Into the darkness

di sxds
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. curiosa ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 sorpresa! ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


"Into the darkness"
di SXDS

 

 

1.

Elena prese un grosso respiro e pigiò il campanello.
Un trillo metallico l’annunciò, mentre entrava.
L’unica cosa che poté fare fu stupirsi del silenzio che l’accolse. Fra tutte le reazioni che aveva messo in conto da parte degli altri agenti, il nulla assoluto era l’unica che non aveva contemplato.
Si sentì fuori posto e a disagio.
Ogni agente stava lavorando e manteneva un profilo basso, senza alzare la voce né fare l’esibizionista. Come se fosse tutto perfettamente normale.
Elena tossicchiò, nel caso non si fossero accorti di lei – cosa improbabile, perché aveva suonato il campanello per aprirsi la porta.
Le si arrossarono le orecchie quando nessuno alzò lo sguardo dai documenti o da pc.
“Fedra arriverà a momenti” disse un uomo senza però guardarla.
Grazie, pensò Elena. È questo il modo di comportarsi? Non se la prese, in fondo, erano tutti poliziotti no? Si sa che sono un po’ strani, a lavorare in prigione.
“Oh! La nuova custode! Eccoti qua.”
Elena sussultò.
Una donna molto bella e curata le si avvicinò. Non dimostrava più di quarant’anni e pareva severa, ma simpatica e solare al tempo stesso.
Di quelle persone di cui ti fidi.
“Ehm… Signora James?” mormorò la ragazza mentre l’altra le porgeva una divisa nuova di pacca, che la fece eccitare all’idea di indossarla.
“Dimmi.” La donna non si scompose alla voce titubante della ragazza. Anzi, parve sfidarla.
“Hm… Io sono Elena Torino, piacere” le porse la mano.
Fedra gliela strinse sbrigativa.
Lo so Elena” alzò gli occhi al cielo e le indicò una porta dalla scritta Spogliatoio. “Va’ a cambiarti, hai cinque minuti. Poi va’ al sesto piano e sistemati alla posizione che ti diranno okay? È un bene che tu sia arrivata oggi. Arrivano i visitatori e sono sempre così caotici e chiassosi. Fa’ del tuo meglio.”
Detto ciò se ne andò.
Cosa? Che doveva fare? Elena non aveva ascoltato un parola di quello che le aveva detto Fedra, così si andò a cambiare e poi scavò nella sua memoria, contemplando la nuova divisa. Bellissima. Le dava un’aria tosta.
Allora, pensò, sesto piano. Visite. Giusto.
Salì un’infinità di scale per poi trovarsi al fatidico sesto piano. E ora? Entrò, spingendo una porta pesante, e si trovò in un corridoio stretto e lungo che dava la claustrofobia e l’impressione di essere in un film horror. Non era da sola. C’erano otto celle, quattro per lato, numerate dalla sei alla quattordici. Quella più in fondo non aveva semplici sbarramenti, era chiusa da una porta completamente in metallo, se non per una piccola finestrella delle dimensioni di un foglio A4 anch’essa sbarrata.
Perché quel detenuto era così controllato?
Elena non ci pensò troppo e uscì di lì. Doveva trovare qualcuno che le dicesse che fare, qual era la sua postazione.
Un ragazzo poco più grande di lei la raggiunse correndo. Sembrava un bambino poco cresciuto e dall’aria rompipalle.
“Ciao, Elena giusto? Io sono Luke.”
“Sì sono Elena.” Gli sorrise per educazione.
“Bene. Per oggi dovrai fare da custode e moderatrice durante le visite che iniziano fra mezz’ora abbondante” controllò l’orologio per assicurarsi che fosse così. “Intanto perché non fai amicizia con i detenuti? Quello della celle tredici è uno spasso” ghignò.
Ma che diavolo…?
“E quello della quattordici?” azzardò.
Luke si rabbuiò come se Elena avesse sfiorato un tabù.
“Lascia stare il 14. Okay? È meglio per te, anzi non farti beccare a parlargli o chissà che cosa…” mormorò rude. Poi le passò un mazzo di chiavi tintinnante. “Questo sono le chiavi di ogni cella. Sono numerate. Quando arrivano i visitatori apri e chiudili dentro. Uno alla volta capito? Devi stare là vicino per controllare che non vengano strane idee ai detenuti.”
Elena arraffò le chiavi interessata e curiosa. Un po’ intimorita.
Controllò.
Cazzo! Espirò l’aria tutto d’un colpo. C’era anche la quattordici.
Luke non notò nulla. “Bene, buon lavoro. Per ogni cosa chiamami al walkie-talkie okay? Ecco il tuo. Il mio numero è 3. Premilo e avvertimi per ogni problema o domanda. Gli altri numeri sono degli altri agenti; non chiamarli stanno lavorando.”
Elena, che era stata tutto il tempo taciturna, annuì. “Grazie Luke, buon lavoro anche a te.”
La bionda controllò un’altra volta le chiavi e restò senza fiato. La 14 era come se bruciasse.
Ma davvero erano così imprudenti da lasciarla sola con tutte le chiavi?
‘Stupida’, si disse. ‘Un po’ di giudizio!’.
 
Le visite furono noiose e durarono parecchie ore. Da madri a sorelle a fidanzatine. Incredibile. Quasi solo donne.
Pensò che forse era giusto così. Le donne a piangere quei fannulloni in cella. Chiunque fosse stato messo dentro, si promise, non l’avrebbe mai pianto.
Quel giorno aveva aperto e richiuso ogni cella, imparato i nomi di tutti – solo una donna, Claire – ma una cella rimase chiusa ogni istante.
La quattordici.
Elena era appena arrivata e già moriva di curiosità.

Ringrazio chi leggerà e mi seguirà :)
Queste sono le mie altre ff:
"Psicopatici - Jake di Cuori" 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1886355&i=1
"Darkside" http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1906345&i=1

Q
uesta è Elena:



Ciao :3
SXDS
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Into the darkness

2.
Hm.
Lo avrebbe dovuto raccontare a Lorenza? La sua migliore amica, lasciata in Italia, era bramosa di informazioni. Specie su i “maschi americani”.
Ma, pensò Elena aprendo Skype, per lei erano uguali a quelli italiani. Solo che forse certi erano davvero delle ridicole palle di lardo rotondeggianti o tipi super muscolosi sicuri di sé, ma dentro fragili come pezze.
Lorenza è in linea.
Ottimo, neanche l’avesse chiamata! Quel giorno Elena era ottimista e aveva un sacco di voglia di scoprire chi era il numero 14. Oh, beh, sicuro un assassino o cose del genere. Magari aveva fatto un colpo di Stato? No, troppo per metterlo in quella cella, comunque molto più sicura delle altre.
La bionda non riuscì a darsi responso.
Subito chiamò – purtroppo il pc che si era comprata non aveva la webcam – una chat. Lorenza era su di giri.
“Ciao! Come stai? Com’è l’America? Perché tu sei lì e io qui!?”
“Io ti avevo chiesto di accompagnarmi” replicò semplicemente Elena, trattenendosi dal dirle di 14.
Parlarono del più e del meno. Anche Lore aveva cose da dirle, quindi Elena preferì lasciarla sfogarsi. Le avrebbe detto tutto, ovvio. Magari con delle informazioni in più – lei voleva vederlo, 14.
 
Il giorno dopo, al lavoro, fu piuttosto noioso e pesante.
Fedra le assegnò il difficile (sarcasticamente) compito di sistemare in ordine alfabetico i fascicoli dei detenuti.
“Sistemali dalla A alla F, visto che sono molti. Dopo andrai avanti.”
“Intesi” le sorrise di circostanza Elena.
“Ah, dimenticavo. C’è scritto anche il numero della cella, ricopialo sulla copertina che così è più veloce trovare tutti okay?”
Come poteva dirle di no? Era il suo capo.
 
*
 
Qualche miliardo di fascicoli dopo, Elena era alla lettera J – aveva superato di molto l’ordine che le aveva dato Fedra.
I numeri scorrevano rapidi e non in ordine. Si partiva dal 102 e quello dopo poteva essere il 7.
La verità era che sperava di trovare un numero. Quel numero: il 14.
Ma non arrivò. “O è negli altri fascicoli” pensò guardando la pila di fotocopie che doveva ancora ordinare, “oppure non c’è. dopotutto è un detenuto speciale, lo si intende…” Ma ciò la rincuorò non poco.
Sperava fosse fra gli altri fascicoli.
Fedra la trovò a sbirciare il fascicolo di Claire, l’unica donna del sesto piano. Elena arrossì brutalmente e provò a nascondere il danno con un esuberante sorriso sbarazzino. Il suo capo fortunatamente tralasciò.
“Come procede?” domandò accarezzando un fascicolo. Quando notò la lettera W sobbalzò sorpresa. “Cosa? Sei andata così avanti in così poche ore? Non dovevi, agente Torino! Ti sarai stancata molto!”
Elena arrossì. Sentirsi chiamare ‘agente’ era una cosa meravigliosa.
“Ehm… Non si preoccupi” sminuì “è un compito piuttosto facile, sa. E poi mi piace … ehm … portarmi avanti col lavoro”. La verità è che avrebbe voluto dirle ‘sorprendere’, però non le sembrò adatto.
“Agente Torino, si merita una pausa” le sorrise Fedra, che l’aveva presa in simpatia. “Laggiù ci sono i distributori automatici.  Qui può tranquillamente finire Patrick.” Chiamò l’uomo che le aveva quasi parlato il giorno prima.
“Bene, grazie mille.”
Si allontanò. Guardo dapprima le macchinette, e poi il suo sguardo ricadde … sulle scale.
Dio, sarebbe stato così semplice muovere qualche passo e…
Si trovava già sul primo gradino. Decise. Controllò che nessuno in ufficio la guardasse e iniziò a salire. Prima con disinvoltura, poi corse.
Il sesto piano si presentò di fronte a lei in un battito di ciglia.
Spinse con forza la porta. Ed entrò.
Nessuno fiatava, l’unico rumore era il fioco sussurrare delle televisioni. Elena aveva sentito che quelle tv venivano programmate per dare la possibilità di vedere solo canali privi di violenza. Neanche i telegiornali erano ammessi. Si domandò cosa guardassero. Peppa Pig? Con un mezzo sorriso, si avviò.
A metà strada, una voce la chiamò. Non si spaventò, perché la riconobbe.
“Ciao bellezza.”
“Claire. Come sta?”
La donna era seduta sul letto, ma poi si avvicinò alla bionda, poggiandole una mano sulla spalla attraverso gli sbarramenti.
“Bene, tesoro. Che fai qua?” chiese curiosa allora.
Elena mentì. “Volevo passare a dare un’occhiata a ogni piano. Cioè… Non è che io volevo, me l’ha chiesto Fedra…” Che cosa stupida.
“Ah sì?” Non era convinta.
“Sai, mi chiedo sempre che ci faccia lei qui.”
La sincerità di Elena stupì Claire. “Sai, a volte le apparenze ingannano…” mormorò. “Però ora devo andare. Danno la mia soap preferita.” Le regalò un sorriso e tornò nella sua intimità della cella.
Elena si chiese come facevano tutti ad essere così a loro agio.
Quando si trovò di fronte alla 14, tentennò.
Era ancora lontana dalla finestrella, così, nell’avvicinarsi, notò che dentro era completamente buio. Terrificante.
Notò una figura immobile alla finestra. Il numero 14.
Quasi le venne voglia di tirarsi via di lì, ma lui parlò con voce penetrante impedendole di muovere passo.
“Entri o no? Quando mi fissano è fastidioso. Terribilmente.”
Non riuscì a dire nulla.
Mosse qualche passo all’indietro.
E fuggì.
Brava!, si complimentò con se stessa, ora hai fatto la figura della codarda! Certo che sei una poliziotta coi fiocchi, Elena.
Quando fu di nuovo all’ufficio comune scansò Patrick e tornò a riordinare i fascicoli.
Anche se quell’incontro era stato lievemente intimidatorio – si era creata un film da sola, insomma! Lui le aveva solo chiesto se entrava? Ma poteva farlo, entrare? – doveva essere spaventata.
E un po’ lo era.
Ma la curiosità uccise il gatto.

Proseguo infermabile eh?
Comunque sia, a voi convince il numero 14? E' davvero così pericoloso?

* come sempre v'invito a rencensire e dare un'occhiata alle mie altre 2 ff che troverete alla mia pagina, oppure c'è il link nello scorso capitolo. *
SXDS


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Capitolo 3
*** 3. ***


3.  (POV ELENA)

Quel giorno sarei stata sola per circa un’ora, al lavoro.
Perciò, dopo un’attenta – anche se non così produttiva – ricerca su 14, avevo stabilito che sarei andata da lui, con tutto il coraggio che avevo.
Quando giunsi al lavoro c’era solo Patrick.
“Ciao” mormorò, sempre senza guardarmi.
“Ehm… Sì, ciao” lo assecondai – che cazzo faceva lì?
“Bene” s’alzò. “Dovevo aspettarti.” Mi si avvicinò e per la prima volta mi guardò. Aveva gli occhi grigi cenere, tristi come non mai.
“Uh… perché?”
“Non siamo molto sveglie eh?”
“Cosa?” Non capivo.
“Mica possiamo lasciare sto posto incustodito, novellina” mi regalò un sorriso falso.
Ah. Giusto. “Oh già. Ora vai?”
“Sì. Fedra ha detto che devi sorvegliare il sesto piano. E Claire chiedeva di te. Non stare troppo con lei: è ingannevole” mi avvertì prendendo il cappotto.
Porta il tuo culo via di qui. “Okay. Dopo vedrò cos’ha.”
Con assurda lentezza iniziò a camminare verso l’uscita. “Dimenticavo” disse e io scoppiai di irritazione, “al sesto piano ci sono otto celle. Va’ a controllare la 14. Porta qualcosa da mangiare a quella bestia ma poi via di lì intesi?” Mi squadrò.
“Certo.”
“Bene. Ciao mocciosa.”
Ero sola.
 

*

 
Indecisa comprai alle macchinette una barretta ipocalorica per 14. Che culo che mi mandavano loro da lui, eh.
Osservai l’incarto. Era ai cereali e cioccolato.
Visto che non avevo fame l’assaggiai. E la mangiai tutta.
“Merda…” sibilai notando che non avevo più monete, ma banconote da cinque e dieci.
La macchina non dà resto. Oh perfetto, m’incazzai.
Così mi presentai al sesto piano a mani vuote. Prima tappa: Claire.
“Ehi… Claire?”
“Sei lì?” mi domandò sorpresa. “Davvero ti hanno detto che ti volevo vedere? Oh, il vecchio Pat s’è dato una regolata” avanzò, e sobbalzai perché aveva due occhiaie orrende.
“Già. Dimmi tutto.” Rammentai il consiglio di Patrick. È ingannevole, ma lei stessa me l’aveva confermato, il giorno prima. Le apparenze ingannano, aveva detto.
Non ascoltai nulla di ciò che diceva perché avevo un pensiero fisso: 14.
“Tu che ne pensi?” mi domandò la donna infine.
Imbarazzatissima, farfugliai un Sì Sì Giusto, e lei rise lunatica.
“Ti ho chiesto se pensi che Stefan debba sposarsi con Laila.”
“Eh?” non capii.
A quel punto s’infuriò. “Non mi ascoltavi? Parlavo della soap! Perché sei venuta se non t’interesso? Ma io non interesso a nessuno, giusto! Ecco perché sono qui!” Iniziò a piangere.
Mossi qualche passo all’indietro.
“No, Claire, no… Tu m’interessi, ma…”
“MA!?” Artigliò l’aria verso di me attraverso le sbarre. Aveva le unghie acuminate e appuntite e mi spaventai.
“Ma ho altro da fare, scusa” mormorai arrogante e mi diressi a passo di carica verso 14. Oh, quella donna era più scorbutica di me!, pensai ancora arrabbiata. Che cazzo me ne frega delle sue soap!?
Di fronte alla cella, però, mi mancò il coraggio. Dentro era completamente buio. Nessun rumore.
Mi avvicinai – sembrava fosse vuota.
“Buh.”
“AH!” sobbalzai e andai più indietro possibile, perché 14 si era improvvisamente appostato alla finestrella, spaventandomi volutamente.
Non rise né mi criticò per quel mio comportamento per nulla adatto ad una poliziotta, ma gli vidi un sorrisetto sulle labbra carnose.
“Qu… Quattordici?” mormorai.
Che domanda stupida.
“Sì. Allora, entri o no?”
Che? Non ci avevo minimamente pensato. Mi mancò il terreno sotto i piedi. Entrare? Era una bella sfida per me. Però… No. Potevo farlo? Cioè, entrare come i visitatori o no? Mi guardai intorno; stavo per chiedergli ‘ma si può?’ ma mi trattenni in tempo, perché mi avrebbe sicuramente detto di sì, facendomi entrare nella trappola del leone.
“No” risposi cercando di mantenere ferma la voce. “Meglio di no.”
“Perché?” mi rimproverò con voce bassa e melodica. “Hai paura? Di me?”
Decisi che gli avrei detto la verità. Tanto cosa poteva farmi? Io ero fuori e lui in una cella a prova di missile o bomba atomica. “No. Di quello che potresti fare” bisbigliai guardando il luccichio dei suoi occhi nel buio.
A quel punto ridacchiò.
“E cioè? Ucciderti? Ferirti? Io…” Sentii un singhiozzo. Non poteva essere… “Io ho bisogno… di compagnia…”
Oh cazzo. Mi addolcii. In fondo, era solo un ragazzo in una prigione, temuto chissà come mai da tutti. Eppure… Quella voce non mi dava l’impressione di poter appartenere ad un criminale. Era troppo dolce e limpida.
Cercai le chiavi del lucchetto. Quasi sfiorai la 14 mi domandai se fosse giusto. Sì.
Aprii.
È solo un ragazzo.
Quanto mi sbagliavo.


* * * Non ho molto da dire, solo piccola nota alla narrazione. Qui non è più in terza persona, ma da ora in poi sarà in prima!
Come sempre v'invito a recensire.
Continuerò quando qualcuno si prenderà la briga di dirmi se 'lavoro' bene o no :3 :3
SXDS

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Capitolo 4
*** 4. ***


 "Into the darkness"

Note. Vi rubo solo un attimo: in questo capitolo vorrei chiedervi un vostro parere specifico, e cioè: il capitolo è un po' sbrigativo, a mio parere. forse non mi sono troppo soffermata sulle scene fra Elena e 14 (perché sì, finalmente si incontrano!) quindi se mi dite se va già bene oppure fa un po' tristezza così, nei prossimi capitoli (perché sì! Elena prenderà coraggio <3) m'impegnerò di più. Io ci provo :) Beh ecco il capitolo!!

 


 

Se volete affogare i vostri problemi nell'alcool,
sappiate che alcuni di loro sanno nuotare molto bene.

(citazione).

4.
Presi un grosso respiro e, ancora commossa dall’esasperazione nella voce di 14, entrai.
Dentro era buio pesto, quasi non vedevo dove mettevo i piedi. Mossi un solo passo all’interno della cella, come a dire “fa’ attenzione a ciò che fai” al prigioniero. Lo percepivo di fronte a me, massa di muscoli pronta a scattare.
Richiusi la porta dietro di me.
Lo sentii sospirare. Voleva scappare? Be’, gli avevo tolto questa possibilità. Ma ora, realizzai fuori di me, anch’io ero in trappola.
Dovevo comportarmi come se avessi tutto sotto controllo.
“Ciao…” gli dissi fievole, mentre rimaneva immobile davanti a me, procurandomi piccole scosse elettriche che mai avevo provato. Ansia?
“Benvenuta” chiocciò divertito.
Cosa!? Accadde tutto troppo in fretta. Se prima c’erano almeno pochi passi a separarci, ora mi premeva con tutto il corpo contro la parete della cella, ruvida e dolorosa sulla carne, tanto che i nostri nasi si sfioravano.
Veloce. Troppo veloce.
Tentai di afferrargli le mani – per fare cosa? Bloccarlo? Entrambi sapevamo che lui aveva la meglio in ogni ambito, ora come ora – ma lui arraffò le mie, con le sue calde e leggermente ruvide.
Io… avevo bisogno d’aria. Quel contatto solo fisico, non visivo perché era troppo buio, anche se avrei voluto vedergli gli occhi, mi frastornava come mai era successo. Pensai fosse il fascino di fare la cosa sbagliata, quella proibita.
Sorrise come un predatore nel nero, e – quasi urlai – i suoi denti più bianchi della luna non erano levigati, neanche scheggiati, ma… Appuntiti. Come quelli dello squalo. Tutti così. E ne aveva troppi.
Mi premetti di più sulla parete per allontanarmi da quella cosa.
“Aiu...” provai a strillare, ma mi premette le labbra sulle mie per farmi tacere. Percepii chiaramente le zanne, che mi graffiarono la lingua e, ciò che fece dopo, fu il colmo della pazzia.
Iniziò a succhiarmi la lingua, come volesse strapparmela.
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era una parola. Una parola che non avrei mai creduto viva, davanti a me, prova indissolubile.
Vampiro?
Quando smise si allontanò da me solo con il volto, vidi che aveva le labbra leggermente sporche di sangue. Il cuore mi palpitava all’impazzata nel petto, come volesse scappare per la troppa paura.
Lo sentiva? Mi passai la lingua sul palato per vedere le sue condizioni. Non l’aveva semplicemente succhiata.
Sentii due foretti, nella parte più grossa. Aveva… aveva…
Le sue mani mi stritolarono i polsi. “Grazie, Elena.” Disse e mi mollò. A velocità impressionante sfuggì alla mia vista. Dov’era? Quello era sempre stato il mio incubo: trovarmi ad affogare nel buio, con qualcuno che poteva benissimo vedermi, deridermi e, soprattutto, uccidermi.
Fin da piccola una parte di me, quella più giocosa e sbarazzina, aveva creduto ai vampiri. Però li consideravo “bestie” gentili, che ti salvavano. L’equivalente per una ragazzina troppo dark del principe azzurro. Non venivano a cavallo, correva più veloci della luce, ti trasformavano e… Vivevate felici e contenti?
Sentii 14 ridere sguaiatamente abbastanza lontano da me.
Ah. Diventai rossa d’imbarazzo. Leggevano i pensieri. Chissà quanto mi considerava stupida.
Ma non me ne importava per niente. Volevo solo uscire dalla cella.
Iniziai a correre verso la porta, ma mi ritrovai in aria.
Cosa!?
14 mi aveva presa in braccio con facilità, ora le sue braccia muscolose mi cingevano come uno sposo porta la sposa, e mi guardava negli occhi con i suoi. Parevano pozzi neri. Niente rosso. Niente color sangue: neri, come la notte, come quella cella immersa in una parentesi buia che ci tagliava fuori dal resto del mondo.
Volevo urlare, ma con una mano mi tappò la bocca.
“Elena” disse con voce suadente, e mi chiesi come mi conosceva. Ci arrivai: la targhetta sul petto, cretina. “Lo sai che mi anticipi tutte le tue mosse? I tuoi pensieri sono limpidi come un cielo d’estate…”
“Lasciami” lo implorai pensando che di lì a poco avrei iniziato a piangere. Quel contatto poteva essere benissimo il sogno d’ogni ragazza che si rispetti, in braccio ad una creatura della notte, ma nessun romanzo rosa mette in conto la paura. O il fatto che, ogni volta che il vampiro parla, scopre i denti acuminati che ti potrebbero fare a pazzi con così tanta semplicità che…
Mi lasciò andare. Anzi. Mi rubò le chiavi dalla tasca della divisa e aprì la cella. Con un sorriso cordiale mi congedò, dandomi leggere spinte sulla schiena con quelle grandi mani affusolate.
Quando fui fuori, mi resi conto che non mi aveva ridato le chiavi.
Mi voltai e, ancora terrorizzata ma un po’ affascinata, lo guardai dalla finestrella.
“Ehm… Le chiavi, 14” provai ad assumere un tono sicuro, ma dopo quello che era accaduto avrei voluto correre via strillando.
Lo sentii ghignare. Merda. I pensieri. M’immaginai di squartarlo, ma non ci riuscii. Nell’immaginario lui squartava me e poi mi prosciugava.
“Non lo farei mai” disse seducente, passandomi le chiavi.
Sorpresa le afferrai veloce. Non volevo che cambiasse idea e decidesse di tenerle per scappare.
“Neanche questo farei,” mi informò facendomi tremare con quella voce melodica e dalla cadenza strascicata, “non prima d’avere avuto un po’ di te” sorrise furbo e sfruttò l’oscurità.
Cazzo.
Ecco. Ora avevo paura ma… se mi avessero chiesto di tornare da lui, avrei risposto di sì senza dubbi.
Merda, sperai solo che questi ultimi miei ragionamenti non li avesse sentiti.
Ancora in trance, me ne andai un po’ barcollando. L’ubriacone della cella 7 rise divertito: neanche lui si reggeva in piedi – un momento! Dove aveva trovato la birra? Lasciai correre.
    

    
14
Elena
1 recensione? 
SXDS

 

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Capitolo 5
*** 5. curiosa ***


5. curiosa.

 
“Ciao Fedra, come stai?” era passato ormai circa un mese e, al lavoro, avevo parlato con tutti e io e il mio capo ci consideravamo ormai due pari, così basta a stupide fissazioni e a darsi del lei per ogni minima cosa.
La donna, sorridendo, mi guardò.
“’Giorno cara. Come va? Oggi ho un compito speciale per te: collaborerai con Patrick, così il lavoro sarà meno pressante.”
Detto ciò l’uomo, che era in ascolto, ci raggiunse.
“Cosa dobbiamo fare Fedra?”
Lei sorrise amabile. “Il sesto e quinto piano hanno bisogno di una ripulita. Essendo che non abbiamo personale specifico,” mi spiegò, “ogni settimana tocca a uno o due di noi pulire, lo so che è strano, poliziotti o donne delle pulizie?”
“D’accordo” esclamai.
Patrick approvò nonostante fosse vagamente infastidito.
Sulle scale, fra quinto e sesto piano, mi disse “Faccio il gentiluomo. Il sesto piano ha meno celle. Va’ a ripulirlo.”
“Cosa?” Solo in quel momento arrivai alla conclusione che forse Patrick voleva pulire il quinto piano e cacciarmi al sesto. Io pensavo di cavarmela, e invece.
“Che fai? Aspetti l’illuminazione divina?” andò a pulire il corridoio del quinto piano mentre io a stento trovavo la voglia di salire quelle fottute scale.
Cazzo, imprecai, mi ci era voluto un mese per scordarmelo! Un mese per accettare che non dovevo dirlo a nessuno. Eppure sapevo che Patrick ne era a conoscenza. Rammentai ciò che mi aveva detto quel giorno d’un mese fa: “Porta da mangiare a quella bestia.”
Possibile che l’avesse fatto apposta? No, non sapeva. Forse anche io ero pazza. Forse mi avevano messo qualcosa nel caffè.
Ringhiano aprii la porta del sesto piano recuperando la scopa appoggiata là vicino – Fedra era una calcolatrice, ma non me ne importava.
Non avevo più parlato con Claire e, visto che volevo rimandare all’ultimo l’ovvio incontro con 14, andai a ripulire dapprima la sua cella. Imbarazzata, prima spazzai il pavimento fin lì, nessuno commentò perché forse per me era una cosa stravagante una poliziotta, un’agente che spazza la polvere delle prigioni, ma per loro no.
Avevo sognato 14, pensai schioccando un’occhiata alla donna che rispose con un sorriso affaticato.
Avevo sognato quella cosa, e non potevo pensare ad altro. Il sogno era buio, come nella cella. Mi diedi della stupida. All’inizio non capivo perché fosse così pesta, ma “è un vampiro!”, pensai con bizzarra ovvietà, come mi fossi abituata al mostruoso. “I vampiri non possono esporsi alla luce”.
Ma avevo tante di quelle domande…
Come si chiama? È davvero… un vampiro? Perché è in una prigione e soprattutto perché in una prigione normale?
Forse non ci sono prigioni per vampiri, abbozzai aprendo la cella di Claire, la quale si alzò dallo scomodo letto, avvicinandosi a me. La tv era spenta, però un appunto segnalava l’ora e i giorni in cui c’era la sua soap. Quella stupida soap.
“Ciao agente Torino” gracchiò dando anche un colpo di tosse. “Sa… è da un po’ che non la si vede in giro” mi sorrise, come a dire ‘non c’è nessun problema’. “Mi è mancata” ammise, lo sguardo a terra.
Oggi le dedicherò la mia completa attenzione, mi ripromisi sorridendole sinceramente. “Già, ma Claire dammi del tu. Odio i convenevoli” spazzai fra di noi, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“E così toccano a te le pulizie eh?”
Fu così che passai i venti minuti più amichevoli da un mese a questa parte.
 
*
 
Dopo essere stata alla cella 13, davanti alla fatidica cella del mio amico vampiro – un attimo… mio? – avevo preso un grosso respiro espirando ed inspirando talmente forte che fui certa che mi sentì.
“Pulisci anche da me?” fece una voce all’interno della cella, come da copione buia. La sua voce era tetra e roca, quasi volesse essere suadente, invitandomi ad entrare.
Forza, tanto al massimo succede quella cosa dell’altra volta. E poi devi pulire, Elena.
La mia coscienza… Tsk, la misi a tacere in malo modo, prima di prendere il mazzo delle otto chiavi. Quella della cella 7 era un po’ graffiata perché l’ubriacone – cazzo, dovevo trovare chi gli dava quella dannata birra: era sempre sbronzo! – aveva tentato di rubarmela. Be’, non che, in quelle condizioni, sarebbe andato molto lontano.
La 14… Era gelida, come gli occhi del prigioniero.
Guardai la porta tutta placcata perché non scappasse.
Claire mi aveva detto un po’ di cose di lui. Era dentro da prima che lei arrivasse, venticinque anni fa. Non mi disse né perché lei né perché lui erano là dentro, ma dal suo sguardo afflitto capii che mai mi avrebbe svelato il suo segreto. Insomma, mi sarebbe bastato andare a leggere nei moduli che avevano fatto. Però quello di 14 non c’era. Ovvio, lo avrà Fedra in cassaforte.
Divagavo. Divagavo con i pensieri perché non ero sicura che li potesse leggere. Li leggeva solo nella cella? Non m’interessava.
Aprii. Il clock della chiave che faceva scattare la serratura mi rizzò i peli sulla nuca. Come mi sarei dovuta comportare? Magari avrei potuto chiudere tutto e mentire a Patrick, dicendogli che avevo pulito ogni cella, ma tralasciando questa.
Oh cazzo. La verità pura era che io ci volevo tornare, là dentro. Non era semplicemente perché dovevo.
Mascherai la mia espressione troppo curiosa con freddezza e gelo. Come un freddo inverno precoce che aveva investito soltanto me.
Ma la curiosità, massime quando è spinta troppo, spesso e volentieri ci porta addosso qualche malanno(*).
Dentro c’era un freddo pungente. Lui dov’era? Non lo vedevo…
Senza farmi troppi problemi, iniziai a spazzare per terra. Era tutto pulito. Insomma, per quello che vedevo.
Strizzavo gli occhi e rizzavo le orecchie. Lui c’era: mi aveva parlato; però ora la cella era completamente vuota.
Oh . ma certo! Il bagno!
Prima che potessi raggiungerlo, con la scusa che dovevo dare una ripulita, quando qualcuno mi afferrò un polso e premette la mano sul mio stomaco per pressarmi contro di lui.
Mi mancò il respiro.
Quando mi sfiorò il collo con il naso e le labbra lasciai cadere a terra la scopa, mia unica possibile “arma” di difesa. Oggi non ci avevano fornito le pistole. Quindi ero completamente in balia di ciò che avrebbe deciso per me.
“Bentornata…” sussurrò con voce strana ancora sul mio collo, che ora vibrava ed era teso come una corda di violino. “Perché non sei più tornata?”
Non risposi: ero troppo affascinata e completamente in suo potere.
“Sai, mi è mancato il tuo odore…” mi annusò la pelle pallida. “Il tuo sapore” lasciò un piccolo morso, che mi fece scattare e rimettere in funzione il cervello. Cogliendolo impreparato riuscii a staccarmi dal suo abbraccio e mi voltai per guardarlo negli occhi, ma non c’era più.
Deglutii a vuoto.
Mi abbassai per prendere la scopa e la impugnai a modi spada a due lame e mi guardai attorno. Era così evidente che, anche sta volta, aveva lui il controllo della situazione, che mi venne da strillare di rabbia.
Mi si presentò fulmineo davanti; prima che potesse fare o dire alcunché misi in chiaro la situazione.
“Perché sei qui? Cosa sei? Davvero… Tutto questo è impossibile!” gli imposi quelle domande, ma la sua stazza tutto muscoli e quelle biglie d’onice senza espressione se non una terribile, che sembrava fame straziante e voglia di sbranare qualcuno, mi piegarono. Okay, pensai sarcastica, ottimo! Brava Elena!
“Non abbatterti” mi sfiorò la guancia sorridendo con la bocca chiusa – celava le zanne? “Ma ora va’.”
“Cosa? No! Prima rispondimi!” Mi scansai dalla sua presa. Ormai ragionavo in questo modo: l’obiettivo è laggiù, usa tutti i mezzi che hai per raggiungerlo. Non m’importava se avrei dovuto inginocchiarmi e pregarlo, io…
“Inginocchiarti a pregare?” rise divertito. “Sul serio. Tu ti inginocchi… solo per pregare?”
“Cosa?” Quando collegai ciò che intendeva era troppo tardi. Oh, merda: da ora detestavo (e adoravo, una piccola parte di me voleva ancora credere alle favole) i vampiri che fanno allusioni spinte.
“Mi adori? Sono la tua favola?” Il suo sorriso, prima dolce, si fece tremendo e pauroso, soprattutto quando portò il volto a pochi millimetri dal mio, che sbiancò. “Ma le favole non hanno mai un lieto fine… Sono più un film dell’orrore” mi strappò la scopa dalle mani. Pensai che quella volta mi avrebbe ucciso, ma si limitò ad indicare l’uscita. “Ho detto va’. Sta arrivando Patrick.”
“Cosa!? Oh porca puttana!” mi affrettai verso l’uscita e questa volta non me lo impedì. Sentivo il suo sguardo sul mio corpo, ma non ci pensai troppo.
Se Patrick mi trovava là mi avrebbero licenziata? Sospesa? Non volevo che accadesse, non doveva accadere.
Be’, ciao…pensai sentendomi ridicola perché ora pensavo per comunicare con 14.
“Tornerai? Io…” omesse il resto della frase, ma la voce con cui disse tutto mi fece tremare dentro, nelle ossa.
M’illuminai. Prima di uscire, un’ultima cosa…
Come ti chiami?
“Per te sono ancora 14.”
Inghiottii un fiotto di delusione e uscii. Patrick entrò proprio quando avevo già richiuso la cella, quindi ero al sicuro.
“Finito tutto?”
“Sì sì” annuii col capo, “andiamo?” Posso restare?
“Certo.”
Posso… restare?

Note. 
(*) la frase è una citazione di Carlo Collodi.
Per il resto che ne dite? Come sempre sono molto parsimoniosa nel descriverli assieme (mia pecca perdonatemi..) però penso d'essere migliorata dal cap 4 no?
1 recensione?
SXDS

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Capitolo 6
*** 6 ***








Sig.na Elena Torino, la vorremmo informare del fatto che purtroppo Sua nonna Amanda Ferrara è venuta a mancare. Quindi Lei dovrebbe recarsi a Bologna per il funerale, in quanto unica parente che potrebbe andarci. Le più sentite condoglianze,
zia Becca.
Restai un po’ passiva leggendo quelle parole.
Non che me ne fosse mai importato qualcosa di mia nonna  Amanda, che mi ha sempre ignorata e non mi ha mai comprato i cioccolatini quando ero piccola, ed era sempre stata cattiva con me. Però l’idea di andare un po’ a Bologna mi attirava , là avrei ritrovato Lorenza, e cambiare aria mi avrebbe fatto solo bene.
Però anche qui hai qualcuno a cui pensare, mi rammentai. Ma 14 era qualcuno per cui dovevo rimanere qui? Davvero? Dovevo fare ciò che sentivo giusto e, quel pomeriggio, decisi che Bologna mi mancava.


*
 

Tre giorni dopo, al lavoro chiunque mi faceva le condoglianze. Come se ci conoscessimo da anni, e come se mia nonna Amanda fosse nei cuori di tutti.
Ma fatevi un vita! “Grazie…” mormorai fingendo un po’ di dolore per la perdita, quando Patrick mi abbracciò. Quel tizio era diventato insopportabile. Pure Luke venne da me e espresse la sua “sincera” disperazione per la morte di mia nonna, poi mi offrì un caffè e si dileguò. Quella mattina dovevo occuparmi di vare scartoffie , e non so dove trovai la pazienza e la forza d’animo per non pensare a 14.
Il modulo.
Non potevo rubarlo, quel mese Fedra ci sarebbe stata ogni giorno. Ma neanche andare là e chiederle di raccontarmi tutto di lui era furbo. In biblioteca avevo preso in prestito – non senza un lieve imbarazzo – un libro della sezione “young” che parlava di vampiri. Cosa sono? Da dove vengono? Come agiscono? Risponderemo alle vostre domande, c’era scritto sulla copertina, mentre sul retro, un avviso: “Avete avvistato un vampiro? Contattateci a questo numero. Per uccidere un vampiro che vi perseguita invece chiamateci qui”.
Capitolo 1. Come riconoscere un vampiro. Be’, io l’avevo già fatto quindi Capitolo 2. L’arte di convincervi che lui è il bene. Però lui non l’aveva fatto, anzi. Un brivido mi percorse quando pensai a ciò che aveva detto “Io sono più un film dell’orrore”. Scossi la testa e nascosi il libro in borsa prima che Fedra si accorgesse che non stavo lavorando. Le ore successive le passai a compilare moduli con i nomi di tutti, quindi gironzolai a chiedere “nome e cognome, per cortesia” ad ogni mio collega, finché non si spazientirono e iniziarono a rispondermi male.
Annoiata e stufa, porta i moduli a Fedra.
“Eccol…”
Oh cazzo. Avrei dovuto bussare. La donna con scioltezza si alzò dalla posizione inginocchiata e si sistemò la camicetta, mentre Luke si chiudeva i jeans. Aveva il viso accaldato; nessuno dei due provò a giustificarsi, soprattutto perché non diedi loro l’impressione di voler giudicarli. Anche se era un po’ fuori luogo. O no? Non ero abituata all’America, forse qui si era più trasandati.
Fedra mi si avvicinò e lei passai muta i moduli.
“Brava, la tua efficienza è un piacere” ammiccò verso Luke, come se non stesse neanche parlando con me.
Lui si limitò ad arrossire e guardarmi con vergogna.
“Ehm… Allora io vado?”
“Sì, va’ a monitorare la situazione al terzo piano.” Mi ordinò e sbatté fuori dall’ufficio. Non volli sentire ciò che accadeva là dentro.

*


Terzo piano: ala suicidi.
Perché mettevano quelli che volevano suicidarsi in prigione? Non sarebbe stato più consono chiuderli in istituti? O mandarli da psichiatri? Quella prigione diventava sempre più un mistero per me.
Quel piano era noioso. Si lamentavano perché non potevano avere lamette o cappi, “per favore!” mi supplicavano, ma io li ignoravo per il loro bene.
Così, mezzora dopo, decisi di volere andare ad ispezionare ogni altro piano, tutti e dieci, meno che uno. Quale è chiaro come il sole.


*
 

La sera ero abbattuta e fuori di me. Uff. anche quel giorno non aveva dato frutti.
Il telefono squillò; mi chiamava Luke. Rispondergli? Hm, sì dai.
“Ciao Luke, cosa c’è?” chiesi passiva.
“Ehilà Ele,” usò il mio diminutivo; volevo strillargli Per te sono Elena ! ma mi trattenni, “che ne dici di uscire? Ci sono anche Pat e Sam, ti va? Programmiamo una sera per raccontarci storie dell’orrore!” esclamò tutto eccitato.
Oh che noia… Poi però mi illuminai.
Storie dell’orrore? “Ogni genere di storia di paura, Luke?” volli approfondire l’argomento, già scavandoci dentro.
Furbapensai infilandomi il giubbotto leggero che avevo appena tolto.
“Certo che sì. Allora? Vieni o no?” sghignazzò come se volesse farmi morire di paura seduta stante.
“Ovvio che vengo. Ma ad una condizione.”
“Quale?”
“Mi direte tutto ciò che sapete su 14 okay? È o non è una leggenda qui?” esclamai con un sussurro perché forse era un argomento un po’ tabù.
Luke esplose di gioia. “Sì che lo è! E io so tante di quelle storie che t’annoierai” rise.
Oh, non mi annoierò.
“Dove e quando?” gli feci, non pensando al doppio senso, e neanche al fatto che Luke mi aveva invitata anche se ci detestavamo sotto sotto. E nonostante la gaffe di quel mattino con Fedra.
“Casa mia, tra un’ ora. Scriviti l’indirizzo…”
Sarebbe stata la serata più proficua di sempre ! Felice , mi diedi una sistemata e partii.


*
 

Casa di Luke non era niente di tale, rimaneva una bifamiliare che divideva con una famigliola felicemente figliata.
Pensavo fosse una delle cose più sgradevoli del mondo vivere soli con, come vicini, bambini starnazzanti e genitori comprensivi. Ma, dopotutto, che me ne fregava di Luke?
Mi venne incontro e, sbrigativo, mi disse dove parcheggiare. Poi entrammo e mi offrì un caffè. Sam, una collega silenziosa, e Patrick c’erano già. Parlavano amorevolmente e si trovavano bene assieme.
Presupposi che forse anch’io avrei dovuto socializzare.
“Insomma, quand’è che iniziamo a movimentare la serata?” chiesi contenta, ma dai loro sguardi divertiti e imbarazzati capii che forse avevano inteso male. “Con le storie, intendo..” aggiunsi anche io a disagio.
Ero lì per quello. Stare con loro era uno strazio. Mi stavo trasformando in un’asociale pazzesca.
“Inizio io!” propose Sam, tirando fuori tutta la loquacità di cui era in possesso. “Allora, 14… Si dice che sia un vampiro” andò dritta al punto.
“Davvero?” mi feci più vicina a lei.
Si sentì importante, e proseguì. “Sì, so che è un pazzia… Ma dicono che si chiami Colin, abbia sui trecento anni e, per un crimine commesso in giovinezza, sia condannato all’ergastolo…”
“Che stronzata!” ghignò Patrick.
Nello stesso momento io e Sam gli sibilammo “Shh!” e ci scambiammo un’occhiata d’intesa. Non poteva capire.
“Quindi… Chiunque lavori in quella prigione deve badare che non scappi, o accadrà l’Apocalisse.”
“Davvero? Si dice questo?” Era vero. Era vero. Lo sentivo nelle vene che era vero.
“Già; e la sai un’altra cosa? È l’incarnazione dell’anima nera di Lucifero. Ecco perché l’Apocalisse. Si dice che Dio lo cercherebbe per ucciderlo, a costo di distruggere la Terra!” I suoi occhi brillavano, e sicuramente anche i miei.
Luke e Patrick spezzarono quella magia, ridendo.
“Ma che stupidaggini” continuavano a dire.
Idioti.
“Ma quindi? Non c’è un modo per… non so, liberarlo non facendolo scoprire a… quello lassù?” più  andavo avanti più mi sentivo ridicola. E poi, Elena, perché lo vorresti libero? Non è ovvio? Mi ero infatuata.
Sam piegò le sottili labbra in un sorriso.
Scosse la testa. “No. Ma tu…ci credi? Io sì. Ti prego, non ridere” divenne rossa.
Le presi le mani e, quando i due non ci sentivano, sussurrai “Sì. Ti credo. E voglio scoprirne di più”.
La serata andò avanti a raccontarsi film horror, dall’Esorcista a film più recenti. Nulla m’interessava, se non Colin.

Note. 
Ciao a tutte/i! Be', vi informo che oggi ho concluso i miei esami, quindi avrò i tempi morti da inizio vacanza per scrivere.
Per il bellissimo banner(*) bisogna ringraziare...me! L'ho fatto grazie alle modifiche di PicNik su G+.
(*)=
La parola inglese banner significa bandiera, vessillo o striscione. La striscia che solitamente compare all'inizio di una pagina web
 e che riporta il nome del sito è un banner. Da Wikipedia.
Nel capitolo ci sono solo accenni fatti da Sam. Elena (e noi?) siamo sempre più curiose.
SXDS

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Capitolo 7
*** 7 ***


7 di SXDS
AVVISO: se in questo capitolo non ci sono almeno 3 recensioni non continuo perché negli scorsi capitoli non mi avete detto cosa ne pensate :( :(

Il libro sui vampiri l’avevo riconsegnato sempre imbarazzata, perché privo di veri fondamenti.
Insomma, era un romanzo un po’ messo in formato da manuale. Patetico. 
Quel giorno Fedra mi disse che dovevo sistemarle lo studio, ma non mi azzardai a cercare il modulo di Colin – mi era difficile chiamarlo con il suo nome, ero più abituata a 14 – dopo ciò che era successo. Forse avrei trovato cose un po’ compromettenti rovistando in giro.

Il tutto si rivelò comunque una cosa noiosa, così cercai di finire il prima possibile.
A pranzo Luke mi chiese di sostituirlo.
“Come? In che senso? A proposito” sussurrai annoiata, “grazie per l’altra sera. È stato… interessante.” Davvero interessante.
Annuì. “Beh, per ricambiare potresti sostituirmi alla mensa? Devi semplicemente controllare che i prigionieri non si azzuffino fra loro; in quel caso usa il walkie-talkie e non intrometterti” mi consigliò indossando il cappotto che usava sempre, sopra la divisa. “Sarà meglio per te. Alcuni di loro sono davvero pericolosi.”
“Okay, non c’è problema. Tanto ho l’ora libera.”
Ci schioccammo sorrisi di circostanza, mentre io mi prendevo un panino dalla borsa frigo che avevo portato e andavo a cercare Sam: il pranzo per i detenuti sarebbe iniziato fra un po’.
La trovai al pc, che lavorava sicura di sé.
Mi sfuggì un sorriso che veloce nascosi. “Ciao Sam, come va?” le offrii un panino che accettò affamata.
“Grazie. Bene bene, tu? Sei un tesoro, se non mi avessi portato questo” sventolò il panino “ora sarei morente di fame” lo addentò con voglia di avere qualcosa sotto i denti.
Era ormai quasi novembre e il fresco si faceva sentire, così rabbrividii nella divisa. “Prego, non è nulla. Comunque volevo ringraziarti per l’altra serata. Mi hai aperto la mente” sorrisi apertamente e sincera, del tutto diversamente da come avevo sorriso a Luke.
“Davvero?” morse il panino e inghiottì dopo averlo masticato. “Mi fa piacere. Lo vai a trovare? Io…” ammutolì per un po’, e non capii. “Ne ho troppa paura, sai? Mi mette in soggezione. L’ho visto una volta sola da lontano e ho avuto una paura bestia.”
Che carina. “Io… Ma si può? Voglio dire, andare a trovarlo?” Se non era così allora sarei stata licenziata in tronco. L’idea di non rivedere Colin com’era successo il mese precedente mi spezzò a metà; lui ormai era il mio pensiero fisso. Non riuscivo a liberarmene e non capivo se fosse giusto o sbagliato.
Sbagliato mi suggerì il cervello, ma il cuore borbottò protestando no, è giusto! Mi sentivo in trappola. Ormai era troppo tardi. Mi aveva incantata, da quel primo momento in cui l’ho visto, anzi, già dal primo giorno di lavoro, mentre sorvegliavo le visite dei parenti.
Lui era solo. E non c’era da meravigliarsene, visto che, se ciò che diceva Sam era vero, i suoi parenti saranno tutti morti secoli fa. Pensare queste cose mi scombussolò.
“Certo, si può entrare. Però non bisogna mai stare a meno di un metro dai prigionieri. Tutti. Anche quelli che sembrano meno pericolosi.”
“Anche Claire?” mi scappò.
“Lei, anche lei” annuì mordendo il panino. “Be’ non devi andare alla mensa? È ora!”
“Grazie!” le disse alzandomi e correndo dimenticando il mio panino sulla scrivania di Sam. Non importava, non avevo fame. Mi si era chiuso lo stomaco.
 
*
 
La mensa era ciò che di più tranquillo ci si possa immaginare.
I prigionieri mangiavano passivi ai loro tavoli, a gruppetti, senza provocarsi né niente. Se ci si basasse sui film che provano a descrivere le carceri americane, be’, questa era tutta un’altra storia. Ma forse perché c’era un agente di polizia che sorvegliava ogni due metri. Anche se solo uno sialzasse silenzioso dal suo tavolo, avrebbe avuto gli occhi di tutti addosso.
Una cosa che mi colpì, era un tavolo al buio, completamente al buio, in un angolo. era così pesto che sembra che il nero nascesse da chi v’era seduto.
Non potevo muovermi dalla mia postazione, o meglio, quella di Luke, perché non ci sarebbe stato nessuno a sostituirmi.
Nel buio sovrannaturale, una mano pallida fece il gesto di salutarmi.
Merda. Il mio stomaco sussultò piacevolmente e strizzai gli occhi per vedere il resto di Colin, ma la mano sbucata dal nullo si tornò a rifugiare al buio.
Soffriva? Quel pensiero m’intenerì. Soffriva a stare comunque a contatto con la luce del sole? Con gli altri detenuti vivi?
Avevo accettato in modo meccanico la sua natura, forse perché già dal nostro primo incontro l’avevo scoperto.
Forse li invidiava, tornai a pensare al fatto che forse soffriva. Loro erano vivi, anch’io lo ero. E lui… cos’era? Molti li descrivono come “non-morti”, però con questo che cosa intendono? Non sono morti ma nemmeno vivi. Sono cadaveri che si sono risvegliati e camminano.
Ma certo!Vivevano in un limbo atroce fra vita e morte e, molto probabilmente, chiunque di loro, se gli aveste domandato «preferisci continuare a sopravvivere così o morire?» vi avrebbe risposto «morire». Perché là è quando smetti di vivere e inizi a sopravvivere.
Ripensai a subito dopo la morte di mio fratello. Ero così. Sopravvivevo. Il dolore era prepotente e non volevo combatterlo. I miei mi avevano mandata da uno psicologo, che non faceva che chiedermi insistente “Ma, Elena, sei una bambina così bella. E scommetto che sei pure simpatica! Perché non ti lasci alle spalle Fred?”. Oh, stupido uomo. Perché Fred era mio fratello. Ogni notte pensavo ti ho sempre voluto bene, Fred e poi, visto che così era troppo triste, aggiungevo e te ne vorrò ancora finché non torneremo assieme.
Penso sia stato il periodo in cui desideravo più morire che vivere.
Ogni giorno per Colin era così? Una tortura senza fine?
Il suicidio. Ci aveva mai pensato? E come? Era un essere immortale, poteva ammazzarsi di propria volontà? Ogni tanto avevo visto qualche film di vampiri che li descriveva per ciò che erano: bestie che vivevano solo strappando la vita agli altri. Alla fine il vampiro veniva ucciso infilzato al cuore con un paletto benedetto da S. Benedetto.
Il pensiero “lo potrei uccidere” mi travolse.
Ero pazza? Uno, non ci sarei mai riuscita e due, in realtà non lo volevo. Però l’avevo pensato su un filo logico: la felicità di Colin.
Io volevo che quel vampiro fosse felice.
“Elena, come va?”
“Oh, Patrick!” sobbalzai. Dovevo avere lo sguardo vitreo di chi si era imbambolato a pensare per un tempo troppo lungo. “Bene, grazie e tu? L’altra sera è stato divertente” sghignazzammo, lui sincero ed io solo per dargli corda. Perché era stato costruttivo, non divertente.
Si massaggiò gli avambracci e poi indicò il buio.
“Lo vedi? Creano quello spiazzo buio per lui. A noi agenti dicono perché è riservato” mi guardò ammiccando, e ricambiai falsa, “ma noi sappiamo che non è così no?” ghignò.
“Già.” Finsi di avere le zanne e tentare di morderlo al collo. Questo lo divertì e, ad essere sincere, strappò un risolino anche a me. “Che ne dici se un giorno continuiamo quello dell’altra sera? Chiediamo anche agli altri!” proposi esclamando quelle frasi gioiosa. Scoprirne di più… Mi attirava come una calamita.
Lui annuì. “Mi sembra un’ottima idea. Chiedo io a Sam e Luke, okay?” Mi schioccò un bacio a sorpresa sulla guancia e mi salutò avviandosi verso la sua postazione. Seguii il suo sguardo basso e vidi che Fedra lo invitava a fare il suo dovere. Poi guardò all’inizio torva anche me, ma poi divertita ammiccò dall’altra parte della mensa.
Che cazzo?Pensava che fra me e Patrick ci fosse ciò che c’era fra lei e Luke? Mah! Quella donna era davvero mezza pazza.
Una strana sensazione, come se qualcuno mi avesse osservata tutto il tempo quand’ero con Patrick, mi spinse a controllarmi attorno. I prigionieri mangiavano tranquilli. Meno che uno.
L’ala di buio non nascondeva l’ira negli occhi di Colin, che ora si mostrava in tutta la sua rabbia.
Sorpresa, provai a sorridergli, ma si dileguò nel buio.
Geloso. Che cosa bella.
No, non potevo pensare quelle cose: le avrebbe sicuramente lette.
Ma non potevo negare che andavo matta per quello sguardo che sembrava voler smembrare Patrick.
Una campana segnò la fine del pranzo, e me ne andai lesta. Sarei andata a trovarlo il mattino seguente, mi appuntai mentalmente preparandomi per tornare a casa.
Mi aspettava una strana sorpresa.

Note. 3 recensioni? ce la facciamo? :(
SXDS

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Capitolo 8
*** 8 sorpresa! ***


"into the darkness" SXDS
8 sorpresa!


 

Inserii le chiavi nella serratura.
Non sapevo perché, ma tremavo come una foglia senza un motivo valido. Forse avevo ancora in mente lo sguardo arrabbiato di Colin, o forse era semplicemente stress.
Insomma, non capitava tutti i giorni di avere a che fare con un vampiro.
-Salve, miss Elena Torino.-
Mi voltai sobbalzando. Un uomo, sul vialetto di casa, teneva stretto a sé un quotidiano, probabilmente molto vecchio. Ciò mi colpì. Era da molto che non leggevo un giornale.
-Ehm, salve- gli risposi, non molto convinta dal suo sguardo celato da occhiali da sole, nonostante fossero le otto di sera inoltrata, e fosse molto buio.
-Io sono Julian. Posso parlarle?- domandò.
-Ovvio-.
Di farlo entrare in casa mia non se ne parlava, quindi fui io ad avvicinarmi, a passo strascicato, tenendo stretta la borsetta e calcolando ogni via di fuga. A pelle, quest’uomo mi sembrava un dannato maniaco.
-Come le dicevo,- mi strinse la mano contro la mia volontà, e rabbrividii perché era più che ghiacciata, -io sono Julian. Zio di Colin.-
Sussultai.
-Lei è suo zio?-
La curiosità morbosa m’invase, molto prima del buonsenso. Poteva star mentendo ma, se non era così, allora forse era anche lui un vampiro.
Cazzo.Ora sembravo io la maniaca, però ormai convivevo con l’idea che non fossimo soli, noi umani. Anche se in molti lo sospettavamo già.
Scrittori, poeti, registi… Dovunque c’è la prova che né l’Universo né la Terra ci appartengono, eppure agiamo come fossimo dei dannati padroni di ogni molecola di polvere vibrante nell’aria.
-Sì, signorina- mi rispose, paziente, mollando la mano. –Vorrei chiederle un favore. Il mio povero nipote è in prigione da moltissimo tempo…-
-Ma perché?- azzardai.
Sospirò. –Non lo sa? Be’, stringerò molto il discorso. Allora…- iniziò, -è un Principe vampiro, molto potente, influente, scaltro… Però, purtroppo, davvero troppo sicuro di sé-.
-Pretende tutto e subito- annuii, e capii che l’uomo aveva compreso pienamente che ero entrata molto a contatto con Colin.
Ripensando al nostro primo incontro rabbrividii, e non solo di paura.
-E così, secoli fa, fu condannato all’ergastolo, dopo aver ammazzato suo fratello, per avere il trono-. Mi sorrise, quasi dolcemente. –Sa, Elena,- come sapeva chi ero? Poco importava –un tempo eravamo noi vampiri i sovrani del mondo-.
-Perché vi siete ritirati?- sistemai meglio la borsa sulla mia spalla, valutando se farlo entrare o no in casa. Sapevo però che era comunque uno sconosciuto.
Julian guardò a terra, ed intravidi due pozzi neri, simili a quelli di Colin, al posto delle pupille.
Il ricordo di quegli occhi mi frantumò qualcosa dentro.
-Potevamo governare solo durante la notte. Per voi- mi guardò un po’ sprezzante –non fu difficile ribellarvi. Semplicemente ci scacciaste. Ma non v’è nessun esercito umano, neanche il più equipaggiato, che possa sconfiggere un nostro esercito. L’unico motivo per cui rimaniamo all’ombra della vostra ignoranza è perché è comodo. E perché ormai c’è solo immondizia, da governare-. Mi serbò un’occhiata lugubre. Lo capii anche se indossava quei maledetti occhiali.
Deglutii. –E, questo, con Colin, che c’entra?-. Io, piuttosto, che c’entravo?
-Devi liberarlo- disse con semplicità.
-Cosa? Ma come faccio?- Non gli dissi di no.
-Liberarlo nell’animo, miss. È mio nipote, unico erede. Prima di tutto, deve convincersi che può uscire di lì. La vostra è una prigione ridicola, non fugge solo perché, come dicevo, è comodo-. Si passò una mano in cui sporgevano vene senza sangue fra i capelli tirati all’indietro. –La vostra ignoranza è la nostra culla-.
Mi dondolai sui talloni.
Tornai alla realtà. –In che senso, nell’animo?-
-Colin non ha mai amato. Nessun gliel’ha insegnato. Forse, se dovesse proteggere qualcuno, per quella persona uscirebbe dalla prigione.-
-Come? Ma, scusi, non può liberarlo lei? Non è così facile?-. Amare? E questo che cosa voleva dire?
Quell’uomo proseguiva per enigmi, e, nonostante una vita con Colin mi piacesse molto, come sogno nel cassetto, io? Lui?
Mi immaginai vampira.
Perfetta, assassina, occhi neri, con Colin.
Per sempre.
Vivere per sempre. Una prigione e una benedizione.
Non so se avrei voluto vivere per sempre.
-Non è questo che le sto chiedendo di fare- mi corresse Julian, facendomi diventare rossa.
Cazzo, vero! Leggeva anche lui i pensieri.
Mi scusi, gli dissi pensandolo, perché, ad alta voce, non ce l’avrei mai fatta, no.
-Stia tranquilla. Non so come, faccia uscire di sua volontà Colin da là. Nulla nega che poi possiate… Com’è che ha detto? Vivere per sempre. Insieme-. Mi guardò diventare rossa fino alla punta dei piedi. –Lei non è il tipo di donna che apprezza mio nipote. Ma, nei secoli, si cambia- affermò.
Annuii.
-E se le dicessi di no?- gli chiesi dopo un po’. Era solo per provocarlo, lo sapevamo entrambi.
Non gli avrei mai detto di no.
-Oh, miss Elena- ridacchiò con eleganza. –Lei non può dirmi di no. Non deve- mi sorrise mostrano dei denti perfetti intervallati da canini lunghi; pensai che erano molto diversi da quelli di Colin.
Lui sembrava molto più pericoloso.
-Lui è molto più pericoloso-.
-Oh…- Quand’è che avrei smesso di svelare ogni mio pensiero?
-Beh, miss Elena, spero che ce la farà, al massimo in un anno- mi prese la mano e poggiò un bacio sul dorso. –Saluti.-
Sparì. Nel nulla.
Un po’ d’aria smossa dalla sua corsa mi scompigliò i capelli.
Vivere per sempre.
Con Colin.
Calmati.
Io, in questi mesi, mi ero innamorata di lui?

NOTE. 
Salve, ragazze. Non ho molto da dire, solo...ecco la sorpresa. Lo zio di Colin, Julian. E poi i dubbi di Elena c: c: che carina no?
Be', 3 recensioni? =3 mi fa sempre piacere (tanto sapete che, anche se non ne mettete 3, vado avanti lo stesso xd)
SXDS


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Capitolo 9
*** 9. ***


Capitolo 9.

"Sappi che non ti libererai così facilmente da me." -cit.

 
Io, innamorata di Colin?
Dovrai portarlo via di lì.
Vivere per sempre. Insieme.
I miei occhi rossi, la pelle bianca diafana, gli atteggiamenti fluidi e sinuosi, la bellezza inumana, la forza indicibile. Le labbra di sangue, le zanne snudate.
Mi calmai a forza.
Come diavolo riuscivo a pensare a quelle cose? In più, il giorno dopo, avrei avuto – come al solito ogni martedì – un’ora in cui dovevo gestire sola soletta l’intera prigione.
Mi battevano i denti, mentre entravo.
Patrick era lì. Aveva l’ora prima di me, come sempre in quel mese abbondante.
“’Giorno piccola.”
“Patrick.”
Piccola?Da dove? Lasciai correre, mentre aprivo la porta all’uomo, con un muto invito. Un “va’” solo pensato, ma molto esplicito.
“Come va?” mi domandò, fermandosi con la giubba in grembo fra me e la porta. Io ero in mezzo, intrappolata.
Sussurrai: “Io sto bene. Ora, da sola, starò molto tranquilla e be’, sì...”
“Che ne dici di uscire? Oggi?”
“Come?” Mi colse alla sprovvista. Un assolutamente no mi crebbe dentro, spezzando la buona educazione inculcatami da giovane età. Per grazia divina mi trattenni.
Balbettai, imbarazzata – ma lo era anche lui.
“Io? Tu? Oggi?”
Idiota. Un minimo di decoro?
Patrick mi carezzò la guancia. dolcemente.
“Sì. Solo io  e te.”
“Oh...” Collegai e, no, non  potevo. Avrei tradito Colin, così.
Cosa!?L’avevo davvero pensato!? Ero fuori di me? Come potevo tradirlo, se non ci appartenevamo.
Una lampante immagine di me con un morso al collo e un paio di occhi cremisi mi lampeggiò in mente.
Scossi la testa, provando a scacciare così la mia fantasia.
Mi schiarii la voce. “Oggi purtroppo non posso. Però possiamo rimandare. Domani? Come sei messo? Se ti va approfondiamo l’argomento Numero 14” gli feci un sorriso intrigante – almeno sperai d’essere intrigante, e non ridicola.
Probabilmente funzionò, perché anche Patrick avvampò leggermente. Non era vecchio come pensavo, massimo trentacinque anni, e possedeva una bellezza innata, non coltivata, nata da sola. Non l’avevo mai guardato così.
“Oh, peccato.” Si scostò. “Domani non posso. Ci accorderemo.”
“Hm... Domani no?” Era mercoledì. Davano al cinema Inside. Portava qualche ragazza con sé?
Che te ne importa?Già. Per quello che mi riguardava, Colin era molto meglio di Patrick. Molto meglio, molto.
In cinque minuti l’uomo si dileguò, con uno sguardo ferito che mi sconquassò il ventre, e io ebbi l’ora libera. In realtà, quarantasette minuti.
Salii le rampe di scale fino al sesto piano, veloce, esagitata, pazza furiosa.
La sera prima avevo parlato con il presunto zio di Colin. Colin era un principe vampiro. Veramente? Io sì, ci credevo. Ormai c’ero dentro con tutte le scarpe.
Nulla mi separava dalla cella 14.
Presi le chiavi. Cercai quella giusta; la trovai e bussai.
“Ehm... Col...” mi bloccai in tempo. “14? Posso?”
“Sì. Entra. Ti aspettavo.”
Perché quella frase, sospirata a mezz’aria, mi rendeva felice come una Pasqua? Non me ne stupii: l’intrigo per quel ragazzo – uomo – mi cresceva dentro come una pianta rampicante, ancora presto per sradicarla, ma troppo complesso e laborioso. Meglio lasciarla lì e abituarcisi.
Entrai. Rimasi davanti alla porta chiusa. Mi lampeggiò l’immagine di me trasformata, e mi dissi basta ! perché lui lo poteva vedere. Non dovevo assolutamente pensare ad alcune cose compromettenti. Come a suo z...
“Buongiorno, Elena. È da un po’ che ti aspetto.”
Non lo vedevo. Usufruiva l’oscurità per celarsi. Ma io volevo vederlo. Lo volevo davvero. Era ancora arrabbiato per quell’incontro con Patrick e me in mensa? Era così scorbutico?
Lo sentii muoversi nell’ombra, ma non lo vidi. Stremante. Come morire di fame di fronte ad un tavolo riccamente imbandito, sotto lo sguardo di chi mangia ingordo.
“Scusami. Ho parlato un po’ con Patrick.”
Merda. Capii d’aver detto la cosa sbagliata, quando non s’arrabbiò, ma seguì un silenzio penoso.
“Davvero?” ghignò. “Perché me lo dici?” Sbucò dall’ombra così velocemente che non lo vidi. Mi si fermò a pochi centimetri dal volto, arrabbiato, furioso. Aveva gli occhi come pozzi d’onice liquida. Belli ed inquietanti.
Irraggiungibili. Mi scostai di molti passi, e non replicò. Ciò mi colpì moltissimo, solitamente prediligeva il contatto fisico e visivo, all’ignoranza completa – come faceva ora.
“No. Scusa. Io l’ho detto perché è la verità.”
“Non lo metti in dubbio.”
Il suo volto era una smorfia di disprezzo.
Colin” dissi. Non me ne pentii. Il suo duro sguardo si trasformò in un’occhiata dilungata e penetrante.
La sua mascella decadde. Snudò le zanne.
Occhi neri. Non rossi, neri. Le nostre labbra giocavano fra loro, smaniose. Non ci tiravamo indietro, assolutamente.
Colin era freddo come la pietra, e anch’io lo ero. Gelida. Non ero mai stata così. Fredda sì. Ma mai dentro.
Quell’incontro potrebbe essere considerato il più bello, fra me e lui. Quasi dolce. Ma in realtà era falso; fasullo.
Lui si staccò da me e smise di lambire le mie labbra rigonfie. “Elena...” sussurrò.
Non sapevo che dirgli. Provai a ribaciarlo, ma si allontanò.
“Elena. Che intenzioni hai?”
“Colin... Io...” Mi addossai a lui, che mi abbracciò, ma sentivo che era teso.
“Elena. Dimmi che vuoi fare.”
Gli sorrisi ambigua, però non gradì, e si staccò definitivamente da me. Non riprovai più ad avvicinarlo: aveva ragione.
“Voglio portarti via di qui.”
“Elena?” Colin schioccò le dita davanti ai miei occhi. Sentivo il mio cuore pompare esagerato.
Arrossii. Sorrise.
“Ops!” esclamai. “Immaginavo.”
“Cosa?” sussurrò roco.
Non gli mentii. Perché farlo?
“A come vorrei dirti che intenzioni ho. Ieri è venuto tuo zio. Ti poterò via di qua, Colin.”
Lo baciai e non me ne resi conto finché non sentii il suo sapore sulla mia lingua. Anzi: la sua lingua nella mia bocca.
Non so quanto rimanemmo così, ma non avevo intenzione di sottrarmi a quella magia rara e irripetibile.

NOTE. 
Perdono! Scusate se non aggiorno dall'era glaciale! :'(
ora però sono qui: che ne dite?
sappiate che..
Da ora inizia il bello, preparatevi,
Sxds

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Capitolo 10
*** 10 ***





10. “Scusami tu, ma non posso permetterlo.”

Quando mi staccai da lui, fu com’essere folgorata da una scarica elettrica da miliardi di volt.
Semplicemente non riuscivo a capire il perché di quel distacco. Era stato tutto così perfetto. Finora.
Colin mi guardò negli occhi. E sussultai.
“14… Cioè… Colin! I tuoi occhi!” deglutii a vuoto. Ero sorpresa. Anche terrorizzata, ma più che altro sorpresa.
“Cos’hanno?” mi domandò, anche se sapevo che era solo una sfida, la sua, solo per mettermi alla prova. Così non mi tirai indietro. Se dovevo portarlo via di lì, dovevamo appartenerci. L’ombra di un sorriso gli increspò le labbra, e capii che mi aveva letto il pensiero. Annuì.
Be’, potevo usare la cosa a mio vantaggio.
Gli guardai gli occhi.
Sono bellissimi, Colin.Gli dissi – in realtà lo pensai. L’avrebbe sentito? Sono meravigliosi, a dir poco. Come hai fatto? Sono verdi. Verdi smeraldo precisai un po’ pignola. E luccicano. Non poco.
Colin sorrise ampiamente, e ciò mi defibrillò. Sussultai con tale forza che mi trattenne per le spalle, temendo forse che potessi cadere. Effettivamente le mie gambe sembravano fatte di polpa di granchio, o qualcosa di simile, perché mi ci reggevo a malapena. La sua stretta alle spalle era splendida. Mi faceva sentire viva. Le sue grandi mani arrivavano alle mie scapole, e sentivo le sue unghie corte sulla pelle, attraverso la divisa.
Lo so. Sono il riflesso dei tuoi.
“Cosa!?”
Lui… Aveva parlato, sì. Ma nella mia testa. Mi guardai circospetta attorno circospetta, pensando che ci fosse qualcun altro. Come se avessi potuto confondere la sua voce.
Ridacchiò. Persi un battito, alla sua risata. Non ci credevo che c’eravamo baciati. Che io l’avevo baciato.
Perché al nostro primo incontro – scontro – mi aveva azzannato la lingua. Era un bacio? No, assolutamente, così eclissai il ricordo, un po’ troppo brutale per i miei gusti.
Hai… parlato tu?
Annuì, e la sua voce si mischiò ai miliardi di pensieri che mi ronzavano in testa.
Sì, cara Elena. Ti sto parlando. O pensando. Ghignò a pochi centimetri dal mio volto, il suo fiato che mi accarezzava la pelle. Subito s’incupì, e gli occhi tornarono neri, come pozzi senza fondo, dove non ti puoi schiantare, cadendoci, ma morire di vecchiaia.
Che ti ha detto Julian?
Julian? Ah, sì. Suo zio.
Che devo portarti via da qui. E lo farò. Stanne certo.
Mi accarezzò i capelli. Davvero? E se non volessi andarmene?
“Perché?” Quasi lo urlai. “Perché vuoi rimanere qua? Potrei scappare anche … Anche ora! Uccidermi, distruggere la porta e nasconderti in un angolo buio attendendo la notte. Perché ti torturi a restare qui!?”
Presi un grosso, grosso respiro. Più pesante della prima volta ch’ero venuta qua al lavoro, più anche di quando Patrick mi aveva chiesto di uscire, più di quando papà mi aveva detto che, con un tatuaggio, non sarei tornata a vivere sotto il suo tetto, più…
“Hai un tatuaggio?”
“Che?”
Mi leggeva il pensiero. Beh, non era carino, da parte sua.
Annuii.
Il suo sorrisetto furbo mi paralizzò. Sapevo che mi avrebbe chiesto “Dove?” ma, anche se era in un posto casto, vibrai d’ansia.
“Posso vederlo?”
Annuii ancora, un po’ a disagio.
“Rilassati” mi sussurrò all’orecchio, per poi lasciarmi fare due passi indietro, in modo d’avere spazio per denudare la parte tatuata.
Il collo. In realtà, la nuca. Ci avevo tatuato un aeroplano stilizzato. Lo trovavo abbastanza bruttino, però significativo.
Non ti piace? Che significa?
La sua voce nella mia mente mi riportò addosso a lui. Come se fosse un contatto intimo, più che parlarci a fior di pelle.
È… - non ridere – perché così… Posso, ehm…
Dimmelo, su; sai, l’ultima cosa che posso fare è giudicartimi sorrise ammaliante. Nessuna donna avrebbe resistito un attimo di più a quel sorriso, con tutti i denti, anche se in realtà erano zanne pericolose, simili a quelle degli squali.
Così posso volare in alto. Okay? Ora che lo sai, puoi ridere. Quattro secondi dovrebbero bastare, sennò me ne vado.
Mi strinse in un improvviso abbraccio. Non so perché, ma avevo le lacrime agli occhi. Bollenti. Le sue braccia muscolose disegnavano un arco attorno a me. Io lo strinsi all’altezza della vita. Appendermi al suo collo mi sembrava un po’ troppo.
Oh, Elena. Perché dovrei riderne? È una cosa stupenda…
I suoi occhi neri erano sinceri. Perché non tornavano verdi?
Allora, verrai via con me?
Sbuffò l’aria dal naso, come i cavalli.
Elena… Io…
Non l’avevo mai visto esitare, da che ci conoscevamo.
Colin. Dimmi perché resti qui. Dimmelo e smetterò di assillarti. Promisi, incrociando però le dita dietro la schiena. Ero sicurissima che l’aveva notato, però non ritirai nulla.
Perché non posso andarmene in giro come se i vampiri facessero ancora parte della comunità. Tu non sai in che pietose condizioni vive Julian e io, qui, posso considerarmi molto fortunato. Pausa.C’è chi di noi muore perché un raggio di luce all’alba lo trapassa, chi non ce la fa più e molla tutto, chi… Il suo petto si alzava e abbassava repentinamente, così pensai che era il caso di dirgli che poteva smettere, che era tutto okay, ma continuò: Chi si stacca dal gruppo. Come me. Mi sento protetto, qui. Tutti hanno timore di me perché è nel vostro DNA umano, come un sesto senso. Però il tuo è difettoso, sorrise guardandomi, poi tornò ad appoggiare la testa sulla mia. Il suo mento premeva sui miei capelli. Mi sentivo in paradiso, però lui scendeva lentamente i gironi dell’inferno. Io voglio restare qui, Elena, perdonami.
Chiusi gli occhi. Assimilai tutti in un attimo.
Perdonami tu, ma non posso permettertelo. Ti fai così duro e granduomo, e poi non tiri fuori le palle. Entro una settimana – lo giuro su di me – non incrociai le dita ti porterò via di qui.
 
*
 
“Elena! Eccoti! Dov’eri?” Sam mi raggiunse, mentre scendevo un po’ spaesata le scale.
Le mentii. Sapevo che sapeva che ero stata da lui, perché glielo leggevo negli occhi, ma entrambe sapevamo che non era permesso, così procedeva il nostro tacito accordo, da quella serata “fra amici” a raccontarsi storie dell’orrore.
14. Non lo chiamerò più così, mi dissi.
“Controllavo ogni piano. Ho sentito dei rumori, non volevo che qualcuno fosse scappato o so io che.”
“E com’è andata?” Ovviamente si riferiva a me e Colin. 14.
Annuii e basta, perché Fedra mi chiamò a sé.
“Elena, oggi ho bisogno di te” mi disse.
“Certo, dimmi tutto.” La mia voce era stanca e assonnata. La chiacchierata con Colin mi aveva azzerata completamente. “Sono qui.”
“Allora” si sistemò la divisa, controllò anche la mia, che però era perfetta e lisciata. “Va’ a quest’indirizzo. Una donna vuole che tu e Patrick – vi ho scelti per la vostra efficienza – le controlliate la casa. È da giorni che sente strani rumori, come se qualcuno fosse chiuso in cantina. E lei vive sola. Non ha figli, né marito, né animali domestici.”
“Un estraneo?”
“Esattamente. Patrick! Vieni qui!” Spiegò tutto brevemente anche a lui.
Eravamo efficienti? Insieme? No no: intendeva singolarmente. Vero?
La sfiga mi si era affezionata, pensai quando Patrick mi guardò ambiguamente. Quello era un ripiego per il nostro appuntamento.
E io volevo solo sparargli.

NOTE.
Per favore, 3 recensioni? o 2? Mi sento sola... D:
Com'è il capitolo?
SXDS

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Capitolo 11
*** 11 ***


INTO THE DARKNESS.





















11. Una serie di sfortunati eventi.

 
Sta’ calma.
Conta fino a dieci.
Ricordati che l’omicidio è illegale.
Con quell’ultima frase mi venne in mente che non avevo ancora spiccicato parola con Patrick. Era da circa un’ora che guidavamo verso la casa della signora pazza – perché dai, come poteva sentire rumore in cantina? Era pazza. – e non l’avevo neppure salutato.
Però, purtroppo, non si era scoraggiato.
«Allora, come stai?»
Socchiusi gli occhi.
«Bene» esordii, senza tralasciando un “e tu?”.
Patrick sbuffò.
«Ma che hai?» Accostò la macchina. Quando stavo per scendere, bloccò le portiere dall’interno. Dio, mi sarei messa ad urlare dalla frustrazione, fra poco.
Mi sistemò una ciocca dietro l’orecchio. Cercai con tutta me stessa di non assestargli un cazzotto allo stomaco.
Strinsi i pugni e digrignai i denti.
«Nulla».
 E volevo solo che tutto finisse il prima possibile.
 

*

 
«E io cos’avevo detto? Non c’era proprio niente nella cantina! Solo polvere e roba vecchia e muffosa!»
Io e Sam scoppiammo a ridere.
Appoggiai la birra sotto la sua scrivania. Sam ammiccò: in teoria nessuna di noi avrebbe potuto bere, in orario di lavoro e, soprattutto, sul posto di lavoro.
Perciò rimanevamo in incognito.
Mi si avvicinò cauta e mi sussurrò all’orecchio: «E allora come sta andando con 14, eh?»
La sua voce era calda e suadente. Le dissi tutto. Non c’era molto da dire, in realtà. Me ne resi conto dopo.
«Noi… Abbiamo parlato. Ci siamo baciati.» E’ il principe dei vampiri. È bellissimo. Non saprai mai com’è in realtà. Non saprai mai nulla di lui. Rinvenni dalla trance. Sam aveva addosso un sorrisetto strano. «No. Non ci siamo baciati. Sono le mie fantasie contorte. E il nostro “parlare” si limita a –Devo entrare a fare le pulizie- oppure –Buongiorno-. No?»
Potevo fidarmi di Sam?
Potevo dirle tutto?
Non me la sentivo. Sarebbe andata da Fedra. Ne ero certa.
Poi però mi venne un dubbio: «E tu? Ci hai mai parlato?»
Deglutì. «Io? Se ci ho parlato?» Il rossore sulle sue guance mi strattonò il petto. Sì. La risposta era sì. «Già» disse e tremai «e non solo. È davvero bravo a baciare. Solo… Ha degli strani den…»
«Agenti! Non vi pago per oziare! Dov’è la relazione riguardo la pazza, Elena?»
Grazie a Dio. Fedra ci interruppe al fatto “zanne”. Come avrei spiegato a Sam che anche io sapevo? La domanda era però un’altra: come sapeva lei? E che cosa?
Sorrisi a Fedra per circostanza.
«L’avevo affidata a Patrick. Lui è stato in cantina. Mentre io ho interrogato la donna, ma nulla di nuovo».
Le prese un tic all’occhio.
«A Patrick?» sibilò. Perché era così agitata? «Ma almeno sai dov’è lui ora?»
Imbarazzata, mi guardai intorno. In effetti non era in nessun ufficio.
Arrossii. Com’ero potuta essere così sprovveduta?
«Siete tornati qui insieme, vero?» chiese.
Sentii Sam trattenere il fiato.
«Noi… No.» Meglio non divagare.
Quello che accadde dopo fu molto caotico.
 
No? Come no? Sei impazzita? Da quand’è che non lo vedi?
Ecco… Interrogavo la signora, lui era in cantina. Mi ha inviato un messaggio. Dicendo che potevo andarmene tranquillamente.
Agente Torino – quando mi chiamò così, non per nome, mi feci piccola piccola, terrorizzata – come è tornata qui?
In bus.
Fedra ringhiò. Dov’è la tua responsabilità? È chiaro che Patrick non è tornato! Ora dove sarà? Tu tu e tu – indicò alcuni miei colleghi, basiti guardando la scena – andate a questo indirizzo. Perquisite la casa. Patrick è ancora laggiù.
Mi guardò con odio.
Tremendamente in colpa, mi incassai nelle spalle. Sam ridacchiò.
Insomma, si sapeva che fra te e Patrick non scorre buon sangue, ma abbandonarlo in quella casa? Con la donna pazza? Per me non c’è nulla in cantina ed è proprio lei la psicopatica. Si passò una mano fra i capelli.
E se fosse davvero così?
Lo avrebbe ammazzato, che dici? Ghignò.
Patrick… morto?
 
*
 
Alcune ore dopo, di Patrick neanche l’ombra.
Sentivo già sulla mia pelle il marchio “licenziata”.
Ma dove cazzo poteva essere quel lumacone? Io non volevo certo perdere il mio impiego – frutto di orgoglio per la mia famiglia e me – per colpa sua !
O forse mia?
Ripassai tutta la visita in quella casa.
“Buongiorno, signora. Siamo l’agente Patrick ed Elena.”
“Oh, carissimi! Andate di sotto! Subito!”
Quella neanche si presentò. Lasciai correre perché magari era ancora sotto shock. Per dei rumorini? Innocui?
Patrick mi contemplò con lo sguardo, neanche fossi un’opera d’arte, un quadro.
“No, vado solo io. Tu resta qui e interroga la signora…?”
“Il mio nome non ha importanza, caro!” strillò quella con gli occhi fuori dalle orbite, indicando una porta leggermente più in basso rispetto al resto del pavimento. Per arrivarci dovevi percorrere tre gradini soltanto. Meglio così, o sarebbe sembrata una scena horror.
La donna era l’incarnazione di una vecchia pazza.
Il mio collega si dileguò sotto. Dei rumori neanche l’ombra.
Era il mio primo interrogatorio. Sapevo cosa dovevo fare perché me l’avevano insegnato, però ero lo stesso tremendamente emozionata.
“Dove preferisce farlo?”
La signora mi guardò di sbieco.
“L’interrogatorio!” precisai imbarazzata per la gaffe.
Ma quella si accigliò.
“No, non intende. Io… Non voglio proprio interrogarla, solo porle alcune domande. Che ne dice di quel divano?”
Lei annuì. Si accomodò proprio al centro del divano, così io non mi potei sedere. Mi piazzai in piedi difronte alla maleducata.
“Allora, signora, dice di sentire rumori in cantina.”
“Taverna, cara” mi corresse. “Le pare che una cantina possa essere così? Quasi al piano terra?”
Non mi feci intimorire dalla sua arguzia. “D’accordo. Sente questi rumori? Risponda sì o no.”
“Sì. Li sento.”
Annotai sul bloc-notes un «sì» che lampeggiava in mezzo alla pagina bianca A4. Lo facevo solo per risultare più professionale. Che cosa si sarebbe capito da un sì?
“Okay. Da quanto tempo? Mi dica i giorni, per cortesia.”
“Sessantatré. Li conto sa?”
“Oh, beh…Va bene”. Scrissi un «63». Più parlava più mi sembrava una con problemi mentali. Perché contare i giorni? Basta dire “due mesi”, no?
La vidi con la coda dell’occhio annuire. Quando la guardai meglio spostò lo sguardo su di me preoccupata, ma ormai l’avevo vista: guardava verso la taverna.
“Stia tranquilla, il mio collega sta ispezionando. Non ci vorrà molto” spero.
Lei sorrise in modo materno. “Dici, cara?”
“Dici, cara?”
Perché non l’avevo capito? Era un chiaro segno! Me l’aveva detto su un piatto d’argento: il tuo collega ci metterà un bel po’, invece.
Allora avevo lasciato la casa sotto suo invito: “La ringrazio molto d’essere stata qui. Però non è più utile, no?” disse e mi innervosii. Come si permetteva?
“Oh…”
Stava dirigendo i giochi.
“Quindi, perché non va? Tenga” mi porse un biglietto dell’autobus. Fra le prime fermate c’era la prigione. Il suo sorriso azzerò l’astio.
Annuii.
“D’accordo, signora. Lieta di esserle stata utile, più che potevo”.
«Elena! Mi abbandona un collega, e poi la trovo a guardare il vuoto? Ma lei vuole farsi forse licenziare!?»
Feci stridere la sedia per alzarmi e guardare negli occhi Fedra.
I miei vividi, i suoi arrabbiati.
Scossi la testa. «Certo che no. Però ora lo so: non c’è mai stato nessun rumore.»
A quel punto Fedra stava sbuffando fumo da ogni poro, per l’incazzatura.
«Agente Torino! Come si permette? E, se non ci fossero questi rumori, perché la donna li avrebbe denunciati? Per farci perdere tempo ? Ma tutti sanno a che guai vanno incontro facendoci sprecare forze e tempo… Forse tutti tranne lei, agente!»
Rimasi pacata.
«Ecco la spiegazione: è solo un modo per adescare una vittima, signora. Visto che ha scelto Patrick, non escluderei molestie e…»
«Fedra! L’abbiamo trovato, ma…»
Fedra mi zittì con un’occhiata e si voltò. Era stata Sam a parlare – non mi fidavo più di lei – che aiutava altri tre colleghi a trasportare il corpo a peso morto di Patrick. Del povero Patrick.
Sussultai.
Non aveva lividi. Era sano.
Fuorché per un dettaglio: zoppicava. La caviglia destra doveva essere rotta. Magari con un…
«Fedra! È stata la donna! Ho notato che si supportava ad un bastone, per camminare. Poi però, quando l’ho interrogata, l’ha appoggiato e camminava benissimo lo stesso!» Mi avvicinai agitata a Patrick. «Gli ha rotto la caviglia col bastone. È chiaro che lo tiene con sé come arma.»
Fedra appoggiò le mani sui fianchi.
Il suo sguardo indagatore perlustrò il mio, alla ricerca di qualcosa: veridicità, forse.
«Ah sì, eh?» Poi ghignò verso il mio collega. «Così, vecchio Pat, ti fai picchiare da una nonnetta? Non me la immagino la scena però.» Sembrò rimuginare, dopodiché iniziò a ridere.
Io sorrisi e basta.
Ora guardava me.
«Bene. Qualcuno porti qui la vecchia, dovremmo interrogarla, no? Elena, visto che siete amiche, fallo tu» mi ordinò.
«Certo capo».
“La vecchia”, come la chiamava Fedra, era già da noi. Luke l’aveva ammanettata e la trascinava a sé impacciato.
«Eccola qui».
Tutti guardavamo le manette, e poi la donna apparentemente innocua.
«Provava a ribellarsi!» si giustificò lui, suscitando alcuni ghigni divertiti fra tutti noi altri.
Fedra la portò con sé.
Mi disse che magari era «meglio se parli un po’ con Patrick». Quel “parli” però era uno “scusi”. Gli dovevo delle scuse, aveva più che ragione.
Quando tutti gli agenti tornarono al lavoro e restammo soli, dissi solamente
«E’ stata colpa mia. Scusami.»
E me ne andai.
Volevo dire tutto a 14. A Colin.
Finalmente succedeva qualcosa di elettrizzante, più o meno, qui.
Salii come impazzita le scale, per andare alla cella ormai familiare.
Solo che era aperta.
L’allarme iniziò a suonare.
Imbambolata, non capii.
Corsi via di lì, mentre gli altri agenti riempivano scale e corridoi in massa.
Una voce registrata disse Tutte le uscite sono state bloccate. Nessuno entra né esce. Era un’ovvia minaccia.
Deglutii.
Dov’era Colin?
Era fuggito?
Tutto ciò che gli avevo detto era servito?
O era venuto qui suo zio Julian?
L’idea di non vederlo più mi fece male come se mi stessero scavando una fossa nel petto per strapparmi il cuore e farlo esplodere davanti ai miei occhi vitrei e morti.


NOTE.
"Colin! Colin! Dove sei?!" <---- ecco perché il nostro bel vampiro non c'è stato neppure un attimo per l'intero capitolo: s c a p p a t o!
La domanda è "Dov'è?".
Hmmm... Sarà una dolce sorpresa, bellissime.
Dunque... 3 recensioni? Ci proviamo! Ricordate che è un bel regalo, un grazie grande grande! :)
Bacioni,
Sxds.

SPOILER:"E poi dormimmo abbracciati per un'ora. E fu meglio che fare l'amore".

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