pareti non trovino mai un soffitto su cui appoggiarsi, le lancette dell'orologio non vogliono decidersi a girare in tondo e a mensa è un'impresa fare nuove amicizie.

New York è di nuovo la novità per i suoi occhi azzurri.

Il foglietto che ha in mano oramai è tutto stropicciato e la scritta a matita è sul punto di sbiadirsi.

 

MacDougal Street,

Greenwich Village,

New York

 

Il cielo è leggermente grigio. Il sole si fa timido e si nasconde dietro ad una nuvola, mentre una folata di vento le scompiglia i capelli e le fa quasi sfuggire di mano il piccolo pezzo di carta.

In una frazione di secondo, si sente un tuono provenire dall'alto e rimane ancora poco prima che si metta a piovere. Proprio in quella frazione di secondo, il cellulare le squilla in tasca.

Rory attraversa la strada e si mette al riparo sotto qualche balcone un po' sporgente e cammina più veloce che può, nell'intento di orientarsi, trovare l'appartamento e rispondere al telefono che si fa sempre più insistente.

È sicura che sia sua mamma. Ci potrebbe scommettere. Quella donna ha un tempismo perfetto.

Però il cielo non è dalla sua parte: come un bambino capriccioso, si mette a piagnucolare nel momento sbagliato, proprio come se lo facesse apposta.

«Maledizione!» ripete Rory, tre o quattro volte.

Nel momento in cui sembra essersi scatenato il diluvio universale, quasi non si accorge di essere capitata nei paraggi di Washington Square. Le rivolge a malapena uno sguardo fugace, senza però ricordare che, qualche anno prima, là, su quella panchina ora fradicia e vuota, un ragazzo stava leggendo un libro. Un ragazzo... be', non uno qualunque. Leggeva, leggeva per occupare il tempo. Leggeva ed era consapevole che la ragazza su cui era sicuro di aver fatto colpo sarebbe giunta da lui, avrebbe ceduto al suo cuore. La conosceva fin troppo bene. Jess era sempre stato di poche parole, ma mai di pochi sguardi. I suoi occhi parlavano da sé, senza l'ausilio della voce e della bocca. Erano tacite parole, ma di certo non incomprensibili.

Le sembra di rivederlo, di rivivere quelle stesse emozioni che le avevano fatto torcere lo stomaco dall'ansia; le sembrava di sentire il suo cuore pronto ad esplodere solo all'idea di parlargli.

Quella panchina adesso è in balia della pioggia che sembra la stia lavando dai ricordi. E l'acqua porta via con sé anche qualche cosa da Rory.

Chissà dov'è adesso, si chiede. Con chi è... dopo la loro discussione.

La pioggia non sembra cessare, così è obbligata a rimandare le sue riflessioni.

«MacDougal Street... MacDougal Street... dove sei? Ah, ecco! MacDougal Street» dice, già infreddolita e zuppa.

All'inizio della via, per fortuna, c'è l'annuncio che aveva visto su internet.

 

Ehi, tu! Sì, sì, proprio tu che stai leggendo!

Sei uno studente?

Sei uno straniero che è appena arrivato a New York?

Stai cercando un appartamento in affitto a basso prezzo, chiunque tu sia?

Be', allora il numero 38 fa al caso tuo.

Che stai aspettando? Affrettati, i metri quadri vanno a ruba presto!

 

Be', a dirla tutta, l'annuncio che aveva visto sul computer era, diciamo... più formale. Però la sostanza era la stessa.

Ma Rory di New York e delle sue intricate vie ci capisce poco o niente.

Come diavolo sono numerati?, si tormenta.

Le sue dita oramai implorano pietà di tornare al calduccio nelle tasche della giacca, ma sono troppo indispensabili per metterle via. Almeno, non adesso.

Si sta quasi per disperare quando ecco un altro indizio. Sembra una caccia al tesoro. Dev'essere molto fantasioso o fantasiosa chi mette annunci del genere.

 

Ehi, ancora qua? Non hai ancora trovato il 38?

Be', allora ti serviranno intense lezioni di orientamento newyorchese...

Comunque, ehm, vedi quella palazzina rossa? Ecco.

Sì, proprio quella con il Ten Hundred Miles* al piano terra.

Go ahead!

 

Simpatico, il tipo. Sebbene non conosca ancora il sesso di quella persona, è quasi sicura che si tratti di un maschio, un ragazzo dal pessimo umorismo, oserebbe dire.

Dopo altri dieci minuti di cammino, giunge al numero 38 di MacDougal Street.

La lista degli inquilini palazzo è alquanto lunga... ma il simpatico personaggio che mette annunci bislacchi ed ha spirito da vendere si distingue certo dagli altri, con un nome del genere: Kowalski J.

Poco prima che schiacci, il portone si apre dall'interno, così ne approfitta ed entra.

L'aria all'interno della palazzina profuma di rose e di altri aromi fruttati che non sa riconoscere.

Il colore non è solo presente sulla facciata, ma anche dentro: le pareti sono tinte di un giallo limone splendente, con il battiscopa rosso e le scale sono fatte con un marmo colorato, così anche il pavimento lucido.

Dire di sentirsi a casa è piuttosto affrettato, ma Rory si sente già a suo agio.

Certo, non è Stars Hollow... non è New Heaven... ma si adatterà come ha sempre fatto. Sì. Lo farà.

Purtroppo, però, come tutte le cose troppo belle, c'è sempre una pecca: l'ascensore è rotto. Ciò non sarebbe un problema se la palazzina non avesse sette piani e l'appartamento che cerca non fosse al settimo piano. «Evviva!» esclama ironica.

Con lo spirito sportivo in vacanza, Rory si rassegna e comincia a salire, anche se la sua voglia è pari a zero.

Adesso questo palazzo comincia a darle sui nervi.

Al terzo piano boccheggia già. Al quarto la sua lingua tocca terra. Al quinto si deve aggrappare saldamente al corrimano. Al sesto... lasciamo stare, che è meglio. Al settimo le sembra di non avere più un corpo.

Che cos'è un muscolo? Ah, non chiedetelo ad una moribonda, farnetica.

Si ravviva un po' quel disastro che sono i suoi capelli dopo una moderata attività fisica e dopo la pioggia, inspira ed espira. Ora è pronta. Ce la puoi fare, si dice. Prepara un sorriso, calcola le parole, allunga un dito per suonare il campanello, ma l'ansia ha già preso il sopravvento. In questi casi, è meglio non pensare troppo, ma agire.

«Chi è?» chiede una voce maschile. L'intuito di una donna non sbaglia mai. Parola di Daphne di Scooby Doo.

Un sorriso malizioso le compare sul volto.

«Mi chiamo Rory Gilmore, sono qui per l'appartamento...» dice, dopo essersi schiarita la voce.

Percepisce dei passi alquanto pesanti farsi più vicini.

Non ha neanche il tempo di fare un bel respiro profondo che il misterioso J. Kowalski toglie il gancio dalla porta e si piazza dinanzi a lei.

È alto, con gli occhi nocciola, i capelli color miele un po' arruffati e lunghi fino alle orecchie. Il fisico asciutto scompare nella tuta extra large, ha le labbra sottili e porta gli occhiali.

La squadra per un attimo con uno strano ghigno sul viso per poi scomparire nell'appartamento.

«Posso?» si affretta a chiedere Rory.

«Mm-mm» asserisce lui. Non è di molte parole, di persona.

Rory richiude la porta alle sue spalle e si vede costretta ad usare l'olfatto e l'udito per raggiungere la cucina, la stanza in cui dovrebbe trovarsi adesso lui, poiché si sentono rumori di cucchiai che sbattono contro la ciotola dei cereali.

L'appartamento è a dir poco enorme: conterà almeno dieci stanze, di cui una è un'ampia mansarda; la cucina ha pareti in pietra e legno, dallo stile molto montanaro. C'è anche un caminetto e un arco in mattoni sul rustico.

«Wow» le sfugge via.

«Dicono tutti così quando entrano» bofonchia l'altro, con la bocca piena di quella che sembra una pappa di avena.

Però, che coraggio, pensa Rory. Un proprietario che accoglie una cliente in tuta mentre sta facendo colazione e che nemmeno si presenta deve avere una bella faccia tosta.

Già scocciata da questa vergognosa presentazione, cerca di arrivare subito al dunque: «Come funziona per l'appartamento?»

Kowalski si alza trascinando i piedi – e ciò le dà sui nervi – e si dirige verso una bacheca su cui sono appese delle chiavi.

«Hai la 8 H. Al corridoio centrale subito a sinistra. Fa' attenzione, la tipa del 7 B ha qualche rotella fuori posto» la liquida, tornando alla sua colazione.

Lo sguardo di Rory è tra il deluso e l'indignato.

«Tutto qui? Le presentazioni per te sono un optional?» gli domanda con lo stesso suo tono.

Il cucchiaio cade rumorosamente sul bordo di un piatto e Kowalski J. Le rivolge uno sguardo scocciato.

«Piacere, Kowalski» le dice, laconico.

«Mi pare che sul campanello ci fosse anche una J, se non sbaglio. È decorativa o sta per... che ne so, Josh? Jeffery? Jim?» ribatte lei, adagiando le mani sui fianchi per apparire più imponente.

Kowalski finge di essere divertito dal suo humour da provinciale.

«Sta per Joe, Joe Kowalski. Contenta? Ora, se non ti dispiace, finirei di mangiare» cerca di tagliare corto lui.

Rory sorride, soddisfatta.

«Sprizzi simpatia da tutti i pori» dice, ironica.

Joe fa una smorfia e mastica qualche fiocco d'avena con più vigore.

 

L'interno 8 H è accogliente, a differenza del proprietario.

C'è una grande finestra che volge su Washington Square, un letto a una piazza e mezza già rifatto, un armadio capiente, una scrivania e qualche scaffale per i libri. Non ci sono né tende e né vestiti.

A guardare meglio c'è anche un minuscolo bagno, con lavandino, gabinetto, box doccia e bidet.

Rory posa le valigie e apre la finestra per far saturare ancora di più la stanza di aria newyorchese, versione bagnata dalla pioggia, però. Adora quell'odore di umido che la terra e l'asfalto emanano.

E vuole che la sua stanza sia personalizzata.

Per ora questo spazio le piace. Ora che ci fa caso, nota che è già presente un libro nello scaffale: è Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Quel nome le ricorda qualcuno. Ancora una volta.

Lo apre e scorge un foglietto inserito tra le pagine a mo' di segna libro:

Benvenuto nell'appartamento 8 sezione Hemingway Ernest (H).

Hai mai letto Il vecchio e il mare? Se no, dovresti. Merita.

Non ti piace Hemingway? Allora cambia stanza, o straniero!

Buona continuazione.

P.S. La scelta inquilino-autore è puramente casuale.

 

A quel Joe piace tappezzare ogni angolo di foglietti, a quanto pare. Chissà se troverà qualche altro post-it in un altro posto della stanza...

È da molto che non legge Hemingway. Forse proprio da quando aveva sedici anni...

“E io prometto che darò un'altra possibilità ad Hemingway” aveva detto, rossa in viso.

“Ernest ti avrebbe dedicato pagine straordinarie” aveva continuato lui.

La malinconia prende il sopravvento. E Rory non vuole fermare i ricordi, perché, dopotutto, le piace ricordare quei tempi. Le piace ricordare loro due insieme. 

NDA: Hola amigos! Corto ottavo capitolo. Vi piace?
*: Ho dovuto cambiare il nome del ristorante poiché esiste davvero. 
Bye! 

Kim.

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Capitolo 9
*** Spitting Fire ***


Capitolo 9 – Spitting Fire

 

But I spit fire on lovers and liars

And you, you don't believe me

And I, I find it easy

Easy

(The Boxer Rebellion – Spitting Fire)

 

 

Joe Kowalski. Ventotto anni compiuti. Nato nel Vermont, ma cresciuto da sempre a New York.

Non è sempre stato scontroso, anzi. Il piccolo Joseph aveva sempre il sorriso stampato sul suo bel faccino, tant'è che le sue gote erano sempre rosse, in contrasto con i suoi occhioni un po' verdi e un po' gialli.

Fin da piccolo aveva una grande immaginazione. Molte volte le maestre erano costrette a ritirargli l'album da disegno su cui disegnava durante ogni lezione. Aveva un grande talento, il piccolo Joseph.

Draghi, occhi, pianeti, stelle e mostri prendevano vita su quei fogli bianchi. Si animavano in modo disordinato, ma talmente realistico da mettere i brividi.

Una volta, all'età di otto anni, il giorno di san Valentino rappresentò una mano che stritolava un cuore, e il sangue che colava attorno. Per lui era arte, per gli altri pazzia. La signora Colby si vide costretta a chiamare i genitori per chiedere loro spiegazioni, ma questi si mostrano esterrefatti quanto lei.

In seguito, il piccolo Joe dichiarò di aver eseguito quel disegno in seguito a una lite tra mamma e papà proprio la mattina del 14 febbraio.

«Signor Kowalski, suo figlio ha delle gravi lacune in tutte le materie, eccetto che in arte. La prego, faccia qualcosa. Joseph ha del talento, ma non andrà da nessuna parte se non conseguirà la licenza media» aveva detto tutta spaventata la signorina Dayls a suo padre. Joe aveva appena compiuto dodici anni e non gli importava di studiare, ma disegnava e basta.

Quella sera stessa, Andrej Kowalski bruciò davanti agli occhi di Joe i suoi album da disegno. Tutti. Non lasciò nemmeno un pezzo di carta intatto.

Joe pianse in silenzio, quasi senza rendersene conto.

 

Dream is all you ever do

Sorround yourself with walls

So no one can get through

(The Boxer Rebellion - Dream)

 

Suo padre gli urlò contro che doveva dedicarsi di più allo studio, che era la vergogna di quella famiglia, che disegnare era da poveracci, che doveva crescere.

Joe aveva gli occhi fissi sul focolare e le parole del padre non gli giunsero minimamente. La carta si contorceva su se stessa, in agonia. Sembrava urlare dal dolore... chiedergli aiuto. Poi il lamento si affievoliva man mano, il bianco scompariva. Il rumore del fuoco diminuiva anche, fino a giungere al silenzio assoluto. E tutto ciò che rimaneva era cenere grigia.

Da quel giorno, Joe Kowalski non fu più lo stesso.

I suoi occhi non avevano più quella luce di una volta, e avevano perso la loro particolarità cromatica: adesso erano solamente nocciola, normali. Come quelli di altre migliaia di persone.

Le sue guance erano pallide. Joe non rideva più. Non era più felice.

Si sentiva nudo, più vulnerabile. Il disegno era una specie di scudo per proteggersi dalla realtà, dalla vita di tutti i giorni. Joseph si era sempre sentito diverso dagli altri. Lui si lasciava cullare dalla fantasia, le immagini che gli comparivano in testa venivano subito rese vere sul suo album.

Quando era triste, anziché piangere, Joe disegnava. Tracciava quasi sempre una linea azzurra a metà foglio, che poi diveniva un ramo, da cui partivano altri rametti, fino ad arrivare alle foglie, anche esse azzurre. E la tristezza svaniva. Il disegno era la sua terapia. Tramite esso, infatti trasformava una possibile lacrima in qualcosa di diverso, di più bello.

Ma adesso, Joe sembrava essere incapace di controllare le sue emozioni. Per poco non fu espulso.

Aveva sedici anni appena compiuti, e a scuola era etichettato come “quello strano”. Billy Bishop, il bulletto della squadra di football, l'aveva preso di mira fin dalla prima superiore. Quel giorno, l'8 febbraio 1998, Joseph Kowalski se ne stava seduto in un angolo ad ascoltare Karma Police dei Radiohead per la centesima volta.

 

And for a minute there, I lost myself,

I lost myself

Phew, for a minute there, I lost myself,

I lost myself
 

 

«Ehi, finocchio! Che cazzo fai con le cuffie? Eh? Ah già, dimenticavo» si girò verso il suo branco, «quella troia di tua madre si è scopata il preside! Torna alla tua cazzo di musica, tanto ti promuovono comunque» gli urlò contro.

Quel cretino di Billy Bishop non aveva tutti i torti su ciò che aveva detto, ma ciò non toglie che fu un cafone. Donna, la madre di Joe, nell'ottobre del 1997 era andata a letto con il preside del liceo.

Poco tempo prima il professore di matematica, il signor Graver, l'aveva convocata per parlare della “situazione disastrosa” di suo figlio. Joe si ricordava che quella sera Donna tornò a casa a pezzi. Suo padre lo picchiò. Sua madre non si sporcava mai le mani e non sprecava mai la voce, con suo figlio.

Joseph non pianse, ma rimase sveglio tutta la notte e, la mattina seguente, tagliò scuola.

Finse di recarsi al liceo per due settimane buone, approfittando dell'assenza del padre e dell'incapacità della madre di dirgli qualcosa. Fu così che, il 20 ottobre 1997, il preside McGrannitt convocò entrambi i genitori. Andrej non si presentò a causa del lavoro, così Donna si recò da sola, poiché, essendo una casalinga svogliata, non aveva niente di meglio da fare.

Sua madre era molto bella: aveva i capelli lunghi, ondulati e color miele; gli occhi verdi; un viso grazioso, piccolo e allungato; il seno prosperoso e un sorriso che toglieva il fiato.

Il suo aspetto ingannava: Donna non era così bella come sembrava. Era una persona orribile. Opportunista, ipocrita, incapace di qualsiasi cosa. Ma nessuno voleva conoscerla davvero, perché si accontentavano della sua scorza, non del suo succo.

Nessuno era mai entrato in confidenza con lei, nemmeno suo padre. Donna amava una cosa sola: i soldi. E Andrej era pieno di soldi. Ecco perché aveva deciso di sposarlo.

Joe era convinto, però, che suo padre fosse almeno un po' invaghito di sua madre. Ne era sicuro.

Il modo in cui le parlava, il modo con cui la guardava e con cui la baciava prima di andare via era semplicemente strano. Strano per un uomo come Andrej. Un uomo che non degna mai nessuno di un sorriso, che picchia il figlio perché odia riconoscere il fatto di essere un pessimo padre, un uomo che pensa solo al lavoro e che forse non ha nemmeno un cuore.

Il vero e proprio colloquio sarà durato nemmeno dieci minuti, pensò Joe a distanza di anni.

Quel giorno Joe era uscito prima da scuola, cacciato dal signor Hall per essersi rifiutato di partecipare alla lezione di chimica, rimanendo in bagno per un'ora.

Non aveva ancora incontrato sua madre, quella mattina.

Erano le undici, quando Joe arrivò a casa. Non trovò nessuno in casa. Sul tavolo in cucina c'era un post-it, e la calligrafia era quella di sua madre:

 

Sono dal preside McGrannitt.

Mi ha convocata... si tratta di te.

Joseph sogghignò. Quel vecchio barbuto finalmente aveva chiamato a casa. “Ci ha messo un po', lo stronzo”, pensò.

Accartocciò il foglietto adesivo e lo gettò per terra. Poi si mise a sedere sul divano, in attesa che sua madre tornasse per il pranzo. Sembrava non gli importasse nulla di ciò che Donna gli aveva scritto.

Non riusciva a percepire la gravità della questione... o, più semplicemente, non vedeva l'ora di uscire da quella scuola.

Si fecero quasi le dodici, e di sua madre non c'era ancora traccia. In televisione non c'era niente, come sempre. Solo spot pubblicitari di cibi dietetici e di macchinari per dimagrire comodamente a casa.

«Ti sei stufato di ricorrere a pillole dimagranti che non funzionano? Allora sbrigati, chiama per ricevere lo straordinario macchinario che ti farà perdere chili in modo sano! Avanti, cosa aspetti? Chiama il...» gracchiava il televisore.

«Mi sono stufato di tutta questa merda, ecco di cosa sono stufo» ringhiò Joe. Spense la TV.

Decise di recarsi a scuola: sua madre sembrava svanita nel nulla.

 

Arrivò davanti al liceo durante la pausa pranzo. Il cortile, stranamente, era vuoto. Il cancello era chiuso, ma non costituì un ostacolo per Joseph. Con abilità lo scavalcò ed entrò dall'ingresso principale senza problemi.

Diede un'occhiata alle classi, ma erano tutte vuote. Doveva essere successo qualcosa...

Camminando nei corridoi, man mano che si avvicinava all'ufficio del preside, sentì degli schiamazzi e delle risate. Si avvicinò.

Tutto il liceo era presso contro la porta dell'ufficio, con fare piuttosto incuriosito e divertito. Quando lo notarono, le risa si fecero più acute. Sembrava che fosse giunto lo zimbello della situazione.

Joe non riusciva a capire.

Billy Bishop fu l'unico ad avvicinarsi a lui.

«Ehi, finocchio! Arrivi solo adesso? Peccato... ti sei perso la parte più bella» nei suoi occhi grigi c'era cattiveria. Quelli del suo gruppo risero più forte.

«La parte più bella...?» ripeté con un filo di voce, come se istigasse se stesso a capire.

Edward Wood gli fece il verso.

«Quella in cui si è sbottonata la camicia, è ovvio!» disse Ryan Young.

Ora cominciava a capire.

Si fece strada tra la folla e aprì la porta in un colpo solo. La scena che gli si presentò era a dir poco raccapricciante.

 

Joe avrebbe voluto scomparire. Diventare piccolo piccolo. Negare che quella era davvero sua madre.

Gli occhioni di Donna erano sbarrati verso di lui. Le mani si portarono veloci la camicia al seno, per coprirlo.

Il preside McGranitt non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Abbassò lo sguardo e si mise una mano sugli occhi.

Le risa dei compagni diventarono impercettibili per Joseph. Nella sua testa regnava il silenzio.

Si sentiva una bomba pronta ad esplodere. Quel silenzio era l'apparente quiete prima della tempesta.

Vedere sua madre e il preside della sua scuola uno sopra l'altro, che erano stati talmente presi dall'atto del coito da non accorgersi che tutto l'istituto gli stava spiando, gli suscitò dentro una rabbia tale da fargli male. Joe ribolliva di collera.

«Joe...» sussurrò Donna, quasi come per fargli pietà.

Ma a Joseph non servivano ulteriori spiegazioni. Fuggì dall'ufficio senza guardare nessuno in faccia. L'unica cosa visibile era il pavimento, che sembrava aver preso vita.

Corse via dalla scuola, mentre l'immagine di quel momento appena passato gli rimaneva impressa in testa.

Sentì l'echeggiare dei tacchi a spillo di sua madre. Poi udì la sua voce.

«Joseph! Fermati! Posso spiegarti» gli urlò contro.

Joe non le diede ascolto. Non l'avrebbe più fatto.

«Joseph! Per favore... cerca di capire! L'ho fatto per te! Per aiutarti» la sua voce si fece stridula.

Si arrestò di colpo, accecato dalla rabbia.

Sentiva che stava per esplodere.

«Tu cosa?» bisbigliò.

Sua madre lo raggiunse. «L'ho fatto per aiutarti» ribadì, la camicia sbottonata, i capelli arruffati.

«Per aiutarmi, dici? Sul serio?» il suo tono troppo basso non prometteva nulla di buono.

Donna corrucciò il viso, nel tentativo di suscitare nel figlio pietà e comprensione.

«Oh, scusami tanto, allora. Che maleducato... l'hai fatto per aiutarmi... ma certo!» continuò, ormai senza più il controllo dei suoi sentimenti e dei suoi gesti. «Allora spiegami un po': secondo te aiuti tuo figlio se scopi con il preside? E per giunta davanti a tutta la scuola! Eh? Di solito funziona questa tecnica, mamma? Funziona fare la puttana per ottenere qualcosa?» le latrò contro.

«Non ti permettere di parlarmi così! Sono pur sempre tua madre! Hai capito bene, ragazzino?» gli urlò, l'indice destro puntato verso di lui.

«Rispondimi, avanti! Secondo te hai risolto qualcosa comportandoti da puttana?» ora il suo tono era decisamente alto. Alcuni passanti si girarono.

Joseph quasi non vide la mano di sua madre sollevarsi per colpirlo sulla guancia.

Era la prima volta che riceveva uno schiaffo da lei.

La sua testa si volse per attutire il colpo.

«Se non lo dirai tu a papà, lo farò io» le disse sottovoce. La fissò in quegli occhi verdi come gli smeraldi con un'intensità tale da metterle paura.

A Donna tremavano le pupille mentre guardava il figlio allontanarsi con le mani in tasca.

 

Andrej tornò a casa alle otto di sera. Aprì la porta con il suo solito broncio, ma, non appena vide la moglie, il suo viso si illuminò.

Invece, Donna, non appena lo guardò negli occhi, si sentì pervasa da un sentimento di paura, causato dalle parole del figlio quella mattina.

«Tesoro, di' a Joe che la cena è in tavola» gli disse, dopo che si salutarono con il solito bacio.

Andrej obbedì.

 

MacDougal Street,

Greenwich Village,

New York.

Per info: 212-616-9923

 

«Joseph, è pronta la cena... Joseph? Mi senti?»

 

This is what you'll get

This is what you'll get

This is what you'll get

When you mess with us

 

Tutto ciò che Joe sentiva era Karma Police dei Radiohead.

Andrej gli strappò dalle orecchie le cuffie e gli ripeté: «Joseph, è pronta la cena. Avanti, sbrigati. Sto morendo di fame»

«Arrivo» gli rispose. «Solo un minuto...»

Afferrò il telefono e compose il numero: 212-616-9923.

«Risponde la segreteria telefonica di Greg Johnson. Spiacente, ma non sono in casa. Lasciate un messaggio dopo il bip e io vi richiamerò non appena mi sarà possibile. Grazie»

«Uhm... buonasera, sono Joe, Joe Kowalski. Chiamavo per l'appartamento... ho visto l'annuncio su Craigslist. Appena senti il messaggio richiamami. Grazie» chiuse la telefonata.

 

La cena era più silenziosa del solito. A Donna tremavano le mani, e le cadde la forchetta nel piatto per minimo dieci volte. Joe non toccò cibo. Andrej, invece, divorò il suo cibo in un attimo.

«Come mai non mangi nulla, Joseph?» gli chiese il padre.

«Non mi va» rispose monocorde l'altro.

«È successo qualcosa?»

Joe esitò prima di sganciare. Sua madre ignorava il suo sguardo. Forse era sicura che non avesse il coraggio di farlo?

«Perché non lo chiedi a mamma cos'è successo oggi? Sono sicuro che ti racconterebbe tutto per filo e per segno» disse. Boom.

Donna sollevò lo sguardo, già impaurita.

Andrej si girò verso di lei, in attesa di una spiegazione. Ma niente, Donna sembrava non voler rivelare niente.

«Donna? Vuoi proseguire tu?»

Nessuna risposta.

Joe sogghignò. «Peccato che non glielo voglia raccontare tu, mammina. È davvero un peccato».

«Qualcuno mi può dire che diavolo succede?» sbraitò Andrej.

«Certo. Il colloquio con il preside è stato a dir poco interessante. Pieno di sorprese» continuò Joe. Ogni tanto faceva qualche pausa, per permettere alla madre di intervenire; ma niente, questa pareva avere la bocca cucita.

«Mamma ha tentato di salvarmi dall'espulsione facendo sesso con il preside nel suo ufficio. Davanti a tutta la scuola, per giunta» finì.

Andrej lasciò cadere il cucchiaio dentro al piatto. L'impugnatura d'argento affogò nella minestra.

«BASTA COSÌ!» urlò a quel punto Donna, esasperata.

«Sta dicendo la verità, Donna?» le chiese Andrej, la voce fioca.

La moglie annuì a testa bassa.

«Perché? Perché mi hai fatto questo?» continuò Andrej, gli occhi lucidi.

«Stavo cercando di aiutare nostro figlio... devi capirmi, Andrej! Io ti amo! Non avrei mai fatto una cosa del genere di mia spontanea volontà» gli spiegò Donna, i nervi tesi.

Andrej scosse la testa, come per rimuovere dalla propria memoria ciò che la moglie gli aveva appena rivelato.

«Ti prego! Io... l'ho fatto per Joe. Per la nostra famiglia!» continuò Donna, le lacrime agli occhi.

«Credo... credo che per stasera sia abbastanza» disse Andrej, la voce tremante.

Donna gli si avvicinò: «Per favore, Andrej. Lo sai quanto ti amo».

«Non toccarmi» la avvisò lui.

«L'avresti fatto anche tu, al mio posto!» cercò di convincerlo, fronte contro fronte.

Andrej le abbassò le mani con una lentezza esasperante, quasi come se non volesse che la sua rabbia le facesse del male. Quasi come se volesse proteggerla, nonostante il tradimento.

Joe ripensò alle sue considerazioni su suo padre: sì, ora ne era convinto. Suo padre amava davvero sua madre. E anche tanto.

«Ci sono stati altri episodi, Donna?» le domandò poi, con lo stesso tono di uno che pone la domanda decisiva. «Se mi ami davvero, dimmi la verità» continuò.

Donna deglutì. Una lacrima le rigò il suo bel viso.

«Sì» rispose semplicemente. Quella parola, in apparenza così insignificante, si trasformò in un coltello a doppia lama che trafisse il cuore di Andrej da parte a parte.

«Non abbiamo nient'altro da dirci, allora. È meglio che tu vada» concluse.

Le pupille di Donna tremarono come quella mattina.

Andrej si ritirò in salotto senza aggiungere una parola.

Donna rimase immobile accanto al tavolo imbandito. Strinse i pugni con una tale forza da farsi male lei stessa. Le sue unghie curate le si conficcarono nella carne.

«Hai visto cos'hai fatto?» si rivolse a Joe, con un filo di voce.

Non gli lasciò il tempo di ribattere che si recò in camera da letto per fare le valigie.

Il telefono squillò in quell'istante.

«Pronto?» rispose Joe.

«Ciao, sono Greg Johnson. Ho sentito il tuo messaggio in segreteria poco fa» rispose una voce calda.

«Buonasera! Ehm... sì»

«Quando ti vuoi trasferire? Sei stato il primo a chiamare, quindi ti consiglio di approfittarne!»

Joe esitò un attimo. In casa regnava il silenzio assoluto. La tavola era ancora apparecchiata. Sembrava che non fosse accaduto niente.

«Domani mattina potrei venire per dargli un'occhiata, se per lei va bene»

«Oh, ti prego, dammi del tu! Va benissimo, ehm... Joe, giusto?»

«Sì. A domani» concluse Joe.

Dopo un'ora, Donna uscì dalla camera con due grosse valigie per mano. Aveva gli occhi rossi e gonfi.

«Ciao, Joseph» lo salutò.

Il figlio rispose al saluto con un cenno del capo, senza sprecare fiato.

Quella sera fu l'ultima volta che vide sua madre.

 

Billy Bishop si faceva chiamare anche BB King, come il cantante. Però senza conoscerlo, ovvio.

Quel ragazzino parlava e insultava troppo i suoi coetanei. E ce l'aveva con Joseph Kowalski in particolare. Quel giorno, però, l'8 febbraio 1998, Joseph non resse più i suoi insulti.

Si levò le cuffie con un gesto brusco, il brusio lontano di Karma Police era ben udibile, tuttavia.

«Che cazzo hai detto, Bishop?» gli disse, ormai faccia a faccia.

Billy rise. «Ho detto che sei un cazzo di finocchio e che quella puttana di tua madre si è scopata il preside, Kowalski. Te lo ricordi bene quel giorno, non è così?» ribatté lui.

Joe smise di pensare. La sua mano si chiuse a pugno e in una frazione di secondo si scagliò contro il naso di Billy. Percepì le ossa infrangersi. Quando riaprì la mano, del sangue scuro si era accumulato sulle sue nocche chiare.

Quel gesto gli costò la sospensione: Bishop finì in infermeria con il naso rotto.

 

Andrej era esasperato a causa della sospensione. Però, da quando Donna aveva lasciato quell'appartamento, Andrej non aveva più rimproverato come prima il figlio.

Tornava a casa sempre verso le nove di sera, e ormai la batteria di pentole nuova di zecca non veniva più toccata da un bel po' di mesi.

Il menu era molto ristretto, oramai: i piatti forti erano pizza o spaghetti di soia cinesi.

«Sospeso, eh? Bell'affare...» esordì il padre, la bocca piena di ravioli al vapore.

Joseph non rispose.

«Sai che ti dico? Fai quello che ti pare, Joe. È tua la vita. Non so che altro dirti» continuò.

«Qualche tempo fa sono andato a guardare un appartamento in Greenwich Village» gli rivelò, la gola secca.

«Bene» ribatté Andrej, le palpebre pesanti.

Il viso di suo padre era invecchiato in pochi mesi. Sembrava consumato dopo il tradimento. Era dimagrito di qualche chilo, ma non era quello che preoccupava Joseph. Andrej era mutato completamente anche di carattere. Ora sembrava non avesse più nessuna voce in capitolo in nessun campo. Non parlava più con nessuno. Si era chiuso a riccio.

Joe desiderava tanto fuggire da quel mondo, ma, nello stesso tempo, aveva paura di abbandonare suo padre a se stesso. Cosa gli sarebbe accaduto senza di lui?

«Lo so a cosa stai pensando, Joseph. E sai che ti dico? Va'. Trasferisciti. Io sto bene così» lo precedette Andrej.

«Ma...»

«Vai. Tanto con la scuola è un disastro, non sarai ammesso alla classe successiva. Sei abbastanza grande da pensare a te stesso. Quindi... va', non ti fare scrupoli. Segui il tuo istinto» continuò, gli occhi di ghiaccio puntati su quelli del figlio.

Joseph annuì... e gli diede ascolto.

La mattina seguente partì per Greenwich Village. Suo padre lo accompagnò alla stazione degli autobus.

Joe non dimenticherà mai il viso di suo padre, la mano che si alza per dirgli addio. Un addio muto, ma che racchiude in sé mille parole.

L'autobus partì. Karma Police gli risuonava ancora in testa:

 

Karma Police

I've given all I can

It's not enough

I've given all I can

But we're still on the payroll

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Capitolo 10
*** Afraid ***


Capitolo 10 – Afraid

 

When I wake up I'm afraid

Somebody else might take my place

(The Neighbourhood, Afraid)

 

La sveglia suona come sempre alle sette e mezza. Oggi, però, Jess è già sveglio da un pezzo.

Gli occhi sono fissi sul soffitto bianco, con qualche crepa qua e là. La muffa si è annidata nell'angolo destro, colpa di un tubo del bagno di quello di sopra. Lui e Charlie erano già andati a lamentarsi e ad incitare il vicino ad aggiustare quel maledetto tubo, ma senza successo. Così, la camera da letto era diventata ancora più umida di prima e, in più, anche il suo aspetto ne aveva risentito per colpa di quella chiazza verdastra.

Il materasso è da cambiare, invece. Di solito, quella che si lamentava di più era Charlie. Era lei che notava le cose che non andavano, era lei che riusciva a trovare il pelo nell'uovo. Charlie era sempre stata estremamente puntigliosa. Non le si poteva nascondere niente.

Jess tornava a casa con il muso lungo? Charlie riusciva a capire quello che era accaduto solamente guardandolo per cinque minuti. Non di più. A Charlie bastavano cinque minuti per risolvere qualsiasi problema. Senza alcun giro di parole, in cinque minuti di orologio aveva già portato a termine ogni cosa, anche la più ardua.

È soprattutto per questo “piccolo” particolare che Jess è preoccupato di svegliarsi, o meglio, di riconoscere di essere sveglio. Perché è passata soltanto una settimana da quando ha rivisto Rory. È passata una settimana, eppure quella stretta allo stomaco permane ancora. In effetti è difficile dimenticare quel bacio al ponte. Per lui non era stata una cosa da niente. Anzi. Quel bacio era stata una scossa elettrica, le sensazioni di benessere e di malessere che gli aveva donato si erano irradiate a tutto il corpo, fondendosi l'una con l'altra. Così erano diventate indelebili, erano diventate un marchio sul suo cuore e nella sua memoria.

Ricorda che in quel momento il suo cuore aveva smesso di battere. Il cervello aveva smesso di pensare. Era come se fosse stato immerso in una bolla, in cui aveva visto tutto passargli davanti lentamente, come al rallentatore.

E adesso, una mattina fredda di inizio dicembre, non sa davvero come fare a nascondere ciò a Charlie.

 

 

«Ehi, da quanto sei sveglio?»

La voce alle sue spalle lo fa girare di scatto.

«Da non molto» risponde, rapidamente.

Charlie si fa più vicina.

Jess deglutisce.

«Da non molto, eh? Cioè da quante ore?» chiede ancora, la mano sulla schiena di Jess.

Come se avesse la pelle incandescente e sensibile al tatto, Jess si ritrae. Charlie gli lancia uno sguardo interrogativo.

«Da non molto, Charlie. Da non molto» ribadisce, monocorde.

«Amore, ti conosco troppo bene. So quando menti e quando dici la verità... quindi, non provare a fregarmi» replica lei, con tono dolce.

Queste ultime parole gli risuonano in testa, lo tormentano. Ti conosco troppo bene. So quando menti e quando dici la verità. Non provare a fregarmi. Deglutisce ancora.

Charlie aspetta un po', paziente. Dopo circa un minuto cerca la sua guancia e gli lascia un bacio sullo zigomo. Jess rimane immobile.

«Quando avrai voglia di parlarmene, sappi che sono qui» gli sussurra in un orecchio.

Le cose stanno peggiorando man mano. In pratica, quando una donna ti dice così, è sottinteso che sei costretto a vuotare il sacco. Si chiede perché Charlie debba essere così maledettamente curiosa. Perché non si può fare gli affari suoi, per una volta? Perché non lo lascia in pace anziché martoriarlo ancora di più? Ma a queste domande segue soltanto un'unica risposta: perché lo ama.

La mano che tiene il cucchiaino colmo di caffè macinato si mette a tremare, e piccoli granelli di caffè sporcano il bordo della caffettiera. Perché non riesce ad amarla tanto quanto lo ama lei?

Il cucchiaino cade per terra. Segue un breve rumore. È sicuro che gli stiano tremando gli occhi dal panico.

 

Charlie, il cui nome completo è Charlotte Nora Keffield, è nata il venti giugno del 1981 a Los Angeles. I suoi genitori, Ben Keffield e Nora Robinson, si sono separati quando Charlie aveva appena quattro anni. Avevano ribadito più volte di essersi lasciati in buoni rapporti, ma nessuno in famiglia ci aveva davvero creduto. Ben e Nora riuscivano a non litigare più solo perché erano lontani l'uno dall'altra, e quindi non erano rimasti per niente in buoni rapporti. Lui, tipografo, non sopportava che la moglie, una modella di giorno e una barista di notte, avesse orari così tanto diversi dai suoi. Questo fatto non era mai stato un mistero in famiglia, ma i litigi si fecero più frequenti quando Ben scoprì tutta la verità. Nora era stata una studentessa d'arte eccellente al liceo, ma non aveva mai portato a termine gli studi universitari. Così, poco prima che Ben le chiedesse di sposarlo, decise di trovarsi un lavoro, un qualunque lavoro, con cui però si poteva trarre un sufficiente guadagno.

Nel maggio del 1975, la giovane Nora incontrò per caso per le vie di Los Angeles un suo vecchio compagno di liceo, il quale si era arricchito con le sue mostre di arte moderna e fotografia tanto da riuscire a fondare una propria scuola d'arte, la “Tyler Hew's Art School”. I due si ripromisero di rimanere in contatto, e così fu: uscirono svariate volte assieme, parteciparono a mostre d'arte contemplando le opere una ad una fumandosi una sigaretta. Tra i due non c'era mai stata attrazione fisica, ma in quel periodo, a questo punto nel giugno del '75, Nora fu sicura di provare attrazione intellettuale nei riguardi di Tyler. Non appena pensava ad un famoso autore, le veniva sempre in mente Tyler, e ogni volta si diceva: “questo potrebbe piacergli”, “lo capirebbe solo lui”, “non vedo l'ora di andare ad una mostra insieme a lui”, e altri pensieri così.

Passarono tre mesi, e finalmente arrivò una proposta di lavoro da parte del suo amico Ty.

«Sai, dovremmo lavorare assieme» le aveva detto, tutto ad un tratto, senza un preciso punto di inizio.

«Lo penso anche io!» aveva risposto lei, già entusiasta.

Tyler le afferrò la mano e la avvicinò a sé. Stranamente a Nora batteva il cuore all'impazzata.

«Posso? Giuro che è solo a scopo di lavoro» le aveva detto.

«F-fare che?» gli aveva chiesto sottovoce. Non seguì alcuna risposta verbale.

Tyler le buttò i capelli neri dietro le spalle e le osservò il lungo collo. Poi ne seguì la forma con l'indice e il medio della mano destra. A Nora erano venuti i brividi.

Scese ed arrivò al décolleté. Sembrò studiarne la struttura. Si soffermò con le dita sulle clavicole un po' sporgenti.

Il suo sguardo si abbassò fino a giungere al punto vita e ai fianchi. A quel punto si servì di entrambe le mani per seguire le curve sinuose del corpo di Nora.

Lei si sentiva la pelle in fiamme, la sentiva bruciare sotto lo sguardo insistente di Tyler, che con quelle sue mani affusolate le aveva fatto tremare le gambe.

Aveva cercato di inseguire il suo sguardo, ma non aveva retto molto. Non riuscì a respirare normalmente, ma solo a tratti.

Quando Tyler ebbe finito, tornò a fissarla negli occhi.

«Che ne dici di posare per me?»

Nora arrossì violentemente.

 

Fu così che Nora iniziò a divenire la “musa ispiratrice” - così la chiamava – del suo caro e vecchio amico Tyler: era il soggetto in ogni sua fotografia, e i suoi occhi verdi splendevano in ogni suo dipinto. A volte Tyler la studiava ancora come quella notte e ciò la metteva sempre in imbarazzo, tanto da non riuscire più a guardarlo negli occhi. Dopo l'ennesima mostra di successo, Tyler le chiese di posare nuda.

«N-nuda?»

Tyler annuì.

«Cioè proprio... nuda nuda? Oppure in mutande e reggiseno?»

«Nuda, senza veli, come mamma t'ha fatta o come preferisci. Basta che tu abbia addosso solo la tua pelle»

Nora arrossì bruscamente.

«Senti, Nora... sai quanto diventeremmo famosi se tu posassi nuda per me? Sai quante persone si appassionerebbero al nudo artistico?»

«M-ma... ma sarei nuda!»

Tyler sbuffò. «E allora? Non mi dire che ti vergogni a startene nuda con un corpo così»

Le guance di Nora erano letteralmente in fiamme.

«Non ti sto obbligando a fare niente, Nora. Ma se mi rispondessi di no non voglio che sia solo per la tua pudicizia da ragazzina.»

«Un attimo: che vuoi dire con questo?»

Tyler rise, come per farle intendere che la risposta era più che ovvia. «Voglio dire che... insomma, ormai sei una donna e conosci il tuo corpo a memoria. Avrai imparato ad accettarlo nel corso degli anni... o mi sbaglio?»

Nora sollevò le spalle. «Be'...»

«Allora perché non vuoi condividere le tue nudità con il mondo? Perché non vuoi mostrare al mondo quanto sei bella

Nora ci ragionò su in fretta. Pensò che sarebbe stata una buona occasione per racimolare un po' si soldi per il matrimonio. «Accetto.»

 

Ben presto divenne famosa anche all'interno della scuola di Tyler, finché un giorno lui stesso le chiese di posare nuda per la sua classe. Col tempo aveva imparato ad accettarsi così com'era, sia nei pregi che nei difetti. Aveva imparato a stare immobile e a soffermarsi su un punto fermo. Aveva imparato a non far trasparire i suoi sentimenti con le parole, ma solo con il volto e la posizione del corpo.

Ovviamente Ben era all'oscuro di tutto questo, e pensava che la futura moglie lavorasse in un famoso pub del centro, in cui, però, Nora iniziò a lavorarci a poche settimane dal matrimonio. Di notte.

 

Nora non temeva che il marito scoprisse la verità, non temeva di ritrovarsi costretta a confessargli tutto: Ben non si interessava di arte e mostre. Eppure, una mattina di ottobre, dopo cinque anni dal matrimonio, Ben trovò un dépliant della scuola di Tyler.

«Ehi, zuccherino» esordì, mentre si metteva le scarpe.

Nora si stava lavando i denti, quindi non si voltò verso il marito.

«Guarda... guarda un po' cos'ho trovato!» esclamò, felice. Nora a quel punto si girò. Sputò letteralmente tutto ciò che aveva in bocca. La schiuma originata dal dentifricio le impiastrò la bocca e le colò lungo la mano che reggeva ancora lo spazzolino. Forse non si rese conto che aveva gli occhi sbarrati.

«So che a te piacciono le mostre... che ne dici di andarci stasera?»

Nora si sciacquò la bocca, cercando anche di schiarirsi le idee, che le occupavano in modo disordinato la testa.

«Amore» cominciò, «ma oggi è il cinque ottobre... è il nostro anniversario. Il nostro quinto anniversario. Ti ricordi?»

«Ma certo che me ne ricordo!» mentì Ben. «Ragion per cui stasera si deve festeggiare.»

«Mi piacerebbe... ma... io lavoro stasera... e poi come facciamo con Charlie?» cercò di divagare lei.

Ben le si avvicinò e le cinse la schiena con le braccia distese.

«Ramona è abbastanza grande da badare anche alla piccola, amore. E poi è da tanto che non passiamo del tempo da soli.» proseguì a bassa voce.

Ramona, la sorella maggiore di Charlie, aveva quasi cinque anni.

Nora lesse negli occhi di Ben desiderio. Capì che gli era mancata. La desiderava con tutto se stesso, lo poteva capire da come la guardava. Ormai lo conosceva molto bene, e non c'era bisogno di parole . «E va bene, Ben. Lascia solo che chiami il locale per avvisare che non vado» disse, infine. Ben le regalò un bacio a fior di labbra. Nora arrossì.

 

Nora cercò di non vestirsi in modo troppo appariscente, cercò soprattutto di coprirsi il più possibile.

«Sei bellissima» le disse Ben, incantato. Nora sorrise timidamente e si girò di scatto. Il sorriso non ci mise molto per sparire e lasciare spazio ad un'espressione triste.

 

Arrivati alla “Tyler Hew's Art School” il cuore di Nora cominciò a battere in modo irregolare.

La musica di Vivaldi si sentiva già da fuori. Era sicura che fosse “Estate”. Ben naturalmente non ci prestò attenzione.

Entrarono, e Nora iniziò a guardarsi intorno. Sperò con tutto il cuore che non fossero esposte opere in cui lei era ritratta.

Stranamente non v'era alcuna traccia di Tyler. Non ancora.

La scuola era molto grande, contava quattordici sale ampie, che quella sera erano completamente gremite di quadri, fotografie e folla.

 

«Certo che è proprio bravo, questo... Com'è che fa di nome, già?» disse Ben, mentre contemplava qualche quadro di arte astratta.

«Tyler. Si chiama Tyler.» rispose Nora, la voce ferma.

«Oh, guarda un po'» continuò Ben, senza averla ascoltata prima. «Questa in foto sembri proprio tu. Ha i tuoi stessi occhi verdi... le stesse tue labbra... ha addirittura quella strana voglia sulla schiena che hai anche tu!»

Nora deglutì. «Hai mai sentito parlare di sosia, Ben? Ora perché non ce ne andiamo?»

Non appena terminò la frase, delle dita affusolate le carezzarono lentamente la schiena. Nora rabbrividì. Non potevano esserci dubbi: si trattava di Tyler.

«State osservando questa foto da un po'. Cosa vi ha stupiti in particolare?» domandò con la sua solita voce calda, la mano sulla schiena di Nora.

«La donna in foto è identica a mia moglie.» rispose laconico Ben.

Tyler tolse immediatamente la mano dalla schiena di Nora. Quest'ultima tirò un sospiro di sollievo, ma Tyler non agì come lei si aspettava. Tyler ridacchiò.

«Certo che le assomiglia! È...»

Nora non lo lasciò finire. «È davvero molto bella, Tyler. È un nudo molto bello. Ma adesso scusaci, dobbiamo andare a festeggiare il nostro quinto anniversario di matrimonio.» lo liquidò lei.

Tyler si congedò con un cenno della testa e sparì tra la folla.

Nora sorrise a Ben e gli diede un bacio sulle labbra.

 

Sembrò che quella sera Nora se la fosse cavata abbastanza bene, ma il dieci novembre del 1985 poté dire addio al suo matrimonio per sempre.

Quel giorno lei e Ben avevano litigato, e in quel periodo non era una novità. Sebbene Ben sapesse di essere dalla parte del torto, quel dieci novembre decise di staccare prima dal lavoro per fare una sorpresa alla moglie.

Era poco prima della pausa pranzo, e Ben pensò di trovare Nora al pub. Ma non si ricordava che gli avesse detto che avrebbe lavorato dalle diciotto in poi.

«Ehi, Ben. Che ci fai qui?» gli chiese Milo dal bancone, mentre asciugava qualche bicchiere.

«Cercavo Nora... ma non la vedo» rispose un po' preoccupato.

«Nora? Oh, no, Nora inizia il turno alle sei, oggi. Adesso credo che stia lavorando lì»

Ben lo guardò perplesso. «Lì dove?»

Milo pensò che Ben dovesse essere parecchio rimbambito. Non pensò quindi che magari Nora potesse avergli nascosto il suo secondo lavoro. «Lì, alla scuola d'arte. Sai, quella nuova» disse, vago.

Il volto di Ben si illuminò tutto di colpo. Senza aggiungere niente uscì dal locale.

 

La scuola era piuttosto silenziosa, ed entrò senza problemi. Appena passò accanto alle prime aule udì dei professori che spiegavano come rendere una foto d'effetto, oppure parlavano di fauvismo, altri raccontavano la storia della fotografia. Arrivò in fondo al corridoio e si ritrovò dinanzi la bacheca su cui erano appesi, tra i tanti avvisi e fogli, gli orari delle lezioni.

Guardò l'ora: erano le undici e mezza. Secondo quel foglio a quell'ora Tyler Hew stava tenendo in “Aula grande” la lezione di “disegno e fotografia del nudo”. Quel nome gli suonò famigliare.

«Certo che è proprio bravo, questo... Com'è che fa di nome, già?»

«Tyler. Si chiama Tyler.»

Una strana luce gli illuminò di nuovo gli occhi grigi.

 

L'aula grande era davvero l'aula più ampia dell'istituto. Ben non aveva mai visto un'aula più grande nella sua vita.

Irrompé nella stanza senza bussare. Ben non scordò mai quella mattina.

Sicuramente si trovò in imbarazzo: davanti a sé c'erano circa venti studenti, i cui corpi erano nascosti dal cavalletto, che lasciava intravedere solo il viso e parte delle gambe.

Alla sua destra, invece, c'era Nora. Completamente nuda. Tyler, quello stesso uomo che c'era anche alla mostra, quello stesso uomo con cui avevano scambiato quattro parole, prima che Nora lo liquidasse, era in piedi e stava reggendo i seni di sua moglie con una mano, mentre con l'altra le teneva alto il viso.

 

Charlie era venuta a conoscenza di questa storia solamente quando compì sedici anni, e da quel giorno in poi costringeva sua madre a raccontarla ogni Natale. Nora si divertiva nel raccontare quanto imbarazzo avesse provato in quel momento, nuda e con un suo vecchio compagno di college che reggeva i suoi seni e spiegava alla classe come tracciare per bene la figura armoniosa del suo corpo. Nora rideva sempre quando ne parlava con le sue figlie, ma Charlie era sicura che in realtà dentro non fosse felice davvero. Aveva perso il marito che tanto amava per una sciocchezza. Aveva perso Ben perché non gli aveva detto la verità. Si era vergognata di dirgli che oltre ad essere una barista faceva anche la modella. Dopo quel dieci novembre Ben non le rivolse più la parola, e la notte dello stesso giorno, dopo un inutile litigio – così lo definì Nora – Ben fece le valigie. Passarono dei mesi prima che Charlie e Ramona tornassero a vedere il padre, che sembrava scomparso nel nulla. Nora decise di non posare mai più per Tyler, anche se quel lavoro le aveva fatto fruttare un bel po' di soldi. Di giorno si occupava delle figlie, mentre la notte era costretta a lavorare al pub, ma, non avendo nessuno che badasse a Ramona e a Charlie, Nora trascinava con sé anche le figlie. Dopo un anno Nora e Ben divorziarono ufficialmente.

 

Jess ha conosciuto questa buffa e triste storiella la sera di Natale di qualche anno fa, e ha capito quanto Charlie potesse aspettarsi sincerità da lui.

Charlie è una donna forte, non si lascia scoraggiare da niente, o quasi. Jess è a conoscenza di quanto lo ami e quanto si fidi di lui. Proprio per questo motivo si sente un verme solo a pensare a ciò che è successo al ponte.

Eppure adesso è un adulto, non è più un ragazzino confuso. Fino a qualche mese prima era sicuro di amare solo Charlie. Era sicuro che era con lei che voleva invecchiare. Ma Rory, come sempre, l'ha mandato in confusione. Con lei è un continuo tira e molla, lo è sempre stato. Prima si amano, poi si odiano e non si parlano più. Si baciano, poi piangono. Con Charlie è completamente diverso: il loro amore è sincero. Charlie non lo lascerebbe mai, ne è sicuro.

Ecco: Charlie e Rory sono gli opposti. Charlie rappresenta la sicurezza, mentre Rory l'imprevedibile. Ma adesso, adesso che è un adulto e non più un ragazzino, cosa vuole davvero? Un amore passionale ma burrascoso oppure un amore da manuale? Vuole l'eccezione o la regola?

 

Charlie detesta farsi chiamare Charlotte, perché secondo lei è un nome da vecchia. Porta quasi sempre i capelli sciolti, e questo lo fa impazzire: adora i suoi capelli neri e lunghi. Ogni volta che passa lascia una dolce scia di miele e gelsomino. Un'altra cosa che ama del suo aspetto sono gli occhi: occhi verdi in cui non si riesce a trovare mai il fondo, anche se li guardasse per ore. Occhi verdi che ridono al posto della bocca, occhi che piangono e si fanno lucidi poche volte, ma quando succede si può essere sicuri che non si tratti di una cosa passeggera. Le labbra sono leggermente carnose e la bocca è a forma di cuore. Il suo sorriso è semplicemente unico: bianco e vero, che viene donato solo alle persone speciali.

Nel pensare a tutte queste cose, Jess si lascia sfuggire un sorriso.

Ricorda con piacere il giorno in cui si sono conosciuti.

Pioveva a dirotto e c'era anche la nebbia. Ma quando Charlie entrò nella libreria in cui lavora Jess, il cielo gli parve schiarirsi. E quando sorrise... quando gli sorrise il sole prese a risplendere, e apparì un arcobaleno.

 

«Ehi, non ti avevo visto!» esclama Charlie.

Jess le sorride, come se avesse riscoperto un vecchio sentimento. Le si avvicina e le cinge i fianchi con entrambe le braccia. Charlie lo guarda perplessa. Non appena nota che Charlie sta cercando di dire qualcosa, le poggia l'indice destro sulle labbra, ora morbide come non mai.

Gli smeraldi di Charlie brillano sotto il suo sguardo.

Passano pochi secondi prima che Jess si decida ad eliminare la distanza tra loro. Le loro labbra dapprima si sfiorano, come se fossero troppo delicate per fondersi al primo colpo. Si toccano appena, eppure mille scosse elettriche invadono il corpo di Charlie, che si sente come se fosse il suo primo bacio. Si domanda come faccia Jess a sorprenderla ogni giorno che passa. Forse non lo sa nemmeno lui.

Il bacio poi si intensifica, non lasciando spazio a niente: basta respiri, basta pensieri confusi, basta razionalità.

Poi, come tutto, del resto, anche il bacio finisce. Termina con un retrogusto dolce, un retrogusto di ciliegia provocato dal lucidalabbra di Charlie.

Jess riprende ad osservarle gli occhi. Sono profondi e vivi. Si sorridono, timidi.

Quel silenzio pieno di parole viene smorzato da un abbraccio, un abbraccio caldo e che fa sentire a casa.

Jess adesso pensa di essersi schiarito le idee: è Charlie quella che vuole. Lui, proprio lui, che fino a poco tempo fa infrangeva le regole, ora desidera solo tranquillità. Ormai è sulla soglia dei trentanni, e non ha più il tempo per rincorrersi con Rory. Sa che la amerà per sempre, e forse non è nemmeno tanto un segreto, ma vuole stabilizzarsi, per una volta. Vuole prendere fiato e vivere con leggerezza.

Le fa un cenno con la testa e le indica la camera da letto. Lei sorride. Sorride e ride come una ragazzina alle prese con la sua prima vera cotta, quella che non ti fa pensare con lucidità e che non ti fa dormire la notte, perché ti impegna a pensare a lui, ti impegna a fantasticare come una bambina. Charlie ride, ride senza pensare a niente. Charlie è felice, e Jess lo è ancora di più, perché sa di essere lui la causa dei suoi sorrisi.

La osserva correre verso la camera da letto e si domanda come reagirebbe se le dicesse la verità. Forse capirebbe; forse gli direbbe che anche a lei è capitato di amare due persone in modo completamente diverso. Ma no... Charlie non ci penserebbe neanche per sogno. Il sorriso di prima gli muore sulle labbra. Il tempo sembra essersi fermato. Sente le sue risa lontane, troppo lontane da lui. È davvero sicuro di potercela fare? Il suo cuore rallenta. Lo sguardo si perde.

«Jess...» sente chiamare.

«Jess...»

Ed ecco che ritorna alla realtà. Charlie gli sembra preoccupata. Non risponde alle sue domande, ma si precipita in camera da letto. Il letto è morbido, più morbido del solito...

 

Dopo ansimi, risa, baci e gemiti, si ritrova supino a guardare il soffitto. Sembra che la mattina sia ricominciata da capo. La macchia di muffa è sempre lì, al solito posto. Charlie si è riaddormentata, e lui molto probabilmente arriverà tardi a lavoro. Ma non gli importa, a dirla tutta.

Volge lo sguardo verso la portafinestra della camera, e vede che sta scendendo qualche fiocco di neve. Non sa come mai, ma pensa a Rory. Si chiede se riuscirà a tenere Charlie all'oscuro di tutto.

Chiude gli occhi e gli pare di sprofondare negli abissi più profondi... gli abissi della sua anima. È buio, ma c'è uno strano oggetto lontano che risalta nell'oscurità. Si avvicina con cautela... un muro. Lo tocca, e un mattone si scosta, cadendo con un tonfo dall'altra parte.

«C'è qualcuno?» sente domandare. Quella voce gli è familiare...

Si fa più vicino, con passo felpato. Sbircia dalla fessura lasciata dal mattone. Vede un occhio che lo guarda, un occhio blu.

Si ritrae, spaventato.

 

La sveglia suona di nuovo, e Jess si ritrova costretto a sbrigarsi il più veloce possibile.

 



 

NOTA DELL'AUTRICE: Eccomi qui, dopo taaanto tempo! Che ve ne pare? Fatemi sapere tramite recensioni, mi raccomando! :D 
Grazie ancora per essere passati di qui, per aver messo la storia nelle seguite e nelle preferite! 
Un abbraccio,

Kim.

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