lightless.

di dearjoseph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Can't turn back now ***
Capitolo 3: *** Tell me ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologue.
 

Quando Joseph rientrò nell’appartamento lo ritrovò inspiegabilmente vuoto e questo fece in modo che i suoi battiti rallentassero almeno un pò seppur l’ansia sembrava volesse ancora strangolarlo. Evitò di guardare le sue mani e corse in bagno senza nemmeno accendere le luci per paura di lasciare qualche segno, una qualsiasi traccia di quanto fosse caduto in basso come uomo, mentre un senso di nausea si impossessò del suo stomaco. L’acqua del rubinetto era fredda, ma lui non aveva tempo per aspettare qualcosa di così piacevole come l’acqua calda e neanche lo meritava. Se c’era una cosa che meritava era la morte, ma forse anche quella sarebbe stata troppo piacevole per lui. Era molto meglio una vita lunga e piena di rimorsi.
Infilò le mani sotto al getto di liquido trasparente. Lo fissò e lo vide cambiare colore lentamente mentre le immagini di quello che era successo comparivano sfuocate nella sua testa e un volto sembrava non volerlo abbandonare. Si ostinava a rimanere lì, in primo piano tra i suoi pensieri mentre i ricordi scorrevano dietro quel viso come in una sala cinematografica e Joseph avrebbe tanto voluto allontanarlo, cancellarlo, ma con quello che aveva fatto si era assicurato la presenza di quel viso nella sua mente per il resto dei suoi giorni, tanto per assicurarsi di riconfermare l’idea della vita lunga e piena rimorsi.
Mentre l’acqua rossa scivolava giù per lo scarico del lavandino, l’uomo guardò la sua immagine riflessa sullo specchio di fronte a lui. Aveva la barba incolta, i capelli non erano più curati e il viso spaventato, ma non fu questo a preoccuparlo. Lui non si riconosceva più. Quelli non erano gli stessi occhi dell’uomo di appena due mesi prima. Perchè si, tutto era cominciato sessantuno giorni prima e tutto sarebbe ben presto finito.
Notando l’acqua diventare di nuovo del suo colore naturale, asciugò le mani ad uno strofinacciò poggiato con cura su un mobiletto accanto e il pensiero corse subito a Savannah; lei era così ordinata, maniaca della perfezione, così bella. Così bella da non meritarlo.
Quanto ci avrebbero messo ad arrivare a casa sua? C’era qualcuno che lo aveva visto, oltre al volto che non riusciva a levarsi dalla testa?
Strinse le mani in due pugni sentendo quasi le unghie conficcarsi nel palmi.
Cosa aveva fatto?
Sentiva su di sè ancora l’odore acre del sangue nonostante avesse levato la maglietta e buttato anche questa sotto al getto del lavandino. Forse avrebbe sempre sentito l’odore del sangue su di sè; era il prezzo da pagare, e il conto sarebbe stato saldato solo alla fine della sua vita.
Ma era giusto, era giusto così.
Lui doveva lottare contro il male. Lui avrebbe dovuto lottare contro il male, e invece era finito a esserne vittima.
Forse perchè alla fine c’è del male in ognuno di noi.
E si sa, le cose che sono dentro noi escono prima o poi, sempre.

 
 
Sono tornata con un’altra storia inventata sul momento AHAHAHAH
Non so, a me già piace l’idea di scriverla perchè è diverso da tutto quello che scrivo di solito e spero piaccia anche a voi!
Perciò fatevi sentire, qualcunque cosa (bella o brutta) mi vogliate dire

 
Ps. Se vi va passate dall’altra mia storia, basta cliccare sul banner qui sotto.



Un bacione,
Martina.
 

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Capitolo 2
*** Can't turn back now ***


1. Can't turn back now

Due mesi prima.

Quando la sveglia suonò non erano nemmeno le 6 del mattino. Un braccio sbucò da sotto il lenzuolo bianco e percorse istintivamente la strada verso il comodino, muovendosi goffamente alla ricerca della fonte sonora e, trovatala, la fece cessare definitivamente. Poi, un grugnito prese il posto di quel ticchettio regolare.
Le tende impedivano alla fioca luce del mattino di illuminare la stanza. Era presto, ma fuori la città era già sveglia da un pò. Lo si sentiva dai rumori che emetteva: clacson, vociferare di gente che si recava al lavoro, il suono insistente di una sirena in lontananza. In particolare quell’ultima percezione fece in modo che Joseph si rendesse conto che anche per lui era il momento di andare a lavoro e, con molta fatica, tirò giù il lenzuolo, per poi lasciarlo di nuovo adagiarsi sul suo corpo, appena sotto l’ombelico.
“Ehi” una voce femminile risuonò al suo fianco.
“Ehi” sussurrò Joe a sua volta. La figura accanto a sè si voltò verso di lui, poi aprì gli occhi.
“Non volevo svegliarti” si giustificò il giovane. La moglie sorrise, assaporando per un pò il dolce passaggio tra sonno e veglia e il calore della coperta sulla pelle quasi del tutto nuda, ad eccezione delle parti avvolte da una leggera sottoveste di pizzo.
“Davvero?” disse poi, con la voce ancora impastata.
Joseph non rispose, si voltò verso Savannah mantenendo la testa su una mano mentre con l’altra cominciò ad accarezzare il braccio della ragazza. Non ci mise molto a insinuarla anche al di sotto del lenzuolo, l’unico ostacolo fisico con i fianchi di lei.
“Beh, forse un pò era mia intenzione” Savannah ridacchiò alla sua confessione e ben presto si ritrovò sotto il suo corpo statuario e incredibilmente familiare. Senza trovare alcuna resistenza da parte della ragazza, Joseph si fece spazio tra le sue gambe e, dopo che questa le allacciò strette al suo bacino, prese ad accarezzarle. Sollevò il pizzo rosa, incendiando al passaggio della sua mano ogni lembo di pelle con cui essa veniva a contatto; poi avvicinò il viso all’orecchio di Savannah, non prima di aver tracciato con piccoli baci un percorso preciso che partiva dalla clavicola fin su tutto il collo.
“Buon anniversario” le soffiò nell’orecchio, concludendo il tutto con un tenero bacio sulla guancia.
La giovane donna non potè negare di essere rimasta sorpresa dal fatto che il marito avesse ricordato così lucidamente il giorno del loro secondo anniversario di nozze ma si trattenne dal riferirglielo e ricambiò con un veloce bacio sulle labbra del ragazzo. la sua riluttanza nel convincersi che lo avesse ricordato davvero non nasceva da un qualche episodio preciso; Joe aveva sempre ricordato i loro anniversari. In realtà quelle due parole le recarono una felicità più profonda di quanto avrebbero fatto in un’altra qualsiasi occasione.
Soprattutto dopo il lungo litigio della sera precedente.
I due erano giovani; Joe 26 anni e Savannah appena tre in meno, ma nonostante ciò avevano deciso di sposarsi esattamente due anni prima. Niente gravidanze inaspettate, come si cominciò a vociferare dopo che la gente scoprì del loro imminente matrimonio, da molti definito troppo prematuro.
Semplicemente si amavano, e nessuno dei due comprendeva bene il perchè tutti (amici, famigliari e quant’altro) li considerassero dei pazzi a voler intraprendere una strada così tortuosa quale era quella del matrimonio.
Tuttavia, negli ultimi mesi i due giovani avevano scoperto le amarezze che un unione così forte inevitabilmente si porta dietro.
Le cose erano un pò cambiate; Joseph sembrava distante, come distratto da un fantasma che lo perseguitava e che Savannah non era in grado di vedere. Questo era stato uno dei principali temi alla base dei loro ultimi litigi.
Ma non quella mattina.
Anzi, quella mattina Joseph sembrava felice, più di quanto lei ricordasse in quell’ultimo periodo.
“Devo andare a lavoro” sbuffò il ragazzo dopo una lunga pausa durante il quale la mente di entrambi fu occupata da svariati pensieri che, nè l’uno nè l’altra, volle condividere.
Nessuno dei due poteva permettersi di negare all’altro quel momento di felicità di cui entrambi avevano estremamente bisogno. Di cui Joe e Savannah sentivano tanto la mancanza.
“Non fare tardi stasera” si limitò a rispondergli lei, prima che lui le lasciasse un’altro bacio sulla bocca. Fu un bacio lungo, ma quasi innocente; contornato da leggere carezze lungo tutta la schiena della ragazza, della quale Joseph si era impossessato divertendosi a stuzzicarla con la punta delle dita.
Da quanto Joe non la toccava in quel modo? E da quanto non la baciava così?
Joseph si staccò e nei suoi occhi color caramello sembrò quasi di intravedere delle pagliuzze dorate che gli conferivano una luce tutta nuova, mentre i lineamenti marcati del viso erano sciolti e rilassati in una nota di pura serenità.
Quella visione diede a Savannah la completa certezza della sua ipotesi: Joe era felice.
E se lo era lui, lo era anche lei.
 
 
Il giovane ridusse gli occhi ad appena due fessure, accecato dai fari dell’auto che parcheggiò proprio di fronte alla sua. Aveva aspettato tanto, troppo, e i suoi occhi si erano quasi del tutto abituati all’oscurità che avvolgeva quel posto isolato. Nessuna macchina parcheggiava mai lì. Nessuna, solo quelle degli acquirenti. E forse era anche per questo che quel garage era così temutamente vuoto.
Nessuno dei due conducenti azzardò ad uscire dalla propria auto, fino a quando egli non capì che toccava a lui fare la prima mossa e avvicinarsi alla Porche che aveva atteso da più di venti minuti. Non si poteva certo dire che quell’auto non avesse stile, ma avvicinarvisi faceva sempre un brutto effetto.
Grazie al fascio di luce proveniente dall’entrata, riconobbe due figure nella 911 Turbo blu scuro. Quando il conducente abbassò il finestrino, si ritrovò di fronte a Rick ma rimase quasi disorientato dall’insolita figura che sedeva sul sedile accanto: era una ragazza, dal volto pallido, gli occhi di ghiaccio e i lunghi capelli biondo cenere legati in una coda alta. La scrutò cautamente; Rick non prendeva alla leggera mai nulla e lui non poteva di certo mettersi contro un tipo del genere soltanto per un’occhiata di troppo alla sua nuova conquista.
“Aspetto in questo garage da quasi mezz’ora”
“Scusa se ti ho fatto aspettare in un posto così malfamato, Harris” si prese gioco di lui Rick, chiamandolo per cognome. Dall’altra parte, il giovane fu inondato dall’odore di alcool che fuoriuscì dalla sua bocca e quasi fece una smorfia. Probabilmente l’avrebbe fatta, se non fosse stato lui. Ma quell’uomo sulla quarantina che ne dimostrava almeno dieci in più aveva un non so che di pericoloso. E non ci teneva a sapere se le sue supposizioni erano esatte.
Senza nemmeno dire un’altra parola, Rick lanciò fuori dal finestrino una bustina trasparente dall’indubbio contenuto in polvere bianca, bustina che l’altro raccolse prontamente, guardandosi poi attorno con aria più tranquilla di quanto in realtà fosse.
“Hai scambiato la tua guardia del corpo con quella ragazza?” chiese poi quest’ultimo. Immediatamente la ragazza al fianco di Rick lo catturò col suo sguardo vuoto e buio, nonostante la luminosità del colore dei suoi occhi.
“Connor era impegnato. Ora sgancia” disse lei mentre l’amico sorrise beffardo. Un sorriso che ghiacciava il sangue nelle vene. Così, dopo aver inserito la bustina all’interno della tasca, il giovane cacciò fuori dall’altra un mazzo di soldi che immediatamente consegnò nelle sue mani. Mani che subito si misero all’opera, toccando ogni banconota, contandole tutte minuziosamente.
“Il resto te lo darò appena posso” si affrettò a chiarire colui che Rick aveva chiamato Harris, prima che egli stesso finisse di fare i suoi calcoli. Appena terminati questi ultimi, alzò gli occhi e li puntò dritti verso colui che attendeva ancora vicino la sua auto.
“Certo che me li darai appena puoi” rispose infine, alzando l’angolo della bocca mentre il giovane fissava quegli occhi incerchiati dal nero delle occhiaie.
Rick diede gas all’auto, che cominciò a ruggire come per mettere all’allerta quel povero malcapitato, e quest’ultimo capì che era tempo di andare. Si affrettò allora ad avviarsi verso la sua automobile. Passi svelti, ma non troppo. Rick non doveva capire che era lui a comandare.
Anche se tutti sapevano che era lui a comandare.
Quando il giovane fu ormai nella sua auto, la ragazza, Sam, prese di nuovo la parola.
“Quello è il piccolo degli Harris, il il fratello dello sbirro?” chiese a Rick, che annuì senza neppure guardarla in faccia.
“Da quanto è nel giro?”
“Da un pò” si limitò a rispondere l’uomo, già scocciato dalle continue domande, mentre armeggiò nelle tasche alla ricerca di un accendino.
“Fà attenzione. Se quello ci trascisce-”
“Piantala” la interruppe lui una volta per tutte, e Samantha capì che quello era davvero il momento di chiudere la bocca. L’ultima volta che non l’aveva fatto, non era finita poi così bene.
“Possiamo stare tranquilli. Quello lì sa che è meglio non mettersi contro di noi” Rick accese la sigaretta, poi inondò l’auto col suo fumo grigio facendo tossire la ragazza un paio di volte.
 “E poi lo terrai d’occhio tu”
Samantha non ci pensò nemmeno a chiedere spiegazioni su quell’ultima frase.
Sapeva già cosa doveva fare.
 



Alla fine ho deciso di aggiornare yeee.
Spero che come primo capitolo non sia deludente. Ci sono un paio di tematiche forti che spero di elaborare al meglio nei corso della storia ;)
Ho un mare di idee, ma credo che la pubblicazione andra' un po' a rilento. Comunque non mollerò, a costo di publicare un capitolo all'anno lol
Un bacione a chi ha letto e una scatola di cioccolatini a chi recensisce (?)
Martina

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Capitolo 3
*** Tell me ***


Buonsalve a tutti!
Mi intrometto qui all’inizio solo per chiarire un paio di cose.
Ci sono stati alcuni cambiamenti:

  • TITOLO:il titolo non è più “Can’t turn back now” ma è “Lightless”. Non chiedetemi perchè, ma il nuovo titolo mi ispira molto di più.
  • PERSONAGGI:ho deciso di cambiare la composizione dei personaggi, dato che alcuni saranno inventati. Sprero che la storia vi piaccia lo stesso.
Ora la smetto di annoiarvi. Buona lettura!
 
 



2. Tell me

Di solito la gente pensa che il lavoro del poliziotto sia qualcosa di estremamente eccitante. Basti immaginare le miriadi di inseguimenti, lotte, arresti, sparatorie con la quale quei coraggiosi uomini devono fare i conti. Per la gente del posto, i poliziotti sono gli eroi che salvavano la città di Charleston ogni santo giorno.
Joseph Harries non la pensava esattamente allo stesso modo. Faceva il poliziotto da un paio d’anni e di cose eccitanti ne aveva viste meno di quanto avesse immaginato nei tanti momenti in cui, da ragazzino, si proiettava in quel futuro tanto desiderato. Nell’ultimo mese, soprattutto, l’unica cosa che aveva fatto era stare seduto alla sua scrivania, gli occhi arrossati dal prolungato uso del computer, a fare ricerche, e ricerche, e ricerche. Qualche volta andava anche a prendere un caffè o a fare le fotocopie, giusto per sgranchirsi le gambe, ma il divertimento terminava lì. Il giovane si chiedeva in continuazione perchè ci mandassero sempre gli altri in missione; lui era giovane, molto giovane, mandarlo a lavorare fuori avrebbe dato beneficio a tutti. E allora perchè lo trattenevano lì?
Un paio di volte aveva avuto voglia di fare quella domanda al suo superiore, e con la stessa velocità con la quale si era alzato dalla sedia ci si risedeva, consapevole di conoscere già la risposta.
Era successo circa tre mesi prima. La sua squadra, dopo giorni di studio, aveva organizzato un piano quasi infallibile per catturare uno dei più conosciuti spacciatori del South Carolina, Richard Anderson. Tutto stava andando alla grande, finchè lui non aveva rovinato tutto trascurando completamente gli ordini provenienti dall’auricolare che era nel suo orecchio. Il comportamento sospetto di Joseph aveva subito messo all’allerta i tirapiedi di Anderson, e quest’ultimo era fuggito via senza pensarci due volte.
Ecco perchè era costretto a quella tortura, perchè non era stato disciplinato. Così anche ecco spiegato perchè le ricerche che gli venivano affidate fossero tutte collegate a Richard Anderson; del quale, dopo l’accaduto, si era completamente perso traccia.
Per rimediare a quel disastro e recuperare la fiducia dei superiori, Joseph aveva cominciato a lavorare oltre l’orario di lavoro, ottenendo anche ottimi risultati, ma con immancabili conseguenze sull’unione con la sua amata Savannah.
Di certo non poteva dirle perchè fosse così ossessionato da quell’uomo, non poteva dirlo a nessuno. Ma ora le cose stavano migliorando. In breve avrebbero preso Richard Anderson e tutto sarebbe finito. O almeno, così sperava.
Ogni tanto guardava il suo telefono, poi distoglieva lo sguardo da esso come se questo semplice gesto bastasse a distoglierlo anche dalla sua voglia di chiamare il volto che ormai era in primo piano tra le sue preoccupazioni. Poco dopo aver deciso di lasciar perdere, si ritrovò ad ascoltare la segreteria telefonica che invitava non molto gentilmente a lasciare un messaggio solo in caso di morte. Tralasciò quel dettaglio e con voce piena di preoccupazione disse: Ehi, Brad. Senti, lo so che abbiamo parlato ieri sera ma volevo solo essere sicuro che tu abbia capito davvero. Ti prego, ti ho detto la verità. Voglio solo aiutarti Bradley. Ciao.
Quando chiuse la chiamata si sentì quasi più leggero.
Era ormai tardo pomeriggio, il posto di lavoro andava man mano svuotandosi e già la metà dei suoi colleghi erano andati via, chi salutandolo, chi ignorandolo. Poteva sembrare una serata qualunque, una di quelle in cui l’uomo si tratteneva lì fino a rimanere solo con i colleghi che avevano il turno la notte, ma quel giorno non sarebbe successo. Doveva festeggiare il suo secondo anniversario di matrimonio con colei che considerava il dono più bello che il cielo potesse avergli fatto, per questo per una volta mise da parte i suoi pensieri e decise di dedicarsi a lei. Nonostante questo, quasi non si accorse del tempo che era trascorso davanti quel computer perchè, quando guardò di nuovo l’orario, lo schermo indicò chiaramente le 20.35.
“Merda” imprecò a bassa voce mentre raccoglieva in fretta il suo materiale, gettandolo letteralmente nella cartella di pelle marrone scuro. Salutò i colleghi rimasti senza fare particolare attenzione e si ritrovò in auto prima di accorgersene. La strada da fare non era così tanta, ma accelerò lo stesso, facendo affidamento al magico potere che un bel gioiello può avere su una donna.
Purtroppo per lui, Savannah non era il tipo di ragazza che rimaneva a bocca aperta davanti ai gioielli, neanche se si trattava di un diamante tanto bello quanto quello sulla collana che Joe le aveva comprato il giorno stesso, durante la pausa pranzo (e che gli era costata un occhio della testa).
Quando entrò in casa percepì subito un silenzio pesante, opprimente.
“Savannah?” chiamò la moglie, prima di lasciare tutto, giubotto e valigetta, sul divano del salotto, ma con ancora in mano il cofanetto contenente il suo regalo. La chiamò altre due o tre volte per poi dirigersi in cucina. Il tavolo era sistemato, c’era una tovaglia lavorata in pizzo e di un bianco candito che egli ricordava essere la tovaglia delle feste e delle occasioni speciali, o semplicemente quella che metteva quando c’erano ospiti. Era apparecchiata per due, c’erano i bicchieri di cristallo, l’antipasto servito nei piatti e altre pietanze ancora suo fornelli, che però erano stati spenti. Si guardò intorno e vide delle candele sparse per la stanza, un po’ consumate. Quel dettaglio gli fece stringere lo stomaco e così, quando Savannah entrò nella stanza con addosso il pigiama, egli si affrettò nelle sue scuse.
“Amore, mi dispiace, davvero. Non volevo fare tardi” disse, e la moglie annuì assente. Joseph corrugò le sopracciglia con fare confuso.Trentacinque minuti di ritardo il giorno dell’anniversario di nozze erano tanti, ma il comportamento di Savannah era piuttosto esagerato. Lei era quella matura, non poteva davvero essersela presa così tanto. A meno che... a meno che non ci fosse qualcos’altro sotto che Joseph ebbe immediatamente paura di scoprire.
“Ehi tesoro, cosa...” si avvicinò lentamente, le braccia protese verso di lei e la mano che ancora stringeva la scatoletta color corallo nonostante il cervello che l’avesse completamente dimenticata. Interruppe la frase sul nascere quando la ragazza alzò entrambe le mani in aria mostrandogli i palmi, facendogi capire che la sua presenza non era per niente gradita.
“Ora spiegami cos’è questa” Savannah pronunciò ogni parola, sillaba, lettera, con spaventosa lentezza e chiarezza e solo allora Joseph notò che una delle sue mani non era vuota. Quella bustina trasparente, piccola e piena di roba bianca stonava nelle graziose mani di Savannah, e Joe sentì quasi di perdere la voce. La ritrovò solo dopo qualche secondo, e con uno sforzo immane disse “Non è mia. Lo giuro”
La ragazza rise, sarcastica.
“Okay, allora di chi è? Mia?”
Joseph perse di nuovo la facoltà di parlare, e respirare. Si chiese perchè non si fosse sbarazzato prima di quella roba. Rimase molto tempo in silenzio, probabilmente, perchè Savannah scosse piano la testa e gli voltò le spalle convinta di aver avuto la sua risposta.
Il marito la rincorse fin nella stanza da letto e le prese il braccio con una forza sorprendentemente delicata prima di ricevere un’altra pugnalata al petto. Lascrime amare cominciarono a bruciare gli occhi del giovane, dopo aver visto che anche la moglie stava piangendo.
“Savannah” ripetè il suo nome, ma la donna si voltò dall’altra parte.
“Savannah, ti prego” la supplicò lui. Impose ancora il suo viso davanti agli occhi della giovane donna. La guardò profondamente, e in quel momento sperò quasi di poter essere trasparente così da poter dire tutto alla donna della sua vita, così da non dover più tenere il segreto per paura che lei potesse entrare in qualcosa tanto grande da poterla distruggere. Ma non poteva, non lo avrebbe mai permesso.
“Non posso dirti di chi è. Ma credimi quando ti dico che non è mia” disse allora, imprigionando gli occhi di lei nel suo sguardo sincero.
“Come faccio a crederti” rispose Savannah, mentre mille emozioni diverse le attraversavano la mente e il viso. Mentre mille ricordi, belli e brutti, ritornavano alla luce e mille particolari insignificanti diventavano assillanti e troppo rumorosi perchè li potesse sopportare.
“Era per questo che eri così fecile stamattina? Perchè avevi la tua bella scorta di cocaina, o ectasy, o qualunque merda sia questa?”
“No” negò subito il moro dinanzi a lei “No, l’ho detto. Non è mia. Non mi drogo”
“E allora perchè questa roba è a casa nostra? C’entra qualcosa il lavoro? Stai facendo una qualche missione nella quale devi fingerti un drogato o cosa? Dimmelo” parlò lei tutto d’un fiato, come a voler presto trovare una giustifazione all’orrenda scoperta che si era ritrovata a fare semplicemente aprendo qualche cassetto di troppo nell’armadio di lui.
Joe scosse la testa, per un attimo allettato del fatto che se lei avesse saputo sarebbe stato tutto più semplice. Ma meno Savannah sapeva, meglio era per tutti.
“Non... non posso dirtelo”
Savannah lo guardò con la delusione negli occhi “Negli ultimi mesi non ci sono altro che segreti tra noi. I segreti distruggono. Questo fanno. Non parlare ci distruggerà” disse infine, per poi coricarsi nel letto senza neppure un’altra parola.
Joseph posò il regalo sul comodino della moglie e corse in bagno, lavò i denti con estrema lentezza e il viso più del dovuto, giusto per schiarirsi le idee. Idee che continuavano comunque ad intricarsi e divorargli la mente. Quando si distese accanto alla moglie, che gli dava le spalle, sentì davvero il fallimento farsi spazio nel suo cuore. Tutto. Stava perdendo tutto.
“Mi dispiace Savannah” disse a bassa voce, nonostante non fosse sicuro che lei fosse sveglia. Lo disse per liberarsi delle sensazioni che lo opprimevano da mesi. Lo disse perchè gli dispiaceva davvero gettare al vento tutto questo. Lo disse perchè la amava.
“Cosa ci sta succedendo?” sentì la voce flebile della moglie provenire dalla sua sinistra e ebbe la conferma che lei aveva ascoltato. Forse stava aspettando proprio quello.
 “Per favore Joe, dimmi cosa sta succedendo” disse ancora, voltandosi a guardare il marito con gli occhi cioccolato ancora rossi per le lacrime versate. Il lui vedeva un uomo preoccupato, troppo debole per poter affrontare quella cosa da solo. Qualunque cosa essa fosse.
“Non parliamo più e non posso sopportarlo. Se c’è qualcosa che non va, devi dirmelo. Per favore, parlami”
Era la sua ultima supplica. “Parlami
Joseph prese il coraggio che gli mancava in un respiro profondo e poi si sedette con la schiena nuda contro la spalliera del letto.
“Va bene”
Non ce la faceva più. Non poteva proprio vedere il suo matrimonio, il suo mondo sgretolarsi nelle sue mani senza che lui riuscisse a fare nulla.
Perciò decise di raccontarle ogni cosa.
 
 
 
 
Ed eccomi di nuovo qui. Dopo mesi e mesi ho aggiornato e spero ci sia qualcuno che ancora segue questa storia. Mi fareste immensamente felice con una recensione, davvero. Ora che sono in vacanza avrò molto più tempo per scrivere, quindi non preoccupatevi, aggiornerò presto.
Lo so che nessuno starà leggendo più quiiindi non spreco altre parole.
Un bacio a tutte ♥

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