Qual'è la realtà?

di FreeAngel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (prima parte) ***
Capitolo 2: *** (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** (prima parte) ***


Come riconosci un sogno dalla realtà? Questa era una delle domande che il filosofo Cartesio si pose per identificare e definire il termine esistenza, rispetto alle cose e al corpo stesso dell'uomo. Io concordo con lui. Distinguere le due cose è impossibile. Quando non ricordi i sogni della notte precedente al tuo risveglio, tra noi umani si dice che non se ne fatti: ma è veramente così? O piuttosto c'è qualcosa che ci impedisce di ricordare? E dove siamo stati? Nessuno può rispondere, perchè nessuno ricorda. O quasi nessuno. E già! Qualcuno rammenta. Qualcuno vive una doppia vita: una di giorno ed una di notte. Ma non chiedeteglielo perchè non vi risponderà. Terrà segreta l'esistenza del “Mondo che non c'è”.

Correvo. Correvo più veloce che potevo, impaurita e ansante. Una creatura mostruosa, per metà umana e per metà lupo, mi inseguiva correndo a quattro zampe, mentre dalla sua gola si levavano latrati e ruggiti terrificanti. Non sapevo come vi fossi finita in quella situazione. Non sapevo come e perché stessi correndo nel sottobosco di un'oscura foresta, intralciata da rami e radici che mi graffiavano la pelle. Zigzagando tra gli alberi riuscivo a mantenere la creatura a distanza sufficiente per evitare che mi azzannasse un braccio, ma non era abbastanza. Il mostro si avvicinava sempre più, tanto che, più di una volta, rischiai di trovarmi menomata. L'adrenalina che avevo in corpo, mi bruciava nelle vene. Probabilmente dovevo ringraziare questo se ero ancora viva poiché teneva lontana la stanchezza, ma il mio istinto mi diceva che sarebbe stata la felicità di un attimo. Infatti dopo un tempo indistinto di folle corsa sentii i muscoli tremare sotto il pesante stress della paura. In un attimo avvenne l'inevitabile. Le mie gambe stanche e goffe cedettero quando inciampai in una radice che, ribelle, sbucava dal terreno. Nel cadere mi graffiai i palmi delle mani, ma il dolore passò in secondo piano, poiché voltandomi vidi le bianche zanne del lupo a pochi centimetri dal mio naso. Mi sfuggì un grido di terrore dalle labbra. Un lampo di luce verdognola colpì con violenza il fianco del lupo appena in tempo, mandandolo a sbattere con forza contro un albero vicino. La creatura uggiolò dal dolore, quando sbatté la schiena contro la pianta, incrinandone la solida corteccia. Un ragazzo era comparso all'improvviso e mi aveva salvato la vita. Era molto bello, aveva capelli rossi lunghi fino alle spalle e occhi verdi che spiccavano come smeraldi sul suo viso. Un velo di barba li delineava i lineamenti squadrati e duri. Indossava una strana tonaca nera dalle ampie maniche bordate in oro, da cui spuntavano mani grandi e forti puntate contro la creatura accasciata che, con vari scrocchi di ossa, tentava di rimettersi in piedi. In brevissimo tempo essa ci riuscì e, sbavando, ruggì furiosamente verso il giovane. Lui però non si mosse, rimase immobile, impassibile ed estremamente concentrato. La mostruosità appiattì le pelose orecchie appuntite al cranio e, con estrema agilità, balzò addosso allo straniero, il quale si spostò velocemente, ma non abbastanza per evitare di essere graffiato ad un braccio. Sul volto del giovane vidi il dolore, ma non la paura. La bestia dalle sembianze lupesche partì di nuovo all'attacco, ma il giovane lo schivò nuovamente. Parole astruse e arcaiche, provenienti da un tempo antico, uscirono dalle labbra del “rosso”con rabbia e mentre le pronunciava, una luce smeralda come i suoi occhi nacque dalle sue mani. Da fioca velocemente divenne intensa. Il lupo nel suo balzo non poté spostarsi. Le mani del giovane toccarono il petto del lupo e questo venne sbalzato via con più forza della volta precedente. La creatura sbatté contro diversi alberi e si accasciò a terra uggiolando. Il rumore delle ossa, prima che si rompevano e ora che si ricomponevano, mi diedero la nausea. Da questo seppi che presto sarebbe tornato all'attacco, ma dedussi anche che non ne avrebbe avuto il tempo, poiché il ragazzo in piedi a qualche metro da me che si reggeva il braccio sanguinante, non aveva smesso di pronunciare quelle parole oscure e sconosciute. Le radici delle piante sbucarono all'improvviso dal terreno ed iniziarono ad attanagliare il lupo in una morsa micidiale. Quello, terrorizzato, prese a ululare furiosamente, ma la voce gli morì in gola quando una radice lo afferrò per il collo e, stringendolo saldamente, gli sbatté il muso a terra. Vidi gli arbusti aumentare sempre di più la presa sull'animale, stritolandolo. Presto la bestia perse i sensi e io tirai un sospiro di sollievo, ma non era ancora finita. Le radici non mollarono la presa e il giovane non smise di parlare fino a quando, improvvisamente, un arbusto dalla terra non trafisse il poderoso petto del lupo, uscendo dalla sua schiena imbrattato di sangue. Questa volta non riuscii a trattenere la nausea.

-tutto a posto?- una voce calda e seducente aveva parlato alle mie spalle piena di compassione e pietà.

Mi pulii la bocca con il dorso della mano e senza voltarmi verso il ragazzo dagli occhi verdi alle mie spalle, annuii anche se niente in quel momento poteva essere al suo posto.

-dove mi trovo?- tentai con voce flebile e roca. Forse non dovevo fidarmi di quello sconosciuto, ma mi aveva appena salvato la vita.

-le domande a dopo- disse ora brusco. Con la mano del braccio buono afferrò il mio e mi issò con poco tatto e poca dolcezza.

-ora ce ne dobbiamo andare. Hai sentito l'ululato di quella creatura? Bene, era un richiamo per il suo branco- proseguì con un tono distaccato, mentre mi trascinava nel bosco e ci lasciavamo alle spalle il cadavere del licantropo.

-branco?- chiesi. Non ricordavo di averne visto uno.

-Certo! Cosa credi che un mezzo lupo cacci senza il suo clan di mezzi lupi? Devi avere senz'altro un buon odore se questo esemplare a deciso di inseguirti da solo. Dannazione! Dov'è quella creatura?-. Era stizzito e, forse, un poco spaventato. Un ululato risuonò nel silenzio del bosco e, dopo poco, altri diversi si aggiunsero a lui.

-Maledizione!- il giovane prese a correre, tirandosi dietro me stanca e impaurita. Sentivo i pesanti tonfi delle zampe dei nostri inseguitori sempre più vicini. Mi distrassi a tenere sotto controllo quei rumori irregolari che scandivano il tempo che mancava all'arrivo di quelle creature e quando il giovane urlò sobbalzai spaventata. Ci pensai solo ora: era poco più grande di me.

-Siria!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo perché ormai era giunto il momento. Il branco di uomini dalle sembianze lupesche avanzava a grandi balzi verso di noi. Erano dappertutto. Ci avevano circondato.

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Capitolo 2
*** (seconda parte) ***


Riuscimmo a raggiungere una piccola radura, ma poi non potemmo proseguire. Sui musi delle creature sbavanti comparve un ghigno maligno orribilmente terrificante. Sapevano di aver vinto e io di aver perso. Un terribile latrato, misto tra un profondo ruggito di un leone e l'urlo di un aquila, risuonò nel cielo che albeggiava. Presi a tremare più forte, mentre una creatura planava dal cielo nella verdeggiante radura. Era una bestia molto grande, alta circa come un cavallo e molto muscolosa. Il muso aveva i lineamenti di un lupo, ma terminava con un'acuminata punta dura, simile al becco di un aquila. Dalle spalle, coperte da una criniera scura, uscivano due immense ali piumate dello stesso colore beige del corto manto. Le sue zampe anteriori erano quelle di un felino, ma quelle posteriori erano squamose, simili a quelle di un rettile come la sua lunga coda serpentina. Ero estasiata e terrorizzata da quella visione, ma non ebbi tempo di fare domande. Velocemente, il giovane mi issò sull'animale prima dell'attaccatura delle ali e salì subito dietro di me. La strana bestia su cui mi trovavo, non attese oltre e, prima che uno dei lupi gli addentasse la coda, con un battito d'ali spiccò il volo nel cielo. I lupi mannari ulularono frustrati, mentre noi fuggivamo. Volammo in silenzio per un tempo indefinito, mentre paesaggi meravigliosi e selvaggi scorrevano sotto di noi e uccelli stravaganti ci volavano a fianco. Ora che il sole era sorto tutto era magnifico e luminoso, mentre le vicende appena accadute mi parevano distanti di secoli.

-come ti chiami?- il volto del ragazzo dai capelli rossi comparve sopra la mia spalla per osservarmi in viso. Aveva uno strano e dolce sorriso storto sulle labbra sottili.

-Elisabeth- dissi.

-bel nome. Io mi chiamo Baltazar, ma sono anche conosciuto come il primo apprendista di Merlino-

-Merlino?-domandai dubbiosa in un sussurro -ma dove mi trovo?-

-mia giovane amica, sei nel regno di Albion. Come fai a non saperlo?- Avrei voluto tanto conoscere la risposta, poiché in cuor mio sapevo di esserci già stata. Un immenso castello comparve all'orizzonte.

-e quello che cos'è?-

-è il castello di Camelot. Lì regna re Artù e la regina Ginevra- sembrava dubbioso, come se non capisse perchè continuavo a porli quelle domande. Siria, perchè supponevo fosse questo il nome della creatura a cui ero in groppa, planò nella radura difronte all'ingresso del magnifico maniero, adornato ovunque con stemmi rossi raffiguranti un drago d'oro, emblema della famiglia Pendragon. Baltazar mi aiutò a scendere con fare cavalleresco, poi mi impose di attenderlo, ferma dove mi trovavo, mentre lui chiariva la situazione alle tre guardie che si trovavano all'ingresso del castello silenzioso. Lo fissai colloquiare animatamente con i tre uomini che, di tanto in tanto, mi lanciavano occhiate cariche di sospetto. Sobbalzai quando qualcosa di grosso mi urtò la spalla. Siria mi guardava con i suoi occhi verdi, il muso strano vicinissimo al mio viso. Con una mano, titubante, mi avvicinai al suo muso e quando vidi che non si muoveva gliela poggiai sulla pelle. Siria chiuse gli occhi compiaciuta e io presi ad accarezzarla dolcemente quasi fosse un gattino. Il grosso “felino” iniziò a fare le fusa senza mai aprire gli occhi. Ora era il mio turno di compiacermi.

-è un Cerion- non mi spaventai a sentire la voce di Baltazar alle mie spalle.

-una creatura molto rara, diffidente e solitaria. L'unico che riesce ad avvicinarla sono io perché l'ho cresciuta-. Cosa voleva dire con questo?

-bene è ora di entrare a palazzo- disse dopo una breve pausa di riflessione -Siria resta in volo sulla foresta e avvertimi subito se vedi qualcosa che non va. Quando avrò finito con Elisabeth noi dovremmo parlare-. Siria abbassò il capo in segno di sottomissione e rispetto, poi spiccò il volo. La guardai volare via, mentre Baltazar che mi aveva preso per mano, mi condusse nel lussuoso ingresso, ricoperto di arazzi e mobili intarsiati. Le tre guardie mi osservarono ostili, fino a che le porte non si richiusero alle nostre spalle.

-perché quegli uomini mi fissavano?- chiesi.

-forse perché indossi strani abiti-. Me ne accorsi solo in quel momento: avevo indosso il mio pigiama. Una canottiera blu elettrico spalla stretta e morbidi pantaloni di un nero sbiadito.

Probabilmente arrossii per l'imbarazzo perché lui aggiunse: -Ehi tranquilla. Siamo abituati a vedere gente come te. Beh loro forse un po' meno di me- concluse indicando da dove eravamo venuti.

-abituati?- gli feci eco.

-già! Ora mi è chiaro perché Merlino abbia voluto che andassi a controllare nella foresta ovest. Tu sei una viaggiatrice, ma se ha mandato me e non uno degli apprendisti più giovani, vuol dire che devi essere una delle eccezioni-.

-scusa ma...non sto capendo nulla di quello che dici-. Avevamo ripreso a camminare, ma tutto sembrava deserto, mentre Baltazar mi conduceva per i corridoi.

-Elly sai come viene chiamato anche questo regno?-. Io scossi la testa.

- “Mondo che non c'è”. É soprannominato così perché Merlino quando si rese conto del pericoloso potere che il nostro regno possedeva e che questo poteva cadere nelle mani sbagliate, con un potente incantesimo spostò l'intero regno in un'altra realtà e l'unico modo per accedervi è attraverso i sogni-. Avevo capito quello che voleva dirmi, ma non volevo crederci.

-non capisco...-

-Oh si invece- mi interruppe -tutti gli esseri umani giungono in questo regno sotto le sembianze che la loro anima assume e vengono chiamati viaggiatori. Per esempio quei mannari questa mattina. Rammenti? Molti di loro erano viaggiatori, ma con ogni probabilità al loro risveglio non ricorderanno nulla di questo regno, come quasi tutti i viaggiatori-

Nel frattempo eravamo giunti di fronte ad una porta finemente intarsiata e più grande delle altre che passando per i corridoi avevo avuto modo di osservare.

-quindi...-tentai di nuovo di proseguire, ma lui mi interruppe nuovamente.

-no Elly. Tu ricorderai. Ricorderai per sempre entrambi i mondi e tutto quello che avverrà in essi. Il tuo è un dono. Tu sei una Sognum, una delle eccezioni. A te è proibito dimenticare, perciò ricorda queste mie parole: i sogni sono la porta di un'altra realtà-. Io lo fissavo allibita e sconcertata, ma lui parve non accorgersene.

-ora aspettami qui- disse -ti devo annunciare al re-.

-ma...-provai, ma prima che potessi dire altro, Baltazar scomparve oltre la soglia. Sbuffai esasperata. Se questo era un sogno perchè la stanchezza e il dolore del mio corpo mi parevano così reali? Mi guardai attorno ansiosa, attendendo che Baltazar mi chiamasse ad incontrare re Artù. Involontariamente la mia immagine si riflesse in uno specchio dalla cornice d'oro che stava alle mie spalle. Avevo un aspetto orribile: i capelli corvini erano sporchi e scompigliati, sotto i miei occhi azzurri avevo profonde occhiaie e i miei vestiti erano sporchi di terra. Chissà come dovevo essere sembrata così conciata al giovane che mi aveva appena salvato la vita. Non ebbi il tempo di pensare al perchè di questa mia riflessione. La stanchezza mi colse improvvisamente, facendomi tremare le gambe, mentre il mondo attorno a me iniziava ad ondeggiare e si offuscava velocemente. Cercai di combattere contro tutto questo, ma le mie gambe cedettero e tutto divenne nero.

Mi svegliai di soprassalto, seduta nel mio letto, bagnata fradicia di sudore e ansante. Ero di nuovo a casa mia. Nel rendermi conto che era stato tutto un sogno, sospirai sollevata, ma fu la felicità di un attimo. Nel sollevare le mani per asciugarmi la fronte madida di sudore, vidi qualcosa che non avrebbe dovuto esserci: i palmi erano sporchi di terra e graffiati. Presa dal panico, scostai le lenzuola e corsi in bagno per potermi specchiare, ma quello che vidi non mi piacque. La mia immagine riflessa era identica a quella del sogno, compresi i vestiti sporchi di terra del sottobosco e, sulle braccia, i graffi dei rami. Così ricordai le parole di Baltazar che risuonarono in me più vere che mai: “i sogni sono la porta di un'altra realtà”




       

NOTE DELL'AUTORE:
in questo secondo capitolo sono citati personaggi che non sono miei (vedi Re Artù, Ginevra, Merlino)...comunque conto sulle vostre recensioni per poter modificare eventuali errori o per migliorare la mia scrittura ^.^. Un Grazie infinito per chi recensirà! 
 

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