Dear father di _TheDarkLadyV_ (/viewuser.php?uid=126040)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Dear Father
Capitolo
1
Johanna
era rimasta sola in quel corridoio vuoto. A tenerle compagnia al di
là della
finestra c'era la pioggia che batteva incessantemente e scivolava via
lungo il
vetro come le lacrime sul suo viso. Ormai non era più in
grado di arrestarle.
Esse scendevano giù percorrendo le guance e qualcuna
più dispettosa le
solleticò il naso quando abbassò la testa,
affranta. Si sentiva vuota e più
sola che mai.
" Amore mio,
devi essere forte. Io ormai
sto per andare via."
" No, mamma tu
non andrai via. Vedrai starai meglio."
La
voce
incrinata di Johanna, invece, non era della stessa idea. In cuor suo
sapeva che
quel maledetto momento era arrivato e che il tumore finalmente stava
per
aggiungere alla sua lista un'altra vittima: Marika, sua madre. La
ragazzina era
ancora scossa e soprattutto non riusciva ad accettare l'idea che da
quel
momento in poi avrebbe vissuto senza sua madre, l'unica figura
genitoriale da
cui trarre esempio. Perché lei suo padre non l'aveva mai
conosciuto. Molto
spesso, quando era più piccola, aveva chiesto a sua madre
qualcosa sul suo
conto.
" Mamma,
perché i miei amici hanno un
padre e io no? Dov'è?"
" Amore mio,
papà è..papà ha molto da
fare e tu non vuoi che lui lasci tutto per stare con noi, vero? Un
giorno papà
tornerà vedrai."
Quelle
parole per quanto fossero apparse dure, le aveva capite. Johanna era
sempre
stata una ragazzina intelligente fin da piccola e soprattutto molto
paziente. E
lo aspettava fino a quando un giorno sembrò essersene
dimenticata e si convinse
dell'idea che sarebbe stata bene anche senza di lui, tanto aveva sua
madre, e
questo le bastava. Fino a quel giorno, quando anche lei aveva deciso di
lasciarla.
Prima che spirasse, Marika le aveva finalmente svelato dopo tutto quel
tempo
chi fosse suo padre.
" Cosa? Ville
Valo è mio padre?"
Lui,
Ville Hermanni Valo, il suo idolo era anche suo padre. Era cresciuta
ascoltando
le sue canzoni e finendo per cadere in quel vortice burrascoso che
tanto le
piaceva amando gli HIM con tutta se stessa. Le facevano compagnia
quando si
sentiva sola, quando era arrabbiata e quando doveva prendere delle
decisioni
importanti, ma non aveva mai pensato che quel sussurro dolce che
penetrava
nelle sue orecchie, quella voce profonda che la avvolgeva come una
ninna nanna
e la incoraggiava ad andare avanti, fosse di suo padre. Era stata
proprio
Marika ad avvicinarla a quella musica; era l'unico modo, forse, che
aveva
trovato per sentirsi meno in colpa per non averle detto fin dall'inizio
chi
fosse suo padre.
In
quel
momento però, la rabbia aveva preso il sopravvento.
Johanna
strinse fra le mani la foto che sua madre le aveva dato. Era vecchia e
ritraeva
lei con Ville. Erano molto giovani ed estremamente felici.
Fissò Ville e solo
in quel momento notò quanto il taglio dei loro occhi fossi
identico, così come
altri particolari dei loro visi.
Era
inutile arrabbiarsi e cercare testardamente di credere che fosse uno
scherzo di
pessimo gusto. Ville Valo era davvero suo padre. Nella sua mente
cominciò a
farsi spazio l'idea di bruciare quella foto così sarebbe
scomparsa, almeno
secondo lei, qualsiasi testimonianza relativa a quella parentela. Lei,
in
fondo, era riuscita a vivere senza un padre e adesso le andava bene
così. Non
aveva nessuna intenzione di mettersi alla sua ricerca. Non che ci
volesse
molto. Sapeva tutto di lui e del resto della band e sapeva che ora
erano tutti
ad Helsinki a godersi un pò di meritato riposo.
Bruciando quella foto
però avrebbe cancellato
anche la presenza di Ville nella vita di sua madre. Lei era stata
felice con
lui e Johanna non aveva il diritto di cancellare un ricordo,
soprattutto se era
stata sua madre a consegnarglielo dicendole di conservarlo. Un'altra
lacrima
scese e bagnò proprio il viso sorridente di Marika. Johanna
sfiorò con un dito
quel viso e si disse che dovevano essere stati davvero felici, almeno
la foto
testimoniava questo. Ville aveva i capelli lunghi e mossi. A giudicare
da
quell'aspetto, secondo Johanna quella foto risaliva agli anni di "
Greatest Lovesongs Vol.666", per giunta uno dei suoi album preferiti.
Sospirò e si strinse la foto al petto solo per sentire
ancora sua madre vicino
a lei e immediatamente diede sfogo alle ultime lacrime rimaste.
In
quel momento sentì due braccia forti
circondarla. Si lasciò stringere senza voltarsi,
perché non le importava capire
chi fosse quanto invece riconoscere che quel contatto le era
essenziale.
Riconobbe
il profumo di vaniglia e immediatamente
si aggrappò alla maglia nera di Jackie, la sua zia acquisita
nonché la migliore
amica di Marika in tutti quegli anni e l'unica che fu presente in tutti
i
momenti delle loro vite lì a New York. Lasciò che
le emozioni prendessero il
sopravvento e che andassero a bagnare il tessuto scuro.
"
Tesoro..mi dispiace tantissimo.."-
le disse la donna continuando ad accarezzarle la
schiena e cercando di tranquillizzarla.
"
Lei doveva stare qui con me. Adesso sono
sola.."- mugugnò lei.
"
Jo.."- la richiamò. Solo Jackie, a
parte Marika, poteva chiamarla così, e nessun’altro
ne aveva il diritto. Se
la scostò di dosso per poterla guardare in faccia e
togliendole le lacrime dal viso disse: "
basta adesso. Non voglio vederti così e neanche
lei l’avrebbe
voluto."
"
Non ce la faccio. Pensavo di essere
preparata..sapevo che sarebbe successo, ma ahimè non sono
stata capace di
essere forte."- disse Johanna scuotendo la testa con gli occhi pieni di
altre lacrime.
"
E invece devi essere forte, perché non
sei sola. Io ci sono e non ti lascio."- le disse dolce guardandola con
quegli occhi grigi, così vivaci.
Si
buttò di nuovo tra le sue braccia, che
l’accolsero subito.
"
Non credi che adesso come non mai dovresti conoscere tuo
padre?"- le chiese timorosa Jackie. Johanna si allontanò di
poco dalle sue
braccia e scosse la testa.
"
Tesoro, devi cercare di capire che lui è una parte di te,
anche se non c'è stato. Adesso più che mai
dovresti avvicinarti a lui.."
"
Lui non vorrà vedermi, gli sarei d'intralcio e poi sto bene
così. Voglio stare con te."- disse decisa Johanna
riabbracciandola.
A
quel punto, notando quella dolcezza, Jackie restò in
silenzio e
l'abbracciò forte per trasmetterle così tutto il
suo amore.
In
terrazza la vista dalla torre era mozzafiato.
Ville, rilassato, si sentì per un attimo il padrone del
mondo. Pareva che non
gli mancasse nulla. L'unica cosa che gli diede fastidio quel giorno
furono i
nuvoloni minacciosi che dal mare stavano giungendo sulla
città portando con sé
le tenebre.
"
Secondo te pioverà?"- gli chiese
Hanna avvicinandosi. Lei era la ragazza che i giornali avevano
etichettato come
la prescelta. Certo le voleva bene, ma non sapeva se l’amava.
"
Non lo so."- rispose leggermente scocciato.
Prima
però che potesse aggiungere dell'altro, il
suo cellulare squillò.
"
Pronto?"
"
Parlo con
il signor Ville Hermanni Valo?"
"
Sì sono io. E lei è..?"
"
Brian
Watson. La chiamo per conto del notaio Nick Rush. Devo informarla che
è stato
convocato dal notaio al suo studio a New York."
"
Cosa?!"- chiese scioccato Ville.-
" che..per.."
"
Ha un pò
di tempo? Così le spiego velocemente la faccenda."-
disse pazientemente l'uomo.
"
Sì certo.."- disse guardando Hanna
che osservava con un sopracciglio alzato le sue unghia laccate.- "
tutto
il tempo che vuole."
"
Lei
conosceva Marika Laine?"
Ville
spalancò gli occhi sorpreso sentendo quel
nome. La sua memoria immediatamente tornò nel passato.
Marika..
"
Sì..siamo stati insieme parecchio tempo fa."-
disse a bassa voce.
"
Beh mi
dispiace dirglielo.. è deceduta ieri sera.."
Ville
sentì una feroce stretta al cuore. Era come
se il mondo gli fosse caduto addosso e lui non avesse avuto la forza di
reagire
in alcun modo facendosi inghiottire dalle macerie.
"
Ah."- scandì senza fiato.
"
Il fatto
è che mercoledì pomeriggio verrà letto
il suo testamento e vogliamo che ci sia
anche lei."
"
Cosa? E perché?"
Si
sentì un rumore e poco dopo la voce disse:
" mi scusi devo riattaccare. Si ricordi di essere qui
mercoledì
alle tre.."
Gli
diede l'indirizzo e altre informazioni.
"
Ok ci sarò."- disse annuendo Ville nonostante la poca
convinzione. Cosa stava succedendo?
Johanna
era rimasta sola in quell'appartamento, ormai troppo
grande per lei. Sentiva la mancanza di Marika e così decise
di prendere il loro
album di foto e sedendosi sul divano prese a sfogliare i loro ricordi.
Le
sembrava di vederla vicino a lei, e raccontarle divertita la storia che
si
celava dietro a quelle foto e invece era solo un'illusione. Lei non
c'era più e
lui non l'aveva mai visto da vicino. Una volta era stata ad un concerto
con
Jackie. Marika si era rifiutata, ma era stata lei stessa a dirle di
andarci.
Eppure non era riuscita a vederlo per bene e questo le era dispiaciuto,
ma
adesso non le importava più nulla. Ora l'odio sembrava farsi
largo nel suo
cuore. Sapendo che era andata via, perché Ville non era
venuto a cercarla?
Sentì
il suono del campanello e andò ad aprire. Appena
aprì fu
accolta dal sorriso di Jackie. Johanna sorrise triste. Erano passati
alcuni
giorni dal funerale e lei non aveva voluto andarci. Sapeva che non ce
l'avrebbe
fatta, ma prima o poi sarebbe andata a far visita alla tomba.
"
Eccomi di ritorno. Ho portato anche un bel film."
Jackie
sapeva come farla stare meglio, o almeno cercava di non
lasciarla in balìa della depressione che era quasi vicina
alla porta. Quando
arrivò il momento della cena, Jackie, seduta all'altra parte
del tavolo disse:
" domani dobbiamo andare dal notaio."
Johanna
annuì silenziosa.
"
Secondo te a chi mi affideranno?"-
chiese poi guardando preoccupata Jackie.
"
Ho chiesto l’affidamento, ma tutto dipende
da quello che ha deciso Marika. Ma non preoccuparti. So per certo che
lei fosse
d'accordo."- disse
con un sorriso
convincente.
"
Ville non saprà niente di tutto
questo..vero?"
Jackie
posò il cucchiaio nel piatto e guardando
negli occhi Johanna rispose: " Jo..lo sai come la penso..dovresti
cercarlo.."
Johanna
la guardò arrabbiata.
"
Dài ragiona..non puoi far finta di
niente."
"
Io non voglio vederlo!"- esclamò
furiosa Johanna alzandosi.
"
Jo! Jo vieni qui."- disse Jackie
rincorrendo la ragazza che si rifugiò in camera sua.
Quando
la raggiunse, era ancora infuriata.
Johanna la guardò ancora arrabbiata e poi si sedette sul
pavimento freddo.
Jackie
le si avvicinò.
"
Ti prego..pensaci.."
Non
ricevendo nessuna risposta, Jackie andò via
sconfitta.
Johanna
tenne il broncio per tutta la mattina
seguente. Era arrabbiata perché voleva restare nel suo letto
al calduccio, ma
era importante che fosse presente anche lei dal notaio.
Sia
lei che Jackie erano sedute sulle comode
poltrone nere di pelle ad aspettare che Brian Watson, il segretario, le
facesse
entrare nell'ufficio. La saletta era vuota e questo significava che al
di fuori
di loro due non ci sarebbe stato più nessuno. Johanna si
sentì più leggera.
"
Vado in bagno."- disse Jackie,
alzandosi.- " torno subito."
Johanna
si sentì per un attimo persa, ma annuì,
vedendo la donna scomparire dietro una porta.
"
Signorina, il notaio la sta
aspettando."- disse il segretario con un largo sorriso sul volto. Quel
sorriso procurò alla ragazzina un senso di calma.
Indugiò un attimo, ma visto
che Jackie non arrivava, decise di entrare.
Appena
entrò si sentì a disagio in quella stanza
così ben arredata, con quell'uomo dai folti baffi grigi che
senza neanche
rivolgerle la parola analizzava delle carte. Senza sapere cosa fare, si
fissò
le mani. Quanto ci metteva Jackie?
Finalmente
sentì la porta aprirsi e non si girò
perché era sicura che fosse lei. Chi altri doveva essere
sennò?
Il
notaio alzò lo sguardo per poi riportarlo sui
fogli.
Johanna sentì una
strana stretta
al cuore e così si girò anche lei e
ciò che vide non fu per niente piacevole.
Un
uomo molto alto la stava squadrando nella
stessa maniera. Era
vestito di nero, come
suo solito, con l'immancabile sciarpa al collo e i capelli marroni
mossi non
erano nascosti dai soliti berretti.
"
Si accomodi pure, signor Valo."- disse
l’uomo indicando la poltrona di pelle
accanto a Johanna. Ville sembrava essere l'unico
lì dentro a non capire
cosa stesse succedendo.
Cosa ci faceva quella ragazzina?
Cosa centrava con Marika?
Ancora
non ci credeva che se n’era andata.
Due
giorni prima, era stato al funerale. Si era
sentito in dovere di esserci nonostante non la vedesse da molti anni.
Si
sentiva ancora legato a lei. Aveva anticipato il viaggio proprio per
questo e
lì non aveva visto nessuno che potesse assomigliare a quella
ragazzina. Forse
non aveva visto bene.
Continuò
a guardarla curioso.
Anche Johanna lo era, ma il suo
sguardo la metteva in soggezione. Chissà se aveva scoperto
anche lui la verità.
La ragazzina cominciò
a battere nervosamente il
piede a ritmo. Era agitata e questo lo notò anche Ville.
Riuscì
a smettere solo quando qualcuno
timidamente dopo aver bussato entrò nella stanza. Johanna si
girò, sollevata di
vedere finalmente Jackie.
"
Oh..ehm..signor Valo."- disse questa
quasi scioccata appena si ritrovò gli occhi verdi dell'uomo
puntati su di lei. Lui
la salutò porgendole la mano con gentilezza. Il notaio a
quel punto si schiarì
la voce e disse: " bene visto che ci siamo tutti, direi che sia meglio
iniziare."
Jackie
tenne per tutto il tempo la mano di
Johanna, che era in preda al panico. Non riusciva ad immaginare quale
sarebbe
stata la reazione di Ville alla notizia.
Il
notaio rilesse velocemente e poi parlò
rivolto a Johanna.
"
Bene.. alla signorina Johanna Laine..
"
Ville
appena sentì quel cognome capì finalmente
chi fosse la ragazzina.
"
..lascia l’appartamento e tutto ciò che ha,
tranne il suo materiale da lavoro che lascia invece alla signorina
Jackie Smith.
Mentre a lei, signor Valo, lascia in affidamento la figlia
Johanna.”
Johanna
restò a bocca aperta. Perché sua madre
aveva voluto questo?
Si
voltò per guardarlo. Ville ricambiò con uno
sguardo di ghiaccio.
"
Cosa? Ma avevo chiesto io l’affidamento
di Johanna!”- disse Jackie alzando di poco la voce.
"
Mi dispiace signorina Smith, non posso
cambiare il volere di un morto. Ma se vuole può rivolgersi
ad un giudice e se
il signor Valo è d’accordo, la tutela
può passare a lei."
Johanna
non voleva passare la vita con
quell’uomo. Non voleva un padre! Ville dal canto suo era
completamente
scioccato. Perché
Marika non lo aveva
mai chiamato per dirglielo? Perché l’aveva fatto?
Jackie
non riusciva ancora a crederci. Perché Marika
aveva coinvolto Ville proprio ora? Che senso aveva tenere nascosta la
figlia
per sedici anni e ora affidarla a lui?
Ma
Marika si era
portata via tutte le risposte..
"
Un momento."- disse Ville
schiarendosi la voce. - " questo cosa significa?"
"
Beh si dà il caso che lei, signor Valo, è
il padre della signorina qui presente."
"
Cosa?!"- esclamò.
Quindi
era questo che Marika gli aveva nascosto
quando aveva deciso di andare via da Helsinki?
Tornò
a guardare Johanna. Non poteva credere ai
suoi occhi!
Era
quella la sensazione che si provava quando qualcosa di punto
in bianco sconvolgeva la quotidianità? Era il senso di
panico ad attorcigliarsi
nello stomaco, forse?
“Arrivederci.”
disse il notaio liberandosi di
loro con un finto sorriso. L'allegra brigata fu costretta ad uscire
all'aria
aperta che ora era diventata tesa e nessuno fu in grado di spicciare
una sola
parola. Ville non faceva altro che guardare Johanna sempre
più sorpreso. La
forma del viso e il taglio degli occhi erano proprio identici ai suoi
mentre il
colore era come quello di Marika, azzurro.
Ciò
che continuava a ripetersi era perché quella
donna non avesse avuto il coraggio di dirgli una cosa così
importante. Perché
aveva voluto crescere una figlia senza un padre? Cosa credeva, che lui
non
potesse essere un buon genitore? Forse aveva ragione. Per tutto quello
che gli
era successo in quegli anni forse non sarebbe stato capace di darle
amore come
un padre doveva fare con una figlia. Era stato uno scapestrato e questo
Marika
probabilmente l'aveva saputo. Non era difficile trovare notizie sul suo
conto a
tal proposito..
Nonostante
questo era arrabbiato. Lui aveva comunque
il diritto di sapere.
Cercò
di ricacciare le lacrime che stavano
uscendo dai suoi occhi. Non aveva voglia di farsi vedere in quel modo
dalle due
ragazze.
Johanna
non sapeva cosa fare. Lei non voleva
andare via con Ville. Lei voleva stare a New York con Jackie e i suoi
amici.
Continuava a mandare sguardi disperati a Jackie, che come lei,
aspettava una
reazione di Ville. Lui se ne stava lì immobile, a guardare
il cielo, ma sapeva
di essere oggetto di osservazione e si sentiva a disagio sotto quello
sguardo
indagatore.
Di
punto in bianco Ville si voltò incamminandosi
lungo il marciapiede. Se
ne stava
andando? Era
quello che Johanna voleva,
ma quel gesto la feriva profondamente. Se ne stava andando senza
neanche dire
una parola! Doveva seguirlo?
Anche
Jackie rimase ad osservarlo mentre si
allontanava. Non riusciva a credere ai suoi occhi.
"
Ville." - esclamò mandando al diavolo
la domanda " posso darti del tu?".
Lui
fece finta di non sentirla e sparì due
minuti dopo dalla loro vista.
Johanna
si appoggiò al muro dell'edificio
affranta. Lui l’aveva abbandonata! Pensava che non le
importasse nulla, ma il
dolore che stava provando aveva cambiato ogni suo pensiero. Era stata
abbandonata da entrambi i genitori,
cosa c’era di sbagliato in lei?
L'ANGOLO
DI VALS!
Della
serie chi non muore si rivede xD
Beh
allora cosa ne pensate come primo capitolo? Se pò fa? Adesso
dovrete attendere un pochino prima del prossimo capitolo per via dello
studio. Fatemi comunque sapere cosa ve ne pare. Ringrazio
già tutte quelle anime buone che leggeranno e arrivanno a
queste piccole righe <3
Alla
prossima, Vals :)
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Dear Father
Capitolo 2
" Amore quando
torni?"
Ville
stava parlando al telefono con Hanna. Aveva
girovagato per la città per un tempo imprecisato,
riflettendo e sbuffando e ora
si era rifugiato in una strada vicino Central Park con la testa ancora
frastornata.
"
Non lo so, potrebbero volerci
giorni."- rispose freddo. Lei non sapeva nulla di quello che stava
accadendo a New York. Ville non le aveva raccontato il vero motivo che
l'aveva
spinto fin lì. Aveva detto che si trattava di un'intervista
e altre balle del
genere che lui stesso aveva dimenticato. Non aveva pensato nemmeno a
quale
sarebbe stata la reazione di Hanna una volta portata di fronte a questa
verità
e, sinceramente, non gli importava. Seguì il silenzio e poi
finalmente Ville
risentì la sua voce.
"
Capito."
"
Devo andare, ci sentiamo dopo."-
disse entrando nel taxi. Non le diede nemmeno il tempo di rispondere
che
riattaccò più pensieroso di prima. Lesse
l'indirizzo sul biglietto che aveva
preso dalla tasca della giacca e con una nuova sensazione nello stomaco
si
lasciò cadere sul sedile dell'auto. Era ansia?
In
poco tempo si ritrovò davanti ad un palazzo.
Era vicino a Johanna più di quanto lei credeva.
Ripensò al suo comportamento stupido
e seppe al cento per cento di aver procurato non poco dolore a quella
ragazzina.
Sentì una stretta al cuore.
"
Grazie."- disse dopo aver congedato
gentilmente il taxista. Alzò gli occhi verso il palazzo e
deglutì. Una volta
varcata quella soglia, Ville avrebbe cambiato il corso degli eventi o
semplicemente avrebbe realizzato il suo destino, che qualcuno prima di
lui
aveva scritto complicando la trama. Stava per sconvolgere in maniera
radicale
quel caos che era la sua vita.
Se fosse entrato,
infatti,
avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di una figlia di
sedici anni, che
molto probabilmente lo odiava con tutto il cuore. E se invece fosse
scappato,
si sarebbe odiato da solo.
Jackie stava
affondando la lama del coltello nella carne, liberando così
tutta
la rabbia che aveva in corpo. Johanna era in camera sua e da
lì sentiva i rumori
della cucina. Non era in vena di aiutare Jackie e così si
era rifugiata
nell'unico posto in cui riusciva a sbollire la rabbia. Era
ancora in trance quando il suono del
campanello la fece balzare. Per un momento ci fu silenzio.
Jackie aveva
appoggiato il coltello sul tavolo e andò a sciacquarsi le
mani
prima di dirigersi fuori dalla cucina per aprire la porta.
Chi poteva
essere a quell’ora?
Fu lo stesso
ragionamento che fece anche Johanna pensando che fosse Daphne o
Duncan, i suoi migliori amici. Fu per questo che si era precipitata
alla porta
con un sorriso falso dipinto sul volto. Jackie vedendola con la mano
già sulla
maniglia indietreggiò un po’.
Johanna
aprì velocemente la porta convinta che fossero i suoi amici.
Due splendidi
occhi verdi, della stessa tonalità della sua maglia,
brillavano nella semioscurità del corridoio.
Johanna sentì il sorriso gelarsi sulle labbra
così come il cuore e lentamente
il freddo si espanse per tutto il corpo, mentre la tensione crebbe.
Jackie che era
rimasta ad osservare tutta la scena non capiva il motivo della
sua reazione. Johanna indietreggiò, per poi correre verso la
camera e chiudersi
a chiave.
Ville, non
pensava di poter scatenare una cosa del genere e se ne dispiacque,
ma la cosa a cui pensava in quel momento era un'altra. Quello era il
posto in
cui aveva vissuto Marika e pian piano nella sua mente riaffiorarono dei
ricordi. Si ricordava ancora la sua risata..
"Dai Ville!"-
esclamò tra una risata e l’altra mentre si erano
rincorsi. Lui le stava facendo il solletico e lei non riusciva a
mantenere il
controllo.
"Dillo!"- la spronò lui.
"Ok, ok lo dico!"
- disse lei cercando di mettere le mani avanti
per respingerlo.
Ville si
calmò e si sedette sulla neve aspettando, con un sorriso
meraviglioso
che gli illuminava il volto, mentre i capelli piuttosto lunghi gli
ricadevano
sui lati.
"Ti amo."- disse lei
compiaciuta, prima di buttargli le braccia intorno al collo, finendo
per
rotolarsi entrambi sul suolo ghiacciato.
" Che ci fai qui?!"- chiese dura Jackie con le braccia conserte,
fregandosene altamente e ancora una volta della buona educazione. Lei
non lo
conosceva, o meglio, lo conosceva come un personaggio famoso su cui a
volte le
erano scappati dei pensieri non tanto casti e puri, ma questo non
significava
che due occhi stupendi come i suoi dovevano avere la meglio sulla sua
rabbia e
i suoi modi non tanto gentili. Lei si comportava così quando
c'era in gioco la
felicità della sua piccola Johanna e non faceva sconti a
nessuno, nemmeno ai
finnici più sexy del mondo.
Ville, fece qualche passo avanti e finalmente entrò in
quell'appartamento.
Chiuse la porta e si guardò attorno.
" Sono il padre. Quindi devo prendermi cura di lei."- disse deciso
rivolgendo uno dei suoi sguardi seri e ammaliatori a Jackie. In un
altro
momento si sarebbe anche potuta sciogliere, ma non adesso.
" Ci sono io a prendermi cura di Johanna!"- disse lei. Era sbagliato
quello che diceva. Ville aveva tutto il diritto di prendersi cura di
Johanna. Era
il padre!
" Marika ha lasciato la tutela a me."- fece
notare lui.
"
Non mi sembra che tu ne eri così convinto
prima. Potevi anche dirlo senza scappare come hai fatto."-
continuò
arrabbiata Jackie.
"
Ho sbagliato, me ne rendo conto."-
disse Ville abbassando lo sguardo.
Johanna
nel frattempo dalla sua stanza ascoltava
con la porta socchiusa il loro parlottare e dopo qualche indugio,
decise di
essere presente anche lei.
"Io non voglio venire con te."- esordì sorprendendo tutti.
Guardava
dritta negli occhi con fermezza Ville. Le sue parole erano state dure
perché
voleva ferirlo.
"
Marika ha voluto così."- rispose
deciso Ville. Si squadrarono affondo e più che mai in quel
momento Jackie pensò
a quanto fossero proprio padre e figlia. Testardi e orgogliosi, per non
parlare
della somiglianza fisica.
"
Tu non devi nominarla. Non ne hai il
diritto! Non te ne è mai importato niente di lei, di noi, e
adesso vieni qui
con la pretesa di fare il padre?"- sputò velenosa la
ragazzina. Le sue
parole erano state in grado di colpire l'orgoglio del caro Ville
più di venti
coltellate.
"
Prepara il necessario. Domani andiamo ad
Helsinki."- disse l'uomo fingendosi indifferente alle parole dette
prima
dalla figlia.
"
COSA!? Non puoi portarla così lontano! Qui
ha tutto, la scuola, gli amici.."- proruppe Jackie sconvolta. Non
voleva
che il finnico la portasse via da lei. L'aveva vista crescere, le aveva
insegnato ad andare in bici e tante altre cose che Marika non aveva
potuto
fare. Le voleva bene come una figlia e vedersela portare via da una
persona che
neanche la conosceva la faceva stare male.
Johanna
non disse nulla, era immersa nei suoi
pensieri. Helsinki, la città di sua madre. Da piccola molte
volte aveva chiesto
di andarci, di conoscerla perché le piaceva. Aveva imparato
anche il
finlandese, pronta un giorno a scappare per andare a vedere la torre
dove il
suo idolo abitava. Ora non riusciva a credere al fatto che proprio
quella torre
sarebbe diventata la sua nuova residenza. Cominciava quasi ad odiare
quella
città che fino a poco tempo prima era stata il suo sogno.
Non voleva lasciare
le persone a lei più care come Jackie, Daphne e Duncan. Non
voleva!
"
Passo a prenderti la mattina."- disse
Ville prima di avviarsi verso la porta.
Tornò
con la mente a Marika. Ogni tanto in quegli
anni l'aveva pensata. Solo pensata e mai cercata, per tanti motivi
comprese le
ragioni di codardia. Se solo avesse saputo, se solo si fosse spinto al
di là
dei suoi timori e delle sue apparenti certezze, andando contro ogni
ragione e
sensatezza, avrebbe scoperto di poter essere felice con una famiglia. E
invece
non l'aveva fatto.
Lui
era giovane, non voleva ostacoli e aveva
preso la palla al balzo diventando famoso seguendo quel poco egoismo
che aveva
dentro di sé. E poi aveva amato donne che non erano
lontanamente paragonabili
al suo primo amore.
Rimase
appoggiato al legno scuro della porta nel
corridoio poco illuminato dalla luce solare che filtrava da una
finestra molto
distante. Respirava a fatica. Si allontanò dolorosamente da
lì con il ricordo
di Marika ancora vivo nella sua mente.
Gli
faceva troppo male pensare a lei. Quel giorno
doveva assolutamente smetterla di scavare nei ricordi. Uscì
lasciandosi alle
spalle il portone. L'aria era secca. Probabilmente si sarebbe messo a
piovere.
Scese rapido i gradini e chiamò un taxi.
" Dove vai?"- chiese preoccupata Jackie
alla ragazza che stava uscendo proprio in quel momento.
"Torno
presto!"- fu l'unica cosa che Johanna disse prima di sbattersi
violentemente la porta alle spalle per poi scendere di corsa le scale.
Ville stava
per salire sul veicolo giallo, quando dei passi affrettati
distolsero la sua attenzione. Johanna era appena uscita.
Non si era
accorta di lui e Ville spinto dalla curiosità, si mise ad
inseguirla.
La scena
sarebbe apparsa piuttosto comica ad occhi esterni. Johanna si sentiva
seguita, e ogni volta che si voltava la situazione sembrava
tranquilla.
Infatti il nostro caro finnico, improvvisato stalker, si nascondeva nei
vicoli
o dietro le persone o si fingeva interessato alle bancarelle e negozi
che
trovava lungo la strada per poi guardarsi intorno di sottecchi
attraverso gli
occhiali che aveva indossato apposta e ritornare al suo ruolo di
pedinatore.
Tutto questo
gioco durò finché Johanna non si fermò
davanti all'ingresso di un
posto che Ville conosceva già. La ragazza si
guardò intorno sospettosa prima di
entrare.
"Vuoi
qualcosa?"- gli chiese il venditore davanti al quale Ville si
era fermato.
Guardò
il cielo. Le nuvole erano nere.
"Un ombrello, per favore."- disse
estraendo le banconote dal portafogli.
Per Johanna
era la prima
volta. Avrebbe visto per la prima volta la tomba di sua madre.
" Mamma.."-
disse con un sorriso malinconico sul volto, sedendosi davanti
alla tomba. Spostò un po’ di terra e
svuotò il vaso che conteneva alcuni fiori
che stavano già appassendo. Si guardò intorno e
notò che c’era una siepe con
qualche rosa gialla. Potevano andare. Attenta a non pungersi
riuscì a staccarne
giusto due e le mise dentro il vaso.
"Mi dispiace
di non essere venuta a trovarti prima.." - disse
cercando di spostare i capelli che il vento le portava davanti agli
occhi.
Abbassò
lo sguardo e lentamente le lacrime cominciarono a scivolarle lungo il
viso fino a finire per terra. Si sforzava di non farlo davanti agli
altri, ma
lì chi la poteva vedere? Nessuno a parte quei pochi che
andavano a fare visita
ai propri cari.
Si
sfogò, lasciò che il dolore le scivolasse
addosso, sperando che servisse a
qualcosa.
Aveva tante
domande da fare a Marika, ma a nessuna avrebbe trovato risposta.
Se solo
pensava al fatto che quella tomba non l'avrebbe più vista
frequentemente si sentiva ancora più triste.
Si
alzò con la poca forza che le rimaneva. Restò
così immobile a leggere senza
veramente capire quelle poche parole che erano state dedicate a Marika.
Lei meritava
di meglio, una vita fatta di gioia e tanto amore, e invece il
destino era stato crudele.
Le lacrime
continuavano a scendere, pungevano gli occhi, mescolandosi al dolore
che provava dentro. Eppure lei la sentiva ancora vicina, sapeva che le
aveva
davvero voluto bene e non le aveva fatto mancare niente. Nemmeno la
mancanza di
una figura paterna.
E Ville
sarebbe stato capace di fare altrettanto? Aveva seri dubbi. In una sola
giornata, quell’uomo era riuscito a farla stare male due
volte. Però se Marika
aveva voluto così un motivo ci doveva essere. Quale fosse
non si sapeva, non
ancora.
La pioggia cominciò a picchiettare. Iniziò a
bagnarsi eppure rimase lì, con i
pugni serrati, lasciando che i capelli le si attaccassero alla nuca,
come del
resto anche i vestiti.
Poi all’improvviso l’acqua smise di cadere sopra di
lei. Continuava a piovere,
lo vedeva, ma sopra di lei no. Alzò lo sguardo e si sorprese
di trovare un
ombrello sopra la sua testa. Seguì il manico e il braccio
che lo teneva fino a quando
non vide il viso di Ville che la guardava con compassione.
"Cosa ci fai qui?"- chiese fredda distogliendo lo sguardo da quello
dell’uomo che continuava a squadrarla.
"Il tuo stesso motivo."- rispose lui, senza sapere cosa dire.
"Non penso.."- disse lei sicura di avere ragione.
"Dovresti tornare a casa."
" Perché?"
"Piove."
" Si l’ho notato."
" Bene allora perché sei ancora qui?"
" Non sono affari tuoi."
" Invece credo di si."
" Non devi prenderti cura di me, c’è Jackie."
Finalmente Johanna era riuscita a farlo stare zitto. Si
sforzò di non sorridere
della sua vittoria e si limitò a girarsi verso di lui e
guardarlo
insistentemente finché non fosse riuscita a fargli abbassare
lo sguardo. Ma Ville
le tenne testa, una cosa che Johanna non aveva calcolato.
"
E se invece
volessi farlo di mia spontanea volontà?"
"
Non ti credo. Lo
fai perché ti senti in colpa."
Mentre
i due parlavano,
Ville notò la collana che spuntava da sotto la giacca aperta
di Johanna. Non ci
aveva fatto caso prima, e ora la sua sorpresa aumentò
notevolmente. Se non
aveva le allucinazioni quello era davvero un heartagram! Johanna
seguì il suo
sguardo e immediatamente nascose il ciondolo sotto la maglia.
"
Tu..tu..ascolti.."
Lei
annuì andando in
aiuto a Ville.
"
Da quando avevo
cinque anni. E' stata la mamma a farmi conoscere voi."
Ville
continuò a guardarla
senza essere in grado di parlare.
Sentiva un groppo alla gola e per un soffio
evitò di mostrare la sua
parte più debole, ricacciando ancora una volta le lacrime
che quel giorno non
riuscivano a lasciarlo in pace. E così Johanna era cresciuta
ascoltando la sua
voce. In un certo senso gli era stato vicino e di questa cosa doveva
esserne
grato a Marika. La ragazza continuava a guardarlo, ma questa volta il
suo
sguardo duro si era tramutato in uno curioso. Era come se Ville volesse
dirle
qualcosa o fare un gesto che lei non riusciva ancora a capire quale
poteva
essere.
Infine
Ville, dopo aver
distolto lo sguardo da lei per circa un minuto, la guardò di
nuovo e
stampandosi un sorriso sulle labbra disse: " su vieni, ti riaccompagno
a
casa."
Di
malavoglia, Johanna si
lasciò guidare dalla mano di Ville appoggiata sulla sua
spalla e così entrambi
uscirono da quel luogo cupo e triste.
La
pioggia continuava e
picchiettava violenta sul vetro della finestra di Johanna.
Forse era una questa delle cause che non le permettevano di
addormentarsi.
Si rigirò varie volte nel letto cercando una posizione
comoda ma il sonno non
arrivava.
Controllò che le ultime
cose fossero apposto. Si assicurò che il suo album
fotografico fosse al sicuro
nella borsa a tracolla. Non si fidava a lasciarlo nella valigia. La
voglia di rivedere quelle foto era tanta, ma ora non era proprio il
caso.
Era tardi e almeno un po’ doveva dormire. Prese un sonnifero
dal comodino e si
lasciò scivolare tra le braccia di Morfeo. Il giorno dopo
avrebbe dovuto affrontare tanti cambiamenti..
Forse sarebbe dovuta scappare, ma non sarebbe servito a nulla. Avrebbe
solo
complicato le cose e poi Ville era un personaggio famoso e sarebbe
stato un
disastro.
No, doveva solo..
Il sonno la colse in pieno e gradualmente i pensieri si trasformarono
in sogni,
mostrandole creature magiche che in genere popolavano i suoi mondi
onirici, ma
stavolta c’era anche sua mamma.
Almeno questo
si ricordò la mattina dopo appena si svegliò.
Marika era stata nel
suo sogno, ma come spesso le capitava non ricordava quello che era
successo.
VALS, IL RITORNO
Welllaaa
eccomi di nuovo qui!
Dovete perdonare la grande attesa, ma sono ancora in fase studio e
appena mi libero di questo fardello sarò tutta vostra :D
Mmmh..dunque facciamo due calcoli: Ville ora sa che Johanna
è una grande fan degli HIM ( accresciamo l'ego della Dark
Divah, dai su xD), lei non ha proprio tanta voglia di andarsene e
Jackie sta premeditando uno sterminio di finnici belli e sexy..la cosa
è messa molto bene direi xD
Voglio avvisare la gentile clientela ( che tra l'altro ringrazio per la
gentilezza di essere passata <3) che questi due capitolo sono
leggermente noiosi. Quindi dal prossimo cominciamo a vedere un
pò che cosa combinerà Valo. Parola di Vals u.u
Il prossimo capitolo spero di postarlo al più presto. Fino a
quel momento fate le brave (?)
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Dear Father
Capitolo
3
La ragazza si stropicciò più volte gli occhi per
scacciare la sensazione di stanchezza che le faceva sentire la testa
ancora
appesantita. Continuò a sfregarli fino a quando non li
sentì svuotati di ogni
residuo di sonno. Lentamente si mise a gambe incrociate sul letto e
restò così
per un bel pò di tempo, contemplando quelle quattro mura che
la circondavano e
che mai come in quel momento voleva vedere anche la sera. Sapeva che
ciò non
sarebbe successo: poche ore e non avrebbe visto più nulla di
quella città, di
quella casa e di quella stanza, nemmeno i suoi dettagli più
futili e stupidi
come la crepa vicino alla finestra che aveva lasciato leggermente
aperta senza
accorgersene. La frescura, penetrata durante la
notte, aveva reso la stanza molto più fresca
del dovuto tanto da
spingere Johanna ad alzarsi e chiudere la finestra. Quando si
voltò, con
amarezza si guardò intorno e sospirando cercò di
ricacciare le lacrime. Si
avvicinò al comodino e prese la sua reflex decisa a metterla
nella borsa a
tracolla, ma prima di farlo sentì di dover scattare delle
foto, senza un motivo
valido. Chissà se sarebbe tornata..
In
quel momento non aveva nessuna certezza né per
il suo presente, né per il suo futuro. Anzi proprio
quest'ultimo le appariva
nero, vuoto e spento. Sapeva solamente che da lì a qualche
ora sarebbe
capitolata ad Helsinki e al solo pensiero aveva voglia di sprofondare
nel
pianto più disperato. Era un terra di sconosciuti, anche
Ville lo era e sapeva
che si sarebbe sentita morire senza Jackie. Scosse la testa decisa ad
impedire
al panico di farsi avanti. Lei non era debole, non doveva esserlo! Non
lo era
mai stata e odiava piangere. Aveva sempre cercato di essere forte anche
in quei
momenti in cui la forza era solamente un nome simbolico.
Tornò a distendersi
sul letto con la reflex ancora fra le mani ma spenta.
Deglutì a fondo mentre
una lacrima solitaria le solcò la guancia scivolando lungo
la pelle e morendo
sul cuscino.
Poi
qualcuno bussò alla porta e lei si mise nuovamente
seduta togliendosi immediatamente i residui delle gocce salate dal
volto. Jackie
si fece avanti e sorridendo timidamente disse: " ehi..tutto okay?"
Johanna
annuì senza emettere un solo suono.
"
Di là ci sono Duncan e Daphne.."-
disse con cautela la donna capendo immediatamente lo stato d'animo
della
ragazza.
"
Arrivo."- disse con voce incerta
Johanna facendo finta di niente e mettendo la reflex finalmente nella
borsa
facendo particolare attenzione a non rovinare l'album fotografico. Jackie prima di andare via
la guardò a lungo
mentre era affaccendata e sentiva il suo cuore stringersi sempre di
più in una
morsa fatale. Poi decise di lasciarla sola a prepararsi tornando dai
due
ragazzi che aspettavano in cucina l'arrivo della loro amica con una
grande
tristezza.
Johanna
controvoglia andò in bagno dove restò a
lungo a contemplare la sua immagine riflessa nello specchio. Le
occhiaie sotto
agli occhi non aiutavano a supportare la sua finta espressione allegra,
quella
che cercava di stamparsi per
far credere
agli altri che stesse bene; le labbra sottili era screpolate e in
qualche punto
mancava lo strato di pelle. Quel dannato brutto vizio non riusciva a
lasciarla
in pace! Un giorno o l'altro avrebbe finito per svegliarsi senza un
briciolo di
carne; la pelle aveva ceduto il posto ad un colore molto vicino al
bianco. Le
sue guancie, infatti, avevano perso il solito colore roseo da piccola
bambolina
di porcellana; gli occhi di quell'azzurro che da sempre si erano
distinti per
la bellezza innaturale, erano spenti e tristi. Sapere che quel taglio
fosse
simile, anzi uguale a quello di Ville, la faceva sentire strana. Non
sapeva se
sentirsi lusingata e apprezzare quel dettaglio, o esserne indifferente.
Lei non
ci aveva mai fatto caso, nemmeno quando sua madre una volta glielo fece
notare.
Johanna si era
limitata a ridere senza
capire fino in fondo quelle parole. E forse avrebbe dovuto farlo e
iniziare a
chiedersi perché sua madre ogni tanto le diceva cose del
genere. Per
giustificarsi si diceva che era piccola o che fossero delle gentili
prese in
giro da parte di Marika per via della sua ossessione.
Sospirò nuovamente e dopo
essersi lavata si legò in una coda alta di lunghi capelli
castani e infilò le
prime cose che trovò fuori dalla valigia: un paio di
converse nere con piccoli
teschi bianchi, un paio di jeans scuri e una maglia nera a maniche
corte con
piccoli dettagli rossi. Prese il cardigan leggero che infilò
mentre scese le
scale dirigendosi in cucina.
Quando
fu lì ritrovò il suo piccolo nucleo
familiare pronto a sorriderle, anche se si trattava di una tristezza
camuffata
di falsa contentezza. Gli occhi arrossati di Daphne erano la prova
certa che
quei sorrisi in quel momento fossero semplicemente di circostanza.
"
Ciao."- esordì Johanna cercando di
sorridere. Si sentiva tremendamente in colpa di vedere le persone che
più amava
in quel modo. L'amica le si avvicinò abbracciandola,
così come Duncan che
aspettò un pò prima di avere anche lui il
privilegio di poter stringere fra le
sue braccia Johanna.
"
Non sparirai per sempre, vero?"-
chiese Daphne cercando di dare un contegno alla sua voce.
"
Non succederà."- la tranquillizzò
Duncan rispondendo al posto di Johanna, la quale sorrise annuendo.
"
Non me ne vado per sempre."
Non
ne era sicura, ma cercò di credere a quelle
parole, anche se era più sicura del loro contrario. Jackie
restò in silenzio.
Qualunque cose avesse detto in quel momento non sarebbe riuscita a
mantenere il
suo solito tono allegro, anzi era ad un passo dal piangere anche lei.
Quella
mattina sembrava proprio che la tristezza
avesse deciso di fare colazione con quel quadretto davvero amorevole.
Quegli
abbracci e gli ultimi scambi di battute spiritose, servirono a rendere
l'atmosfera meno sgradevole e pesante e a ricordare a Johanna che non
sarebbe
stata sola.
Era ancora
presto e Johanna era convinta che Sua
Maestà Infernale non sarebbe giunto tanto presto a portala
via, ma poteva anche
succedere il contrario e trovarselo lì davanti alla porta
impaziente di
partire. Fu così che dopo la colazione, con l'aiuto degli
altri, finì di
catalogare e organizzare la roba che Jackie nei mesi successivi le
avrebbe
dovuto spedire.
Pian
piano l'attesa iniziò a farsi più snervante
e irritante. Forse avrebbero dovuto fare con più calma quei
preparativi, invece
di buttarsi a capofitto e finire il tutto in tempi record. La tensione
era
percepibile nell'aria, mentre Jackie prese a fare avanti e dietro
tormentandosi
le pellicine vicino alle unghie già mangiucchiate. I tre
ragazzi cercavano di
sostenere una chiacchierata senza apparire agitati, ma i sorrisi
sforzati non
permisero di mandare avanti ancora per molto quella sceneggiata.
Così finì che
quella stanza calò nel silenzio più totale.
Strano
come una sola persona in meno di una
settimana fosse stata in grado di cambiare le loro vite.
Proprio
quando i loro animi sembravano essersi
ibernati, il silenzio fu rotto da quel suono tanto atteso quanto
indesiderato.
Jackie
quasi si spaventò e lentamente si
avvicinò alla porta cercando di mantenere un certo controllo
di fronte alla sua
rabbia quando aprì e si ritrovò Ville davanti. Lo
squadrò dall'alto in basso
furiosa. Quel giorno Ville indossava una camicia nera e dei jeans scuri
e
abbastanza attillati. La cosa strana era l'assenza della sua
immancabile
sciarpa, che aveva lasciato spazio al colletto mezzo aperto e scomposto
della
camicia da cui era possibile intravedere l'occhio impertinente del suo
tatuaggio. I capelli erano sciolti e ribelli.
I
ragazzi nel frattempo si erano abbracciati,
incapaci di esprimere a parole i loro sentimenti.
"
Buongiorno!"- disse Ville sfoggiando
un sorriso sghembo.
"Vai
a quel paese!" - gli rispose
secca Jackie facendolo entrare.
"
Il buongiorno si vede dal mattino,
eh?"- chiese
ironico.
Jackie
lo fulminò con lo sguardo, mentre lui salutò
i ragazzi che gli risposero in un sussurro. Daphne
prese ad osservare il finnico e più lo
guardava e più anche lei notava l'assurda somiglianza fra
lui e Johanna. Duncan
aveva abbracciato nuovamente la sua migliore amica. Johanna
inspirò a fondo il
suo profumo con la paura di non poterlo più sentire per
tanto tempo.
Poi
lentamente e a malincuore si
allontanò dal ragazzo e posò lo sguardo su Ville,
che a sua volta la guardava con
una faccia inespressiva. O almeno era quello che vedeva Johanna. Per
lei sembrava
che non gli importasse nulla dei suoi sentimenti.
Non poteva sapere, invece, che quella
situazione faceva male a Ville più di quanto poteva
immaginare.
"Si
è fatto tardi.."- disse
questo cercando di non apparire davvero
un insensibile, appellativo che invece si beccò mentalmente
da parte di Jackie
che continuava a guardarlo a braccia conserte.
Johanna
annuì e prese la sua valigia cominciando
a trascinarla verso la porta e fu allora che sentì un'altra
mano sfiorare la
sua e prendere il manico del bagaglio. Jackie l'abbracciò e
lei ricambiò
stritolandola. Dopo tutte quelle ore anche la donna aveva dato sfogo
alle sue
lacrime.
"Ho
promesso che mi sarei presa cura di te
e lo farò. Verrò appena mi sarà
possibile. Non credere di liberarti di me così
di colpo."- le
sussurrò
all'orecchio con la voce spezzata dai singhiozzi. Johanna
le sorrise. Aveva fiducia in Jackie.
"Sei
la zia migliore del mondo."- disse
fiera posandole le mani sulle spalle.
Ma
ora era davvero il caso di andare.
" Siamo
arrivati in tempo!"- commentò Ville indicando la
ragazza che
faceva entrare i primi passeggeri nel corridoio.
Johanna
restò in silenzio. Lei non voleva andarsene. Attraversò quel
lungo corridoio che l'avrebbe
portata sull'aereo con un senso di vuoto.
Lo
sapeva bene, quello sarebbe stato un volo
lungo, pieno di silenzi imbarazzanti e tante altre cose spiacevoli.
Educatamente
Ville le lasciò il posto accanto al
finestrino. Di solito quello era il suo posto d'onore e nessuno doveva
privargliene, ma quella volta fece una grande eccezione, sorprendendo
lui
stesso. A Johanna le andava più che bene. Avrebbe avuto
qualcosa da fare durante
il volo come guardare il paesaggio fuori. Inizialmente aveva pensato di
dormire, ma si sarebbe potuta trovare appoggiata alla spalla di Ville
al
risveglio e questo voleva evitarlo anche se, la fan che c'era in lei le
diceva
di attaccarsi come un koala all'uomo.
Finalmente
l'aereo decollò portando con sé tanta
ansia. Se ricordava bene, Ville stava con Hanna, e lei quella donna la
trovava
estremamente antipatica. Poi, però, i suoi pensieri si
spostarono su un altro
versante, forse molto più positivo di quello che credeva. Avrebbe
conosciuto Migé,
Linde, Burton e Gas!
Quel semplice pensiero la
faceva sentire meno arrabbiata.
Ma
poi le venne in mente che Ville aveva una
famiglia e che essa avrebbe fatto parte della sua vita e a quel punto
si sentì
nuovamente in preda al panico. Jesse suo zio! Era davvero una cosa
assurda.
Lo
stesso Jesse era ancora ignaro che Ville
stesse tornando a casa in compagnia di una ragazzina che addirittura
era sua
nipote. Quando aveva accompagnato Ville all'aeroporto era a conoscenza
solamente di tutta la storia del primo amore di suo fratello, ma che
Marika
avesse una figlia per lui era ancora un'incognita.
Johanna
nel frattempo si mise le cuffiette e
cominciò ad ascoltare la musica cercando di rilassarsi.
Ville invece aveva
deciso di sfogliare un giornale, ma il suo era un gesto più
che altro
meccanico. Le immagini che passavano davanti ai suoi occhi erano
solamente un
turbinio di colori e quelle parole un misto di segni senza senso che
velocemente scomparivano per dare spazio ad altre pagine. Non stava
leggendo e non
stava prestando attenzione. Sentiva solamente di dover iniziare a dire
qualcosa
di gentile e avviare una conversazione qualsiasi con sua figlia.
Johanna,
invece, continuava a chiedersi perché
Ville aveva deciso di prenderla con sé. Lei si sforzava di
trovare una
risposta, ma il tutto era un gran rompicapo e lei non era mai stata
brava a
risolverli, mentre, a quanto pareva Ville si divertiva tanto a
complicare la
vita a sé stesso e agli altri.
Questa
volta la risposta non la sapeva nemmeno
Ville. Si era lasciato guidare dall'istinto e si era ritrovato ad agire
come se
qualcuno glielo avesse ordinato o forse semplicemente si limitava a
realizzare
il volere di Marika. La
stanchezza iniziava a farsi insopportabile
e con la musica nelle orecchie Johanna si addormentò.
Ville
se ne accorse solo quando sentì la sua
testa appoggiarsi alla spalla. Mise via la rivista completamente preso
dal
panico. E adesso cosa doveva fare? Di solito era Migé che
finiva per dormire
sulla sua spalla e lui prontamente se lo scrollava bruscamente di dosso
indifferente alle proteste dell'amico. Il tutto poi finiva con una
semplice e
chiassosa risata. Questa volta la cosa era diversa. Si trattava di sua
figlia e
di certo non poteva comportarsi allo stesso modo. Era, quindi, arrivato
il
momento di agire in maniera diversa, da padre.
Di sicuro non era così stupido da farla dormire in una
posizione scomoda, così
con molta calma e lentezza le sistemò meglio la testa e
attento a non
svegliarla le sfilò di mano l'i-pod per metterlo nella borsa
che Johanna teneva
ben stretta a sé.
"
Cosa stai facendo?"
La voce
mezza assonnata di Johanna gli fece prendere un colpo.
"Ti
eri addormentata."- le disse
sorridendo con l'i-pod ancora in mano.
"No,
intendevo, cosa stai facendo col mio
i-pod?"- disse Johanna indicandolo.
"
Ti eri addormentata con la musica sparata
nelle orecchie e lo stavo per mettere nella tua borsa."- si giustificò
Ville.
"
Grazie della gentilezza."- disse
scontrosa riprendendosi l'oggetto e
rimettendosi le cuffie nelle orecchie. Si sentì irritata.
Non voleva che Ville
prendesse le sue cose, anche se c'era una giustificazione pronta. Non
doveva
farlo e basta.
Ville
la guardò senza aggiungere altro. Era
scontrosa proprio come lui quando non voleva stare a contatto con altra
gente.
Così
per il resto del viaggio stettero in
silenzio.
Erano
appena scesi dall'aereo e grazie alla
folla che c'era erano riusciti a dare poco nell'occhio. Johanna
si sentiva spaesata, molto di più di quello
che aveva previsto. Era ad Helsinki, per la prima volta in vita sua.
Stava per
vedere la città di sua madre, ma senza di lei. Marika le
aveva promesso che
sarebbero andate insieme..
Il fatto
di trovarsi in quella città con Ville e non con sua madre,
la metteva a
disagio. Presa dai suoi pensieri, non si accorse che davanti a lei
quell'uomo
che seguiva non era Ville.
Si
fermò di colpo, lasciando che la persona
dietro di lei le andasse a sbattere contro, non accorgendosi che si era
fermata. Il panico si era impossessato di lei bloccandole il cervello.
"Stai
attenta!"- le
urlò arrabbiato il passante prima di
sparire. Lei non ci fece nemmeno caso a quelle urla. Era piuttosto
presa da
altro.
"
Magnifico. Questo ci voleva!"-
esclamò tra sé arrabbiata.
Cominciò
a girarsi intorno terrorizzandosi ad
ogni minuto.
Jesse
era fermo con le braccia incrociate al
petto, guardandosi
intorno in cerca di
suo fratello. Era magro come Ville, forse anche di più di
lui e gli indumenti
scuri che portava accentuavano ancora di più questo aspetto.
Ville lo riconobbe
per via del suo berretto
colorato che lui stesso odiava a morte e sorridendo si
avvicinò velocemente. Jesse
appena lo
vide accennò un saluto.
"
Fratellino!"
"
Su andiamo."- disse il minore precedendolo
verso l'uscita. Il sorriso sul volto di Ville scomparve. Non diceva
niente su
Johanna?
"
Jesse non dici niente?"- chiese
Ville indicando alle sue spalle.
Jesse
non capendo guardò confuso Ville.
"
Cosa dovrei dire? Dovrei farti la danza
del ventre per essere tornato sano e salvo in patria?"
"
Dov'è Johanna?" chiese Ville senza
prestare attenzione alle parole di Jesse voltandosi e sentendosi in
preda ad un
attacco di infarto appena vide che Johanna non era dietro di lui.
"
Chi è Johanna?"- chiese Jesse al
finnico agitato senza avere risposta.
Così
andò accanto al fratello e cominciò a
scuoterlo.
"Chi
è Johanna?"- chiese nuovamente.
Gli
occhi di Ville sembravano un mare in
tempesta mentre continuava a guardasi intorno.
"
E' tua nipote, dannazione!"
Dei
modi che Ville aveva pensato di dirglielo
questo fu sicuramente il peggiore.
"Mia..
che cosa?"
Jesse
non riusciva a credere a quello che aveva
sentito.
"Tua
nipote. Nipote: figlia del figlio dei
tuoi genitori nonché di tuo fratello."- scandì
Ville. Jesse lo guardò
sconvolto.
"
Aspetta un momento. Io ho una nipote che è
tua figlia e che si è persa?"
"
Bravo! Come premio meriti una
caramella."- rispose sarcasticamente Ville i cui fasci di nervi
divennero
robusti come i rami degli alberi. Entrambi restarono per lungo tempo a
guardarsi negli occhi.
"
Dobbiamo trovarla."- disse infine
Ville guardandosi intorno.- " tu vai di là, io cerco da
questa parte."-
comandò sparendo, trascinandosi dietro la valigia e senza
dare altre
informazioni al povero Jesse
che
rimase immobile per qualche attimo. Come
cazzo avrebbe fatto a riconoscerla? Domanda da un milione
di dollari.
Nonostante
l'inconveniente, Jesse si incamminò
verso la direzione indicatagli dal fratello.
Attorno
a sé sentiva solo rumori e voci che si univano
formando un unico e fastidioso suono. Si concentrò sulle
persone che aveva
davanti. Analizzò uno ad uno i volti, scartando i bambini, i
maschi e le donne
che sembravano troppo grandi per essere figlie di Ville. Si
fermò in mezzo alla
sala, massaggiandosi il mento.Come aveva fatto quel
coglione di suo fratello a
perdere sua figlia?
VALS, IL RITORNO:
Già, come fa a perdere sua figlia??! Ville
SVEGLIATE!
Okay, penso che non sia bello lasciare un capitolo con un domanda e per
giunta con la vicenda in sospeso. Oh e che volete? La dinamica
è stata progettata in questo modo, sorratemi u.u
Tanto aggiornerò presto, don't worry :)
Facciamo il punto della situazione: siamo ad Helsinki, naturalmente in
senso metaforico xD, e il primo personaggio che ha fatto la sua
comparsa è Jesse e state tranquille che non vi libererete
facilmente di lui u.u
Ah sì! Abbiamo lasciato Jackie con una mezza minaccia,
ovvero, che lei presto o tardi verrà da noi ad Helsinki xD
A prestare il volto alla giovane Jackie è una delle mie
artiste preferite, Sara Bareilles che è abbastanza
conosciuta con la canzone " Love Song" ( non so se conoscete xD)
comunque vi lascio uno scatto :D
http://userserve-ak.last.fm/serve/500/18030327/Sara+Bareilles+her+chuck+taylors.jpg
Allora alla prossima, Ladies!!
Vals <3
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Dear Father
Capitolo 4
Le dita
tamburellavano sul ginocchio al ritmo di una musica inesistente e il
piede
sinistro continuava a dondolarsi quasi in modo indipendente dal resto
del corpo,
mentre la povera Johanna, seduta sulla panca e isolata dal resto della
massa,
si guardava intorno per l'ennesima volta nella speranza di scorgere tra quei puntini colorati
che riempivano
l'aeroporto, la
figura scura che
l'avrebbe portata via da quel posto.
Ville,
però, tardava ad arrivare e lei non riusciva ad immaginare
cosa sarebbe potuto
accadere nelle ore successive, quelle che già da quel
momento stavano scandendo
gli ultimi aggiornamenti della sua vita. Sapeva solo che lei era
lì, da sola,
in una terra che conosceva solo per sentito dire, con l'ansia alle
stelle e la
paura di restare lì non solo quel giorno, ma per tutti gli
altri giorni.
Non
aveva
il numero di cellulare di Ville e si rifiutava categoricamente di farlo
chiamare con l'altoparlante.
Il signor Ville
Valo è desiderato al banco di
informazione.
No!
La cosa
le risultava abbastanza imbarazzante. Avrebbe preferito mille volte
accarezzare
un serpente piuttosto che rendersi, almeno secondo il suo punto di
vista,
ridicola con un tale gesto. Così l'unica cosa che doveva
fare era aspettare che
lui la cercasse. Stava sperando che da un momento all'altro Ville
sbucasse da
quella massa informe di gente che andava e veniva, ma tutto
ciò continuava a
vivere solamente nella sua fantasia.
In
quel
momento il cellulare vibrò avvisandola dell'arrivo di un
messaggio.
Sei arrivata?
Il
messaggio era di Jackie che, come Johanna ben sapeva, di sicuro era
ancora in
ansia. Decise che era meglio omettere la parte dello smarrimento e
assicurarla
che il viaggio fosse andato bene.
Sì,
siamo
appena arrivati ad Helsinki!
Inviò
il
messaggio aspettando che la letterina scomparisse. Fissò il
cellulare e poi il
pavimento e sbuffando si chiese se era davvero il caso di allarmarsi.
Dopo aver ispezionato una bella fetta
dell’aeroporto, Jesse si sentì esausto.
Così si lasciò cadere poco educatamente
su una delle tante panche senza badare a chi fosse già
seduto e prese a
massaggiarsi le tempie per rilassarsi un pò. Era la prima volta che si
ritrovava a svolgere
un tale incarico e sperava con tutto il cuore che quella sarebbe stata
la prima
e ultima volta.
Dopo
aver rilassato la sua mente alzò il viso e
iniziò a guardarsi intorno per osservare chi era rimasto in
quella sala.
Qualche famigliola era seduta nell'attesa del proprio volo e
più in là alcuni
uomini d'affari camminavano avanti e dietro presi dai loro discorsi
telefonici.
Al di fuori di questi, il resto della massa era quasi sparita. Fu
nel momento in cui guardò chi altri fosse seduto
nella sua stessa panca che si accorse di una ragazzina.
Johanna
continuava a tenere la testa china e
l'aria assorta nei suoi pensieri, preoccupata. Jesse, invece, sorrise.
Aveva
capito fin da subito che si trattava della ragazza giusta
perché c'era qualcosa
in lei, nel modo composto in cui era seduta, che gli ricordava molto
Ville.
Trovata!
Scrisse
velocemente in un messaggio al fratello e dando retta al suo istinto si
alzò e
si diresse verso di lei.
Più
si avvicinava, più notava la somiglianza: il
colore dei capelli, la forma del naso e tanti altri piccoli
particolari. La
ragazza sentendo
dei rumori alzò il volto dal cellulare. Pensava fosse Ville,
ma restò
paralizzata nel vedere Jesse, il quale appena incrociò il
suo sguardo capì che
era sicuramente lei Johanna. Il taglio degli occhi era uguale a quello
di
Ville, tranne il colore.
"Johanna..?"-
chiese incerto. Sembrava
stupido chiederlo, eppure era giusto
che la sua affermazione suonasse come una domanda. Insomma se
l’avesse vista
senza sapere di avere una nipote, gli sarebbe mai venuto il dubbio che
lei
potesse essere figlia di Ville? No.
Johanna,
nonostante la sorpresa iniziale di ritrovarsi davanti
suo zio, si alzò,
afferrando la sua
valigia, infilò il cellulare in tasca e disse: "
sì."
Il
suo tono scontroso colpì Jesse. Capì che la
ragazza era arrabbiata. Ma lui che colpa ne aveva? In fondo era
lì per portarla
via. Forse la ragazza avrebbe preferito che fosse Ville a presentarsi
in quel
momento e non lui.
"
Beh ehm..io sono Jesse il fratello di
Ville."
Si
strinsero la mano
mentre lei continuava a guardarlo dura.
"
Vieni, Ville ci starà
aspettando.."- disse
precedendola.
Johanna
lo seguì stando attenta a non perdersi
questa volta. Ville li stava aspettando davanti all'uscita e appena li
vide il
suo volto teso si rasserenò.
"
Pensavo che avessi sbagliato!"- disse
Ville sospirando, rivolto a Jesse, memore del fatto che non gli avesse
detto
nemmeno come era vestita.
Poi
guardò Johanna e le sorrise rassicurante.
In
un altro momento, guardando quel sorriso
dolce, Johanna si sarebbe sciolta. Questo, però, prima di
sapere di essere sua
figlia. Adesso, invece, era decisamente allarmata e per tutta risposta
distolse
lo sguardo, fingendosi interessata al cielo azzurro e limpido di
Helsinki, che
si intravedeva appena oltre le grandi vetrate.
Jesse
aveva un disperato bisogno di avere delle
spiegazioni. Il tutto era sì chiaro, ma
aveva solo bisogno di conferme alle teorie che gli
frullavano in testa.
Forse, però, quello non era il momento. Avvertiva una
leggera tensione fra i
due e questo di certo non era un elemento positivo. Evidentemente la
ragazza si
sentiva leggermente infastidita, o forse era meglio dire che si sentiva
alquanto fuori luogo e arrabbiata per essere stata sradicata dalla sua
vera
casa. Chi non lo sarebbe stato? Trovarsi improvvisamente catapultati in
un'altra
realtà di sicuro non era mai semplice e meraviglioso.
"
Impossibile.."- disse Jesse più a se
stesso che agli altri, ma evidentemente non aveva tenuto in conto il
fatto che
avesse dato gran voce ai suoi pensieri. Ville
e Johanna si voltarono a guardarlo confusi. Jesse
ricambiò passando lo sguardo da uno all'altra. Insomma
la somiglianza era troppo evidente!
"
Siete
praticamente identici."- esclamò.
Johanna
abbassò lo sguardo imbarazzata. Ville le
gettò uno sguardo divertito prima di seguire il fratello che
già si stava
dirigendo all'esterno. Il finnico era sicuro che non si sarebbe mai
riuscito ad
abituare a quelle parole.
Johanna,
che non voleva perdersi nuovamente, li
seguì nervosa afferrando la sua valigia . Uscirono e subito
furono colpiti dai
raggi del sole. Ville, come il fratello, si calò gli
occhiali sul volto, mentre
Johanna si coprì il volto con una mano.
Giunti
vicino alla
macchina, Jesse aprì il bagagliaio e fece spazio a Ville che
infilò la sua
valigia sollevando poi quella di Johanna che mise accanto alla
sua. Johanna restò a guardare senza riuscire a
sussurrare nemmeno un
semplice " grazie". Era così bloccata nei confronti di Ville
che non
sapeva nemmeno come avrebbe fatto a vivere a suo stretto contatto a
partire da
quel giorno stesso. Si rendeva conto che era tutto abbastanza
difficile, forse
anche troppo per i suoi gusti.
In
macchina in poco
tempo il silenzio regnò sovrano e questo era strano per i
due fratelli Valo che
generalmente non stavano mai zitti. In quel momento ognuno era avvolto
nella
nebbia dei propri pensieri e sembrava che nessuno avesse voglia di
uscirne
fuori. Jesse continuava a guardare suo fratello e al tempo stesso la
strada per
evitare di fare incidenti. Ville invece pensava, e nelle sue
riflessioni
cercava di trovare i lati positivi dell'intera situazione. Ora cosa avrebbe fatto?
Portare sua figlia ad
Helsinki era stata la cosa più semplice di tutta la storia.
Era da quel momento
che iniziava la parte più complicata: come sarebbe riuscito
a farla sentire a
proprio agio?
Johanna
si era seduta
dietro a Jesse e si era appoggiata alla portiera. Tirò fuori
la Reflex e scattò
qualche foto.
" Passione per la fotografia?"- chiese Jesse rompendo per primo
quello strano rito.
"Presa dalla mamma. Ma tu dovresti
saperlo bene, no?"-
chiese sottolineando il "tu" e guardando nello specchietto
retrovisore per incrociare lo sguardo di Ville, solo per un secondo,
giusto
quel po' che le bastò per assicurarsi che lui ricordasse
ancora. Ville la
guardò senza dire nulla.
Jesse, invece,
un pò imbarazzato, continuò a guidare dritto fino
a casa, mentre Ville finì per
appoggiarsi al vetro fresco del finestrino osservando fuori con uno
sguardo
assente.
Lui
ricordava
perfettamente, più di quanto Johanna potesse immaginare.
" Eccoci arrivati!"- esclamò Ville appena Jesse
parcheggiò nel giardino
di quella che doveva essere la sua nuova casa, la famosa torre, quella
di cui Johanna
aveva visto solo qualche foto su internet e su cui aveva fantasticato
molte
volte. Avendola vista solo dall'esterno e in tutta
la sua maestosità, nasceva
spontaneamente la sua curiosità e dando spazio alla sua
immaginazione e a
chiedersi come facesse Ville a vivere lì. Era un posto
troppo grande per una
sola persona, eppure lei credeva che tale abitazione in un certo senso
rappresentasse l'animo solitario e schivo di quell'uomo che da un
giorno
all'altro era diventato suo padre.
Con
mille pensieri che
continuavano a ruotare vorticosamente nella sua testa, Johanna scese
dalla
macchina guardandosi intorno disorientata e cercando di non rendere
evidente la
sua grande emozione. Era pur sempre la casa del suo idolo quella che
stava
vedendo e per lei restava un sogno che, strano a dirlo, si stava
realizzando.
Jesse restò giù mentre lei seguiva Ville, che le
portava la valigia, su per le
scale.
Dopo aver attraversato il corridoio, si fermarono davanti ad una delle
tante
porte.
Ville la aprì entrando.
"Questa
sarà la
tua camera."- disse sorridendo.
Johanna entrò e notò che come per il resto della
casa, il colore che dominava
era il bianco. Al centro della stanza c'era un letto matrimoniale con
le lenzuola
di un tetro grigio chiaro. Alla parete, invece del solito armadio,
c'erano
delle ante scure che probabilmente portavano ad una piccola cabina
armadio e
accanto uno specchio che occupava gran parte del muro, contornata da
una
sottile cornice nera.
Nella parete opposta a quella della porta, c'era una grande
portafinestra che
portava al balcone. Ville la aprì facendo entrare nella
stanza una lieve e
piacevole brezza. Johanna uscì e osservò tutto il
panorama spettacolare. Ville
evidentemente le aveva offerto la camera più bella di tutta
la torre.
"
Può
andare?"- chiese piano lui che era rimasto appoggiato allo stipite
della
porta, come se non volesse disturbare l'analisi dettagliata che Johanna
stava
facendo con gli occhi.
Lei si voltò e si sforzò di sorridere annuendo.
In fondo era stato molto
gentile e di sicuro in quel momento non si meritava risposte secche,
acide e
arrabbiate. Eppure non era ancora predisposta alla gentilezza totale.
Forse
aveva solo bisogno di tempo, forse solo di qualche giorno. Ville
continuò a
sorridere rincuorato dall'espressione gentile che si era stampata sul
volto
della figlia.
" Bene, penso che sarai stanca. Sistemati e dopo scendi per la
cena.."- disse
decidendo di andare
via per permettere a Johanna di sistemarsi a suo piacimento.
"Non ho fame..grazie." - rispose Johanna con tono spento.
Era
vero, aveva lo
stomaco chiuso.
"
Sei
sicura?"- chiese Ville un pò preoccupato. Quasi si
pentì di quella
domanda, temendo di sbagliare e riaccendere nella ragazza lo spirito
ostile che
le stava mostrando in quelle ore.
"
Sì sono
sicura."
Il
tono categorico
fece capire al finnico di evitare nuove domande. Johanna era testarda e
sarebbe
stato inutile costringerla a fare qualcosa che non voleva.
Così l'uomo si voltò e dopo aver annuito se ne
andò lasciandola sola. Johanna si
sedette sul letto e sospirò. Si guardò intorno
senza capire come si stesse
sentendo lì dentro. Era tutto così assurdo!
Il
letto era molto
comodo, ma prima che la catturasse con la sua morbidezza, decise di
alzarsi e
iniziare a sistemare le cose che c'erano nella valigia.
" Ville."- disse Jesse appena vide il fratello che scendeva gli
ultimi scalini.
" Jesse."
Ville sapeva di dovergli
delle spiegazioni, ma
non sapeva da dove iniziare.
" Quindi lei è tua figlia."- non era una domanda, ma
un'affermazione,
il semplice modo che Jesse trovò per iniziare quel discorso
che mai in vita sua
si sarebbe immaginato di fare. Non era da tutti i giorni portare a casa
una
ragazzina che per giunta era parte integrante della famiglia e che
così di
punto in bianco sarebbe diventata la residente fissa di quella casa.
" E di Marika."- aggiunse Ville, come se quello fosse il dettaglio
più importante.
"Si
può sapere
come hai intenzione di crescerla?"- chiese Jesse con un tono di
rimprovero.
"
Ce la
farò!"- esclamò lui togliendosi la giacca e
facendola cadere sbadatamente
sul divano. Jesse nel frattempo, come un mastino gli andava dietro.
" No che non ce la farai! Hai vissuto per sedici anni senza sapere di
avere una figlia..e adesso l'hai portata qui ad Helsinki lontano da
tutto e
tutti quelli che conosceva così di colpo. Lei ha bisogno di
una figura
femminile!"
Ville restò sorpreso da quelle parole, anche se era
cosciente di doversele
aspettare. Non aveva pensato alle conseguenze di quelle sue scelte. Lui
aveva
seguito il suo istinto e per un momento si era imposto di non dare
ascolto alla
sua parte più razionale. Non riusciva ancora a capire se
volesse per davvero
fare il padre, o facesse tutto per Marika. Si sentiva in colpa e allo
stesso
tempo in preda al
panico.
"
C'è Hanna."-
disse poco convinto.
" Almeno lei lo sa?"- chiese Jesse con fare inquisitorio in piedi e a
braccia conserte guardando Ville seduto sul divano con la faccia
nascosta tra
le mani. A quelle parole Ville lo guardò e
deglutì.
" Ecco, io non.."
" Cosa? Non le hai detto niente di Johanna?!"- esclamò
scioccato
Jesse portandosi una mano sulla fronte.
" No, a dire la verità, non sa nulla nemmeno di Marika.."- Ville abbassò
lo sguardo e con questo anche
il tono della voce.
Jesse sbarrò gli occhi.
"
Ville io
proprio non ti capisco!"- disse sbuffando.
" Abbi fiducia in me fratellino!"- rispose Ville cercando di
sorridere.
Jesse proprio non capiva le scelte di suo fratello. Ville voleva fare
il padre,
quando non riusciva a essere nemmeno un buon compagno? Decisamente non
capiva.
Johanna era davvero
stanca, voleva buttarsi sul letto e dormire profondamente, ma lasciare
l'album
fotografico e la foto di Marika e Ville così in bella vista
non le andava a
genio. Magari Ville mentre lei dormiva entrava nella sua stanza e "
scopriva" tutto.
Tirò
giù dallo scaffale accanto al letto uno dei
libri di Ville. Prese la copertina e la mise sull'album così
da farlo sembrare
un libro e lo ripose con cura nello scaffale insieme agli altri, mentre
quella
foto solitaria la mise dentro la fodera del cuscino con l'intenzione di
tenere
sua madre accanto a lei quando dormiva. Si
cambiò e scivolò sotto le lenzuola che avevano
tutto un altro profumo da quello
che ricordava. Si
voltò verso la
portafinestra e rimase ad osservare la luna. Era un piccolo spicchio
candido
che brillava nell’oscurità.
Poi
guardò il soffitto completamente bianco, non
come quello della sua vecchia camera dipinto di verde chiaro con
l'aggiunta di
qualche disegno, opera di sua madre. Ormai doveva arrendersi, non era
più a New
York!
Prese
la fotocamera da sopra il comodino e
riguardò le foto che aveva scattato quella mattina alla sua
stanza. Già le
mancava tutto.
Chiuse
gli occhi e provò ad immaginare di essere
ancora in quella stanza addormentandosi con l'idea che seppure era
così
distante, Jackie, Duncan e Daphne erano molto più vicini di
quanto pensasse.
Erano nel suo cuore.
Qualunque cosa Ville facesse
non riusciva a prendere sonno. Si rigirava e rigirava nel letto
assumendo
diverse posizioni per sentirsi più comodo e provò
a svuotare la testa
immergendosi nel buio completo che le sue palpebre così ben
serrate formavano.
Si era quasi completamente attorcigliato con le lenzuola e visti i
continui e
opprimenti fastidi, decise di alzarsi. Indossò la maglia a
maniche corte assicurandosi
di uscire dalla stanza senza essere nudo. Ormai doveva iniziare a
prendere
abitudini diverse. Scandalizzare sua figlia era l'ultima cosa che
voleva fare.
Uscì
dalla camera e attraversò il corridoio,
ritrovandosi davanti alla porta chiusa della camera che ormai era di
Johanna.
Era così strano pensare che da quel momento non sarebbe
stato più solo in casa.
Da
quando aveva comprato quella casa era sempre stato
abituato a vivere come un lupo solitario, sapendo che le donne che
passavano
nella sua vita non si sarebbero trattenute a lungo lì con
lui. Adesso, invece,
tutto sarebbe cambiato. Johanna non sarebbe andata via e lui avrebbe
cercato di
fare in modo che la ragazza non provasse questo desiderio. Ad ogni ora
che
passava, in lui nasceva la convinzione di diventare un buon padre e che
avrebbe
fatto di tutto per assicurarsi che Johanna stesse bene. Forse era
troppo presto
pensare tutto in una sola volta, ma Ville era così:
impulsivo, impaziente e
perfezionista come pochi e complicarsi la vita analizzando
grossolanamente
tutto il problema senza dividerlo in punti e pensarci poco alla volta.
Si
avvicinò alla porta e la aprì di poco senza fare
rumore. Johanna era
completamente imprigionata fra le braccia di Morfeo. Sorrise dolcemente
vedendola così rilassata e pian piano chiuse di nuovo la
porta.
Scese
in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e poi
si diresse in cima alla torre andando a sedersi nella terrazza.
La
luna ormai era alta in cielo ed erano poche
le stelle che si vedevano intorno. Faceva
abbastanza freddo fuori per essere Ottobre, ma Ville come al solito
affrontava
il freddo senza coprirsi bene. Lasciò che la frescura
facesse rabbrividire la
sua pelle bianca e lì aspettò che il suo animo si
calmasse.
Appena
il sole fu
abbastanza alto in cielo Ville scese giù per prepararsi la
colazione. Era
rimasto nel terrazzo a lungo a congelarsi senza dormire quel tanto che
gli
sarebbe bastato per non sbadigliare così rumorosamente. Quando
sbirciò
nel frigo rimase deluso nel trovarlo vuoto. E a quel punto decise che
sarebbero
andati a fare colazione fuori.
Nel
frattempo Johanna
era pronta per scendere anche se non voleva farlo. Si sentiva molto
imbarazzata
e non aveva la minima idea di come si sarebbe svolta quella giornata. Inoltre
non
sapeva come comportarsi una volta visto Ville.
Armandosi
di tutto il coraggio che aveva scese
le scale e trovò un Ville occupato a leggere lo schermo del
portatile seduto
comodamente in cucina.
"Buongiorno.."-
disse con un tono
neutro.
Ville
alzò lo sguardo e ricambiò sorridendo.
Si
sedette anche lei ad una delle sedie
sentendosi in soggezione a stare in piedi al centro della stanza.
Ville continuava
a leggere e Johanna si chiedeva cosa ci
fosse di tanto interessante.
"
Hai fame?"- chiese
Ville continuando a tenere gli occhi
sullo schermo.
"Abbastanza."-
rispose lei continuando
a guardarlo.
"
Ottimo, andremo a mangiare fuori e poi
sceglierai che scuola frequentare."
Era
appena arrivata e già doveva pensare alla
scuola? Quindi era questo quello che Ville stava facendo al computer?
"
Fantastico!"- rispose sarcastica.
"
Jesse
ti accompagnerà a vedere la scuola. Io non posso farlo
perché ho le
prove con gli altri."
Johanna
ci rimase un po’ male. Insomma era
compito suo?
"
Immaginavo.."
"Hai detto
qualcosa?"- chiese Ville confuso. Johanna
non si era resa conto di aver dato voce
sospirando ai suoi pensieri, ma sembrava che Ville non avesse capito.
Per
fortuna!
" Cos’è senti le voci?"- chiese lei
facendo finta di niente.- "..deve essere
l’età."-concluse sospirando,
precedendolo verso la porta.
VALS, IL RITORNO!
Ebbene
sì, so tornata u.u! Un pò in ritardo, ma alla
fine il quarto capitolo è arrivato! Avete visto? I due si
sono ritrovati xD
Beh
che ve pare? Se pò fà ancora? Fatemelo sapere
<3 xD
Insomma
è tutto abbastanza strano, me ne rendo conto, ma voi abbiate
fiducia in Ville, che alla fine ci porterà tutte sulla
cattiva strada xD
Povero
Jesse..ormai non ci capisce più niente xD! E anche povero
Ville! Ce l'hanno tutti con lui xD!
Ci
vediamo alla prossima dolcezze
Vals
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Dear Father
Capitolo
5
Johanna,
appena uscì
fuori, la prima cosa che fece fu voltarsi e alzare lo sguardo verso la
torre.
Sebbene si sentisse ancora spaesata e per niente sicura al fianco di
Ville, non
riusciva a credere di aver passato la notte lì dentro.
Insomma, era o no una
grande fan?
Era
pronta ad aprire
il cancello, quando si accorse che Ville era sparito. Possibile che lo
perdesse
di vista così facilmente? Diede la colpa a quella momentanea
euforia che aveva
provveduto per qualche secondo a cancellare il senso di angoscia che
portava
dentro. Era pronta a tornare dentro casa per cercare Ville, quando lui
ritornò
portando qualcosa con sé.
"
Andremo in
bici."- disse lui con un gran sorriso e con al suo fianco la
bicicletta,
la stessa che secondo Johanna aveva fatto la sua comparsa nel video "
Scared to Death".
"
Davvero?"- chiese sorpresa.
"
Hai
qualcosa
in contrario alle bici?"- chiese lui fermandosi, ma con il sorriso
sempre
in bella vista. Non sembrava forzato come gli ultimi che le aveva
riservato, ma
non era nemmeno così spontaneo da farla sorridere. Era
tuttavia un sorriso che
la convinse a non essere così scontrosa come aveva
programmato. Doveva iniziare
a darsi una calmata, perché in fondo era suo padre anche se
lei si ostinava a
non volerlo accettare, o meglio, non del tutto.
"Assolutamente
niente, però..ehm.. andare
in bici con te è tutta un’altra cosa.."- disse
timidamente. Era in
imbarazzo avendo detto quella piccola verità che cercava di
tenere
nascosta, ma quella
frase le era venuta
fuori spontaneamente e non era riuscita a fare marcia indietro in tempo.
"In
che senso?"- chiese Ville
sorridendole, divertito. Voleva farle ammettere che da fan qual era,
adorava il
trattamento riservato, ma non ci riuscì. Johanna era pur
sempre testarda come
lui e di certo non si sarebbe spinta al di là dei commenti e
non avrebbe
aggiunto nulla che potesse lusingarlo.
"Niente,
lascia stare."- disse lei con
noncuranza avvicinandosi.
Johanna
sapeva che se non fosse morta in quel
momento avrebbe ottenuto direttamente l'immortalità. Erano
tutti lì e lei era
sicura di aver perso non solo la voce, ma anche l'ossigeno. Lei era
quel tipo
di fan che sentiva gli HIM come una famiglia, lontana dunque dalle
forme di
apparenza che di solito vincolavano i fan passeggeri, quelli che si
legavano
più che altro all'aspetto fisico e alla bellezza del
cantante di turno senza
apprezzare gli altri componenti, non comprendendo che tutta quella
magia
esisteva soprattutto grazie a loro.
"
Così è lei
Johanna?"- chiese Migé sorridendo appena Ville e la ragazza
varcarono la
soglia della sala di registrazione. Gli altri si avvicinarono
sorridendole.
Sapevano
già il suo
nome?
Johanna
dentro di sé stava facendo i salti di
gioia e ricambiò il sorriso, con uno raggiante che a Ville
ricordava tanto
quello di Marika. Per
la prima volta la vedeva
sorridere in maniera sincera e non di circostanza come faceva con lui.
Migé
passò lo sguardo da Ville a Johanna,
meravigliandosi anche lui della grande somiglianza.
"
Io sono Migé."- disse presentandosi
e porgendo la mano alla ragazza la quale l'afferrò restando
imbambolata. Non
riusciva a credere ai suoi occhi!
"
Lo so! Cioè..voglio
dire.. piacere, Johanna."- disse imbarazzata.
Migé
sorrise divertito, mentre gli altri la
salutarono a turno.
"
Quindi è lei la nuova fiamma di
Ville?"- chiese Seppo entrando nella stanza, abbastanza scocciato.
Johanna
si voltò verso di lui scandalizzata.
A
quanto pare Seppo doveva essere l'unico in
quella stanza a non sapere nulla del fatto che Ville avesse una figlia.
"
Seppo, ma di cosa stai parlando?!"-
chiese Ville confuso.
"
Di questo."- disse l'uomo porgendo a
Ville un giornale sulla cui copertina c’erano delle foto che
li ritraevano
all’esterno dell’aeroporto.
"
A quanto pare stavolta te la sei scelta
davvero giovane. E Hanna? Te la sei giocata?"- continuò
studiando la
ragazzina. Ville alzò di scatto gli occhi verso Seppo, con
l'aria di uno che da
un momento all'altro avrebbe scatenato una guerra, ma solo ed
esclusivamente
contro Seppo. Non accettava un simile
atteggiamento soprattutto nei confronti di sua figlia. Ad ogni ora che
passava
Johanna penetrava gradualmente nel suo cuore, anche se allo stesso
tempo aumentava
il timore di non essere in grado di farla stare bene. E di certo il comportamento schivo e quasi
antipatico della
ragazza, non aiutava a pensare in positivo.
"
No, non è come pensi.."- disse
Johanna timida anticipando le mosse di Ville.
Seppo
alzò
un sopracciglio. Non di certo le aveva creduto. A quel punto Johanna
cercò con
lo sguardo l'aiuto di Ville.
"
Johanna è la figlia di Ville.”- concluse
Migé bloccando la furia di Ville.
"
Che cosa?"- chiese Seppo
scandalizzato.- " Ville, si può sapere cosa.."
Ma
non riuscì ad
andare avanti, perché lo shock gli tolse le ultime parole
dalla bocca. Nel
frattempo Gas e Linde guardavano il giornale, mentre Ville si era
avvicinato a
Johanna con l'intenzione di proteggerla.
"
Sì..è così"-
disse Ville tranquillo, decidendo di essere
educato.- " ma la gente farsi i fatti suoi, mai? Fortuna che ti sei
coperta il viso."- disse rivolto a Johanna decisamente imbarazzata. Lei era andata lì
per conoscere i suoi idoli,
non per essere oggetto di scandalo! Si sentiva completamente indifesa.
L'unica
cosa che in quel momento la fece sentire meno agitata fu il sorriso di
Burton e
Gas che iniziarono a distrarla chiedendole se era contenta di trovarsi
lì e
quali fossero le sue canzoni preferite.
Seppo,
nel frattempo, la stava studiando
dall’alto al basso. Ville padre? Già pensava a
tutte le situazioni che avrebbe
dovuto risolvere.
Ville
fece cenno a
Seppo di tacere, nonostante quest'ultimo non aveva ancora parlato. Il
finnico
sapeva perfettamente che il suo manager avrebbe voluto sapere vita,
morte e
miracoli, ma prima doveva chiamare Jesse e poi, se si sentiva in vena,
avrebbe
parlato con lui.
"
Jesse?
Potresti accompagnare Johanna ad iscriversi a scuola?"
"
Di già?"-
chiese lui confuso dall'altro capo del
telefono.
"
Beh oggi è
giovedì. Almeno da lunedì può
cominciare, no?"
"
E va bene.."-
disse sospirando Jesse.
"
Grazie."
Ville
chiuse la
telefonata e guardò Seppo il quale si era già
rassegnato. Sapeva che Ville era
cocciuto e che sarebbe stato inutile discutere con lui, ma almeno
parlando civilmente,
come sperava vivamente che accadesse, avrebbe capito qualcosa in
più di quella
situazione.
"
Ville possiamo parlare?"- chiese,
infine, con il suo solito tono
professionale.
Ville
lo seguì fuori dalla sala, mentre Johanna
stava continuando a chiacchierare lasciandosi andare man mano che
passavano i
minuti.
Ville
si appoggiò scocciato al muro del
corridoio aspettando che Seppo si richiudesse la porta alle spalle.
Possibile
che nessuno volesse lasciarlo in pace? Che cosa aveva fatto di male?
Non aveva
mica rubato! Aveva solo preso con sé una figlia ritrovata e
che forse senza la
morte di Marika, non l'avrebbe nemmeno conosciuta.
"Quindi
lei è tua figlia.."- disse guardandolo.
Ville
annuì convinto. Era strano sentire quella
frase detta ad alta voce e sapeva che non si sarebbe abituato
facilmente.
"
Ville, per favore, spiegami. Come mai non
ne sapevo niente?"- chiese guardandolo deciso.
"
Non ne sapevo niente nemmeno io!"-
esclamò Ville.
"
Quindi tu mi stai dicendo che ti
prenderai cura di tua figlia, di cui non sapevi neanche
l’esistenza?!"-
chiese Seppo guardandolo a bocca aperta.
"Esatto."-
disse Ville scrocchiandosi
le dita. Il suo tono di voce sereno e pacato faceva pensare che lui
tenesse in
mano l'intera situazione, ma invece non era così. Aveva
semplicemente indossato
la solita maschera da indifferente che utilizzava nei momenti di panico
e
paura.
"
Perché lo fai?"- chiese Seppo
all'improvviso, dando voce ai timori e interrogativi di Ville.-
"insomma
perché dopo tutti questi anni hai deciso di portarla
all’improvviso ad Helsinki?"
"Ho
dovuto farlo, la madre è morta."-
rispose secco Ville.
Seppo
restò per qualche minuto in silenzio.
" Mi
dispiace. Non aveva parenti? Ville neanche la conosci. Non sarebbe
stato meglio
aspettare e instaurare un rapporto invece di cambiare radicalmente la
sua
vita?"
"
Marika voleva che me ne prendessi cura
io."
Marika.
Seppo non aveva mai sentito nominare da
parte di Valo quel nome. Aveva una memoria perfetta, memorizzava ogni
tipo di
dettaglio, ogni minimo evento e schedava mentalmente anche le varie
conoscenze
non solo di Ville, ma di tutta la band. Tra i vari nomi che ricordava,
però,
non gli era mai parso di sentire quel nome. Però se Ville
stava facendo tutto
questo perché lo voleva Marika, significava che per lui, lei
era stata
importante.
"Almeno
sai qualcosa di lei? Sai altro
oltre al nome?"
Quella
domanda fu una ulteriore spinta verso
l'abisso. A pensarci bene, Ville non sapeva praticamente niente di
Johanna,
neanche quale fosse il giorno del suo compleanno. Aveva provato a
sbirciare nei
documenti al momento dell’imbarco, ma il suo tentativo era
miseramente fallito.
"
A questo porrò un rimedio in questi
giorni."- disse oltrepassandolo per rientrare nella sala.
Seppo
lo fermò prima che potesse abbassare la maniglia.
"
E Hanna?"- chiese
fissandolo negli occhi.
"
A lei penserò dopo."- rispose
Ville rientrando finalmente.
"
Posso chiamarti Jo?"- chiese
Ville mentre stavano uscendo
dall'edificio. Le prove stranamente erano durate poco rispetto alla
normalità.
Ville era puntiglioso e perfezionista e riusciva in pochi istanti a
portare
sull'orlo della crisi isterica chiunque lavorasse al sui fianco; ma
quel giorno
tutto era stato diverso, con grande perplessità dei suoi
compari. Era stato
Migé a far notare a Ville la sua sbadataggine e prima che i
disastri potessero
aumentare smisero. I troppi pensieri riuscivano a fare anche questo e
Ville si
era rassegnato.
"
No! Chiamami Johanna."- rispose
categorica.
"
Perché? Non ti piace Jo?"- chiese
Ville sorridendo.
"
Non voglio che gli altri mi
chiamino Jo."- rispose
risoluta.
"
Tua madre ti chiamava così, vero?"-
chiese con calma Ville addolcendosi per un momento. Johanna
annuì malinconica.
"
Allora? Hai già deciso quale scuola
frequentare?"- chiese
il finnico
ponendo fine al silenzio imbarazzante che si era formato. Johanna e
Jesse erano
scomparsi per quasi tutto il pomeriggio e lui era curioso di sapere
cosa
avessero combinato. Johanna gli fece vedere il modulo.
"
Sei nata a dicembre?"- chiese Ville
sorpreso mentre leggeva. Era uno dei suoi mesi preferiti. Portava con
sé un
grande gelo e la neve scendeva dal cielo insistentemente e senza
chiedere il
permesso, sporcando e decorando tutto ciò che trovava al suo
passaggio. A lui
piaceva l'atmosfera che si veniva a creare; gli permetteva di
concentrasi
meglio sui testi che scriveva.
"
Sì, il venti."- disse lei
timidamente. Era ancora molto imbarazzata, ma il fatto che Ville si
sforzasse
di essere gentile con lei la faceva sentire meglio.
"
Quindi dovremo festeggiare!"- e al
solo pensiero Ville non sapeva da dove cominciare.
"
No, non ce n'è bisogno!"- rispose
Johanna decisa.
Ville
restò in silenzio per il resto del tempo,
cercando di memorizzare ogni dettaglio che gli sarebbe potuto servire
leggendo
i dati di Johanna.
"
Vuoi frequentare il corso di
canto?"- chiese
quando sul modulo
vide la crocetta nel riquadro.
"Si..ehm..è
un corso facile."- disse
lei giustificandosi.
Interessante.
Ville aveva appena scoperto che
anche sua figlia poteva avere del talento e questo non poté
che fargli piacere.
"Serve
la firma del genitore per questo ti
ho portato il modulo."- disse Johanna indicandogli lo spazio apposito
nell'altra pagina. - " Jesse voleva firmare al tuo posto."- gli disse
ricordando la scena esilarante e l'occhiataccia che il ragazzo si era
beccato.
Per lei era ancora difficile chiamarlo zio. A pensarci bene, per lei
era ancora
tutto difficile nonostante si sforzasse di apparire serena.
"
Oh. Beh non mi sorprende. Devi sapere che
hai uno zio scemo di natura."- disse Ville sorridendo e facendo
sorridere
anche lei.
Ville
si accertò di persona che l'iscrizione
andasse in porto e le varie pratiche portarono via molto tempo.
Sì era fatto
tardi ed entrambi avevano bisogno di mangiare. I ristoranti stavano
cominciando
a riempirsi sempre di più. Le famiglie tornavano a casa,
mentre per le strade
camminavano tanti ragazzi di tutte le età. Johanna si
guardava intorno
osservando ogni minimo particolare. Helsinki di sera era davvero bella!
"
Che ne dici se andiamo a cenare?"-
chiese Ville.
" Va
bene."- rispose Johanna distogliendo lo sguardo dalle luci.
Entrarono
in una pizzeria e Ville sperò con
tutto il cuore che quello diventasse l'inizio di una loro conversazione
più
lunga.
"
Allora come va la missione?"- chiese
Migé. Aveva accompagnato Ville a fare la spesa, non
perché volesse aiutarlo,
quanto piuttosto conoscere al dettaglio quello che stava combinando. Il
fatto
che in quei giorni si dilettasse a fare il padre lo divertiva e allo
stesso
tempo lo preoccupava, ma a differenza degli altri, non gli fece pesare
la cosa
né tanto meno farlo sentire uno schifo più di
quanto già non si sentisse.
"
Non benissimo. E' ancora all'inizio, ma è
già tanto che abbia cambiato tono di voce. E' molto timida.
Non so se sia per
via del fatto che abita con il suo idolo o che non riesca a sopportare
l'idea
che gli sia padre. Insomma mi comporterei così anche io.."
"
Ehi! Tu che ne sapevi?"- disse Migé
passandogli una mano sulla spalla.- " tu non sapevi nulla e
c'è una bella
differenza fra un padre che sapeva e non agisce e un padre che non
sapeva e
agisce."
Quelle
parole riuscirono a rincuorare Ville che
annuì sorridendo.
"
Sono sicuro che le cose andranno bene. E
con il tempo Johanna si aprirà."
"Spero
che lo faccia al più presto."
"
E' molto simile a te, anzi identica anche
nei modi. Ci hai messo passione."- concluse Migé
ridacchiando.
"
Smettila!"- esclamò Ville ridendo.
"
Sai almeno cosa mangia? Non puoi comprare
le schifezze che mangi tu."
"
Tranquillo ho tutto sotto
controllo."- disse Ville esasperato.
"
Ok."- disse Migé alzando le mani in segno di resa.
"
Spero che quella ragazza sopravviva
con.."- prese in
mano una delle
confezioni nel carrello. - " che cos'è questo..?"- chiese con un espressione
scioccata e
disgustata. Migé non condivideva le scelte vegetariane
dell'amico.
"
Io non ho intenzione di cucinare della
carne!"- disse Ville deciso.
"
Se non lo fai tu vengo a casa tua e lo
faccio io! Cavolo deve mangiare qualcosa di sano! Non so portala da.."
Ville
e Migé si guardarono e in particolare il
primo terrorizzato esclamò: " i miei genitori!"
E
ora chi glielo spiegava ad Anita che era
diventata nonna? E a Kari? Kari nonno?
"
Ops."- disse Migé cercando di
nascondere il divertimento dal suo viso. Ville, invece, si
portò una mano sulla
fronte, decisamente preoccupato. Non aveva messo in programma questo
piccolo
dettaglio.
"
A volte dimentico di avere dei
genitori.."- disse sospirando guardando Migé e poi il vuoto.
VALS, LA VENDETTA u.u:
Saaaaalve
amiche (?)
Mi
sembrava giusto aggiornare visto che non sto facendo un cacchio e sono
ad un passo dal pettinare i cani u.u! Ditelo che vi era mancata Johanna
e la sua simpatia *o* xD!
Mmh
idee su quale possa essere la reazione dei signori Valo?
Sono
aperte le scomesse! Chi indovina, vince un viaggio in Finlandia, con
soggiorno direttamente nella torre villica u.u
Avete
notato gli istinti omicida di Ville? Non toccategli Johanna altrimenti
vi ammazza tutte quante xD!
Grazie
come sempre a tutte le donzelle che seguono Johanna e compagnia bella e
che mi fanno sapere cosa ne pensano! E ringrazio anche i fantasmini che
fanno swiiiish (?)!! Spero che qualche giorno vi facciate sentire anche
voi..tanto io non ammazzo nessuno..semmai trasmetto un pò di
pazzia..per il resto..tutta normalità xD
Alla
prossima tonne <3!
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Dear Father
Capitolo
6
" Non ci pensare nemmeno!"- disse Jesse
allontanandosi, capendo subito che il fratello voleva dargli l'incarico
di ambasciatore.- "assumiti
le tue responsabilità!"
"
Non ti chiedo di dirglielo, ma almeno
aiutami!"- lo supplicò Ville.
"Va
bene!"- sbuffò Jesse, cedendo.-
" domani sera portiamo Johanna da mamma e papà. Ok?"
"
Grazie fratellino!"-
esclamò Ville abbracciandolo.
"
Smettila! Mi stai soffocando!"- urlò Jesse cercando di
divincolarsi dalla stretta mortale.
"
Johanna dov'è?"
"
E' di sopra. Come al solito è chiusa in camera sua."-
disse Ville malinconico.
"
La porto a fare un giro con me."- disse Jesse.- "
deve iniziare ad apprezzare il lato più oscuro della
famiglia Valo. E tu a
quanto pare non sei di compagnia stasera."- indicò i fogli
sulla tavola.
Ville
abbozzò un sorriso e disse: " l'ispirazione è
ispirazione."
" Certo. Beh chiama Johanna."
Ville
salutò i due e tornò
dentro
deciso a prendersi cura almeno per due minuti della sua musa. I
pensieri
vorticavano pericolosamente nella sua testa e aveva paura che potessero
giocarli un brutto scherzo. Forse era meglio leggere un libro. Ancora prima di uscire dal
salotto, il
campanello suonò. Andò ad aprire ritrovandosi di
fronte ad una ragazza
abbastanza alta e magra. I capelli lunghi e mossi erano sciolti sulle
spalle ed
indossava un vestito nero corto. Hanna.
La
salutò
con un bacio.
"
Allora era tutto vero! Sei tornato e non
mi hai detto niente!"- cominciò lei avvicinandosi in modo
minaccioso.-
" e quella che ti sei portato da New York? Dov’è
adesso? Voglio
vederla!"- disse lei precedendolo verso l’entrata.
"
Hanna calmati! Non è come pensi!"-
disse lui calmo.
"
No?!? Allora com’è Ville?"
"
Siediti e ti spiego tutto con
calma.."- disse lui sedendosi sul divano. Lei restò per un
attimo in piedi
e poi cedette sedendosi vicina.
Una
volta seduti, Ville sospirando iniziò a
raccontare.
"
Vedi,
anni fa, prima ancora di diventare famoso.."
Lei
attenta ascoltava tutto rapita.
"
Sei andato a New York per il funerale di
questa Marika?"- chiese Hanna alla fine, arrabbiata per il fatto che
non
ne sapeva nulla.
"
Sì, è proprio a New York, ho scoperto che
Marika aveva una figlia, Johanna.” Concluse Ville piano.
Hanna lo fissò a
lungo, come se davanti a lei ci fosse un fantasma.
"
Quindi quella nel giornale è tua
figlia?"- chiese lei con la voce rotta.
Ville
annuì.
Hanna
si prese il viso tra le mani. Non riusciva
a crederci, l’uomo che amava aveva una figlia.
"
Perché non l’hai lasciata con quella
Jackie?"- chiese d’un tratto.
"
Perché Marika voleva che me ne prendessi
cura io.."- rispose Ville d’istinto. Ormai era questa la
frase che
rifilava a tutti.
"
Per te lei era così
importante?"- chiese
Hanna che
ormai aveva gli occhi lucidi.
"
Devo assumermi le mie
responsabilità."- disse l'uomo distogliendo lo sguardo.
"
Ville rispondi."- disse alzandosi
dal divano.- " Marika era importante per te?"- chiese quasi urlando,
prendendogli il viso tra le mani. Ville non poteva negarlo, non
l'avrebbe mai
fatto. Marika era stata la sua donna.
E probabilmente lo sarebbe stata ancora se non avesse deciso di farlo
soffrire
lasciandolo.
"
Sì Hanna, lei è importante
per me."- disse
guardandola negli occhi.
Delle
lacrime cominciarono a scendere lungo il
viso della ragazza. La cosa che avrebbe fatto male a qualsiasi donna
era sentirsi
dire dall'uomo che amava quel " è" riferito ad un amore
passato.
"
Però ora sto con te."- disse Ville
serio, capendo il motivo di quella tristezza. Ciò che aveva
detto, però, era la
verità. Lui aveva sempre pensato a Marika. Aveva provato ad
andare avanti
sapendo che non avrebbe trovato nessun rimedio alla morte, facendo
così tornare
in vita Marika. Poteva solo fare quello che gli aveva chiesto:
prendersi cura
di Johanna.
Ville
si avvicinò ad Hanna e asciugandole con il dorso della mano
le lacrime,
la baciò. Stava fingendo, si sentiva
un grande attore. Quel bacio non serviva, ma voleva farle credere
ciò che le
aveva detto.
Non
importava che lui l’amasse o meno, lui stava
con lei, questa era la realtà.
La
fece sedere sul divano e continuò a baciarla.
Lei
fece scorrere le mani sul suo petto finendo
per togliergli la maglia che finì sul pavimento.
Per
rendere la scena perfetta, Ville avrebbe
dovuto sussurrarle un " ti amo", ma non era capace di fingere fino a
quel punto. Presi dalla situazione, non si erano neanche accorti del
rumore del
cancello che si apriva, della macchina che si parcheggiava, della
chiave che
girava nella serratura della porta d’ingresso e tantomeno dei
passi che li
raggiungevano.
Jesse
infatti aveva un telecomando per aprire il
cancello e le chiavi di casa.
Ville
e Hanna sentirono qualcuno che tossiva e
finalmente si staccarono l’uno dall’altra.
Jesse
si era ormai abituato a certe scene con Ville e poi aveva fatto
l’abitudine anche alla presenza di Hanna . Però
ogni volta che la vedeva la
rabbia s’impadroniva di lui perché non le piaceva.
Johanna
si nascose dietro di lui, scioccata,
imbarazzata ma soprattutto delusa. Avrebbe voluto tanto
scappare via e
fare come se nulla fosse, ma non poteva. Hanna si alzò dal
divano imbarazzata
aggiustandosi il vestito.
Ville
cercò la maglia e una volta raccolta la
indossò con nonchalance.
"
Si è fatto tardi, devo andare."-
disse Hanna, lasciando un bacio sulla guancia a Ville che rimase
immobile
continuando a guardare quel poco che intravedeva della figura di
Johanna dietro
a Jesse.
Hanna
salutò Jesse con un sorriso, che non fu
ricambiato e diede uno sguardo a Johanna che puntualmente si era girata
dall’altra parte, e poi uscì lasciando quei tre da
soli.
Nuova
pessima mossa, Valo.
Jesse
guardò Ville
con rimprovero. Nonostante non fosse un grandissimo esperto in materia,
sapeva
che quelli non erano i comportamenti adatti da usare in presenza di
altri,
specie se per altri si intendevano dei figli. Voleva fargli capire che
era padre,
anche se Ville sembrava incapace di ficcarselo nella testa, e che non
si poteva
più permettere certe cose quando nell'altra stanza c'era una
minorenne.
Ville
sostenne il suo sguardo, senza parlare.
Non era necessario farlo; a volte gli sguardi erano molto
più efficaci di
parole superflue. Di sfuggita gettò poi qualche sguardo a
Johanna, sul cui
volto si era dipinta un 'espressione di disgusto mista alla delusione e
in tale
delusione gli sembrava di vedere Marika.
Avvertì
un duro colpo
al cuore e più che mai in quel momento sentì la
necessità di tornare indietro
di qualche minuto per evitare quell'errore, ma non era possibile e
l'unica via
di fuga era il seppellimento immediato nell'imbarazzo e nella vergogna.
Che gli
era saltato in mente? E ora sua figlia cosa pensava di lui? Sicuramente
non
pensava a qualcosa di positivo.
"
Ho sonno. Vado
a letto. Buonanotte."
Il
tono freddo con
cui Johanna proferì quelle parole la diceva lunga e
rispondeva esattamente alla
domanda che Ville si era appena posto. Aveva peggiorato le cose ancora
prima di
sistemarle. Lo superò senza guardarlo, con aria severa e
arrabbiata. Ville la
guardò disarmato, facendo un passo incerto verso le scale,
guardando la
ragazzina scomparire alla velocità della luce. In lontananza
sentì la porta
sbattere con grande violenza e nello stesso istante tornò a
guardare Jesse che
fissò suo fratello con un pizzico di dispiacere negli occhi.
"
Non voglio la
tua compassione."- precisò bruscamente Ville
allontanandosi.- " me lo
sono meritato, perché lo sappiamo fin troppo bene tutti
quanti che sono un
coglione.."
"
Ville.."
"
Che non sono
bravo a fare il padre e che mai ci riuscirò.."
"
Ville!"-
Jesse alzò di poco la voce per far tacere la litania che
Ville aveva appena
iniziato. Ville si fermò e lo guardò attendendo
il suo comunicato stampa. Si
stava aspettando di tutto, ma il sorriso che si stampò sul
volto di Jesse era
rassicurante e questo lo distolse dalla voglia di gettarsi nel fosso.
"
Perché parti
subito in quarta? Sono tuo fratello e mi preoccupo per te. A volte devo
rimproverarti, non posso far finta che quello che fai sia giusto, ma
questo non
vuol dire che io voglia ammazzarti."
Ville
si calmò e si
passò una mano fra i capelli.
"
Stai
tranquillo. Le passerà subito. Devi capirla: lei
è comunque una tua fan oltre
che del resto della band ed è una ragazza. Lo sai come sono
fatte le ragazze.
Non sopportano che i propri idoli hanno delle fidanzate, specie se
queste sono
insipide, stucchevoli e stupide come Hanna. Beh pensandoci..non posso
che dare
ragione a Johanna."
Ville
sorrise
divertito notando l'espressione disgustata di Jesse.
"
Proprio che
non riesci a fartela piacere, eh?"
Jesse
fece un cenno
di diniego. Ville scosse la testa continuando a sorridere.
“Cazzo,
Ville! Non
puoi continuare a farla soffrire!” - disse Jesse ad un tratto
in sussurro
sedendosi.
Ville
alzò un sopracciglio confuso.
Non riusciva a capire cosa intendesse o a chi
si riferisse. Jesse guardò suo fratello e sospirò.
“Ho
parlato con Johanna. Non puoi neanche
immaginare quanto abbia sofferto.” guardò Ville
dritto negli occhi, ma senza
dimostrare rabbia.- " fin da piccola sapeva che Marika se ne sarebbe
andata..poi lei è morta e tu l’hai portata qui e
lei si sente persa. Poi vede
queste scene..e addio mondo.”
Ville
sospirò. Sentiva un enorme peso nel cuore
e cercò di non abbandonarsi alla tristezza totale. Doveva
essere coraggioso e
affrontare tutto quello che c'era da affrontare senza mollare la corda.
Lo
sapeva fin dall'inizio che le cose non sarebbero state positive e che
doveva
aspettarsi di condividere il suo umore nero con simili situazioni.
“Ville,
dovresti
provare a conoscerla, meglio..” - disse Jesse. Poi sorrise e
alzandosi abbracciò
suo fratello come non faceva mai. Ville si lasciò
abbracciare affidandosi a
quelle braccia fraterne di cui aveva bisogno più di ogni
altra cosa. Quando si
districarono dall'abbraccio Jesse chiese: " mi spieghi
cos’è successo con
Hanna?"
Ville
gli spiegò
brevemente ciò che era avvenuto e Jesse annuì
più volte.
“Quindi
suppongo che tra voi non sia
finita..”
“Già..e
tu? Hai detto già qualcosa a mamma e
papà?” chiese Ville.
“
Ho mandato un messaggio alla mamma con scritto
che le avremmo fatto conoscere una persona. Se la chiamavo mi riempiva
di
domande e io non sapevo che risponderle. Odio quando lei fa domande.
Forse era
meglio se parlavo con papà. Lui è diverso."
“E
se anche loro
avessero visto le foto sul giornale?”- chiese preoccupato
Ville portandosi una
mano sul mento. Jesse alzò gli occhi al cielo.
“Ville,
sono abituati a vedere nostre foto,
specialmente le tue, e una in più una in meno non fa
niente!”
“Però
sai, in quelle foto si capisce che è molto
giovane, penseranno male! Ed è la volta buona che mi
cancelleranno all'anagrafe
come loro figlio maggiore.”
“Ville,
basta che ti spieghi! Alla fine non hai
fatto niente di male.”
“Ok,
ma come glielo dico che hanno una nipote di
16 anni? Da dove inizio?” - chiese Ville spalancando la
bocca. Il panico
gradualmente crebbe e una leggera nausea di posò sul suo
stomaco.
“Non
lo so Ville."- disse esasperato Jesse.
-" senti, ho detto che ti avrei aiutato, ma non ho intenzione di
dirglielo
io! Non sarebbe giusto..”
Qualcuno
in quel preciso istante suonò al
cancello terminando la loro discussione.
“Chi
sarà a quest’ora?”- chiese Jesse. Ville
andò
verso il videocitofono vicino alla porta d’ingresso.
Quello
che vide sullo schermo non gli piacque.
I
suoi genitori lo stavano salutando con la
mano.
"
Merda."-
sussurrò a denti stretti completamente disarmato. Nel
frattempo Jesse era
entrato in cucina mostrando una calma e tranquillità assurde.
Ville
deglutì e fece
come se tutto andasse bene e sorridendo aprì il cancello.
“ Jesse! Ci sono
mamma e papà!” - urlò aprendo
anche la porta d’ingresso.
Jesse
si catapultò fuori dalla cucina. Che ci
facevano loro qui?
Ville
uscì andando a braccia aperte verso Anita
e Kari.
“Mamma!
Papà! Che
bella sorpresa!”- esclamò fingendosi calmo.
“Ville
smettila di
fare il finto tonto! Dov’è lei?” -
chiese Anita guardando alle sue spalle.
“Lei..chi?”-
continuò
Ville sbarrando gli occhi, facendoli
sembrare ancora più grandi di quanto già non lo
fossero.
"
Anita..non è
il caso di agitarsi.."- disse Kari esasperato, cercando di calmare sua
moglie, sapendo fin troppo bene che non avrebbe risolto nulla.
“Mamma,
ciao!” - arrivò Jesse abbracciandola.
“
Jesse levati. Fatemela conoscere!” - disse la
donna spostando il figlio.- “Sono
davvero contenta che tu ti sia lasciato con quella Hanna! Anche se
questa
ragazza sembra molto giovane. Sono sicura che ci sarà una
spiegazione, vero?”-
continuò sorridendo rivolta a Ville.
Ville
rise per non piangere. E ora chi cazzo
glielo spiegava quello che era successo?
Kari
scosse la testa
rassegnato. Jesse guardò suo padre e sorrise divertito.
“Vedi,
c’è una spiegazione..ma non è quella
che
pensi tu!” cominciò Ville.
“Andiamo
dentro e ti spiegheremo tutto.”-
proseguì Jesse guardando suo fratello con fare da complice.
Ville gli sorrise
grato.
La
donna li squadrò. Sicuramente stavano
nascondendo qualcosa e il punto era: cosa?
Dopo
un momento di esitazione li seguì
all’interno della casa e aspettò che spiegassero.
"
Qui fa freddo.
Hai i riscaldamenti accesi?"- chiese Kari, che sembrava essere l'unico
a
cui non importava sapere vita, morte e miracoli di questa presunta
nuova
fiamma. Per lui Ville era libero di fare qualsiasi cosa
purché si tenesse nelle
regole. In caso contrario Kari era il primo ad architettare una morte
sicura per
il figlio.
"
Sì,
papà."- rispose il maggiore sorridendo. Kari a quel punto
scrollando le
spalle si sedette sul divano mentre Anita restò in piedi
guardandosi intorno
sempre più curiosa.
“Ok,
ora siediti e rilassati..” - le disse Ville,
mentre Jesse le stava sistemando i cuscini sul divano. La
donna si sedette e guardò attentamente il figlio
maggiore, studiandone il comportamento, lo sguardo e tutto il resto,
per
cercare di capire cosa volessero dirle.
Ville
e Jesse si voltarono a guardare un punto alle
sue spalle e allora Anita, così come Kari, si rese conto che
c’era qualcun
altro nella stanza. Quel qualcun altro stava trattenendo il respiro e
si era
fermato. Curiosa come non mai Anita si voltò con un sorriso
stampato sul volto,
mostrando qualche ruga.
Il
sorriso le si spense appena notò che la
ragazza, avvolta in un vestito bianco leggero e candido, era veramente
giovane.
Kari la guardò incuriosito, ma a differenza di sua moglie
continuò a sorriderle
cordiale.
L'
espressione di Anita, invece, era
dura, ma continuò ad analizzarla,
osservando meglio i lineamenti del viso. Occhi
azzurri,
capelli marroni e il naso che le ricordava quello di un’altra
persona..
Si
voltò verso i figli, che la guardavano
aspettando una sua reazione, e si fissò su Ville.
Poi
tornò a guardare la ragazza.
“Oddio..”
Johanna
si sentiva
davvero a disagio con tutti quegli occhi puntati addosso.
Stava
quasi per indietreggiare, perché voleva
andare via, scappare da loro e andare a rifugiarsi altrove.
"
Mamma..Papà..lei è Johanna."- disse
Ville avvicinandosi alla ragazza. La prese per le spalle e dolcemente
la
trascinò verso Anita.
Johanna
si strinse ancor di più nelle spalle,
facendosi più piccola possibile e si voltò verso
Ville in una disperata ricerca
di conforto.
Invece,
lui in quel momento neanche la guardava
perché era concentrato a studiare la madre. Nei suoi occhi
leggeva
timore..timore di cosa?
Johanna
aggrottò le
sopracciglia e tornò a guardare davanti a lei. Kari ed Anita
continuavano a
passare lo sguardo da lei a Ville, mettendola in soggezione.
Tutto
quel silenzio la angosciava. Diamine,
perché nessuno parlava?
“Ville
Hermanni Valo.”- cominciò Kari rompendo
il silenzio.- “Si può sapere cosa diamine
significa tutto questo?”
Anita
si alzò dal
divano perché non riusciva a stare seduta.
Jesse
arrivò subito dietro di lei pronto a
reggerla. Non si sapeva mai…
Johanna
voleva sprofondare, eppure il tono che
aveva usato Kari stava quasi per farla ridere, per questo si
portò una mano alla
bocca, per trattenersi, facendolo sembrare un gesto nervoso.
“
A questo punto credo che l'avete capito tutti
e due..ormai. Insomma non c’è niente da
spiegare..” - disse Ville.
“Ville
ho capito che lei è tua figlia, non sono
tanto vecchia e rincitrullita! Però spiegami: come mai io e
tuo padre non ne
sapevamo nulla?” - chiese Anita prima di voltarsi di nuovo a
guardare la
ragazza.
“Non è
una bambina! Dov’è stata tutto questo
tempo?” - chiese quasi arrabbiandosi. Kari le si
avvicinò cercando di evitare
che scoppiasse.
Johanna
deglutì cercando nella stanza, qualcosa
che potesse sembrarle interessante, tanto interessante da catturare
tutta la
sua attenzione e farle ignorare la situazione.
“Ti
ricordi Marika?” - chiese infine Ville,
catturando l’attenzione di tutti.
Anita
ci pensò un attimo e poi capì.
Spalancò
leggermente la bocca.
“Marika..e come se
me la ricordo! Era un
amore..vero Kari?” chiese continuando a guardare la ragazza.
"
Certo! Era davvero una brava ragazza e
anche molto bella."- rispose Kari annuendo e continuando a sorridere a
Johanna. Quel sorrise le diede fiducia e così
finì per ricambiarlo anche se era
leggermente imbarazzata.
Ville
nel frattempo annuì.
Anita
aveva capito tutto, sapeva di Marika,
sapeva quanto Ville fosse stato male per lei.
Johanna
si sentiva come un manichino, un corpo
senza anima. Le labbra erano troppo attaccate così le
socchiuse leggermente e
passò la lingua per inumidirsele, gesto che faceva
abbastanza spesso
involontariamente.
“Beh,
benvenuta in famiglia!” - disse la donna
spalancando le braccia.
Johanna
sbarrò leggermente gli occhi, sorpresa e
si voltò un attimo a guardare Ville.
Lui
sorrise. Era un sorriso strano, sereno,
felice e soddisfatto. La lasciò andare e quando le sua mani
abbandonarono le
sue spalle, Johanna sentì quasi freddo su quel tratto,
sensazione che fu
spazzata via appena si sentì stritolare dalle braccia di
Anita e poi da quelle
di Kari.
Sorrise
anche lei. Erano davvero strani, ma le
stavano già simpatici.
Jesse
da dietro le sorrideva dolcemente, sorriso
che fu ricambiato dalla ragazza. Forse non si sarebbe sentita
così spaesata
come aveva pensato.
VALS, IL RITORNO u.u
Sono
tornata finalmente e mi scuso per il ritardo, ma anche da me
c'è la pigrizia e sto lottando con tutte le mie forze per
mandarla via, anche se non credo di essere così brava.
Infatti è ancora qui xD
Cretinate
a parte, che ve ne pare? E' un capitolo fattibile? Lo so, forse dovrei
farlo più lungo, ma per le cose che avrei dovuto dire
sarebbe stato decisamente troppo lungo. L'unica cosa che voglio dirvi
è che dovrete prepararvi psicologicamente per il prossimo.
Magari vi si scioglie il cuore..che ne so xD
Basta,
non parlo più sennò faccio danni xD
Ci
vediamo alla prossima!!!
Vals
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Dear Father
Capitolo
7
L'abbraccio sembrò eterno.
Per Johanna fu come ritrovarsi di nuovo fra le braccia di sua madre e
il fatto
che si fosse sentita a proprio agio, la diceva molto lunga. Anita la
scostò
leggermente, continuando a tenerla per le spalle e sorridendole con una
grande
dolcezza negli occhi, un particolare che a Ville non sfuggì.
" Spero che tu ti sia
portata dietro un
album di foto!"- esclamò allegramente. Johanna
scoppiò in una risata
cristallina.
" Sì, ne ho uno."
Gli
occhi della donna cominciarono a riempirsi
di lacrime mentre la guardavano intensamente.
Johanna, per un attimo, temette di aver fatto qualcosa di
male.
Kari
era vicino ad Anita e la sostenne da dietro
guardandola apprensivo.
"Sto bene, sto bene." -
disse per
tranquillizzare tutti i presenti.
"Sicura?"-
chiese Ville mettendosi tra
lei e Johanna. Il ragazzo pensò che la reazione di sua madre
fosse da scrivere
nei grandi manuali di storia. Anita non era il tipo di donna che si
emozionava
facilmente e il fatto che in quel momento stesse mostrando quel lato
così dolce
e sensibile un po' lo turbava. Non era da tutti i giorni uno spettacolo
simile!
"Certo.."-
disse commossa. Continuava a guardare Johanna incapace di credere al
fatto che
fosse davvero nonna. Si schiarì la voce e disse: " su vai a
prendere le
foto, che voglio vederle."
Tornò
sorridente
subito dopo aver finito la frase dando sollievo alle ansie di Johanna
la quale
annuì e corse di sopra leggermente confusa da tutte quelle
sensazioni che stava
provando.
"Mamma? Stai bene?"- chiese Jesse
ancora preoccupato, mentre vide la donna sedersi.
"
Sì! Quante volte devo dirvelo? Smettetela
di preoccuparvi.."
Ville
e Jesse si scambiarono uno sguardo e poi
guardarono Anita che sospirò guardando il maggiore.
"
Solo
che.."- cominciò sospirando nuovamente.- " ti rendi conto di
quanto
tempo hai perso?"- il suo non era un rimprovero.- " credi di farcela?
Insomma se ho capito bene..Marika ora non c’è
più, vero? E pensi che per quella
povera creatura sia facile affrontare tutto questo?"
Ecco
di nuovo quella
domanda che per Ville stava diventando un incubo. Sbuffò
sonoramente e parlò
senza, però, risultare antipatico.
"Cosa
altro dovevo fare, mamma? Marika mi
ha lasciato la tutela e io l’ho portata qui."
"Ville,
non mentire. Sono sicura che
avresti benissimo potuto lasciarla lì dov'era e invece tu
hai voluto portarla
qui. Perché?"
La
donna lo guardò fisso negli occhi, quegli
occhi verdi che per tanti erano un mistero, ma che a lei non
nascondevano
niente.
"Non
lo so.."- rispose Ville
abbandonandosi sul divano accanto alla madre.
Anita non aveva voglia di insistere, forse
l’avrebbe fatto in un altro
momento. Kari, invece, si avvicinò a Ville e mettendogli una
mano sulla spalla
disse: " Anita, nostro figlio ha deciso di seguire il suo istinto e io
mi
fido di lui. Sono certo che riuscirà a gestire la situazione
e se qualora
avesse dei dubbi noi di certo saremo disponibili per tutto."
Guardò
Ville con
tanto affetto dandogli una pacca sulla spalla.
"
Prendersi cura
di un figlio è molto impegnativo, Ville. Richiede molta
calma e pazienza specie
se si tratta di un adolescente. La cosa che prima di tutto voglio dirti
è che
sono fiero della scelta che hai preso. Non è da tutti
comportarsi in questo
modo. Sai, ci sono un mucchio di ragazzi, uomini che appena scoprono di
avere
dei figli hanno paura e scappano di fronte alle proprie
responsabilità. Tu
invece sei stato coraggioso e questo mi piace. Bravo, giovanotto."
Ville
non riuscì a
spiegare ciò che provò in quel momento per via di
quelle parole rassicuranti.
Si era emozionato e i suoi occhi iniziarono a dare il primo segnale di
cedimenti, di quelle lacrime che cercò con tutte le sue
forze di trattenere.
L'amore dei suoi genitori, nonostante a volte fossero duri, era di
sicuro
quello che non l'avrebbe mai abbandonato come succedeva con le sue
ragazze. Si
sentiva sicuro e più forte e più che mai in quel
momento capì non solo di aver
fatto la scelta più matura di tutti i tempi, ma che
soprattutto non aveva
deluso i suoi genitori. Molto probabilmente erano orgogliosi di lui
anche se
non gliel'avrebbero detto apertamente. Non erano i tipi da spiattellare
così di
colpo queste verità, ma Ville era certo di questo, l'aveva
visto negli occhi di
sua madre e in quelli di suo padre che aveva circondato le sue spalle
con il
suo braccio magro. Jesse guardava il quadretto ancora alzato,
sentendosi felice
per il suo adorato fratellone. In quel mentre sentirono dei passi e
Johanna
tornò da loro stringendo al petto il suo prezioso album,
l’unico che aveva deciso
di portarsi subito. Quello che aveva, a detta di Marika, le foto
più belle.
Si
fermò sullo stipite dell’ingresso del salotto
incerta se proseguire o meno. Nonostante la sensazione di calore che i
Valo le
avevano dato con quell'abbraccio non si sentiva di disturbare.
"Oh,
cara sei già tornata!"
Anita
si voltò
sorridendo.
"
Su vieni
qui."- disse Kari con dolcezza.
Ecco,
ora le toccava andare avanti.
Accuratamente ignorò Ville, perché si
sentiva
addosso il suo sguardo e si sforzò si non incrociarlo.
Si
sedette accanto a Kari ed Anita e porse a
quest'ultima l’album un po' timorosa.
"
Le foto più vecchie sono
infondo.."- specificò
con un filo
di voce. Anita voltò l’album, inspirò a
fondo e sollevo la copertina azzurra
liscia.
La
prima foto fu un colpo al cuore, soprattutto
per Ville.
Johanna
sorrise vedendo il viso della madre.
A
giudicare dalla foto, Johanna era appena nata.
Marika era sudata e i capelli mossi erano legati alla meno peggio in
una specie
di crocchia, eppure il sorriso che aveva la rendeva meravigliosa.
Indossava una
di quelle camicie orribili che davano negli ospedali e tra le braccia
stringeva
una bambina tutta rossa.
Johanna
appariva serena e stringeva nella sua
piccola mano il mignolo di Marika.
Marika
era la donna più felice del mondo e Ville
si sorprese del fatto che tutta quella felicità era dovuta
alla bimba alla
quale attorno girava tutto il suo mondo. Lui non poteva capirlo fino in
fondo,
ma cercò allo stesso tempo di sforzarsi e mettersi nei panni
di Marika.
"Questa.."-
Anita indicò Marika,
incapace di parlare.
"
Sì, questa è la mamma."- rispose la
ragazza sorridendo orgogliosa. Johanna non sopportava l'idea di parlare
di sua
madre rivolgendosi al passato. Per lei era viva nonostante non potesse
più
vederla e toccarla. Ville si voltò e quando vide la figura
di Johanna sedicenne
sfocata, si accorse di avere gli occhi lucidi. Abbassò lo
sguardo e tornò a
guardare la foto che occupava tutta la pagina tentando invano di non
far notare
la sua fragilità. Anita
se ne accorse e
gli si avvicinò passandogli una mano tra i capelli, mentre
Johanna ignara
voltava pagina.
"
Mi dispiace.."- sussurrò Anita al
suo orecchio, come quando da piccolo lo consolava.
Johanna
vogliosa di
ripercorrere il tempo passato con Marika per mezzo di quelle foto,
voltò pagina
e, forse a causa del movimento veloce, la foto della pagina successiva
scivolò
via da sotto la pellicola trasparente che la teneva imprigionata e
andò a
finire ai piedi di Ville.
Si
era voltata e lui riuscì a vedere la scritta
che si trovava in un angolo in alto.
La
sollevò con le dita che tremavano leggermente
e lesse a bassa voce.
“La
tua prima risata..”
Deglutì,
prima di voltare la foto.
Marika
stava sorridendo felice mentre sollevava
una bimba. Johanna aveva gli occhi socchiusi e un sorriso meraviglioso.
Ville
quante cose si era perso?
Kari
gli sfilò delicatamente la foto dalle dita,
quando vide che non rispondeva alla domanda di Johanna.
Gli
faceva male vedere tutte quelle foto così di
colpo. Non riusciva a reggere. Aveva provato a dimenticare, pensando
che Marika
avesse fatto lo stesso, ma si era sbagliato. Voleva
uscire, fumare una sigaretta per distendere i nervi, non riusciva
a continuare a vedere, però d’altro canto non
poteva scappare di nuovo.
Si
voltò verso i suoi genitori e Johanna che
stavano parlando e fece lo sforzò di ascoltare il loro
discorso.
"
Era davvero una donna bellissima."-
disse Anita sorridendole.
Johanna
annuì orgogliosa, mentre passava
l’indice sul viso della madre cercando
però di non rovinare la foto.
Perché
lei sorrideva? Come faceva a non essere
triste riguardando le foto di Marika?
Ville
si stava quasi arrabbiando. Perché solo
lui soffriva?
Chiuse
i pugni stringendo i denti.
Johanna
continuava a sorridere, ma lui non si
accorgeva che si stava sforzando. E quel bagliore che Ville vedeva nei
suoi
occhi, non era certo di gioia.
Continuò
a guardarla, studiandola, per poi
passare a guardare il resto delle foto.
"
Da qui in poi non sono interessanti."-
disse Johanna cercando con noncuranza di richiudere l’album.
"
Oh, sono sicura, che invece lo
saranno."- disse Anita rassicurandola. Ville sorrise soddisfatto,
mentre
la madre voltava per l’ennesima volta pagina.
Queste
foto erano più o meno di qualche anno fa.
C’erano
due foto, la prima con Johanna e Daphne visibilmente
eccitate che facevano la fila e la seconda nella stessa situazione,
solo che
c’era Jackie.
"
Eravate ad un concerto?"- chiese Ville.
Johanna
annuì imbarazzata mentre continuava a
lanciare sguardi all’angolo della pagina che Anita stava per
sollevare, prima
di voltare pagina.
La
foto dopo, spiazzò completamente Ville.
"Questo è Linde!
E più in là ci sono io!"-
esclamò guardandosi. Alzò immediatamente lo
sguardo per incrociare quello di
Johanna che stava annuendo decisa.
"
Tu sei stata ad un nostro
concerto?"- chiese più a se stesso che a lei.
"
Già."
"
E..?"- Ville stava per chiedere di Marika,
ma si bloccò.
"
No, mamma non è voluta venire.."-
lo anticipò Johanna
scuotendo leggermente la testa. Ville
abbassò lo sguardo deluso. Avrebbe potuto avere
un’altra occasione per vederla,
invece lei lo aveva evitato.
"..però
è stata una sua idea quella di
mandarmi."- continuò serena guardandolo.
Ritornò
a guardarla e sorrise tra sé e sé. Non
lo odiava, no, perché sennò avrebbe fatto in modo
che Johanna non lo
conoscesse.
"
Quindi, è stata lei a farteli
conoscere?"- chiese gioiosa Anita.
"
Sì..fin da piccola."- disse Johanna sempre
rivolta ad Anita e Kari, evitando di incrociare questa volta lo sguardo
di
Ville.
La
donna era quasi commossa. Le dispiaceva non
aver potuto conoscerla.
Ville
si sentì felice. Non sapeva cosa dire o
fare. Marika lo aveva sempre seguito, anche se lo aveva voluto fuori
dalla sua
vita e anche dalla infanzia di Johanna.
Probabilmente
a Ville aveva fatto piacere vedere
quelle foto. Johanna pensò che doveva essere per forza
così. Aveva notato che suo
padre le aveva guardate con interesse e le domande su Marika le avevano
dato la
conferma che aveva sofferto per lei. Ciò significava che
aveva tenuto davvero a
quel rapporto anche se le cose non era andate esattamente come dovevano
andare.
Pensava che magari vedere quelle foto potevano farlo sentire un po'
più
contento, forse felice. Insomma avrebbe potuto ricordare tutti i
momenti felici
che avevano passato insieme, no?
Aprì
nuovamente gli occhi quando le parve di aver sentito il rumore di una
porta che si chiudeva al piano di sotto. Dopo che i signori Valo e
Jesse erano
andati via, lei aveva deciso di rifugiarsi in camera sua augurando con
voce
sottile la buonanotte a Ville senza guardarlo negli occhi. Pensando a
questo si
sentì in colpa. Lo stava trattando male nonostante lui si
sforzasse di essere
gentile e di fare il padre, anche se
non ci riusciva alla perfezione e che anzi probabilmente faceva di
tutto per
farsi detestare.
Sospirò,
aprì la porta e si affacciò sul corridoio. La
porta della camera di Ville era aperta e molto probabilmente lui era
sceso giù
in salotto o in cucina. Decise che era ora di fare un passo avanti e
quindi scese
le scale intenzionata a parlargli.
Ville non
riusciva a dormire, così aveva deciso di suonare qualcosa
anche se
non gli sembrava l’ora di fare rumore. Dimenticava che ora
non era più solo in
casa e che non poteva fare quello che gli pareva.
Così
tenne in braccio la chitarra senza suonare, fissando il vuoto. Non
aveva
voglia di cantare né di suonare, ma tenere la chitarra
vicino lo faceva sentire
meglio. Poi però qualcosa cambiò, e senza
rendersene conto, iniziò a suonare
senza cantare. Si sfogò sulle corde, suonando una melodia
triste che forse
probabilmente non gli sarebbe più capitato di sentire. Era
così preso che non
si accorso di Johanna che lo stava osservando in piedi vicino al divano.
Finì
subito di suonare, alzando lo sguardo e incrociando quello della
ragazza,
che lo stava guardando ammirata.
"Scusa,
ti ho svegliata?"- chiese
lui realmente dispiaciuto.
Johanna scosse la testa.
"No,
non riuscivo a dormire.."- si
giustificò sforzandosi di sorridere. Poi fece quello che
nemmeno Ville si
aspettava: si andò a sedere proprio accanto a lui anche se
era un po'
imbarazzata.
"
Non so se ti ha fatto piacere guardare quelle foto. Se ti hanno fatto
star male..scusami. A volte fanno male anche a me."- disse
dispiaciuta osservando la chitarra.
Ville
la osservò meglio, notando ancora di più
le somiglianze e poi sorrise.
"
Ti manca, vero?"- chiese continuando
a guardarla finché lei non alzò lo sguardo per
fissarlo nel suo.
Annuì
silenziosa, per evitare di dire qualcos’
altro, sembrando agli occhi di Ville ancora più fragile.
"
Anche tu..anche tu sei mancato alla mamma."-
disse Johanna guardandolo finalmente. Si
sentiva
in dovere di dirglielo anche se era impacciata.
"
Insomma ha sofferto anche
lei."
Poi
abbassò
di nuovo lo sguardo.
"Ti
parlava di me..?" - chiese Ville
in un sussurro.
"
No, cioè..tu eri comunque presente nella
mia vita, ma più che altro come l’amore platonico
di mamma. Se chiedevo chi
fosse mio padre, cambiava sempre argomento, ma se parlavamo di te, come
Ville
Valo cantante degli HIM..era felice, ecco!"
Ville
posò la chitarra e cominciò ad ascoltare
con attenzione.
"
C’era sempre quel pizzico di tristezza
nei suoi occhi, ma sai come è fatta, cerca di non avere
rimpianti!"-
continuò sorridendo, nonostante avesse gli occhi lucidi. Si
ostinava a usare il
presente.
Abbassò
la testa quando si accorse di avere la
vista offuscata dalle lacrime. Lasciò che i capelli le
scivolassero addosso
nascondendole il viso.
Ville
si sentì impotente, cosa doveva fare ora?
Cosa
doveva fare un padre in questi casi?
"
Johanna, ecco io.."- aveva
cominciato a parlare e non sapeva cosa
dire, se stava zitto faceva più bella figura.
La
ragazza serrò i pugni sui ginocchi.
"
Scusami."- disse
posandole una mano sulla spalla.- "
lo so di non essere un buon padre, che non è capace nemmeno
di fare qualcosa in
questi casi."
"
Non c’è bisogno che ti scusi.."- aveva
mormorato tirando su con il naso. Immaginava quanto gli costasse dire
quelle
parole.
"
Invece si! Insomma..non è stato
carino farti assistere a quella scena con Hanna. E poi..beh..voglio che
tu
sappia che..che sto cercando di fare del mio meglio per farti sentire a
casa..anche se mi rendo conto che è ancora presto."
Johanna
si voltò per guardarlo negli occhi,
voleva vedere se era davvero sincero.
Ma
si era dimenticata che, ormai, stava
piangendo.
Ville
vide le lacrime che le solcavano il viso.
Era la seconda volta, ma ora le circostanze erano diverse.
Restò
a guardarla quasi pietrificato. Era abituato a
vedere ragazzine che piangevano ai concerti, ma questo batteva tutto.
"
Johanna.."
"
Scusa.."-
disse
cercando di asciugarsi le lacrime- " il fatto è che mi
manca..non doveva
andarsene..non è giusto!"
La
voce le tremava come del resto le sue
mani che non riuscivano a tenere a freno le lacrime che scendevano
copiose.
Ville
la abbracciò.
Non
sapeva se era giusto, non sapeva il motivo,
non sapeva cosa sarebbe successo dopo, non sapeva se lei si fosse
scostata..non
sapeva niente. Sapeva solo che da un momento all'altro avrebbe ceduto
anche
lui. Iniziava a sentire la sua gola bruciare per via dell'emozione.
Quella
stretta al cuore non diminuiva.
Eppure
quando la sentì quasi rilassarsi tra le
sue braccia, qualcosa si fece chiaro.
Voleva
farle sentire che non era sola, che, beh,
erano sulla stessa barca.
Cazzo!
Lei era sua figlia e non una fan girl da
consolare a fine concerto!
E
lui doveva assumersi le sue responsabilità.
La
scostò appena, continuando a tenerla per la
spalla e le asciugò velocemente qualche lacrima.
"Ora
basta piangere.."- le
disse dolce, come dolce e tenero fu il
sorriso che gli illuminò il volto.
Johanna
annuì provando a tornare seria.
"
Buonanotte Ville."- disse
prima di alzarsi e uscire. Quando andò
via anche Ville decise che era ora di tornare alla base, anche se non aveva voglia e
così continuò a vagare per
la casa nel buio.
Arrivato
in salotto si sedette sul divano e fu
così che ritrovò l’album accanto.
Se
lo tenne in mano per cinque minuti buoni
indeciso se guardarlo o meno.
Alla
fine scelse
di essere masochista, rigirò l’album e
sollevò la copertina.
Quelle
foto non rendevano giustizia alla
bellezza di Marika.
Ce
n’erano di tutti i tipi, quelle scattate allo
zoo, davanti alla statua della libertà e tanti altri posti
che Ville ricordava
vagamente. Provò
ad immaginarsi in una
foto accanto a loro e un senso di rabbia cominciò a
bruciarlo dentro.
La
foto che stava guardando in quel momento doveva
essere stata scattata a Natale, perché c’erano
Marika e Johanna sedute accanto
ad un albero, ancora in pigiama.
Johanna
poteva avere sì e no 8 anni. Stava
aprendo un pacco verde con sopra un grandissimo fiocco argento.
Sorrideva
furba, forse sperava che Babbo Natale le avesse portato il regalo che
aveva
chiesto.
Marika,
dietro di lei la guardava con un
espressione dolce, la stessa che aveva dedicato a Ville.
Ville
provò a immaginarsi dall’altra parte,
davanti alla bambina, che magari le teneva ferma la scatola mentre lei
cercava
di sollevare il coperchio.
Stava
andando oltre. Richiuse l’album con forza.
Era
inutile pensare a cosa sarebbe potuto
accadere..era troppo tardi.
Si
massaggiò le tempie e decise che era il caso
di tornare a letto e provare almeno a far finta che tutto andasse bene.
VALS,
IL RITORNO u.u:
Ma
buonasera!! Muahahahahhaha sono tornata..si nota? xD
Bene,
credo di aver dato un assaggio della parte più malinconica
che fino a questo momento sono riuscita a scrivere. A momenti mi
commuovo anche io :'(
Vi
è piaciuto? Spero che non sia stato pesante...comunque
fatemelo sapere..anche se vi ha fatto schifo e volete insultarmi..io
accetto tutto * ma nel frattempo prendere il bazooka..non si sa mai xD*
Non
preoccupatevi, il prossimo capitolo avrà un'atmosfera
diversa :)
Alla
prossima <3
Vals
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Dear Father
Capitolo
8
"Buongiorno!"
Johanna
era appena scesa ed era ancora mezza
addormentata e di certo il buongiorno squillante di Jesse non era
servito a
svegliarla. Anzi, lo trovò maledettamente fastidioso.
“Ciao.”-
rispose educatamente, sforzandosi di
mettere da parte gli istinti omicidi che stava provando. La domanda che
le
balzò in mente guardandolo di nuovo era che cosa ci facesse
lì Jesse a
quell’ora del mattino.
“Ho
portato la colazione.” - disse il ragazzo
rispondendo alla domanda implicita della ragazza e alludendo alle
brioche calde
che si trovavano sul tavolo, che Ville stava già divorando.
"Sei
già sveglia?"
Questa
più o meno doveva essere la
traduzione di quello che uscì dalla bocca mezza piena di
Ville.
Johanna
annuì continuando a
guardarlo.
"Tieni,
prendi." - le allungò il
piattino con le brioche. Lei ne prese una a caso e si
avvicinò a Jesse che
stava trafficando col cellulare.
" Davvero beve sempre tutti
quei
caffè?"- sussurrò indicando Ville.
Jesse
si voltò e dopo aver guardato suo fratello
rispose al sussurro con un altro.
"
Certo! È tutto vero!"
Entrambi
si scambiarono un sorriso.
Johanna non riusciva a spiegare il motivo per cui Jesse era stato
l'unico che
le aveva ispirato fiducia fin dall'inizio, a differenza di Ville che,
nonostante fosse da sempre il suo idolo, la faceva stare in ansia e in
imbarazzo la maggior parte del tempo. Se pensava alla sera precedente
non solo
sentiva il cuore accelerare, ma lei stessa si sentiva doppiamente
imbarazzata!
"
Ville mi ha detto quello che è successo
ieri.."- cominciò Jesse. Vedeva nei suoi occhi un
grandissima tenerezza. Johanna,
dal canto suo, sgranò gli occhi. Ville non si teneva nulla
per sé! La
ragazza stava
per dire qualcosa ma qualcuno
suonò al videocitofono e Ville alzandosi di malavoglia
andò ad aprire.
"
Hanna!"
"Buongiorno!
Ho portato la.."- Hanna
entrò con un sacchetto in mano e si zittì appena
vide che la piccola
combriccola stava già facendo colazione.
"
Forse adesso capirà la sua
futilità.."- mormorò
Jesse alzando
gli occhi al cielo.
Johanna
soffocò una risata facendo finta di
niente.
"
Ehm..abbiamo già fatto colazione."-
disse Ville.
Hanna
si voltò per guardare anche Jesse e finalmente
poté vedere Johanna in faccia. Rimase ad osservarla
scioccata, cosa che stava
gradualmente infastidendo Johanna.
Stava
cercando una scusa per andarsene quando
iniziò a suonare il suo cellulare.
"
Scusate.."- disse uscendo
fuori sotto lo sguardo di tutti e tre puntato addosso.
Quando
fu sicura che nessuno la potesse sentire
accettò la chiamata con un gran sorriso stampato sul volto.
"
Jackie! Lo sai che ti adoro,
vero?"
"
Buongiorno
anche a te! Posso sapere il motivo?"
"
Mi hai appena salvata da una situazione
imbarazzante.."- sospirò, voltandosi per assicurarsi che non
ci fosse
nessuno.
"
Fiera
di rendersi utile anche da lontano!"-
rispose Jackie continuando a ridacchiare. Johanna più che
mai in quel
momento capì quanto le mancasse.
"
Jackie.. mi servirebbe un grande favore.."
"
Dimmi tutto!"
"
Nella stanza della mamma ci dovrebbe
essere, nascosta da qualche parte, una scatola con dentro delle foto di
lei e Ville.
Ecco..avrei bisogno che tu me le mandi..per favore.."
"
Certo! Saranno lì in pochissimo tempo! Per il resto, come
va? Com'è la casa di
quella diva? Il frigo? Cosa c'è dentro?"-
chiese Jackie ridendo.
"
Oh certo! Chissà che
divertimento.."
Quando
Johanna rientrò, Jesse, con tono
sarcastico, stava parlando con Ville. Quando la vide gli si
illuminarono gli
occhi.
"
Johanna! Vero che vuoi venire con
me?"- le chiese con
un enorme
sorriso.
Per
tutta risposta, Johanna mise su
un'espressione confusa.
"
Preferisci fare shopping con loro o vieni
con me?"- chiese ancora cercando di aiutarla nella scelta.
"
Voglio venire con te."
Johanna
voleva assolutamente evitare di
ritrovarsi da sola con Hanna.
"
Beh, perché non andiamo tutti
insieme?"- chiese con un sorriso la donna.
Per
Johanna fu come ricevere una cuscinata
inaspettata in pieno viso.
"
Ah fantastico..! Mi chiedo come mai non
sia venuto in mente a me..sto perdendo colpi!"- esclamò
sarcasticamente Jesse
battendo il palmo sulla fronte.
Ville
fulminò con lo sguardo suo fratello mentre
Hanna assunse un'espressione offesa. Johanna provò un
leggero disgusto, oltre
al fatto che Ville sembrava essersi dimenticato di lei.
"
Jesse, perché non vai da papà. Se non
sbaglio tu dovevi andare da lui."
Jesse
fissò arrabbiato Ville. Avrebbe potuto
continuare per ore, ma non gli sembrava il caso di scatenare la terza
guerra
mondiale.
Guardò
Johanna, che lo stava implorando con lo sguardo di non abbandonarla.
Era chiaro
che non poteva aiutarla. Johanna l'aveva capito e per questo a
malincuore
dovette accettare la sua condanna, cercando di trovare un lato positivo.
Guardare il lato positivo..
Doveva semplicemente guardare quel fottutissimo lato positivo che
però a quanto
pareva si divertiva a giocare a nascondino.
Le alternative c’erano, ovvero, pensare ad altro o, la
peggiore di tutte,
commettere un omicidio.
Sì, ammazzare Hanna sarebbe bastato.
Gli occhi di Johanna si fecero piccolini all’idea.
Guardò il pugno chiuso
sperando, inutilmente, che all’interno apparisse
miracolosamente un coltello.
Quando capì che quello non sarebbe mai successo, si
voltò verso la strada.
Magari quel SUV l’avrebbe stesa una volta per tutte. Un
sorriso malefico si
fece largo sul suo volto.
L’unico problema era allontanare Ville, o meglio staccargli
di dosso quella
gallina.
Velocemente nella mente di Johanna passarono alcune tecniche di
combattimento viste
nei film, sperando che potessero andare bene anche contro un vampiro
come
Ville. Stava pianificando tutto nei minimi dettagli quando Ville si
voltò per
assicurarsi che lei li stesse ancora seguendo.
" Potresti
affrettare un po’ il passo?"
Johanna aprì bocca per replicare, ma si rese conto che
qualsiasi cosa avrebbe
detto le cose sarebbero solo peggiorate. Così
rivalutò i pensieri fatti fino a
poco prima e si rese conto di quanto fossero follemente geniali, ma per
quanto
geniali restavano folli. Affrettò il passo, come la diva
aveva consigliato e
cercò di guardare altrove per non dover assistere allo
spettacolo di Hanna che
si teneva avvinghiata al braccio di Ville. Così
spostò tutta la sua attenzione
sulle scarpe di Ville e fu proprio guardando i suoi piedi che si
accorse che i
due si erano fermati, così si bloccò anche lei
prima di andare a sbattere
addosso ai due piccioncini.
Il semaforo dall’altra parte era rosso.
Probabilmente mai come in quel momento Johanna aveva desiderato che il
verde
scattasse mettendo fine alle smancerie di quelli che dovevano essere
due adulti
e che invece parevano solo due adolescenti in calore.
Hanna si stava alzando in punta di piedi, reggendosi alla spalla di
lui, per
baciarlo, mentre Ville proprio in quel momento si stava voltando verso
di lei
con un sorriso malizioso.
Quando le loro labbra si sfiorarono, un senso di fastidio si
impossessò di Johanna.
Forse Ville non era davvero dispiaciuto.
Forse a Ville non importava più di Marika.
Forse Ville non aveva davvero sofferto, magari era solo un altro modo
per
attirare tutta l’attenzione su di lui.
Forse Marika aveva davvero sbagliato ad affidarla a lui e Johanna aveva
sbagliato ad abbassare la guardia.
E forse a Ville non sarebbe mai importato niente di Johanna.
Verde.
Il verde era il colore della speranza, ma alcuni dicevano che fosse
anche il
colore della stabilità e della forza..
Forza, esatto! Proprio la forza le serviva, quella per sopravvivere a
quella
giornata e per reprimere gli istinti omicidi.
Si schiarì la voce e li sorpassò.
" Se non vi muovete
scatta di nuovo il
rosso."- disse acida e fredda, allontanandosi.
Se magari si fosse voltata si sarebbe accorta dello sguardo addolorato
di Ville.
Era un
coglione, ma non l’avrebbe mai capito! Continuava a sbagliare.
Ieri sembrava che la barriera che li divideva
fosse crollata invece oggi proprio lui aveva contribuito a farla
ricostruire.
"
A me non piace il rosa."
Johanna
continuava a
ripeterlo da più o meno cinque minuti, ma a quanto pareva
Hanna neanche la
stava ascoltando e infatti continuava a prendere solo vestiti, jeans e
magliette di un orribile colore rosa confetto.
" Ecco, perché non provi questi?"
La
voce stridula poi era
la cosa che più dava fastidio a Johanna, insieme a quel
sorriso a trentadue
denti.
" Te lo ripeto. A me non piace il rosa."- Johanna
parlò molto piano, perché con la gente
stupida era l'unico modo che potesse andare bene per far capire le cose.
" Dai che ti staranno benissimo!"
Le
porse i vestiti che Johanna,
con poca grazia, rifiutò. Ormai la pazienza l'aveva
abbandonata.
" No, sono rosa! Capisci? Io non mi vestirò di rosa. Io uso
colori scuri.
Non lo vedi?"- disse indicando la sua maglia nera, gli jeans scuri e le
converse nere con i piccoli teschi.
" Qualcosa non va?"
Ville spuntò
dietro Johanna, facendola
voltare.
" Stavo dicendo che io non mi proverò quei vestiti rosa."
" Cos'hanno che non vanno?"- chiese
Ville dando un’occhiata ai vestiti che Hanna
aveva ancora in mano.
" Sono rosa. Rosa confetto!"- disse
esasperata sentendosi incompresa. Si
passò una mano sugli occhi.- " basta, io esco. Quando avete
finito ci
vediamo fuori.."
Afferrò,
con la stessa
grazia di prima, la sua borsa e uscì di corsa da quel
negozio, scappando da
loro due e da quell’orribile rosa confetto.
La strada
brulicava di gente ed era davvero larga e ad ambedue i lati erano
posizionati
molti negozi. Johanna non aveva intenzione di rimanere lì
impalata ad aspettare
quei due, così passò dall’altra parte e
dopo essere passata davanti ad alcuni
negozi decise di entrare in uno a caso.
Johanna
stava osservando
un paio di Converse quando proprio uno dei commessi le si
avvicinò.
"
Posso
aiutarti?"- chiese facendola spaventare e facendole cadere di mano una
scarpa. Entrambi si piegarono per raccoglierla e fu allora che lei ebbe
l’opportunità di guardarlo meglio.
Biondo, occhi verdi..dettagli che a lei piacevano molto.
E, beh, era anche carino!
" Scusami..sono imbranata!"-
cominciò scusandosi e rendendosi conto di
sembrare una stupida
ragazzina.
" No, la colpa è mia. Ti ho spaventata?"- chiese ridendo
mentre
rimetteva al suo posto la scarpa. Evitò di rispondere per
non sembrare ancora
più goffa e imbarazzata.
" Ok..ehm dovrei andare.."- disse.
" Scusa.."- la chiamò lui.
" Johanna, mi chiamo Johanna."-
si girò lei sorridendo.
" Ecco.. serve la scarpa."- disse lui facendole notare che in mano
teneva ancora l’altra scarpa. Johanna diventò
completamente rossa e tornò
indietro sui suoi passi. " Giusto, la scarpa."- disse mettendola
insieme all'altra.
" Ok, ora vado."
Salutò
con la mano.
" È stato un piacere conoscerti Johanna!"- le disse lui
quando già si
era voltata. Johanna uscì dal negozio con un sorriso ebete
in faccia e fu così
che andò a sbattere contro Ville.
"
Scu-scusa.."-
farfugliò senza averlo riconosciuto. Quando lo riconobbe il
sorriso ebete le
scomparve immediatamente.
" Me l’aspettavo di trovarti qui! Si può sapere
cosa hai visto per essere
così distratta?"- chiese guardando dentro il negozio.
" Nulla, andiamo! Dov’è quella..cioè
Hanna?"- chiese spingendolo via.
Ma Ville aveva visto qualcuno lì dentro che stava
sorridendo. Un ragazzo, ed
era sicuro che stesse guardando verso di loro. Tornò con lo
sguardo su Johanna
e iniziò ad insospettirsi. La ragazza imperterrita
continuava a spingerlo oltre
e alla fine Ville scelse di far finta di niente lasciandosi spingere.
"
Ci sta aspettando
al bar."
"
Beh allora che
aspettiamo? Andiamo prima che si perda o quant’altro."
" Non potrebbe mai perdersi qui."- disse
Ville affrettando il passo.
" Già essendo l’unico posto dove passa la sua vita
oltre che nel tuo
let.."- stava parlando decisamente troppo.-" cioè con te,
non potrebbe
mai perdersi."- disse annuendo con convinzione quasi a voler cancellare
quello che stava per dire.
Ville non sentì, grazie a Dio. Era troppo preso a pensare.
Poi si voltò verso
di lei e di punto in bianco chiese: " perché ce
l’hai tanto con lei?"
"Come scusa?"
" Perché ce l’hai con Hanna?"- chiese fermandosi e
facendo fermare
anche lei.
" Io non c’è l’ho con Hanna!"- rispose
d’impulso.
Ville stava per contrattaccare quando furono accecati da qualche flash.
Entrambi si voltarono infuriati verso il punto in cui
c’erano due o tre
fotografi che continuavano a scattare. Adesso avrebbero decisamente
capito che Johanna
era sua figlia. Insomma la somiglianza era tanta.
Ville
stesso ne aveva
parlato proprio quella mattina con Jesse. Il mondo doveva sapere che
Ville Valo
aveva una figlia, ma come farglielo sapere?
"Andiamo
via."
Ville
la prese per il
polso e s’incamminò in fretta verso la fine della
zona pedonale.
Johanna
si attaccò al suo braccio cercando di
nascondere il più possibile il viso.
Alcuni
fotografi si erano spostati davanti a
loro e continuavano a scattare.
"
Ignorali."- disse Ville a denti stretti decisamente arrabbiato.
"
E Hanna?"- chiese la ragazza.
"
Le manderò un messaggio dopo."
Assolutamente
non
potevano fermarsi e permettere a quei fotografi di scattare altre foto.
"
Ehi Ville! Chi è questa ragazzina?"
Ville
fulminò con lo sguardo il fotografo che
aveva parlato e continuò a camminare.
Già..chi
era lei? La figlia adolescente di Ville
Valo che spuntava così all’improvviso dal nulla?
Poco dopo erano seduti
in un taxi, ognuno con i
propri pensieri e Ville decise che era l’ora di dire ad Hanna
che se ne stavano
andando.
Quando
arrivarono in
sala di registrazione trovarono Burton e Mige e Ville si
sentì decisamente un
po’ più sollevato. Johanna li salutò
con un sorriso, mentre Ville andò a
parlare con Seppo.
"Abbiamo
un problema."- disse Ville
attirando così anche l’attenzione degli altri due.
Johanna
si sedette sul divano continuando a pensare.
Si era rintanata nel suo mutismo.
"
E cioè?"- chiese Seppo preoccupato.
Ville
indicò Johanna.
"
Tra un po’
verrà a saperlo mezzo mondo."
"
Quindi hai intenzione di dirlo tu
stesso?"- chiese Seppo.
"
L’idea sarebbe quella.."
"
Tra qualche giorno avrete un'intervista..quindi
potresti.."
"Aspettate!"
Johanna
attirò tutta
l’attenzione. Aveva alzato la voce e ora stava guardando
dritta Ville. Era arrabbiata.
Perché nessuno le aveva chiesto qualcosa? Semplicemente
avevano dato per
scontato un suo parere. C'era lei in ballo, perché nessuno
lo capiva?
"
Davvero hai
intenzione di dire a tutti che sono tua figlia?"
Se
prima si riferiva
a tutti ora parlava solo con Ville. Non era felice e contenta. Non era
uno di
quei momenti in cui c’era il lieto fine e padre e figlia si
abbracciavano, no.
Il
cantante non rispose. Insomma, la domanda era
piuttosto retorica.
"
Che senso ha? Non sappiamo neanche se resterò!"-
aveva detto la frase come se tutti sapessero che lei da un momento
all’altro se
ne sarebbe andata.
Mige
guardava Ville, sperando che almeno
quest’ultimo sapesse di cosa stava parlando Johanna, ma
l’espressione sconvolta
sul volto del cantante diceva il contrario.
"Cosa
intendi dire?"- Ville cercava di
non far trapelare nessuna emozione e nel farlo era sembrato freddo.
"
Intendo dire che Jackie sta chiedendo
l’affidamento e a quanto pare le cose potrebbero andare
bene!"- continuò
guardando in basso.
"
Non può! Io. Ho. La. Tua. Tutela."
Nel
dirlo si era
battuto l’indice sul petto, talmente forte che ora avvertiva
una piccola fitta
di dolore.
A
Mige sembrava di rivederlo da ragazzino, lo
stesso che se non poteva avere ciò che voleva faceva di
tutto per ottenerlo.
Con
gli anni aveva cercato di dare a tutti l'immagine
di lui che riusciva a gestire tutto, ma la verità era che
Ville non era mai
cresciuto.
Johanna
scosse la testa in senso di diniego.
"
Hai voglia di
recitare il ruolo del bravo padre? Ville questo non è uno
stupido film! Quando
finisce non torni a casa e ricominci ad essere il solito Ville Valo.
Questa è
la vita reale."- si
passò una mano
sul viso.
La
stanza era calata in un silenzio imbarazzante.
Ville continuava a guardarla mentre le sue parole continuavano a
ripetersi
nella sua testa. Non
aveva finito di parlare,
non ancora, ma lui di certo non poteva stare zitto e buono!
"
Senti, io so
come ti senti.."- aveva cominciato.
Sempre
con le solite frasi " ti capisco"
, "mi dispiace"! La gente sapeva dire solo quello! Johanna
si
alzò in piedi guardandolo dritto in faccia.
" No! Non sai quanto mi
sento stupida ad
essere qui in una città completamente nuova con persone che
non conosco! Non
sai cosa provo nel sentire parlare di me come se fossi un problema!
Sembra che
io sia solamente un ostacolo per i vostri affari e che se non ci fossi
sarebbe
meglio per tutti! Non sai come mi sento senza nessuno, senza una
famiglia,
senza entrambi i genitori!"
Quando
pronunciò ultima
parte immediatamente si pentì. Ora
era
il caso che uscisse di scena, ma come? Non voleva scappare
così senza dire
nulla.
"
Oh, finalmente vi ho trovati!"
Ecco la sua
opportunità di scappare. Doveva
ammettere che Hanna per quanto fosse gallina, era una gallina dalle
uova d’oro.
"Ho
interrotto
qualcosa?"- chiese notando l’aria tesa o forse il fatto che
nessuno la
stesse cagando, ma quantomeno aveva capito che stava disturbando.
"
No, assolutamente niente. Tu non disturbi
mai cara! Prego siediti, tanto io me ne stavo andando."- disse Johanna
levando la sua borsa dal divano e a passi svelti si
allontanò da loro, dalla
delusione sul volto di Ville e da tutto il resto.
"Vado
io."- disse Mige seguendola.
"Quella
ragazza..è davvero in gamba!"-
disse Burton rompendo il ghiaccio.
Seppo
annuì ancora sorpreso. Hanna
si avvicinò da dietro a Ville, gli posò le mani
sui fianchi e appoggiò la testa sulla sua spalla.
"
Sarà che è
figlia di Ville.."
Ville
la trovava fastidiosa in quel momento e se
la scostò di dosso.
"
Che ci fai
qui?"- chiese. Non era quella la domanda che voleva fare, ma in quel
momento questo era uscito dalla sua bocca.
"
Ville, mi hai detto tu di venire
qui!"- rispose sorridendo.-" deve essere la vecchiaia."-
tentò
di scherzare. Ville
non rispose e si
diresse verso la sala d’incisione, lasciandola perplessa con
i suoi eterni
dilemmi: rosa o non rosa?
VALS, IL RITORNO ( PARTE 34084583488453) u.u:
Mmmmh..e
ora??!
Ville!
Facessi una cosa giusta!! Ma di che sostanza ti fai??!?! Lo so, vi ho
lasciati sul più bello..ma le cose dovevano andare
così! Dovete odiarmi per forza u.u
Riuscirà
Mige a far ragionare per due secondi la nostra Johanna??!
Cosa
ne pensate del tutto? Io aspetto qualche vostro parere :D
E
come sempre ringrazio le mie belle e adorabili seguaci, che mi lasciano
sempre le loro "impronte"..tanto love <3 <3
Ci
vediamo VERY SOON con il prossimo capitolo!
Vals
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Dear Father
Capitolo
9
" Johanna
aspetta!"
Mige
aveva fatto
tutto il corridoio di corsa, ma ciò nonostante, non era
riuscito a raggiungere
la ragazza che ora stava per uscire fuori.
Johanna
si voltò a guardarlo con addosso una
maschera di apparente menefreghismo. Si fermò sulla soglia e
attese che l'uomo la
raggiungesse.
La
maschera, prima o poi, si sarebbe
sbriciolata, ma non poteva permettere che ciò accadesse in
quel momento.
Si
stava ripetendo di
stare calma e che cadere nella disperazione piangendo non servita a
nulla. Non
doveva piangere per una persona che nemmeno ci teneva a lei.
"Dove
vai adesso?"
"
Voglio solo prendere un po’
d’aria."- provò
a mentire. Lei
non sapeva nemmeno
dove andare. Non
conosceva Helsinki e si sarebbe persa facilmente e poi non poteva
neanche
andare a casa di Ville, visto che non poteva aprire il cancello.
"Hai
intenzione di prendere un po’ d’aria
per tutto il giorno pur di non affrontarlo?"
Mige
era furbo, non
potevi mentirgli. Aveva capito fin da subito cosa passasse per la testa
alla
ragazza.
"
Dai, vengo
anch’io con te!"- le sorrise incoraggiante uscendo con lei
dallo studio.
Restarono
in silenzio, mentre Mige la osservava
senza che lei se ne accorgesse. Più la guardava e
più vedeva in lei l'anima
ribelle del suo amico e soprattutto si meravigliava ad ogni passo
pensando che
quella ragazza fosse figlia di Ville. Ancora non riusciva ad abituarsi
all'idea
di una piccola Valo che magari sarebbe stata con loro in tour o durante
le
feste che molto spesso organizzavano per stare tutti insieme e per
celebrare
l'uscita di un album e le sue vendite.
E
ancora di più non
riusciva a capire perché quel coglione del suo amico non
riuscisse a combinarne
una giusta. Johanna non era un foglio bianco su cui fare mille
scarabocchi
prima di trovare le frasi giuste. Era sua figlia!
Negli
occhi di
Johanna notò un velo di tristezza che naturalmente lui non
sarebbe riuscito a
squarciare né a spostare. L'unico che sarebbe riuscito a
fare qualcosa era
Ville, qualora si fosse deciso ad impegnarsi seriamente.
"Come
fai a sopportarlo? Insomma non
impazzisci mai?"
Si
era fermata e con
lei anche Mige dovette arrestare i suoi passi.
L’indifferenza che Johanna stava mostrando se ne
era andata, lasciando
spazio alla rabbia.
Lui
sorrise e le fece cenno di sedersi
vicino a lui su una panchina lì vicino. Lei
accettò e si sedette, curiosa di
conoscere la risposta.
"
Vedi, in
questi casi devi usare tre semplice mosse: dargli ragione, farlo
contento e cambiare argomento. Insomma più che sopportare
devi sapere come
affrontarlo e, beh, devi essere preparato a qualsiasi
evenienza, con lui
non si sa mai."
Johanna
lo ascoltava interessata. Lei non lo
avrebbe mai capito quell’uomo.
"
Secondo te, perché fa così?"
"
Beh, sicuramente soffre di qualche forma
repressa di divezza. Una volta disse che dentro di lui c'era una regina
pronta
ad uscire fuori da un momento all'altro. Sì, ogni tanto
spara cazzate del
genere specie quando si sente Dio e a noi poveri musicisti ci porta al
limite
della sopportazione umana.."- la
smorfia addolorata che ne seguì dopo diede quel tocco
melodrammatico in più.
Johanna
scoppiò a ridere.
"
Veramente, io
volevo sapere perché vuole giocare a fare il padre.."-
chiese con ancora
il sorriso sulle labbra.
Mige
aveva capito cosa voleva sapere Johanna, ma aveva
fatto apposta a buttare tutto sullo scherzo.
"
Penso che sia per tua madre.."-
disse sorridendole.
Johanna
si rabbuiò.
"
Beh, allora ho
capito che non ci tiene a me.."
Mige
le passò una
mano intorno alle spalle continuando a sorriderle, sperando di
suscitare in lei
lo stesso sorriso.
"
Dagli il tempo di conoscerti."
Johanna
sospirò.
"
Ho aspettato tutta la mia vita sognando
questo momento, il momento in cui avrei finalmente conosciuto mio
padre. E
immaginavo che le cose sarebbero state diverse, che finalmente sarei
stata
felice e che quel vuoto che mamma cercava di riempire con tutta la sua
presenza
potesse colmarsi del tutto e lui..lui non si sforza nemmeno..quella
volta che
succede manda a farsi benedire tutto..insomma, da quando sono arrivata
non
abbiamo nemmeno fatto una chiacchierata decente e le cose sono sempre e
solo
peggiorate. Questo non è il mio posto."
"
Secondo te che
sta facendo?"- chiese Seppo guardando la porta che Ville si era
sbattuto
alla spalle. Burton si legò i capelli osservando anche lui
la porta.
"
Sicuramente
non sta facendo nulla. Credo che stia cercando di unirsi al silenzio
per
calmarsi."
Burton
aveva
effettivamente ragione e sembrava che anche Seppo fosse di
quell'opinione. Proprio
in quel momento la porta si aprì e
Ville fece di nuovo la sua comparsa con un'espressione sconfitta. A
giudicare
da quell'aspetto probabilmente aveva versato qualche lacrima, ma sia
Seppo che
Burton fecero finta di non notarlo, anche se entrambi si scambiarono
uno
sguardo fra il sorpreso e l'allarmato. Insomma, capitava raramente di
vedere
Ville in quello stato.
Hanna
se n'era
andata, evidentemente perché nessuno aveva deciso di darle
le attenzioni giuste.
Burton
si schiarì la
voce e disse: " tutto okay?"
Ville
annuì senza
guardarlo.
"
Ville, so di
non essere nessuno per dirtelo, ma secondo me dovresti scusarti.."-
disse
Seppo.
"
Con Johanna?"- chiese senza neanche
preoccuparsi di alzare lo sguardo dai fogli che aveva in mano e che
Burton
riconobbe come quelli che aveva portato lì alcune sere prima.
"
E anche con Hanna."
"
Dov'è
ora?"
"
E' andata
via."
"
No parlavo di
Johanna. Ancora non viene?"
"
Beh.."-
iniziò Burton.- " credo che sia con Mige ancora. Non
preoccuparti, credo
che tornerà presto."- concluse con un sorriso rassicurante.
Ville annuì di
nuovo sedendosi sul divano. Si portò le mani sulla testa
cercando di liberarsi
probabilmente da un peso che non voleva rendere pubblico.
"
Sai a che pensavo? Perché non usciamo di
qui e prendiamo anche noi un po' aria?"- chiese Seppo con molta calma.-
" non ti fa bene stare qui, né a casa."
Ville
alzò il capo guardandolo.
"
No."
Tornò
a guardare il pavimento con le mani sulle orecchie. Perché
non imparava
mai?
"
Hai intenzione
di lasciarla andare?"- chiese
ad un
certo punto Burton che decise di sedersi sulla sedia con le gambe
incrociate.
Seppo in quel momento ricevette una telefonata e scusandosi almeno una
decina
di volte dovette andar via.
"
Per qualsiasi
cosa conta su di me."- aveva detto prima di andare.
"
Grazie.."- aveva mormorato Ville.
Ville
guardò Burton e
sospirando disse: " la
scelta sta a lei."
E
da quando la
pensava così?
"
Non sembra che tu le abbia lasciato molta
scelta quando l’hai portata qui a Helsinki."- disse Burton
abbassando lo
sguardo e fissandolo su di lui.
"
Ho fatto un errore. Tutti commettiamo
degli sbagli, no?"
"
E' vero. Ma tu
Ville, riesci a capire il tuo errore? Non dico che devi trattarla una
bambola
di porcellana attento a non farla rompere e metterla in una campana di
vetro
onde evitare che te la rubano o ancora, mostrarti sempre felice e
contento come
se tu facessi il clown da una vita. Solo che..beh.. sei agli inizi. E
l'inizio
è tutto, sia in una relazione amorosa, sia in relazioni del
genere. Johanna è
tua figlia, non sono io, Linde, Gas o Mige. A noi puoi anche trattarci
male e
portarci all'esasperazione per via dei tuoi capricci e manie di
perfezionismo,
mostrarci il tuo lato più orribile e lunatico e farci
passare le pene
dell'inferno quando siamo chiusi qui dentro. Johanna non si merita
questo
trattamento, non puoi essere Dr Jekyll e subito dopo Mr Hyde con lei.
Ci devi
andare con calma. Devi capire che lei vorrebbe stare un po' di
più con te senza
Hanna. Ha bisogno di istaurare un rapporto con suo padre lontano dagli
altri.
Se tu le presenti sempre altra gente e quasi ti dimentichi di lei o non
la
rendi partecipe di ciò che stai facendo, è
normale che debba reagire in questo
modo e a questo punto non dovresti nemmeno frignare perché
te lo meriti. Non
devi parlare di lei come se fosse un problema, o mostrarti freddo
quando ti
gira solo perché credi che il mondo ce l'abbia con te, perché in
questo modo la ferisci senza che te
ne accorgi."- si fermò e con la sedia si avvicinò
a Ville, che era attento
a ciò che lui stava dicendo.- " lo so, non è
facile essere padre, non
lo è nemmeno per chi ha una famiglia da tempo. Il mio
consiglio è che..dovresti
fare quello che solitamente fanno i padri.."
"
E cioè?"
"
Quelle
giornate fra padre e figlia. Non lo so, portala da qualche parte,
fatevi un
giro, andate al cinema, parlate molto, scherzate..falle conoscere la
parte di
te, quella vera, quella di Ville..solo Ville. Ci sono i giornalisti?
Fregatene!
Non stai rubando la verginità a giovani fanciulle."
Entrambi
sorrisero.
Ville
gli sorrise
grato. Burton era un buon amico e lui era solamente in grado di
trattarlo male,
così come con gli altri specialmente quando era in fase
ispirazione, o come
qualcuno si divertiva a definirla, fase premestruale.
La
stanza calò nel silenzio e solo allora
poterono sentire i passi di qualcuno che si avvicinava.
"
Speravo di trovarvi qui."- disse Mige
spalancando
completamente la porta.
Ville
e Burton lo fissarono in silenzio mentre Mige si chiudeva la porta alle
spalle.
"
Johanna?"- chiese Burton.
"
E' seduta in corridoio."- disse
avvicinandosi.- " Ville..non
vorresti provare a salvare la situazione?"- chiese guardandolo
speranzoso.
Ville si sentì paralizzato e non
riuscì a parlare.
"
Ville, lei ha
aspettato tanto questo momento..e adesso crede che tu ti prenda cura di
lei
solo per Marika. Falle capire che ci tieni!"
Mige lo stava
implorando
con lo sguardo, ma tanto sapeva che Ville l’avrebbe fatto lo
stesso. Infatti
senza parlare, Ville uscì dalla stanza convinto di riuscire
a rimediare a tutto.
" Io dico che adesso
peggiora le cose."- disse Burton alzandosi dalla
sedia e guardando verso la porta aperta stiracchiandosi.
" Forse. Ma troveremo
il modo di rimediare. Siamo sempre noi alla fine che
sistemiamo tutto, no?"- chiese Mige sogghignando.
Johanna
a forza di andare
avanti e indietro si era allontanata dal suo posto. Ora vagava
nell'edificio
senza avere una meta ben precisa.
Mige
aveva detto che ci avrebbe pensato lui a risolvere le cose, ma cosa
doveva
fare? Stava pensando a cosa dire in caso Ville si fosse presentato
chiedendo
delle scuse. Non sapeva cosa dire e non sapeva come dire qualsiasi cosa
avrebbe
dovuto dire. Ma ora era il caso di tornare indietro prima di perdersi.
Ville
aveva affrettato il
passo ed era finalmente giunto nel luogo in cui era convinto di
trovarla.
Tutti nel regno della
principessa Johanna aspettavano
con ansia che il re Ville venisse a firmare il trattato di pace.
Era stato stabilito dal Gran Consiglio che per evitare qualsiasi
problema i due regni dopo tanti anni dovessero finalmente allearsi.
Il
tempo passò, ma il re non si fece vivo come aveva promesso e
nessun messaggero portò sue notizie nel suo regno.
Lungo
la strada egli era stato fermato dalla strega Hanna, che gli aveva
bloccato
il passaggio e ora la teneva con sé.
Purtroppo
alla corte della principessa nessuno sapevano nulla e adesso tutti
quanti pensavano
di essere stati illusi e che quella gentilezza fosse stata solo una
trappola.
Johanna si sentiva
inadeguata. Non era in grado di pensare ad Hanna come alla
sua ipotetica matrigna. Forse era questo il problema, che lei avrebbe
dovuto
dividere Ville con lei ancora prima di conoscerlo. Hanna sapeva
qualcosa di
lui. Lei tutto quello che sapeva era che se non fosse stato per la
morte di sua
madre non sarebbe mai arrivata alla conclusione che Ville Valo fosse
suo padre.
Johanna detestava il fatto che Hanna sapesse qualcosa di più
di lei. Alla fine,
tolta la maschera del cantante, per lei c'era il buio. In quel momento
sospirando si voltò per tornare indietro, ma qualcuno aveva
deciso di chiamarla
e adesso la suoneria del suo cellulare risuonava chiara per tutto il
corridoio.
" Pronto..?"-
chiese cercando
di tenere un tono di voce basso.
" Johanna..sono
Daphne."
" Daphne! Scusa non
sento bene, aspetta che mi sposto.."- si
incamminò verso la fine del corridoio, aprì una
porta e si ritrovò sulle scale
d’emergenza.
" Ti ho disturbato?"-
chiese l’amica scusandosi.
" No, tranquilla."-
rispose ridendo Johanna, sedendosi su un gradino.
Ville
l’aveva seguita, solo che visto che era al
telefono, aveva atteso cinque minuti prima di aprire anche lui la porta.
Forse doveva attendere
ancora un po’ visto che ancora teneva il cellulare
all’orecchio e sembrava anche felice.
Appena lo vide si
rabbuiò.
"
Oh, si! Sarebbe fantastico!"- rispose
studiando lo sguardo di Ville.
Ville
mosse le labbra come per dire "devo parlarti."
La
ragazza allora fece cenno con la mano di aspettare cinque minuti.
Ville
cominciò a battere nervosamente i piedi per terra
"Adesso."-
disse secco.
"
Daphne, scusami ma devo andare, qui c’è qualcuno
che ha bisogno di
attenzione. Ciao, ti voglio bene anch’io."
Chiuse
la chiamata e con molta calma si voltò verso di Ville per
fulminarlo.
"
Ora posso avere la tua attenzione?"- chiese il finnico.
"
Certo sono tutta orecchie."- rispose guardandosi le mani.
Ville
sbuffò, sicuro che non sarebbe riuscito ad ottenere di
più.
"Senti.."-
si sedette accanto a lei.- "
io vorrei provarci, a fare il padre. Io non cambio idee." - aveva detto
tutto d’un fiato perché sennò avrebbe
rischiato di dire altro e cambiare tutto
il senso.
Johanna
alzò lo sguardo dalle mani e si voltò verso di
lui.
"
Stai dicendo sul serio?"- chiese cercando
di capire se mentiva attraverso gli occhi.
Ville
annuì lievemente. Si sentiva quasi messo in soggezione dallo
sguardo di
Johanna. Gli sembrava di vedersi allo specchio e adesso capiva la
reazione di
molte altre persone.
"
Proviamoci."
Ecco
aveva sbagliato verbo.
"
In che senso ‘proviamoci’? Se falliamo ognuno torna
alla sua vita e
dimentica?"- chiese triste la ragazzina.
"
Non volevo dire questo, lo sai.."
"
No, io non so cosa stai pensando. Nessuno ti capisce!"-
sbottò
disperata.
"
Jo, per favore."
Altri
punti per Johanna e zero per Ville.
Lei
gli aveva detto espressamente di non farsi chiamare in quel modo e lui
cosa
faceva? La chiamava in quel modo.
"
Ho detto che non devi chiamarmi Jo."-
disse secca alzandosi.
Ville
era fatto così, voleva, anzi, doveva provocare. Per un
attimo, in genere
prima che arrivasse lo schiaffo, si sentiva potente, ma solo dopo si
accorgeva
di quanto era stupido e infantile a farlo.
Stavolta
però lo schiaffo non era arrivato, ma avrebbe preferito
cento schiaffi
al suono della porta che sbatteva violenta lasciandolo solo su quelle
scale
gelide. Ok, non era proprio solo, c’era anche il suo caro
orgoglio, ma ormai non
ci faceva nulla con quello.
Quando tornò
da Mige e Burton era decisamente
più incazzato di prima.
"
Fammi indovinare, l'hai chiamata Jo!" -
disse Mige.- " lo sai che non devi farlo, ma il signorino vuole fare a
modo suo"- concluse guardando Burton ed entrambi sorrisero. Ville
decise
che era meglio ignorarli. Si sedette in un angolino e decise di
ricontrollare
per l’ennesima volta lo stesso pezzo di testo. Ormai lo aveva
letto tante
volte, ma proprio non gli entrava in testa. Gli passava solamente
davanti agli
occhi.
"
Li consumerai, quei fogli, a forza di leggerli."- gli aveva detto
Burton.
"
Qualcuno gli deve pur correggere.."
"
Ma fallo quando sei capace. Ora non lo sei. Se te la senti suona con
noi."- disse Mige.
"
Sai che ti dico? Non mi va di suonare,
ok?"- rispose innervosito alzandosi e buttando i fogli per terra. Sia
Mige
che Burton lo guardarono impauriti.
"
Ville, hai bisogno di dormire. L’insonnia non ti fa bene."- disse Mige cercando di
convincere tutti di
quello che stava dicendo.
"
Me ne vado, solo perché voglio io."
Eccolo
che ricominciava a fare la diva.
"
Ville!" - lo richiamò Burton, ma lui era già
uscito.
L'unica
cosa che ora si sentiva di fare era sfogarsi,
a modo suo. Così cercò Hanna e appena seppe dove
trovarla andò da lei lasciando
Johanna con gli altri. Non ci avrebbe messo un'eternità e
sapeva che con Mige e
Burton si sarebbe sentita molto più a suo agio che con lui.
Quando
Johanna decise di tornare in sala registrazione
trovò solamente Burton e Mige che la chiamarono allegramente
invitandola a
sedersi con loro.
"
Dov'è Ville?"- chiese poco dopo.
"
Oh..è uscito."- disse Burton guardando
Mige.
"
E' andato da Hanna, vero?"
"
Può darsi."- disse Mige.- " beh vorrà
dire che noi suoneremo. Ti va di ascoltarci?"
Johanna
spalancò gli occhi emozionata.
" Sì!"-
esclamò dimenticandosi per un po'
dei suoi problemi.
A
fine giornata, Johanna tornò finalmente alla torre.
Aveva
passato alcune ore in compagnia della musica e solo per questo si
sentiva
decisamente meglio, ma non così tanto appena scese dalla
macchina. Un senso di
nausea si era impadronito del suo stomaco.
Mige
l’aveva riportata a casa e lo salutò con la mano
prima di dirigersi verso
la sua prigione.
"
Già di ritorno?"- le aveva chiesto
sorridendo Hanna.
Doveva
immaginare che i due avessero fatti i loro
porci comodi lì per tutto quel tempo. Johanna
annuì, notando il suo
abbigliamento. Era vestita come poche ore prima. Sì,
stranamente era vestita,
ma fare la donna di cucina proprio che non le donava.
"
Spero ti vada bene la pasta.."- disse continuando a girare il
mestolo nel sugo.
Ma
dai! Sapeva anche cucinare? La pasta poi! Wow.
Johanna
si avvicinò al ripiano della cucina sbirciando
le pentole. Ok, l’odore era buono, ma chi assicurava che il
sapore fosse
altrettanto?
La
ragazza decise che invece di stare con le mani in mano poteva almeno
apparecchiare, così avrebbe potuto disporre i posti a suo
piacimento.
Posizionò
i piatti il più lontano possibile l’uno
dall’altro, primo per non
fare sembrare strano la disposizione, nel caso avesse messo il piatto
lontano
dagli altri due e poi perché lei non aveva la
minima intenzione di stare
gomito a gomito con l’oca.
" Ho fame."- disse
Ville facendo la sua
entrata.
" Come se mangiassi
tanto."- disse seria Hanna dando voce ai pensieri
di Johanna.
" Ciao Jo..hanna.."-
salutò la
ragazza che per un attimo aveva alzato in aria un piatto come se avesse
voluto
tirarglielo.
La
cena era proseguita tranquillamente e pacificamente.
Ville non aveva parlato molto e l’oca aveva starnazzato,
cioè, parlato
abbastanza per tutti e tre.
Ogni
tanto aveva fatto qualche domanda a Johanna e la ragazza aveva risposto
a
monosillabi. L’uomo più le osservava e
più era d’accordo con Linde.
“Vedi
le donne sono complicate, non possono andare d’accordo. O
meglio se
vanno d’accordo non dura a lungo la cosa. Non come noi
uomini, noi siamo molto
più semplici e non siamo gelosi gli uni degli
altri.” - aveva detto ancora
prima di bere la quarta birra.
Mige
e Ville ascoltavano interessanti e pronti a ribattere.
“Linde
non dire scemenze.”- l’aveva
liquidato
Ville.
“Giuro!
Che siano madre e figlia, amiche, o qualsiasi altra cosa, non
saranno mai amiche per sempre.” - aveva detto dandosi
importanza. Credeva
davvero di far parte del mestiere " scopri le donne. In palio tante
birre
per te."
“Mi
scusi professore, ma le lesbiche?” - aveva chiesto Mige
sicuro che qui
non avrebbe saputo cosa dire.
Invece..
“Sapevo
che mi avresti posto questa domanda. Vedi..”- si era tirato
su e ora
guardava l’amico con un espressione serissima.- “..
in quel caso c’è sempre uno
sfondo sessuale e quindi la cosa cambia. Il punto è che due
donne non saranno
mai amiche e se lo diventeranno la cosa non durerà
all’infinito. È meglio
l’amicizia tra uomini!, fidatevi!”
"
Io sono stanca. Vado a dormire."- aveva
mentito Johanna alzandosi da tavola e
prendendo il piatto per portarlo nel lavandino.
"
Notte."- aveva mormorato Ville.
Hanna
aveva fatto finta di non sentirla e così la ragazza
andò via ancora più
imbestialita di prima. Si chiuse in camera e visto che tanto non
avrebbe
dormito si sedette fuori restando a guardare il cielo.
Le
ore passarono con la musica che le suonava nelle orecchie e la
stanchezza
ancora non si era presentata.
Era
davvero tardi.
In
silenzio aprì la porta e si affacciò sul
corridoio buio per assicurarsi che
non avrebbe incontrato nessuno. Scese lentamente le scale, cercando di
non
inciampare e uscì in giardino andando a sedersi su una
panchina molto vecchia.
"
Ma non eri stanca?"- la
voce alle sue spalle la risvegliò
completamente dallo stato di coma in cui era caduta. Ville
l’aveva vista dalla
sua stanza e si era deciso a scendere.
"
Non riuscivo a dormire."- stava quasi per aggiungere che magari era
il caso di insonorizzare anche la camera di Mr. Valo , ma decise che
era meglio
non mettere troppa carne al fuoco, soprattutto con Ville che era
vegetariano.
Si
voltò verso di lui e capì che le sue supposizioni
erano giuste dato che
Ville aveva addosso solo i jeans, addirittura stropicciati.
"
Senti, per quello che dicevo
stamattina.."- cominciò Ville, ritrovandosi i suoi occhi
azzurri puntati
addosso e che erano maggiormente illuminati dalle luce della luna.
Sembravano
quasi un laghetto d’acqua agitata con al centro una voragine
nera.
"..mi
permetterai di provarci?"- chiese
deglutendo.
Johanna
non aveva voglia di litigare, non a quell’ora.
Abbassò
un attimo lo sguardo, come se la risposta si trovasse sui piedi di
Ville, per poi rialzarlo e annuire sorridendo incoraggiante.
"
Wohoo! Hai ceduto, fantastico! Mi hai evitato di arrabbiarmi!"-
esclamò Ville sorridendo.
"
Veramente ti ho evitato una dolorosa sconfitta."- disse secca lei,
ghignando soddisfatta.
"
Riuscirò a fare del mio meglio. Sarò un buon
padre."
Johanna
lo guardò male. Non era così sicura di quello che
diceva.
"
Comunque non mi hai detto perché ce l’hai con
Hanna.."- disse Ville
sedendosi.
"
Semplicemente perché non ce l’ho con Hanna!"-
disse seria.
"
Ok, allora dimmi perché hai scelto il corso di canto."
La
ragazza si ammutolì per un istante pensando a cosa poteva
dire.
"
E’ un corso facile.."- disse per l'ennesima
volta giustificarsi.
"
Beh se per te è facile, significa che sei brava."
Colpita
e affondata.
"
Cioè aspetta.. non è proprio
facile..è.."- cercava di prendere al
volo una scusa, ma a quell'ora della notte evidentemente non ce n'erano.
Ville
si alzò e la guardò.
"
Vieni."- disse porgendole una mano.
Johanna
si fece tirare su, e appena fu in piedi lasciò la mano di
Ville quasi
avesse schifo e lo seguì all’interno della casa.
Arrivati
davanti ad una porta che lei non credeva di aver visto, Ville
l'aprì e
la fece entrare e subito dopo accese la luce. Era una stanza piena di
libri, ma oltre a
quelli c'erano molti
cd sparsi qua e là e una chitarra appoggiata delicatamente
sul divanetto chiaro.
Notò anche dei fogli bianchi sul tavolo posto al centro
della stanza davanti ad
una finestra grande che dava sul paesaggio mozzafiato che tanto le
piaceva.
Avvicinandosi notò che alcuni avevano delle scritte, ma la
calligrafia di Ville
era così piccola che non riuscì a capire cosa
c'era scritto. Forse non doveva
nemmeno leggerli.
"Si
può sapere cosa..?"
"
Mi farai sentire la tua voce."- disse Ville.
Johanna
emise una risatina nervosa.
"
Stai scherzando, spero."
"
No, non sto scherzando."- disse lui scuotendo la testa.
Johanna
si grattò la nuca in preda all'imbarazzo. Lei non voleva
cantare
davanti al suo idolo/ amore di sua madre/padre.
"
Non ho intenzione di cantare."- rispose cocciuta intenzionata ad
uscire.
"
Non provare ad uscire da quella porta."- le ordinò Ville
serio. Il
modo in cui aveva impartito l'ordine, l’aveva bloccata sul
posto.
"
Tu ora mi farai sentire la tua voce."
Johanna
lo guardò dritto negli occhi e capì che da
lì non sarebbe riuscita ad
uscire per davvero. Si avvicinò sconfitta alla chitarra, la
prese in mano e si
sedette su una delle sedie.
"
Sai anche suonare la chitarra?"- chiese Ville sorpreso.
"
Un po’. Mamma mi disse che a mio
padre piaceva
suonare la chitarra, così ho chiesto a Duncan di darmi delle
lezioni. Lui suona in una band con alcuni suoi amici."
“Dai
Ville, sono imbranata!” - disse Marika arrendendosi.
“Ce
la puoi fare.” - le disse lui mentre l’aiutava a
tenere su la chitarra.
“Hai
ragione, sei tu che sei un cattivo insegnante.”- disse
rimproverandolo.
“Forse
serve molta più pratica..”- disse avvicinandosi,
provocante, alla sua
preda.
"
Ok, fammi sentire.."- disse Ville avvicinandosi.
Avrebbe
potuto registrarla, ma era sicuro che non le sarebbe andato bene.
Johanna
cominciò a suonare dopo poco attimi e Ville subito riconobbe
The
funeral of hearts .
All’inizio
la sua voce era quasi sofferente, forse un po’ troppo, poi
aveva cominciato
a diventare invitante. La sua voce era potente,ma non stava urlando,
eppure
riusciva a trasmettere il concetto concludendo il tutto con una gran
maestria
che nemmeno lui in tutti quegli anni era riuscito a fare.
Era davvero sua figlia.
L'ANGOLO
SEGRETO DI VALS (?) u.u:
Cccccciao!
Visto? Ho fatto molto presto ad aggiornare, quindi voglio tanti
abbracci (?)
Questa volta
sono stata brava perché ho finito il capitolo in un modo
piuttosto dolce u.u xD
Burton
ha parlato..sì avete letto bene.. e anche Linde nonostante
fosse un ricordo u.u
Ville nonostante
i continui macelli ha fatto un bel passo avanti e già inizia
a dare ordini a quella povera figlia. Johanna come al solito
è di una simpatia unica ( povera xD) e un giorno lo
ammazzerà, fidatevi xD
Dai, alla fine
ci sarà soltanto tanto ammmmore ( forse..) muahahahahahaha xD
Questa volta ( e
per l'ennesima volta, specifichiamo),voglio fare un ringraziamento
speciale alla mia Crabs, ovvero Heaven_Tonight che oltre a sopportarmi
ha speso un pò del suo tempo per creare l'immagine faiga
della storia. Sì, perché l'immagine è
dannatamente faiga e quindi ripeto GRAZIE Crabs, davvero <3
Ringrazio tutte
le altre bellezze che seguono la storia, specie mia cognata virtuale
katvil che sopporta tutte le mie cretinate <3
E GNENTE..ci
vediamo al prossimo aggiornamento :3
Un bacio
Vals
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Dear Father
Capitolo
10
" Non male. Con
un po’ di pratica potresti migliorare."
Ville
non si era
sbilanciato più di tanto. Lui non avrebbe mai detto frasi
del tipo: " sei
bravissima!" o " I miei complimenti" o " sono senza
parole" . Lui era quel tipo di ragazzo che difficilmente faceva
complimenti specie se si trattava di farli ad un cantante o musicista.
Ville
era del parere che una volta fatto il complimento, anche il
più sentito, la
persona che l'aveva ricevuto cadeva nella vanità e finiva
per cullarsi sugli
allori, quando questi non c'erano nemmeno. E con Johanna non era da
meno. Non
voleva che lei credesse fin da subito di essere eccellente. Il talento
andava
migliorato e spronato ancora ancora e ancora. Beh lei era davvero
brava, ma il
caro finnico non lo avrebbe ammesso così presto e poi in
quel momento era perso
a pensare al passato.
Johanna,
l’aveva osservata bene e gli ricordava sempre
di più Marika.
"
Si vede che ho preso da mamma..lei era.."
"
Imbranata."- disse Ville sorridendo.
Johanna
lo guardò quasi spaventata. Tutto quello
era decisamente assurdo. Ville che finiva le sue frasi, Ville che la
voleva
sentire cantare, Ville che era attento a quello che diceva, Ville che
non era
scocciato.
Senza
farsi vedere si diede un pizzicotto,
sperando che fosse solo un sogno e che si sarebbe risvegliata nel suo
letto a
New York.
"Ahi.."
- disse massaggiandosi il
braccio. Ville
la guardò interrogativo.
"
Nulla."- disse lei sorridendo
imbarazzata. - " visto che mi hai
‘costretta’ a cantare, ora dovrai
cantare anche tu!"- disse invitandolo a sedersi sulla sedia accanto.
Ville
sorrise soddisfatto. Entrambi sapevano che
non si sarebbe tirato indietro.
Si
sedette e prese in mano la chitarra mentre
Johanna si metteva comoda sulla sedia, a gambe incrociate.
Ville
si lasciò andare e cominciò a suonare Circle
Of Fear.
Si
guardavano negli occhi, si studiavano.
Ville
aveva bisogno di fissare qualcosa e così
aveva scelto di cercare conforto nello sguardo della figlia.
Johanna
aveva bisogno di capire perché stesse
suonando quella canzone, perché stesse pronunciando quelle
parole. Era forse un
modo per farle capire che aveva paura come lei, del resto?
“…Oh
your circle of fear is the same…”
La
canzone finì, lasciando spazio all’imbarazzo.
O meglio, erano gli occhi di Ville a causarlo. Johanna
si schiarì la voce.
"
Per quanto tu
a volte possa essere diva, resti sempre un bravo artista."
Ville
sorrise sentendo quel nome.
"
Io non faccio
la diva."- disse fingendosi offeso.
"
Già, suppongo che ti venga spontaneo."
"
Tu mi spezzi il cuore.. mi spezzi il
cuore!"- ripeté risultando sempre meno credibile.
"
Sei un attore mancato, Ville."-
disse lei divertendosi.
"
Come
scusa?"- chiese lui offeso mentre metteva via la chitarra.
"
Non sei credibile."- disse lei
alzandosi e uscendo dalla stanza.
"
Io sarei poco credibile?"- chiese
lui scettico seguendola.
"
Adesso sei anche sordo? Ho detto che non
sei credibile, il che è peggio."- non riuscì a
trattenere il ghigno
strafottente che fece capire a Ville che lo stava prendendo in giro.
"
Te ne pentirai!"- disse mentre lei
saliva le scale, dirigendosi al piano di sopra.
"Ville!
Svegliati!"
L'uomo
era riuscito
ad addormentarsi da poco quando si sentì chiamare da Hanna.
"
Che c’è?"- chiese stanco.
"
C’è che tra 40 minuti arrivano i tuoi
genitori."- gli disse lei mentre cercava di buttarlo giù dal
letto.
"
Eh?" - chiese Ville scendendo.
"
Ville, è domenica, il che significa che
Kari e Anita vengono qui!"
Aveva
già cominciato
a rifare il letto mentre Ville si passava le mani tra i capelli con una
calma
innaturale, sbadigliando.
"
E tu? Vai via?"- chiese quasi
triste.
"Ti
devo ricordare che io e tua madre non
andiamo molto d’accordo?"- chiese sarcastica.- " e poi
anch’io ho la
mia famiglia!"- disse mentre raccoglieva le sue cose in giro. Ville
borbottò qualcosa mentre andava in bagno.
"
Io vado, salutami Johanna!"
Una
doccia fredda e
tutta la stanchezza se ne era andata. Ville, vestito e profumato,
uscì dalla
stanza e passando per il corridoio bussò alla porta della
ragazza.
"
Johanna,
svegliati!"- urlò.
Non
gli arrivò nessuna risposta dall’altra parte della
porta, così aspettò qualche secondo. Niente.
Bussò
un’altra volta e poi con calma abbassò la maniglia
e sempre molto
lentamente aprì la porta.
Nella
stanza non c’era nessuno.
Il
letto era fatto, la portafinestra aperta ed
era quasi tutto in ordine, a parte un libro aperto che era stato
poggiato al
contrario sul comodino.
Ville
era quasi intenzionato ad avvicinarsi e
chiuderlo per evitare che si rovinasse.
"
Ville! Buongiorno anche a te, eh!"-
la voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
Si
voltò spaventato e l’odore di caffè gli
arrivò dritto alle narici.
"
Sei già sveglia?"- chiese quasi
imbarazzato.
"
Le domande le faccio io. Che ci fai in
camera mia?"- chiese inarcando un sopracciglio e gettando uno sguardo
all’interno della stanza.
"
In teoria non sono dentro."- ribatté
Ville riferendosi al fatto che i suoi piedi fossero fuori.
"
Si da il caso che il tuo braccio lo
sia."- disse Johanna senza neanche pensare.
Con
Ville era impossibile pensare, bisognava
agire. Il finnico,
allora, ritirò
il braccio, squadrandola.
" E comunque tu a
quest'età non dovresti
bere il caffè."
"
Beh, in effetti questo era per te.
L’aveva fatto Hanna prima di andare."- disse porgendogli la
tazza.
Ville
sorrise soddisfatto prendendola in mano.
"
Quel libro si rovinerà se lo lasci in
quel modo."- disse indicando con un cenno della testa il
suo diario, prima di
portarsi la tazza alle labbra e incamminarsi verso le scale. Johanna
sbiancò di
colpo, notando che si trattava del diario che aveva ripreso a scrivere
per trovare
un modo per sfogarsi e dove c'erano tutti i suoi segreti e
ringraziò il cielo
che Ville non avesse visto la sua reazione e che non gli fosse venuto
in mente
di farle un favore mettendolo al suo posto.
"
Ciao
mamma..ciao papà."
"
A tuo fratello
non lo saluti? Hanna ti fa il lavaggio del cervello? Mi dispiace per
Johanna,
lei non merita questi trattamenti"- disse serio Jesse entrando. Era
chiaro
che sapesse tutto. Evidentemente Mige lo aveva informato su
ciò che era
accaduto. Bell'amico, pensò Ville.
"
Mi scusi sua
altezza cretinetto, come sta oggi? Sicuro di stare bene? Una lucertola
ha un
colorito meno pallido della sua faccia, lo sa?"- chiese a Jesse con un
pizzico di rabbia.
"
Non iniziate! Altrimenti vi chiudo a chiave
in camera finché non la smettete.."
"
È colpa sua!"- esclamò Jesse.-
" è lui che è scemo e non capisce niente del
mondo."
"
Chi è lo scemo?"- chiese Ville
inalterato.
"
Tu! Devo scandire bene? T U."
"
Vuoi essere ficcato con la testa nel
muro, vero? Dimmelo, sono a tua disposizione."
"
Ragazzi?"- li richiamò Kari.
"
Ti faccio
mangiare la chitarra."- rispose Jesse senza ascoltare suo padre.
"Ora.
Basta."
Anita
era infuriata.
Prese i due fratelli per il braccio e li trascinò in
salotto. Non che fosse
Wonder Woman, ma quando si arrabbiava i due capivano che non era il
caso di
insistere. Li fece sedere sul divano e senza dire altro uscì
chiudendo la
porta. Ormai non serviva più chiudere a chiave o assicurarsi
che fuggissero in
altri modi, erano abbastanza maturi, almeno si sperava.
Si
voltò esasperata e si ritrovò davanti Johanna
che le sorrideva complice.
"
Dovrai farci l’abitudine!"
Johanna
annuì, capendo che Jesse sapeva tutto e
che ora voleva fare la sua personalissima tirata d'orecchie al
fratello. Evidentemente
Kari e Anita non sapevano nulla e immaginò che i signori
Valo pensassero che la
questione riguardasse solamente Hanna.
"Andiamo
a vedere che c’è nel frigo."-
disse la donna con un insolito entusiasmo. Kari si sedette comodamente
in
giardino mentre Johanna seguì Anita in cucina dove
immediatamente iniziò a cucinare.
Johanna la stava osservando imbarazzata non sapendo come rivolgersi a
lei. Si
schiarì la voce e chiese: " la posso aiutare?"
"
Non darmi del lei, non sono abbastanza
vecchia."- disse ridendo, mentre continuava il suo compito.- " ecco,
se ti fa piacere..puoi chiamarmi nonna.."
Anita
non alzò lo
sguardo per vederla in faccia. Non voleva vedere la sua espressione
contrariata
nel caso avesse detto no. Forse era troppo presto.
Al
contrario Johanna sorrise. Doveva sempre
tenere a mente che Anita oltre che madre di quel coglione di Ville e di
quel
santo di Jesse, era anche nonna e poverina aveva fatto tanto per
crescere quei
due, quindi adesso meritava un po’ di gratitudine. Non disse
nulla e così la
donna fu costretta a guardarla e le sorrise di rimando. Johanna
si spostò i capelli dietro l’orecchio.
"
Ehm..io non
mai avuto dei nonni..Insomma i genitori di mamma erano morti molto
prima che
nascessi.."- disse sorridendo imbarazzata. Quella era una nuova
esperienza
anche per lei oltre che per Anita.
La
signora Valo si incupì e lasciò il coltello
sul tavolo, appoggiandosi. Johanna si stava avvicinando pensando che
stesse per
svenire e invece la donna alzò una mano per farle capire che
andava tutto bene
e la ragazza si fermò lì dov’era,
guardandola preoccupata. Possibile
che ogni volta che le parlava, Anita si
doveva sentire male?
Si
portò una mano al petto, respirando
affannosamente.
Dopo
qualche attimo, si levò il grembiule e si
diresse verso il salotto in cui i fratelli stavano comunicando, si
sperava
pacificamente.
Si
erano seduti sul
divano con nessuna intenzione di chiarirsi. Avrebbero aspettato che
Anita
tornasse ad aprire, magari con il pranzo già preparato.
Dopo
dieci
minuti passati in quel silenzio assurdo, avevano capito che dovevano
trovare qualcosa
da fare per sopravvivere..alla noia.
Jesse
continuò a guardarlo, mentre il maggiore
continuava a battere i pollici sulla pelle del divano come un ossesso.
Eppure, Jesse
era sicuro che se gli avesse tirato un cuscino l’avrebbe
fermato prima che gli
arrivasse addosso ed era quasi intenzionato a testare la sua teoria
quando
Ville, senza alzare lo sguardo, mosse le labbra.
"
Quindi hai
saputo tutto."
"
Era logico che
dovessi saperlo. Devo pur far qualcosa, sono tuo fratello. Non mi piace
come ti
comporti."
Stavano
parlando
civilmente e la cosa era abbastanza strana. Ville decise di contare
fino a
cento prima di rispondere. Il fatto che non rispondesse dava fastidio a
Jesse
che disse: " bene vogliamo fare il gioco del silenzio?"
Altro
silenzio.
"
Ville?"
Gli
arrivò una cuscinata che andò a colpire
dritto il suo viso.
"
Si può sapere
che cazzo ti prende?"
"
Non mi ascolti!"-esclamò Jesse offeso.
"
Oh, scusa!"- lo sfotté Ville.
La
porta alle loro spalle che si apriva li
distrasse dai loro pensieri.
"
Ville, dobbiamo
parlare. Subito.”
Ville
seguì la madre fuori e
si ritrovò in giardino con grande sorpresa
di Kari.
"
Si può sapere quanto sei idiota?"- chiese
la madre al figlio.
Ville
la guardò triste.
"
Cosa è
successo?"- chiese
intimorito.
"
Cioè Ville, fammi capire: tu hai lasciato
che Marika andasse via e per giunta da sola? Senza i suoi genitori?"
" Io non sapevo che stesse partendo e poi..cosa avrei dovuto fare?"
"
Credevo che i
miei insegnamenti e quelli di tuo padre ti avrebbero fatto crescere in
maniera
diversa e invece no! Non posso credere che tu non abbia fatto nulla!"
Ville
si sentiva
sempre di più inutile. Adesso anche sua madre glielo faceva
capire.
“Mamma,
per favore..lei diceva che sarebbe
partita, ma che sarebbe tornata presto. Io pensavo che scherzasse e poi
il
giorno dopo il nostro concerto sono andato a casa sua e lei..non c'era.
Mi
aveva lasciato una lettera dove mi spiegava che non poteva stare con
me, che
non credeva più di amarmi come prima e che aveva bisogno di
girare il mondo per
fatti suoi e che io dovevo semplicemente seguire il mio sogno.."
"
Anita su,
calmati. Le situazioni possono sempre essere sistemate."- disse Kari
avvicinandosi. Anita guardò Ville ancora un po' infuriata,
ma non così tanto da
scagliarsi contro. Forse Kari aveva ragione, tutto si sarebbe
sistemato. Ville
doveva farlo per forza!
"Ti
giuro, che
se fai soffrire quella ragazza"- disse puntandogli un dito contro,
alludendo a Johanna.-" io..io non lo so cosa ti faccio."
Eccolo
tutto
l’affetto materno di nonna Anita.
"
Scusa..prometto che farò il
bravo.."- disse Ville mordendosi il labbro come faceva da piccolo.
Anita
lo guardò intenerita pensando a quanto
fossero cresciuti i suoi piccoli ometti e si lasciò
abbracciare dal figlio.
Johanna
aveva appena assistito a quel momento di
dolcezza e stava sorridendo commossa.
"
Scene di vita quotidiana a casa Valo,
ciak prima."
Jesse
era apparso
alle sue spalle con un espressione sarcastica.
"Sei
geloso?" - chiese la ragazza divertita.
"
Geloso? Ma che geloso! Solo che non va
bene che lui con quei suoi occhi riesca a mettere nel sacco tutte le
donne compresa
la mamma!"- disse afflitto.
"Sei
geloso."- e questa volta era una
constatazione.
"No."
"Già!
Cosa hai da invidiargli a parte la
voce, il talento e, beh, quegli occhi?" chiese facendogli il verso.
Jesse
la guardò offeso.
"
Almeno io non
sono egocentrico, narcisista, bastardo, coglione.."
"
Come scusa?"- Ville si era
avvicinato e ora lo stava guardando male.
"
Non ricominciate e venite ad aiutarmi!
Subito!"
" Così
canti?"- le chiese Kari con gli occhi pieni di gioia.
Johanna
aveva pregato Ville con lo sguardo fino all’ultimo sperando
che non glielo
dicesse.
"
Non proprio.."
"
E suona anche la chitarra.." -
aggiunse Ville che fu fulminato all’istante dalla figlia.
"
Dai facci sentire qualcosa!"- disse
Anita felice.
"
Sì, dai siamo
curiosi!"- esclamò Jesse.
Johanna
provò a distogliere lo sguardo ma
ovunque si girasse vedeva occhi da cerbiatto. Le sembrava che anche i
mobili la
guardassero per convincerla. Per
sopravvivere in quella casa sarebbe dovuta diventare cieca, sorda e
perché no?
Anche muta.
Emise
dei mugolii disperati sperando, invano,
che non le facessero provare quella tortura, ma si accorse tardi che
Ville
aveva appena tirato fuori la chitarra da dietro il divano.
Lo
guardò come a voler dire ‘cosa ci faceva
quella lì?’, ma era inutile chiederglielo, molto
probabilmente era un piano
studiato nei minimi dettagli.. forse si addiceva di più la
parola vendetta.
“Adesso
sei anche sordo? Ho detto che non sei
credibile, il che è peggio.”
“Te
ne pentirai!”
"
No, seriamente..non sono brava.."-
disse cercando di respingere lo strumento che Ville da minuti cercava
di
metterle in mano. Stava
quasi pensando di
prenderla e spaccargliela in testa e per un momento davanti ai suoi
occhi
passarono le immagini di quello che sarebbe potuto succedere, ma quel
poco di
lucidità che le apparteneva le consigliava che non era il
caso.
Respirò
a fondo e prese la chitarra, guardando
Ville come se dovesse sfidarlo.
Pensò
velocemente ad una canzone e le tornò in
mente quella che qualche mese prima aveva sentito cantare a Marika. Better Days.
“And
you ask me what I want this year
And I try to make this kind and clear
Just a chance that maybe we'll find better days
'cause I don't need boxes wrapped in strings
And desire and love and empty things
Just a chance that maybe we'll find better days
So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again
And it's someplace simple where we could live
And something only you can give
And that's faith and trust and peace while we're alive.."
Continuò
a suonare cercando di tenere lo sguardo
basso per non dover incontrare quello di Ville. Si sentiva lo sguardo
di tutti
e quattro puntato addosso, ma cercava di non pensarci. Si
sforzò di ricordare
il suono della voce di Marika mentre cantava la canzone cercando di
sovrastare
con la sua voce il suono che usciva dalle corde. Sorrise malinconica,
fregandosene del fatto che loro la stessero guardando.
“..and
the one poor
child that saved this world
And there's 10 million more who probably could
If we all just stopped and said a prayer for them
So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again
I wish everyone was loved tonight
And somehow stop this endless fight
Just a chance that maybe we'll find better days
So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again
'cause tonight's the night the world begins again.."
Appena
ebbe finito si sentì quasi
spaesata. Cantando l’ultima parte si era quasi dimenticata
della presenza degli
altri attorno e adesso era completamente rossa. Restituì la
chitarra a Ville
mentre si mordicchiava le labbra, nervosa. Nessuno aveva detto niente e
questo
non migliorava le cose.
Kari
continuava a passare lo sguardo dal figlio
alla nipote, mentre Jesse guardava il pavimento con lo sguardo fisso.
Ville
continuava a guardarla senza sapere cosa
dire.
"
Beh si sente che è una Valo."- disse
Anita rompendo il silenzio imbarazzante.
Jesse
la guardò sorridendo, mentre Ville annuiva
impercettibilmente e Johanna..?
Johanna
era sorpresa, lusingata e spaventata da
quell'affermazione.
"
Mi piacciono queste domeniche in
famiglia!"- disse Jesse entusiasta.
"
Per questo il sabato non devi stare fino
alle 6 nei locali, almeno ti presenti in modo decente!"- lo
rimproverò la
madre.
"
Ma mamma! Tutti i miei amici lo fanno.."
Johanna
si mise a ridere, mentre Ville lo
guardava con rimprovero.
L'ANGOLO DI VALS:
Mmmmmmhhhhh
cccccciao :D
Lo
so, il capitolo è piuttosto vuoto..diciamo che va
considerato come passeggero. E' dal prossimo che inizia il vero
divertimento muyahahahahhahaha!
Nuovamente
tuuuuuutttttti in famiglia..cccchecccosatttenera :3
Come
al solito c'è sempre un pò di movimento, ma non
è così tragico xD
La
canzone scelta è questa https://www.youtube.com/watch?v=i-kHleNYIDc
Aaaah
sì..volevo farvi vedere Hanna così giusto per
odiarla ancora di più xD
E'
comunque una gnocca, non vi pare? xD
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Ci
vediamo alla prossima!!!
Vals
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Dear Father
Capitolo
11
"
Sei
nervosa?"
La
voce di Ville,
come sempre succedeva nei momenti più tesi,
riuscì a calmarla per qualche
secondo. La semplice differenza stava nel fatto che questa volta Ville
Valo non
cantava una delle sue canzoni e non era lontano mille miglia da lei, ma
le
stava parlando e non attraverso semplici versi ritmati.
Johanna,
seduta in
cucina, alzò il capo e tolse le mani dal viso e
guardò Ville avvicinarsi e
prendere posto accanto a lei. La ragazza, nervosa, annuì
deglutendo mentre
osservava suo padre prendere una sigaretta e avvicinarla alle labbra.
"
Fa male alla
salute stare in ansia."- disse cercando il suo accendino.
"
Anche le sigarette fanno male alla salute."
Ville
si bloccò con
l'accendino ad un millimetro dalla sigaretta e fissò sua
figlia. Era
straordinario come avesse sempre la risposta pronta e fosse diretta
proprio
come lui. Sorrise e, miracolosamente, mise da parte tutto l'occorrente.
Questo
non significava che Ville di colpo aveva deciso di smettere di fumare,
semplicemente lo avrebbe fatto dopo. Ora era necessario ascoltare le
ansie di sua
figlia e voleva farlo senza darle fastidio con il fumo.
"
Andiamo, non
dirmi che un tipetto come te ha paura del primo giorno di scuola."- la
prese in giro. Johanna strinse i pugni e disse: " io non ho paura.."
"
Oh
certo!"- esclamò divertito Ville vedendola sbuffare.
"
Oh! E va
bene!"- esclamò Johanna scendendo dalla sedia e iniziando a
gesticolare
come di solito faceva quando era in ansia e presa da attacchi di
nervosismo per
qualcosa che doveva fare.- " ho le budella attorcigliate e ho il
terrore
che tutto possa andare storto! Ma che dico? Tutto andrà
storto, ne sono sicura!"
Incrociò
le braccia
sbuffando nuovamente senza guardare Ville, fissando un punto del
pavimento
chiaro e cercando di calmare gli istinti omicidi verso tutto il mondo.
Il
fatto era che
questa volta lei avrebbe affrontato una nuova sfida. Non era
più il solito
primo giorno di scuola, nel solito edificio del solito quartiere con i
soliti
amici e facce conosciute così di vista. Non avrebbe
rincontrato l'aria
familiare di quei corridoi grandi e pieni di persone di vario tipo, da
quelli
più amichevoli a quelli più sbruffoni. Non sapeva
cosa doveva aspettarsi da
quella nuova scuola, da quella realtà che doveva diventare
la sua quotidianità.
La cosa più difficile da mandare giù era la
mancanza di Daphne e Duncan. Una
volta varcata la soglia di quella nuova scuola, infatti, non avrebbe
incontrato
l'entusiasmo mattiniero di Daphne, né i problemi
esistenziali di Duncan con
geografia. Non sapeva nemmeno chi avrebbe incontrato a dirla tutta.
Si
immaginava già
preda di qualche bullo, o peggio ancora, presa di mira da qualche
stupida gallina
senza cervello.
Ville
aveva capito
appieno il vortice di pensieri che riempivano la mente di Johanna. Le
si
avvicinò e le posò le mani sulle spalle minute,
costringendola a guardarlo
negli occhi e sorridendo incoraggiante disse: " niente andrà
storto. Non
devi fasciarti la testa prima ancora di cadere e non puoi nemmeno
pensare al
peggio prima ancora di vederlo in faccia. E poi cosa dovrebbe
impaurirti? Un
gruppo di gente che si sente superiore perché crede di aver
talento, quando
invece non sa nemmeno che cos'è una nota musicale? Avanti
Johanna! È da
sciocchi pensare negativo! E sono sicuro che conoscerai un bel po' di
gente a
posto e tranquilla."
Johanna
annuì
sorridendo. In fondo Ville aveva ragione e le sue parole erano
ciò che le serviva
per attenuare almeno un po' il mostriciattolo che si era impadronito
delle sue
viscere.
"
Bene, allora
andiamo."- disse Ville prendendo la borsa di Johanna.
"
Mi accompagni
tu?"- chiese allarmata pensando ai giornalisti che potevano nascondersi
in
qualsiasi angolo della strada.
"
Fuori ti
aspetta Jesse. Ti accompagnerà lui. Non che io non voglia
è solo che.."-
iniziò allarmato, cercando le parole giuste.
"
Non
preoccuparti. Ho capito il motivo. Sei diventato l'obiettivo preferito
dei
giornalisti e hai paura per me, visto che non sono abituata a tutto
questo, e
non vuoi che il mio primo giorno di scuola inizi con questa brutta
piega."- spiegò Johanna continuando a sorridere. Marika le
aveva sempre
detto che per l'età che aveva dimostrava di essere molto
più matura, ma forse
tutto questo era dovuto alle situazioni che aveva passato che l'avevano
fatta
crescere un po' più velocemente degli altri. Ormai capiva al
volo qualsiasi
situazione non propriamente semplice e Ville per un momento fu sul
punto di
abbracciarla forte stringendola a sé, ma pensava di
risultare stupido e magari
lei non avrebbe approvato. Non sapeva, invece, che Johanna non avrebbe
opposto
resistenza per nessuna ragione al mondo. Era suo padre in fondo. Che
cosa c'era
di più bello in un abbraccio paterno improvviso?
Ville
sorrise e tese
la mano che immediatamente incontrò quella di Johanna.
Uscirono fuori dove
effettivamente ad aspettarli c'era proprio Jesse appoggiato con la
schiena
contro l'auto, come l'autista di una limousine. Sorrise radioso a
Johanna ed
esclamò: " pronta per l'avventura?"
"
Prontissima!"- rispose Ville mettendo lui stesso la borsa in macchina.
Johanna non sapeva se scoppiare a ridere o restare seria. I fratelli
Valo che
cercavano di tirarla su di morale erano davvero molto spassosi.
Ville
si avvicinò a
lei e in un sussurro gli disse: " buona avventura. Ci vediamo dopo."
"
A dopo."- rispose lei, indecisa se abbracciarlo o fuggire in auto.
L'imbarazzo del momento ebbe la meglio e con un gesto goffo si
allontanò
entrando in macchina e salutando Ville con la mano mentre Jesse facendo
qualche
manovra da perfetto pilota si allontanava dalla torre.
" Resta il
fatto
che io mi scoccio a fare questa intervista!"- esclamò Ville
scocciato
guardando Seppo.
"
E resta il fatto che domani dopo l’intervista lo sapranno
comunque tutti!"-
disse l'uomo mettendolo in agitazione. Il silenzio imbarazzante che
seguì dopo
era causato dal fatto che ancora nessuno sapeva se fosse davvero il
caso di
dire che Johanna era sua figlia. Qualche sospetto ci sarebbe stato e
sicuramente la gente non era così sciocca da credere ad
altro. La somiglianza
c'era ed era molta, ma la domanda che Ville si poneva era: meglio stare zitti e
lasciare che andassero a
pensare nel massimo della pazzia popolare che lui fosse pedofilo, o
dire
direttamente che aveva ritrovato sua figlia?
Ville
sorrise
divertito pensando alla prima soluzione, ma non sarebbe stato saggio,
non
quando Jackie dall'altra parte del mondo stava architettando qualcosa
per
metterlo fuori e riprendersi Johanna. Al solo pensiero il sorriso
scomparve e
la scocciatura riprese il sopravvento. Si era già
affezionato a Johanna più di
quello che lui credeva e vedersela portare via non era proprio
ciò a cui
pensava né tanto meno desiderava. Non potevano portarsela
via, ora che stava
provando a comportarsi in maniera decente.
Ma
era anche vero che, come aveva detto lui stesso a Burton, la decisione
spettava a Johanna e comunque lei aveva deciso di lasciarlo provare ad
essere
padre.
Ville
aveva represso
un urlo di gioia, mentre sorrideva soddisfatto per essere riuscito a
far
cambiare idea a Johanna.
"
Sì, infatti, quindi dovrò preparami al
peggio..?"- disse
dando il consenso per sputtanare al mondo intero che Ville Valo, l'uomo
che
pubblicizzava preservativi, non aveva saputo usare le precauzioni
neanche prima
di diventare famoso e che quindi aveva una figlia adolescente e
sembrava che ora
lui fosse finalmente diventato abbastanza maturo da crescerla.
Ripensò
a quello che stava succedendo e..capì ulteriormente che si
stava affezionando
davvero tanto a lei. E pensare che si conoscevano
da..mercoledì? Non era
passata neanche una settimana.
"
Tranquillo, ci penserò io a insegnarti a sopravvivere!"-
disse Seppo
incoraggiante, contento per il fatto che forse stava andando
tutto bene.
"
Io ho fame."- disse Mige, precedendo i gorgoglii del suo stomaco
con la stessa finezza di sempre.
"
Dimmi, quand’è che non hai fame?"- chiese Ville
scuotendo il capo.
"
Fino a due ore dopo i pasti, non ho fame."- rispose Mige discolpandosi.
"
Ma fammi il piacere!"
"
Smettetela!"- tuonò Seppo. Ville e Mige si guardarono e
sorrisero
complici.
Come Ville aveva
predetto l'inizio era andato a meraviglia. Nessuno l'aveva presa di
mira, gli
insegnanti erano stati completamente gentili e disponibili e aveva
passato
delle piacevoli ore ad ascoltare le lezioni. Johanna non era una
secchiona, ma
le piaceva studiare. Non ambiva a voti altissimi, cercava semplicemente
di
ottenere dei buoni risultati che le permettessero di essere soddisfatta
di sé.
L'unica
cosa che
forse non era riuscita ancora a fare era trovare qualche ragazza con
cui
socializzare. Naturalmente avrebbe avuto un intero anno scolastico
davanti e le
amicizie sicuramente non sarebbero mancate se si metteva di impegno,
eppure
sentiva il bisogno fin da ora di trovare almeno qualcuno che in quel
labirinto
le desse coraggio. Si stava avvicinando al suo armadietto, quando
sentì
qualcuno dietro di sé parlare.
"
Ciao! "
Johanna
si voltò e si
ritrovò di fronte ad una ragazza dal viso pallido e
incorniciato da una
criniera di capelli biondi. Gli occhi erano verdi e sembravano quelli
di un
gatto e le sue labbra rosee erano curvate in un largo sorriso. Era
davvero
molto alta e indossava un paio di jeans chiari e una camicia rossa
aperta sotto
alla quale spiccava una maglia dei Nirvana.
"
Ciao."
"
Io sono
Marianne."- si presentò la ragazza porgendole la mano.
"
Johanna."
Dopo
essersi strette
la mano, Marianne senza smettere di sorridere disse: " frequentiamo lo
stesso
corso, io ero seduta in seconda fila."
"
Ah sì!
Scusa..non ricordavo più il tuo nome."- disse Johanna
ricordandosi di lei.
"
Non preoccuparti!
Il primo giorno è così per tutti, specie se non
hai mai frequentato questo
posto."- spiegò la riccia aprendo il suo armadietto accanto
a quello di
Johanna.
"Già."-
rispose lei imitandola.
"
Tranquilla, ti
ci abituerai presto."
"
Finalmente vi
ho trovate!"
"
Arja!"-
esclamò Marianne.
Sia
Marianne che
Johanna chiusero i rispettivi armadietti e guardarono la ragazza che
aveva
parlato. Arja era in completo contrasto con Marianne a partire dai
capelli. I
suoi erano mossi e castani, raccolti
in
una lunga coda alta e i suoi occhi di un marrone scuro. Aveva dei
lineamenti
che per certi versi a Johanna ricordavano una donna orientale, anche se
di
orientale in Arja c'erano solo gli orecchini.
"
Johanna lei è
Arja."
"
Piacere."
"
Piacere tutto
mio!"- esclamò l'altra allegramente. Prima che Johanna
potesse fare un
altro passo qualcuno la trascinò a terra e un peso enorme
gravò su di lei. Si
rese conto, nella confusione totale, che ad esserle piombato addosso
era un
ragazzo. Gli occhi chiari furono la prima cosa che riuscì a
guardare prima di
perdersi nei lineamenti del viso.
Immediatamente
il
ragazzo si alzò e subito dopo anche lei che riprendendo
coscienza di sé esclamò
in tono brusco: " vuoi stare attento a dove metti i piedi?"
Sentì
un gran male al
piede, ma testarda com'era non avrebbe fiatato in quel preciso istante
davanti
al colpevole. Il ragazzo guardò nella direzione dei suoi
amici che se la
ridevano come matti e poi tornò con i suoi occhi sulla
povera Johanna. Si passò
una mano fra i capelli castani e ribelli e disse: " scusami. I miei
amici
sono abbastanza cretini e amano fare scherzi di pessimo gusto, come
spingere la
gente così di punto in bianco.."
Nuovamente
si perse
nel suo sguardo. Era decisamente un bel ragazzo e a giudicare dai
muscoli di
poco pronunciati, doveva essere un atleta. O questo lo immaginava solo
lei.
"
Ehi..va tutto
bene?"- chiese il ragazzo guardandola preoccupato. Johanna scosse la
testa
e balbettando rispose: " eh? Sì..tutto ok."
"
Mark, ti vuoi
muovere?"
Il
ragazzo si voltò
verso chi l'aveva chiamato e poi rivolgendosi a Johanna disse: " oh,
devo
andare. Scusami ancora!"
La
lasciò con un gran
sorriso prima di rincorrere il responsabile di quel piccolo incidente.
Johanna
decise che quello fosse il momento di smetterla e di tornare con i
piedi per
terra e così facendo si accorse nuovamente del dolore che
sentiva, ma per
fortuna nel frattempo sembrava diminuito.
"
Accidenti! Tu
non sai che fortuna hai avuto!"- disse sospirando Marianne.
"
La chiami fortuna
rischiare una frattura al piede?"- si lamentò Johanna
sbuffando.
"
Beh..a me non
ha mai fratturato niente..anzi a pensarci bene, non mi ha mai rivolto
la
parola."- disse Arja a braccia conserte. Johanna sorrise. Era chiaro
che
ad Arja non gli stesse tanto simpatico.
"
Lui è Mark
Saarinen, uno dei ragazzi più belli dell'intero istituto.
È della nostra stessa
età."- spiegò Marianne.
"
E anche il più
antipatico."- concluse Arja.
"
Ad Arja non le
va mai bene nessun ragazzo. Dovrai farci l'abitudine."- disse Marianne
divertita, mentre Arja sbuffò.
Johanna
continuò a
sorridere. Sorrideva perché si stava sentendo a suo agio e
si sentiva fortunata
perché aveva già trovato due persone che la
stavano facendo sentire meno
spaesata e con le quali avrebbe condiviso la sua avventura, o almeno
era quello
che sperava.
Quando
a fine lezione
Johanna uscì fuori dall'istituto ad attenderla non c'era
Jesse bensì Ville. Il
finnico aveva deciso di rischiare perché non gli piaceva
l'idea di dare a Jesse
incarichi che nonostante le avversità giornalistiche poteva
svolgere lui. Così
aveva lasciato la sua Musa e gli altri in studio per andare da lei.
Johanna lo
guardò allarmata, ma sorrise contenta di vederlo
lì.
"
Come è
andata?"
"
Avevi ragione.
Tutto è andato bene."- rispose Johanna allegra per la prima
volta da
quando era lì. Ville lo notò e sorrise il doppio.
Le scompigliò i capelli
beccandosi una sua occhiataccia e poi disse: " visto?"
Alcuni
ragazzi si erano
fermati ad osservarli e Ville onde evitare delle scenette disse: " che
ne
dici se andiamo a pranzare in qualche posto e mi racconti tutto
lì?"
Johanna,
capendo la
situazione, annuì e così i due si allontanarono
dalla vista degli altri.
"
Per un momento
ho avuto il terrore che dovessi cucinare tu."- disse Johanna seria.
"
Faccio così
schifo?"- chiese Ville fermandosi.
"
Solo un
pochino."- rispose divertita la ragazza continuando a camminare. E la
diva
naturalmente si offese, ma in cuor suo sapeva anche lei di essere una
schiappa.
Così senza farsi notare sorrise e quando tornò
con lo sguardo su Johanna disse
serio: " dalla prossima volta cucinerai tu, voglio vedere cosa sai
fare."
"
Affare
fatto."- disse Johanna.
I
due si strinsero la
mano e poi si incamminarono verso la loro destinazione.
Stava
sgranocchiando un
biscotto mentre su Facebook si stava impegnando a trovare Mark.
Non
fu facile, ma una volta trovata Nicole, il gioco era fatto.
Nicole
era la capo cheerleader della scuola e sapeva farsi notare, poi
guardando la sua bacheca aveva notato che aveva taggato, citato,
commentato e
tutto il resto solo ed esclusivamente Mark. Così dopo aver
aggiunto Marianne e
Arja era rimasta a contemplare le foto di Mark, nonostante molte di
essere lo
ritraevano con Nicole.
"Chi
è
costui."
Johanna
balzò sulla sedia e per lo spavento chiuse di colpo il
portatile,
rischiando di mandarlo in frantumi.
Primo.
Cosa voleva Ville?
Secondo.
Perché usava quel tono strano e la guardava in quel
modo..sempre
strano?
Terzo.
Cosa ci faceva in camera sua?
Ah,
quarto. Perché quella non sembrava una domanda?
"Cosa
ci fai
qui?"- chiese spaventata e arrabbiata.
Oltretutto,
la flebile luce della lampada che illuminava a malapena il volto di
Ville, rendeva la sua espressione ancora più strana del
solito.
"Volevo
sapere se eri morta o meno."- disse con calma continuando a
fissare il punto dove poco prima c’era lo schermo del
portatile e come se
potesse ancora vederla, quella foto.- " ma sono contento di sapere che
sei
viva e vegeta."
"
Stavo facendo i compiti."
"
Con la connessione su facebook."- disse Ville annuendo serio.
Il
finnico le stava facendo saltare i nervi. Johanna inclinò
leggermente la
testa di lato e dopo aver contato fino a dieci, cominciò a
parlare.
"
Avevo finito e mi sono connessa per vedere un paio di cose."
"
E cioè vedere
delle foto.. di un ragazzo."
"
Non sono
affari tuoi quello che stavo facendo."- disse arrabbiata.
Più che altro si
trattava di imbarazzo camuffato malamente con la rabbia e il
nervosismo. La
ragazza continuò a guardarlo male e aspettò che
uscisse dalla camera.
E
invece..Ville si sedette comodamente sul letto e lo sguardo di Johanna
finì
sulla libreria, per assicurarsi che il suo diario insieme alla foto
ricevuta da
Marika fossero al sicuro.
"
Cosa sta aspettando sua maestà?" - chiese voltandosi verso
di lui.
"
Nulla, chiacchieriamo un po’?"- chiese sorridendo sornione.-
"
tu intanto continua pure quello che stavi facendo."
Johanna
lo guardò
scioccata.
"Tu
non vuoi parlare."- disse incrociando le braccia al petto.
"
Così mi ferisci, avevo intenzione di raccontarti la fiaba
della
buonanotte."- disse e sembrava fottutamente sincero nonostante il
divertimento che balenava nei suoi occhi.
"
Bene inizia."- disse Johanna.
"
No, continua
quello che facevi, io tanto aspetto."- disse divertito.
"
Cosa vuoi,
Ville?"- chiese esasperata.
"
Cosa si chiama quel ragazzo?"
Finalmente
si era
deciso ad arrivare al punto.
"
Si chiama Mark. L'ho conosciuto a scuola..più che altro mi
è venuto
addosso."
"
In che
senso?"- chiese allarmato il giovane padre.
"
Nel senso che
l'hanno spinto e mi ha travolto, tutto qui."
"
Non mi ispira."
"
Cosa non ti
ispira?"
"
Non ha la
faccia da bravo ragazzo."
Johanna
alzò gli
occhi al cielo. Ora ci mancava solo che Ville decidesse anche per lei i
ragazzi
che doveva frequentare.
"
Molto meglio
Duncan."
"
Ma Duncan è il
mio migliore amico!"
"
E lui?"
"
Solo uno che
mi ha fatta cadere, tutto qui."
"
Domani ti
accompagno io a scuola. Voglio vederlo in faccia."- concluse deciso
Ville.
"
Beh, mi dispiace deludere le tue aspettative, ma voi dovete fare
l'intervista a Maximum Radio..e poi, no. Non puoi accompagnarmi e
sembrare uno
stalker. Ora esci."
Ville
si arrese alzandosi per uscire.
"
Dovresti dormire ora, è tardi."
"
Sei poco credibile. Tu sei un vampiro."- disse aspettando che
l’uomo uscisse per riaccendere il pc, che nella furia si era
spento.
" Il
buongiorno si vede dal mattino, eh?"- chiese Ville sorseggiando
il suo indimenticabile caffè.
Johanna,
con la faccia distrutta, si avvicinò alla tavola con molta
calma,
pensando che avrebbe preferito portarsi appresso il letto.
"
Johanna ci sei?"- chiese Ville sventolando la mano.
La
ragazza deglutì e prese la palla al balzo.
"
A tuo padre gli era sempre piaciuto il nome Johanna.
Diceva che aveva un suono strano, ma dolce."
"
Ti piace il
nome Johanna?"- chiese seria.
"
Si è un bel nome. Perché me lo chiedi?"- chiese
confuso. A Ville piaceva
tanto il nome Johanna, però il modo in cui la ragazza le
aveva posto la domanda
lo aveva inquietato e non poco.
"
Tu che nome mi avresti dato?"- chiese continuando come se nulla
fosse.
"
Non so, a vederti così hai una faccia da..mmh.."-
cominciò
inquadrandola bene.-" Seppo!"- cambiò totalmente tono di
voce e si
lasciò andare ad un sospiro di sollievo.
"
Seppo?"- chiese Johanna non capendo.
Poi
si accorse che Ville non la stava più guardando, ma che
invece fissava un
punto alle sue spalle.
Si
voltò. L'uomo li stava raggiungendo con in una mano il
telefono e nell’altra
dei bicchieroni di caffelatte. Molto calmo se ne andava per casa come
se fosse
la sua e intanto digitava con il pollice libero qualcosa, qualsiasi
cosa sulla
tastiera.
Attimi
dopo la sua mente aveva capito che Ville aveva citato il suo nome e si
era voltato verso di lui.
Gli
aveva concesso un attimo per chiedergli qualcosa, ma visto che Ville
era
rimasto zitto, aveva riabbassato lo sguardo sul display del telefono e
aveva
ripreso da dove aveva lasciato.
" Vedo che oggi nessuno
vuole darmi il
buongiorno!"- disse offeso.
Seppo
sbuffò e molto lentamente alzò la testa.
" Buongiorno.."- sempre
molto
lentamente girò il capo verso la ragazza- "..Johanna!"-
disse lasciandosi
andare ad un sorriso. La ragazza ricambiò anche se avrebbe
preferito che lui
ritardasse e lasciasse a lei il tempo di parlare con Ville.
Seppo
notando l’espressione triste della ragazza, capì
tutt’altro e cominciò a
parlarle.
" Oh, te l’ha
già detto? Mi dispiace
sai..insomma, non possiamo arrivare tardi.."- cominciò
desolato.
Johanna
non capiva e Ville guardava disperato Seppo che stava parlando troppo.
"
Seppo, lei ancora.. io non gliel’ho detto."
"
Cosa devi dirmi?"- chiese la ragazza.
"
Oh, bene. In questo caso..sarà Hanna ad accompagnarti a
scuola,
oggi."- disse velocemente Seppo, mentre stava effettuando una chiamata.
" Pronto! Sì,
sono Seppo Vesterinen.."-
cominciò allontanandosi, usando la chiamata come scusa ed
evitare che Johanna
si arrabbiasse anche con lui.
Uscito
dalla cucina Seppo, Ville si aspettava urla e suppliche, ma..niente.
Johanna
lo stava guardando come lo stava facendo cinque minuti prima. Stessa
espressione e stessa sensazione di disagio.
"
E perché non è ancora arrivata? Farò
tardi.."- disse.
"
Sarà qui a momenti.."- disse Ville grattandosi la nuca.
Quella mattina
Johanna era stranamente.. impassibile.
L’aveva
notato anche Hanna. Per tutto il viaggio in macchina non aveva parlato.
Era rimasta ad osservare fuori dal finestrino il mondo che le passava
davanti
agli occhi.
"
Oggi è il grande giorno, eh?"- aveva provato ad iniziare un
discorso mentre prendeva una curva.
"
Mmh?"
"
Ville, Maximun Radio, notizia.."
"Ah."
Erano
arrivate davanti alla scuola e a Johanna sembrava non importasse che
qualcuno forse le sarebbe saltato addosso. Aprì la porta
mormorando un “ciao.”
e scese con molta calma.
"
Aspetta!"- disse Hanna facendola voltare con un'espressione
interrogativa. Johanna stava aspettando che le parlasse, mentre si
teneva
aggrappata alla portiera.
"
Verrò io a prenderti, insomma, saran.."
"
Certo! Fai come ti pare."- la fermò. Salutò con
un cenno secco
della mano e chiuse la porta dirigendosi con le mani in tasca verso la
scuola.
Riuscì
ad arrivare sana e salva all’armadietto e si riteneva
completamente
salva, ma..
"
Johanna!"
Una
voce squillante
la stava richiamando dall’altra parte del corridoio.
L’aveva
sentita poche volte e già la sapeva riconoscere. Beh poteva
essere una
cosa positiva, almeno avrebbe imparato a non girarsi udendola. Fu
proprio
quello che fece, con molta nonchalance continuò a
controllare i libri che le
servivano per l’ora dopo.
"
Johanna!"
Oh,
no! Si stava
avvicinando.
Quando
fu sicura che fosse dall’altra parte dell’anta
dell’armadietto, e lo
sapeva perché vedeva le sue gambe lunghe, avvolte da jeans
mostruosamente
attillati, chiuse lentamente l’armadietto e con un sorriso
finto si voltò verso
di lei, pronta a sfidare i limiti della sua pazienza.
La
guardò intensamente. Non ricordava bene il nome..
Ogni
volta che dimenticava i nomi, e questo le accadeva spesso, fissava il
soggetto sperando che sulla fronte apparisse a caratteri cubitali il
nome.
Tuttavia con gli anni e con molta pratica aveva imparato a non far
notare
quello che stava facendo e se tutto andava bene la gente non si
accorgeva che
lei stava cercando di ricordare i loro nomi e il tutto filava liscio
come
l'olio.
Poi
ci fu l’illuminazione.
"..Nicole,
cosa posso fare per te?"- chiese sforzandosi di sorridere
per non dover guardarla male.
"
Ma davvero conosci Ville Valo?"
Certo
che quella
ragazza era diretta o semplicemente la sua mente non riusciva a mettere
insieme
tante parole nella stessa frase.
Johanna
sospirò.
"Dovrei?"
Sperava
che così
Nicole e il gruppetto di ochette che si era portata dietro sarebbero
sparite.
Nicole
schioccò le dita e una ragazza alla sua sinistra le diede
una rivista.
"Questa
sei tu, no?"- chiese eccitata.
"
Lo sai che tutti noi abbiamo sette sosia sparsi per il mondo?"- disse
senza neanche rivolgere lo sguardo alla rivista.
Continuava
a fissare negli occhi Nicole. Doveva ammettere che aveva dei bei
occhi azzurri, ma mai belli come i suoi. I capelli biondi le ricadevano
lisci
ai lati e i suoi capi d'abbigliamento naturalmente erano tutti firmati.
"
Nicole le hai rotto le scatole abbastanza."- disse Arja
avvicinandosi.
"
Stiamo parlando di una cosa seria!"- disse Nicole sconvolta
perché
non capiva il motivo per cui la mora non facesse i salti di gioia.
"
Tu parli e lei per educazione non ti manda a quel paese."-
sottolineò
Arja senza però usare un tono acido o altro. Nicole offesa
se ne andò, portandosi
dietro le fanciulle.
"
Poverina."- disse Johanna.
"No!
Non devi pensarla così! Sennò sei rovinata. Se
sei troppo gentile ti
sarà sempre dietro."- disse Arja scuotendola per le spalle.
"
Vedo che le lezioni di sopravvivenza di Arja sono cominciate!"- disse
con una risata cristallina Marianne avvicinandosi.
"
Forza. Fra
poco si inizia!"
Ma
mentre erano lì
Johanna si accorse della presenza di Mark. Stava passando
tranquillamente con i
suoi libri in mano e stava parlando con un suo amico. Johanna
restò a guardarlo
senza capire cosa Arja le stesse domandando.
"Terra
chiama Johanna! Yuuuhuu!"
"Certo che
potevi anche svegliarmi, eh!" - Arja si stava stropicciando
gli occhi, ma era bastata l’aria fresca del corridoio a
svegliarla
completamente.
"
Ti sei addormentata solo per 2 minuti."
"
Però quando ho riaperto gli occhi mi stavano fissando
tutti!"-
borbottò lei.
Si
stavano dirigendo verso la mensa e notarono Marianne che le stava
chiamando
sventolando il braccio, seduta al tavolo con Jack e Nikko e altri due
ragazzi
che lei non aveva mai visto.
Presero
in fretta qualcosa da mangiare e andarono a sedersi.
"
Così sei tu la figlia di Ville Valo!”
Johanna
non aveva ben
capito chi era stato a parlare di quei due quindi si era ritrovata ad
annuire
guardando la bottiglietta che stava aprendo. Ma presto avrebbe
cominciato ad
evitare la persona a cui apparteneva quella voce..
"
Bene, allora in tuo onore ascolteremo Maximum Radio!"
Quella
volta a
parlare era stato Nikko, il più simpatico della comitiva.
Aveva la pelle scura,
era rasato, alto e magro e quando qualcuno era giù era
pronto a farlo ridere
con tutto ciò che gli passava per la testa. Era davvero uno
spasso.
Tirò
fuori dal nulla una radio di quelle che funzionano a batterie,
lasciando
tutti sorpresi.
"
Non mi dire che te ne vai per la scuola con quella!"-
esclamò
Marianne scioccata.
"
Ma certo che no! La tengo nell’armadietto!"- disse lui
accendendola
e sintonizzandola.
" State ascoltando Kevin e
Bean.."
" Bean e Kevin.."
" In compagnia degli HIM!"
Per
una volta Ville
aveva evitato di fare nome e cognome e di dire la sua provenienza,
oltre al
fatto di ricordare a tutti in quale band cantasse. I ragazzi salutarono
gli
ascoltatori e poi si prepararono alle domande.
" Bene ragazzi come state?"-
chiese uno degli uomini.
"
Io mi sento come una fan girl davanti a Ville."-
rispose Mige.
Tutti
risero, compreso Ville.
"
A proposito di fan girl..in questi giorni il caro Ville
è sulla bocca di molti nel mondo del gossip. Dicci, chi
è quella bella giovincella
che ti porti appresso?"
- chiese l’altro avvicinandosi.
Ville
sogghignò perché naturalmente si aspettava quella
domanda.
" Lei è mia.."- stava
sorridendo, perché aveva la risposta pronta, ma si accorse
che quella era la
prima volta che lui stava mettendo nella stessa frase la parola
‘mia’ con
‘figlia’.
Tutti
avevano teso l’orecchio verso la radio e per un attimo
avevano anche
temuto che la radio si fosse bloccata ed erano pronti a maledire Nikko.
Johanna
era agitata, forse aveva capito qual era il problema, solo che lei non
poteva fare niente.
Ville
era preso dal panico, non perché stesse facendo una figura
da pesce lesso
in diretta, no, ma semplicemente non riusciva a capire
perché gli fosse tanto
difficile da dire come cosa.
Figlia.
Io sono suo padre. Lei è mia..mia…mia..Lei
è mia..
" Figlia!"- esplose Linde
allegro, come se fosse contento per aver dato lui la notizia.- " lei è sua figlia ed è anche
una
nostra grandissima fan."- disse Linde orgoglioso.
Ci
fu un silenzio generale in studio. Anche chi ascoltava da fuori taceva.
Ville,
che intanto si era ‘ripreso’, solamente
alzò gli occhi, sguardo serio, e
fissò gli uomini. I suoi occhi funzionavano con chiunque. I
due uomini si
ripresero dalla notizia appena appresa.
" Wohoo una Valo! Chissà quanti
ragazzi attirerà!"- disse Kevin scherzando e
attirando uno sguardo
perplesso e infastidito e con tanto di sopracciglio alzato da Ville.
Si
grattava la base del collo, notevolmente infastidito.
" E dicci un po’ Ville, dove la
tenevi nascosta?"- chiese l’altro.
Ecco
a questo non avevano pensato. Che storia dovevano raccontare?
Seppo
dall’altra parte della stanza gli faceva cenno di no con la
testa. No nel
senso, " non fare cazzate".
" Sai com’è le principesse
vengono
fuori solo dopo un certo periodo.."- cominciò
scherzoso sventolando la
mano.
Cosa
cavolo intendeva per “Sai
com’è le principesse vengono fuori solo dopo un
certo periodo..” ?
Johanna
ci stava
pensando mentre gli altri finivano di ascoltare l'intervista.
"
Wow."- fu l’unico commento di Jack mentre gli altri se ne
stavano
zitti sorridendo.
Johanna
annuì silenziosamente.
"
Santo cielo! Io voglio conoscerli tutti!"- esclamò
entusiasta
Nikko.
Johanna
rise.
"
Ce li farai conoscere, vero?"- chiesero in coro tutti gli altri facendo
gli occhi dolci. Johanna guardò i
ragazzi
e sempre ridendo pensò a quanto tutti quegli occhi da
cerbiatto avrebbero
aumentato di molto l'ego della diva.
L'ANGOLO
DI VALS:
Ed eccomi qui con un
capitolo molto lungo! Mi scuso in anticipo, ma non sono riuscita a
contenermi né tanto meno ho trovato la via giusta per
dividerlo. Spero che vi sia piaciuto ugualmente che siate arrivate fin
qui sane e salve xD
Il nome per il
luogo dell'intervista è stato il primo che mi è
venuto in mente xD
E voglio
precisare che questa storia è abbastanza particolare e per
certi versi strana. Strana perché anche gli altri componenti
della band hanno un loro ruolo anche il più piccolo e che
magari certe cose che dicono e fanno nella realtà
può darsi che nemmeno lo direbbero e farebbero, ma come dico
sempre io, la fantasia quando prende il sopravvento non vede in faccia
a nessuno xD
L'ho voluto dire
perché mi sentivo in dovere di farlo. Non lo so, magari a
qualcuno non può piacere e quindi ho voluto dare le mie
spiegazioni seppur spicce xD
Ad ogni modo,
cosa ne pensate? Aspetto i vostri pareri.
Ah sì
vi presento le new entry più importanti xD
Questa
è Marianne :3
Arja
:)
E
per finire Mark u.u
Che
ve ne pare? Ville deve iniziarsi a preoccupare dell'ultimo?
Devo dirvi la mia? Boh..a me tutti sti ragazzi mi danno l'impressione
di essere appena entrata in High School Musical xD
Ci
vediamo alla prossima!!!
Vals
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Dear Father
Capitolo
12
La
tavola era pronta
anche se la pentola era ancora sul fuoco. Come Hanna aveva cercato di
dire
prima di essere bloccata dall'indifferenza più totale che
come sempre
suscitavano le sue parole, Johanna tornò a casa con lei.
Quando entrò nella
torre, sperava con tutto il cuore che ci fosse anche Ville o se non era
dentro,
di trovarlo vicino casa intendo ad aprire la porta. Tutto sperava di
trovare in
quella casa pur di non stare sola con quella biondina magra quanto un
grissino
mangiucchiato. Le infastidiva e non poco l'atteggiamento di Hanna, il
fatto che
si sforzasse, senza successi, di essere carina con lei. Si vedeva che
la sua
era solamente finzione, un modo per farsi notare da Ville e far credere
che a
lei piacesse la compagnia di Johanna. Hanna avrebbe fatto di tutto per
rendersi
speciale agli occhi di Ville, anche se lei era ignara del fatto che al
finnico
tutto quello al momento non gli interessava. Lui da qualche giorno
aveva un
pensiero fisso nella testa e che vorticava velocemente, presentandosi
perfino
la notte e tormentandolo come non mai. Quel pensiero era Jackie, o
meglio, il
terrore che potesse metterlo K.O. e prendersi Johanna.
Johanna in quel momento era seduta in salotto e picchiettava
nervosamente le
mani sulla pelle del divano in attesa del ritorno di Ville
mentre Hanna
era ai fornelli. Il telefono cominciò a suonare e lei
rispose senza neanche
vedere chi fosse.
" Quindi adesso sei a tutti gli
effetti la figlia di Ville Valo?"- riconobbe la voce
scherzosa di
Duncan.
" Non proprio..ti ricordo che sono una Laine e penso che lo
rimarrò per
molto."- disse sorridendo malinconica.
" Allora..signorina Laine come
va?"
" Bene, ho cominciato ad andare a scuola, ho conosciuto un
po’ di gente e
con Ville..cerchiamo di sopravvivere."
" Non può essere così
grave!"
" Credimi, lo è. È più diva di quello
che pensavo."
"Sai che ci manchi?" -
aveva detto all’improvviso.
Johanna era tornata felice e stava sorridendo senza sapere cosa
rispondere per
non sparare cavolate.
" Con chi stai parlando? Mark?"
Ville
era apparso dal
nulla e adesso la stava guardando..con aria da maniaco. La osservava,
penetrandola con i suoi begli occhi verdi, quelli che come Jesse aveva
detto,
riuscivano ad intrigare e a far cedere un mucchio di donne. Johanna,
conoscendo
il potere di tale occhi ed essendone quasi immune, alzò i
suoi al cielo
contrariata.
"
Ville
vattene!"- disse infastidita, sventolando una mano nella direzione di
Ville come se fosse stato una mosca molesta. Ma ormai il fattaccio era
stato
compiuto perché la voce di Ville era giunta chiara e forte
all'orecchio del
ragazzino newyorkese.
" Chi è Mark?" - chiese
Duncan confuso.
" Mark è..è uno che ho conosciuto a scuola!"-
disse sorridendo dando
le spalle al finnico che era ancora lì. Johanna accorgendosi
della sua presenza
si girò e ricambiò il suo sguardo con uno
più insistente. Duncan, invece, non
diceva niente.
La ragazza deglutì. Ville stava avendo la meglio in quel
gioco di sguardi
assassini.
"
Ehm..ecco devo
andare. Ti richiamo io."- disse mentre chiudeva la chiamata, frettolosa di dire due
paroline a Ville.
" Si può sapere cosa vuoi?"- gli chiese arrabbiata.
" Beh scusami se mi interesso di sapere con chi parli."- disse Ville
offeso. Non gli piaceva che sua figlia non gli dicesse nulla. Beh non
c'era da
dire molto, ma ormai Ville era del parere che dovesse sapere anche la
cosa più
stupida, soprattutto ora che Johanna si era ammorbidita. Ma lui non
metteva in
conto l'alto rischio di essere spedito nuovamente al di là
del muro abbattuto.
Johanna lo fissò e mise il telefonino in tasca.
" Beh però tu con me non ci parli poi molto!"
"Come?"
" Ad esempio, oggi non mi hai risposto, hai lasciato che Hanna mi
portasse
a scuola e poi fai queste comparse mettendomi in
difficoltà..Questo non mi
sembra parlare!"
" A cosa non ti ho risposto?"
Johanna lo guardò, muta. Già si era dimenticato
del discorso di quella mattina.
" Ti avevo chiesto che nome mi avresti dato.."- disse calma.- "
niente lascia stare."
Sconfitta si allontanò a grandi passa da lui e da tutte le
sue cazzate, quelle
che diceva senza pensare. Corse di sopra e arrivata in camera si
sbatté la
porta alle spalle chiudendola a chiave.
Ville le andò immediatamente dietro decisamente confuso e
preoccupato.
" Johanna apri!"- disse
bussando forte.- " spiegami quello che hai detto!"- si stava
arrabbiando.
Poi
si calmò e
appoggiandosi con la schiena alla porta disse: " ok, fai come ti pare,
tanto dovrai uscire."
Invece
con lei non
funzionava questa mossa. Non era mai funzionata e di certo non sarebbe
funzionata con Ville. Lui aspettò dietro la porta battendo
ritmicamente il
piede sul pavimento e tenendo le braccia conserte, ma Johanna non
sarebbe
uscita.
"
Esci e
parla!"
Eccolo
urlare contro
la porta senza ottenere risultati soddisfacenti.
"Jo, apri! Cazzo,
non fare la ragazzina!"- disse
disperato, posando una mano sulla porta. Stupido, l’aveva
chiamata Jo. Sentì
dei passi che si avvicinavano frettolosi e capì di essersi
messo nei guai con
la sua stessa lingua. Per un millisecondo pensò che invece
lei si fosse pentita
di quel gesto.
E invece..
Johanna era
scesa dal letto appena sentì di essere stata chiamata Jo.
Quando si
avvicinò alla porta la aprì con un gesto secco,
facendo spaventare il
responsabile del suo fastidio.
" Primo: Ti.
Ho. Detto. Di. Non. Chiamarmi. Jo."- disse avvicinandosi
minacciosa.- " secondo: se tu non te ne fossi accorto..IO SONO UNA
RAGAZZINA! Non sono una di quelle zoccole anoressiche che ti porti a
letto,
ok?"
Mai nessuna,
forse neanche Anita, gli aveva parlato in questo modo. In quel
momento capì di essere di fronte alla sfacciataggine del
Ville adolescente che
quando si arrabbiava non riusciva mai a tenere la lingua al suo
posto,pendendosi degli errori commessi solo dopo aver parlato.
Nell'espressione dipinta sul volto di
Johanna, era riuscito a vedere lui stesso.
" Cosa hai
detto?"- chiese
semplicemente.
" Hai sentito
bene."- disse Johanna furiosa.
" No, non
importa questo..prima, quando eri ancora in salotto, cosa volevi
dire?"
Johanna
restò sorpresa da quella domanda. Si aspettava una sgridata
per quello
che gli aveva detto e invece lui voleva sapere perché
insisteva su quel nome.
" Se non lo
sai è grazie a te che mi chiamo Johanna."
"
Ora ricordo!
Una volta dissi a tua madre che se mai avessi avuto una figlia l'avrei
chiamata
così. Mi piaceva il suono quando lo pronunciavo e anche
perché uno dei suoi
significati è dono. Per me, che sono sempre stato uno
scapestrato, sarebbe
stato un dono avere un figlio, che probabilmente mi avrebbe fatto
rinsavire
dalle mille cretinate che ho sempre fatto. Ma sai, è passato
molto tempo da
quella volta e con il tempo è andato via anche quel Ville.
Ma non avevo messo
in conto te e il tuo ricordo. Se non fosse stato per il tuo racconto
non lo
avrei ricordato facilmente."
Erano
seduti nel
corridoio.
Johanna gli aveva raccontato tutto quello che Marika le aveva detto a
proposito
di quel nome, alternando la spiegazione con piccoli aneddoti che
nemmeno lei
pensava di ricordarsi e cose che nemmeno il finnico ricordava
più.
Ville durante il racconto aveva camminato avanti e indietro, aveva
battuto il
pugno sul muro, si era seduto per poi rialzarsi e sedersi nuovamente,
mentre la
memoria cominciava ad aprire la finestra che si affacciava su quel mare
che non
vedeva da tempo. Ma si sa com'è il mare. A tempo debito
restituisce tutti i
ricordi, come i resti di conchiglie raccolte dalla spiaggia.
Johanna annuì, colpita da quelle parole, mentre lui
appoggiava la testa al muro
guardando in alto, forse per evitare che le lacrime scendessero.
Seguì un lungo silenzio che Johanna aveva paura di spezzare
anche solo con il
respiro.
" Scusa.."- si bloccò d’improvviso, ma tanto aveva
parlato e quindi
era il caso di andare avanti. Ville spostò lo sguardo su di
lei. I suoi occhi
erano lucidi e Johanna aveva quasi voglia di consolarlo.
"
Io non volevo
farti star male."
Chinò
il capo e finì
per sedersi sul pavimento, maledicendo la sua lingua. Ville sorrise e
ricacciando le lacrime, prese posto accanto a lei.
"
Non
preoccuparti. Sto bene."
Johanna
prese
coraggio e lo guardò negli occhi. Anche se lui diceva di
stare bene, lei
percepiva il contrario. Lui stava male, ma non lo avrebbe ammesso
nemmeno sotto
tortura. In quegli occhi vedeva una distesa infinita di tristezza mista
alla
nostalgia. Non sapeva se tutto questo fosse
per Marika o per qualcos'altro, ma ciò che
sapeva di preciso era che
iniziava a star male anche lei.
Nonostante
quei
pensieri, Johanna annuì e poi disse: " posso farti una
domanda?"
"
Certo."
"
Perché non sei
riuscito a dire quella cosa oggi?"
Era inutile chiedere quale cosa. Sapevano entrambi di cosa stava
parlando e
Ville era più che sicuro che la ragazza lo avrebbe chiesto.
L'uomo guardò
avanti a sé e disse: " mi sono accorto che era la prima
volta.."
" Non mi dire che hai avuto paura. Insomma, spari tante di quelle
cavolate
davanti a migliaia di persone.."
" No. Stavolta era diverso. Era come se fossi sbloccato. La pensavo,
quella
parola era nella mia mente, ero sicuro di quello che avrei detto,
sentivo di
essere pronto, ma poi..non ci sono riuscito. Mi sono reso conto che
sarebbe
stata la prima volta per il mondo intero e..mi sono
sentito..spaventato.."- disse Ville afflitto.
" Provaci. Non è difficile."
" Beh, ma neanche tu l’hai mai detto."- fece notare Ville.
" Che tu sei mio figlio?"- chiese Johanna confusa.
" No, sai cosa intendo."- disse Ville con un sorrisetto furbo.
" C’è sempre una prima volta, no?"- chiese Johanna
sorridendo
incoraggiante.
" Fai prima tu!"- disse Ville.
" Non è giusto! Tira una monetina!"- disse lei.
" E questa ti sembra giustizia?"
"
Sempre meglio
del tuo ‘Fai prima tu!’"- disse facendogli il
verso, imitando la sua voce
profonda.
Ville la fissò quasi minaccioso e alzandosi tirò
fuori una monetina.
"Testa o croce?"-
domandò.
" Croce..no. Testa. No no. Croce, croce."
" Come vuoi."
Ville
lanciò in aria
la sua monetina americana che portava sempre con sé, quella
che aveva trovato
una volta in metropolitana a Los Angeles, abbandonata a se stessa e che
poi era
diventata il suo portafortuna, e..
Avevate
presente il
momento in cui si lancia un cerchio o qualsiasi oggetto che possa
rotolare, e
questo sembra non fermarsi più?
All'inizio
si aspetta
perché c'è sempre una piccola parte di voi che
continua a ripetere " tranquillo,
ora si ferma, si ferma, non può rotolare per sempre", e invece si allontana e
allora inizia a farsi
spazio il panico e parte la vostra rincorsa verso l'oggetto.
Tin!
Come
avrete capito, dopo che Ville aveva tirato
la monetina, che purtroppo non riuscì ad afferrare, questa
aveva iniziato a
rotolare lungo il corridoio.
Ville
e Johanna, appena capirono che potevano fare
in modo che la moneta si fermasse a vantaggio di ciascuno, le erano
andati
dietro.
Si
muovevano cauti a passo della moneta e nel
frattempo si lanciavano sguardi di sfida, aspettando un momento di
distrazione
da parte dell’altro per fermare la moneta.
Si
fermarono quando l’oggetto cominciò a ruotare
su se stesso catturando tutta la loro attenzione.
Tin!
Thomas
Jefferson. Johanna
se la sarebbe ricordata per sempre la testa di
Thomas Jefferson, una moneta liscia
che valeva solo 0,05$.
0,05$,
il prezzo della vittoria di Ville, nonché
il prezzo della sua sconfitta.
Ville
stava sorridendo soddisfatto con
l'espressione di un bambino dispettoso dipinta sul volto.
"
Sapevo che la
mia monetina non mi avrebbe deluso. Brava la mia monetina!"- disse
sfottendola.
"
Fottiti Ville."- bofonchiò.
"
Eh no, non era quello che volevo sentire.
Guarda che ti faccio restare a digiuno."- disse divertito a braccia
conserte. La
ragazza stava per aprire
bocca, quando la voce di Hanna rovinò il momento.
"
Su andiamo a mangiare."- disse
allegramente il finnico precedendola per le scale.
Johanna
sbuffò e di malavoglia lo seguì.
Ville
aveva vinto e
lei non poteva far nulla per cambiare le sorti a lei toccate.
Erano
arrivati al
porto. Era una giornata tranquilla e il sole giocava a nascondino con
le nuvole
bianche che erano di passaggio. Johanna aveva visto tale posto solo
nelle
cartoline e su internet e si rese conto che nessuna immagine rendeva
giustizia
a tale bellezza. L'acqua del mare era di un blu intenso. Le veniva
voglia di
tuffarsi, ma poi si rese conto di non trovarsi a Miami e che si sarebbe
congelata in pochissimi secondi. Era stata zitta per tutto il tempo,
guardandosi intorno, scoprendo che non c'era gente. Non aveva idea di
cosa
volesse fare Ville, anzi iniziava ad aver paura del tizio che le stava
accanto.
Ville
dal canto suo,
stava guardando il mare e per un attimo chiuse gli occhi.
"
Eccoci arrivati."- disse infine
spalancando le braccia.
"
Certo che hai bisogno proprio di
esagerare! Non ti bastava il salotto come scena?"- chiese lei scioccata.
"
Non penso che sia il caso di urlare in
casa."- disse accomodandosi sulla banchina lì vicino.
"
Come scusa? Urlare?"- chiese
deglutendo e guardando il panorama che aveva davanti.
"
Sì, urlare."- disse Ville sorridendo.
"
Ma che..? No, io non lo faccio."
"
Non c’è nessuno!"
"
Spiegami che senso ha! Cosa
significa?"
"
Urleremo la
nostra parentela. Dai, dopo lo faccio anch'io."
"
Giuri?"
Ville
annuì.
Johanna
si avvicinò lentamente all'acqua,
guardando la sua profondità. Inspirò a fondo e si
voltò a guardare Ville
cercando un po’ di coraggio.
Ville
le sorrise incoraggiante.
Ripassò
mentalmente quello che doveva dire.
Ville.
E’. Mio. Padre.
Non
sembrava poi così tanto difficile.
Così
chiuse gli occhi e urlò al mondo quello che
sentiva rimbombare in testa.
"
VILLE E’ MIO
PADREEEE!"
La
voce era uscita
più forte di quanto dovesse, ma che problema
c’era? Non c’era nessuno che
potesse sentirli.
Si
voltò con un sorriso raggiante verso di Ville
che la stava guardando sorpreso, ma felice. Era gioia quella che
leggeva nei
suoi occhi? Forse
finalmente aveva
realizzato che lei aveva scelto di dargli una chance?
"
Tocca a te!"- disse indicandolo con
il braccio.
Ville
afferrò il braccio e si tirò su, facendo
vacillare entrambi.
Si
tenne il mignolo di lei nella mano, un
piccolo gesto che gli dava tanta sicurezza.
"
SONO IL PADRE DI JOHANNA!"- disse
ironico.
La
ragazza gli tirò un pugno sul braccio.
"
Così non
vale!"- disse contrariata.
"Ok
ok!"
Ville
sorrise alla
sua espressione imbronciata e immagazzinando tutta l'aria nei polmoni
urlò:
" JOHANNA E’ MIAAAA...FIGLIAAAAAA!"
La
ragazza sorrise soddisfatta, commuovendosi.
Finalmente erano riusciti ad ammetterlo a se stessi e al mondo.
Quando
tornarono a
casa si sentirono esausti. Erano rimasti un altro po’ a
urlare tutte le
cavolate che li passavano per la mente e adesso avevano una gran sete.
"
Allora stasera cucini tu."- disse
Ville. Johanna lo guardò confusa ma poi si
ricordò della promessa fatta.
"
Ah già."-
disse sofferente. Non aveva proprio voglia in quel momento di mettersi
ai
fornelli.
"
Se vuoi posso
sempre farlo io."
"
NO! Per
carità!"- esclamò Johanna agitata.- " faccio
tutto io. Tu..tu..tu vai
a fare qualcos'altro."
"
Va bene. Ma
vedi di non bruciare tutto altrimenti faccio io."- le disse Ville
ridacchiando prima di andare via. Johanna scosse la testa divertita.
Sembrava
che andasse tutto bene a casa Valo. Andava tutto fin troppo bene per i
gusti
del destino che si divertiva alle loro spalle..
Il
mattino dopo,
toccava a Ville accompagnare Johanna a scuola, niente Jesse e niente
Hanna. Ce
l’avrebbe fatta senza farla arrivare in ritardo e senza
attirare tutta
l’attenzione su di loro?
"
Se li pettini così ti si gonfiano!"
La
diva stava
scrutando Johanna che era rientrata in bagno per mettere apposto i suoi
capelli.
"
Sai com’è non ci arrivo a pettinarli
dietro."- disse scocciata.
Ville
si era avvicinato con fare professionale e
dopo averle preso di mano la spazzola, aveva cominciato a pettinarli.
Johanna
iniziò a mordersi le labbra per non lasciarsi andare ad un
sorriso intenerito.
Forse lui neanche l’avrebbe vista, preso com'era dai capelli,
ma non voleva
dargli nessuna soddisfazione.
Che
poi, lui era l’unico che era riuscito ad
avvicinarsi a lei con una spazzola senza che lo sopprimesse.
Neanche
a Marika, lo permetteva. Lei, le faceva
male, nel senso che tirava i nodi senza preoccuparsi delle sue
lamentele. Questo
solo fino agli 8 anni.
Se
fosse potuta tornare indietro glielo avrebbe
permesso, così avrebbe potuto avere più momenti
da ricordare..
Si
stava pettinando i capelli davanti allo
specchio grande, mentre la madre le sistemava gli abiti e la guardava
come se
in quel gesto ci fosse di più.
Magari
Marika, guardandola rivedeva qualcun
altro. Questa era la sensazione che dava ogni volta a Johanna, solo che
non era
mai riuscita a capire che le potesse ricordare Ville..
Gli
occhi di Johanna che per un attimo si erano
persi nei ricordi, si spalancarono di colpo. Un po’
perché Ville aveva trovato
un nodo che non aveva intenzione di sciogliersi e poi
perché..sua mamma pensava
a lui, ogni santo momento della sua vita. Lo rivedeva in ogni piccolo
gesto.
"
Ti ho fatto male?"- chiese Ville
sogghignando.
Johanna
annuì silenziosamente e tornò a
sistemarsi i ciuffi davanti.
Ville
finì e lasciò la spazzola sul comodino
guardando i suoi capelli, come stesse ammirando un’opera
appena terminata e si
sentisse fiero.
Teneva
le mani sui fianchi e un sorriso
compiaciuto regnava sul suo volto.
Guardò
lo specchio per incrociare lo
sguardo della figlia e per la prima volta si vide riflesso accanto a
lei e
quasi si meravigliò.
Glielo
avevano detto che si assomigliavano, lo
sapeva anche lui, l’aveva visto nelle foto e aveva pure
notato i tratti uguali,
ma vedersi così accanto a lei gli faceva strano.
La
ragazza era tanto presa a non accecarsi
con la matita che non si accorse dello sguardo di Ville.
La
stava squadrando perdendosi nei suoi occhi
azzurri, guardando i tratti del naso che era praticamente la fotocopia
del suo,
addirittura era venuto meglio e poi la forma delle labbra come quelle
di Jesse.
Sua
figlia aveva le labbra simili a quel
coglione bipede di suo fratello che si era eletto in maniera
automatica, saggio
e difensore dei poveri.
Come
dargli torto?
Scosse
la testa e notò che Johanna lo stava
guardando confusa, dando le spalle allo specchio. Si
fissarono per lunghi attimi.
"
Grazie.."- ammise
la ragazza.
Ville
sorrise ancor più soddisfatto. Johanna
continuava a guardarlo. Perché non andava via?
Si aspettava pure il bacino sulla guancia?
Decise
che se non fosse uscito lui, l’avrebbe
fatto lei, oltretutto stava anche facendo tardi.
Come
volevasi
dimostrare, arrivò tardi a scuola.
Il
che in un certo senso era anche un bene, dato
che se avessero visto Ville si sarebbe scatenato il putiferio.
Però
di certo non si aspettava che a mensa tutti
le persone le girassero attorno come se avesse addosso del miele.
Anche
se a dire la verità, si aspettava che Nicole
la cercasse ogni secondo urlando il suo nome per tutto il corridoio e
attirando
l’attenzione di tutta la scuola. Ma grazie a Dio esisteva
Arja e il suo corso
di sopravvivenza.
Solo
che Arja non aveva potuto far niente contro
la folla di curiosi che si era appollaiata davanti alla scuola
all’uscita come
se qualcuno avesse annunciato il lieto evento su Facebook. Beh, non
c’era
neanche bisogno di perdere tempo a cercare di capire chi potesse essere
stato.
Le
galline viventi
servivano solo a questo, per il resto erano utili quanto una forchetta
nel
brodo.
Ancora
non riusciva a capire come fosse uscita
viva.
Si
guardò intorno e capì che nella fretta era
salita in una macchina e che ora la riconosceva come quella di Ville e
beh
quello che stava guidando era proprio suo padre.
"
Tu!"- lo indicò, arrabbiata.-" Ti
rendi conto che potevano scannarmi?"
"
Quanto sei tragica! Sei ancora viva,
no?"- chiese come se fosse un fatto irrilevante.
"
E senti, come la mettiamo se non fossi
riuscita a entrare qui in macchina? O se, peggio ancora, tu ti fossi
presentato
con un minuto di ritardo?"- chiese spaventata al solo pensiero.
Ville
non rispose e anche lei decise di fare il
gioco del silenzio.
Durò
poco, per il semplice motivo che Ville si
era ricordato di una cosa importante.
"
Ecco, è arrivato questo agli studi. È per
te!"- disse indicando un pacco nei sedili posteriore. La
ragazza si voltò e sorrise, sicura che fosse stato
mandato da Jackie.
Impaziente
lo prese davanti, non senza faticare,
e lo aprì.
Da
una parte c’era una scatola, che occupava
metà dell’interno e dall’altra alcune
cose che lei aveva chiesto di mandarle.
Aprì
la scatola, sicura che contenesse le foto
che aveva chiesto.
Sorrise
compiaciuta guardando la prima.
"
Cos’è?"- chiese Ville, o meglio la
sua curiosità.
"
Pensa a guidare. Te lo dico dopo."-
rispose Johanna e richiuse la scatola.
Ville
la guardò con un sopracciglio alzato e si
rimise a guidare, accelerando un po’.
Parcheggiò
la macchina e senza neanche levare le
chiavi o levarsi la cintura, si girò, implorante, ma lei era
già scesa e si
stava dirigendo verso la porta.
Sbuffò
e scese andando ad aprire.
"Posso
vedere?"- chiese spazientito.
La
ragazza andò a sedersi sul divano e con calma
prese fuori la scatola. Non la aprì e la diede direttamente
a Ville.
"
E’ meglio che le veda prima tu.."
Ville
prese la
scatola in mano e sedendosi levò il coperchio, rimanendo
sorpreso.
Se
lo ricordava bene quel giorno..
"
Ville, per favore!"
Marika
stava cercando di fare una foto decente,
ma lui puntualmente la infastidiva avvicinandosi.
La trovava così divertente quando perdeva le
staffe a causa sua.
Era anche arrivata sul punto di picchiarlo con la macchina
fotografica, ma
poi si era fermata. " Non vorrei romperla, con la testa dura che ti
ritrovi."
Aveva
sbuffato e aveva riprovato.
Allora Ville si era di nuovo avvicinato,
spostandole i capelli da dietro il collo. L’aveva sentita
deglutire.
" Cosa vuoi?"- Aveva
chiesto cercando di non cedere.
" Sai che qui ci sono soggetti più interessanti di
antichi palazzi di
cui non importa a nessuno?"- chiese Ville sensuale.
" Ti riferisci ai piccioni?"- chiese lei ironica.
Non sentendolo più, Marika si voltò
pensando che si fosse offeso.
“Veramente io mi riferivo a te..”
Dopo
ore era seduto sul letto rigirandosi tra le
mani quelle foto. I suoi occhi si erano incollate su di esse e non
riusciva a
smettere nemmeno per fumarsi la sua solita sigaretta.
Aveva
paura di rovinarle, però non riusciva a
chiuderle in un cassetto e cercare di dormire.
Come
se dopo che erano passati sedici anni senza
vederla, guardare quelle foto potesse cambiare qualcosa o forse sperava
che da
una di quelle foto, Marika si materializzasse presentandosi davanti a
lui.
Questo
non sarebbe mai accaduto, ma gli restava
ancora l’immaginazione.
Ritornò
a quando quella mattina stava pettinando
Johanna e provò ad immaginare Marika che pettinava la loro figlia
e lui che dalla porta osservava
tutto.
Quelle
cose non sarebbero mai successe.
Sentiva
un magone
enorme alla gola e gli occhi bruciavano. Forse era giunto il momento di
sfogarsi liberamente e lasciare che Marika in qualche modo venisse
liberata per
sempre dalla gabbia in cui lui la teneva prigioniera.
Così
Ville si
abbandonò alle lacrime incapace di arrestarle, stringendo a
sé la foto che
aveva ancora in mano che ritraeva solo lei, la sua prima e unica vera
Musa.
"
Ville?"
Dall’altra
parte
della porta sentiva la voce attutita di Johanna che lo chiamava.
Era
già mattina e lui non era ancora vestito per
portarla a scuola.
Ville
scese dal letto e aprì la porta.
"
Scusa arrivo
subito, non faremo tardi."- disse pettinando con le mani i capelli che
avevano assunto una forma insolita.
"
La accompagno io, tranquillo!"-
disse Jesse sorridendo.
"
E tu che ci fai qui?"- chiese Ville.
"
Ieri non l’abbiamo vista e ci chiedevamo
tutti se era ancora qui o se fosse scappata da te!"- disse ridendo.
Anche
Johanna sorrise visto che era ovviamente
una battuta.
"
Non dovevi disturbarti!"- disse infastidito
e arrabbiato.
Johanna
e Jesse si guardarono sconvolti.
A
quanto pareva la diva si era svegliata con la
luna storta..o forse era più corretto dire con i capelli
storti.
Quando Ville
andò a
prenderla a scuola sembrava tornato il solito. Johanna anche se era
curiosa di
conoscere il motivo del suo comportamento durante la mattina,
evitò di parlare
per paura di far emergere di nuovo il malumore dell'uomo.
Appena
tornò a casa
si mise a fare i compiti mentre Ville, trovata la pace e la
tranquillità, si
sedette comodamente sul divano con un foglio, la penna e la sua
immancabile
Musa.
Nel
frattempo Johanna era arrivata a fare
italiano e s’imbatté in una parola di cui non
ricordava la pronuncia. Il giorno
dopo gliel’avrebbero sicuramente chiesta e lei.
Non
sapeva come fare
e così decise di rivolgersi a Ville. Era proprio disperata
per chiedere aiuto a
lui, ma in casa non c'era nessun altro che potesse aiutarla.
"
Ville?"- chiese
timorosa entrando in salotto. Aveva paura
di disturbarlo e di ritrovarsi fuori casa per averlo distratto.
"
Mmh?"
"
Senti, tu ..per caso, sapresti dirmi come
si pronuncia questa parola?"- chiese dicendo tutto d’un fiato
l’ultima
parte, sperando che lui non capendo la liquidasse.
"
Quale?"
E
invece l'aveva
ascoltata. Ville mise da parte il foglio mentre la ragazza si
avvicinava a lui
indicando il suo libro.
"
Lavatres..?"- e
questa secondo lo scienziato era
la pronuncia esatta di " lavatrici".
"
Dici? Ma la i si pronuncia i."-
disse la ragazza un po'
confusa.
"Lavatrici..?"
"
Forse è meglio se chiedo a Mark.."-
disse lei scuotendo la testa.
"Perché
proprio a Mark?"- chiese Ville
agitandosi.
"
Beh, anche lui fa italiano.."- rispose
Johanna guardando il foglio che Ville su cui Ville stava scrivendo. Da
fan qual
era la curiosità era a dir poco eccessiva in quel momento.
"
Ma non ci sono
altre ragazze."- disse Ville sottolineando il
femminile.-" che ne so! Arja?"
"
Arja non fa italiano."
"
Come si chiamava..Nicole?"
Johanna
scoppiò a ridere. Nicole che imparava
qualcosa?
"
Marianne?"- chiese Ville giocandosi
l’ultimo nome femminile che ricordava.- " ma
perché perdere tempo? Chiedi direttamente a lei."- e
sembrava un
obbligo nonostante non sapesse se Marianne effettivamente seguiva lo
stesso
corso di sua figlia.
"
Lei fa il corso avanzato, mentre Mark è
in classe con me e quindi abbiamo gli stessi compiti e poi..ha la nonna
italiana e quindi lo sa bene anche lui l’italiano."- disse
mentre usciva
dalla cucina per andare a chiamare.
"
E allora chiedi alla nonna, no?"-
disse Ville alzandosi, quasi a volerla seguire. Johanna si
bloccò e si voltò per vedere se stava scherzando.
Ville
invece
la
stava guardando serio.
"
Sai che vive in Italia?"- chiese
sconvolta dalla serietà dell’uomo.
"
L’ho sempre detto che l’Italia è un bel
paese!"- commentò Ville sorridendo. Johanna scosse la testa
e uscì dalla
stanza chiedendosi perché suo padre a volte fosse
così scemo.
Con
il passare dei
giorni era riuscita a non provare imbarazzo quando Mark le rivolgeva la
parola.
Ma non aveva calcolato la sua voce al telefono e il fatto che potesse
imbarazzarsi in quel modo. Così si ritrovò ad
avere le guance rosse mentre
rideva alle sue battute e a sorridere quando le aveva chiesto di
partecipare a
una festa sabato sera.
"Sabato
sera?"
Ville, che non aveva
digerito l'idea di
Johanna, la stava origliando da dietro il muro e non si sentiva certo
in colpa!
"
Ecco..si forse è un po’ troppo presto,
però vorrei davvero!"
"
Non so se Ville sarà d’accordo
però."- disse quasi intimorita.
Ville
iniziò a
preoccuparsi. Di cosa stavano parlando?
"
Beh, effettivamente penso non avrà molto
da obiettare! Forse dirà solo di stare attenta.."- disse quasi ridendo.
Ville
aveva capito bene? O era il solito
coglione?
Senza
accorgersi ora era uscito dal suo
nascondiglio e stava aspettando che lei si girasse per farle la predica.
"
Ok, poi ti rifaccio sapere! Grazie!"
Si
voltò e quello che vide non le piacque.
Ville
la stava guardando serio e severo con le
braccia incrociate sul petto.
"
Tu. Sabato. Non. Vai. Da. Nessuna. Parte."-
disse puntandole un dito contro, scandendo le parole quasi come una
minaccia.
"
Cosa? Dai, Ville!"
"
Non lascerò che mia figlia si svergini a
neanche 17 anni!"- aveva detto serio.
"
Aspetta..COSA?"- Johanna lo guardò
scioccata.
"
E’ inutile, tu non esci sabato."-
continuò Ville duro.
"
Ma ti stai sentendo? Non ho intenzione di
sverginarmi con uno che conosco da nemmeno una settimana!"-
disse
Johanna quasi urlando.
"Ah
no?"
Ville
non stava
capendo.
"
NO! Vado solo a una festa!"- disse
Johanna indignata.
"Oh,
capisco.."
Era
evidente che
Ville non aveva saputo origliare bene. E ora iniziava a vergognarsi per
quello
che aveva detto.
"
COME HAI POTUTO PENSARE UNA COSA DEL
GENERE?"- urlò Johanna imbarazzata al massimo.
"
E’ colpa tua! Non ti eri spiegata bene al
telefono."- tentò di giustificarsi il finnico.
"
Scusa, ma chi ti ha detto di ascoltare?"
"
Si da il caso
che io posso! Sono a casa mia e tu sei mia figlia! Devo monitorare la
situazione."
"
Tu non puoi
ascoltare le mie telefonate!"
"
E invece sì,
specie se si tratta di Mark!"
" Ma che ti ha fatto?"
"
Il fatto che
ti giri intorno mi da fastidio."
"
Buon Dio! Ma
non mi gira intorno!"
"
Questo lo dici
tu! Tu non conosci i ragazzini."
" Scommetto che invece tu li conosci, uomo di mondo."
E avevano continuato
così per un bel po’ di
tempo.
L'ANGOLO
DI VALS u.u:
Ed eccoci di
nuovo qui muahahahahahahahahahahhahahah u.u
Finalmente avete
capito qualcosa di più sul nome della cara Jo (
sì, noi possiamo chiamarla così u.u) e Marika
è stata presente molto di più rispetto agli altri
capitoli. Spero che vi sia piaciuto il tutto come la parte in cui si
sono messi ad urlare come due cretini :3 :)
Madonna Ville
quanto sei pensante! Rilassati, no?
Mi sa tanto che
Mark gli darà filo da torcere..e voi cosa ne pensate? Vi
è piaciuto il capitolo?
Grazie come
sempre alla donzelle che recensiscono e anche a tutti i fantasmini che
passano da queste parti..tanto love anche a voi :)
Bene, ci vediamo
alla prossima <3
Vals
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Dear Father
Capitolo
13
Il
tempo era passato
velocemente e, purtroppo per Ville, sabato era arrivato. Per i suoi
gusti era
arrivato fin troppo presto, ma non poteva di certo rallentare la
settimana
visto che non era ancora il padrone del tempo.
Erano
appena arrivati
di fronte al locale in cui si sarebbe svolta la festa e Johanna lo
stava fissando
seduta nella macchina ormai ferma.
"
Hai intenzione
di entrare e assicurarti che non sia uno strip club?"- chiese
sarcastica.
A Ville per un momento gli vennero in mente le scene del vecchio video
di
" Wicked Game", girato secoli prima e un senso di angoscia gli
penetrò
nel petto. Si guardò intorno. Conosceva bene il posto e
sapeva che non era uno
strip club e sicuramente in una notte non poteva essere cambiato.
Studiò la
strada e l'entrata e poi guardando sua figlia sempre con fare
professionale
disse: " no, mi fido."
La
ragazza scosse la
testa e scesa dalla macchina si diresse verso le amiche che aspettavano
fuori.
Arja
e Marianne la
accolsero con un abbraccio ciascuno e poi entrarono dentro.
"
In macchina
c'era Ville?"- chiese euforica Arja.
"
Sì, era
lui."- rispose Johanna sorridendo.
"
Accidenti!"- esclamò Marianne.
"
Se me lo trovo
davanti potrei morire, sul serio."- disse Arja mentre tutte e tre si
inoltravano nel locale.- " quindi vedi di non far capitare una cosa del
genere. Avresti un'amica sulla coscienza."
Tutte e tre
scoppiarono a ridere mentre raggiungevano il resto della comitiva.
Johanna si
bloccò per un secondo notando che c'era anche Mark e
cercò con tutta se stessa
di non agitarsi. Lui la salutò con la mano rivolgendole un
gran sorriso. Lei
rispose al saluto alzando la mano e sedendosi il più lontano
possibile da lui,
per evitare di trasformarsi in una imbranata colossale.
Ville era
ancora lì,
indeciso se andare via o restare. Non era abituato a questo e si
sentiva
davvero in ansia. Probabilmente quello che premeva nel suo petto era
l'istinto
paterno e per come spingeva di sicuro non sarebbe riuscito a stare
calmo. Vide
due tizi piuttosto grossi entrare nel locale e a quel punto decise che
sarebbe
entrato anche lui, senza naturalmente farsi vedere da Johanna,
né attirare
l'attenzione di altra gente. L'aveva sempre fatto quando voleva evitare
di
stare con gli altri, era sempre riuscito a passare inosservato quando
voleva
stare solo, specie nel momento più buio della sua vita
quando i locali erano
diventati i suoi amici. Scosse la testa rabbrividendo a quel ricordo e
sistemandosi meglio il berretto sul capo entrò velocemente
dentro approfittando
del deserto che si era creato all'ingresso.
Dentro
le luci
creavano la giusta atmosfera per il ballo e la confusione, ma lui
riuscì lo
stesso a muoversi in quella giungla e raggiungere il piano bar. Fu
fortunato
perché il barista non era una donna ma un uomo,
più che altro un ragazzino che
su per giù doveva avere qualche anno in più di
Johanna. Se fosse stata una
donna si sarebbe trovato in difficoltà visto e considerato
che l'ultima volta
aveva ricevuto proposte indecenti ed esplicite. Il ragazzo per un
momento
sembrò non riconoscerlo.
"
Un bicchiere
d'acqua."- ordinò Ville senza guardarlo, cercando di vedere
tra la folla
sua figlia. Il ragazzo, che quella sera si era abituato alle richieste
di super
alcolici, piuttosto confuso, versò dell'acqua in un
bicchiere e lo mise di
fronte al cliente, il quale appena si voltò
incrociò il suo sguardo. Solo
allora il ragazzo capì di essere di fronte a Ville Valo, ma
prima che potesse
urlare il suo nome, Ville lo precedette sussurrandogli: " pronuncia il
mio
nome e ti ritroverai senza apparato riproduttore."
Il
ragazzo annuì
spaventato e subito si allontanò dalla sua portata. Ville
prese il bicchiere e
fece un sorso tornando poi a guardare la folla.
Riuscì
a scorgere
Johanna. Era in un angolo della pista da ballo. Un ragazzino gli si era
avvicinato. Doveva essere Mark e subito la parte guerriera di Ville
iniziò a
farsi spazio, ma Johanna, con sua enorme sorpresa, non sembrava
volergli dare
molta attenzione. Si liberò di lui in pochissime mosse che
fecero sorridere il
finnico. Era identica a lui anche in quello.
Johanna
andò a sedersi al tavolino aspettando
che i ragazzi tornassero quando una voce alle sue spalle la fece
sobbalzare.
"
Sei stanca?"
Marianne
le si
sedette accanto guardando nella sua stessa direzione.
"
Non pensarci.
Mark è il solito stupido."
Mark,
lo stesso
ragazzo che le aveva chiesto di andare alla festa si era dimostrato per
quello
che era anche se lei si era ostinata a non crederci. Era un vero e
proprio
buffone, con qualche accenno di divezza repressa. E lei si
sentì delusa da
quell'atteggiamento nonostante Arja l'avesse avvertita.
Stupidi
ragazzini.
Forse Ville aveva ragione quando le aveva detto che la maggior parte
dei
ragazzini della sua età erano decisamente stupidi e presi
dall'intento di dar
sfogo al proprio egoismo.
"
E' anche vero che c'è qualcuno che riesce a
comportarsi meglio. Non tutti però sono così,
quindi stai attenta."
Era
meravigliata dal
fatto che ricordasse quelle parole e che a dirle fosse stato proprio
Ville,
l'uomo più egocentrico e bastardo dell'universo. Johanna
annuì e sforzandosi di
sorridere disse: " vieni con me al bar? Voglio prendere una Coca cola."
Marianne
annuì e
insieme si alzarono. Ville appena vide le ragazze avvicinarsi si
nascose meglio
il viso e si rigirò sulla sedia tornando a guardare il
bancone, le bottiglie
dietro il barista e il barista stesso che naturalmente si teneva a
debita
distanza.
"
La gente è
stupida."- la sentì dire mentre sbuffando si sedeva proprio
accanto a lui,
del tutto ignara di essersi seduta vicino a suo padre.
"
Soprattutto
quel tipo di gente. Ma cosa ti puoi aspettare da gente presuntuosa?"-
disse Marianne.
"
Per quale
motivo mi chiede di essere a questa festa se poi si comporta da
perfetto
idiota?"
"
Sei nuova e
probabilmente aveva deciso di prenderti in giro."- ipotizzò
Marianne
pensierosa.
"
Lo credo
anch'io. Bene da ora andasse a prendere in giro qualcun'altra. Ha
sbagliato
proprio persona."- disse decisa.
Ville
cercò di
reprimere la felicità che aveva provato sentendo quelle
parole. Ciò significava
che non era più necessario premeditare qualche omicidio.
Allo stesso tempo però
provò un forte senso di imbarazzo. Forse era meglio
allontanarsi, in fondo non
era poi così carino ascoltare discorsi fra ragazze. L'ultima
volta che aveva
ascoltato una conversazione tutta al femminile si era beccato un bel
ceffone e
di certo non aveva intenzione di ascoltare ciò che avrebbe
detto Johanna,
soprattutto perché era sua figlia.
Senza farsi notare si
allontanò decidendo di tornare in macchina e fare un giro
per la città per
conto suo, almeno fino a quando non arrivava l'orario giusto per
tornare a
prendere Johanna.
"
Oh.mio.dio."-
sussurrò Arja appena vide Ville uscire dalla macchina.- "
okay Arja, sta
calma. Fai finta che sia una persona qualunque."
"
Fai finta che
sia il tuo vicino giapponese."- disse Marianne andandole in aiuto e
deglutendo agitata.
"
Ecco! Arja fai
finta che sia Masayuki."- disse concentrandosi e cercando di non
guardare Ville
che ormai era quasi vicino. Johanna cercò di non ridere, ma
era davvero
difficile, soprattutto dopo aver visto le facce scioccate delle sue
amiche.
"
Fate finta che
sia il primo barbone che vedete per strada."- disse scoppiando alla
fine a
ridere.
"
Visto? Sono
stato puntuale."- disse lui raggiungendole e guardando Johanna. Poi
guardò
Arja e Marianne ed esclamò: " ciao ragazze!"
"
Ci..ci..ciao."-
dissero entrambe piuttosto imbarazzate.
"
Era
ora!"- esclamò serena Johanna.
"
Ti sei
divertita?"- chiese scompigliandole i capelli e come al solito
beccandosi
la sua occhiataccia.
"
Abbastanza."
Ville
sorrise sapendo
bene cosa era successo.
"
E voi?
Resterete qui sole?"- chiese ad un tratto rivolgendosi alle altre due.
"
Ehm.."
"
Su salite in
macchina. Vi riaccompagno io."- disse risoluto, ignaro di aver
procurato
un infarto alla povera Arja e un ictus a Marianne.
Erano le due
passate
e Ville era ancora in giro per casa. Non riusciva a prendere sonno come
al
solito e dopo aver sistemato il disordine creato dai fogli, decise di
tornare
in camera. Johanna probabilmente stava dormendo, ma si sorprese nel
trovare la
sua porta semiaperta.
L'aprì
e si affacciò per assicurarsi che andasse
tutto bene.
Johanna
era agitata.
Diceva
parole scollegate tra loro, si muoveva
nervosa, scostando le lenzuola.
Stava
facendo un brutto sogno.
Le
parole uscivano soffocate.
Poi
una parola.
“Mamma..”
Era
sull’orlo della
lacrime, mentre stringeva a sé il cuscino e in un pugno
l’orlo del lenzuolo.
Ville
si avvicinò. Johanna stava cominciando a
dimenarsi. Si
sedette sul letto e
cominciò a tenerla ferma cercando di svegliarla.
"
Johanna, svegliati!"
Le
spostò i capelli dal viso.
"
Dai, Jo svegliati."
Non
doveva chiamarla Jo.
"
Mamma..perché?"- continuava, mentre
delle lacrime le uscivano dagli occhi socchiusi.
" Johanna,
sono Ville. Ti prego,
svegliati!"- continuava a chiamarla mentre le accarezzava la fronte e
le
teneva una mano.
Silenzio.
Forse stava capendo che era un incubo.
Ogni
tanto strizzava gli occhi, pieni di
lacrime.
Poi
li aprì e li puntò su Ville che la stava
guardando preoccupato.
Si
tirò leggermente su con i gomiti mentre continuava
a pensare all’incubo.
Rantolava
nel buio, mentre Ville cercava di
farla calmare.
Si
aggrappò alla maglia di lui guardandolo con
gli occhi lucidi dai quali ogni tanto scendeva qualche lacrima.
Ville
si distese accanto a lei, aggrovigliata
nella lenzuola e la tenne stretta, mentre cercava di calmarsi e
trattenere i
singhiozzi.
"
Va tutto bene adesso."- le ripeteva,
dandole un bacio sulla fronte.
I
suoi singhiozzi erano intrisi di dolore e
uscivano strozzati dalle labbra, mentre Ville le accarezzava i capelli
con
dolcezza. Aveva
provato a trattenersi, ma
alla fine aveva ceduto notando che le cose non erano migliorate.
Aveva
chiuso gli occhi come se almeno le lacrime si
potessero fermare.
"
Johanna.."- la chiamò Ville mentre
la sentiva tremare leggermente.-" va tutto bene?"- chiese e stavolta
era davvero una domanda. Non era l’affermazione che
continuava a ripetere per
convincerla che fosse così. La sentì mentre
tratteneva il respiro e continuava
a tremare.
"
Adesso sì.."- sussurrò.
Piano
piano il respiro di Johanna si fece sempre
più lento contro il suo petto.
Si
era addormentata, con le braccia conserte e
quelle di Ville che la stringevano. Non sarebbe andato via,
perché sapeva che
con le sue braccia riuscivano a farla sentire al sicuro. Lui
però non riusciva
a dormire. Aveva paura che Johanna si sarebbe rimessa a fare brutti
sogni e poi
aveva anche il timore di svegliarla e per quest’ultima
ragione non riusciva a
mettersi comodo.
Stava
male messo così. Aveva appoggiato male la
testa e come minimo si sarebbe risvegliato con il torcicollo.
La
guardò mentre dormiva. Gli ricordava tanto Marika:
stessa espressione angelica sul volto e ogni tanto, proprio come la
madre,
arricciava il naso. Il viso era ancora bagnato dalle lacrime e gli
occhi erano
leggermente gonfi. I capelli, arruffati, si erano appiccicati alle
guancie e il
ciuffo sulla fronte, leggermente imperlata dal sudore. Ville
arrivò alla
conclusione che dovevano darle fastidio così con
una mano senza fare
troppi movimenti bruschi, cominciò a spostarle tutte le
ciocche dal volto. Quando
finì di sistemare Johanna, Ville cominciò a
guardarsi intorno, analizzando
qualsiasi oggetto fosse in quella stanza.
Prima
era una semplice stanza dalle tonalità
tetre, e adesso sembrava avesse preso vita. Gli piaceva questo aspetto.
Guardò
ogni centimetro quadrato delle superficie occupata
dai vari oggetti di Johanna, poi un oggetto colpì la sua
attenzione.
Un
libro.
Eppure
la copertina non sembrava quella di quel
libro.
Era
forse un diario?
Forse
era il diario di Johanna e per la prima
volta decise che era meglio farsi i fatti suoi, dato i pasticci in cui
era
andato a cacciarsi origliando le sue conversazioni. Poi il diario era
troppo
lontano per cercare di prenderlo senza svegliare la figlia.
Così
non avendo altro a cui pensare, cercò di
addormentarsi, nuovamente senza riuscirci. Così si
voltò a guardare la testa,
affondata nel suo petto, di Johanna che ormai continuava ad accarezzare
come
fosse un cucciolo in cerca di coccole.
Sentiva
un calore strano nel petto ogni volta
che pensava al fatto che Johanna era sua figlia.
Era
strano da immaginare, pensare, dire,
scrivere, urlare..
Ma
era meraviglioso.
Era
semplicemente un’emozione unica.
E
Ville sentiva che per provare quell’emozione
ogni santo giorno della sua vita, avrebbe fatto di tutto.
Non
si sarebbe mai reso conto che quella era
davvero sua figlia, qualcosa di magnifico nato da un amore finito male.
Gli
faceva schifo pensare che fosse successo per
caso. Non poteva essere successo per caso.
Il
caso
non esiste.
Johanna
non era un caso.
Probabilmente
era la cosa più bella che gli
potesse capitare.
Una
Laine da trasformare in Valo.
Un
piccola diva che doveva ancora crescere.
Una
principessa tutta mia, che mi chiama papà.
Il tempo
passò velocemente e novembre giunse alle porte portando con
sé un gran freddo e
un po' di neve. Era passato già un mese e non sembrava vero.
Tutto
era
cambiato.
Tutto
aveva preso una piega inaspettata.
Tutto
sembrava andare bene.
Quel
giorno nevicava. A Johanna piaceva quell'atmosfera. Le
piaceva sentire il freddo e stare ore e ore
a guardare dalla finestra la neve che scendeva e che si posava su tutto
ciò che
incontrava.
Era
quello che stava facendo in quel momento.
Era
una
tranquilla domenica mattina e lei stranamente si era alzata presto.
L'unica
cosa strana di quella mattina fu l'assenza di Ville.
Le
aveva
lasciato un biglietto con su scritto che aveva da fare una cosa
importante e che
sarebbe tornato presto. Ultimamente Ville era un po' strano, ma non
riusciva a
capire l'origine di tale comportamento. Era come se le stesse
nascondendo
qualcosa eppure ogni volta che lei gli chiedeva cosa avesse lui le
rispondeva
con " è
tutto okay!"
Probabilmente
si trattava di cose relative alla musica e alla commercializzazione,
eppure in
cuor suo sperava che Ville stesse prendendo la decisione di far fuori
per
sempre dalla sua vita Hanna, che ogni giorno diventava sempre
più
insopportabile. Solo Ville sembrava non accorgersene.
Sospirò
guardando il pezzettino di neve che si era posato proprio sul davanzale
della
finestra. Poi si avvicinò al camino e aggiunse della legna
per alimentare il
fuoco e renderlo un incendio. Lo guardò sorridendo.
Strano,
ma
vero, non si era mai sentita così tranquilla come in quel
momento.
L'aeroporto
non era molto affollato. Ville era giunto anche in
anticipo stranamente, forse perché voleva fare bella figura
e far capire già
dall'inizio che lui era preciso e che aveva la testa apposto. Tutto
avrebbe
fatto per far fuori il suo nemico, lo stesso che lui stava aspettando e
che
avrebbe ospitato a casa per la felicità di Johanna. La
immaginava già urlare di
gioia appena avrebbe visto Jackie. Era una sorta di regalo che voleva
fargli,
per farle capire che lui non l'avrebbe mai e poi mai allontanata dai
suoi
affetti più cari per sempre. Jackie nonostante fosse il suo
nemico, era la zia
acquisita di Johanna e quella donna che lui doveva ringraziare per
essersi
presa cura delle sue donne. E poi sapeva che a Johanna mancava anche se
non lo
ammetteva apertamente. Jackie l'aveva chiamato un giorno per dirgli che
aveva
intenzione di andare lì ad Helsinki per vedere Johanna. Gli
aveva detto che le
mancava e che voleva farle una sorpresa. Naturalmente Ville sapeva che
era
sincera e che Johanna sarebbe stata felicissima. E poi voleva vedere
lui stesso
il comportamento di Jackie e capire se davvero era così
speciale come
raccontava Johanna.
Si
voltò verso la piccola folla e pian piano riuscì
a distinguere
una figura snella con un berretto grigio scuro e un cappotto della
stessa
tonalità che si era allontanata da quella massa e che si
dirigeva verso di lui.
Trascinava con sé le valigie e quando fu vicino a Ville
sorrise senza sapere
cosa dire.
"Ciao."-
esordì lui cordiale.
"Ciao."
"Dai
a me."
"Grazie,
ma faccio da sola."- rispose secca la ragazza
sistemandosi una ciocca di capelli nel berretto.
"Oh
avanti! Non te le rubo mica."- disse Ville
sorridendo. Lei lo fissò, quasi a voler esaminarlo e poi
cedette le valige
dicendo: " beh grazie."
"Di
nulla."- rispose il finnico. Restarono in silenzio
fino a quando, usciti dall'aeroporto e sistemate le valige, salirono in
macchina. Jackie guardava al di fuori del finestrino e Ville ogni tanto
le
lanciava delle occhiate attento a non fare incidente e a non farsi
beccare.
Niente
male,
si ritrovò a pensare osservando i lineamenti del viso, le
mani e
immaginando ciò che c'era sotto il cappotto.
"Jo
sa qualcosa?"- chiese all'improvviso Jackie
guardandolo. Sembrava piuttosto preoccupata. Sperava che Ville non
avesse detto
nulla a Johanna, ma siccome non si fidava, aveva bisogno di avere delle
certezze. Ville, che proprio in quel momento aveva distolto lo guardo
per non
dare l'impressione di essere un maniaco, con la sua solita aria
professionale e
da diva rispose: " no, sarà una sorpresa, come tu stessa hai
voluto."
Terminò
la spiegazione guardandola, come se fosse la prima volta
che distoglieva lo sguardo dalla strada. Jackie gli sorrise grata.
"Ti
ringrazio per avermi assecondata."
"Come
mai tutta questa gentilezza? Non sembri la stessa
persona che mi ha mandato a quel paese l'ultima volta."
Jackie
si imbarazzò immediatamente. Non aveva fatto i conti con la
sfacciataggine di Ville Valo. Lui era tornato a guardare la strada e
subito
dopo aver parlato la guardò con un sorriso.
"Mi
dispiace, non era mia intenzione, ma c'era di mezzo la
felicità di Johanna.."- disse lei calma, cercando di
giustificarsi.
"Non
dispiacerti, in fondo la colpa è stata mia."- disse
scrollando le spalle.
"Nessun
rancore?"
"Nessun
rancore."
Entrambi
sorrisero e poi caddero in un lungo silenzio rotto
solamente dai rumori esterni. Quando giunsero a destinazione il cuore
di Jackie
batteva forte. Finalmente avrebbe rivisto Johanna e non riusciva ad
immaginare
quale sarebbe stata la sua reazione. Appena scese dall'auto e si
avvicinò a
Ville per aiutarlo con le valige lui le porse la mano e disse: " e
comunque
piacere, Ville Valo."
"Ehm
Jackie Smith."- disse automaticamente lei
stringendo la mano, guardandolo confusa.- "scusami ma perché
ci stiamo
presentando?"
"Beh
perché non c'è stato modo di presentarci fra di
noi con
calma."
"Oh
beh hai ragione."- disse Jackie sorridendo. Si
tenevano ancora per mano senza che se n'erano accorti. Ville fu il
primo ad
accorgersene e iniziò a sentirsi imbarazzato. Jackie a quel
punto si allontanò
e chinò la testa.
"
Su andiamo, Johanna sarà felice di vederti."- disse
Ville portando lui stesso le valige.
"Johanna?
Johanna!"- urlò Ville aprendo la porta.
Johanna scocciata, non voleva alzarsi dal divano così
urlò di rimando: "
cosa c'è?"
"Vieni
qui un secondo!"
Sbuffando
per essere stata privata del suo stato di ozio, mise le
ciabatte e si trascinò fino all'ingresso.
"Che
c'è?"
"Ho
una sorpresa per te."
Ville
con un sorrisetto si spostò e Jackie fece un passo avanti
con un largo sorriso.
"Jackieeeeeeeee!"
Johanna
si buttò completamente fra le braccia di Jackie.
L'emozione era grandissima e Johanna a momenti scoppiava a piangere per
la
felicità di vedere finalmente la persona che in tutto quel
trambusto le era
dannatamente mancata.
"
Tesoro mio.."- sussurrò Jackie baciandole il capo
dolcemente per poi stringerla di nuovo a sé chiudendo gli
occhi. Ville notò un bellissimo
sorriso sul suo volto e percepì un grande amore. Erano
perfette in
quell'abbraccio.
Johanna
dopo essersi liberata dalla stretta guardò Jackie felice
come non mai.
"
Sei davvero tu? Non ci posso credere!"- esclamò
saltellando.-" Quando sei arrivata? Resterai qui? Sei stanca? Hai fame?"
"
Ehi calma! Non sparisce." - disse Ville sorridendo.
Per tutto quel tempo era stato in disparte, appoggiato all'angolo del
muro con
indosso ancora la giacca e il berretto. Johanna si avvicinò
a lui e chiese:
" sei andato tu a prenderla?"
"Sì."
Guardò
Jackie e poi di nuovo Ville. Lo stava studiando, come se
avesse risolto un grande enigma.
"E'
per questo che eri strano in questi giorni? Sapevi tutto,
vero?"- chiese sorridendo.
"Però!
Che ragazza perspicace."
A
quel punto Johanna partì sparata e abbracciò
anche lui. Non
l'aveva mai fatto di sua spontanea volontà, ma sentiva il
bisogno di
ringraziarlo e credeva che quell'abbraccio fosse uno dei segni
più convincenti
della sua gratitudine.
Ville
in un primo momento restò paralizzato, meravigliato dal
fatto che Johanna lo stesse abbracciando, ma subito dopo la strinse a
sé felice
come non mai. Quando si allontanarono entrambi erano leggermente
imbarazzati,
mentre Jackie li osservava con un sorriso dolce. Forse Ville non era
proprio un
mostro come lei stessa mentalmente l'aveva definito.
"Oh
ehm..beh accomodati."- disse Ville rivolgendosi in
quel momento a lei, decisamente confuso per via di tutte quelle
emozioni che
quell'abbraccio gli aveva provocato.
Erano tante,
decisamente tante.
Alla fine
avevano optato per una tazza di the che Johanna si era
offerta lei stessa di preparare. Aveva smesso di nevicare e ora le
strade erano
sporche di neve, anche se non era molta come invece Johanna aveva
sperato.
Erano seduti in salotto e chiacchieravano amabilmente. Naturalmente era
Johanna
a parlare, raccontando tutto quello che le era successo e
ciò che faceva con
Ville. Il finnico la assecondava, correggeva i suoi discorsi quando lei
era sul
punto di chiamarlo diva e ascoltava interessato ciò che
Jackie aveva fatto
durante quei due mesi senza Johanna.
"
Vero che resti qui? Non saresti un disturbo, vero Ville?"-
disse la ragazza facendo gli occhi dolci a Ville.
"
La camera è già sistemata. E tu non te ne sei
accorta
nemmeno. Eppure è quella vicina alla tua!" - disse Ville
prendendola in
giro.
"
Santi Numi!"- esclamò Johanna.
"Beh
perché tutta questa sorpresa? Non sono così
insensibile."
"Vado
a portare le valige di sopra."
Decisa
Johanna andò a prendere le valige e si diresse nella camera
destinata a Jackie.
In
salotto era sceso immediatamente il silenzio farcito da sguardi
sfuggevoli e sorrisi imbarazzati.
Jackie si portò una ciocca castana dietro
all'orecchio e poi finalmente
decise
a parlare.
"Grazie
Ville, ma non dovevi scomodarti. Io..io non vorrei
disturbare..insomma..tu
sei
fidanzato..non vorrei interrompere dei momenti intimi.."
"
Oh tranquilla. Hanna non è sempre qui. Non preoccuparti per
lei. Siamo solo io e
Johanna.
Hanna viene a trovarmi ma non sta molto e poi solitamente
non ci facciamo
vedere in giro per casa in caso di un momento intimo..a
meno che tu non vuoi
entrare in camera mia proprio in quel momento."
Ville
ridacchiò mentre Jackie lo guardava seria.
"
Ne faccio a meno tranquillo. Non ho nessuna intenzione di
vedere prestazioni sessuali
gratuite, mi bastano le mie."
Si
portò una mano sulla bocca. Avrebbe voluto mordersi la
lingua
in quel momento piuttosto
che finire la frase in quel modo. Cosa le era saltato in
mente? Si sentì fortemente
a disagio dopo quello che aveva detto.
"Oh
oh!"- esclamò Ville sorpreso e divertito. Questo non
fece che aumentare l'imbarazzo di Jackie.
"
Merda..a volte parlo senza pensare.."
Alla fine entrambi
scoppiarono a ridere.
L'ANGOLO
DI VALS u.u:
Ooooh! Mo siete
contente??!?! Jackie è finalmente arrivata per la gioia di
tutti quanti u.u
Se qualcuno si
è perso il link che avevo messo all'inizio della storia con
l'immagine di questa donna ora tutti quanti facciamo il ripasso.
Lei è
Jackie quantosonognocca Smith.
Ormai Sara Bareilles per
me è diventata Jackie. Tutte le volte che ascolto le sue
canzoni nella mia testa c'è un solo nome: Jackie. xD
Ok, non
è una bellezza stratosferica da tipica fotomodella. Ho
cercato una persona che potesse rappresentare al meglio la
semplicità e la bellezza naturale e non
necessariamente una bellezza finta, che dovesse far cadere ai suoi
piedi Ville solo perché è quella che fa la parte
della brava e allo stesso tempo è una gnocca assurda. Potevo
anche farlo, visto che si tratta di una storia di fantasia dove si
cerca di dare un bel pò di gnoccaggine a tutti, ma non mi
piaceva l'idea. Jackie da come capirete meglio andando avanti,
è la spontaneità e la semplicità in
persona e per questo non l'ho voluta far rientrare nella
figaggine massima da tipica rivale di Hanna. Avrebbe perso la
calorosità e sarebbe diventata qualcosa di finto al pari di
Hanna. E questo non lo vogliamo, vero? u.u. Se non avete capito quello
che ho scritto, non fa niente xD! Volevo riempire l'angolo di Vals con
qualche cazzata xD
Allora, vi
è piaciuto? Se po fa?
Grazie a tutti,
ma davvero a tutti tutti tutti per l'interesse..tanto love <3
Al prossimo
aggiornamento.
Vals <3
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Dear Father
Capitolo
14
La
sera
giunse fin troppo presto per i gusti di Johanna. A lei non sarebbe
bastato
nemmeno un mese per recuperare tutto quello che non aveva fatto con
Jackie, a
maggior ragione non accettava il fatto che fosse giunta la sera, che
significa
" vai a dormire perché domani c'è scuola."
Ma
lei
non era riuscita a dormire e nemmeno Jackie. La prima per la troppa
emozione,
la seconda per via dello sballamento dovuto al viaggio. Solitamente
Jackie dopo
un viaggio in aereo non riusciva mai a dormire, nonostante si sentisse
stanca.
Era più forte di lei. E così entrambe finirono
per ritrovarsi in pigiama
comodamente sedute sul letto di Johanna con la coperta tirata fin sopra
la
testa, nascoste dal resto del mondo, con la sola piccola luce della
lampada ad illuminare
i loro volti.
Era
uno
dei metodi che avevano sempre usato per chiacchierare all'insaputa di
Marika,
quando nessuna delle due aveva sonno. Johanna fingeva di dormire, ma in
realtà
aspettava che Marika uscisse dalla sua stanza per alzarsi e
silenziosamente
raggiungere la camera di Jackie.
Certe
abitudini non erano cambiate per niente e soprattutto erano state
riprese in un
lampo.
"
Allora, hai fatto nuove amicizie?"- chiese in sussurro Jackie
sistemandosi
meglio il maglione del pigiama.
"
Sì. Ho fatto amicizia con Arja e Marianne. Sono davvero
delle brave ragazze,
devi conoscerle!"- esclamò in un soffio Johanna.
"
Come ti trovi qui ad Helsinki?"
"
Bene. Mi sono abituata al freddo, alle nuove abitudini e..a Ville."
Dopo
quel
nome sussurrato, Johanna abbassò la testa. Jackie si
allarmò immediatamente.
Stava già pensato al peggio.
"
Qualcosa non va?"
Johanna
sospirò e tornò a guardare Jackie. Si sentiva
scoppiare, aveva la necessità di
dire quello che la tormentava. Jackie avrebbe sicuramente trovato una
spiegazione per farla rasserenare.
"
E'
che..non mi aspettavo che ti ospitasse. È stato piuttosto
sorprendente. È stato
gentile.."
"
Beh, questo è bello, no?"
"
Certo!"
"
E
allora perché quel muso?"
" E' che non riesco ad aprirmi con lui, ovvero non riesco ad
abbracciarlo
o a diventare più dolce. Io vorrei farlo, ma sento di essere
ancora bloccata.
Lui ha un grande cuore, anche se a volte mi fa innervosire.
È bravo, si impegna
a non farmi mancare niente..eppure io mi sento in colpa per come mi
comporto.."
"
Non devi sentirti in colpa, Jo. È ancora presto, specie per
te. Lo sappiamo
bene quanto tu sia piuttosto restia, ma è anche vero che hai
un grandissimo
cuore anche tu. Hai bisogno solo di un altro po' di tempo."- rispose
risoluta Jackie, con un sorriso trionfante sul volto. Johanna ancora
una volta
non si sentì delusa. Jackie era eccezionale e aveva sempre
le parole giuste per
qualsiasi situazione. A volte Johanna si chiedeva se la sua super zia
acquisita
non fosse un supereroe. Aveva grinta, coraggio e si faceva in mille per
far in
modo che tutto andasse per il verso giusto.
"
Credi che Ville si arrabbierà?"- chiese dando sfogo
all'ultimo dubbio.
Jackie le posò le mani sulle spalle continuando a sorridere
fiduciosa.
"
No,
lo sa anche lui che è presto."
Johanna
annuì sollevata e poi strinse a sé Jackie, la sua
ancora di salvezza da sempre.
"
Mi
sei mancata."
"
Anche tu."
Restarono
strette fino a quando non sentirono il loro palazzo di coperte
sgretolarsi e
scendere dalle loro teste. Lo rimisero al suo posto ridendo.
" Come sta Daphne? E Duncan?"
"
Bene, e ti mandano i loro saluti."
Proprio
in quel momento entrambe si ammutolirono. Dei rumori strani provenivano
da una
stanza lì vicina e non fu difficile per Johanna capire cosa
stava succedendo.
"
Che cos'è questo rumore?"- chiese Jackie confusa tornando
con lo sguardo
sulla ragazzina.
" Credo che di là qualcuno si stia dando alla pazza gioia."-
rispose
Johanna infastidita. Jackie non aveva avuto il privilegio di vedere
quella sera
Hanna. Nemmeno Johanna l'aveva vista, il che stava a significare che
nel
momento in cui le due donne avevano dato la buonanotte a Ville, l'oca
si era
presentata senza inviti a casa. E a quanto pareva,
Ville non si era fatto nessun problema a dar
sfogo ai suoi divertimenti.
"
Come hai detto che si chiama la sua ragazza?"- chiese Jackie indicando
la
porta.
"
Hanna. E io non ci vado d'accordo. Mi sale il nervoso quando la vedo e
la
strangolerei volentieri. Al momento quello che faccio è
darle la mia più totale
indifferenza."
Johanna
era soddisfatta della sua risposta. Sembrava orgogliosa del suo
comportamento.
Se Anita avesse visto la sua espressione, avrebbe giurato di vedere il
suo
Ville tornato adolescente. Jackie invece la guardava severa.
"
Jo, non fare così. Devi cercare di essere carina con lei,
è pur sempre la
fidanzata di tuo padre."
"
Ma
io non la sopporto!"- protestò ancora una volta Jo.
" Anche io non sopporto tante cose, eppure mi comporto sempre bene.
È da
maleducati comportarsi come stai facendo tu. Le cose non si risolvono
con
l'indifferenza, né tanto meno comportandosi da antipatici.
Cosa ci ricavi? Io
non ci trovo nulla di soddisfacente, e nemmeno tu dovresti. Devi essere
sempre
gentile con il nemico, alla fine capirà lui stesso di
sentirsi stupido."
E
la
seconda perla di saggezza era andata. Johanna annuì anche se non era del tutto
d'accordo, ma discutere con
Jackie non serviva a nulla. Avrebbe vinto lei.
"
Va
bene. Cercherò di essere meno cattiva."
"
Brava."
"E'
vero che resterai qui per sempre?"- chiese all'improvviso prendendo una
mano della donna fra le sue. Jackie ridacchiò.
"
Beh è un po' esagerato il per sempre. Diciamo che
resterò qui per un po'."
Johanna
tornò ad abbracciarla.
"
E
adesso a nanna."- ordinò Jackie districandosi dall'abbraccio
dopo un bel
po'. La ragazzina obbedì sdraiandosi sul letto e aspettando
che Jackie le
rimboccasse le coperte. Quando lo fece, la donna si sedette vicino e le
stampò
un lieve bacio sul capo.
"
Buonanotte tesoro."
"
Notte Jackie."
Jackie
si
alzò continuando a mostrare il suo sorriso dolce. Stava per
raggiungere la
porta, quando fu richiamata da Johanna.
" Jackie?"
"
Dimmi."
"
Ti
voglio bene."
Jackie
sorrise.
"
Anche io."
Jackie
era già in cucina con l'intento di preparare la colazione,
soprattutto per
Johanna che stranamente dormiva ancora. Johanna da sempre era la prima
a
svegliarsi e a svegliare in seguito tutti gli altri. Evidentemente
l'incredulità di vedere lì Jackie le aveva
giocato un brutto scherzo mandando a
farsi fottere il sonno e a recuperarlo tardi. Proprio in quel momento,
mentre
lei era di spalle intenta a sistemare la macchinetta del
caffè, sentì delle
risate, poco dopo seguite dai proprietari di quelle voci. Ville e Hanna
si
presentarono in cucina con l'intento probabile di pomiciare e fare i
cretini
anche lì, come se la notte non avesse bastato a tutti.
Jackie
tossicchiò, mentre a braccia conserte aspettava che il latte
per Johanna si
riscaldasse. A quel punto un senso di imbarazzo si impadronì
di Ville che
immediatamente si staccò da Hanna e guardò Jackie
sorridendo.
"Oh
Jackie! Buongiorno.."
"
Buongiorno a voi."- disse la donna indaffarata senza
nessuna intenzione di assecondare il sorriso di Ville.
"Tu
devi essere la zia di Johanna."- intervenne Hanna,
squadrandola da capo a piedi mentre si attaccava nuovamente a Ville.
Jackie si
voltò per guardarla. Non era affatto male come donna, anche
se le modelle le
erano state sempre antipatiche.
"
Sì, sono io."- rispose con un sorriso da presa in
giro, che cercò di nascondere in larga misura, cercando di
non risultare
antipatica. Evidentemente ci era riuscita, poiché la bionda
sorridendo, le si
avvicinò tendendole la mano.
"
Hanna, piacere di conoscerti."
"
Il piacere è tutto mio."
Hanna
tornò ad abbracciare Ville, come se il fatto che potesse
appiccicarsi come un polipo non desse nessun fastidio. Ville, che in
fondo non
era così sciocco, la allontanò da lui sorridendo
e lasciandole un piccolo bacio
sul dorso della mano.
Jackie
si voltò disgustata.
Hanna
diede un bacio e quando Jackie si voltò di nuovo sistemando
il caffè nelle tazze sorrise maliziosa e non smettendola di
guardarla diede un
bel bacio a Ville.
"
Io devo andare.. a dopo amore.."
Ville,
piuttosto imbarazzato dalla situazione non le rispose, o
meglio, le sorrise senza aggiungere una parola. Quando Hanna
andò via l'imbarazzo
aumentò il doppio, ma Jackie non lo stava guardando e
né tanto meno si rese
conto della grossa difficoltà che provava il finnico in quel
momento. Jackie
credeva piuttosto che lui fosse la solita diva di turno a cui non
importava
nulla degli altri. Eppure non riusciva a capire come Johanna gli si
fosse così
affezionata.
È
suo padre, capra. È normale!
"
Dormito bene?"
Finalmente
Ville aveva deciso di rompere il ghiaccio, o forse era
un modo per cercare di mandare via l'imbarazzo colossale. Hanna lo
aveva reso
un perfetto idiota agli occhi di Jackie e questo non riusciva a
sopportarlo.
Non voleva che il suo nemico lo giudicasse ancora prima di iniziare la
vera e
propria convivenza pacifica in nome di Johanna. Lei lo
guardò superficialmente,
attenta com'era a versare il latte caldo nella tazza di Johanna, e
disse:
" abbastanza."
"
E Johanna? Dorme ancora?"- continuò lui cercando di
trovare nuovamente una scusa per sentirla parlare.
"
Credo di sì. Vuoi pensarci tu a svegliarla?"- questa
volta lo guardò.
"
Potrebbe uccidermi."
Jackie
sorrise. Beh, almeno il finnico aveva già capito il perenne
malumore mattutino di Johanna e questo la fece sorridere divertita.
"
Non essere tragico! Per evitare il peggio, devi sussurrarle
all'orecchio. Le piace sentirsi sussurrare di svegliarsi. Se le parli
normalmente o le fai domande o, peggio ancora, le urli di alzarsi
davanti alla
porta, è normale che lei reagisce come una belva."
"
Davvero? La soluzione è questa per renderla meno iena la
mattina?"- chiese Ville sorpreso. Ma non doveva esserlo: in fondo
Jackie
conosceva molte più cose di lui su Johanna. E pensare che
lui ogni mattina
faceva esattamente quello che non doveva fare, urlando davanti alla
porta della
stanza.
"
Beh? Non vai a svegliarla?"- chiese Jackie, confusa
nel vederlo ancora lì in piedi a fissarla.
"
Oh sì. Vado."
Ville
andò di sopra e dopo essere entrato in camera di Johanna,
con molta calma si avvicinò al letto e iniziò la
procedura.
"Johanna..ehi
sweetie sveglia..Johanna.."
Il
suono dolce e profondo di quella voce fece rabbrividire la
ragazza che pian piano aprì gli occhi trovandosi Ville
accanto a lei.
"
Ville!"- esclamò stropicciandosi gli occhi ancora
mezza assonnata, ma decisamente meno antipatica delle altre mattine.
"
Buongiorno."- disse lui tranquillo.
"
Buongiorno..ma che ore sono?"- chiese calma Johanna,
sbadigliando.
"
Sono le sette e mezza."
"
Le sette e mezza?!"- esclamò la ragazza svegliandosi
di colpo. Scese velocemente dal letto esclamando: " aaaaaaaah
arriverò in
ritardo!"
Ville
sorrise divertito, ma allo stesso tempo cercò di calmare sua
figlia.
"
Non farai tardi. È presto, sei tu che sei abituata a
svegliarti alle sei del mattino. Sei in perfetto orario."
"
Sì, ma non va bene!"
Johanna
aprì velocemente l'armadio. Buttò a casaccio una
maglia
sul letto prendendo in pieno viso Ville e un pantalone e poi
iniziò ad
imprecare raccogliendo i libri.
"
Accidenti..!"
"
Dannazione!"
"
Miseriaccia!"
"
Vuoi calmarti?"
Johanna
si fermò e guardò Ville. Doveva ammettere che era
stato
gentile a svegliarla in quel modo quella mattina. Sospettava che a
dirglielo
fosse stata Jackie, perché lei era pronta a sentire la sua
voce dietro la
porta, pronta a svegliare la belva acida che era in lei. Gli sorrise
annuendo,
poi prima di andare a vestirsi gli porse dei quaderni dicendo: " puoi
mettere questi nello zaino? Grazie."
Ville
eseguì l'ordine ridacchiando mentre la vedeva scomparire a
grande velocità nel bagno.
Dopo la colazione, approfittando delle ultime preparazioni di
Johanna, Ville con molta calma si preparò anche lui e
scoprì che per la prima
volta era più puntuale di sua figlia. Jackie era in
soggiorno e quando lo vide
sorrise. Era l'unica cosa che il suo cervello in quel momento le
consentiva di
fare, ma più che altro non era un vero e proprio sorriso,
era una paralisi
facciale. Ancora peggio, secondo Jackie stessa. La spiegazione era
semplice: voleva
essere gentile nonostante volesse ammazzarlo e poi Ville era
maledettamente
fico con ciò che indossava e lei cercava con tutta se stessa
di non arrossire.
Poi ad un tratto trovò l'appiglio giusto per non
imbarazzarsi.
"
La tua maglia ha un buco. Non vorrai andare in giro in
questo modo."- disse notando il buco che si faceva spazio al livello
della
spalla. Ville che fino a quel momento si era concentrato su di lei e in
particolar
modo sui suoi occhi, guardò il punto indicato.
"
Dannazione!"
"
Non è nulla che non possa essere sistemato con l'ago e un
po' di filo."- disse Jackie avvicinandosi di più.-" sempre
che qui
dentro ci siano."- concluse sorridendo divertita.
"
Sì, non sono così sprovveduto."- rispose Ville
infastidito. Pensava che fosse così coglione?
Jackie
ridacchiò per la sua reazione e poi dopo aver ricevuto
l'occorrente, si schiarì la voce e disse: " dammi la maglia."
Ville
con molta disinvoltura si tolse la maglia restando a petto
nudo. Jackie fu attenta a non guardalo troppo e si sedette sul divano
concentrandosi sulla cucitura. Ville più la osservava e
più notava qualcosa di
familiare in lei, ma non riusciva a capire cosa. Era così
strano per lui vedere
una donna che non fosse sua madre, fare quei piccoli accorgimenti. Era
davvero
buffo!
Jackie,
ignara degli occhi felini puntati su di lei, fece il suo
lavoro e quando terminò gli si avvicinò e con un
sorriso gli porse la maglia.
"
Ecco a te."
Non
c'era nessun segno che potesse far capire che prima lì c'era
un buco. Tornò a guardare Jackie con un sorriso.
"
Grazie."
"
Figurati."
Quando
Ville infilò di nuovo la maglia, Jackie si sentì
meno impacciata.
Entrambi
iniziarono a sentirsi in imbarazzo, perché nessuno dei
due sapeva bene cosa aggiungere: Ville troppo occupato a capire cosa
diavolo
gli stesse passando per la testa e Jackie ostinata a non pensare
all'immagine
di Ville senza la maglia. Grazie all'ingresso velocissimo di Johanna,
tutto
finì.
"
Allora, andiamo? Io non posso fare tardi!"
"
Arrivo."
"
Ciao Jackie, a dopo!"- esclamò Johanna dando un bacio
sulla guancia e uscendo velocemente fuori.
"
Ciao."- disse Ville, ancora lì impalato.
"
Ciao."- rispose Jackie sorridendo.
Quando
la porta si chiuse la donna finì per sedersi sul divano
sospirando.
Se
Ville iniziava a fargli quell'effetto era decisamente
inguaiata.
" Non farti prendere
dal panico."- si ripeté respirando
ad occhi chiusi.
" Ehi! Mi hai sentito?"
La
voce
di Mige giunse alla sue orecchie come un rumore lontano. Era piuttosto
preso ad
osservare Jackie, che stava guardando le macchine al di fuori della
vetrata del
bar, presa da chissà quali pensieri, per ascoltare quello
che diceva il suo
amico.
La
donna
aveva deciso di fare due passi da sola, sicura del fatto che non si
sarebbe
persa, visto che ad Helsinki ci era stata già due volte con
la sua fedele
compagna di avventure: la reflex. Era entrata nel bar più
vicino, ma era completamente
ignara del fatto che prima di lei, nascosto in un piccolo angolo, c'era
anche
il maledetto finnico. Ville la osservò fin da quando l'aveva
notata, anche se
cercava di simulare indifferenza, annuendo poco convinto a
ciò che gli diceva
Mige.
"
Certo, ti ho sentito."- disse nuovamente senza effettivamente averlo
fatto.
"
Se
tu con quella faccia mi hai ascoltato io sono il re del mondo fatato."
"
Il
re di cosa?"
"
Oh
lascia stare. Piuttosto.."- Mige si avvicinò a lui con fare
mega
sospettoso e guardò anche lui Jackie, ben consapevole che
fosse lei la causa
del mancato interesse alle sue parole da parte di Ville.- "
perché non vai
da lei e attacchi bottone invece di stare qui con gli occhi da polipo e
la faccia
da maniaco?"
" Ho la faccia da maniaco?"
Mige
ridacchiò.
"
Poco ci manca. Di sicuro non è la faccia del grande
ascoltatore. Di quello che
ho detto non hai sentito nemmeno mezza parola. E non dire di no!"- lo
ammonì con un dito. Ville sorrise e alzò le mani.
"
Ok
lo ammetto, non ho sentito niente delle ultime cose che hai detto, ma
non è per
lei."
Mige
scosse la testa, sapendo perfettamente che quella era una bugia.
" Ville, amico, tu e le cazzate andate a braccetto e sono sicuro che si
tratta della cazzata del giorno. "
" Mige lo sai che sei noioso?"- chiese infastidito.
" Sbagliato: io sono la voce della verità!"- lo corresse
Mige
divertito, tornando a guardare Jackie.-" Ti interessa, vero?"
"
Io
sono fidanzato."- buttò lì a caso il finnico,
stupendosi di quelle parole a
cui lui stesso non credeva. Mige scoppiò a ridere.
"
Non girare la frittata. La domanda che ti ho fatto è precisa
e siccome stai
parlando con me e non con un giornalista, sei costretto a dire la
verità."
"
No,
non mi interessa."
"
Ho
detto che stai parlando con me."
"
E
quindi? Ho troppi pensieri per la testa. Jackie non mi interessa."
" Cosa centra? Anche io ho molti pensieri per la testa, ma se devo
ammettere
che una ragazza è bella lo faccio ugualmente. "
Ville
tornò a guardare Jackie che ora stava guardando la sua
reflex. Probabilmente
sistemava delle foto.
"
Avanti! Ammettilo."
Il
finnico poco dopo guardò insistentemente
il caffè senza parlare. Cosa doveva dire?
"
E'
carina."- disse poco convinto.
" Carina..uhm. Tutto questo tempo per dire la seconda cazzata del
giorno."
"
Ok
è una bella ragazza. E' un tipo normale e basta!"
"
Ed
è il tuo tipo. Oh avanti! A te le modelle non piacciono! Ci
stai così tanto
per.."
" Da quando sei il mio consulente?"- chiese Ville ridendo.
"
La
stai guardando insistentemente. E di solito tu lo fai quando una
ragazza ti
attrae."
Ville
si
limitò a fulminarlo con lo sguardo senza parlare. Mige lo
interpretò come un
segno positivo.
" Lo so che odi
quando qualcuno
cerca di tirare fuori dalla tua bocca la verità, ma andava
fatto."
A
Mige
non sfuggiva mai nulla. Era vero, Jackie lo stava affascinando, ma
ciò non
significava che morisse d'amore per lei. A dirla tutta, non sapeva
nemmeno cosa
pensare di quella strana sensazione. Guardandola lì seduta
da sola a fissare
foto che lui ignorava, la faceva sembrare così lontana dal
mondo, così simile a
lui. Poi la vide sorridere e lui stupidamente si accodò a
quel sorriso. Ma poi
scosse la testa preoccupato. Dimenticava che la bella newyorkese era
pur sempre
il suo nemico e lui non doveva interessarsi a lei.
"
Comunque io devo andare."- disse Mige alzandosi.-" Ti sto lasciando
solo. Solo. Capito?"- domando alludendo alla situazione.
"
Ciao Mige! Vai su!"- esclamò Ville sbuffando.
Mige
sorrise e come aveva detto, lo lasciò da solo. Doveva fare
qualcosa nonostante
avesse timore, doveva avvicinarsi a Jackie. Voleva conoscerla, doveva
conoscere
il suo nemico, tutto qui. Era questo ciò che sentiva di
voler fare in quel
momento. Magari parlandoci avrebbe fatto chiarezza su quella sensazione
di
familiarità che lo stava assalendo da quella mattina.
Così
senza
pensarci più si avvicinò al suo tavolo.
Jackie
si
sentì osservata e quando alzò gli occhi dalla sua
reflex quasi le venne un
colpo. Che ci faceva Ville Valo lì davanti a lei?
"Cosa
ci fai sola soletta?"
"Stavo
meditando."- rispose lei sorridendo e mettendo da
parte la macchina fotografica.
"
Mediti su qualche piano per farmi fuori?"- chiese
scherzando Ville.
"
Ancora no, ma se me lo fai presente potrei farlo."
Il
sorriso venne ricambiato per sua grande fortuna.
"
Quindi devo stare all'erta."- convenne il finnico
annuendo. Poi indicò la sedia di fronte a lei e gentilmente
chiese: "posso?"
"
Prego."
Ville
si sedette e lasciò che i suoi occhi si concedessero per un
attimo di sondare il territorio alquanto affascinante che gli era di
fronte.
"
E Hanna?"- chiese la donna facendo un sorso del suo
caffè.
"
Ha dei servizi fotografici."
"
Quindi io ti servo da ripiego alla noia infruttuosa."
"
Assolutamente no! E' che mi va di conoscerti meglio. Se
togliamo il tuo ruolo da migliore zia secondo Johanna, io non so
completamente
nulla di te."- esclamò Ville agitandosi. Perché
si stava agitando? Doveva
capire fin da subito che Jackie stava scherzando. Doveva capirlo dal
suo sorriso
divertito, e invece lui non aveva afferrato l'ironia. Mister Ironia
aveva avuto
un abbaglio.
"
Stavo scherzando."- disse lei ridendo.- " e
comunque..beh non c'è nulla di particolarmente importante da
sapere sul mio
conto."- concluse frettolosamente.- " Piuttosto, parliamo di te,
visto che sei in vena di discorsi."
"
Se tu mi dici cosa si cela dietro Jackie Smith, io ti
racconterò cosa si cela dietro Ville Valo."- rispose Ville
deciso. I due
si scrutarono affondo senza cedimenti.
"
Dov'è la fregatura?"- chiese Jackie sospettosa.
"
Non c'è nessuna fregatura."
Continuò
a fissarlo e poi alla fine decise di parlare.
"
Ok..ehm..sono una fotografa professionista. Lavoro in uno
studio tutto mio a New York e ho avuto parecchi incarichi importanti
che mai mi
sarei sognata di svolgere, lavorando con gente importante e viaggiando
quel
tanto che mi è bastato per avere un po' di esperienza nel
mondo. Nonostante il
mio lavoro, non ho una vita sociale da super diva del cinema.
Preferisco di
gran lunga la noia e un bel film strappalacrime quando sono a casa. Mi
piace
parlare e leggere e..credo di aver detto tutto."
"
Interessante! Mi piace il tuo lavoro."- esclamò Ville
affascinato.
"
Beh allora? Su parlami di te."
"
Beh..io sono un uomo che da poco ha scoperto di essere
padre. Mi sento completamente spaesato e terrorizzato a morte anche se
non
voglio dirlo. Molto spesso odio il lavoro che faccio, perché
resto troppo a
lungo lontano da casa e ho uno stuolo di fan scatenate che si apposta
sotto
casa mia in particolare periodi dell'anno, come una sorta di
pellegrinaggio. Ti
giuro, a volte vorrei gettare un bomba, far esplodere tutto e
scomparire nel
vuoto. Ma poi mi rendo conto che la musica è l'unica cosa
che mi fa sentire
completo e tralasciando il business che ne deriva, amo seguirla. Vivo nella mia solitudine
e non mi da per
nulla fastidio stare solo. E' come se fossi in un piccolo mondo dove
nessuno ha
il diritto di entrare. Anche io adoro leggere e se devo stare in
compagnia di
qualcuno preferisco quella dei pochissimi amici fidati. Per il resto
sono
noioso."
Jackie
per tutto il tempo lo aveva guardato interessata, forse
addirittura affascinata.
"
La tua descrizione è così perfetta che la mia a
confronto è
una sciocchezza."
"
Ho parlato davvero così tanto?"
"
Beh.."
"
Oh..ehm..scusa, a volte sono logorroico. È che mi sento
scoppiare ultimamente."
L'aveva
detto e per giunta si era aperto al suo nemico, ma gli era
venuto spontaneo. Jackie annuì, capendone il motivo.
"
Non scusarti, capisco perfettamente. Sai, anche io ho
scoperto il mio vero padre tardi, quando avevo 18 anni."
"
Davvero?"- chiese Ville sorpreso.
"
Sì. Lui è un pianista e a quei tempi era sempre
in giro per
il mondo. E' stato lui a lasciare di proposito mia madre, appena aveva
saputo
che era incinta. Io non ho mai saputo nulla di lui perché
lei lo odiava. Quando
ci siamo ritrovati ero completamente sconvolta e molto arrabbiata, ma
poi con
il tempo io e lui abbiamo istaurato un bel rapporto che naturalmente
dura
ancora. E..sai..più è passato il tempo e
più è diventato un legame forte.
Quindi stai tranquillo. Le cose possono migliorare solo con il tempo.
Devi
avere pazienza, molta pazienza."
"
Sono senza parole. Non pensavo che anche tu insomma.."-
disse Ville sorpreso da quello che aveva sentito. Jackie
annuì solamente.
"
Solitamente la gente si annoia a sentire la mia
storia."- disse lei sorridendo.
"
Io credo, invece, che non sia noiosa."
Gli
occhi e il sorriso di Ville l'avevano completamente spiazzata.
"
Sei gentile a crederlo."- disse guardando la vetrata.-
" Allora come sta andando?"
"
Bene, anche se i primi tempi no. È che Johanna è
un bel
tipetto, a volte non sai da che lato prenderla."
"
Non preoccuparti, è normale. Johanna a volte è
molto
introversa e come difesa assume una bella dose di antipatia. Tu cerca
sempre di
interessarti a tutto quello che lei fa, improvvisa delle conversazioni
anche
stupide. A lei piace ascoltare anche cose senza senso. Si diverte e
inizia a
seguirti sparando cavolate tre volte più demenziali delle
tue. "
Ed
ecco un altro segreto per portare avanti la sua personalissima
spedizione, anche se lui quest'ultima rivelazione già la
sapeva grazie
all'esperienza. Non era poi più così tanto sicuro
che Jackie potesse essere
cattiva, ma non poteva ancora abbassare la guardia.
"
Grazie dei suggerimenti. Spero di riuscire ad imparare."
" Oh fidati hai già imparato. Il fatto stesso che tu abbia
organizzato il
mio soggiorno in casa tua ha fatto di te un eroe. Però
questo deve restare un
segreto. Lei non vorrebbe
che te lo
dicessi."
"
L'ha detto proprio lei?"
Jackie
annuì. Ville si sentì improvvisamente felice e
sicuro.
Jackie
spontaneamente appoggiò la sua mano su quella del finnico
come segno di incoraggiamento. Non provava imbarazzo, né
noto la sorpresa negli
occhi di Ville. Lei aveva bisogno di infondergli un po' di fiducia,
quella che
a Ville mancava per rendere la sua avventura meno agitata.
" Vedrai, riuscirai ad essere un buon padre a tutti gli effetti. Non
è mai
facile, ma sono sicura che tu non demorderai, Ville."
"
Grazie. Grazie anche della fiducia. Il fatto è che ormai mi
sono affezionato a lei e non vorrei che nessuno me la portasse via."
Sottolineando
l'ultimo periodo non aveva fatto altro che provocare
un piccolo danno, come al suo solito. Jackie, infatti,
ritirò la sua mano e lo
guardò severa, quasi arrabbiata.
"
Pensi che io non sappia che Johanna abbia bisogno di una figura
paterna? Io
posso anche lasciartela per sempre, ma devo sapere che con te sta bene
e che tu
la protegga. Non voglio che tu la faccia soffrire non prendendoti cura
del
tutto di lei. Odio la gente che cerca di recuperare dei rapporti, ma
senza
metterci l'impegno. Le parole non servono a nulla se non vengono
accompagnate
dai fatti. Ma se tu ti comporti bene e sei attento a tutto
ciò che la riguarda,
io mi metto da parte..anche se mi fa male."
Ville
annuì, serio. Non voleva che Jackie si arrabbiasse, ma non
poteva nemmeno stare
zitto e lasciare che lei potesse mettere in atto il suo piano senza
sapere
quello che lui pensava.
"
Io
ti capisco. È difficile separarsi da una persona che hai
cresciuto e di cui ti
sei presa cura. Forse non dovevo portarla qui così
velocemente. Dovevo
lasciarla a te e venire ogni tanto a trovarla, prima di fare questa
mossa
azzardata, ma c'era qualcosa dentro di me che mi ha spinto a fare
ciò che ho
fatto. Non è stata cattiveria, non era un modo per farmi
odiare. E poi non sono
il tipo che lascia le cose a metà. Quindi se pensi che io
non voglia davvero
prendermi cura di Johanna stai sbagliando. L'avrei lasciata a te se era
per
questo."
Jackie
si
bloccò sentendo la durezza delle ultime parole.
"
Scusa, sono stata un po' dura forse.."
"
Tranquilla, non sono arrabbiato."- disse Ville sorridendo.-"Alla fine
tu mi conosci come il leader della band amata da Johanna, un uomo che
molto
probabilmente non ha mai avuto la testa al suo posto. Ville Valo: un ex
alcolizzato sprovveduto che si trascinava per il marciapiede quando
doveva
tornare a casa, grande amico di un altro sprovveduto come Bam Margera
con cui
avrà combinato un sacco di casini, un
mostro egocentrico che ci prova con qualsiasi bella ragazza e che non
ha mai
avuto ragazze con i piedi per terra. Non è una bella fama,
vero? Capisco che tu
possa pensare male di me come padre."- disse alzando lo sguardo dal
tavolino.- "Forse è vero il fatto che io possa essere un
bastardo
menefreghista, ma da quando ho scoperto di avere una figlia e poi
averla vista
a casa con me..beh le cose hanno preso una nuova piega."
Jackie
restò
sorpresa da quelle parole. Non era il Ville che aveva immaginato di
conoscere.
Era diverso dallo stereotipo che aveva in mente. Le dispiacque
sentirgli dire
quelle parole con durezza parlando di se stesso.
"
Questo ti fa onore. E comunque alla gente piace parlare, dovresti
saperlo
meglio tu di me. E poi non tutti pensano questo di Ville Valo."- disse
sorridendo, alludendo forse al fatto che lei stessa non lo pensava.
"
Sono
contento di sapere questo."- disse rincuorato.
"
E
se hai bisogno di avere delle risposte a domande impossibili, io forse
posso
aiutarti."- disse Jackie alludendo al passato, a quello che Ville
voleva
sapere.
A
quel
punto Ville abbassò lo sguardo leggermente imbarazzato.
C'era una cosa che
voleva sapere, ma non riusciva a dirla. Poi alzò il capo e
respirando a fondo
parlò.
"
Beh c'è una cosa che voglio sapere più di tutte
le altre.."
"
Dimmi."
"
Io..io..mi chiedevo se Marika ti ha mai detto il motivo per cui se
n'è andata
da Helsinki e beh..da me.."
Jackie
annuì, come se per tutto quel tempo si fosse aspettata
quella domanda.
"
Marika aveva scoperto di essere esposta al tumore come sua madre. E
quando
iniziò a fare delle visite di controllo, i medici avevano
riscontrato una
macchia che cresceva a vista d'occhio. Ha avuto paura e non voleva
essere un
problema per te. Stavi diventando famoso, stavi seguendo il tuo sogno,
eri
felice di quello che stavi facendo. Così senza dirti nulla
ha preso il primo
volo disponibile per New York dove si sarebbe curata, approfittando del
fatto
che tu avevi iniziato a fare dei concerti.."
Ville
sentì
il suo cuore sprofondare. E insieme a lui la sua espressione divenne
più seria,
spegnendo lentamente la serenità che era riuscito a
racimolare.
" Ville?"
Jackie
allungò la mano toccando il braccio dell'uomo preoccupata
per quella reazione.
Lui sospirò e la guardò deciso.
"
Ti
prego..puoi raccontarmi tutto quello che ti ricordi?"
Jackie
ancora preoccupata, annuì.
"
Ricordo che avevo messo un annuncio davanti al mio studio. Cercavo un
buon
fotografo che lavorasse con me. Lei si presentò una
settimana dopo e fin da
subito notai non solo il suo grande talento, ma anche una infinita
dolcezza, la
determinazione e soprattutto fu l'unica
a non farmi innervosire durante il colloquio. Credo di non
aver mai
trovato una persona più bella di Marika.."
Si
bloccò
stando attenta alle espressioni di Ville. Lui sembrava tranquillo e
attento e
così decise di continuare.
"
Decisi
di farla vivere con me, visto che era sola in quella giungla e
l'affitto
dell'appartamento in cui viveva stava per scadere. Fu difficile per lei
confidarsi e aprirsi con me. Mi parlò della sua malattia,
del fatto che
cercasse di guarire. E poi in quel periodo cominciava a non sentirsi
molto
bene. E poi quando andò a fare uno dei suoi controlli,
scoprì di essere
incinta.."
"Non
è giusto! Deve sapere!"
Era
passata qualche settimana dalla prima
ecografia e Jackie continuava a ripeterle quanto era stupida a non dire
niente
a Ville. E adesso la stava minacciando con il telefono in mano, con
l'intenzione di chiamare lei stessa, ma Marika era tranquilla,
perché il numero
di Ville non lo sapeva.
"
Jackie, per favore.."- disse
facendo gli occhi dolci, cosa che le riusciva piuttosto bene.
"
Perché lo fai? Lui è il padre e ha il
diritto di saperlo! Se non lo fai tu, lo faccio io! Non te ne puoi
prendere cura
da sola! Guarda in faccia la realtà. Sei una ragazza madre
che lavora
nonostante un tumore, come farai dopo che sarà nata?"
Non
lo diceva con cattiveria, Marika lo sapeva
benissimo e sapeva altrettanto bene quale fosse la realtà.
Ma non riusciva a
farlo, non riusciva a prendere quel telefono e a chiamare Ville. Era
passato un
mese da quando l'aveva lasciato con un biglietto misero che aveva fatto
le sue
veci quando lei era già partita.
"
Non posso." - disse in un sussurro.
Non
poteva ripiombare nella sua vita cercando di
ricostruire un rapporto, non quando lui stava realizzando il sogno di
una vita.
Perché rovinare tutto? E poi cosa avrebbe dovuto dirgli?
Ciao
Ville, sono incinta?
Lei voleva quel
bambino e voleva anche dirglielo. Ma solo perché tutto
questo lo voleva lei non significava che lo volesse anche Ville..
E se lui avesse
rifiutato? Sarebbe riuscita ad andare avanti?
Finché
poteva ci sarebbe stata lei a prendersi cura del bambino. Non gli
avrebbe fatto mancare nulla, neanche l'assenza del padre. L'avrebbe
amato per
tutti e due perché non era solo suo figlio e di Ville, ma
ciò che le restava di
quello che avevano provato l'uno per l'altra. Marika l'avrebbe protetto
a costo
della vita, smettendo anche la cura per poter darlo alla luce. Era la
cosa
bella che la spronava ad andare avanti e ad amare finché il
tempo le sarebbe
stato a disposizione.
"..Marika
era un tipo davvero tosto e molto testardo. Fece
come aveva voluto. Si prese cura di Johanna come aveva detto, non le
fece
mancare nulla anche se il tumore era sempre lì a farle del
male. Io ho dato me
stessa per lei. Era la mia migliore amica e Johanna ormai per me
è una
figlia."
Ville
si sentì male, come se stesse ad un passo dallo svenimento.
Provava un malessere che non aveva mai sentito prima. Si
alzò di scatto per
uscire fuori. Aveva bisogno di prendere
una boccata d'aria. Jackie preoccupata lo seguì subito dopo.
Pensava che fosse
andato via, ma fortunatamente lo trovò appoggiato al muro
con la sigaretta in
bocca. Si sentiva in dovere di fare qualcosa, anche semplicemente
scusarsi di
qualcosa che involontariamente aveva detto e che a Ville non era
piaciuto.
"
Scusa.."- sussurrò. Ville la guardò serio, ma non
era
arrabbiato.
"
E di cosa? Non hai fatto nulla di male."- disse
tornando a guardare la gente che passava.
"
Ville..io lo so come ti senti. O forse sto solo cercando di
immaginarmi il tuo dolore. Fa male, molto male, ma ora c'è
Johanna e lei è ciò
che ti serve per andare avanti. Non hai bisogno di nessun altro, solo
di
Johanna. Per essere passato un mese e vedere Johanna serena vuol dire
che
qualcosa di buono la stai facendo. E Marika ne sarebbe felice."
Ville,
che per tutto quel tempo stava trattenendo le ultime lacrime amare,
riuscì a
mandare giù il boccone velenoso e guardò Jackie
cercando di calmare la
preoccupazione che lei aveva ancora stampata sul viso.
"
Mi
rincuora sapere che tu pensi questo. È molto difficile. Sto
cercando in tutti i
modi di riuscire a pensare a Marika senza provare dolore o tristezza,
senza
versare lacrime che alla fine non servono a nulla."- si
bloccò finendo la
sigaretta.
"E
comunque puoi stare qui tutto il tempo che vuoi! Io non caccio nessuno
da casa
mia, Jackie."- tornò a parlare facendo uscire dalla bocca il
restante fumo.
La donna deglutì, ma restò ferma, guardandolo
decisa.
"
Non sono un parassita e non mi piace approfittare degli altri."- disse
senza risultare scontrosa.
"
Scusa se insisto, ma a Johanna fa piacere e so che sarebbe felice. Non
devi
preoccuparti di quanto tempo va via. La casa è grande per
ospitare l'intera
famiglia reale, non vedo che fastidio ci possa essere se resti qui con
noi."
La
determinazione di Ville illuminava i suoi occhi che poco prima erano
stati sul
punto di versare lacrime. Jackie era senza parole. Oltre a quella
determinazione c'erano molte altre ragioni che la spingevano ad essere
senza
parole. Quegli occhi verdi erano decisamente destabilizzanti in quel
momento.
Il suono di un auto riuscì a distoglierla da quel viso. Poi,
quando non si
sentì più insicura, tornò a guardarlo.
"
Tu
sei un brav'uomo, Ville. Cerca di nasconderlo a chi vuole approfittarsi
di
te."- disse dandogli una pacca sul braccio. Sorrise e sistemandosi
meglio
il berretto andò via. Ville restò lì
impalato rimuginando su quelle parole e
sentendo ancora quel tocco delicato che prima aveva toccato il suo
braccio.
E quella
sensazione strana non fece altro che aumentare.
L'ANGOLO
DI
VALS u.u
Sono tornata
* muahahahahahahahahhahha* (?)
Perdonate la
lunghezza interminabile di questo capitolo..ultimamente la musa sembra
essere
dalla mia parte. Voglio vedere fin quando dura, mica ci credo che
resterà
ancora con me >.<
Musa infame
-.-"
Per chi
è
riuscito a leggere tutto ed è arrivato qui sano e salvo, ha
potuto squadrare un
po' questa nuova situazione: Jackie e il suo ruolo di Madonna degli
afflitti,
Ville e le sue pene e Johanna, l'ansia in persona. Direi un quadro
incantevole
:3 xD
Lo so
perfettamente, qui non c'è stato molto movimento in stile
Vals, e Johanna non è
stata presente molto come negli altri capitoli, ma capitoli del genere
mi
servono per dar vita ai tormenti di Ville e a farvi conoscere un po' di
più
Jackie, l'amica vostra, e soprattutto per andare piano piano con la
storia,
sennò si finisce, e noi mica la vogliamo far finita
così presto, no? Devo
torturavi lentamente u.u
Vi prometto
che al prossimo avremo molto da fare u.u ( sembra brutto dire
così..vabbè io
l'ho detto xD)
Allora, vi
è
piaciuto lo stesso sto capitolo? Spero di sì :3
Ci sentiamo
al prossimo attacco d'arte :D
Vals.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Dear Father
Capitolo
15
"
Ho
detto che non mi interessa. Io non faccio interviste per aumentare i
gossip.
Non vendo mia figlia per far soldi. Io faccio musica, ho una band,
voglio
essere famoso per essere un cantante e non per aver raccontato ai
giornalisti
storielle commoventi e tragiche giusto per ottenere pietà
dalla gente e
rendermi ridicolo. Se ne facciano una ragione."
Le
sue
urla avevano terrorizzato tutti i presenti. Seppo sapeva che non era il
caso di
dirgli ciò che i giornalisti richiedevano da giorni, ma
questa volta la colpa
fu proprio di Ville. Era lui che aveva estorto le informazioni dalla
bocca del
manager nonostante quest'ultimo avesse cercato accuratamente, ma anche
inutilmente, di tenergliele nascoste. Ancora arrabbiato, Ville
sbatté forte la
porta e senza voltarsi proseguì lungo il corridoio pronto ad
uccidere qualsiasi
poveraccio si fosse imbattuto sulla sua strada e gli avesse rivolto
anche un
semplice saluto. La stampa stava premendo sempre di più,
volendo conoscere
maggiori informazioni sulla storia di Johanna, ma non avevano messo in
conto la
testardaggine di Ville e il fatto che lui nemmeno per sogno avrebbe
dato in
pasto la sua vita privata a quattro giornalisti corrotti, specie se di
mezzo
c'erano ragazzine. Si trattava di sua figlia, non di una storia
d'amore. Non si
trattava di un ritorno di fiamma o di una nuova fiamma. Si trattava di
Johanna.
Lui
odiava già di per sé le interviste e tutto quello
che richiedeva parole su
parole per qualsiasi argomento e a maggior ragione ora non poteva che
aumentare
la dose di odio puro.
Quando
uscì fuori prese dal pacchetto quasi vuoto una sigaretta,
l'accese e ne aspirò
il fumo cercando di rilassarsi. Si sistemò meglio la giacca
e una ciocca di
capelli che non ne voleva sapere di stare ferma e decise di imboccare
la strada
verso la scuola con l'intenzione di aspettare Johanna anche se mancava
ancora
un'ora. Sempre meglio che restare in quel posto, pensò.
Il
tempo
passò velocemente e in lontananza sentì la
campanella suonare e subito dopo uno
sciame colorato iniziò ad uscire. Poco dopo
riuscì a distinguere Johanna che
stava parlando con un ragazzino.
"
Ma
ti rendi conto di quanto sei stato fortunato, Nikko?"- la
sentì
esclamare.-" sei riuscito a copiare tutto il compito senza aver
studiato.
Non ti vergogni?"
Il
ragazzino scoppiò a ridere, divertito dal disappunto di
Johanna. Ville sorrise,
decidendo di restare ancora al suo posto.
"
Non ho mica rubato."
"
Ma
fammi il piacere!"
Alla
fine
entrambi scoppiarono a ridere. Proprio in quel momento Johanna si
accorse della
presenza di Ville. Gli sorrise allegra e salutò altrettanto
allegramente Nikko,
urlandogli che si sarebbero visti l'indomani sempre a scuola. Nikko,
sembrò non
rendersi conto della presenza di Ville, il ché forse gli
risparmiò un precoce
infarto. Johanna si avvicinò al finnico esclamando: " ciao!"
"
Ciao, sweetie!"
Johanna
fissò la sua faccia e capì che c'era qualcosa che
non andava.
"
Che cosa c'è?"- chiese sospettosa. Ville sorrise pensando a
quanto sua
figlia certe volte fosse identica a Marika. Stesso sopracciglio alzato
ed
espressione da madre che aspetta di sapere i guai combinati dal figlio.
"
Nulla, testolina buffa."- rispose lui scompigliandole i capelli, come
al
solito.
"
Dai, che cosa c'è? Lo vedo che sei arrabbiato, sai?"-
insistette lei
preoccupata, chiedendosi se non fosse lei la causa.
"
Non è niente, nulla che ti debba preoccupare."- disse
mettendo le sue mani
sulle spalle della ragazza. Quel tocco sapeva di protezione, quella che
Ville
avrebbe cercato con tutte le sue forze di dare a sua figlia. Nulla
doveva
tormentarla o spaventarla, non quando c'era lui a difenderla. Johanna
annuì
sorridendo. Le veniva spontaneo sorridere quando lo faceva anche Ville.
Con
quel sorriso nessuno avrebbe pensato che suo padre avesse dei pensieri
che lo
tormentavano, nemmeno il miglior esperto del mondo.
"
Andiamo?"- chiese Ville, mettendo da parte la rabbia. Con Johanna aveva
scoperto che qualsiasi ansia, pensiero storto o angoscioso sparivano. E
questo valeva
anche per la rabbia.
Johanna
decise di non voler indagare a fondo. Magari Ville si arrabbiava e
Johanna non
aveva nessuna intenzione di vederlo incazzato nero. Annuì e
come succedeva
sempre, Ville le offrì il suo braccio e insieme, a
braccetto, fecero ritorno a
casa a piedi.
Quando
entrarono a casa un buon profumo di cibo giunse alle loro narici. Ville
non
aveva nemmeno chiuso la porta quando fu rapito da quel profumino.
Jackie, come
era nella sua natura, aveva deciso di mettere in ordine nella torre,
anche se
questo avesse significato una bella incazzatura da parte del finnico.
Ma
secondo le abitudini di Jackie, quella casa aveva bisogno di una
sistemata. E poi si
era sbizzarrita in
cucina, tanto non c'era nessuno a disturbarla.
Se
per la
seconda cosa era più che sicura di essere riuscita
nell'intento di far felici e
contenti padre e figlia, per la prima cosa, aveva qualche dubbio,
soprattutto
sul padrone di casa. Ma che cosa mai avrebbe avuto da ridire su una
spolverata
in soggiorno e un po' d'ordine? Non aveva mica disinfestato tutte le
camere! La
camera da letto del signor Valo compresa quella che faceva da " studio/
reparto proibito agli esseri umani", per esempio, non le aveva volute
nemmeno aprire. Lei non era il tipo che si faceva gli affari altrui.
Rispettava
la privacy a differenza di Hanna, sempre pronta a portare disordine.
Ville
per
un momento credette di aver sbagliato casa, ma quella dannata aria
familiare che
lo perseguitava, gli diceva che si trovava nel posto giusto.
"
Siete arrivati finalmente!"
Jackie
sbucò dalla cucina con un largo sorriso. Accolse fra le sue
braccia Johanna e
guardò Ville che stava appendendo la giacca. Proprio in quel
momento lui si
voltò appena in tempo per vedersi osservato dalla newyorkese
che immediatamente
distolse lo sguardo tornando a guardare Johanna che stava parlando
senza freno.
Le due
andarono in cucina mentre lui, Ville, respirò a pieni
polmoni, continuando a
sorridere come un ebete. Stranamente la torre dopo tanto tempo gli
sapeva di
casa.
"
Ville?"
Ville
alzò gli occhi dalla chitarra sentendo la voce incerta di
Jackie che era appena
entrata nella sala dove erano presenti anche gli altri ragazzi. Era
imbarazzata
e per di più era la prima volta che si ritrovava
lì con tutti i componenti
della band. Ville le sorrise e mise immediatamente da parte la chitarra
invitandola ad entrare e presentandola a tutti gli altri.
"
Ragazzi lei è Jackie."
Mige
che,
dopo tutte le confidenze estorte al suo prigioniero, aveva
già fatto la
radiografia a Jackie, le andò incontro e le sorrise
amorevolmente, come se
fosse stata la ragazza del suo amico da una vita.
"
Ciao a tutti."- disse Jackie sorridendo. Poi guardò Ville e
nonostante
l'imbarazzo della situazione, diventò più seria.
"
Ehm, Ville, per caso ti sei dimenticato che oggi a scuola
c'è l'incontro fra
genitori e insegnanti?"
Ville
sbiancò di colpo, ricordandosi immediatamente le parole di
Johanna di quella
mattina e a quanto ci tenesse.
"
Dannazione!"- esclamò sconvolto.
" Tranquillo, sei ancora in orario. Solo che..beh..sei sparito in un
attimo da casa e ho temuto che non te lo ricordavi.."- si
giustificò
Jackie sperando che il finnico non si arrabbiasse. L'uomo non si
arrabbiò,
anzi, sorrise dolcemente.
"
Hai fatto benissimo a passare."- disse mettendosi la giacca.- " se
non fosse stato per te, non ci sarei andato. Ma come ho fatto a
dimenticarmene?"
"
Amico, tu per quanto possa essere geniale, a volte hai davvero una
memoria di
merda."- sentenziò sapientemente Mige. Gli altri risero
mentre Jackie lo
guardò sorridendo senza prenderlo in giro.
"
Può succedere."- disse poi entrando in completa antitesi con
il tono
canzonatorio di Mige. I ragazzi si guardarono e poi fissarono Jackie,
attenti,
come se lei fosse un alieno. O semplicemente, avevano capito che si
trattava di
un essere umano lontano anni luce dai comportamenti delle altre ragazze
che
erano passate di lì e che si spacciavano per amori eterni di
Ville.
Proprio
Ville in quel frattempo annuì rincuorato alle parole di
Jackie, sempre pronte a
farlo sentire diverso e poi guardando gli altri disse: " io vado. Mi
raccomando,
provate quel pezzo senza farmi bestemmiare."
"
Ok, capo!"- esclamò Gas salutandolo con il gesto militare.
Quando
Ville e Jackie andarono via, nella stanza calò il silenzio.
Tutti si erano
seduti, ognuno perso nei propri pensieri. Ognuno intento a
giocherellare con i
propri strumenti senza parlare. Ma uno di loro era quello
più inquieto e altri
chi non poteva essere se non Mige?
"Ci
sono!"- esclamò ad un tratto con tono trionfale dopo essersi
alzato di
scatto dal divanetto. Gli altri ragazzi uscirono dal loro stato di
atarassia e lo
guardarono allarmati.
"Che
hai?"- chiese Linde. Mige camminò per un po' raggiungendo la
porta chiusa
e poi si girò verso tutti con un gran sorriso.
"Mi
è venuta in mente un'idea geniale!"
Non
era
buon segno quando Mige pensava. Infatti gli altri si guardarono
preoccupati e
poi tornarono con lo sguardo sul bassista.
"
Non
ci vuoi rendere partecipi?"- chiese gentilmente Gas, beccandosi
un'occhiataccia da Burton e Linde. Mige si sfregò le mani e
disse: "
facciamo in modo che in questi giorni Ville e Hanna non si vedano."
"Che
cosa?"- esclamarono Linde e Gas in coro decisamente sconvolti.
"
Ma
tu non eri quello che non si sarebbe più intromesso nella
vita sentimentale di
Ville? E poi cosa significa quel " facciamo"?"- chiese invece
Burton con un tono di rimprovero. Mige scosse la testa e si
avvicinò al
gruppetto che lo stava guardando come se fosse un alieno.
"
Beh
siamo una squadra, no? E poi, scusa ma non posso cambiare idea? Ville
ha
bisogno di sistemarsi come si deve, ha bisogno di qualcuno che lo
accompagni e
che lo consigli nelle sue scelte. Ha bisogno di un tipo di donna come
Jackie,
capite? E poi non so voi, ma per me lei è quella giusta.
È il tipo di Ville e
lo sappiamo tutti. E poi c'è Johanna che ama Jackie! Insomma
sono una famiglia!"
"
Sì, ok hai ragione, ma questo lo pensiamo noi non Ville.
Secondo me sbagliamo a
metterci in mezzo."- commentò Gas.
"Oh
su! Chi di voi sopporta Hanna? Tutti? Non ci credo."- sbuffò
Mige
contrariato.
"Ma
non sono affari nostri!"- esclamò Linde.
"Sì
che lo sono. Fino a prova contraria lei viene qui a rompere quando non
sa dove
andare. E si sbaciucchia continuamente con Ville. E Ville quando
c'è lei non è
se stesso con noi."- ribatté deciso Mige con lo sguardo
infuocato. Linde,
Gas e Burton restarono in silenzio, scambiandosi una nuova occhiata.
Beh, non
che Mige avesse torto! La situazione era piuttosto sofferente quando
c'era
Hanna a rompere le scale.
"Cosa
vorresti fare allora?"- chiese Burton a nome di tutti.
Mige
sorrise, con un brillio sinistro negli occhi.
"Beh..la
fortuna ha voluto che Ville nella fretta di andarsene, lasciasse qui il
cellulare. E conoscendolo possiamo stare tranquilli che non se ne
accorgerà.."
"Ci
spieghi, o grande genio, come funziona questa tua idea?"- chiese Linde.
Mige
assunse un'aria di importanza.
"La
mia idea è quella di chiamarla e dirle che Ville si
è ammalato. Sappiamo bene
che lei non è il tipo di ragazza che soccorre gli ammalati,
avendo paura di
prendere un minimo raffreddore.."
"Sì,
ma lei non ci crederà."- disse Gas.
"Lei
non ci crederà se tu non fingi di essere Ville."
"Un
momento! Tu vorresti che uno di noi imiti la voce di Ville?"- chiese
Linde
sconvolto.
"Esattamente."-
rispose Mige saggiamente.
"
Non ti è passato per la testa che Hanna potrebbe mandargli
dei messaggi?"
"
Vi
preoccupate inutilmente!"- esclamò Mige. - " Ville mi ha
detto che
questa settimana Hanna ha molto da fare e che l'avrebbe vista poco.
Quindi, non
manderà nulla di nulla, potete stare tranquilli! A maggior
ragione ora che
saprà che Ville non potrà farle ballare il mambo
ogni santa volta che si
vedono."
Tutti
scoppiarono a ridere a quelle parole.
"
Tu
ti sei fatto di qualche sostanza. Ti rendi conto di che voce stiamo
parlando? E
tu vorresti anche qualcuno che la imitasse?"- disse Linde continuando a
ridacchiare.
"
Linde, sveglia! Stiamo parlando di Hanna! Per lei non esiste nemmeno
una
differenza fra la scimmia e il suo sedere, figuriamoci se riesce a
capire la
leggera differenza di voce di Ville."
"La
leggera differenza."- sottolineò ridendo Burton.
"
Beh, però Mige non ha tutti i torti."- commentò
Gas guardando Linde e
Burton.
"
Allora
siete d'accordo?"- chiese Mige sorridendo.
"
Scusa
se mi faccio i fatti tuoi, ma chi interpreterà Ville?"-
chiese Linde.
"Lui."-
rispose con semplicità Mige indicando Burton.
"Io?"
"Sì
dai! Tu sei bravo ad imitare le nostre voci!"- disse Gas. Burton
guardò
gli altri e dai loro sguardi capì di essere stato messo in
gabbia. Così guardò
minaccioso Mige e gli puntò un dito contro.
"Mi
devi una birra."
"Tutto
quello che vorrai."
Burton
sbuffò e poi disse: " dammi il cellulare."
Mige
felice come un bambino, prese dalla tasca il cellulare di Ville e
glielo diede.
"Metti
il vivavoce. Vogliamo sentire anche noi."- disse Linde che sembrava
essere
quello più emozionato all'idea di prendere in giro Hanna, ma
anche gli altri
non scherzavano. Burton gli guardò e sorridendo disse: "
siete proprio
degli impiccioni."
La
luce
del mattino era molto debole. Filtrava dalle nuvole bianche che
coprivano il cielo,
evidentemente cariche di neve e nel suo piccolo viaggio, colpiva la
finestra
proiettandosi nella camera di Ville, accarezzando il suo volto, senza
svegliarlo.
Ville,
sembrava proprio non avere voglia di svegliarsi. Le sue palpebre erano
serrate
e se anche qualcuno avesse voluto staccarle, non ci sarebbe riuscito.
Il motivo
era semplice: era riuscito a cadere fra le braccia di Morfeo verso le
cinque
del mattino assistendo in diretta alla tempesta di neve che si era
abbattuta
all'insaputa di tutti. Pian piano i suoi occhi si chiusero e lui
dovette cedere
abbandonandosi sul letto e chiudendosi in un mondo accessibile solo a
lui.
La
sua
testa era così piena in quei giorni che non riusciva davvero
a rilassarsi.
Aveva troppe domande a cui rispondere, troppe sensazioni strane a cui
lui non
era abituato, o almeno, non lo era più e una serie di parole
che spesso
trovavano luce nei fogli stropicciati che lui buttava a terra quando
capiva che
non avevano la magia che gli serviva. La chitarra era adagiata
delicatamente a
terra accanto al letto e i tenui raggi del sole mostravano una piccola
scia di
pulviscolo che andava a colpire le sue corde.
Ville
in
quel momento storse il naso e si voltò dall'altra parte,
quella ancora quasi
del tutto nascosta dai raggi del debole sole.
Perché
si
sentiva in quel modo?
Era
difficile spiegare cosa sentisse, molto difficile. Non sapeva bene come
definire quella specie di benessere che provava quando tornava a casa o
il
calore che si diramava nel suo corpo quando era semplicemente seduto
rilassato
sul divano pronto ad ascoltare ciò che gli raccontava
Johanna.
Forse,
in
fondo, c'era qualche altro fattore che contribuiva alla crescita di
tale fenomeno,
ma non sapeva se essere effettivamente convinto delle risposte che
aveva
cercato autonomamente.
Una
parola era sicura in tutto ciò che pensava.
E
quella
parola era Jackie.
Durante
la notte aveva scosso più volte la testa, pensando bene che
avesse preso un
abbaglio. Non poteva essere lei la causa, non proprio lei.
" Tu sei un
brav'uomo, Ville. Cerca di
nasconderlo a chi vuole approfittarsi di te."
Quella
frase continuava a ritornare nella sua testa e anche se erano passati
alcuni
giorni dalla famosa chiacchierata, trovava difficile cancellare
quell'ultima
parte. Nessuno, prima di allora, gli aveva detto una cosa del genere.
Era
davvero così?
Era
davvero
così bravo da rendersi perfettamente schiavo di chi invece
riusciva a farlo
soffrire o lo rendeva diverso da se stesso? Forse era vero. Forse lui
era molto
vulnerabile, nonostante la maschera che indossava e che a quanto pareva
non
riusciva a coprire del tutto le sue debolezze, almeno non a Jackie.
Forse
doveva lavorare su se stesso.
Era
così
tutto dannatamente soffice in quel momento, così
fottutamente comodo che quella
specie di bolide che sentì piombare su di sé
inizialmente non l'aveva nemmeno
avvertito.
"
Ville!
Ville! Villeee!"
Fu
solo
quell'urlo gioioso a fargli capire che la sua pacchia era finita.
Johanna gli
stava smontando una spalla e per giunta continuava a smuoverlo
chiamandolo ad
alta voce, un suono che per le orecchie addormentate del finnico era
solamente
fastidio. Alla fine, nonostante la sua debole resistenza, Ville
aprì gli occhi
ancora impastati di sonno e lentamente voltandosi verso sua figlia
mugugnò:
" si può sapere perché diavolo stai urlando?"
Johanna
gli sorrise, contenta di essere riuscita a svegliarlo.
"C'è
la neve ed è anche tanta! Usciamo? Usciamo? Usciamo?"-
ripeté facendo gli
occhi dolci.
Ville,
che non voleva essere brusco con la sua giovane erede,
sbatté più volte le
palpebre e si alzò di poco stropicciandosi gli occhi e
guardandosi intorno
leggermente spaesato.
"Ma
che ore sono? Che giorno è? Non dovresti essere a scuola?"
Johanna
ridacchiò e rispose: " sono le nove del mattino e oggi
è domenica e che io
sappia la domenica non si va a scuola."
"
Bene, grazie dell'informazione."- disse Ville tornando a mettersi
comodo e
volgendole le spalle.
"
Nooo!
Che fai? Ti rimetti a dormire? Non puoi!"- esclamò
scandalizzata Johanna,
tornando all'attacco.
Ville
nonostante tutto, ridacchiò senza farsi vedere e tornato
serio, si voltò verso
di lei e con la sua voce più profonda del solito, dovuto al
sonno, disse:
" ok! Va bene! Hai vinto."
Se
lo ricordava bene quel giorno. Esplanade
Park era
completamente ricoperto di neve. Ville adorava la sua città
e durante quel
periodo dell'anno, Helsinki era particolarmente bella. Amava
passeggiare da
solo e la gente che incontrava riusciva a metterlo di buon umore.
Stava camminando da un bel
po' e sentiva che le sue gambe si erano stancate. Così
decise di sedersi su una
panchina nascosta da un albero i cui rami nudi erano stati rivestiti
dalla sola
neve. Quando si avvicinò si accorse che la panchina era
occupata. Una ragazza
con dei grandi occhi chiari e i capelli castani, che mossi gli
ricadevano sulle
spalle, incrociò il suo sguardo. Ville restò
immobile e imbarazzato. Non aveva
avuto nessuna intenzione di disturbare, specie se si trattava di una
ragazza.
Lei invece lo guardò curiosa e con un'espressione buffa. Di
certo indietro,
Ville non poteva tornare. Quel volto particolare era riuscito ad
imprigionarlo.
"
Ehm scusa.."- esordì Ville ancora più imbarazzato
cercando di trovare un
modo per andare via.
"
Di cosa? Puoi sederti se vuoi."- rispose lei sorridendo cordiale. Quel
sorriso Ville non riuscì più a dimenticarlo, come
tante altre cose. Ancora
imbarazzato sorrise e annuì.
"
Piacere, Ville."-
disse porgendole la mano.
"
Marika." - rispose. La sua mano era
calda e molto più piccola della sua. La sua voce era
leggera, melodiosa e
riuscì immediatamente a stamparsi nella mente del ragazzo. A
quel tempo Ville e
Marika non sapeva che sarebbero diventati una cosa sola e
così importati l'uno
per l'altra.
Le
giornate di Ville iniziarono a riempirsi
grazie alla sua presenza. Si incontravano spesso, anzi molto spesso,
per
qualsiasi scusa. Marika cominciava ad abituarmi a lui e quei giorni in
cui non
si incontravano Ville si sentiva vuoto . Parlavamo di molte cose e ogni
volta
scoprivano di avere in comune molte più cose di quanto
volessero ammettere a
loro stessi.
Ville
era così preso
da quel ricordo che non diede nemmeno ascolto a quello che gli stava
dicendo
Johanna. Solo quando fu colpito in piena faccia da un gran bella palla
di neve,
si pentì per essersi lasciato andare al passato. Quel colpo
era stato
abbastanza forte.
"
Johanna sferra
il suo attacco e..colpisce!"- esclamò vittoriosa saltellando.
Ville
si tolse la
restante neve dagli occhi dopo aver sputato quella che
involontariamente era
finita in bocca e la guardò arrabbiato.
"
Ma sei
impazzita?"- esclamò.
" Lo sapevo io che le rock star sono delle schiappe."
" Schiappa a me? Inizia a correre."
Ville
sembrò ritornare
ragazzino o semplicemente per la prima volta si sentiva come quei padri
che la
domenica portavano al parco i propri figli e giocavano insieme. E non
importava
se Johanna era più grande di quei marmocchi urlanti che
solitamente popolavano
il parco la domenica mattina: era sua figlia e lui aveva tutto il
diritto di
divertirsi con lei.
Iniziarono
a
rincorrersi e a buttarsi palle di neve a non finire, mentre Jackie
seduta sulla
neve per conto suo, scattava a ripetizione un sacco di foto, molte
delle quali
avevano come soggetto proprio Ville e Johanna. Si sentiva come uno
spettatore
attento alle scene di un film. Avvertiva una grande sintonia fra i due
in quel
momento ed era felice di vedere Johanna così serena,
così..amata da qualcuno
che non fosse lei.
Nel
frattempo Ville
sbucò fuori da un albero e colpì in pieno volto
Johanna con la sua palla di
neve creata in pochissimi secondi.
"
Muahahahaha!"
Johanna
lo fissò
immobile mentre Ville se la rideva imitando la voce malvagia.
"
Non vale!"-
esclamò alla fine fingendosi arrabbiata.
"
Certo che
vale!"
"
Vuoi la guerra?
E guerra sia."
Continuarono
ancora
per qualche minuto. Finirono per cadere e rotolare sulla neve come due
bambini,
ridendo come matti. Jackie sorrideva, ma restava al suo posto
perché non aveva
nessuna intenzione di interrompere quel bellissimo momento. Ville aveva
bisogno
di stare solo con Johanna, e poi voleva capire se davvero poteva star
tranquilla. Ma poi accadde qualcosa che scosse la sua
tranquillità. Una palla
di neve la colpì alle spalle e lei restò immobile
scioccata. Sia Ville che
Johanna comparirono in poco tempo accanto a lei.
" Oops!"- esclamò Johanna.
"
Che
sbadati.."- continuò Ville fingendosi dispiaciuto. Jackie si
alzò di
scatto, posò la reflex nella sua borsa, che
lasciò a terra, e fissando entrambi
seriamente disse: " ve la faccio mangiare.."
"
Che
paura!"- esclamarono in coro i due.
E
fu così che alla battaglia
si aggiunse anche Jackie con la sua mira impeccabile. La maggior parte
delle
palle di neve furono destinate al finnico che, ahimè, non
riuscì a schivarle e
fu colpito per ben sei volte su sette.
"
Quanto mi
dispiace!"- disse Jackie mentre Johanna si sbellicava dalle risate. Si
era
fermata per riprendere fiato e ora assisteva alla personalissima lotta
di
Jackie contro Ville. Entrambi erano in gamba, ma forse Jackie un po' di
più.
"
Quanto sei
simpatica!"- disse Ville giocherellando con la sua palla di neve.
"
Avanti,
butta!"- disse Jackie indicando la palla.
Johanna
continuò a
guardarli e un senso di serenità la pervase. Non si era mai
sentita così bene
come in quel momento, lontana dalle angosce e dalle ansie che aveva
dovuto
patire per tutti quegli anni e ancora di più durante gli
ultimi mesi. Un sorriso
le comparve spontaneamente sul volto mentre si appoggiava all'albero.
Ville
aveva
intrappolato Jackie fra le sue braccia e cercava in tutti i modi di
sporcare di
neve la sua faccia.
"
Ehi!"-
esclamò Jackie continuando a ridere.
"
Darling non
puoi sfuggire."- disse Ville ridacchiando.
"
Questo lo dici
tu."
E
con grande abilità,
Jackie riuscì a liberarsi e corse verso Johanna.
"
Sei
pronta?"- chiese ancora con il fiatone.
"
Certo."-
sussurrò Johanna. Entrambe uscirono dal nascondiglio pronte
a colpire Ville,
solo e senza alleati.
"Che
volete
fare?"- chiese indietreggiando. - " tu sei una traditrice."-
continuò indicando sua figlia che stava morendo di risate.
Ville,
nonostante
stesse per ricevere una grandissima sconfitta, stava bene. Non avrebbe
mai
pensato di sentirsi così tanto a suo agio o che potesse
divertirsi così tanto
in maniera semplice, senza strafare o altro.
Si
era dimenticato
perfino di Hanna, della musica, di tutto ciò che fino a
poche ore prima stava
pensando.
In
quel momento le
uniche cose che voleva vedere, erano sua figlia così serena
e Jackie così
sciolta, ma soprattutto la prima, visto che era un evento raro vedere
Johanna
così allegra, più di quanto dimostrasse gli altri
giorni.
"
Siamo nella merda."
L'entrata
entusiasmante di Seppo in casa Valo il martedì pomeriggio
monopolizzò
l'attenzione dei presenti. Jackie posò le maglie appena
stirate sul divano,
Johanna smise di leggere e Ville alzò gli occhi dalla sua
chitarra. Tutti e tre
con aria preoccupata. Seppo, felice di averli distratti, si sedette
sulla
poltrona di fronte a Ville e sospirò.
"
Che sta succedendo?"- chiese il finnico.
"
La
ragazza che doveva farti il servizio fotografico ha deciso di
licenziarsi
perché ha avuto problemi con il suo capo e non
c'è nessuno che può sostituirla.
Ho provato a cercare altri, ma sono tutti occupati!"
"
Non preoccuparti, Seppo."- disse Johanna risoluta dandogli una pacca
sulla
spalla.- " io posso risolvere il tuo problema."- continuò
con l'aria
di chi sapeva molte cose, cose che né Seppo, né
Ville o Jackie potevano sapere.
"
Johanna non ho voglia di scherzare oggi."- disse Seppo scoraggiato.
"
Ma
non sto scherzando!"- esclamò Johanna, che perse la sua
saggezza in poco
tempo. Guardò Jackie e sorridendo la indicò agli
altri dicendo: " Jackie è
una fotografa professionista."
Seppo
spalancò gli occhi, come se fosse stato colto da
un'improvvisa illuminazione. Lui
sapeva molto bene chi fosse Jackie e non perché gliel'avesse
presentata Ville.
Semplicemente lui conosceva un bel po' di gente e da questo giro aveva
appreso le
informazione necessaria della grande bravura e fama di Jackie come
fotografa. E
poi le stava simpatica, ma questo era solamente un'aggiunta personale
che non
tutti sapevano.
"
Come ho fatto a non pensarci prima?"- esclamò con la mano
ancora vicino
alla bocca, in evidente stato di meraviglia.
"
Johanna ma che stai dicendo?"- chiese Jackie cercando in tutti i modi
di
far scomparire Johanna.- " vai a fare in compiti.."
"
Dico la verità, Jackie."- continuò Johanna
resistendo alle spinte di
Jackie.- "Lei è bravissima, Seppo."
Ville
guardava Jackie e il suo crescente imbarazzo. Ridacchiò
senza farsi vedere,
mettendosi la mano davanti alla bocca e facendo passare la sua
espressione
divertita come una pensierosa.
"
Jackie, saresti la nostra ancora di salvataggio."- disse Seppo quasi
implorandola.
Jackie smise di spingere Johanna e fissò il manager.
" Se la mettiamo in questo modo, immagino che non posso dire di no."-
disse alla fine.
"
Esattamente."
" Va bene, allora..facciamo questo servizio fotografico."- disse
sospirando,
senza guardare Ville che in quel momento fece finta di nulla,
riprendendo la
sua chitarra e beccandosi uno sguardo infastidito da Seppo, che non
sopportava
la noncuranza di Ville quando si trattava di questi piccoli dettagli.
In realtà
non poteva sapere che la piccola creatura annidata nello stomaco di
Ville stava
facendo i salti mortali senza che il finnico stesso se ne rendesse
conto.
"
Grazie, Jackie!"- esclamò Seppo andandole vicino e
stringendola in un abbraccio
che sconvolse un po' tutti i presenti. - "Verrai pagata benissimo!"
"
Ma
non ce n'è bisogno!"- si affrettò a dire la
ragazza imbarazzata.
"
E
invece sì! Specie se hai a che fare con uno come quel
ragazzo seduto sul divano
che ha una faccia di bronzo da oscar."- disse Seppo senza guardare
Ville,
che alzò lo sguardo pigramente sull'uomo senza parlare.
Poi Seppo
diede una pacca sulla spalla a Johanna e andò via felice e
contento, lasciando
nel panico più totale Jackie.
L'ANGOLO
DI VALS:
Eccomi
di ritorno!!
Beh
allora? Ora cosa succederààààà?!??!
Eeeeh
tante belle cose xD
Ringrazio
come sempre le giovani donzelle che sono qui e che mi danno sostegno e
anche ai fantasmi che leggono e spariscono. LO SO CHE CI SIETE u.u
<3
Bene,
ci vediamo al prossimo capitolo!!!
Vals
:D
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Dear Father
Capitolo
16
" Aspetta! Prima
di chiamarla facciamo
una prova."- disse Mige bloccando Burton.
Burton
annuì tenendo il cellulare in mano, si
schiarì la voce e recitò:
"amore.."
La voce profonda
si avvicinava a quella di
Ville, ma non era così identica come si poteva pensare. Era
giusta per
ingannare quella svampita di Hanna e nessun altro.
" Ma che amore!
Chiamala Hanna."-
esclamò Linde disgustato.- " Ville non la chiama quasi mai
così.."
" Hanna.."- si
corresse Burton.
Disse qualche parolina di circostanza che convinse gli altri e subito
dopo
partì la chiamata, naturalmente con il vivavoce.
" Amore, dimmi
tutto."- rispose
mielosa Hanna appena accettò la chiamata.
Mige e Linde
fecero finta di vomitare.
"
Hanna..ascolta..io sono molto
raffreddato."- e dopo averlo detto, Burton fece finta di
starnutire.-" non mi sento molto bene..ho mal di gola, mal di
testa..non
mi sento per niente in forze. Credo che sia meglio se non ci vediamo in
questi
giorni..potrei essere contagioso e io non voglio che tu stia male per
colpa
mia.."
" Oh amore!
Povero!"- esclamò più
sdolcinata di prima.
" Ti prego,
ammazziamola."-
sussurrò Linde a Gas.
" Ssh!"- Mige li
richiamò
all'attenzione.
" Mi dispiace non poterti stare vicina.."
" Non di
preoccupare, darling. Ti
chiamerò io una volta che starò meglio."- rispose
Burton ormai spazientito
da quella voce.
" Va bene.."
E dopo un'altra
serie di ' amore' e '
tesoro', la telefonata terminò con apparente successo.
" Siamo sicuri
che non si farà
viva?"- chiese Gas.
" Ti ricordi la
volta in cui Ville ha
avuto uno dei suoi bruttissimi attacchi d'asma?"- chiese Burton.
"
Sì.."
" E ricordi cosa
fece?"
" Scomparve,
prendendo la scusa del
" non potevo stare con te perché vederti in quel modo mi
faceva stare male
e io non sapevo cosa fare". Bella faccia di cazzo."-
commentò alla
fine Gas infastidito.- " Ma che ci trova di bello in una
così?"
" Non lo so.
Credo che sia più un
fattore di estetica, nel senso che lui per sentirsi più
sicuro e al centro
dell'attenzione, utilizza ragazze belle e divine per far capire agli
altri che
lui può. Penso che faccia così soprattutto per
avere la sua rivincita personale
contro tutte quelle ragazzine che a diciassette/ diciotto anni lo
vedevano come
un rospo. Ma non capisce che in realtà facendo
così sbaglia..insomma la
bellezza può fare la sua figura, questo dobbiamo dirlo, ma solo fino ad un certo
punto. Poi muore e
se non c'è altro dopo non puoi dire di aver trovato l'amore
della tua vita. Non
puoi aggrapparti a quel pezzo di diamante che si sgretola giorno per
giorno solo
per far credere agli altri che nella bellezza perfetta trovi anche
l'amore. Non
sempre è così, anzi quasi mai."-
spiegò Mige.
I ragazzi lo
guardarono scioccati, ma
annuirono convinti.
" Sai, dovresti
fare lo
psicologo."- commentò alla fine Linde sorridendo.- " ti ci
vedrei
molto bene."
" Ma smettila."-
disse Mige
sorridendo a sua volta.
Una stanza
abbastanza grande con dei riflettori e una macchina fotografica da
professionista: queste erano le due cose che trasformavano Jackie in
pochi
secondi, rendendola assolutamente diversa, professionale, con
quell'aria di
donna indipendente che non aveva bisogno di nulla, abile e intelligente
come
poche e sicura del fatto suo e del lavoro che stava per compiere. Ville
la
osservava attentamente mentre era prigioniero della truccatrice, in
piedi
davanti ad uno sfondo bianco, seriamente preoccupato per quella strana
luce che
gli occhi di Jackie riflettevano mentre studiava attentamente i
dettagli.
Sembrava pura follia, o semplicemente, era la passione che si stava
impossessando della bella newyorkese, come lui la definiva nella sua
mente.
Quell'aggettivo, gliela rendeva più misteriosa e fascinosa,
come se tale
appellativo la rendesse diversa, insolita, proveniente da un mondo
parallelo.
La
guardava senza che lei se ne rendesse conto, studiava i suoi movimenti
e il suo
continuo sistemarsi il ciuffo che le ricadeva davanti agli occhi. Alla
fine
Jackie decise di legarsi i capelli alla belle e meglio e
iniziò a sistemare i
riflettori.
Quando
la
truccatrice andò via, Ville si sentì decisamente
meno infastidito e poté bearsi
meglio dei movimenti di Jackie.
"
Allora Mister Valo, sono tre le cose che dobbiamo mettere in chiaro in
questa
stanza."- annunciò seria Jackie muovendosi con sicurezza nel
suo ambiente,
spegnendo e accedendo le luci alla ricerca della giusta atmosfera.- "
uno:
non ho intenzione di farmi distrarre dalle tue solite scemenze. Due:
dovrai
fare quello che ti dico io senza obiettare nulla."- sistemò
il riflettore
più vicino senza guardarlo.- " e tre: al tuo primo attacco
di scazzo, ti
ritroverai sbattuto fuori a calci. Ti è tutto chiaro?"
Nessuna
donna prima di allora lo aveva richiamato all'attenzione in quel modo.
Solitamente tutte abboccavano al suo amo, ci stavano anche quando
venivano
trattate male e poi scomparivano perché lui voleva
così. Nessuna apriva bocca
per dirgli qualcosa che non fosse quello che lui desiderava sentirsi
dire.
Tutte erano così dolci con lui..eccetto Jackie. Un pensiero
orrendo a quel
punto si fece spazio nella sua mente. E se Jackie fosse fidanzata e per
questo
si comportava così adorabilmente da stronza? Bella roba. E
perché lui al solo
pensiero si sentiva ansioso?
Nonostante
le sue ansie, Ville in quel momento riuscì a restare
impassibile. Non aveva
voglia di attaccar briga perché temeva che potesse mettere
in pericolo il
rapporto costruito e soprattutto che la sua collera potesse distruggere
la sua speranza
di tenere Johanna lì ad Helsinki con lui. Per la prima volta
trattenne la sua
irritazione, non espose le spine e stampandosi un sorriso ironico
disse: "
chiaro, my darling."
"
E
non chiamarmi ' my darling'."- disse lei infastidita.
" Preferisci dolcezza?"
"
Preferisco Jackie. Grazie."
"
Sei talmente acida che ho paura del pavimento. Potresti corroderlo con
i tuoi
passi leggeri."
Era più forte di lui dover provocare la gente, specie se si
trattava di gente
con le palle che a lui piaceva. Jackie lo guardò seria,
sapendo bene che di
tutto quello che aveva detto, Ville non avrebbe rispettato nessun
punto, o
forse l'ultimo.
Forse
era
stata un po' dura e se ne rese conto solo quando ebbe terminato
l'ultima
regola, quella più cruda. Aveva sbagliato a trattarlo in
quel modo, quasi si
vergognava per avergli parlato con quel tono infastidito, ma non
riusciva
davvero a trattenersi quando Ville le faceva quello sguardo malizioso e
provocante.
La infastidiva e non poco, anche se doveva ammettere che era
stramaledettamente
affascinante e sexy quando si comportava in quel modo. Per dispetto a
ciò che le
faceva sentire, quel brivido strano che le smuoveva perfino lo stomaco,
e anche
per quello che le aveva appena detto, gli puntò il
riflettore dritto negli
occhi.
"
Ehi! Hai intenzione di accecarmi?"- chiese arrabbiato Ville coprendosi
gli
occhi.
"
Scusa, non era mia intenzione."- rispose lei con finto tono
dispiaciuto. Ville
tornò a guardarla e più lo faceva e
più
voleva provocarla, ma si astenne dal farlo in quel preciso istante
perché pensò
a Seppo, ai rimproveri che si sarebbe beccato se il servizio
fotografico non si
sarebbe svolto nei migliori dei modi e a Johanna. Lei aveva sempre un
posto nei
suoi pensieri, specie se bisognava pensare al futuro e al fatto che lui
non
voleva mettersi contro la sua zia super.
"
Bene, iniziamo."- disse infine Jackie prendendo la reflex. Ville
aspettò
le indicazioni e senza fiatare le seguì, naturalmente
vendicandosi.
Sapeva
l'effetto che faceva sulle donne quando alzava un sopracciglio o
spostava una
mano ed era sicura che Jackie non fosse da meno. In fondo era una donna.
Ad
ogni
scatto la salivazione di Jackie cessava. Più andava avanti e
più trovava
difficile suggerirgli le pose. Almeno due volte restò a
fissarlo da dietro
l'obiettivo senza scattare quella dannata foto che serviva,
dimenticandosi di
cogliere l'attimo e finendo per imbarazzarsi trovandosi le guance
rosse. Non
sapeva nemmeno lei cosa pensare e cosa fare. Per un millisecondo aveva
pensato
bene di comportarsi come tutte le altre donne normali del mondo e
saltargli
addosso. O forse quelle donne non erano tanto normali..insomma saltare
addosso
alla gente non era proprio sintomo di normalità. Eppure
c'erano molte donne che
avrebbero fatto carte false per atterrare su Ville Valo anche solamente
per
strappargli un capello o nel peggiore dei casi, le mutande.
"
Stai
bene?"- chiese ad un tratto Ville quando lei era più vicina.
Le afferrò il
braccio facendola voltare verso di lui e non dandole modo di vedere
altre cose
se non lui, i suoi capelli mossi e all'altezza delle spalle, il suo
petto pieno
di tatuaggi e atletico a modo suo. Jackie sfidando le leggi delle
natura, lo
fissò negli occhi e sorridendo rispose: " sì,
è tutto ok?"
"
Non si direbbe.."- insistette Ville preoccupato. In realtà
la sua era una
finta preoccupazione perché sapeva bene che a provocare
tutto lo
scombussolamento che leggeva negli occhi di Jackie era dovuto a lui.
Almeno
questo dimostrava che Jackie non era così aliena come aveva
pensato. Era di
carne ed ossa, specie di carne piazzata bene nei punti strategici.
Hanna in
quel momento era semplicemente un vecchio carillon in riparazione.
"
Sto bene, my darling."- disse Jackie rimarcando le ultime due parole
con
sarcasmo.- " su, non fermiamoci, stiamo quasi finendo."
E
finalmente tornerò a respirare come si
deve.
"
Non ti facevo così loquace."
Passi
piccoli, attutiti dalla neve, uno accanto all'altra. Il risultato
finale di
quel servizio fotografico non fu sesso sfrenato come la tensione e
l'attrazione
cosparsi nell'aria facevano pensare, bensì uno scioglilingua
continuo, uno
sproloquio eccessivo da parte di Ville. Ciò era strano, ma
normale se si
trattava di Jackie. Con lei riusciva a parlare all'infinito senza
stancarsi e
senza pensare che probabilmente la donna si stancasse facilmente dei
suoi
discorsi. Eppure a Jackie piaceva sentirlo parlare. Era attratta dai
suoi modi
e dalla sua voce, soprattutto quest'ultima che era decisamente
passionale e
profonda. Dettagli che difficilmente riuscivano a non segnare il
bersaglio.
Jackie in quel momento sorrise notando il silenzio che ne
derivò dalle sue parole.
Pensava di ritrovarsi un Ville impacciato e imbarazzato e invece quando
lo
guardò di nuovo si ritrovò due fanali verdi che
la osservavano divertito. Per
un attimo pensò di essere morta. Era uno sguardo
così diretto, dannazione!
"
Beh..lo sono di più quando mi trovo in compagnia di belle
ragazze."
Jackie
scoppiò a ridere, una risata troppo acuta per essere
spontanea.
" Certo!"- rispose sarcastica.
"
Non mi credi? Le belle ragazze hanno questo effetto su di me. Sono
interessanti, specie quando continuano a sistemarsi il berretto che non
ha
nulla che non va."
E
a quel punto Jackie smise di toccare il berretto e arrossì
lievemente. Sorrise
ancora una volta e tossicchiò per cercare di far fuori
l'imbarazzo. Continuò a
camminare a differenza di Ville che si era fermato.
"
Quindi quando sei in compagnia di una racchia ti chiudi nel mutismo
assoluto o
inizi a fare sfoggio del tuo più schietto disinteresse?"
"
Sì, probabile."- rispose lui tornando ad avvicinarsi.
"
Che sfacciato!"- esclamò lei scuotendo la testa.- " e
quindi, da come
stai parlando, io rientrerei nella prima categoria."
"
Esatto, darling. Immagino che se il tuo ragazzo fosse qui e mi sentisse
dire
questo, mi darebbe un bel cazzotto."- lasciò
che quelle parole venissero annunciate
con una certa noncuranza, da tipo attore, quello che Ville cercava di
fare con
scarsissimi successi. Eppure in quel momento apparve così
convinto che quasi
ebbe timore che la risposta di Jackie sarebbe stata orripilante.
Jackie, lo
fissò come se avesse visto un fantasma. Il semplice nome 'il tuo ragazzo' la faceva
star male. Perché
quando qualcuno le faceva una domanda in cui l'aggettivo possessivo
'tuo' era
vicino al nome 'ragazzo', lei pensava immediatamente al suo ex,
probabilmente
l'essere più stronzo che Dio aveva forgiato dalle sue
formine. Lei era stata
perdutamente innamorata di lui senza rendersi conto che Frank,
così il suo
nome, la tradiva quanto gli pareva e che lo facesse con la stessa
spontaneità
con cui le ricordava il suo " ti amo".
Ville,
notando quell'espressione preoccupata aggiunse: "ho
detto qualcosa che non va?"
Era
serio questa volta, sicuro di aver
fatto una cavolata.
"
Nulla.."- disse Jackie
scuotendo la testa. Si ammutolì accelerando il passo. In
pochi secondi immagini
non piacevoli tornarono a popolare la sua testa, come vecchi film che
ogni
tanto resuscitavano portando scompiglio.
"
Tutto okay?"- continuò Ville
afferrandola per un braccio. Jackie finì per alzare la testa
e guardarlo.
L'espressione così dolce di Ville, la fece sorridere
spontaneamente.
"
Sì."- rispose alla fine.-"
e comunque non ce l'ho il ragazzo."
A
quelle parole Ville si sentì decisamente
alleggerito.
"
Oh, pensavo che..beh..insomma..sei
una bella ragazza..non immaginavo che tu fossi..single."-
cercò di celare
la contentezza che sentiva, fermandosi ad ogni parola per assumere un
tono più
serio. Jackie sembrò non farci caso, anzi non lo stava
nemmeno ascoltando come
Ville se ne accorse due minuti più tardi.
"
Sai quel è il bello dei cuori
infranti, Ville?"- chiese Jackie all'improvviso. Ville
guardò spiazzato la
ragazza. Restò attento e scosse la testa.
"
Che possono rompersi davvero
soltanto una volta. Il resto sono solo graffi."
Ville,
ancora una volta spiazzato, restò
in silenzio.
"
Ti ha tradita."- disse poco
dopo.
"
Con la mia migliore amica."-
continuò lei sospirando. Era chiaro che l'evento era
recente, altrimenti Jackie
non si sarebbe rattristata.
" Ah, brutta storia."- commentò Ville avvicinandosi a lei.
Le posò
incerto una mano sulla spalla, temendo che potesse ammazzarlo da un
momento
all'altro e invece lei appoggiò la mano sulla sua. Jackie
non seppe mai perché
fece quel gesto e perché chiuse gli occhi quando Ville le
toccò la spalla. A
dire il vero non sapeva nemmeno perché si sentissi ad un
tratto così strana.
Per
quanto Ville potesse essere stupito da
quel gesto, continuò a guardarla con dolcezza. Anche lei aveva sofferto per amore..
"
Non volevo farti rabbuiare..scusami."
"
Tranquillo..è tutto ok."
"
Sicura?"
"
Sicura."
Alla
fine entrambi camminarono uno vicina
all'altra senza parlare. Erano quasi arrivati a casa quando Jackie
finalmente
decise di rompere il gioco del silenzio.
"
E' strano.."
"
Cosa?"- chiese Ville confuso.
"
Beh, che io stia parlando davvero
con te. Tengo a precisare che non sono una tua fan incallita, ma
comunque sei
un personaggio famoso e..beh non sono abituata. Però.."
"
Però?"
Jackie
si fermò e lo fissò.
"
Non sei come avevo pensato."
" E cosa avevi pensato di me?"- chiese curioso Ville.
"
Beh, diciamo che non erano delle
belle cose.."
"
Immaginavo.."
"
Nel senso che..che queste cose
negative le ho pensate quando hai portato Johanna lontana da me a da
New
York..mi ostinavo a pensarle anche ora..ma non ci riuscivo del tutto.
Cioè non
le penso..più."
"
Puoi farmi il riassunto? Non ho
capito."
" Dovevi mettere i
sottotitoli."-
rispose lei sorridendo come stava facendo Ville.
Era sera ormai
e la giornata sembrò
terminare, tra agitazioni e attacchi cardiaci, in maniera tranquilla.
Johanna
entrò in salotto dove trovò Ville sul divano, ma
nessuna traccia di Jackie. Si
sentiva strana, aveva freddo e le faceva male la testa. A dirla tutta
era da
quel pomeriggio che si sentiva così. Non le era bastata la
battaglia di neve
con suo padre! Ne fece un'altra con Marianne, Arja e Nikko, rischiando
di
cadere per ben tre volte.
Si
sentiva anche stanca e questo pensava
che fosse dovuto alla giornata intensa che aveva trascorso e invece gli
occhi
lucidi e le guance leggermente rosse mettevano il tutto su un altro
piano.
Ville la guardò sedersi accanto a lui e vedendola
così calma si allarmò.
La
guardò con insistenza tanto da farle
chiedere: " che cosa c'è?"
La
studiò ancora un po' e poi mettendole
la mano sulla fronte, Ville esclamò: " ma
tu hai la febbre!"
"
No! Io sto benissimo."
"
Non è vero. Tu sei troppo calda."- continuò
Ville.- " aspetta, vado a
prendere il termometro."
Johanna
annuì e prima ancora che Ville tornasse, si
addormentò stanca morta.
"
E
lei era quella che stava bene.."- mormorò Ville tornando con
il
termometro. Le si avvicinò e con calma la svegliò.
"
Sweetie, misuriamo la febbre."
" Lo sapevi che noi abbiamo
smesso di guardare
il cielo per paura di essere colpiti dalla cacca degli uccelli?"
Ville
la
guardò confuso e poi capì che Johanna stava
completamente delirando.
38
e
mezzo. Eccome se stava delirando!
"
Ville Valo è secco come un cane e per di più fuma
come un turco. Io penso che
dovrebbe smetterla."- continuò Johanna parlando con gli
occhi chiusi in
balìa della febbre. Ville la avvolse con un plaid,
scoppiando a ridere e la
lasciò delirare andando a prendere qualche medicina.
"
Mamma, dov'è Jackie? Non può fare tardi, il
concerto non aspetta noi."
Quando
Ville tornò in salotto con le medicine necessarie, vide
Johanna seduta sul
divano conversare con persone invisibili.
"
Che poi secondo me i vicini dovrebbero smetterla di fare tutto questo
chiasso.
Poi si lamentano del mio stereo.."
Ville
avvolse ancora meglio Johanna nel plaid che le stava scivolando di
dosso e poi
preso dall'insicurezza andò a chiamare Jackie. Non era il
caso di combinare
casini con le medicine in quel momento.
"
Puoi entrare."- disse Jackie aprendo la porta della camera di Johanna.
Jackie aveva sistemato tutto come al solito e siccome non era
intenzione di
Ville togliere i vestiti a sua figlia per metterle il pigiama, per suo
imbarazzo, era uscito fuori giusto il tempo che servì a
Jackie per sistemare
bene Johanna.
"
Ha
smesso di parlare?"- chiese sorridendo il finnico una volta
avvicinatosi
alla ragazza.
"
Sì, poco fa."- rispose in un sussurro Jackie.- " non la
smetteva più.
Ma credo che fra poco inizierà di nuovo. La febbre non
è scesa. Penso che
domani bisogna chiamare il dottore."
"
Sì."- disse Ville accarezzando il capo di sua figlia senza
guardare
Jackie. Il pomeriggio precedente, quando stava tornando a casa, aveva
visto una
coppia di genitori giocare con il proprio bambino, una creatura
paffutella
avvolta da una sciarpa e un berretto quasi più grandi di
lui. Inconsapevolmente
si era fermato, guardando l'incantevole quadretto: il bambino fu messo
a sedere
nel passeggino e i genitori si scambiarono un breve, ma affettuoso
bacio, prima
di controllare che il bambino non avesse ripreso a ciucciarsi il
pollice. E a quel
punto Ville, guardando Johanna, ritornò a pensare a lui, lei
e Marika insieme.
Era più forte di Ville, doversi far male pensando al
passato, a quello che lui
si era perso e che non sarebbe più riuscito a vivere.
Continuava ad immaginare
Marika e Johanna..ma lui non c'era.
Jackie
stava dicendo qualcosa, forse parlava con lui, ma Ville non la stava
ascoltando. Si alzò di scatto dal letto di Johanna e si
avvicinò alla finestra.
Appoggiò la mano al vetro, reggendosi a quella superficie,
liscia, fredda e
sottile, che lo divideva dall'esterno buio.
"
Ville?"- chiese piano Jackie che si era avvicinata a lui. Ville si
voltò
senza parlare.
"
Che cosa c'è?"
Jackie
aveva capito che qualcosa non andava, quello sguardo malinconico e
triste ne
era la prova. Ville sospirò portandosi una mano fra i
capelli. Poi non
facendocela più a tenere tutto dentro esplose.
"
Ci
sono giorni, in cui penso ai momenti che ho perso con Johanna. Penso ai
suoi compleanni,
ai suoi primi passi, alle prime parole che ha detto, non sapendo se
siano state
' mamma', ' papà' o altro. A volte immagino lei e Marika che
si divertono, che
stanno insieme..senza di me. Ho perso tante situazioni, tante piccole
emozioni.
Non so nemmeno cosa significa prendersi cura di una figlia ammalata
senza avere
il terrore di commettere qualche errore. Ho il terrore di sbagliare..di
sbagliare tutto."
Jackie,
spinta dalla grande dolcezza che aveva dentro aprì le
braccia e disse: "
vieni qui."
Ville,
senza farselo ripetere un'altra volta si lasciò abbracciare.
Da quando qualcuno
non lo abbracciava, soprattutto in quel modo? Era un abbraccio
caloroso,
deciso..si sentiva per un attimo protetto.
"
Non devi tormentarti per cose che non sono mai successe. Inutile
tormentare
corpo e spirito per qualcosa che non potrà più
accadere. Vivi il presente,
Johanna ora è qui ed è ancora piccola. Ha solo 16
anni, non è mica una donna di
mondo! Tante cose si possono recuperare. Ha ancora molto da imparare e
questo
potrai farlo tu. Potrai vivere altri momenti con lei, entrare nel
panico quando
ti chiederà di uscire con un ragazzo, le tue notti che
andranno in bianco
quando lei resterà a dormire da qualche amica, ma tu
penserai che è da qualche
parte con qualcuno che poi si scoprirà essere il suo
fidanzatino. Non fartene
una colpa per non aver passato l'infanzia con lei o per non averla
vista
nascere. Nessuno ha voluto agire con cattiveria. Ci sono situazioni e
azioni
compiute difficili da spiegare e che nonostante possano avere quel poco
di
ingiustizia, alla fine sono anche giustificate."- spiegò la
donna passando
le sue mani sulle spalle di Ville.- " per ragioni che nemmeno noi
conosciamo, queste cose dovevano andare così, non ci
possiamo fare nulla. Però
ci è data la possibilità di riparare a quello che
per noi sembra un
errore."
Ville
annuì.
"
Ora smettila di tormentarti."- gli ordinò Jackie.
"
Va
bene."- disse lui annuendo.
In
quel
momento Johanna iniziò nuovamente a parlare, ma questa volta
non disse cose
assurde, bensì nomi precisi.
"
Ville.."
Ville
la
guardò e si avvicinò immediatamente. Johanna gli
strinse la mano tenendo ancora
gli occhi chiusi e muovendo la testa sul cuscino.
"
Sono qui.."- sussurrò Ville al suo orecchio. Johanna
sembrò calmarsi, ma
non aveva nessuna intenzione di lasciare la mano di suo padre.
Così Ville seppe
che aveva una lunga notte da passare di nuovo nel letto di sua figlia.
Jackie
era ancora lì e stava mettendo nell'armadio i vestiti di
Johanna. Guardò i due
sorridendo, soprattutto sorridendo a Ville. Quella sua
fragilità l'aveva sempre
colpita. Era quello il vero Ville, forse?
"
Jackie. Dov'è zia Jackie?"
"
Credo che stanotte questo letto dovrà ospitare tre
persone."- disse Ville
a Jackie sorridendo. Lei annuì consapevole del fatto che
fosse proprio come
aveva detto il finnico e così si distese vicino a Johanna
dall'altra parte, con
Ville di fronte che la guardava. Jackie non lo stava guardando anche se
sapeva
di essere osservata. Diede un piccolo bacio sulla guancia di Johanna e
poi
disse: " beh..allora..buonanotte."
"
Notte."- sussurrò Ville.
Dopo
un'ora di tormento finalmente tutti e tre si addormentarono. Sia Jackie
che
Ville avevano avvolto Johanna nelle loro braccia. Chiunque in quel
momento
avrebbe pensato che si trattava di una vera e propria famiglia
nonostante non
fosse così.
"
Mamma!
Papà!"- esclamò Ville aprendo la porta di casa.
Alle calcagna di Anita e
Kari c'era anche Jesse che gli sorrise allegro. Ville fu attraversato
da una
sensazione di panico. Ora chi spiegava a tutti quanti che in casa c'era
Jackie?
Avrebbero sicuramente pensato che si trattasse di una nuova fiamma e
l'avrebbero messa subito in imbarazzo. Loro non la conoscevano, o
meglio,
l'avevano vista solo in alcune foto che Johanna aveva mostrato e con le
quali
aveva affermato la genialità e la bravura della super zia.
"
Come sta
Johanna?"- chiese Anita appoggiando la borsa sulla poltrona e
guardandosi
intorno. Erano passati due giorni e la febbre man mano stava andando
via.
"
Meglio."-
disse Ville mettendosi le mani nelle tasche e con il cuore che
iniziò a battere
velocemente. Anche Jesse e Kari si guardarono intorno. C'era qualcosa
di strano
in quella casa, era diversa. Sembrava che qualcuno avesse messo
abbastanza
ordine da farla apparire più pulita del solito.
"
Finalmente ti sei
deciso a chiamare la donna delle pulizie, eh?"- chiese Anita passando
un
dito sul comodino del salotto e notando che non c'era nemmeno un filo
di
polvere.
"
Ehm..no.."-
rispose Ville, sprovvisto in quel momento di saliva.
"
Come? Hai fatto
tutto tu?"- chiese Kari meravigliato.
"
Il nuovo
Cenerentolo."- lo canzonò Jesse ridacchiando.
"
Tappati quella
fogna tu."- disse Ville infastidito.
"
Senso
dell'umorismo stuprami."- commentò Jesse sospirando.
Il
caso volle che proprio
in quel momento Jackie facesse la sua comparsa, indaffarata come
sempre,
appoggiando due maglie sulla sedia.
"
Allora: qualora Johanna ti chiede dov'è la sua felpa dille
che è a lavare. Lo
chiederà a te perché si diverte a metterti in
crisi come l'altra volta. A
proposito, la tua maglia era da buttare. Il mio rattoppo non
è servito a niente
e bisognava eliminarla. Non ti dispiace,vero?..e questa casa
è un la.."
Quando
Jackie alzando il capo per vedere se Ville la stesse ascoltando, si
accorse di
avere sei occhi puntati su di lei, esclusi quelli di Ville, si
bloccò
all'improvviso sbiancando.
"
..birinto.."- terminò con un filo di voce.
Anita,
Kari e Jesse la stavano guardando confusi, come se fosse un alieno o un
fantasma. Anita immediatamente accese i suoi sensori, Jesse
studiò l'esemplare
femminile con particolare curiosità e Kari fu l'unico a
rivolgerle fin subito
un caloroso sorriso.
Tutti e
tre forse avevano capito di chi si trattava e non ebbero la briga di
domandarsi
che fine avesse fatto Hanna e come mai fosse stata rimpiazzata da una
ragazza
che non apparteneva al genere tanto fintamente amato da Ville negli
ultimi
anni. Jackie, invece, pensò solamente ad una cosa: quella
era davvero la
famiglia di Ville al completo?
L'ANGOLO
DI VALS.
Ed eccomi quaaaa ciaooooo!!! :D
Muahhahahahaha
vi erano mancati i capitoli con il finale a katso, vero??!?! E mo?!?
Cosa succederà?? Chi teme l'intervento di Anita? Solo Ville?
xD
Spero
che il capitolo sia stato di vostro gradimento * inizia a farsi le
pippe mentali*
Lo
so, il servizio fotografico è finito decisamente in maniera
diversa da quello che sicuramente voi lettrici avevate pensato ( eh,
porcelline! :P), ma come dico io, le cose devono andare per
gradi..altrimenti tutte insieme fanno solo casino e poi..io devo farvi
soffrire..<3 xD
Per
questo capitolo c'è stata una melodia in particolare che mi
ha ispirata.
L'ho tenuta come sottofondo mentre scrivevo ed è questa
http://www.youtube.com/watch?v=anicaKGED00
Ringrazio
come sempre le mie lettrici del cuore!! <3 <3
Ci vediamo alla prossimaaa!
Vals
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Dear Father
Capitolo
17
Gli
sguardi e i silenzi durarono ancora per un po'. A Jackie
sembrò un'eternità eppure erano passati solamente
due soli minuti da quando
mamma Valo aveva intensificato i raggi laser dei suoi occhi per
inquadrarla al
meglio e in maniera decisiva. Era Anita più di tutti gli
altri, infatti, a
guardare Jackie con grandissimo interesse. Quell'entrata, con tanto di
indumenti stirati tenuti in braccio e il tono autoritario che solo lei
usava
con suo figlio, l'aveva allarmata, ma rispetto a tutte le altre volte,
l'allarme che aveva ricevuto era positivo. Nessuna traccia di fumo,
né di un
possibile incendio doloso per quella ragazza dai capelli scomposti,
dall'abbigliamento
semplice e dal viso davvero incantevole.
Nel
frattempo l'imbarazzo di Jackie cresceva a dismisura, tanto da
poter essere evidente sulle sue guance ormai troppo colorate. Aveva decisamente bisogno di
qualcosa che
interrompesse quell'atmosfera.
Dopo
quell'eternità, finalmente Ville decise di intervenire forse
perché era riuscito, con tutti i suoi comodi, a capire che
la situazione era
alquanto bizzarra da vedere e anche perché sapeva che
Jackie, nonostante la
corazza da dura, tendeva ad imbarazzarsi facilmente. Bingo per uno che
la
conosceva da poco!
"
Ehm..lei è Jackie, la zia di Johanna."- annunciò
facendo un passo verso di lei. Anita spostò lo sguardo dalla
ragazza a suo
figlio che si era avvicinato alla giovane vittima come se volesse
proteggerla
in qualche modo. A mamma Anita tutto ciò non era sfuggito e
quando finalmente
le sue speranze su chi potesse essere quella bella ragazza si erano
realizzate,
mutò la sua espressione, passando velocemente da temuto
giudice supremo a mamma
stritolatrice di abbracci.
"
Oh! Jackie! Finalmente ti conosciamo!"- esclamò alla
fine più allegra che mai. Ville squadrò sua madre
e restò completamente
spiazzato da quella reazione. Non riusciva a credere che proprio lei
dando
fiato alla bocca dopo quel silenzio non avesse sputato veleno mettendo
in
difficoltà una povera ragazza per il gusto di farla scappare
dalla torre e non
farla tornare più.
"
Sei..sei..la Jackie delle foto?"- chiese Jesse che
finalmente, dopo aver fissato per bene nella sua mente ogni particolare
di quel
volto, aveva trovato nuovamente la parola. Ville guardò
anche suo fratello e un
senso di fastidio si impadronì di lui. Perché
Jesse si mostrava così
interessato a Jackie?
Jackie
a quella domanda annuì più imbarazzata di prima,
per via di
quell'abbraccio non previsto.
"
Io sono Jesse, il fratello di Ville. Spero che lui sia
stato gentile con te..di solito la sua gentilezza si spreca."
"
Jesse, ti dispiacerebbe chiudere quella bocca?
Grazie."- lo ammonì Ville ulteriormente infastidito.
"
Ecco. Come non detto."- disse Jesse sorridendo a
Jackie.
Ville
cercò di ignorare quei sorrisi che spuntarono sui volti dei
due. Per la prima volta si sentiva escluso. Sì, una diva
come lui si sentiva
esclusa dal giro di abbordaggio che sembrava svolgersi sotto ai suoi
occhi.
Accecato
com'era da quella strana forma di gelosia, che lui
continuava a far passare per fastidio, Ville non poteva sapere che il
sorriso
che mostrava Jackie nei confronti di Jesse era solamente gentilezza e
nulla
più.
"
Benvenuta fra i Valo, la famiglia più stramba di tutta
Helsinki."- disse cordiale Kari mentre si faceva avanti e a sua volta
la
abbracciava allegramente.
"
Grazie, signor Valo."
" Chiamami Kari."
"
E a me Anita."- si affrettò a spiegare gentilmente
mamma Valo mettendo da parte per un momento suo marito.
"
Come mai non ci hai detto niente, Ville?"- chiese poi
guardando con un sopracciglio alzato Ville, che deglutì
cercando di prendere al
volo la prima scusa.
"
Non ho avuto tempo."- rispose alla fine grattandosi il
capo.
"
Tutte scuse! Non dirmi che ti ha sfruttata per pulirgli la
casa."- disse Anita rivolta a Jackie.
"
Oh no! Anzi dovrebbe ammazzarmi visto che non gli ho
chiesto nemmeno il permesso di mettere in ordine."- rispose la ragazza
impacciata.
"
Lui non ammazzerà nessuno, cara, e se lo facesse ci
penserei io a sistemarlo."- rispose Anita ricordando il temperamento
ribelle del giovane Valo al minimo fastidio e guardando suo figlio che,
aveva
deciso di fare l'indifferente osservando fuori dalla finestra la strada
deserta. Ci mancava giusto lei per renderlo ridicolo di fronte a
Jackie. Un
uomo grande e vaccinato come lui oggetto di battutine e rimproveri da
parte di
sua madre , la strega malvagia. Non doveva essere un bel spettacolo.
Eppure a
Jackie scappò un sorriso che non aveva niente a che fare con
l'ironia. Il suo
era un sorriso dolce, di consapevolezza di quanto amore poteva esserci
fra i
due, che però a Ville sfuggì. Infatti quando si
voltò verso gli altri Jackie
aveva deciso di spostare la sua attenzione su una mattonella,
probabilmente la
millesima che costituiva il pavimento chiaro della torre.
"
Beh io credo che sia il caso di chiamare Johanna. Dov'è la
mia nipotina?"- chiese Kari cercando, come sempre succedeva in quei
casi,
di smorzare l'atmosfera imbarazzante.
"
Vado a chiamarla."- disse Jackie sparendo in due
secondi e lasciando i Valo nel salotto.
"
Però..te le scegli bene le zie.."- commentò Jesse
guardando Jackie sparire nel corridoio.
"
Concordo con Jesse. È una bella ragazza e sembra anche
molto gentile e a modo."- commentò a sua volta Kari. Ville
iniziò
seriamente a preoccuparsi. Prima di allora nessuno della famiglia aveva
fatto
tali apprezzamenti subito dopo aver avuto il privilegio di conoscere le
donne
che lui ospitava. E questa volta la cosa era ancora molto
più assurda, perché
si dava il caso che Jackie non era la sua nuova conquista.
"
Devo dire che tuo padre e tuo fratello hanno ragione. È
davvero bellissima e poi di questi tempi è raro vedere donne
che si prendono
cura di tutto e tutti. Beato il suo ragazzo!"- esclamò
Anita. La
preoccupazione di Ville a quel punto salì alle stelle. Sua
madre che faceva dei
complimenti? Quel momento era da incorniciare!
"
Ehm.."- Ville tossicchiò sentendosi leggermente in
imbarazzo.- " Jackie è single."
"
Davvero?"- chiese Anita guardando il divano.- "
bene allora vorrà dire che ci metteremo di impegno e la
terremo qui in questa
casa, donandole tutto l'amore e l'affetto possibile di cui siamo in
grado di
dare."
"
Mamma! Ma nemmeno la conosci!"- esclamò scandalizzato
Ville dopo aver ascoltato la raccomandazione.
"
Oh tesoro mio, mi è bastato questa apparizione per capire
che siamo ad un passo dal lasciare Hanna sull'uscio della porta."-
disse
Anita avvicinandosi a lui. Gli fece una carezza e concluse dicendo: "
la
luce dei tuoi occhi è diversa. Jackie ti piace e con questo
posso congedarmi.
Sento delle voci, saranno tornate."
E
come aveva predetto, due secondi dopo Jackie era tornata
portando con sé Johanna.
"
Johanna cara!"- esclamò Anita. Johanna sorridendo
andò
ad abbracciare i nonni.
"
Non saluti lo zio più fico del mondo?"- chiese Jesse
sorridendole.
" Su questo avrei un
paio di dubbi."- disse Ville.
"
Oh taci, secco."- rispose Jesse.
"
Sentite chi parla."
" Io direi di
smetterla con queste sceneggiate."- disse
Anita ponendo fine alla conversazione fraterna.- " se avete voglia di
fare
quattro chiacchiere potete uscire fuori di qui e andare a mangiare
insieme alle
renne."
Anita
aveva deciso che Jackie dovesse sedersi accanto a lei
durante quel pranzo domenicale. Jesse quindi dovette accomodarsi
proprio
accanto a suo fratello che in quel momento stava sussurrando qualcosa a
Johanna
che per poco non affogò con l'acqua.
"
Ti pare momento?"- chiese in un sussurro la ragazza
cercando di non ridere.
"
Quando la battuta arriva è necessario dirla, altrimenti la
si dimentica."- rispose saggiamente Ville facendole l'occhiolino. Tutto
procedeva con tranquillità, fino a quando Anita non decise
di rendere la vita
di Ville seriamente difficile.
"
Ora vi racconto un aneddoto sul bel cantante degli
HIM."
A
quelle parole Ville guardò sua madre preoccupato.
Al
contrario, Johanna e Jackie erano lì pronte ad ascoltare
interessate.
"
Mamma che.."
Ma
Anita interruppe suo figlio con una mano.
"
Ville quando era piccolo era un bambino molto introverso.
Jesse era estroverso e pieno di amici, ma lui preferiva sempre stare
solo.
Insomma era piuttosto asociale. Era felice solo quando scriveva le sue
poesie e
parlava con Bob.."
"
Chi è Bob?"- chiese Johanna guardando suo padre che a
quella parola si era irrigidito.
"
Il suo amico immaginario. Dovevate sentire che belle
conversazioni si facevano."- terminò Kari. Jesse
scoppiò a ridere così
come Johanna.
"
Grazie davvero.."- disse Ville imbarazzato.
"
Non ci trovo nulla di male in questo."- disse Jackie
all'improvviso mentre gli altri continuavano ancora a ridere. Dopo aver
catturato tutta l'attenzione decise di continuare a parlare.- "
insomma..capita a tutti i bambini di avere un amico immaginario. Anche
io ne
avevo uno. Si chiamava Aaron e.."- Jackie sorrise perdendosi nei suoi
ricordi.-" ricordo che una volta gli urlai contro perché
sostenevo che non
aveva mangiato il latte con i cereali. Mia madre entrò di
corsa in camera mia pensando
che mi fosse successo qualcosa di grave. Credo che non abbia mai avuto
come in
quel momento la voglia matta di strangolarmi. L'avevo fatta
spaventare.."
Gli
altri risero e Jackie guardò Ville come a volerlo
tranquillizzare mentre lui per un attimo si perse nei suoi occhi senza
essere
capace di proferire una parola. Semplicemente le sorrise grato sperando
che lei
lo avesse capito.
Ville
non amava molto ripercorrere alcune tappe della sua
infanzia, non perché fossero scandalose. Semplicemente
odiava ricordare quanto
alle volte era stato veramente stupido. E il fatto che sua madre avesse
deciso
così di punto in bianco di raccontare tutto ciò
proprio non riusciva a capirlo.
Johanna
gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise mentre
Anita, sorrideva, soddisfatta che le reazioni suscitate fossero state
quelle.
No,
non aveva sbagliato.
Il
negozio era ancora aperto e Ville ne approfittò per passare
da
suo padre. Prima dell'arrivo di Johanna erano diventati meno frequenti
i suoi
piccoli sopralluoghi, ma ora invece aveva cambiato idea e puntualmente
andava
da Kari anche solamente per vederlo respirare. Forse lo scoprirsi padre
lo
aveva sensibilizzato molto di più di quello che lui voleva
far credere e solo
ora capiva alcuni aspetti che prima non riusciva a capire fino in
fondo, come
le volte che mal volentieri stava in quel negozio perché suo
padre gli chiedeva
di sostituirlo quando era stanco. Si chiedeva sempre perché
lo chiedesse a lui
quando esisteva anche Jesse. Da quando c'era Johanna non si pose
più domande
del genere. Era semplice la risposta: era suo padre.
"
Papà!"- esclamò entrando sfregandosi le mani per
il
freddo.
"
Ehi! Che ci fai da queste parti?"- chiese Kari, seduto
dietro al banco, appoggiando il giornale che stava leggendo insieme con
gli
occhiali da lettura, sul tavolo.
"
Hai bisogno di una mano? Puoi andare a riposare, resto
io."
Kari
sorrise allegramente.
"
Sei molto gentile, figliolo, ma non sono così vecchio
decrepito da voler riposare ogni minuto."
"
Come al solito."- disse Ville avvicinandosi e
sorridendogli. Prese uno sgabello e si posizionò di fronte a
lui.
"
Sicuro di star bene?"- gli chiese Kari guardandolo
meglio.
"
Mai stato meglio. Perché me lo chiedi?"
"
Sembri pensieroso."
" Pensieroso?"
"
Centra Johanna? Ti fa penare?"
" No! Assolutamente no!"- esclamò Ville ridacchiando.
"
E allora centra una donna."
A
quel punto Ville iniziò a sentirsi in difficoltà
e la risatina
aumentò il doppio. Perché suo padre riusciva a
leggerlo dentro?
" Papà! Sei alla ricerca di gossip oggi?"- chiese sviando il
discorso.
"
Non sei mai riuscito a mentire a tuo padre."
Era
inutile a quel punto continuare a fingere. Non ci sarebbe
riuscito.
"
Ok, è vero."- rispose alzando le mani in segno di
sconfitta.- " ma più che altro si tratta di un dubbio."
"
Spara."- gli ordinò Kari interessato. Ville lo
guardò
e fece passare qualche minuto prima di formulare il suo discorso.
" C'è una donna che non è Hanna che mi sta
mandando in confusione. Non è una
questione di attrazione fisica..o meglio..per la prima volta da molti
anni non
ho prestato attenzione solo a questo. La mia attenzione si è
spostata su un
altro fattore. Questa donna riesce a trattarmi come se fossi una
persona
qualunque. Si prende cura di me senza volere nulla in cambio, si
imbarazza
facilmente se le fai un complimento, è testarda, riesce a
mettere sempre in
discussione quello che dico io, mi tiene testa, sa fare il suo lavoro,
e la
cosa che più mi sconvolge è che riesce a capirmi.
Eppure io non capisco..non
capisco che cosa mi stia passando per la testa."
Si
passò una mano sul berretto grattandosi la testa decisamente
imbarazzato. Suo padre ridacchiò notando la sua
difficoltà.
"
Voltaire diceva
che i peggiori misogini sono sempre state le donne. Esseri prelibati,
senza
della quale noi poveri uomini non sapremmo cosa fare. E allo stesso
tempo
arpie, streghe che ti incantano e poi quando meno te l'aspetti ti
fottono."- spiegò con importanza Kari sistemando il giornale
e mettendolo
da parte.
"
Un ritratto incantevole."-
disse Ville ridendo.
"
Ma questo non significa che a me
non piaccia Jackie."- continuò Kari senza guardarlo, facendo
finta
piuttosto di interessarsi ai gadget sul tavolo. Ville
deglutì scioccato.
"
Jackie?"
"
Si chiama così la zia acquisita
della mia nipotina, no?"
"Come
hai..?"
Kari
rise guardando la faccia sconvolta di
suo figlio.
"
Oh avanti, Ville! Credi davvero che
io sia così scemo? È
una brava ragazza,
Jackie. Almeno è questo che sento a pelle. A tua madre piace
un sacco."
"
Non ti sbagli. Lo è."
"
Beh, per averti fatto rincretinire,
lo credo anch'io."
"
Io non sono rincretinito."-
protestò il giovane finnico. Kari continuò a
ridere prendendosi gioco di suo
figlio.
"
Sai qual è la principale differenza
fra noi e le donne?"
"
No."- sbottò Ville infastidito
dal fatto che suo padre lo trattasse in quel modo.
"
Noi anteponiamo sempre il nostro
amico intimo al cuore. La donna fa sempre l'incontrario. È
nel momento in cui
noi uomini troviamo difficoltà ad anteporre i nostri
gioielli al cuore che le
cose iniziano a cambiare. Le vediamo in una prospettiva diversa.
Diventiamo o più
maturi o più coglioni, dipende."
"
Quindi tutto questo per dirmi che i
dubbi che ho sono quelli che mi stanno avvisando che io sto cambiando?
Per una
donna?"- chiese meravigliato Ville.
"
Esattamente."
"
Assurdo. Non può essere.."
"
Sai, le donne lo capiscono sempre
quando un uomo si è perdutamente innamorato di loro,
soprattutto se il maschio
in questione è un innamorato un po' tonto."
Questa
volta fu Ville a ridere.
"Hai
preso il binario sbagliato,
papà. Non sono qui per dirti che mi sono innamorato di
Jackie. È solo che..mi
fa un effetto strano quando sto con lei. Nemmeno Jonna è
stata capace di questo
nonostante sia stata importante per me."
Quando
disse quell'ultima frase Ville
stesse si meravigliò per aver espresso quel pensiero
così personale ad alta
voce. Kari lo guardò attentamente e dopo avergli sorriso
posò la mano sul suo
braccio. Ville spostò lo sguardo da un punto indefinito
degli scaffali su suo
padre e attese che lui parlasse.
"L'effetto
che ti fa Jackie è diverso
perché lei è diversa. Lei è una donna
comune, una di quelle che non incontri e
che difficilmente puoi conoscere. Sono quelle che se ne stanno
nascoste, che
non hanno doppi fini. Sono le eterne Cenerentole che aspettano il
famoso
principe azzurro senza perdere la speranza. L'effetto che lei ti fa
è quello
che noi comuni mortali chiamiamo cotta. Ma la cotta molto spesso non ha
difficoltà a diventare amore. Per questo ho voluto
ricordarti che quando ci si
innamora si diventa più coglioni del solito."
Ville
ascoltò attentamente quelle parole e
restò meravigliato da ciò che aveva sentito. Suo
padre non gli aveva mai
parlato in quel modo. Non aveva mai affrontato argomenti del genere con
lui,perché Ville Valo aveva sempre pensato, anzi era
più che sicuro, che in
fatto di donne lui sapesse tutto quello che c'era da sapere. Non aveva
mai
chiesto consigli e non si era mai fatto nessun problema. Quello che
Ville Valo
voleva, doveva essere esaudito o cercato. Non era poi così
diverso dagli altri
uomini, eppure in quel momento non seppe nemmeno cosa dire o fare dopo
quelle
parole che mai in vita sua avrebbe pensato di ascoltare.
Era
davvero così?
"
Tutto questo è pazzesco. Mi rifiuto
di crederci."- disse sorridendo disincantato. Voleva essere ancora il
vecchio Ville, quello che si era creato con il corso degli anni, cinico
e
disincantato nonostante al di sotto di quella maschera pulsasse il vero
Ville,
quello romantico e sincero. Kari sorrise annuendo.
"
Hai bisogno di uno stimolatore. Vediamo che cos'ho qui in
negozio."- disse continuando a sorridere.
"
Papà ma sei impazzito?"- chiese Ville leggermente
sconvolto.
" Ville, calmati! Sto scherzando, come ho sempre fatto. O sono io che
non
ho più il senso dell'umorismo o sei tu che sei diventato
troppo serio. Credo
che sia meglio buttarsi sulla seconda opzione."
Concluse
Kari scuotendo la testa e finendo per ridere allegramente
dell'esitazione e imbarazzo di suo figlio.
"
Ecco a te i compiti!"
Johanna
aveva sperato fino all'ultimo momento e con tutto il cuore,
che Marianne e Arja si fossero dimenticate di fornirle di compiti e
spiegazioni
dei giorni che era mancata da scuola. E invece Arja era lì
pronta a darle gli
appunti, fogli completamente inzuppati di inchiostro. Perché
lei e Marianne
erano così meticolose e precise?
Johanna
storse il naso e malvolentieri prese gli appunti e li mise
sulla scrivania. Era in pigiama e aveva la voglia di vivere pari ad un
orso in
letargo, ma era suo dovere riprendere a studiare dopo una bella
settimana di
ferie. Era la prima volta che Marianne e Arja mettevano piede in casa
Valo. Di
solito la biblioteca era il posto che sempre le ospitava, ma quella
volta a
Johanna proprio non andava di uscire e così finalmente le
due ragazze avevano
messo piede nella torre.
"
Che bel pensiero..davvero bellissimo."- sbuffò
guardandole. Arja si sedette sul letto guardandosi attorno e Marianne
sorrise
guardando Johanna e la sua scontentezza.
"
A cosa servono le amiche sennò?"- chiese sedendosi
sulla sedia accanto alla sua.
"
Ti prego dimmi che non sono a casa di Ville Valo. Ti prego
dimmelo!"- esclamò all'improvviso Arja alzandosi di scatto
dal letto. Sia Johanna
che Marianne la guardarono sconvolte e poi scoppiarono tutte e tre a
ridere.
"
Arja, la vuoi smettere?"- disse Marianne scuotendo la
testa.
"
Johanna!"
Quella
voce fece sobbalzare tutte e tre le ragazze. La voce di
Ville fuori dalla porta gettò nel panico più
totale Arja.
"
Oddio! Oddio! È lui! Fatemi nascondere!"- esclamò
agitata.
"
Immergi la faccia nel libro, no?"- le suggerì
Marianne.
"
Ottima scelta."
Arja
così prese il primo libro che le capitò davanti e
si sedette
dall'altro capo della scrivania, bene attenta a nascondere il viso.
"
Posso aprire?"- chiese Johanna assicurandosi che le
dovute precauzioni fossero state prese.
"
Vai!"
Johanna
andò ad aprire trascinando i piedi. Quando aprì
la porta
restò ad osservare suo padre apaticamente.
"
Cosa c'è?"- chiese in tono lugubre.
"
Che state facendo di bello?"- chiese Ville allegramente
facendo capitolino nella testa.
"
Non si vede? Perché ci stai disturbando?"
A
quel punto Ville fissò sua figlia e mutò la sua
espressione in
una seria.
" C'è un certo Nikko al telefono che chiede di te."- disse
con il
telefono in mano, notando l'impazienza di Johanna che era accanto alla
porta. Quando
le diede il telefono restò lì ad attendere che la
ragazza rispondesse davanti a
lui. Dopotutto era dovere di un padre capire con che ragazzi avesse a
che fare
sua figlia. Johanna, che aveva capito tutto, lo guardò
seria. Suo padre non
aveva ancora capito il concetto dell'avere amici e non solo amiche.
"
Non credere che ti lascerò stare qui solo perché
tu devi
assicurarti che io non stia parlando con un maniaco."- lo
avvisò a bassa
voce, giusto per evitare che le sue amiche sentissero i loro soliti
bisticci.
"
Se non me la racconti giusta ti sequestro tutti i cd che ti
ho regalato."- le disse a bassa voce minaccioso puntandole un dito
contro.
Johanna alzò gli occhi al cielo. Perché doveva
essere così pesante a volte?
"
Non è un kamikaze, è semplicemente un nostro
amico di
classe. Ora posso rispondere?"
Quando
Ville capì di essere stato troppo pesante con i suoi
atteggiamenti, decise di tacere e disse: " okay, va bene. Ma dopo torno
a
controllare."
Johanna
alzò nuovamente gli occhi al cielo mentre vide suo padre
allontanarsi.
Tornò
dentro e finalmente rispose alla chiamata.
"
Ragazze?"
Era
passata quasi un'ora quando Jackie entrò nella camera di
Johanna.
"
Ehi Jackie! Entra!"
"
Avete fame? Vi ho preparato qualcosa da mettere sotto ai
denti. Troppe ore sui libri senza mangiare fa male."- disse la donna
posando
sulla scrivania un piatto pieno di
biscotti al cioccolato appena fatti.
" Oh! Biscotti al cioccolato!"- esclamò Arja con una luce
sinistra
negli occhi.
"
Grazie del pensiero."- disse Johanna sorridendo.
"
Ok, vi lascio. A dopo."
Quando
Jackie andò via, sia Marianne che Arja fissarono la porta
appena chiusa.
"
Tua zia è davvero dolce."- disse Arja sgranocchiando
un biscotto.
"
Sì, lo è."
"
Comunque, tu come la vedresti insieme a Ville? Secondo me
sarebbero una bella coppia."
"
Anche secondo me."- commentò Marianne. Johanna
restò
spiazzata da quelle parole.
" Oh beh..io..io..io non ho mai pensato a questo. Non saprei cosa
rispondervi."
" Beh la cosa è facile: fra Hanna e Jackie chi vedresti
meglio al fianco
di tuo padre?"- chiese Marianne.
"
Jackie."- rispose Johanna senza pensarci due
volte.-" Che domande sono?"
"
Beh, è la stessa cosa del chiederti come tu vedresti Jackie
al fianco di Ville. Insomma, anche se la domanda cambia di poco,
è sempre
quello il discorso."- spiegò Arja.
"
Io non ho mai pensato a loro due insieme. Mi fa strano..e
comunque Jackie non è il tipo che si metterebbe con mio
padre."
"
Mai dire mai."
"
E se succedesse, tu cosa faresti?"- chiese Marianne.
"
Credo..credo..credo che non avrei nulla da obiettare. Infondo
per me Jackie è importante e poi non mi
arrabbierei.."
Man
mano che parlava le parole che Johanna pronunciava mostravano
sempre più convinzione. Era vero quello che aveva detto. Non
avrebbe avuto
nulla da obiettare. Anzi ora che ci pensava una scintilla
scattò immediatamente
nella sua mente. Forse poteva succedere, forse Ville e Jackie potevano
avere
una possibilità di avvicinarsi e magari innamorarsi.
"
Ben detto! Anche perché io ce li vedo davvero bene
insieme."- commentò Arja continuando a mangiare.
"
Su mettiamoci di nuovo a studiare. Questa volta sul
serio."- disse Marianne portando le altre due all'ordine.
"
Ok capo."
"
Silenzio ora."- le minacciò Marianne.
Potrà
mai succedere una cosa del
genere?
Continuava
a ripetersi Johanna.
I
giorni
passarono e pian piano divennero settimane fino a quando giunse
novembre con la
sua implacabile freddezza. Johanna si sentiva bene, riusciva ad essere
se
stessa quel tanto che le permetteva di non imbarazzarsi più
con Ville.
Chiamarlo 'papà' era ancora una sfida che non si decideva a
vincere. Aveva
fatto delle prove con Jackie, ma Jackie non era Ville e Johanna quando
giungeva
al punto di dirlo qualcosa le si stringeva intorno alla gola e le
annodava la
lingua.
In
compenso, era molto più gentile e premurosa nei confronti di
suo padre.
Jackie
e
Ville non si erano di certo sposati, ma condividevano ancora la stessa
aria
nella stessa casa in maniera pacifica, ognuno perso nei propri
progetti,
osservazioni e insicurezze. Ville stava imparando molto da Jackie e da
ciò che
gli insegnava su Johanna o su come non perdere la fiducia in se stesso
così
facilmente, anche se quest'ultimo insegnamento era più
implicito. Erano le
parole che Jackie diceva che inconsciamente lo facevano riflettere.
Jackie,
invece, stava imparando che presto o tardi sarebbe sprofondata in un
abisso
senza fondo. Ville per lei stava diventando esattamente quello che lei
non
voleva che fosse. Pian piano si sentiva sempre di più
attratta da quel finnico
borioso, ma allo stesso tempo fragile.
Sfortunatamente
per lei, Hanna era sempre nei paraggi, nonostante Mige e gli altri
avessero
fatto di tutto per tenerla lontana. Ci riuscirono giusto per una
settimana,
quella che Mige stesso aveva architettato con gli altri tempo prima.
Quella
notte Jackie non riusciva a dormire. Era
da qualche ora che si rigirava nel letto nella speranza di tuffarsi in
qualche
bel sogno, ma senza risultato.
Il
pensiero fisso su Ville, il suo modo di fare
che le faceva mettere in discussione un bel paio di pensieri che aveva
sul suo
conto e il sorriso indiscutibilmente attraente di Hanna, erano
l'antipasto, il
primo e il dolce che la stavano torturando lentamente. Se mentre per i
primi
due non era poi così sicura che fossero importanti, per il
terzo c'era invece
la perfetta consapevolezza che quella donna di sicuro avrebbe fatto di
tutto
per metterla fuori. Era come se la sua autostima avesse deciso di
prendersi una
vacanza non programmata. Jackie non era mai stata così
agitata, nemmeno quando
il suo ex ragazzo guardava altre donne dimenticandosi di lei.
Lei
sapeva perfettamente di non essere una
fotomodella, né una donna dall'immancabile fascino e doti di
seduzione. Lei era
così come la si vedeva, era quella che lei stessa definiva "
sfigata."
Dopo
quel servizio fotografico, non poteva più
negare quanto Ville fosse bello e dannatamente affascinante. Non era il
suo
tipo eppure, il bel finnico le aveva scombussolato di un bel po' i suoi
gusti.
Ma
c'era Hanna e Ville stava con lei.
Sbuffando,
gettò via le coperte finalmente decisa
ad alzarsi. Se doveva perdere del tempo senza riuscire a dormire tanto
valeva
fare qualcosa che la distraesse.
Nonostante
lei non fosse nulla per Ville, a parte
la strega cattiva pronta a riprendersi Johanna se lui sgarrava e
nonché la zia
super di quest'ultima, aveva deciso di fare qualcosa di carino per il
finnico
visto che ormai era scattata la mezzanotte ed ufficialmente era il 22
novembre.
"
Mamma!
Zia! Oggi è il compleanno di Ville!"
Johanna
quel giorno era solita ricordarlo a tutti
appena si alzava dal letto. Lo aveva fatto per tutto quel tempo e ora
era
strano che i suoi auguri sempre mancati quella volta sarebbero arrivati
a
Ville.
Jackie
stava attenta a sciogliere il cioccolato
per la copertura finale del dolce.
Per
quella poca esperienza che aveva in fatto di
cucina e di dolci, sapeva che in cucina era importante non tralasciare
nulla:
aggiungere un ingrediente, mescolare con cura, abbassare la fiamma.
Erano tutti
piccoli accorgimenti che alla fine rendevano il cibo non solo buono ma
anche
invitante. In
quel momento, con
la fusione del cioccolato in atto, sapeva di non potersi distrarre.
Era
così concentrata sul calore ottimale del
liquido scuro da non accorgersi dell’ombra nascosta
all’angolo della porta.
Ville
evitò di spaventarla, restando silenzioso
e immobile mentre la ragazza colava sulla torta intiepidita una crema
scura
dall’odore inconfondibile.
Era
stupefacente come riuscisse a coprire la
superficie del dolce senza perderne una goccia, con movimenti morbidi
del
polso.
"
Che cosa stai combinando?"
Jackie
sobbalzò, felice di aver già posato il
pentolino accanto a lei.
"
Era una sorpresa per te."- sussurrò
alla torta togliendo un eccesso di crema e osservandola soddisfatta,
posizionandola
meglio al centro del bancone.
" Volevi prendermi per la gola, dolce strega?"- chiese Ville
avvicinandosi alla tavola.
"
Mi
sembrava carino fare qualcosa per te visto che ormai è il
tuo compleanno e
che..beh io sono ancora qui a disturbarti."
" Ancora con questa storia? Tu non disturbi! E comunque..sembra
buona."
Ville
la osservò compiaciuto, i gomiti poggiati
sul bordo e il volto tra le mani mentre Jackie toglieva la maggior
parte dei
recipienti utilizzati tranne uno contenente ancora un po’ del
ripieno. Mise un
cucchiaino accanto prima di sospingerlo verso Ville che, riconoscente,
mangiò
la crema senza preoccuparsi dello sguardo di Jackie su di lui.
Ci
mise qualche secondo in più del necessario
per terminare la coppetta, pulendosi con lentezza studiata le labbra
con la
lingua e lasciando alla ragazza giusto il tempo di perdersi in qualche
fantasia
poco casta prima di inchiodarla con un’occhiata profonda.
"Io
credo.."- propose Ville poggiando
la ciotola e alzandosi in piedi per girare intorno al tavolo.- "che ci
sia
un profondo legame tra ciò che mangiamo e ciò che
siamo".
"E'
per questo che ti dimentichi di
mangiare se qualcuno non te lo ricorda?" - chiese Jackie sarcastica.- "finirai per scomparire."-
lo
ammonì scherzosamente puntandogli contro un dito ancora
sporco di cioccolata.
Ville
le sorrise di rimando, afferrandole la
mano protesa verso di lui e portandosela al viso, trattenendola per il
polso.
"
Ah tranquilla, io non scomparisco.."
- le sussurrò vicino alla pelle sensibile del polso
scoprendo i denti in un
sorriso audace.
"
Che peccato.."- riuscì a sussurrare
Jackie adesso che il respiro del cantante le si infrangeva sul palmo
aperto.- "ma
è strana la
definizione di vampiro per uno che non mangia proprio." -
ribatté
caparbia, decisa a non cedere alla tentazione di flettere le dita e
sfiorare
quel volto.
Ville
sorrise, accondiscendente.
"Il
sangue del vampiro non ha nulla a che
fare con la carne, Jackie"- la istruì seducente.-
"è più una
questione di pelle"- rimase sospeso con le labbra ad un millimetro
dalla
sua mano prima di guardarla nuovamente negli occhi.- " di caccia,
sete..
di sesso".
Gli
occhi di Jackie stranamente decisi lo
fissavano imperterriti.
"Il
sesso non sa di sangue, Ville".
Il
cantante la osservò sorpreso. Di certo non si
era aspettato una risposta del genere, una così aperta
contraddizione ai suoi
pensieri.
Sorrise
spiazzato, la mano della ragazza ancora
intrappolata nella sua.
"Hai
ragione.."- si ritrovò a sussurrare.- "forse sa di
cioccolato."
Abbassò
lo sguardo, ritrovandosi ad osservare le
dita di Jackie, coperte a tratti dal cioccolato scuro con cui aveva
coperto la
torta. Abbassò le labbra sulla mano e ne assaggiò
un dito.
Jackie
aveva sempre considerato le sue mani
utili.
Forse
le sue non erano particolarmente capaci, o
belle, ma sicuramente sapevano fare qualcosa. Mai nulla di
straordinario come
quelle di Ville, che riuscivano a tirare fuori da una chitarra emozioni
ignote
persino a se stessa, ma almeno erano capaci di sapere usare una
macchina
fotografica, cogliere in uno scatto studiato i più grandi
paesaggi del mondo e
sapevano riconoscere la consistenza giusta per la pasta dei biscotti o
mescolare con cura una crema pasticcera o in generale, sapevano
muoversi in
cucina, meglio di quelle di qualunque altra ragazza che fosse passata
per la
torre, ma in sostanza non avevano mai fatto nulla di particolarmente
spettacolare per meritarsi le labbra di Ville Valo posate sui
polpastrelli, la
sua lingua leggera contro la pelle di ogni dito e il morso leggero dei
denti quando
decideva di dedicarsi ad un’altra falange.
Jackie
era in tilt e le
ginocchia
ad un passo dal cedere del tutto e lasciarla rovinare a terra o addosso
a lui.
La lucidità era dispersa in angoli remoti in cui la bocca di
Ville non era
impegnata a procurarle brividi di assoluta perdizione semplicemente
leccandole
le dita.
Non
aveva mai avuto molta immaginazione, ma di
una cosa era sicura: quel momento superava di gran lunga qualsiasi
fantasia più
sfrenata e delirante.
Ville
si concesse un altro secondo per
osservarla con gli occhi lucidi e le guance in fiamme prima di
abbandonarle la
mano con un ultimo bacio sul palmo e avvicinarsi con aria dannatamente
sexy.
La
ragazza con le labbra schiuse lo fissava
ancora sbalordita.
Ville
la osservò compiaciuto prima di poggiarsi
solo per un attimo su di lei e lasciarle un ricordo di cioccolato sulla
bocca.
Jackie lo sentì tremare un attimo soltanto prima di vederlo
ritrarsi con una
mossa di scherno, quasi infantile e andare via. Si girò di
spalle e sparì nel
buio della notte.
Ville
salì di corsa gli ultimi gradini fino alla
sua camera da letto. Si fermò un attimo a riprende fiato
contro la porta scura
con un pensiero martellante in testa.
Lo
stesso che l’aveva fatto tremare un solo
misero istante mentre il sapore del cioccolato si fondeva con il gusto
naturale
delle labbra di Jackie. Non capiva cosa gli fosse passato per la testa
e cosa
significava quell'attimo folle in cui era riuscito a fare il seduttore
da
quattro soldi con Hanna in camera da letto.
Nessun
colpo di fulmine questo era certo.
Nessuna
rivelazione improvvisa di eterna
appartenenza.
Eppure..
Eppure
una parte di lui, aveva vibrato
prepotentemente a quel sapore sulla bocca della bella newyorkese. Fu
come
un ricordo tenuto in sordina improvvisamente
riaffiorato.
L’eco
di qualcosa di passato che aveva con sé
anche uno strano riflesso del futuro.
Si
sentiva in famiglia quando era con Jackie e
Johanna, respirava quell'aria speciale che gli ricordava tanto la sua
famiglia
e la sua infanzia, specie quando Jackie si prendeva cura di lui per i
piccoli
dettagli. Era qualcosa che non aveva mai provato per nessun'altra,
né tanto
meno ricordava di aver mai provato.
"Stupido."-
mormorò a se stesso
ricomponendosi.- "non è nulla di importante"
Entrò
in camera sospirando e quando chiuse la
porta alle sue spalle vide Hanna avanzare verso di lui avvolta da una
morbida
vestaglia.
"
Dove sei andato?"- gli sussurrò
attraente avvicinandosi a lui sorridendo. Ville, pensando che
potesse
dimenticare, o almeno mettere da parte quella sensazione strana, la
prese tra le braccia.
La
ragazza approfittò della vicinanza per
sfiorare le labbra di Ville e scioglierlo in un bacio lento,
ridacchiando
leggermente al termine del contatto.
" Non pensavo che
fossi andato a mangiare
cioccolato."
IL FAMOSO ANGOLO DI VALS u.u
LO
SO, FACCIO SCHIFO! Ma capitemi! Ho avuto un sacco di cose
da fare. Mi è capitato quasi di tutto e la Musa Bastarda mi
aveva abbandonata
T___T
Spero
che siate contente dell'enorme capitolo che vi ho
lasciato, così colmate la mia assenza orribile u.u
E
ora??!?!?!??!??!?!
Eeeeh,
ora succederanno tante belle cose xD
Spero
che il capitolo sia stato di vostro gradimento, che i
personaggi non vi abbiano deluso dopo tutto questo tempo e che non mi
ammazziate per il finale alla katso che vi ho lasciato <3
Ringrazio
tutte voi per il supporto e anche a chi si è
aggiunto da poco! Benvenuti nel circolo dei Pazzi <3
Ci
sentiamo alla prossima
Un
bacio
Vals
Ps.
Scusate la presenza degli orrori grammaticali, se ci
sono, ma non ho controllato alla perfezione tutto il capitolo..la testa
ormai
non c'è più xD
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Dear Father
Capitolo
18
Se
per Jackie la cucina quella notte aveva
dovuto essere il luogo perfetto per annegare qualsiasi pensiero in un
impasto
di torta, si era sbagliata di grosso. La bella newyorkese, come Ville
la
chiamava lontano dalle sue orecchie, non aveva fatto i conti con le
attrazioni e
le varie sorprese che la torre offriva ai visitatori notturni. In
questo caso,
la bella fanciulla si era imbattuta nel padrone di casa, forse la belva
più
difficile da domare lì dentro.
In altri
termini, Jackie non aveva fatto i
conti con gli atteggiamenti ambigui che il proprietario della lugubre
torre,
Mister Diva, adottava quando decideva di trasformarsi in un seduttore.
E tutto
ciò aveva provveduto a far ricadere
Jackie in quel vortice di pensieri dal quale, con tutta se stessa,
aveva
cercato di liberarsi poco prima di avere la brillante idea di scendere
in
cucina. Era tornata a pensare a Ville e al motivo per cui Hanna le dava
sempre
quella sensazione di ricevere una pugnalata in pieno petto con una voce
annessa
che le sussurrava all'orecchio " non sarai mai elegante e bella come
lei!".
Non che Jackie
avesse voglia di diventare
come Hanna. In fondo, lei ci teneva ad avere un cervello e una lingua
più lunga
di un'autostrada di New York, ma il punto era che nonostante Hanna
potesse
avere molti difetti, era comunque una donna sicura, che sapeva
distinguere un
rosa acceso dal rosa antico, che si sapeva curare e che mostrava sempre
una
certa eleganza nei movimenti.
Tutto
ciò naturalmente, la riconduceva al
primo punto: Ville.
Questa volta
però, tale pensiero, si era
trasformato in qualcosa di più serio. Se prima Jackie
pensava a Ville
ripassando nella sua mente tutti i suoi pregi e difetti, soffermandosi
molto
sulla sua parte fragile, quella che forse mostrava solo a Mige o a
Jesse e che
lo rendeva più umano e interessante ai suoi occhi, ora la
lista era stata
aggiornata, a causa della situazione eccezionale accaduta una manciata
di
minuti prima.
Ed ecco ora
arrivare, dunque, la rubrica
" Taccuino di un giovane seduttore."
Jackie in vita
sua credeva di visto qualsiasi
forma di seduzione, ma mai si sarebbe sognata di assisterne ad una di
così
grande potenza. Sì, perché quello era stato un
vero e proprio attacco di
seduzione che nemmeno Casanova con tutta la buona volontà,
sarebbe stato in
grado di mettere in scena con così tanto fascino,
sensualità e delicatezza
misto ad un inconfondibile lato sexy, come
era stato capace di fare Ville Valo.
Quegli occhi erano capaci di immobilizzare la vittima senza il bisogno
di
costruire attorno ad essa una autentica gabbia. Bastava quello sguardo
sexy per
imprigionare le anime e accendere i bollenti spiriti e mandarli in
combustione.
Ciò
che in quel momento Jackie si chiedeva era
per quale motivo Ville avesse deciso di giocare con lei di punto in
bianco.
Davvero non
capiva.
L'unica cosa di
cui era sicura era il fatto
che quell'atteggiamento aveva provveduto a far crollare la certezza
che, in quel
periodo lì ad Helsinki, aveva avuto sulla grande delicatezza
e serietà che non
si aspettava minimamente da un uomo come lui.
La situazione
era stata ribaltata. Jackie
non era più certa dell'essenza di Ville; dopo quella
scenetta piccante, lei non
era più in grado di capire chi fosse il vero Ville Valo.
Iniziava a credere che
l'uomo fragile e impacciato che aveva conosciuto per tutto quel tempo
fosse uno
dei tanti Ville.
Ancora
incredula, era tornata in camera e
in balìa di questi discorsi mentali continuava a fare avanti
e dietro come se
aspettasse la chiamata per il patibolo. I battiti del cuore erano
ancora accelerati
mentre le mani stringevano i fianchi, come se questo le permettesse di
dare una
calmata al suo corpo, ancora eccitato dall'accaduto.
Era come se il
corpo e il cuore fossero
ancora lì in cucina, ,
tesi
a percepire ogni piccola
emozione stretti nella morsa letale di Ville Valo, il belloccio che nei
primi
mesi senza Johanna aveva odiato con tutta se stessa. Aveva dato la
colpa anche
a Marika di questo, poiché si sentiva presa in giro dalla
persona che le aveva
fatto giurare poco prima che la malattia la portasse all'ultimo
respiro, di
prendersi cura di Johanna, quella ragazza che aveva sempre sentito come
sua
figlia fin da quando era nata.
L'unico
componente, dunque, che sembrava
non essere soggetto alle passioni era il cervello.
Continuava a
lavorare, più del normale. Per
questo, Jackie, che per un momento si era appoggiata sul letto, si
alzò e cercò
di scacciare dalla sua mente il viso malizioso di quel finnico da
strapazzo. E
poi nuovamente si sedette e si abbandonò sul cuscino
sbuffando. Doveva smetterla
di pensare a tutto questo, di farsi paranoie inutili e di continuare a
vivere
come se niente fosse.
In fondo non era
mica finito il mondo!
" Stupida."-
sussurrò.- "
sei semplicemente una stupida che si fa prendere dalle frivolezze
inutili e
sciocche."
Si
girò verso la finestra e restò a fissare
la luce debole del lampione che inondava la sua camera.
Aveva smesso di
illudersi sugli uomini, da
un bel pezzo, da quando non credeva più nell'amore, negli
uomini fedeli e nella
capacità di riuscire ad avvicinarsi ad una persona in grado
di proteggerla e di
amarla senza farle del male. Non aveva dimenticato quello che aveva
subito, la
sua sottomissione ad un uomo che amava ciecamente, senza accorgersi
della vera
realtà, quella fatta di infedeltà, notti insonni
ad aspettare qualcuno che a
casa non rientrava, di sentirsi inutile e di aver dato consensi forzati
per far
felice un altro che non era lei.
Fissò
il soffitto e una piccola lacrima
velocemente morì sul cuscino.
Non era ancora
in grado di reagire alle sue
amarezze se non con un sospiro e qualche lacrima.
Eppure aveva
visto in Ville qualcosa di
diverso dagli altri, ma che non riusciva a spiegarsi e di cui aveva
paura,
molta..
Alla fine
terminò il suo lungo calvario
mentale chiudendo gli occhi e aspettando che la stanchezza la portasse
ad
addormentarsi senza altri pensieri.
Continuava a rigirarsi la foto tra le mani
mentre, in pigiama e con passo incerto, camminava nel corridoio in
direzione
della stanza di Ville. Johanna non sapeva se quella fosse la cosa
giusta da
fare, ovvero, donare la foto che sua madre le aveva dato prima di
morire, che
ritraeva lei e Ville molto giovani, a suo padre.
Quella notte
aveva pensato molto, sia se
valeva la pena separarsi da quella foto per un regalo e sia su che cosa
dire a
suo padre. Per lei era sempre difficile fare un discorso, a prescindere
se
l'avesse fatto a Ville Valo o al vicino di casa. Non riusciva ad
esprimersi al
meglio sui suoi sentimenti per via della sua timidezza.
E poi era strano
sapere che quel giorno lei
non doveva immaginare, come aveva sempre fatto, cosa facesse Ville Valo
in
occasione del suo compleanno. Aveva sempre pensato che Ville
festeggiasse con
la sua famiglia e qualche amico senza fare niente di spettacolare. Per
come era
lui, Johanna era sicura che le cose andassero come lei immaginava.
E ora era
lì, e avrebbe visto con i suoi
stessi occhi ciò che sarebbe accaduto.
Buffo come il
destino a volte giocava
questi incredibili scherzi..
Giunta davanti
alla porta deglutì e restò
per qualche minuto con il pugno in alto senza bussare. All'improvviso
le era
scomparso il poco coraggio che aveva racimolato.
Non
c'era più tempo per pensare, nemmeno alla cosa
più stupida. Era lì
davanti alla porta della sua stanza e, a meno che non avesse avuto
intenzione
di scappare come una codarda e rifugiarsi in camera sua, quello era il
momento
giusto per bussare e attendere che Ville le aprisse, o quanto meno, le
desse il
consenso anche solamente con la sua voce, ad entrare. Come tale, non si
aspettava di certo che la diva si alzasse dal letto per andare ad
aprire. Le
volte che era entrata in quella stanza, Johanna non avevano mai avuto
il
privilegio di vedere Ville pronto dietro alla porta ad aprire con
grande
allegria. Anzi, aveva dovuto combattere contro i grugniti di un
rachitico che
borbottava continuamente di lasciarlo dormire ancora un altro po' prima
di
prepararsi per accompagnarla a scuola. Ed erano ancora più
rare le volte che
Ville era già pronto e bussava alla sua di porta urlandole
di alzarsi.
" Ehi! Che stai
facendo?"
La voce di Ville
la fece sobbalzare e con
il cuore in gola, si girò verso di lui.
Non era
possibile! Era già in piedi e
pronto! Miracolo!
Questo non
faceva altro che peggiorare la
situazione, però. Johanna sembrava un automa.
" Hai perso la
lingua?"- le
chiese Ville avvicinandosi, divertito.
Johanna scosse
la testa e decisa rispose:
" no..ero venuta da te per.."
Si
bloccò e abbassò lo sguardo verso la
foto.
Guardò
nuovamente Ville e con un mezzo
sorriso disse: " beh..ehm..buon compleanno!"
" Grazie!"-
rispose allegramente
Ville, decisamente confuso dal comportamento strano di sua figlia.
" C'è
qualcosa che non va?"-
chiese cercando di catturare lo sguardo di Johanna che si era
nuovamente
nascosto.
Johanna
sospirò e lo guardò dritto negli
occhi.
" Io volevo
darti una cosa."
Allungò
la mano e consegnò a Ville la foto.
Ancora confuso,
il ragazzo guardò Johanna e
poi la foto.
Con enorme
sorpresa, Ville, fissò il suo
passato fra le sue dita e quella donna che sorrideva, bellissima, fra
le sue
braccia.
" Marika.."-
sussurrò.
" Questa foto me
l'ha data la mamma
prima che morisse."- annunciò Johanna schiarendosi la voce.-
" non te
l'ho fatta vedere all'inizio perché ero ancora arrabbiata. E
poi..non riuscivo
a crederci e quindi fissavo la foto cercando di capire se tutto quello
che
stava succedendo fosse vero. Soprattutto se fosse vero il fatto che tu
avresti
fatto parte della mia vita in maniera diversa. Io penso che la mamma
avrebbe
voluto che questa la consegnassi a te..quindi..beh..è tua
ora. "
Era davvero imbarazzata e per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi
fissi sulla
mano di Ville che teneva la foto. Ville era ancora incredulo
perché non aveva
pensato minimamente che Marika per tutto quel tempo avesse una loro
foto con
sé.
" Forse ho fatto
male a.."-
iniziò Johanna in preda al panico.
" No..no. sono contento che tu mi abbia voluto regalare questa foto.
Ultimamente mi sono chiesto più volte se Marika avesse
conservato qualche foto
nostra. Io l'ho fatto."- disse Ville sorridendole.
Johanna
sgranò gli occhi.
" Davvero?"
Ville aveva con
sé delle foto
di sua madre?
Ville ridendo
per via della
faccia sconvolta di Johanna, aprì la porta della sua stanza
e si avvicinò
all'armadio. Dopo aver trafficato abbastanza, da un cassetto estrasse
una
vecchia scatola. Johanna la guardò meravigliata, mentre
Ville le fece cenno di
sedersi accanto a lui sul letto ancora disfatto.
Il ragazzo
sollevo il
coperchio e finalmente Johanna poté vedere cosa si celasse
all'interno.
C'erano vari
oggetti e a
giudicare dall'aspetto erano molto vecchi, probabilmente erano piccoli
ricordi
che Ville stesso conservò per avere con sé le
cose a cui si era affezionato.
Johanna non volle essere una ficcanaso, per questo non chiese nulla,
specie di
quel vecchio bottone rosso che stonava con tutto il resto.
Aspettò che fosse
suo padre a parlare.
Ville proprio in
quel momento
tirò fuori una foto e guardò per qualche istante
Johanna. Poi sorridendo gliela
porse. E lei confusa, prese la foto guardando prima Ville e poi la foto.
C'era una donna
molto giovane
davanti ad una casa e affianco a lei c'era sempre Ville. Sembrava che
tale foto
fosse collegata alla sua poiché i due indossavano gli stessi
indumenti e Marika
aveva gli stessi capelli ricci e corti con un nastro.
Immaginò che questa fosse
stata scattata prima della foto che aveva conservato sua madre.
Quella doveva
essere la casa
di Marika lì ad Helsinki. Lei e Ville sorridevano e le loro
posizioni erano
spontanee, segno che la foto era stata scattata all'insaputa dei due.
Marika
era così bella che Johanna non le riusciva a staccare gli
occhi.
E Ville non
aveva nessuna
traccia di malinconia sul viso, come mostrava ora. Era un giovanotto
spensierato.
" Ti piace?"
Johanna
annuì.
" Questa la
scattò Mige.
Sai, quel giorno si divertiva a fare foto all'impazzata. ' Voglio fare
una foto
originale!' diceva. Ero appena giunto a casa di tua madre.
Lì stavamo parlando.
Penso che tua madre stesse dicendo una sciocchezza sui suoi capelli.
Sai, a lei
piaceva molto scherzare. Era così allegra che alle volte mi
domandavo se era
vera. Riusciva a riempire le mie giornate, ad inondarle di luce anche
quando
erano davvero pessime. Non capii mai cosa l'avesse colpita di me,
così tanto da
innamorarsi di un burbero e antipatico come il sottoscritto."
" Me lo chiedo
anche
io."- scherzò Johanna.
" Ehi!"-
esclamò Ville fingendosi
offeso. Johanna ridacchiò e consegnò la foto a
Ville. Lui la rimise
accuratamente nella scatola. Poi prese la foto che gli aveva regalato
Johanna e
la mise vicina all'altra e chiuse la scatola per rimetterla al suo
posto.
Forse in quel
momento Johanna avrebbe
dovuto dire qualcosa di carino, o aggiungere qualche parola in
più di un
semplice ' buon compleanno'.
Forse avrebbe
dovuto pronunciare quella
parola magica, ' papà', ma non era in grado di farlo.
E questo le
dispiaceva.
" Ville io.."
" Amoreee!"
Ma Hanna
riuscì ancora una volta a rovinare
tutto.
Ville le
andò incontro senza però baciarla.
' Meno male',
pensò Johanna.
" Che stavate
combinando voi
due?"
' Saranno fatti
nostri, no?', aveva voglia
di rispondere la ragazza.
"
Stavamo..parlando."- rispose
invece Ville, cercando di sorriderle. Era difficile farlo, dopo essersi
perso
nei ricordi più felici che conservava gelosamente nel suo
armadio.
" Oh che cari!"-
esclamò Hanna
con voce stridula. A Johanna venne l'istinto di alzarsi e ammazzarla.-
"
scendiamo?"
"
Sì.."- rispose Ville.- "
tu intanto preparati altrimenti faremo tardi."
" Ok.."- disse
con tono spento la
ragazzina che si alzò dal letto e uscì arrabbiata
dalla stanza.
Ville non si
accorse di nulla e quindi
scese con Hanna le scale, cercando di sorridere a quella donna che non
aveva
nulla di simile a lui.
Quando entrarono in cucina, ancora una
volta Ville non pensò minimamente all'eventuale presenza di
qualcun altro e
così si lasciò baciare appassionatamente da Hanna.
Jackie proprio
in quel momento spense il
fornello e dopo aver messo il caffè nella tazza,
alzò gli occhi al cielo
vedendo quella scena.
" Buongiorno
anche a voi."- disse
infastidita.
E naturalmente
Ville, come era successo per
le altre poche volte, si imbarazzò e cercò di far
finta di niente.
" Ciao Jackie!"
Jackie
disgustata non lo guardò nemmeno e
continuò a preparare la colazione per Johanna, indignata.
Ormai era stufa di
quella scenetta, inutile e stupida. Una scenetta che ormai sapeva a
memoria e
la cosa non la esaltava affatto. Anzi, avrebbe preferito evitare di
essere la
stupida di turno, sempre presente in quelle circostanze, ma non poteva
prevedere il futuro. E come tutte le volte che accadeva, evitava di
guardarli e
tossicchiava per rendere evidente la sua presenza, almeno per quello
che poteva
contare.
E come tutte le
volte, Ville non sapeva
cosa dire e fare e finiva per darsi dello stupido, perché
sapeva bene che
poteva evitare ogni tipo di smanceria davanti a Jackie, soprattutto
perché
nemmeno a lui piaceva comportarsi in quella maniera. Ancora una volta
entravano
in gioco i falsi sentimenti che mostrava ad Hanna, quelli che ancora
non
riusciva ad abbandonare. Non c'era un motivo preciso perché
lui si comportasse
in quel modo. Probabilmente lo faceva per via della sicurezza di poter
giocare
come voleva con il cuore di una donna che non gli era mai davvero
piaciuta, ma
che non era così forte da contrastarlo, da disarmarlo,
perché lui non aveva
voglia di mettersi in gioco, di amare veramente.
Ma le cose
sembravano cambiare come le
stagioni e il tempo.
Alla fine tutto
era destinato a cambiare,
perfino e forse ancora di più, quelle abitudini radicate nei
cuori spenti, che
si erano arresi e non avevano più voglia di mettersi in
gioco. Ma quando il
sole li colpiva, era difficile per loro lasciare la strada comoda per
imboccarne una un tantino tosta, anche se lo volevano. E questo Ville
lo sapeva
bene. In lui si erano spente tutte le luci e aveva finito per abituarsi
alle
comodità piuttosto che reagire a ciò che nemmeno
gradiva.
Ma Jackie era
lì, e lui doveva prendere
delle decisioni sul da farsi. Non poteva giocare per tenersi stretta la
comodità e allo stesso tempo ambire a ciò che era
nuovo e giusto per lui.
Doveva decidersi
ed evitare scenette
stupide sia di giorno che di notte.
Già,
la notte. Più precisamente quella
appena trascorsa.
Non aveva
bevuto, non aveva fatto uso di
sostanze stupefacenti, eppure sapeva benissimo che quello che aveva
fatto era
stata una perfetta cazzata. Si era dato del coglione e aveva pensato
quasi
tutta la notte a Jackie e alle sue possibili reazioni, dal momento che
conosceva perfettamente quanto potesse essere insolito per lei vedersi
quegli
atteggiamenti proprio da lui, dal cretino della torre. Sapeva quanto
Jackie non
sopportasse quei modi di fare, per via di cose che lui non conosceva
fino in
fondo, appartenenti ad un passato che forse non avrebbe mai conosciuto.
La cosa certa,
almeno secondo lui, riguarda
il fatto dell'essersi giocato il tutto e per tutto con Jackie, solo
perché non
aveva le palle per dirle che si stava interessando a lei più
del dovuto e farle
capire che con Hanna non aveva intenzione di metter su famiglia e che
nemmeno
la amava come forse Jackie pensava.
Cosa avrebbe
dovuto pensare dopo tutte le
scene sdolcinate che era costretta a subire, sennò?
Era
più opportuno precisare che Ville aveva
deciso di chiudere la porta in faccia all'amore, nel momento in cui
esso si
faceva vivo. Così evitava gli sguardi, le donne che potevano
interessargli
davvero e che potevano compromettere la sua routine e finire per
coltivare un
deserto in fondo al suo cuore. Ma evitare Jackie era come evitare di
scrivere
una canzone.
Ville aveva mai
voluto evitare un pezzo di
carta?
La risposta era
già nella domanda.
Si
grattò la nuca e aspettò che Hanna se ne
andasse. Un po' in cuor suo aveva timore di restare solo con Jackie, ma
allo
stesso tempo non vedeva l'ora che Hanna andasse via perché
non sopportava più
la sua presenza.
" E' tardi, devo
andare. Mi aspettano
sul set."- disse in quel momento la bionda prendendo la sua giacca e la
borsa. Il ragazzo sospirò sollevato.- " ci vediamo dopo."
Diede un ultimo
bacio a Ville e andò via
senza salutare Jackie, che continuava a sistemare qua e là
senza guardare nella
loro direzione.
Era proprio sul
punto di andare via dalla
cucina quando..
" Jackie!"- la
voce di Ville la
bloccò interamente.
Dovette voltarsi
e simulare che stesse
tranquilla.
" Sì?"
Ville si
fermò esattamente a pochi passi da
lei. Jackie iniziò a sentire il suo cuore battere
più veloce del normale.
"
Ecco..volevo..volevo scusarmi per
stanotte. Non era mia intenzione spaventarti o farti fare un'idea
sbagliata di
me. Ecco..non so cosa mi sia preso. Di sicuro sono stato stupido."
" Tranquillo.
È tutto okay."
Le parole le
uscirono di bocca senza che ci
avesse pensato. Ville la osservò meglio per capire se stesse
mentendo.
Evidentemente Jackie era così brava a fingere.
" Sicura?"
'No', avrebbe
voluto rispondere
prontamente, ma quel "no" implicava un casino di spiegazioni che
probabilmente lei stessa non sarebbe riuscita a sostenere in maniera
chiara e
precisa, inciampando in ogni parola che avrebbe proferito. Era meglio
non
rischiare di finire in una gabbia, quando poteva evitare di mettersi
nei guai.
E per una volta,
Jackie Smith, conosciuta
per i suoi casini appena apriva bocca, decise di seguire il consiglio
che la
sua testa le bisbigliava. Mentire in quel momento, in fondo, le
sembrò
semplicemente un modo per mandare avanti quella insolita convivenza,
anche se
la sua coscienza era di un altro parere. Con un enorme sforzo Jackie
riuscì a
mettere da parte i sensi di colpa, o meglio, nascose quasi
perfettamente
quell'impulso di mandare a monte i suoi piani e affrontare tutte le
spiegazioni
che quel " no" comportava.
" Sì,
tutto okay."- ripeté
sforzandosi questa volta di sorridere. Qualsiasi persona al mondo avrebbe capito che
quel sorriso celava
ben altro dello stare bene. Tutti avrebbero capito che Jackie fingeva.
Tutti
tranne Ville. Perché Ville non prestava mai attenzione ai
piccoli dettagli. In
tutti quegli anni non era mai riuscito ad imparare o a migliorare. Si
accorgeva
delle cose solo dopo averci riflettuto o quando queste erano talmente
evidenti
che perfino un bambino sarebbe riuscito a capirle.
Ville
annuì, fidandosi delle parole di
Jackie senza andare più affondo nella questione. Anche se
voleva farlo, non aveva
le parole adatte, ma soprattutto, non aveva tempo. Aveva una riunione
agli
studi e doveva lavorare su una nuova melodia e quando si tratta di
questo,
nulla doveva distrarlo. Nessun pensiero doveva ostacolare i suoi piani.
Eppure,
nonostante entrambi, chi per un
motivo e chi per un altro, fingessero che quella piccola scenetta
notturna non
avesse procurato turbamenti sentimentali e psichici,
l'aria che si respirava in quella stanza
divenne decisamente carica di imbarazzo. Sia Ville che Jackie sapevano
che le
cose erano cambiate, in maniera sottile, quasi invisibile, ma non
avevano
intenzione di fare qualcosa. E cosa ci avrebbero guadagnato non
mettendo alla
luce ciò che realmente pensavano?
Ville
iniziò ad essere impacciato nei
movimenti e fece cadere il suo cellulare e le chiavi della macchina
mentre
tentava di sistemarsi la giacca. Jackie per un attimo
arrossì ripensando alla
scena.
Fortunatamente
in quel preciso istante
arrivò Johanna correndo come una matta. Ancora una volta era
in ritardo. La sua
entrata in scena fece calmare i bollenti spiriti e tutto apparentemente
tornò
al suo posto.
" Ville!"-
esclamò la ragazza
riprendo fiato.- " pensavo di non trovarti."
" Sei sempre la
solita ritardataria.
Io non riesco a capire da chi tu abbia preso."
" Non mi sembra
che tu sia sempre in
perfetto orario. Anzi non lo sei mai! La dimostrazione sono tutte
quelle volte
che vieni in ritardo a prendermi a scuola. E non inventarti scuse."-
concluse Johanna facendo tacere suo padre che stava per aprire bocca.
Ville,
colpito e affondato, squadrò sua figlia con aria minacciosa
e disse: "
muoviti. Non ho l'eternità per aspettarti."
Johanna
guardò suo padre e all'improvviso
scoppiò a ridere.
" E ora che hai?"
" Niente."
" Come sarebbe a
dire niente?"-
esclamò Ville, decisamente alterato.
" Niente, mi
è scappato."
" A meno che tu
non sia impazzita, ed
è molto probabile, non penso che sia normale ridermi in
faccia."
Ne andava di
mezzo l'ego della diva!
" Oh e va bene!
Beh se proprio lo vuoi
sapere..ti sei messo la giacca al contrario."
Ville si
guardò e notò il piccolo
inconveniente. Anche Jackie, che aveva osservato la scena divertita,
scoppiò a
ridere. La guardò e per un istante di follia
pensò di non aver mai visto un
sorriso più bello di quello. Jackie era esattamente questo:
una ragazza
spontanea e andava trattata con la dolcezza e la simpatia che lui
doveva
ripescare da qualche parte, nell'antro della sua spelonca situata nel
petto.
Si rimise la
giacca sorridendo e poi disse:
" bene, gente. Non c'è niente da vedere."- poi si rivolse a
sua
figlia.- " vogliamo andare, miss so tutto io?"
" Andiamo."
Johanna diede un
bacio sulla guancia a
Jackie e poi scappò via, lasciando la porta aperta. Ville
scosse la testa e poi
girandosi verso Jackie, la salutò alzando la mano.
" A dopo."-
disse.
" Ciao."
E appena anche
Ville abbandonò la torre,
Jackie tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò
sulla sedia della cucina.
Ancora un altro po' e non sarebbe più riuscita a sostenere
la situazione.
" Maledetto di
un Valo."-
sussurrò alla tazza del caffè ancora piena.
" E così mi disse che non faceva altro
che pensarti."
" Mark è solamente uno stupido."- sbottò Johanna
aprendo
violentemente l'anta dell'armadietto.
Mark,
nonostante il primo impatto, aveva
finito per mostrarsi per quello che era: uno sbruffone di prima
categoria a cui
piaceva più apparire che essere. E Johanna non aveva tempo
per gli sciocchi
come lui. Lei aveva da pensare a molte cose, come al fatto che prima
della
festicciola per Ville aveva intenzione di dirgli esattamente che lei,
nonostante i difetti, aveva intenzione di chiamarlo papà.
Una cosa molto
difficile non solo da dire ma anche da pensare per convincersene.
" Io che cosa vi ho sempre detto?"- disse Arja con l'aria di una che
la sapeva lunga.- " non volete mai ascoltarmi."- chiuse il suo
armadietto e aspettò che lo facessero anche le altre.
Johanna mise da parte il
libro di matematica e lo zaino e prese il raccoglitore con dentro gli
spartiti
e la chitarra che quella mattina aveva portato con sé e
messa nell'armadietto
nell'attesa della lezione. Aveva pensato che il corso di musica fosse
una
passeggiata, ma si accorse ben presto che bisognava davvero faticare
per
ottenere anche il minimo risultato. E la cosa un po' la buttava
giù.
Probabilmente fino a quel momento si era solamente illusa di poter
essere in
grado di sapere fare qualcosa. Ognuno aveva un talento e lei pensava
che fosse
il canto, ma più andava avanti e più capiva che
nonostante riuscisse a farcela,
gli sforzi la sfinivano e iniziava a credere che se era così
difficile, allora
lei non aveva al cento per cento il talento del canto.
Sia Marianne che
Arjia le avevano ripetuto
fino alla nausea che quelle fisse ce le aveva solo lei.
"
Sei la più brava del corso, perché dici questo?"
Ma
ciò invece di incoraggiarla, la faceva
sentire ancora più incompresa. Lei sentiva che c'era
qualcosa che non andava. Suo
padre non si era mai espresso su questo argomento, nonostante la
sentisse
cantare mentre si esercitava a suonare la chitarra e il piano. Ville si
limitava ad ascoltarla accanto alla porta senza proferire parola. A
volte
andava anche via mentre lei pensava che stesse lì. Si
voltava emozionata e poi
con delusione scopriva che Ville non c'era.
E
questo non l'aiutava.
Non riusciva a
capire se stesse andando
bene o meno. Iniziava a pensare che a suo padre non gliene fregava
nulla di
questo.
E in tutto
questo ci si metteva anche il
pensiero di sua madre. Forse era per via delle foto che Ville le aveva
mostrato
che ora sentiva ancora di più la sua mancanza.
" Johanna,
c'è qualcosa che non
va?"- chiese Marianne mentre si dirigevano verso il grande cortile per
fare pausa.
" Tutto okay."
" Allora questo
significa che ci
canterai qualcosa prima di abbandonarci per il tuo corso?"- chiese
allegra
Arja sedendosi su una pietra. Johanna si guardò intorno e
vide che la sua amica
aveva scelto il posto più appartato di tutti. Il cortile era
molto più grande
di quello della sua scuola a New York. Se proprio doveva dirla tutta,
lì a
Helsinki tutto era decisamente migliore delle cose che c'erano nella
sua città
natale.
Mentre osservava
il luogo, si accorse che
più in là c'era un ragazzo, che seduto su una
panchina, stava scrivendo
qualcosa su un quadernino. Era molto concentrato e scriveva molto
veloce, come
se volesse in tutti i modi che le parole che uscivano dalla sua testa
dovessero
tutte essere impresse sul foglio. Indossava una giacca di pelle nera,
decisamente molto strano per il freddo che c'era, e aveva un paio di
occhiali
da sole tondi fra i capelli neri che gli arrivavano alle spalle. A
giudicare
dall'aspetto, doveva essere un assiduo ascoltatore di musica metal,
eppure per
quanto era mingherlino Johanna non pensava minimamente che potesse
essere un
duro. Guardandolo attentamente si ricordò che quel ragazzo
lo aveva visto al
corso di musica che lei frequentava, ma con il quale non aveva mai
scambiato
una parola. Si sedeva sempre all'ultimo banco e non parlava mai con
nessuno.
Johanna continuò a guardarlo, fino a quando non fu lui
stesso ad alzare lo
sguardo e a puntarlo su di lei che immediatamente lo distolse
imbarazzata, e
tornò a guardare le sue amiche.
Il ragazzo,
incuriosito, restò a guardare
Johanna dimenticandosi di scrivere le ultime parole che gli erano
venute in
mente. Quella ragazza credeva di conoscerla. Poi si ricordò
del corso di musica
e si ricordò di lei, che si sedeva sempre al secondo banco.
Per una volta la
sua memoria non lo aveva tradito.
Poco dopo,
guardò per un'ultima volta
Johanna e tornò a scrivere.
" Il tizio ti
stava guardando."-
disse Arja.- " ma non ti girare."
Johanna fu
meravigliata, ma non si mosse.
" Oh! Il
principe oscuro!"-
esclamò Marianne ridacchiando.- " è carino, vero?"
" Non saprei.
Non mi interessa, quindi
non so dirlo. È solo che..mi fa strano vederlo sempre da
solo."- rispose
Johanna che iniziò ad accordare la chitarra.
" Eppure da come
lo guardavi non
sembrava così."- insistette Marianne. Johanna distolse lo
sguardo dalla
chitarra e disse: " non ho voglia di parlare di questo. Oggi ho mille
pensieri per la testa e non voglio discutere su chi possa essere bello,
brutto,
leggermente strabico o perfetto."- si alzò e senza
aggiungere altro andò
via.
" Seguiamola."-
disse Marianne,
che non si era fatta intimorire dalla collera dell'amica. Johanna
passò davanti
al ragazzo senza guardarlo e tornò dentro.
Quando Marianne
e Arja la riuscirono a
trovare, era seduta a terra vicino al suo armadietto.
" Ehi.."-
esordì Arja sedendosi
accanto a lei.
" Tesoro, se hai
bisogno di sfogarti noi
siamo qui. Non devi tenerti le cose dentro."- disse Marianne
togliendole
una ciocca dei capelli dagli occhi e mettendogliela dietro l'orecchio.
Johanna
non stava piangendo. Semplicemente la giornata era storta e non sapeva
più come
affrontarla.
" Non
c'è un motivo
preciso..semplicemente è una giornata..strana."-
commentò Johanna.- "
ci sono cose che non riesco a spiegare bene e che mi innervosiscono per
questo."
Marianne la
abbracciò e Arja si aggiunse
all'abbraccio. Johanna a momenti non respirava, ma non fece nulla per
togliersele di dosso. Aveva bisogno di qualcuno che in quel momento non
parlasse, ma allo stesso modo le facesse capire che era lì
per stare con lei e
sopportare i suoi malumori.
" Grazie."-
disse alla fine sorridendo.
In qualche modo
aveva ritrovato un po' di
tranquillità, anche se non sapeva fino a quando sarebbe
durata.
Il corso di
musica quel giorno le sembrò
durare poco e niente. Forse perché per evitare che tutti i
pensieri che aveva
la affogassero, si era concentrata su l'unica via che aveva per
liberarsi di
tutti i fardelli che era costretta a portarsi sulle spalle.
L'assenza di una
mamma.
Il volersi
legale ad un padre appena
conosciuto.
Volerlo chiamare
papà, ma non riuscirci.
Avere la
consapevolezza che la sua zia
acquisita prima o poi sarebbe andata via.
Sentirsi ad
Helsinki più sola che mai.
La musica, in
molti dicevano che era per
depressi, in realtà era l'unico modo che permetteva alla
gente di andare avanti
e sopportare tutto ciò che faceva male.
Aiutava a vivere.
Johanna
seguì l'intera lezione senza farsi
distrarre da nulla e prese appunti su tutto ciò che secondo
lei le sarebbe
servito per migliore. Quando uscì dall'aula era ancora
completamente
concentrata che non fece attenzione e si scontrò con
qualcuno.
Quando
alzò gli occhi si accorse di essersi
scontrata con il ragazzo solitario, anche lui con la chitarra.
" Scusa."- disse
Johanna evitando
di guardarlo e allontanandosi rapidamente.
' Ci mancava lui
adesso', pensò infastidita
mentre si avvicinò all'armadietto. Prese lo zaino, se lo
infilò sulle spalle
facendo attenzione alla sua chitarra e dopo aver preso il raccoglitore
si avviò
verso l'uscita aspettando che suo padre la venisse a prendere.
Quando
respirò l'aria fredda dell'esterno,
aguzzò la vista per riuscire a scorgere Ville, ma di lui non
c'era nessuna
traccia, così si sedette sulle scale e aspettò
che arrivasse. Per paura di
finire ancora una volta con il fare a pugni con i suoi pensieri,
Johanna decise
di suonare un po' la chitarra.
Non l'avrebbe
vista nessuno. Chi poteva mai
esserci alle tre del pomeriggio, se le lezioni normali finivano
all'una?
" Happiness
More or
less
It's
just a change in me
Something
in my liberty
Oh, my, my
Happiness
Coming
and going
I watch
you look at me
Watch my
fever grow and
I know
just where I am
But how
many corners do I have to turn?
How many
times do I have to learn
All the
love I have is in my mind?
But I'm
a lucky man
With
fire in my hands.."
Ma si
interruppe, poiché quella canzone le
ricordava sua madre, colei che aveva assecondato il suo desiderio di
voler
imparare a suonare la chitarra e che non perdeva mai l'occasione di
ascoltare
tutto quello che lei, Johanna, le presentava ogni volta che aveva
voglia di
suonare.
" Secondo me non
hai accordato molto
bene la chitarra."
Johanna
sobbalzò e voltandosi vide lo
stesso ragazzo di prima sedersi accanto a lei.
Chissà
da quanto tempo era lì!
Improvvisamente
diventò rossa e maledisse
Ville per non essere mai puntuale.
" La mia
chitarra è apposto."-
tagliò corto lei.
" Non volevo
offenderti."- disse
lui. Non era arrabbiato, ma nemmeno molto allegro. Il suono delle sua
voce
sembrava piuttosto atono. Johanna si azzardò a guardare
nella sua direzione e,
per sua fortuna, il ragazzo non la stava guardando.
" No
è che sono io che sono un po'
nervosa oggi."- si scusò Johanna, cercando di capire cosa
avesse lui.
" Capita a
tutti."- concluse il
ragazzo con lo stesso tono di prima.- " io sono Thomas."
Johanna,
spiazzata dalla mano che il
ragazzo le tendeva, lo guardò e poi la strinse.
" Johanna."
" La figlia di
Ville Valo, vero?"
" Sì."
" Fico!"-
esclamò Thomas
accennando, per la prima volta, un piccolo sorriso.
' Non tanto'
Nessuno poteva
capire la difficoltà del
relazionarsi alla persona che mai avresti pensato, nemmeno sotto
effetto degli
stupefacenti, potesse far parte in questo modo della tua vita, da un
giorno
all'altro.
Qualcuno aveva
mai avuto la stessa
esperienza, quella di ritrovarsi accanto alla propria madre in fin di
vita che
ti rivelava l'esistenza di un padre che tu non volevi più e
che addirittura era
speciale, così tanto che nemmeno nei tuoi sogni
più selvaggi sarebbe comparso?
Beh, a meno che
non era scema, nel mondo
c'era un solo Ville Valo speciale, il
suo idolo. Quindi non poteva esserci nessuno al momento che
poteva aver
avuto la sua stessa esperienza.
"
Già.."
Johanna
guardò nuovamente Thomas, che
indicando la sua chitarra chiese: " posso?"
Lei, confusa,
gliela porse e osservò le
operazioni che il ragazzo attuava.
" Ora dovrebbe
andare bene. Prova a
suonare di nuovo."- le suggerì alla fine riconsegnandogliela.
Lei
suonò nuovamente la canzone e si
accorse che il suono era perfetto. Come aveva fatto a non accorgersi
che aveva
accordato in malo modo la chitarra? Non le era mai capitato!
" Grazie."
" Di nulla."
I due si
scambiarono un piccolo sorriso
prima di ricadere nel silenzio e nell'assenza di emozioni. Proprio in
quel
momento Johanna osservò meglio l'abbigliamento del ragazzo.
Era
completamente vestito di nero e
indossava uno strano paio di stivali, anch'essi neri. Johanna
pensò che erano
simili a quelli che indossavano i componenti delle band che suonavano
black
metal e che le avevano fatto sempre una certa impressione. Una piccola
catena
spuntava da un lato dei pantaloni, mentre quella giacca di pelle la
fece
nuovamente rabbrividire. La cosa ancora più stramba erano i
bracciali che
indossava: sembravano fili spinati. Aveva voglia di toccarli per capire
se lo
erano per davvero, ma decise di farsi gli affari suoi. Ancora di
più, sgranò
gli occhi, quando vide meglio gli anelli strani che aveva alle dita. Ne
contò
in tutto cinque. Poi guardò la maglia che si intravedeva
sotto alla giacca di
pelle.
Black Sabbath.
" Anche tu sei
fan dei Black
Sabbath?"- chiese spontaneamente.
Thomas, che
sembrava essersi perso fra i
suoi pensieri, disse: " cosa?"
Johanna esaltata
indicò la sua maglia e lui
la toccò e poi rispose: " ah! Sì, sono un loro
grande fan."
Grande come
Ville?
Johanna aveva
sempre pensato che non c'era
fan dei Black Sabbath più fan di Ville Valo. Gli mancava
solo l'anima da
fangirl e poi poteva stare apposto. Johanna evitò di pensare
a suo padre come
fangirl in quel momento e si limitò a sorridere.
" Anche tu lo
sei?"- chiese a sua
volta il ragazzo che sembrava sorpreso.
" Sì."
" E' strano."
" Che io sia fan
dei Black
Sabbath?"- chiese confusa Johanna.
" Che una
ragazza lo sia."- la
corresse Thomas.
" E'
così anormale?"
" Beh, qui
sì."
" Ah!"
Il ragazzo
guardò l'orologio che aveva al
polso e disse: " devo andare."
Sì
alzò, prese le sue cose e mettendosi gli
occhiali da sole tondi come quelli di Ozzy Osbourne, la
salutò.
" Ci vediamo,
Johanna."
" Ciao."
Lo
guardò andare via verso una metà
sconosciuta, con la chitarra appoggiata con noncuranza sulle spalle.
" Che tipo
strano."- sussurrò
Johanna mentre lo vide sparire.
Proprio in quel
momento vide arrivare un
auto e finalmente Ville si era deciso, con tutti i suoi comodi, di
venirla a
prendere.
" Pensavo che ti
avessero rapito gli
alieni."- disse infilandosi in macchina.
" Scusa. Seppo
mi ha trattenuto più
del dovuto."
" Sei scusato
solo perché oggi è il
tuo compleanno."- sbottò Johanna mettendosi la cintura.
" Come sei
gentile!"
" Anche troppo."
Entrambi si
guardarono e scoppiarono a
ridere.
Era bello quando
si sentiva capita e veniva
sostenuta nelle battute. Ed era ancora più bello se a farlo
era suo padre.
" Come
è andata al corso di
musica?"
Davvero le aveva
fatto quella domanda?
" Bene."
" Per bene
intendi bene bene o bene?"
" Non
confondermi."
" Ma io voglio
sapere!"
" Bene."
" Mmh."
" Che
c'è?"- chiese Johanna
girandosi quasi completamente verso di lui.
" Niente."-
rispose Ville sorridendo allegramente.
Quando giunsero
a casa Johanna trovò Jackie
in salotto e la salutò buttandosi completamente fra le sue
braccia.
" Tesoro mio!"-
esclamò la donna
stringendola al petto.- " vieni in cucina così mi dici cosa
c'è che non
va."
Jackie le aveva
sussurrato all'orecchio in
modo tale che il mister non sentisse nulla e non si allarmasse.
Quando le due
furono in cucina Johanna
disse: " volevo parlare con Ville dopo e dirgli..insomma."
" Ti sei decisa?"
Johanna
annuì, anche se non ne era proprio
convinta.
" Sei molto
coraggiosa."- disse
sorridendo Jackie.- " ma ricordati che non sei costretta a farlo."
" Lo so, ma oggi
è un giorno diverso e
io vorrei fare qualcosa di più per lui."
Jackie
lasciò da parte la pentola con
l'acqua e andò a dare un bacio sulla fronte alla sua
figlioccia.
" Sono sicura
che tutto andrà per il
verso giusto."
" Lo spero."
Le ore stavano scorrendo lentamente e il
momento stava arrivando.
Prima
dell'arrivo degli altri, Johanna
avrebbe voluto fare il suo discorso a Ville, ma più
passavano le ore e più il
coraggio le veniva meno.
Pensava a come
Ville fosse cambiato in quel
periodo e a come si comportasse meglio con lei. Andavano d'accordo,
anche se
c'erano sempre i battibecchi, ma lei doveva ammettere che adorava quei momenti.
Non riusciva a
continuare il compito a casa
di religione, ma tanto non le importava troppo. Così era
scesa in salotto e si
era messa al pianoforte.
Per lei le
religioni erano semplicemente
delle tradizioni inventate dagli uomini per darsi delle regole
più severe.
Aveva smesso di credere a qualsiasi cosa fin dal primo giorno senza sua
madre.
Se esisteva un
Dio, perché doveva essere
così cattivo da averle tolto sua madre?
La sua tesi la
convinceva sempre di più.
Nulla esisteva.
Una volta il suo
insegnante di religione
chiese alla classe: " che cosa è necessario
perché un uomo viva felice la
sua vita?"
Johanna non
credeva che fosse necessario
vincere alla lotteria per vivere bene. Lei avrebbe vissuto felice se
sua madre
fosse stata ancora viva.
Un uomo poteva
essere felice solo se poteva
vivere con al fianco le persone che più amava. Quello gli
permetteva di
superare qualsiasi ostacolo, insieme alla musica.
Persa in quei
ragionamenti, Johanna decise di
suonare un po' prima di affrontare Ville.
" No
warning sign, no alibi
We’re
fading faster than the speed of light
Took a
chance, crashed and burned
No one
will ever, ever learn.."
Le dita
scivolavano delicate sui tasti
prima di riprendere.
" I
fell apart, but got back up again
And then
I fell apart, but got back up again.."
Doveva
rialzarsi, vincere le sue paure,
fare di tutto per sentirsi meglio.
" We
both could see crystal clear
The
inevitable end was near
Made our
choice, trial by fire
To
battle is the only way we feel.."
Ville in
silenzio, giunse in salotto,
curioso di vedere Johanna cantare.
Era davvero
brava e con il tempo era anche
migliorata.
Voleva
dirglielo, ma non aveva mai avuto
modo per esprimersi su tale argomento, poiché aveva sempre
timore che potesse
dire qualcosa di sbagliato. Amava sentire Johanna suonare il
pianoforte. La
casa era più piena e ciò lo faceva sentire
più felice.
Da quando Ville
non era più felice? Non se
lo ricordava più.
Sorrise
appoggiandosi al muro, aspettando
che Johanna terminasse.
" Lo sai che
potrei metterti in
castigo per due mesi?"
Johanna
sobbalzò e poi guardò suo padre.
" Solo
perché a te non piacciono i
Thirty Seconds to Mars."
" Esatto."
Ville si
avvicinò e si sedette accanto a
lei. Johanna si meravigliò e sentì che il suo
cuore fece una capriola di gioia.
" Eppure sapevi
che questa canzone è
la loro. A questo punto mi viene da chiederti come mai la conosci visto
che non
è nemmeno famosa."- disse divertita. Ville suonò
un tasto e poi guardò
Johanna.
" Una volta tuo
zio Jesse la suonò e
mi disse di chi era."
" E non l'hai
ammazzato di
botte?"
" No, eravamo in
un luogo
pubblico."
" Capisco."-
disse la ragazza
annuendo.- " quindi non posso nemmeno dirti che vorrei sposare Jared
Leto?"
Già
che c'era poteva divertirsi un po'.
Ville la fulminò.
" No. Anzi, non nominarlo proprio."
" Tiranno."
" Ragazza
ribelle."
" Despota."
" Sorbetto al
limone."
Johanna lo guardò scioccata e scoppiò a ridere.
" Che poi vorrei
proprio sapere che
cos'ha quell'uomo perché tutte gli corrono dietro."-
commentò Ville con
disprezzo poco dopo.
" Mmh..fammi
pensare. È bello,
talentuoso, figo e tante altre cose."- rispose Johanna sospirando.
" Ehi! Ma tu non
eri una mia
fan?"
- chiese infastidito.
" Sì
che lo sono!"- esclamò
Johanna alzando gli occhi al cielo. Incredibile come l'ego delle dive
era così
facilmente distruttibile.
"Hai
fraternizzato con il
nemico!"- esclamò Ville puntandole un dito contro.
"
Avrò fraternizzato con altre decine
di band che forse a te fanno schifo o salire il nervoso."
" Sto
esagerando, vero?"
" Solo un
pochino."
Scoppiarono a
ridere ancora una volta.
" Suoniamo
qualcosa insieme?"-
propose ad un tratto Ville.
" Cosa?"- chiese Johanna deglutendo.
Ville
iniziò a suonare e riuscì
immediatamente a capire di quale
canzone si trattasse e la cosa per lei fu abbastanza sorprendente, dal
momento
che non pensava minimamente che a suo padre potessero piacere canzoni
come
quelle di Elton John.
Ville sorrise e
lei senza pensarci su a
lungo, iniziò a cantare.
" It’s
a little bit funny
This
feeling inside
I’m
not
one of those
Who can
easly hide
I
don’t
have much money
But boy,
if I did
I’d
buy
a big house
Where we
both could live.."
E poi fu la
volta di Ville.
" If
I was a sculptor, but then again no,
Or a man
who makes potions
In a
travelling show
I
know it’s not much,
But
it’s
the best I can do
My gift
is my song
And this
one’s for you.."
E poi Johanna si
inserì in maniera
perfetta.
"And
you can tell everybody,
This is
your song
It may
be quite simple
But now
that it’s done."
E poi giunse il
momento in cui padre e
figlia unirono le loro voci per il ritornello.
"I
hope you don’t mind,
I hope
you don’t mind
That I
put down in words
How
wonderful life is
While
you’re in the world."
Continuarono a
cantare creando una grande
magia intorno a loro. Erano perfettamente in sintonia e mai come in
quel
momento, entrambi si sentirono a proprio agio, come se la musica
riuscisse ad
unirli senza farli sentire incompresi. Si sentivano bene, sorridevano e
cantavano come se quella fosse la cosa più giusta da fare in
un piccolo momento
di rabbia e malinconia che nel cuore di Johanna sembravano aver trovato
casa. In
lei ora si erano fatti spazio i sentimenti più belli che forse sarebbero morti
insieme alle ultime note
del pianoforte. Ma non importava.
Ciò
che in quel momento contava più di ogni
altra cosa era che lei e suo padre cantassero insieme affiatati come se
stessero ad un concerto. Certo, non era lo stile musicale che ci si
aspettava
da Ville Valo, e forse nessuno, al di fuori di sua figlia, lo avrebbe
mai
sentito cantare quel repertorio, ma se ciò gli permetteva di
vedere sua figlia
felice, cantare perfettamente con lui e addirittura meglio di lui,
allora voleva
dire che avrebbe cantato quel repertorio ancora una volta.
" Wow.."
Fu l'unica cosa
che riuscì a dire Johanna
alla fine.
" Sì,
devo ammettere che è stato
davvero bello"- commentò Ville.
Guardò
serio sua figlia e chiese:
" vuoi davvero fare
la cantante?"
" E' uno dei miei desideri più grandi."
" Sei brava, potresti riuscirci."
" Grazie."
"
Però devi sapere che il mondo lì
fuori, quello di cui io faccio parte è davvero tosto. Hai
ancora molto da
imparare, sei molto giovane."
" Ma.."
" Non guardare i
ragazzini che sono
diventati famosi per due semplici canzoncine sciocche. Fra qualche anno
nessuno
saprà più chi sono. E sai perché?"
Johanna scosse
la testa.
"
Perché non hanno messo la loro anima
in quello che fanno e non hanno l'umiltà. Non si scusano se
sbagliano e la
maggior parte delle volte non ne sono nemmeno consapevoli. Johanna,
prima di
essere un cantante, un attore, uno scultore, o qualsiasi artista, devi
imparare
ad essere umile..e geniale. Nel caso del cantante segui sempre
ciò che ti dice
la testa e proponila ai tuoi musicisti. Vai d'accordo con loro e sii
gentile.
Il resto non conta, meno di tutti le case discografiche. Quelle sono
demoni, ma
anche se ti leghi a loro, cerca sempre di farti rispettare."
Johanna
annuì decisa. Poi all'improvviso di
alzò, allontanandosi da suo padre. Continuava a tormentarsi
le mani mentre il
suo cuore rischiava di uscire dal petto. Aveva la test china e cercava
disperatamente di ripescare quel coraggio che proprio in quel momento
le era
venuto meno.
" Johanna?"-
chiese incerto
Ville.
" Senti..io..io
volevo dirti una
cosa."- disse all'improvviso senza riflettere bene.
" Mark ti ha
importunata?"
" No!"
" Johanna, non tenermi nascosto niente."
" Ville! Ho semplicemente intenzione di dirti una cosa che non centra
niente con tutto quello che mi hai chiesto."
" Ah..okay.
Beh..allora dimmi."-
disse l'uomo ancora più confuso.
" E' difficile, non so da dove iniziare."
Johanna era
indecisa sul da farsi ora.
" Beh, potresti iniziare sedendoti."- consigliò Ville
indicandole il
posto vicino al suo.
Johanna lo
guardò e non si mosse.
"
Che c'è?"
" Sembra di
essere dal preside a
scuola."
" Signorina, lei si
è comportata
davvero molto male. Potrebbe essere espulsa, lo sa questo?"-
scherzò Ville
con fare professionale.
" Non sei credibile."
" Almeno ci ho provato."
Dopo un piccolo
sorriso, calò nuovamente il
silenzio.
" Ville?"
" Uhm?"
" Io..io ce la
sto mettendo tutta per
chiamarti in quel modo."
" Johan.."
" Avevo pensato
che una volta giunto
questo giorno io riuscissi a farti come regalo il mio sforzo..ma non ci
riesco.
Lo so, è passato più di un mese, forse due, e
forse dovrebbe essere giunto il
momento. E mi sento in colpa, ma non posso fingere. Io ti vedo ancora
come
l'uomo che ha dato vita al mio gruppo musicale preferito, ed
è ancora strano
pensare che tu possa far parte della mia vita in quest'altro modo. Per
me è difficile.
E poi mi manca la mamma e sono triste per questo, ma poi penso a te e
mi sento
meglio, ma poi mi sento in colpa perché non riesco a dire
quello che dovrei
dire. E quindi non ho un regalo da farti. O meglio ce l'avevo ma la mia
bocca
non ha intenzione di dartelo."
" Johanna.."
" Ville io
davvero.."- lo
interruppe nuovamente disperata.
Ville si
avvicinò a lei e la prese per le
spalle.
" Johanna! Vuoi stare calma?"
La ragazza
restò in silenzio, in attesa che
lui facesse qualcosa.
Ville si
abbassò per guardarla meglio e le
strinse la mano.
" Bene." - la
guardò ancora.-
" Io non pretendo che tu mi chiami papà. È
già tanto che tu sia qui e non
mi mandi a quel paese in maniera definitiva per il modo con cui a volte
mi comporto
con gli altri e anche con te. Non credere che per me sia come fare una
passeggiata, anche io sono piuttosto bloccato. Avere una figlia e
scoprirlo in
questo modo..beh non è stato bellissimo. È
scioccante specie per me che di
figli non ne avevo in programma..ma ciò non significa che io
non ti voglia bene
o pretendo che dobbiamo apparire come la famigliola felice dopo soli
due mesi
di convivenza, uno dei quali anche forzato. Un regalo già me
l'hai fatto.
Grazie a te sto scoprendo una parte di me che credevo essere morta e
sepolta.
Il Ville Valo che hai sempre visto, non era quello che sono
realmente."-
si bloccò sentendo il solito nodo alla gola.- " io..io mi
sento a casa
anche nella mia stessa casa, ora che ci sei tu. So che quando torno in
queste
quattro mura non sono più solo come un cane..che
c'è qualcuno che con i suoi
borbottii e giornate storte mi accoglie. Che quando siamo soli possiamo
cantare
e suonare insieme, che ci divertiamo con poco e ci sopportiamo a
vicenda quando
siamo arrabbiati. Non ricordavo nemmeno più come fosse
l'edificio della scuola
e venirti a prendere all'uscita mi fa sentire un perfetto comune
mortale,
quello che vorrei essere. Con te sento che tutto sta andando nel verso
giusto,
per una volta nella mia vita. Quindi come vedi, il regalo per il mio
compleanno
me l'hai fatto.."- poi si avvicinò al suo orecchio.- "..e sinceramente
è molto meglio il tuo,
di quello di tutte le altre persone che verranno oggi a casa."
Johanna era in
lacrime e non riusciva a
dire nulla di sensato. Così si buttò fra le
braccia di Ville e lo strinse a sé.
Anche a Ville scesero delle lacrime, ma fu ben deciso a non piangere.
Non potevano
trasformare il salotto in una valle di lacrime.
" Grazie."-
disse Johanna quando
ebbe finito di sfogarsi.
" Grazie a te..per aver deciso di..di provarci."
Il loro sorriso
era identico. Erano due
perfetti Valo, in tutto e per tutto.
Nell'essere
impacciati nei sentimenti.
Nel non
tollerare i grandi discorsi.
Nell'irritarsi
facilmente quando le cose
non andavano come volevano.
Nel celare un
amore verso l'altro molto più
grande di quello che pensavano.
" Oops!"
Entrambi si
voltarono verso il disturbatore
che era appena entrato senza avviso.
" Jesse!"- esclamò Johanna andandogli incontro.
" Johannaaaa!"
Jesse
abbracciò sua nipote e poi iniziarono
a salutarsi in un maniera strana, un po' come i saluti fra rapper
afroamericani. Scoppiarono a ridere mentre Ville alzò gli
occhi al cielo.
" Disturbo?"-
chiese Jesse
guardando suo fratello.
" Ormai l'hai
fatto."
" Sei sempre
simpatico."
Poi Jesse
guardò il pianoforte ed esclamò:
" ooh! Stavate suonando? Suoniamo insieme? Johanna, cosa vuoi che lo
zio
canti per te?"
" Sai cantare?"-
chiese la
ragazza avvicinandosi a Jesse, che si era appena seduto al pianoforte.
" E' una
cornacchia. Jesse
levati."
" Ehi! Io devo
suonare."
Ville si sedette accanto a lui e iniziarono a spingersi.
" Tu non
ucciderai le mie orecchie con
la tua voce da cornacchia."
" Voce da
cornacchia a chi? Ehi!"
" Ti ammazzo di
botte!"- esclamò
Ville.
" Prima io."
" Insomma! Che
sta succedendo?"
Johanna, che era
piegata in due dalle
risate, guardò Jackie che era appena entrata in casa.
" Zia Jackie,
non farci caso. Sono così,
dobbiamo tenerceli."
" Ehi!"- esclamarono in coro i due fratelli.
Jackie
alzò gli occhi al cielo.
" Bene! Ora che
ci siamo tutti, possiamo
cantare."- propose Jesse che si alzò e trascinò
Jackie con lui.
" Cosa? Ma io
non so cantare!"
" Non fa niente.
Ci divertiremo prima
di vedere la mamma che ci ammazzerà di parole
perché siamo due imbecilli."
- disse Jesse indicando lui e suo fratello.
Ville
scoppiò a ridere, così come tutti gli
altri.
Il tempo che
restò i quartetto lo utilizzò
per stonare, urlare, improvvisare e suonare senza sosta. Quei sorrisi,
le
risate..furono tutto ciò che Johanna desiderava per stare
bene.
E per quanto riguardava
Ville, era sicuro
che questo era il suo compleanno migliore, quello in cui veramente si
sentiva
felice come non lo era stato mai.
L'ANGOLO
DI VALS.
Nemmeno fossimo
ad High School Musical.
Cioè rendiamoci conto dello scempio. Ville che canta Elton
John e tutto il resto. Parliamone.
Comunque,
facciamo finta che siano passati solo
alcuni giorni dall'ultimo aggiornamento.
Facciamo?
No, è
giusto per non essere uccisa. SONO
TROPPO GIOVANE, capite?
Va beh, la
follia è sempre di casa, che ce
volete fa?
Allora, come vi
è sembrato? Fa tanto
schifo?
Dovevo
aggiornare per forza e nonostante
non fossi molto convinta ho postato lo stesso questo capitolo.
E poi volevo
spendere due parole per quanto
riguarda il nuovo personaggio, che sembra un po' uno che sta sulle
nuvole.
ALLORA, premetto
che un tipo del genere io
lo conosco quindi spero per lui che
non
venga mai a sapere che l'ho messo qui. Capirebbe che sono una
psicopatica.
POI, siccome non
posso violare la privacy altrui,
ho dovuto scegliere qualcun altro che interpretasse questo Thomas,
quindi
questo è lui. E' stata difficile scegliere, credetemi.
Non è
bellissimo, però..insomma amiamolo lo stesso xD! E' questo
ragazzo che probabilmente darà filo da torcere al Valo
eheheheheheh u.u
Bene.
Questo è tutto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e se volete
potete anche mandarmi a quel paese. Non c'è problema :3
Ringrazio le anime che invece di
abbandonarmi, sono state qui ad aspettare e soprattutto a quelle che si
sono aggiunge in
questi mesi. Cioè io se fossi stata in voi non l'avrei fatto
ahahah xD
Scemenza a parte, grazie davvero tanto <3
Alla prossima
Vals
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