Megan

di mesafe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Friday. ***
Capitolo 3: *** Josh. ***
Capitolo 4: *** Senza Gabbia. ***
Capitolo 5: *** Chi sono? ***
Capitolo 6: *** Liberazione. ***
Capitolo 7: *** Amy e Chuck. ***
Capitolo 8: *** Help. ***
Capitolo 9: *** Confusa. ***
Capitolo 10: *** Devon. ***
Capitolo 11: *** Chiarimenti. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Siamo soli.
Sono sola.
Mi chiamo Megan Rigby e ho 16 anni.Frequento la Westminster School.Vivo a Londra da quando ho 2 anni.Sono nata a Edimburgo,ma i miei hanno avuto dei problemi che si sono ripercossi su di me in modo psicologico.
Mio padre era un drogato e mia madre lavorava tutto il giorno.Io dovevo stare con mio padre da mattina a sera perché con un solo stipendio non si potevano permettere un asilo comunale. Mia madre mi raccontò che una sera tornò da casa e mi dovette portare di corsa all’ospedale perché mi ero bucata per sbaglio con una siringa di mio padre.
Mi hanno fatto degli esami sangugni per vedere se della droga era entrata in circolo nel mio corpo.I risultati furono positivi.Avevo 2 anni e potevo morire.Mi ricoverarono d’urgenza e mentre mi ripulivano il sangue mia madre fece le valige e ci trasferimmo a Londra e da quel momento non ho più rivisto o avuto notizie di mio padre.
Non ci sono mai state ripercussioni sul mio stato fisico e mentale.

Questo è durato fino a 8 anni,poi mia madre mi portò da una psicologa perché le maestre dicevano che io non ero “capace” di interagire con i bambini.
Non volevo toccare le loro mani,non volevo mangiare con loro,ripetevo gesti continuamente e avevo delle manie.Non si spiegavano cosa fosse perché a scuola ero e sono la prima della classe quindi ripercussioni sull’apprendimento non sono mai esistite,ma quella psicologa disse che ero affetta da un disturbo ossessivo-compulsivo.La psicologa tranquillizzò mia madre dicendole che questo tipo di psico-patologia si sviluppa nell’adolescenza e che molto probabilmente sarebbe “passato tutto”.Da quel giorno io e le mie manie siamo chiuse nel mio mondo dove solo la fotografia e la musica possono entrare. Da quando ho 8 anni non è cambiato molto. Frequentando,appunto, la Westminster sono una brava studentessa con buoni voti,ma non ho amici.
L’unica persona con la quale mi relaziono è la mia prof di letteratura inglese.Amo la letteratura e a casa le 2 librerie in camera e sono piene di Dickens,Bronte,Shakespeare e molti altri.Lei dice che sono molto emancipata per la mia età e non si spiega il perché.Io lo so il perché.Vivo con mia madre da 14 anni e contemporaneamente vivo da sola.Brava è? A scuola mi guardano tutti molto male per il fatto che vado in bagno al cambio di ogni ora per lavarmi le mani.
Ci sono delle ragazze a scuola che mi prendono in giro per il fatto di non aver mai baciato nessuno.Mi ha sempre fatto schifo la saliva e non ho intenzione di entrare in contatto con quella di un ragazzo,la mia basta e avanza.Fisicamente sono uguale a mia madre e la cosa mi piace molto. Lei è una donna forte che è riuscita a crescermi senza l’aiuto di nessuno,lei è la mia seconda amica.Comunque sono alta con gli occhi azzurri e i capelli neri e mossi. La pelle è diversa da quella di mia madre. Lei ha un colore ambrato io sono bianca.Lei nelle braccia è ambrata.Io sono rossa. Ogni riga rossa ha un nome.Ogni riga rossa ha una storia.Ho 5 strisce rosse.
Devon Rigby,mio padre;
Katie Regersbour,ragazza che viene a scuola con me. Mi sta rovinando la vita;
Sasha Legon,la mia attuale psicologa;
OCD,ciò che mi sta uccidendo;
La società,non andiamo d’accordo.
I corridoi illuminati della mia scuola mi stanno chiamando,la gonna a pieghe blu notte,la camicia con lo stemma della scuola e la felpa di mio nonno sono sul letto. Quella felpa sa di pipa.Mio nonno era ossessivo-compulsivo come me.Prendo la cartella e vado in camera a baciare la fronte di mia madre.
“Buona giornata Megan” mi sussurra.E’ stanca,il peso della vita la sta uccidendo,oggi è il suo giorno libero.
“Buona giornata anche a te”.
Mi lavo i denti.16 movimenti secchi.16 e solo 16.Devono essere sedici.Mi lavo le mani.una.due.tre.quattro volte. Vado in camera.Calze,camicetta,gonna e felpa.Sempre e solo così. Predo la cartella e fortunatamente mi accorgo che è venerdì. 7 ore. Letteratura,Tedesco,Matematica,Storia,Pranzo,Ora-buco,Ginnastica,Ginnastica.Prendo le mie cose per ginnastica dall’armadio.A scuola non lascio vestiti perché è tutto pieno di germi ed è tutto sporco. Chiudo la porta di camera,attraverso il soggiorno,metto il giubbotto,apro la porta dell’appartamento,scendo le scale.L’aria fredda di Earl’s Court Road mi entra nelle vene.Sento le linee rosse nelle mie braccia risuonare,sento il dolore dell’incomprensione dentro di me.Stazione della metro,igenizzante mani a portata di mano,fortunatamente c’è un posto a sedere libero e mi ci siedo.Mi lavo le mani con il gel.St James’ Park.E’ la mia fermata,scendo e prendo l’autobus. Arrivo a scuola e il portone immenso mi da il benvenuto.Mi lavo le mani.

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Capitolo 2
*** Friday. ***


Mi dirigo al mio armadietto che,sfortunatamente,si trova vicino a quello di Katie e delle sue poco simpatiche amichette. Katie è una ragazza alta con molte curve ed è per questo che molti ragazzi le vanno dietro;è contornata dal suo sciame di lecchine che farebbero qualunque cosa per lei. Mentre faccio la combinazione dell’armadietto,rigorosamente con una salviettina igienica,Katie,Rosie e Ann mi si avvicinano.
“Ehi Rigby”
esordisce Katie con un tono alquanto acido.Le sue due amichette mi squadrano come se fossi una donna di quart’ordine
“Cosa fai con quella salviettina da lesbica?”
Lei e le sue amichette soffocano una risatina.Katie è fatta così,da quando ha scoperto che sono ossessivo-compulsiva non fa altro che darmi contro con insulti razzisti e discriminatori.Butto la salviettina del cestino vicino alla fila di armadietti e cerco il mio libro di letteratura inglese e quello di tedesco.
“Buona giornata Katie.”
La liquido nel modo più freddo che possa fare e mi dirigo verso l’aula della Kalrs,la professoressa di letteratura.Mentre percorro il rumoroso corridoio della scuola,Josh Tern,la persona più disgustosa del mondo,mi da una spintarella. Josh è un ragazzo che non si lava mai le mani,mangia senza posate e sputa come un vecchio,ci prova con me da un bel po’,ma io non voglio interagire con lui per il fatto che lo vedo come se fosse un enorme germe sporco che gravita su di me.
“Ehi Rigby vieni alla partita di Basket di oggi?”
“No Josh,sono occupata”
“Si,occupata a lavarsi le mani come una lesbica”
Katie tuona da dietro.Josh e Katie stavano insieme e ciò non mi sorprende per niente,d’altronde sono le persone infime per eccellenza ed è naturale che due soggetti della stessa specie si frequentino.
“Sarà per la prossima volta Rigby”conclude Josh.

Devo riconoscere che la classe di letteratura è la più bella della scuola perché i soffitti alti,le due lavagne nere e i banchi ancestrali danno quell’idea di ottocentesco.Prima di sedermi pulisco la mia sedia e il piano del banco con una salviettina e poi mi lavo le mani perché la porta dell’aula era chiusa e ho dovuto aprila. La Karls arriva sempre in ritardo e il primo alunno che arriva deve aprire la porta.
La classe di letteratura è prettamente femminile,quindi mi sento più sicura perché ho sempre etichettato i maschi come essere sporchi e orripilanti,tutti tranne mio nonno. Era un fervido appassionato di Shakespeare e penso di aver avuto la passione per la letteratura nel sangue grazie a lui.
La professoressa entra con un testo di Virginia Woolf,precisamente Mrs Dalloway.Non conosco bene il romanzo, ma l’autrice è uno dei miei personaggi inglesi preferiti.
La voce calma e rilassante della Karls racconta la vita della Woolf,della sua lotta per la parità dei sessi e dell’innumerevole quantità di saggi;prendo appunti creando uno schema con il nome delle opere più importanti e riassumendo la vita dell’autrice.

Quando la campanella suona la Karls,che si chiama Elizabeth, mi ferma per 5 minuti.Fortunatamente tra una lezione e l’altra ci sono 10 minuti di pausa e parlare con lei mi fa bene e di sicuro non rifiuto l’invito.La Karls è una donna sulla cinquantina,con i capelli ricci brizzolati e delle lunghe dita affusolate con diversi anelli,è una donna che con il suo sguardo e con il suo leggero sorriso può rassicurarti o ammonirti,tutto in un secondo.
“Come va Megan,la vedo triste”
La Karls è molto buffa a mio parere perché chiama tutti i suoi alunni con il nome,ma quando parla usa la forma di cortesia.E’ una professoressa che ama il suo lavoro e ama gli adolescenti e cerca sempre di farci capire che la vita è una sola e che non bisogna sprecarla dietro droghe o sesso o nel mio caso dietro confezioni di salviette e flaconi di igienizzante.
“Io sto bene,non mi sento triste,anzi la sua lezione mi ha proprio messo di buon umore”
“Megan,io l’ho vista in corridoio e il signorino Josh mi sembra importunarla un po’ troppo,lo trovo un atteggiamento noioso”
“Si in effetti è molto noioso e fastidioso,non lo trovo un ragazzo né affascinante né pulito”
“Ancora con la storia del pulito?”
Abbasso lo sguardo verso il pavimento e un fascio di luce mi cade negli occhi e sono costretta a strizzarli.La Karls appoggia la sua mano sulla mia spalla e questo mi costringe a guardarla in viso.
“Megan,è una ragazza molto affascinante,intelligente e razionale,ma questa storia non può andare avanti,anche lei sa benissimo che è l’irrazionalità pura,vero?
“Lo riconosco con tutta me stessa e provo anche a smettere con tutta me stessa ma non ci riesco.Sarò brava a scuola ma nella mia vita privata sono un disastro”
La campanella dei 5 minuti suona e la Karls conclude il nostro discorso con un sorriso affievolito che mi colpisce e mentre raggiungo la classe di tedesco del professor Malcòn ripenso a ciò che ci siamo dette.

In effetti riconosco che il mio disturbo è una cosa irrazionale,ma io non so cosa fare.Da quando ho 12 anni ho iniziato a prende antidepressivi su antidepressivi e sono stata vittima di bullismo quando Katie l’ha scoperto.Mi dava della depressa e della senza speranze,ma gli antidepressivi secondo Sasha dovrebbero stimolare il mio cervello a rilassarsi e a farmi dimenticare delle mie manie e in quattro anni non è mai successo.
Come al solito il professor Malcòn ha dimenticato le chiavi della classe in segreteria perché la nostra è la sua prima lezione giornaliera.
“Ragazzi vado a prendere le chiavi della classe voi aspettate qui”
E,scendendo le scale,si dirige da Leen,la bidella.Con il fatto che l’aula è all’ultimo piano di 4 e il professore è un imbranato patentato,tutti si dileguano e io colgo l’occasione per andare al bagno a lavarmi le mani,rigorosamente con il mio asciugamano e il mio sapone che tengo sigillati nella mia cartella. Quando mi sono lavata le mani uscendo dalla porta noto Josh che,avendo matematica,si trova nella aula accanto. Molto probabilmente non è in classe perché si è fatto buttare fuori. Purtroppo non c’è Yen,una ragazza di origini cinesi con la quale vado abbastanza d’accordo e con la quale parlo di un po’ di tutto.Mi appoggio con la schiena alla porta e vedo Josh che si avvicina.Guardo l’orologio in modo nervoso e mi chiedo quanto ci possa mettere un professore a prendere delle stupidissime chiavi dalla bidella.
La presenza di quel 17enne si sta facendo sempre più vicina e soffocante.Alzo lo sguardo e noto che dista da me meno di un metro. Mi stacco dalla porta e nella mia testa faccio mente locale per cercare qualche argomento che lo spaventi a tal punto da ritornare davanti alla porta di classe sua,ma nulla.
“Ehi Rigby!”
Appena arriverà Yen la ucciderò per avermi lasciata qui in balia di un perfetto idiota.

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Capitolo 3
*** Josh. ***


Josh non mi è mai stato simpatico, non perché è una persona sporca in tutti i sensi, ma anche perché è molto rozzo e senza tatto, rude e senza sentimenti. Quando si relaziona con una ragazza, indipendentemente dal fatto che lui abbia una cotta per lei, usa un linguaggio molto scurrile e tende a palpare il sedere o il seno con o senza permesso.
Alzai lo sguardo per fronteggiarlo. I capelli castani tagliati molto corti,gli occhi marroni e le mani sciupate e l’odore di fumo impregnato nell’uniforme della scuola si fanno insopportabili.
Qualche mese fa mi baciò con prepotenza, senza il mio permesso nel mezzo del corridoio vuoto, era pomeriggio e avevo il corso di fotografia. Lo scansai con il braccio, ma lui oppose resistenza. Io con la schiena premuta con forza all’armadietto e la rotella della combinazione conficcata tra le spalle e lui con il suo viso attaccato al mio. Non potevo respirare e non potevo fare nulla.
Quando riprovai a scansarlo le sue labbra si staccarono e tirai un sospiro di sollievo, ma dopo un secondo le sue grandi mani mi presero il viso e con insistenza mi ribaciò di nuovo.
Quando tornai a casa scoppiai in un pianto disperato e mi lavai le labbra 10 volte di seguito fino a farle sanguinare e mi feci la doccia 2 volte di seguito.
“Cosa fai qui fuori?” Gli chiesi.
Avevo paura che potesse succedere ciò che successe 2 mesi prima.
“Mah,mi hanno buttato fuori,quella puttana della prof si è offesa per un mio innocuo complimento”
“Innocuo?”
Le avrà detto qualcosa come ‘vieni qui che ti lecco tutta’ o ‘sei disposta a passare la serata con me,bellezza?’
“Le ho chiesto se sarebbe voluta uscire con me” Appunto.
Sperai con tutto il mio cuore che la conversazione fosse finita, ma di punto in bianco si avvicino e la sua mano sporca prese il mio braccio.
Sobbalzai.
Iniziai a pregare Dio,Gesù,Buddha che quel cacchio di professore arrivasse o che almeno Yen facesse capolino, ma nulla.Preso il braccio scese verso il polso e si fermò, iniziò a stringere forte il mio polso con un sorriso beffardo in faccia. La presa si faceva sempre più forte e sentivo quei 5 mostri rossi pulsare.
Una lacrima mi scese sulla guancia. L’avevo trattenuta molto perché odio piangere in pubblico.
Josh mi leccò la lacrima. Mi fece schifo e in effetti subito dopo mi sentii rabbrividire e iniziai a piangere a dirotto. L’aveva fatto di nuovo, aveva interferito sul  mio corpo, sul mio viso senza il mio permesso, a scuola, di nuovo. Ed ero sola.
“Josh allontanati da lei,subito”
Ero immobilizzata davanti al faccione di quell’idiota, non avevo forze, mi sentivo svenire e sapere che la sua saliva era sparsa per tutto il mio viso mi faceva stare male.
“Cosa vuoi cinese di merda?”
So che è aveva detto una cosa cattiva, ma iniziai a smettere di piangere perché sapevo che era arrivata Yen.
“Lasciala stronzo”
In effetti Josh con la sua mano continuava a tenermi il viso.
“Ragazzi ho trovato le chiavi!”
La voce stridula del professore fu la cosa più dolce che avessi mai sentito.
Josh mi lascio andare e chiesi al professore di andare in bagno con Yen perché avevo avuto un calo di zuccheri e il prof acconsentii. Nel frattempo i miei compagni di corso si fecero vivi di nuovo e mentre io mi lavavo la faccia Yen mi dava consigli per l’autodifesa e mi strappò un sorriso
“Sul serio Megan,la prossima volta un calcio dritto tra le gambe così e poi anche uno schiaffo in quella faccia di figlio di puttana”
E mentre parlava imitava i gesti.
Yen è solare,simpatica e ha molti amici ed è tutto il contrario di me. Come statura è bassina e infatti mi arriva alle spalle. Ha un caschetto di capelli nero corvino e gli occhi a mandorla più grandi del normale perché suo padre è tailandese. Penso che solo grazie a Yen non abbia tentato il suicidio,cioè c’ho provato, ma appena stavo per buttarmi pensai a lei. E tutto passò.
“Yen, ma noi siamo amiche?”
Non so perché le feci questa domanda,sapevo solo che avevo bisogno di un’amica in quel momento. Di qualcuno che non mi giudicasse per il fatto che sono pazza. Avevo bisogno di lei.
“Oh Megan quando fai queste domande ti prenderei a schiaffi. Certo che siamo amiche!”
Avevo un’amica. In 16 anni di vita non ne avevo mai avuta una e ora eccola. In effetti frequentiamo il corso di tedesco insieme da 2 anni e avevamo fatto tante cose insieme, ma non sapevo cos’era l’amicizia e ora lo so.
Finita la stressante ora di grammatica tedesca uscita fuori dalla classe chiesi a Yen di pranzare insieme in tedesco. Ero completamente fusa. Lei accetto con il suo smagliante sorriso e mi diressi nell’aula di matematica di fronte a quella di tedesco. Fortunatamente Josh aveva fisica e si era dileguato.
 
A pranzo non mangio mai la roba della mensa perché mi fa molto schifo quindi mi porto da casa il mio pranzo. Avevo un panino con il prosciutto cotto e lo divorai in un secondo.
“Meg, cos’hai dopo?” Chiese Yen.
“Ora buca!” Risposi.
Nell’ora buca si va in biblioteca e si può fare ciò che si vuole.
A tavola con noi c’era anche qualche amica di Yen che alla mia risposta sorrisero
“Noi invece abbiamo tecnologia”
Le guardai con aria di compassione
“Buona fortuna!”
Il professore di tecnologia è un nerd ciccione e pedofilo. Però a carineria è messo meglio di Josh,molto meglio.
Suonò la campanella e salutai Yen e le sue amiche e mi diressi in bagno con lo spazzolino per lavarmi i denti e le mani. Metto sempre tutti gli anni le ore buche dopo pranzo così posso fare queste cose con tranquillità senza avere l’ansia di perdere minuti di lezione. Mi lavai i denti con gli stessi 16 movimenti della mattina e le mai 4 volte. Riposi spazzolino e asciugamano nella cartella.

“Ancora sola? Non dovresti girare per scuola da sola con me libero in giro. Anche io ho l’ora libera e non mi puoi scappare” Josh.
“Ascolta Josh, oggi non è giornata, non mi sento bene e dopo ho 2 ore di ginnastica quindi vorrei ascoltare la musica.”
“Ma io non voglio che tu ascolti la musica” Stava entrando nel bagno delle femmine. Sapevo che se avessi indietreggiato mi avrebbe strattonata e spinta alla parete umidiccia del bagno quindi applicai i consigli di Yen,cioè cercai di applicarli.
Andai nella sua direzione e lo spostai per uscire dal bagno.
“Cosa pensi di fare?”
“Te l’ho detto,voglio andare in biblioteca ad ascoltare la musica.” Mi girai, ma lui mi prese per la vita e mi strattonò alla porta chiusa di una toilette.
Urlai, perché mi sembrò l’unica cosa da fare, ma lui mi tappò la bocca con la sua mano lercia.
Mi baciò con forza di nuovo. Di nuovo le mie labbra venivano violate per la terza volta.
Per la terza volta desiderai morire.
Per la terza volta iniziai a piangere.
Non avevo più la forza di tenere le labbra serrate e lui mi baciò per la prima volta con la lingua. Il sapore di fumo faceva schifo e la sua presenza era insopportabile. Tenevo gli occhi chiusi con tutta la poca forza che mi era rimasta e immaginai di baciare qualcuno di famoso, ma nulla.
“Sai che baci da dio?” Si staccò e piansi e mi accasciai per terra. Lui aprì la porta del bagno e tornò nel corridoio.
Ero sola a piangere nel bagno dei uno dei licei più belli di tutta Londra.
 
Ora ero a casa,mia madre al lavoro.
Mi gettai nella doccia e mi lavai tutta diverse volte.
Le mie labbra sanguinarono di nuovo come le mie gengive.
Mi misi il pigiama e andai in cucina e poi in bagno
 
6 strisce rosse. Josh Tern.

 

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Capitolo 4
*** Senza Gabbia. ***


Appena mia madre arrivò a casa io ero a letto. Il cuscino è bagnato dalle mie lacrime e sotto le coperte un asciugamano e tanto cotone asciugavano le lacrime che pulsavano dal mio cuore e che fuoriuscivano dolorosamente dal taglio.

“Megaaaan, sono a casa!”
La voce stanca di mia madre rimbomba nel mini-appartamento. Siccome la porta di camera mia da sul salotto mia madre entra subito.
“Megan, ti senti bene?”
“Si mamma sto benissimo, ero solo un po’ stanca”
La ferita si è rimarginata. Non avevo premuto molto anche perché sapevo che il pomeriggio dovevo andare da Sasha, la psicologa.
Mi alzo solo quando mia mamma è uscita dalla stanza e butto l’ovatta nel cestino. Guardo il calendario e le mestruazioni dovrebbero venirmi domani quindi dico a mia madre che ho tenuto l’asciugamano tra le gambe perché non trovavo gli assorbenti. Devo dire che questa mi era venuta bene e mi sono strappata una risata da sola.
Mentre vado in bagno per mettermi un assorbente mia madre mi urla dalla cucina.
“Megan prendi l’antidepressivo.”
“Lo prendo dopo Ma”
“No Megan, Sasha ha detto che lo devi prendere tutti i giorni alla stessa ora e ieri l’hai preso alle 18:00 e siccome ora sono le 18:00 lo devi prendere.”
“Veramente è un quarto”
“Megan, vai subito in bagno a prendere la pasticca”
Entro nel bagno e mi metto un assorbente che non servirà a nulla, ma comunque sento già i dolori di pancia quindi meglio prevenire che curare. Mi alzo la manica del maglione e tolgo i pelucchi di cotone dalla ferita. Il sangue incrostato mi fa tremare la mano. Il sangue mi scorre dentro e vederlo, anche se solo in una crosta, mi fa tanto schifo. Prendo un cerotto dal cassetto e copro la ferita.
Il mio water prende l’antidepressivo come sempre, gli farà bene.
Non ho ancora capito perché li dovrei prendere. Io vivo benissimo con le mie manie e non ho manie pericolose per l’umanità come il dover uccidere almeno 2 persone al giorno, in quel caso le prenderei quelle pasticche del cavolo, ma solo perché devo ripetere dei gesti quotidiani e mi devo lavare le mani non penso di dare noia a nessuno, no?
Esco dal bagno non prima di aver chiuso il porta-pillole arancione e di aver messo a posto la confezione di cerotti.
“Ma sono pronta”
 
Arrivati allo studio della mitica risolvi problemi, mia mamma mi guarda con un sorriso spento.

“Cosa c’è che non va Becca?”
Ogni tanto mi diverte chiamarla per nome per strappargli un sorriso e ci riesco.
Uoooo Megan 1-Becca 0.
“Ogni tanto penso a come saresti se ci fosse stato tuo padre”
“Ti prego chiamalo Devon”
“Non pensi che dovresti conoscerlo?”
“Mamma, sono così per colpa sua”
“Forse no.”
“Forse no cosa?”
“Forse dai la colpa a lui per quello che sei te. Perché devi dare la colpa a qualcuno te. Sei come lui.”
Megan 1-Becca 1000.

Sasha mi fa da psicologa da 2 anni e devo dire che non ne posso proprio più. Non mi piace come si approccia con me e non mi piace il fatto che una volta mi ha chiamata “testina malata”.
La sala d’attesa della psicologa fa schifo, diciamocelo. Lei fa da psicologa anche ai bambini piccoli quindi quando sto in sala d’attesa mi tocca stare nelle seggiole di plastica.
Odio i bambini. Sbavano, vomitano e si fanno tutto addosso. Mi ricordo che quando nacque mio cugino regali a mia zia del disinfettante. Mi disse che non sono tutti come me. Ups, regalo sbagliato.
Mia mamma mi guarda e ride. In effetti ogni volta che vengo qui sembro una suora di clausura che cerca di coprirsi le mutande. Queste cacchio di sedioline mi costringono a rannicchiarmi e a tenere le mani sulla gonna. Fortunatamente sono l’ultima della giornata sennò la cosa si farebbe davvero imbarazzante.
Una donna cicciottella mi chiama e mi fa cenno di entrare. Mi alzo da quella tortura di una sedia e saluto mia mamma.
“Megan, vado a fare la spesa, dopo torna a casa da sola”
Mi sorride e esce.
Prendo il mio giubbotto e la borsa e entro nello studiolo di Sasha. Lo studio ha un illuminazione perfetta e sogno sempre di farci delle foto. Lo studio è l’unica cosa bella dell’andare dalla psicologa.

Sasha è bassina con un caschetto color nocciola e gli occhi neri. E’ molto esile per la sua statura e incute tanto terrore. Non so come fa a lavorare con i bambini. Magari è l’altezza che inganna.
“Ciao Megan”
Cerca sempre di fare la dolce smielata, ma è una stronza e quindi non la saluto, mi metto a sedere e aspetto che i 55 minuti finiscano.
“Come va?”
“Male”
“Perché?”
“Perché sono qui”
Sto usando il tono più freddo al mondo. Non voglio far trasparire nulla, non voglio far trasparire Josh, non voglio farle capire che mi auto lesiono. Tecnicamente dovrei dirglielo, ma ogni mese lei ha un appuntamento con mia madre per discutere della mia situazione.
“Come va con gli antidepressivi?”
“Bene”
Al water piacciono molto.
“Allo scorso colloquio mamma mi ha detto che continui ad avere le tue manie, è vero?”
“Bho, forse.”
“Megan, dai puoi dirmelo”
Gli scaraventerei la borsa in faccia, solo che dentro c’è la mia lomo e non lo farei per nulla al mondo.
“Ok, mi lavo le mani, ho le mie manie e mi piace igienizzare qualunque cosa. Tutto ok, vivo, mangio e faccio tutte le cosa che le persone normali a questo mondo fanno.”
“Gli antidepressivi allora non funzionano”
Invece si, a quanto pare non abbiamo più problemi di scarico.
“Gli antidepressivi, come dice la parola, sono per i depressi. Io NON SONO DEPRESSA”
Ok ho urlato. Non dovevo far trasparire nessuna emozione, ma io sta qui la odio.
“Megan ti servono, ti aiutano”
“Oh mi aiutano? A fare cosa? A non essere più Megan? A essere uno stereotipo umanitario? No, mi dispiace, ma non lo sarò mai.”
“Non è questione di principio Megan, è questione di salute!”
“Salute mentale? Sto benissimo, ho le idee chiarissime sul mio futuro lontano e quello imminente.”
Prendo la borsa e mi alzo. Un ciuffo dalla treccia che mi ero fatta mi ricade sul viso.
“Megan dove vai?!”

“ Affanculo lontano da lei.”

Esco, sbatto la porta. Scendo le scale e tiro fuori iPod e la macchina fotografica.
Londra è fantastica e c’è una luce pazzesca.
Accendo la macchina fotografica e il rumore dell’otturatore mi rilassa, mi metto le cuffie e la musica mi riempie.

Mondo:off Megan:on

 

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Capitolo 5
*** Chi sono? ***


Aprii la porta di casa con la piena consapevolezza che Sasha aveva inviato a mamma un messaggio o magari l’aveva chiamata, ma io speravo di no.
Purtroppo la psicologa genio aveva chiamato e mia mamma era seduta a tavola con una tazza di tè davanti e dei biscotti. Le avevo inviato un messaggio dicendole che avrei mangiato fuori.
“Megan cosa devo fare con te? Togliti le scarpe.”
Mi tolsi gli anfibi zuppi d’acqua e li appoggiai nel tappetino delle scarpe.
“Mamma, io quella donna non la sopporto e non voglio che faccia parte della mia vita.”
“Lei ti aiuta.”
“A fare cosa? A rendermi stupida? A farmi sentire imperfetta? Io non voglio lasciare le mie manie, sono io e non voglio e soprattutto non devo cambiare per quello che mi dice una stupida psicologa.”
Me lo sentivo. Stavo per litigare con mia mamma. Mai successo, ma questo è il limite.
“Megan devi capire che te non stai bene, te sei malata.”
“Le persone che stanno male hanno la febbre e vomitano e io non faccio nulla si questo.”
Vado in bagno per lavarmi le mani perché mi sono tolta le scarpe.
“Anche questa cosa delle mani è ridicola!”
Urla mia madre dalla sala da pranzo mentre mi raggiunge in bagno.
“Mamma non è ridicola, mi sono tolta le scarpe e le scarpe fanno schifo”
Inizio a sfregare la saponetta velocemente e mentre mia mamma mi urla in faccia, cosa che non ha mai fatto, perdo in continuazione il conto.
“Uno. Due. Tre.”
“Megan cosa stai dicendo?”
“Quattro. Cinque.”
Mia mamma arriva in bagno e mi picchia le mani facendomi cadere la saponetta nel lavandino.
Io la riprendo fissando il vuoto e inizio a contare di nuovo, ma stavo sfregando la saponetta con troppa velocità.
Troppa velocità.
Lo sfregamento continuo della saponetta, l’acqua fredda e le urla di mia madre mi stavano rintontendo.
E poi eccolo.
Un taglio sulla mano causato dal troppo strofinamento mi stordisce.
Poi, il buio totale.
Sento le urla di mia madre e poi nulla di più.

Mi sveglio che sono all’ospedale con una flebo in un letto che come minimo è pieno di germi.
Inizio ad agitarmi, ma poi noto che nel comodino c’è una bottiglietta di igienizzante.
Molto probabilmente mia mamma ha detto del mio problema hai medici. Mi giro e mi riempio le mani e in quella con il taglio noto che c’è una benda.
Lascio scorrere il liquido tra le mie mani e mi sento libera e leggera.
I medici entrano e ordino a uno di quelli di togliermi la flebo perché io ho paura degli aghi.
Lui mi risponde, con un irritante accento gallese, che ‘E’ per tranquillizzarmi”.
In effetti mi sento alquanto leggera, tipo una farfalla.
Il dottore mi dice che è una soluzione a base di oppio.
Bello l’oppio.
Mia mamma entra in stanza con una persona che non riesco bene a mettere a fuoco
“Mamma chi c’è con te?”
Immaginatevi una ragazza con una flebo, i capelli tutti scompigliati e le mani tutte bagnaticce in un letto d’ospedale. La cosa fa molto ridere e dalla risata riconosco Yen.
“Bella Megan, quanto sei carina.”
“Faccio un baffo a Megan Fox.”
“Solo il cognome Meg, il cognome”
Rido e mi sento meglio. Mamma esce dalla stanza e lascia me e Yen a parlare.
“Perché sei venuta?”
“Mi ha chiamato tua mamma dicendomi che non ti eri sentita bene.”
“Ti ha detto che mi devi forzate a prendere antidepressivi? Perché per me può venire Buddha in persona, ma io quella droga non la prendo.”
“Si me l’ha detto. Ma io non ti forzerò Meg.”

Piango. Piango di dolore. Mia mamma ha chiesto a una mia amica di forzarmi a fare una cosa che non voglio.
Dov’è qualcuno che mi capisca?
Dov’è mio nonno? Nessuno capisce chi è veramente Megan.
“Oh Meg, non piangere.”
“Non ce la faccio Yen. Capiscimi, so che è difficile.”
Sorrido. E’ un sorriso amaro.
“Vabbè, aspetterò che mi dimettano .”
“Appena ti dimettono inviami un messaggio o chiamami.”
“Va bene Yen.”
 
Camera mia dal letto è veramente bella. I muri pieni di foto che ho fatto, di foto di Capa e di Cartier-Bresson, il mio mac, i rullini fotografici e la finestra che da su earl’s court.
Neve.
La neve per molti è bellezza e felicità. Per me la neve è una donna, una donna difficilissima da fotografare. Devi catturare l’attimo e scattare in centesimi di secondo perché un solo raggio di luce può cambiare la foto, le emozioni che dovrebbe trasmettere.
Ogni anno che nevica io corro per la città a cercare di catturare quella donna magnifica.
Anche quest’anno sono in giro per la mia bellissima città contornata di mistero.
Il cielo grigio e la neve formano un insieme di drammatico e romantico.
Ho in mente la foto.
Corro fino al Millenium Bridge dalla stazione di Blackfrias e lo percorro tutto, fino alla fine.
La gonna a balze bordeaux svolazza e fa molto freddo, ma le foto sono ciò che mi permettono di esprimere veramente me, di trasformare il mio dolore in negativo, in una pellicola magica.
Eccola.
La cattedrale di Sant Paul.
Mi sono portata dietro un obbiettivo particolare per immortalare questo momento.
Un miscuglio di arte classica e moderna contornata dal silenzio mattutino, rasserenata dalla donna del mistero che veste di bianco.
Uno scatto, un click.

Tutto ciò che sono viene solo capito da un oggetto con un diaframma e un otturatore.
Anche noi abbiamo un diaframma che è essenziale per respirare, solo che io non ce l’ho.
Il mio diaframma, il muscolo che mi permette di respirare, di vivere non è dentro di me.
E’ dentro le mie macchine fotografiche. 

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Capitolo 6
*** Liberazione. ***


Continuai a girare per Londra, primo perché a casa non ci volevo restare e non ci volevo andare e secondo perché la neve mi deprime.
Mi deprime perché è irraggiungibile.
La foto di Sant Paul è venuta bene, ma non riesco a immortalare il Tower Bridge. Mi sento così inutile. Fotografare è l’unica cosa in cui riesco bene, l’unica cosa che mi piace e quando non riesco a fare una foto mi deprimo.
Ma ora la luce era cambiata, era cambiata per quel tempo che dura dieci e solo dieci secondi. Stavo per scattare una delle foto più belle della mia vita quando sento delle grida e delle risate. Mi concentro, ma non c’è nulla da fare.
Una palla bianca si spappola sul mio braccio e di conseguenza qualche gocciolina d’acqua cade sulla lomo.
“Cazzo.”
Pensavo di averlo detto sotto voce, ma l’irritante tono di Josh mi fece capire che avevo, diciamo, urlato.
Ora che ero immersa nel mio mondo, ora che ero in compagnia di me stessa, dentro una confortante bolla, questa viene scoppiata da un ago.
“Rigby abbassa la cresta”
Era con il suo gruppetto e si pavoneggiava. Quando è con i suoi amici la sua indole da deficiente aumenta e diventa ancora più manesco e sboccato.
“Eddai Josh smettila di fare il cazzone”
Wow, sono stata così brava a dirglielo in faccia da sola? No. Era Yen con il suo gruppo di amiche che guardavano impaurite e ammaliate Josh. Con le sue amiche c’erano due ragazzi, uno era Michtel, il ragazzo di Yen e l’altro non l’avevo mai visto.
“Uuuuuh è arrivata l’amichetta!”
Il coro di capre dietro Josh era davvero intonato e quel verme sfoderò un sorriso che gli si stampo in faccia.
Corrugai la fronte e misi un braccio davanti a Yen. Non ci doveva e non ci poteva essere sempre lei. Dovevo cavarmela da me ora. Da sola.
“Cosa fai Rigby? Mi vuoi leccare il cazzo?”
E i suoi amichetti si mettono a ridere e Josh continua imperterrito con il suo sorriso.
Mitch mi si avvicina e mi chiede se ho bisogno d’aiuto. Gli dico di togliermi Yen di torno perché so che mi ostacolerebbe in ciò che stavo per fare.
“Per prima cosa, pezzo di merda, io ho un nome e se vuoi che ti lecchi il tuo cazzo inizia a chiamarmi Megan”
Mi ero fatta sentire e ciò mi dette una scarica di adrenalina incredibile. Sentivo il taglio che portava il suo nuove pulsarmi nel polso. Sentivo che urlava vendetta. E gliela stavo per dare.
 “Va bene, Megan.”
Josh scandisce bene il mio nome.
Stavo tremando dentro, ma non dovevo farlo vedere.
Josh inizia ad avvicinarsi.
“E ora che ti ho chiamato Megan?”
Mi prende il viso e sapevo che il suo intento non era baciarmi, ma sfigurarmi davanti a tutti. Ma oggi no, oggi sarebbe finito tutto.
“Per seconda cosa leva le tua mani schifose dal mio viso.”
Mi liberai da quella morsa. Appunto per dopo:lavarsi le mani.
“Terza cosa, mi hai rotto Josh. Ma chi ti credi di essere? Solo perché hai delle caprone come amici, solo perché molte ragazze vorrebbero scoparti e solo perché ti senti figo non puoi entrare nella mia vita senza il mio permesso, cazzo.”
Mi sentivo libera, ma non del tutto. Volevo leggergli negli occhi la rabbia e sapevo come fare.
Nella sua faccia era stampato ancora quel sorriso beffardo.
“Cosa vuoi fare Rigby?”
Mi avvicinai a lui quasi come per baciarlo. Gli slaccio i pantaloni.
“Megan, ho detto Megan.”
Un boato di risate si snodò nell’aria.
Il ragazzo che mi aveva torturato ora si godeva le risate della sua banda. Ridevano troppo, Ok gli avevo tirato giù i pantaloni e non è poi così divertente, ma loro continuavano a ridere.
Vidi il viso di Josh rosso di rabbia. Mi allontanai e Yen mi dette un high-five mentre continuava a ridere. Mitch mi fece segno di girarmi e scoppiai a ridere.
Presi l’igienizzante e mi lavai le mani e caricai la mia macchina fotografica che ora era diventata potente come una pisola.
Scattai una foto a quello scenario pazzesco. Una sola parola per descriverlo.
Porcellini.
Delle docili mutandine con dei porcellini.
“Ciao Josh, ti voglio bene”
Si girò nella mia direzione e mi stampai in faccia il suo stesso sorriso beffardo. Lui mi mando affanculo mentre di tirava su i pantaloni.
Mi unii a Yen e al suo gruppo che si dirigeva a uno Starbucks per prendere qualcosa.
 
Entrate nella caffetteria vicino alla Tower of London, il ragazzo che non conoscevo deve andare via. Non lo avevo inquadrato bene e non mi ricordavo neanche la sua faccia.
Mentre ordino il mio frappuccino sento il rumore della pioggia.
Questo non ci voleva.
La pioggia scioglie la neve e sinceramente domani non mi va di andare a scuola perché ho il test di matematica e io e la matematica non siamo proprio così amiche.
Mentre pago il mio pseudo-caffè mi ricordo che domani ho anche la lezione sul libro a piacere e sta a me sceglierlo. Ai miei compagni aspetterà un’illustrazione de “La lettera Scarlatta”.
Mentre mi dirigo al tavolo Yen mi tira un puffetto.
“Sono fiera di te Meg.”
“Anche io.”
“Mi dispiace di non averti presentato Cadwgan, è dovuto andare via di corsa perché si è appena trasferito”
“E’ mio cugino!” Urla Mitch.
Cadwgan è uno dei nomi più strani e più interessanti che abbia mai sentito.
“Dove va a scuola?”
Chiedo.
“Viene da noi, con il fatto che c’è Mitch lui si sente più sicuro con lui.”
Lea, dopo avermi detto questo a pronunciato il nome di Cadwgan in un modo molto buffo e siamo scoppiati tutti a ridere.
 
Mentre tornavo a casa sono passata in pasticceria a prendere il dolce preferito di mia madre. Sentivo nel braccio la settima riga. La interpretavo come un peccato. Non potevo aver dato il nome di mia madre a una striscia rossa. Non potevo. Ma l’avevo fatto.
Nonostante tutto ero felice, avevo fatto della foto belle e mi ero liberata di un mostro.
La pizza sulla tavola di casa e il sorriso di mia mamma mi accolsero nel migliore dei modi.
“Scusa Meg. Mi dispiace.”
“Nulla Ma, dispiace a me.”
E mentre la tv dava in replica “Friends” io e mia madre facemmo pace e parlammo tutta la sera.

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Capitolo 7
*** Amy e Chuck. ***


“Allora la verifica di matematica?”
“Diciamo che opto a una B per non rovinarmi la media!”
Rispondo a Sarah, la ragazza che fa matematica con me.
E’ un genio. Io invece a matematica non ci cavo niente.
Zero assoluto.
Nell’ultimo compito ho preso una C che ho recuperato con un’interrogazione e spero che questo compito non mi porti la media a C.
Di nuovo.
“Cosa hai ora Megan?”
Sfodero un sorriso di liberazione e gioia.
“Letteratura.”
Io e Sarah abbiamo la stessa insegnante, la signora Karls e la presentazione del libro è un progetto che coinvolge tutte le sue classi.
Sarah mi ha detto che aveva illustrato “Il signore degli Anelli-Le due Torri” e che era riuscita a vincere un po’ della sua timidezza parlando del suo libro preferito.

Mentre entro nell’aula della Karls saluto Sarah e noto che la prof sta parlando con un ragazzo che non mi è nuovo.
L’unico posto libero è infondo alla classe, quindi percorro la stanza, poso la mia roba e prendo un libro verde decorato d’oro.
Il mio libro.
Mentre prendo gli appunti per l’esposizione orale la voce della Karls mi chiama.
“Megan ho già presentato il nuovo ragazzo alla classe e penso che lo debba rifare per lei.”
Mi giro e noto che quel ragazzo è Cadwgan.
Non ho fatto caso al suo viso e alla sua persona, ma ho puntato gli occhi sul libro che teneva in mano.
Non ci voleva.
“Siccome è nuovo e suo cugino frequenta la nostra scuola è stato informato per tempo sul progetto-libro.”
No. No. No.
Lei sa che se i miei piani vanno all’aria cado nella depressione più assoluta.
Sa che la mia ossessione non coinvolge solo l’igiene, ma anche nelle pianificazioni.
Mi metto a sedere e tamburello le dita sul piano del banco mentre prendo l’igienizzante.
“E vorrei far fare a lui la prima presentazione di questa classe. Lui si chiama Cadwgan Millow. Prego Cadwgan.”
Mentre riponevo il mio amabile libro in cartella, una voce profonda, maschile e rassicurante richiama la mia attenzione.
Quella voce pronuncia il titolo di un libro che mi ha cambiato la vita.
Solo a sentire quel titolo la mia anima si svuota e cade nel profondo.
E’ un libro non di letteratura classica e sinceramente non mi sarei neanche aspettata che qualcuno lo proponesse, ma dentro è racchiusa la mia vita.
Mi chiamo Chuck, ho diciassette anni e, stando a wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo” di Aaron Karo.
Mentre mi igienizzo le mani ascolto con attenzione la spiegazione del libro e trovo che Cadwgan sappia parlare molto bene.
Ora è tutto chiaro. Voleva farmi vivere il mio disturbo in terza persona.
E il mio disturbo è una cagata.

La Karls, allora, guarda me, poi Cadwgan, poi fa una domanda al ragazzo.
“Cosa ne pensa di Chuck, cosa pensa delle persone affette da questo disturbo?”
Da questo momento in poi penso di aver ascoltato la fine della sua spiegazione con la bocca semi-aperta, affascinata dalle parole del ragazzo.
“Le persone che soffrono di questo disturbo penso che si sentano inadatte e sole come Chuck.
Lui ha solo un amico e un mondo che non è adatto a lui, ma poi quando arriva lei, Chuck riesce a prendere una versa svolta nella sua vita.”
“Bene. Ora possono procedere con le domande da posto.”
Quasi tutta la classe di letteratura si gira verso di me, tranne qualcuno che è intento a domandare a Cadwgan.
Il ragazzo si destreggia bene. Voglio rendergli il tutto molto difficile.
Alzo la mano e la Karls mi incita a parlare.
“Perché prima hai detto che Chuck aveva bisogno degli antidepressivi e ora hai appena finito di dire che Amy è colei che l’ha aiutato di più?”
“Perché mentre prendeva gli antidepressivi Amy non c’era.”
“Sbagliato. Lui prendeva gli antidepressivi anche mentre c’era Amy.”
“Ma lui la stava aspettando.”
“E se non fosse mai arrivata?”
La campanella sua e con un sorriso beffardo saluto la Karls.

Appena sono fuori dall’aula attacco bottone con Cadwgan per scusarmi.
“Cadwgan, scusa per prima”
“Non importa.”
Mi dice con il sorriso in bocca mentre camminiamo per il corridoio.
“E’ che quel libro mi ha cambiato molto.”
“Perché lo conoscevi?”
“Si..è molto importante per me.”
Mentre stavo per entrare nel laboratorio di chimica, qualcuno mi afferra per un braccio e, con una spinta, mi getta a terra.
Sbatto la testa per terra e qualcuno mi sputa addosso.
“Vaffanculo brutta puttanta.”
Josh.
Lui non sapeva che ora chi comandava ero io.
Non stavo poi così male, ma siccome nella mia scheda scolastica c’è scritto che sono malata mentalmente fingo un attacco d’isterismo.
Secondo la legge scolastica di tutta l’Inghilterra chi maltratta un disabile è punibile penalmente.
Io, secondo tutti gli psicologi del mondo, lo sono.
Mentre mi dimenavo nel pavimento mi sono accorta della saliva e stavolta ho iniziato a sentirmi male veramente.
Penso anche di essere svenuta.

Quando mi risveglio degli occhi marroni mi stanno fissando e quella stessa persona mi sta pulendo il viso e poi mi rifà la treccia.
Mi giro in direzione della porta della infermeria e vedo Yen.
“Grazie Cadwgan per averla aiutata. Meg hanno espulso Josh.”
Cadwgan? Josh? Troppe cose insieme.
Faccio un attimo mente locale e poi guardo Yen.
“Espulso?”
“Si, espulso.”
Sorrido. L’incubo è finito. Il mosto che mi ha uccisa e sterminata dentro è morto. Non esiste più.
Yen mi bacia la fronte e esce dicendomi che ha lezione.
“Chi era quello nel corridoio?”
“Un mostro.”
“Yen mi ha detto che sei ossessivo-compulsiva.”
“Veramente? Non lo sapevo”
Ridiamo.
“Prendi gli antidepressivi?”
“Il mio vater si, io mi rifiuto.”
“Perché?”
“Perché aspetto il mio Amy maschio.”
Cadwgan sprofonda in una risata. Di colpo mi ricordo che le mie braccia sono segnate da brutti ricordi e mi chiedo se li ha visti.
“Ma mentre mi hanno portato qui mi è caduto il golf?”
“Si. E tutti ti hanno visto il seno.”
Ok, non mi aveva visto i tagli.
Mentre esce per andare a lezione entra l’infermiera che squadra me e Cadwgan.
“Come ti chiami?”
“Megan Rigby.”
“Vuoi stare da sola o vuoi che il tuo ragazzo resti qui con te? Posso fare una giustificazione a lui se non vuoi stare da sola.”
Cadwgan si gira e mi sorride. Ma che cazzo fa?
Io non so che fare perché la situazione è molto imbarazzante e allora lui si dirige verso di me e posa la mia bottiglietta di igienizzante sul comodino.
“Non ha bisogno di me, ha solo bisogno di quella boccettina. Arrivederci.”


Ho forse trovato la mia Amy maschio?

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Capitolo 8
*** Help. ***


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Uscita da scuola mi sentivo in colpa per Josh.
Non sapevo perché dato che fino a quel giorno mi aveva rovinata e basta, ma sapevo che avevo finto per metà e dovevo scusarmi.
Per questo, uscita da scuola, chiamai mia mamma e le dissi che avrei fatto tardi.
Successivamente chiamai la mamma di Josh.
In segreteria mi avevano dato il suo numero nel caso volessi parlare con lei del comportamento di suo figlio.
Non le avevo mai parlato.
Doveva essere una donna forte per aver cresciuto un ragazzo così tremendo e non essersi uccisa.

“Pronto?”
“Salve, sono Megan, Megan Rigby..So che non vorrebbe parlare con me, ma volevo venire a fare visita a Josh oggi.”
“Non ti preoccupare, so cosa ti ha fatto mio figlio e penso che sia lui quello che deve chiedere di te.”
Sapeva? Sapeva delle violenze?
Sapeva che mi aveva distrutto dentro?
No, non lo sapeva.
Non sapeva neanche che gli avevo abbassato i pantaloni.
o non avevo detto niente a nessuno e avevo scongiurato anche Yen.
La sua voce era dolce e limpida.
Il contrario di Josh. Josh è il diavolo e lei l’angelo.

Si chiama Freira.
Penso di aver pronunciato male i suo nome una miriade di volte e mi ha detto che è inventato perché suo padre era uno scrittore fallito.
“Freira è un nome bellissimo.
Io mi chiamo Megan perché mio padre era un cantante fallito e quando era giovane vide una bambina.
Le chiese come si chiamava e lei disse Megan. Scrisse una canzone per lei e da quel momento decise che mi sarei chiamata in quel modo.”
Mia madre mi raccontò questa storia tante volte da piccola.
Diceva che poi io cercavo qualcosa per casa e quando lei mi chiedeva cosa, io rispondevo che stavo cercando papà.
Dopo aver parlato con la mamma di Josh, lei mi disse che lui era in casa e mi dette l’indirizzo.

Casa di Josh si trova nel Chelsea, non molto lontano da dove vivo io. Presi la metro e scesi a West Brompton.
Arrivata a casa sua non sapevo se suonare il campanello o attraversare il giardinetto e poi bussare.
Presi una salviettina e l’igienizzante.
Misi un po’ di igienizzante nella mano e lo riposi nella cartella e con un gesto veloce suonai il campanello con la salvietta, la gettai a terra il più lontano possibile e iniziai a lavarmi le mani.

Josh era vestito con con jeans, maglietta e felpa. Io non ero passata da casa e avevo ancora l’uniforme.
Senza dire una parola chiude la porta e apre il cancellino.
Con il fianco destro apro il cancellino e con il sinistro lo chiudo.
Attraverso il giardino con la paura che mi possa fare male.
Arrivata alla porta busso e Josh mi fa entrare. Le pareti piene di foto di un bambino, molto probabilmente Josh, con suo padre o con sua madre.
Le guardo ammirate.
Con la coda dell’occhio guardo Josh.
“Mia madre mi ha chiamato e mi ha detto che saresti venuta. Ho preso due pizze. Se vuoi puoi usare il telefono di casa per chiamare tua madre e dirle che resti qui.
Non puoi ritirarti perché sennò Freira si incazza con me.”
Disse tutto senza neanche respirare. Lo guardai e sul suo volto comparve il suo solito sorriso. Avevo paura.
“Le invio un messaggio, non ti preoccupare.”
Mia madre non sapeva delle cosa che Josh mi aveva fatto e mi disse che andava bene.
“Bella questa foto.”
Dissi prendendo in mano la foto con una ragazza vestita di nero e una bambina elegante che lei tiene per mano.
“E’ Freira con mia sorella a Halloween.”
Poi nel petto della donna vidi una A rossa.
Stavano interpretando “La lettera scarlatta”. Oggi era la giornata di Nathaniel Hawthorne.

Mi misi a sedere.
Non mangiai perché avevo lo stomaco chiuso e anche perché odio mangiare davanti alle persone con le quali non ho un bel rapporto.
Nemmeno Josh mangiava.
“Io, Megan, non ti chiederò mai scusa perché tu non mi sei mai piaciuta. Pensavo che avrei potuto portarti a letto come tutte le altre ragazze che mi sono fatto, ma poi ho scoperto che sei tutta rincoglionita.”
“Sai vero che ti hanno espulso?”
“Sai vero che il ragazzino biondo che ti ha portato in infermeria ti vuole scopare proprio come volevo fare io?”
“Né io né te lo conosciamo bene. Andiamo in classe insieme e siccome, a differenza tua, lui ha un cuore, ha pensato bene di aiutarmi.”
Silenzio. Solo ora mi accorsi che gli occhi di Josh erano grigi. Grigi come il cuore di pietra che aveva in petto.
“Ti sei mai innamorato Josh? Hai mai pensato a una ragazza in modo morboso? Hai mai voluto baciarla? Eh, Josh ti è mai capitato? Penso proprio di no. Non saresti così stronzo, così rigido, così vuoto se tu ti fosti innamorato, anche solo una volta.”
Detto questo rimisi la foto al suo posto, presi la mia giacca e me la misi.

Raccolsi la cartella da terra e mi girai per salutare Josh.
Josh però piangeva. Josh piangeva. Non sapevo che cosa fosse successo. Forse era per quello che avevo detto?
“Josh..Io non volevo..”
“Megan, vattene.”
Rimaneva lì seduto, nella stessa posizione.
Fissava il vuoto e piangeva. Mi aveva chiamato con il mio nome. Qualcosa non andava.
E non andava di brutto.
Mi accovacciai vicino alla sua sedia e lui si girò.
Piegando la testa chiuse gli occhi e delle lacrime mi bagnarono il viso.
Si stava avvicinando e mi voleva baciare. No,non ancora.
Sgranai gli occhi e mi alzai con troppa foga.
Caddi per terra, ma subito mi misi a spalle al muro per non farmi prendere. Stavo respirando affannosamente.
Josh inizia a singhiozzare e a piangere rumorosamente. Mi alzo da terra e mi dirigo verso la porta.
“Ciao Josh.”
Chino sul tavolo, le maniche della felpa arrotolate e con le mani che gli cingevano la testa mi disse una cosa.
Una cosa che non scorderò mai.
Una cosa che mi ha fatto capire che tutti hanno un cuore.
“Ti ho fatto odiare i baci che sono l’unica cosa bella in questo mondo di merda.”
Buttai la cartella a terra. Josh e io eravamo affini in poche cose.
Mentre mi avvicinavo a lui notai delle strisce rosse sul suo braccio sinistro. Ne sfiorai una. Era ancora leggermente aperta.
Non gli feci vedere le mie perché lo avrebbe detto a tutti.
Lo presi per il braccio destro e lo alzai. Guardandolo in faccia gli chiesi il perché.
“Tu hai parlato con Freira giusto?”
Capivo a stento quello che diceva a causa dei singhiozzi.
“Si, ho parlato con lei.”
“Bene, lei non è mia madre. E’ la puttana che mio padre ha sposato dopo la morte di Ann.”
Capii immediatamente che il dolore che aveva lui dentro, era più forte del mio. Mio padre era vivo da qualche parte nel mondo. Ma sua madre no.
“Josh…mi dispiace. Io non so cosa dire.”
“Megan, ora fai parlare me, ti prego.”

Tenevo ancora il suo braccio con la mia mano. Non la lasciai.
Il mio disturbo era annullato lì dentro, dove la sofferenza stava logorando quel ragazzo.
La sofferenza gli aveva mangiato il colore degli occhi.
“Io, Megan, ho fatto quello che ho fatto perché tu ti chiami come mia madre.”
Mi cadde il mondo addosso. Chi era Ann? Ero troppo confusa.
Apri leggermente la bocca per parlare mentre i miei occhi si inumidivano.
Josh ribadì il concetto che dovevo stare zitta.
“Mia madre si chiamava Megan. Mia sorella Ann. Mia mamma aveva il cancro. Il cancro le venì quando era incinta di me.
Era al settimo mese di gravidanza. La squartarono per potermi salvare. Mia sorella, invece, è morta in un incidente. Era in macchina con quel cretino di mio padre.
Lui è sopravvissuto, ma lei no.”
Cercai di non piangere perché Josh, nel frattempo, si era accasciato su di me.
Disse che aveva visto delle foto di sua madre e che io ero tanto bella come lei e che quando lo rifiutai si sentì come se sua madre fosse morta di nuovo.
Disse che doveva baciare una Megan perchè la sua Megan non aveva avuto il tempo.
“Josh, io e te non possiamo stare insieme. Tu sei la persona più sbagliata per me e lo stesso vale per te.”

Presi il mio igienizzante e mi lavai le mani. Lavai anche le mani di Josh e le misi sul mio viso.
“Quello che farò ora, per me non significherà nulla. Ma voglio che questo Josh resti per sempre, perché è più umile.
Non è il rozzone che mi ha uccisa dentro. E’ il Josh che tutti devono conoscere”
Lo baciai. Mi fece schifo, ma non aveva mai baciato sua madre e aveva sofferto per colpa mia, come io avevo sofferto per colpa sua.
Mi accompagnò alla porta. Lo salutai con un bacio sulla fronte.
“Non ti ho fatto odiare i baci?”
“No, Josh.” E piano piano, un colorito marrone ritornò negli occhi di quel ragazzo.
 
“Meeegan! Stasera super festa a casa di Mitch, non puoi mancare!”
La voce di Yen rimbombò per tutta la casa.
Ed eravamo al telefono.
“Yen? Ma sei pazza? Sei che odio le feste!”
“Dai! So che hai dei vestiti bellissimi e so che un po’ di svago ti serve!
Domani c’è assemblea dei prof e scuola è chiusa! Dai dai dai!”
Mia mamma entrò in camera e mi sorrise.
“Dai Yen convincila!”
Urla mia mamma.
“Ok, ok, due contro una, non posso competere. A che ore?”
“Alle 9, fatti bella e lasciati quei capelli sciolti.”
“Va bene a dopo!”
Chiusi la conversazione e cercai nel mio armadio qualcosa di decente.
Optai per un vestito azzurro a metà coscia, del collant neri e delle calze alte.
Andai in cucina a mangiare qualcosa, anche perché a pranzo non avevo mangiato nulla.
Mia madre mi chiese come era andata da Josh.
Le dissi che era andata bene.

Ora mi sembrava di portate addosso a me anche la sofferenza di Josh.
Mentre mi lavavo i denti mi prese la strana idea di guardare i miei tagli.
Presi un cerotto e lo misi sul taglio di Josh. Lui non aveva colpa di niente.


ringrazio hingus per avermi detto detto come mettere l'immagine.
cercatela e flippatevi con le sue storie.
Adios.

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Capitolo 9
*** Confusa. ***


Mentre andavo a casa di Mitch, dall’altra parte della città, mi pentii di essere andata in motorino.
Faceva un freddo cane, ma non mi andava di prendere la metro alle 10 di sera, piena di drogati e maniaci.
Mitch è la persona più casinista e festaiola del mondo, quando ha la casa libera si diverte a fare delle feste con tutta scuola, il che comprende più o meno mezza Londra.
Infatti quando entro in Great Russel Street, la strada di casa sua, sento già la musica rimbombare.

Yen mi aveva inviato un messaggio dicendomi di entrare nel cancello e che Mitch mi aveva lasciato il posto per il motorino.
Mentre parcheggio la mia vespa verde escono dei ragazzi di scuola nostra in mutande e già ubriachi.
Per questo non mi piacciono le feste, sono piene di persone ubriache e di morti di figa.

“Uèè Megan!”
“Ciao Mitch! Già ubriaco?”
“Eheheh, sai, era dell’ottimo Jack Daniel’s.”
Potevo però contare ancora su Yen per passare la serata.
“Megan, quanto sei figa!”
Mi giro e vedo un’asiatica con delle mutande da uomo in testa.
Ok, avevo perso anche Yen.
“Senti Meg” inizia Mitch “so che non sopporti le feste e che ti fanno schifo, ma mentre ero sobrio ti ho prepattato uno scatolone con delle cose che ti serviranno, sono una macc..”
Mitch non aveva finito la frase perché una figura bassa, snella e asiatica gli si avventò addosso.
Yen era fuori come un balcone.

Vedo una scatola nera sopra un tavolino in disparte.
La apro e trovo una macchina fotografica, degli igienizzanti e un vestitino che tecnicamente dovevo mettere.
Era orrendo e appena misi in salvo la macchina fotografica e gli igienizzanti un tipo ci vomitò sopra.
Aveva intuito che avrei dovuto fare le foto alla gente ubriaca.
Proprio il mio prototipo di foto.

La mia serata passò lentamente e pallosamente.
In continuazione le persone mi chiedevano di fare foto e successivamente mi lavavo le mani perché alcuni ragazzi, antipatici e ubriachi, mi mettevano dei bigliettini con i loro numeri nell’orlo delle calze nere.
Uno però mi ha fatto ridere, c’era scritto “ANAL-COUPON”.
Penso di aver riso per 5 minuti, ma tutti erano occupati a ubriacarsi e a pomiciare che nessuno ci fece caso.
“Che carina che sei stasera!”
Mi giro per chiedere se voleva una foto, quando degli occhi marroni-chiaro mi riempirono.
Mi iniziai a sentire male.
Era una strana sensazione e, siccome avevo mangiato poco per cena, pensavo di avere un calo di pressione.

“Meg, tutto ok?”
La mano di Cadwgan si posò sulla mia spalla e un sorriso si accese sulla sua faccia.
“Si tutto ok, penso di aver avuto un calo di pressione, sai, troppe persone.”
“Andiamo fuori allora”
“Fuori dove?”
Siccome Mitch non ha un giardino e erano le 11 passate non mi andava di andare in giro per Londra a caso.
“A fare un giro.”
“Senti Cadwgan, non mi piace andare in giro per Londra la sera tardi.”
Ma il biondino non voleva sentire ragioni. Iniziò a supplicarmi e mi venne in mente la terrazza.
“Mitch ha una terrazza sul tetto della casa” parlavo piano anche se nessuno mi avrebbe filata di striscio, se non Cadwgan “andiamo lì, ok?”
“Va bene. Però portiamo un po’ di birra.”
“Sono astemia”
“Te, io no.”
 
Nella terrazza faceva un freddo cane anche se avevo il giubbotto.
Stavo morendo, però c’erano le stelle e decisi di fare una foto.
Ora che una di quelle foto era leggermente decente iniziai a sentirmi meglio.
Io e Cadwgan, che per comodità ho iniziato a chiamare Cad, ci siamo messi a sedere per terra.
“Ti va di parlare?”
“Strano, mi sarei immaginata un ‘ti va di scopare’”
Oh quanto sono burlona. Cad mi squadra per la brutta battuta.
“Va bene, chi inizia?” chiesi.
Cad finisce la bottiglia di birra e la mette per terra.
“Facciamo che decide lei.”
Mentre quella bottiglia girava mi sentivo un po’ male. Non volevo iniziare io a parlare. Cadwgan sa che soffro di OCD e dei miei attacchi. Dovevo trovare qualcosa di carino da dire, però non mi veniva in mente niente.
Quella cazzona di una bottiglia scelse me e, siccome uno schizzo di birra mi prese la gamba, la pulii con l’igienizzante e in seguito mi lavai le mani.
“Bene, questo lo sapevi.”
Cad mi sorrise. Era veramente carino mentre sorrideva.
“Ehm…” non avevo un cavolo da dire quindi, non so perché, dissi la cosa più imbarazzante del mondo “sei veramente carino mentre sorridi. Cazzo.”
Cadwgan iniziò a ridere e successivamente iniziai io.
“E come sono mentre rido?”
“Io ho detto che sei carino mentre sorridi, non mentre ridi. Sta a te.”
“Bene..siccome io so della tua…”
Indicò l’igienizzante con fare colpevole. Cavolo, era anche carino mentre faceva questo.
“Penso di doverti dire una cosa importante.”
“Spara.”

“Io non sono quello che credi.”
“Sei un robot?”
Non sorrise anche se io ero partita in quinta con una risatona.
“Scusa, continua.”
“Io non sono spavaldo, ma sembra che tu ti sia presa una cotta per me, so che è da scemi dirlo e sappilo, mi sento veramente scemo.”
Io non avevo una cotta per lui. Ok è carino, è simpatico, gentile e carino. Cazzo. Era così evidente?
“Quindi?” lo incitai.
“Non sono una persona a cui piace avere una relazione. Tu sei bellissima Megan, mi piace la tua stranezza, il tuo sorriso, i tuoi capelli, tutto, ma io non sono pronto.
Io ti bacerei anche adesso, ma non penso che poi durerà e non voglio farti sentire male.”
“Fallo.”
“No Megan io non posso..non voglio.”
“Sta a me no?”
“Si.”
“Bene. Ti ricordi il ragazzo che mi fece star male a scuola?”
“Quello stronzo.”
“Io sono stata violentata da lui. La mia malattia è peggiorata a causa sua. Mi ha distrutta. Mi ha lacerata dentro e sapere che esiste al mondo un ragazzo che ci tiene a me, mi fa stare benissimo. Mi è piaciuto molto come mi hai curata mentre stavo male.”
Ci fu un attimo di silenzio, mi stava dando il nervoso.

“Tu sei la mia Amy, non ho mai avuto un fidanzato e non ho mai avuto il mio vero primo bacio. E se tu fossi la soluzione a tutto questo?”
Indicai l’igienizzante.
Vidi che tolse la bottiglia di mezzo e si avvicino.
Gli sfiorai le labbra e mi sentii come un violino e lui era un arco che sapeva come armonizzarmi perfettamente.
“Ti avverto Meg, io ti voglio bene e se ti farò soffrire scusami.”
“Non ti preoccupare.”
Iniziai a tremare, non mi sentivo pronta.
L’odore di alcol era leggero, ma era nauseante.
Non volevo associare Cadwgan a Josh, ma stava succedendo.
Cadwgan iniziò a baciarmi.
Lo staccai da me. Non potevo, non potevo associare 2 persone completamente diverse, non potevo stare male ancora per un bacio.

E se Josh aveva ragione? E se mi aveva fatto veramente odiare l’unica cosa bella al mondo?
 

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Capitolo 10
*** Devon. ***


*mi scuso immensamente per il ritardo di pubblicazione, ma ci sono state delle complicazioni, gravi e non. Spero che questo capitolo vi piaccia. Elizabeth*



 
Mentre tornavo a casa avrò rischiato 5 o 6 volte la morte.
Non ero concentrata mentre ero in motorino, ripensavo a ciò che era successo. E se avevo sbagliato?
No, non avevo sbagliato. Non volevo che Cadwgan nella mia testa si delineasse nell’aspetto di Josh.
Aperta la porta mia mamma stava guardando la tv.
“Ciao Meg, già finita la festa?”
“No, ma sai com’è. Le feste non sono per me, quindi ho optato per venire a casa.”
Le sorrido e vado in camera a accendere il computer, poi vado in bagno, mi lavo e mi metto il pigiama.
Quando la mia testa esce dalla maglia, vedo riflesso nel mio specchio il mio viso.
Dalla mia testa escono mille disegni, mille immagini e mi ritrovo a pensare a mio padre.
Sempre in quello specchio vedo la faccia di mio padre. Inizio a respirare affannosamente e sento la sua voce dentro la mia testa che rimbomba, ma se l’ascolto con attenzione diventa una melodia.
“Megan, non ti preoccupare, va tutto bene.”
Inizio a piangere, ma stavolta sono felice perché queste qui sono e devono essere le mie ultime lacrime.
Non voglio più vedere il mio viso umido, voglio vedere da ora in poi le mie fossette che contornano il mio sorriso.
Riguardo lo specchio e capisco che la ‘visione’ di mio padre è la cosa che chiude il cerchio.
L’ultimo amaro ricordo di una Megan che non mi è mai piaciuta.
Mi lavo il viso e quando mi guardo allo specchio vedo il mascara colato, ma sono pulita, pulita dentro.
“Megan, ora si ricomincia.
E si ricomincia con Cadwgan.
Via le immagini di Josh dentro la tua testa, via le cicatrici dalle braccia, via tutto.”
 
Seduta davanti al mio portatile, mi lavo le mani con l’igienizzate.
Mentre l’odore piacevole di amuchina si sparge nella stanza, la finestrella della chat di Cadwgan si illumina.

C: che è successo?
M: confusione mentale.
C: perché?
M: perché sono pazza. Completamente.
C: a me piace la tua pazzia.
M: in effetti mi rende carina.
C: ;) è vero. Ti devo parlare. Ti chiamo.
M: ok, ti do il mio numero.
C: ho già il tuo numero.
 

Il mio cellulare inizia a vibrare le dal +49 intuisco che è Cadwgan. Io non ho il suo numero, ma lui si.
Molto probabilmente è stata Yen.
Dolce e cara Yen.

“Ciao Cad.”
“Ascolta, io e te dobbiamo chiarire.
Non sono uno che cerca storie serie, ma non sono nemmeno quello che viene lasciato solo come uno stupido su una terrazza.”

Ora mi sentivo in colpa, ma la nuova Megan non doveva partire con i sensi di colpa, doveva partire con l’essere più sicura.
“Senti Cad, so di aver fatto una cazzata, ma ero confusa.
Stavo associando il nostro…bacio..” perché ti devi imbarazzare adesso Megan? Eh? Dimmelo. “ai baci con Josh. Non è colpa tua, è solo che l’odore della birra mi ha riportata a quel periodo di merda. Scusa.”
“Allora hai fatto bene. Io ora devo andare a letto che mia sorella sta dormendo e poi sono abbastanza stanco. Ci sentiamo domani.”
“Va bene.”
“Buonanotte”
“…Cad?”
“Si?”
“Sei la mia Amy?”
Non so perché ho fatto questa domanda, ma sentivo il bisogno di essere rassicurata e una buonanotte non mi sarebbe bastata.
“No.”
Non è stato un no strascicato.
E’ stato un no deciso, sicuro.
La mia domanda, invece di rassicurarmi, mi ha disorientata.
“Ok, buonanotte Cad.”
“Non sono la tua Amy, sono il tuo Cadwgan.”
Sorrido anche se lui non può vedermi.
Mentre sono a letto ripenso a ciò che è successo in bagno.
Non mi era mai successo prima e non capisco perché proprio mio padre e non la faccia di qualcuno a me più vicino, tipo Yen o mia mamma.
Dovrebbe esserci stata una scintilla, qualcosa che mi ricordasse lui.
Ma dove?
Iniziai a ripercorrere la mia serata dai mille incidenti per strada e non c’era nessun cartellone con il suo nome.
Nemmeno in casa aperta la porta perché non ci sono sue foto.
Mi stavo confondendo.

Sento bussare alla mia porta di camera e mia mamma con il giubbotto mi dice che dobbiamo uscire di corsa.
“Perché Ma?”
“C’è stato il terremoto.”
Addirittura? Io non avevo sentito nulla, la mia testa era troppo assorta nei mille pensieri.
“Ok, prendo il giubbotto e l’igienizzante.”
Dato che ci sono, prendo anche la mia macchina fotografica, Londra è sempre pronta per qualche foto.
In caso di terremoto io e mia mamma prendiamo la macchina e gironzoliamo un po’ per Londra e parliamo, però io ero troppo stanca.
“Mamma, va bene se dormo? Quando poi siamo a casa mi svegli.”
“No, non puoi. Devi vedere una cosa.”
“Cosa?”
La macchina si ferma davanti a un pub fuori Londra.
La faccia di mia mamma è sconvolta e le sue palpebre sono pesanti.
Dalla sua borsa tira fuori i miei occhiali da vista, sono un po’ miope e penso che lei voglia farmi vedere qualcosa.

“Vedi Meg quel pub?”
“Certo.”
“Lì ho conosciuto tuo padre.”
Avevo avuto una visione. Iniziavo a preoccuparmi, però la voce di mio padre mi rientrò della testa.
“Va bene, allora?”
“Scendi Meg e vai dentro quel pub.”
“Mamma è sporco e io lì dentro non ci vo…”
Vedo che si gira verso di me. Con i capelli raccolti il suo viso spicca ancora di più.
Quello che mi aveva dato era un ordine che dovevo rispettare e così feci.
Stavo andando incontro a qualcosa più grande di me, ma dentro di me frullava quella voce, quella frase.

“Megan,non ti preoccupare, va tutto bene.”

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Capitolo 11
*** Chiarimenti. ***


Prima di entrare nel pub mi girai e vidi mia mamma in macchina con lo sguardo fisso nel vuoto.
Perché proprio stasera? Perché è schizzata in quel modo? Certo che siamo una famiglia di persone veramente strane.
Quando varco la porta del pub l’odore di birra mi investe.
E’ un odore molto pungente che mi ricorda Josh.
Chiudo forte gli occhi per scacciare quell’immagine orribile e la voce di mio padre riparte dolce. Come una melodia.
La musica era leggera e il pub era deserto se non per il barista vecchio e i soliti due alcolisti.
Quando questi due si girano e incontrano il mio sguardo non dicono nulla. Hanno gli occhi rossi, irradiati di sangue.
L’alcool li sta distruggendo. Un brivido percorre la mia schiena e mi igienizzo le mani.
L’odore dell’amuchina rilassa i miei nervi, ma al contrario irrita il barista.
“Che cazzo è questo o…”
Quando incontra il mio viso si zitta.
La bocca spalancata e gli occhi umidi. Non capisco se i suoi occhi stanno guardando me, quindi mi giro per vedere se era entrata mia madre.
E in effetti è così.
“Si vede che è vostra figlia”
La voce di mio padre rimbomba e alla radio la musica trasmette una melodia anni ’20 che rende l’atmosfera troppo inquietante.
“Come vostra figlia? Ma, lui conosce Devon?”
“Senti Meg, io torno in macchina. George ti dirà tutto.”
“Perché io questo peso? Sei tu sua madre.”
Gli occhi di mia mamma ghiacciano George. Quale peso?
I due alcolizzati continuano a guardarci anche se a me sembra che vogliano trovare un appiglio alla realtà che hanno perso.
Poi dicono qualcosa. Più che dire, farfugliano.
George li riprende.
“State zitti idioti.”
Mi metto a sedere e mia mamma esce dal pub.

“Come ti chiami?”
“Megan.”
George sorrise e una lacrima amara scese dal suo occhio destro rigando il viso e finendo nella folta barba.
“Allora ha chiamato veramente sua figlia con il nome della bambina che aveva sognato.”
“No, non l’aveva sognata.”
George si gira e mi sorride malinconicamente. Mi prende le mani e io scatto indietro, oscillando sullo sgabello.
“Non mi toccare. Non lo fare mai più.”
Prendo l’igienizzante e mi lavo le mani.
“Devon, tuo padre, aveva sognato quella bimba mentre era fatto.
Disse che era una bambina bellissima e leggiadra, che lo faceva stare bene, le chiese come si chiamava e lei disse Megan.
Ecco da dove viene veramente il tuo nome.”
Mia mamma mi aveva rifilato una cazzata. Sapevo di essere stata rovinata dalla droga in qualche modo anche io, ma perché non raccontarmi la verità?
La voce di mio padre nella mia testa iniziò ad affievolirsi per fare spazio a mille domande.
“Perché mia mamma mi ha portato qui? Che peso ti ha dato? Perché proprio stasera?”
George si irrigidì e prese un respiro.
“Megan, ora ti racconterò una storia. Non censurerò nulla come tua madre ha fatto per tutti questi anni. Ti dirò solo la verità”
Dietro di me sento dei passi, mia madre, ma sono troppo concentrata su George e non mi giro.
L’alcolizzato farfugliò qualcosa e George lo zittì.
“Stai zitto, cazzo, stai zitto.”
“Deve sapere. Poi guardala, è una ragazza senza cuore che odia i posti come questi.
Deve sapere come gira la vita e che la pillola non è sempre dolce da deglutire.”
“Non odio questi posti, ho solo dei problemi con i germi.”
George iniziò la sua storia, mentre l’alcolizzato iniziò a ridere; molto probabilmente per la faccenda dei germi.
“Allora Megan” la voce di George era diventata più docile “ Io conosco tua madre da tanto tempo e anche tuo padre. Dopo che nasce..”
George non finì la frase perché l’alcolizzato dovette dire una cosa.
Una cosa che distrusse il mio mondo.
La voce di mio padre dentro la testa iniziò a rimbombare e, invece di rassicurarmi, iniziò a stordirmi.

“Tuo padre è morto puttanella. Avevi 6 anni. Ci sballammo insieme. Lui un po’ troppo e è andata come è andata.”
George tirò uno schiaffo in faccia a quel coglione.
Ero sola. Mia madre mi aveva mentito per 16 anni. Mi girai per dirle qualcosa, ma davanti a me non c’era mia madre.
“Josh cosa ci fai qui?”
Di getto, vedendolo scoppiai a piangere.
No,non dovevo iniziare così.

Mi alzo dallo sgabello e sposto Josh con il braccio.
Esco dal pub e mi dirigo verso la macchina.
Apro la portiera e prendo lo zainetto con la macchina fotografica.
“Io non ti voglio più parlare dato che dalla tua bocca sono uscite solo cazzate. Torno a casa da sola.”
“Sei in pigiama Meg, non puoi tornare a casa da sola. E non conosci nemmeno la strada.”
“Numero uno, non mi chiamare più Meg, numero due, io faccio quello che mi pare da ora in poi.”
Vedo Josh dall’altro lato della strada.
“Anche tu mi hai rovinato la vita. Me l’avete rovinata tutti. Vaffanculo.”
Tiro un calcio per chiudere la portiera e mia madre inizia a piangere sul volante.
Io inizio a correre.
Non poteva essere, 16 anni di bugie, 16 anni passati all’oscuro di tutto. Dove era la verità? Chi mi poteva capire ora?
Eravamo anche fuori Londra e con la notte ci capisco ancora di meno di orientamento.
Arrivo in una piazza e capisco che mi sono persa.
Inizio a piangere e ho paura. Ho paura del futuro, ho paura di rimanere sola.
E tutto mi fa più paura quando capisco di esserlo già.
Una figura nera e infondo alla piazza.
“Megan che cazzo fai?”
Josh.
“Vattene. E’ anche colpa tua se sono così sai? E’ colpa tua se mi sono auto lesionata, si non sei solo, è colpa tua se ora odio i baci”
mi alzo in piedi “ è colpa tua se non sono riuscita a baciare Cadwgan. E’ tutta colpa tua.”
Inizio a piangere di nuovo e sto per cadere per terra quando Josh mi afferra.
“Vattene. Ce la faccio anche da sola. Ce la devo fare.”
“Megan, io ti capisco. Ti capisco più di ogni altra persona.”
Lo guardo negli occhi. Con il buio non distinguo il colore, ma sembrano più marroni dell’ultima volta.
“Josh, lasciami andare.”
Le lacrime mi fanno schifo e inizio a togliermele troppo energicamente.
Josh mi prende le mani e le toglie dal mio viso e mi costringe ad abbracciarlo.
“Levati, levati stronzo.”
“Mai. Non mi leverò finché non starai bene.”
Allora mi prende in collo. Le lacrime si fanno sempre spazio nel mio viso. Poi le finisco.
E mi addormento. 

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