Siha, Reunited

di andromedashepard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My Immortal ***
Capitolo 2: *** Snow On The Sahara ***
Capitolo 3: *** I'm Lost, I'm Sorry ***
Capitolo 4: *** I Will Be Silent ***
Capitolo 5: *** All is Dream and Everything is Real ***
Capitolo 6: *** Spies ***
Capitolo 7: *** Shadow of the Day ***
Capitolo 8: *** I'll Be Gone ***
Capitolo 9: *** Sweet Sacrifice ***



Capitolo 1
*** My Immortal ***


My Immortal
 

“You used to captivate me
By your resonating light
Now I'm bound by the life
you left behind
Your face it haunts
My once pleasant dreams
Your voice it chased away
All the sanity in me”
[x



14 Giugno 2185
Waddington , Lincolnshire – Gran Bretagna.

 
Andromeda Shepard era appoggiata al davanzale della finestra, avvolta in un plaid; sorseggiava una pregiata qualità di thè ai mirtilli da una tazza che non era sua. Si era presa la libertà di intascarsela dopo l’ultima visita al Supporto vitale, appena un mese prima.
La finestra si affacciava sul giardino poco curato del cottage dove viveva da allora. Era quasi estate, ma la temperatura era primaverile. Una leggera brezza scompigliava i suoi lunghi capelli ramati, facendoli ondeggiare con grazia. Shepard fece un sospiro, rivolgendo un’ultima occhiata speranzosa al cielo nuvoloso prima allontanarsi per andare a fare una doccia.

-          Ehi, Shepard… ancora nessuna notizia? – James Vega la interruppe, notando, dalla sua espressione accigliata, che era di nuovo uno di quei giorni.

Lei semplicemente scosse il capo e si chiuse in bagno. Ne uscì dopo due ore abbondanti e si andò a mettere subito a letto, nonostante non fosse neppure ora di cena. James era preoccupato. Aveva accettato di buon grado quel lavoro, aveva accettato di andare a vivere in un posto assurdo solo perché stimava Shepard più di qualunque altra persona nella Galassia, e vederla in quelle condizioni lo turbava parecchio. Dov’era la donna forte, coraggiosa, determinata che lui credeva che fosse? Eppure aveva sentito tante voci a riguardo e tutte confermavano la teoria che Shepard fosse una leggenda vivente. Ma la donna che aveva iniziato a conoscere da poco meno di un mese non aveva nessuna di quelle caratteristiche.

Una chiamata al suo factotum lo distrasse dalla decima partita di poker su extranet che stava per vincere consecutivamente.

-          Tenente James Vega? – esordì una sconosciuta voce femminile.
-          Sono io, chi parla?
-          Dottoressa Liara T’Soni. Ma la prego di saltare i convenevoli e venire al punto – l’Asari sembrava piuttosto agitata - Può allontanarsi da Shepard per una mezz’ora?
-          Non credo di poterlo fare, sorvegliare il Comandante è il mio compito – rispose lui grattandosi il capo, sorpreso.

Aveva sentito parlare di Liara un paio di volte, Shepard l’aveva descritta come una buona amica, una in gamba, ma il motivo di quella chiamata gli restava ancora oscuro.

-          Senta, la zona è sicura. Ho le mie buone ragioni per dirle che può stare tranquillo. Non metterei mai Shepard in pericolo.
-          Che cosa vuole da me?
-          E’ piuttosto… imbarazzante. Sono, per così dire, rimasta a piedi in mezzo alla campagna – il tono di voce dell’Asari, prima determinato,  vacillò.

James trattenne a stento una risata.

-          Senta, dottoressa T’Soni… non sono sicuro di poterla aiutare – provò a dire, nella speranza che lei capisse le sue ragioni.
-          La prego, è importante. Devo assolutamente vedere Shepard e nella situazione in cui mi trovo non credo di poter raggiungere la sua abitazione. Mi faccia almeno parlare con lei.
-          Questo è fuori discussione. L’ultima volta che l’ho svegliata mi ha colpito in pieno viso con un datapad. Non è un’esperienza che vorrei ripetere – James sospirò, indeciso sul da farsi.
-          Allora venga a prendermi! Non dovrei essere troppo lontana dalla vostra abitazione. Le invio le mie coordinate.

Il tenente sapeva che nulla avrebbe potuto contro una donna in difficoltà e dovette rassegnarsi ad accettare, suo malgrado. Lasciò un messaggio per Shepard su un datapad e si infilò il suo chiodo in pelle vecchio stile e un paio di anfibi. Si assicurò di sigillare tutte le probabili vie d’uscita e poi raggiunse la sua moto, parcheggiata nel retro del cottage. Impostò le coordinate che aveva ricevuto dall’Asari sul factotum e partì. Il paesaggio della campagna inglese gli metteva sempre una strana malinconia addosso, avrebbe volentieri fatto a cambio con quello dei sobborghi di Omega, per quanto fossero squallidi e malfamati. James si sentiva fuori posto in mezzo a quelle lande bucoliche, troppo lontane dal sudiciume della guerra e dal via vai di gente di tutte le specie al quale era abituato. Dopo una ventina di minuti, scorse, sul ciglio della strada, una piccola navetta in avaria. Parcheggiò la moto e scese a dare un’occhiata.

-          Tenente! – l’Asari si sollevò in piedi rivelando la sua figura, passandosi una mano unta di olio sulla fronte.

Era stata per tutto il tempo china sul cofano, a tentare invano di sistemare il guasto al motore, con l’unico risultato che si era solo procurata delle pennellate nere sul viso stile Turian.

-          Caray! – esclamò Vega, stupito alla vista dell’Asari conciata in quel modo.

Liara non si scompose e fece alcuni passi in sua direzione, allungando una mano per presentarsi.

-          Non me ne voglia, dottoressa, ma ho appena lavato le mani – rispose James, sollevando le braccia scherzosamente.
-          Ha ragione, mi scusi – l’Asari abbozzò un sorriso imbarazzato e ritrasse la mano unta di grasso.

Poi i suoi occhi cerulei andarono a posarsi sullo strano mezzo di trasporto sul quale era arrivato Vega.

-          E quello che sarebbe? – domandò, avvicinandosi a studiarlo da vicino.
-          Questo gioiellino è un’Harley Davidson del XX secolo – rispose lui fiero, dando una pacca sul serbatoio della moto.

Liara sollevò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata scettica.

-          E io dovrei salire su quella cosa? – domandò lei, indicando il mezzo.
-          Senta, sono venuto a prenderla contro ogni buon senso…
-          E va bene, va bene… - Liara dovette arrendersi e tornò alla navetta a recuperare i suoi averi.

Quando tornò carica di valige, attirò immediatamente lo sguardo incredulo di James.

-          Quelle, per ovvi motivi, dovranno restare qui, temo – disse, curvando appena le labbra in un sorriso.

Liara sbuffò e riportò le cose meno indispensabili al suo mezzo, assicurandosi di chiudere bene il bagagliaio. Poi si convinse a salire sulla moto, reggendo meglio che poteva la valigia con una mano mentre con l’altra tentava di aggrapparsi a James. Quando Vega mise in moto, Liara sussultò e restò sconvolta dal fracasso del motore. Tentò di mantenere l’equilibrio per tutto il tragitto e quando finalmente l’Harley varcò la soglia del cottage di Shepard, lei poté fare un lungo sospiro di sollievo, ripromettendosi che non sarebbe salita mai più su un mezzo così rozzo e rumoroso.

Liara scese dall’Harley lisciando le pieghe del suo spolverino bianco, mentre James, fischiettando, si apprestava a raggiungere la porta principale caricando la valigia dell’Asari su una spalla. Quando anche Liara varcò la soglia, rimase subito colpita dall’arredamento del cottage.

-          Per tutti i Prothean…  - si lasciò sfuggire, accarezzando uno degli antichi quadri all’ingresso – questa casa sembra un museo.
-         Mi segua – incalzò James – ha sicuramente bisogno di darsi una ripulita. Sono sicura che Shepard non avrà niente da ridire se la faccio sistemare nella stanza degli ospiti.

Liara annuì e seguì James senza staccare gli occhi da ogni singolo pezzo d’antiquariato di cui era piena quella casa. Quando entrò nella piccola stanza a lei riservata, rimase a contemplare a lungo la carta da parati a fiori che rivestiva le pareti, la plafoniera in stile liberty, l’armadio intarsiato in legno di noce, la toilette di marmo rosa che stava in bella vista sotto una piccola finestra. Non aveva mai visto niente del genere e si sentiva profondamente affascinata da tanto antico splendore.

-          Dottoressa T’Soni? – James la richiamò alla realtà.
-          Tenente? – rispose lei, senza staccare gli occhi dalla maestosa testiera del letto.
-          Non vuole lavarsi?
-         Oh, ma si certo…  - Liara si morse un labbro, rendendosi conto di quanto la sua curiosità prendesse sempre il sopravvento. Avrebbe potuto sporcare facilmente la preziosa coperta in cotone ricamato che ricopriva il materasso e non se lo sarebbe mai perdonato.

Si fece accompagnare al bagno e, dopo essersi ripulita a dovere, cercò di orientarsi attraverso i corridoi della casa per ritrovare James. Vega la aspettava in cucina. Era seduto a un piccolo tavolo rotondo e aveva appena acceso una sigaretta. Liara scacciò il fumo con una mano e prese posto accanto a lui.

-          Allora, dottoressa T’Soni, vuole spiegarmi il motivo della sua visita? – domandò lui, accavallando le gambe.
-          Niente che la riguardi, Tenente. Devo solo fare quattro chiacchiere con Shepard.
-          Ha attraversato mezza Galassia solo per una chiacchierata? Esistono altri mezzi, sa…
-          Inoltre – incalzò lei – avevo voglia di vederla.
-          Capisco. Beh, è chiaro che non ha intenzione di dirmi di cosa si tratta – James sospirò, inalando un’altra boccata di fumo.
-          Da quanto sta dormendo? – domandò Liara, decisa ad evitare l’argomento.
-          Non saprei, forse un’oretta…
-          E pensare che ai tempi della Normandy SR1 dovevo costringerla a mettersi a letto perché diceva di avere sempre da fare – sospirò lei, sorridendo.
-          Non è più quella persona, dottoressa T’Soni.

Liara sventolò una mano a mezz’aria.

-          Mi chiami pure Liara – disse – Perché sostiene che Shepard non sia più “quella persona”?
-          Ok, Liara – rispose James, enfatizzando il suo nome – Non posso dire di conoscere Shepard bene quanto lei, ma da quello che ho visto in queste tre settimane mi sembra di avere a che fare con una vedova in pena piuttosto che con l’eroina della Galassia – James pronunciò queste parole abbassando, per ovvi motivi, il tono di voce.

A dispetto delle apparenze, si leggeva chiaramente nei suoi occhi quanto fosse preoccupato per Shepard e Liara se n’era accorta. Fosse stato altrimenti, non avrebbe esitato a schiaffeggiarlo per ciò che aveva appena detto. L’Asari fece una pausa, tamburellando nervosamente con lo stivale sul parquet usurato dal tempo.

-          Te ne ha parlato? – domandò poi, rivolgendogli un’occhiata preoccupata mentre passava a toni più informali.
-          Più o meno, ma non vuole entrare nei dettagli. Se ne sta sempre con quella tazza in mano… Non le piace neanche il thè, ma insiste a riempire il bollitore almeno cinque volte al giorno – James rispose abbozzando un sorriso triste.

Liara gli rivolse un sorriso rimando, uno di quei sorrisi amari che vengono fuori quando non ci sono altre parole per affrontare una determinata, spiacevole situazione.

-          Lei è forte, si riprenderà alla grande – disse, tentando di convincere per prima se stessa.
-          Non ne ho dubbi, mi chiedo solo quando deciderà di rompere il muro che ha costruito attorno a sé e lasciarsi aiutare, o almeno provare a sfogarsi con qualcuno – James spense il mozzicone di sigaretta, strofinandolo sul posacenere ormai colmo.

Liara si alzò e si avvicinò all’unica finestra della stanza, osservando il mite paesaggio della campagna inglese. Doveva solo cercare di stare calma finché Shepard non si fosse svegliata, poi, finalmente, avrebbe potuto riabbracciarla e parlare con lei. La quiete che si respirava in quel posto era impressionante. Abituata com’era al frastuono di Illium, Liara si sentì a disagio con tutto quel silenzio. Era come essere sempre costretti a restare soli con se stessi, a fare i conti con i propri pensieri, le proprie paure. E questo a Shepard non poteva certo fare bene.

-          Come mai ha deciso di venire proprio qui? – chiese a James.
-          Credo perché questo posto le ricorda la sua infanzia su Mindoir. Mi raccontò che viveva in una fattoria in mezzo alla campagna, ma che non avrebbe avuto il coraggio di tornare lì. In più, era sempre stata curiosa di visitare la Terra.
-          Capisco – Liara si voltò a guardare nuovamente fuori dalla finestra - Beh, questo è proprio da lei. E’ sempre stata una persona nostalgica, anche se non lo dava molto a vedere. Dovevi scavare a fondo per mettere a nudo le sue debolezze.
-          Non lo diresti adesso.
-          Abbi un po’ di rispetto, per la Dea! – Liara sbottò, stanca di sentirlo mettere in cattiva luce, Shepard, benché sapesse che era tutto vero.
-          Escusa!  - James alzò le mani in segno di resa – Ma se non l’avessi capito, io rispetto Shepard più di quanto tu possa pensare, elei lo sa.

Liara evitò di rispondere, conscia di aver agito d’impulso. Non era di certo lei quella che aveva il compito di far rispettare l’onore di Shepard, dato che Shepard era viva e vegeta e sapeva benissimo occuparsi di se stessa. Prese nuovamente a tamburellare col piede sul pavimento, innervosendo James che nel frattempo aveva iniziato un’altra partita a poker dal suo factotum, per evitare ulteriori silenzi imbarazzanti.

-          Senti Liara, non è detto che Shepard lanci un datapad in testa anche a te. Forse vedere un’amica le farà piacere… Perché non provi a svegliarla? – propose dopo alcuni minuti, incerto.

Liara non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver ascoltato le indicazioni di James, si apprestò a raggiungere la camera di Shepard.  James la fermò un attimo prima di lasciarla andare, alzandosi a porgerle un pacco di sigarette e un accendino.

-          Probabilmente le serviranno – disse.

 Liara annuì e uscì dalla stanza. Ancora una volta, si soffermò ad osservare l’arredamento della casa, sfiorando con una mano le preziose rifiniture in legno che dividevano orizzontalmente le pareti. Quando giunse di fronte alla porta della stanza esitò appena prima di bussare, poi si fece coraggio e colpì piano la porta in legno massiccio che la separava dalla sua vecchia amica.

-          James, vattene! A meno che non ci sia un fottuto Razziatore in giardino voglio essere lasciata in pace! – sentire la voce di Shepard, seppure irritata come non mai, fece sorridere Liara.
-          Andromeda, sono io, Liara.

Seguì un silenzio che le sembrò interminabile, poi la porta davanti a lei si spalancò. Quello che vide non era ciò che si aspettava. Di fronte a lei c’era una donna diafana, dai lunghi capelli ramati, con occhiaie marcate sotto un paio di occhi verdi che avevano decisamente perso la brillantezza di un tempo. Indossava un pigiama a righe bianche e rosse che lasciava intravedere un fisico molto dimagrito, sul quale le cicatrici di battaglia risaltavano ancora di più, facendola assomigliare a una sorta di cadavere ambulante. Liara restò a fissarla per alcuni, lunghi secondi, poi si lanciò al suo collo, abbracciandola forte. Andromeda, ancora intontita dal sonno e sorpresa per quella visita inaspettata, esitò prima di abbracciarla a sua volta. Restarono strette, l’una nelle braccia dell’altra, per un lunghissimo momento. Poi Liara si allontanò appena.

-          Shepard, dobbiamo parlare.



 

Salve :3 
Son passati 10 giorni dalla fine di "Siha" e già mi manca. Avrei voluto continuarla ad oltranza, ma era giusto iniziare a scrivere un'altra storia a sè. Ed ecco che ritorno con "Reunited", cercando di immaginare cosa può essere successo a Shepard e tutta la sua combriccola dopo la Suicide Mission. In realtà sappiamo ben poco dalle fonti ufficiali, ma io ho scelto di prendermi la libertà di cambiare qualcosina a mio favore. Se avessi dovuto restare coerente col fatto che Shepard viene tenuta prigioniera in una base dell'Alleanza, non avrei avuto praticamente niente da scrivere. Idem per Liara, a quanto pare in ME3 confessa di non esser mai andata a trovare Shepard, ma d'altronde quelli della BioWare dovevano semplicemente tenere Shepard occupato per sei mesi, non si sono preoccupati di cosa sarebbe potuto accadere nel frattempo XD Ecco perchè il "What if". Beh, spero con tutto il cuore di ritrovare gli stessi lettori della precedente storia e spero di non deludervi. *abbraccio collettivo*

 

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Capitolo 2
*** Snow On The Sahara ***


Snow on the Sahara

 

"And there's an angel
With her hand on my head
She say, "I got nothing to fear"
There's darkness
Livin' deep in my soul
Still got a purpose to serve
So let your light shine
Deep into my hole
'N God don't let me lose my nerves
Don't let me lose my nerves"

 

[x]

Shepard fece accomodare Liara in camera, invitandola a sedersi sul letto ancora sfatto. Lei obbedì, aspettando pazientemente un suo cenno per iniziare a parlare. Il comandante afferrò il plaid che giaceva sulla poltrona e se lo avvolse attorno, andando ad appoggiarsi sul davanzale interno della finestra. Sospirò e diede un’occhiata a Liara. Non sapeva cosa pensare, o meglio, era spaventata a morte da quello che l’Asari avrebbe potuto dirle. Doveva avere un motivo piuttosto importante se aveva fatto tutti quei chilometri, volendo usare un eufemismo, per venirla a trovare.

-          Shepard - Liara la pregò, con lo sguardo, di permetterle di parlare.
-          Prima voglio…
-          Tieni – l’Asari prontamente si alzò, porgendole una sigaretta e l’accendino.

Shepard accennò un sorriso e iniziò a fumare lentamente per scaricare la tensione accumulata. Poi si decise.

-          Non tenermi sulle spine. Se è una brutta notizia voglio saperla subito, nel modo più diretto possibile.

Liara esitò un momento, poi curvò le labbra in un sorriso, segno che non c’era niente di troppo grave di cui preoccuparsi.

-          Tannor Nuara – disse poi, guardandola dritto negli occhi.

Shepard la osservò per un momento, poi aprì le braccia come per dire “e quindi?”.

-          Credo di averlo trovato, Shepard.

A lei sembrò che il suo cuore avesse fatto due capriole all’indietro.

-          Parla, dimmi tutto.
-          Ho motivo di credere che sia su Omega al momento. Ho ricevuto una soffiata secondo la quale un Drell ha recentemente affittato una camera in uno degli edifici dei sobborghi. Oltretutto, non esiste nessun Drell registrato con quel nome su Kajhe, né tantomeno su Rakhana.
-          Quando l’hai saputo?
-          Qualche giorno fa…
-          Perché non me l’hai detto subito? Perché non mi hai chiamata?
-          Shepard, pensi che non avrei preferito mandarti un messaggio invece di catapultarmi qui sulla Terra? Se Thane ha deciso di cambiare identità dev’essere perché qualcuno lo sta cercando e non potevo permettere che qualcuno potesse intercettare una simile informazione.
-          Pensi che sia una questione seria?
-          Dimmelo tu. Tu sai meglio di me quello che è successo prima del processo.

Shepard annuì, ricordando brevemente quei dannatissimi giorni in cui il mondo le era crollato improvvisamente addosso. Poi sbuffò, passandosi una mano sui capelli.

-          Cosa diavolo dovrei fare adesso? Ho le mani legate, se lascio quest’abitazione adesso è la fine per me – disse, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza.
-          Infatti non puoi occupartene tu.
-          E chi pensi che possa farlo per me? Anderson, Hackett? Ma sì, faccio una chiamata e vedrai come si catapultano subito nel regno di Aria T’Loak.
-          Shepard – Liara la rimproverò, scuotendo il capo – Non agitarti.
-          Agitarmi? No, che motivo avrei? Adesso metto un paio di tacchi, un bel vestito e ti porto a ballare per festeggiare la bella notizia!
-          Per la Dea, Shepard! – Liara si alzò e le si parò davanti, con un’espressione irritata sul volto.

Lei, alla vista dell’Asari così turbata, si arrese e depose le armi. Avrebbe dovuto ringraziarla per l’enorme sacrificio fatto, e invece le stava urlando contro. Ordinò a se stessa di restare calma. Adesso, con l’aiuto di Liara, avrebbe potuto elaborare un piano, una strategia, qualunque cosa… 

-          Shepard, se vogliamo trovarlo, ho bisogno che tu mi racconti tutto dall’inizio – disse poi Liara, guardandola negli occhi.

Shepard annuì  e iniziò a raccontare.
 
 
7 Maggio 2185
Normandy SR2

 
Shepard ridacchiava sommessamente mentre l’acqua calda, quasi bollente, scorreva sul suo corpo.

-          Lo sai che non eri costretto a farlo – disse, sfiorando la punta del naso di Thane, mentre lui cercava di tenersi a distanza dal getto d’acqua.
-          E’ vero, ma non ho intenzione di lasciarti nemmeno per un attimo – rispose lui, sorridendo, mentre la tirava a sé per i fianchi – E poi non sarebbe la prima volta che mi trascini in questo genere di cose - ammiccò.
-          Ho forse dimenticato qualcosa che non avrei dovuto? – Shepard alzò un sopracciglio maliziosamente.
-          La missione su Purgatory con Jack. Pioveva spaventosamente quel giorno.
-          E’ vero, hai ragione! – rise lei, stringendogli le braccia al collo – Ma non sapevo ancora quanto tu odiassi l’acqua.
-          Non farmici pensare, se la sopporto adesso è solo perché qualcuno di mia conoscenza, di straordinaria bellezza, mi tiene distratto…

Shepard sorrise, guardandolo dolcemente.

-          Sei stato fantastico là fuori – sussurrò poi al suo orecchio, mentre una mano accarezzava la sua schiena.
-          E tu sei stata degna del nome che porti.
-          Shepard? – domandò perplessa.
-          Siha – disse, baciandole il dorso di una mano.

Lei si strinse a lui maggiormente, assaporando la perfezione di quell’attimo.

-          Non posso credere che ce l’abbiamo fatta davvero, Thane. Hai visto anche tu quello che ho visto io? L’esplosione, l’equipaggio sano e salvo, tu con me adesso… non sto sognando tutto? – lei non smetteva di sorridere, mentre cercava nei suoi occhi il bagliore cremisi in cui si era persa poche ore prima.

Thane sorrise e la baciò teneramente sulle labbra, mentre con una mano accarezzava i suoi capelli bagnati.

-          Tutto questo è reale, Siha. E io non ho mai avuto dubbi sul fatto che ci saresti riuscita.
-          Senza di te non sarebbe stata la stessa cosa.
-          E’ probabile, ma ce l’avresti fatta comunque. Su questo non ho dubbi – disse lui, stringendola forte in un abbraccio – Sai che resterei così per sempre, ma se potessimo almeno chiudere l’acqua…

Shepard rise ed obbedì, afferrando due asciugamani. Ne porse uno a Thane e l’altro se lo avvolse intorno al torace.

-          Devi riposare – suggerì Thane – Ci vorranno ore prima che la Normandy arrivi alla Cittadella.
-          Non vorrai mica andartene? – domandò lei, volgendosi a guardarlo con un sorriso provocatorio.
-          Vuoi scherzare? – rispose lui, ricambiando il sorriso.

Si rivestirono e s’infilarono subito dentro le coperte, spegnendo tutte le luci. Shepard si raggomitolò al suo fianco e lui cinse le sue spalle con un braccio.

-          Cosa farai adesso? – domandò lei, sfiorando con la punta delle dita il suo torace.
-          Devo passare a trovare Kolyat, poi sarò a tua disposizione – rispose lui, accarezzando i suoi capelli ancora umidi – E tu?
-          Non ho intenzione di dirigermi subito verso la Terra. Hackett mi ha detto che ho tempo e francamente credo che ci meritiamo una vacanza.
-          Dove vorresti andare?
-          Ho già pensato a tutto, devo solo fare un paio di telefonate. Verrai con me?
-          Certamente, Siha – Thane si chinò leggermente a baciarle la fronte - Non vuoi darmi neanche un indizio su quello che hai in mente?
-          Bekenstein. E’ li che ci vedremo fra quattro giorni, se sei d’accordo… - sorrise lei, cercando il suo sguardo nella penombra.
-          Ricordati solo di darmi l’indirizzo – ammiccò Thane; poi le diede la buonanotte e si addormentarono.

 

“Only tell me that you still want me here
When you wander off out there
To those hills of dust and hard winds that blow
In that dry white ocean alone
Lost out in the desert
You are lost out in the desert
But to stand with you in a ring of fire
I'll forget the days gone by
I'll protect your body and guard your soul
From mirages in your sight
Lost out in the desert”

 
11 Maggio 2185
“Desert Rose” – Telmum, Bekenstein

 
Shepard scese dal taxi nella sua solita tenuta informale, eccezion fatta per l’aggiunta di un paio di occhiali da sole. Una volta messo piede in quell’assolata cittadina turistica, si rese conto che il caldo era insopportabile. Appoggiò la valigia per terra e si disfece immediatamente della sua felpa N7. Gli stivali neri che indossava erano diventati una sorta di forno per i suoi piedi. Fortunatamente tra poco avrebbe potuto mettersi comoda. All’ingresso del maestoso residence, ubicato in una delle più suggestive aree desertiche del pianeta, trovò una receptionist dai lineamenti asiatici che le diede il benvenuto e il codice che avrebbe aperto la sua stanza, la suite più costosa ed elegante dell’intero complesso, situata sull’attico dell’edificio, con sauna e piscina privata. Shepard era stata indecisa fino all’ultimo se concedersi o meno tale capriccio, ma quando il suo sguardo si posò sulla scritta “41°” del grande tabellone all’ingresso, capì che avere un po’ d’acqua a disposizione in cui poter nuotare liberamente era la cosa di cui avrebbe avuto più bisogno. Prese l’ascensore e raggiunse la camera. Quando aprì la porta restò sbalordita, era passato troppo tempo dall’ultima volta che si era trovata in un ambiente così spazioso e confortevole.

L’arredamento della stanza era sui toni del bianco e dell’azzurro, con qualche cenno di arancio. Un letto spazioso, a prima vista più ampio di un due piazze, dominava la sala centrale ed era abbellito da una sorta di baldacchino rivestito da sottili strati di tessuto bianco trasparente. Oltre il letto, una grande porta a vetri collegava la stanza col terrazzo privato. Shepard vi si affacciò, restando per un attimo accecata dalla luce del sole e dal bagliore della piscina dalla forma sinuosa che si trovava al centro. Il bagno era immenso, dotato di un’ampia vasca idromassaggio, di una spaziosissima cabina doccia e una sauna. Gli olo-dispositivi si trovavano più o meno ad ogni angolo della suite, bastava collegarli al proprio factotum per metterli in funzione.

Dopo aver dato un’occhiata sommaria in giro, Shepard si spogliò velocemente e iniziò a mettere in ordine le sue cose nell’armadio. Indossò un paio di comodi shorts e una canotta, poi si lanciò sul letto morbidissimo con l’entusiasmo di una bambina, lasciandosi rapire dai profumi che aleggiavano nell’aria. Riuscì a sentire un odore simile a quello del mare, un accenno di spezie orientali e un aroma fruttato in sottofondo che contribuiva a rendere magica un’ atmosfera già di per sé surreale. A parte il terribile caldo secco e afoso, non avrebbe potuto chiedere di meglio. Sorrise compiaciuta per aver fatto un’ottima scelta e diede un’occhiata al factotum. Secondo l’ultimo messaggio di Thane, lui l’avrebbe raggiunta in prima serata. “Perfetto”, pensò. Avrebbe avuto tutto il tempo di rendersi presentabile facendo un giro al centro estetico del residence.

Si aspettò di trovare decine di estetiste Asari pronte a soddisfare ogni sua richiesta, invece, non appena varcò la soglia, vide un gran numero di Umane di tutte le razze, nei loro immacolati camici bianchi abbelliti solo dallo stemma di una rosa azzurra, sorridenti. Questo le fece ricordare che si trovava su un pianeta di colonizzazione umana, dove di sicuro un Drell non sarebbe passato inosservato. Il pensiero la fece sorridere per l’imbarazzo, ma le importava ben poco di questo. Tutto quello che voleva era lasciarsi per un momento alle spalle la guerra e prendersi ciò che le spettava di diritto: alcuni giorni di sano relax in compagnia della persona che amava. Se lo meritava, dopotutto, e se lo meritava anche lui.

La mattinata passò velocemente. Shepard, seppur con un certo disagio, si concesse quasi tutti i trattamenti che la beauty farm concedeva, ritrovandosi ad essere, per ora di pranzo, quasi un’altra persona. Aveva notato gli sguardi interrogatori delle estetiste alla vista delle sue numerose cicatrici, ma era contenta che nessuna di loro avesse fatto commenti. Non poté fare a meno di pensare a Kelly; le sarebbe piaciuto averla accanto adesso che non c’era più una guerra a gravare sulle loro spalle. L’avrebbe fatta sorridere, si sarebbe divertita consigliandole i trattamenti più all’avanguardia, avrebbe condiviso con lei un drink e poi si sarebbe lanciata alla caccia di qualche bel gentiluomo in vacanza.

Avvolta in un accappatoio di lino bianco, si sedette al tavolinetto del terrazzo e prese a consumare il suo pranzo: una leggera e rinfrescante insalata dal sapore esotico. Di tanto in tanto sorseggiava un cocktail analcolico fruttato, pregustando i momenti perfetti che avrebbe vissuto da lì a poche ore in compagnia di Thane. Giurò a se stessa che non avrebbe lasciato quella camera neppure se l’Araldo in persona avesse fatto irruzione nel residence. Poi, incapace di resistere alla tentazione di sdraiarsi su quel comodissimo letto, si concesse un riposino, mentre l’aria condizionata la aiutava a non sciogliersi come burro al sole.

Quando si risvegliò, era già pomeriggio inoltrato. Stando ai suoi calcoli, tra massimo un’ora Thane sarebbe arrivato da lei. Si stiracchiò e provò a contattarlo sul factotum, ma per qualche motivo era irraggiungibile. Comunque non c’era da preoccuparsi, succedeva spesso durante i viaggi nello spazio. Si alzò dal letto e iniziò ad accendere tutte le candele sparse in giro per la stanza. Erano profumate e i riverberi delle loro fiamme creavano suggestivi giochi di luce sulle tende bianche che ondeggiavano in risposta alla brezza calda che entrava da fuori. Mise su un po’ di vecchia, buona musica terrestre e uscì sul terrazzo. Le dune di sabbia si estendevano a perdita d’occhio, alternandosi a vere e proprie piccole oasi adornate da palme alte e rigogliose. Dall’altro lato, invece, si estendeva la città vera e propria, troppo lontana per interferire con i rumori del traffico e lo smog. Appoggiandosi alla balconata, non poté fare a meno di rivivere mentalmente i momenti passati con lui. In certi momenti invidiava terribilmente la memoria perfetta dei Drell, avrebbe potuto richiamare a piacere ricordi che l’avrebbero fatta avvampare all’istante, momenti che non aveva intenzione di dimenticare e che cercava di tenere ben impressi nella sua mente. Non vedeva l’ora di rivedere Thane, di poterlo riabbracciare senza un’armatura a farle da scudo, di fare l’amore con lui fino ad esaurire completamente le energie.
 
Le tende candide si alzarono improvvisamente per una folata di vento più forte delle altre, quando Shepard si rese conto che Thane era già in ritardo di un’ora. Aveva provato a contattarlo di continuo nell’ultima mezz’ora, ma senza risposta. Si morse un labbro, ribadendo a se stessa che non era il caso di preoccuparsi. I ritardi erano all’ordine del giorno, avrebbe solo dovuto aspettare un altro po’. Decise di guardare la televisione e collegò il suo factotum ad uno degli olo-dispositivi della camera, facendo zapping distrattamente. La sua mente nel frattempo, continuava a fantasticare. Il solo pensiero che Thane, da un momento all’altro, avrebbe fatto ingresso dalla porta e lei avrebbe potuto finalmente lanciarsi fra le sue braccia e ricoprirlo di baci, la faceva sorridere e fremere d’impazienza. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva lasciato che solo i sentimenti positivi entrassero nel suo cuore? Shepard non si sentiva felice, era semplicemente al settimo cielo. Sì, c’era sempre una nube nera ad incombere sulle loro teste, ma la vedeva così lontana da non sfiorarla minimamente.

Le candele erano arrivate a metà della loro vita mentre il sole lentamente tramontava eclissandosi dietro le dune. Shepard uscì nuovamente sul terrazzo a prendere una boccata d’aria. Provò una fitta di tristezza ad osservare quel magnifico tramonto da sola. Si ricordò del suo appuntamento con Thane sulla Cittadella e del bacio che si erano scambiati mentre il finto sole della stazione orbitante lasciava il posto all’altrettanto finta notte. Adesso avrebbe avuto l’occasione di replicare quel momento sotto un cielo vero, ma mancava l’oggetto principale di tutti i suoi desideri. Tre ore di ritardo iniziavano ad essere sfiancanti e lei si augurò che, una volta arrivato, si facesse perdonare nel migliore dei modi.
 

"All that I have
All that I hold
All that is wrong
All that I feel for or trust in or love
All that is gone
But the last day of summer
Never felt so cold
The last day of summer
Never felt so old"

 
Si trascinò malinconicamente in camera, stendendosi sul letto. L’unico rumore che sentiva era quello di una melodia lontana, indefinibile, che risuonava da qualche parte nel residence. Preferì restare in silenzio e aspettare il minimo accenno di vita provenire dal factotum. Ogni tanto ritentava una chiamata, ma senza successo. Passarono lunghissimi i minuti senza che lei muovesse un dito. Gli occhi erano fissi al soffitto e di tanto in tanto si volgevano a guardare la porta della stanza, sperando in un rumore qualunque che facesse presagire l’arrivo di Thane. Quando le candele si consumarono del tutto, la suite piombò nel buio più totale. Erano passate cinque ore. L’ansia aveva ormai preso il sopravvento. Starsene lì, con le mani in mano, non era da lei. Mentre il suo stomaco brontolava, decise di chiamare qualcuno che non sentiva da tempo, qualcuno che forse avrebbe potuto esserle d’aiuto.

-          Shepard – la voce di Liara arrivò chiara e squillante dall’altro capo.
-          Ciao Liara, come stai?
-          Hai trovato un po’ di tempo per chiamarmi, eh? – rispose l’Asari in tono scherzoso – Sto bene. Tu, piuttosto?
-          Tutto bene - rispose Shepard, incerta.
-          Allora, raccontami tutto – esordì lei - Ho sentito che sei in vacanza!
-          Sono arrivata oggi, sì. Bekenstein è davvero bello come dicono.
-          C’è anche Thane lì con te?
-          No, non è ancora arrivato – rispose, dopo una lunga pausa.
-          Shepard, sicura di star bene? – domandò Liara, captando una strana sfumatura nella voce dell’Umana.
-          In realtà sono preoccupata, Liara. Thane doveva essere qui almeno cinque ore fa, ma non riesco a contattarlo – confessò, torcendosi nervosamente le dita delle mani.
-          Vuoi che provi a indagare sul suo mezzo di trasporto?
-          N-sì, per favore.
-          Sai con che compagnia viaggiava?
-          No, so solo che doveva partire dalla Cittadella.
-          Bene. Aspetta un attimo.

Shepard sentì Liara trafficare, mentre la voce robotica di Glifo, in sottofondo, non lasciava presagire niente di buono.

-          Shepard – Liara, dall’altro capo, non sapeva come dirglielo.
-          Cosa?
-          Non risulta nessun Drell in partenza dalla Cittadella verso Bekenstein. Che abbia sbagliato dstinazione?
-          Liara, Thane non è un idiota! Ti prego, controlla qualunque cosa tu possa… controllare.

Liara si assentò ancora per un paio di minuti, poi tornò a parlare.

-          Gli unici due Drell che hanno lasciato oggi la Cittadella erano due uomini d’affari, in compagnia di due Hanar. Non risulta nient’altro.
-          C’è la possibilità che tu ti sia sbagliata?
-          Shepard, io sono l’Ombra!
-          Ok, hai ragione – Shepard sospirò, grattandosi la nuca con una mano – Maledizione, Liara… Cosa può voler dire?
-          Forse è rimasto con Kolyat? Hai modo di contattarlo?

“Ma certo! Kolyat!”, pensò Shepard, maledicendosi per la sua sbadataggine. Ringraziò Liara e la salutò velocemente, affrettandosi a cercare il numero di Kolyat sulla sua rubrica. L’aveva chiesto a Thane qualche tempo prima, ripromettendosi che al più presto l’avrebbe chiamato per fare due chiacchiere e per scusarsi di averlo colpito, ma non l’aveva mai fatto. Un po’ per vergogna, un po’ perché fino a quel momento, aveva avuto ben altro a cui pensare.

Dopo alcuni secondi, Kolyat rispose e Shepard tirò un sospiro di sollievo nel sentire che almeno lui, fosse raggiungibile.

-          Kolyat, ciao. Sono Shepard, marine dell’Alleanza… forse ti ricordi di me, sono quella che…
-          Mi ricordo di te – rispose il Drell, con un tono di voce a metà tra lo scocciato e il sorpreso – A cosa devo questa chiamata?
-          Io… vedi, sto cercando di contattare tuo padre da stamattina, ma non è raggiungibile. Dovevamo incontrarci per… per discutere di affari, ma non è mai arrivato – rispose lei, imbarazzata.
-          E cosa c’entro io?
-          Vorrei sapere se tu hai sue notizie. So che doveva passare a trovarti.
-          Non lo vedo da due giorni, da quando ci siamo salutati. Mi ha detto che avrebbe raggiunto un altro pianeta, dopodiché non l’ho più sentito.
-          Capisco. Senti, se per caso riesci a contattarlo mi richiameresti?
-          Uhm, si… immagino di poterlo fare.

Shepard ebbe giusto il tempo di ringraziarlo prima che Kolyat chiudesse in tronco la comunicazione. Ma il rapporto tra lei e il figlio di Thane, adesso, era la cosa che la preoccupava in assoluto di meno.
Quando, per ora di cena, bussarono alla sua porta, lei schizzò fuori dal letto alla velocità della luce, pregando con tutta se stessa che fosse Thane. Invece era solo una cameriera che voleva offrirle il servizio in camera. Shepard si sforzò di cacciarla in modo quanto più possiible gentile e ritornò nel suo letto, desiderando di sparire per sempre.

C’era un caldo terribile, ma lei non aveva mai sentito così freddo.
Passò la notte in bianco, sprofondando in un baratro che neanche lei credeva possibile. L’ansia aveva lasciato il posto a un terribile magone. La felicità che l’aveva investita in pieno fino a qualche ora prima, adesso era diventata un insostenibile tristezza. La certezza di stare per vivere dei momenti indimenticabili si era trasformata in preoccupazione e tormento. A distanza di alcune ore si era ribaltato tutto. Quella che si era prospettata come una magnifica vacanza, adesso era divenuta una lenta e insopportabile agonia. Shepard non smise di chiedersi nemmeno per un attimo il motivo di quella sparizione improvvisa. Arrivò persino a domandarsi se lui non si fosse mai presentato perché aveva intenzione di troncare la loro relazione. “No, non lo farebbe mai” mormorò tra sé e sé, mentre ricacciava indietro le lacrime e guardava il suo factotum segnare le tre di notte. Mille pensieri le attraversarono la mente, milioni di scenari le si pararono davanti agli occhi, dai più ai meno tragici. L’unica cosa che sperava con tutta se stessa era che non gli fosse capitato niente di terribile. L’avrebbe perdonato, qualunque fosse stato il motivo della sua assenza, ma non se gli fosse capitato qualcosa. Quello non l’avrebbe mai accettato.

 Il giorno dopo, Shepard lasciò il residence così com’era venuta e prese il primo volo per la Terra, diretta verso il tribunale militare dell’Alleanza. 




Eccomi. Boh, ho penato troppo per questo capitolo, mi sono sentita un mostro, una brutta e cattiva sadica che gode nel veder soffrire quella povera Andromeda. Ogni volta che lo rileggo mi mette un ansia e un magone impressionanti XD Spero che l'esperimento playlist sia riuscito, in caso contrario... abbiate pietà di me D: Non so che diamine di effetto può farvi un capitolo del genere ma sono curiosa di saperlo, io sono insicura al massimo. ARGH. Vi lascio, prima di ammorbarvi ulteriormente. *abbracci*

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Capitolo 3
*** I'm Lost, I'm Sorry ***


I'm Lost, I'm Sorry

 

"It's there, it's where, it begins,
and it's calling your name
You've been down there all night now,
in a state that I cannot explain
Behind grey curtains of ash
from a word it was burn
Now smoke rises high from your head,
morning mist laying dead
On naked shoulders
- no flowers, no thorns"
[x]

 

14 Giugno 2185
Waddington , Lincolnshire – Gran Bretagna.


 
-          Immagino che tu non l’abbia più sentito da allora – commentò Liara, dopo aver ascoltato pazientemente il discorso di Shepard.
-          Neanche un messaggio, nulla. Il suo terminale è isolato e neanche Kolyat l’ha più sentito. Lui è preoccupato quanto me. Non oso immaginare il suo stato d’animo – Shepard sospirò, passandosi una mano sul viso - Proprio mentre le cose con Thane iniziavano a sistemarsi… Io non ho dubbi che lui abbia avuto buone ragioni per sparire, ma suo figlio potrebbe sentirsi nuovamente abbandonato.

Liara scosse la testa, pensierosa. Potevano esserci mille ragioni per una sparizione improvvisa. Quello che sapeva con sicurezza però, è che non c’era stata nessuna notizia di un Drell morto in circostanze misteriose o senza identità. Doveva essere vivo, e questo rincuorava entrambe.

-          Cosa pensi? – domandò Shepard, tentando di decifrare l’espressione di Liara.
-          L’unico motivo plausibile che giustifichi il suo comportamento è che l’abbia fatto per proteggerti.
-          Proteggermi?
-       Sì, Shepard. Sai meglio di me cosa è successo a sua… alla madre di Kolyat. E se avesse scoperto che qualcuno era sulle sue tracce e non voleva coinvolgerti?
-          Per la miseria, Liara! Non sono una civile qualunque, avrei saputo come difendermi. Avrei potuto salvare il culo anche a lui, se è per questo.
-          Lo so, lo so perfettamente. Ma sai che se ti fosse successo qualcosa per colpa sua, stavolta non se lo sarebbe mai perdonato. Mettiti nei suoi panni…
-          No, non voglio mettermi nei suoi panni… - ringhiò Shepard, irritata - Se scopro che è sparito per proteggere me, dovrà fare molto più che scusarsi per farsi perdonare.
-          Non dare di matto adesso. Riuscirò a scoprire dove si trova, te lo prometto.
-         Liara, non ho intenzione di mettere in dubbio le tue capacità, ma conosco Thane e se non vuole farsi trovare, neppure con le tue risorse da Ombra ci riuscirai.
-          Non è con quelle che voglio trovarlo. Partirò domani stesso per Omega.
-          Che cosa? – sbraitò Shepard, parandosi di fronte a lei – Non ci pensare nemmeno. E non te lo sto chiedendo, è un ordine.
-          Non sono più sotto il tuo comando da due anni, Shepard. So quello che faccio e non sarò sola. Mi hai aiutata a prendere il controllo dell’Ombra e voglio ripagarti.
-          E’ fuori discussione… totalmente fuori discussione. Non te lo lascerò fare.
-          Provaci – rispose Liara, alzandosi in piedi di fronte a lei.

Shepard si lasciò cadere sul materasso con rassegnazione. Ci mancava solo che Liara si mettesse nei guai per lei. Però, a questo punto, l’Asari era l’unica ed ultima speranza di ritrovare Thane e in più era sicura che se la sarebbe cavata.

 
Quella sera, Shepard si mise ai fornelli per la prima volta da quando abitava lì. Di solito preferiva lasciar cucinare James, avendo scoperto che aveva del talento culinario non indifferente, ma stavolta decise di mettersi in gioco, soprattutto per distrarsi dai pensieri che la stavano opprimendo. Preparò del pollo arrosto con un semplice contorno di insalata; la cucina si riempì di profumo di casa, creando un’atmosfera confortevole. Dalle facce di Liara e Vega poté dirsi quasi soddisfatta del risultato. Dopo cena, i tre si dilettarono in una partita di poker con vere carte e per un pelo Liara non rubò a James il primato di vincitore imbattuto. Parlarono, risero, scherzarono a lungo come se quel trio si conoscesse da sempre. Poi, mentre James si ritirava nella propria stanza, Shepard mise sul fuoco il bollitore, una volta lavata con accuratezza quasi maniacale la tazza che un tempo apparteneva a Thane. Liara la osservò attentamente, leggendo nei suoi occhi una sofferenza indescrivibile. Evitò di commentare e semplicemente aspettò che Shepard la raggiungesse sul divano, mentre reggeva saldamente la tazza calda con entrambe le mani, quasi come se si trattasse di un pregiato artefatto di cristallo.

-          Shepard, ci sarebbe un’ultima cosa che devo dirti prima di ripartire – disse Liara, senza trovare il coraggio di incrociare il suo sguardo.
-          Di che si tratta? – lei spalancò gli occhi, in attesa.
-        Non devi leggerla per forza. Sono sicura che se non l’hai ancora ricevuta è perché non è il momento – Liara balbettò quasi, pregando in cuor suo di stare facendo la cosa giusta, benché non ne fosse assolutamente sicura.
-          Cosa non devo leggere, Liara? – Shepard sentì il cuore iniziare a martellargli in petto. Una fitta d’ansia nel suo stomaco.
-          Io… vedi… quando mi hai consentito l’accesso alle reti della Normandy ho iniziato a catalogare dei dossier su tutto l’equipaggio – Liara fece una pausa, mentre Shepard si accigliava – L’ho fatto anche per te, ovviamente. Volevo essere sicura che tutti ti fossero fedeli e non ti nascondessero nulla. Ho raccolto informazioni anche su Thane, informazioni di origine medica, militare e… personale.

A quell’ultima parola Shepard trasalì e la invitò a continuare con un cenno della mano.

-          Ho la copia di una lettera che Thane ha conservato, una lettera che probabilmente avrebbe dovuto inviarti prima di… prima di…

Andromeda iniziò a sentire gli occhi bruciare e lottò con tutta se stessa per ricacciare indietro le lacrime.

-          Dammela – disse semplicemente, alzandosi in piedi.

Liara la passò velocemente al suo factotum e poi la osservò allontanarsi, diretta in camera sua. Aspettò qualche istante, poi la seguì a ruota. Era più che comprensibile il fatto che volesse leggerla da sola, ma voleva essere sicura di esserci qualora ne avesse avuto bisogno. Si appoggiò al muro della camera di Shepard e aspettò, mordendosi nervosamente le labbra.

Shepard non accese neppure la luce. L’unica fonte luminosa era l’ologramma del suo factotum che lampeggiava, recando la scritta “FW: Intercepted Correspondence Saved to Personal Drive – Thane Krios”. Una parte di sé avrebbe voluto cestinare immediatamente quel messaggio e dimenticare di aver avuto quella conversazione con Liara, mentre un’altra parte di sé sapeva che quella era l’unica cosa di Thane che le restava, dopo la sua misteriosa scomparsa. E se avesse trovato un indizio nascosto su dove si trovasse adesso e sul perché fosse sparito? Con un rapido gesto della mano aprì il documento, trovandosi faccia a faccia con parole che la colpirono come un pugno nello stomaco.

Siha,

ti scrivo con un grande peso nel cuore, consapevole del fatto che quando leggerai questa lettera io non sarò più in grado di esprimere i miei pensieri. Io sto morendo, Siha. Confidando nella differenza delle nostre specie, posso sperare che il tempo ti tratterà con gentilezza e lenirà il dolore della mia scomparsa limitandolo a ricordi sbiaditi che un Drell, invece, sarebbe costretto a ricordare per sempre con perfetta chiarezza.

Egoisticamente, però, non voglio andarmene senza aver prima lasciato un pezzo di me che non sia
destinato a svanire nel nulla.

Avevo accettato il mio destino, una volta. Di me non era rimasto che un guscio vuoto destinato a perire. Dovevo solo decidere come e quando avrei posto fine alla mia vita. Mi sono opposto all'idea di restare confinato in un letto d'ospedale, rantolando orribilmente mentre la mia esistenza veniva scandita dal bip delle macchine che mi tenevano in vita. Ho pensato alla mia Irikah, distrutta, devastata, tradita dalla mia assenza. Ho pensato a Kolyat, piccolo e impaurito, mentre asciugava coraggiosamente le lacrime che versava per entrambi.

Ma l'idea di avvicinarmi velocemente alla mia fine è svanita di fronte alla tua causa. Tu mi hai risvegliato, Shepard. Il mio cuore ha ricominciato a battere solo per restare al tuo fianco e proteggerti con tutto me stesso. Ero contento anche solo di guardarti, assaporando ogni istante a noi concesso dal tempo, e pregando con tutte le forze di riuscire ad affrontare i miei ultimi giorni, con la speranza e la certezza che la mia vita valesse più di quanto avevo creduto, e questo solo perché tu mi hai dato fiducia.

Ti amo. Se tutto il resto dovesse svanire nell'oblio, sappi almeno questo con certezza. Per la grazia concessami dalla Dea Arashu, chiedo che possa vegliare su di te, mio angelo guerriero, mia Siha, affinché tu possa avere successo, per illuminare il tuo cammino attraverso l'imminente oscurità, per darti speranza quando tutto il resto sembrerà perduto.

Ti aspetterò oltre l'oceano.

Thane.


Il silenzio fu rotto improvvisamente dal rumore della tazza che si era frantumata sul pavimento. Liara sussultò. Poi dall’altra parte della porta, sentì Shepard singhiozzare sommessamente, il suo pianto ovattato.

Liara aspettò alcuni minuti prima di decidersi ad entrare. Era pronta a farsi cacciare in malo modo, ma non sarebbe rimasta lì impalata senza offrirle il suo aiuto. Trovò Shepard rannicchiata sul suo letto che tentava di non urlare, mordendo forte il cuscino. Un mese di attesa senza notizie dalla persona che amava, senza una guerra in cui buttarsi a capofitto, senza poter imbracciare un fucile, senza poter viaggiare nello spazio, l’aveva indubbiamente distrutta. E questa lettera l’aveva colpita sull’unico punto sano che le rimaneva, facendola crollare rovinosamente, sgretolando tutti i pezzi che aveva tentato di mettere insieme impedendo a se stessa di autodistruggersi. Liara si sentì in parte responsabile e le vennero gli occhi lucidi. Senza dire una parola, la raggiunse sul letto e la coprì col plaid, stringendosi a lei per darle conforto. Shepard la lasciò fare, consapevole che in quel momento non avesse bisogno di altro che del sostegno di una vera amica.

Sapeva a cosa sarebbe andata incontro sin dal primo momento in cui l’assassino, all’ultimo piano delle Torri Dantius, le aveva confessato “Io sto morendo”. Lo sapeva e aveva deciso di poter sostenere un macigno così pesante. Ma non pensava di poterlo perdere da un momento all’altro, senza alcun preavviso, senza la possibilità di dirgli che lo amava ancora una volta, senza potergli dire addio. Quella lettera le fece comprendere che avrebbe potuto non rivederlo mai più, e ciò l’avrebbe distrutta. Aveva pensato spesso alla sua morte ed era sempre arrivata alla conclusione che sarebbe arrivata lentamente, dando loro il tempo di salutarsi a dovere, di dirsi tutto ciò che dovevano prima che lui esalasse l’ultimo respiro. Si sarebbe preparata psicologicamente, gli avrebbe tenuto la mano, l’avrebbe accompagnato nel suo viaggio verso l’Oceano, avrebbe chiuso i suoi profondi, bellissimi, occhi neri. Ma così… così no, non poteva accettarlo.

Si voltò verso Liara, asciugandosi le lacrime, interrotta dai singhiozzi che le scuotevano il petto.

-          Trovalo, ti prego – la implorò, guardandola negli occhi.
-          Farò il possibile, Andromeda – rispose l’Asari, carezzandole una guancia.
 



 

15 Giugno 2185
Waddington , Lincolnshire – Gran Bretagna.



 
Liara aspettava l’arrivo del taxi sotto una pensilina. La pioggia scrosciava forte sul tetto di plastica e, a seconda di come soffiava il vento, la colpiva in pieno, inzuppandole i vestiti. Le valigie erano completamente bagnate e lei non aveva con se neppure un misero ombrello. James l’aveva lasciata lì in mattinata, dopo che i tre ebbero fatto colazione con pane e marmellata, quasi senza spiccicare una parola. Shepard le aveva raccomandato una dozzina di volte di fare attenzione e di tenerla costantemente aggiornata, poi si era decisa a lasciarla andare, dandole un ultimo abbraccio. Dopo quasi venti minuti di attesa sotto il temporale, la navetta arrivò e un tassista corpulento aiutò l’Asari a caricare i bagagli in macchina, lanciandole uno sguardo scettico. Due ore dopo, Liara arrivò allo spazioporto più vicino e, una volta superati i soliti controlli di routine, si apprestò a raggiungere la zona d’attracco dove avrebbe trovato la nave diretta verso Omega. Sarebbe arrivata l’indomani, salvo imprevisti.

Liara aveva programmato tutto questo già da alcuni giorni. Aveva riempito i suoi bagagli con tutto ciò che riteneva necessario: vestiti, dispositivi olografici portatili, datapads. Avrebbe trasformato la sua camera d’albergo in una base Ombra in miniatura. L’unica cosa che, per ovvie ragioni, non aveva portato con sé, erano le armi, ma le avrebbe trovate su Omega, dove l’aspettava un amico di vecchia data, pronto a lanciarsi in quella missione con lei. Aveva già deciso il punto di partenza per la sua ricerca: l’Afterlife. Si sarebbe trovata di nuovo faccia a faccia con la regina dell’intera Omega, Aria T’Loak. Fortunatamente, i suoi rapporti con Shepard l’avrebbero aiutata a non farsi sbattere immediatamente fuori di lì, considerando gli spiacevoli trascorsi. Poteva sperare almeno in una chiacchierata. Shepard le aveva assicurato che avrebbe provveduto a contattarla immediatamente per avvisarla del suo arrivo. Liara pensava che se c’era qualcuno in grado di sapere se un Drell misterioso era approdato nel suo regno, questa era proprio la regina di quel gigantesco fungo orbitante.

 
Shepard passò la mattinata a transitare da una stanza all’altra, facendo una cosa che neanche da adolescente, sotto ordine della madre, aveva mai fatto: spolverare. Passò ore ed ore a lucidare ogni singolo soprammobile, quadro e suppellettile. Per ora di pranzo, quella casa così antica e suggestiva stava brillando di luce propria. James arricciò il naso quando la vide tornare in cucina sudata e con uno spolverino piumato in mano.

-          Vuoi scherzare? – le domandò, sollevando un sopracciglio.
-          Che c’è? – rispose lei, facendo spallucce.
-          Quello cos’è? – James indicò l’oggetto della vergogna.
-          E’ uno spolverino, idiota! – esclamò, sbattendoglielo in testa con noncuranza.

James scoppiò in una risata e si massaggiò dov’era stato colpito.

-          Oh, andiamo, Lola! Questo decisamente non è da te – disse, scuotendo il capo.
-          Sta’ zitto, piuttosto pensa alla tua camera… è un porcile, sembra ci abbiano combattuto dieci Varren rabbiosi – rispose lei, iniziando a spolverare anche la cucina.

Vega si alzò e le strappò via lo spolverino dalle mani, attirandosi un’occhiata minacciosa.

-          Ridammelo, idiota – fece lei, tentando di sottrarglielo.
-          Si può sapere perché me ne dici sempre di tutti i colori? – chiese lui, allontanando la mano dalla sua presa.
-          Per lo stesso motivo per cui tu ti ostini a chiamarmi Lola.
-          Ma Lola è carino!
-          Dammelo! – esclamò Shepard, guardandolo con aria di sfida.

Vega fece due passi indietro, ostinato.

-          Prendilo, se ci riesci.
-          Non sono in vena di stupidi giochetti – Andromeda incrociò le braccia, al limite della pazienza.
-          Però sei in vena per fare la brava donna di casa?

A quella frase, lei non ci vide più e si avventò su di lui, colpendolo con una ginocchiata sullo stomaco. James si piegò appena, ma i suoi addominali di ferro attutirono il colpo alla perfezione, permettendogli di contrattaccare immediatamente. Lanciò in aria lo spolverino che andò a depositarsi sopra un pensile della cucina, poi, con una rapida mossa, fu subito dietro Shepard per bloccarle le mani. Lei rispose divincolandosi, mentre assestava un calcio ben piazzato sul suo stinco. Il colpo lo fece vacillare per un attimo e lei si liberò, parandosi di fronte a lui con i pugni a mezz’aria, pronta a colpire. Lo stesso fece lui, che schivò con abilità il destro appena arrivato in direzione del suo viso.

-          Sei un po’ arrugginita, eh? – la provocò, offrendole un sorriso smagliante.

Lei rispose con un calcio diretto alle sue parti basse e uno sguardo furente.

-          Così non vale, Lola – disse lui, indietreggiando con una smorfia – abbi almeno il coraggio di giocare pulito.

Shepard si lanciò di nuovo all’attacco, ma fu respinta dal piede di Vega che la allontanò prontamente, colpendola sul torace. Questo la fece infuriare ancora di più; sferrò un calcio sul suo fianco destro, mentre un pugno andava a colpire la guancia sinistra, poi fece un saltello indietro, pronta a parare la mossa del suo avversario. James fece una mezza torsione su se stesso e con la gamba destra raggiunse il volto di Shepard, facendola vacillare leggermente.

-          Brutto idiota, i tuo stivali sono di ferro! – esclamò lei, massaggiandosi la guancia colpita.

Vega ignorò il suo commento e tentò un altro calcio al suo fianco, ma lei afferrò prontamente la sua gamba e lo spinse all’indietro, facendolo cadere rovinosamente sul pavimento.

-          Ok, bella mossa Lola – disse lui, rialzandosi mentre si sfregava le mani e saltellava sul posto.

Shepard fu pronta ad attaccare nuovamente, assestando un pugno dritto sul suo mento, mentre con la gamba destra mirava alla zona del fegato. Vega non si lasciò intimidire e le afferrò il braccio per immobilizzarlo, mentre una ginocchiata a mezz’aria andava a colpire, da sotto, le costole di Shepard. Poi fece roteare il braccio e la spinse al suolo. Si mise subito sopra di lei, bloccandole le braccia e impedendole, col suo peso, di muovere le gambe.

-          Direi che ho vinto lo scontro – disse, osservandola dritto negli occhi, con un sorriso compiaciuto.

Shepard sbuffò e fece un ultimo tentativo di rialzarsi, senza successo. Quel bestione gravava sul suo stomaco come un Elcor in sovrappeso.

-          E va bene, ammetto che te la cavi nel corpo a corpo. Ma le armi sono tutta un’altra storia…
-          Aspetta di vedermi in azione prima di fare giudizi avventati – disse lui, rialzandosi e offrendole un braccio per tirarsi su.

Shepard declinò l’offerta e si rialzò da sola, ravviandosi i capelli. Poi andò a fare una doccia, ringraziando mentalmente James per averle permesso di sfogarsi nel modo che preferiva.
 


La luce ambrata del tramonto illuminava la piccola cucina, altrimenti in penombra. Vega stava ascoltando musica dal suo factotum e tamburellava con le mani sul tavolo di legno, canticchiando a bassa voce. Quando Shepard lo raggiunse, aveva decisamente un aspetto migliore rispetto ai giorni passati. James le sorrise, continuando a canticchiare e lei si accese una sigaretta, appoggiandosi al muro accanto alla finestra. Rivolse uno sguardo malinconico al cielo color arancio che le portò istantaneamente alla memoria la Missione Suicida.

-          Avresti dovuto esserci, James – disse, senza schiodare gli occhi dal cielo.

Vega staccò la musica e la raggiunse alla finestra.

-          Omega 4? – domandò, seguendo il suo sguardo.
-          Già… - Shepard sorrise – E’ stato fantastico… poter mettere fine a tutto quello schifo, riuscire a vendicare i nostri simili…
-          Avevi una squadra notevole, siete stati in gamba.
-          Cazzo se lo siamo stati!
-          E gli altri, adesso? Li hai più sentiti? – azzardò James.
-          Perché ho la sensazione che la tua domanda non sia dettata da semplice curiosità?
-          Shepard, voglio essere sincero con te… So che non ami parlare della tua vita privata, ma io sono l’unica persona che può farti compagnia. Hai paura del mio giudizio? Non averne, non sono quel tipo di persona. Ti sto solo offrendo la mia comprensione perché ti stimo.
-          Grazie James – disse lei, sorridendo brevemente - Comunque, se ti stavi riferendo a Thane… No, non l’ho più sentito.
-          Liara è venuta qui per questo, vero?
-          Sì, a quanto pare ha trovato una pista e ha intenzione di andare a cercarlo.
-          Beh, deve tenerci molto a te…
-          Io e Liara abbiamo fatto molto, l’una per l’altra. E’ una cara amica.

James sospirò e si stiracchiò i muscoli, prima di accendere una sigaretta a sua volta.

-          Senti Shepard – disse, usando un tono di voce più rilassato – Io mi sono rotto di starmene qui senza fare nulla. Perché non ci sbronziamo per bene?

Andromeda spalancò gli occhi e gli rivolse un sorriso scettico.

-          Ma se in questa casa abbiamo solo bustine di thè…
-          Ti sbagli – ribatté lui, raggiungendo la credenza dove c’era, ben nascosta, una bottiglia di scotch. Gliela sventolò davanti agli occhi, iniziando ad aprirla.
-          E quella da dove salta fuori?
-          Dev’essere rimasta qui per tutto questo tempo. L’anno di produzione è il 2030. Un buon vecchio scotch invecchiato. Ti  va?
-          Non lo so, James…
-          Dai, Lola! Me lo devi, da quando sto qui a sorvegliarti la mia vita si è ridotta alle sole partite di poker su extranet.
-          E va bene, ma solo un bicchiere.

I bicchieri diventarono due, poi tre, poi quattro, fino a quando la bottiglia non restò completamente vuota. Shepard se la rideva beatamente sul divano, mentre James, sbronzo almeno quanto lei, si dilettava nel raccontarle i dettagli piccanti delle sue avventure amorose.

-          Ti facevo un tipo più originale, James – rise lei, con gli occhi lucidi.
-          Non puoi negare che le ballerine Asari abbiano un certo fascino.
-          Confessa allora: ti sei preso una cotta per Liara!
-          Ho detto “ballerine Asari”, non giovani archeologhe impacciate con una passione per le cose decrepite!
-          Ma smettila… Liara è carinissima! Ma ora che ci penso hai ragione, non c’entrerebbe nulla con uno come te.
-          Cosa vorresti dire?
-          Tu sei solo un bell’imbusto senza cervello – disse Shepard, biascicando,  puntandogli un dito contro la fronte.
-          Ehi, mi offendo se lo pensi veramente – rispose James, prendendogli la mano e tenendola ferma a mezz’aria.
-          E va bene, va bene… scherzo! – esclamò lei, divincolandosi bruscamente dalla presa, mentre continuava a ridere.
-          Así está mejor – disse Vega, sedendosi a gambe incrociate sul divano, come se stesse meditando.

Shepard piegò la testa di lato, osservandolo attentamente. Poi capì perché lo trovasse così buffo. Scoppiò a ridere a crepapelle, tenendosi la pancia mentre le lacrime solcavano le sue guance. James la guardava a bocca aperta, perplesso.

-          Perché ridi, Lola?

Lei farfugliò qualcosa di incomprensibile tra le risate, poi, gradualmente, il suo tono di voce assunse una sfumatura diversa e quelle risa si trasformarono in qualcosa di simile a un pianto. Vega entrò nel panico e restò allibito quando lei si fece spazio tra le sue braccia e si rannicchiò contro il suo torace, mormorando appena “Mi manca, James, mi manca da morire”.



 




Sssalve! La prima cosa che ci tengo a sottolineare è che non sono riuscita in alcun modo a recuperare la lettera di Thane in italiano. Vi sfido a cercarla... non si trova NULLA, da nessuna parte. Così dovevo scegliere tra: ricominciare una nuova partita a ME3 oppure tradurla da me. Ho optato per la seconda perchè non avevo molto tempo per giocare... ma quante lacrime mi è costata ;___; Quindi scusate se non è uguale all'originale... Per forza di cose ho dovuto fare una traduzione parecchio libera. 
Poi voglio ringraziare Johnee per il supporto e per l'ultima canzone <3
Infine... grazie a tutti i miei lettori e abbracci ai gentilissimi lettori che recensiscono *w*
 

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Capitolo 4
*** I Will Be Silent ***


I Will Be Silent

 

16 Giugno 2185
Omega – Sistema Sahrabarik

[x]



 Un Drell dal lungo cappotto scuro si aggirava per gli agglomerati, il viso nascosto da un pesante cappuccio di pelle. Camminava nervosamente con le mani in tasca, dando un’occhiata di tanto in tanto al suo factotum. Si fermò, sospirando con impazienza, e si affacciò da una balconata, fermandosi ad osservare la moltitudine confusa di navette sfrecciare nella densa atmosfera rossastra di Omega. Conosceva bene quel posto e non gli dispiaceva; per il lavoro che era abituato a fare non poteva chiedere di meglio. Ma adesso che le cose erano cambiate, non gli restava nient’altro che gli averi accumulati nel corso di una vita intera. Una vita travagliata che l’aveva portato a vendersi in cambio di soldi, a tradire in cambio di soldi, a fare tutto quello che faceva solo e soltanto per i soldi. Poi, però, si era ribellato. Probabilmente è questo quello che succede quando ti rendi conto che una minaccia più grande incombe sull’intera Galassia e sei consapevole di poter fare la differenza, stavolta in positivo. E allora finisci per convertirti a quella causa, a costo di perdere tutto ciò che ti resta. E così, a quel Drell, non restava altro che la certezza di aver fatto la sua parte e che i suoi sforzi fossero serviti a debellare una volta per tutte la minaccia dei Collettori.

Inspirò profondamente, percependo un leggero sentore di stantio grattargli la gola. Si voltò a dare un’occhiata dietro di sé e la vide. Eccola, finalmente la ritrovava dopo tanto tempo. Le corse incontro, pronto a farsi carico dei suoi bagagli e offrirle un abbraccio amichevole.

-          Feron! – esclamò Liara, vedendolo arrivare di corsa. Lasciò cadere i bagagli e fu travolta dal suo abbraccio, del tutto inaspettato.
-          Liara… come stai? – Feron si allontanò da lei per guardarla negli occhi e nel frattempo abbassò il suo cappuccio, un abitudine che non aveva perso col tempo.

L’Asari sorrise timidamente. Non lo vedeva dall’assalto alla base dell’Ombra, benché fossero stati sempre in contatto, e ciò, in qualche modo, la metteva a disagio. Quel Drell aveva patito le peggiori sofferenze nell’aiutarla a impadronirsi della base Ombra e lei non era riuscita a ripagarlo in nessun modo. Per di più, adesso chiedeva ancora il suo aiuto. Liara non sapeva, però, che Feron era più che felice di potersi rendere di nuovo utile, di potersi sentire di nuovo vivo al suo fianco, di lanciarsi in una nuova avventura. Sì, aveva passato dei brutti momenti, ma era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle perché, dopotutto, era sempre stato forte come una roccia.

-          Sono solo un po’ stanca, il viaggio è stato lungo – sorrise lei – Tu, invece?
-          Adesso molto meglio – rispose lui, raccogliendo la valigia più grande con una mano e cingendo le sue spalle con l’altra, amichevolmente.

I due iniziarono a camminare diretti verso il mezzo di Feron, una navetta piuttosto malridotta. Caricarono i bagagli e partirono alla volta della camera d’albergo che Liara aveva prenotato sotto falso nome, assicurandosi che la sua identità su Omega fosse protetta. Feron poteva essere ancora un bersaglio per qualcuno come Cerberus e sarebbe stato rischioso usare il suo appartamento come base. Per non parlare del fatto che Liara avrebbe avuto sicuramente qualcosa da ridire sulle condizioni in cui teneva quel posto. Sfrecciarono per Omega nel traffico turbolento. Liara si torceva le mani che teneva unite in grembo, mentre Feron aveva un’aria decisamente più rilassata. Il rapporto tra l’Asari e il Drell era sempre stato strano, avevano impiegato diverso tempo a fidarsi l’uno dell’altra, ma dopo mille peripezie il loro legame ne era uscito più forte, in qualche modo. Liara doveva molto a Feron, innanzitutto il fatto di aver potuto recuperare il corpo di Shepard e poi l’essersi potuta impossessare della base Ombra, spodestando il corpulento quanto ottuso Yahg che ne aveva preso il posto decine d’anni prima. Senza di lui non ce l’avrebbe mai fatta e non era passato un giorno della sua esistenza, in quei due anni, nel quale non si fosse sentita in debito con lui.

-          Mi sei mancato, Feron – confessò Liara, senza alzare lo sguardo.

Il Drell si limitò a rivolgerle un sorriso e ad accarezzarle brevemente un braccio, consapevole che a parlare fosse il profondo legame di amicizia e gratitudine che li univa.

-          Io e te, Omega. Questo mi riporta alla mente due anni fa. Ci penso spesso, sai? – disse, poi.
-          Ci penso anche io – rispose lei con un sorriso – Per poco non ci siamo fatti ammazzare…
-          Eravamo una bella coppia, però. Ammettilo.
-          Almeno finché tu non mi hai doppiamente tradito – nelle parole di Liara non c’era risentimento, voleva solo punzecchiarlo un po’ e lui lo sapeva.
-          E poi mi sono sacrificato per te. Sì, dimentichi sempre questa parte – Feron sorrise allegramente, volgendosi brevemente a guardarla.

Liara restò in silenzio per un attimo, poi scoppiò a ridere, attirandosi lo sguardo incuriosito di Feron.

-          Ti ricordi quando hai sparato dalla cannoniera e per poco non hai fatto saltare tutto all’aria? Tazzik era sconvolto - esclamò, scuotendo la testa.
-          Vogliamo parlare della tua faccia invece? Oh dea… Se avessi potuto fulminarmi con lo sguardo l’avresti fatto!
-          Puoi dirlo forte! Ero lì lì per lanciarti un globo d’energia biotica e farti volare dall’altra parte dell’hangar.
-          E il Batarian e il Volus che abbiamo steso appena arrivati all’Afterlife?
-          Se lo meritavano, ci stavano provando spudoratamente – rise Liara, alzando un sopracciglio.
-          Ci eravamo appena conosciuti e già facevo la tua guardia del corpo.
-          Oh, ma per favore! Non ne ho mai avuto bisogno – disse lei, pungolandolo scherzosamente.
-          I fatti dicono il contrario, cara mia!
-          Zitto e guida – esclamò Liara fingendosi offesa, ma un sorriso malcelato tradiva pienamente i suoi intenti.

Continuarono a scherzare e a stuzzicarsi come se non avessero mai fatto altro nella vita, poi arrivarono finalmente all’Hotel. “Coniugi T’Sana”, disse Liara con nonchalance alla receptionist. Appena si allontanarono con il codice della camera in mano, Feron scoppiò a ridere.

-          Coniugi T’Sana? Seriamente? – domandò, suscitando il sorriso imbarazzato di Liara.
-          Che altro avrei potuto inventarmi?! – tentò di giustificarsi lei, mentre si facevano strada.
-          Così su due piedi? Non so… ma l’idea mi piace, mogliettina – disse lui, sapendo di farla infuriare.

Lei rispose con un pizzicotto sul suo braccio e un’occhiataccia torva.

-          Letto matrimoniale, quindi?
-          Non farti strane idee, stupido Drell! Ho richiesto espressamente due letti singoli.
-          Non ti pare un po’ sospetto? – chiese Feron, mentre Liara si apprestava a sbloccare la porta inserendo il codice.
-          Che c’è di sospetto in una coppia che ama la propria indipendenza? – esclamò, mentre il portellone si spalancava, rivelando un’ampia stanza luminosa con un grosso letto matrimoniale in bella vista.
-          Oh, per tutte le rovine Prothean! – strillò, lasciando cadere i bagagli malamente, mentre Feron se la rideva di gusto.
-          Smettila di ridere e aiutami a ricreare la mia postazione.
-          Non vuoi chiedere di cambiare stanza?
-          No, al massimo tu dormi lì – sbuffò lei, indicando una poltroncina all’angolo.
-          Scordatelo, piuttosto il pavimento.
-          Affare fatto – disse Liara con un ghigno, e gli tirò un mucchio di roba da sistemare.

Feron si mise subito al lavoro, scuotendo la testa compiaciuto. Era sicuro che sarebbe stata un’avventura interessante.
 

 

“I will be silent away from you
My heart will be quiet as await for you
I will be silent as await for you
My heart will be quiet as await for you”


 

Un libro giaceva su un tavolinetto di metallo, in un appartamento spoglio e asettico sperduto da qualche parte negli agglomerati di Omega. Il libro conteneva al suo interno solo pagine bianche; probabilmente doveva essere costato una fortuna. Era sempre stato affascinato dalla carta, dal buon profumo di un libro antico, dalla consistenza porosa delle pagine sotto i polpastrelli delle dita. Quando poteva, si procurava sempre un libro autentico da leggere, solo che quella volta aveva optato per qualcosa di diverso. Aveva deciso di lasciare le sue memorie nel modo più tradizionale e personale possibile, mettendo nero su bianco i suoi ricordi, i suoi sentimenti, i suoi desideri. L’avrebbe fatto per le persone che gli sarebbero sopravvissute, in modo tale da lasciare qualcosa di tangibile, qualcosa che non solo contenesse i suoi pensieri, ma anche il suo DNA. Sì, probabilmente era un pensiero stupido, nessuno avrebbe mai visto pezzi di lui tra le pagine di un libro, ma il solo sapere che quei pezzi invisibili c’erano gli dava conforto. No, lui non voleva restare prigioniero di un hard disk, lui voleva poter avere forma solida, voleva poter essere toccato, accarezzato… voleva che qualcuno, sfogliando quelle pagine, potesse ritrovare il suo odore. Erano pensieri egoistici, lo sapeva bene, ma non poteva fare a meno di desiderarlo.

Ogni proposito, tuttavia, era svanito di fronte agli avvenimenti degli ultimi giorni. Non avrebbe mai immaginato di potersi trovare di nuovo in una situazione del genere, non dopo aver salvato la Galassia dai Collettori, non dopo aver incontrato un’altra Siha. Erano prove a cui gli dei volevano sottoporlo? Era il suo passato che gli si stava rivoltando contro? Era la sua anima corrotta ad attirarsi queste maledizioni?

Tirò un sospiro, troppo profondo per i suoi polmoni, e tossì fino a cadere in ginocchio accanto al tavolinetto, maledicendosi con rabbia. Un pugno colpì la superficie metallica del tavolo, facendo sobbalzare il libro che ricadde sul pavimento, aprendosi a metà. Odiò la vista di quelle pagine bianche aperte di fronte a lui, quelle pagine che rappresentavano il futuro che lui non avrebbe mai potuto avere. Ma in fondo era tutta colpa sua. L’aver frequentato Shepard, l’aver potuto confrontare le sue teorie con quelle di lei, spesso davanti a una tazza fumante di thè, aveva fatto vacillare le sue certezze. Aveva ucciso per denaro nel corso della sua vita, senza mai provare rimorso, e adesso ne pagava le conseguenze.

 

E’ l’arma che uccide, dico, notando il turbamento nei suoi bellissimi occhi verdi. La mia arma non sa cosa è giusto o sbagliato, sono io a decidere di premere il grilletto, risponde lei, determinata. Percepisco quanto sia difficile per lei capire il mio punto di vista, sento il bisogno di meditare, di riflettere su ciò che ha detto, ma lei è a due passi da me, la raggiungo sedendomi accanto a lei, il profumo dei suoi capelli mi investe minando la mia razionalità. Voglio intrecciare le mie dita ai suoi capelli ramati…


Era questo che gli restava, dunque? Ricordi da rivivere all’infinito fino a che il suo cuore avesse cessato di battere?  Non aveva più nessuno, adesso era davvero solo. L’unico compagno rimasto era il demone dentro di sé, che gli solleticava l’anima ridendo beffardamente, mentre lui si interrogava giorno per giorno sul suo destino, senza mai trovare risposta.

“Perdonami”, mormorò, iniziando a fare a pezzi le pagine bianche di quel libro mentre le lacrime rigavano il suo volto.
 
 

16 Giugno 2185
Waddington , Lincolnshire – Gran Bretagna



 
Un pesante cerchio alla testa e mani che si affannano a recuperare cocci di ceramica dal pavimento. Shepard doveva fare i conti con la sbronza della sera prima e con la lettera di Thane, che non aveva più avuto il coraggio di rileggere, ma che la tormentava risuonando nella sua testa come una cantilena. Era inginocchiata per terra e, mentre li raccoglieva, contava i cocci della tazza ad uno ad uno, come a volersi impedire di pensare ad altro. “Trentadue”, disse infine, stringendoli fra le mani. Un mucchietto di pezzi di ceramica… Questo le restava. Pezzi di ceramica e un mucchio di pixel nel suo factotum. Ma era arrivato il momento di dire addio alle lacrime, di farsi forza e di lottare, perché c’era un’amica là fuori che stava rischiando la sua vita per lei e per la persona che amava.

Si alzò in piedi e diede un’occhiata attraverso la finestra. Era la tipica giornata inglese, uggiosa, opaca, grigia. Uscì dalla propria camera diretta in giardino, passando ad avvisare brevemente James che sarebbe tornata poco dopo. Faceva stranamente caldo, un caldo umido che appesantiva l’aria in maniera inverosimile; le sembrava di respirare vapore acqueo. Si disfece della sua felpa, usandola come contenitore per i cocci, e si incamminò dove l’erba era più alta. Si inginocchiò sotto un arbusto incolto di rose gialle e iniziò a scavare a mani nude. “Devo farlo”, continuava a ripetersi, certa che assieme a quella tazza avrebbe seppellito anche i pensieri più neri. Le unghie sporche di terra, i capelli appiccicati alla fronte sudata. Aveva scavato a fondo, rendendosene conto solo quando le braccia sprofondarono nella buca fino all’altezza del gomito. Si passò una mano sulla fronte imperlata e rivolse uno sguardo all’ultima rosa rimasta… cos’era, se non l’ultima speranza, quella rosa? Un fulmine squarciò il cielo, seguito dal rombo di un tuono. Prese i cocci della tazza di Thane e li seppellì ad uno ad uno, con cura, adagiandoli dolcemente sul terriccio umido. Si rigirò fra le dita l’ultimo coccio rimasto e poggiò le labbra sulla superficie liscia e fredda di ceramica smaltata. Una goccia cadde sulla sua bocca e lei chiuse gli occhi, alzando il viso verso il cielo. Restò ferma, in ginocchio sulla terra bagnata, fino a quando la pioggia non iniziò a scrosciare forte su di lei, inzuppandole i capelli e i vestiti. Riaprì gli occhi tremando per il freddo e seppellì anche l’ultimo coccio. “Perdonami”, sussurrò con un ultimo bacio, ricoprendo la buca di terra mentre le gocce di pioggia danzavano intorno a lei.




 




Ciao a tutti, cari lettori, sappiate che io sono tristissima. Domani uscira il nuovo DLC, l'ultimo, e io sono un sacchetto di spazzatura pieno di sentimenti contrastanti... A prevalere di sicuro è la tristezza per l'apparente assenza di Thane (anche se ci sarà Kolyat). Ma vabbè... Quindi vi lascio con questo capitolo insulso e breve e vado a buttarmi da una finestra, ingozzarmi di schifezze, ammirare il mio nuovo tatuaggio N7 per sentirmi meglio.

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Capitolo 5
*** All is Dream and Everything is Real ***


All is Dream and Everything is Real


 

“There's a place I dream about
Where the sun never goes out.
And the sky is deep and blue.
Won't you take me there with you.
Oh, we can begin again. 
Shed our skin, let the sun shine in. 
At the edge of the ocean 
We can start over again.
 
[x]

 
 
-          Dio, quanto mi mancava questo cielo e quanto mi mancavi tu… - Andromeda rivolse un sorriso dolcissimo a Thane, socchiudendo gli occhi alla luce accecante del sole.

Distesi sulla sabbia, intorno a loro non c’era nient’altro che dune e un’immensa distesa d’acqua alla fine della battigia.

-          Sapevo che avremmo avuto il nostro momento, Siha. Due amanti non possono restare lontani troppo a lungo – rispose lui, facendo un profondo respiro liberatorio.

I suoi polmoni non bruciavano più. Si voltò verso di lei e prese la sua mano fra le sue.

-          Grazie per averlo reso possibile.
-          Il merito è solo tuo – sorrise lei, tendendosi a incontrare le sue labbra in un bacio.

Amava il suo sapore, almeno quanto sentire la trama della sua pelle sotto le sue dita, o quanto perdersi nei suoi occhi. Non c’era una volta che non si fosse emozionata a guardarlo, che non si fosse soffermata a catturare ogni piccolo dettaglio di lui, cercando di memorizzare ogni centimetro del suo corpo.

-          Ma voi Drell non vi abbronzate? – domandò poi, con la spontaneità di una bambina.

Quella domanda lo fece ridere, era così da lei…

-          No, ma alla luce solare ci squamiamo più velocemente – spiegò, accarezzandole i capelli.
-          Fate la muta come i serpenti?

Thane rise di nuovo. Quante cose ancora non sapevano l’uno dell’altra e quanto sarebbe stato bello scoprirle insieme…

-          Non in modo così teatrale Siha, ma se sei curiosa ti farò sapere quando sarà il momento.

Andromeda si girò a pancia in giù sollevandosi sui gomiti e si mise ad osservarlo con aria felice.

-          Perché sorridi? – le domandò lui, curioso – E’ una cosa che ti mette a disagio, forse?

Lei scosse la testa e si chinò a baciarlo teneramente sulle labbra.

-          Non c’è e non ci sarà mai nulla di te che possa mettermi a disagio. Tu sei perfetto, Thane. Sei tutto quello che ho sempre voluto – rispose accarezzandogli una guancia – Sorrido perché ti amo e non vorrei cambiare questo momento per niente al mondo.

Thane la tirò a sé e la abbracciò forte, stringendola come se fosse la cosa più preziosa che avesse. Poi la allontanò dolcemente e fece per alzarsi.

-          Vieni Siha – disse – Dammi la mano.

Lei obbedì e si alzò insieme a lui. Iniziarono a camminare verso la distesa d’acqua di fronte a loro. Era limpida e cristallina, di un blu intenso in lontananza.

-          Pensavo odiassi l’acqua – constatò lei, scostandosi i capelli dal viso mossi dalla brezza marina.

Lui si limitò a voltarsi e a sorriderle pacificamente mentre la spuma marina lambiva i suoi piedi.

-          Thane, dove vai? – domandò lei, sorpresa.

Lui continuò ad addentrarsi finché non si immerse fino all’altezza dei polpacci. Si voltò ancora una volta verso di lei.

-          Devo andare, Siha – disse, lasciandole la mano.

Lei capì, d’un tratto.

-          No! – il suo urlo una richiesta disperata mentre cercava di trattenerlo in tutti i modi.
-          E’ l’Oceano che mi chiama e io devo obbedire. Quando chiamerà anche te ci rivedremo Siha. Te lo prometto.
-          Ti prego! Ti prego non andartene! – un grido straziante, mentre i suoi piedi franavano sulla sabbia.

Ogni tentativo di fermarlo fu inutile. Una forza malvagia e misteriosa la teneva ancorata alla spiaggia, costringendola a guardare l’uomo che amava scomparire negli abissi, inevitabilmente.

Andromeda cadde sulle ginocchia, gli occhi al cielo gonfi di lacrime, il cuore svuotato da ogni cosa.

 



-          Shepard! Shepard! – una voce femminile, conosciuta, la costrinse a voltarsi. Poi, il buio più totale.

Shepard riaprì gli occhi. Il suo factotum stava lampeggiando nell’oscurità, impostato su risposta automatica. Si era addormentata alla sua scrivania, dopo aver passato un pomeriggio a rileggere vecchi rapporti militari per puro passatempo.

-          Liara – rispose, schiarendosi la voce – Dimmi tutto.

-          Ann, io e Feron abbiamo trovato una pista. Aria non ha saputo dirci niente di nuovo, se non che proverà a cercare informazioni, ma Anto Korragan, il suo Batarian leccapiedi, ci è sembrato piuttosto agitato quando abbiamo fatto il nome di Thane.

Shepard si accarezzò il mento con una mano, pensierosa e al tempo stesso preoccupata, nonché ancora turbata per il sogno che aveva appena fatto.

-          Perché c’entrano sempre quei dannati Batarian, in un modo o nell’altro? – esclamò – Parti da lì, Liara. Potrebbe essere coinvolto davvero. Indaga sui suoi rapporti di parentela e scava a fondo nel passato di Thane. Gli assassini di Irikah erano Batarian… - si passò una mano sulla fronte, sospirando.
-          Pensi ad un regolamento di conti, Shepard? – la domanda di Liara giunse acuta come uno schiaffo.
-          Io… non e ho idea. Per quanto ne sappiamo potrei essere io la causa di tutto. Non c’è un Batarian che non mi voglia morta per via di quello che è successo su Arathot. Avranno saputo di me e Thane e avranno pensato di usarlo per arrivare a me. O… - la voce di Shepard si incrinò mentre la sua mente inevitabilmente pensava al peggio, rivedendo davanti agli occhi Thane che scompariva nell’oceano  - …o gli hanno dato la caccia per farmela pagare. Liara, io… Se a Thane è successo qualcosa per colpa mia, io…

La frase di Shepard arrivò all’orecchio dell’Asari come un sussurro disperato.

-          Vedrai che riuscirò a fare luce su questa faccenda. Tu, intanto, cerca di stare calma.

Shepard annuì, benché Liara non potesse vederla, e fece per chiudere la comunicazione.

-          Ah, Liara… - si ricordò.
-          Si, Ann?
-          Grazie.

 


 
Andromeda scese al piano di sotto, dopo essere passata in bagno a sciacquarsi il viso. Trovò James seduto al divano della cucina che armeggiava col suo factotum, probabilmente stava navigando su Extranet. Lui le rivolse un’occhiata apprensiva e lei rispose con un sorriso appena accennato. Indugiò davanti al frigorifero, alla ricerca di qualcosa che potesse colmare la voragine in fondo al suo stomaco, pur consapevole che non si sarebbe mai riempita del tutto. Finché quel pezzo di cuore non sarebbe tornato al suo posto, non avrebbe potuto che rassegnarsi ad andare avanti con un senso di mancanza sempre presente che scavava nel profondo di lei ogni giorno di più. Chiuse lo sportello del frigorifero, sospirando. James la guardò aspettando che lei parlasse. Lei capì di sentirsi smarrita. Avrebbe voluto mettere sul fuoco il bollitore e poi riempire la sua tazza, appoggiarsi alla finestra e sorseggiare lentamente del the, posando le labbra dove un tempo si erano posate anche quelle di lui. Avrebbe chiuso gli occhi, cercando di ricordare gli ultimi momenti passati insieme, gli ultimissimi istanti prima di prendere la nave diretta verso la destinazione che rappresentava il loro futuro. Un posto che lui non avrebbe mai raggiunto. Ma quella tazza non c’era più, seppellita sotto strati di paura e dolore. Paura di non rivederlo mai più, dolore per la sua mancanza.

Rassegnata, Shepard si buttò sul divano accanto a James. Lui non le domandò se avesse qualcosa che non andava, sarebbe stato superfluo.

-          Partita a poker? – domandò, facendo un tentativo.

Shepard scosse la testa in un no, piegò la schiena in avanti e si appoggiò alle ginocchia con i gomiti, la testa bassa a guardarsi i piedi. Stava cercando di trovare qualcosa dentro di sé, qualcosa che potesse farla sentire meglio almeno per un momento. Le tornò alla memoria il sogno fatto poco prima, così terribilmente reale, così maledettamente crudele… Il mare. Il mare se l’era inghiottito, senza lasciarle possibilità di replica. E, in un atto di esasperato masochismo, provò il bisogno di visitarlo, quel mare. Di sfidarlo, faccia a faccia, di guardarci dentro.

-          James – disse, sollevando leggermente il capo, come se pesasse una tonnellata – voglio andare sulla costa.

Lui la guardò con aria stranita, poi si rese conto che faceva sul serio.

-          Shepard…  - si sgranchì i muscoli del collo, assumendo una postura più rilassata sul divano – se vuoi il mio benestare, non lo otterrai.
-          Bene. Volevo solo avvisarti… - rispose lei, alzandosi nervosamente dal divano – Posso avere le chiavi della tua Harley?

Vega allargò le braccia, un gesto che indicava perplessità.

-          Supuesto que no, Lola – esclamò lui, alzandosi in piedi per affrontarla faccia a faccia – Si può sapere perché oggi hai deciso così?

Shepard strinse le mascelle facendo un passo indietro, gli occhi ancora fissi sui suoi piedi.

-          Ne ho bisogno James. Dammele – disse allungando una mano, il palmo aperto.
-          Non puoi uscire da qui, lo sai… E il mio compito è quello di sorvegliarti e impedirti di fare stronzate – replicò lui, poggiandole le mani sulle spalle.
-          Dobbiamo discuterne per forza? Lo sai che lo farò. Facciamola finita subito e dammi le chiavi.

Andromeda sollevò lo sguardo e incontrò i suoi occhi. Era compassione quella? Vega restò in silenzio e incrociò le braccia. Sapeva che lei avrebbe vinto, in un modo o nell’altro. Non sarebbe stato lui ad impedire al comandante Shepard di uscire, se quello era il suo desiderio. Si fidava troppo di lei per opporsi apertamente.

-          Sono già passati a controllare, James. Non se ne accorgerà nessuno. Per favore, lasciamelo fare – continuò lei.

James scelse di non rispondere, ancora una volta. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni ed estrasse le chiavi. Le sventolò a mezz’aria, prima di consegnargliele.

-          Vedi di non rovinarmela, Lola.
 
 



Shepard uscì fuori alla luce ambrata del pomeriggio. Indossava solo un paio di pantaloni neri, una canotta e un giubbotto di pelle, i lunghi capelli rossi stretti in una coda di cavallo. Fece il giro del cottage e si avvicinò alla moto di Vega, titubante. Non aveva mai guidato un veicolo simile prima d’ora, anche se James probabilmente lo dava per scontato in funzione della stima che nutriva per il comandante. “Se posso pilotare un Mako, questo dev’essere uno scherzo in confronto”, pensò.

Riuscì a salire agilmente sulla sella mentre tentava di reggersi in equilibrio sulle punte dei piedi. Più o meno sapeva come metterla in funzione, ma non era certa di saperlo fare nel modo giusto. Infilò la chiave e accese il quadro, poi provo a mettere in moto. Il rombo del motore la fece sussultare, così come la spinta che diede al veicolo, catapultandola mezzo metro più avanti con uno scatto. Shepard puntò bene i piedi per terra e si preparò a ritentare la partenza. Il polso, saldo sul manubrio, compì un leggero movimento in avanti. Il rumore rispose ringhiando debolmente. Lei aumentò la spinta e il veicolo iniziò a muoversi in avanti con dolcezza. Ci stava riuscendo. Spinse più forte col polso, sollevò i piedi da terra e partì.

Era meraviglioso. La sensazione del vento tiepido che le solleticava il viso, portando alle narici odori sconosciuti che sapevano di natura e di selvaggio, l’ebbrezza dello sfrecciare in mezzo alle stradine sterrate di campagna, scansando i rami più lunghi degli alberi che invadevano la strada, il brivido di accelerare sulla strada asfaltata che costeggiava il mare, col Sole che sbatteva sui suoi capelli e illuminava le sue iridi… Shepard sorrise, incomprensibilmente.

Posteggiò la moto sul ciglio della strada alla bell’e meglio. Non c’era anima viva e lei ne fu immensamente sollevata. Ad est un vecchio faro, ormai abbandonato, svettava su un promontorio roccioso a strapiombo sul mare; le sarebbe piaciuto salire fin lassù, slegarsi i capelli e lasciarli ondeggiare al vento, ad occhi chiusi… e chissà, magari un giorno l’avrebbe fatto davvero. Indugiò, osservando il mare che si dipanava di fronte a lei, facendosi portatore di una melodia antica e rasserenante, quella delle onde che si infrangono sugli scogli e sul bagnasciuga. Poi si decise e si chinò a sfilarsi gli stivali. Lo fece lentamente, aprendo una fibbia alla volta, proprio come aveva fatto lui il giorno del suo compleanno, la prima volta che lei aveva toccato la sua pelle. Provò un brivido ripensandoci e si domandò se lui avesse ricordato spesso quell’episodio. Avrebbe voluto riviverlo perdendosi nella sua voce, in una delle sue memorie.
Lasciò gli stivali accanto alla moto e iniziò a camminare verso il mare, rivolgendo lo sguardo al cielo dorato che si preparava a dare la buonanotte al Sole. Si disfece del giubbotto di pelle e lo appoggiò sulla sabbia a mo’ di coperta sulla quale adagiarsi, poi si coricò e chiuse gli occhi. Tanti ricordi sbiaditi di Thane iniziarono ad affollare la sua mente, in particolare l’ultimo, il più recente di tutti…
 


 



 

8 Maggio 2185
Normandy SR-2


 

Il ronzio incessante del nucleo ad eezo si spense d’un tratto, facendo piombare la cabina di Shepard in un silenzio inusuale. Le sue orecchie, abituate al bisbigliare continuo del motore, si misero subito sull’attenti e lei si svegliò poco dopo. Non c’era un muscolo che non le facesse male, a ricordarle dell’impresa titanica che lei e la sua squadra avevano compiuto poche ore prima. Sorrise in risposta al dolore dei suoi muscoli per via di ciò che rappresentava, e cercò con la mano quella di Thane. Lui, a quel contatto, si volse immediatamente verso di lei, girandosi tra le lenzuola fresche. La cabina era illuminata solo dalla flebile luce dell’acquario che nel buio faceva risplendere d’azzurro la pelle candida di Shepard. Grandi occhi neri si agganciarono a dolci occhi verdi, prima che le loro labbra s’incontrassero nel primo bacio di quel nuovo giorno. Shepard fu subito sopra di lui, a solleticargli il viso con i suoi capelli. Lui fece scivolare le mani sui fianchi di lei e risalì lentamente lungo la curva della sua schiena. La tirò a sé con una mano dietro la nuca e le diede un bacio appassionato, prima di buttarla giù e salire delicatamente su di lei, con una mano ad accarezzarle i capelli. Shepard sorrise, gli occhi ancora semichiusi e i sensi ovattati dal sonno. Lui appoggiò la sua fronte a quella di lei e le sfiorò il naso con il suo.

-          Buongiorno Siha – le disse dolcemente, accarezzando il lobo del suo orecchio con le labbra.
-          Thane… - riuscì a mormorare lei, il corpo attraversato da una cascata di brividi.
-          Come stai?
-          Dolori a parte, sto benissimo… e tu? – mormorò.
-          Sto bene – un altro bacio a solleticarle il collo.
-          Lo vedo…
-          Mi mancherai, Shepard – una serie di baci lungo la clavicola sinistra.
-          A-anche tu… ma fra quattro giorni… Bekenstein… - farfugliò lei.

Lui annuì, continuando a baciarla. Sollevò delicatamente la sua maglietta, percorrendo con le labbra la linea dall’ombelico allo sterno, e poi risalendo lungo il suo collo.

-          Thane… - l’unica cosa che riusciva a dire, che aveva voglia di dire, era il suo nome.
-          Siha? – le sue mani l’accarezzano.
-          Avrei… avrei un equipaggio di cui occuparmi… - disse lei, mordendosi un labbro.
-          Hai ragione – rispose lui, affondando la testa nell’incavo tra il suo collo e la spalla.

Shepard ridacchiò, le creste sul viso di Thane le solleticarono il collo e lei non riuscì a resistere. Si scostò e gli prese il volto tra le mani.

-          Non me ne andrei se non sapessi che tra qualche giorno staremo di nuovo insieme, lontano da… tutto questo – sospirò, indicando sommariamente la cabina.

Lui sorrise teneramente, annuendo. La lasciò libera, facendo attenzione a non gravare ulteriormente sui suoi muscoli indolenziti e poi la guardò rivestirsi nella penombra, memorizzando ogni singolo dettaglio, ogni singola curva del suo corpo. Sapeva che si sarebbe perso in quel ricordo, più tardi… e ne era felice. Per un istante il pensiero della morte si trovava distante anni luce dalla sua mente, piena solo dalla voglia di stare con lei il più a lungo possibile.

Si alzò, rivestendosi lentamente mentre lei era in bagno. Diede un’ultima occhiata a quella cabina, il luogo in cui aveva affrontato le sue paure dopo dieci anni, sconfiggendole insieme a lei. Si preparò a dirle addio mentalmente, sapendo che, comunque fossero andate le cose, non ci sarebbe stato più posto per lui su quella nave.

-          Che c’è? – domandò lei, facendolo sussultare. Non l’aveva sentita uscire dal bagno, immerso com’era nei ricordi.

Lui si voltò e prese le sue mani fra le sue.

-          Grazie… per tutto – disse, semplicemente, lo sguardo carico di gratitudine.

No, era lei a sentirsi immensamente grata per ogni singola emozione che lui le aveva regalato e non sarebbe mai riuscita a quantificare quello che provava, non sarebbe mai riuscita a trovare le parole giuste. Lo strinse forte a sé, sentendo ogni singolo muscolo del suo corpo pulsare dolorante, e poggiò le labbra sulle sue, perdendosi in un ultimo, lunghissimo bacio. Poi si allontanarono, a malincuore. Thane aveva già preparato una valigia con tutti i suoi averi ed era pronto a raggiungere il figlio per passare un po’ di tempo insieme. Lei si sarebbe incontrata in via ufficiosa con Anderson per una chiacchierata e poi sarebbe partita alla volta di Bekenstein.

-          Siha… - disse lui, un attimo prima di varcare la soglia della sua cabina.

Lei lo guardò con il sorriso appena accennato sulle labbra. Perché quello sembrava un addio? Lui esitò, riformulando mentalmente quello che voleva dirle all’infinito, per poi arrendersi e lasciar perdere. Avrebbe avuto tanto tempo.

-          Ci vediamo presto – sorrise, alla fine.
-          A presto, Thane – rispose lei, appoggiandosi alla scrivania mentre il portellone si richiudeva.


 



 
Shepard riaprì gli occhi. Il mare era ancora lì, davanti a lei, ma stranamente non le faceva paura. Sapeva nel profondo del suo cuore che prima o poi l’avrebbe rivisto. “E’ solo questione di tempo”, pensò, giocando con la sabbia. Non poteva essere così crudele, il destino. Lei, che aveva messo a disposizione la sua vita per salvare l’intera Galassia, meritava più di questo. Raccolse un po’ di sabbia in un pugno e, lentamente, la lasciò scivolare, mentre il vento la sparpagliava lontano… Riaprì il palmo e si accorse che una piccola conchiglia era riuscita a sfuggire al suo destino. Sorrise, portandosela al petto… l’avrebbe amato per sempre.









 



Un capitolo intitolato: come allungare il brodo. O, in alternativa: come farvi venire il diabete in un nanosecondo.
Sorry, but... I regret nothing.


 

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Capitolo 6
*** Spies ***


Spies


 

“And if we don't hide here
They're going to find us
If we don't hide now
They're going to catch us where we sleep
And if we don't hide here
They're going to find us“

[x]

 
 
Omega, alcune settimane prima…

 
[CORRISPONDENZA INTERCETTATA]


[FILE N°001                                                                                                              07/05/2185         -          h 11.30 am]

Sono appena arrivata e mi sto sciogliendo al sole. La temperatura qui è come piace a te, vedrai che ti sembrerà di stare in paradiso!

[FILE N°002                                                                                                              07/05/2185         -          h 11.34 am]

Mi sono appena accorta di averti scritto due parole che non devono avere molto significato per te. Intendevo dire che qui è stupendo, manchi solo tu :-)

[FILE N°003                                                                                                              07/05/2185         -          h 13.55 am]

Sono stata al Centro Benessere. Ebbene sì. Sono come nuova! Ho mangiato e adesso mi tuffo a letto. Penso che potrei dormire per una vita intera. Se non dovessi risponderti, è perché probabilmente, ti sto sognando…

[FILE N°004                                                                                                              07/05/2185         -          h 17.17 am]

Vedo che non hai ancora letto i miei messaggi. Io mi sono appena svegliata. Te l’avevo detto che avrei potuto dormire in eterno! Spero che il volo sia in orario perché mi manchi tanto e inizio a sentirmi sola :-(

[FILE N°005                                                                                                              07/05/2185         -          h 19.09 am]

Dovevi essere qui già un’ora fa… So che probabilmente non dovrei preoccuparmi, ma se solo potessi rispondermi starei più tranquilla. Baci.

[FILE N°006                                                                                                              07/05/2185         -          h 20.23 am]

Thane, non appena puoi mettiti in contatto con me per favore.

[FILE N°007                                                                                                              07/05/2185         -          h 22.58 am]

Voglio solo sapere se stai bene… Ti prego, chiamami.

[FILE N°008                                                                                                              07/05/2185         -          h 23.07 am]

Liara mi ha detto che secondo le sue informazioni non sei mai partito dalla Cittadella. Neanche Kolyat ha tue notizie. Vorrei tanto sapere che diavolo ti è passato per la testa per sparire così all’improvviso…

[FILE N°009                                                                                                              08/05/2185         -          h 00.42 am]

Mi dispiace… E’ solo che sono terribilmente preoccupata. Non so più che pensare…

[FILE N°010                                                                                                              08/05/2185         -          h 02.16 am]

Se non vuoi più vedermi dimmelo, ma ti prego non lasciarmi così. Devo sapere che fine hai fatto.

[FILE N°011                                                                                                              08/05/2185         -          h 05.43 am]

Ti scrivo questo messaggio a fatica, con gli occhi che bruciano. Immagino che a questo punto non ci sia più nessuna speranza che tu venga. Ti aspetterò per altre due ore, poi partirò per la Terra.

[FILE N°012                                                                                                              08/05/2185         -          h 07.31 am]

Tredici ore di ritardo e ancora nessuna notizia. Ti avrò chiamato un centinaio di volte ormai. Non trovo una spiegazione plausibile, Thane. Ho pensato a mille scenari diversi, ho provato a non pensare al peggio, ma che altro mi resta? Posso solo arrivare alla conclusione che tu non voglia farti trovare, o che ti sia capitato qualcosa di brutto. Se sei sparito volontariamente ti prego, ti supplico di farmelo sapere, anche anonimamente, non importa. Ti amo, ho bisogno di sapere…
 

Uno sbuffo interruppe il silenzio tombale che si respirava nella stanza. Quattro pareti spoglie e sporche attorno a un tavolo malridotto e a una poltrona di pelle usurata. Un Batarian era seduto e scorreva i messaggi sul factotum, l’altro lo guardava in attesa, in piedi.

-          Dannazione! Questa non ci voleva – eruppe il primo, calciando una gamba del tavolo che scricchiolò sinistramente.
-          Come ha saputo che eravamo sulle sue tracce?
-          Bella domanda del cazzo. Se lo sapessi starei ancora qui a rigirarmi i pollici? Ci serviva Shepard, maledizione! Lui ci avrebbe condotti a lei e noi non avremmo dovuto fare altro che premere un grilletto, o lanciare una granata, e… boom. Due al prezzo di uno – disse quello, gesticolando nervosamente – Adesso è un casino… Non riusciremo mai a trovare Shepard. L’avranno già incarcerata in qualche struttura di massima sicurezza… sorvegliata giorno e notte da quei cani dell’Alleanza.
-          Beh, almeno quella puttana avrà quello che si merita.
-          No, Bostik. Quello che si merita è crepare insieme a tutti quelli come lei. Dannati umani.
-          Ma il Drell? Possiamo lasciarlo andare o…
-          Lasciarlo andare? Hai sentito cos’ha detto il capo! Con lui è una faccenda personale. Lo vuole morto, e vuole le prove che l’abbiamo tolto di mezzo. Al più presto e anche più di Shepard.

Il secondo Batarian si grattò bruscamente il cranio. Sapeva che sarebbe stato lui a dover riferire al capo che avevano perso l’occasione di far fuori Shepard e Krios e l’idea non gli andava per niente a genio. Per di più avrebbe dovuto ammettere che, date le circostanze, occuparsi dell’Umana era ormai fuori discussione e il Drell era sparito. Un’impresa impossibile, praticamente, se voleva avere la certezza di non lasciarci la pelle.

-          Che hai da guardare? Sai che tocca a te, idiota…
-          Mi ucciderà stavolta, me lo sento.
-          Tienimi un posto caldo all’inferno, mi raccomando – sghignazzò quello, e gli fece cenno di sparire.
 


 
16 Giugno 2185
Omega – Sistema Sahrabarik


 
-          Finito di sistemare tutto, Feron? – domandò Liara da dietro la porta del bagno, dopo aver fatto una doccia.

Avevano passato mezza giornata ad allestire la camera d’albergo. Liara si era già preoccupata di elargire degli extra a tutto il personale dell’Hotel per assicurarsi che nessuno mettesse piede in quella che adesso era diventata una base Ombra in miniatura. Era certa di poter stare tranquilla, li aveva pagati abbastanza da farli stare zitti per due anni di seguito, se ci fosse stata la necessità.

-          E’ tutto pronto – esclamò Feron, battendo le mani dopo aver sistemato l’ultimo schermo sulla parete di fronte al letto.

Liara uscì dal bagno e ammirò il lavoro svolto dal suo amico. Adesso sì che si sentiva a casa!

-          Glifo, controlla che tutto funzioni e che non ci siano microspie o interferenze – disse poi, facendo comparire l’IV che prese subito a ronzare intorno alla stanza, scansionando ogni singolo componente elettronico e non.
-          E’ tutto funzionante, dottoressa T’Soni. L’ambiente è pulito.
-          Grazie Glifo – rispose lei, prendendo posto sul letto.
-          E’ un IV… senti proprio il bisogno di ringraziarlo ogni volta? – le domandò Feron, accomodandosi accanto a lei con una postura rilassata.

Liara gli rivolse uno sguardo scettico.

-          Non c’è niente di male ad essere gentili, sai?
-          Ma è un robot, non prova sentimenti. Potresti insultarlo in tutti i modi, a lui non cambierebbe una virgola.
-          E quale sarebbe il punto, Feron? – Liara lo squadrò severamente, facendogli pentire subito di aver pronunciato una simile affermazione.
-          E va bene, hai ragione… La vita da lupo solitario deve avermi imbastardito – ammise ridacchiando.

Lei gli sorrise, leggendo nei suoi occhi la sincerità. Provò una punta di compassione nell’immaginarselo sempre da solo, nel corso di quei due anni. Avrebbe voluto fare di più per lui, se solo fosse stato possibile.

-          E così… non è cambiato nulla dall’ultima volta che ci siamo visti? – domandò timidamente.
-          Ti ho sempre raccontato tutto quello che mi capitava.
-          Non hai nessuno… voglio dire… non c’è nessuno di speciale nella tua vita?

Feron sorrise nel vederla imbarazzata come al solito. Sapeva che Liara era sicura di sé solo sul campo di battaglia, mentre per le relazioni interpersonali, beh, non si poteva certo dire lo stesso.

-          No, Liara. Non credo che ne valga la pena, per uno come me… - rispose, stringendosi nelle spalle.
-          Che vuoi dire?
-          Per la vita che faccio, per il mio passato, per il mio carattere impossibile… temo che a lungo andare non mi sopporterebbe nessuno – ridacchiò con un accenno d’amarezza nella voce.

Liara incrociò i piedi, fissandosi la punta delle scarpe.

-          E tu? – incalzò Feron.
-          Io? N-no, no, per niente.
-          Ahhh, ho capito… ti sei voluta conservare per me, vero? – probabilmente il Drell non aveva aspettato altro che il momento giusto per tirar fuori una delle sue battute, accompagnata da un buffetto scherzoso sul suo braccio.

Liara rise, costretta a fare i conti con la sua coscienza. Non che avesse davvero aspettato lui, ma l’aveva pensato. E spesso. Si voltò verso di lui a guardarlo e si rese conto di non riuscire a sostenere il suo sguardo. Si arrese e tornò a fissarsi i piedi, rispondendo solo con un sorriso.

-          Ok, lo so… sono senza speranze. Mettiamoci al lavoro – disse Feron, rompendo il silenzio.

Liara provò sollievo nel sentire quelle parole e tornò immediatamente a suo agio, prendendo posto davanti alla fila di monitor e terminali sulla parete di fronte. Feron si sedette accanto a lei e osservò pazientemente, finché lei non iniziò a parlare.

-          Più o meno ti ho già spiegato in cosa consiste la missione. Il problema è decidere il punto di partenza. Per adesso abbiamo due soluzioni… Dirigerci immediatamente verso il presunto appartamento preso in affitto da Thane, oppure fare una visitina ad Aria.

-          Aria? Ma sei matta? Ti ricordi l’ultima volta come mi ha trattato?
-          Non preoccuparti, ci ha già pensato Shepard a lei. Le deve un sacco di favori, è tempo che inizi a ricambiare.

Feron annuì, facendole segno di continuare.

-          Se dovessi seguire l’istinto, opterei per l’appartamento, ma sono sicura al 99% che non troveremo nessuno là. Deve averlo affittato come copertura – Liara fece una pausa, grattandosi la fronte – Mentre Aria è sempre al corrente di tutto. Il fatto che Thane sia un Drell giocherà a nostro favore. Non se ne vedono molti da queste parti, quindi Aria deve conoscere ogni singolo individuo della tua specie che mette piede su Omega.
-          Insomma… stasera ti metti in tiro e facciamo un giro all’Afterlife. E’ questo che mi stai dicendo? – scherzò lui.

Liara scosse la testa con rassegnazione.

-          Non facciamo mosse false, mi raccomando – disse poi, accorgendosi di iniziare a sentire l’ansia scavarle lo stomaco.
Feron le regalò un sorriso rassicurante e poi andò a prendere qualcosa da bere al bar.
 
 

Più tardi, quella sera…


 
Liara aveva indossato un lungo abito bianco e aveva assicurato alla sua coscia destra una piccola pistola in caso d’emergenza. Feron teneva un paio d’armi nascoste all’interno del suo lungo cappotto e alcune mod da combattimento installate sul factotum. Uscire su Omega senza armi sarebbe stato da stupidi, soprattutto se avevano un’importante missione da compiere. Quando fecero il loro ingresso all’Afterlife, parecchie persone si voltarono a guardarli. Camminavano a braccetto e avevano un’aria spensierata, benchè Liara stesse in realtà tremando sotto la pelle. Nessuno poteva immaginare quanto avesse a cuore quella faccenda, quanto avesse a cuore il bene di Shepard. Oltretutto Thane era stato uno di quelli che aveva aiutato sia lei che Feron a impadronirsi della base Ombra. In quell’occasione, mentre Shepard l’aveva aiutata in prima persona a prendere il pieno controllo della stazione, Thane si era occupato dell’altro Drell fornendogli assistenza e le prime cure mediche.

Liara, dal canto suo, aveva capito subito che tra lui e il Comandante c’era qualcosa. Non notare lo sguardo terrificato di Shepard quando Thane era stato sbalzato dall’altra parte della stanza durante lo scontro con lo Yagh sarebbe stato impossibile. Uno sguardo che Shepard non riservava a molti, uno sguardo che lei  non vedeva nei suoi occhi dai tempi di Virmire. Più tardi, si sarebbero ritrovate a parlarne tranquillamente davanti a un bicchiere di vino in cabina di Shepard, ridendo del fatto che un giorno, forse, avrebbero potuto organizzare un’uscita a quattro. Poi le vite di entrambe avevano preso strade diverse e adesso… beh, adesso era arrivato il momento di mettere le cose al posto giusto.
 
-          Devo vedere Aria – proferì solennemente l’Asari ad una delle guardie che bloccava l’accesso al piano superiore del locale, dove la regina di Omega passava le sue serate in compagnia dei suoi scagnozzi.

Il Turian passò brevemente lo scanner del suo factotum su entrambi e poi fece un gesto col capo, aprendogli la strada. Aria era stata avvisata del loro arrivo e aveva promesso a Shepard di fare il possibile, benché fosse estremamente riluttante a parlare con quei due. Li fece accomodare su uno dei divanetti  della saletta e poi fece uscire tutti ad eccezione del suo braccio destro, Anto Korragan.

-          Allora… qual è il problema? – chiese, incrociando le gambe mentre sorseggiava un drink.

Liara diede uno sguardo sospettoso al Batarian, ma Aria fece cenno che lui non era un problema. Feron, però, continuò ad osservarlo con la coda dell’occhio. Conosceva troppo bene l’ambiente per fidarsi del primo che capitava.

-          Secondo fonti certe, un Drell ha recentemente affittato un appartamento qui su Omega. Questo ti dice qualcosa? – domandò pacatamente Liara.

La sua voce dolce e melodiosa irritava da morire Aria e la portava sempre a chiedersi come una del genere potesse far parte, o comunque, aver fatto parte della squadra di Shepard.

-          Dovrai dirmi di più se vuoi il mio aiuto. Ti sembro il tipo di persona che controlla ogni minima, inutile cazzata?
-          Pensi che Shepard ti avrebbe chiesto una mano se si fosse trattato di una cazzata inutile? – replicò Liara, già stanca del suo atteggiamento.
-          Vorrei almeno un nome – rispose quella, scocciata, con un gesto della mano.

Liara attivò il factotum e le mostrò una foto di Thane.

-          Forse ti ricordi di lui. So che è stato qui con Shepard almeno un paio di volte.

Un ghigno si dipinse sul volto di Aria.

-          Oh, così finalmente ha deciso di seguire il mio consiglio di trovarsi qualcuno che le scaldasse il letto, vedo. E vedo che anche tu non sei da meno… Cos’è, è per via delle loro proprietà allucinogene? – disse, scoppiando in una risata, mentre indicava Feron con un cenno del capo.

Il Drell non rispose, decidendo tranquillamente di ignorarla, mentre Liara trovò qualche difficoltà nell’evitare di risponderle in malo modo. Poi, però, pensando alla posta in gioco, riuscì a trovare la calma e imitare il suo partner.

-          Molto divertente – si limitò a commentare – Comunque, secondo le mie fonti si troverebbe qui col nome di Tannor Nuara, e devo assolutamente trovarlo.

Non passò molto tempo prima che Anto Korragan facesse un segno ad Aria e si allontanasse frettolosamente dalla saletta.

-          Cosa vuoi che faccia, dunque? Se non mi sbaglio hai già il suo indirizzo, perché non vai direttamente a trovarlo?
-          Ti sembro stupida? Thane non vuole farsi trovare.  E non lo troverò di certo lì. Se mi sto rivolgendo a te è perché so che fra le tue mani passano informazioni molto più riservate e attendibili – Liara fece una pausa, sospirando - Devo trovarlo, Aria. Lo devo a Shepard. E’ sparito misteriosamente circa un mese fa e tutto ciò che so è quello che vedi qui – disse, indicando il factotum.
-          Bene. Farò il possibile, ma solo perché me lo ha chiesto Shepard. E la prossima volta evita di portare anche lui – sentenziò quella con una smorfia di disgusto, mentre Liara e Feron si alzavano, pronti ad andarsene.

Liara esitò un momento, cercando di pensare ad altre informazioni che avrebbe potuto comunicarle per facilitarle il compito, ma Feron la strattonò per un braccio, mormorandole qualcosa all’orecchio.

-          Contatta Shepard se sai qualcosa, lei si preoccuperà di avvisarmi – disse infine Liara, e poi andò via.
 


Feron sembrava preoccupato, la tirò bruscamente dalla manica del vestito lungo le scale e iniziò a camminare spedito verso l’uscita, ignorando le domande e lo sguardo perplesso dell’Asari che lo seguiva a ruota. Non appena furono fuori, lontano da occhi e orecchie indiscrete, si avvicino a lei e parlò.

-          Quel Batarian. Quel Batarian sa tutto. E’ da lì che dobbiamo partire. Liara, temo che la situazione sia più grave del previsto. 




 


Da quando ho pubblicato l'ultimo capitolo ne sono successe di cose... No, anzi, ne è successa solo una, ma vale come cento: ho giocato al dlc Citadel. Lacrime a fiumi come se non ci fosse un domani, pianti incontenibili e sentimenti devastanti u_u E tutto quello che riesco a partorire è questo. Delusione profonda XD Ma sorvoliamo e non pensiamoci più. *lancia caramelle allucinogene a tutti*

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Capitolo 7
*** Shadow of the Day ***


Shadow of the Day

"‘Cause I’m only a crack in this castle of glass
Hardly anything left for you to see
For you to see"
[x]

 

Liara camminava spedita verso l’astroauto di Feron. Era un fascio di nervi, le sue mani continuavano a rilasciare scariche d’energia biotica ad intermittenza, sotto forma di scintille bluastre. Feron non ebbe il coraggio di fare domande finché entrambi non si trovarono all’interno del veicolo. Prima un respiro profondo, poi un’occhiata preoccupata.

-          Dove siamo diretti? – chiese finalmente il Drell.
-          Al presunto appartamento di Thane, immagino… - rispose flebilmente lei, passandosi una mano sul viso.

Feron posò una mano sulla sua spalla, nel tentativo di rassicurarla. Liara, in risposta, scosse la testa sospirando e impostò le coordinate sul navigatore. Lui non aspettò che un suo cenno, poi mise in moto e partirono.
Poche volte Liara si era sentita così tesa. Sapeva che Shepard non gliene avrebbe mai fatto una colpa, qualora avessero fallito, ma era consapevole, d’altra parte, che lei in primis non se lo sarebbe mai perdonato. Per tutto questo tempo non aveva ritenuto necessario coinvolgere i suoi agenti, volendo mantenere la faccenda più discreta possibile, ma ora iniziava a sentirsi impotente, potendo contare solo sulle sue forze e su quelle di Feron. Decise, senza consultarsi con lui, che era arrivato il momento di delegare, di chiedere aiuto ad uno dei suoi collaboratori. Ne aveva già mobilitati alcuni nelle settimane precedenti, ma nessuno di questi era riuscito a darle delle risposte, se non l’indirizzo di quell’appartamento e il nome fittizio dietro al quale si nascondeva Thane, presumibilmente. C’era però qualcuno, tra le file dei suoi contatti, che avrebbe potuto fare la differenza. Era un Salarian subdolo e astuto di nome Nikki. Il suo ridicolo nome, tanto quanto il suo aspetto smilzo e la sua aria da sognatore, gli conferivano il preziosissimo dono di passare inosservato nelle situazioni più disparate. E così, il più delle volte, la sua astuzia veniva scambiata per fortuna e la sua indiscrezione per curiosità; cose che lo aiutavano ad uscire sempre indenne dai guai in cui si cacciava. Liara stessa l’aveva scoperto a proprie spese, quando si era accorta di essere stata derubata in circostanze misteriose un pomeriggio su Illium. Fortunatamente era riuscita a risalire al responsabile, scoprendo poco dopo di aver appena fatto la conoscenza di una delle spie più rinomate di Sur’Kesh, nonché ladruncolo per passatempo. Non c’era voluto molto per convincerlo ad arruolarsi nelle file dell’Ombra: al Salarian bastò semplicemente dare un’occhiata alle sette cifre del contratto che l’Asari gli aveva mostrato.

Liara lo contattò tramite factotum, assicurandosi di utilizzare un canale sicuro. Qualche indicazione, un paio di spiegazioni dettagliate e Nikki si mise subito sulle tracce di Thane. Feron ascoltò tutta la conversazione serrando le mascelle, poi, incapace di trattenersi, parlò.

-          Ti fidi di lui a tal punto?
-          Non abbiamo altra scelta.
-          Potevamo almeno aspettare di…
-          Ho bisogno che tu creda in me – lo interruppe Liara, rivolgendogli uno sguardo carico di agitazione – Non sono mai stata così insicura in vita mia. Devi darmi il tuo appoggio, Feron.

Lui rallentò progressivamente e accostò l’automobile a una banchina sopraelevata, lontano dal traffico. Si voltò a guardarla e le accarezzò dolcemente una guancia.

-          Io credo in te. Solo… non lasciare che l’insicurezza ti faccia fare mosse avventate.

Liara abbassò lo sguardo e cercò la sua mano, per stringerla fra le sue, un gesto che le venne spontaneo.

-          Ho 109 anni, so il fatto mio – mormorò, sorridendo lievemente.

Si rese conto che quella carezza aveva spazzato via metà della sua angoscia. Era felice di non essere sola, anche se negli anni la solitudine era diventata un altrettanto fedele compagna… Ma in una situazione simile era oltremodo grata di avere a fianco qualcuno che la capisse e che riuscisse a tranquillizzarla solo con un gesto.

-          Andiamo – disse poi, annuendo, mentre nella sua testa formulava e riformulava modi per ringraziarlo che non riuscì a trovare.

 



 
Parcheggiarono ad un isolato di distanza, per sicurezza. Liara si assicurò che tutte le armi fossero a loro posto e lo stesso fece Feron, calandosi il cappuccio sugli occhi. L’Asari non poté fare a meno di sorridere in risposta a quel gesto che sembrava quasi un rito scaramantico e lui la spintonò scherzosamente. Poi tornarono seri e si concentrarono unicamente su ciò che andava fatto, incamminandosi verso l’appartamento. L’aria era asciutta a livelli spaventosi, potevano quasi sentirla raschiare le loro gole, mentre i lampioni proiettavano inquietanti ombre ad intermittenza sull’asfalto dissestato. Non si sarebbero meravigliati se da uno dei vicoli che si riversavano sulla strada principale sarebbe sbucata fuori una banda di malviventi… fortuna che erano pronti a tutti e quello era sicuramente l’ultimo dei loro problemi.
Arrivarono all’edificio dopo pochi minuti e subito si chiesero se non avessero sbagliato posto. Era una costruzione fatiscente, con porte e vetri sfondati, illuminazione che andava a scatti e rumori sinistri provenienti dall’interno.

-          Terzo piano – disse debolmente Liara, mentre rivolgeva a Feron uno sguardo preoccupato.
-          Prendiamo le scalette d’emergenza – rispose lui, avviandosi verso il lato destro dell’edificio.

Un Vorcha accasciato accanto a un bidone dei rifiuti fece rabbrividire Liara che si affrettò a salire le piccole rampe di scale metalliche.

-          Che razza di posto è questo? – sussurrò.
-          Il genere di posto in cui non vorresti mai trovarti in un Horror…
-          Spero che in questo caso la realtà non superi la finzione.

Una volta arrivati in cima, scassinare silenziosamente la porticina che dava sul corridoio del terzo piano fu cosa da poco per le mani esperte del Drell.

-          Prego – esclamò teatralmente facendo avanzare Liara.

Quel posto puzzava di marcio ed era talmente silenzioso da far più paura di quanto si poteva immaginare. Un paio di falcate e furono davanti alla porta dell’appartamento. Si guardarono negli occhi brevemente, un fugace sguardo complice, poi Feron violò il codice segreto della porta, chiedendosi come facesse a funzionare ancora un dispositivo elettronico in quel posto decrepito.
A prima vista l’appartamento era vuoto, ma Liara sapeva di doversi aspettare di tutto. Chiamò Thane per nome, tanto per assicurarlo che si trattasse di persone fidate e non di nemici, ma prevedibilmente non arrivò nessuna risposta. Accese la luce e non vide altro che desolazione. Una misera cucina, una poltrona e un tavolinetto era tutto quello che si trovava all’interno della piccola stanza.
 
-          Ok, sapevamo che non avremmo trovato nulla – sospirò, mentre con lo sguardo cercava qualunque cosa che potesse servire per indirizzarla sulla pista giusta – Glifo, scansiona a tappeto quest’appartamento – ordinò poi all’IV.
-          Subito dottoressa T’Soni – rispose quello, materializzandosi dal nulla e iniziando a svolazzare tutt’intorno.

Gli ci vollero pochi minuti per tornare da Liara con il responso.

-          I miei sensori hanno individuato tracce organiche riconducibili alla genealogia Drell.
-          Bene, almeno sappiamo di non aver fatto un buco nell’acqua – commentò Feron, mentre rovistava nell’immondizia.
-          Non è detto… forse quest’appartamento è solo un diversivo.
-          Un momento… Liara, vieni qua.

L’Asari si precipitò, notando che Feron teneva in mano un foglio di carta malridotto.

-          Carta? Per la Dea, che diavolo…
-          E’ vuoto, maledizione! – esclamò il Drell non appena lo ebbe dispiegato.
-          Glifo… analizza questo foglio – intervenne Liara corrugando la fronte.

L’ologramma iniziò la scansione, poi decretò il risultato.

-          Dottoressa T’Soni, questo foglio riporta tracce di scrittura. Dalla pressione lasciata sul foglio posso risalire al testo originale. Vuole che procedo?
-          Procedi.

Cinque secondi e il testo era già sul factotum di Liara, digitalizzato. Alfabeto Drell, poche frasi. Liara domandò a Feron di tradurre per lei. Lui esitò un momento prima di obbedire, avendo compreso immediatamente il nocciolo del problema, poi recitò a voce alta cosa c’era scritto.

-          “L’entropia vince sempre” – Feron si accigliò – “Distretto di Kenzo, Raffineria Karlak”.

Si guardarono perplessi, per un momento.

-          Glifo, la trascrizione è accurata?
-          Al 99,996% - rispose la voce robotica.

Liara iniziò a camminare freneticamente, cercando di trovare una risposta. Feron la fermò, trattenendola per un braccio.

-          Lo sai cosa vuol dire, vero?
-          Temo di sì… voglio dire… Solo tu puoi confermarlo, a questo punto.
-          Non c’è alcuna ragione per cui un Drell debba appuntarsi l’indirizzo di qualcosa. Ora, o non l’ha scritto lui, e mi pare improbabile visto che si tratta di alfabeto Drell, oppure è un indizio.
-          Per chi?
-          Non lo so… per qualcuno che sapeva sarebbe passato di qui? Il foglio originale non c’è. Sarà stato trovato e portato via.
-          Feron… - Liara si volse a guardarlo, con un’espressione pietrificata in volto - …credo di aver capito.



 

"Sometimes solutions aren't so simple 
Sometimes goodbye's the only way" 

 


8 Maggio 2185
Normandy SR-2 – Cittadella

 

 

Alcune strette di mano, un paio di pacche sulla spalla e l’inchino appena accennato di Samara: così Thane aveva detto addio al resto dell’equipaggio della Normandy.
Per evitare problemi, Shepard aveva consigliato a tutti di disperdersi prima di consegnare la nave all’Alleanza. Non voleva che il suo equipaggio potesse pagare il prezzo di averla seguita fino al portale di Omega 4, a bordo di una nave che apparteneva ad un’organizzazione considerata terrorista. Molti di loro non sarebbero usciti indenni da un eventuale interrogatorio, primo fra tutti un assassino di professione. E poi si meritavano una vacanza. Avrebbero avuto tanto da metabolizzare, specialmente coloro che erano stati vittime del rapimento da parte dei Collettori. Alcuni avevano insistito per seguirla fino alla fine, ma lei non aveva accettato. Lasciarli fuori da quella faccenda era l’unica cosa concreta che potesse fare davvero per ringraziarli, a questo punto.
 
Thane abbandonò la nave con un sospiro malinconico, resistendo all’impulso di tornare dentro, andare da Shepard e stringerla tra le braccia un’ultima volta, ma il pensiero che fra pochi giorni l’avrebbe rivista, e in un contesto completamente diverso, lo tranquillizzò. Oltretutto adesso avrebbe avuto l’occasione di riallacciare i rapporti con Kolyat e non avrebbe rinunciato a questo per niente al mondo.
Si confuse abilmente tra la folla e in breve tempo raggiunse l’appartamento dove viveva suo figlio. Era un piccolo bilocale all’ultimo piano di un edificio degli agglomerati inferiori, in una zona relativamente tranquilla. Kolyat lo aspettava impaziente e nervoso allo stesso tempo. Da quando aveva rivisto il padre provava sentimenti ed emozioni contrastanti… Da un lato avrebbe voluto ricucire i rapporti, comprendere le sue ragioni, ritrovare la fiducia ormai persa, dall’altro era pieno di rancore e sentiva di non riuscire a dimenticare di essere stato abbandonato e di aver visto la propria famiglia fatta a pezzi da un giorno all’altro. Thane poteva solo immaginare cosa provasse e cercava di ricacciare indietro i sensi di colpa ogni qual volta si ritrovava a pensare a lui. Adesso, tutto ciò che voleva, era impegnarsi a ricostruire quel rapporto e il fatto che avesse potuto fermarlo dall’intraprendere la strada sbagliata era solo il primo di una lunga serie di tasselli.
 
Il primo giorno passato in compagnia di Kolyat fu pieno di silenzi imbarazzanti, stupidi sorrisi di circostanza e un paio di frecciatine riguardo al passato. Il secondo giorno andò un po’ meglio. Dopo il lavoro, Kolyat aveva portato a casa la cena ed entrambi avevano mangiato insieme parlando del più e del meno, principalmente della nuova occupazione al C-Sec. Il terzo giorno erano andati a fare compere e avevano persino riso insieme, ripensando ad alcuni ricordi felici dell’infanzia, momenti vissuti con Irikah, quando ancora erano una famiglia. Il quarto giorno si erano lasciati con la promessa di rivedersi molto presto. Kolyat gli aveva addirittura proposto di prendere casa insieme. “Per risparmiare sull’affitto…”, aveva detto nel tentativo di giustificare quello slancio d’affetto inaspettato persino da lui. Thane l’aveva abbracciato e lui aveva risposto all’abbraccio con una timida pacca sulla spalla.
Lui si era sentito orgoglioso, si rivedeva in lui per molte cose, ma soprattutto rivedeva in lui Irikah. Era testardo, creativo, impulsivo come lei, ma era altrettanto di gran cuore ed era capace di perdonare e di capire più di quanto lui stesso non si rendesse conto. Sapeva che quattro giorni non potevano essere sufficienti per tornare a parlare di famiglia, ma confidava nel futuro, ora più che mai.
 
Mentre si avviava allo spazioporto ebbe modo di riflettere sugli ultimi avvenimenti, rendendosi conto di quanto le cose fossero drasticamente cambiate nel corso di alcuni mesi. Se prima di salire a bordo della Normandy sentiva di non avere più ragioni per vivere, adesso ne aveva trovate due e avrebbe fatto di tutto per proteggerle finché il destino gliel’avrebbe permesso.
Una di quelle ragioni di vita lo stava aspettando su Bekenstein e lui si sentiva elettrizzato al pensiero di trascorrere del tempo con lei, lontano dalla guerra. Era tutto ciò che desiderava in quel momento, era la cosa migliore a cui potesse aspirare, anche se una piccola parte di sé continuava a pensare che non meritasse tanto.
“Siha, mi trovo allo spazioporto. Nel pomeriggio sarò da te. Mi sei mancata”. Le inviò il messaggio mentre aspettava la chiamata del suo volo in sala d’attesa. Ciò che non si aspettava, però, era ricevere una chiamata immediatamente dopo. Il mittente era anonimo… Pensò che potesse trattarsi semplicemente di una chiamata dall’hotel di Shepard, ma sarebbe stato più pratico rispondere con un altro messaggio. Senza perdere tempo si alzò e andò a rispondere in un angolo silenzioso. Una scarica d’ansia gli attraversò il corpo alle prime parole che sentì attraverso l’auricolare. Era una voce strana, metallica, sicuramente alterata. Fu colto alla sprovvista mentre sentì le parole che avrebbero cambiato tutto… “Tu non salirai su quella nave. Se lo farai, la tua vita e quella di Shepard saranno in pericolo. Vattene e non farti seguire da nessuno.”









 

Lunga assenza ma sono qui, con il capitolo più insulso della storia... Avevo bisogno di pubblicare qualcosa, qualunque cosa pur di sbloccarmi. Ok, detto questo vi offro una tavola imbandita a festa con unicorni, angurie, ciambelle, cicoria e marshmallow azzurrini per farmi perdonare.

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Capitolo 8
*** I'll Be Gone ***


I'll Be Gone

“One night of the hunter
One day I will get revenge
One night to remember
One day it'll all just end”

[x]

 
15 Giugno 2185
Omega - Sistema Sahrabarik

L’ultima volta che aveva davvero provato odio per qualcuno risaliva a dieci anni prima, quando aveva lasciato agire il suo corpo guidato dalla vendetta e aveva torturato ad uno ad uno tutti i responsabili della morte di sua moglie. Una scarica d’adrenalina percorse le sue vene e lui si sforzò a rimanere calmo, seduto su quella maledetta poltrona che sapeva di plastica, in quell’appartamento polveroso. Le gambe accavallate, una mano davanti alla bocca mentre sul datapad scorrevano i nomi di chi lo voleva morto, insieme a Shepard. L’informazione l’aveva ricevuta, a carissimo prezzo, da una delle ultime spie indipendenti che c’erano in circolazione su Omega e che si rifiutavano di lavorare per conto di qualcuno. Gente insospettabile, gente di cui neppure l’Ombra era a conoscenza. Sul datapad veniva riportata un’intercettazione frammentaria in cui si parlava del probabile assalto dell’indomani, proprio nel suo appartamento. Thane serrò la mascella, le sue pupille brillarono nell’oscurità. Aveva atteso tanto, ma finalmente era arrivato quel momento. Si alzò e andò a rispolverare il suo Viper, tinto di nero. Lo smontò e lo riassemblò con perizia, mentre con la mente ripercorreva la planimetria della vecchia raffineria Karlak, luogo in cui si sarebbe recato tra qualche ora. Sapeva esattamente cosa fare, ma non era certo dell’esito. Uno contro una trentina, se gli andava bene. Aveva fatto di peggio, ma quando non era lui il bersaglio e soprattutto quando le sue condizioni di salute erano buone. Erano già passate due settimane da quando erano finite le ultime scorte di farmaci e non poteva permettersi di uscire da lì alla ricerca di medicinali, era pur sempre un Drell e avrebbe dato nell’occhio. Confidava che quella sera sarebbe ritornato libero, da morto o da vivo. Quello che davvero gli interessava, però, era uccidere chi voleva la morte di Shepard, quanti più possibile.
Ripensò ancora a quella telefonata, ricevuta circa un mese prima. Chiunque fosse stato, ci teneva alla  vita del Comandante e probabilmente l’aveva messa al corrente o meglio, rinchiusa in un posto lontano da eventuali minacce. Lui aveva deciso di partire per Omega, l’unico posto in cui sarebbe rimasto al sicuro dallo C-Sec o altri organi di sicurezza… certo, non avrebbe immaginato che i suoi potenziali assassini gli erano praticamente vicini di casa. Tanto meglio, li avrebbe colti di sorpresa.
Strappò un paio di fogli dal quel libro che aveva praticamente fatto a pezzi poco prima e si decise a lasciare un messaggio criptico abbastanza per guadagnare tempo, ma comprensibile per avere la sicurezza che tutto sarebbe andato secondo i piani. Lasciò i fogli sul tavolo in bella vista e poi fece piazza pulita di tutto il resto. Recuperò il Viper, la Suppressor e tutte le clip termiche a disposizione, barrette proteiche, acqua, siringhe di Medigel, un visore ad infrarossi e un paio di cariche esplosive. Avrebbe agito nel buio, disattivando ogni possibile fonte d’elettricità dell’edificio, sperando potesse fare la differenza. Quando lasciò l’appartamento era già notte. Protetto da un lungo cappotto nero e un pesante cappuccio, riuscì a mimetizzarsi tra la folla. Nessuno avrebbe mai avuto voglia di avvicinare qualcuno così, a meno che non si trattasse di un aspirante suicida. Raggiunse la vecchia raffineria e penetrò all’interno della struttura, collegando il suo factotum ad ogni terminale possibile, in modo che avrebbe avuto il controllo su tutto, dalle telecamere ormai in disuso, ad ogni uscita. Si posizionò nel posto più alto e con la visuale migliore, piazzando le cariche esplosive tutt’intorno. Se si fossero avvicinati troppo li avrebbe fatti esplodere, e lui con loro. Era tutto pronto… la caccia al topo poteva finalmente avere inizio.



 

16 Giugno 2185
Omega - Sistema Sahrabarik


 
Due Batarian e un Krogan fecero irruzione nell’appartamento. “E’ vuoto”, commentò il Krogan, guardandosi intorno. “Zitto imbecille, guarda qua”, disse uno dei Batarian, sventolando un foglio di carta appena trovato sul tavolo. “Che c’è scritto?”
“E io che ne so?”
“Maledizione… siete degli incompetenti”, incalzò il secondo Batarian.
“Non si può tradurre col factotum questa roba?”
“Perché, tu sai di che alfabeto si tratta?”
“Chiediamolo al capo…”, propose il Krogan, grattandosi violentemente la testa.
“Ma sei idiota? Dev’essere per forza qualche roba Drell…”
“Conoscete dei Drell su Omega?”
“No, ma c’è un Salarian che conosco… quel tipo sa tutto”, disse il primo Batarian.
“Stupido, non possiamo rivelare queste informazioni al primo che passa!”
“Ma quel tizio è un deficiente, un disadattato… cosa vuoi che scopra?”
“Bah… e va bene… sai dove trovarlo?”, sbuffò.
“Di solito vagabonda dalle parti di Gozu, ma a quest’ora del mattino non lo troveremo”.
“Beh, aspetteremo qui… io non ci torno da Anto senza informazioni”.
Il Krogan si buttò sulla poltrona con noncuranza e dopo poco cadde in un sonno profondo, i due Batarian passarono la giornata a giocare a carte e al tramonto lasciarono l’appartamento.
 
 

 
Nikki aveva appena ricevuto la chiamata di Liara. Non se l’aspettava; fra tutti i suoi collaboratori lui era quello che veniva a sapere le cose per ultimo, sempre quando nessun altro riusciva a gestire la situazione. Ciò non gli dava fastidio, era consapevole che ispirare fiducia non era esattamente una delle sue doti principali, ma finchè lo stipendio arrivava regolare a lui non interessava altro. Frequentava sempre gli stessi posti, indossando un completo azzurro che lo faceva sembrare un damerino d’altri tempi, importunava i passanti recitando frasi di poemi antichi e registrando ogni movimento sospetto nel frattempo. Veniva considerato pazzo, uno di quei pazzi acculturati. “Ah, eccolo che arriva, Nikki il Matto”, sentiva dire ogni tanto agli angoli delle strade. Spesso e volentieri la gente gli chiedeva un consiglio, finendo per confessargli i segreti più profondi. Lavorava per Liara da pochi mesi, ma grazie al suo intuito e alla furbizia le aveva passato alcune delle informazioni più importanti che ora arricchivano il suo database. A volte veniva persino assoldato dalle bande criminali per recapitare pacchi e biglietti. “Tanto è un folle”, dicevano, mentre lo mandavano a morire da qualche parte. Ma lui, scaltro e astuto, ne usciva sempre indenne e non si lamentava se alla fine riceveva scuse per non essere pagato, continuava a fare il suo ruolo pazientemente.
Ogni tanto spariva, brevi periodi lontano da Omega in cui tornava a casa, una bellissima villa su Sur’kesh, sontuosa, ampia, piena di opere d’arte. Si rilassava sul suo materasso termico ad acqua e tornava ad essere se stesso sotto l’ombra di una palma. Gli bastava poco, tuttavia, per desiderare di nuovo la sua vecchia vita. Truffare gli altri gli dava molte più soddisfazioni che comprare un quadro d’autore, per quanto ciò lo appagasse.
Era seduto ad uno dei tavolini di un bar frequentato di solito da Batarian quando ne vide giusto uno andargli incontro. Lo conosceva bene, si chiamava Bostik e un paio di volte lui l’aveva usato come tramite per i suoi sporchi affari. Faceva parte di una banda di mercenari che lavorava segretamente per Anto Korragan, all’oscuro di Aria. Arrivò trafelato, porgendogli un pezzo di carta con una mano e un paio di spiccioli con l’altra. Nikki dovette sforzarsi a non scoppiare a ridergli in faccia.
“Alfabeto Drell”, disse, massaggiandosi il mento appuntito. Non poteva credere che quel Batarian gli avesse appena fornito un’informazione come quella. Pensò in fretta ad una soluzione, di certo non poteva rivelargli il contenuto del messaggio. “Non capisco, mi dispiace”.
“Oh, andiamo Nikki… spremi le meningi”, si lamentò quello, dandogli una pacca dolorosa sulla testa.
“Non so, giuro”.
“Senti, quest’informazione mi serve, aiutami. Ti pagherò il pranzo”.
“Giuro, Batarian, non so tradurre cosa c’è scritto”.
“Sei un inutile verme!”, sbuffò quello con un ghigno, poi si rivolse ad un altro Batarian che era appena giunto alle sue spalle, “Andiamocene, il pazzo non sa nulla… dobbiamo chiedere a qualcun altro”. Detto questo, si dileguarono. Nikki aspettò pazientemente che quelli si fossero allontanati abbastanza, poi si alzò e andò a fare una chiamata in un posto sicuro.
“Liara, ho le informazioni che cercavi”, disse, cambiando tono di voce.
“Cos’hai trovato?”
“Batarian… mercenari al servizio di Anto Korragan, hanno trovato un biglietto nell’appartamento di Krios. Alfabeto Drell, c’è l’indirizzo della raffineria Karlak”.
“Mi trovo qui adesso. Quel messaggio è stato scritto da lui, Glifo è risalito all’originale da un foglio in bianco che riportava tracce di scrittura. Cosa hai detto loro?”
“Ovviamente ho fatto finta di niente, ma non passerà molto prima che scoprano il significato. Dobbiamo aspettarci che facciano irruzione alla raffineria entro massimo un’ora”.
Dall’altro capo, Liara, restò in silenzio, cercando di completare le tessere di quel puzzle, poi avvisò Nikki che l’avrebbe chiamato dopo per i dettagli.
Feron la osservava senza osare proferir parola, era in uno di quei momenti in cui qualunque cosa avrebbe potuto farla esplodere, poi lei si decise finalmente a parlare.
“Se c’è davvero Anto Korragan dietro tutto questo, deve aver avuto un motivo per farlo. Soldi, forse, vendetta. Qualcuno può averlo assunto all’oscuro di Aria, non sarebbe la prima volta che gliela combina. O magari, come dice Shepard, era imparentato con i killer di Irikah e vuole vendicare le loro morti… E lei, beh, mezza Galassia la vorrebbe morta, non mi stupirei”, disse, camminando in tondo per la stanza. “Thane deve aver scoperto l’identità dei suoi presunti assassini e deve aver organizzato un piano, dando loro una pista, un suggerimento su dove poterlo trovare. Potrebbe essere già lì, ad aspettarli”.
“Un suicidio, praticamente”.
Liara gli rivolse un’occhiata preoccupata. “Penso che farebbe qualunque cosa pur di proteggere Shepard, persino farsi saltare in aria”.
Liara non si rendeva conto di quanto fosse vera quella frase, benchè lo credesse davvero. Li aveva visti insieme, aveva visto lei quando ne parlava, era quel tipo di rapporto per cui sacrificheresti ogni cosa.
“Allora… che aspettiamo? Mentre noi siamo qui, lui potrebbe essere già sotto attacco”, incalzò Feron.
Liara annuì e contattò nuovamente Nikki, mentre lasciavano l’appartamento. “Come te la cavi in combattimento?”, gli domandò.
“I miei droni non li batte nessuno”.
“Allora sai dove incontrarmi. A fine mese avrai un lauto compenso, ovviamente”.
A circa quindici km da lì, un Salarian sorrise compiaciuto. Era da tanto che Hansel e Gretel non entravano in azione.





 



*puf!* Sono viva e vegeta anche se non aggiorno da una ventina di giorni... Il motivo in realtà c'è, ed è che sto riscrivendo daccapo Siha, come alcuni di voi sapranno (*manda baci volanti a Johnee, Altariah e shadow sea*). *parte jingle pubblicitario* La trovate qui, se la curiosità vi uccide.
A presto :)

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Capitolo 9
*** Sweet Sacrifice ***


 Sweet Sacrifice

“Fear is only in our minds,
Taking over all the time.
Fear is only in our minds
but it's taking over all the time.”

[x]

 
16 Giugno 2185
Waddington – Lincolnshire, Gran Bretagna


 
Shepard era seduta sulla poltrona imbottita della sua stanza da letto, di fronte alla finestra. I piedi appoggiati su un rudimentale calorifero, in disuso ormai da chissà quanti anni, le mani in grembo. Osservava il temporale che si era appena scatenato fuori e si sentiva capita. Quel temporale aveva lo stesso suono della sua anima, squarciata in due da un fascio d’elettricità, schiacciata dal peso di un tuono lontano. Nel giro di ventiquattrore la temperatura era scesa drasticamente e quel briciolo di serenità e speranza che aveva provato di fronte alle onde del mare il giorno prima, adesso era svanito del tutto. Non aveva più ricevuto notizie da Liara e questo la preoccupava. Ma c’era una cosa che le faceva ancora più male al momento, qualcosa che non riusciva ad accettare, qualcosa che la manteneva sempre tesa come le corde di un violino: l’impossibilità di agire. Era grata per ciò che era riuscita ad ottenere dall’Alleanza, ma le prudevano lo stesso le mani. Forse avrebbe davvero preferito trovarsi reclusa in una prigione militare, così da poter continuare a ripetere a se stessa che non c’era davvero nulla che potesse fare. Ma in quella situazione di finta libertà sentiva di non stare facendo neanche l’1% del possibile.
 Aveva provato un pizzico di gioia quando Anderson, guardandola dritto negli occhi, le aveva detto: “Sono riuscito a strappare il permesso di mandarti agli arresti domiciliari lontano da qui”. A quel tempo, la speranza che Thane si facesse vivo era ancora forte, dal momento che erano passati appena cinque giorni dal loro mancato appuntamento su Bekenstein. La frase, pronunciata dal suo Capitano, l’aveva fatta fantasticare su come avrebbe potuto spendere i mesi di congedo forzato insieme a Thane, godendosi ogni momento della loro relazione, in un contesto così diverso da quello in cui si erano conosciuti. Poi, giorno dopo giorno, quella speranza si era fatta sempre più flebile, finchè si era trasformata completamente in una tremenda paura.
Un altro fulmine divise il cielo a metà, illuminando la stanza buia di una luce argentea, solo per un istante. Le sue cicatrici brillarono nell’oscurità e lei rabbrividì, chiedendosi se ci fosse un modo di raggiungere Omega, se ci fosse una possibilità concreta di poter essere d’aiuto. Sarebbe stato un gesto folle, ma se solo avesse avuto la certezza che ne sarebbe valsa la pena, sarebbe partita immediatamente, infischiandosene delle conseguenze. Purtroppo, però, non c’era modo di organizzare una fuga in così poco tempo. La sua abitazione era tenuta costantemente sotto controllo e, benchè sapesse che l’Alleanza chiudeva un occhio quando lei decideva di allontanarsi per un paio d’ore, era altrettanto consapevole che non l’avrebbero fatta arrivare neanche allo spazioporto più vicino, una volta comprese le sue intenzioni. Per non parlare di James… quel sant’uomo ci avrebbe rimesso la carriera e lei non se la sentiva di fargli un torto così grande. Ma solo perché si fidava di Liara e sapeva che la sua presenza, su Omega, sarebbe servita poco e niente.
Dovette, ancora una volta, affidarsi all’attesa e alla speranza.
L’attesa… era arrivata a odiare quella parola. Si sentiva sempre come la prima invitata che arriva alle feste e inizia a torcersi le mani in attesa degli altri invitati, spiluccando aperitivi di nascosto. Si era sentita così, quando di fronte al Consiglio aveva cercato di spiegare la colpevolezza di Saren, quando aveva tentato di spiegare cos’avesse visto in quella sonda su Eden Prime e cos’erano i Razziatori. Nessuno le aveva creduto e lei, pazientemente, si era buttata alla ricerca di prove, una missione dopo l’altra. Una lunga attesa e poi finalmente aveva ricevuto un briciolo di riconoscimento, salvo poi essere stata accusata della morte di tutti i membri del Consiglio. Si era sentita così quando, di fronte al tribunale dell’Alleanza, qualche settimana prima, aveva atteso il verdetto. Si sentiva così prima di ogni missione, impaziente di arrivare fino alla fine, impaziente di porre fine alla vita dell’ultimo nemico. E mentre c’erano momenti che voleva passassero in un battito di ciglia, altri avrebbe voluto che non finissero mai.
Thane. Lui le aveva regalato istanti lontani da ogni tempo e da ogni dimensione, momenti che adesso attraversavano la sua mente sotto forma di ricordi sbiaditi, procurandole sensazioni diverse e contrastanti. Una sola domanda aleggiava nell’aria: “lo rivedrò ancora?”. Shepard si asciugò una lacrima e attese la fine del temporale, pazientemente… ancora una volta.


 
 
16 Giugno 2185
Omega - Sistema Sahrabarik



 
Feron e Liara lasciarono l’appartamento di Thane e raggiunsero l’astroauto, facendo il punto della situazione. Non erano equipaggiati per far fronte a un grosso numero di mercenari, ma se Thane li aveva davvero preceduti, allora con l’aiuto di Nikki avrebbero avuto buone possibilità di farcela. Quando Feron mise in moto, Liara fu travolta dall’ansia, certa del fatto che anche Shepard stesse condividendo le stesse emozioni, a parsec di distanza. Fu tentata dal mettersi in comunicazione con lei, ma non avrebbe potuto rischiare così tanto adesso, e poi cos’avrebbe potuto dirle? “Thane si è cacciato nei guai per proteggerti”. No, l’avrebbe soltanto fatta preoccupare di più. Strinse le mani in pugno, giocando con l’energia biotica, un semplice esercizio per cercare di scaricare i nervi, mentre Feron guidava concentrato, i muscoli tesi e lo sguardo fisso davanti a sé.
“Sappiamo entrambi di cosa è capace quel Krios”, disse, tentando di rassicurarla.
“Ma non sappiamo cosa ci troveremo davanti. Non conosciamo bene il nemico, non conosciamo i suoi punti deboli”.
“Lo scopriremo presto, e agiremo di conseguenza”.
Liara sospirò, rivolgendogli uno sguardo preoccupato e lui si volse brevemente a sorriderle, mentre superava un'altra vettura a tutta velocità, solcando i cieli pesanti di Omega.
“Non pensavo che la nostra avventura sarebbe finita tanto presto”, disse poi, malinconico.
“Non dire così…”
“Ma è questo quello che succederà, no? Li faremo secchi, uno ad uno… tu li scaraventerai in aria con i tuoi poteri biotici e io li toglierò di mezzo col mio fucile, a cazzotti se necessario. Poi, dopo aver imbrattato per bene le pareti, ed esserci assicurati che Krios sia sano e salvo, tu tornerai da Shepard e io…”
“Feron, ti prego”, Liara lo interruppe, curvando le sopracciglia in un’espressione triste.
“E pensare che avremmo dovuto condividere un letto matrimoniale… signora T’Sana”, rispose il Drell, convogliando immediatamente la conversazione su un binario diverso. Un modo di reagire che Liara conosceva bene, per cui lo adorava e lo odiava insieme.
“Non resterai da solo, Feron”, gli disse lei, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Solo? Nah, ho una vita sociale piuttosto attiva qui su Omega. Non lo diresti, ma ho uno stuolo di corteggiatrici fuori dal mio appartamento… metà delle quali sono avvenenti femmine Batarian di mezz’età”.
Liara sorrise e scosse il capo con rassegnazione.
“Ti riesce così difficile parlare dei tuoi veri sentimenti?”, lo provocò.
“Per niente. Ma c’è una grande differenza tra il non riuscire a parlarne e il non voler parlarne”.
“Allora perché non lo fai? Sembri sempre sul punto di dire qualcosa, e poi tiri fuori una delle tue solite battutacce per toglierti dall’impiccio”.
“Pensi che dirti che sono terribilmente innamorato di una bellissima Asari con una passione per le missioni impossibili possa aiutarti in qualche modo, o aiutare me?”. Il tono di voce di Feron cambiò, e lui strinse la presa delle mani sul volante. Liara arrossì, incredula di fronte a quella confessione tanto inaspettata.
“Io non… Feron, non…”
“Non dire nulla. Vedi, è per questo che di solito tengo le cose per me”, sorrise lui.
“Accosta”.
“Ma siamo quasi arrivati”.
“Accosta, ti ho detto”.
Feron ubbidì, sentendo lo stomaco in subbuglio. Probabile che l’avrebbe colpito con un globo biotico, per averla messa in quella situazione. Invece, una volta che l’astroauto si fermò accanto a una banchina sopraelevata, lei gli si avvicinò e lo abbracciò forte. Lui ci mise un paio di secondi a realizzare cosa stesse succedendo, poi strinse timidamente le sue braccia intorno a lei, e poggiò una mano alla base del suo cranio, accarezzando lentamente le creste cartilaginee del suo scalpo. Liara, centonove anni sulle spalle, e il cuore che batteva forte come quello di una ragazzina alla prima cotta, si allontanò appena, decisa a perdersi nei suoi profondi occhi neri, un attimo prima di poggiare le labbra su quelle di lui, e Feron, incredulo, non poté fare altro che chiudere quegli occhi e perdersi in quel bacio inaspettato. Aveva sperato così tanto in quel momento che quasi faceva fatica a credere che stesse succedendo davvero. Un solo istante, un breve contatto, e il mondo fuori era scomparso, c’erano solo loro, in quel piccolo abitacolo, a dirsi finalmente cose che a parole non sarebbero riusciti ad esprimere. Prima che potesse diventare troppo difficile, Liara si allontanò, tornando a sedersi sul sedile a fianco mentre sorrideva imbarazzata. Controllò il factotum, ignorato fino a quel momento. Era solo Nikki che li informava di essersi appena messo in viaggio. Lei rispose brevemente, scrivendo che sarebbero arrivati di lì a poco, poi tornò a concentrarsi su Feron, che la osservava come se la stesse guardando per la prima volta, incapace di fermare il sorriso che si era formato spontaneamente sulle sue labbra.
Gli prese una mano, lei, stringendola delicatamente con le sue dita. Due colori diversi si sovrapposero, mescolandosi in quell’istante, mentre le loro labbra si sfioravano di nuovo.
“Perché non me l’hai mai detto?”, gli domandò Liara dolcemente, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Avevi troppe cose a cui pensare e non volevo essere un peso”.
“Non saresti stato un peso”. Liara si scostò, chinando il capo, pensando a quante cose sarebbero andate diversamente, se solo anche lei fosse stata sincera con se stessa, quando erano ancora in tempo.
“E poi, meriti di meglio”, continuò lui, accarezzandole una guancia, costringendola a guardarlo negli occhi.
“Odio questa frase”, fece lei, imbronciandosi.
“Ma è la verità”.
“Sono solo sciocchezze, Feron. Se è un altro modo per tirarti indietro…”
“Niente del genere”, la zittì lui, prendendo il suo viso tra le mani. “Sono tuo, se mi vuoi”.
La risposta di Liara fu un altro bacio, lunghissimo, in cui si ritrovarono a perdere la concezione del tempo, dimenticando persino di respirare. Qualunque cosa fosse esploso fra di loro in quell’istante, si manifestò in modo quasi violento, rendendoli consapevoli del fatto che quel qualcosa, fra loro, c’era sempre stato. Strano doversene accorgersene proprio allora, prima di lanciarsi in un’altra missione impossibile. A due centimetri l’uno dall’altra, si sorrisero dolcemente, concedendosi un ultimo istante prima di tornare a concentrarsi sulla realtà.
Feron mise di nuovo in moto e iniziò a guidare, mentre Liara non smetteva di sorridere, appoggiata al finestrino. Non aveva pianificato nulla di tutto ciò, sempre troppo occupata a preoccuparsi di mille cose diverse. Prima erano stati i Prothean, poi i Razziatori, sulla prima Normandy, poi l’Ombra e adesso Thane e i presunti assassini di Shepard. Eppure, l’ansia sembrava svanita, sostituita da un sentimento simile alla speranza, e lei era intenzionata a restituire a Shepard quello che il destino le aveva sottratto, convinta più che mai che l’amore fosse la cosa di cui avesse più bisogno, sentimento che adesso sentiva di condividere in pieno.

 

 16 Giugno 2185
Raffineria Karlak, Omega - Sistema Sahrabarik

 
 
Il Viper era saldamente poggiato sulla balaustra, con la canna ad alta velocità puntata sull’ingresso principale della struttura, l’unico che Thane non avesse precedentemente sigillato. Erano passate alcune ore da quando aveva fatto il suo ingresso nella fabbrica, e adesso aspettava pazientemente che i mercenari facessero irruzione da un momento all’altro. Non aveva lasciato la sua posizione neanche per un istante, evitando persino di sbattere le palpebre quando non fosse stato strettamente necessario. A fianco una scorta di provviste, e una serie di cariche esplosive piazzate tutt’intorno.
Le sue preghiere, in quell’occasione, non furono rivolte ad Amonkira. Tutti i suoi desideri furono affidati ad Arashu, affinchè vegliasse su Shepard e su Kolyat se lui non ce l’avesse fatta. Solo quello avrebbe potuto dargli conforto, il pensiero che un’entità eterea e onnipotente si sarebbe presa cura di loro nel momento del bisogno, e in ciò lui credeva profondamente. Le mani si strinsero sul corpo del fucile, all’idea che avrebbe potuto non rivederli mai più, all’idea che sarebbe potuto scomparire senza lasciare tracce, senza una spiegazione. Ma era un rischio che, lo sapeva bene, doveva correre. Eppure, in quei momenti, non riusciva a frenare il profondo senso di colpa che gli attanagliava l’anima. Aveva promesso a suo figlio che non l’avrebbe più lasciato, che adesso, dopo Omega 4, avrebbero potuto tornare ad essere una famiglia. Aveva salutato Shepard con la certezza di rincontrarla a breve, per recuperare tutto il tempo perduto nel migliore dei modi. Si era convinto che avrebbe vissuto gli ultimi giorni della sua vita circondato dagli affetti e non più solo, come si era ormai rassegnato a credere da lungo tempo. E invece era stato inghiottito dalle ombre ancora una volta.
Non era passato un solo giorno in cui non avesse cercato di immaginare Shepard, chiedendosi dove fosse, interrogandosi sull’esito del suo processo, non era passato un solo giorno in cui non avesse provato una tremenda fitta di dolore al solo pensiero che anche lei potesse sentirsi tradita e abbandonata. Era già successo, con Irikah, ed era stato devastante. Ogni giorno aveva pregato che lei potesse perdonarlo, che suo figlio potesse perdonarlo… si sentiva ormai stanco, impotente, scoraggiato, e l’incedere della malattia non lo aiutava. Sarebbe stato forse più semplice arrendersi, inviare due distinte lettere d’addio e pregare un’ultima volta che la sua scomparsa sarebbe stata presto dimenticata, ma non avrebbe mai potuto. La vita di Shepard era interamente nelle sue mani, e lui avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla.
 
Non aveva idea di quante ore fossero passate quando finalmente captò i primi rumori sospetti al di là dell’ingresso principale. Indossò velocemente la maschera e si concentrò unicamente sul mirino del suo fucile. Il grande portellone di metallo si spalancò, lasciando intravedere alcune sagome indistinte. In testa, una figura alta e snella, dotata della migliore armatura in circolazione… non era questo ciò che ci si poteva aspettare da una banda di mercenari. Poi si concentrò sul simbolo riportato sullo spallaccio e trattenne il fiato: Cerberus. Sbatté le palpebre un paio di volte, per accertarsi di non stare immaginando tutto, mentre altre figure continuavano ad avanzare all’interno della raffineria, prendendo posizione così come ordinato loro da quello che sembrava il loro capo. Dopo che Shepard ebbe consegnato la Normandy all’Alleanza, fu piuttosto chiaro che il rapporto che la legava all’Uomo Misterioso fosse concluso, ma la presenza di Cerberus su Omega, in quella raffineria, era tutt’altro che chiara, soprattutto visto che i nomi su quella lunga lista ricevuta a caro prezzo non avevano niente a che fare con un’organizzazione terrorista pro-umani.  Thane restò in silenzio, osservando attentamente ogni movimento, formulando mentalmente la strategia migliore che avrebbe potuto adottare. Ne contò una ventina, tutti dotati di armature all’avanguardia e armi a lungo e corto raggio. Alcuni, apparentemente sprovvisti, dovevano essere biotici addestrati al pari di un ricognitore o un adepto di rango N7. Avrebbe eliminato prima i cecchini, poi i biotici, infine si sarebbe concentrato sui soldati. Strinse la presa sul Viper, mentre il cuore accelerava i battiti. Tutto il resto era scomparso, lasciando spazio unicamente all’assassino.
 
Una voce, femminile, acuta e distinta, lo fermò dal premere il grilletto. Le dita allentarono la presa, tutti gli altri sensi lasciarono spazio all’udito.
“Krios, sono qui per un accordo”, sentenziò. Thane riuscì a individuarla dal mirino, era la prima figura ad aver fatto il suo ingresso. 78 metri, con un paio di colpi avrebbe potuto farla fuori senza problemi, mirando al visore del casco.
“Prima però, vorrei informarti che i miei cecchini migliori sono appostati fuori dall’edificio, per cui non ti consiglio di svignartela, se non vuoi lasciarci la pelle”.
Questo l’aveva immaginato, era palese che avessero un piano B. Respirò piano, resistendo all’impulso di tossire, benchè i suoi polmoni reclamassero più ossigeno.
“Mi servi vivo, Krios. Arrenditi e ti farò solo un paio di domande, in caso contrario, beh… come puoi vedere ho un’intera squadra pronta a farti fuori e tu non vuoi morire, giusto? Non ancora, almeno…”
Thane serrò le mascelle. Un assassino non contratta, un assassino non se ne fa nulla della diplomazia. Se Cerberus era lì per lui, allora doveva essere anche sulle tracce di Shepard, e nessuno gli avrebbe impedito di battersi anche contro quel nemico. Strinse la presa sul grilletto, mirando al primo cecchino. Quello lo individuò e fece un gesto con la mano in direzione della donna che parlava.
“Così non mi rendi le cose facili”, disse, facendo schioccare la lingua. “Come potrai certamente immaginare, Cerberus ha infiltrati dappertutto. Anche nelle file dello C-Sec. Sorpreso?”. Fece due passi in avanti. 76,5 metri, diceva il mirino. “Si dia il caso che una delle mie spie in questo momento si trovi a sorvegliare tuo figlio. Basta un mio ordine e dovrai dire addio al tuo unico erede. Saresti disposto a sacrificarlo?”
Thane deglutì. Fra le tante cose che poteva aspettarsi, una minaccia del genere non l’aveva considerata. Un assassino non contratta, ma un padre…
“Abbassa le armi e vieni allo scoperto. Solo un paio di domande, poi potrai andare a passare gli ultimi mesi della tua patetica vita in santa pace…”
E se fosse stata semplicemente una trappola? Probabile, ma non avrebbe rischiato tanto. Non avrebbe mai potuto. Abbassò il capo, lasciando la presa sul fucile, e venne allo scoperto, le mani aperte di fronte a sé. Dietro di lui, una minuscola porta precedentemente sigillata si spalancò, e due uomini lo presero, tirandolo dentro. Avrebbe potuto ucciderli facilmente, ma lottò contro l’istinto primordiale di difendersi, solo perché in gioco c’era ben altro che la sua unica vita. Gli fu strappata la maschera a forza, sostituita da un rozzo cappuccio, e fu spinto a sedere su uno sgabello di ferro. Una scarica d’elettricità mise KO i suoi amplificatori biotici mentre lo ammanettavano a braccia e gambe con due dispositivi elettronici. C’era silenzio, un pungente odore di petrolio e metallo, faceva caldo. Passarono attimi interminabili, finchè non sentì di nuovo la voce della donna, seguito dal fruscio sinistro di una lama.
“Ora… non è mia intenzione sporcarmi del sangue di un innocente, ma voglio che sia chiara una cosa… tu rispondi, e andrà tutto bene. Non rispondi, e la prima testa a cadere sarà quella di tuo figlio”, disse, sfiorandogli il torace scoperto con la punta della katana.
“Cosa vuoi?”, si costrinse a chiedere lui con fermezza.
“Dovresti immaginarlo ormai”.
Sì sapeva perfettamente cosa cercassero, nonostante sperasse con tutto se stesso che non fosse così.
“Dimmi dov’è, Krios”, incalzò la donna, facendo roteare l’arma. I due soldati dietro di lei osservavano la scena, immobili come automi.
“Non lo so”, fu la sua prima risposta.
“Ma certo… potevo forse aspettarmi dell’altro?”, rise quella, puntandogli la lama contro il petto. “Parla, e in fretta”, disse, facendola penetrare lentamente fra le sue squame.
Thane fece per allontanarsi con una smorfia di dolore, con l’unico risultato che finì per sbilanciarsi sullo sgabello, tirato subito in avanti con violenza dalla donna.
“Io non lo so…”
La katana penetrò in profondità, un rivolo di sangue rosso scuro andò ad insinuarsi nella trama della sua pelle. Il dolore fisico era sopportabile, diversamente all’angoscia e alla rabbia.
“C’è in gioco la vita di tuo figlio… Davvero non t’interessa?”, domandò la donna, pulendo la punta della lama sulla sua giacca. “Beh, forse non dovrei meravigliarmi, visti i tuoi precedenti. Un figlio abbandonato, una moglie lasciata a morire per ripagare le tue colpe…”
Thane chiuse gli occhi, cercando di ripetere a se stesso che quelle parole erano semplicemente frutto di un discorso studiato ad arte per farlo crollare… eppure facevano così male, più male di qualsiasi lama. Improvvisamente una situazione già drammatica si era trasformata nel peggiore dei suoi incubi. Come avrebbe potuto convincerla che ciò che diceva fosse la verità? No, non ci sarebbe mai riuscito. Pensa, pensa in fretta.
Il tribunale dell’Alleanza”, rispose con un filo di voce. “E’ stata incarcerata”.
“Balle!”, sbraitò quella. “Se fosse vero l’avremmo già trovata!”. Passò la katana sotto la sua gola, sopra il cappuccio, e premette abbastanza forte da fargli mancare il fiato.
“L’Alleanza…”, Thane fece una pausa, cercando di deglutire, “l’Alleanza ha le sue risorse… non la esporrebbero così”.
La donna si allontanò, sospirando con impazienza.
“So fino a che punto ti spingeresti per proteggerla, Krios. Quegli esplosivi là fuori ne sono la dimostrazione lampante… Ma qui, qui, dannazione, c’è in gioco la vita di tuo figlio… DOV’E’ SHEPARD?”, fu un crescendo di rabbia quella frase, sfociato in un urlo. Era questo l’effetto che faceva lavorare per Cerberus? Thane poté captare il terrore nella voce del suo aguzzino… immaginò il suo volto, femminile, contratto dall’ira e dalla paura di tornare a mani vuote da quel capo supremo che impartiva ordini nascondendosi  vigliaccamente dietro all’immagine tremolante di un ologramma.
“Non lo so… io non lo so”, scandì a bassa voce, pregando di essere creduto. Ma quella donna non era in cerca della verità, quella donna voleva solo una risposta che l’appagasse… qualcosa che lui non poteva darle, perché egli stesso avrebbe voluto sapere per primo dove si trovasse Shepard.
“Ti crederei, se solo non conoscessi così bene il tuo passato”, disse, camminando lentamente in circolo. “Quale uomo proteggerebbe una donna qualunque sacrificando la vita del proprio figlio? Già, quale uomo… Ma tu non sei un uomo. Sei un alieno, sei un mercenario…”, disse con disgusto, facendo roteare la katana mentre andava a posizionarsi dietro di lui. Gli sfilò il cappuccio con violenza, poi fece scorrere lentamente la lama sul suo zigomo, l’altra mano premuta sull’auricolare, pronta a ripartire un ordine che non avrebbe più potuto ritirare.
Se solo fosse riuscito a liberarsi, a richiamare i suoi poteri biotici…
“Ti concedo solo un’ultima possibilità, poi tuo figlio morirà… e tu insieme a lui”.
Thane chiuse gli occhi, l’espressione segnata dalla disperazione e dal dolore. Quanto tempo avrebbe potuto guadagnare con un’altra menzogna? Di cosa Cerberus era davvero a conoscenza? Dischiuse appena le labbra e in quello stesso istante si scatenò l’inferno. Numerosi colpi d’arma da fuoco esplosero fuori dall’edificio, allertando la donna. La vide in volto, finalmente. Occhi color ghiaccio, labbra sottili, l’espressione nervosa e atterrita al tempo stesso. E poi sentì le mani e le gambe finalmente libere, come se qualcuno o qualcosa avesse improvvisamente bypassato i congegni che lo tenevano in trappola. Non perse tempo e con un balzo fu subito sulla donna, un calcio sullo sterno, la katana salda in pugno, premuta sulla sua gola. “Un passo ed è morta”, disse alle due guardie, stringendo maggiormente la presa. Non aveva idea di cosa fosse successo là fuori, ma qualunque cosa gli avesse appena salvato la vita, avrebbe meritato la sua gratitudine fino alla fine dei suoi giorni.





 

Thane, cosa ti ho fatto? ;_; Perdoname.
No, a parte gli scherzi... yay, sono viva e vegeta e credo che una settimana di astinenza dalla mia tastiera mi abbia spinto a recuperare tutto il tempo perduto con questa storia... e poi, l'estate finalmente! Tutto quel grigiore dei giorni scorsi era una vera e propria mazzata per l'ispirazione.
Non so che altro dire... 
Triceratopi.

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