Dear father

di _TheDarkLadyV_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***












Dear Father

Capitolo 1

 







Johanna era rimasta sola in quel corridoio vuoto. A tenerle compagnia al di là della finestra c'era la pioggia che batteva incessantemente e scivolava via lungo il vetro come le lacrime sul suo viso. Ormai non era più in grado di arrestarle. Esse scendevano giù percorrendo le guance e qualcuna più dispettosa le solleticò il naso quando abbassò la testa, affranta. Si sentiva vuota e più sola che mai.

 
" Amore mio, devi essere forte. Io ormai sto per andare via."
" No, mamma tu non andrai via. Vedrai starai meglio."

La voce incrinata di Johanna, invece, non era della stessa idea. In cuor suo sapeva che quel maledetto momento era arrivato e che il tumore finalmente stava per aggiungere alla sua lista un'altra vittima: Marika, sua madre. La ragazzina era ancora scossa e soprattutto non riusciva ad accettare l'idea che da quel momento in poi avrebbe vissuto senza sua madre, l'unica figura genitoriale da cui trarre esempio. Perché lei suo padre non l'aveva mai conosciuto. Molto spesso, quando era più piccola, aveva chiesto a sua madre qualcosa sul suo conto.
 
" Mamma, perché i miei amici hanno un padre e io no? Dov'è?"
" Amore mio, papà è..papà ha molto da fare e tu non vuoi che lui lasci tutto per stare con noi, vero? Un giorno papà tornerà vedrai."
 
Quelle parole per quanto fossero apparse dure, le aveva capite. Johanna era sempre stata una ragazzina intelligente fin da piccola e soprattutto molto paziente. E lo aspettava fino a quando un giorno sembrò essersene dimenticata e si convinse dell'idea che sarebbe stata bene anche senza di lui, tanto aveva sua madre, e questo le bastava. Fino a quel giorno, quando anche lei aveva deciso di lasciarla. Prima che spirasse, Marika le aveva finalmente svelato dopo tutto quel tempo chi fosse suo padre.
 
" Cosa? Ville Valo è mio padre?"
 
Lui, Ville Hermanni Valo, il suo idolo era anche suo padre. Era cresciuta ascoltando le sue canzoni e finendo per cadere in quel vortice burrascoso che tanto le piaceva amando gli HIM con tutta se stessa. Le facevano compagnia quando si sentiva sola, quando era arrabbiata e quando doveva prendere delle decisioni importanti, ma non aveva mai pensato che quel sussurro dolce che penetrava nelle sue orecchie, quella voce profonda che la avvolgeva come una ninna nanna e la incoraggiava ad andare avanti, fosse di suo padre. Era stata proprio Marika ad avvicinarla a quella musica; era l'unico modo, forse, che aveva trovato per sentirsi meno in colpa per non averle detto fin dall'inizio chi fosse suo padre.
In quel momento però, la rabbia aveva preso il sopravvento.
Johanna strinse fra le mani la foto che sua madre le aveva dato. Era vecchia e ritraeva lei con Ville. Erano molto giovani ed estremamente felici. Fissò Ville e solo in quel momento notò quanto il taglio dei loro occhi fossi identico, così come altri particolari dei loro visi.
Era inutile arrabbiarsi e cercare testardamente di credere che fosse uno scherzo di pessimo gusto. Ville Valo era davvero suo padre. Nella sua mente cominciò a farsi spazio l'idea di bruciare quella foto così sarebbe scomparsa, almeno secondo lei, qualsiasi testimonianza relativa a quella parentela. Lei, in fondo, era riuscita a vivere senza un padre e adesso le andava bene così. Non aveva nessuna intenzione di mettersi alla sua ricerca. Non che ci volesse molto. Sapeva tutto di lui e del resto della band e sapeva che ora erano tutti ad Helsinki a godersi un pò di meritato riposo.
 Bruciando quella foto però avrebbe cancellato anche la presenza di Ville nella vita di sua madre. Lei era stata felice con lui e Johanna non aveva il diritto di cancellare un ricordo, soprattutto se era stata sua madre a consegnarglielo dicendole di conservarlo. Un'altra lacrima scese e bagnò proprio il viso sorridente di Marika. Johanna sfiorò con un dito quel viso e si disse che dovevano essere stati davvero felici, almeno la foto testimoniava questo. Ville aveva i capelli lunghi e mossi. A giudicare da quell'aspetto, secondo Johanna quella foto risaliva agli anni di " Greatest Lovesongs Vol.666", per giunta uno dei suoi album preferiti. Sospirò e si strinse la foto al petto solo per sentire ancora sua madre vicino a lei e immediatamente diede sfogo alle ultime lacrime rimaste.
In quel momento sentì due braccia forti circondarla. Si lasciò stringere senza voltarsi, perché non le importava capire chi fosse quanto invece riconoscere che quel contatto le era essenziale.
Riconobbe il profumo di vaniglia e immediatamente si aggrappò alla maglia nera di Jackie, la sua zia acquisita nonché la migliore amica di Marika in tutti quegli anni e l'unica che fu presente in tutti i momenti delle loro vite lì a New York. Lasciò che le emozioni prendessero il sopravvento e che andassero a bagnare il tessuto scuro.
" Tesoro..mi dispiace tantissimo.."- le disse la donna continuando ad accarezzarle la schiena e cercando di tranquillizzarla.
" Lei doveva stare qui con me. Adesso sono sola.."- mugugnò lei.
" Jo.."- la richiamò. Solo Jackie, a parte Marika, poteva chiamarla così, e  nessun’altro ne aveva il diritto. Se la scostò di dosso per poterla guardare in faccia e togliendole le lacrime dal viso disse: "  basta adesso. Non voglio vederti così e neanche lei l’avrebbe voluto."
" Non ce la faccio. Pensavo di essere preparata..sapevo che sarebbe successo, ma ahimè non sono stata capace di essere forte."- disse Johanna scuotendo la testa con gli occhi pieni di altre lacrime.
" E invece devi essere forte, perché non sei sola. Io ci sono e non ti lascio."- le disse dolce guardandola con quegli occhi grigi, così vivaci.
Si buttò di nuovo tra le sue braccia, che l’accolsero subito.
" Non credi che adesso come non mai dovresti conoscere tuo padre?"- le chiese timorosa Jackie. Johanna si allontanò di poco dalle sue braccia e scosse la testa.
" Tesoro, devi cercare di capire che lui è una parte di te, anche se non c'è stato. Adesso più che mai dovresti avvicinarti a lui.."
" Lui non vorrà vedermi, gli sarei d'intralcio e poi sto bene così. Voglio stare con te."- disse decisa Johanna riabbracciandola.
A quel punto, notando quella dolcezza, Jackie restò in silenzio e l'abbracciò forte per trasmetterle così tutto il suo amore.
 
 
In terrazza la vista dalla torre era mozzafiato. Ville, rilassato, si sentì per un attimo il padrone del mondo. Pareva che non gli mancasse nulla. L'unica cosa che gli diede fastidio quel giorno furono i nuvoloni minacciosi che dal mare stavano giungendo sulla città portando con sé le tenebre.
" Secondo te pioverà?"- gli chiese Hanna avvicinandosi. Lei era la ragazza che i giornali avevano etichettato come la prescelta. Certo le voleva bene, ma non sapeva se l’amava.
" Non lo so."- rispose leggermente scocciato.
Prima però che potesse aggiungere dell'altro, il suo cellulare squillò.
" Pronto?"
" Parlo con il signor Ville Hermanni Valo?"
" Sì sono io. E lei è..?"
" Brian Watson. La chiamo per conto del notaio Nick Rush. Devo informarla che è stato convocato dal notaio al suo studio a New York."
" Cosa?!"- chiese scioccato Ville.- " che..per.."
" Ha un pò di tempo? Così le spiego velocemente la faccenda."- disse pazientemente l'uomo.
" Sì certo.."- disse guardando Hanna che osservava con un sopracciglio alzato le sue unghia laccate.- " tutto il tempo che vuole."
" Lei conosceva Marika Laine?"
Ville spalancò gli occhi sorpreso sentendo quel nome. La sua memoria immediatamente tornò nel passato.
Marika..
" Sì..siamo stati insieme parecchio tempo fa."- disse a bassa voce.
" Beh mi dispiace dirglielo.. è deceduta ieri sera.."
Ville sentì una feroce stretta al cuore. Era come se il mondo gli fosse caduto addosso e lui non avesse avuto la forza di reagire in alcun modo facendosi inghiottire dalle macerie.
" Ah."- scandì senza fiato.
" Il fatto è che mercoledì pomeriggio verrà letto il suo testamento e vogliamo che ci sia anche lei."
" Cosa? E perché?"
Si sentì un rumore e poco dopo la voce disse: " mi scusi devo riattaccare. Si ricordi di essere qui mercoledì alle tre.."
Gli diede l'indirizzo e altre informazioni.
" Ok ci sarò."- disse annuendo Ville nonostante la poca convinzione. Cosa stava succedendo?
 
 
Johanna era rimasta sola in quell'appartamento, ormai troppo grande per lei. Sentiva la mancanza di Marika e così decise di prendere il loro album di foto e sedendosi sul divano prese a sfogliare i loro ricordi. Le sembrava di vederla vicino a lei, e raccontarle divertita la storia che si celava dietro a quelle foto e invece era solo un'illusione. Lei non c'era più e lui non l'aveva mai visto da vicino. Una volta era stata ad un concerto con Jackie. Marika si era rifiutata, ma era stata lei stessa a dirle di andarci. Eppure non era riuscita a vederlo per bene e questo le era dispiaciuto, ma adesso non le importava più nulla. Ora l'odio sembrava farsi largo nel suo cuore. Sapendo che era andata via, perché Ville non era venuto a cercarla?
Sentì il suono del campanello e andò ad aprire. Appena aprì fu accolta dal sorriso di Jackie. Johanna sorrise triste. Erano passati alcuni giorni dal funerale e lei non aveva voluto andarci. Sapeva che non ce l'avrebbe fatta, ma prima o poi sarebbe andata a far visita alla tomba.
" Eccomi di ritorno. Ho portato anche un bel film."
Jackie sapeva come farla stare meglio, o almeno cercava di non lasciarla in balìa della depressione che era quasi vicina alla porta. Quando arrivò il momento della cena, Jackie, seduta all'altra parte del tavolo disse: " domani dobbiamo andare dal notaio."
Johanna annuì silenziosa.
" Secondo te a chi mi affideranno?"- chiese poi guardando preoccupata Jackie.
" Ho chiesto l’affidamento, ma tutto dipende da quello che ha deciso Marika. Ma non preoccuparti. So per certo che lei fosse d'accordo."-  disse con un sorriso convincente.
" Ville non saprà niente di tutto questo..vero?"
Jackie posò il cucchiaio nel piatto e guardando negli occhi Johanna rispose: " Jo..lo sai come la penso..dovresti cercarlo.."
Johanna la guardò arrabbiata.
" Dài ragiona..non puoi far finta di niente."
" Io non voglio vederlo!"- esclamò furiosa Johanna alzandosi.
" Jo! Jo vieni qui."- disse Jackie rincorrendo la ragazza che si rifugiò in camera sua.
Quando la raggiunse, era ancora infuriata. Johanna la guardò ancora arrabbiata e poi si sedette sul pavimento freddo.
Jackie le si avvicinò.
" Ti prego..pensaci.."
Non ricevendo nessuna risposta, Jackie andò via sconfitta.
 
Johanna tenne il broncio per tutta la mattina seguente. Era arrabbiata perché voleva restare nel suo letto al calduccio, ma era importante che fosse presente anche lei dal notaio.
Sia lei che Jackie erano sedute sulle comode poltrone nere di pelle ad aspettare che Brian Watson, il segretario, le facesse entrare nell'ufficio. La saletta era vuota e questo significava che al di fuori di loro due non ci sarebbe stato più nessuno. Johanna si sentì più leggera.
 " Vado in bagno."- disse Jackie, alzandosi.- " torno subito."
Johanna si sentì per un attimo persa, ma annuì, vedendo la donna scomparire dietro una porta.
" Signorina, il notaio la sta aspettando."- disse il segretario con un largo sorriso sul volto. Quel sorriso procurò alla ragazzina un senso di calma. Indugiò un attimo, ma visto che Jackie non arrivava, decise di entrare.
Appena entrò si sentì a disagio in quella stanza così ben arredata, con quell'uomo dai folti baffi grigi che senza neanche rivolgerle la parola analizzava delle carte. Senza sapere cosa fare, si fissò le mani. Quanto ci metteva Jackie?
Finalmente sentì la porta aprirsi e non si girò perché era sicura che fosse lei. Chi altri doveva essere sennò?
Il notaio alzò lo sguardo per poi riportarlo sui fogli. Johanna sentì una strana stretta al cuore e così si girò anche lei e ciò che vide non fu per niente piacevole.
Un uomo molto alto la stava squadrando nella stessa maniera. Era vestito di nero, come suo solito, con l'immancabile sciarpa al collo e i capelli marroni mossi non erano nascosti dai soliti berretti.
" Si accomodi pure, signor Valo."-  disse l’uomo indicando la poltrona di pelle accanto a Johanna. Ville sembrava essere l'unico lì dentro a non capire cosa stesse succedendo. Cosa ci faceva quella ragazzina? Cosa centrava con Marika?
Ancora non ci credeva che se n’era andata. Due giorni prima, era stato al funerale. Si era sentito in dovere di esserci nonostante non la vedesse da molti anni. Si sentiva ancora legato a lei. Aveva anticipato il viaggio proprio per questo e lì non aveva visto nessuno che potesse assomigliare a quella ragazzina.  Forse non aveva visto bene.
Continuò a guardarla  curioso. Anche Johanna lo era, ma il suo sguardo la metteva in soggezione. Chissà se aveva scoperto anche lui la verità. La ragazzina cominciò a battere nervosamente il piede a ritmo. Era agitata e questo lo notò anche Ville.
Riuscì a smettere solo quando qualcuno timidamente dopo aver bussato entrò nella stanza. Johanna si girò, sollevata di vedere finalmente Jackie.
" Oh..ehm..signor Valo."- disse questa quasi scioccata appena si ritrovò gli occhi verdi dell'uomo puntati su di lei. Lui la salutò porgendole la mano con gentilezza. Il notaio a quel punto si schiarì la voce e disse: " bene visto che ci siamo tutti, direi che sia meglio iniziare."
Jackie tenne per tutto il tempo la mano di Johanna, che era in preda al panico. Non riusciva ad immaginare quale sarebbe stata la reazione di Ville alla notizia.
Il notaio rilesse velocemente e poi parlò rivolto a Johanna.
" Bene.. alla signorina Johanna Laine.. "
Ville appena sentì quel cognome capì finalmente chi fosse la ragazzina.
" ..lascia l’appartamento e tutto ciò che ha, tranne il suo materiale da lavoro che lascia invece alla signorina Jackie Smith. Mentre a lei, signor Valo, lascia in affidamento la figlia Johanna.”
Johanna restò a bocca aperta. Perché sua madre aveva voluto questo?
Si voltò per guardarlo. Ville ricambiò con uno sguardo di ghiaccio.
" Cosa? Ma avevo chiesto io l’affidamento di Johanna!”- disse Jackie alzando di poco la voce.
" Mi dispiace signorina Smith, non posso cambiare il volere di un morto. Ma se vuole può rivolgersi ad un giudice e se il signor Valo è d’accordo, la tutela può passare a lei."
Johanna non voleva passare la vita con quell’uomo. Non voleva un padre! Ville dal canto suo era completamente scioccato.  Perché Marika non lo aveva mai chiamato per dirglielo? Perché l’aveva fatto?
Jackie non riusciva ancora a crederci. Perché Marika aveva coinvolto Ville proprio ora? Che senso aveva tenere nascosta la figlia per sedici anni e ora affidarla a lui? 
Ma Marika si era portata via tutte le risposte..
" Un momento."- disse Ville schiarendosi la voce. - " questo cosa significa?"
" Beh si dà il caso che lei, signor Valo, è il padre della signorina qui presente."
" Cosa?!"- esclamò.
Quindi era questo che Marika gli aveva nascosto quando aveva deciso di andare via da Helsinki?
Tornò a guardare Johanna. Non poteva credere ai suoi occhi!
Era quella la sensazione che si provava quando qualcosa di punto in bianco sconvolgeva la quotidianità? Era il senso di panico ad attorcigliarsi nello stomaco, forse?
“Arrivederci.” disse il notaio liberandosi di loro con un finto sorriso. L'allegra brigata fu costretta ad uscire all'aria aperta che ora era diventata tesa e nessuno fu in grado di spicciare una sola parola. Ville non faceva altro che guardare Johanna sempre più sorpreso. La forma del viso e il taglio degli occhi erano proprio identici ai suoi mentre il colore era come quello di Marika, azzurro.
Ciò che continuava a ripetersi era perché quella donna non avesse avuto il coraggio di dirgli una cosa così importante. Perché aveva voluto crescere una figlia senza un padre? Cosa credeva, che lui non potesse essere un buon genitore? Forse aveva ragione. Per tutto quello che gli era successo in quegli anni forse non sarebbe stato capace di darle amore come un padre doveva fare con una figlia. Era stato uno scapestrato e questo Marika probabilmente l'aveva saputo. Non era difficile trovare notizie sul suo conto a tal proposito..
Nonostante questo era arrabbiato. Lui aveva comunque il diritto di sapere.
Cercò di ricacciare le lacrime che stavano uscendo dai suoi occhi. Non aveva voglia di farsi vedere in quel modo dalle due ragazze.
Johanna non sapeva cosa fare. Lei non voleva andare via con Ville. Lei voleva stare a New York con Jackie e i suoi amici. Continuava a mandare sguardi disperati a Jackie, che come lei, aspettava una reazione di Ville. Lui se ne stava lì immobile, a guardare il cielo, ma sapeva di essere oggetto di osservazione e si sentiva a disagio sotto quello sguardo indagatore.
Di punto in bianco Ville si voltò incamminandosi lungo il marciapiede. Se ne stava andando? Era quello che Johanna voleva, ma quel gesto la feriva profondamente. Se ne stava andando senza neanche dire una parola! Doveva seguirlo?
Anche Jackie rimase ad osservarlo mentre si allontanava. Non riusciva a credere ai suoi occhi.
" Ville." - esclamò mandando al diavolo la domanda " posso darti del tu?".
Lui fece finta di non sentirla e sparì due minuti dopo dalla loro vista.
Johanna si appoggiò al muro dell'edificio affranta. Lui l’aveva abbandonata! Pensava che non le importasse nulla, ma il dolore che stava provando aveva cambiato ogni suo pensiero. Era stata abbandonata da entrambi i genitori, cosa c’era di sbagliato in lei?

 

 



 

 

 L'ANGOLO DI VALS!

Della serie chi non muore si rivede xD
Beh allora cosa ne pensate come primo capitolo? Se pò fa? Adesso dovrete attendere un pochino prima del prossimo capitolo per via dello studio. Fatemi comunque sapere cosa ve ne pare. Ringrazio già tutte quelle anime buone che leggeranno e arrivanno a queste piccole righe <3
Alla prossima, Vals :)
 

 



 

 






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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***












Dear Father


Capitolo 2





" Amore quando torni?"

Ville stava parlando al telefono con Hanna. Aveva girovagato per la città per un tempo imprecisato, riflettendo e sbuffando e ora si era rifugiato in una strada vicino Central Park con la testa ancora frastornata.
" Non lo so, potrebbero volerci giorni."- rispose freddo. Lei non sapeva nulla di quello che stava accadendo a New York. Ville non le aveva raccontato il vero motivo che l'aveva spinto fin lì. Aveva detto che si trattava di un'intervista e altre balle del genere che lui stesso aveva dimenticato. Non aveva pensato nemmeno a quale sarebbe stata la reazione di Hanna una volta portata di fronte a questa verità e, sinceramente, non gli importava. Seguì il silenzio e poi finalmente Ville risentì la sua voce.
" Capito."
" Devo andare, ci sentiamo dopo."- disse entrando nel taxi. Non le diede nemmeno il tempo di rispondere che riattaccò più pensieroso di prima. Lesse l'indirizzo sul biglietto che aveva preso dalla tasca della giacca e con una nuova sensazione nello stomaco si lasciò cadere sul sedile dell'auto. Era ansia?
In poco tempo si ritrovò davanti ad un palazzo. Era vicino a Johanna più di quanto lei credeva. Ripensò al suo comportamento stupido e seppe al cento per cento di aver procurato non poco dolore a quella ragazzina. Sentì una stretta al cuore.
" Grazie."- disse dopo aver congedato gentilmente il taxista. Alzò gli occhi verso il palazzo e deglutì. Una volta varcata quella soglia, Ville avrebbe cambiato il corso degli eventi o semplicemente avrebbe realizzato il suo destino, che qualcuno prima di lui aveva scritto complicando la trama. Stava per sconvolgere in maniera radicale quel caos che era la sua vita. 
Se fosse entrato, infatti, avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di una figlia di sedici anni, che molto probabilmente lo odiava con tutto il cuore. E se invece fosse scappato, si sarebbe odiato da solo.
 


Jackie stava affondando la lama del coltello nella carne, liberando così tutta la rabbia che aveva in corpo. Johanna era in camera sua e da lì sentiva i rumori della cucina. Non era in vena di aiutare Jackie e così si era rifugiata nell'unico posto in cui riusciva a sbollire la rabbia.  Era ancora in trance quando il suono del campanello la fece balzare. Per un momento ci fu silenzio.
Jackie aveva appoggiato il coltello sul tavolo e andò a sciacquarsi le mani prima di dirigersi fuori dalla cucina per aprire la porta.
Chi poteva essere a quell’ora?
Fu lo stesso ragionamento che fece anche Johanna pensando che fosse Daphne o Duncan, i suoi migliori amici. Fu per questo che si era precipitata alla porta con un sorriso falso dipinto sul volto. Jackie vedendola con la mano già sulla maniglia indietreggiò un po’.
Johanna aprì velocemente la porta convinta che fossero i suoi amici.
Due splendidi occhi verdi, della stessa tonalità della sua maglia,  brillavano nella semioscurità del corridoio. Johanna sentì il sorriso gelarsi sulle labbra così come il cuore e lentamente il freddo si espanse per tutto il corpo, mentre la tensione crebbe.
Jackie che era rimasta ad osservare tutta la scena non capiva il motivo della sua reazione. Johanna indietreggiò, per poi correre verso la camera e chiudersi a chiave.
Ville, non pensava di poter scatenare una cosa del genere e se ne dispiacque, ma la cosa a cui pensava in quel momento era un'altra. Quello era il posto in cui aveva vissuto Marika e pian piano nella sua mente riaffiorarono dei ricordi. Si ricordava ancora la sua risata..
 
"Dai Ville!"- esclamò tra una risata e l’altra mentre si erano rincorsi. Lui le stava facendo il solletico e lei non riusciva a mantenere il controllo.
"Dillo!"-  la spronò lui.
"Ok, ok lo dico!" - disse lei cercando di mettere le mani avanti per respingerlo.
Ville si calmò e si sedette sulla neve aspettando, con un sorriso meraviglioso che gli illuminava il volto, mentre i capelli piuttosto lunghi gli ricadevano sui lati.
"Ti amo."-  disse lei compiaciuta, prima di buttargli le braccia intorno al collo, finendo per rotolarsi entrambi sul suolo ghiacciato.


" Che ci fai qui?!"- chiese dura Jackie con le braccia conserte, fregandosene altamente e ancora una volta della buona educazione. Lei non lo conosceva, o meglio, lo conosceva come un personaggio famoso su cui a volte le erano scappati dei pensieri non tanto casti e puri, ma questo non significava che due occhi stupendi come i suoi dovevano avere la meglio sulla sua rabbia e i suoi modi non tanto gentili. Lei si comportava così quando c'era in gioco la felicità della sua piccola Johanna e non faceva sconti a nessuno, nemmeno ai finnici più sexy del mondo.
Ville, fece qualche passo avanti e finalmente entrò in quell'appartamento. Chiuse la porta e si guardò attorno.
" Sono il padre. Quindi devo prendermi cura di lei."- disse deciso rivolgendo uno dei suoi sguardi seri e ammaliatori a Jackie. In un altro momento si sarebbe anche potuta sciogliere, ma non adesso.
" Ci sono io a prendermi cura di Johanna!"- disse lei. Era sbagliato quello che diceva. Ville aveva tutto il diritto di prendersi cura di Johanna. Era il padre!
" Marika ha lasciato la tutela a me."-  fece notare lui.

" Non mi sembra che tu ne eri così convinto prima. Potevi anche dirlo senza scappare come hai fatto."- continuò arrabbiata Jackie.
" Ho sbagliato, me ne rendo conto."- disse Ville abbassando lo sguardo.
Johanna nel frattempo dalla sua stanza ascoltava con la porta socchiusa il loro parlottare e dopo qualche indugio, decise di essere presente anche lei.
"Io non voglio venire con te."- esordì sorprendendo tutti. Guardava dritta negli occhi con fermezza Ville. Le sue parole erano state dure perché voleva ferirlo.

" Marika ha voluto così."- rispose deciso Ville. Si squadrarono affondo e più che mai in quel momento Jackie pensò a quanto fossero proprio padre e figlia. Testardi e orgogliosi, per non parlare della somiglianza fisica.
" Tu non devi nominarla. Non ne hai il diritto! Non te ne è mai importato niente di lei, di noi, e adesso vieni qui con la pretesa di fare il padre?"- sputò velenosa la ragazzina. Le sue parole erano state in grado di colpire l'orgoglio del caro Ville più di venti coltellate.
" Prepara il necessario. Domani andiamo ad Helsinki."- disse l'uomo fingendosi indifferente alle parole dette prima dalla figlia.
" COSA!? Non puoi portarla così lontano! Qui ha tutto, la scuola, gli amici.."- proruppe Jackie sconvolta. Non voleva che il finnico la portasse via da lei. L'aveva vista crescere, le aveva insegnato ad andare in bici e tante altre cose che Marika non aveva potuto fare. Le voleva bene come una figlia e vedersela portare via da una persona che neanche la conosceva la faceva stare male.
Johanna non disse nulla, era immersa nei suoi pensieri. Helsinki, la città di sua madre. Da piccola molte volte aveva chiesto di andarci, di conoscerla perché le piaceva. Aveva imparato anche il finlandese, pronta un giorno a scappare per andare a vedere la torre dove il suo idolo abitava. Ora non riusciva a credere al fatto che proprio quella torre sarebbe diventata la sua nuova residenza. Cominciava quasi ad odiare quella città che fino a poco tempo prima era stata il suo sogno. Non voleva lasciare le persone a lei più care come Jackie, Daphne e Duncan. Non voleva!
" Passo a prenderti la mattina."- disse Ville prima di avviarsi verso la porta.
Tornò con la mente a Marika. Ogni tanto in quegli anni l'aveva pensata. Solo pensata e mai cercata, per tanti motivi comprese le ragioni di codardia. Se solo avesse saputo, se solo si fosse spinto al di là dei suoi timori e delle sue apparenti certezze, andando contro ogni ragione e sensatezza, avrebbe scoperto di poter essere felice con una famiglia. E invece non l'aveva fatto.
Lui era giovane, non voleva ostacoli e aveva preso la palla al balzo diventando famoso seguendo quel poco egoismo che aveva dentro di sé. E poi aveva amato donne che non erano lontanamente paragonabili al suo primo amore.
Rimase appoggiato al legno scuro della porta nel corridoio poco illuminato dalla luce solare che filtrava da una finestra molto distante. Respirava a fatica. Si allontanò dolorosamente da lì con il ricordo di Marika ancora vivo nella sua mente.
Gli faceva troppo male pensare a lei. Quel giorno doveva assolutamente smetterla di scavare nei ricordi. Uscì lasciandosi alle spalle il portone. L'aria era secca. Probabilmente si sarebbe messo a piovere. Scese rapido i gradini e chiamò un taxi.
 

" Dove vai?"- chiese preoccupata Jackie alla ragazza che stava uscendo proprio in quel momento.

"Torno presto!"- fu l'unica cosa che Johanna disse prima di sbattersi violentemente la porta alle spalle per poi scendere di corsa le scale.
 

Ville stava per salire sul veicolo giallo, quando dei passi affrettati distolsero la sua attenzione. Johanna era appena uscita.
Non si era accorta di lui e Ville spinto dalla curiosità, si mise ad inseguirla.
La scena sarebbe apparsa piuttosto comica ad occhi esterni. Johanna si sentiva seguita, e ogni  volta che si voltava la situazione sembrava tranquilla. Infatti il nostro caro finnico, improvvisato stalker, si nascondeva nei vicoli o dietro le persone o si fingeva interessato alle bancarelle e negozi che trovava lungo la strada per poi guardarsi intorno di sottecchi attraverso gli occhiali che aveva indossato apposta e ritornare al suo ruolo di pedinatore.
Tutto questo gioco durò finché Johanna non si fermò davanti all'ingresso di un posto che Ville conosceva già. La ragazza si guardò intorno sospettosa prima di entrare.
"Vuoi qualcosa?"- gli chiese il venditore davanti al quale Ville si era fermato.
Guardò il cielo. Le nuvole erano nere.

"Un ombrello, per favore."- disse estraendo le banconote dal portafogli.
 

Per Johanna era la prima volta. Avrebbe visto per la prima volta la tomba di sua madre.
" Mamma.."- disse con un sorriso malinconico sul volto, sedendosi davanti alla tomba. Spostò un po’ di terra e svuotò il vaso che conteneva alcuni fiori che stavano già appassendo. Si guardò intorno e notò che c’era una siepe con qualche rosa gialla. Potevano andare. Attenta a non pungersi riuscì a staccarne giusto due e le mise dentro il vaso.
"Mi dispiace di non essere venuta a trovarti prima.." - disse cercando di spostare i capelli che il vento le portava davanti agli occhi.
Abbassò lo sguardo e lentamente le lacrime cominciarono a scivolarle lungo il viso fino a finire per terra. Si sforzava di non farlo davanti agli altri, ma lì chi la poteva vedere? Nessuno a parte quei pochi che andavano a fare visita ai propri cari.
Si sfogò, lasciò che il dolore le scivolasse addosso, sperando che servisse a qualcosa.
Aveva tante domande da fare a Marika, ma a nessuna avrebbe trovato risposta.
Se solo pensava al fatto che quella tomba non l'avrebbe più vista frequentemente si sentiva ancora più triste.
Si alzò con la poca forza che le rimaneva. Restò così immobile a leggere senza veramente capire quelle poche parole che erano state dedicate a Marika.
Lei meritava di meglio, una vita fatta di gioia e tanto amore, e invece il destino era stato crudele.
Le lacrime continuavano a scendere, pungevano gli occhi, mescolandosi al dolore che provava dentro. Eppure lei la sentiva ancora vicina, sapeva che le aveva davvero voluto bene e non le aveva fatto mancare niente. Nemmeno la mancanza di una figura paterna.
E Ville sarebbe stato capace di fare altrettanto? Aveva seri dubbi. In una sola giornata, quell’uomo era riuscito a farla stare male due volte. Però se Marika aveva voluto così un motivo ci doveva essere. Quale fosse non si sapeva,
 non ancora.
La pioggia cominciò a picchiettare. Iniziò a bagnarsi eppure rimase lì, con i pugni serrati, lasciando che i capelli le si attaccassero alla nuca, come del resto anche i vestiti.
Poi all’improvviso l’acqua smise di cadere sopra di lei. Continuava a piovere, lo vedeva, ma sopra di lei no. Alzò lo sguardo e si sorprese di trovare un ombrello sopra la sua testa. Seguì il manico e il braccio che lo teneva fino a quando non vide il viso di Ville che la guardava con compassione.
"Cosa ci fai qui?"- chiese fredda distogliendo lo sguardo da quello dell’uomo che continuava a squadrarla.
"Il tuo stesso motivo."- rispose lui, senza sapere cosa dire.
"Non penso.."- disse lei sicura di avere ragione.
"Dovresti tornare a casa."
" Perché?"
"Piove."
" Si l’ho notato."
" Bene allora perché sei ancora qui?"
" Non sono affari tuoi."
" Invece credo di si."
" Non devi prenderti cura di me, c’è Jackie."
Finalmente Johanna era riuscita a farlo stare zitto. Si sforzò di non sorridere della sua vittoria e si limitò a girarsi verso di lui e guardarlo insistentemente finché non fosse riuscita a fargli abbassare lo sguardo. Ma Ville le tenne testa, una cosa che Johanna non aveva calcolato.

" E se invece volessi farlo di mia spontanea volontà?"
" Non ti credo. Lo fai perché ti senti in colpa."
Mentre i due parlavano, Ville notò la collana che spuntava da sotto la giacca aperta di Johanna. Non ci aveva fatto caso prima, e ora la sua sorpresa aumentò notevolmente. Se non aveva le allucinazioni quello era davvero un heartagram! Johanna seguì il suo sguardo e immediatamente nascose il ciondolo sotto la maglia.
" Tu..tu..ascolti.."
Lei annuì andando in aiuto a Ville.
" Da quando avevo cinque anni. E' stata la mamma a farmi conoscere voi."
Ville continuò a guardarla senza essere in grado di parlare.  Sentiva un groppo alla gola e per un soffio evitò di mostrare la sua parte più debole, ricacciando ancora una volta le lacrime che quel giorno non riuscivano a lasciarlo in pace. E così Johanna era cresciuta ascoltando la sua voce. In un certo senso gli era stato vicino e di questa cosa doveva esserne grato a Marika. La ragazza continuava a guardarlo, ma questa volta il suo sguardo duro si era tramutato in uno curioso. Era come se Ville volesse dirle qualcosa o fare un gesto che lei non riusciva ancora a capire quale poteva essere.
Infine Ville, dopo aver distolto lo sguardo da lei per circa un minuto, la guardò di nuovo e stampandosi un sorriso sulle labbra disse: " su vieni, ti riaccompagno a casa."
Di malavoglia, Johanna si lasciò guidare dalla mano di Ville appoggiata sulla sua spalla e così entrambi uscirono da quel luogo cupo e triste.
 
 
La pioggia continuava e picchiettava violenta sul vetro della finestra di Johanna.
Forse era una questa delle cause che non le permettevano di addormentarsi.
Si rigirò varie volte nel letto cercando una posizione comoda ma il sonno non arrivava.
Controllò che le ultime cose fossero apposto. Si assicurò che il suo album fotografico fosse al sicuro nella borsa a tracolla. Non si fidava a lasciarlo nella valigia. La voglia di rivedere quelle foto era tanta, ma ora non era proprio il caso. Era tardi e almeno un po’ doveva dormire. Prese un sonnifero dal comodino e si lasciò scivolare tra le braccia di Morfeo. Il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare tanti cambiamenti..
Forse sarebbe dovuta scappare, ma non sarebbe servito a nulla. Avrebbe solo complicato le cose e poi Ville era un personaggio famoso e sarebbe stato un disastro.
No, doveva solo..
Il sonno la colse in pieno e gradualmente i pensieri si trasformarono in sogni, mostrandole creature magiche che in genere popolavano i suoi mondi onirici, ma stavolta c’era anche sua mamma.

Almeno questo si ricordò la mattina dopo appena si svegliò. Marika era stata nel suo sogno, ma come spesso le capitava non ricordava quello che era successo.







VALS, IL RITORNO
Welllaaa eccomi di nuovo qui! 
Dovete perdonare la grande attesa, ma sono ancora in fase studio e appena mi libero di questo fardello sarò tutta vostra :D
Mmmh..dunque facciamo due calcoli: Ville ora sa che Johanna è una grande fan degli HIM ( accresciamo l'ego della Dark Divah, dai su xD), lei non ha proprio tanta voglia di andarsene e Jackie sta premeditando uno sterminio di finnici belli e sexy..la cosa è messa molto bene direi xD
Voglio avvisare la gentile clientela ( che tra l'altro ringrazio per la gentilezza di essere passata <3) che questi due capitolo sono leggermente noiosi. Quindi dal prossimo cominciamo a vedere un pò che cosa combinerà Valo. Parola di Vals u.u
Il prossimo capitolo spero di postarlo al più presto. Fino a quel momento fate le brave (?)






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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***












Dear Father

Capitolo 3




La ragazza si stropicciò più volte gli occhi per scacciare la sensazione di stanchezza che le faceva sentire la testa ancora appesantita. Continuò a sfregarli fino a quando non li sentì svuotati di ogni residuo di sonno. Lentamente si mise a gambe incrociate sul letto e restò così per un bel pò di tempo, contemplando quelle quattro mura che la circondavano e che mai come in quel momento voleva vedere anche la sera. Sapeva che ciò non sarebbe successo: poche ore e non avrebbe visto più nulla di quella città, di quella casa e di quella stanza, nemmeno i suoi dettagli più futili e stupidi come la crepa vicino alla finestra che aveva lasciato leggermente aperta senza accorgersene. La frescura, penetrata durante la  notte, aveva reso la stanza molto più fresca del dovuto tanto da spingere Johanna ad alzarsi e chiudere la finestra. Quando si voltò, con amarezza si guardò intorno e sospirando cercò di ricacciare le lacrime. Si avvicinò al comodino e prese la sua reflex decisa a metterla nella borsa a tracolla, ma prima di farlo sentì di dover scattare delle foto, senza un motivo valido. Chissà se sarebbe tornata..

In quel momento non aveva nessuna certezza né per il suo presente, né per il suo futuro. Anzi proprio quest'ultimo le appariva nero, vuoto e spento. Sapeva solamente che da lì a qualche ora sarebbe capitolata ad Helsinki e al solo pensiero aveva voglia di sprofondare nel pianto più disperato. Era un terra di sconosciuti, anche Ville lo era e sapeva che si sarebbe sentita morire senza Jackie. Scosse la testa decisa ad impedire al panico di farsi avanti. Lei non era debole, non doveva esserlo! Non lo era mai stata e odiava piangere. Aveva sempre cercato di essere forte anche in quei momenti in cui la forza era solamente un nome simbolico. Tornò a distendersi sul letto con la reflex ancora fra le mani ma spenta. Deglutì a fondo mentre una lacrima solitaria le solcò la guancia scivolando lungo la pelle e morendo sul cuscino.
Poi qualcuno bussò alla porta e lei si mise nuovamente seduta togliendosi immediatamente i residui delle gocce salate dal volto. Jackie si fece avanti e sorridendo timidamente disse: " ehi..tutto okay?"
Johanna annuì senza emettere un solo suono.
" Di là ci sono Duncan e Daphne.."- disse con cautela la donna capendo immediatamente lo stato d'animo della ragazza.
" Arrivo."- disse con voce incerta Johanna facendo finta di niente e mettendo la reflex finalmente nella borsa facendo particolare attenzione a non rovinare l'album fotografico.  Jackie prima di andare via la guardò a lungo mentre era affaccendata e sentiva il suo cuore stringersi sempre di più in una morsa fatale. Poi decise di lasciarla sola a prepararsi tornando dai due ragazzi che aspettavano in cucina l'arrivo della loro amica con una grande tristezza.
Johanna controvoglia andò in bagno dove restò a lungo a contemplare la sua immagine riflessa nello specchio. Le occhiaie sotto agli occhi non aiutavano a supportare la sua finta espressione allegra, quella che cercava di stamparsi  per far credere agli altri che stesse bene; le labbra sottili era screpolate e in qualche punto mancava lo strato di pelle. Quel dannato brutto vizio non riusciva a lasciarla in pace! Un giorno o l'altro avrebbe finito per svegliarsi senza un briciolo di carne; la pelle aveva ceduto il posto ad un colore molto vicino al bianco. Le sue guancie, infatti, avevano perso il solito colore roseo da piccola bambolina di porcellana; gli occhi di quell'azzurro che da sempre si erano distinti per la bellezza innaturale, erano spenti e tristi. Sapere che quel taglio fosse simile, anzi uguale a quello di Ville, la faceva sentire strana. Non sapeva se sentirsi lusingata e apprezzare quel dettaglio, o esserne indifferente. Lei non ci aveva mai fatto caso, nemmeno quando sua madre una volta glielo fece notare.  Johanna si era limitata a ridere senza capire fino in fondo quelle parole. E forse avrebbe dovuto farlo e iniziare a chiedersi perché sua madre ogni tanto le diceva cose del genere. Per giustificarsi si diceva che era piccola o che fossero delle gentili prese in giro da parte di Marika per via della sua ossessione. Sospirò nuovamente e dopo essersi lavata si legò in una coda alta di lunghi capelli castani e infilò le prime cose che trovò fuori dalla valigia: un paio di converse nere con piccoli teschi bianchi, un paio di jeans scuri e una maglia nera a maniche corte con piccoli dettagli rossi. Prese il cardigan leggero che infilò mentre scese le scale dirigendosi in cucina.
Quando fu lì ritrovò il suo piccolo nucleo familiare pronto a sorriderle, anche se si trattava di una tristezza camuffata di falsa contentezza. Gli occhi arrossati di Daphne erano la prova certa che quei sorrisi in quel momento fossero semplicemente di circostanza.
" Ciao."- esordì Johanna cercando di sorridere. Si sentiva tremendamente in colpa di vedere le persone che più amava in quel modo. L'amica le si avvicinò abbracciandola, così come Duncan che aspettò un pò prima di avere anche lui il privilegio di poter stringere fra le sue braccia Johanna.
" Non sparirai per sempre, vero?"- chiese Daphne cercando di dare un contegno alla sua voce.
" Non succederà."- la tranquillizzò Duncan rispondendo al posto di Johanna, la quale sorrise annuendo.
" Non me ne vado per sempre."
Non ne era sicura, ma cercò di credere a quelle parole, anche se era più sicura del loro contrario. Jackie restò in silenzio. Qualunque cose avesse detto in quel momento non sarebbe riuscita a mantenere il suo solito tono allegro, anzi era ad un passo dal piangere anche lei.
Quella mattina sembrava proprio che la tristezza avesse deciso di fare colazione con quel quadretto davvero amorevole. Quegli abbracci e gli ultimi scambi di battute spiritose, servirono a rendere l'atmosfera meno sgradevole e pesante e a ricordare a Johanna che non sarebbe stata sola.
 
 

Era ancora presto e Johanna era convinta che Sua Maestà Infernale non sarebbe giunto tanto presto a portala via, ma poteva anche succedere il contrario e trovarselo lì davanti alla porta impaziente di partire. Fu così che dopo la colazione, con l'aiuto degli altri, finì di catalogare e organizzare la roba che Jackie nei mesi successivi le avrebbe dovuto spedire.

Pian piano l'attesa iniziò a farsi più snervante e irritante. Forse avrebbero dovuto fare con più calma quei preparativi, invece di buttarsi a capofitto e finire il tutto in tempi record. La tensione era percepibile nell'aria, mentre Jackie prese a fare avanti e dietro tormentandosi le pellicine vicino alle unghie già mangiucchiate. I tre ragazzi cercavano di sostenere una chiacchierata senza apparire agitati, ma i sorrisi sforzati non permisero di mandare avanti ancora per molto quella sceneggiata. Così finì che quella stanza calò nel silenzio più totale.
Strano come una sola persona in meno di una settimana fosse stata in grado di cambiare le loro vite.
Proprio quando i loro animi sembravano essersi ibernati, il silenzio fu rotto da quel suono tanto atteso quanto indesiderato. Jackie quasi si spaventò e lentamente si avvicinò alla porta cercando di mantenere un certo controllo di fronte alla sua rabbia quando aprì e si ritrovò Ville davanti. Lo squadrò dall'alto in basso furiosa. Quel giorno Ville indossava una camicia nera e dei jeans scuri e abbastanza attillati. La cosa strana era l'assenza della sua immancabile sciarpa, che aveva lasciato spazio al colletto mezzo aperto e scomposto della camicia da cui era possibile intravedere l'occhio impertinente del suo tatuaggio. I capelli erano sciolti e ribelli.
I ragazzi nel frattempo si erano abbracciati, incapaci di esprimere a parole i loro sentimenti.
" Buongiorno!"- disse Ville sfoggiando un sorriso sghembo.
"Vai a quel paese!" - gli rispose secca Jackie facendolo entrare.
" Il buongiorno si vede dal mattino, eh?"-  chiese ironico.
Jackie lo fulminò con lo sguardo, mentre lui salutò i ragazzi che gli risposero in un sussurro. Daphne prese ad osservare il finnico e più lo guardava e più anche lei notava l'assurda somiglianza fra lui e Johanna. Duncan aveva abbracciato nuovamente la sua migliore amica. Johanna inspirò a fondo il suo profumo con la paura di non poterlo più sentire per tanto tempo. Poi lentamente e a malincuore si allontanò dal ragazzo e posò lo sguardo su Ville, che a sua volta la guardava con una faccia inespressiva. O almeno era quello che vedeva Johanna. Per lei sembrava che non gli importasse nulla dei suoi sentimenti.  Non poteva sapere, invece, che quella situazione faceva male a Ville più di quanto poteva immaginare.
"Si è fatto tardi.."-  disse questo cercando di non apparire davvero un insensibile, appellativo che invece si beccò mentalmente da parte di Jackie che continuava a guardarlo a braccia conserte.
Johanna annuì e prese la sua valigia cominciando a trascinarla verso la porta e fu allora che sentì un'altra mano sfiorare la sua e prendere il manico del bagaglio. Jackie l'abbracciò e lei ricambiò stritolandola. Dopo tutte quelle ore anche la donna aveva dato sfogo alle sue lacrime.
"Ho promesso che mi sarei presa cura di te e lo farò. Verrò appena mi sarà possibile. Non credere di liberarti di me così di colpo."-  le sussurrò all'orecchio con la voce spezzata dai singhiozzi. Johanna le sorrise. Aveva fiducia in Jackie.
"Sei la zia migliore del mondo."-  disse fiera posandole le mani sulle spalle.
Ma ora era davvero il caso di andare.
 


" Siamo arrivati in tempo!"-  commentò Ville indicando la ragazza che faceva entrare i primi passeggeri nel corridoio.
Johanna restò in silenzio. Lei non voleva andarsene.  Attraversò quel lungo corridoio che l'avrebbe portata sull'aereo con un senso di vuoto.
Lo sapeva bene, quello sarebbe stato un volo lungo, pieno di silenzi imbarazzanti e tante altre cose spiacevoli.
Educatamente Ville le lasciò il posto accanto al finestrino. Di solito quello era il suo posto d'onore e nessuno doveva privargliene, ma quella volta fece una grande eccezione, sorprendendo lui stesso. A Johanna le andava più che bene. Avrebbe avuto qualcosa da fare durante il volo come guardare il paesaggio fuori. Inizialmente aveva pensato di dormire, ma si sarebbe potuta trovare appoggiata alla spalla di Ville al risveglio e questo voleva evitarlo anche se, la fan che c'era in lei le diceva di attaccarsi come un koala all'uomo.
Finalmente l'aereo decollò portando con sé tanta ansia. Se ricordava bene, Ville stava con Hanna, e lei quella donna la trovava estremamente antipatica. Poi, però, i suoi pensieri si spostarono su un altro versante, forse molto più positivo di quello che credeva.  Avrebbe conosciuto  Migé,  Linde, Burton e Gas! Quel semplice pensiero la faceva sentire meno arrabbiata.
Ma poi le venne in mente che Ville aveva una famiglia e che essa avrebbe fatto parte della sua vita e a quel punto si sentì nuovamente in preda al panico. Jesse suo zio! Era davvero una cosa assurda.
Lo stesso Jesse era ancora ignaro che Ville stesse tornando a casa in compagnia di una ragazzina che addirittura era sua nipote. Quando aveva accompagnato Ville all'aeroporto era a conoscenza solamente di tutta la storia del primo amore di suo fratello, ma che Marika avesse una figlia per lui era ancora un'incognita.
Johanna nel frattempo si mise le cuffiette e cominciò ad ascoltare la musica cercando di rilassarsi. Ville invece aveva deciso di sfogliare un giornale, ma il suo era un gesto più che altro meccanico. Le immagini che passavano davanti ai suoi occhi erano solamente un turbinio di colori e quelle parole un misto di segni senza senso che velocemente scomparivano per dare spazio ad altre pagine. Non stava leggendo e non stava prestando attenzione. Sentiva solamente di dover iniziare a dire qualcosa di gentile e avviare una conversazione qualsiasi con sua figlia.
Johanna, invece, continuava a chiedersi perché Ville aveva deciso di prenderla con sé. Lei si sforzava di trovare una risposta, ma il tutto era un gran rompicapo e lei non era mai stata brava a risolverli, mentre, a quanto pareva Ville si divertiva tanto a complicare la vita a sé stesso e agli altri.
Questa volta la risposta non la sapeva nemmeno Ville. Si era lasciato guidare dall'istinto e si era ritrovato ad agire come se qualcuno glielo avesse ordinato o forse semplicemente si limitava a realizzare il volere di Marika. La stanchezza iniziava a farsi insopportabile e con la musica nelle orecchie Johanna si addormentò.
Ville se ne accorse solo quando sentì la sua testa appoggiarsi alla spalla. Mise via la rivista completamente preso dal panico. E adesso cosa doveva fare? Di solito era Migé che finiva per dormire sulla sua spalla e lui prontamente se lo scrollava bruscamente di dosso indifferente alle proteste dell'amico. Il tutto poi finiva con una semplice e chiassosa risata. Questa volta la cosa era diversa. Si trattava di sua figlia e di certo non poteva comportarsi allo stesso modo. Era, quindi, arrivato il momento di agire in maniera diversa, da padre. Di sicuro non era così stupido da farla dormire in una posizione scomoda, così con molta calma e lentezza le sistemò meglio la testa e attento a non svegliarla le sfilò di mano l'i-pod per metterlo nella borsa che Johanna teneva ben stretta a sé.
" Cosa stai facendo?"
 La voce mezza assonnata di Johanna gli fece prendere un colpo.
"Ti eri addormentata."- le disse sorridendo con l'i-pod ancora in mano.
"No, intendevo, cosa stai facendo col mio i-pod?"- disse Johanna indicandolo.
" Ti eri addormentata con la musica sparata nelle orecchie e lo stavo per mettere nella tua borsa."-  si giustificò Ville.
" Grazie della gentilezza."-  disse scontrosa riprendendosi l'oggetto e rimettendosi le cuffie nelle orecchie. Si sentì irritata. Non voleva che Ville prendesse le sue cose, anche se c'era una giustificazione pronta. Non doveva farlo e basta.
Ville la guardò senza aggiungere altro. Era scontrosa proprio come lui quando non voleva stare a contatto con altra gente.
Così per il resto del viaggio stettero in silenzio.
 

Erano appena scesi dall'aereo e grazie alla folla che c'era erano riusciti a dare poco nell'occhio. Johanna si sentiva spaesata, molto di più di quello che aveva previsto. Era ad Helsinki, per la prima volta in vita sua. Stava per vedere la città di sua madre, ma senza di lei. Marika le aveva promesso che sarebbero andate insieme..
 Il fatto di trovarsi in quella città con Ville e non con sua madre, la metteva a disagio. Presa dai suoi pensieri, non si accorse che davanti a lei quell'uomo che seguiva non era Ville.
Si fermò di colpo, lasciando che la persona dietro di lei le andasse a sbattere contro, non accorgendosi che si era fermata. Il panico si era impossessato di lei bloccandole il cervello.
"Stai attenta!"-  le urlò arrabbiato il passante prima di sparire. Lei non ci fece nemmeno caso a quelle urla. Era piuttosto presa da altro.
" Magnifico. Questo ci voleva!"- esclamò tra sé arrabbiata.
Cominciò a girarsi intorno terrorizzandosi ad ogni minuto.



Jesse era fermo con le braccia incrociate al petto,  guardandosi intorno in cerca di suo fratello. Era magro come Ville, forse anche di più di lui e gli indumenti scuri che portava accentuavano ancora di più questo aspetto.  Ville lo riconobbe per via del suo berretto colorato che lui stesso odiava a morte e sorridendo si avvicinò velocemente.  Jesse appena lo vide accennò un saluto.
" Fratellino!"
" Su andiamo."- disse il minore precedendolo verso l'uscita. Il sorriso sul volto di Ville scomparve. Non diceva niente su Johanna?
" Jesse non dici niente?"- chiese Ville indicando alle sue spalle.
Jesse non capendo guardò confuso Ville.
" Cosa dovrei dire? Dovrei farti la danza del ventre per essere tornato sano e salvo in patria?"
" Dov'è Johanna?" chiese Ville senza prestare attenzione alle parole di Jesse voltandosi e sentendosi in preda ad un attacco di infarto appena vide che Johanna non era dietro di lui.
" Chi è Johanna?"- chiese Jesse al finnico agitato senza avere risposta.
Così andò accanto al fratello e cominciò a scuoterlo.
"Chi è Johanna?"- chiese nuovamente.
Gli occhi di Ville sembravano un mare in tempesta mentre continuava a guardasi intorno.
" E' tua nipote, dannazione!"
Dei modi che Ville aveva pensato di dirglielo questo fu sicuramente il peggiore.
"Mia.. che cosa?"
Jesse non riusciva a credere a quello che aveva sentito.
"Tua nipote. Nipote: figlia del figlio dei tuoi genitori nonché di tuo fratello."- scandì Ville. Jesse lo guardò sconvolto.
" Aspetta un momento. Io ho una nipote che è tua figlia e che si è persa?"
" Bravo! Come premio meriti una caramella."- rispose sarcasticamente Ville i cui fasci di nervi divennero robusti come i rami degli alberi. Entrambi restarono per lungo tempo a guardarsi negli occhi.
" Dobbiamo trovarla."- disse infine Ville guardandosi intorno.- " tu vai di là, io cerco da questa parte."- comandò sparendo, trascinandosi dietro la valigia e senza dare altre informazioni al povero Jesse che rimase immobile per qualche attimo. Come cazzo avrebbe fatto a riconoscerla? Domanda da un milione di dollari.
Nonostante l'inconveniente, Jesse si incamminò verso la direzione indicatagli dal fratello. Attorno a sé sentiva solo rumori e voci che si univano formando un unico e fastidioso suono. Si concentrò sulle persone che aveva davanti. Analizzò uno ad uno i volti, scartando i bambini, i maschi e le donne che sembravano troppo grandi per essere figlie di Ville. Si fermò in mezzo alla sala, massaggiandosi il mento.
Come aveva fatto quel coglione di suo fratello a perdere sua figlia?











VALS, IL RITORNO:
Già, come fa a perdere sua figlia??! Ville SVEGLIATE! 
Okay, penso che non sia bello lasciare un capitolo con un domanda e per giunta con la vicenda in sospeso. Oh e che volete? La dinamica è stata progettata in questo modo, sorratemi u.u
Tanto aggiornerò presto, don't worry :)
Facciamo il punto della situazione: siamo ad Helsinki, naturalmente in senso metaforico xD, e il primo personaggio che ha fatto la sua comparsa è Jesse e state tranquille che non vi libererete facilmente di lui u.u
Ah sì! Abbiamo lasciato Jackie con una mezza minaccia, ovvero, che lei presto o tardi verrà da noi ad Helsinki xD
A prestare il volto alla giovane Jackie è una delle mie artiste preferite, Sara Bareilles che è abbastanza conosciuta con la canzone " Love Song" ( non so se conoscete xD) comunque vi lascio uno scatto :D


http://userserve-ak.last.fm/serve/500/18030327/Sara+Bareilles+her+chuck+taylors.jpg

 
Allora alla prossima, Ladies!!
Vals <3






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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***












Dear Father

 
Capitolo  4

 




Le dita tamburellavano sul ginocchio al ritmo di una musica inesistente e il piede sinistro continuava a dondolarsi quasi in modo indipendente dal resto del corpo, mentre la povera Johanna, seduta sulla panca e isolata dal resto della massa, si guardava intorno per l'ennesima volta nella speranza di scorgere  tra quei puntini colorati che riempivano l'aeroporto,  la figura scura che l'avrebbe portata via da quel posto.

Ville, però, tardava ad arrivare e lei non riusciva ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere nelle ore successive, quelle che già da quel momento stavano scandendo gli ultimi aggiornamenti della sua vita. Sapeva solo che lei era lì, da sola, in una terra che conosceva solo per sentito dire, con l'ansia alle stelle e la paura di restare lì non solo quel giorno, ma per tutti gli altri giorni. 
Non aveva il numero di cellulare di Ville e si rifiutava categoricamente di farlo chiamare con l'altoparlante.
Il signor Ville Valo è desiderato al banco di informazione.
No! La cosa le risultava abbastanza imbarazzante. Avrebbe preferito mille volte accarezzare un serpente piuttosto che rendersi, almeno secondo il suo punto di vista, ridicola con un tale gesto. Così l'unica cosa che doveva fare era aspettare che lui la cercasse. Stava sperando che da un momento all'altro Ville sbucasse da quella massa informe di gente che andava e veniva, ma tutto ciò continuava a vivere solamente nella sua fantasia.
In quel momento il cellulare vibrò avvisandola dell'arrivo di un messaggio.
Sei arrivata?
Il messaggio era di Jackie che, come Johanna ben sapeva, di sicuro era ancora in ansia. Decise che era meglio omettere la parte dello smarrimento e assicurarla che il viaggio fosse andato bene.
Sì, siamo appena arrivati ad Helsinki!
Inviò il messaggio aspettando che la letterina scomparisse. Fissò il cellulare e poi il pavimento e sbuffando si chiese se era davvero il caso  di allarmarsi.
 


Dopo aver ispezionato una bella fetta dell’aeroporto, Jesse si sentì esausto. Così si lasciò cadere poco educatamente su una delle tante panche senza badare a chi fosse già seduto e prese a massaggiarsi le tempie per rilassarsi un pò.  Era la prima volta che si ritrovava a svolgere un tale incarico e sperava con tutto il cuore che quella sarebbe stata la prima e ultima volta.

Dopo aver rilassato la sua mente alzò il viso e iniziò a guardarsi intorno per osservare chi era rimasto in quella sala. Qualche famigliola era seduta nell'attesa del proprio volo e più in là alcuni uomini d'affari camminavano avanti e dietro presi dai loro discorsi telefonici. Al di fuori di questi, il resto della massa era quasi sparita.  Fu nel momento in cui guardò chi altri fosse seduto nella sua stessa panca che si accorse di una ragazzina.
Johanna continuava a tenere la testa china e l'aria assorta nei suoi pensieri, preoccupata. Jesse, invece, sorrise. Aveva capito fin da subito che si trattava della ragazza giusta perché c'era qualcosa in lei, nel modo composto in cui era seduta, che gli ricordava molto Ville.
Trovata!
Scrisse velocemente in un messaggio al fratello e dando retta al suo istinto si alzò e si diresse verso di lei.
Più si avvicinava, più notava la somiglianza: il colore dei capelli, la forma del naso e tanti altri piccoli particolari.  La ragazza sentendo dei rumori alzò il volto dal cellulare. Pensava fosse Ville, ma restò paralizzata nel vedere Jesse, il quale appena incrociò il suo sguardo capì che era sicuramente lei Johanna. Il taglio degli occhi era uguale a quello di Ville, tranne il colore.

"Johanna..?"- chiese incerto.  Sembrava stupido chiederlo, eppure era giusto che la sua affermazione suonasse come una domanda. Insomma se l’avesse vista senza sapere di avere una nipote, gli sarebbe mai venuto il dubbio che lei potesse essere figlia di Ville? No. Johanna, nonostante la sorpresa iniziale di ritrovarsi davanti suo zio, si alzò, afferrando la sua valigia, infilò il cellulare in tasca e disse: " sì."
Il suo tono scontroso colpì Jesse. Capì che la ragazza era arrabbiata. Ma lui che colpa ne aveva? In fondo era lì per portarla via. Forse la ragazza avrebbe preferito che fosse Ville a presentarsi in quel momento e non lui.
" Beh ehm..io sono Jesse il fratello di Ville."
Si strinsero la mano mentre lei continuava a guardarlo dura.
" Vieni, Ville ci starà aspettando.."-  disse precedendola.
Johanna lo seguì stando attenta a non perdersi questa volta. Ville li stava aspettando davanti all'uscita e appena li vide il suo volto teso si rasserenò.
" Pensavo che avessi sbagliato!"- disse Ville sospirando, rivolto a Jesse, memore del fatto che non gli avesse detto nemmeno come era vestita.
Poi guardò Johanna e le sorrise rassicurante.
In un altro momento, guardando quel sorriso dolce, Johanna si sarebbe sciolta. Questo, però, prima di sapere di essere sua figlia. Adesso, invece, era decisamente allarmata e per tutta risposta distolse lo sguardo, fingendosi interessata al cielo azzurro e limpido di Helsinki, che si intravedeva appena oltre le grandi vetrate.
Jesse aveva un disperato bisogno di avere delle spiegazioni. Il tutto era sì chiaro, ma  aveva solo bisogno di conferme alle teorie che gli frullavano in testa. Forse, però, quello non era il momento. Avvertiva una leggera tensione fra i due e questo di certo non era un elemento positivo. Evidentemente la ragazza si sentiva leggermente infastidita, o forse era meglio dire che si sentiva alquanto fuori luogo e arrabbiata per essere stata sradicata dalla sua vera casa. Chi non lo sarebbe stato? Trovarsi improvvisamente catapultati in un'altra realtà di sicuro non era mai semplice e meraviglioso.
" Impossibile.."- disse Jesse più a se stesso che agli altri, ma evidentemente non aveva tenuto in conto il fatto che avesse dato gran voce ai suoi pensieri. Ville e Johanna si voltarono a guardarlo confusi. Jesse ricambiò passando lo sguardo da uno all'altra. Insomma la somiglianza era troppo evidente!

" Siete praticamente identici."- esclamò.
Johanna abbassò lo sguardo imbarazzata. Ville le gettò uno sguardo divertito prima di seguire il fratello che già si stava dirigendo all'esterno. Il finnico era sicuro che non si sarebbe mai riuscito ad abituare a quelle parole.
Johanna, che non voleva perdersi nuovamente, li seguì nervosa afferrando la sua valigia . Uscirono e subito furono colpiti dai raggi del sole. Ville, come il fratello, si calò gli occhiali sul volto, mentre Johanna si coprì il volto con una mano. 

Giunti vicino alla macchina, Jesse aprì il bagagliaio e fece spazio a Ville che infilò la sua valigia sollevando poi quella di Johanna che mise accanto alla sua. Johanna restò a guardare senza riuscire a sussurrare nemmeno un semplice " grazie". Era così bloccata nei confronti di Ville che non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a vivere a suo stretto contatto a partire da quel giorno stesso. Si rendeva conto che era tutto abbastanza difficile, forse anche troppo per i suoi gusti.
In macchina in poco tempo il silenzio regnò sovrano e questo era strano per i due fratelli Valo che generalmente non stavano mai zitti. In quel momento ognuno era avvolto nella nebbia dei propri pensieri e sembrava che nessuno avesse voglia di uscirne fuori. Jesse continuava a guardare suo fratello e al tempo stesso la strada per evitare di fare incidenti. Ville invece pensava, e nelle sue riflessioni cercava di trovare i lati positivi dell'intera situazione.  Ora cosa avrebbe fatto? Portare sua figlia ad Helsinki era stata la cosa più semplice di tutta la storia. Era da quel momento che iniziava la parte più complicata: come sarebbe riuscito a farla sentire a proprio agio?
Johanna si era seduta dietro a Jesse e si era appoggiata alla portiera. Tirò fuori la Reflex e scattò qualche foto.
" Passione per la fotografia?"- chiese Jesse rompendo per primo quello strano rito.
"Presa dalla mamma. Ma tu dovresti saperlo bene, no?"- chiese sottolineando il "tu" e guardando nello specchietto retrovisore per incrociare lo sguardo di Ville, solo per un secondo, giusto quel po' che le bastò per assicurarsi che lui ricordasse ancora. Ville la guardò senza dire nulla.  Jesse, invece, un pò imbarazzato, continuò a guidare dritto fino a casa, mentre Ville finì per appoggiarsi al vetro fresco del finestrino osservando fuori con uno sguardo assente.

Lui ricordava perfettamente, più di quanto Johanna potesse immaginare.
 
 

" Eccoci arrivati!"- esclamò Ville appena Jesse parcheggiò nel giardino di quella che doveva essere la sua nuova casa, la famosa torre, quella di cui Johanna aveva visto solo qualche foto su internet e su cui aveva fantasticato molte volte. Avendola vista solo dall'esterno e in  tutta la sua maestosità, nasceva spontaneamente la sua curiosità e dando spazio alla sua immaginazione e a chiedersi come facesse Ville a vivere lì. Era un posto troppo grande per una sola persona, eppure lei credeva che tale abitazione in un certo senso rappresentasse l'animo solitario e schivo di quell'uomo che da un giorno all'altro era diventato suo padre.

Con mille pensieri che continuavano a ruotare vorticosamente nella sua testa, Johanna scese dalla macchina guardandosi intorno disorientata e cercando di non rendere evidente la sua grande emozione. Era pur sempre la casa del suo idolo quella che stava vedendo e per lei restava un sogno che, strano a dirlo, si stava realizzando.
Jesse restò giù mentre lei seguiva Ville, che le portava la valigia, su per le scale.
Dopo aver attraversato il corridoio, si fermarono davanti ad una delle tante porte.
Ville la aprì entrando.

"Questa sarà la tua camera."- disse sorridendo.
Johanna entrò e notò che come per il resto della casa, il colore che dominava era il bianco. Al centro della stanza c'era un letto matrimoniale con le lenzuola di un tetro grigio chiaro. Alla parete, invece del solito armadio, c'erano delle ante scure che probabilmente portavano ad una piccola cabina armadio e accanto uno specchio che occupava gran parte del muro, contornata da una sottile cornice nera.
Nella parete opposta a quella della porta, c'era una grande portafinestra che portava al balcone. Ville la aprì facendo entrare nella stanza una lieve e piacevole brezza. Johanna uscì e osservò tutto il panorama spettacolare. Ville evidentemente le aveva offerto la camera più bella di tutta la torre.

" Può andare?"- chiese piano lui che era rimasto appoggiato allo stipite della porta, come se non volesse disturbare l'analisi dettagliata che Johanna stava facendo con gli occhi.
Lei si voltò e si sforzò di sorridere annuendo. In fondo era stato molto gentile e di sicuro in quel momento non si meritava risposte secche, acide e arrabbiate. Eppure non era ancora predisposta alla gentilezza totale. Forse aveva solo bisogno di tempo, forse solo di qualche giorno. Ville continuò a sorridere rincuorato dall'espressione gentile che si era stampata sul volto della figlia.
" Bene, penso che sarai stanca. Sistemati e dopo scendi per la cena.."-  disse decidendo di andare via per permettere a Johanna di sistemarsi a suo piacimento.
"Non ho fame..grazie." - rispose Johanna con tono spento.

Era vero, aveva lo stomaco chiuso.
" Sei sicura?"- chiese Ville un pò preoccupato. Quasi si pentì di quella domanda, temendo di sbagliare e riaccendere nella ragazza lo spirito ostile che le stava mostrando in quelle ore.
" Sì sono sicura."
Il tono categorico fece capire al finnico di evitare nuove domande. Johanna era testarda e sarebbe stato inutile costringerla a fare qualcosa che non voleva.
Così l'uomo si voltò e dopo aver annuito se ne andò lasciandola sola. Johanna si sedette sul letto e sospirò. Si guardò intorno senza capire come si stesse sentendo lì dentro. Era tutto così assurdo!

Il letto era molto comodo, ma prima che la catturasse con la sua morbidezza, decise di alzarsi e iniziare a sistemare le cose che c'erano nella valigia.
 


" Ville."- disse Jesse appena vide il fratello che scendeva gli ultimi scalini.
" Jesse."

 Ville sapeva di dovergli delle spiegazioni, ma non sapeva da dove iniziare.
" Quindi lei è tua figlia."- non era una domanda, ma un'affermazione, il semplice modo che Jesse trovò per iniziare quel discorso che mai in vita sua si sarebbe immaginato di fare. Non era da tutti i giorni portare a casa una ragazzina che per giunta era parte integrante della famiglia e che così di punto in bianco sarebbe diventata la residente fissa di quella casa.
" E di Marika."- aggiunse Ville, come se quello fosse il dettaglio più importante.

"Si può sapere come hai intenzione di crescerla?"- chiese Jesse con un tono di rimprovero.
" Ce la farò!"- esclamò lui togliendosi la giacca e facendola cadere sbadatamente sul divano. Jesse nel frattempo, come un mastino gli andava dietro.
" No che non ce la farai! Hai vissuto per sedici anni senza sapere di avere una figlia..e adesso l'hai portata qui ad Helsinki lontano da tutto e tutti quelli che conosceva così di colpo. Lei ha bisogno di una figura femminile!"
Ville restò sorpreso da quelle parole, anche se era cosciente di doversele aspettare. Non aveva pensato alle conseguenze di quelle sue scelte. Lui aveva seguito il suo istinto e per un momento si era imposto di non dare ascolto alla sua parte più razionale. Non riusciva ancora a capire se volesse per davvero fare il padre, o facesse tutto per Marika. Si sentiva in colpa e allo stesso tempo  in preda al panico.  

" C'è Hanna."- disse poco convinto.
" Almeno lei lo sa?"- chiese Jesse con fare inquisitorio in piedi e a braccia conserte guardando Ville seduto sul divano con la faccia nascosta tra le mani. A quelle parole Ville lo guardò e deglutì.
" Ecco, io non.."
" Cosa? Non le hai detto niente di Johanna?!"- esclamò scioccato Jesse portandosi una mano sulla fronte.
" No, a dire la verità, non sa nulla nemmeno di Marika.."-  Ville abbassò lo sguardo e con questo anche il tono della voce.
Jesse sbarrò gli occhi.

" Ville io proprio non ti capisco!"- disse sbuffando.
" Abbi fiducia in me fratellino!"- rispose Ville cercando di sorridere.
Jesse proprio non capiva le scelte di suo fratello. Ville voleva fare il padre, quando non riusciva a essere nemmeno un buon compagno? Decisamente non capiva.

 
 

Johanna era davvero stanca, voleva buttarsi sul letto e dormire profondamente, ma lasciare l'album fotografico e la foto di Marika e Ville così in bella vista non le andava a genio. Magari Ville mentre lei dormiva entrava nella sua stanza e " scopriva" tutto.

Tirò giù dallo scaffale accanto al letto uno dei libri di Ville. Prese la copertina e la mise sull'album così da farlo sembrare un libro e lo ripose con cura nello scaffale insieme agli altri, mentre quella foto solitaria la mise dentro la fodera del cuscino con l'intenzione di tenere sua madre accanto a lei quando dormiva. Si cambiò e scivolò sotto le lenzuola che avevano tutto un altro profumo da quello che ricordava. Si voltò verso la portafinestra e rimase ad osservare la luna. Era un piccolo spicchio candido che brillava nell’oscurità.
Poi guardò il soffitto completamente bianco, non come quello della sua vecchia camera dipinto di verde chiaro con l'aggiunta di qualche disegno, opera di sua madre. Ormai doveva arrendersi, non era più a New York!
Prese la fotocamera da sopra il comodino e riguardò le foto che aveva scattato quella mattina alla sua stanza. Già le mancava tutto.
Chiuse gli occhi e provò ad immaginare di essere ancora in quella stanza addormentandosi con l'idea che seppure era così distante, Jackie, Duncan e Daphne erano molto più vicini di quanto pensasse. Erano nel suo cuore.

 
 

Qualunque cosa Ville facesse non riusciva a prendere sonno. Si rigirava e rigirava nel letto assumendo diverse posizioni per sentirsi più comodo e provò a svuotare la testa immergendosi nel buio completo che le sue palpebre così ben serrate formavano. Si era quasi completamente attorcigliato con le lenzuola e visti i continui e opprimenti fastidi, decise di alzarsi. Indossò la maglia a maniche corte assicurandosi di uscire dalla stanza senza essere nudo. Ormai doveva iniziare a prendere abitudini diverse. Scandalizzare sua figlia era l'ultima cosa che voleva fare.

Uscì dalla camera e attraversò il corridoio, ritrovandosi davanti alla porta chiusa della camera che ormai era di Johanna. Era così strano pensare che da quel momento non sarebbe stato più solo in casa.
Da quando aveva comprato quella casa era sempre stato abituato a vivere come un lupo solitario, sapendo che le donne che passavano nella sua vita non si sarebbero trattenute a lungo lì con lui. Adesso, invece, tutto sarebbe cambiato. Johanna non sarebbe andata via e lui avrebbe cercato di fare in modo che la ragazza non provasse questo desiderio. Ad ogni ora che passava, in lui nasceva la convinzione di diventare un buon padre e che avrebbe fatto di tutto per assicurarsi che Johanna stesse bene. Forse era troppo presto pensare tutto in una sola volta, ma Ville era così: impulsivo, impaziente e perfezionista come pochi e complicarsi la vita analizzando grossolanamente tutto il problema senza dividerlo in punti e pensarci poco alla volta. Si avvicinò alla porta e la aprì di poco senza fare rumore. Johanna era completamente imprigionata fra le braccia di Morfeo. Sorrise dolcemente vedendola così rilassata e pian piano chiuse di nuovo la porta. Scese in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e poi si diresse in cima alla torre andando a sedersi nella terrazza.
La luna ormai era alta in cielo ed erano poche le stelle che si vedevano intorno. Faceva abbastanza freddo fuori per essere Ottobre, ma Ville come al solito affrontava il freddo senza coprirsi bene. Lasciò che la frescura facesse rabbrividire la sua pelle bianca e lì aspettò che il suo animo si calmasse.
  


Appena il sole fu abbastanza alto in cielo Ville scese giù per prepararsi la colazione. Era rimasto nel terrazzo a lungo a congelarsi senza dormire quel tanto che gli sarebbe bastato per non sbadigliare così rumorosamente. Quando sbirciò nel frigo rimase deluso nel trovarlo vuoto. E a quel punto decise che sarebbero andati a fare colazione fuori.
Nel frattempo Johanna era pronta per scendere anche se non voleva farlo. Si sentiva molto imbarazzata e non aveva la minima idea di come si sarebbe svolta quella giornata. Inoltre non sapeva come comportarsi una volta visto Ville.
Armandosi di tutto il coraggio che aveva scese le scale e trovò un Ville occupato a leggere lo schermo del portatile seduto comodamente in cucina.

"Buongiorno.."-  disse con un tono neutro.
Ville alzò lo sguardo e ricambiò sorridendo.
Si sedette anche lei ad una delle sedie sentendosi in soggezione a stare in piedi al centro della stanza. Ville continuava a leggere e Johanna si chiedeva cosa ci fosse di tanto interessante.
" Hai fame?"-  chiese Ville continuando a tenere gli occhi sullo schermo.
"Abbastanza."- rispose lei continuando a guardarlo.
" Ottimo, andremo a mangiare fuori e poi sceglierai che scuola frequentare."
Era appena arrivata e già doveva pensare alla scuola? Quindi era questo quello che Ville stava facendo al computer?
" Fantastico!"- rispose sarcastica.

" Jesse ti accompagnerà a vedere la scuola. Io non posso farlo perché ho le prove con gli altri."
Johanna ci rimase un po’ male. Insomma era compito suo?

" Immaginavo.."
"Hai detto qualcosa?"- chiese Ville confuso.
Johanna non si era resa conto di aver dato voce sospirando ai suoi pensieri, ma sembrava che Ville non avesse capito. Per fortuna!
" Cos’è senti le voci?"- chiese lei facendo finta di niente.- "..deve essere l’età."-concluse sospirando, precedendolo verso la porta.

 







VALS, IL RITORNO!

Ebbene sì, so tornata u.u! Un pò in ritardo, ma alla fine il quarto capitolo è arrivato! Avete visto? I due si sono ritrovati xD
Beh che ve pare? Se pò fà ancora? Fatemelo sapere <3 xD
Insomma è tutto abbastanza strano, me ne rendo conto, ma voi abbiate fiducia in Ville, che alla fine ci porterà tutte sulla cattiva strada xD
Povero Jesse..ormai non ci capisce più niente xD! E anche povero Ville! Ce l'hanno tutti con lui xD!
Ci vediamo alla prossima dolcezze
Vals




 

 



 






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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***












Dear Father

 
Capitolo 5

 

Johanna, appena uscì fuori, la prima cosa che fece fu voltarsi e alzare lo sguardo verso la torre. Sebbene si sentisse ancora spaesata e per niente sicura al fianco di Ville, non riusciva a credere di aver passato la notte lì dentro. Insomma, era o no una grande fan?
Era pronta ad aprire il cancello, quando si accorse che Ville era sparito. Possibile che lo perdesse di vista così facilmente? Diede la colpa a quella momentanea euforia che aveva provveduto per qualche secondo a cancellare il senso di angoscia che portava dentro. Era pronta a tornare dentro casa per cercare Ville, quando lui ritornò portando qualcosa con sé.
" Andremo in bici."- disse lui con un gran sorriso e con al suo fianco la bicicletta, la stessa che secondo Johanna aveva fatto la sua comparsa nel video " Scared to Death".
" Davvero?"- chiese sorpresa.
" Hai qualcosa in contrario alle bici?"- chiese lui fermandosi, ma con il sorriso sempre in bella vista. Non sembrava forzato come gli ultimi che le aveva riservato, ma non era nemmeno così spontaneo da farla sorridere. Era tuttavia un sorriso che la convinse a non essere così scontrosa come aveva programmato. Doveva iniziare a darsi una calmata, perché in fondo era suo padre anche se lei si ostinava a non volerlo accettare, o meglio, non del tutto.
"Assolutamente niente, però..ehm.. andare in bici con te è tutta un’altra cosa.."- disse timidamente. Era in imbarazzo avendo detto quella piccola verità che cercava di tenere nascosta,  ma quella frase le era venuta fuori spontaneamente e non era riuscita a fare marcia indietro in tempo.
"In che senso?"- chiese Ville sorridendole, divertito. Voleva farle ammettere che da fan qual era, adorava il trattamento riservato, ma non ci riuscì. Johanna era pur sempre testarda come lui e di certo non si sarebbe spinta al di là dei commenti e non avrebbe aggiunto nulla che potesse lusingarlo.
"Niente, lascia stare."- disse lei con noncuranza avvicinandosi.

 

Johanna sapeva che se non fosse morta in quel momento avrebbe ottenuto direttamente l'immortalità. Erano tutti lì e lei era sicura di aver perso non solo la voce, ma anche l'ossigeno. Lei era quel tipo di fan che sentiva gli HIM come una famiglia, lontana dunque dalle forme di apparenza che di solito vincolavano i fan passeggeri, quelli che si legavano più che altro all'aspetto fisico e alla bellezza del cantante di turno senza apprezzare gli altri componenti, non comprendendo che tutta quella magia esisteva soprattutto grazie a loro.

" Così è lei Johanna?"- chiese Migé sorridendo appena Ville e la ragazza varcarono la soglia della sala di registrazione. Gli altri si avvicinarono sorridendole.
Sapevano già il suo nome?
Johanna dentro di sé stava facendo i salti di gioia e ricambiò il sorriso, con uno raggiante che a Ville ricordava tanto quello di Marika. Per la prima volta la vedeva sorridere in maniera sincera e non di circostanza come faceva con lui.
Migé passò lo sguardo da Ville a Johanna, meravigliandosi anche lui della grande somiglianza.
" Io sono Migé."- disse presentandosi e porgendo la mano alla ragazza la quale l'afferrò restando imbambolata. Non riusciva a credere ai suoi occhi!

" Lo so! Cioè..voglio dire.. piacere, Johanna."- disse imbarazzata.
Migé sorrise divertito, mentre gli altri la salutarono a turno.
" Quindi è lei la nuova fiamma di Ville?"- chiese Seppo entrando nella stanza, abbastanza scocciato. Johanna si voltò verso di lui scandalizzata.
A quanto pare Seppo doveva essere l'unico in quella stanza a non sapere nulla del fatto che Ville avesse una figlia.
" Seppo, ma di cosa stai parlando?!"- chiese Ville confuso.
" Di questo."- disse l'uomo porgendo a Ville un giornale sulla cui copertina c’erano delle foto che li ritraevano all’esterno dell’aeroporto.
" A quanto pare stavolta te la sei scelta davvero giovane. E Hanna? Te la sei giocata?"- continuò studiando la ragazzina. Ville alzò di scatto gli occhi verso Seppo, con l'aria di uno che da un momento all'altro avrebbe scatenato una guerra, ma solo ed esclusivamente contro Seppo. Non accettava un  simile atteggiamento soprattutto nei confronti di sua figlia. Ad ogni ora che passava Johanna penetrava gradualmente nel suo cuore, anche se allo stesso tempo aumentava il timore di non essere in grado di farla stare bene. E di certo il  comportamento schivo e quasi antipatico della ragazza, non aiutava a pensare in positivo.
" No, non è come pensi.."- disse Johanna timida anticipando le mosse di Ville.

Seppo alzò un sopracciglio. Non di certo le aveva creduto. A quel punto Johanna cercò con lo sguardo l'aiuto di Ville.
" Johanna è la figlia di Ville.”- concluse Migé bloccando la furia di Ville.
" Che cosa?"- chiese Seppo scandalizzato.- " Ville, si può sapere cosa.."

Ma non riuscì ad andare avanti, perché lo shock gli tolse le ultime parole dalla bocca. Nel frattempo Gas e Linde guardavano il giornale, mentre Ville si era avvicinato a Johanna con l'intenzione di proteggerla.
" Sì..è così"- disse Ville tranquillo, decidendo di essere educato.- " ma la gente farsi i fatti suoi, mai? Fortuna che ti sei coperta il viso."- disse rivolto a Johanna decisamente imbarazzata.  Lei era andata lì per conoscere i suoi idoli, non per essere oggetto di scandalo! Si sentiva completamente indifesa. L'unica cosa che in quel momento la fece sentire meno agitata fu il sorriso di Burton e Gas che iniziarono a distrarla chiedendole se era contenta di trovarsi lì e quali fossero le sue canzoni preferite.
Seppo, nel frattempo, la stava studiando dall’alto al basso. Ville padre? Già pensava a tutte le situazioni che avrebbe dovuto risolvere.

Ville fece cenno a Seppo di tacere, nonostante quest'ultimo non aveva ancora parlato. Il finnico sapeva perfettamente che il suo manager avrebbe voluto sapere vita, morte e miracoli, ma prima doveva chiamare Jesse e poi, se si sentiva in vena, avrebbe parlato con lui.
" Jesse? Potresti accompagnare Johanna ad iscriversi a scuola?"
" Di già?"- chiese lui confuso dall'altro capo del telefono.
" Beh oggi è giovedì. Almeno da lunedì può cominciare, no?"
" E va bene.."- disse sospirando Jesse.
" Grazie."
Ville chiuse la telefonata e guardò Seppo il quale si era già rassegnato. Sapeva che Ville era cocciuto e che sarebbe stato inutile discutere con lui, ma almeno parlando civilmente, come sperava vivamente che accadesse, avrebbe capito qualcosa in più di quella situazione.
" Ville possiamo parlare?"-  chiese, infine, con il suo solito tono professionale.
Ville lo seguì fuori dalla sala, mentre Johanna stava continuando a chiacchierare lasciandosi andare man mano che passavano i minuti.
Ville si appoggiò scocciato al muro del corridoio aspettando che Seppo si richiudesse la porta alle spalle. Possibile che nessuno volesse lasciarlo in pace? Che cosa aveva fatto di male? Non aveva mica rubato! Aveva solo preso con sé una figlia ritrovata e che forse senza la morte di Marika, non l'avrebbe nemmeno conosciuta.
"Quindi lei è tua figlia.."- disse guardandolo.
Ville annuì convinto. Era strano sentire quella frase detta ad alta voce e sapeva che non si sarebbe abituato facilmente.
" Ville, per favore, spiegami. Come mai non ne sapevo niente?"- chiese guardandolo deciso.
" Non ne sapevo niente nemmeno io!"- esclamò Ville.
" Quindi tu mi stai dicendo che ti prenderai cura di tua figlia, di cui non sapevi neanche l’esistenza?!"- chiese Seppo guardandolo a bocca aperta.
"Esatto."- disse Ville scrocchiandosi le dita. Il suo tono di voce sereno e pacato faceva pensare che lui tenesse in mano l'intera situazione, ma invece non era così. Aveva semplicemente indossato la solita maschera da indifferente che utilizzava nei momenti di panico e paura.
" Perché lo fai?"- chiese Seppo all'improvviso, dando voce ai timori e interrogativi di Ville.- "insomma perché dopo tutti questi anni hai deciso di portarla all’improvviso ad Helsinki?"
"Ho dovuto farlo, la madre è morta."- rispose secco Ville.
Seppo restò per qualche minuto in silenzio.

 " Mi dispiace. Non aveva parenti? Ville neanche la conosci. Non sarebbe stato meglio aspettare e instaurare un rapporto invece di cambiare radicalmente la sua vita?"
" Marika voleva che me ne prendessi cura io."
Marika. Seppo non aveva mai sentito nominare da parte di Valo quel nome. Aveva una memoria perfetta, memorizzava ogni tipo di dettaglio, ogni minimo evento e schedava mentalmente anche le varie conoscenze non solo di Ville, ma di tutta la band. Tra i vari nomi che ricordava, però, non gli era mai parso di sentire quel nome. Però se Ville stava facendo tutto questo perché lo voleva Marika, significava che per lui, lei era stata importante.
"Almeno sai qualcosa di lei? Sai altro oltre al nome?"

Quella domanda fu una ulteriore spinta verso l'abisso. A pensarci bene, Ville non sapeva praticamente niente di Johanna, neanche quale fosse il giorno del suo compleanno. Aveva provato a sbirciare nei documenti al momento dell’imbarco, ma il suo tentativo era miseramente fallito.
" A questo porrò un rimedio in questi giorni."- disse oltrepassandolo per rientrare nella sala. Seppo lo fermò prima che potesse abbassare la maniglia.

" E Hanna?"-  chiese fissandolo negli occhi.
" A lei penserò dopo."-  rispose Ville rientrando finalmente.

 
 
" Posso chiamarti Jo?"-  chiese Ville mentre stavano uscendo dall'edificio. Le prove stranamente erano durate poco rispetto alla normalità. Ville era puntiglioso e perfezionista e riusciva in pochi istanti a portare sull'orlo della crisi isterica chiunque lavorasse al sui fianco; ma quel giorno tutto era stato diverso, con grande perplessità dei suoi compari. Era stato Migé a far notare a Ville la sua sbadataggine e prima che i disastri potessero aumentare smisero. I troppi pensieri riuscivano a fare anche questo e Ville si era rassegnato.
" No! Chiamami Johanna."-  rispose categorica.
" Perché? Non ti piace Jo?"- chiese Ville sorridendo.
" Non voglio che gli altri mi chiamino Jo."- rispose risoluta.
" Tua madre ti chiamava così, vero?"- chiese con calma Ville addolcendosi per un momento. Johanna annuì malinconica.
" Allora? Hai già deciso quale scuola frequentare?"-  chiese il finnico ponendo fine al silenzio imbarazzante che si era formato. Johanna e Jesse erano scomparsi per quasi tutto il pomeriggio e lui era curioso di sapere cosa avessero combinato. Johanna gli fece vedere il modulo.

" Sei nata a dicembre?"- chiese Ville sorpreso mentre leggeva. Era uno dei suoi mesi preferiti. Portava con sé un grande gelo e la neve scendeva dal cielo insistentemente e senza chiedere il permesso, sporcando e decorando tutto ciò che trovava al suo passaggio. A lui piaceva l'atmosfera che si veniva a creare; gli permetteva di concentrasi meglio sui testi che scriveva.
" Sì, il venti."- disse lei timidamente. Era ancora molto imbarazzata, ma il fatto che Ville si sforzasse di essere gentile con lei la faceva sentire meglio.
" Quindi dovremo festeggiare!"- e al solo pensiero Ville non sapeva da dove cominciare.
" No, non ce n'è bisogno!"- rispose Johanna decisa.
Ville restò in silenzio per il resto del tempo, cercando di memorizzare ogni dettaglio che gli sarebbe potuto servire leggendo i dati di Johanna.
" Vuoi frequentare il corso di canto?"-  chiese quando sul modulo vide la crocetta nel riquadro.
"Si..ehm..è un corso facile."- disse lei giustificandosi.
Interessante. Ville aveva appena scoperto che anche sua figlia poteva avere del talento e questo non poté che fargli piacere.
"Serve la firma del genitore per questo ti ho portato il modulo."- disse Johanna indicandogli lo spazio apposito nell'altra pagina. - " Jesse voleva firmare al tuo posto."- gli disse ricordando la scena esilarante e l'occhiataccia che il ragazzo si era beccato. Per lei era ancora difficile chiamarlo zio. A pensarci bene, per lei era ancora tutto difficile nonostante si sforzasse di apparire serena.
" Oh. Beh non mi sorprende. Devi sapere che hai uno zio scemo di natura."- disse Ville sorridendo e facendo sorridere anche lei.


Ville si accertò di persona che l'iscrizione andasse in porto e le varie pratiche portarono via molto tempo. Sì era fatto tardi ed entrambi avevano bisogno di mangiare. I ristoranti stavano cominciando a riempirsi sempre di più. Le famiglie tornavano a casa, mentre per le strade camminavano tanti ragazzi di tutte le età. Johanna si guardava intorno osservando ogni minimo particolare. Helsinki di sera era davvero bella!
" Che ne dici se andiamo a cenare?"- chiese Ville.
 " Va bene."- rispose Johanna distogliendo lo sguardo dalle luci.
Entrarono in una pizzeria e Ville sperò con tutto il cuore che quello diventasse l'inizio di una loro conversazione più lunga.

 
 
" Allora come va la missione?"- chiese Migé. Aveva accompagnato Ville a fare la spesa, non perché volesse aiutarlo, quanto piuttosto conoscere al dettaglio quello che stava combinando. Il fatto che in quei giorni si dilettasse a fare il padre lo divertiva e allo stesso tempo lo preoccupava, ma a differenza degli altri, non gli fece pesare la cosa né tanto meno farlo sentire uno schifo più di quanto già non si sentisse.
" Non benissimo. E' ancora all'inizio, ma è già tanto che abbia cambiato tono di voce. E' molto timida. Non so se sia per via del fatto che abita con il suo idolo o che non riesca a sopportare l'idea che gli sia padre. Insomma mi comporterei così anche io.."
" Ehi! Tu che ne sapevi?"- disse Migé passandogli una mano sulla spalla.- " tu non sapevi nulla e c'è una bella differenza fra un padre che sapeva e non agisce e un padre che non sapeva e agisce."
Quelle parole riuscirono a rincuorare Ville che annuì sorridendo.
" Sono sicuro che le cose andranno bene. E con il tempo Johanna si aprirà."
"Spero che lo faccia al più presto."
" E' molto simile a te, anzi identica anche nei modi. Ci hai messo passione."- concluse Migé ridacchiando.
" Smettila!"- esclamò Ville ridendo.
" Sai almeno cosa mangia? Non puoi comprare le schifezze che mangi tu."
" Tranquillo ho tutto sotto controllo."- disse Ville esasperato.
 " Ok."- disse Migé alzando le mani in segno di resa.
" Spero che quella ragazza sopravviva con.."-  prese in mano una delle confezioni nel carrello. - " che cos'è questo..?"-  chiese con un espressione scioccata e disgustata. Migé non condivideva le scelte vegetariane dell'amico.
" Io non ho intenzione di cucinare della carne!"- disse Ville deciso.
" Se non lo fai tu vengo a casa tua e lo faccio io! Cavolo deve mangiare qualcosa di sano! Non so portala da.."

Ville e Migé si guardarono e in particolare il primo terrorizzato esclamò: " i miei genitori!"
E ora chi glielo spiegava ad Anita che era diventata nonna? E a Kari? Kari nonno?
" Ops."- disse Migé cercando di nascondere il divertimento dal suo viso. Ville, invece, si portò una mano sulla fronte, decisamente preoccupato. Non aveva messo in programma questo piccolo dettaglio.
" A volte dimentico di avere dei genitori.."- disse sospirando guardando Migé e poi il vuoto.






VALS, LA VENDETTA u.u:

Saaaaalve amiche (?)
Mi sembrava giusto aggiornare visto che non sto facendo un cacchio e sono ad un passo dal pettinare i cani u.u! Ditelo che vi era mancata Johanna e la sua simpatia *o* xD!
Mmh idee su quale possa essere la reazione dei signori Valo? 
Sono aperte le scomesse! Chi indovina, vince un viaggio in Finlandia, con soggiorno direttamente nella torre villica u.u
Avete notato gli istinti omicida di Ville? Non toccategli Johanna altrimenti vi ammazza tutte quante xD! 
Grazie come sempre a tutte le donzelle che seguono Johanna e compagnia bella e che mi fanno sapere cosa ne pensano! E ringrazio anche i fantasmini che fanno swiiiish (?)!! Spero che qualche giorno vi facciate sentire anche voi..tanto io non ammazzo nessuno..semmai trasmetto un pò di pazzia..per il resto..tutta normalità xD
Alla prossima tonne <3!




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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***












Dear Father


Capitolo 6

 


" Non ci pensare nemmeno!"- disse Jesse allontanandosi, capendo subito che il fratello voleva dargli l'incarico di ambasciatore.-  "assumiti le tue responsabilità!"

" Non ti chiedo di dirglielo, ma almeno aiutami!"- lo supplicò Ville.
"Va bene!"- sbuffò Jesse, cedendo.- " domani sera portiamo Johanna da mamma e papà. Ok?"
 " Grazie fratellino!"- esclamò Ville abbracciandolo.

" Smettila! Mi stai soffocando!"- urlò Jesse cercando di divincolarsi dalla stretta mortale.
" Johanna dov'è?"
" E' di sopra. Come al solito è chiusa in camera sua."- disse Ville malinconico.
" La porto a fare un giro con me."- disse Jesse.- " deve iniziare ad apprezzare il lato più oscuro della famiglia Valo. E tu a quanto pare non sei di compagnia stasera."- indicò i fogli sulla tavola.
Ville abbozzò un sorriso e disse: " l'ispirazione è ispirazione."
" Certo. Beh chiama Johanna."

 
 
Ville salutò i due e tornò dentro deciso a prendersi cura almeno per due minuti della sua musa. I pensieri vorticavano pericolosamente nella sua testa e aveva paura che potessero giocarli un brutto scherzo. Forse era meglio leggere un libro.  Ancora prima di uscire dal salotto, il campanello suonò. Andò ad aprire ritrovandosi di fronte ad una ragazza abbastanza alta e magra. I capelli lunghi e mossi erano sciolti sulle spalle ed indossava un vestito nero corto. Hanna.
La salutò con un bacio.
" Allora era tutto vero! Sei tornato e non mi hai detto niente!"- cominciò lei avvicinandosi in modo minaccioso.- " e quella che ti sei portato da New York? Dov’è adesso? Voglio vederla!"- disse lei precedendolo verso l’entrata.
" Hanna calmati! Non è come pensi!"- disse lui calmo.
" No?!? Allora com’è Ville?"
" Siediti e ti spiego tutto con calma.."- disse lui sedendosi sul divano. Lei restò per un attimo in piedi e poi cedette sedendosi vicina.
Una volta seduti, Ville sospirando iniziò a raccontare.

" Vedi, anni fa, prima ancora di diventare famoso.."
Lei attenta ascoltava tutto rapita.
" Sei andato a New York per il funerale di questa Marika?"- chiese Hanna alla fine, arrabbiata per il fatto che non ne sapeva nulla.
" Sì, è proprio a New York, ho scoperto che Marika aveva una figlia, Johanna.” Concluse Ville piano. Hanna lo fissò a lungo, come se davanti a lei ci fosse un fantasma.
" Quindi quella nel giornale è tua figlia?"- chiese lei con la voce rotta.
Ville annuì.
Hanna si prese il viso tra le mani. Non riusciva a crederci, l’uomo che amava aveva una figlia.
" Perché non l’hai lasciata con quella Jackie?"- chiese d’un tratto.
" Perché Marika voleva che me ne prendessi cura io.."- rispose Ville d’istinto. Ormai era questa la frase che rifilava a tutti.
" Per te lei era così importante?"-  chiese Hanna che ormai aveva gli occhi lucidi.
" Devo assumermi le mie responsabilità."- disse l'uomo distogliendo lo sguardo.
" Ville rispondi."- disse alzandosi dal divano.- " Marika era importante per te?"- chiese quasi urlando, prendendogli il viso tra le mani. Ville non poteva negarlo, non l'avrebbe mai fatto. Marika era stata la sua donna. E probabilmente lo sarebbe stata ancora se non avesse deciso di farlo soffrire lasciandolo.
" Sì Hanna, lei è importante per me."- disse guardandola negli occhi.
Delle lacrime cominciarono a scendere lungo il viso della ragazza. La cosa che avrebbe fatto male a qualsiasi donna era sentirsi dire dall'uomo che amava quel " è" riferito ad un amore passato.
" Però ora sto con te."- disse Ville serio, capendo il motivo di quella tristezza. Ciò che aveva detto, però, era la verità. Lui aveva sempre pensato a Marika. Aveva provato ad andare avanti sapendo che non avrebbe trovato nessun rimedio alla morte, facendo così tornare in vita Marika. Poteva solo fare quello che gli aveva chiesto: prendersi cura di Johanna.

Ville si avvicinò ad Hanna e asciugandole con il dorso della mano le lacrime, la baciò. Stava fingendo, si sentiva un grande attore. Quel bacio non serviva, ma voleva farle credere ciò che le aveva detto.
Non importava che lui l’amasse o meno, lui stava con lei, questa era la realtà.
La fece sedere sul divano e continuò a baciarla. Lei fece scorrere le mani sul suo petto finendo per togliergli la maglia che finì sul pavimento.
Per rendere la scena perfetta, Ville avrebbe dovuto sussurrarle un " ti amo", ma non era capace di fingere fino a quel punto. Presi dalla situazione, non si erano neanche accorti del rumore del cancello che si apriva, della macchina che si parcheggiava, della chiave che girava nella serratura della porta d’ingresso e tantomeno dei passi che li raggiungevano.
Jesse infatti aveva un telecomando per aprire il cancello e le chiavi di casa.
Ville e Hanna sentirono qualcuno che tossiva e finalmente si staccarono l’uno dall’altra. Jesse si era ormai abituato a certe scene con Ville e poi aveva fatto l’abitudine anche alla presenza di Hanna . Però ogni volta che la vedeva la rabbia s’impadroniva di lui perché non le piaceva.
Johanna si nascose dietro di lui, scioccata, imbarazzata ma soprattutto delusa.  Avrebbe voluto tanto scappare via e fare come se nulla fosse, ma non poteva. Hanna si alzò dal divano imbarazzata aggiustandosi il vestito.
Ville cercò la maglia e una volta raccolta la indossò con nonchalance.
" Si è fatto tardi, devo andare."- disse Hanna, lasciando un bacio sulla guancia a Ville che rimase immobile continuando a guardare quel poco che intravedeva della figura di Johanna dietro a Jesse.
Hanna salutò Jesse con un sorriso, che non fu ricambiato e diede uno sguardo a Johanna che puntualmente si era girata dall’altra parte, e poi uscì lasciando quei tre da soli.

Nuova pessima mossa, Valo.
Jesse guardò Ville con rimprovero. Nonostante non fosse un grandissimo esperto in materia, sapeva che quelli non erano i comportamenti adatti da usare in presenza di altri, specie se per altri si intendevano dei figli. Voleva fargli capire che era padre, anche se Ville sembrava incapace di ficcarselo nella testa, e che non si poteva più permettere certe cose quando nell'altra stanza c'era una minorenne.
Ville sostenne il suo sguardo, senza parlare. Non era necessario farlo; a volte gli sguardi erano molto più efficaci di parole superflue. Di sfuggita gettò poi qualche sguardo a Johanna, sul cui volto si era dipinta un 'espressione di disgusto mista alla delusione e in tale delusione gli sembrava di vedere Marika.

Avvertì un duro colpo al cuore e più che mai in quel momento sentì la necessità di tornare indietro di qualche minuto per evitare quell'errore, ma non era possibile e l'unica via di fuga era il seppellimento immediato nell'imbarazzo e nella vergogna. Che gli era saltato in mente? E ora sua figlia cosa pensava di lui? Sicuramente non pensava a qualcosa di positivo.
" Ho sonno. Vado a letto. Buonanotte."
Il tono freddo con cui Johanna proferì quelle parole la diceva lunga e rispondeva esattamente alla domanda che Ville si era appena posto. Aveva peggiorato le cose ancora prima di sistemarle. Lo superò senza guardarlo, con aria severa e arrabbiata. Ville la guardò disarmato, facendo un passo incerto verso le scale, guardando la ragazzina scomparire alla velocità della luce. In lontananza sentì la porta sbattere con grande violenza e nello stesso istante tornò a guardare Jesse che fissò suo fratello con un pizzico di dispiacere negli occhi.
" Non voglio la tua compassione."- precisò bruscamente Ville allontanandosi.- " me lo sono meritato, perché lo sappiamo fin troppo bene tutti quanti che sono un coglione.."
" Ville.."
" Che non sono bravo a fare il padre e che mai ci riuscirò.."
" Ville!"- Jesse alzò di poco la voce per far tacere la litania che Ville aveva appena iniziato. Ville si fermò e lo guardò attendendo il suo comunicato stampa. Si stava aspettando di tutto, ma il sorriso che si stampò sul volto di Jesse era rassicurante e questo lo distolse dalla voglia di gettarsi nel fosso.
" Perché parti subito in quarta? Sono tuo fratello e mi preoccupo per te. A volte devo rimproverarti, non posso far finta che quello che fai sia giusto, ma questo non vuol dire che io voglia ammazzarti."
Ville si calmò e si passò una mano fra i capelli.
" Stai tranquillo. Le passerà subito. Devi capirla: lei è comunque una tua fan oltre che del resto della band ed è una ragazza. Lo sai come sono fatte le ragazze. Non sopportano che i propri idoli hanno delle fidanzate, specie se queste sono insipide, stucchevoli e stupide come Hanna. Beh pensandoci..non posso che dare ragione a Johanna."
Ville sorrise divertito notando l'espressione disgustata di Jesse.
" Proprio che non riesci a fartela piacere, eh?"
Jesse fece un cenno di diniego. Ville scosse la testa continuando a sorridere.
“Cazzo, Ville! Non puoi continuare a farla soffrire!” - disse Jesse ad un tratto in sussurro sedendosi.
Ville alzò un sopracciglio confuso.  Non riusciva a capire cosa intendesse o a chi si riferisse. Jesse guardò suo fratello e sospirò.
“Ho parlato con Johanna. Non puoi neanche immaginare quanto abbia sofferto.” guardò Ville dritto negli occhi, ma senza dimostrare rabbia.- " fin da piccola sapeva che Marika se ne sarebbe andata..poi lei è morta e tu l’hai portata qui e lei si sente persa. Poi vede queste scene..e addio mondo.”
Ville sospirò. Sentiva un enorme peso nel cuore e cercò di non abbandonarsi alla tristezza totale. Doveva essere coraggioso e affrontare tutto quello che c'era da affrontare senza mollare la corda. Lo sapeva fin dall'inizio che le cose non sarebbero state positive e che doveva aspettarsi di condividere il suo umore nero con simili situazioni.

“Ville, dovresti provare a conoscerla, meglio..” - disse Jesse. Poi sorrise e alzandosi abbracciò suo fratello come non faceva mai. Ville si lasciò abbracciare affidandosi a quelle braccia fraterne di cui aveva bisogno più di ogni altra cosa. Quando si districarono dall'abbraccio Jesse chiese: " mi spieghi cos’è successo con Hanna?"
Ville gli spiegò brevemente ciò che era avvenuto e Jesse annuì più volte.
 “Quindi suppongo che tra voi non sia finita..”
“Già..e tu? Hai detto già qualcosa a mamma e papà?” chiese Ville.
“ Ho mandato un messaggio alla mamma con scritto che le avremmo fatto conoscere una persona. Se la chiamavo mi riempiva di domande e io non sapevo che risponderle. Odio quando lei fa domande. Forse era meglio se parlavo con papà. Lui è diverso."

“E se anche loro avessero visto le foto sul giornale?”- chiese preoccupato Ville portandosi una mano sul mento. Jesse alzò gli occhi al cielo.
“Ville, sono abituati a vedere nostre foto, specialmente le tue, e una in più una in meno non fa niente!”
“Però sai, in quelle foto si capisce che è molto giovane, penseranno male! Ed è la volta buona che mi cancelleranno all'anagrafe come loro figlio maggiore.”
“Ville, basta che ti spieghi! Alla fine non hai fatto niente di male.”
“Ok, ma come glielo dico che hanno una nipote di 16 anni? Da dove inizio?” - chiese Ville spalancando la bocca. Il panico gradualmente crebbe e una leggera nausea di posò sul suo stomaco.
“Non lo so Ville."- disse esasperato Jesse. -" senti, ho detto che ti avrei aiutato, ma non ho intenzione di dirglielo io! Non sarebbe giusto..”
Qualcuno in quel preciso istante suonò al cancello terminando la loro discussione.
“Chi sarà a quest’ora?”- chiese Jesse. Ville andò verso il videocitofono vicino alla porta d’ingresso. Quello che vide sullo schermo non gli piacque.
I suoi genitori lo stavano salutando con la mano.

" Merda."- sussurrò a denti stretti completamente disarmato. Nel frattempo Jesse era entrato in cucina mostrando una calma e tranquillità assurde.
Ville deglutì e fece come se tutto andasse bene e sorridendo aprì il cancello.
 “ Jesse! Ci sono mamma e papà!” - urlò aprendo anche la porta d’ingresso.
Jesse si catapultò fuori dalla cucina. Che ci facevano loro qui?
Ville uscì andando a braccia aperte verso Anita e Kari.

“Mamma! Papà! Che bella sorpresa!”- esclamò fingendosi calmo.
“Ville smettila di fare il finto tonto! Dov’è lei?” - chiese Anita guardando alle sue spalle.
“Lei..chi?”-  continuò Ville sbarrando gli occhi, facendoli sembrare ancora più grandi di quanto già non lo fossero.

" Anita..non è il caso di agitarsi.."- disse Kari esasperato, cercando di calmare sua moglie, sapendo fin troppo bene che non avrebbe risolto nulla.
“Mamma, ciao!” - arrivò Jesse abbracciandola.
“ Jesse levati. Fatemela conoscere!” - disse la donna spostando il figlio.-  “Sono davvero contenta che tu ti sia lasciato con quella Hanna! Anche se questa ragazza sembra molto giovane. Sono sicura che ci sarà una spiegazione, vero?”- continuò sorridendo rivolta a Ville.
Ville rise per non piangere. E ora chi cazzo glielo spiegava quello che era successo?

Kari scosse la testa rassegnato. Jesse guardò suo padre e sorrise divertito.
“Vedi, c’è una spiegazione..ma non è quella che pensi tu!” cominciò Ville.
“Andiamo dentro e ti spiegheremo tutto.”- proseguì Jesse guardando suo fratello con fare da complice. Ville gli sorrise grato.
La donna li squadrò. Sicuramente stavano nascondendo qualcosa e il punto era: cosa?
Dopo un momento di esitazione li seguì all’interno della casa e aspettò che spiegassero.

" Qui fa freddo. Hai i riscaldamenti accesi?"- chiese Kari, che sembrava essere l'unico a cui non importava sapere vita, morte e miracoli di questa presunta nuova fiamma. Per lui Ville era libero di fare qualsiasi cosa purché si tenesse nelle regole. In caso contrario Kari era il primo ad architettare una morte sicura per il figlio.
" Sì, papà."- rispose il maggiore sorridendo. Kari a quel punto scrollando le spalle si sedette sul divano mentre Anita restò in piedi guardandosi intorno sempre più curiosa.
“Ok, ora siediti e rilassati..” - le disse Ville, mentre Jesse le stava sistemando i cuscini sul divano. La donna si sedette e guardò attentamente il figlio maggiore, studiandone il comportamento, lo sguardo e tutto il resto, per cercare di capire cosa volessero dirle.
Ville e Jesse si voltarono a guardare un punto alle sue spalle e allora Anita, così come Kari, si rese conto che c’era qualcun altro nella stanza. Quel qualcun altro stava trattenendo il respiro e si era fermato. Curiosa come non mai Anita si voltò con un sorriso stampato sul volto, mostrando qualche ruga.
Il sorriso le si spense appena notò che la ragazza, avvolta in un vestito bianco leggero e candido, era veramente giovane. Kari la guardò incuriosito, ma a differenza di sua moglie continuò a sorriderle cordiale.
L' espressione di Anita, invece,  era dura, ma continuò ad analizzarla, osservando meglio i lineamenti del viso.  Occhi azzurri, capelli marroni e il naso che le ricordava quello di un’altra persona..
Si voltò verso i figli, che la guardavano aspettando una sua reazione, e si fissò su Ville.
Poi tornò a guardare la ragazza.

 “Oddio..”
Johanna si sentiva davvero a disagio con tutti quegli occhi puntati addosso.
Stava quasi per indietreggiare, perché voleva andare via, scappare da loro e andare a rifugiarsi altrove.

" Mamma..Papà..lei è Johanna."-  disse Ville avvicinandosi alla ragazza. La prese per le spalle e dolcemente la trascinò verso Anita.
Johanna si strinse ancor di più nelle spalle, facendosi più piccola possibile e si voltò verso Ville in una disperata ricerca di conforto.
Invece, lui in quel momento neanche la guardava perché era concentrato a studiare la madre. Nei suoi occhi leggeva timore..timore di cosa?

Johanna aggrottò le sopracciglia e tornò a guardare davanti a lei. Kari ed Anita continuavano a passare lo sguardo da lei a Ville, mettendola in soggezione.
Tutto quel silenzio la angosciava. Diamine, perché nessuno parlava?
“Ville Hermanni Valo.”- cominciò Kari rompendo il silenzio.- “Si può sapere cosa diamine significa tutto questo?”

Anita si alzò dal divano perché non riusciva a stare seduta.
Jesse arrivò subito dietro di lei pronto a reggerla. Non si sapeva mai…
Johanna voleva sprofondare, eppure il tono che aveva usato Kari stava quasi per farla ridere, per questo si portò una mano alla bocca, per trattenersi, facendolo  sembrare un gesto nervoso.
“ A questo punto credo che l'avete capito tutti e due..ormai. Insomma non c’è niente da spiegare..” - disse Ville.
“Ville ho capito che lei è tua figlia, non sono tanto vecchia e rincitrullita! Però spiegami: come mai io e tuo padre non ne sapevamo nulla?” - chiese Anita prima di voltarsi di nuovo a guardare la ragazza.

 “Non è una bambina! Dov’è stata tutto questo tempo?” - chiese quasi arrabbiandosi. Kari le si avvicinò cercando di evitare che scoppiasse.
Johanna deglutì cercando nella stanza, qualcosa che potesse sembrarle interessante, tanto interessante da catturare tutta la sua attenzione e farle ignorare la situazione.
“Ti ricordi Marika?” - chiese infine Ville, catturando l’attenzione di tutti.
Anita ci pensò un attimo e poi capì. Spalancò leggermente la bocca.

 “Marika..e come se me la ricordo! Era un amore..vero Kari?” chiese continuando a guardare la ragazza.
" Certo! Era davvero una brava ragazza e anche molto bella."- rispose Kari annuendo e continuando a sorridere a Johanna. Quel sorrise le diede fiducia e così finì per ricambiarlo anche se era leggermente imbarazzata.
Ville nel frattempo annuì.
Anita aveva capito tutto, sapeva di Marika, sapeva quanto Ville fosse stato male per lei.
Johanna si sentiva come un manichino, un corpo senza anima. Le labbra erano troppo attaccate così le socchiuse leggermente e passò la lingua per inumidirsele, gesto che faceva abbastanza spesso involontariamente.
“Beh, benvenuta in famiglia!” - disse la donna spalancando le braccia.
Johanna sbarrò leggermente gli occhi, sorpresa e si voltò un attimo a guardare Ville.
Lui sorrise. Era un sorriso strano, sereno, felice e soddisfatto. La lasciò andare e quando le sua mani abbandonarono le sue spalle, Johanna sentì quasi freddo su quel tratto, sensazione che fu spazzata via appena si sentì stritolare dalle braccia di Anita e poi da quelle di Kari.
Sorrise anche lei. Erano davvero strani, ma le stavano già simpatici.
Jesse da dietro le sorrideva dolcemente, sorriso che fu ricambiato dalla ragazza. Forse non si sarebbe sentita così spaesata come aveva pensato.










VALS, IL RITORNO u.u

Sono tornata finalmente e mi scuso per il ritardo, ma anche da me c'è la pigrizia e sto lottando con tutte le mie forze per mandarla via, anche se non credo di essere così brava. Infatti è ancora qui xD
Cretinate a parte, che ve ne pare? E' un capitolo fattibile? Lo so, forse dovrei farlo più lungo, ma per le cose che avrei dovuto dire sarebbe stato decisamente troppo lungo. L'unica cosa che voglio dirvi è che dovrete prepararvi psicologicamente per il prossimo. Magari vi si scioglie il cuore..che ne so xD
Basta, non parlo più sennò faccio danni xD
Ci vediamo alla prossima!!!
Vals




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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***












Dear Father

 

Capitolo 7

 





L'abbraccio sembrò eterno. Per Johanna fu come ritrovarsi di nuovo fra le braccia di sua madre e il fatto che si fosse sentita a proprio agio, la diceva molto lunga. Anita la scostò leggermente, continuando a tenerla per le spalle e sorridendole con una grande dolcezza negli occhi, un particolare che a Ville non sfuggì.

 " Spero che tu ti sia portata dietro un album di foto!"- esclamò allegramente. Johanna scoppiò in una risata cristallina.
 " Sì, ne ho uno."
Gli occhi della donna cominciarono a riempirsi di lacrime mentre la guardavano intensamente.  Johanna, per un attimo, temette di aver fatto qualcosa di male.
Kari era vicino ad Anita e la sostenne da dietro guardandola apprensivo.

 "Sto bene, sto bene." - disse per tranquillizzare tutti i presenti.
"Sicura?"- chiese Ville mettendosi tra lei e Johanna. Il ragazzo pensò che la reazione di sua madre fosse da scrivere nei grandi manuali di storia. Anita non era il tipo di donna che si emozionava facilmente e il fatto che in quel momento stesse mostrando quel lato così dolce e sensibile un po' lo turbava. Non era da tutti i giorni uno spettacolo simile!

"Certo.."- disse commossa. Continuava a guardare Johanna incapace di credere al fatto che fosse davvero nonna. Si schiarì la voce e disse: " su vai a prendere le foto, che voglio vederle."
Tornò sorridente subito dopo aver finito la frase dando sollievo alle ansie di Johanna la quale annuì e corse di sopra leggermente confusa da tutte quelle sensazioni che stava provando.


"Mamma? Stai bene?"- chiese Jesse ancora preoccupato, mentre vide la donna sedersi.

" Sì! Quante volte devo dirvelo? Smettetela di preoccuparvi.."
Ville e Jesse si scambiarono uno sguardo e poi guardarono Anita che sospirò guardando il maggiore.

" Solo che.."- cominciò sospirando nuovamente.- " ti rendi conto di quanto tempo hai perso?"- il suo non era un rimprovero.- " credi di farcela? Insomma se ho capito bene..Marika ora non c’è più, vero? E pensi che per quella povera creatura sia facile affrontare tutto questo?"
Ecco di nuovo quella domanda che per Ville stava diventando un incubo. Sbuffò sonoramente e parlò senza, però, risultare antipatico.
"Cosa altro dovevo fare, mamma? Marika mi ha lasciato la tutela e io l’ho portata qui."
"Ville, non mentire. Sono sicura che avresti benissimo potuto lasciarla lì dov'era e invece tu hai voluto portarla qui. Perché?"
La donna lo guardò fisso negli occhi, quegli occhi verdi che per tanti erano un mistero, ma che a lei non nascondevano niente.
"Non lo so.."- rispose Ville abbandonandosi sul divano accanto alla madre.  Anita non aveva voglia di insistere, forse l’avrebbe fatto in un altro momento. Kari, invece, si avvicinò a Ville e mettendogli una mano sulla spalla disse: " Anita, nostro figlio ha deciso di seguire il suo istinto e io mi fido di lui. Sono certo che riuscirà a gestire la situazione e se qualora avesse dei dubbi noi di certo saremo disponibili per tutto."

Guardò Ville con tanto affetto dandogli una pacca sulla spalla.
" Prendersi cura di un figlio è molto impegnativo, Ville. Richiede molta calma e pazienza specie se si tratta di un adolescente. La cosa che prima di tutto voglio dirti è che sono fiero della scelta che hai preso. Non è da tutti comportarsi in questo modo. Sai, ci sono un mucchio di ragazzi, uomini che appena scoprono di avere dei figli hanno paura e scappano di fronte alle proprie responsabilità. Tu invece sei stato coraggioso e questo mi piace. Bravo, giovanotto."
Ville non riuscì a spiegare ciò che provò in quel momento per via di quelle parole rassicuranti. Si era emozionato e i suoi occhi iniziarono a dare il primo segnale di cedimenti, di quelle lacrime che cercò con tutte le sue forze di trattenere. L'amore dei suoi genitori, nonostante a volte fossero duri, era di sicuro quello che non l'avrebbe mai abbandonato come succedeva con le sue ragazze. Si sentiva sicuro e più forte e più che mai in quel momento capì non solo di aver fatto la scelta più matura di tutti i tempi, ma che soprattutto non aveva deluso i suoi genitori. Molto probabilmente erano orgogliosi di lui anche se non gliel'avrebbero detto apertamente. Non erano i tipi da spiattellare così di colpo queste verità, ma Ville era certo di questo, l'aveva visto negli occhi di sua madre e in quelli di suo padre che aveva circondato le sue spalle con il suo braccio magro. Jesse guardava il quadretto ancora alzato, sentendosi felice per il suo adorato fratellone. In quel mentre sentirono dei passi e Johanna tornò da loro stringendo al petto il suo prezioso album, l’unico che aveva deciso di portarsi subito. Quello che aveva, a detta di Marika, le foto più belle.
Si fermò sullo stipite dell’ingresso del salotto incerta se proseguire o meno. Nonostante la sensazione di calore che i Valo le avevano dato con quell'abbraccio non si sentiva di disturbare.
"Oh, cara sei già tornata!"

Anita si voltò sorridendo.
" Su vieni qui."- disse Kari con dolcezza.
Ecco, ora le toccava andare avanti. Accuratamente ignorò Ville, perché si sentiva addosso il suo sguardo e si sforzò si non incrociarlo.
Si sedette accanto a Kari ed Anita e porse a quest'ultima l’album un po' timorosa.
" Le foto più vecchie sono infondo.."-  specificò con un filo di voce. Anita voltò l’album, inspirò a fondo e sollevo la copertina azzurra liscia.
La prima foto fu un colpo al cuore, soprattutto per Ville.
Johanna sorrise vedendo il viso della madre.
A giudicare dalla foto, Johanna era appena nata. Marika era sudata e i capelli mossi erano legati alla meno peggio in una specie di crocchia, eppure il sorriso che aveva la rendeva meravigliosa. Indossava una di quelle camicie orribili che davano negli ospedali e tra le braccia stringeva una bambina tutta rossa.
Johanna appariva serena e stringeva nella sua piccola mano il mignolo di Marika.
Marika era la donna più felice del mondo e Ville si sorprese del fatto che tutta quella felicità era dovuta alla bimba alla quale attorno girava tutto il suo mondo. Lui non poteva capirlo fino in fondo, ma cercò allo stesso tempo di sforzarsi e mettersi nei panni di Marika.
"Questa.."- Anita indicò Marika, incapace di parlare.
" Sì, questa è la mamma."- rispose la ragazza sorridendo orgogliosa. Johanna non sopportava l'idea di parlare di sua madre rivolgendosi al passato. Per lei era viva nonostante non potesse più vederla e toccarla. Ville si voltò e quando vide la figura di Johanna sedicenne sfocata, si accorse di avere gli occhi lucidi. Abbassò lo sguardo e tornò a guardare la foto che occupava tutta la pagina tentando invano di non far notare la sua fragilità. Anita se ne accorse e gli si avvicinò passandogli una mano tra i capelli, mentre Johanna ignara voltava pagina.
" Mi dispiace.."- sussurrò Anita al suo orecchio, come quando da piccolo lo consolava.

 


Johanna vogliosa di ripercorrere il tempo passato con Marika per mezzo di quelle foto, voltò pagina e, forse a causa del movimento veloce, la foto della pagina successiva scivolò via da sotto la pellicola trasparente che la teneva imprigionata e andò a finire ai piedi di Ville.

Si era voltata e lui riuscì a vedere la scritta che si trovava in un angolo in alto.
La sollevò con le dita che tremavano leggermente e lesse a bassa voce.
“La tua prima risata..”
Deglutì, prima di voltare la foto.
Marika stava sorridendo felice mentre sollevava una bimba. Johanna aveva gli occhi socchiusi e un sorriso meraviglioso.
Ville quante cose si era perso?
Kari gli sfilò delicatamente la foto dalle dita, quando vide che non rispondeva alla domanda di Johanna.
Gli faceva male vedere tutte quelle foto così di colpo. Non riusciva a reggere. Aveva provato a dimenticare, pensando che Marika avesse fatto lo stesso, ma si era sbagliato. Voleva uscire, fumare una sigaretta per distendere i nervi, non riusciva a continuare a vedere, però d’altro canto non poteva scappare di nuovo.
Si voltò verso i suoi genitori e Johanna che stavano parlando e fece lo sforzò di ascoltare il loro discorso.
" Era davvero una donna bellissima."- disse Anita sorridendole.
Johanna annuì orgogliosa, mentre passava l’indice sul viso della madre cercando però  di non rovinare la foto.
Perché lei sorrideva? Come faceva a non essere triste riguardando le foto di Marika?
Ville si stava quasi arrabbiando. Perché solo lui soffriva?
Chiuse i pugni stringendo i denti.
Johanna continuava a sorridere, ma lui non si accorgeva che si stava sforzando. E quel bagliore che Ville vedeva nei suoi occhi, non era certo di gioia.
Continuò a guardarla, studiandola, per poi passare a guardare il resto delle foto.
" Da qui in poi non sono interessanti."- disse Johanna cercando con noncuranza di richiudere l’album.
" Oh, sono sicura, che invece lo saranno."- disse Anita rassicurandola. Ville sorrise soddisfatto, mentre la madre voltava per l’ennesima volta pagina.
Queste foto erano più o meno di qualche anno fa.
C’erano due foto, la prima con Johanna e Daphne visibilmente eccitate che facevano la fila e la seconda nella stessa situazione, solo che c’era Jackie.
" Eravate ad un concerto?"- chiese Ville.
Johanna annuì imbarazzata mentre continuava a lanciare sguardi all’angolo della pagina che Anita stava per sollevare, prima di voltare pagina.
La foto dopo, spiazzò completamente Ville.

 "Questo è Linde! E più in là ci sono io!"- esclamò guardandosi. Alzò immediatamente lo sguardo per incrociare quello di Johanna che stava annuendo decisa.
" Tu sei stata ad un nostro concerto?"- chiese più a se stesso che a lei.
" Già."
" E..?"- Ville stava per chiedere di Marika, ma si bloccò.
" No, mamma non è voluta venire.."- lo anticipò Johanna scuotendo leggermente la testa. Ville abbassò lo sguardo deluso. Avrebbe potuto avere un’altra occasione per vederla, invece lei lo aveva evitato.
"..però è stata una sua idea quella di mandarmi."- continuò serena guardandolo.
Ritornò a guardarla e sorrise tra sé e sé. Non lo odiava, no, perché sennò avrebbe fatto in modo che Johanna non lo conoscesse.
" Quindi, è stata lei a farteli conoscere?"- chiese gioiosa Anita.
" Sì..fin da piccola."- disse Johanna sempre rivolta ad Anita e Kari, evitando di incrociare questa volta lo sguardo di Ville.
La donna era quasi commossa. Le dispiaceva non aver potuto conoscerla.
Ville si sentì felice. Non sapeva cosa dire o fare. Marika lo aveva sempre seguito, anche se lo aveva voluto fuori dalla sua vita e anche dalla infanzia di Johanna.  



Probabilmente a Ville aveva fatto piacere vedere quelle foto. Johanna pensò che doveva essere per forza così. Aveva notato che suo padre le aveva guardate con interesse e le domande su Marika le avevano dato la conferma che aveva sofferto per lei. Ciò significava che aveva tenuto davvero a quel rapporto anche se le cose non era andate esattamente come dovevano andare. Pensava che magari vedere quelle foto potevano farlo sentire un po' più contento, forse felice. Insomma avrebbe potuto ricordare tutti i momenti felici che avevano passato insieme, no?
Aprì nuovamente gli occhi quando le parve di aver sentito il rumore di una porta che si chiudeva al piano di sotto. Dopo che i signori Valo e Jesse erano andati via, lei aveva deciso di rifugiarsi in camera sua augurando con voce sottile la buonanotte a Ville senza guardarlo negli occhi. Pensando a questo si sentì in colpa. Lo stava trattando male nonostante lui si sforzasse di essere gentile e di fare il padre, anche se non ci riusciva alla perfezione e che anzi probabilmente faceva di tutto per farsi detestare.

Sospirò, aprì la porta e si affacciò sul corridoio. La porta della camera di Ville era aperta e molto probabilmente lui era sceso giù in salotto o in cucina. Decise che era ora di fare un passo avanti e quindi scese le scale intenzionata a parlargli.
  


Ville non riusciva a dormire, così aveva deciso di suonare qualcosa anche se non gli sembrava l’ora di fare rumore. Dimenticava che ora non era più solo in casa e che non poteva fare quello che gli pareva.
Così tenne in braccio la chitarra senza suonare, fissando il vuoto. Non aveva voglia di cantare né di suonare, ma tenere la chitarra vicino lo faceva sentire meglio. Poi però qualcosa cambiò, e senza rendersene conto, iniziò a suonare senza cantare. Si sfogò sulle corde, suonando una melodia triste che forse probabilmente non gli sarebbe più capitato di sentire. Era così preso che non si accorso di Johanna che lo stava osservando in piedi vicino al divano.
Finì subito di suonare, alzando lo sguardo e incrociando quello della ragazza, che lo stava guardando ammirata.

"Scusa, ti ho svegliata?"-  chiese lui realmente dispiaciuto.
Johanna scosse la testa.

"No, non riuscivo a dormire.."- si giustificò sforzandosi di sorridere. Poi fece quello che nemmeno Ville si aspettava: si andò a sedere proprio accanto a lui anche se era un po' imbarazzata.
" Non so se ti ha fatto piacere guardare quelle foto. Se ti hanno fatto star male..scusami. A volte fanno male anche a me."-  disse dispiaciuta osservando la chitarra.
Ville la osservò meglio, notando ancora di più le somiglianze e poi sorrise.
" Ti manca, vero?"- chiese continuando a guardarla finché lei non alzò lo sguardo per fissarlo nel suo.
Annuì silenziosa, per evitare di dire qualcos’ altro, sembrando agli occhi di Ville ancora più fragile.

" Anche tu..anche tu sei mancato alla mamma."- disse Johanna guardandolo finalmente. Si sentiva in dovere di dirglielo anche se era impacciata.
" Insomma ha sofferto anche lei."
Poi  abbassò di nuovo lo sguardo.
"Ti parlava di me..?" - chiese Ville in un sussurro.
" No, cioè..tu eri comunque presente nella mia vita, ma più che altro come l’amore platonico di mamma. Se chiedevo chi fosse mio padre, cambiava sempre argomento, ma se parlavamo di te, come Ville Valo cantante degli HIM..era felice, ecco!"
Ville posò la chitarra e cominciò ad ascoltare con attenzione.
" C’era sempre quel pizzico di tristezza nei suoi occhi, ma sai come è fatta, cerca di non avere rimpianti!"- continuò sorridendo, nonostante avesse gli occhi lucidi. Si ostinava a usare il presente.
Abbassò la testa quando si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Lasciò che i capelli le scivolassero addosso nascondendole il viso.
Ville si sentì impotente, cosa doveva fare ora?
Cosa doveva fare un padre in questi casi?

" Johanna, ecco io.."-  aveva cominciato a parlare e non sapeva cosa dire, se stava zitto faceva più bella figura. La ragazza serrò i pugni sui ginocchi.
" Scusami."-  disse posandole una mano sulla spalla.- " lo so di non essere un buon padre, che non è capace nemmeno di fare qualcosa in questi casi."
" Non c’è bisogno che ti scusi.."- aveva mormorato tirando su con il naso. Immaginava quanto gli costasse dire quelle parole.

" Invece si! Insomma..non è stato carino farti assistere a quella scena con Hanna. E poi..beh..voglio che tu sappia che..che sto cercando di fare del mio meglio per farti sentire a casa..anche se mi rendo conto che è ancora presto."
Johanna si voltò per guardarlo negli occhi, voleva vedere se era davvero sincero.
Ma si era dimenticata che, ormai, stava piangendo.
Ville vide le lacrime che le solcavano il viso. Era la seconda volta, ma ora le circostanze erano diverse. Restò a guardarla quasi pietrificato. Era abituato a vedere ragazzine che piangevano ai concerti, ma questo batteva tutto.
" Johanna.."

" Scusa.."- disse cercando di asciugarsi le lacrime- " il fatto è che mi manca..non doveva andarsene..non è giusto!"
La voce le tremava come del resto le sue mani che non riuscivano a tenere a freno le lacrime che scendevano copiose. Ville la abbracciò.
Non sapeva se era giusto, non sapeva il motivo, non sapeva cosa sarebbe successo dopo, non sapeva se lei si fosse scostata..non sapeva niente. Sapeva solo che da un momento all'altro avrebbe ceduto anche lui. Iniziava a sentire la sua gola bruciare per via dell'emozione. Quella stretta al cuore non diminuiva.
Eppure quando la sentì quasi rilassarsi tra le sue braccia, qualcosa si fece chiaro.
Voleva farle sentire che non era sola, che, beh, erano sulla stessa barca.
Cazzo! Lei era sua figlia e non una fan girl da consolare a fine concerto!
E lui doveva assumersi le sue responsabilità.
La scostò appena, continuando a tenerla per la spalla e le asciugò velocemente qualche lacrima.

"Ora basta piangere.."-  le disse dolce, come dolce e tenero fu il sorriso che gli illuminò il volto.
Johanna annuì provando a tornare seria.

" Buonanotte Ville."-  disse prima di alzarsi e uscire. Quando andò via anche Ville decise che era ora di tornare alla base, anche se  non aveva voglia e così continuò a vagare per la casa nel buio.
Arrivato in salotto si sedette sul divano e fu così che ritrovò l’album accanto.
Se lo tenne in mano per cinque minuti buoni indeciso se guardarlo o meno.
 Alla fine scelse di essere masochista, rigirò l’album e sollevò la copertina.
Quelle foto non rendevano giustizia alla bellezza di Marika.
Ce n’erano di tutti i tipi, quelle scattate allo zoo, davanti alla statua della libertà e tanti altri posti che Ville ricordava vagamente. Provò ad immaginarsi in una foto accanto a loro e un senso di rabbia cominciò a bruciarlo dentro.
La foto che stava guardando in quel momento doveva essere stata scattata a Natale, perché c’erano Marika e Johanna sedute accanto ad un albero, ancora in pigiama.
Johanna poteva avere sì e no 8 anni. Stava aprendo un pacco verde con sopra un grandissimo fiocco argento. Sorrideva furba, forse sperava che Babbo Natale le avesse portato il regalo che aveva chiesto.
Marika, dietro di lei la guardava con un espressione dolce, la stessa che aveva dedicato a Ville.
Ville provò a immaginarsi dall’altra parte, davanti alla bambina, che magari le teneva ferma la scatola mentre lei cercava di sollevare il coperchio.
Stava andando oltre. Richiuse l’album con forza.
Era inutile pensare a cosa sarebbe potuto accadere..era troppo tardi.
Si massaggiò le tempie e decise che era il caso di tornare a letto e provare almeno a far finta che tutto andasse bene.

 

 

VALS, IL RITORNO u.u:

Ma buonasera!! Muahahahahhaha sono tornata..si nota? xD
Bene, credo di aver dato un assaggio della parte più malinconica che fino a questo momento sono riuscita a scrivere. A momenti mi commuovo anche io :'(
Vi è piaciuto? Spero che non sia stato pesante...comunque fatemelo sapere..anche se vi ha fatto schifo e volete insultarmi..io accetto tutto * ma nel frattempo prendere il bazooka..non si sa mai xD*
Non preoccupatevi, il prossimo capitolo avrà un'atmosfera diversa :)
Alla prossima <3
Vals

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***












Dear Father

 

Capitolo 8

 

"Buongiorno!"
Johanna era appena scesa ed era ancora mezza addormentata e di certo il buongiorno squillante di Jesse non era servito a svegliarla. Anzi, lo trovò maledettamente fastidioso.
“Ciao.”- rispose educatamente, sforzandosi di mettere da parte gli istinti omicidi che stava provando. La domanda che le balzò in mente guardandolo di nuovo era che cosa ci facesse lì Jesse a quell’ora del mattino.
“Ho portato la colazione.” - disse il ragazzo rispondendo alla domanda implicita della ragazza e alludendo alle brioche calde che si trovavano sul tavolo, che Ville stava già divorando.
"Sei già sveglia?"

Questa più o meno doveva essere la traduzione di quello che uscì dalla bocca mezza piena di Ville. Johanna annuì continuando a guardarlo.
"Tieni, prendi." - le allungò il piattino con le brioche. Lei ne prese una a caso e si avvicinò a Jesse che stava trafficando col cellulare.

 " Davvero beve sempre tutti quei caffè?"- sussurrò indicando Ville.
Jesse si voltò e dopo aver guardato suo fratello rispose al sussurro con un altro.

" Certo! È tutto vero!"
Entrambi si scambiarono un sorriso. Johanna non riusciva a spiegare il motivo per cui Jesse era stato l'unico che le aveva ispirato fiducia fin dall'inizio, a differenza di Ville che, nonostante fosse da sempre il suo idolo, la faceva stare in ansia e in imbarazzo la maggior parte del tempo. Se pensava alla sera precedente non solo sentiva il cuore accelerare, ma lei stessa si sentiva doppiamente imbarazzata!
" Ville mi ha detto quello che è successo ieri.."- cominciò Jesse. Vedeva nei suoi occhi un grandissima tenerezza. Johanna, dal canto suo, sgranò gli occhi. Ville non si teneva nulla per sé! La ragazza stava per dire qualcosa ma qualcuno suonò al videocitofono e Ville alzandosi di malavoglia andò ad aprire.
" Hanna!"
"Buongiorno! Ho portato la.."- Hanna entrò con un sacchetto in mano e si zittì appena vide che la piccola combriccola stava già facendo colazione.
" Forse adesso capirà la sua futilità.."-  mormorò Jesse alzando gli occhi al cielo.
Johanna soffocò una risata facendo finta di niente.
" Ehm..abbiamo già fatto colazione."- disse Ville.
Hanna si voltò per guardare anche Jesse e finalmente poté vedere Johanna in faccia. Rimase ad osservarla scioccata, cosa che stava gradualmente infastidendo Johanna.
Stava cercando una scusa per andarsene quando iniziò a suonare il suo cellulare.

" Scusate.."- disse uscendo fuori sotto lo sguardo di tutti e tre puntato addosso.
Quando fu sicura che nessuno la potesse sentire accettò la chiamata con un gran sorriso stampato sul volto.

" Jackie! Lo sai che ti adoro, vero?"
" Buongiorno anche a te! Posso sapere il motivo?"
" Mi hai appena salvata da una situazione imbarazzante.."- sospirò, voltandosi per assicurarsi che non ci fosse nessuno.
" Fiera di rendersi utile anche da lontano!"- rispose Jackie continuando a ridacchiare. Johanna più che mai in quel momento capì quanto le mancasse.
" Jackie.. mi servirebbe un grande favore.."
" Dimmi tutto!"
" Nella stanza della mamma ci dovrebbe essere, nascosta da qualche parte, una scatola con dentro delle foto di lei e Ville. Ecco..avrei bisogno che tu me le mandi..per favore.."
" Certo! Saranno lì in pochissimo tempo! Per il resto, come va? Com'è la casa di quella diva? Il frigo? Cosa c'è dentro?"- chiese Jackie ridendo.
 


" Oh certo! Chissà che divertimento.."
Quando Johanna rientrò, Jesse, con tono sarcastico, stava parlando con Ville. Quando la vide gli si illuminarono gli occhi.
" Johanna! Vero che vuoi venire con me?"-  le chiese con un enorme sorriso.
Per tutta risposta, Johanna mise su un'espressione confusa.
" Preferisci fare shopping con loro o vieni con me?"- chiese ancora cercando di aiutarla nella scelta.
" Voglio venire con te."

Johanna voleva assolutamente evitare di ritrovarsi da sola con Hanna.
" Beh, perché non andiamo tutti insieme?"- chiese con un sorriso la donna.
Per Johanna fu come ricevere una cuscinata inaspettata in pieno viso.
" Ah fantastico..! Mi chiedo come mai non sia venuto in mente a me..sto perdendo colpi!"- esclamò sarcasticamente Jesse battendo il palmo sulla fronte.
Ville fulminò con lo sguardo suo fratello mentre Hanna assunse un'espressione offesa. Johanna provò un leggero disgusto, oltre al fatto che Ville sembrava essersi dimenticato di lei.
" Jesse, perché non vai da papà. Se non sbaglio tu dovevi andare da lui."

Jesse fissò arrabbiato Ville. Avrebbe potuto continuare per ore, ma non gli sembrava il caso di scatenare la terza guerra mondiale. Guardò Johanna, che lo stava implorando con lo sguardo di non abbandonarla. Era chiaro che non poteva aiutarla. Johanna l'aveva capito e per questo a malincuore dovette accettare la sua condanna, cercando di trovare un lato positivo.
Guardare il lato positivo..
Doveva semplicemente guardare quel fottutissimo lato positivo che però a quanto pareva si divertiva a giocare a nascondino.
Le alternative c’erano, ovvero, pensare ad altro o, la peggiore di tutte, commettere un omicidio.
Sì, ammazzare Hanna sarebbe bastato.
Gli occhi di Johanna si fecero piccolini all’idea.  Guardò il pugno chiuso sperando, inutilmente, che all’interno apparisse miracolosamente un coltello.
Quando capì che quello non sarebbe mai successo, si voltò verso la strada. Magari quel SUV l’avrebbe stesa una volta per tutte. Un sorriso malefico si fece largo sul suo volto.
L’unico problema era allontanare Ville, o meglio staccargli di dosso quella gallina.
Velocemente nella mente di Johanna passarono alcune tecniche di combattimento viste nei film, sperando che potessero andare bene anche contro un vampiro come Ville. Stava pianificando tutto nei minimi dettagli quando Ville si voltò per assicurarsi che lei li stesse ancora seguendo.

 " Potresti affrettare un po’ il passo?"
Johanna aprì bocca per replicare, ma si rese conto che qualsiasi cosa avrebbe detto le cose sarebbero solo peggiorate. Così rivalutò i pensieri fatti fino a poco prima e si rese conto di quanto fossero follemente geniali, ma per quanto geniali restavano folli. Affrettò il passo, come la diva aveva consigliato e cercò di guardare altrove per non dover assistere allo spettacolo di Hanna che si teneva avvinghiata al braccio di Ville. Così spostò tutta la sua attenzione sulle scarpe di Ville e fu proprio guardando i suoi piedi che si accorse che i due si erano fermati, così si bloccò anche lei prima di andare a sbattere addosso ai due piccioncini.
Il semaforo dall’altra parte era rosso.
Probabilmente mai come in quel momento Johanna aveva desiderato che il verde scattasse mettendo fine alle smancerie di quelli che dovevano essere due adulti e che invece parevano solo due adolescenti in calore.
Hanna si stava alzando in punta di piedi, reggendosi alla spalla di lui, per baciarlo, mentre Ville proprio in quel momento si stava voltando verso di lei con un sorriso malizioso.
Quando le loro labbra si sfiorarono, un senso di fastidio si impossessò di Johanna.
Forse Ville non era davvero dispiaciuto.
Forse a Ville non importava più di Marika.
Forse Ville non aveva davvero sofferto, magari era solo un altro modo per attirare tutta l’attenzione su di lui.
Forse Marika aveva davvero sbagliato ad affidarla a lui e Johanna aveva sbagliato ad abbassare la guardia.
E forse a Ville non sarebbe mai importato niente di Johanna.

Verde.
Il verde era il colore della speranza, ma alcuni dicevano che fosse anche il colore della stabilità e della forza..
Forza, esatto! Proprio la forza le serviva, quella per sopravvivere a quella giornata e per reprimere gli istinti omicidi.
Si schiarì la voce e li sorpassò.

" Se non vi muovete scatta di nuovo il rosso."-  disse acida e fredda, allontanandosi. Se magari si fosse voltata si sarebbe accorta dello sguardo addolorato di Ville.
Era un coglione, ma non l’avrebbe mai capito! Continuava a sbagliare.  Ieri sembrava che la barriera che li divideva fosse crollata invece oggi proprio lui aveva contribuito a farla ricostruire.
 

 
" A me non piace il rosa."
Johanna continuava a ripeterlo da più o meno cinque minuti, ma a quanto pareva Hanna neanche la stava ascoltando e infatti continuava a prendere solo vestiti, jeans e magliette di un orribile colore rosa confetto.
" Ecco, perché non provi questi?"

La voce stridula poi era la cosa che più dava fastidio a Johanna, insieme a quel sorriso a trentadue denti.
" Te lo ripeto. A me non piace il rosa."-  Johanna parlò molto piano, perché con la gente stupida era l'unico modo che potesse andare bene per far capire le cose.
" Dai che ti staranno benissimo!"

Le porse i vestiti che Johanna, con poca grazia, rifiutò. Ormai la pazienza l'aveva abbandonata.
" No, sono rosa! Capisci? Io non mi vestirò di rosa. Io uso colori scuri. Non lo vedi?"- disse indicando la sua maglia nera, gli jeans scuri e le converse nere con i piccoli teschi.
" Qualcosa non va?"

 Ville spuntò dietro Johanna, facendola voltare.
" Stavo dicendo che io non mi proverò quei vestiti rosa."
" Cos'hanno che non vanno?"-  chiese Ville dando un’occhiata ai vestiti che Hanna aveva ancora in mano.
" Sono rosa. Rosa confetto!"-  disse esasperata sentendosi incompresa. Si passò una mano sugli occhi.- " basta, io esco. Quando avete finito ci vediamo fuori.."

Afferrò, con la stessa grazia di prima, la sua borsa e uscì di corsa da quel negozio, scappando da loro due e da quell’orribile rosa confetto.
La strada brulicava di gente ed era davvero larga e ad ambedue i lati erano posizionati molti negozi. Johanna non aveva intenzione di rimanere lì impalata ad aspettare quei due, così passò dall’altra parte e dopo essere passata davanti ad alcuni negozi decise di entrare in uno a caso.


 
Johanna stava osservando un paio di Converse quando proprio uno dei commessi le si avvicinò.
" Posso aiutarti?"- chiese facendola spaventare e facendole cadere di mano una scarpa. Entrambi si piegarono per raccoglierla e fu allora che lei ebbe l’opportunità di guardarlo meglio.
Biondo, occhi verdi..dettagli che a lei piacevano molto.
E, beh, era anche carino!
" Scusami..sono imbranata!"-  cominciò scusandosi e rendendosi conto di sembrare una stupida ragazzina.
" No, la colpa è mia. Ti ho spaventata?"- chiese ridendo mentre rimetteva al suo posto la scarpa. Evitò di rispondere per non sembrare ancora più goffa e imbarazzata.
" Ok..ehm dovrei andare.."- disse.
" Scusa.."- la chiamò lui.
" Johanna, mi chiamo Johanna."-  si girò lei sorridendo.
" Ecco.. serve la scarpa."- disse lui facendole notare che in mano teneva ancora l’altra scarpa. Johanna diventò completamente rossa e tornò indietro sui suoi passi. " Giusto, la scarpa."- disse mettendola insieme all'altra.
" Ok, ora vado."

Salutò con la mano.
" È stato un piacere conoscerti Johanna!"- le disse lui quando già si era voltata. Johanna uscì dal negozio con un sorriso ebete in faccia e fu così che andò a sbattere contro Ville.

" Scu-scusa.."- farfugliò senza averlo riconosciuto. Quando lo riconobbe il sorriso ebete le scomparve immediatamente.
" Me l’aspettavo di trovarti qui! Si può sapere cosa hai visto per essere così distratta?"- chiese guardando dentro il negozio.
" Nulla, andiamo! Dov’è quella..cioè Hanna?"- chiese spingendolo via.
Ma Ville aveva visto qualcuno lì dentro che stava sorridendo. Un ragazzo, ed era sicuro che stesse guardando verso di loro. Tornò con lo sguardo su Johanna e iniziò ad insospettirsi. La ragazza imperterrita continuava a spingerlo oltre e alla fine Ville scelse di far finta di niente lasciandosi spingere.

" Ci sta aspettando al bar."
" Beh allora che aspettiamo? Andiamo prima che si perda o quant’altro."
" Non potrebbe mai perdersi qui."-  disse Ville affrettando il passo.
" Già essendo l’unico posto dove passa la sua vita oltre che nel tuo let.."- stava parlando decisamente troppo.-" cioè con te, non potrebbe mai perdersi."- disse annuendo con convinzione quasi a voler cancellare quello che stava per dire.
Ville non sentì, grazie a Dio. Era troppo preso a pensare. Poi si voltò verso di lei e di punto in bianco chiese: " perché ce l’hai tanto con lei?"
"Come scusa?"
" Perché ce l’hai con Hanna?"- chiese fermandosi e facendo fermare anche lei.
" Io non c’è l’ho con Hanna!"- rispose d’impulso.
Ville stava per contrattaccare quando furono accecati da qualche flash.
Entrambi si voltarono  infuriati verso il punto in cui c’erano due o tre fotografi che continuavano a scattare. Adesso avrebbero decisamente capito che Johanna era sua figlia. Insomma la somiglianza era tanta.

Ville stesso ne aveva parlato proprio quella mattina con Jesse. Il mondo doveva sapere che Ville Valo aveva una figlia, ma come farglielo sapere?
"Andiamo via."
Ville la prese per il polso e s’incamminò in fretta verso la fine della zona pedonale.
Johanna si attaccò al suo braccio cercando di nascondere il più possibile il viso.
Alcuni fotografi si erano spostati davanti a loro e continuavano a scattare.

" Ignorali."- disse Ville a denti stretti decisamente arrabbiato.
" E Hanna?"- chiese la ragazza.
" Le manderò un messaggio dopo."

Assolutamente non potevano fermarsi e permettere a quei fotografi di scattare altre foto.
" Ehi Ville! Chi è questa ragazzina?"
Ville fulminò con lo sguardo il fotografo che aveva parlato e continuò a camminare.
Già..chi era lei? La figlia adolescente di Ville Valo che spuntava così all’improvviso dal nulla?
Poco dopo erano seduti in un taxi, ognuno con i propri pensieri e Ville decise che era l’ora di dire ad Hanna che se ne stavano andando.

 
 
Quando arrivarono in sala di registrazione trovarono Burton e Mige e Ville si sentì decisamente un po’ più sollevato. Johanna li salutò con un sorriso, mentre Ville andò a parlare con Seppo.
"Abbiamo un problema."- disse Ville attirando così anche l’attenzione degli altri due. Johanna si sedette sul divano continuando a pensare. Si era rintanata nel suo mutismo.
" E cioè?"- chiese Seppo preoccupato.
Ville indicò Johanna.

" Tra un po’ verrà a saperlo mezzo mondo."
" Quindi hai intenzione di dirlo tu stesso?"- chiese Seppo.
" L’idea sarebbe quella.."
" Tra qualche giorno avrete un'intervista..quindi potresti.."
"Aspettate!"

Johanna attirò tutta l’attenzione. Aveva alzato la voce e ora stava guardando dritta Ville. Era arrabbiata. Perché nessuno le aveva chiesto qualcosa? Semplicemente avevano dato per scontato un suo parere. C'era lei in ballo, perché nessuno lo capiva?
" Davvero hai intenzione di dire a tutti che sono tua figlia?"
Se prima si riferiva a tutti ora parlava solo con Ville. Non era felice e contenta. Non era uno di quei momenti in cui c’era il lieto fine e padre e figlia si abbracciavano, no.
Il cantante non rispose. Insomma, la domanda era piuttosto retorica.
" Che senso ha? Non sappiamo neanche se resterò!"- aveva detto la frase come se tutti sapessero che lei da un momento all’altro se ne sarebbe andata.
Mige guardava Ville, sperando che almeno quest’ultimo sapesse di cosa stava parlando Johanna, ma l’espressione sconvolta sul volto del cantante diceva il contrario.
"Cosa intendi dire?"- Ville cercava di non far trapelare nessuna emozione e nel farlo era sembrato freddo.
" Intendo dire che Jackie sta chiedendo l’affidamento e a quanto pare le cose potrebbero andare bene!"- continuò guardando in basso.
" Non può! Io. Ho. La. Tua. Tutela."

Nel dirlo si era battuto l’indice sul petto, talmente forte che ora avvertiva una piccola fitta di dolore.
A Mige sembrava di rivederlo da ragazzino, lo stesso che se non poteva avere ciò che voleva faceva di tutto per ottenerlo.
Con gli anni aveva cercato di dare a tutti l'immagine di lui che riusciva a gestire tutto, ma la verità era che Ville non era mai cresciuto.
Johanna scosse la testa in senso di diniego.

" Hai voglia di recitare il ruolo del bravo padre? Ville questo non è uno stupido film! Quando finisce non torni a casa e ricominci ad essere il solito Ville Valo. Questa è la vita reale."-  si passò una mano sul viso. La stanza era calata in un silenzio imbarazzante. Ville continuava a guardarla mentre le sue parole continuavano a ripetersi nella sua testa. Non aveva finito di parlare, non ancora, ma lui di certo non poteva stare zitto e buono!
" Senti, io so come ti senti.."- aveva cominciato.
Sempre con le solite frasi " ti capisco" , "mi dispiace"! La gente sapeva dire solo quello! Johanna si alzò in piedi guardandolo dritto in faccia.

 " No! Non sai quanto mi sento stupida ad essere qui in una città completamente nuova con persone che non conosco! Non sai cosa provo nel sentire parlare di me come se fossi un problema! Sembra che io sia solamente un ostacolo per i vostri affari e che se non ci fossi sarebbe meglio per tutti! Non sai come mi sento senza nessuno, senza una famiglia, senza entrambi i genitori!"
Quando pronunciò ultima parte immediatamente si pentì.  Ora era il caso che uscisse di scena, ma come? Non voleva scappare così senza dire nulla.
" Oh, finalmente vi ho trovati!"

 Ecco la sua opportunità di scappare. Doveva ammettere che Hanna per quanto fosse gallina, era una gallina dalle uova d’oro.
"Ho interrotto qualcosa?"- chiese notando l’aria tesa o forse il fatto che nessuno la stesse cagando, ma quantomeno aveva capito che stava disturbando.
" No, assolutamente niente. Tu non disturbi mai cara! Prego siediti, tanto io me ne stavo andando."- disse Johanna levando la sua borsa dal divano e a passi svelti si allontanò da loro, dalla delusione sul volto di Ville e da tutto il resto.
"Vado io."- disse Mige seguendola.
"Quella ragazza..è davvero in gamba!"- disse Burton rompendo il ghiaccio.
Seppo annuì ancora sorpreso. Hanna si avvicinò da dietro a Ville, gli posò le mani sui fianchi e appoggiò la testa sulla sua spalla.

" Sarà che è figlia di Ville.."
Ville la trovava fastidiosa in quel momento e se la scostò di dosso.

" Che ci fai qui?"- chiese. Non era quella la domanda che voleva fare, ma in quel momento questo era uscito dalla sua bocca.
" Ville, mi hai detto tu di venire qui!"- rispose sorridendo.-" deve essere la vecchiaia."- tentò di scherzare. Ville non rispose e si diresse verso la sala d’incisione, lasciandola perplessa con i suoi eterni dilemmi: rosa o non rosa?






VALS, IL RITORNO ( PARTE 34084583488453) u.u
:
Mmmmh..e ora??!
Ville! Facessi una cosa giusta!! Ma di che sostanza ti fai??!?! Lo so, vi ho lasciati sul più bello..ma le cose dovevano andare così! Dovete odiarmi per forza u.u
Riuscirà Mige a far ragionare per due secondi la nostra Johanna??!
Cosa ne pensate del tutto? Io aspetto qualche vostro parere :D
E come sempre ringrazio le mie belle e adorabili seguaci, che mi lasciano sempre le loro "impronte"..tanto love <3 <3
Ci vediamo VERY SOON con il prossimo capitolo!
Vals

 

 

 




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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***












Dear Father

Capitolo 9






" Johanna aspetta!"

Mige aveva fatto tutto il corridoio di corsa, ma ciò nonostante, non era riuscito a raggiungere la ragazza che ora stava per uscire fuori.
Johanna si voltò a guardarlo con addosso una maschera di apparente menefreghismo. Si fermò sulla soglia e attese che l'uomo la raggiungesse.
La maschera, prima o poi, si sarebbe sbriciolata, ma non poteva permettere che ciò accadesse in quel momento.
Si stava ripetendo di stare calma e che cadere nella disperazione piangendo non servita a nulla. Non doveva piangere per una persona che nemmeno ci teneva a lei.
"Dove vai adesso?"
" Voglio solo prendere un po’ d’aria."-  provò a mentire.  Lei  non sapeva nemmeno dove andare. Non conosceva Helsinki e si sarebbe persa facilmente e poi non poteva neanche andare a casa di Ville, visto che non poteva aprire il cancello.
"Hai intenzione di prendere un po’ d’aria per tutto il giorno pur di non affrontarlo?"
Mige era furbo, non potevi mentirgli. Aveva capito fin da subito cosa passasse per la testa alla ragazza.
" Dai, vengo anch’io con te!"- le sorrise incoraggiante uscendo con lei dallo studio.
Restarono in silenzio, mentre Mige la osservava senza che lei se ne accorgesse. Più la guardava e più vedeva in lei l'anima ribelle del suo amico e soprattutto si meravigliava ad ogni passo pensando che quella ragazza fosse figlia di Ville. Ancora non riusciva ad abituarsi all'idea di una piccola Valo che magari sarebbe stata con loro in tour o durante le feste che molto spesso organizzavano per stare tutti insieme e per celebrare l'uscita di un album e le sue vendite.
E ancora di più non riusciva a capire perché quel coglione del suo amico non riuscisse a combinarne una giusta. Johanna non era un foglio bianco su cui fare mille scarabocchi prima di trovare le frasi giuste. Era sua figlia!
Negli occhi di Johanna notò un velo di tristezza che naturalmente lui non sarebbe riuscito a squarciare né a spostare. L'unico che sarebbe riuscito a fare qualcosa era Ville, qualora si fosse deciso ad impegnarsi seriamente.
"Come fai a sopportarlo? Insomma non impazzisci mai?"
Si era fermata e con lei anche Mige dovette arrestare i suoi passi.  L’indifferenza che Johanna stava mostrando se ne era andata, lasciando spazio alla rabbia.
Lui sorrise e le fece cenno di sedersi vicino a lui su una panchina lì vicino. Lei accettò e si sedette, curiosa di conoscere la risposta.
" Vedi, in questi casi devi usare tre semplice mosse: dargli ragione, farlo contento e cambiare argomento. Insomma più che sopportare devi sapere come affrontarlo e, beh,  devi essere preparato a qualsiasi evenienza, con lui non si sa mai."
Johanna lo ascoltava interessata. Lei non lo avrebbe mai capito quell’uomo.
" Secondo te, perché fa così?"
" Beh, sicuramente soffre di qualche forma repressa di divezza. Una volta disse che dentro di lui c'era una regina pronta ad uscire fuori da un momento all'altro. Sì, ogni tanto spara cazzate del genere specie quando si sente Dio e a noi poveri musicisti ci porta al limite della sopportazione umana.."-  la smorfia addolorata che ne seguì dopo diede quel tocco melodrammatico in più.
Johanna scoppiò a ridere.
" Veramente, io volevo sapere perché vuole giocare a fare il padre.."- chiese con ancora il sorriso sulle labbra. Mige aveva capito cosa voleva sapere Johanna, ma aveva fatto apposta a buttare tutto sullo scherzo.
" Penso che sia per tua madre.."- disse sorridendole.
Johanna si rabbuiò.
" Beh, allora ho capito che non ci tiene a me.."
Mige le passò una mano intorno alle spalle continuando a sorriderle, sperando di suscitare in lei lo stesso sorriso.
" Dagli il tempo di conoscerti."
Johanna sospirò.
" Ho aspettato tutta la mia vita sognando questo momento, il momento in cui avrei finalmente conosciuto mio padre. E immaginavo che le cose sarebbero state diverse, che finalmente sarei stata felice e che quel vuoto che mamma cercava di riempire con tutta la sua presenza potesse colmarsi del tutto e lui..lui non si sforza nemmeno..quella volta che succede manda a farsi benedire tutto..insomma, da quando sono arrivata non abbiamo nemmeno fatto una chiacchierata decente e le cose sono sempre e solo peggiorate. Questo non è il mio posto."
 


" Secondo te che sta facendo?"- chiese Seppo guardando la porta che Ville si era sbattuto alla spalle. Burton si legò i capelli osservando anche lui la porta.
" Sicuramente non sta facendo nulla. Credo che stia cercando di unirsi al silenzio per calmarsi."
Burton aveva effettivamente ragione e sembrava che anche Seppo fosse di quell'opinione.  Proprio in quel momento la porta si aprì e Ville fece di nuovo la sua comparsa con un'espressione sconfitta. A giudicare da quell'aspetto probabilmente aveva versato qualche lacrima, ma sia Seppo che Burton fecero finta di non notarlo, anche se entrambi si scambiarono uno sguardo fra il sorpreso e l'allarmato. Insomma, capitava raramente di vedere Ville in quello stato.
Hanna se n'era andata, evidentemente perché nessuno aveva deciso di darle le attenzioni giuste.
Burton si schiarì la voce e disse: " tutto okay?"
Ville annuì senza guardarlo.
" Ville, so di non essere nessuno per dirtelo, ma secondo me dovresti scusarti.."- disse Seppo.
" Con Johanna?"- chiese senza neanche preoccuparsi di alzare lo sguardo dai fogli che aveva in mano e che Burton riconobbe come quelli che aveva portato lì alcune sere prima.
" E anche con Hanna."
" Dov'è ora?"
" E' andata via."
" No parlavo di Johanna. Ancora non viene?"
" Beh.."- iniziò Burton.- " credo che sia con Mige ancora. Non preoccuparti, credo che tornerà presto."- concluse con un sorriso rassicurante. Ville annuì di nuovo sedendosi sul divano. Si portò le mani sulla testa cercando di liberarsi probabilmente da un peso che non voleva rendere pubblico.
" Sai a che pensavo? Perché non usciamo di qui e prendiamo anche noi un po' aria?"- chiese Seppo con molta calma.- " non ti fa bene stare qui, né a casa."
Ville alzò il capo guardandolo.
" No."
Tornò a guardare il pavimento con le mani sulle orecchie. Perché non imparava mai?
" Hai intenzione di lasciarla andare?"-  chiese ad un certo punto Burton che decise di sedersi sulla sedia con le gambe incrociate. Seppo in quel momento ricevette una telefonata e scusandosi almeno una decina di volte dovette andar via.
" Per qualsiasi cosa conta su di me."- aveva detto prima di andare.
" Grazie.."- aveva mormorato Ville.
Ville guardò Burton e sospirando disse: " la scelta sta a lei."
E da quando la pensava così?
" Non sembra che tu le abbia lasciato molta scelta quando l’hai portata qui a Helsinki."- disse Burton abbassando lo sguardo e fissandolo su di lui.
" Ho fatto un errore. Tutti commettiamo degli sbagli, no?"
" E' vero. Ma tu Ville, riesci a capire il tuo errore? Non dico che devi trattarla una bambola di porcellana attento a non farla rompere e metterla in una campana di vetro onde evitare che te la rubano o ancora, mostrarti sempre felice e contento come se tu facessi il clown da una vita. Solo che..beh.. sei agli inizi. E l'inizio è tutto, sia in una relazione amorosa, sia in relazioni del genere. Johanna è tua figlia, non sono io, Linde, Gas o Mige. A noi puoi anche trattarci male e portarci all'esasperazione per via dei tuoi capricci e manie di perfezionismo, mostrarci il tuo lato più orribile e lunatico e farci passare le pene dell'inferno quando siamo chiusi qui dentro. Johanna non si merita questo trattamento, non puoi essere Dr Jekyll e subito dopo Mr Hyde con lei. Ci devi andare con calma. Devi capire che lei vorrebbe stare un po' di più con te senza Hanna. Ha bisogno di istaurare un rapporto con suo padre lontano dagli altri. Se tu le presenti sempre altra gente e quasi ti dimentichi di lei o non la rendi partecipe di ciò che stai facendo, è normale che debba reagire in questo modo e a questo punto non dovresti nemmeno frignare perché te lo meriti. Non devi parlare di lei come se fosse un problema, o mostrarti freddo quando ti gira solo perché credi che il mondo ce l'abbia con te,  perché in questo modo la ferisci senza che te ne accorgi."- si fermò e con la sedia si avvicinò a Ville, che era attento a ciò che lui stava dicendo.- " lo so, non è facile essere padre, non lo è nemmeno per chi ha una famiglia da tempo. Il mio consiglio è che..dovresti fare quello che solitamente fanno i padri.."
" E cioè?"
" Quelle giornate fra padre e figlia. Non lo so, portala da qualche parte, fatevi un giro, andate al cinema, parlate molto, scherzate..falle conoscere la parte di te, quella vera, quella di Ville..solo Ville. Ci sono i giornalisti? Fregatene! Non stai rubando la verginità a giovani fanciulle."
Entrambi sorrisero.
Ville gli sorrise grato. Burton era un buon amico e lui era solamente in grado di trattarlo male, così come con gli altri specialmente quando era in fase ispirazione, o come qualcuno si divertiva a definirla, fase premestruale.
La stanza calò nel silenzio e solo allora poterono sentire i passi di qualcuno che si avvicinava.  
" Speravo di trovarvi qui."- disse Mige spalancando completamente la porta.
Ville e Burton lo fissarono in silenzio mentre Mige si chiudeva la porta alle spalle.
" Johanna?"- chiese Burton.
" E' seduta in corridoio."-  disse avvicinandosi.- " Ville..non vorresti provare a salvare la situazione?"- chiese guardandolo speranzoso.
Ville si sentì paralizzato e non riuscì a parlare.
" Ville, lei ha aspettato tanto questo momento..e adesso crede che tu ti prenda cura di lei solo per Marika. Falle capire che ci tieni!"
Mige lo stava implorando con lo sguardo, ma tanto sapeva che Ville l’avrebbe fatto lo stesso. Infatti senza parlare, Ville uscì dalla stanza convinto di riuscire a rimediare a tutto.
" Io dico che adesso peggiora le cose."- disse Burton alzandosi dalla sedia e guardando verso la porta aperta stiracchiandosi.
" Forse. Ma troveremo il modo di rimediare. Siamo sempre noi alla fine che sistemiamo tutto, no?"- chiese Mige sogghignando.
 


Johanna a forza di andare avanti e indietro si era allontanata dal suo posto. Ora vagava nell'edificio senza avere una meta ben precisa.
Mige aveva detto che ci avrebbe pensato lui a risolvere le cose, ma cosa doveva fare? Stava pensando a cosa dire in caso Ville si fosse presentato chiedendo delle scuse. Non sapeva cosa dire e non sapeva come dire qualsiasi cosa avrebbe dovuto dire. Ma ora era il caso di tornare indietro prima di perdersi.
Ville aveva affrettato il passo ed era finalmente giunto nel luogo in cui era convinto di trovarla.
 
Tutti nel regno della principessa Johanna aspettavano con ansia che il re Ville venisse a firmare il trattato di pace.
Era stato stabilito dal Gran Consiglio che per evitare qualsiasi problema i due regni dopo tanti anni dovessero finalmente allearsi
.
Il tempo passò, ma il re non si fece vivo come aveva promesso e nessun messaggero portò sue notizie nel suo regno.
Lungo la strada egli era stato fermato dalla strega Hanna, che gli aveva bloccato il passaggio e ora la teneva con sé. 
Purtroppo alla corte della principessa nessuno sapevano nulla e adesso tutti quanti pensavano di essere stati illusi e che quella gentilezza fosse stata solo una trappola.
 
Johanna si sentiva inadeguata. Non era in grado di pensare ad Hanna come alla sua ipotetica matrigna. Forse era questo il problema, che lei avrebbe dovuto dividere Ville con lei ancora prima di conoscerlo. Hanna sapeva qualcosa di lui. Lei tutto quello che sapeva era che se non fosse stato per la morte di sua madre non sarebbe mai arrivata alla conclusione che Ville Valo fosse suo padre. Johanna detestava il fatto che Hanna sapesse qualcosa di più di lei. Alla fine, tolta la maschera del cantante, per lei c'era il buio. In quel momento sospirando si voltò per tornare indietro, ma qualcuno aveva deciso di chiamarla e adesso la suoneria del suo cellulare risuonava chiara per tutto il corridoio.
" Pronto..?"-  chiese cercando di tenere un tono di voce basso.
" Johanna..sono Daphne."
" Daphne! Scusa non sento bene, aspetta che mi sposto.."- si incamminò verso la fine del corridoio, aprì una porta e si ritrovò sulle scale d’emergenza.
" Ti ho disturbato?"- chiese l’amica scusandosi.
" No, tranquilla."- rispose ridendo Johanna, sedendosi su un gradino.
 
 

Ville l’aveva seguita, solo che visto che era al telefono, aveva atteso cinque minuti prima di aprire anche lui la porta.
Forse doveva attendere ancora un po’ visto che ancora teneva il cellulare all’orecchio e sembrava anche felice.
Appena lo vide si rabbuiò.
" Oh, si! Sarebbe fantastico!"- rispose studiando lo sguardo di Ville.
Ville mosse le labbra come per dire "devo parlarti."
La ragazza allora fece cenno con la mano di aspettare cinque minuti.
Ville cominciò a battere nervosamente i piedi per terra
"Adesso."- disse secco.
" Daphne, scusami ma devo andare, qui c’è qualcuno che ha bisogno di attenzione. Ciao, ti voglio bene anch’io."
Chiuse la chiamata e con molta calma si voltò verso di Ville per fulminarlo.
" Ora posso avere la tua attenzione?"- chiese il finnico.
" Certo sono tutta orecchie."-  rispose guardandosi le mani.
Ville sbuffò, sicuro che non sarebbe riuscito ad ottenere di più.
"Senti.."- si sedette accanto a lei.- " io vorrei provarci, a fare il padre. Io non cambio idee." - aveva detto tutto d’un fiato perché sennò avrebbe rischiato di dire altro e cambiare tutto il senso.
Johanna alzò lo sguardo dalle mani e si voltò verso di lui.
" Stai dicendo sul serio?"- chiese cercando di capire se mentiva attraverso gli occhi.
Ville annuì lievemente. Si sentiva quasi messo in soggezione dallo sguardo di Johanna. Gli sembrava di vedersi allo specchio e adesso capiva la reazione di molte altre persone.
" Proviamoci."
Ecco aveva sbagliato verbo.
" In che senso ‘proviamoci’? Se falliamo ognuno torna alla sua vita e dimentica?"- chiese triste la ragazzina.
" Non volevo dire questo, lo sai.."
" No, io non so cosa stai pensando. Nessuno ti capisce!"- sbottò disperata.
" Jo, per favore."
Altri punti per Johanna e zero per Ville.
Lei gli aveva detto espressamente di non farsi chiamare in quel modo e lui cosa faceva? La chiamava in quel modo.
" Ho detto che non devi chiamarmi Jo."- disse secca alzandosi.
Ville era fatto così, voleva, anzi, doveva provocare. Per un attimo, in genere prima che arrivasse lo schiaffo, si sentiva potente, ma solo dopo si accorgeva di quanto era stupido e infantile a farlo.
Stavolta però lo schiaffo non era arrivato, ma avrebbe preferito cento schiaffi al suono della porta che sbatteva violenta lasciandolo solo su quelle scale gelide. Ok, non era proprio solo, c’era anche il suo caro orgoglio, ma ormai non ci faceva nulla con quello.
Quando tornò da Mige e Burton era decisamente più incazzato di prima.
" Fammi indovinare, l'hai chiamata Jo!" - disse Mige.- " lo sai che non devi farlo, ma il signorino vuole fare a modo suo"- concluse guardando Burton ed entrambi sorrisero. Ville decise che era meglio ignorarli. Si sedette in un angolino e decise di ricontrollare per l’ennesima volta lo stesso pezzo di testo. Ormai lo aveva letto tante volte, ma proprio non gli entrava in testa. Gli passava solamente davanti agli occhi.
" Li consumerai, quei fogli, a forza di leggerli."- gli aveva detto Burton.
" Qualcuno gli deve pur correggere.."
" Ma fallo quando sei capace. Ora non lo sei. Se te la senti suona con noi."- disse Mige.
" Sai che ti dico? Non mi va di suonare, ok?"- rispose innervosito alzandosi e buttando i fogli per terra. Sia Mige che Burton lo guardarono impauriti.
" Ville, hai bisogno di dormire. L’insonnia non ti fa bene."-  disse Mige cercando di convincere tutti di quello che stava dicendo.
" Me ne vado, solo perché voglio io."
Eccolo che ricominciava a fare la diva.
" Ville!" - lo richiamò Burton, ma lui era già uscito.  
L'unica cosa che ora si sentiva di fare era sfogarsi, a modo suo. Così cercò Hanna e appena seppe dove trovarla andò da lei lasciando Johanna con gli altri. Non ci avrebbe messo un'eternità e sapeva che con Mige e Burton si sarebbe sentita molto più a suo agio che con lui.
Quando Johanna decise di tornare in sala registrazione trovò solamente Burton e Mige che la chiamarono allegramente invitandola a sedersi con loro.
" Dov'è Ville?"- chiese poco dopo.
" Oh..è uscito."- disse Burton guardando Mige.
" E' andato da Hanna, vero?"
" Può darsi."- disse Mige.- " beh vorrà dire che noi suoneremo. Ti va di ascoltarci?"
Johanna spalancò gli occhi emozionata.
" Sì!"- esclamò dimenticandosi per un po' dei suoi problemi.

 

A fine giornata, Johanna tornò finalmente alla torre.
Aveva passato alcune ore in compagnia della musica e solo per questo si sentiva decisamente meglio, ma non così tanto appena scese dalla macchina. Un senso di nausea si era impadronito del suo stomaco.
Mige l’aveva riportata a casa e lo salutò con la mano prima di dirigersi verso la sua prigione.
" Già di ritorno?"- le aveva chiesto sorridendo Hanna.
Doveva immaginare che i due avessero fatti i loro porci comodi lì per tutto quel tempo. Johanna annuì, notando il suo abbigliamento. Era vestita come poche ore prima. Sì, stranamente era vestita, ma fare la donna di cucina proprio che non le donava.
" Spero ti vada bene la pasta.."- disse continuando a girare il mestolo nel sugo.
Ma dai! Sapeva anche cucinare? La pasta poi! Wow.
Johanna si avvicinò al ripiano della cucina sbirciando le pentole. Ok, l’odore era buono, ma chi assicurava che il sapore fosse altrettanto?
La ragazza decise che invece di stare con le mani in mano poteva almeno apparecchiare, così avrebbe potuto disporre i posti a suo piacimento.
Posizionò i piatti il più lontano possibile l’uno dall’altro, primo per non fare sembrare strano la disposizione, nel caso avesse messo il piatto lontano dagli altri due  e poi perché lei non aveva la minima intenzione di stare gomito a gomito con l’oca.
" Ho fame."- disse Ville facendo la sua entrata.
" Come se mangiassi tanto."- disse seria Hanna dando voce ai pensieri di Johanna.
" Ciao Jo..hanna.."-  salutò la ragazza che per un attimo aveva alzato in aria un piatto come se avesse voluto tirarglielo.
 


La cena era proseguita tranquillamente e pacificamente. Ville non aveva parlato molto e l’oca aveva starnazzato, cioè,  parlato abbastanza per tutti e tre.
Ogni tanto aveva fatto qualche domanda a Johanna e la ragazza aveva risposto a monosillabi. L’uomo più le osservava e più era d’accordo con Linde.
 
“Vedi le donne sono complicate, non possono andare d’accordo. O meglio se vanno d’accordo non dura a lungo la cosa. Non come noi uomini, noi siamo molto più semplici e non siamo gelosi gli uni degli altri.” - aveva detto ancora prima di bere la quarta birra.
Mige e Ville ascoltavano interessanti e pronti a ribattere.
“Linde non dire scemenze.”-  l’aveva liquidato Ville.
“Giuro! Che siano madre e figlia, amiche, o qualsiasi altra cosa, non saranno mai amiche per sempre.” - aveva detto dandosi importanza. Credeva davvero di far parte del mestiere " scopri le donne. In palio tante birre per te."
“Mi scusi professore, ma le lesbiche?” - aveva chiesto Mige sicuro che qui non avrebbe saputo cosa dire.
Invece..
“Sapevo che mi avresti posto questa domanda. Vedi..”- si era tirato su e ora guardava l’amico con un espressione serissima.- “.. in quel caso c’è sempre uno sfondo sessuale e quindi la cosa cambia. Il punto è che due donne non saranno mai amiche e se lo diventeranno la cosa non durerà all’infinito. È meglio l’amicizia tra uomini!, fidatevi!”
 
" Io sono stanca. Vado a dormire."-  aveva mentito Johanna alzandosi da tavola e prendendo il piatto per portarlo nel lavandino.
" Notte."- aveva mormorato Ville.
Hanna aveva fatto finta di non sentirla e così la ragazza andò via ancora più imbestialita di prima. Si chiuse in camera e visto che tanto non avrebbe dormito si sedette fuori restando a guardare il cielo.
Le ore passarono con la musica che le suonava nelle orecchie e la stanchezza ancora non si era presentata.
Era davvero tardi.
In silenzio aprì la porta e si affacciò sul corridoio buio per assicurarsi che non avrebbe incontrato nessuno. Scese lentamente le scale, cercando di non inciampare e uscì in giardino andando a sedersi su una panchina molto vecchia.
" Ma non eri stanca?"-  la voce alle sue spalle la risvegliò completamente dallo stato di coma in cui era caduta. Ville l’aveva vista dalla sua stanza e si era deciso a scendere.
" Non riuscivo a dormire."- stava quasi per aggiungere che magari era il caso di insonorizzare anche la camera di Mr. Valo , ma decise che era meglio non mettere troppa carne al fuoco, soprattutto con Ville che era vegetariano.
Si voltò verso di lui e capì che le sue supposizioni erano giuste dato che Ville aveva addosso solo i jeans, addirittura stropicciati.
" Senti, per quello che dicevo stamattina.."- cominciò Ville, ritrovandosi i suoi occhi azzurri puntati addosso e che erano maggiormente illuminati dalle luce della luna. Sembravano quasi un laghetto d’acqua agitata con al centro una voragine nera.
"..mi permetterai di provarci?"- chiese deglutendo.
Johanna non aveva voglia di litigare, non a quell’ora.
Abbassò un attimo lo sguardo, come se la risposta si trovasse sui piedi di Ville, per poi rialzarlo e annuire sorridendo incoraggiante.
" Wohoo! Hai ceduto, fantastico! Mi hai evitato di arrabbiarmi!"- esclamò Ville sorridendo.
" Veramente ti ho evitato una dolorosa sconfitta."- disse secca lei, ghignando soddisfatta.
" Riuscirò a fare del mio meglio. Sarò un buon padre."
Johanna lo guardò male. Non era così sicura di quello che diceva.
" Comunque non mi hai detto perché ce l’hai con Hanna.."- disse Ville sedendosi.
" Semplicemente perché non ce l’ho con Hanna!"- disse seria.
" Ok, allora dimmi perché hai scelto il corso di canto."
La ragazza si ammutolì per un istante pensando a cosa poteva dire.
" E’ un corso facile.."- disse per l'ennesima volta giustificarsi.
" Beh se per te è facile, significa che sei brava."
Colpita e affondata.
" Cioè aspetta.. non è proprio facile..è.."- cercava di prendere al volo una scusa, ma a quell'ora della notte evidentemente non ce n'erano.
Ville si alzò e la guardò.
" Vieni."- disse porgendole una mano.
Johanna si fece tirare su, e appena fu in piedi lasciò la mano di Ville quasi avesse schifo e lo seguì all’interno della casa.
Arrivati davanti ad una porta che lei non credeva di aver visto, Ville l'aprì e la fece entrare e subito dopo accese la luce. Era una stanza piena di libri,  ma oltre a quelli c'erano molti cd sparsi qua e là e una chitarra appoggiata delicatamente sul divanetto chiaro. Notò anche dei fogli bianchi sul tavolo posto al centro della stanza davanti ad una finestra grande che dava sul paesaggio mozzafiato che tanto le piaceva. Avvicinandosi notò che alcuni avevano delle scritte, ma la calligrafia di Ville era così piccola che non riuscì a capire cosa c'era scritto. Forse non doveva nemmeno leggerli.
"Si può sapere cosa..?"
" Mi farai sentire la tua voce."- disse Ville.
Johanna emise una risatina nervosa.
" Stai scherzando, spero."
" No, non sto scherzando."- disse lui scuotendo la testa.
Johanna si grattò la nuca in preda all'imbarazzo. Lei non voleva cantare davanti al suo idolo/ amore di sua madre/padre.
" Non ho intenzione di cantare."- rispose cocciuta intenzionata ad uscire.
" Non provare ad uscire da quella porta."- le ordinò Ville serio. Il modo in cui aveva impartito l'ordine, l’aveva bloccata sul posto.
" Tu ora mi farai sentire la tua voce."
Johanna lo guardò dritto negli occhi e capì che da lì non sarebbe riuscita ad uscire per davvero. Si avvicinò sconfitta alla chitarra, la prese in mano e si sedette su una delle sedie.
" Sai anche suonare la chitarra?"- chiese Ville sorpreso.
" Un po’. Mamma mi disse che a mio padre piaceva suonare la chitarra, così ho chiesto a Duncan di darmi delle lezioni. Lui suona in una band con alcuni suoi amici."
 
“Dai Ville, sono imbranata!” - disse Marika arrendendosi.
“Ce la puoi fare.” - le disse lui mentre l’aiutava a tenere su la chitarra.
“Hai ragione, sei tu che sei un cattivo insegnante.”- disse rimproverandolo.
“Forse serve molta più pratica..”- disse avvicinandosi, provocante, alla sua preda.
 
" Ok, fammi sentire.."- disse Ville avvicinandosi.
Avrebbe potuto registrarla, ma era sicuro che non le sarebbe andato bene.
Johanna cominciò a suonare dopo poco attimi e Ville subito riconobbe The funeral of hearts .
All’inizio la sua voce era quasi sofferente, forse un po’ troppo, poi aveva cominciato a diventare invitante. La sua voce era potente,ma non stava urlando, eppure riusciva a trasmettere il concetto concludendo il tutto con una gran maestria che nemmeno lui in tutti quegli anni era riuscito a fare.

Era davvero sua figlia. 

 











L'ANGOLO SEGRETO DI VALS (?) u.u:
Cccccciao! Visto? Ho fatto molto presto ad aggiornare, quindi voglio tanti abbracci (?)
Questa volta sono stata brava perché ho finito il capitolo in un modo piuttosto dolce u.u xD
Burton ha parlato..sì avete letto bene.. e anche Linde nonostante fosse un ricordo u.u
Ville nonostante i continui macelli ha fatto un bel passo avanti e già inizia a dare ordini a quella povera figlia. Johanna come al solito è di una simpatia unica ( povera xD) e un giorno lo ammazzerà, fidatevi xD
Dai, alla fine ci sarà soltanto tanto ammmmore ( forse..) muahahahahahaha xD
Questa volta ( e per l'ennesima volta, specifichiamo),voglio fare un ringraziamento speciale alla mia Crabs, ovvero Heaven_Tonight che oltre a sopportarmi ha speso un pò del suo tempo per creare l'immagine faiga della storia. Sì, perché l'immagine è dannatamente faiga e quindi ripeto GRAZIE Crabs, davvero <3
Ringrazio tutte le altre bellezze che seguono la storia, specie mia cognata virtuale katvil che sopporta tutte le mie cretinate <3
E GNENTE..ci vediamo al prossimo aggiornamento :3
Un bacio
Vals








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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***












Dear Father

 Capitolo 10









" Non male. Con un po’ di pratica potresti migliorare."

Ville non si era sbilanciato più di tanto. Lui non avrebbe mai detto frasi del tipo: " sei bravissima!" o " I miei complimenti" o " sono senza parole" . Lui era quel tipo di ragazzo che difficilmente faceva complimenti specie se si trattava di farli ad un cantante o musicista. Ville era del parere che una volta fatto il complimento, anche il più sentito, la persona che l'aveva ricevuto cadeva nella vanità e finiva per cullarsi sugli allori, quando questi non c'erano nemmeno. E con Johanna non era da meno. Non voleva che lei credesse fin da subito di essere eccellente. Il talento andava migliorato e spronato ancora ancora e ancora. Beh lei era davvero brava, ma il caro finnico non lo avrebbe ammesso così presto e poi in quel momento era perso a pensare al passato. Johanna, l’aveva osservata bene e gli ricordava sempre di più Marika.
" Si vede che ho preso da mamma..lei era.."
" Imbranata."- disse Ville sorridendo.
Johanna lo guardò quasi spaventata. Tutto quello era decisamente assurdo. Ville che finiva le sue frasi, Ville che la voleva sentire cantare, Ville che era attento a quello che diceva, Ville che non era scocciato.
Senza farsi vedere si diede un pizzicotto, sperando che fosse solo un sogno e che si sarebbe risvegliata nel suo letto a New York.
"Ahi.." - disse massaggiandosi il braccio. Ville la guardò interrogativo.
" Nulla."- disse lei sorridendo imbarazzata. - " visto che mi hai ‘costretta’ a cantare, ora dovrai cantare anche tu!"- disse invitandolo a sedersi sulla sedia accanto.
Ville sorrise soddisfatto. Entrambi sapevano che non si sarebbe tirato indietro.
Si sedette e prese in mano la chitarra mentre Johanna si metteva comoda sulla sedia, a gambe incrociate.
Ville si lasciò andare e cominciò a suonare Circle Of Fear.
Si guardavano negli occhi, si studiavano.
Ville aveva bisogno di fissare qualcosa e così aveva scelto di cercare conforto nello sguardo della figlia.
Johanna aveva bisogno di capire perché stesse suonando quella canzone, perché stesse pronunciando quelle parole. Era forse un modo per farle capire che aveva paura come lei, del resto?
“…Oh your circle of fear is the same…”
La canzone finì, lasciando spazio all’imbarazzo. O meglio, erano gli occhi di Ville a causarlo. Johanna si schiarì la voce.

" Per quanto tu a volte possa essere diva, resti sempre un bravo artista."
Ville sorrise sentendo quel nome.

" Io non faccio la diva."- disse fingendosi offeso.
" Già, suppongo che ti venga spontaneo."
" Tu mi spezzi il cuore.. mi spezzi il cuore!"- ripeté risultando sempre meno credibile.
" Sei un attore mancato, Ville."- disse lei divertendosi.

" Come scusa?"- chiese lui offeso mentre metteva via la chitarra.
" Non sei credibile."- disse lei alzandosi e uscendo dalla stanza.
" Io sarei poco credibile?"- chiese lui scettico seguendola.
" Adesso sei anche sordo? Ho detto che non sei credibile, il che è peggio."- non riuscì a trattenere il ghigno strafottente che fece capire a Ville che lo stava prendendo in giro.
" Te ne pentirai!"- disse mentre lei saliva le scale, dirigendosi al piano di sopra.
 


"Ville! Svegliati!"
L'uomo era riuscito ad addormentarsi da poco quando si sentì chiamare da Hanna.
" Che c’è?"- chiese stanco.
" C’è che tra 40 minuti arrivano i tuoi genitori."- gli disse lei mentre cercava di buttarlo giù dal letto.
" Eh?" - chiese Ville scendendo.
" Ville, è domenica, il che significa che Kari e Anita vengono qui!"

Aveva già cominciato a rifare il letto mentre Ville si passava le mani tra i capelli con una calma innaturale, sbadigliando.
" E tu? Vai via?"- chiese quasi triste.
"Ti devo ricordare che io e tua madre non andiamo molto d’accordo?"- chiese sarcastica.- " e poi anch’io ho la mia famiglia!"- disse mentre raccoglieva le sue cose in giro. Ville borbottò qualcosa mentre andava in bagno.
" Io vado, salutami Johanna!"
Una doccia fredda e tutta la stanchezza se ne era andata. Ville, vestito e profumato, uscì dalla stanza e passando per il corridoio bussò alla porta della ragazza.
" Johanna, svegliati!"- urlò. Non gli arrivò nessuna risposta dall’altra parte della porta, così aspettò qualche secondo. Niente. Bussò un’altra volta e poi con calma abbassò la maniglia e sempre molto lentamente aprì la porta.
Nella stanza non c’era nessuno.
Il letto era fatto, la portafinestra aperta ed era quasi tutto in ordine, a parte un libro aperto che era stato poggiato al contrario sul comodino.
Ville era quasi intenzionato ad avvicinarsi e chiuderlo per evitare che si rovinasse.
" Ville! Buongiorno anche a te, eh!"- la voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
Si voltò spaventato e l’odore di caffè gli arrivò dritto alle narici.
" Sei già sveglia?"- chiese quasi imbarazzato.
" Le domande le faccio io. Che ci fai in camera mia?"- chiese inarcando un sopracciglio e gettando uno sguardo all’interno della stanza.
" In teoria non sono dentro."- ribatté Ville riferendosi al fatto che i suoi piedi fossero fuori.
" Si da il caso che il tuo braccio lo sia."- disse Johanna senza neanche pensare.
Con Ville era impossibile pensare, bisognava agire. Il finnico, allora,  ritirò il braccio, squadrandola.

 " E comunque tu a quest'età non dovresti bere il caffè."
" Beh, in effetti questo era per te. L’aveva fatto Hanna prima di andare."- disse porgendogli la tazza. Ville sorrise soddisfatto prendendola in mano.
" Quel libro si rovinerà se lo lasci in quel modo."- disse indicando con un cenno della testa il suo diario, prima di portarsi la tazza alle labbra e incamminarsi verso le scale. Johanna sbiancò di colpo, notando che si trattava del diario che aveva ripreso a scrivere per trovare un modo per sfogarsi e dove c'erano tutti i suoi segreti e ringraziò il cielo che Ville non avesse visto la sua reazione e che non gli fosse venuto in mente di farle un favore mettendolo al suo posto.
 


" Ciao mamma..ciao papà."
" A tuo fratello non lo saluti? Hanna ti fa il lavaggio del cervello? Mi dispiace per Johanna, lei non merita questi trattamenti"- disse serio Jesse entrando. Era chiaro che sapesse tutto. Evidentemente Mige lo aveva informato su ciò che era accaduto. Bell'amico, pensò Ville.
" Mi scusi sua altezza cretinetto, come sta oggi? Sicuro di stare bene? Una lucertola ha un colorito meno pallido della sua faccia, lo sa?"- chiese a Jesse con un pizzico di rabbia.
" Non iniziate! Altrimenti vi chiudo a chiave in camera finché non la smettete.."
" È colpa sua!"- esclamò Jesse.- " è lui che è scemo e non capisce niente del mondo."
" Chi è lo scemo?"- chiese Ville inalterato.
" Tu! Devo scandire bene? T U."
" Vuoi essere ficcato con la testa nel muro, vero? Dimmelo, sono a tua disposizione."

" Ragazzi?"- li richiamò Kari.
" Ti faccio mangiare la chitarra."- rispose Jesse senza ascoltare suo padre.
"Ora. Basta."
Anita era infuriata. Prese i due fratelli per il braccio e li trascinò in salotto. Non che fosse Wonder Woman, ma quando si arrabbiava i due capivano che non era il caso di insistere. Li fece sedere sul divano e senza dire altro uscì chiudendo la porta. Ormai non serviva più chiudere a chiave o assicurarsi che fuggissero in altri modi, erano abbastanza maturi, almeno si sperava.
Si voltò esasperata e si ritrovò davanti Johanna che le sorrideva complice.
" Dovrai farci l’abitudine!"
Johanna annuì, capendo che Jesse sapeva tutto e che ora voleva fare la sua personalissima tirata d'orecchie al fratello. Evidentemente Kari e Anita non sapevano nulla e immaginò che i signori Valo pensassero che la questione riguardasse solamente Hanna.
"Andiamo a vedere che c’è nel frigo."- disse la donna con un insolito entusiasmo. Kari si sedette comodamente in giardino mentre Johanna seguì Anita in cucina dove immediatamente iniziò a cucinare. Johanna la stava osservando imbarazzata non sapendo come rivolgersi a lei. Si schiarì la voce e chiese: " la posso aiutare?"
" Non darmi del lei, non sono abbastanza vecchia."- disse ridendo, mentre continuava il suo compito.- " ecco, se ti fa piacere..puoi chiamarmi nonna.."

Anita non alzò lo sguardo per vederla in faccia. Non voleva vedere la sua espressione contrariata nel caso avesse detto no. Forse era troppo presto.
Al contrario Johanna sorrise. Doveva sempre tenere a mente che Anita oltre che madre di quel coglione di Ville e di quel santo di Jesse, era anche nonna e poverina aveva fatto tanto per crescere quei due, quindi adesso meritava un po’ di gratitudine. Non disse nulla e così la donna fu costretta a guardarla e le sorrise di rimando. Johanna si spostò i capelli dietro l’orecchio.

" Ehm..io non mai avuto dei nonni..Insomma i genitori di mamma erano morti molto prima che nascessi.."- disse sorridendo imbarazzata. Quella era una nuova esperienza anche per lei oltre che per Anita.
La signora Valo si incupì e lasciò il coltello sul tavolo, appoggiandosi. Johanna si stava avvicinando pensando che stesse per svenire e invece la donna alzò una mano per farle capire che andava tutto bene e la ragazza si fermò lì dov’era, guardandola preoccupata. Possibile che ogni volta che le parlava, Anita si doveva sentire male?
Si portò una mano al petto, respirando affannosamente.
Dopo qualche attimo, si levò il grembiule e si diresse verso il salotto in cui i fratelli stavano comunicando, si sperava pacificamente.

 
 
 
 
Si erano seduti sul divano con nessuna intenzione di chiarirsi. Avrebbero aspettato che Anita tornasse ad aprire, magari con il pranzo già preparato. Dopo dieci minuti passati in quel silenzio assurdo, avevano capito che dovevano trovare qualcosa da fare per sopravvivere..alla noia.
Jesse continuò a guardarlo, mentre il maggiore continuava a battere i pollici sulla pelle del divano come un ossesso. Eppure, Jesse era sicuro che se gli avesse tirato un cuscino l’avrebbe fermato prima che gli arrivasse addosso ed era quasi intenzionato a testare la sua teoria quando Ville, senza alzare lo sguardo, mosse le labbra.

" Quindi hai saputo tutto."
" Era logico che dovessi saperlo. Devo pur far qualcosa, sono tuo fratello. Non mi piace come ti comporti."
Stavano parlando civilmente e la cosa era abbastanza strana. Ville decise di contare fino a cento prima di rispondere. Il fatto che non rispondesse dava fastidio a Jesse che disse: " bene vogliamo  fare il gioco del silenzio?"
Altro silenzio.
" Ville?"
Gli arrivò una cuscinata che andò a colpire dritto il suo viso.

" Si può sapere che cazzo ti prende?"
" Non mi ascolti!"-esclamò Jesse offeso.
" Oh, scusa!"- lo sfotté Ville.
La porta alle loro spalle che si apriva li distrasse dai loro pensieri.

" Ville, dobbiamo parlare. Subito.”
Ville seguì la madre fuori  e si ritrovò in giardino con grande sorpresa di Kari.
" Si può sapere quanto sei idiota?"- chiese la madre al figlio.
Ville la guardò triste.

" Cosa è successo?"-  chiese intimorito.
" Cioè Ville, fammi capire: tu hai lasciato che Marika andasse via e per giunta da sola? Senza i suoi genitori?"
" Io non sapevo che stesse partendo e poi..cosa avrei dovuto fare?"

" Credevo che i miei insegnamenti e quelli di tuo padre ti avrebbero fatto crescere in maniera diversa e invece no! Non posso credere che tu non abbia fatto nulla!"
Ville si sentiva sempre di più inutile. Adesso anche sua madre glielo faceva capire.
“Mamma, per favore..lei diceva che sarebbe partita, ma che sarebbe tornata presto. Io pensavo che scherzasse e poi il giorno dopo il nostro concerto sono andato a casa sua e lei..non c'era. Mi aveva lasciato una lettera dove mi spiegava che non poteva stare con me, che non credeva più di amarmi come prima e che aveva bisogno di girare il mondo per fatti suoi e che io dovevo semplicemente seguire il mio sogno.."

" Anita su, calmati. Le situazioni possono sempre essere sistemate."- disse Kari avvicinandosi. Anita guardò Ville ancora un po' infuriata, ma non così tanto da scagliarsi contro. Forse Kari aveva ragione, tutto si sarebbe sistemato. Ville doveva farlo per forza!
"Ti giuro, che se fai soffrire quella ragazza"- disse puntandogli un dito contro, alludendo a Johanna.-" io..io non lo so cosa ti faccio."
Eccolo tutto l’affetto materno di nonna Anita.
" Scusa..prometto che farò il bravo.."- disse Ville mordendosi il labbro come faceva da piccolo.
Anita lo guardò intenerita pensando a quanto fossero cresciuti i suoi piccoli ometti e si lasciò abbracciare dal figlio. Johanna aveva appena assistito a quel momento di dolcezza e stava sorridendo commossa.
" Scene di vita quotidiana a casa Valo, ciak prima."

Jesse era apparso alle sue spalle con un espressione sarcastica.
"Sei geloso?" - chiese la ragazza divertita.
" Geloso? Ma che geloso! Solo che non va bene che lui con quei suoi occhi riesca a mettere nel sacco tutte le donne compresa la mamma!"- disse afflitto.
"Sei geloso."- e questa volta era una constatazione.
"No."
"Già! Cosa hai da invidiargli a parte la voce, il talento e, beh, quegli occhi?" chiese facendogli il verso.
Jesse la guardò offeso.

" Almeno io non sono egocentrico, narcisista, bastardo, coglione.."
" Come scusa?"- Ville si era avvicinato e ora lo stava guardando male.
" Non ricominciate e venite ad aiutarmi! Subito!"

 
 

" Così canti?"- le chiese Kari con gli occhi pieni di gioia.
Johanna aveva pregato Ville con lo sguardo fino all’ultimo sperando che non glielo dicesse.
" Non proprio.."
" E suona anche la chitarra.." - aggiunse Ville che fu fulminato all’istante dalla figlia.
" Dai facci sentire qualcosa!"- disse Anita felice.

" Sì, dai siamo curiosi!"- esclamò Jesse.
Johanna provò a distogliere lo sguardo ma ovunque si girasse vedeva occhi da cerbiatto. Le sembrava che anche i mobili la guardassero per convincerla. Per sopravvivere in quella casa sarebbe dovuta diventare cieca, sorda e perché no? Anche muta.
Emise dei mugolii disperati sperando, invano, che non le facessero provare quella tortura, ma si accorse tardi che Ville aveva appena tirato fuori la chitarra da dietro il divano.
Lo guardò come a voler dire ‘cosa ci faceva quella lì?’, ma era inutile chiederglielo, molto probabilmente era un piano studiato nei minimi dettagli.. forse si addiceva di più la parola vendetta.
“Adesso sei anche sordo? Ho detto che non sei credibile, il che è peggio.”
“Te ne pentirai!”
" No, seriamente..non sono brava.."- disse cercando di respingere lo strumento che Ville da minuti cercava di metterle in mano. Stava quasi pensando di prenderla e spaccargliela in testa e per un momento davanti ai suoi occhi passarono le immagini di quello che sarebbe potuto succedere, ma quel poco di lucidità che le apparteneva le consigliava che non era il caso.
Respirò a fondo e prese la chitarra, guardando Ville come se dovesse sfidarlo.
Pensò velocemente ad una canzone e le tornò in mente quella che qualche mese prima aveva sentito cantare a Marika.
Better Days.
 
And you ask me what I want this year
And I try to make this kind and clear
Just a chance that maybe we'll find better days
'cause I don't need boxes wrapped in strings
And desire and love and empty things
Just a chance that maybe we'll find better days

So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again

And it's someplace simple where we could live
And something only you can give
And that's faith and trust and peace while we're alive.."


Continuò a suonare cercando di tenere lo sguardo basso per non dover incontrare quello di Ville. Si sentiva lo sguardo di tutti e quattro puntato addosso, ma cercava di non pensarci. Si sforzò di ricordare il suono della voce di Marika mentre cantava la canzone cercando di sovrastare con la sua voce il suono che usciva dalle corde. Sorrise malinconica, fregandosene del fatto che loro la stessero guardando.
 
..and the one poor child that saved this world
And there's 10 million more who probably could
If we all just stopped and said a prayer for them

So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again

I wish everyone was loved tonight
And somehow stop this endless fight
Just a chance that maybe we'll find better days

So take these words
And sing out loud
'cause everyone is forgiven now
'cause tonight's the night the world begins again
'cause tonight's the night the world begins again..
"
 
Appena ebbe finito si sentì quasi spaesata. Cantando l’ultima parte si era quasi dimenticata della presenza degli altri attorno e adesso era completamente rossa. Restituì la chitarra a Ville mentre si mordicchiava le labbra, nervosa. Nessuno aveva detto niente e questo non migliorava le cose.
Kari continuava a passare lo sguardo dal figlio alla nipote, mentre Jesse guardava il pavimento con lo sguardo fisso. Ville continuava a guardarla senza sapere cosa dire.
" Beh si sente che è una Valo."- disse Anita rompendo il silenzio imbarazzante.
Jesse la guardò sorridendo, mentre Ville annuiva impercettibilmente e Johanna..?
Johanna era sorpresa, lusingata e spaventata da quell'affermazione.
" Mi piacciono queste domeniche in famiglia!"- disse Jesse entusiasta.
" Per questo il sabato non devi stare fino alle 6 nei locali, almeno ti presenti in modo decente!"- lo rimproverò la madre.
" Ma mamma! Tutti i miei amici lo fanno.."
Johanna si mise a ridere, mentre Ville lo guardava con rimprovero.











L'ANGOLO DI VALS:

Mmmmmmhhhhh cccccciao :D
Lo so, il capitolo è piuttosto vuoto..diciamo che va considerato come passeggero. E' dal prossimo che inizia il vero divertimento muyahahahahhahaha!
Nuovamente tuuuuuutttttti in famiglia..cccchecccosatttenera :3
Come al solito c'è sempre un pò di movimento, ma non è così tragico xD

La canzone scelta è questa  https://www.youtube.com/watch?v=i-kHleNYIDc 
Aaaah sì..volevo farvi vedere Hanna così giusto per odiarla ancora di più xD

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E' comunque una gnocca, non vi pare? xD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ci vediamo alla prossima!!!
Vals




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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***












Dear Father

Capitolo 11

 

" Sei nervosa?"
La voce di Ville, come sempre succedeva nei momenti più tesi, riuscì a calmarla per qualche secondo. La semplice differenza stava nel fatto che questa volta Ville Valo non cantava una delle sue canzoni e non era lontano mille miglia da lei, ma le stava parlando e non attraverso semplici versi ritmati.
Johanna, seduta in cucina, alzò il capo e tolse le mani dal viso e guardò Ville avvicinarsi e prendere posto accanto a lei. La ragazza, nervosa, annuì deglutendo mentre osservava suo padre prendere una sigaretta e avvicinarla alle labbra.
" Fa male alla salute stare in ansia."- disse cercando il suo accendino.
" Anche le sigarette fanno male alla salute."
Ville si bloccò con l'accendino ad un millimetro dalla sigaretta e fissò sua figlia. Era straordinario come avesse sempre la risposta pronta e fosse diretta proprio come lui. Sorrise e, miracolosamente, mise da parte tutto l'occorrente. Questo non significava che Ville di colpo aveva deciso di smettere di fumare, semplicemente lo avrebbe fatto dopo. Ora era necessario ascoltare le ansie di sua figlia e voleva farlo senza darle fastidio con il fumo.
" Andiamo, non dirmi che un tipetto come te ha paura del primo giorno di scuola."- la prese in giro. Johanna strinse i pugni e disse: " io non ho paura.."
" Oh certo!"- esclamò divertito Ville vedendola sbuffare.
" Oh! E va bene!"- esclamò Johanna scendendo dalla sedia e iniziando a gesticolare come di solito faceva quando era in ansia e presa da attacchi di nervosismo per qualcosa che doveva fare.- " ho le budella attorcigliate e ho il terrore che tutto possa andare storto! Ma che dico? Tutto andrà storto, ne sono sicura!"
Incrociò le braccia sbuffando nuovamente senza guardare Ville, fissando un punto del pavimento chiaro e cercando di calmare gli istinti omicidi verso tutto il mondo.
Il fatto era che questa volta lei avrebbe affrontato una nuova sfida. Non era più il solito primo giorno di scuola, nel solito edificio del solito quartiere con i soliti amici e facce conosciute così di vista. Non avrebbe rincontrato l'aria familiare di quei corridoi grandi e pieni di persone di vario tipo, da quelli più amichevoli a quelli più sbruffoni. Non sapeva cosa doveva aspettarsi da quella nuova scuola, da quella realtà che doveva diventare la sua quotidianità. La cosa più difficile da mandare giù era la mancanza di Daphne e Duncan. Una volta varcata la soglia di quella nuova scuola, infatti, non avrebbe incontrato l'entusiasmo mattiniero di Daphne, né i problemi esistenziali di Duncan con geografia. Non sapeva nemmeno chi avrebbe incontrato a dirla tutta.
Si immaginava già preda di qualche bullo, o peggio ancora, presa di mira da qualche stupida gallina senza cervello.
Ville aveva capito appieno il vortice di pensieri che riempivano la mente di Johanna. Le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle minute, costringendola a guardarlo negli occhi e sorridendo incoraggiante disse: " niente andrà storto. Non devi fasciarti la testa prima ancora di cadere e non puoi nemmeno pensare al peggio prima ancora di vederlo in faccia. E poi cosa dovrebbe impaurirti? Un gruppo di gente che si sente superiore perché crede di aver talento, quando invece non sa nemmeno che cos'è una nota musicale? Avanti Johanna! È da sciocchi pensare negativo! E sono sicuro che conoscerai un bel po' di gente a posto e tranquilla."
Johanna annuì sorridendo. In fondo Ville aveva ragione e le sue parole erano ciò che le serviva per attenuare almeno un po' il mostriciattolo che si era impadronito delle sue viscere.
" Bene, allora andiamo."- disse Ville prendendo la borsa di Johanna.
" Mi accompagni tu?"- chiese allarmata pensando ai giornalisti che potevano nascondersi in qualsiasi angolo della strada.
" Fuori ti aspetta Jesse. Ti accompagnerà lui. Non che io non voglia è solo che.."- iniziò allarmato, cercando le parole giuste.
" Non preoccuparti. Ho capito il motivo. Sei diventato l'obiettivo preferito dei giornalisti e hai paura per me, visto che non sono abituata a tutto questo, e non vuoi che il mio primo giorno di scuola inizi con questa brutta piega."- spiegò Johanna continuando a sorridere. Marika le aveva sempre detto che per l'età che aveva dimostrava di essere molto più matura, ma forse tutto questo era dovuto alle situazioni che aveva passato che l'avevano fatta crescere un po' più velocemente degli altri. Ormai capiva al volo qualsiasi situazione non propriamente semplice e Ville per un momento fu sul punto di abbracciarla forte stringendola a sé, ma pensava di risultare stupido e magari lei non avrebbe approvato. Non sapeva, invece, che Johanna non avrebbe opposto resistenza per nessuna ragione al mondo. Era suo padre in fondo. Che cosa c'era di più bello in un abbraccio paterno improvviso?
Ville sorrise e tese la mano che immediatamente incontrò quella di Johanna. Uscirono fuori dove effettivamente ad aspettarli c'era proprio Jesse appoggiato con la schiena contro l'auto, come l'autista di una limousine. Sorrise radioso a Johanna ed esclamò: " pronta per l'avventura?"
" Prontissima!"- rispose Ville mettendo lui stesso la borsa in macchina. Johanna non sapeva se scoppiare a ridere o restare seria. I fratelli Valo che cercavano di tirarla su di morale erano davvero molto spassosi.
Ville si avvicinò a lei e in un sussurro gli disse: " buona avventura. Ci vediamo dopo."
" A dopo."- rispose lei, indecisa se abbracciarlo o fuggire in auto. L'imbarazzo del momento ebbe la meglio e con un gesto goffo si allontanò entrando in macchina e salutando Ville con la mano mentre Jesse facendo qualche manovra da perfetto pilota si allontanava dalla torre.
 
 



" Resta il fatto che io mi scoccio a fare questa intervista!"- esclamò Ville scocciato guardando Seppo.

" E resta il fatto che domani dopo l’intervista lo sapranno comunque tutti!"- disse l'uomo mettendolo in agitazione. Il silenzio imbarazzante che seguì dopo era causato dal fatto che ancora nessuno sapeva se fosse davvero il caso di dire che Johanna era sua figlia. Qualche sospetto ci sarebbe stato e sicuramente la gente non era così sciocca da credere ad altro. La somiglianza c'era ed era molta, ma la domanda che Ville si poneva era:  meglio stare zitti e lasciare che andassero a pensare nel massimo della pazzia popolare che lui fosse pedofilo, o dire direttamente che aveva ritrovato sua figlia?
Ville sorrise divertito pensando alla prima soluzione, ma non sarebbe stato saggio, non quando Jackie dall'altra parte del mondo stava architettando qualcosa per metterlo fuori e riprendersi Johanna. Al solo pensiero il sorriso scomparve e la scocciatura riprese il sopravvento. Si era già affezionato a Johanna più di quello che lui credeva e vedersela portare via non era proprio ciò a cui pensava né tanto meno desiderava. Non potevano portarsela via, ora che stava provando a comportarsi in maniera decente.
Ma era anche vero che, come aveva detto lui stesso a Burton, la decisione spettava a Johanna e comunque lei aveva deciso di lasciarlo provare ad essere padre.
Ville aveva represso un urlo di gioia, mentre sorrideva soddisfatto per essere riuscito a far cambiare idea a Johanna.
" Sì, infatti, quindi  dovrò preparami al peggio..?"- disse dando il consenso per sputtanare al mondo intero che Ville Valo, l'uomo che pubblicizzava preservativi, non aveva saputo usare le precauzioni neanche prima di diventare famoso e che quindi aveva una figlia adolescente e sembrava che ora lui fosse finalmente diventato abbastanza maturo da crescerla.
Ripensò a quello che stava succedendo e..capì ulteriormente che si stava affezionando davvero tanto a lei. E pensare che si conoscevano da..mercoledì? Non era passata neanche una settimana.
" Tranquillo, ci penserò io a insegnarti a sopravvivere!"- disse Seppo incoraggiante, contento per il fatto che forse stava andando tutto bene.
" Io ho fame."- disse Mige, precedendo i gorgoglii del suo stomaco con la stessa finezza di sempre.
" Dimmi, quand’è che non hai fame?"- chiese Ville scuotendo il capo.
" Fino a due ore dopo i pasti, non ho fame."- rispose Mige discolpandosi.
" Ma fammi il piacere!"
" Smettetela!"- tuonò Seppo. Ville e Mige si guardarono e sorrisero complici.
 



Come Ville aveva predetto l'inizio era andato a meraviglia. Nessuno l'aveva presa di mira, gli insegnanti erano stati completamente gentili e disponibili e aveva passato delle piacevoli ore ad ascoltare le lezioni. Johanna non era una secchiona, ma le piaceva studiare. Non ambiva a voti altissimi, cercava semplicemente di ottenere dei buoni risultati che le permettessero di essere soddisfatta di sé.

L'unica cosa che forse non era riuscita ancora a fare era trovare qualche ragazza con cui socializzare. Naturalmente avrebbe avuto un intero anno scolastico davanti e le amicizie sicuramente non sarebbero mancate se si metteva di impegno, eppure sentiva il bisogno fin da ora di trovare almeno qualcuno che in quel labirinto le desse coraggio. Si stava avvicinando al suo armadietto, quando sentì qualcuno dietro di sé parlare.
" Ciao! "
Johanna si voltò e si ritrovò di fronte ad una ragazza dal viso pallido e incorniciato da una criniera di capelli biondi. Gli occhi erano verdi e sembravano quelli di un gatto e le sue labbra rosee erano curvate in un largo sorriso. Era davvero molto alta e indossava un paio di jeans chiari e una camicia rossa aperta sotto alla quale spiccava una maglia dei Nirvana.
" Ciao."
" Io sono Marianne."- si presentò la ragazza porgendole la mano.
" Johanna."
Dopo essersi strette la mano, Marianne senza smettere di sorridere disse: " frequentiamo lo stesso corso, io ero seduta in seconda fila."
" Ah sì! Scusa..non ricordavo più il tuo nome."- disse Johanna ricordandosi di lei.
" Non preoccuparti! Il primo giorno è così per tutti, specie se non hai mai frequentato questo posto."- spiegò la riccia aprendo il suo armadietto accanto a quello di Johanna.
"Già."- rispose lei imitandola.
" Tranquilla, ti ci abituerai presto."
" Finalmente vi ho trovate!"
" Arja!"- esclamò Marianne.
Sia Marianne che Johanna chiusero i rispettivi armadietti e guardarono la ragazza che aveva parlato. Arja era in completo contrasto con Marianne a partire dai capelli. I suoi erano mossi e castani,  raccolti in una lunga coda alta e i suoi occhi di un marrone scuro. Aveva dei lineamenti che per certi versi a Johanna ricordavano una donna orientale, anche se di orientale in Arja c'erano solo gli orecchini.
" Johanna lei è Arja."
" Piacere."
" Piacere tutto mio!"- esclamò l'altra allegramente. Prima che Johanna potesse fare un altro passo qualcuno la trascinò a terra e un peso enorme gravò su di lei. Si rese conto, nella confusione totale, che ad esserle piombato addosso era un ragazzo. Gli occhi chiari furono la prima cosa che riuscì a guardare prima di perdersi nei lineamenti del viso.
Immediatamente il ragazzo si alzò e subito dopo anche lei che riprendendo coscienza di sé esclamò in tono brusco: " vuoi stare attento a dove metti i piedi?"
Sentì un gran male al piede, ma testarda com'era non avrebbe fiatato in quel preciso istante davanti al colpevole. Il ragazzo guardò nella direzione dei suoi amici che se la ridevano come matti e poi tornò con i suoi occhi sulla povera Johanna. Si passò una mano fra i capelli castani e ribelli e disse: " scusami. I miei amici sono abbastanza cretini e amano fare scherzi di pessimo gusto, come spingere la gente così di punto in bianco.."
Nuovamente si perse nel suo sguardo. Era decisamente un bel ragazzo e a giudicare dai muscoli di poco pronunciati, doveva essere un atleta. O questo lo immaginava solo lei.
" Ehi..va tutto bene?"- chiese il ragazzo guardandola preoccupato. Johanna scosse la testa e balbettando rispose: " eh? Sì..tutto ok."
" Mark, ti vuoi muovere?"
Il ragazzo si voltò verso chi l'aveva chiamato e poi rivolgendosi a Johanna disse: " oh, devo andare. Scusami ancora!"
La lasciò con un gran sorriso prima di rincorrere il responsabile di quel piccolo incidente. Johanna decise che quello fosse il momento di smetterla e di tornare con i piedi per terra e così facendo si accorse nuovamente del dolore che sentiva, ma per fortuna nel frattempo sembrava diminuito.
" Accidenti! Tu non sai che fortuna hai avuto!"- disse sospirando Marianne.
" La chiami fortuna rischiare una frattura al piede?"- si lamentò Johanna sbuffando.
" Beh..a me non ha mai fratturato niente..anzi a pensarci bene, non mi ha mai rivolto la parola."- disse Arja a braccia conserte. Johanna sorrise. Era chiaro che ad Arja non gli stesse tanto simpatico.
" Lui è Mark Saarinen, uno dei ragazzi più belli dell'intero istituto. È della nostra stessa età."- spiegò Marianne.
" E anche il più antipatico."- concluse Arja.
" Ad Arja non le va mai bene nessun ragazzo. Dovrai farci l'abitudine."- disse Marianne divertita, mentre Arja sbuffò.
Johanna continuò a sorridere. Sorrideva perché si stava sentendo a suo agio e si sentiva fortunata perché aveva già trovato due persone che la stavano facendo sentire meno spaesata e con le quali avrebbe condiviso la sua avventura, o almeno era quello che sperava.
Quando a fine lezione Johanna uscì fuori dall'istituto ad attenderla non c'era Jesse bensì Ville. Il finnico aveva deciso di rischiare perché non gli piaceva l'idea di dare a Jesse incarichi che nonostante le avversità giornalistiche poteva svolgere lui. Così aveva lasciato la sua Musa e gli altri in studio per andare da lei. Johanna lo guardò allarmata, ma sorrise contenta di vederlo lì.
" Come è andata?"
" Avevi ragione. Tutto è andato bene."- rispose Johanna allegra per la prima volta da quando era lì. Ville lo notò e sorrise il doppio. Le scompigliò i capelli beccandosi una sua occhiataccia e poi disse: " visto?"
Alcuni ragazzi si erano fermati ad osservarli e Ville onde evitare delle scenette disse: " che ne dici se andiamo a pranzare in qualche posto e mi racconti tutto lì?"
Johanna, capendo la situazione, annuì e così i due si allontanarono dalla vista degli altri.
" Per un momento ho avuto il terrore che dovessi cucinare tu."- disse Johanna seria.
" Faccio così schifo?"- chiese Ville fermandosi.
" Solo un pochino."- rispose divertita la ragazza continuando a camminare. E la diva naturalmente si offese, ma in cuor suo sapeva anche lei di essere una schiappa. Così senza farsi notare sorrise e quando tornò con lo sguardo su Johanna disse serio: " dalla prossima volta cucinerai tu, voglio vedere cosa sai fare."
" Affare fatto."- disse Johanna.
I due si strinsero la mano e poi si incamminarono verso la loro destinazione.


 

Stava sgranocchiando un biscotto mentre su Facebook si stava impegnando a trovare Mark.

Non fu facile, ma una volta trovata Nicole, il gioco era fatto.
Nicole era la capo cheerleader della scuola e sapeva farsi notare, poi guardando la sua bacheca aveva notato che aveva taggato, citato, commentato e tutto il resto solo ed esclusivamente Mark. Così dopo aver aggiunto Marianne e Arja era rimasta a contemplare le foto di Mark, nonostante molte di essere lo ritraevano con Nicole.
"Chi è costui."
Johanna balzò sulla sedia e per lo spavento chiuse di colpo il portatile, rischiando di mandarlo in frantumi.
Primo. Cosa voleva Ville?
Secondo. Perché usava quel tono strano e la guardava in quel modo..sempre strano?
Terzo. Cosa ci faceva in camera sua?
Ah, quarto. Perché quella non sembrava una domanda?
"Cosa ci fai qui?"- chiese spaventata e arrabbiata.
Oltretutto, la flebile luce della lampada che illuminava a malapena il volto di Ville, rendeva la sua espressione ancora più strana del solito.
"Volevo sapere se eri morta o meno."- disse con calma continuando a fissare il punto dove poco prima c’era lo schermo del portatile e come se potesse ancora vederla, quella foto.- " ma sono contento di sapere che sei viva e vegeta."
" Stavo facendo i compiti."
" Con la connessione su facebook."- disse Ville annuendo serio.
Il finnico le stava facendo saltare i nervi. Johanna inclinò leggermente la testa di lato e dopo aver contato fino a dieci, cominciò a parlare.
" Avevo finito e mi sono connessa per vedere un paio di cose."
" E cioè vedere delle foto.. di un ragazzo."
" Non sono affari tuoi quello che stavo facendo."- disse arrabbiata. Più che altro si trattava di imbarazzo camuffato malamente con la rabbia e il nervosismo. La ragazza continuò a guardarlo male e aspettò che uscisse dalla camera.
E invece..Ville si sedette comodamente sul letto e lo sguardo di Johanna finì sulla libreria, per assicurarsi che il suo diario insieme alla foto ricevuta da Marika fossero al sicuro.
" Cosa sta aspettando sua maestà?" - chiese voltandosi verso di lui.
" Nulla, chiacchieriamo un po’?"- chiese sorridendo sornione.- " tu intanto continua pure quello che stavi facendo."
Johanna lo guardò scioccata.
"Tu non vuoi parlare."- disse incrociando le braccia al petto.
" Così mi ferisci, avevo intenzione di raccontarti la fiaba della buonanotte."- disse e sembrava fottutamente sincero nonostante il divertimento che balenava nei suoi occhi.
" Bene inizia."- disse Johanna.
" No, continua quello che facevi, io tanto aspetto."- disse divertito.
" Cosa vuoi, Ville?"- chiese esasperata.
" Cosa si chiama quel ragazzo?"
Finalmente si era deciso ad arrivare al punto.
" Si chiama Mark. L'ho conosciuto a scuola..più che altro mi è venuto addosso."
" In che senso?"- chiese allarmato il giovane padre.
" Nel senso che l'hanno spinto e mi ha travolto, tutto qui."
" Non mi ispira."
" Cosa non ti ispira?"
" Non ha la faccia da bravo ragazzo."
Johanna alzò gli occhi al cielo. Ora ci mancava solo che Ville decidesse anche per lei i ragazzi che doveva frequentare.
" Molto meglio Duncan."
" Ma Duncan è il mio migliore amico!"
" E lui?"
" Solo uno che mi ha fatta cadere, tutto qui."
" Domani ti accompagno io a scuola. Voglio vederlo in faccia."- concluse deciso Ville.
" Beh, mi dispiace deludere le tue aspettative, ma voi dovete fare l'intervista a Maximum Radio..e poi, no. Non puoi accompagnarmi e sembrare uno stalker. Ora esci."
Ville si arrese alzandosi per uscire.
" Dovresti dormire ora, è tardi."
" Sei poco credibile. Tu sei un vampiro."- disse aspettando che l’uomo uscisse per riaccendere il pc, che nella furia si era spento.
 


   

" Il buongiorno si vede dal mattino, eh?"- chiese Ville sorseggiando il suo indimenticabile caffè.

Johanna, con la faccia distrutta, si avvicinò alla tavola con molta calma, pensando che avrebbe preferito portarsi appresso il letto.
" Johanna ci sei?"- chiese Ville sventolando la mano.
La ragazza deglutì e prese la palla al balzo.
" A tuo padre gli era sempre piaciuto il nome Johanna. Diceva che aveva un suono strano, ma dolce."
" Ti piace il nome Johanna?"- chiese seria.
" Si è un bel nome. Perché me lo chiedi?"- chiese confuso. A Ville piaceva tanto il nome Johanna, però il modo in cui la ragazza le aveva posto la domanda lo aveva inquietato e non poco.
" Tu che nome mi avresti dato?"- chiese continuando come se nulla fosse.
" Non so, a vederti così hai una faccia da..mmh.."- cominciò inquadrandola bene.-" Seppo!"- cambiò totalmente tono di voce e si lasciò andare ad un sospiro di sollievo.
" Seppo?"- chiese Johanna non capendo.
Poi si accorse che Ville non la stava più guardando, ma che invece fissava un punto alle sue spalle.
Si voltò. L'uomo li stava raggiungendo con in una mano il telefono e nell’altra dei bicchieroni di caffelatte. Molto calmo se ne andava per casa come se fosse la sua e intanto digitava con il pollice libero qualcosa, qualsiasi cosa sulla tastiera.
Attimi dopo la sua mente aveva capito che Ville aveva citato il suo nome e si era voltato verso di lui.
Gli aveva concesso un attimo per chiedergli qualcosa, ma visto che Ville era rimasto zitto, aveva riabbassato lo sguardo sul display del telefono e aveva ripreso da dove aveva lasciato.
 " Vedo che oggi nessuno vuole darmi il buongiorno!"- disse offeso.
Seppo sbuffò e molto lentamente alzò la testa.
 " Buongiorno.."- sempre molto lentamente girò il capo verso la ragazza- "..Johanna!"- disse lasciandosi andare ad un sorriso. La ragazza ricambiò anche se avrebbe preferito che lui ritardasse e lasciasse a lei il tempo di parlare con Ville.
Seppo notando l’espressione triste della ragazza, capì tutt’altro e cominciò a parlarle.
 " Oh, te l’ha già detto? Mi dispiace sai..insomma, non possiamo arrivare tardi.."- cominciò desolato.
Johanna non capiva e Ville guardava disperato Seppo che stava parlando troppo.
" Seppo, lei ancora.. io non gliel’ho detto."
" Cosa devi dirmi?"- chiese la ragazza.
" Oh, bene. In questo caso..sarà Hanna ad accompagnarti a scuola, oggi."- disse velocemente Seppo, mentre stava effettuando una chiamata.
 " Pronto! Sì, sono Seppo Vesterinen.."- cominciò allontanandosi, usando la chiamata come scusa ed evitare che Johanna si arrabbiasse anche con lui.
Uscito dalla cucina Seppo, Ville si aspettava urla e suppliche, ma..niente. Johanna lo stava guardando come lo stava facendo cinque minuti prima. Stessa espressione e stessa sensazione di disagio.
" E perché non è ancora arrivata? Farò tardi.."- disse.
" Sarà qui a momenti.."- disse Ville grattandosi la nuca.
 




Quella mattina Johanna era stranamente.. impassibile.

L’aveva notato anche Hanna. Per tutto il viaggio in macchina non aveva parlato. Era rimasta ad osservare fuori dal finestrino il mondo che le passava davanti agli occhi.
" Oggi è il grande giorno, eh?"- aveva provato ad iniziare un discorso mentre prendeva una curva.
" Mmh?"
" Ville, Maximun Radio, notizia.."
"Ah."
Erano arrivate davanti alla scuola e a Johanna sembrava non importasse che qualcuno forse le sarebbe saltato addosso. Aprì la porta mormorando un “ciao.” e scese con molta calma.
" Aspetta!"- disse Hanna facendola voltare con un'espressione interrogativa. Johanna stava aspettando che le parlasse, mentre si teneva aggrappata alla portiera.
" Verrò io a prenderti, insomma, saran.."
" Certo! Fai come ti pare."- la fermò. Salutò con un cenno secco della mano e chiuse la porta dirigendosi con le mani in tasca verso la scuola.
Riuscì ad arrivare sana e salva all’armadietto e si riteneva completamente salva, ma..
" Johanna!"
Una voce squillante la stava richiamando dall’altra parte del corridoio.
L’aveva sentita poche volte e già la sapeva riconoscere. Beh poteva essere una cosa positiva, almeno avrebbe imparato a non girarsi udendola. Fu proprio quello che fece, con molta nonchalance continuò a controllare i libri che le servivano per l’ora dopo.
" Johanna!"
Oh, no! Si stava avvicinando.
Quando fu sicura che fosse dall’altra parte dell’anta dell’armadietto, e lo sapeva perché vedeva le sue gambe lunghe, avvolte da jeans mostruosamente attillati, chiuse lentamente l’armadietto e con un sorriso finto si voltò verso di lei, pronta a sfidare i limiti della sua pazienza.
La guardò intensamente. Non ricordava bene il nome..
Ogni volta che dimenticava i nomi, e questo le accadeva spesso, fissava il soggetto sperando che sulla fronte apparisse a caratteri cubitali il nome. Tuttavia con gli anni e con molta pratica aveva imparato a non far notare quello che stava facendo e se tutto andava bene la gente non si accorgeva che lei stava cercando di ricordare i loro nomi e il tutto filava liscio come l'olio.
Poi ci fu l’illuminazione.
"..Nicole, cosa posso fare per te?"- chiese sforzandosi di sorridere per non dover guardarla male.
" Ma davvero conosci Ville Valo?"
Certo che quella ragazza era diretta o semplicemente la sua mente non riusciva a mettere insieme tante parole nella stessa frase.
Johanna sospirò.
"Dovrei?"
Sperava che così Nicole e il gruppetto di ochette che si era portata dietro sarebbero sparite.
Nicole schioccò le dita e una ragazza alla sua sinistra le diede una rivista.
"Questa sei tu, no?"- chiese eccitata.
" Lo sai che tutti noi abbiamo sette sosia sparsi per il mondo?"- disse senza neanche rivolgere lo sguardo alla rivista.
Continuava a fissare negli occhi Nicole. Doveva ammettere che aveva dei bei occhi azzurri, ma mai belli come i suoi. I capelli biondi le ricadevano lisci ai lati e i suoi capi d'abbigliamento naturalmente erano tutti firmati.
" Nicole le hai rotto le scatole abbastanza."- disse Arja avvicinandosi.
" Stiamo parlando di una cosa seria!"- disse Nicole sconvolta perché non capiva il motivo per cui la mora non facesse i salti di gioia.
" Tu parli e lei per educazione non ti manda a quel paese."- sottolineò Arja senza però usare un tono acido o altro. Nicole offesa se ne andò, portandosi dietro le fanciulle.
" Poverina."- disse Johanna.
"No! Non devi pensarla così! Sennò sei rovinata. Se sei troppo gentile ti sarà sempre dietro."- disse Arja scuotendola per le spalle.
" Vedo che le lezioni di sopravvivenza di Arja sono cominciate!"- disse con una risata cristallina Marianne avvicinandosi.
" Forza. Fra poco si inizia!"
Ma mentre erano lì Johanna si accorse della presenza di Mark. Stava passando tranquillamente con i suoi libri in mano e stava parlando con un suo amico. Johanna restò a guardarlo senza capire cosa Arja le stesse domandando.
"Terra chiama Johanna! Yuuuhuu!"
 




"Certo che potevi anche svegliarmi, eh!" - Arja si stava stropicciando gli occhi, ma era bastata l’aria fresca del corridoio a svegliarla completamente.

" Ti sei addormentata solo per 2 minuti."
" Però quando ho riaperto gli occhi mi stavano fissando tutti!"- borbottò lei.
Si stavano dirigendo verso la mensa e notarono Marianne che le stava chiamando sventolando il braccio, seduta al tavolo con Jack e Nikko e altri due ragazzi che lei non aveva mai visto.
Presero in fretta qualcosa da mangiare e andarono a sedersi.
" Così sei tu la figlia di Ville Valo!”
Johanna non aveva ben capito chi era stato a parlare di quei due quindi si era ritrovata ad annuire guardando la bottiglietta che stava aprendo. Ma presto avrebbe cominciato ad evitare la persona a cui apparteneva quella voce..
" Bene, allora in tuo onore ascolteremo Maximum Radio!"
Quella volta a parlare era stato Nikko, il più simpatico della comitiva. Aveva la pelle scura, era rasato, alto e magro e quando qualcuno era giù era pronto a farlo ridere con tutto ciò che gli passava per la testa. Era davvero uno spasso.
Tirò fuori dal nulla una radio di quelle che funzionano a batterie, lasciando tutti sorpresi.
" Non mi dire che te ne vai per la scuola con quella!"- esclamò Marianne scioccata.
" Ma certo che no! La tengo nell’armadietto!"- disse lui accendendola e sintonizzandola.
" State ascoltando Kevin e Bean.."
" Bean e Kevin.."
" In compagnia degli HIM!"
Per una volta Ville aveva evitato di fare nome e cognome e di dire la sua provenienza, oltre al fatto di ricordare a tutti in quale band cantasse. I ragazzi salutarono gli ascoltatori e poi si prepararono alle domande.
" Bene ragazzi come state?"- chiese uno degli uomini.
" Io mi sento come una fan girl davanti a Ville."- rispose Mige.
Tutti risero, compreso Ville.
" A proposito di fan girl..in questi giorni il caro Ville è sulla bocca di molti nel mondo del gossip. Dicci, chi è quella bella giovincella che ti porti appresso?" - chiese l’altro avvicinandosi.
Ville sogghignò perché naturalmente si aspettava quella domanda.
" Lei è mia.."- stava sorridendo, perché aveva la risposta pronta, ma si accorse che quella era la prima volta che lui stava mettendo nella stessa frase la parola ‘mia’ con ‘figlia’. 
Tutti avevano teso l’orecchio verso la radio e per un attimo avevano anche temuto che la radio si fosse bloccata ed erano pronti a maledire Nikko.
Johanna era agitata, forse aveva capito qual era il problema, solo che lei non poteva fare niente.
Ville era preso dal panico, non perché stesse facendo una figura da pesce lesso in diretta, no, ma semplicemente non riusciva a capire perché gli fosse tanto difficile da dire come cosa.
Figlia. Io sono suo padre. Lei è mia..mia…mia..Lei è mia..
" Figlia!"- esplose Linde allegro, come se fosse contento per aver dato lui la notizia.- " lei è sua figlia ed è anche una nostra grandissima fan."- disse Linde orgoglioso.
Ci fu un silenzio generale in studio. Anche chi ascoltava da fuori taceva.
Ville, che intanto si era ‘ripreso’, solamente alzò gli occhi, sguardo serio, e fissò gli uomini. I suoi occhi funzionavano con chiunque. I due uomini si ripresero dalla notizia appena appresa.
" Wohoo una Valo! Chissà quanti ragazzi attirerà!"- disse Kevin scherzando e attirando uno sguardo perplesso e infastidito e con tanto di sopracciglio alzato da Ville.
Si grattava la base del collo, notevolmente infastidito.
" E dicci un po’ Ville, dove la tenevi nascosta?"- chiese l’altro.
Ecco a questo non avevano pensato. Che storia dovevano raccontare?
Seppo dall’altra parte della stanza gli faceva cenno di no con la testa. No nel senso, " non fare cazzate".
" Sai com’è le principesse vengono fuori solo dopo un certo periodo.."- cominciò scherzoso sventolando la mano.
Cosa cavolo intendeva per “Sai com’è le principesse vengono fuori solo dopo un certo periodo..” ?
Johanna ci stava pensando mentre gli altri finivano di ascoltare l'intervista.
" Wow."- fu l’unico commento di Jack mentre gli altri se ne stavano zitti sorridendo.
Johanna annuì silenziosamente.
" Santo cielo! Io voglio conoscerli tutti!"- esclamò entusiasta Nikko.
Johanna rise.
" Ce li farai conoscere, vero?"- chiesero in coro tutti gli altri facendo gli occhi dolci. Johanna guardò i ragazzi e sempre ridendo pensò a quanto tutti quegli occhi da cerbiatto avrebbero aumentato di molto l'ego della diva.


 

 



 




















L'ANGOLO DI VALS:
Ed eccomi qui con un capitolo molto lungo! Mi scuso in anticipo, ma non sono riuscita a contenermi né tanto meno ho trovato la via giusta per dividerlo. Spero che vi sia piaciuto ugualmente che siate arrivate fin qui sane e salve xD
Il nome per il luogo dell'intervista è stato il primo che mi è venuto in mente xD
E voglio precisare che questa storia è abbastanza particolare e per certi versi strana. Strana perché anche gli altri componenti della band hanno un loro ruolo anche il più piccolo e che magari certe cose che dicono e fanno nella realtà può darsi che nemmeno lo direbbero e farebbero, ma come dico sempre io, la fantasia quando prende il sopravvento non vede in faccia a nessuno xD
L'ho voluto dire perché mi sentivo in dovere di farlo. Non lo so, magari a qualcuno non può piacere e quindi ho voluto dare le mie spiegazioni seppur spicce xD
Ad ogni modo, cosa ne pensate? Aspetto i vostri pareri.
Ah sì vi presento le new entry più importanti xD
Questa è Marianne :3

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Arja :)
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E per finire Mark u.u
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Che ve ne pare? Ville deve iniziarsi a preoccupare dell'ultimo?
Devo dirvi la mia? Boh..a me tutti sti ragazzi mi danno l'impressione di essere appena entrata in High School Musical xD

Ci vediamo alla prossima!!!
Vals







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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***












Dear Father


Capitolo 12

 

La tavola era pronta anche se la pentola era ancora sul fuoco. Come Hanna aveva cercato di dire prima di essere bloccata dall'indifferenza più totale che come sempre suscitavano le sue parole, Johanna tornò a casa con lei. Quando entrò nella torre, sperava con tutto il cuore che ci fosse anche Ville o se non era dentro, di trovarlo vicino casa intendo ad aprire la porta. Tutto sperava di trovare in quella casa pur di non stare sola con quella biondina magra quanto un grissino mangiucchiato. Le infastidiva e non poco l'atteggiamento di Hanna, il fatto che si sforzasse, senza successi, di essere carina con lei. Si vedeva che la sua era solamente finzione, un modo per farsi notare da Ville e far credere che a lei piacesse la compagnia di Johanna. Hanna avrebbe fatto di tutto per rendersi speciale agli occhi di Ville, anche se lei era ignara del fatto che al finnico tutto quello al momento non gli interessava. Lui da qualche giorno aveva un pensiero fisso nella testa e che vorticava velocemente, presentandosi perfino la notte e tormentandolo come non mai. Quel pensiero era Jackie, o meglio, il terrore che potesse metterlo K.O. e prendersi Johanna.
Johanna in quel momento era seduta in salotto e picchiettava nervosamente le mani  sulla pelle del divano in attesa del ritorno di Ville mentre Hanna era ai fornelli. Il telefono cominciò a suonare e lei rispose senza neanche vedere chi fosse.
" Quindi adesso sei a tutti gli effetti la figlia di Ville Valo?"- riconobbe la voce scherzosa di Duncan.
" Non proprio..ti ricordo che sono una Laine e penso che lo rimarrò per molto."- disse sorridendo malinconica.
" Allora..signorina Laine come va?"
" Bene, ho cominciato ad andare a scuola, ho conosciuto un po’ di gente e con Ville..cerchiamo di sopravvivere."
" Non può essere così grave!"
" Credimi, lo è. È più diva di quello che pensavo."
"Sai che ci manchi?" - aveva detto all’improvviso.
Johanna era tornata felice e stava sorridendo senza sapere cosa rispondere per non sparare cavolate.
" Con chi stai parlando? Mark?"

Ville era apparso dal nulla e adesso la stava guardando..con aria da maniaco. La osservava, penetrandola con i suoi begli occhi verdi, quelli che come Jesse aveva detto, riuscivano ad intrigare e a far cedere un mucchio di donne. Johanna, conoscendo il potere di tale occhi ed essendone quasi immune, alzò i suoi al cielo contrariata.
" Ville vattene!"- disse infastidita, sventolando una mano nella direzione di Ville come se fosse stato una mosca molesta. Ma ormai il fattaccio era stato compiuto perché la voce di Ville era giunta chiara e forte all'orecchio del ragazzino newyorkese.
" Chi è Mark?" - chiese Duncan confuso.
" Mark è..è uno che ho conosciuto a scuola!"- disse sorridendo dando le spalle al finnico che era ancora lì. Johanna accorgendosi della sua presenza si girò e ricambiò il suo sguardo con uno più insistente. Duncan, invece, non diceva niente.
La ragazza deglutì. Ville stava avendo la meglio in quel gioco di sguardi assassini.

" Ehm..ecco devo andare. Ti richiamo io."- disse mentre chiudeva la chiamata,  frettolosa di dire due paroline a Ville.
" Si può sapere cosa vuoi?"- gli chiese arrabbiata.
" Beh scusami se mi interesso di sapere con chi parli."- disse Ville offeso. Non gli piaceva che sua figlia non gli dicesse nulla. Beh non c'era da dire molto, ma ormai Ville era del parere che dovesse sapere anche la cosa più stupida, soprattutto ora che Johanna si era ammorbidita. Ma lui non metteva in conto l'alto rischio di essere spedito nuovamente al di là del muro abbattuto. Johanna lo fissò e mise il telefonino in tasca.
" Beh però tu con me non ci parli poi molto!"
"Come?"
" Ad esempio, oggi non mi hai risposto, hai lasciato che Hanna mi portasse a scuola e poi fai queste comparse mettendomi in difficoltà..Questo non mi sembra parlare!"
" A cosa non ti ho risposto?"
Johanna lo guardò, muta. Già si era dimenticato del discorso di quella mattina.
" Ti avevo chiesto che nome mi avresti dato.."- disse calma.- " niente lascia stare."
Sconfitta si allontanò a grandi passa da lui e da tutte le sue cazzate, quelle che diceva senza pensare. Corse di sopra e arrivata in camera si sbatté la porta alle spalle chiudendola a chiave.
Ville le andò immediatamente dietro decisamente confuso e preoccupato.
" Johanna apri!"-  disse bussando forte.- " spiegami quello che hai detto!"- si stava arrabbiando.

Poi si calmò e appoggiandosi con la schiena alla porta disse: " ok, fai come ti pare, tanto dovrai uscire."
Invece con lei non funzionava questa mossa. Non era mai funzionata e di certo non sarebbe funzionata con Ville. Lui aspettò dietro la porta battendo ritmicamente il piede sul pavimento e tenendo le braccia conserte, ma Johanna non sarebbe uscita.
" Esci e parla!"
Eccolo urlare contro la porta senza ottenere risultati soddisfacenti.
"Jo, apri! Cazzo, non fare la ragazzina!"-  disse disperato, posando una mano sulla porta. Stupido, l’aveva chiamata Jo. Sentì dei passi che si avvicinavano frettolosi e capì di essersi messo nei guai con la sua stessa lingua. Per un millisecondo pensò che invece lei si fosse pentita di quel gesto.
E invece..
Johanna era scesa dal letto appena sentì di essere stata chiamata Jo. Quando si avvicinò alla porta la aprì con un gesto secco, facendo spaventare il responsabile del suo fastidio.
" Primo: Ti. Ho. Detto. Di. Non. Chiamarmi. Jo."- disse avvicinandosi minacciosa.- " secondo: se tu non te ne fossi accorto..IO SONO UNA RAGAZZINA! Non sono una di quelle zoccole anoressiche che ti porti a letto, ok?"
Mai nessuna, forse neanche Anita, gli aveva parlato in questo modo. In quel momento capì di essere di fronte alla sfacciataggine del Ville adolescente che quando si arrabbiava non riusciva mai a tenere la lingua al suo posto,pendendosi degli errori commessi solo dopo aver parlato.  Nell'espressione dipinta sul volto di Johanna, era riuscito a vedere lui stesso.
" Cosa hai detto?"-  chiese semplicemente.
" Hai sentito bene."- disse Johanna furiosa.
" No, non importa questo..prima, quando eri ancora in salotto, cosa volevi dire?"
Johanna restò sorpresa da quella domanda. Si aspettava una sgridata per quello che gli aveva detto e invece lui voleva sapere perché insisteva su quel nome.
" Se non lo sai è grazie a te che mi chiamo Johanna."
 


 
" Ora ricordo! Una volta dissi a tua madre che se mai avessi avuto una figlia l'avrei chiamata così. Mi piaceva il suono quando lo pronunciavo e anche perché uno dei suoi significati è dono. Per me, che sono sempre stato uno scapestrato, sarebbe stato un dono avere un figlio, che probabilmente mi avrebbe fatto rinsavire dalle mille cretinate che ho sempre fatto. Ma sai, è passato molto tempo da quella volta e con il tempo è andato via anche quel Ville. Ma non avevo messo in conto te e il tuo ricordo. Se non fosse stato per il tuo racconto non lo avrei ricordato facilmente."
Erano seduti nel corridoio.
Johanna gli aveva raccontato tutto quello che Marika le aveva detto a proposito di quel nome, alternando la spiegazione con piccoli aneddoti che nemmeno lei pensava di ricordarsi e cose che nemmeno il finnico ricordava più.
Ville durante il racconto aveva camminato avanti e indietro, aveva battuto il pugno sul muro, si era seduto per poi rialzarsi e sedersi nuovamente, mentre la memoria cominciava ad aprire la finestra che si affacciava su quel mare che non vedeva da tempo. Ma si sa com'è il mare. A tempo debito restituisce tutti i ricordi, come i resti di conchiglie raccolte dalla spiaggia.
Johanna annuì, colpita da quelle parole, mentre lui appoggiava la testa al muro guardando in alto, forse per evitare che le lacrime scendessero.
Seguì un lungo silenzio che Johanna aveva paura di spezzare anche solo con il respiro.
" Scusa.."- si bloccò d’improvviso, ma tanto aveva parlato e quindi era il caso di andare avanti. Ville spostò lo sguardo su di lei. I suoi occhi erano lucidi e Johanna aveva quasi voglia di consolarlo.

" Io non volevo farti star male."
Chinò il capo e finì per sedersi sul pavimento, maledicendo la sua lingua. Ville sorrise e ricacciando le lacrime, prese posto accanto a lei.
" Non preoccuparti. Sto bene."
Johanna prese coraggio e lo guardò negli occhi. Anche se lui diceva di stare bene, lei percepiva il contrario. Lui stava male, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. In quegli occhi vedeva una distesa infinita di tristezza mista alla nostalgia. Non sapeva se tutto questo fosse  per Marika o per qualcos'altro, ma ciò che sapeva di preciso era che iniziava a star male anche lei.
Nonostante quei pensieri, Johanna annuì e poi disse: " posso farti una domanda?"
" Certo."
" Perché non sei riuscito a dire quella cosa oggi?"
Era inutile chiedere quale cosa. Sapevano entrambi di cosa stava parlando e Ville era più che sicuro che la ragazza lo avrebbe chiesto. L'uomo guardò avanti a sé e disse: " mi sono accorto che era la prima volta.."
" Non mi dire che hai avuto paura. Insomma, spari tante di quelle cavolate davanti a migliaia di persone.."
" No. Stavolta era diverso. Era come se fossi sbloccato. La pensavo, quella parola era nella mia mente, ero sicuro di quello che avrei detto, sentivo di essere pronto, ma poi..non ci sono riuscito. Mi sono reso conto che sarebbe stata la prima volta per il mondo intero e..mi sono sentito..spaventato.."- disse Ville afflitto.
" Provaci. Non è difficile."
" Beh, ma neanche tu l’hai mai detto."- fece notare Ville.
" Che tu sei mio figlio?"- chiese Johanna confusa.
" No, sai cosa intendo."- disse Ville con un sorrisetto furbo.
" C’è sempre una prima volta, no?"- chiese Johanna sorridendo incoraggiante.
" Fai prima tu!"- disse Ville.
" Non è giusto! Tira una monetina!"- disse lei.
" E questa ti sembra giustizia?"

" Sempre meglio del tuo ‘Fai prima tu!’"- disse facendogli il verso, imitando la sua voce profonda.
Ville la fissò quasi minaccioso e alzandosi tirò fuori una monetina.

 "Testa o croce?"- domandò.
" Croce..no. Testa. No no. Croce, croce."
" Come vuoi."

Ville lanciò in aria la sua monetina americana che portava sempre con sé, quella che aveva trovato una volta in metropolitana a Los Angeles, abbandonata a se stessa e che poi era diventata il suo portafortuna, e..
Avevate presente il momento in cui si lancia un cerchio o qualsiasi oggetto che possa rotolare, e questo sembra non fermarsi più?
All'inizio si aspetta perché c'è sempre una piccola parte di voi che continua a ripetere " tranquillo, ora si ferma, si ferma, non può rotolare per sempre",  e invece si allontana e allora inizia a farsi spazio il panico e parte la vostra rincorsa verso l'oggetto.
Tin!
Come avrete capito, dopo che Ville aveva tirato la monetina, che purtroppo non riuscì ad afferrare, questa aveva iniziato a rotolare lungo il corridoio.
Ville e Johanna, appena capirono che potevano fare in modo che la moneta si fermasse a vantaggio di ciascuno, le erano andati dietro.
Si muovevano cauti a passo della moneta e nel frattempo si lanciavano sguardi di sfida, aspettando un momento di distrazione da parte dell’altro per fermare la moneta.
Si fermarono quando l’oggetto cominciò a ruotare su se stesso catturando tutta la loro attenzione.
Tin!
Thomas Jefferson.  Johanna se la sarebbe ricordata per sempre la testa di Thomas Jefferson, una moneta liscia che valeva solo 0,05$.
0,05$, il prezzo della vittoria di Ville, nonché il prezzo della sua sconfitta.
Ville stava sorridendo soddisfatto con l'espressione di un bambino dispettoso dipinta sul volto.

" Sapevo che la mia monetina non mi avrebbe deluso. Brava la mia monetina!"- disse sfottendola.
" Fottiti Ville."-  bofonchiò.
" Eh no, non era quello che volevo sentire. Guarda che ti faccio restare a digiuno."- disse divertito a braccia conserte. La ragazza stava per aprire bocca, quando la voce di Hanna rovinò il momento.
" Su andiamo a mangiare."- disse allegramente il finnico precedendola per le scale.
Johanna sbuffò e di malavoglia lo seguì.

Ville aveva vinto e lei non poteva far nulla per cambiare le sorti a lei toccate. 


 
Erano arrivati al porto. Era una giornata tranquilla e il sole giocava a nascondino con le nuvole bianche che erano di passaggio. Johanna aveva visto tale posto solo nelle cartoline e su internet e si rese conto che nessuna immagine rendeva giustizia a tale bellezza. L'acqua del mare era di un blu intenso. Le veniva voglia di tuffarsi, ma poi si rese conto di non trovarsi a Miami e che si sarebbe congelata in pochissimi secondi. Era stata zitta per tutto il tempo, guardandosi intorno, scoprendo che non c'era gente. Non aveva idea di cosa volesse fare Ville, anzi iniziava ad aver paura del tizio che le stava accanto.
Ville dal canto suo, stava guardando il mare e per un attimo chiuse gli occhi.
" Eccoci arrivati."- disse infine spalancando le braccia.
" Certo che hai bisogno proprio di esagerare! Non ti bastava il salotto come scena?"- chiese lei scioccata.
" Non penso che sia il caso di urlare in casa."- disse accomodandosi sulla banchina lì vicino.
" Come scusa? Urlare?"- chiese deglutendo e guardando il panorama che aveva davanti.
" Sì, urlare."- disse Ville sorridendo.
" Ma che..? No, io non lo faccio."
" Non c’è nessuno!"
" Spiegami che senso ha! Cosa significa?"

" Urleremo la nostra parentela. Dai, dopo lo faccio anch'io."
" Giuri?"
Ville annuì.
Johanna si avvicinò lentamente all'acqua, guardando la sua profondità. Inspirò a fondo e si voltò a guardare Ville cercando un po’ di coraggio.
Ville le sorrise incoraggiante.
Ripassò mentalmente quello che doveva dire.
Ville. E’. Mio. Padre.
Non sembrava poi così tanto difficile.
Così chiuse gli occhi e urlò al mondo quello che sentiva rimbombare in testa.

" VILLE E’ MIO PADREEEE!"
La voce era uscita più forte di quanto dovesse, ma che problema c’era? Non c’era nessuno che potesse sentirli.
Si voltò con un sorriso raggiante verso di Ville che la stava guardando sorpreso, ma felice. Era gioia quella che leggeva nei suoi occhi? Forse finalmente aveva realizzato che lei aveva scelto di dargli una chance?
" Tocca a te!"- disse indicandolo con il braccio.
Ville afferrò il braccio e si tirò su, facendo vacillare entrambi.
Si tenne il mignolo di lei nella mano, un piccolo gesto che gli dava tanta sicurezza.
" SONO IL PADRE DI JOHANNA!"- disse ironico.
La ragazza gli tirò un pugno sul braccio.

" Così non vale!"- disse contrariata.
"Ok ok!"
Ville sorrise alla sua espressione imbronciata e immagazzinando tutta l'aria nei polmoni urlò: " JOHANNA E’ MIAAAA...FIGLIAAAAAA!"
La ragazza sorrise soddisfatta, commuovendosi. Finalmente erano riusciti ad ammetterlo a se stessi e al mondo.

Quando tornarono a casa si sentirono esausti. Erano rimasti un altro po’ a urlare tutte le cavolate che li passavano per la mente e adesso avevano una gran sete.
" Allora stasera cucini tu."- disse Ville. Johanna lo guardò confusa ma poi si ricordò della promessa fatta.

" Ah già."- disse sofferente. Non aveva proprio voglia in quel momento di mettersi ai fornelli.
" Se vuoi posso sempre farlo io."
" NO! Per carità!"- esclamò Johanna agitata.- " faccio tutto io. Tu..tu..tu vai a fare qualcos'altro."
" Va bene. Ma vedi di non bruciare tutto altrimenti faccio io."- le disse Ville ridacchiando prima di andare via. Johanna scosse la testa divertita. Sembrava che andasse tutto bene a casa Valo. Andava tutto fin troppo bene per i gusti del destino che si divertiva alle loro spalle..
 


 
Il mattino dopo, toccava a Ville accompagnare Johanna a scuola, niente Jesse e niente Hanna. Ce l’avrebbe fatta senza farla arrivare in ritardo e senza attirare tutta l’attenzione su di loro?
" Se li pettini così ti si gonfiano!"

La diva stava scrutando Johanna che era rientrata in bagno per mettere apposto i suoi capelli.
" Sai com’è non ci arrivo a pettinarli dietro."- disse scocciata.
Ville si era avvicinato con fare professionale e dopo averle preso di mano la spazzola, aveva cominciato a pettinarli. Johanna iniziò a mordersi le labbra per non lasciarsi andare ad un sorriso intenerito. Forse lui neanche l’avrebbe vista, preso com'era dai capelli, ma non voleva dargli nessuna soddisfazione.
Che poi, lui era l’unico che era riuscito ad avvicinarsi a lei con una spazzola senza che lo sopprimesse.
Neanche a Marika, lo permetteva. Lei, le faceva male, nel senso che tirava i nodi senza preoccuparsi delle sue lamentele. Questo solo fino agli 8 anni.
Se fosse potuta tornare indietro glielo avrebbe permesso, così avrebbe potuto avere più momenti da ricordare..
 
Si stava pettinando i capelli davanti allo specchio grande, mentre la madre le sistemava gli abiti e la guardava come se in quel gesto ci fosse di più.
Magari Marika, guardandola rivedeva qualcun altro. Questa era la sensazione che dava ogni volta a Johanna, solo che non era mai riuscita a capire che le potesse ricordare Ville..
 
Gli occhi di Johanna che per un attimo si erano persi nei ricordi, si spalancarono di colpo. Un po’ perché Ville aveva trovato un nodo che non aveva intenzione di sciogliersi e poi perché..sua mamma pensava a lui, ogni santo momento della sua vita. Lo rivedeva in ogni piccolo gesto.
" Ti ho fatto male?"- chiese Ville sogghignando.
Johanna annuì silenziosamente e tornò a sistemarsi i ciuffi davanti.
Ville finì e lasciò la spazzola sul comodino guardando i suoi capelli, come stesse ammirando un’opera appena terminata e si sentisse fiero.
Teneva le mani sui fianchi e un sorriso compiaciuto regnava sul suo volto.
Guardò lo specchio  per incrociare lo sguardo della figlia e per la prima volta si vide riflesso accanto a lei e quasi si meravigliò.
Glielo avevano detto che si assomigliavano, lo sapeva anche lui, l’aveva visto nelle foto e aveva pure notato i tratti uguali, ma vedersi così accanto a lei gli faceva strano.
La ragazza era tanto presa a non accecarsi con la matita che non si accorse dello sguardo di Ville.
La stava squadrando perdendosi nei suoi occhi azzurri, guardando i tratti del naso che era praticamente la fotocopia del suo, addirittura era venuto meglio e poi la forma delle labbra come quelle di Jesse.
Sua figlia aveva le labbra simili a quel coglione bipede di suo fratello che si era eletto in maniera automatica, saggio e difensore dei poveri.

Come dargli torto?
Scosse la testa e notò che Johanna lo stava guardando confusa, dando le spalle allo specchio. Si fissarono per lunghi attimi.
" Grazie.."-  ammise la ragazza.
Ville sorrise ancor più soddisfatto. Johanna continuava a guardarlo. Perché non andava via? Si aspettava pure il bacino sulla guancia?
Decise che se non fosse uscito lui, l’avrebbe fatto lei, oltretutto stava anche facendo tardi.
 


Come volevasi dimostrare, arrivò tardi a scuola.
Il che in un certo senso era anche un bene, dato che se avessero visto Ville si sarebbe scatenato il putiferio.
Però di certo non si aspettava che a mensa tutti le persone le girassero attorno come se avesse addosso del miele.
Anche se a dire la verità, si aspettava che Nicole la cercasse ogni secondo urlando il suo nome per tutto il corridoio e attirando l’attenzione di tutta la scuola. Ma grazie a Dio esisteva Arja e il suo corso di sopravvivenza.
Solo che Arja non aveva potuto far niente contro la folla di curiosi che si era appollaiata davanti alla scuola all’uscita come se qualcuno avesse annunciato il lieto evento su Facebook. Beh, non c’era neanche bisogno di perdere tempo a cercare di capire chi potesse essere stato.

Le galline viventi servivano solo a questo, per il resto erano utili quanto una forchetta nel brodo.
Ancora non riusciva a capire come fosse uscita viva.
Si guardò intorno e capì che nella fretta era salita in una macchina e che ora la riconosceva come quella di Ville e beh quello che stava guidando era proprio suo padre.
" Tu!"- lo indicò, arrabbiata.-" Ti rendi conto che potevano scannarmi?"
" Quanto sei tragica! Sei ancora viva, no?"- chiese come se fosse un fatto irrilevante.
" E senti, come la mettiamo se non fossi riuscita a entrare qui in macchina? O se, peggio ancora, tu ti fossi presentato con un minuto di ritardo?"- chiese spaventata al solo pensiero.
Ville non rispose e anche lei decise di fare il gioco del silenzio.
Durò poco, per il semplice motivo che Ville si era ricordato di una cosa importante.
" Ecco, è arrivato questo agli studi. È per te!"- disse indicando un pacco nei sedili posteriore. La ragazza si voltò e sorrise, sicura che fosse stato mandato da Jackie.
Impaziente lo prese davanti, non senza faticare, e lo aprì.
Da una parte c’era una scatola, che occupava metà dell’interno e dall’altra alcune cose che lei aveva chiesto di mandarle.
Aprì la scatola, sicura che contenesse le foto che aveva chiesto.
Sorrise compiaciuta guardando la prima.
" Cos’è?"- chiese Ville, o meglio la sua curiosità.
" Pensa a guidare. Te lo dico dopo."- rispose Johanna e richiuse la scatola.
Ville la guardò con un sopracciglio alzato e si rimise a guidare, accelerando un po’.
Parcheggiò la macchina e senza neanche levare le chiavi o levarsi la cintura, si girò, implorante, ma lei era già scesa e si stava dirigendo verso la porta.
Sbuffò e scese andando ad aprire.
"Posso vedere?"- chiese spazientito.
La ragazza andò a sedersi sul divano e con calma prese fuori la scatola. Non la aprì e la diede direttamente a Ville.
" E’ meglio che le veda prima tu.."

Ville prese la scatola in mano e sedendosi levò il coperchio, rimanendo sorpreso.
Se lo ricordava bene quel giorno..
 
" Ville, per favore!"
Marika stava cercando di fare una foto decente, ma lui puntualmente la infastidiva avvicinandosi. La trovava così divertente quando perdeva le staffe a causa sua.
Era anche arrivata sul punto di picchiarlo con la macchina fotografica, ma poi si era fermata. " Non vorrei romperla, con la testa dura che ti ritrovi."

Aveva sbuffato e aveva riprovato. Allora Ville si era di nuovo avvicinato, spostandole i capelli da dietro il collo. L’aveva sentita deglutire.
" Cosa vuoi?"-  Aveva chiesto cercando di non cedere.
" Sai che qui ci sono soggetti più interessanti di antichi palazzi di cui non importa a nessuno?"- chiese Ville sensuale.
" Ti riferisci ai piccioni?"- chiese lei ironica.
Non sentendolo più, Marika si voltò pensando che si fosse offeso.
“Veramente io mi riferivo a te..”

 
Dopo ore era seduto sul letto rigirandosi tra le mani quelle foto. I suoi occhi si erano incollate su di esse e non riusciva a smettere nemmeno per fumarsi la sua solita sigaretta.
Aveva paura di rovinarle, però non riusciva a chiuderle in un cassetto e cercare di dormire.
Come se dopo che erano passati sedici anni senza vederla, guardare quelle foto potesse cambiare qualcosa o forse sperava che da una di quelle foto, Marika si materializzasse presentandosi davanti a lui.
Questo non sarebbe mai accaduto, ma gli restava ancora l’immaginazione.
Ritornò a quando quella mattina stava pettinando Johanna e provò ad immaginare Marika che pettinava la loro figlia e lui che dalla porta osservava tutto.
Quelle cose non sarebbero mai successe.

Sentiva un magone enorme alla gola e gli occhi bruciavano. Forse era giunto il momento di sfogarsi liberamente e lasciare che Marika in qualche modo venisse liberata per sempre dalla gabbia in cui lui la teneva prigioniera.
Così Ville si abbandonò alle lacrime incapace di arrestarle, stringendo a sé la foto che aveva ancora in mano che ritraeva solo lei, la sua prima e unica vera Musa.
 


" Ville?"
Dall’altra parte della porta sentiva la voce attutita di Johanna che lo chiamava.
Era già mattina e lui non era ancora vestito per portarla a scuola.
Ville scese dal letto e aprì la porta.

" Scusa arrivo subito, non faremo tardi."- disse pettinando con le mani i capelli che avevano assunto una forma insolita.
" La accompagno io, tranquillo!"- disse Jesse sorridendo.
" E tu che ci fai qui?"- chiese Ville.
" Ieri non l’abbiamo vista e ci chiedevamo tutti se era ancora qui o se fosse scappata da te!"- disse ridendo.
Anche Johanna sorrise visto che era ovviamente una battuta.
" Non dovevi disturbarti!"- disse infastidito e arrabbiato.
Johanna e Jesse si guardarono sconvolti.
A quanto pareva la diva si era svegliata con la luna storta..o forse era più corretto dire con i capelli storti.
 


Quando Ville andò a prenderla a scuola sembrava tornato il solito. Johanna anche se era curiosa di conoscere il motivo del suo comportamento durante la mattina, evitò di parlare per paura di far emergere di nuovo il malumore dell'uomo.  
Appena tornò a casa si mise a fare i compiti mentre Ville, trovata la pace e la tranquillità, si sedette comodamente sul divano con un foglio, la penna e la sua immancabile Musa.
Nel frattempo Johanna era arrivata a fare italiano e s’imbatté in una parola di cui non ricordava la pronuncia. Il giorno dopo gliel’avrebbero sicuramente chiesta e lei.

Non sapeva come fare e così decise di rivolgersi a Ville. Era proprio disperata per chiedere aiuto a lui, ma in casa non c'era nessun altro che potesse aiutarla.
" Ville?"-  chiese timorosa entrando in salotto. Aveva paura di disturbarlo e di ritrovarsi fuori casa per averlo distratto.
" Mmh?"
" Senti, tu ..per caso, sapresti dirmi come si pronuncia questa parola?"- chiese dicendo tutto d’un fiato l’ultima parte, sperando che lui non capendo la liquidasse.
" Quale?"

E invece l'aveva ascoltata. Ville mise da parte il foglio mentre la ragazza si avvicinava a lui indicando il suo libro.
" Lavatres..?"- e questa secondo lo scienziato era la pronuncia esatta di " lavatrici".
" Dici? Ma la i si pronuncia i."- disse la ragazza un po' confusa.
"Lavatrici..?"
" Forse è meglio se chiedo a Mark.."- disse lei scuotendo la testa.
"Perché proprio a Mark?"- chiese Ville agitandosi.
" Beh, anche lui fa italiano.."- rispose Johanna guardando il foglio che Ville su cui Ville stava scrivendo. Da fan qual era la curiosità era a dir poco eccessiva in quel momento.
" Ma non ci sono altre ragazze."- disse Ville sottolineando il femminile.-" che ne so! Arja?"
" Arja non fa italiano."
" Come si chiamava..Nicole?"
Johanna scoppiò a ridere. Nicole che imparava qualcosa?
" Marianne?"- chiese Ville giocandosi l’ultimo nome femminile che ricordava.- " ma perché perdere tempo? Chiedi direttamente a lei."- e sembrava un obbligo nonostante non sapesse se Marianne effettivamente seguiva lo stesso corso di sua figlia.
" Lei fa il corso avanzato, mentre Mark è in classe con me e quindi abbiamo gli stessi compiti e poi..ha la nonna italiana e quindi lo sa bene anche lui l’italiano."- disse mentre usciva dalla cucina per andare a chiamare.
" E allora chiedi alla nonna, no?"- disse Ville alzandosi, quasi a volerla seguire. Johanna si bloccò e si voltò per vedere se stava scherzando. Ville invece la stava guardando serio.
" Sai che vive in Italia?"- chiese sconvolta dalla serietà dell’uomo.
" L’ho sempre detto che l’Italia è un bel paese!"- commentò Ville sorridendo. Johanna scosse la testa e uscì dalla stanza chiedendosi perché suo padre a volte fosse così scemo.
Con il passare dei giorni era riuscita a non provare imbarazzo quando Mark le rivolgeva la parola. Ma non aveva calcolato la sua voce al telefono e il fatto che potesse imbarazzarsi in quel modo. Così si ritrovò ad avere le guance rosse mentre rideva alle sue battute e a sorridere quando le aveva chiesto di partecipare a una festa sabato sera.
"Sabato sera?"

 Ville, che non aveva digerito l'idea di Johanna, la stava origliando da dietro il muro e non si sentiva certo in colpa!
" Ecco..si forse è un po’ troppo presto, però vorrei davvero!"
" Non so se Ville sarà d’accordo però."- disse quasi intimorita.

Ville iniziò a preoccuparsi. Di cosa stavano parlando?
" Beh, effettivamente penso non avrà molto da obiettare! Forse dirà solo di stare attenta.."-  disse quasi ridendo.
Ville aveva capito bene? O era il solito coglione?
Senza accorgersi ora era uscito dal suo nascondiglio e stava aspettando che lei si girasse per farle la predica.
" Ok, poi ti rifaccio sapere! Grazie!"
Si voltò e quello che vide non le piacque. Ville la stava guardando serio e severo con le braccia incrociate sul petto.
" Tu. Sabato. Non. Vai. Da. Nessuna. Parte."- disse puntandole un dito contro, scandendo le parole quasi come una minaccia.
" Cosa? Dai, Ville!"
" Non lascerò che mia figlia si svergini a neanche 17 anni!"- aveva detto serio.
" Aspetta..COSA?"- Johanna lo guardò scioccata.
" E’ inutile, tu non esci sabato."- continuò Ville duro.
" Ma ti stai sentendo? Non ho intenzione di sverginarmi con uno che  conosco da nemmeno una settimana!"- disse Johanna quasi urlando.
"Ah no?"

Ville non stava capendo.
" NO! Vado solo a una festa!"- disse Johanna indignata.
"Oh, capisco.."

Era evidente che Ville non aveva saputo origliare bene. E ora iniziava a vergognarsi per quello che aveva detto.
" COME HAI POTUTO PENSARE UNA COSA DEL GENERE?"- urlò Johanna imbarazzata al massimo.
" E’ colpa tua! Non ti eri spiegata bene al telefono."- tentò di giustificarsi il finnico.
" Scusa, ma chi ti ha detto di ascoltare?"

" Si da il caso che io posso! Sono a casa mia e tu sei mia figlia! Devo monitorare la situazione."
" Tu non puoi ascoltare le mie telefonate!"
" E invece sì, specie se si tratta di Mark!"
" Ma che ti ha fatto?"

" Il fatto che ti giri intorno mi da fastidio."
" Buon Dio! Ma non mi gira intorno!"
" Questo lo dici tu! Tu non conosci i ragazzini."
" Scommetto che invece tu li conosci, uomo di mondo."

E avevano continuato così per un bel po’ di tempo.

 

 




  

 












L'ANGOLO DI VALS u.u:
Ed eccoci di nuovo qui muahahahahahahahahahahhahahah u.u
Finalmente avete capito qualcosa di più sul nome della cara Jo ( sì, noi possiamo chiamarla così u.u) e Marika è stata presente molto di più rispetto agli altri capitoli. Spero che vi sia piaciuto il tutto come la parte in cui si sono messi ad urlare come due cretini :3 :)
Madonna Ville quanto sei pensante! Rilassati, no?
Mi sa tanto che Mark gli darà filo da torcere..e voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto il capitolo?
Grazie come sempre alla donzelle che recensiscono e anche a tutti i fantasmini che passano da queste parti..tanto love anche a voi :)
Bene, ci vediamo alla prossima  <3
Vals




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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***












Dear Father

  

Capitolo 13

 

Il tempo era passato velocemente e, purtroppo per Ville, sabato era arrivato. Per i suoi gusti era arrivato fin troppo presto, ma non poteva di certo rallentare la settimana visto che non era ancora il padrone del tempo.
Erano appena arrivati di fronte al locale in cui si sarebbe svolta la festa e Johanna lo stava fissando seduta nella macchina ormai ferma.
" Hai intenzione di entrare e assicurarti che non sia uno strip club?"- chiese sarcastica. A Ville per un momento gli vennero in mente le scene del vecchio video di " Wicked Game", girato secoli prima e un senso di angoscia gli penetrò nel petto. Si guardò intorno. Conosceva bene il posto e sapeva che non era uno strip club e sicuramente in una notte non poteva essere cambiato. Studiò la strada e l'entrata e poi guardando sua figlia sempre con fare professionale disse: " no, mi fido."
La ragazza scosse la testa e scesa dalla macchina si diresse verso le amiche che aspettavano fuori.
Arja e Marianne la accolsero con un abbraccio ciascuno e poi entrarono dentro.
" In macchina c'era Ville?"- chiese euforica Arja.
" Sì, era lui."- rispose Johanna sorridendo.
" Accidenti!"- esclamò Marianne.
" Se me lo trovo davanti potrei morire, sul serio."- disse Arja mentre tutte e tre si inoltravano nel locale.- " quindi vedi di non far capitare una cosa del genere. Avresti un'amica sulla coscienza."
Tutte e tre scoppiarono a ridere mentre raggiungevano il resto della comitiva. Johanna si bloccò per un secondo notando che c'era anche Mark e cercò con tutta se stessa di non agitarsi. Lui la salutò con la mano rivolgendole un gran sorriso. Lei rispose al saluto alzando la mano e sedendosi il più lontano possibile da lui, per evitare di trasformarsi in una imbranata colossale.
 
 

Ville era ancora lì, indeciso se andare via o restare. Non era abituato a questo e si sentiva davvero in ansia. Probabilmente quello che premeva nel suo petto era l'istinto paterno e per come spingeva di sicuro non sarebbe riuscito a stare calmo. Vide due tizi piuttosto grossi entrare nel locale e a quel punto decise che sarebbe entrato anche lui, senza naturalmente farsi vedere da Johanna, né attirare l'attenzione di altra gente. L'aveva sempre fatto quando voleva evitare di stare con gli altri, era sempre riuscito a passare inosservato quando voleva stare solo, specie nel momento più buio della sua vita quando i locali erano diventati i suoi amici. Scosse la testa rabbrividendo a quel ricordo e sistemandosi meglio il berretto sul capo entrò velocemente dentro approfittando del deserto che si era creato all'ingresso.

Dentro le luci creavano la giusta atmosfera per il ballo e la confusione, ma lui riuscì lo stesso a muoversi in quella giungla e raggiungere il piano bar. Fu fortunato perché il barista non era una donna ma un uomo, più che altro un ragazzino che su per giù doveva avere qualche anno in più di Johanna. Se fosse stata una donna si sarebbe trovato in difficoltà visto e considerato che l'ultima volta aveva ricevuto proposte indecenti ed esplicite. Il ragazzo per un momento sembrò non riconoscerlo.
" Un bicchiere d'acqua."- ordinò Ville senza guardarlo, cercando di vedere tra la folla sua figlia. Il ragazzo, che quella sera si era abituato alle richieste di super alcolici, piuttosto confuso, versò dell'acqua in un bicchiere e lo mise di fronte al cliente, il quale appena si voltò incrociò il suo sguardo. Solo allora il ragazzo capì di essere di fronte a Ville Valo, ma prima che potesse urlare il suo nome, Ville lo precedette sussurrandogli: " pronuncia il mio nome e ti ritroverai senza apparato riproduttore."
Il ragazzo annuì spaventato e subito si allontanò dalla sua portata. Ville prese il bicchiere e fece un sorso tornando poi a guardare la folla.
Riuscì a scorgere Johanna. Era in un angolo della pista da ballo. Un ragazzino gli si era avvicinato. Doveva essere Mark e subito la parte guerriera di Ville iniziò a farsi spazio, ma Johanna, con sua enorme sorpresa, non sembrava volergli dare molta attenzione. Si liberò di lui in pochissime mosse che fecero sorridere il finnico. Era identica a lui anche in quello.
Johanna andò a sedersi al tavolino aspettando che i ragazzi tornassero quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.

" Sei stanca?"
Marianne le si sedette accanto guardando nella sua stessa direzione.
" Non pensarci. Mark è il solito stupido."
Mark, lo stesso ragazzo che le aveva chiesto di andare alla festa si era dimostrato per quello che era anche se lei si era ostinata a non crederci. Era un vero e proprio buffone, con qualche accenno di divezza repressa. E lei si sentì delusa da quell'atteggiamento nonostante Arja l'avesse avvertita.
Stupidi ragazzini. Forse Ville aveva ragione quando le aveva detto che la maggior parte dei ragazzini della sua età erano decisamente stupidi e presi dall'intento di dar sfogo al proprio egoismo.
" E' anche vero che c'è qualcuno che riesce a comportarsi meglio. Non tutti però sono così, quindi stai attenta."
Era meravigliata dal fatto che ricordasse quelle parole e che a dirle fosse stato proprio Ville, l'uomo più egocentrico e bastardo dell'universo. Johanna annuì e sforzandosi di sorridere disse: " vieni con me al bar? Voglio prendere una Coca cola."
Marianne annuì e insieme si alzarono. Ville appena vide le ragazze avvicinarsi si nascose meglio il viso e si rigirò sulla sedia tornando a guardare il bancone, le bottiglie dietro il barista e il barista stesso che naturalmente si teneva a debita distanza.
" La gente è stupida."- la sentì dire mentre sbuffando si sedeva proprio accanto a lui, del tutto ignara di essersi seduta vicino a suo padre.
" Soprattutto quel tipo di gente. Ma cosa ti puoi aspettare da gente presuntuosa?"- disse Marianne.
" Per quale motivo mi chiede di essere a questa festa se poi si comporta da perfetto idiota?"
" Sei nuova e probabilmente aveva deciso di prenderti in giro."- ipotizzò Marianne pensierosa.
" Lo credo anch'io. Bene da ora andasse a prendere in giro qualcun'altra. Ha sbagliato proprio persona."- disse decisa.
Ville cercò di reprimere la felicità che aveva provato sentendo quelle parole. Ciò significava che non era più necessario premeditare qualche omicidio. Allo stesso tempo però provò un forte senso di imbarazzo. Forse era meglio allontanarsi, in fondo non era poi così carino ascoltare discorsi fra ragazze. L'ultima volta che aveva ascoltato una conversazione tutta al femminile si era beccato un bel ceffone e di certo non aveva intenzione di ascoltare ciò che avrebbe detto Johanna, soprattutto perché era sua figlia.
Senza farsi notare si allontanò decidendo di tornare in macchina e fare un giro per la città per conto suo, almeno fino a quando non arrivava l'orario giusto per tornare a prendere Johanna.
 
 

" Oh.mio.dio."- sussurrò Arja appena vide Ville uscire dalla macchina.- " okay Arja, sta calma. Fai finta che sia una persona qualunque."

" Fai finta che sia il tuo vicino giapponese."- disse Marianne andandole in aiuto e deglutendo agitata.
" Ecco! Arja fai finta che sia Masayuki."- disse concentrandosi e cercando di non guardare Ville che ormai era quasi vicino. Johanna cercò di non ridere, ma era davvero difficile, soprattutto dopo aver visto le facce scioccate delle sue amiche.
" Fate finta che sia il primo barbone che vedete per strada."- disse scoppiando alla fine a ridere.
" Visto? Sono stato puntuale."- disse lui raggiungendole e guardando Johanna. Poi guardò Arja e Marianne ed esclamò: " ciao ragazze!"
" Ci..ci..ciao."- dissero entrambe piuttosto imbarazzate.
" Era ora!"- esclamò serena Johanna.
" Ti sei divertita?"- chiese scompigliandole i capelli e come al solito beccandosi la sua occhiataccia.
" Abbastanza."
Ville sorrise sapendo bene cosa era successo.
" E voi? Resterete qui sole?"- chiese ad un tratto rivolgendosi alle altre due.
" Ehm.."
" Su salite in macchina. Vi riaccompagno io."- disse risoluto, ignaro di aver procurato un infarto alla povera Arja e un ictus a Marianne.
 
 


Erano le due passate e Ville era ancora in giro per casa. Non riusciva a prendere sonno come al solito e dopo aver sistemato il disordine creato dai fogli, decise di tornare in camera. Johanna probabilmente stava dormendo, ma si sorprese nel trovare la sua porta semiaperta.

L'aprì e si affacciò per assicurarsi che andasse tutto bene.
Johanna era agitata.
Diceva parole scollegate tra loro, si muoveva nervosa, scostando le lenzuola.
Stava facendo un brutto sogno.
Le parole uscivano soffocate.
Poi una parola.

“Mamma..”
Era sull’orlo della lacrime, mentre stringeva a sé il cuscino e in un pugno l’orlo del lenzuolo.
Ville si avvicinò. Johanna stava cominciando a dimenarsi. Si sedette sul letto e cominciò a tenerla ferma cercando di svegliarla.

" Johanna, svegliati!"
Le spostò i capelli dal viso.
" Dai, Jo svegliati."
Non doveva chiamarla Jo.
" Mamma..perché?"- continuava, mentre delle lacrime le uscivano dagli occhi socchiusi.
" Johanna, sono Ville. Ti prego, svegliati!"- continuava a chiamarla mentre le accarezzava la fronte e le teneva una mano.
Silenzio. Forse stava capendo che era un incubo.
Ogni tanto strizzava gli occhi, pieni di lacrime.
Poi li aprì e li puntò su Ville che la stava guardando preoccupato.
Si tirò leggermente su con i gomiti mentre continuava a pensare all’incubo.
Rantolava nel buio, mentre Ville cercava di farla calmare.
Si aggrappò alla maglia di lui guardandolo con gli occhi lucidi dai quali ogni tanto scendeva qualche lacrima.
Ville si distese accanto a lei, aggrovigliata nella lenzuola e la tenne stretta, mentre cercava di calmarsi e trattenere i singhiozzi.
" Va tutto bene adesso."- le ripeteva, dandole un bacio sulla fronte.
I suoi singhiozzi erano intrisi di dolore e uscivano strozzati dalle labbra, mentre Ville le accarezzava i capelli con dolcezza. Aveva provato a trattenersi, ma alla fine aveva ceduto notando che le cose non erano migliorate. Aveva chiuso gli occhi come se almeno le lacrime si potessero fermare.
" Johanna.."- la chiamò Ville mentre la sentiva tremare leggermente.-" va tutto bene?"- chiese e stavolta era davvero una domanda. Non era l’affermazione che continuava a ripetere per convincerla che fosse così. La sentì mentre tratteneva il respiro e continuava a tremare.
" Adesso sì.."- sussurrò.
Piano piano il respiro di Johanna si fece sempre più lento contro il suo petto.
Si era addormentata, con le braccia conserte e quelle di Ville che la stringevano. Non sarebbe andato via, perché sapeva che con le sue braccia riuscivano a farla sentire al sicuro. Lui però non riusciva a dormire. Aveva paura che Johanna si sarebbe rimessa a fare brutti sogni e poi aveva anche il timore di svegliarla e per quest’ultima ragione non riusciva a mettersi comodo.
Stava male messo così. Aveva appoggiato male la testa e come minimo si sarebbe risvegliato con il torcicollo. La guardò mentre dormiva. Gli ricordava tanto Marika: stessa espressione angelica sul volto e ogni tanto, proprio come la madre, arricciava il naso. Il viso era ancora bagnato dalle lacrime e gli occhi erano leggermente gonfi. I capelli, arruffati, si erano appiccicati alle guancie e il ciuffo sulla fronte, leggermente imperlata dal sudore. Ville arrivò alla conclusione che dovevano darle fastidio così  con una mano senza fare troppi movimenti bruschi, cominciò a spostarle tutte le ciocche dal volto. Quando finì di sistemare Johanna, Ville cominciò a guardarsi intorno, analizzando qualsiasi oggetto fosse in quella stanza.
Prima era una semplice stanza dalle tonalità tetre, e adesso sembrava avesse preso vita. Gli piaceva questo aspetto. Guardò ogni centimetro quadrato delle superficie occupata dai vari oggetti di Johanna, poi un oggetto colpì la sua attenzione.
Un libro.
Eppure la copertina non sembrava quella di quel libro.
Era forse un diario?
Forse era il diario di Johanna e per la prima volta decise che era meglio farsi i fatti suoi, dato i pasticci in cui era andato a cacciarsi origliando le sue conversazioni. Poi il diario era troppo lontano per cercare di prenderlo senza svegliare la figlia.
Così non avendo altro a cui pensare, cercò di addormentarsi, nuovamente senza riuscirci. Così si voltò a guardare la testa, affondata nel suo petto, di Johanna che ormai continuava ad accarezzare come fosse un cucciolo in cerca di coccole.
Sentiva un calore strano nel petto ogni volta che pensava al fatto che Johanna era sua figlia.
Era strano da immaginare, pensare, dire, scrivere, urlare..
Ma era meraviglioso.
Era semplicemente un’emozione unica.
E Ville sentiva che per provare quell’emozione ogni santo giorno della sua vita, avrebbe fatto di tutto.
Non si sarebbe mai reso conto che quella era davvero sua figlia, qualcosa di magnifico nato da un amore finito male. Gli faceva schifo pensare che fosse successo per caso. Non poteva essere successo per caso.
Il caso non esiste.
Johanna non era un caso.
Probabilmente era la cosa più bella che gli potesse capitare.
Una Laine da trasformare in Valo.
Un piccola diva che doveva ancora crescere.
Una principessa tutta mia, che mi chiama papà.
 
 


Il tempo passò velocemente e novembre giunse alle porte portando con sé un gran freddo e un po' di neve. Era passato già un mese e non sembrava vero.

Tutto era cambiato.
Tutto aveva preso una piega inaspettata.
Tutto sembrava andare bene.
Quel giorno nevicava. A Johanna piaceva quell'atmosfera.  Le piaceva sentire il freddo e stare ore e ore a guardare dalla finestra la neve che scendeva e che si posava su tutto ciò che incontrava.
Era quello che stava facendo in quel momento.
Era una tranquilla domenica mattina e lei stranamente si era alzata presto. L'unica cosa strana di quella mattina fu l'assenza di Ville.
Le aveva lasciato un biglietto con su scritto che aveva da fare una cosa importante e che sarebbe tornato presto. Ultimamente Ville era un po' strano, ma non riusciva a capire l'origine di tale comportamento. Era come se le stesse nascondendo qualcosa eppure ogni volta che lei gli chiedeva cosa avesse lui le rispondeva con "  è tutto okay!"
Probabilmente si trattava di cose relative alla musica e alla commercializzazione, eppure in cuor suo sperava che Ville stesse prendendo la decisione di far fuori per sempre dalla sua vita Hanna, che ogni giorno diventava sempre più insopportabile. Solo Ville sembrava non accorgersene.
Sospirò guardando il pezzettino di neve che si era posato proprio sul davanzale della finestra. Poi si avvicinò al camino e aggiunse della legna per alimentare il fuoco e renderlo un incendio. Lo guardò sorridendo.
Strano, ma vero, non si era mai sentita così tranquilla come in quel momento.
L'aeroporto non era molto affollato. Ville era giunto anche in anticipo stranamente, forse perché voleva fare bella figura e far capire già dall'inizio che lui era preciso e che aveva la testa apposto. Tutto avrebbe fatto per far fuori il suo nemico, lo stesso che lui stava aspettando e che avrebbe ospitato a casa per la felicità di Johanna. La immaginava già urlare di gioia appena avrebbe visto Jackie. Era una sorta di regalo che voleva fargli, per farle capire che lui non l'avrebbe mai e poi mai allontanata dai suoi affetti più cari per sempre. Jackie nonostante fosse il suo nemico, era la zia acquisita di Johanna e quella donna che lui doveva ringraziare per essersi presa cura delle sue donne. E poi sapeva che a Johanna mancava anche se non lo ammetteva apertamente. Jackie l'aveva chiamato un giorno per dirgli che aveva intenzione di andare lì ad Helsinki per vedere Johanna. Gli aveva detto che le mancava e che voleva farle una sorpresa. Naturalmente Ville sapeva che era sincera e che Johanna sarebbe stata felicissima. E poi voleva vedere lui stesso il comportamento di Jackie e capire se davvero era così speciale come raccontava Johanna.
Si voltò verso la piccola folla e pian piano riuscì a distinguere una figura snella con un berretto grigio scuro e un cappotto della stessa tonalità che si era allontanata da quella massa e che si dirigeva verso di lui. Trascinava con sé le valigie e quando fu vicino a Ville sorrise senza sapere cosa dire.
"Ciao."- esordì lui cordiale.
"Ciao."
"Dai a me."
"Grazie, ma faccio da sola."- rispose secca la ragazza sistemandosi una ciocca di capelli nel berretto.
"Oh avanti! Non te le rubo mica."- disse Ville sorridendo. Lei lo fissò, quasi a voler esaminarlo e poi cedette le valige dicendo: " beh grazie."
"Di nulla."- rispose il finnico. Restarono in silenzio fino a quando, usciti dall'aeroporto e sistemate le valige, salirono in macchina. Jackie guardava al di fuori del finestrino e Ville ogni tanto le lanciava delle occhiate attento a non fare incidente e a non farsi beccare.
Niente male, si ritrovò a pensare osservando i lineamenti del viso, le mani e immaginando ciò che c'era sotto il cappotto.
"Jo sa qualcosa?"- chiese all'improvviso Jackie guardandolo. Sembrava piuttosto preoccupata. Sperava che Ville non avesse detto nulla a Johanna, ma siccome non si fidava, aveva bisogno di avere delle certezze. Ville, che proprio in quel momento aveva distolto lo guardo per non dare l'impressione di essere un maniaco, con la sua solita aria professionale e da diva rispose: " no, sarà una sorpresa, come tu stessa hai voluto."
Terminò la spiegazione guardandola, come se fosse la prima volta che distoglieva lo sguardo dalla strada. Jackie gli sorrise grata.
"Ti ringrazio per avermi assecondata."
"Come mai tutta questa gentilezza? Non sembri la stessa persona che mi ha mandato a quel paese l'ultima volta."
Jackie si imbarazzò immediatamente. Non aveva fatto i conti con la sfacciataggine di Ville Valo. Lui era tornato a guardare la strada e subito dopo aver parlato la guardò con un sorriso.
"Mi dispiace, non era mia intenzione, ma c'era di mezzo la felicità di Johanna.."- disse lei calma, cercando di giustificarsi.
"Non dispiacerti, in fondo la colpa è stata mia."- disse scrollando le spalle.
"Nessun rancore?"
"Nessun rancore."
Entrambi sorrisero e poi caddero in un lungo silenzio rotto solamente dai rumori esterni. Quando giunsero a destinazione il cuore di Jackie batteva forte. Finalmente avrebbe rivisto Johanna e non riusciva ad immaginare quale sarebbe stata la sua reazione. Appena scese dall'auto e si avvicinò a Ville per aiutarlo con le valige lui le porse la mano e disse: " e comunque piacere, Ville Valo."
"Ehm Jackie Smith."- disse automaticamente lei stringendo la mano, guardandolo confusa.- "scusami ma perché ci stiamo presentando?"
"Beh perché non c'è stato modo di presentarci fra di noi con calma."
"Oh beh hai ragione."- disse Jackie sorridendo. Si tenevano ancora per mano senza che se n'erano accorti. Ville fu il primo ad accorgersene e iniziò a sentirsi imbarazzato. Jackie a quel punto si allontanò e chinò la testa.
" Su andiamo, Johanna sarà felice di vederti."- disse Ville portando lui stesso le valige.
 
 

"Johanna? Johanna!"- urlò Ville aprendo la porta. Johanna scocciata, non voleva alzarsi dal divano così urlò di rimando: " cosa c'è?"

"Vieni qui un secondo!"
Sbuffando per essere stata privata del suo stato di ozio, mise le ciabatte e si trascinò fino all'ingresso.
"Che c'è?"
"Ho una sorpresa per te."
Ville con un sorrisetto si spostò e Jackie fece un passo avanti con un largo sorriso.
"Jackieeeeeeeee!"
Johanna si buttò completamente fra le braccia di Jackie. L'emozione era grandissima e Johanna a momenti scoppiava a piangere per la felicità di vedere finalmente la persona che in tutto quel trambusto le era dannatamente mancata.
" Tesoro mio.."- sussurrò Jackie baciandole il capo dolcemente per poi stringerla di nuovo a sé chiudendo gli occhi. Ville notò un bellissimo sorriso sul suo volto e percepì un grande amore. Erano perfette in quell'abbraccio.
Johanna dopo essersi liberata dalla stretta guardò Jackie felice come non mai.
" Sei davvero tu? Non ci posso credere!"- esclamò saltellando.-" Quando sei arrivata? Resterai qui? Sei stanca? Hai fame?"
" Ehi calma! Non sparisce." - disse Ville sorridendo. Per tutto quel tempo era stato in disparte, appoggiato all'angolo del muro con indosso ancora la giacca e il berretto. Johanna si avvicinò a lui e chiese: " sei andato tu a prenderla?"
"Sì."
Guardò Jackie e poi di nuovo Ville. Lo stava studiando, come se avesse risolto un grande enigma.
"E' per questo che eri strano in questi giorni? Sapevi tutto, vero?"- chiese sorridendo.
"Però! Che ragazza perspicace."
A quel punto Johanna partì sparata e abbracciò anche lui. Non l'aveva mai fatto di sua spontanea volontà, ma sentiva il bisogno di ringraziarlo e credeva che quell'abbraccio fosse uno dei segni più convincenti della sua gratitudine.
Ville in un primo momento restò paralizzato, meravigliato dal fatto che Johanna lo stesse abbracciando, ma subito dopo la strinse a sé felice come non mai. Quando si allontanarono entrambi erano leggermente imbarazzati, mentre Jackie li osservava con un sorriso dolce. Forse Ville non era proprio un mostro come lei stessa mentalmente l'aveva definito.
"Oh ehm..beh accomodati."- disse Ville rivolgendosi in quel momento a lei, decisamente confuso per via di tutte quelle emozioni che quell'abbraccio gli aveva provocato.
Erano tante, decisamente tante.
 



Alla fine avevano optato per una tazza di the che Johanna si era offerta lei stessa di preparare. Aveva smesso di nevicare e ora le strade erano sporche di neve, anche se non era molta come invece Johanna aveva sperato. Erano seduti in salotto e chiacchieravano amabilmente. Naturalmente era Johanna a parlare, raccontando tutto quello che le era successo e ciò che faceva con Ville. Il finnico la assecondava, correggeva i suoi discorsi quando lei era sul punto di chiamarlo diva e ascoltava interessato ciò che Jackie aveva fatto durante quei due mesi senza Johanna.

" Vero che resti qui? Non saresti un disturbo, vero Ville?"- disse la ragazza facendo gli occhi dolci a Ville.
" La camera è già sistemata. E tu non te ne sei accorta nemmeno. Eppure è quella vicina alla tua!" - disse Ville prendendola in giro.
" Santi Numi!"- esclamò Johanna.
"Beh perché tutta questa sorpresa? Non sono così insensibile."
"Vado a portare le valige di sopra."
Decisa Johanna andò a prendere le valige e si diresse nella camera destinata a Jackie. In salotto era sceso immediatamente il silenzio farcito da sguardi sfuggevoli e sorrisi imbarazzati. Jackie si portò una ciocca castana dietro all'orecchio e poi finalmente decise a parlare.
"Grazie Ville, ma non dovevi scomodarti. Io..io non vorrei disturbare..insomma..tu sei fidanzato..non vorrei interrompere dei momenti intimi.."
" Oh tranquilla. Hanna non è sempre qui. Non preoccuparti per lei. Siamo solo io e Johanna. Hanna viene a trovarmi ma non sta molto e poi solitamente non ci facciamo vedere in giro per casa in caso di un momento intimo..a meno che tu non vuoi entrare in camera mia proprio in quel momento."
Ville ridacchiò mentre Jackie lo guardava seria.
" Ne faccio a meno tranquillo. Non ho nessuna intenzione di vedere prestazioni sessuali gratuite, mi bastano le mie."
Si portò una mano sulla bocca. Avrebbe voluto mordersi la lingua in quel momento piuttosto che finire la frase in quel modo. Cosa le era saltato in mente? Si sentì fortemente a disagio dopo quello che aveva detto.
"Oh oh!"- esclamò Ville sorpreso e divertito. Questo non fece che aumentare l'imbarazzo di Jackie.
" Merda..a volte parlo senza pensare.."
Alla fine entrambi scoppiarono a ridere.

 

L'ANGOLO DI VALS u.u:
Ooooh! Mo siete contente??!?! Jackie è finalmente arrivata per la gioia di tutti quanti u.u
Se qualcuno si è perso il link che avevo messo all'inizio della storia con l'immagine di questa donna ora tutti quanti facciamo il ripasso.
Lei è Jackie quantosonognocca Smith.


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Ormai Sara Bareilles per me è diventata Jackie. Tutte le volte che ascolto le sue canzoni nella mia testa c'è un solo nome: Jackie. xD
Ok, non è una bellezza stratosferica da tipica fotomodella. Ho cercato una persona che potesse rappresentare al meglio la semplicità e la bellezza naturale e non necessariamente una bellezza finta, che dovesse far cadere ai suoi piedi Ville solo perché è quella che fa la parte della brava e allo stesso tempo è una gnocca assurda. Potevo anche farlo, visto che si tratta di una storia di fantasia dove si cerca di dare un bel pò di gnoccaggine a tutti, ma non mi piaceva l'idea. Jackie da come capirete meglio andando avanti, è la spontaneità e la semplicità in persona e per questo non l'ho voluta far rientrare nella figaggine massima da tipica rivale di Hanna. Avrebbe perso la calorosità e sarebbe diventata qualcosa di finto al pari di Hanna. E questo non lo vogliamo, vero? u.u. Se non avete capito quello che ho scritto, non fa niente xD! Volevo riempire l'angolo di Vals con qualche cazzata xD
Allora, vi è piaciuto? Se po fa?
Grazie a tutti, ma davvero a tutti tutti tutti per l'interesse..tanto love <3
Al prossimo aggiornamento.
Vals <3

 

 




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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***












Dear Father

 Capitolo 14

 

La sera giunse fin troppo presto per i gusti di Johanna. A lei non sarebbe bastato nemmeno un mese per recuperare tutto quello che non aveva fatto con Jackie, a maggior ragione non accettava il fatto che fosse giunta la sera, che significa " vai a dormire perché domani c'è scuola."
Ma lei non era riuscita a dormire e nemmeno Jackie. La prima per la troppa emozione, la seconda per via dello sballamento dovuto al viaggio. Solitamente Jackie dopo un viaggio in aereo non riusciva mai a dormire, nonostante si sentisse stanca. Era più forte di lei. E così entrambe finirono per ritrovarsi in pigiama comodamente sedute sul letto di Johanna con la coperta tirata fin sopra la testa, nascoste dal resto del mondo, con la sola piccola luce della lampada ad illuminare i loro volti.
Era uno dei metodi che avevano sempre usato per chiacchierare all'insaputa di Marika, quando nessuna delle due aveva sonno. Johanna fingeva di dormire, ma in realtà aspettava che Marika uscisse dalla sua stanza per alzarsi e silenziosamente raggiungere la camera di Jackie.
Certe abitudini non erano cambiate per niente e soprattutto erano state riprese in un lampo.
" Allora, hai fatto nuove amicizie?"- chiese in sussurro Jackie sistemandosi meglio il maglione del pigiama.
" Sì. Ho fatto amicizia con Arja e Marianne. Sono davvero delle brave ragazze, devi conoscerle!"- esclamò in un soffio Johanna.
" Come ti trovi qui ad Helsinki?"
" Bene. Mi sono abituata al freddo, alle nuove abitudini e..a Ville."
Dopo quel nome sussurrato, Johanna abbassò la testa. Jackie si allarmò immediatamente. Stava già pensato al peggio.
" Qualcosa non va?"
Johanna sospirò e tornò a guardare Jackie. Si sentiva scoppiare, aveva la necessità di dire quello che la tormentava. Jackie avrebbe sicuramente trovato una spiegazione per farla rasserenare.
" E' che..non mi aspettavo che ti ospitasse. È stato piuttosto sorprendente. È stato gentile.."
" Beh, questo è bello, no?"
" Certo!"
" E allora perché quel muso?"
" E' che non riesco ad aprirmi con lui, ovvero non riesco ad abbracciarlo o a diventare più dolce. Io vorrei farlo, ma sento di essere ancora bloccata. Lui ha un grande cuore, anche se a volte mi fa innervosire. È bravo, si impegna a non farmi mancare niente..eppure io mi sento in colpa per come mi comporto.."

" Non devi sentirti in colpa, Jo. È ancora presto, specie per te. Lo sappiamo bene quanto tu sia piuttosto restia, ma è anche vero che hai un grandissimo cuore anche tu. Hai bisogno solo di un altro po' di tempo."- rispose risoluta Jackie, con un sorriso trionfante sul volto. Johanna ancora una volta non si sentì delusa. Jackie era eccezionale e aveva sempre le parole giuste per qualsiasi situazione. A volte Johanna si chiedeva se la sua super zia acquisita non fosse un supereroe. Aveva grinta, coraggio e si faceva in mille per far in modo che tutto andasse per il verso giusto.
" Credi che Ville si arrabbierà?"- chiese dando sfogo all'ultimo dubbio. Jackie le posò le mani sulle spalle continuando a sorridere fiduciosa.
" No, lo sa anche lui che è presto."
Johanna annuì sollevata e poi strinse a sé Jackie, la sua ancora di salvezza da sempre.
" Mi sei mancata."
" Anche tu."
Restarono strette fino a quando non sentirono il loro palazzo di coperte sgretolarsi e scendere dalle loro teste. Lo rimisero al suo posto ridendo.
" Come sta Daphne? E Duncan?"

" Bene, e ti mandano i loro saluti."
Proprio in quel momento entrambe si ammutolirono. Dei rumori strani provenivano da una stanza lì vicina e non fu difficile per Johanna capire cosa stava succedendo.
" Che cos'è questo rumore?"- chiese Jackie confusa tornando con lo sguardo sulla ragazzina.
" Credo che di là qualcuno si stia dando alla pazza gioia."- rispose Johanna infastidita. Jackie non aveva avuto il privilegio di vedere quella sera Hanna. Nemmeno Johanna l'aveva vista, il che stava a significare che nel momento in cui le due donne avevano dato la buonanotte a Ville, l'oca si era presentata senza inviti a casa. E a quanto pareva,  Ville non si era fatto nessun problema a dar sfogo ai suoi divertimenti.

" Come hai detto che si chiama la sua ragazza?"- chiese Jackie indicando la porta.
" Hanna. E io non ci vado d'accordo. Mi sale il nervoso quando la vedo e la strangolerei volentieri. Al momento quello che faccio è darle la mia più totale indifferenza."
Johanna era soddisfatta della sua risposta. Sembrava orgogliosa del suo comportamento. Se Anita avesse visto la sua espressione, avrebbe giurato di vedere il suo Ville tornato adolescente. Jackie invece la guardava severa.
" Jo, non fare così. Devi cercare di essere carina con lei, è pur sempre la fidanzata di tuo padre."
" Ma io non la sopporto!"- protestò ancora una volta Jo.
" Anche io non sopporto tante cose, eppure mi comporto sempre bene. È da maleducati comportarsi come stai facendo tu. Le cose non si risolvono con l'indifferenza, né tanto meno comportandosi da antipatici. Cosa ci ricavi? Io non ci trovo nulla di soddisfacente, e nemmeno tu dovresti. Devi essere sempre gentile con il nemico, alla fine capirà lui stesso di sentirsi stupido."

E la seconda perla di saggezza era andata. Johanna annuì anche se  non era del tutto d'accordo, ma discutere con Jackie non serviva a nulla. Avrebbe vinto lei.
" Va bene. Cercherò di essere meno cattiva."
" Brava."
"E' vero che resterai qui per sempre?"- chiese all'improvviso prendendo una mano della donna fra le sue. Jackie ridacchiò.
" Beh è un po' esagerato il per sempre. Diciamo che resterò qui per un po'."
Johanna tornò ad abbracciarla.
" E adesso a nanna."- ordinò Jackie districandosi dall'abbraccio dopo un bel po'. La ragazzina obbedì sdraiandosi sul letto e aspettando che Jackie le rimboccasse le coperte. Quando lo fece, la donna si sedette vicino e le stampò un lieve bacio sul capo.
" Buonanotte tesoro."
" Notte Jackie."
Jackie si alzò continuando a mostrare il suo sorriso dolce. Stava per raggiungere la porta, quando fu richiamata da Johanna.
 " Jackie?"
" Dimmi."
" Ti voglio bene."
Jackie sorrise.
" Anche io."
 
 


Jackie era già in cucina con l'intento di preparare la colazione, soprattutto per Johanna che stranamente dormiva ancora. Johanna da sempre era la prima a svegliarsi e a svegliare in seguito tutti gli altri. Evidentemente l'incredulità di vedere lì Jackie le aveva giocato un brutto scherzo mandando a farsi fottere il sonno e a recuperarlo tardi. Proprio in quel momento, mentre lei era di spalle intenta a sistemare la macchinetta del caffè, sentì delle risate, poco dopo seguite dai proprietari di quelle voci. Ville e Hanna si presentarono in cucina con l'intento probabile di pomiciare e fare i cretini anche lì, come se la notte non avesse bastato a tutti.

Jackie tossicchiò, mentre a braccia conserte aspettava che il latte per Johanna si riscaldasse. A quel punto un senso di imbarazzo si impadronì di Ville che immediatamente si staccò da Hanna e guardò Jackie sorridendo.
"Oh Jackie! Buongiorno.."
" Buongiorno a voi."- disse la donna indaffarata senza nessuna intenzione di assecondare il sorriso di Ville.
"Tu devi essere la zia di Johanna."- intervenne Hanna, squadrandola da capo a piedi mentre si attaccava nuovamente a Ville. Jackie si voltò per guardarla. Non era affatto male come donna, anche se le modelle le erano state sempre antipatiche.
" Sì, sono io."- rispose con un sorriso da presa in giro, che cercò di nascondere in larga misura, cercando di non risultare antipatica. Evidentemente ci era riuscita, poiché la bionda sorridendo, le si avvicinò tendendole la mano.
" Hanna, piacere di conoscerti."
" Il piacere è tutto mio."
Hanna tornò ad abbracciare Ville, come se il fatto che potesse appiccicarsi come un polipo non desse nessun fastidio. Ville, che in fondo non era così sciocco, la allontanò da lui sorridendo e lasciandole un piccolo bacio sul dorso della mano.
Jackie si voltò disgustata.
Hanna diede un bacio e quando Jackie si voltò di nuovo sistemando il caffè nelle tazze sorrise maliziosa e non smettendola di guardarla diede un bel bacio a Ville.
" Io devo andare.. a dopo amore.."
Ville, piuttosto imbarazzato dalla situazione non le rispose, o meglio, le sorrise senza aggiungere una parola. Quando Hanna andò via l'imbarazzo aumentò il doppio, ma Jackie non lo stava guardando e né tanto meno si rese conto della grossa difficoltà che provava il finnico in quel momento. Jackie credeva piuttosto che lui fosse la solita diva di turno a cui non importava nulla degli altri. Eppure non riusciva a capire come Johanna gli si fosse così affezionata.
È suo padre, capra. È normale!
" Dormito bene?"
Finalmente Ville aveva deciso di rompere il ghiaccio, o forse era un modo per cercare di mandare via l'imbarazzo colossale. Hanna lo aveva reso un perfetto idiota agli occhi di Jackie e questo non riusciva a sopportarlo. Non voleva che il suo nemico lo giudicasse ancora prima di iniziare la vera e propria convivenza pacifica in nome di Johanna. Lei lo guardò superficialmente, attenta com'era a versare il latte caldo nella tazza di Johanna, e disse: " abbastanza."
" E Johanna? Dorme ancora?"- continuò lui cercando di trovare nuovamente una scusa per sentirla parlare.
" Credo di sì. Vuoi pensarci tu a svegliarla?"- questa volta lo guardò.
" Potrebbe uccidermi."
Jackie sorrise. Beh, almeno il finnico aveva già capito il perenne malumore mattutino di Johanna e questo la fece sorridere divertita.
" Non essere tragico! Per evitare il peggio, devi sussurrarle all'orecchio. Le piace sentirsi sussurrare di svegliarsi. Se le parli normalmente o le fai domande o, peggio ancora, le urli di alzarsi davanti alla porta, è normale che lei reagisce come una belva."
" Davvero? La soluzione è questa per renderla meno iena la mattina?"- chiese Ville sorpreso. Ma non doveva esserlo: in fondo Jackie conosceva molte più cose di lui su Johanna. E pensare che lui ogni mattina faceva esattamente quello che non doveva fare, urlando davanti alla porta della stanza.
" Beh? Non vai a svegliarla?"- chiese Jackie, confusa nel vederlo ancora lì in piedi a fissarla.
" Oh sì. Vado."
Ville andò di sopra e dopo essere entrato in camera di Johanna, con molta calma si avvicinò al letto e iniziò la procedura.
"Johanna..ehi sweetie sveglia..Johanna.."
Il suono dolce e profondo di quella voce fece rabbrividire la ragazza che pian piano aprì gli occhi trovandosi Ville accanto a lei.
" Ville!"- esclamò stropicciandosi gli occhi ancora mezza assonnata, ma decisamente meno antipatica delle altre mattine.
" Buongiorno."- disse lui tranquillo.
" Buongiorno..ma che ore sono?"- chiese calma Johanna, sbadigliando.
" Sono le sette e mezza."
" Le sette e mezza?!"- esclamò la ragazza svegliandosi di colpo. Scese velocemente dal letto esclamando: " aaaaaaaah arriverò in ritardo!"
Ville sorrise divertito, ma allo stesso tempo cercò di calmare sua figlia.
" Non farai tardi. È presto, sei tu che sei abituata a svegliarti alle sei del mattino. Sei in perfetto orario."
" Sì, ma non va bene!"
Johanna aprì velocemente l'armadio. Buttò a casaccio una maglia sul letto prendendo in pieno viso Ville e un pantalone e poi iniziò ad imprecare raccogliendo i libri.
" Accidenti..!"
" Dannazione!"
" Miseriaccia!"
" Vuoi calmarti?"
Johanna si fermò e guardò Ville. Doveva ammettere che era stato gentile a svegliarla in quel modo quella mattina. Sospettava che a dirglielo fosse stata Jackie, perché lei era pronta a sentire la sua voce dietro la porta, pronta a svegliare la belva acida che era in lei. Gli sorrise annuendo, poi prima di andare a vestirsi gli porse dei quaderni dicendo: " puoi mettere questi nello zaino? Grazie."
Ville eseguì l'ordine ridacchiando mentre la vedeva scomparire a grande velocità nel bagno.
 
 


Dopo la colazione, approfittando delle ultime preparazioni di Johanna, Ville con molta calma si preparò anche lui e scoprì che per la prima volta era più puntuale di sua figlia. Jackie era in soggiorno e quando lo vide sorrise. Era l'unica cosa che il suo cervello in quel momento le consentiva di fare, ma più che altro non era un vero e proprio sorriso, era una paralisi facciale. Ancora peggio, secondo Jackie stessa. La spiegazione era semplice: voleva essere gentile nonostante volesse ammazzarlo e poi Ville era maledettamente fico con ciò che indossava e lei cercava con tutta se stessa di non arrossire. Poi ad un tratto trovò l'appiglio giusto per non imbarazzarsi.

" La tua maglia ha un buco. Non vorrai andare in giro in questo modo."- disse notando il buco che si faceva spazio al livello della spalla. Ville che fino a quel momento si era concentrato su di lei e in particolar modo sui suoi occhi, guardò il punto indicato.
" Dannazione!"
" Non è nulla che non possa essere sistemato con l'ago e un po' di filo."- disse Jackie avvicinandosi di più.-" sempre che qui dentro ci siano."- concluse sorridendo divertita.
" Sì, non sono così sprovveduto."- rispose Ville infastidito. Pensava che fosse così coglione?
Jackie ridacchiò per la sua reazione e poi dopo aver ricevuto l'occorrente, si schiarì la voce e disse: " dammi la maglia."
Ville con molta disinvoltura si tolse la maglia restando a petto nudo. Jackie fu attenta a non guardalo troppo e si sedette sul divano concentrandosi sulla cucitura. Ville più la osservava e più notava qualcosa di familiare in lei, ma non riusciva a capire cosa. Era così strano per lui vedere una donna che non fosse sua madre, fare quei piccoli accorgimenti. Era davvero buffo!
Jackie, ignara degli occhi felini puntati su di lei, fece il suo lavoro e quando terminò gli si avvicinò e con un sorriso gli porse la maglia.
" Ecco a te."
Non c'era nessun segno che potesse far capire che prima lì c'era un buco. Tornò a guardare Jackie con un sorriso.
" Grazie."
" Figurati."
Quando Ville infilò di nuovo la maglia, Jackie si sentì meno impacciata.
Entrambi iniziarono a sentirsi in imbarazzo, perché nessuno dei due sapeva bene cosa aggiungere: Ville troppo occupato a capire cosa diavolo gli stesse passando per la testa e Jackie ostinata a non pensare all'immagine di Ville senza la maglia. Grazie all'ingresso velocissimo di Johanna, tutto finì.
" Allora, andiamo? Io non posso fare tardi!"
" Arrivo."
" Ciao Jackie, a dopo!"- esclamò Johanna dando un bacio sulla guancia e uscendo velocemente fuori.
" Ciao."- disse Ville, ancora lì impalato.
" Ciao."- rispose Jackie sorridendo.
Quando la porta si chiuse la donna finì per sedersi sul divano sospirando.
Se Ville iniziava a fargli quell'effetto era decisamente inguaiata.
" Non farti prendere dal panico."- si ripeté respirando ad occhi chiusi.
 
 
 


" Ehi! Mi hai sentito?"

La voce di Mige giunse alla sue orecchie come un rumore lontano. Era piuttosto preso ad osservare Jackie, che stava guardando le macchine al di fuori della vetrata del bar, presa da chissà quali pensieri, per ascoltare quello che diceva il suo amico.
La donna aveva deciso di fare due passi da sola, sicura del fatto che non si sarebbe persa, visto che ad Helsinki ci era stata già due volte con la sua fedele compagna di avventure: la reflex. Era entrata nel bar più vicino, ma era completamente ignara del fatto che prima di lei, nascosto in un piccolo angolo, c'era anche il maledetto finnico. Ville la osservò fin da quando l'aveva notata, anche se cercava di simulare indifferenza, annuendo poco convinto a ciò che gli diceva Mige.
" Certo, ti ho sentito."- disse nuovamente senza effettivamente averlo fatto.
" Se tu con quella faccia mi hai ascoltato io sono il re del mondo fatato."
" Il re di cosa?"
" Oh lascia stare. Piuttosto.."- Mige si avvicinò a lui con fare mega sospettoso e guardò anche lui Jackie, ben consapevole che fosse lei la causa del mancato interesse alle sue parole da parte di Ville.- " perché non vai da lei e attacchi bottone invece di stare qui con gli occhi da polipo e la faccia da maniaco?"
" Ho la faccia da maniaco?"

Mige ridacchiò.
" Poco ci manca. Di sicuro non è la faccia del grande ascoltatore. Di quello che ho detto non hai sentito nemmeno mezza parola. E non dire di no!"- lo ammonì con un dito. Ville sorrise e alzò le mani.
" Ok lo ammetto, non ho sentito niente delle ultime cose che hai detto, ma non è per lei."
Mige scosse la testa, sapendo perfettamente che quella era una bugia.
" Ville, amico, tu e le cazzate andate a braccetto e sono sicuro che si tratta della cazzata del giorno. "
" Mige lo sai che sei noioso?"- chiese infastidito.
" Sbagliato: io sono la voce della verità!"- lo corresse Mige divertito, tornando a guardare Jackie.-" Ti interessa, vero?"

" Io sono fidanzato."- buttò lì a caso il finnico, stupendosi di quelle parole a cui lui stesso non credeva. Mige scoppiò a ridere.
" Non girare la frittata. La domanda che ti ho fatto è precisa e siccome stai parlando con me e non con un giornalista, sei costretto a dire la verità."
" No, non mi interessa."
" Ho detto che stai parlando con me."
" E quindi? Ho troppi pensieri per la testa. Jackie non mi interessa."
" Cosa centra? Anche io ho molti pensieri per la testa, ma se devo ammettere che una ragazza è bella lo faccio ugualmente. "

Ville tornò a guardare Jackie che ora stava guardando la sua reflex. Probabilmente sistemava delle foto.
" Avanti! Ammettilo."
Il finnico poco dopo guardò  insistentemente il caffè senza parlare. Cosa doveva dire?
" E' carina."- disse poco convinto.
" Carina..uhm. Tutto questo tempo per dire la seconda cazzata del giorno."

" Ok è una bella ragazza. E' un tipo normale e basta!"
" Ed è il tuo tipo. Oh avanti! A te le modelle non piacciono! Ci stai così tanto per.."
" Da quando sei il mio consulente?"- chiese Ville ridendo.

" La stai guardando insistentemente. E di solito tu lo fai quando una ragazza ti attrae."
Ville si limitò a fulminarlo con lo sguardo senza parlare. Mige lo interpretò come un segno positivo.
"  Lo so che odi quando qualcuno cerca di tirare fuori dalla tua bocca la verità, ma andava fatto."

A Mige non sfuggiva mai nulla. Era vero, Jackie lo stava affascinando, ma ciò non significava che morisse d'amore per lei. A dirla tutta, non sapeva nemmeno cosa pensare di quella strana sensazione. Guardandola lì seduta da sola a fissare foto che lui ignorava, la faceva sembrare così lontana dal mondo, così simile a lui. Poi la vide sorridere e lui stupidamente si accodò a quel sorriso. Ma poi scosse la testa preoccupato. Dimenticava che la bella newyorkese era pur sempre il suo nemico e lui non doveva interessarsi a lei.
" Comunque io devo andare."- disse Mige alzandosi.-" Ti sto lasciando solo. Solo. Capito?"- domando alludendo alla situazione.
" Ciao Mige! Vai su!"- esclamò Ville sbuffando.
Mige sorrise e come aveva detto, lo lasciò da solo. Doveva fare qualcosa nonostante avesse timore, doveva avvicinarsi a Jackie. Voleva conoscerla, doveva conoscere il suo nemico, tutto qui. Era questo ciò che sentiva di voler fare in quel momento. Magari parlandoci avrebbe fatto chiarezza su quella sensazione di familiarità che lo stava assalendo da quella mattina.
Così senza pensarci più si avvicinò al suo tavolo.
Jackie si sentì osservata e quando alzò gli occhi dalla sua reflex quasi le venne un colpo. Che ci faceva Ville Valo lì davanti a lei?
"Cosa ci fai sola soletta?"
"Stavo meditando."- rispose lei sorridendo e mettendo da parte la macchina fotografica.
" Mediti su qualche piano per farmi fuori?"- chiese scherzando Ville.
" Ancora no, ma se me lo fai presente potrei farlo."
Il sorriso venne ricambiato per sua grande fortuna.
" Quindi devo stare all'erta."- convenne il finnico annuendo. Poi indicò la sedia di fronte a lei e gentilmente chiese: "posso?"
" Prego."
Ville si sedette e lasciò che i suoi occhi si concedessero per un attimo di sondare il territorio alquanto affascinante che gli era di fronte.
" E Hanna?"- chiese la donna facendo un sorso del suo caffè.
" Ha dei servizi fotografici."
" Quindi io ti servo da ripiego alla noia infruttuosa."
" Assolutamente no! E' che mi va di conoscerti meglio. Se togliamo il tuo ruolo da migliore zia secondo Johanna, io non so completamente nulla di te."- esclamò Ville agitandosi. Perché si stava agitando? Doveva capire fin da subito che Jackie stava scherzando. Doveva capirlo dal suo sorriso divertito, e invece lui non aveva afferrato l'ironia. Mister Ironia aveva avuto un abbaglio.
" Stavo scherzando."- disse lei ridendo.- " e comunque..beh non c'è nulla di particolarmente importante da sapere sul mio conto."- concluse frettolosamente.- " Piuttosto, parliamo di te, visto che sei in vena di discorsi."
" Se tu mi dici cosa si cela dietro Jackie Smith, io ti racconterò cosa si cela dietro Ville Valo."- rispose Ville deciso. I due si scrutarono affondo senza cedimenti.
" Dov'è la fregatura?"- chiese Jackie sospettosa.
" Non c'è nessuna fregatura."
Continuò a fissarlo e poi alla fine decise di parlare.
" Ok..ehm..sono una fotografa professionista. Lavoro in uno studio tutto mio a New York e ho avuto parecchi incarichi importanti che mai mi sarei sognata di svolgere, lavorando con gente importante e viaggiando quel tanto che mi è bastato per avere un po' di esperienza nel mondo. Nonostante il mio lavoro, non ho una vita sociale da super diva del cinema. Preferisco di gran lunga la noia e un bel film strappalacrime quando sono a casa. Mi piace parlare e leggere e..credo di aver detto tutto."
" Interessante! Mi piace il tuo lavoro."- esclamò Ville affascinato.
" Beh allora? Su parlami di te."
" Beh..io sono un uomo che da poco ha scoperto di essere padre. Mi sento completamente spaesato e terrorizzato a morte anche se non voglio dirlo. Molto spesso odio il lavoro che faccio, perché resto troppo a lungo lontano da casa e ho uno stuolo di fan scatenate che si apposta sotto casa mia in particolare periodi dell'anno, come una sorta di pellegrinaggio. Ti giuro, a volte vorrei gettare un bomba, far esplodere tutto e scomparire nel vuoto. Ma poi mi rendo conto che la musica è l'unica cosa che mi fa sentire completo e tralasciando il business che ne deriva, amo seguirla.  Vivo nella mia solitudine e non mi da per nulla fastidio stare solo. E' come se fossi in un piccolo mondo dove nessuno ha il diritto di entrare. Anche io adoro leggere e se devo stare in compagnia di qualcuno preferisco quella dei pochissimi amici fidati. Per il resto sono noioso."
Jackie per tutto il tempo lo aveva guardato interessata, forse addirittura affascinata.
" La tua descrizione è così perfetta che la mia a confronto è una sciocchezza."
" Ho parlato davvero così tanto?"
" Beh.."
" Oh..ehm..scusa, a volte sono logorroico. È che mi sento scoppiare ultimamente."
L'aveva detto e per giunta si era aperto al suo nemico, ma gli era venuto spontaneo. Jackie annuì, capendone il motivo.
" Non scusarti, capisco perfettamente. Sai, anche io ho scoperto il mio vero padre tardi, quando avevo 18 anni."
" Davvero?"- chiese Ville sorpreso.
" Sì. Lui è un pianista e a quei tempi era sempre in giro per il mondo. E' stato lui a lasciare di proposito mia madre, appena aveva saputo che era incinta. Io non ho mai saputo nulla di lui perché lei lo odiava. Quando ci siamo ritrovati ero completamente sconvolta e molto arrabbiata, ma poi con il tempo io e lui abbiamo istaurato un bel rapporto che naturalmente dura ancora. E..sai..più è passato il tempo e più è diventato un legame forte. Quindi stai tranquillo. Le cose possono migliorare solo con il tempo. Devi avere pazienza, molta pazienza."
" Sono senza parole. Non pensavo che anche tu insomma.."- disse Ville sorpreso da quello che aveva sentito. Jackie annuì solamente.
" Solitamente la gente si annoia a sentire la mia storia."- disse lei sorridendo.
" Io credo, invece, che non sia noiosa."
Gli occhi e il sorriso di Ville l'avevano completamente spiazzata.
" Sei gentile a crederlo."- disse guardando la vetrata.- " Allora come sta andando?"
" Bene, anche se i primi tempi no. È che Johanna è un bel tipetto, a volte non sai da che lato prenderla."
" Non preoccuparti, è normale. Johanna a volte è molto introversa e come difesa assume una bella dose di antipatia. Tu cerca sempre di interessarti a tutto quello che lei fa, improvvisa delle conversazioni anche stupide. A lei piace ascoltare anche cose senza senso. Si diverte e inizia a seguirti sparando cavolate tre volte più demenziali delle tue. "
Ed ecco un altro segreto per portare avanti la sua personalissima spedizione, anche se lui quest'ultima rivelazione già la sapeva grazie all'esperienza. Non era poi più così tanto sicuro che Jackie potesse essere cattiva, ma non poteva ancora abbassare la guardia.
" Grazie dei suggerimenti. Spero di riuscire ad imparare."
" Oh fidati hai già imparato. Il fatto stesso che tu abbia organizzato il mio soggiorno in casa tua ha fatto di te un eroe. Però questo deve restare un segreto. Lei non  vorrebbe che te lo dicessi."

" L'ha detto proprio lei?"
Jackie annuì. Ville si sentì improvvisamente felice e sicuro.
Jackie spontaneamente appoggiò la sua mano su quella del finnico come segno di incoraggiamento. Non provava imbarazzo, né noto la sorpresa negli occhi di Ville. Lei aveva bisogno di infondergli un po' di fiducia, quella che a Ville mancava per rendere la sua avventura meno agitata.
" Vedrai, riuscirai ad essere un buon padre a tutti gli effetti. Non è mai facile, ma sono sicura che tu non demorderai, Ville."

" Grazie. Grazie anche della fiducia. Il fatto è che ormai mi sono affezionato a lei e non vorrei che nessuno me la portasse via."
Sottolineando l'ultimo periodo non aveva fatto altro che provocare un piccolo danno, come al suo solito. Jackie, infatti, ritirò la sua mano e lo guardò severa, quasi arrabbiata.
" Pensi che io non sappia che Johanna abbia bisogno di una figura paterna? Io posso anche lasciartela per sempre, ma devo sapere che con te sta bene e che tu la protegga. Non voglio che tu la faccia soffrire non prendendoti cura del tutto di lei. Odio la gente che cerca di recuperare dei rapporti, ma senza metterci l'impegno. Le parole non servono a nulla se non vengono accompagnate dai fatti. Ma se tu ti comporti bene e sei attento a tutto ciò che la riguarda, io mi metto da parte..anche se mi fa male."
Ville annuì, serio. Non voleva che Jackie si arrabbiasse, ma non poteva nemmeno stare zitto e lasciare che lei potesse mettere in atto il suo piano senza sapere quello che lui pensava.
" Io ti capisco. È difficile separarsi da una persona che hai cresciuto e di cui ti sei presa cura. Forse non dovevo portarla qui così velocemente. Dovevo lasciarla a te e venire ogni tanto a trovarla, prima di fare questa mossa azzardata, ma c'era qualcosa dentro di me che mi ha spinto a fare ciò che ho fatto. Non è stata cattiveria, non era un modo per farmi odiare. E poi non sono il tipo che lascia le cose a metà. Quindi se pensi che io non voglia davvero prendermi cura di Johanna stai sbagliando. L'avrei lasciata a te se era per questo."
Jackie si bloccò sentendo la durezza delle ultime parole.
" Scusa, sono stata un po' dura forse.."
" Tranquilla, non sono arrabbiato."- disse Ville sorridendo.-"Alla fine tu mi conosci come il leader della band amata da Johanna, un uomo che molto probabilmente non ha mai avuto la testa al suo posto. Ville Valo: un ex alcolizzato sprovveduto che si trascinava per il marciapiede quando doveva tornare a casa, grande amico di un altro sprovveduto come Bam Margera con cui avrà combinato un sacco di casini,  un mostro egocentrico che ci prova con qualsiasi bella ragazza e che non ha mai avuto ragazze con i piedi per terra. Non è una bella fama, vero? Capisco che tu possa pensare male di me come padre."- disse alzando lo sguardo dal tavolino.- "Forse è vero il fatto che io possa essere un bastardo menefreghista, ma da quando ho scoperto di avere una figlia e poi averla vista a casa con me..beh le cose hanno preso una nuova piega."
Jackie restò sorpresa da quelle parole. Non era il Ville che aveva immaginato di conoscere. Era diverso dallo stereotipo che aveva in mente. Le dispiacque sentirgli dire quelle parole con durezza parlando di se stesso.
" Questo ti fa onore. E comunque alla gente piace parlare, dovresti saperlo meglio tu di me. E poi non tutti pensano questo di Ville Valo."- disse sorridendo, alludendo forse al fatto che lei stessa non lo pensava.
" Sono contento di sapere questo."- disse rincuorato.
" E se hai bisogno di avere delle risposte a domande impossibili, io forse posso aiutarti."- disse Jackie alludendo al passato, a quello che Ville voleva sapere.
A quel punto Ville abbassò lo sguardo leggermente imbarazzato. C'era una cosa che voleva sapere, ma non riusciva a dirla. Poi alzò il capo e respirando a fondo parlò.
" Beh c'è una cosa che voglio sapere più di tutte le altre.."
" Dimmi."
" Io..io..mi chiedevo se Marika ti ha mai detto il motivo per cui se n'è andata da Helsinki e beh..da me.."
Jackie annuì, come se per tutto quel tempo si fosse aspettata quella domanda.
" Marika aveva scoperto di essere esposta al tumore come sua madre. E quando iniziò a fare delle visite di controllo, i medici avevano riscontrato una macchia che cresceva a vista d'occhio. Ha avuto paura e non voleva essere un problema per te. Stavi diventando famoso, stavi seguendo il tuo sogno, eri felice di quello che stavi facendo. Così senza dirti nulla ha preso il primo volo disponibile per New York dove si sarebbe curata, approfittando del fatto che tu avevi iniziato a fare dei concerti.."
Ville sentì il suo cuore sprofondare. E insieme a lui la sua espressione divenne più seria, spegnendo lentamente la serenità che era riuscito a racimolare.
 " Ville?"
Jackie allungò la mano toccando il braccio dell'uomo preoccupata per quella reazione. Lui sospirò e la guardò deciso.
" Ti prego..puoi raccontarmi tutto quello che ti ricordi?"
Jackie ancora preoccupata, annuì.
" Ricordo che avevo messo un annuncio davanti al mio studio. Cercavo un buon fotografo che lavorasse con me. Lei si presentò una settimana dopo e fin da subito notai non solo il suo grande talento, ma anche una infinita dolcezza, la determinazione e soprattutto fu l'unica  a non farmi innervosire durante il colloquio. Credo di non aver mai trovato una persona più bella di Marika.."
Si bloccò stando attenta alle espressioni di Ville. Lui sembrava tranquillo e attento e così decise di continuare.
" Decisi di farla vivere con me, visto che era sola in quella giungla e l'affitto dell'appartamento in cui viveva stava per scadere. Fu difficile per lei confidarsi e aprirsi con me. Mi parlò della sua malattia, del fatto che cercasse di guarire. E poi in quel periodo cominciava a non sentirsi molto bene. E poi quando andò a fare uno dei suoi controlli, scoprì di essere incinta.."
 
"Non è giusto! Deve sapere!"
Era passata qualche settimana dalla prima ecografia e Jackie continuava a ripeterle quanto era stupida a non dire niente a Ville. E adesso la stava minacciando con il telefono in mano, con l'intenzione di chiamare lei stessa, ma Marika era tranquilla, perché il numero di Ville non lo sapeva.
" Jackie, per favore.."- disse facendo gli occhi dolci, cosa che le riusciva piuttosto bene.
" Perché lo fai? Lui è il padre e ha il diritto di saperlo! Se non lo fai tu, lo faccio io! Non te ne puoi prendere cura da sola! Guarda in faccia la realtà. Sei una ragazza madre che lavora nonostante un tumore, come farai dopo che sarà nata?"

Non lo diceva con cattiveria, Marika lo sapeva benissimo e sapeva altrettanto bene quale fosse la realtà. Ma non riusciva a farlo, non riusciva a prendere quel telefono e a chiamare Ville. Era passato un mese da quando l'aveva lasciato con un biglietto misero che aveva fatto le sue veci quando lei era già partita.
" Non posso." - disse in un sussurro.
Non poteva ripiombare nella sua vita cercando di ricostruire un rapporto, non quando lui stava realizzando il sogno di una vita. Perché rovinare tutto? E poi cosa avrebbe dovuto dirgli?
Ciao Ville, sono incinta?
Lei voleva quel bambino e voleva anche dirglielo. Ma solo perché tutto questo lo voleva lei non significava che lo volesse anche Ville..
E se lui avesse rifiutato? Sarebbe riuscita ad andare avanti?
Finché poteva ci sarebbe stata lei a prendersi cura del bambino. Non gli avrebbe fatto mancare nulla, neanche l'assenza del padre. L'avrebbe amato per tutti e due perché non era solo suo figlio e di Ville, ma ciò che le restava di quello che avevano provato l'uno per l'altra. Marika l'avrebbe protetto a costo della vita, smettendo anche la cura per poter darlo alla luce. Era la cosa bella che la spronava ad andare avanti e ad amare finché il tempo le sarebbe stato a disposizione.

 
"..Marika era un tipo davvero tosto e molto testardo. Fece come aveva voluto. Si prese cura di Johanna come aveva detto, non le fece mancare nulla anche se il tumore era sempre lì a farle del male. Io ho dato me stessa per lei. Era la mia migliore amica e Johanna ormai per me è una figlia."
Ville si sentì male, come se stesse ad un passo dallo svenimento. Provava un malessere che non aveva mai sentito prima. Si alzò di scatto per uscire fuori. Aveva bisogno di  prendere una boccata d'aria. Jackie preoccupata lo seguì subito dopo. Pensava che fosse andato via, ma fortunatamente lo trovò appoggiato al muro con la sigaretta in bocca. Si sentiva in dovere di fare qualcosa, anche semplicemente scusarsi di qualcosa che involontariamente aveva detto e che a Ville non era piaciuto.
" Scusa.."- sussurrò. Ville la guardò serio, ma non era arrabbiato.
" E di cosa? Non hai fatto nulla di male."- disse tornando a guardare la gente che passava.
" Ville..io lo so come ti senti. O forse sto solo cercando di immaginarmi il tuo dolore. Fa male, molto male, ma ora c'è Johanna e lei è ciò che ti serve per andare avanti. Non hai bisogno di nessun altro, solo di Johanna. Per essere passato un mese e vedere Johanna serena vuol dire che qualcosa di buono la stai facendo. E Marika ne sarebbe felice."
Ville, che per tutto quel tempo stava trattenendo le ultime lacrime amare, riuscì a mandare giù il boccone velenoso e guardò Jackie cercando di calmare la preoccupazione che lei aveva ancora stampata sul viso.
" Mi rincuora sapere che tu pensi questo. È molto difficile. Sto cercando in tutti i modi di riuscire a pensare a Marika senza provare dolore o tristezza, senza versare lacrime che alla fine non servono a nulla."- si bloccò finendo la sigaretta.
"E comunque puoi stare qui tutto il tempo che vuoi! Io non caccio nessuno da casa mia, Jackie."- tornò a parlare facendo uscire dalla bocca il restante fumo. La donna deglutì, ma restò ferma, guardandolo decisa.
" Non sono un parassita e non mi piace approfittare degli altri."- disse senza risultare scontrosa.
" Scusa se insisto, ma a Johanna fa piacere e so che sarebbe felice. Non devi preoccuparti di quanto tempo va via. La casa è grande per ospitare l'intera famiglia reale, non vedo che fastidio ci possa essere se resti qui con noi."
La determinazione di Ville illuminava i suoi occhi che poco prima erano stati sul punto di versare lacrime. Jackie era senza parole. Oltre a quella determinazione c'erano molte altre ragioni che la spingevano ad essere senza parole. Quegli occhi verdi erano decisamente destabilizzanti in quel momento. Il suono di un auto riuscì a distoglierla da quel viso. Poi, quando non si sentì più insicura, tornò a guardarlo.
" Tu sei un brav'uomo, Ville. Cerca di nasconderlo a chi vuole approfittarsi di te."- disse dandogli una pacca sul braccio. Sorrise e sistemandosi meglio il berretto andò via. Ville restò lì impalato rimuginando su quelle parole e sentendo ancora quel tocco delicato che prima aveva toccato il suo braccio.
E quella sensazione strana non fece altro che aumentare.
 
 
L'ANGOLO DI VALS u.u
Sono tornata * muahahahahahahahahhahha* (?)
Perdonate la lunghezza interminabile di questo capitolo..ultimamente la musa sembra essere dalla mia parte. Voglio vedere fin quando dura, mica ci credo che resterà ancora con me >.<
Musa infame -.-"
Per chi è riuscito a leggere tutto ed è arrivato qui sano e salvo, ha potuto squadrare un po' questa nuova situazione: Jackie e il suo ruolo di Madonna degli afflitti, Ville e le sue pene e Johanna, l'ansia in persona. Direi un quadro incantevole :3 xD
Lo so perfettamente, qui non c'è stato molto movimento in stile Vals, e Johanna non è stata presente molto come negli altri capitoli, ma capitoli del genere mi servono per dar vita ai tormenti di Ville e a farvi conoscere un po' di più Jackie, l'amica vostra, e soprattutto per andare piano piano con la storia, sennò si finisce, e noi mica la vogliamo far finita così presto, no? Devo torturavi lentamente u.u
Vi prometto che al prossimo avremo molto da fare u.u ( sembra brutto dire così..vabbè io l'ho detto xD)
Allora, vi è piaciuto lo stesso sto capitolo? Spero di sì :3
Ci sentiamo al prossimo attacco d'arte :D
Vals.

 




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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***












Dear Father

  Capitolo 15

 

" Ho detto che non mi interessa. Io non faccio interviste per aumentare i gossip. Non vendo mia figlia per far soldi. Io faccio musica, ho una band, voglio essere famoso per essere un cantante e non per aver raccontato ai giornalisti storielle commoventi e tragiche giusto per ottenere pietà dalla gente e rendermi ridicolo. Se ne facciano una ragione."
Le sue urla avevano terrorizzato tutti i presenti. Seppo sapeva che non era il caso di dirgli ciò che i giornalisti richiedevano da giorni, ma questa volta la colpa fu proprio di Ville. Era lui che aveva estorto le informazioni dalla bocca del manager nonostante quest'ultimo avesse cercato accuratamente, ma anche inutilmente, di tenergliele nascoste. Ancora arrabbiato, Ville sbatté forte la porta e senza voltarsi proseguì lungo il corridoio pronto ad uccidere qualsiasi poveraccio si fosse imbattuto sulla sua strada e gli avesse rivolto anche un semplice saluto. La stampa stava premendo sempre di più, volendo conoscere maggiori informazioni sulla storia di Johanna, ma non avevano messo in conto la testardaggine di Ville e il fatto che lui nemmeno per sogno avrebbe dato in pasto la sua vita privata a quattro giornalisti corrotti, specie se di mezzo c'erano ragazzine. Si trattava di sua figlia, non di una storia d'amore. Non si trattava di un ritorno di fiamma o di una nuova fiamma. Si trattava di Johanna.
Lui odiava già di per sé le interviste e tutto quello che richiedeva parole su parole per qualsiasi argomento e a maggior ragione ora non poteva che aumentare la dose di odio puro.
Quando uscì fuori prese dal pacchetto quasi vuoto una sigaretta, l'accese e ne aspirò il fumo cercando di rilassarsi. Si sistemò meglio la giacca e una ciocca di capelli che non ne voleva sapere di stare ferma e decise di imboccare la strada verso la scuola con l'intenzione di aspettare Johanna anche se mancava ancora un'ora. Sempre meglio che restare in quel posto, pensò.
Il tempo passò velocemente e in lontananza sentì la campanella suonare e subito dopo uno sciame colorato iniziò ad uscire. Poco dopo riuscì a distinguere Johanna che stava parlando con un ragazzino.
" Ma ti rendi conto di quanto sei stato fortunato, Nikko?"- la sentì esclamare.-" sei riuscito a copiare tutto il compito senza aver studiato. Non ti vergogni?"
Il ragazzino scoppiò a ridere, divertito dal disappunto di Johanna. Ville sorrise, decidendo di restare ancora al suo posto.
" Non ho mica rubato."
" Ma fammi il piacere!"
Alla fine entrambi scoppiarono a ridere. Proprio in quel momento Johanna si accorse della presenza di Ville. Gli sorrise allegra e salutò altrettanto allegramente Nikko, urlandogli che si sarebbero visti l'indomani sempre a scuola. Nikko, sembrò non rendersi conto della presenza di Ville, il ché forse gli risparmiò un precoce infarto. Johanna si avvicinò al finnico esclamando: " ciao!"
" Ciao, sweetie!"
Johanna fissò la sua faccia e capì che c'era qualcosa che non andava.
" Che cosa c'è?"- chiese sospettosa. Ville sorrise pensando a quanto sua figlia certe volte fosse identica a Marika. Stesso sopracciglio alzato ed espressione da madre che aspetta di sapere i guai combinati dal figlio.
" Nulla, testolina buffa."- rispose lui scompigliandole i capelli, come al solito.
" Dai, che cosa c'è? Lo vedo che sei arrabbiato, sai?"- insistette lei preoccupata, chiedendosi se non fosse lei la causa.
" Non è niente, nulla che ti debba preoccupare."- disse mettendo le sue mani sulle spalle della ragazza. Quel tocco sapeva di protezione, quella che Ville avrebbe cercato con tutte le sue forze di dare a sua figlia. Nulla doveva tormentarla o spaventarla, non quando c'era lui a difenderla. Johanna annuì sorridendo. Le veniva spontaneo sorridere quando lo faceva anche Ville. Con quel sorriso nessuno avrebbe pensato che suo padre avesse dei pensieri che lo tormentavano, nemmeno il miglior esperto del mondo.
" Andiamo?"- chiese Ville, mettendo da parte la rabbia. Con Johanna aveva scoperto che qualsiasi ansia, pensiero storto o angoscioso sparivano. E questo valeva anche per la rabbia.
Johanna decise di non voler indagare a fondo. Magari Ville si arrabbiava e Johanna non aveva nessuna intenzione di vederlo incazzato nero. Annuì e come succedeva sempre, Ville le offrì il suo braccio e insieme, a braccetto, fecero ritorno a casa a piedi.
Quando entrarono a casa un buon profumo di cibo giunse alle loro narici. Ville non aveva nemmeno chiuso la porta quando fu rapito da quel profumino. Jackie, come era nella sua natura, aveva deciso di mettere in ordine nella torre, anche se questo avesse significato una bella incazzatura da parte del finnico. Ma secondo le abitudini di Jackie, quella casa aveva bisogno di una sistemata.  E poi si era sbizzarrita in cucina, tanto non c'era nessuno a disturbarla.
Se per la seconda cosa era più che sicura di essere riuscita nell'intento di far felici e contenti padre e figlia, per la prima cosa, aveva qualche dubbio, soprattutto sul padrone di casa. Ma che cosa mai avrebbe avuto da ridire su una spolverata in soggiorno e un po' d'ordine? Non aveva mica disinfestato tutte le camere! La camera da letto del signor Valo compresa quella che faceva da " studio/ reparto proibito agli esseri umani", per esempio, non le aveva volute nemmeno aprire. Lei non era il tipo che si faceva gli affari altrui. Rispettava la privacy a differenza di Hanna, sempre pronta a portare disordine.
Ville per un momento credette di aver sbagliato casa, ma quella dannata aria familiare che lo perseguitava, gli diceva che si trovava nel posto giusto.
" Siete arrivati finalmente!"
Jackie sbucò dalla cucina con un largo sorriso. Accolse fra le sue braccia Johanna e guardò Ville che stava appendendo la giacca. Proprio in quel momento lui si voltò appena in tempo per vedersi osservato dalla newyorkese che immediatamente distolse lo sguardo tornando a guardare Johanna che stava parlando senza freno.
Le due andarono in cucina mentre lui, Ville, respirò a pieni polmoni, continuando a sorridere come un ebete. Stranamente la torre dopo tanto tempo gli sapeva di casa.
 
 
 

" Ville?"

Ville alzò gli occhi dalla chitarra sentendo la voce incerta di Jackie che era appena entrata nella sala dove erano presenti anche gli altri ragazzi. Era imbarazzata e per di più era la prima volta che si ritrovava lì con tutti i componenti della band. Ville le sorrise e mise immediatamente da parte la chitarra invitandola ad entrare e presentandola a tutti gli altri.
" Ragazzi lei è Jackie."
Mige che, dopo tutte le confidenze estorte al suo prigioniero, aveva già fatto la radiografia a Jackie, le andò incontro e le sorrise amorevolmente, come se fosse stata la ragazza del suo amico da una vita.
" Ciao a tutti."- disse Jackie sorridendo. Poi guardò Ville e nonostante l'imbarazzo della situazione, diventò più seria.
" Ehm, Ville, per caso ti sei dimenticato che oggi a scuola c'è l'incontro fra genitori e insegnanti?"
Ville sbiancò di colpo, ricordandosi immediatamente le parole di Johanna di quella mattina e a quanto ci tenesse.
" Dannazione!"- esclamò sconvolto.
" Tranquillo, sei ancora in orario. Solo che..beh..sei sparito in un attimo da casa e ho temuto che non te lo ricordavi.."- si giustificò Jackie sperando che il finnico non si arrabbiasse. L'uomo non si arrabbiò, anzi, sorrise dolcemente.

" Hai fatto benissimo a passare."- disse mettendosi la giacca.- " se non fosse stato per te, non ci sarei andato. Ma come ho fatto a dimenticarmene?"
" Amico, tu per quanto possa essere geniale, a volte hai davvero una memoria di merda."- sentenziò sapientemente Mige. Gli altri risero mentre Jackie lo guardò sorridendo senza prenderlo in giro.
" Può succedere."- disse poi entrando in completa antitesi con il tono canzonatorio di Mige. I ragazzi si guardarono e poi fissarono Jackie, attenti, come se lei fosse un alieno. O semplicemente, avevano capito che si trattava di un essere umano lontano anni luce dai comportamenti delle altre ragazze che erano passate di lì e che si spacciavano per amori eterni di Ville.
Proprio Ville in quel frattempo annuì rincuorato alle parole di Jackie, sempre pronte a farlo sentire diverso e poi guardando gli altri disse: " io vado. Mi raccomando, provate quel pezzo senza farmi bestemmiare."
" Ok, capo!"- esclamò Gas salutandolo con il gesto militare.
Quando Ville e Jackie andarono via, nella stanza calò il silenzio. Tutti si erano seduti, ognuno perso nei propri pensieri. Ognuno intento a giocherellare con i propri strumenti senza parlare. Ma uno di loro era quello più inquieto e altri chi non poteva essere se non Mige?
"Ci sono!"- esclamò ad un tratto con tono trionfale dopo essersi alzato di scatto dal divanetto. Gli altri ragazzi uscirono dal loro stato di atarassia e lo guardarono allarmati.
"Che hai?"- chiese Linde. Mige camminò per un po' raggiungendo la porta chiusa e poi si girò verso tutti con un gran sorriso.
"Mi è venuta in mente un'idea geniale!"
Non era buon segno quando Mige pensava. Infatti gli altri si guardarono preoccupati e poi tornarono con lo sguardo sul bassista.
" Non ci vuoi rendere partecipi?"- chiese gentilmente Gas, beccandosi un'occhiataccia da Burton e Linde. Mige si sfregò le mani e disse: " facciamo in modo che in questi giorni Ville e Hanna non si vedano."
"Che cosa?"- esclamarono Linde e Gas in coro decisamente sconvolti.
" Ma tu non eri quello che non si sarebbe più intromesso nella vita sentimentale di Ville? E poi cosa significa quel " facciamo"?"- chiese invece Burton con un tono di rimprovero. Mige scosse la testa e si avvicinò al gruppetto che lo stava guardando come se fosse un alieno.
" Beh siamo una squadra, no? E poi, scusa ma non posso cambiare idea? Ville ha bisogno di sistemarsi come si deve, ha bisogno di qualcuno che lo accompagni e che lo consigli nelle sue scelte. Ha bisogno di un tipo di donna come Jackie, capite? E poi non so voi, ma per me lei è quella giusta. È il tipo di Ville e lo sappiamo tutti. E poi c'è Johanna che ama Jackie! Insomma sono una famiglia!"
" Sì, ok hai ragione, ma questo lo pensiamo noi non Ville. Secondo me sbagliamo a metterci in mezzo."- commentò Gas.
"Oh su! Chi di voi sopporta Hanna? Tutti? Non ci credo."- sbuffò Mige contrariato.
"Ma non sono affari nostri!"- esclamò Linde.
"Sì che lo sono. Fino a prova contraria lei viene qui a rompere quando non sa dove andare. E si sbaciucchia continuamente con Ville. E Ville quando c'è lei non è se stesso con noi."- ribatté deciso Mige con lo sguardo infuocato. Linde, Gas e Burton restarono in silenzio, scambiandosi una nuova occhiata. Beh, non che Mige avesse torto! La situazione era piuttosto sofferente quando c'era Hanna a rompere le scale.
"Cosa vorresti fare allora?"- chiese Burton a nome di tutti.
Mige sorrise, con un brillio sinistro negli occhi.
"Beh..la fortuna ha voluto che Ville nella fretta di andarsene, lasciasse qui il cellulare. E conoscendolo possiamo stare tranquilli che non se ne accorgerà.."
"Ci spieghi, o grande genio, come funziona questa tua idea?"- chiese Linde.
Mige assunse un'aria di importanza.
"La mia idea è quella di chiamarla e dirle che Ville si è ammalato. Sappiamo bene che lei non è il tipo di ragazza che soccorre gli ammalati, avendo paura di prendere un minimo raffreddore.."
"Sì, ma lei non ci crederà."- disse Gas.
"Lei non ci crederà se tu non fingi di essere Ville."
"Un momento! Tu vorresti che uno di noi imiti la voce di Ville?"- chiese Linde sconvolto.
"Esattamente."- rispose Mige saggiamente.
" Non ti è passato per la testa che Hanna potrebbe mandargli dei messaggi?"
" Vi preoccupate inutilmente!"- esclamò Mige. - " Ville mi ha detto che questa settimana Hanna ha molto da fare e che l'avrebbe vista poco. Quindi, non manderà nulla di nulla, potete stare tranquilli! A maggior ragione ora che saprà che Ville non potrà farle ballare il mambo ogni santa volta che si vedono."
Tutti scoppiarono a ridere a quelle parole.
" Tu ti sei fatto di qualche sostanza. Ti rendi conto di che voce stiamo parlando? E tu vorresti anche qualcuno che la imitasse?"- disse Linde continuando a ridacchiare.
" Linde, sveglia! Stiamo parlando di Hanna! Per lei non esiste nemmeno una differenza fra la scimmia e il suo sedere, figuriamoci se riesce a capire la leggera differenza di voce di Ville."
"La leggera differenza."- sottolineò ridendo Burton.
" Beh, però Mige non ha tutti i torti."- commentò Gas guardando Linde e Burton.
" Allora siete d'accordo?"- chiese Mige sorridendo.
" Scusa se mi faccio i fatti tuoi, ma chi interpreterà Ville?"- chiese Linde.
"Lui."- rispose con semplicità Mige indicando Burton.
"Io?"
"Sì dai! Tu sei bravo ad imitare le nostre voci!"- disse Gas. Burton guardò gli altri e dai loro sguardi capì di essere stato messo in gabbia. Così guardò minaccioso Mige e gli puntò un dito contro.
"Mi devi una birra."
"Tutto quello che vorrai."
Burton sbuffò e poi disse: " dammi il cellulare."
Mige felice come un bambino, prese dalla tasca il cellulare di Ville e glielo diede.
"Metti il vivavoce. Vogliamo sentire anche noi."- disse Linde che sembrava essere quello più emozionato all'idea di prendere in giro Hanna, ma anche gli altri non scherzavano. Burton gli guardò e sorridendo disse: " siete proprio degli impiccioni."
 
 
 
La luce del mattino era molto debole. Filtrava dalle nuvole bianche che coprivano il cielo, evidentemente cariche di neve e nel suo piccolo viaggio, colpiva la finestra proiettandosi nella camera di Ville, accarezzando il suo volto, senza svegliarlo.
Ville, sembrava proprio non avere voglia di svegliarsi. Le sue palpebre erano serrate e se anche qualcuno avesse voluto staccarle, non ci sarebbe riuscito. Il motivo era semplice: era riuscito a cadere fra le braccia di Morfeo verso le cinque del mattino assistendo in diretta alla tempesta di neve che si era abbattuta all'insaputa di tutti. Pian piano i suoi occhi si chiusero e lui dovette cedere abbandonandosi sul letto e chiudendosi in un mondo accessibile solo a lui.
La sua testa era così piena in quei giorni che non riusciva davvero a rilassarsi. Aveva troppe domande a cui rispondere, troppe sensazioni strane a cui lui non era abituato, o almeno, non lo era più e una serie di parole che spesso trovavano luce nei fogli stropicciati che lui buttava a terra quando capiva che non avevano la magia che gli serviva. La chitarra era adagiata delicatamente a terra accanto al letto e i tenui raggi del sole mostravano una piccola scia di pulviscolo che andava a colpire le sue corde.
Ville in quel momento storse il naso e si voltò dall'altra parte, quella ancora quasi del tutto nascosta dai raggi del debole sole.
Perché si sentiva in quel modo?
Era difficile spiegare cosa sentisse, molto difficile. Non sapeva bene come definire quella specie di benessere che provava quando tornava a casa o il calore che si diramava nel suo corpo quando era semplicemente seduto rilassato sul divano pronto ad ascoltare ciò che gli raccontava Johanna.
Forse, in fondo, c'era qualche altro fattore che contribuiva alla crescita di tale fenomeno, ma non sapeva se essere effettivamente convinto delle risposte che aveva cercato autonomamente.
Una parola era sicura in tutto ciò che pensava.
E quella parola era Jackie.
Durante la notte aveva scosso più volte la testa, pensando bene che avesse preso un abbaglio. Non poteva essere lei la causa, non proprio lei.
" Tu sei un brav'uomo, Ville. Cerca di nasconderlo a chi vuole approfittarsi di te."
Quella frase continuava a ritornare nella sua testa e anche se erano passati alcuni giorni dalla famosa chiacchierata, trovava difficile cancellare quell'ultima parte. Nessuno, prima di allora, gli aveva detto una cosa del genere. Era davvero così?
Era davvero così bravo da rendersi perfettamente schiavo di chi invece riusciva a farlo soffrire o lo rendeva diverso da se stesso? Forse era vero. Forse lui era molto vulnerabile, nonostante la maschera che indossava e che a quanto pareva non riusciva a coprire del tutto le sue debolezze, almeno non a Jackie. Forse doveva lavorare su se stesso.
Era così tutto dannatamente soffice in quel momento, così fottutamente comodo che quella specie di bolide che sentì piombare su di sé inizialmente non l'aveva nemmeno avvertito.
" Ville! Ville! Villeee!"
Fu solo quell'urlo gioioso a fargli capire che la sua pacchia era finita. Johanna gli stava smontando una spalla e per giunta continuava a smuoverlo chiamandolo ad alta voce, un suono che per le orecchie addormentate del finnico era solamente fastidio. Alla fine, nonostante la sua debole resistenza, Ville aprì gli occhi ancora impastati di sonno e lentamente voltandosi verso sua figlia mugugnò: " si può sapere perché diavolo stai urlando?"
Johanna gli sorrise, contenta di essere riuscita a svegliarlo.
"C'è la neve ed è anche tanta! Usciamo? Usciamo? Usciamo?"- ripeté facendo gli occhi dolci.
Ville, che non voleva essere brusco con la sua giovane erede, sbatté più volte le palpebre e si alzò di poco stropicciandosi gli occhi e guardandosi intorno leggermente spaesato.
"Ma che ore sono? Che giorno è? Non dovresti essere a scuola?"
Johanna ridacchiò e rispose: " sono le nove del mattino e oggi è domenica e che io sappia la domenica non si va a scuola."
" Bene, grazie dell'informazione."- disse Ville tornando a mettersi comodo e volgendole le spalle.
" Nooo! Che fai? Ti rimetti a dormire? Non puoi!"- esclamò scandalizzata Johanna, tornando all'attacco.
Ville nonostante tutto, ridacchiò senza farsi vedere e tornato serio, si voltò verso di lei e con la sua voce più profonda del solito, dovuto al sonno, disse: " ok! Va bene! Hai vinto."
 
Se lo ricordava bene quel giorno. Esplanade Park  era completamente ricoperto di neve. Ville adorava la sua città e durante quel periodo dell'anno, Helsinki era particolarmente bella. Amava passeggiare da solo e la gente che incontrava riusciva a metterlo di buon umore. Stava camminando da un bel po' e sentiva che le sue gambe si erano stancate. Così decise di sedersi su una panchina nascosta da un albero i cui rami nudi erano stati rivestiti dalla sola neve. Quando si avvicinò si accorse che la panchina era occupata. Una ragazza con dei grandi occhi chiari e i capelli castani, che mossi gli ricadevano sulle spalle, incrociò il suo sguardo. Ville restò immobile e imbarazzato. Non aveva avuto nessuna intenzione di disturbare, specie se si trattava di una ragazza. Lei invece lo guardò curiosa e con un'espressione buffa. Di certo indietro, Ville non poteva tornare. Quel volto particolare era riuscito ad imprigionarlo.
" Ehm scusa.."- esordì Ville ancora più imbarazzato cercando di trovare un modo per andare via.
" Di cosa? Puoi sederti se vuoi."- rispose lei sorridendo cordiale. Quel sorriso Ville non riuscì più a dimenticarlo, come tante altre cose. Ancora imbarazzato sorrise e annuì.
" Piacere, Ville."- disse porgendole la mano.
" Marika." - rispose. La sua mano era calda e molto più piccola della sua. La sua voce era leggera, melodiosa e riuscì immediatamente a stamparsi nella mente del ragazzo. A quel tempo Ville e Marika non sapeva che sarebbero diventati una cosa sola e così importati l'uno per l'altra.
Le giornate di Ville iniziarono a riempirsi grazie alla sua presenza. Si incontravano spesso, anzi molto spesso, per qualsiasi scusa. Marika cominciava ad abituarmi a lui e quei giorni in cui non si incontravano Ville si sentiva vuoto . Parlavamo di molte cose e ogni volta scoprivano di avere in comune molte più cose di quanto volessero ammettere a loro stessi.

 
Ville era così preso da quel ricordo che non diede nemmeno ascolto a quello che gli stava dicendo Johanna. Solo quando fu colpito in piena faccia da un gran bella palla di neve, si pentì per essersi lasciato andare al passato. Quel colpo era stato abbastanza forte.
" Johanna sferra il suo attacco e..colpisce!"- esclamò vittoriosa saltellando.
Ville si tolse la restante neve dagli occhi dopo aver sputato quella che involontariamente era finita in bocca e la guardò arrabbiato.
" Ma sei impazzita?"- esclamò.
" Lo sapevo io che le rock star sono delle schiappe."
" Schiappa a me? Inizia a correre."

Ville sembrò ritornare ragazzino o semplicemente per la prima volta si sentiva come quei padri che la domenica portavano al parco i propri figli e giocavano insieme. E non importava se Johanna era più grande di quei marmocchi urlanti che solitamente popolavano il parco la domenica mattina: era sua figlia e lui aveva tutto il diritto di divertirsi con lei.
Iniziarono a rincorrersi e a buttarsi palle di neve a non finire, mentre Jackie seduta sulla neve per conto suo, scattava a ripetizione un sacco di foto, molte delle quali avevano come soggetto proprio Ville e Johanna. Si sentiva come uno spettatore attento alle scene di un film. Avvertiva una grande sintonia fra i due in quel momento ed era felice di vedere Johanna così serena, così..amata da qualcuno che non fosse lei.
Nel frattempo Ville sbucò fuori da un albero e colpì in pieno volto Johanna con la sua palla di neve creata in pochissimi secondi.
" Muahahahaha!"
Johanna lo fissò immobile mentre Ville se la rideva imitando la voce malvagia.
" Non vale!"- esclamò alla fine fingendosi arrabbiata.
" Certo che vale!"
" Vuoi la guerra? E guerra sia."
Continuarono ancora per qualche minuto. Finirono per cadere e rotolare sulla neve come due bambini, ridendo come matti. Jackie sorrideva, ma restava al suo posto perché non aveva nessuna intenzione di interrompere quel bellissimo momento. Ville aveva bisogno di stare solo con Johanna, e poi voleva capire se davvero poteva star tranquilla. Ma poi accadde qualcosa che scosse la sua tranquillità. Una palla di neve la colpì alle spalle e lei restò immobile scioccata. Sia Ville che Johanna comparirono in poco tempo accanto a lei.
" Oops!"- esclamò Johanna.

" Che sbadati.."- continuò Ville fingendosi dispiaciuto. Jackie si alzò di scatto, posò la reflex nella sua borsa, che lasciò a terra, e fissando entrambi seriamente disse: " ve la faccio mangiare.."
" Che paura!"- esclamarono in coro i due.
E fu così che alla battaglia si aggiunse anche Jackie con la sua mira impeccabile. La maggior parte delle palle di neve furono destinate al finnico che, ahimè, non riuscì a schivarle e fu colpito per ben sei volte su sette.
" Quanto mi dispiace!"- disse Jackie mentre Johanna si sbellicava dalle risate. Si era fermata per riprendere fiato e ora assisteva alla personalissima lotta di Jackie contro Ville. Entrambi erano in gamba, ma forse Jackie un po' di più.
" Quanto sei simpatica!"- disse Ville giocherellando con la sua palla di neve.
" Avanti, butta!"- disse Jackie indicando la palla.
Johanna continuò a guardarli e un senso di serenità la pervase. Non si era mai sentita così bene come in quel momento, lontana dalle angosce e dalle ansie che aveva dovuto patire per tutti quegli anni e ancora di più durante gli ultimi mesi. Un sorriso le comparve spontaneamente sul volto mentre si appoggiava all'albero.
Ville aveva intrappolato Jackie fra le sue braccia e cercava in tutti i modi di sporcare di neve la sua faccia.
" Ehi!"- esclamò Jackie continuando a ridere.
" Darling non puoi sfuggire."- disse Ville ridacchiando.
" Questo lo dici tu."
E con grande abilità, Jackie riuscì a liberarsi e corse verso Johanna.
" Sei pronta?"- chiese ancora con il fiatone.
" Certo."- sussurrò Johanna. Entrambe uscirono dal nascondiglio pronte a colpire Ville, solo e senza alleati.
"Che volete fare?"- chiese indietreggiando. - " tu sei una traditrice."- continuò indicando sua figlia che stava morendo di risate.
Ville, nonostante stesse per ricevere una grandissima sconfitta, stava bene. Non avrebbe mai pensato di sentirsi così tanto a suo agio o che potesse divertirsi così tanto in maniera semplice, senza strafare o altro.
Si era dimenticato perfino di Hanna, della musica, di tutto ciò che fino a poche ore prima stava pensando.
In quel momento le uniche cose che voleva vedere, erano sua figlia così serena e Jackie così sciolta, ma soprattutto la prima, visto che era un evento raro vedere Johanna così allegra, più di quanto dimostrasse gli altri giorni.
 
 

" Siamo nella merda."

L'entrata entusiasmante di Seppo in casa Valo il martedì pomeriggio monopolizzò l'attenzione dei presenti. Jackie posò le maglie appena stirate sul divano, Johanna smise di leggere e Ville alzò gli occhi dalla sua chitarra. Tutti e tre con aria preoccupata. Seppo, felice di averli distratti, si sedette sulla poltrona di fronte a Ville e sospirò.
" Che sta succedendo?"- chiese il finnico.
" La ragazza che doveva farti il servizio fotografico ha deciso di licenziarsi perché ha avuto problemi con il suo capo e non c'è nessuno che può sostituirla. Ho provato a cercare altri, ma sono tutti occupati!"
" Non preoccuparti, Seppo."- disse Johanna risoluta dandogli una pacca sulla spalla.- " io posso risolvere il tuo problema."- continuò con l'aria di chi sapeva molte cose, cose che né Seppo, né Ville o Jackie potevano sapere.
" Johanna non ho voglia di scherzare oggi."- disse Seppo scoraggiato.
" Ma non sto scherzando!"- esclamò Johanna, che perse la sua saggezza in poco tempo. Guardò Jackie e sorridendo la indicò agli altri dicendo: " Jackie è una fotografa professionista."
Seppo spalancò gli occhi, come se fosse stato colto da un'improvvisa illuminazione. Lui sapeva molto bene chi fosse Jackie e non perché gliel'avesse presentata Ville. Semplicemente lui conosceva un bel po' di gente e da questo giro aveva appreso le informazione necessaria della grande bravura e fama di Jackie come fotografa. E poi le stava simpatica, ma questo era solamente un'aggiunta personale che non tutti sapevano.
" Come ho fatto a non pensarci prima?"- esclamò con la mano ancora vicino alla bocca, in evidente stato di meraviglia.
" Johanna ma che stai dicendo?"- chiese Jackie cercando in tutti i modi di far scomparire Johanna.- " vai a fare in compiti.."
" Dico la verità, Jackie."- continuò Johanna resistendo alle spinte di Jackie.- "Lei è bravissima, Seppo."
Ville guardava Jackie e il suo crescente imbarazzo. Ridacchiò senza farsi vedere, mettendosi la mano davanti alla bocca e facendo passare la sua espressione divertita come una pensierosa.
" Jackie, saresti la nostra ancora di salvataggio."- disse Seppo quasi implorandola. Jackie smise di spingere Johanna e fissò il manager.
" Se la mettiamo in questo modo, immagino che non posso dire di no."- disse alla fine.

" Esattamente."
" Va bene, allora..facciamo questo servizio fotografico."- disse sospirando, senza guardare Ville che in quel momento fece finta di nulla, riprendendo la sua chitarra e beccandosi uno sguardo infastidito da Seppo, che non sopportava la noncuranza di Ville quando si trattava di questi piccoli dettagli. In realtà non poteva sapere che la piccola creatura annidata nello stomaco di Ville stava facendo i salti mortali senza che il finnico stesso se ne rendesse conto.

" Grazie, Jackie!"- esclamò Seppo andandole vicino e stringendola in un abbraccio che sconvolse un po' tutti i presenti. - "Verrai pagata benissimo!"
" Ma non ce n'è bisogno!"- si affrettò a dire la ragazza imbarazzata.
" E invece sì! Specie se hai a che fare con uno come quel ragazzo seduto sul divano che ha una faccia di bronzo da oscar."- disse Seppo senza guardare Ville, che alzò lo sguardo pigramente sull'uomo senza parlare.
Poi Seppo diede una pacca sulla spalla a Johanna e andò via felice e contento, lasciando nel panico più  totale Jackie.

 

 

 

 

 













































L'ANGOLO DI VALS:
Eccomi di ritorno!!
Beh allora? Ora cosa succederààààà?!??!
Eeeeh tante belle cose xD
Ringrazio come sempre le giovani donzelle che sono qui e che mi danno sostegno e anche ai fantasmi che leggono e spariscono. LO SO CHE CI SIETE u.u <3
Bene, ci vediamo al prossimo capitolo!!!
Vals :D




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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***












Dear Father

Capitolo 16

 

" Aspetta! Prima di chiamarla facciamo una prova."- disse Mige bloccando Burton.
Burton annuì tenendo il cellulare in mano, si schiarì la voce e recitò:  "amore.."
La voce profonda si avvicinava a quella di Ville, ma non era così identica come si poteva pensare. Era giusta per ingannare quella svampita di Hanna e nessun altro.
" Ma che amore! Chiamala Hanna."- esclamò Linde disgustato.- " Ville non la chiama quasi mai così.."
" Hanna.."- si corresse Burton. Disse qualche parolina di circostanza che convinse gli altri e subito dopo partì la chiamata, naturalmente con il vivavoce.
" Amore, dimmi tutto."- rispose mielosa Hanna appena accettò la chiamata.
Mige e Linde fecero finta di vomitare.
" Hanna..ascolta..io sono molto raffreddato."- e dopo averlo detto, Burton fece finta di starnutire.-" non mi sento molto bene..ho mal di gola, mal di testa..non mi sento per niente in forze. Credo che sia meglio se non ci vediamo in questi giorni..potrei essere contagioso e io non voglio che tu stia male per colpa mia.."
" Oh amore! Povero!"- esclamò più sdolcinata di prima.
" Ti prego, ammazziamola."- sussurrò Linde a Gas.
" Ssh!"- Mige li richiamò all'attenzione.
" Mi dispiace non poterti stare vicina.."

" Non di preoccupare, darling. Ti chiamerò io una volta che starò meglio."- rispose Burton ormai spazientito da quella voce.
" Va bene.."
E dopo un'altra serie di ' amore' e ' tesoro', la telefonata terminò con apparente successo.
" Siamo sicuri che non si farà viva?"- chiese Gas.
" Ti ricordi la volta in cui Ville ha avuto uno dei suoi bruttissimi attacchi d'asma?"- chiese Burton.
" Sì.."
" E ricordi cosa fece?"
" Scomparve, prendendo la scusa del " non potevo stare con te perché vederti in quel modo mi faceva stare male e io non sapevo cosa fare". Bella faccia di cazzo."- commentò alla fine Gas infastidito.- " Ma che ci trova di bello in una così?"
" Non lo so. Credo che sia più un fattore di estetica, nel senso che lui per sentirsi più sicuro e al centro dell'attenzione, utilizza ragazze belle e divine per far capire agli altri che lui può. Penso che faccia così soprattutto per avere la sua rivincita personale contro tutte quelle ragazzine che a diciassette/ diciotto anni lo vedevano come un rospo. Ma non capisce che in realtà facendo così sbaglia..insomma la bellezza può fare la sua figura, questo dobbiamo dirlo,  ma solo fino ad un certo punto. Poi muore e se non c'è altro dopo non puoi dire di aver trovato l'amore della tua vita. Non puoi aggrapparti a quel pezzo di diamante che si sgretola giorno per giorno solo per far credere agli altri che nella bellezza perfetta trovi anche l'amore. Non sempre è così, anzi quasi mai."- spiegò Mige.
I ragazzi lo guardarono scioccati, ma annuirono convinti.
" Sai, dovresti fare lo psicologo."- commentò alla fine Linde sorridendo.- " ti ci vedrei molto bene."
" Ma smettila."- disse Mige sorridendo a sua volta.
 
 


Una stanza abbastanza grande con dei riflettori e una macchina fotografica da professionista: queste erano le due cose che trasformavano Jackie in pochi secondi, rendendola assolutamente diversa, professionale, con quell'aria di donna indipendente che non aveva bisogno di nulla, abile e intelligente come poche e sicura del fatto suo e del lavoro che stava per compiere. Ville la osservava attentamente mentre era prigioniero della truccatrice, in piedi davanti ad uno sfondo bianco, seriamente preoccupato per quella strana luce che gli occhi di Jackie riflettevano mentre studiava attentamente i dettagli. Sembrava pura follia, o semplicemente, era la passione che si stava impossessando della bella newyorkese, come lui la definiva nella sua mente. Quell'aggettivo, gliela rendeva più misteriosa e fascinosa, come se tale appellativo la rendesse diversa, insolita, proveniente da un mondo parallelo.

La guardava senza che lei se ne rendesse conto, studiava i suoi movimenti e il suo continuo sistemarsi il ciuffo che le ricadeva davanti agli occhi. Alla fine Jackie decise di legarsi i capelli alla belle e meglio e iniziò a sistemare i riflettori.
Quando la truccatrice andò via, Ville si sentì decisamente meno infastidito e poté bearsi meglio dei movimenti di Jackie.
" Allora Mister Valo, sono tre le cose che dobbiamo mettere in chiaro in questa stanza."- annunciò seria Jackie muovendosi con sicurezza nel suo ambiente, spegnendo e accedendo le luci alla ricerca della giusta atmosfera.- " uno: non ho intenzione di farmi distrarre dalle tue solite scemenze. Due: dovrai fare quello che ti dico io senza obiettare nulla."- sistemò il riflettore più vicino senza guardarlo.- " e tre: al tuo primo attacco di scazzo, ti ritroverai sbattuto fuori a calci. Ti è tutto chiaro?"
Nessuna donna prima di allora lo aveva richiamato all'attenzione in quel modo. Solitamente tutte abboccavano al suo amo, ci stavano anche quando venivano trattate male e poi scomparivano perché lui voleva così. Nessuna apriva bocca per dirgli qualcosa che non fosse quello che lui desiderava sentirsi dire. Tutte erano così dolci con lui..eccetto Jackie. Un pensiero orrendo a quel punto si fece spazio nella sua mente. E se Jackie fosse fidanzata e per questo si comportava così adorabilmente da stronza? Bella roba. E perché lui al solo pensiero si sentiva ansioso?
Nonostante le sue ansie, Ville in quel momento riuscì a restare impassibile. Non aveva voglia di attaccar briga perché temeva che potesse mettere in pericolo il rapporto costruito e soprattutto che la sua collera potesse distruggere la sua speranza di tenere Johanna lì ad Helsinki con lui. Per la prima volta trattenne la sua irritazione, non espose le spine e stampandosi un sorriso ironico disse: " chiaro, my darling."
" E non chiamarmi ' my darling'."- disse lei infastidita.
" Preferisci dolcezza?"

" Preferisco Jackie. Grazie."
" Sei talmente acida che ho paura del pavimento. Potresti corroderlo con i tuoi passi leggeri."
Era più forte di lui dover provocare la gente, specie se si trattava di gente con le palle che a lui piaceva. Jackie lo guardò seria, sapendo bene che di tutto quello che aveva detto, Ville non avrebbe rispettato nessun punto, o forse l'ultimo.

Forse era stata un po' dura e se ne rese conto solo quando ebbe terminato l'ultima regola, quella più cruda. Aveva sbagliato a trattarlo in quel modo, quasi si vergognava per avergli parlato con quel tono infastidito, ma non riusciva davvero a trattenersi quando Ville le faceva quello sguardo malizioso e provocante. La infastidiva e non poco, anche se doveva ammettere che era stramaledettamente affascinante e sexy quando si comportava in quel modo. Per dispetto a ciò che le faceva sentire, quel brivido strano che le smuoveva perfino lo stomaco, e anche per quello che le aveva appena detto, gli puntò il riflettore dritto negli occhi.
" Ehi! Hai intenzione di accecarmi?"- chiese arrabbiato Ville coprendosi gli occhi.
" Scusa, non era mia intenzione."- rispose lei con finto tono dispiaciuto.  Ville tornò a guardarla e più lo faceva e più voleva provocarla, ma si astenne dal farlo in quel preciso istante perché pensò a Seppo, ai rimproveri che si sarebbe beccato se il servizio fotografico non si sarebbe svolto nei migliori dei modi e a Johanna. Lei aveva sempre un posto nei suoi pensieri, specie se bisognava pensare al futuro e al fatto che lui non voleva mettersi contro la sua zia super.
" Bene, iniziamo."- disse infine Jackie prendendo la reflex. Ville aspettò le indicazioni e senza fiatare le seguì, naturalmente vendicandosi.
Sapeva l'effetto che faceva sulle donne quando alzava un sopracciglio o spostava una mano ed era sicura che Jackie non fosse da meno. In fondo era una donna.
Ad ogni scatto la salivazione di Jackie cessava. Più andava avanti e più trovava difficile suggerirgli le pose. Almeno due volte restò a fissarlo da dietro l'obiettivo senza scattare quella dannata foto che serviva, dimenticandosi di cogliere l'attimo e finendo per imbarazzarsi trovandosi le guance rosse. Non sapeva nemmeno lei cosa pensare e cosa fare. Per un millisecondo aveva pensato bene di comportarsi come tutte le altre donne normali del mondo e saltargli addosso. O forse quelle donne non erano tanto normali..insomma saltare addosso alla gente non era proprio sintomo di normalità. Eppure c'erano molte donne che avrebbero fatto carte false per atterrare su Ville Valo anche solamente per strappargli un capello o nel peggiore dei casi, le mutande.
" Stai bene?"- chiese ad un tratto Ville quando lei era più vicina. Le afferrò il braccio facendola voltare verso di lui e non dandole modo di vedere altre cose se non lui, i suoi capelli mossi e all'altezza delle spalle, il suo petto pieno di tatuaggi e atletico a modo suo. Jackie sfidando le leggi delle natura, lo fissò negli occhi e sorridendo rispose: " sì, è tutto ok?"
" Non si direbbe.."- insistette Ville preoccupato. In realtà la sua era una finta preoccupazione perché sapeva bene che a provocare tutto lo scombussolamento che leggeva negli occhi di Jackie era dovuto a lui. Almeno questo dimostrava che Jackie non era così aliena come aveva pensato. Era di carne ed ossa, specie di carne piazzata bene nei punti strategici. Hanna in quel momento era semplicemente un vecchio carillon in riparazione.
" Sto bene, my darling."- disse Jackie rimarcando le ultime due parole con sarcasmo.- " su, non fermiamoci, stiamo quasi finendo."
E finalmente tornerò a respirare come si deve.

 
 
" Non ti facevo così loquace."
Passi piccoli, attutiti dalla neve, uno accanto all'altra. Il risultato finale di quel servizio fotografico non fu sesso sfrenato come la tensione e l'attrazione cosparsi nell'aria facevano pensare, bensì uno scioglilingua continuo, uno sproloquio eccessivo da parte di Ville. Ciò era strano, ma normale se si trattava di Jackie. Con lei riusciva a parlare all'infinito senza stancarsi e senza pensare che probabilmente la donna si stancasse facilmente dei suoi discorsi. Eppure a Jackie piaceva sentirlo parlare. Era attratta dai suoi modi e dalla sua voce, soprattutto quest'ultima che era decisamente passionale e profonda. Dettagli che difficilmente riuscivano a non segnare il bersaglio. Jackie in quel momento sorrise notando il silenzio che ne derivò dalle sue parole. Pensava di ritrovarsi un Ville impacciato e imbarazzato e invece quando lo guardò di nuovo si ritrovò due fanali verdi che la osservavano divertito. Per un attimo pensò di essere morta. Era uno sguardo così diretto, dannazione!
" Beh..lo sono di più quando mi trovo in compagnia di belle ragazze."
Jackie scoppiò a ridere, una risata troppo acuta per essere spontanea.
" Certo!"- rispose sarcastica.

" Non mi credi? Le belle ragazze hanno questo effetto su di me. Sono interessanti, specie quando continuano a sistemarsi il berretto che non ha nulla che non va."
E a quel punto Jackie smise di toccare il berretto e arrossì lievemente. Sorrise ancora una volta e tossicchiò per cercare di far fuori l'imbarazzo. Continuò a camminare a differenza di Ville che si era fermato.
" Quindi quando sei in compagnia di una racchia ti chiudi nel mutismo assoluto o inizi a fare sfoggio del tuo più schietto disinteresse?"
" Sì, probabile."- rispose lui tornando ad avvicinarsi.
" Che sfacciato!"- esclamò lei scuotendo la testa.- " e quindi, da come stai parlando, io rientrerei nella prima categoria."
" Esatto, darling. Immagino che se il tuo ragazzo fosse qui e mi sentisse dire questo, mi darebbe un bel cazzotto."-  lasciò che quelle parole venissero annunciate con una certa noncuranza, da tipo attore, quello che Ville cercava di fare con scarsissimi successi. Eppure in quel momento apparve così convinto che quasi ebbe timore che la risposta di Jackie sarebbe stata orripilante. Jackie, lo fissò come se avesse visto un fantasma. Il semplice nome  'il tuo ragazzo' la faceva star male. Perché quando qualcuno le faceva una domanda in cui l'aggettivo possessivo 'tuo' era vicino al nome 'ragazzo', lei pensava immediatamente al suo ex, probabilmente l'essere più stronzo che Dio aveva forgiato dalle sue formine. Lei era stata perdutamente innamorata di lui senza rendersi conto che Frank, così il suo nome, la tradiva quanto gli pareva e che lo facesse con la stessa spontaneità con cui le ricordava il suo " ti amo".
Ville, notando quell'espressione preoccupata aggiunse: "ho detto qualcosa che non va?"
Era serio questa volta, sicuro di aver fatto una cavolata.
" Nulla.."- disse Jackie scuotendo la testa. Si ammutolì accelerando il passo. In pochi secondi immagini non piacevoli tornarono a popolare la sua testa, come vecchi film che ogni tanto resuscitavano portando scompiglio.
" Tutto okay?"- continuò Ville afferrandola per un braccio. Jackie finì per alzare la testa e guardarlo. L'espressione così dolce di Ville, la fece sorridere spontaneamente.
" Sì."- rispose alla fine.-" e comunque non ce l'ho il ragazzo."
A quelle parole Ville si sentì decisamente alleggerito.
" Oh, pensavo che..beh..insomma..sei una bella ragazza..non immaginavo che tu fossi..single."- cercò di celare la contentezza che sentiva, fermandosi ad ogni parola per assumere un tono più serio. Jackie sembrò non farci caso, anzi non lo stava nemmeno ascoltando come Ville se ne accorse due minuti più tardi.
" Sai quel è il bello dei cuori infranti, Ville?"- chiese Jackie all'improvviso. Ville guardò spiazzato la ragazza. Restò attento e scosse la testa.
" Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono solo graffi."
Ville, ancora una volta spiazzato, restò in silenzio.
" Ti ha tradita."- disse poco dopo.
" Con la mia migliore amica."- continuò lei sospirando. Era chiaro che l'evento era recente, altrimenti Jackie non si sarebbe rattristata.
" Ah, brutta storia."- commentò Ville avvicinandosi a lei. Le posò incerto una mano sulla spalla, temendo che potesse ammazzarlo da un momento all'altro e invece lei appoggiò la mano sulla sua. Jackie non seppe mai perché fece quel gesto e perché chiuse gli occhi quando Ville le toccò la spalla. A dire il vero non sapeva nemmeno perché si sentissi ad un tratto così strana.

Per quanto Ville potesse essere stupito da quel gesto, continuò a guardarla con dolcezza. Anche lei aveva sofferto per amore..
" Non volevo farti rabbuiare..scusami."
" Tranquillo..è tutto ok."
" Sicura?"
" Sicura."
Alla fine entrambi camminarono uno vicina all'altra senza parlare. Erano quasi arrivati a casa quando Jackie finalmente decise di rompere il gioco del silenzio.
" E' strano.."
" Cosa?"- chiese Ville confuso.
" Beh, che io stia parlando davvero con te. Tengo a precisare che non sono una tua fan incallita, ma comunque sei un personaggio famoso e..beh non sono abituata. Però.."
" Però?"
Jackie si fermò e lo fissò.
" Non sei come avevo pensato."        
" E cosa avevi pensato di me?"- chiese curioso Ville.

" Beh, diciamo che non erano delle belle cose.."
" Immaginavo.."
" Nel senso che..che queste cose negative le ho pensate quando hai portato Johanna lontana da me a da New York..mi ostinavo a pensarle anche ora..ma non ci riuscivo del tutto. Cioè non le penso..più."
" Puoi farmi il riassunto? Non ho capito."
" Dovevi mettere i sottotitoli."- rispose lei sorridendo come stava facendo Ville.
 
 

Era sera ormai e la giornata sembrò terminare, tra agitazioni e attacchi cardiaci, in maniera tranquilla. Johanna entrò in salotto dove trovò Ville sul divano, ma nessuna traccia di Jackie. Si sentiva strana, aveva freddo e le faceva male la testa. A dirla tutta era da quel pomeriggio che si sentiva così. Non le era bastata la battaglia di neve con suo padre! Ne fece un'altra con Marianne, Arja e Nikko, rischiando di cadere per ben tre volte.

Si sentiva anche stanca e questo pensava che fosse dovuto alla giornata intensa che aveva trascorso e invece gli occhi lucidi e le guance leggermente rosse mettevano il tutto su un altro piano. Ville la guardò sedersi accanto a lui e vedendola così calma si allarmò.
La guardò con insistenza tanto da farle chiedere: " che cosa c'è?"
La studiò ancora un po' e poi mettendole la mano sulla fronte, Ville esclamò: " ma tu hai la febbre!"
" No! Io sto benissimo."
" Non è vero. Tu sei troppo calda."- continuò Ville.- " aspetta, vado a prendere il termometro."
Johanna annuì e prima ancora che Ville tornasse, si addormentò stanca morta.
" E lei era quella che stava bene.."- mormorò Ville tornando con il termometro. Le si avvicinò e con calma la svegliò.
" Sweetie, misuriamo la febbre."
"  Lo sapevi che noi abbiamo smesso di guardare il cielo per paura di essere colpiti dalla cacca degli uccelli?"
Ville la guardò confuso e poi capì che Johanna stava completamente delirando.
38 e mezzo. Eccome se stava delirando!
" Ville Valo è secco come un cane e per di più fuma come un turco. Io penso che dovrebbe smetterla."- continuò Johanna parlando con gli occhi chiusi in balìa della febbre. Ville la avvolse con un plaid, scoppiando a ridere e la lasciò delirare andando a prendere qualche medicina.
" Mamma, dov'è Jackie? Non può fare tardi, il concerto non aspetta noi."
Quando Ville tornò in salotto con le medicine necessarie, vide Johanna seduta sul divano conversare con persone invisibili.
" Che poi secondo me i vicini dovrebbero smetterla di fare tutto questo chiasso. Poi si lamentano del mio stereo.."
Ville avvolse ancora meglio Johanna nel plaid che le stava scivolando di dosso e poi preso dall'insicurezza andò a chiamare Jackie. Non era il caso di combinare casini con le medicine in quel momento.
 
 
" Puoi entrare."- disse Jackie aprendo la porta della camera di Johanna. Jackie aveva sistemato tutto come al solito e siccome non era intenzione di Ville togliere i vestiti a sua figlia per metterle il pigiama, per suo imbarazzo, era uscito fuori giusto il tempo che servì a Jackie per sistemare bene Johanna.
" Ha smesso di parlare?"- chiese sorridendo il finnico una volta avvicinatosi alla ragazza.
" Sì, poco fa."- rispose in un sussurro Jackie.- " non la smetteva più. Ma credo che fra poco inizierà di nuovo. La febbre non è scesa. Penso che domani bisogna chiamare il dottore."
" Sì."- disse Ville accarezzando il capo di sua figlia senza guardare Jackie. Il pomeriggio precedente, quando stava tornando a casa, aveva visto una coppia di genitori giocare con il proprio bambino, una creatura paffutella avvolta da una sciarpa e un berretto quasi più grandi di lui. Inconsapevolmente si era fermato, guardando l'incantevole quadretto: il bambino fu messo a sedere nel passeggino e i genitori si scambiarono un breve, ma affettuoso bacio, prima di controllare che il bambino non avesse ripreso a ciucciarsi il pollice. E a quel punto Ville, guardando Johanna, ritornò a pensare a lui, lei e Marika insieme. Era più forte di Ville, doversi far male pensando al passato, a quello che lui si era perso e che non sarebbe più riuscito a vivere. Continuava ad immaginare Marika e Johanna..ma lui non c'era.
Jackie stava dicendo qualcosa, forse parlava con lui, ma Ville non la stava ascoltando. Si alzò di scatto dal letto di Johanna e si avvicinò alla finestra. Appoggiò la mano al vetro, reggendosi a quella superficie, liscia, fredda e sottile, che lo divideva dall'esterno buio.
" Ville?"- chiese piano Jackie che si era avvicinata a lui. Ville si voltò senza parlare.
" Che cosa c'è?"
Jackie aveva capito che qualcosa non andava, quello sguardo malinconico e triste ne era la prova. Ville sospirò portandosi una mano fra i capelli. Poi non facendocela più a tenere tutto dentro esplose.
" Ci sono giorni, in cui penso ai momenti che ho perso con Johanna. Penso ai suoi compleanni, ai suoi primi passi, alle prime parole che ha detto, non sapendo se siano state ' mamma', ' papà' o altro. A volte immagino lei e Marika che si divertono, che stanno insieme..senza di me. Ho perso tante situazioni, tante piccole emozioni. Non so nemmeno cosa significa prendersi cura di una figlia ammalata senza avere il terrore di commettere qualche errore. Ho il terrore di sbagliare..di sbagliare tutto."
Jackie, spinta dalla grande dolcezza che aveva dentro aprì le braccia e disse: " vieni qui."
Ville, senza farselo ripetere un'altra volta si lasciò abbracciare. Da quando qualcuno non lo abbracciava, soprattutto in quel modo? Era un abbraccio caloroso, deciso..si sentiva per un attimo protetto.
" Non devi tormentarti per cose che non sono mai successe. Inutile tormentare corpo e spirito per qualcosa che non potrà più accadere. Vivi il presente, Johanna ora è qui ed è ancora piccola. Ha solo 16 anni, non è mica una donna di mondo! Tante cose si possono recuperare. Ha ancora molto da imparare e questo potrai farlo tu. Potrai vivere altri momenti con lei, entrare nel panico quando ti chiederà di uscire con un ragazzo, le tue notti che andranno in bianco quando lei resterà a dormire da qualche amica, ma tu penserai che è da qualche parte con qualcuno che poi si scoprirà essere il suo fidanzatino. Non fartene una colpa per non aver passato l'infanzia con lei o per non averla vista nascere. Nessuno ha voluto agire con cattiveria. Ci sono situazioni e azioni compiute difficili da spiegare e che nonostante possano avere quel poco di ingiustizia, alla fine sono anche giustificate."- spiegò la donna passando le sue mani sulle spalle di Ville.- " per ragioni che nemmeno noi conosciamo, queste cose dovevano andare così, non ci possiamo fare nulla. Però ci è data la possibilità di riparare a quello che per noi sembra un errore."
Ville annuì.
" Ora smettila di tormentarti."- gli ordinò Jackie.
" Va bene."- disse lui annuendo.
In quel momento Johanna iniziò nuovamente a parlare, ma questa volta non disse cose assurde, bensì nomi precisi.
" Ville.."
Ville la guardò e si avvicinò immediatamente. Johanna gli strinse la mano tenendo ancora gli occhi chiusi e muovendo la testa sul cuscino.
" Sono qui.."- sussurrò Ville al suo orecchio. Johanna sembrò calmarsi, ma non aveva nessuna intenzione di lasciare la mano di suo padre. Così Ville seppe che aveva una lunga notte da passare di nuovo nel letto di sua figlia.
Jackie era ancora lì e stava mettendo nell'armadio i vestiti di Johanna. Guardò i due sorridendo, soprattutto sorridendo a Ville. Quella sua fragilità l'aveva sempre colpita. Era quello il vero Ville, forse?
" Jackie. Dov'è zia Jackie?"
" Credo che stanotte questo letto dovrà ospitare tre persone."- disse Ville a Jackie sorridendo. Lei annuì consapevole del fatto che fosse proprio come aveva detto il finnico e così si distese vicino a Johanna dall'altra parte, con Ville di fronte che la guardava. Jackie non lo stava guardando anche se sapeva di essere osservata. Diede un piccolo bacio sulla guancia di Johanna e poi disse: " beh..allora..buonanotte."
" Notte."- sussurrò Ville.
Dopo un'ora di tormento finalmente tutti e tre si addormentarono. Sia Jackie che Ville avevano avvolto Johanna nelle loro braccia. Chiunque in quel momento avrebbe pensato che si trattava di una vera e propria famiglia nonostante non fosse così.




" Mamma! Papà!"- esclamò Ville aprendo la porta di casa. Alle calcagna di Anita e Kari c'era anche Jesse che gli sorrise allegro. Ville fu attraversato da una sensazione di panico. Ora chi spiegava a tutti quanti che in casa c'era Jackie? Avrebbero sicuramente pensato che si trattasse di una nuova fiamma e l'avrebbero messa subito in imbarazzo. Loro non la conoscevano, o meglio, l'avevano vista solo in alcune foto che Johanna aveva mostrato e con le quali aveva affermato la genialità e la bravura della super zia.
" Come sta Johanna?"- chiese Anita appoggiando la borsa sulla poltrona e guardandosi intorno. Erano passati due giorni e la febbre man mano stava andando via.
" Meglio."- disse Ville mettendosi le mani nelle tasche e con il cuore che iniziò a battere velocemente. Anche Jesse e Kari si guardarono intorno. C'era qualcosa di strano in quella casa, era diversa. Sembrava che qualcuno avesse messo abbastanza ordine da farla apparire più pulita del solito.
" Finalmente ti sei deciso a chiamare la donna delle pulizie, eh?"- chiese Anita passando un dito sul comodino del salotto e notando che non c'era nemmeno un filo di polvere.
" Ehm..no.."- rispose Ville, sprovvisto in quel momento di saliva.
" Come? Hai fatto tutto tu?"- chiese Kari meravigliato.
" Il nuovo Cenerentolo."- lo canzonò Jesse ridacchiando.
" Tappati quella fogna tu."- disse Ville infastidito.
" Senso dell'umorismo stuprami."- commentò Jesse sospirando.
Il caso volle che proprio in quel momento Jackie facesse la sua comparsa, indaffarata come sempre, appoggiando due maglie sulla sedia.
" Allora: qualora Johanna ti chiede dov'è la sua felpa dille che è a lavare. Lo chiederà a te perché si diverte a metterti in crisi come l'altra volta. A proposito, la tua maglia era da buttare. Il mio rattoppo non è servito a niente e bisognava eliminarla. Non ti dispiace,vero?..e questa casa è un la.."
Quando Jackie alzando il capo per vedere se Ville la stesse ascoltando, si accorse di avere sei occhi puntati su di lei, esclusi quelli di Ville, si bloccò all'improvviso sbiancando.
" ..birinto.."- terminò con un filo di voce.
Anita, Kari e Jesse la stavano guardando confusi, come se fosse un alieno o un fantasma. Anita immediatamente accese i suoi sensori, Jesse studiò l'esemplare femminile con particolare curiosità e Kari fu l'unico a rivolgerle fin subito un caloroso sorriso.
Tutti e tre forse avevano capito di chi si trattava e non ebbero la briga di domandarsi che fine avesse fatto Hanna e come mai fosse stata rimpiazzata da una ragazza che non apparteneva al genere tanto fintamente amato da Ville negli ultimi anni. Jackie, invece, pensò solamente ad una cosa: quella era davvero la famiglia di Ville al completo?
 
 
 
 
 
 






L'ANGOLO DI VALS.

Ed eccomi quaaaa ciaooooo!!! :D

Muahhahahahaha vi erano mancati i capitoli con il finale a katso, vero??!?! E mo?!? Cosa succederà?? Chi teme l'intervento di Anita? Solo Ville? xD
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento * inizia a farsi le pippe mentali*
Lo so, il servizio fotografico è finito decisamente in maniera diversa da quello che sicuramente voi lettrici avevate pensato ( eh, porcelline! :P), ma come dico io, le cose devono andare per gradi..altrimenti tutte insieme fanno solo casino e poi..io devo farvi soffrire..<3 xD
Per questo capitolo c'è stata una melodia in particolare che mi ha ispirata.
L'ho tenuta come sottofondo mentre scrivevo ed è questa


http://www.youtube.com/watch?v=anicaKGED00

Ringrazio come sempre le mie lettrici del cuore!! <3 <3
Ci vediamo alla prossimaaa!
Vals

 




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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***












Dear Father


Capitolo 17

 

Gli sguardi e i silenzi durarono ancora per un po'. A Jackie sembrò un'eternità eppure erano passati solamente due soli minuti da quando mamma Valo aveva intensificato i raggi laser dei suoi occhi per inquadrarla al meglio e in maniera decisiva. Era Anita più di tutti gli altri, infatti, a guardare Jackie con grandissimo interesse. Quell'entrata, con tanto di indumenti stirati tenuti in braccio e il tono autoritario che solo lei usava con suo figlio, l'aveva allarmata, ma rispetto a tutte le altre volte, l'allarme che aveva ricevuto era positivo. Nessuna traccia di fumo, né di un possibile incendio doloso per quella ragazza dai capelli scomposti, dall'abbigliamento semplice e dal viso davvero incantevole.
Nel frattempo l'imbarazzo di Jackie cresceva a dismisura, tanto da poter essere evidente sulle sue guance ormai troppo colorate.  Aveva decisamente bisogno di qualcosa che interrompesse quell'atmosfera.
Dopo quell'eternità, finalmente Ville decise di intervenire forse perché era riuscito, con tutti i suoi comodi, a capire che la situazione era alquanto bizzarra da vedere e anche perché sapeva che Jackie, nonostante la corazza da dura, tendeva ad imbarazzarsi facilmente. Bingo per uno che la conosceva da poco!
" Ehm..lei è Jackie, la zia di Johanna."- annunciò facendo un passo verso di lei. Anita spostò lo sguardo dalla ragazza a suo figlio che si era avvicinato alla giovane vittima come se volesse proteggerla in qualche modo. A mamma Anita tutto ciò non era sfuggito e quando finalmente le sue speranze su chi potesse essere quella bella ragazza si erano realizzate, mutò la sua espressione, passando velocemente da temuto giudice supremo a mamma stritolatrice di abbracci.
" Oh! Jackie! Finalmente ti conosciamo!"- esclamò alla fine più allegra che mai. Ville squadrò sua madre e restò completamente spiazzato da quella reazione. Non riusciva a credere che proprio lei dando fiato alla bocca dopo quel silenzio non avesse sputato veleno mettendo in difficoltà una povera ragazza per il gusto di farla scappare dalla torre e non farla tornare più.
" Sei..sei..la Jackie delle foto?"- chiese Jesse che finalmente, dopo aver fissato per bene nella sua mente ogni particolare di quel volto, aveva trovato nuovamente la parola. Ville guardò anche suo fratello e un senso di fastidio si impadronì di lui. Perché Jesse si mostrava così interessato a Jackie?
Jackie a quella domanda annuì più imbarazzata di prima, per via di quell'abbraccio non previsto.
" Io sono Jesse, il fratello di Ville. Spero che lui sia stato gentile con te..di solito la sua gentilezza si spreca."
" Jesse, ti dispiacerebbe chiudere quella bocca? Grazie."- lo ammonì Ville ulteriormente infastidito.
" Ecco. Come non detto."- disse Jesse sorridendo a Jackie.
Ville cercò di ignorare quei sorrisi che spuntarono sui volti dei due. Per la prima volta si sentiva escluso. Sì, una diva come lui si sentiva esclusa dal giro di abbordaggio che sembrava svolgersi sotto ai suoi occhi.
Accecato com'era da quella strana forma di gelosia, che lui continuava a far passare per fastidio, Ville non poteva sapere che il sorriso che mostrava Jackie nei confronti di Jesse era solamente gentilezza e nulla più.
" Benvenuta fra i Valo, la famiglia più stramba di tutta Helsinki."- disse cordiale Kari mentre si faceva avanti e a sua volta la abbracciava allegramente.
" Grazie, signor Valo."
" Chiamami Kari."

" E a me Anita."- si affrettò a spiegare gentilmente mamma Valo mettendo da parte per un momento suo marito.
" Come mai non ci hai detto niente, Ville?"- chiese poi guardando con un sopracciglio alzato Ville, che deglutì cercando di prendere al volo la prima scusa.
" Non ho avuto tempo."- rispose alla fine grattandosi il capo.
" Tutte scuse! Non dirmi che ti ha sfruttata per pulirgli la casa."- disse Anita rivolta a Jackie.
" Oh no! Anzi dovrebbe ammazzarmi visto che non gli ho chiesto nemmeno il permesso di mettere in ordine."- rispose la ragazza impacciata.
" Lui non ammazzerà nessuno, cara, e se lo facesse ci penserei io a sistemarlo."- rispose Anita ricordando il temperamento ribelle del giovane Valo al minimo fastidio e guardando suo figlio che, aveva deciso di fare l'indifferente osservando fuori dalla finestra la strada deserta. Ci mancava giusto lei per renderlo ridicolo di fronte a Jackie. Un uomo grande e vaccinato come lui oggetto di battutine e rimproveri da parte di sua madre , la strega malvagia. Non doveva essere un bel spettacolo. Eppure a Jackie scappò un sorriso che non aveva niente a che fare con l'ironia. Il suo era un sorriso dolce, di consapevolezza di quanto amore poteva esserci fra i due, che però a Ville sfuggì. Infatti quando si voltò verso gli altri Jackie aveva deciso di spostare la sua attenzione su una mattonella, probabilmente la millesima che costituiva il pavimento chiaro della torre.
" Beh io credo che sia il caso di chiamare Johanna. Dov'è la mia nipotina?"- chiese Kari cercando, come sempre succedeva in quei casi, di smorzare l'atmosfera imbarazzante.
" Vado a chiamarla."- disse Jackie sparendo in due secondi e lasciando i Valo nel salotto.
" Però..te le scegli bene le zie.."- commentò Jesse guardando Jackie sparire nel corridoio.
" Concordo con Jesse. È una bella ragazza e sembra anche molto gentile e a modo."- commentò a sua volta Kari. Ville iniziò seriamente a preoccuparsi. Prima di allora nessuno della famiglia aveva fatto tali apprezzamenti subito dopo aver avuto il privilegio di conoscere le donne che lui ospitava. E questa volta la cosa era ancora molto più assurda, perché si dava il caso che Jackie non era la sua nuova conquista.
" Devo dire che tuo padre e tuo fratello hanno ragione. È davvero bellissima e poi di questi tempi è raro vedere donne che si prendono cura di tutto e tutti. Beato il suo ragazzo!"- esclamò Anita. La preoccupazione di Ville a quel punto salì alle stelle. Sua madre che faceva dei complimenti? Quel momento era da incorniciare!
" Ehm.."- Ville tossicchiò sentendosi leggermente in imbarazzo.- " Jackie è single."
" Davvero?"- chiese Anita guardando il divano.- " bene allora vorrà dire che ci metteremo di impegno e la terremo qui in questa casa, donandole tutto l'amore e l'affetto possibile di cui siamo in grado di dare."
" Mamma! Ma nemmeno la conosci!"- esclamò scandalizzato Ville dopo aver ascoltato la raccomandazione.
" Oh tesoro mio, mi è bastato questa apparizione per capire che siamo ad un passo dal lasciare Hanna sull'uscio della porta."- disse Anita avvicinandosi a lui. Gli fece una carezza e concluse dicendo: " la luce dei tuoi occhi è diversa. Jackie ti piace e con questo posso congedarmi. Sento delle voci, saranno tornate."
E come aveva predetto, due secondi dopo Jackie era tornata portando con sé Johanna.
" Johanna cara!"- esclamò Anita. Johanna sorridendo andò ad abbracciare i nonni.
" Non saluti lo zio più fico del mondo?"- chiese Jesse sorridendole.
 " Su questo avrei un paio di dubbi."- disse Ville.
" Oh taci, secco."- rispose Jesse.
" Sentite chi parla."
" Io direi di smetterla con queste sceneggiate."- disse Anita ponendo fine alla conversazione fraterna.- " se avete voglia di fare quattro chiacchiere potete uscire fuori di qui e andare a mangiare insieme alle renne."

 

 

Anita aveva deciso che Jackie dovesse sedersi accanto a lei durante quel pranzo domenicale. Jesse quindi dovette accomodarsi proprio accanto a suo fratello che in quel momento stava sussurrando qualcosa a Johanna che per poco non affogò con l'acqua.
" Ti pare momento?"- chiese in un sussurro la ragazza cercando di non ridere.
" Quando la battuta arriva è necessario dirla, altrimenti la si dimentica."- rispose saggiamente Ville facendole l'occhiolino. Tutto procedeva con tranquillità, fino a quando Anita non decise di rendere la vita di Ville seriamente difficile.
" Ora vi racconto un aneddoto sul bel cantante degli HIM."
A quelle parole Ville guardò sua madre preoccupato.
Al contrario, Johanna e Jackie erano lì pronte ad ascoltare interessate.
" Mamma che.."
Ma Anita interruppe suo figlio con una mano.
" Ville quando era piccolo era un bambino molto introverso. Jesse era estroverso e pieno di amici, ma lui preferiva sempre stare solo. Insomma era piuttosto asociale. Era felice solo quando scriveva le sue poesie e parlava con Bob.."
" Chi è Bob?"- chiese Johanna guardando suo padre che a quella parola si era irrigidito.
" Il suo amico immaginario. Dovevate sentire che belle conversazioni si facevano."- terminò Kari. Jesse scoppiò a ridere così come Johanna.
" Grazie davvero.."- disse Ville imbarazzato.
" Non ci trovo nulla di male in questo."- disse Jackie all'improvviso mentre gli altri continuavano ancora a ridere. Dopo aver catturato tutta l'attenzione decise di continuare a parlare.- " insomma..capita a tutti i bambini di avere un amico immaginario. Anche io ne avevo uno. Si chiamava Aaron e.."- Jackie sorrise perdendosi nei suoi ricordi.-" ricordo che una volta gli urlai contro perché sostenevo che non aveva mangiato il latte con i cereali. Mia madre entrò di corsa in camera mia pensando che mi fosse successo qualcosa di grave. Credo che non abbia mai avuto come in quel momento la voglia matta di strangolarmi. L'avevo fatta spaventare.."
Gli altri risero e Jackie guardò Ville come a volerlo tranquillizzare mentre lui per un attimo si perse nei suoi occhi senza essere capace di proferire una parola. Semplicemente le sorrise grato sperando che lei lo avesse capito.
Ville non amava molto ripercorrere alcune tappe della sua infanzia, non perché fossero scandalose. Semplicemente odiava ricordare quanto alle volte era stato veramente stupido. E il fatto che sua madre avesse deciso così di punto in bianco di raccontare tutto ciò proprio non riusciva a capirlo.
Johanna gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise mentre Anita, sorrideva, soddisfatta che le reazioni suscitate fossero state quelle.
No, non aveva sbagliato.

 



Il negozio era ancora aperto e Ville ne approfittò per passare da suo padre. Prima dell'arrivo di Johanna erano diventati meno frequenti i suoi piccoli sopralluoghi, ma ora invece aveva cambiato idea e puntualmente andava da Kari anche solamente per vederlo respirare. Forse lo scoprirsi padre lo aveva sensibilizzato molto di più di quello che lui voleva far credere e solo ora capiva alcuni aspetti che prima non riusciva a capire fino in fondo, come le volte che mal volentieri stava in quel negozio perché suo padre gli chiedeva di sostituirlo quando era stanco. Si chiedeva sempre perché lo chiedesse a lui quando esisteva anche Jesse. Da quando c'era Johanna non si pose più domande del genere. Era semplice la risposta: era suo padre.
" Papà!"- esclamò entrando sfregandosi le mani per il freddo.
" Ehi! Che ci fai da queste parti?"- chiese Kari, seduto dietro al banco, appoggiando il giornale che stava leggendo insieme con gli occhiali da lettura, sul tavolo.
" Hai bisogno di una mano? Puoi andare a riposare, resto io."
Kari sorrise allegramente.
" Sei molto gentile, figliolo, ma non sono così vecchio decrepito da voler riposare ogni minuto."
" Come al solito."- disse Ville avvicinandosi e sorridendogli. Prese uno sgabello e si posizionò di fronte a lui.
" Sicuro di star bene?"- gli chiese Kari guardandolo meglio.
" Mai stato meglio. Perché me lo chiedi?"
" Sembri pensieroso."
" Pensieroso?"

" Centra Johanna? Ti fa penare?"
" No! Assolutamente no!"- esclamò Ville ridacchiando.

" E allora centra una donna."
A quel punto Ville iniziò a sentirsi in difficoltà e la risatina aumentò il doppio. Perché suo padre riusciva a leggerlo dentro?
" Papà! Sei alla ricerca di gossip oggi?"- chiese sviando il discorso.

" Non sei mai riuscito a mentire a tuo padre."
Era inutile a quel punto continuare a fingere. Non ci sarebbe riuscito.
" Ok, è vero."- rispose alzando le mani in segno di sconfitta.- " ma più che altro si tratta di un dubbio."
" Spara."- gli ordinò Kari interessato. Ville lo guardò e fece passare qualche minuto prima di formulare il suo discorso.
" C'è una donna che non è Hanna che mi sta mandando in confusione. Non è una questione di attrazione fisica..o meglio..per la prima volta da molti anni non ho prestato attenzione solo a questo. La mia attenzione si è spostata su un altro fattore. Questa donna riesce a trattarmi come se fossi una persona qualunque. Si prende cura di me senza volere nulla in cambio, si imbarazza facilmente se le fai un complimento, è testarda, riesce a mettere sempre in discussione quello che dico io, mi tiene testa, sa fare il suo lavoro, e la cosa che più mi sconvolge è che riesce a capirmi. Eppure io non capisco..non capisco che cosa mi stia passando per la testa."

Si passò una mano sul berretto grattandosi la testa decisamente imbarazzato. Suo padre ridacchiò notando la sua difficoltà.
" Voltaire diceva che i peggiori misogini sono sempre state le donne. Esseri prelibati, senza della quale noi poveri uomini non sapremmo cosa fare. E allo stesso tempo arpie, streghe che ti incantano e poi quando meno te l'aspetti ti fottono."- spiegò con importanza Kari sistemando il giornale e mettendolo da parte.
" Un ritratto incantevole."- disse Ville ridendo.
" Ma questo non significa che a me non piaccia Jackie."- continuò Kari senza guardarlo, facendo finta piuttosto di interessarsi ai gadget sul tavolo. Ville deglutì scioccato.
" Jackie?"
" Si chiama così la zia acquisita della mia nipotina, no?"
"Come hai..?"
Kari rise guardando la faccia sconvolta di suo figlio.
" Oh avanti, Ville! Credi davvero che io sia così scemo?  È una brava ragazza, Jackie. Almeno è questo che sento a pelle. A tua madre piace un sacco."
" Non ti sbagli. Lo è."
" Beh, per averti fatto rincretinire, lo credo anch'io."
" Io non sono rincretinito."- protestò il giovane finnico. Kari continuò a ridere prendendosi gioco di suo figlio.
" Sai qual è la principale differenza fra noi e le donne?"
" No."- sbottò Ville infastidito dal fatto che suo padre lo trattasse in quel modo.
" Noi anteponiamo sempre il nostro amico intimo al cuore. La donna fa sempre l'incontrario. È nel momento in cui noi uomini troviamo difficoltà ad anteporre i nostri gioielli al cuore che le cose iniziano a cambiare. Le vediamo in una prospettiva diversa. Diventiamo o più maturi o più coglioni, dipende."
" Quindi tutto questo per dirmi che i dubbi che ho sono quelli che mi stanno avvisando che io sto cambiando? Per una donna?"- chiese meravigliato Ville.
" Esattamente."
" Assurdo. Non può essere.."
" Sai, le donne lo capiscono sempre quando un uomo si è perdutamente innamorato di loro, soprattutto se il maschio in questione è un innamorato un po' tonto."
Questa volta fu Ville a ridere.
"Hai preso il binario sbagliato, papà. Non sono qui per dirti che mi sono innamorato di Jackie. È solo che..mi fa un effetto strano quando sto con lei. Nemmeno Jonna è stata capace di questo nonostante sia stata importante per me."
Quando disse quell'ultima frase Ville stesse si meravigliò per aver espresso quel pensiero così personale ad alta voce. Kari lo guardò attentamente e dopo avergli sorriso posò la mano sul suo braccio. Ville spostò lo sguardo da un punto indefinito degli scaffali su suo padre e attese che lui parlasse.
"L'effetto che ti fa Jackie è diverso perché lei è diversa. Lei è una donna comune, una di quelle che non incontri e che difficilmente puoi conoscere. Sono quelle che se ne stanno nascoste, che non hanno doppi fini. Sono le eterne Cenerentole che aspettano il famoso principe azzurro senza perdere la speranza. L'effetto che lei ti fa è quello che noi comuni mortali chiamiamo cotta. Ma la cotta molto spesso non ha difficoltà a diventare amore. Per questo ho voluto ricordarti che quando ci si innamora si diventa più coglioni del solito."
Ville ascoltò attentamente quelle parole e restò meravigliato da ciò che aveva sentito. Suo padre non gli aveva mai parlato in quel modo. Non aveva mai affrontato argomenti del genere con lui,perché Ville Valo aveva sempre pensato, anzi era più che sicuro, che in fatto di donne lui sapesse tutto quello che c'era da sapere. Non aveva mai chiesto consigli e non si era mai fatto nessun problema. Quello che Ville Valo voleva, doveva essere esaudito o cercato. Non era poi così diverso dagli altri uomini, eppure in quel momento non seppe nemmeno cosa dire o fare dopo quelle parole che mai in vita sua avrebbe pensato di ascoltare.
Era davvero così?
" Tutto questo è pazzesco. Mi rifiuto di crederci."- disse sorridendo disincantato. Voleva essere ancora il vecchio Ville, quello che si era creato con il corso degli anni, cinico e disincantato nonostante al di sotto di quella maschera pulsasse il vero Ville, quello romantico e sincero. Kari sorrise annuendo.
" Hai bisogno di uno stimolatore. Vediamo che cos'ho qui in negozio."- disse continuando a sorridere.
" Papà ma sei impazzito?"- chiese Ville leggermente sconvolto.
" Ville, calmati! Sto scherzando, come ho sempre fatto. O sono io che non ho più il senso dell'umorismo o sei tu che sei diventato troppo serio. Credo che sia meglio buttarsi sulla seconda opzione."

Concluse Kari scuotendo la testa e finendo per ridere allegramente dell'esitazione e imbarazzo di suo figlio.

 


" Ecco a te i compiti!"
Johanna aveva sperato fino all'ultimo momento e con tutto il cuore, che Marianne e Arja si fossero dimenticate di fornirle di compiti e spiegazioni dei giorni che era mancata da scuola. E invece Arja era lì pronta a darle gli appunti, fogli completamente inzuppati di inchiostro. Perché lei e Marianne erano così meticolose e precise?
Johanna storse il naso e malvolentieri prese gli appunti e li mise sulla scrivania. Era in pigiama e aveva la voglia di vivere pari ad un orso in letargo, ma era suo dovere riprendere a studiare dopo una bella settimana di ferie. Era la prima volta che Marianne e Arja mettevano piede in casa Valo. Di solito la biblioteca era il posto che sempre le ospitava, ma quella volta a Johanna proprio non andava di uscire e così finalmente le due ragazze avevano messo piede nella torre.
" Che bel pensiero..davvero bellissimo."- sbuffò guardandole. Arja si sedette sul letto guardandosi attorno e Marianne sorrise guardando Johanna e la sua scontentezza.
" A cosa servono le amiche sennò?"- chiese sedendosi sulla sedia accanto alla sua.
" Ti prego dimmi che non sono a casa di Ville Valo. Ti prego dimmelo!"- esclamò all'improvviso Arja alzandosi di scatto dal letto. Sia Johanna che Marianne la guardarono sconvolte e poi scoppiarono tutte e tre a ridere.
" Arja, la vuoi smettere?"- disse Marianne scuotendo la testa.
" Johanna!"
Quella voce fece sobbalzare tutte e tre le ragazze. La voce di Ville fuori dalla porta gettò nel panico più totale Arja.
" Oddio! Oddio! È lui! Fatemi nascondere!"- esclamò agitata.
" Immergi la faccia nel libro, no?"- le suggerì Marianne.
" Ottima scelta."
Arja così prese il primo libro che le capitò davanti e si sedette dall'altro capo della scrivania, bene attenta a nascondere il viso.
" Posso aprire?"- chiese Johanna assicurandosi che le dovute precauzioni fossero state prese.
" Vai!"
Johanna andò ad aprire trascinando i piedi. Quando aprì la porta restò ad osservare suo padre apaticamente.
" Cosa c'è?"- chiese in tono lugubre.
" Che state facendo di bello?"- chiese Ville allegramente facendo capitolino nella testa.
" Non si vede? Perché ci stai disturbando?"
A quel punto Ville fissò sua figlia e mutò la sua espressione in una seria.
" C'è un certo Nikko al telefono che chiede di te."- disse con il telefono in mano, notando l'impazienza di Johanna che era accanto alla porta. Quando le diede il telefono restò lì ad attendere che la ragazza rispondesse davanti a lui. Dopotutto era dovere di un padre capire con che ragazzi avesse a che fare sua figlia. Johanna, che aveva capito tutto, lo guardò seria. Suo padre non aveva ancora capito il concetto dell'avere amici e non solo amiche.

" Non credere che ti lascerò stare qui solo perché tu devi assicurarti che io non stia parlando con un maniaco."- lo avvisò a bassa voce, giusto per evitare che le sue amiche sentissero i loro soliti bisticci.
" Se non me la racconti giusta ti sequestro tutti i cd che ti ho regalato."- le disse a bassa voce minaccioso puntandole un dito contro. Johanna alzò gli occhi al cielo. Perché doveva essere così pesante a volte?
" Non è un kamikaze, è semplicemente un nostro amico di classe. Ora posso rispondere?"
Quando Ville capì di essere stato troppo pesante con i suoi atteggiamenti, decise di tacere e disse: " okay, va bene. Ma dopo torno a controllare."
Johanna alzò nuovamente gli occhi al cielo mentre vide suo padre allontanarsi.
Tornò dentro e finalmente rispose alla chiamata.

 

" Ragazze?"
Era passata quasi un'ora quando Jackie entrò nella camera di Johanna.
" Ehi Jackie! Entra!"
" Avete fame? Vi ho preparato qualcosa da mettere sotto ai denti. Troppe ore sui libri senza mangiare fa male."- disse la donna posando sulla scrivania un piatto pieno di  biscotti al cioccolato appena fatti.
" Oh! Biscotti al cioccolato!"- esclamò Arja con una luce sinistra negli occhi.

" Grazie del pensiero."- disse Johanna sorridendo.
" Ok, vi lascio. A dopo."
Quando Jackie andò via, sia Marianne che Arja fissarono la porta appena chiusa.
" Tua zia è davvero dolce."- disse Arja sgranocchiando un biscotto.
" Sì, lo è."
" Comunque, tu come la vedresti insieme a Ville? Secondo me sarebbero una bella coppia."
" Anche secondo me."- commentò Marianne. Johanna restò spiazzata da quelle parole.
" Oh beh..io..io..io non ho mai pensato a questo. Non saprei cosa rispondervi."
" Beh la cosa è facile: fra Hanna e Jackie chi vedresti meglio al fianco di tuo padre?"- chiese Marianne.

" Jackie."- rispose Johanna senza pensarci due volte.-" Che domande sono?"
" Beh, è la stessa cosa del chiederti come tu vedresti Jackie al fianco di Ville. Insomma, anche se la domanda cambia di poco, è sempre quello il discorso."- spiegò Arja.
" Io non ho mai pensato a loro due insieme. Mi fa strano..e comunque Jackie non è il tipo che si metterebbe con mio padre."
" Mai dire mai."
" E se succedesse, tu cosa faresti?"- chiese Marianne.
" Credo..credo..credo che non avrei nulla da obiettare.  Infondo per me Jackie è importante e poi non mi arrabbierei.."
Man mano che parlava le parole che Johanna pronunciava mostravano sempre più convinzione. Era vero quello che aveva detto. Non avrebbe avuto nulla da obiettare. Anzi ora che ci pensava una scintilla scattò immediatamente nella sua mente. Forse poteva succedere, forse Ville e Jackie potevano avere una possibilità di avvicinarsi e magari innamorarsi.
" Ben detto! Anche perché io ce li vedo davvero bene insieme."- commentò Arja continuando a mangiare.
" Su mettiamoci di nuovo a studiare. Questa volta sul serio."- disse Marianne portando le altre due all'ordine.
" Ok capo."
" Silenzio ora."- le minacciò Marianne.
Potrà mai succedere una cosa del genere?
Continuava a ripetersi Johanna.

 

I giorni passarono e pian piano divennero settimane fino a quando giunse novembre con la sua implacabile freddezza. Johanna si sentiva bene, riusciva ad essere se stessa quel tanto che le permetteva di non imbarazzarsi più con Ville. Chiamarlo 'papà' era ancora una sfida che non si decideva a vincere. Aveva fatto delle prove con Jackie, ma Jackie non era Ville e Johanna quando giungeva al punto di dirlo qualcosa le si stringeva intorno alla gola e le annodava la lingua.
In compenso, era molto più gentile e premurosa nei confronti di suo padre.
Jackie e Ville non si erano di certo sposati, ma condividevano ancora la stessa aria nella stessa casa in maniera pacifica, ognuno perso nei propri progetti, osservazioni e insicurezze. Ville stava imparando molto da Jackie e da ciò che gli insegnava su Johanna o su come non perdere la fiducia in se stesso così facilmente, anche se quest'ultimo insegnamento era più implicito. Erano le parole che Jackie diceva che inconsciamente lo facevano riflettere. Jackie, invece, stava imparando che presto o tardi sarebbe sprofondata in un abisso senza fondo. Ville per lei stava diventando esattamente quello che lei non voleva che fosse. Pian piano si sentiva sempre di più attratta da quel finnico borioso, ma allo stesso tempo fragile.
Sfortunatamente per lei, Hanna era sempre nei paraggi, nonostante Mige e gli altri avessero fatto di tutto per tenerla lontana. Ci riuscirono giusto per una settimana, quella che Mige stesso aveva architettato con gli altri tempo prima.
Quella notte Jackie non riusciva a dormire. Era da qualche ora che si rigirava nel letto nella speranza di tuffarsi in qualche bel sogno, ma senza risultato.
Il pensiero fisso su Ville, il suo modo di fare che le faceva mettere in discussione un bel paio di pensieri che aveva sul suo conto e il sorriso indiscutibilmente attraente di Hanna, erano l'antipasto, il primo e il dolce che la stavano torturando lentamente. Se mentre per i primi due non era poi così sicura che fossero importanti, per il terzo c'era invece la perfetta consapevolezza che quella donna di sicuro avrebbe fatto di tutto per metterla fuori. Era come se la sua autostima avesse deciso di prendersi una vacanza non programmata. Jackie non era mai stata così agitata, nemmeno quando il suo ex ragazzo guardava altre donne dimenticandosi di lei.

Lei sapeva perfettamente di non essere una fotomodella, né una donna dall'immancabile fascino e doti di seduzione. Lei era così come la si vedeva, era quella che lei stessa definiva " sfigata."
Dopo quel servizio fotografico, non poteva più negare quanto Ville fosse bello e dannatamente affascinante. Non era il suo tipo eppure, il bel finnico le aveva scombussolato di un bel po' i suoi gusti.
Ma c'era Hanna e Ville stava con lei.

Sbuffando, gettò via le coperte finalmente decisa ad alzarsi. Se doveva perdere del tempo senza riuscire a dormire tanto valeva fare qualcosa che la distraesse.
Nonostante lei non fosse nulla per Ville, a parte la strega cattiva pronta a riprendersi Johanna se lui sgarrava e nonché la zia super di quest'ultima, aveva deciso di fare qualcosa di carino per il finnico visto che ormai era scattata la mezzanotte ed ufficialmente era il 22 novembre.
 
" Mamma! Zia! Oggi è il compleanno di Ville!"
 
Johanna quel giorno era solita ricordarlo a tutti appena si alzava dal letto. Lo aveva fatto per tutto quel tempo e ora era strano che i suoi auguri sempre mancati quella volta sarebbero arrivati a Ville.

 

 

Jackie stava attenta a sciogliere il cioccolato per la copertura finale del dolce.
Per quella poca esperienza che aveva in fatto di cucina e di dolci, sapeva che in cucina era importante non tralasciare nulla: aggiungere un ingrediente, mescolare con cura, abbassare la fiamma. Erano tutti piccoli accorgimenti che alla fine rendevano il cibo non solo buono ma anche invitante. In quel momento, con la fusione del cioccolato in atto, sapeva di non potersi distrarre.
Era così concentrata sul calore ottimale del liquido scuro da non accorgersi dell’ombra nascosta all’angolo della porta.
Ville evitò di spaventarla, restando silenzioso e immobile mentre la ragazza colava sulla torta intiepidita una crema scura dall’odore inconfondibile.
Era stupefacente come riuscisse a coprire la superficie del dolce senza perderne una goccia, con movimenti morbidi del polso.

" Che cosa stai combinando?"
Jackie sobbalzò, felice di aver già posato il pentolino accanto a lei. 
" Era una sorpresa per te."- sussurrò alla torta togliendo un eccesso di crema e osservandola soddisfatta, posizionandola meglio al centro del bancone.
" Volevi prendermi per la gola, dolce strega?"- chiese Ville avvicinandosi alla tavola.

" Mi sembrava carino fare qualcosa per te visto che ormai è il tuo compleanno e che..beh io sono ancora qui a disturbarti."
" Ancora con questa storia? Tu non disturbi! E comunque..sembra buona."
Ville la osservò compiaciuto, i gomiti poggiati sul bordo e il volto tra le mani mentre Jackie toglieva la maggior parte dei recipienti utilizzati tranne uno contenente ancora un po’ del ripieno. Mise un cucchiaino accanto prima di sospingerlo verso Ville che, riconoscente, mangiò la crema senza preoccuparsi dello sguardo di Jackie su di lui.
Ci mise qualche secondo in più del necessario per terminare la coppetta, pulendosi con lentezza studiata le labbra con la lingua e lasciando alla ragazza giusto il tempo di perdersi in qualche fantasia poco casta prima di inchiodarla con un’occhiata profonda.
"Io credo.."- propose Ville poggiando la ciotola e alzandosi in piedi per girare intorno al tavolo.- "che ci sia un profondo legame tra ciò che mangiamo e ciò che siamo".
"E' per questo che ti dimentichi di mangiare se qualcuno non te lo ricorda?" - chiese Jackie sarcastica.-  "finirai per scomparire."- lo ammonì scherzosamente puntandogli contro un dito ancora sporco di cioccolata.
Ville le sorrise di rimando, afferrandole la mano protesa verso di lui e portandosela al viso, trattenendola per il polso.
" Ah tranquilla, io non scomparisco.." - le sussurrò vicino alla pelle sensibile del polso scoprendo i denti in un sorriso audace.
" Che peccato.."- riuscì a sussurrare Jackie adesso che il respiro del cantante le si infrangeva sul palmo aperto.-  "ma è strana la definizione di vampiro per uno che non mangia proprio." - ribatté caparbia, decisa a non cedere alla tentazione di flettere le dita e sfiorare quel volto.
Ville sorrise, accondiscendente.

"Il sangue del vampiro non ha nulla a che fare con la carne, Jackie"- la istruì seducente.- "è più una questione di pelle"- rimase sospeso con le labbra ad un millimetro dalla sua mano prima di guardarla nuovamente negli occhi.- " di caccia, sete.. di sesso".
Gli occhi di Jackie stranamente decisi lo fissavano imperterriti.
"Il sesso non sa di sangue, Ville".
Il cantante la osservò sorpreso. Di certo non si era aspettato una risposta del genere, una così aperta contraddizione ai suoi pensieri.
Sorrise spiazzato, la mano della ragazza ancora intrappolata nella sua.

 "Hai ragione.."- si ritrovò a sussurrare.- "forse sa di cioccolato."
Abbassò lo sguardo, ritrovandosi ad osservare le dita di Jackie, coperte a tratti dal cioccolato scuro con cui aveva coperto la torta. Abbassò le labbra sulla mano e ne assaggiò un dito.
Jackie aveva sempre considerato le sue mani utili.
Forse le sue non erano particolarmente capaci, o belle, ma sicuramente sapevano fare qualcosa. Mai nulla di straordinario come quelle di Ville, che riuscivano a tirare fuori da una chitarra emozioni ignote persino a se stessa, ma almeno erano capaci di sapere usare una macchina fotografica, cogliere in uno scatto studiato i più grandi paesaggi del mondo e sapevano riconoscere la consistenza giusta per la pasta dei biscotti o mescolare con cura una crema pasticcera o in generale, sapevano muoversi in cucina, meglio di quelle di qualunque altra ragazza che fosse passata per la torre, ma in sostanza non avevano mai fatto nulla di particolarmente spettacolare per meritarsi le labbra di Ville Valo posate sui polpastrelli, la sua lingua leggera contro la pelle di ogni dito e il morso leggero dei denti quando decideva di dedicarsi ad un’altra falange.

Jackie era in tilt e le ginocchia ad un passo dal cedere del tutto e lasciarla rovinare a terra o addosso a lui. La lucidità era dispersa in angoli remoti in cui la bocca di Ville non era impegnata a procurarle brividi di assoluta perdizione semplicemente leccandole le dita.
Non aveva mai avuto molta immaginazione, ma di una cosa era sicura: quel momento superava di gran lunga qualsiasi fantasia più sfrenata e delirante.
Ville si concesse un altro secondo per osservarla con gli occhi lucidi e le guance in fiamme prima di abbandonarle la mano con un ultimo bacio sul palmo e avvicinarsi con aria dannatamente sexy.
La ragazza con le labbra schiuse lo fissava ancora sbalordita.
Ville la osservò compiaciuto prima di poggiarsi solo per un attimo su di lei e lasciarle un ricordo di cioccolato sulla bocca. Jackie lo sentì tremare un attimo soltanto prima di vederlo ritrarsi con una mossa di scherno, quasi infantile e andare via. Si girò di spalle e sparì nel buio della notte.

 
Ville salì di corsa gli ultimi gradini fino alla sua camera da letto. Si fermò un attimo a riprende fiato contro la porta scura con un pensiero martellante in testa.
Lo stesso che l’aveva fatto tremare un solo misero istante mentre il sapore del cioccolato si fondeva con il gusto naturale delle labbra di Jackie. Non capiva cosa gli fosse passato per la testa e cosa significava quell'attimo folle in cui era riuscito a fare il seduttore da quattro soldi con Hanna in camera da letto.
Nessun colpo di fulmine questo era certo.
Nessuna rivelazione improvvisa di eterna appartenenza.
Eppure..
Eppure una parte di lui, aveva vibrato prepotentemente a quel sapore sulla bocca della bella newyorkese. Fu come un ricordo tenuto in sordina improvvisamente riaffiorato.
L’eco di qualcosa di passato che aveva con sé anche uno strano riflesso del futuro.
Si sentiva in famiglia quando era con Jackie e Johanna, respirava quell'aria speciale che gli ricordava tanto la sua famiglia e la sua infanzia, specie quando Jackie si prendeva cura di lui per i piccoli dettagli. Era qualcosa che non aveva mai provato per nessun'altra, né tanto meno ricordava di aver mai provato.

"Stupido."- mormorò a se stesso ricomponendosi.- "non è nulla di importante"
Entrò in camera sospirando e quando chiuse la porta alle sue spalle vide Hanna avanzare verso di lui avvolta da una morbida vestaglia.
" Dove sei andato?"- gli sussurrò attraente avvicinandosi a lui sorridendo. Ville, pensando che potesse dimenticare, o almeno mettere da parte quella sensazione strana, la prese tra le braccia.
La ragazza approfittò della vicinanza per sfiorare le labbra di Ville e scioglierlo in un bacio lento, ridacchiando leggermente al termine del contatto.
" Non pensavo che fossi andato a mangiare cioccolato."

 

 

 

 













IL FAMOSO ANGOLO DI VALS u.u

LO SO, FACCIO SCHIFO! Ma capitemi! Ho avuto un sacco di cose da fare. Mi è capitato quasi di tutto e la Musa Bastarda mi aveva abbandonata T___T
Spero che siate contente dell'enorme capitolo che vi ho lasciato, così colmate la mia assenza orribile u.u
E ora??!?!?!??!??!?!
Eeeeh, ora succederanno tante belle cose xD
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, che i personaggi non vi abbiano deluso dopo tutto questo tempo e che non mi ammazziate per il finale alla katso che vi ho lasciato <3
Ringrazio tutte voi per il supporto e anche a chi si è aggiunto da poco! Benvenuti nel circolo dei Pazzi <3
Ci sentiamo alla prossima
Un bacio
Vals
Ps. Scusate la presenza degli orrori grammaticali, se ci sono, ma non ho controllato alla perfezione tutto il capitolo..la testa ormai non c'è più xD




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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***












Dear Father

Capitolo 18

Se per Jackie la cucina quella notte aveva dovuto essere il luogo perfetto per annegare qualsiasi pensiero in un impasto di torta, si era sbagliata di grosso. La bella newyorkese, come Ville la chiamava lontano dalle sue orecchie, non aveva fatto i conti con le attrazioni e le varie sorprese che la torre offriva ai visitatori notturni. In questo caso, la bella fanciulla si era imbattuta nel padrone di casa, forse la belva più difficile da domare lì dentro.
In altri termini, Jackie non aveva fatto i conti con gli atteggiamenti ambigui che il proprietario della lugubre torre, Mister Diva, adottava quando decideva di trasformarsi in un seduttore.
E tutto ciò aveva provveduto a far ricadere Jackie in quel vortice di pensieri dal quale, con tutta se stessa, aveva cercato di liberarsi poco prima di avere la brillante idea di scendere in cucina. Era tornata a pensare a Ville e al motivo per cui Hanna le dava sempre quella sensazione di ricevere una pugnalata in pieno petto con una voce annessa che le sussurrava all'orecchio " non sarai mai elegante e bella come lei!".
Non che Jackie avesse voglia di diventare come Hanna. In fondo, lei ci teneva ad avere un cervello e una lingua più lunga di un'autostrada di New York, ma il punto era che nonostante Hanna potesse avere molti difetti, era comunque una donna sicura, che sapeva distinguere un rosa acceso dal rosa antico, che si sapeva curare e che mostrava sempre una certa eleganza nei movimenti.
Tutto ciò naturalmente, la riconduceva al primo punto: Ville.
Questa volta però, tale pensiero, si era trasformato in qualcosa di più serio. Se prima Jackie pensava a Ville ripassando nella sua mente tutti i suoi pregi e difetti, soffermandosi molto sulla sua parte fragile, quella che forse mostrava solo a Mige o a Jesse e che lo rendeva più umano e interessante ai suoi occhi, ora la lista era stata aggiornata, a causa della situazione eccezionale accaduta una manciata di minuti prima.
Ed ecco ora arrivare, dunque, la rubrica " Taccuino di un giovane seduttore."
Jackie in vita sua credeva di visto qualsiasi forma di seduzione, ma mai si sarebbe sognata di assisterne ad una di così grande potenza. Sì, perché quello era stato un vero e proprio attacco di seduzione che nemmeno Casanova con tutta la buona volontà, sarebbe stato in grado di mettere in scena con così tanto fascino, sensualità e delicatezza misto ad un inconfondibile lato sexy,  come era stato capace di fare Ville Valo. Quegli occhi erano capaci di immobilizzare la vittima senza il bisogno di costruire attorno ad essa una autentica gabbia. Bastava quello sguardo sexy per imprigionare le anime e accendere i bollenti spiriti e mandarli in combustione.
Ciò che in quel momento Jackie si chiedeva era per quale motivo Ville avesse deciso di giocare con lei di punto in bianco.
Davvero non capiva.
L'unica cosa di cui era sicura era il fatto che quell'atteggiamento aveva provveduto a far crollare la certezza che, in quel periodo lì ad Helsinki, aveva avuto sulla grande delicatezza e serietà che non si aspettava minimamente da un uomo come lui.
La situazione era stata ribaltata. Jackie non era più certa dell'essenza di Ville; dopo quella scenetta piccante, lei non era più in grado di capire chi fosse il vero Ville Valo. Iniziava a credere che l'uomo fragile e impacciato che aveva conosciuto per tutto quel tempo fosse uno dei tanti Ville.
Ancora incredula, era tornata in camera e in balìa di questi discorsi mentali continuava a fare avanti e dietro come se aspettasse la chiamata per il patibolo. I battiti del cuore erano ancora accelerati mentre le mani stringevano i fianchi, come se questo le permettesse di dare una calmata al suo corpo, ancora eccitato dall'accaduto.
Era come se il corpo e il cuore fossero ancora lì in cucina, , tesi a percepire ogni piccola emozione stretti nella morsa letale di Ville Valo, il belloccio che nei primi mesi senza Johanna aveva odiato con tutta se stessa. Aveva dato la colpa anche a Marika di questo, poiché si sentiva presa in giro dalla persona che le aveva fatto giurare poco prima che la malattia la portasse all'ultimo respiro, di prendersi cura di Johanna, quella ragazza che aveva sempre sentito come sua figlia fin da quando era nata.
L'unico componente, dunque, che sembrava non essere soggetto alle passioni era il cervello.
Continuava a lavorare, più del normale. Per questo, Jackie, che per un momento si era appoggiata sul letto, si alzò e cercò di scacciare dalla sua mente il viso malizioso di quel finnico da strapazzo. E poi nuovamente si sedette e si abbandonò sul cuscino sbuffando. Doveva smetterla di pensare a tutto questo, di farsi paranoie inutili e di continuare a vivere come se niente fosse.
In fondo non era mica finito il mondo!
" Stupida."- sussurrò.- " sei semplicemente una stupida che si fa prendere dalle frivolezze inutili e sciocche."
Si girò verso la finestra e restò a fissare la luce debole del lampione che inondava la sua camera.
Aveva smesso di illudersi sugli uomini, da un bel pezzo, da quando non credeva più nell'amore, negli uomini fedeli e nella capacità di riuscire ad avvicinarsi ad una persona in grado di proteggerla e di amarla senza farle del male. Non aveva dimenticato quello che aveva subito, la sua sottomissione ad un uomo che amava ciecamente, senza accorgersi della vera realtà, quella fatta di infedeltà, notti insonni ad aspettare qualcuno che a casa non rientrava, di sentirsi inutile e di aver dato consensi forzati per far felice un altro che non era lei.
Fissò il soffitto e una piccola lacrima velocemente morì sul cuscino.
Non era ancora in grado di reagire alle sue amarezze se non con un sospiro e qualche lacrima.
Eppure aveva visto in Ville qualcosa di diverso dagli altri, ma che non riusciva a spiegarsi e di cui aveva paura, molta..
Alla fine terminò il suo lungo calvario mentale chiudendo gli occhi e aspettando che la stanchezza la portasse ad addormentarsi senza altri pensieri.
 
 

Continuava a rigirarsi la foto tra le mani mentre, in pigiama e con passo incerto, camminava nel corridoio in direzione della stanza di Ville. Johanna non sapeva se quella fosse la cosa giusta da fare, ovvero, donare la foto che sua madre le aveva dato prima di morire, che ritraeva lei e Ville molto giovani, a suo padre.

Quella notte aveva pensato molto, sia se valeva la pena separarsi da quella foto per un regalo e sia su che cosa dire a suo padre. Per lei era sempre difficile fare un discorso, a prescindere se l'avesse fatto a Ville Valo o al vicino di casa. Non riusciva ad esprimersi al meglio sui suoi sentimenti per via della sua timidezza.
E poi era strano sapere che quel giorno lei non doveva immaginare, come aveva sempre fatto, cosa facesse Ville Valo in occasione del suo compleanno. Aveva sempre pensato che Ville festeggiasse con la sua famiglia e qualche amico senza fare niente di spettacolare. Per come era lui, Johanna era sicura che le cose andassero come lei immaginava.
E ora era lì, e avrebbe visto con i suoi stessi occhi ciò che sarebbe accaduto.
Buffo come il destino a volte giocava questi incredibili scherzi..
Giunta davanti alla porta deglutì e restò per qualche minuto con il pugno in alto senza bussare. All'improvviso le era scomparso il poco coraggio che aveva racimolato.
Non c'era più tempo per pensare, nemmeno alla cosa più stupida. Era lì davanti alla porta della sua stanza e, a meno che non avesse avuto intenzione di scappare come una codarda e rifugiarsi in camera sua, quello era il momento giusto per bussare e attendere che Ville le aprisse, o quanto meno, le desse il consenso anche solamente con la sua voce, ad entrare. Come tale, non si aspettava di certo che la diva si alzasse dal letto per andare ad aprire. Le volte che era entrata in quella stanza, Johanna non avevano mai avuto il privilegio di vedere Ville pronto dietro alla porta ad aprire con grande allegria. Anzi, aveva dovuto combattere contro i grugniti di un rachitico che borbottava continuamente di lasciarlo dormire ancora un altro po' prima di prepararsi per accompagnarla a scuola. Ed erano ancora più rare le volte che Ville era già pronto e bussava alla sua di porta urlandole di alzarsi.
" Ehi! Che stai facendo?"
La voce di Ville la fece sobbalzare e con il cuore in gola, si girò verso di lui.
Non era possibile! Era già in piedi e pronto! Miracolo!
Questo non faceva altro che peggiorare la situazione, però. Johanna sembrava un automa.
" Hai perso la lingua?"- le chiese Ville avvicinandosi, divertito.
Johanna scosse la testa e decisa rispose: " no..ero venuta da te per.."
Si bloccò e abbassò lo sguardo verso la foto.
Guardò nuovamente Ville e con un mezzo sorriso disse: " beh..ehm..buon compleanno!"
" Grazie!"- rispose allegramente Ville, decisamente confuso dal comportamento strano di sua figlia.
" C'è qualcosa che non va?"- chiese cercando di catturare lo sguardo di Johanna che si era nuovamente nascosto.
Johanna sospirò e lo guardò dritto negli occhi.
" Io volevo darti una cosa."
Allungò la mano e consegnò a Ville la foto.
Ancora confuso, il ragazzo guardò Johanna e poi la foto.
Con enorme sorpresa, Ville, fissò il suo passato fra le sue dita e quella donna che sorrideva, bellissima, fra le sue braccia.
" Marika.."- sussurrò.
" Questa foto me l'ha data la mamma prima che morisse."- annunciò Johanna schiarendosi la voce.- " non te l'ho fatta vedere all'inizio perché ero ancora arrabbiata. E poi..non riuscivo a crederci e quindi fissavo la foto cercando di capire se tutto quello che stava succedendo fosse vero. Soprattutto se fosse vero il fatto che tu avresti fatto parte della mia vita in maniera diversa. Io penso che la mamma avrebbe voluto che questa la consegnassi a te..quindi..beh..è tua ora. "
Era davvero imbarazzata e per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi fissi sulla mano di Ville che teneva la foto. Ville era ancora incredulo perché non aveva pensato minimamente che Marika per tutto quel tempo avesse una loro foto con sé.

" Forse ho fatto male a.."- iniziò Johanna in preda al panico.
" No..no. sono contento che tu mi abbia voluto regalare questa foto. Ultimamente mi sono chiesto più volte se Marika avesse conservato qualche foto nostra. Io l'ho fatto."- disse Ville sorridendole.

Johanna sgranò gli occhi.
" Davvero?"
Ville aveva con sé delle foto di sua madre?
Ville ridendo per via della faccia sconvolta di Johanna, aprì la porta della sua stanza e si avvicinò all'armadio. Dopo aver trafficato abbastanza, da un cassetto estrasse una vecchia scatola. Johanna la guardò meravigliata, mentre Ville le fece cenno di sedersi accanto a lui sul letto ancora disfatto.
Il ragazzo sollevo il coperchio e finalmente Johanna poté vedere cosa si celasse all'interno.
C'erano vari oggetti e a giudicare dall'aspetto erano molto vecchi, probabilmente erano piccoli ricordi che Ville stesso conservò per avere con sé le cose a cui si era affezionato. Johanna non volle essere una ficcanaso, per questo non chiese nulla, specie di quel vecchio bottone rosso che stonava con tutto il resto. Aspettò che fosse suo padre a parlare.
Ville proprio in quel momento tirò fuori una foto e guardò per qualche istante Johanna. Poi sorridendo gliela porse. E lei confusa, prese la foto guardando prima Ville e poi la foto.
C'era una donna molto giovane davanti ad una casa e affianco a lei c'era sempre Ville. Sembrava che tale foto fosse collegata alla sua poiché i due indossavano gli stessi indumenti e Marika aveva gli stessi capelli ricci e corti con un nastro. Immaginò che questa fosse stata scattata prima della foto che aveva conservato sua madre.
Quella doveva essere la casa di Marika lì ad Helsinki. Lei e Ville sorridevano e le loro posizioni erano spontanee, segno che la foto era stata scattata all'insaputa dei due. Marika era così bella che Johanna non le riusciva a staccare gli occhi.
E Ville non aveva nessuna traccia di malinconia sul viso, come mostrava ora. Era un giovanotto spensierato.
" Ti piace?"
Johanna annuì.
" Questa la scattò Mige. Sai, quel giorno si divertiva a fare foto all'impazzata. ' Voglio fare una foto originale!' diceva. Ero appena giunto a casa di tua madre. Lì stavamo parlando. Penso che tua madre stesse dicendo una sciocchezza sui suoi capelli. Sai, a lei piaceva molto scherzare. Era così allegra che alle volte mi domandavo se era vera. Riusciva a riempire le mie giornate, ad inondarle di luce anche quando erano davvero pessime. Non capii mai cosa l'avesse colpita di me, così tanto da innamorarsi di un burbero e antipatico come il sottoscritto."
" Me lo chiedo anche io."- scherzò Johanna.
" Ehi!"- esclamò Ville fingendosi offeso. Johanna ridacchiò e consegnò la foto a Ville. Lui la rimise accuratamente nella scatola. Poi prese la foto che gli aveva regalato Johanna e la mise vicina all'altra e chiuse la scatola per rimetterla al suo posto.
Forse in quel momento Johanna avrebbe dovuto dire qualcosa di carino, o aggiungere qualche parola in più di un semplice ' buon compleanno'.
Forse avrebbe dovuto pronunciare quella parola magica, ' papà', ma non era in grado di farlo.
E questo le dispiaceva.
" Ville io.."
" Amoreee!"
Ma Hanna riuscì ancora una volta a rovinare tutto.
Ville le andò incontro senza però baciarla.
' Meno male', pensò Johanna.
" Che stavate combinando voi due?"
' Saranno fatti nostri, no?', aveva voglia di rispondere la ragazza.
" Stavamo..parlando."- rispose invece Ville, cercando di sorriderle. Era difficile farlo, dopo essersi perso nei ricordi più felici che conservava gelosamente nel suo armadio.
" Oh che cari!"- esclamò Hanna con voce stridula. A Johanna venne l'istinto di alzarsi e ammazzarla.- " scendiamo?"
" Sì.."- rispose Ville.- " tu intanto preparati altrimenti faremo tardi."
" Ok.."- disse con tono spento la ragazzina che si alzò dal letto e uscì arrabbiata dalla stanza.
Ville non si accorse di nulla e quindi scese con Hanna le scale, cercando di sorridere a quella donna che non aveva nulla di simile a lui.
 

Quando entrarono in cucina, ancora una volta Ville non pensò minimamente all'eventuale presenza di qualcun altro e così si lasciò baciare appassionatamente da Hanna.

Jackie proprio in quel momento spense il fornello e dopo aver messo il caffè nella tazza, alzò gli occhi al cielo vedendo quella scena.
" Buongiorno anche a voi."- disse infastidita.
E naturalmente Ville, come era successo per le altre poche volte, si imbarazzò e cercò di far finta di niente.
" Ciao Jackie!"
Jackie disgustata non lo guardò nemmeno e continuò a preparare la colazione per Johanna, indignata. Ormai era stufa di quella scenetta, inutile e stupida. Una scenetta che ormai sapeva a memoria e la cosa non la esaltava affatto. Anzi, avrebbe preferito evitare di essere la stupida di turno, sempre presente in quelle circostanze, ma non poteva prevedere il futuro. E come tutte le volte che accadeva, evitava di guardarli e tossicchiava per rendere evidente la sua presenza, almeno per quello che poteva contare.
E come tutte le volte, Ville non sapeva cosa dire e fare e finiva per darsi dello stupido, perché sapeva bene che poteva evitare ogni tipo di smanceria davanti a Jackie, soprattutto perché nemmeno a lui piaceva comportarsi in quella maniera. Ancora una volta entravano in gioco i falsi sentimenti che mostrava ad Hanna, quelli che ancora non riusciva ad abbandonare. Non c'era un motivo preciso perché lui si comportasse in quel modo. Probabilmente lo faceva per via della sicurezza di poter giocare come voleva con il cuore di una donna che non gli era mai davvero piaciuta, ma che non era così forte da contrastarlo, da disarmarlo, perché lui non aveva voglia di mettersi in gioco, di amare veramente.
Ma le cose sembravano cambiare come le stagioni e il tempo.
Alla fine tutto era destinato a cambiare, perfino e forse ancora di più, quelle abitudini radicate nei cuori spenti, che si erano arresi e non avevano più voglia di mettersi in gioco. Ma quando il sole li colpiva, era difficile per loro lasciare la strada comoda per imboccarne una un tantino tosta, anche se lo volevano. E questo Ville lo sapeva bene. In lui si erano spente tutte le luci e aveva finito per abituarsi alle comodità piuttosto che reagire a ciò che nemmeno gradiva.
Ma Jackie era lì, e lui doveva prendere delle decisioni sul da farsi. Non poteva giocare per tenersi stretta la comodità e allo stesso tempo ambire a ciò che era nuovo e giusto per lui.
Doveva decidersi ed evitare scenette stupide sia di giorno che di notte.
Già, la notte. Più precisamente quella appena trascorsa.
Non aveva bevuto, non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti, eppure sapeva benissimo che quello che aveva fatto era stata una perfetta cazzata. Si era dato del coglione e aveva pensato quasi tutta la notte a Jackie e alle sue possibili reazioni, dal momento che conosceva perfettamente quanto potesse essere insolito per lei vedersi quegli atteggiamenti proprio da lui, dal cretino della torre. Sapeva quanto Jackie non sopportasse quei modi di fare, per via di cose che lui non conosceva fino in fondo, appartenenti ad un passato che forse non avrebbe mai conosciuto.
La cosa certa, almeno secondo lui, riguarda il fatto dell'essersi giocato il tutto e per tutto con Jackie, solo perché non aveva le palle per dirle che si stava interessando a lei più del dovuto e farle capire che con Hanna non aveva intenzione di metter su famiglia e che nemmeno la amava come forse Jackie pensava.
Cosa avrebbe dovuto pensare dopo tutte le scene sdolcinate che era costretta a subire, sennò?
Era più opportuno precisare che Ville aveva deciso di chiudere la porta in faccia all'amore, nel momento in cui esso si faceva vivo. Così evitava gli sguardi, le donne che potevano interessargli davvero e che potevano compromettere la sua routine e finire per coltivare un deserto in fondo al suo cuore. Ma evitare Jackie era come evitare di scrivere una canzone.
Ville aveva mai voluto evitare un pezzo di carta?
La risposta era già nella domanda.
Si grattò la nuca e aspettò che Hanna se ne andasse. Un po' in cuor suo aveva timore di restare solo con Jackie, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora che Hanna andasse via perché non sopportava più la sua presenza.
" E' tardi, devo andare. Mi aspettano sul set."- disse in quel momento la bionda prendendo la sua giacca e la borsa. Il ragazzo sospirò sollevato.- " ci vediamo dopo."
Diede un ultimo bacio a Ville e andò via senza salutare Jackie, che continuava a sistemare qua e là senza guardare nella loro direzione.
Era proprio sul punto di andare via dalla cucina quando..
" Jackie!"- la voce di Ville la bloccò interamente.
Dovette voltarsi e simulare che stesse tranquilla.
" Sì?"
Ville si fermò esattamente a pochi passi da lei. Jackie iniziò a sentire il suo cuore battere più veloce del normale.
" Ecco..volevo..volevo scusarmi per stanotte. Non era mia intenzione spaventarti o farti fare un'idea sbagliata di me. Ecco..non so cosa mi sia preso. Di sicuro sono stato stupido."
" Tranquillo. È tutto okay."
Le parole le uscirono di bocca senza che ci avesse pensato. Ville la osservò meglio per capire se stesse mentendo. Evidentemente Jackie era così brava a fingere.
" Sicura?"

'No', avrebbe voluto rispondere prontamente, ma quel "no" implicava un casino di spiegazioni che probabilmente lei stessa non sarebbe riuscita a sostenere in maniera chiara e precisa, inciampando in ogni parola che avrebbe proferito. Era meglio non rischiare di finire in una gabbia, quando poteva evitare di mettersi nei guai.
E per una volta, Jackie Smith, conosciuta per i suoi casini appena apriva bocca, decise di seguire il consiglio che la sua testa le bisbigliava. Mentire in quel momento, in fondo, le sembrò semplicemente un modo per mandare avanti quella insolita convivenza, anche se la sua coscienza era di un altro parere. Con un enorme sforzo Jackie riuscì a mettere da parte i sensi di colpa, o meglio, nascose quasi perfettamente quell'impulso di mandare a monte i suoi piani e affrontare tutte le spiegazioni che quel " no" comportava.
" Sì, tutto okay."- ripeté sforzandosi questa volta di sorridere. Qualsiasi persona al  mondo avrebbe capito che quel sorriso celava ben altro dello stare bene. Tutti avrebbero capito che Jackie fingeva. Tutti tranne Ville. Perché Ville non prestava mai attenzione ai piccoli dettagli. In tutti quegli anni non era mai riuscito ad imparare o a migliorare. Si accorgeva delle cose solo dopo averci riflettuto o quando queste erano talmente evidenti che perfino un bambino sarebbe riuscito a capirle.
Ville annuì, fidandosi delle parole di Jackie senza andare più affondo nella questione. Anche se voleva farlo, non aveva le parole adatte, ma soprattutto, non aveva tempo. Aveva una riunione agli studi e doveva lavorare su una nuova melodia e quando si tratta di questo, nulla doveva distrarlo. Nessun pensiero doveva ostacolare i suoi piani.
Eppure, nonostante entrambi, chi per un motivo e chi per un altro, fingessero che quella piccola scenetta notturna non avesse procurato turbamenti sentimentali e psichici,  l'aria che si respirava in quella stanza divenne decisamente carica di imbarazzo. Sia Ville che Jackie sapevano che le cose erano cambiate, in maniera sottile, quasi invisibile, ma non avevano intenzione di fare qualcosa. E cosa ci avrebbero guadagnato non mettendo alla luce ciò che realmente pensavano?
Ville iniziò ad essere impacciato nei movimenti e fece cadere il suo cellulare e le chiavi della macchina mentre tentava di sistemarsi la giacca. Jackie per un attimo arrossì ripensando alla scena.
Fortunatamente in quel preciso istante arrivò Johanna correndo come una matta. Ancora una volta era in ritardo. La sua entrata in scena fece calmare i bollenti spiriti e tutto apparentemente tornò al suo posto.
" Ville!"- esclamò la ragazza riprendo fiato.- " pensavo di non trovarti."
" Sei sempre la solita ritardataria. Io non riesco a capire da chi tu abbia preso."
" Non mi sembra che tu sia sempre in perfetto orario. Anzi non lo sei mai! La dimostrazione sono tutte quelle volte che vieni in ritardo a prendermi a scuola. E non inventarti scuse."- concluse Johanna facendo tacere suo padre che stava per aprire bocca. Ville, colpito e affondato, squadrò sua figlia con aria minacciosa e disse: " muoviti. Non ho l'eternità per aspettarti."
Johanna guardò suo padre e all'improvviso scoppiò a ridere.
" E ora che hai?"
" Niente."
" Come sarebbe a dire niente?"- esclamò Ville, decisamente alterato.
" Niente, mi è scappato."
" A meno che tu non sia impazzita, ed è molto probabile, non penso che sia normale ridermi in faccia."
Ne andava di mezzo l'ego della diva!
" Oh e va bene! Beh se proprio lo vuoi sapere..ti sei messo la giacca al contrario."
Ville si guardò e notò il piccolo inconveniente. Anche Jackie, che aveva osservato la scena divertita, scoppiò a ridere. La guardò e per un istante di follia pensò di non aver mai visto un sorriso più bello di quello. Jackie era esattamente questo: una ragazza spontanea e andava trattata con la dolcezza e la simpatia che lui doveva ripescare da qualche parte, nell'antro della sua spelonca situata nel petto.
Si rimise la giacca sorridendo e poi disse: " bene, gente. Non c'è niente da vedere."- poi si rivolse a sua figlia.- " vogliamo andare, miss so tutto io?"
" Andiamo."
Johanna diede un bacio sulla guancia a Jackie e poi scappò via, lasciando la porta aperta. Ville scosse la testa e poi girandosi verso Jackie, la salutò alzando la mano.
" A dopo."- disse.
" Ciao."
E appena anche Ville abbandonò la torre, Jackie tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò sulla sedia della cucina. Ancora un altro po' e non sarebbe più riuscita a sostenere la situazione.
" Maledetto di un Valo."- sussurrò alla tazza del caffè ancora piena.
 


" E così mi disse che non faceva altro che pensarti."
" Mark è solamente uno stupido."- sbottò Johanna aprendo violentemente l'anta dell'armadietto.

 Mark, nonostante il primo impatto, aveva finito per mostrarsi per quello che era: uno sbruffone di prima categoria a cui piaceva più apparire che essere. E Johanna non aveva tempo per gli sciocchi come lui. Lei aveva da pensare a molte cose, come al fatto che prima della festicciola per Ville aveva intenzione di dirgli esattamente che lei, nonostante i difetti, aveva intenzione di chiamarlo papà. Una cosa molto difficile non solo da dire ma anche da pensare per convincersene.
" Io che cosa vi ho sempre detto?"- disse Arja con l'aria di una che la sapeva lunga.- " non volete mai ascoltarmi."- chiuse il suo armadietto e aspettò che lo facessero anche le altre. Johanna mise da parte il libro di matematica e lo zaino e prese il raccoglitore con dentro gli spartiti e la chitarra che quella mattina aveva portato con sé e messa nell'armadietto nell'attesa della lezione. Aveva pensato che il corso di musica fosse una passeggiata, ma si accorse ben presto che bisognava davvero faticare per ottenere anche il minimo risultato. E la cosa un po' la buttava giù. Probabilmente fino a quel momento si era solamente illusa di poter essere in grado di sapere fare qualcosa. Ognuno aveva un talento e lei pensava che fosse il canto, ma più andava avanti e più capiva che nonostante riuscisse a farcela, gli sforzi la sfinivano e iniziava a credere che se era così difficile, allora lei non aveva al cento per cento il talento del canto.

Sia Marianne che Arjia le avevano ripetuto fino alla nausea che quelle fisse ce le aveva solo lei.
" Sei la più brava del corso, perché dici questo?"
Ma ciò invece di incoraggiarla, la faceva sentire ancora più incompresa. Lei sentiva che c'era qualcosa che non andava. Suo padre non si era mai espresso su questo argomento, nonostante la sentisse cantare mentre si esercitava a suonare la chitarra e il piano. Ville si limitava ad ascoltarla accanto alla porta senza proferire parola. A volte andava anche via mentre lei pensava che stesse lì. Si voltava emozionata e poi con delusione scopriva che Ville non c'era.
 E questo non l'aiutava.
Non riusciva a capire se stesse andando bene o meno. Iniziava a pensare che a suo padre non gliene fregava nulla di questo.
E in tutto questo ci si metteva anche il pensiero di sua madre. Forse era per via delle foto che Ville le aveva mostrato che ora sentiva ancora di più la sua mancanza.
" Johanna, c'è qualcosa che non va?"- chiese Marianne mentre si dirigevano verso il grande cortile per fare pausa.
" Tutto okay."
" Allora questo significa che ci canterai qualcosa prima di abbandonarci per il tuo corso?"- chiese allegra Arja sedendosi su una pietra. Johanna si guardò intorno e vide che la sua amica aveva scelto il posto più appartato di tutti. Il cortile era molto più grande di quello della sua scuola a New York. Se proprio doveva dirla tutta, lì a Helsinki tutto era decisamente migliore delle cose che c'erano nella sua città natale.
Mentre osservava il luogo, si accorse che più in là c'era un ragazzo, che seduto su una panchina, stava scrivendo qualcosa su un quadernino. Era molto concentrato e scriveva molto veloce, come se volesse in tutti i modi che le parole che uscivano dalla sua testa dovessero tutte essere impresse sul foglio. Indossava una giacca di pelle nera, decisamente molto strano per il freddo che c'era, e aveva un paio di occhiali da sole tondi fra i capelli neri che gli arrivavano alle spalle. A giudicare dall'aspetto, doveva essere un assiduo ascoltatore di musica metal, eppure per quanto era mingherlino Johanna non pensava minimamente che potesse essere un duro. Guardandolo attentamente si ricordò che quel ragazzo lo aveva visto al corso di musica che lei frequentava, ma con il quale non aveva mai scambiato una parola. Si sedeva sempre all'ultimo banco e non parlava mai con nessuno. Johanna continuò a guardarlo, fino a quando non fu lui stesso ad alzare lo sguardo e a puntarlo su di lei che immediatamente lo distolse imbarazzata, e tornò a guardare le sue amiche.
Il ragazzo, incuriosito, restò a guardare Johanna dimenticandosi di scrivere le ultime parole che gli erano venute in mente. Quella ragazza credeva di conoscerla. Poi si ricordò del corso di musica e si ricordò di lei, che si sedeva sempre al secondo banco. Per una volta la sua memoria non lo aveva tradito.
Poco dopo, guardò per un'ultima volta Johanna e tornò a scrivere.
" Il tizio ti stava guardando."- disse Arja.- " ma non ti girare."
Johanna fu meravigliata, ma non si mosse.
" Oh! Il principe oscuro!"- esclamò Marianne ridacchiando.- " è carino, vero?"
" Non saprei. Non mi interessa, quindi non so dirlo. È solo che..mi fa strano vederlo sempre da solo."- rispose Johanna che iniziò ad accordare la chitarra.
" Eppure da come lo guardavi non sembrava così."- insistette Marianne. Johanna distolse lo sguardo dalla chitarra e disse: " non ho voglia di parlare di questo. Oggi ho mille pensieri per la testa e non voglio discutere su chi possa essere bello, brutto, leggermente strabico o perfetto."- si alzò e senza aggiungere altro andò via.
" Seguiamola."- disse Marianne, che non si era fatta intimorire dalla collera dell'amica. Johanna passò davanti al ragazzo senza guardarlo e tornò dentro.
Quando Marianne e Arja la riuscirono a trovare, era seduta a terra vicino al suo armadietto.
" Ehi.."- esordì Arja sedendosi accanto a lei.
" Tesoro, se hai bisogno di sfogarti noi siamo qui. Non devi tenerti le cose dentro."- disse Marianne togliendole una ciocca dei capelli dagli occhi e mettendogliela dietro l'orecchio. Johanna non stava piangendo. Semplicemente la giornata era storta e non sapeva più come affrontarla.
" Non c'è un motivo preciso..semplicemente è una giornata..strana."- commentò Johanna.- " ci sono cose che non riesco a spiegare bene e che mi innervosiscono per questo."
Marianne la abbracciò e Arja si aggiunse all'abbraccio. Johanna a momenti non respirava, ma non fece nulla per togliersele di dosso. Aveva bisogno di qualcuno che in quel momento non parlasse, ma allo stesso modo le facesse capire che era lì per stare con lei e sopportare i suoi malumori.
" Grazie."- disse alla fine sorridendo.
In qualche modo aveva ritrovato un po' di tranquillità, anche se non sapeva fino a quando sarebbe durata.
 
 
Il corso di musica quel giorno le sembrò durare poco e niente. Forse perché per evitare che tutti i pensieri che aveva la affogassero, si era concentrata su l'unica via che aveva per liberarsi di tutti i fardelli che era costretta a portarsi sulle spalle.
L'assenza di una mamma.
Il volersi legale ad un padre appena conosciuto.
Volerlo chiamare papà, ma non riuscirci.
Avere la consapevolezza che la sua zia acquisita prima o poi sarebbe andata via.
Sentirsi ad Helsinki più sola che mai.
La musica, in molti dicevano che era per depressi, in realtà era l'unico modo che permetteva alla gente di andare avanti e sopportare tutto ciò che faceva male.
Aiutava a vivere.
Johanna seguì l'intera lezione senza farsi distrarre da nulla e prese appunti su tutto ciò che secondo lei le sarebbe servito per migliore. Quando uscì dall'aula era ancora completamente concentrata che non fece attenzione e si scontrò con qualcuno.
Quando alzò gli occhi si accorse di essersi scontrata con il ragazzo solitario, anche lui con la chitarra.
" Scusa."- disse Johanna evitando di guardarlo e allontanandosi rapidamente.
' Ci mancava lui adesso', pensò infastidita mentre si avvicinò all'armadietto. Prese lo zaino, se lo infilò sulle spalle facendo attenzione alla sua chitarra e dopo aver preso il raccoglitore si avviò verso l'uscita aspettando che suo padre la venisse a prendere.
Quando respirò l'aria fredda dell'esterno, aguzzò la vista per riuscire a scorgere Ville, ma di lui non c'era nessuna traccia, così si sedette sulle scale e aspettò che arrivasse. Per paura di finire ancora una volta con il fare a pugni con i suoi pensieri, Johanna decise di suonare un po' la chitarra.
Non l'avrebbe vista nessuno. Chi poteva mai esserci alle tre del pomeriggio, se le lezioni normali finivano all'una?
 
" Happiness
More or less
It's just a change in me
Something in my liberty
Oh, my, my
Happiness
Coming and going
I watch you look at me
Watch my fever grow and
I know just where I am
But how many corners do I have to turn?
How many times do I have to learn
All the love I have is in my mind?
But I'm a lucky man
With fire in my hands.."
 
Ma si interruppe, poiché quella canzone le ricordava sua madre, colei che aveva assecondato il suo desiderio di voler imparare a suonare la chitarra e che non perdeva mai l'occasione di ascoltare tutto quello che lei, Johanna, le presentava ogni volta che aveva voglia di suonare.
" Secondo me non hai accordato molto bene la  chitarra."
Johanna sobbalzò e voltandosi vide lo stesso ragazzo di prima sedersi accanto a lei.
Chissà da quanto tempo era lì!
Improvvisamente diventò rossa e maledisse Ville per non essere mai puntuale.
" La mia chitarra è apposto."- tagliò corto lei.
" Non volevo offenderti."- disse lui. Non era arrabbiato, ma nemmeno molto allegro. Il suono delle sua voce sembrava piuttosto atono. Johanna si azzardò a guardare nella sua direzione e, per sua fortuna, il ragazzo non la stava guardando.
" No è che sono io che sono un po' nervosa oggi."- si scusò Johanna, cercando di capire cosa avesse lui.
" Capita a tutti."- concluse il ragazzo con lo stesso tono di prima.- " io sono Thomas."
Johanna, spiazzata dalla mano che il ragazzo le tendeva, lo guardò e poi la strinse.
" Johanna."
" La figlia di Ville Valo, vero?"
" Sì."
" Fico!"- esclamò Thomas accennando, per la prima volta, un piccolo sorriso.
' Non tanto'
Nessuno poteva capire la difficoltà del relazionarsi alla persona che mai avresti pensato, nemmeno sotto effetto degli stupefacenti, potesse far parte in questo modo della tua vita, da un giorno all'altro.
Qualcuno aveva mai avuto la stessa esperienza, quella di ritrovarsi accanto alla propria madre in fin di vita che ti rivelava l'esistenza di un padre che tu non volevi più e che addirittura era speciale, così tanto che nemmeno nei tuoi sogni più selvaggi sarebbe comparso?
Beh, a meno che non era scema, nel mondo c'era un solo Ville Valo speciale, il suo idolo. Quindi non poteva esserci nessuno al momento che poteva aver avuto la sua stessa esperienza.
" Già.."
Johanna guardò nuovamente Thomas, che indicando la sua chitarra chiese: " posso?"
Lei, confusa, gliela porse e osservò le operazioni che il ragazzo attuava.
" Ora dovrebbe andare bene. Prova a suonare di nuovo."- le suggerì alla fine riconsegnandogliela.
Lei suonò nuovamente la canzone e si accorse che il suono era perfetto. Come aveva fatto a non accorgersi che aveva accordato in malo modo la chitarra? Non le era mai capitato!
" Grazie."
" Di nulla."
I due si scambiarono un piccolo sorriso prima di ricadere nel silenzio e nell'assenza di emozioni. Proprio in quel momento Johanna osservò meglio l'abbigliamento del ragazzo.
Era completamente vestito di nero e indossava uno strano paio di stivali, anch'essi neri. Johanna pensò che erano simili a quelli che indossavano i componenti delle band che suonavano black metal e che le avevano fatto sempre una certa impressione. Una piccola catena spuntava da un lato dei pantaloni, mentre quella giacca di pelle la fece nuovamente rabbrividire. La cosa ancora più stramba erano i bracciali che indossava: sembravano fili spinati. Aveva voglia di toccarli per capire se lo erano per davvero, ma decise di farsi gli affari suoi. Ancora di più, sgranò gli occhi, quando vide meglio gli anelli strani che aveva alle dita. Ne contò in tutto cinque. Poi guardò la maglia che si intravedeva sotto alla giacca di pelle.
Black Sabbath.
" Anche tu sei fan dei Black Sabbath?"- chiese spontaneamente.
Thomas, che sembrava essersi perso fra i suoi pensieri, disse: " cosa?"
Johanna esaltata indicò la sua maglia e lui la toccò e poi rispose: " ah! Sì, sono un loro grande fan."
Grande come Ville?
Johanna aveva sempre pensato che non c'era fan dei Black Sabbath più fan di Ville Valo. Gli mancava solo l'anima da fangirl e poi poteva stare apposto. Johanna evitò di pensare a suo padre come fangirl in quel momento e si limitò a sorridere.
" Anche tu lo sei?"- chiese a sua volta il ragazzo che sembrava sorpreso.
" Sì."
" E' strano."
" Che io sia fan dei Black Sabbath?"- chiese confusa Johanna.
" Che una ragazza lo sia."- la corresse Thomas.
" E' così anormale?"
" Beh, qui sì."
" Ah!"
Il ragazzo guardò l'orologio che aveva al polso e disse: " devo andare."
Sì alzò, prese le sue cose e mettendosi gli occhiali da sole tondi come quelli di Ozzy Osbourne, la salutò.
" Ci vediamo, Johanna."
" Ciao."
Lo guardò andare via verso una metà sconosciuta, con la chitarra appoggiata con noncuranza sulle spalle.
" Che tipo strano."- sussurrò Johanna mentre lo vide sparire.
Proprio in quel momento vide arrivare un auto e finalmente Ville si era deciso, con tutti i suoi comodi, di venirla a prendere.
" Pensavo che ti avessero rapito gli alieni."- disse infilandosi in macchina.
" Scusa. Seppo mi ha trattenuto più del dovuto."
" Sei scusato solo perché oggi è il tuo compleanno."- sbottò Johanna mettendosi la cintura.
" Come sei gentile!"
" Anche troppo."

Entrambi si guardarono e scoppiarono a ridere.
Era bello quando si sentiva capita e veniva sostenuta nelle battute. Ed era ancora più bello se a farlo era suo padre.
" Come è andata al corso di musica?"
Davvero le aveva fatto quella domanda?
" Bene."
" Per bene intendi bene bene o bene?"
" Non confondermi."
" Ma io voglio sapere!"
" Bene."

" Mmh."
" Che c'è?"- chiese Johanna girandosi quasi completamente verso di lui.
" Niente."- rispose Ville sorridendo allegramente.
Quando giunsero a casa Johanna trovò Jackie in salotto e la salutò buttandosi completamente fra le sue braccia.
" Tesoro mio!"- esclamò la donna stringendola al petto.- " vieni in cucina così mi dici cosa c'è che non va."
Jackie le aveva sussurrato all'orecchio in modo tale che il mister non sentisse nulla e non si allarmasse.
Quando le due furono in cucina Johanna disse: " volevo parlare con Ville dopo e dirgli..insomma."
" Ti sei decisa?"

Johanna annuì, anche se non ne era proprio convinta.
" Sei molto coraggiosa."- disse sorridendo Jackie.- " ma ricordati che non sei costretta a farlo."
" Lo so, ma oggi è un giorno diverso e io vorrei fare qualcosa di più per lui."
Jackie lasciò da parte la pentola con l'acqua e andò a dare un bacio sulla fronte alla sua figlioccia.
" Sono sicura che tutto andrà per il verso giusto."
" Lo spero."
 
 

Le ore stavano scorrendo lentamente e il momento stava arrivando.

Prima dell'arrivo degli altri, Johanna avrebbe voluto fare il suo discorso a Ville, ma più passavano le ore e più il coraggio le veniva meno.
Pensava a come Ville fosse cambiato in quel periodo e a come si comportasse meglio con lei. Andavano d'accordo, anche se c'erano sempre i battibecchi, ma lei doveva ammettere che  adorava quei momenti.
Non riusciva a continuare il compito a casa di religione, ma tanto non le importava troppo. Così era scesa in salotto e si era messa al pianoforte.
Per lei le religioni erano semplicemente delle tradizioni inventate dagli uomini per darsi delle regole più severe. Aveva smesso di credere a qualsiasi cosa fin dal primo giorno senza sua madre.
Se esisteva un Dio, perché doveva essere così cattivo da averle tolto sua madre?
La sua tesi la convinceva sempre di più. Nulla esisteva.
Una volta il suo insegnante di religione chiese alla classe: " che cosa è necessario perché un uomo viva felice la sua vita?"
Johanna non credeva che fosse necessario vincere alla lotteria per vivere bene. Lei avrebbe vissuto felice se sua madre fosse stata ancora viva.
Un uomo poteva essere felice solo se poteva vivere con al fianco le persone che più amava. Quello gli permetteva di superare qualsiasi ostacolo, insieme alla musica.
Persa in quei ragionamenti, Johanna decise di suonare un po' prima di affrontare Ville.
 
" No warning sign, no alibi
We’re fading faster than the speed of light
Took a chance, crashed and burned
No one will ever, ever learn.."
 
Le dita scivolavano delicate sui tasti prima di riprendere.
 
" I fell apart, but got back up again
And then I fell apart, but got back up again.."
 
Doveva rialzarsi, vincere le sue paure, fare di tutto per sentirsi meglio.
 
" We both could see crystal clear
The inevitable end was near
Made our choice, trial by fire
To battle is the only way we feel.."
 
Ville in silenzio, giunse in salotto, curioso di vedere Johanna cantare.
Era davvero brava e con il tempo era anche migliorata.
Voleva dirglielo, ma non aveva mai avuto modo per esprimersi su tale argomento, poiché aveva sempre timore che potesse dire qualcosa di sbagliato. Amava sentire Johanna suonare il pianoforte. La casa era più piena e ciò lo faceva sentire più felice.
Da quando Ville non era più felice? Non se lo ricordava più.
Sorrise appoggiandosi al muro, aspettando che Johanna terminasse.
" Lo sai che potrei metterti in castigo per due mesi?"
Johanna sobbalzò e poi guardò suo padre.
" Solo perché a te non piacciono i Thirty Seconds to Mars."
" Esatto."
Ville si avvicinò e si sedette accanto a lei. Johanna si meravigliò e sentì che il suo cuore fece una capriola di gioia.
" Eppure sapevi che questa canzone è la loro. A questo punto mi viene da chiederti come mai la conosci visto che non è nemmeno famosa."- disse divertita. Ville suonò un tasto e poi guardò Johanna.
" Una volta tuo zio Jesse la suonò e mi disse di chi era."
" E non l'hai ammazzato di botte?"
" No, eravamo in un luogo pubblico."
" Capisco."- disse la ragazza annuendo.- " quindi non posso nemmeno dirti che vorrei sposare Jared Leto?"
Già che c'era poteva divertirsi un po'. Ville la fulminò.
" No. Anzi, non nominarlo proprio."

" Tiranno."
" Ragazza ribelle."
" Despota."

" Sorbetto al limone."
Johanna lo guardò scioccata e scoppiò a ridere.

" Che poi vorrei proprio sapere che cos'ha quell'uomo perché tutte gli corrono dietro."- commentò Ville con disprezzo poco dopo.
" Mmh..fammi pensare. È bello, talentuoso, figo e tante altre cose."- rispose Johanna sospirando.
" Ehi! Ma tu non eri una mia fan?" - chiese infastidito.
" Sì che lo sono!"- esclamò Johanna alzando gli occhi al cielo. Incredibile come l'ego delle dive era così facilmente distruttibile.
"Hai fraternizzato con il nemico!"- esclamò Ville puntandole un dito contro.
" Avrò fraternizzato con altre decine di band che forse a te fanno schifo o salire il nervoso."
" Sto esagerando, vero?"
" Solo un pochino."
Scoppiarono a ridere ancora una volta.
" Suoniamo qualcosa insieme?"- propose ad un tratto Ville.
" Cosa?"- chiese Johanna deglutendo.

Ville iniziò a suonare e  riuscì immediatamente a capire di quale canzone si trattasse e la cosa per lei fu abbastanza sorprendente, dal momento che non pensava minimamente che a suo padre potessero piacere canzoni come quelle di Elton John.
Ville sorrise e lei senza pensarci su a lungo, iniziò a cantare.
 
" It’s a little bit funny
This feeling inside
I’m not one of those
Who can easly hide
I don’t have much money
But boy, if I did
I’d buy a big house
Where we both could live.."
 
E poi fu la volta di Ville.
 
" If I was a sculptor, but then again no,
Or a man who makes potions
In a travelling show
 I know it’s not much,
But it’s the best I can do
My gift is my song
And this one’s for you.."
 
E poi Johanna si inserì in maniera perfetta.
 
"And you can tell everybody,
This is your song
It may be quite simple
But now that it’s done."
 
E poi giunse il momento in cui padre e figlia unirono le loro voci per il ritornello.
 
"I hope you don’t mind,
I hope you don’t mind
That I put down in words
How wonderful life is
While you’re in the world."
 
Continuarono a cantare creando una grande magia intorno a loro. Erano perfettamente in sintonia e mai come in quel momento, entrambi si sentirono a proprio agio, come se la musica riuscisse ad unirli senza farli sentire incompresi. Si sentivano bene, sorridevano e cantavano come se quella fosse la cosa più giusta da fare in un piccolo momento di rabbia e malinconia che nel cuore di Johanna sembravano aver trovato casa. In lei ora si erano fatti spazio i sentimenti più belli che  forse sarebbero morti insieme alle ultime note del pianoforte. Ma non importava.
Ciò che in quel momento contava più di ogni altra cosa era che lei e suo padre cantassero insieme affiatati come se stessero ad un concerto. Certo, non era lo stile musicale che ci si aspettava da Ville Valo, e forse nessuno, al di fuori di sua figlia, lo avrebbe mai sentito cantare quel repertorio, ma se ciò gli permetteva di vedere sua figlia felice, cantare perfettamente con lui e addirittura meglio di lui, allora voleva dire che avrebbe cantato quel repertorio ancora una volta.
" Wow.."
Fu l'unica cosa che riuscì a dire Johanna alla fine.
" Sì, devo ammettere che è stato davvero bello"- commentò Ville.
Guardò serio sua figlia e chiese: "  vuoi davvero fare la cantante?"
" E' uno dei miei desideri più grandi."
" Sei brava, potresti riuscirci."

" Grazie."
" Però devi sapere che il mondo lì fuori, quello di cui io faccio parte è davvero tosto. Hai ancora molto da imparare, sei molto giovane."
" Ma.."
" Non guardare i ragazzini che sono diventati famosi per due semplici canzoncine sciocche. Fra qualche anno nessuno saprà più chi sono. E sai perché?"
Johanna scosse la testa.
" Perché non hanno messo la loro anima in quello che fanno e non hanno l'umiltà. Non si scusano se sbagliano e la maggior parte delle volte non ne sono nemmeno consapevoli. Johanna, prima di essere un cantante, un attore, uno scultore, o qualsiasi artista, devi imparare ad essere umile..e geniale. Nel caso del cantante segui sempre ciò che ti dice la testa e proponila ai tuoi musicisti. Vai d'accordo con loro e sii gentile. Il resto non conta, meno di tutti le case discografiche. Quelle sono demoni, ma anche se ti leghi a loro, cerca sempre di farti rispettare."
Johanna annuì decisa. Poi all'improvviso di alzò, allontanandosi da suo padre. Continuava a tormentarsi le mani mentre il suo cuore rischiava di uscire dal petto. Aveva la test china e cercava disperatamente di ripescare quel coraggio che proprio in quel momento le era venuto meno.
" Johanna?"- chiese incerto Ville.
" Senti..io..io volevo dirti una cosa."- disse all'improvviso senza riflettere bene.
" Mark ti ha importunata?"
" No!"
" Johanna, non tenermi nascosto niente."
" Ville! Ho semplicemente intenzione di dirti una cosa che non centra niente con tutto quello che mi hai chiesto."

" Ah..okay. Beh..allora dimmi."- disse l'uomo ancora più confuso.
" E' difficile, non so da dove iniziare."

Johanna era indecisa sul da farsi ora.
" Beh, potresti iniziare sedendoti."- consigliò Ville indicandole il posto vicino al suo.

Johanna lo guardò e non si mosse.
 " Che c'è?"
" Sembra di essere dal preside a scuola."
 " Signorina, lei si è comportata davvero molto male. Potrebbe essere espulsa, lo sa questo?"- scherzò Ville con fare professionale.
" Non sei credibile."
" Almeno ci ho provato."

Dopo un piccolo sorriso, calò nuovamente il silenzio.
" Ville?"
" Uhm?"
" Io..io ce la sto mettendo tutta per chiamarti in quel modo."
" Johan.."

" Avevo pensato che una volta giunto questo giorno io riuscissi a farti come regalo il mio sforzo..ma non ci riesco. Lo so, è passato più di un mese, forse due, e forse dovrebbe essere giunto il momento. E mi sento in colpa, ma non posso fingere. Io ti vedo ancora come l'uomo che ha dato vita al mio gruppo musicale preferito, ed è ancora strano pensare che tu possa far parte della mia vita in quest'altro modo. Per me è difficile. E poi mi manca la mamma e sono triste per questo, ma poi penso a te e mi sento meglio, ma poi mi sento in colpa perché non riesco a dire quello che dovrei dire. E quindi non ho un regalo da farti. O meglio ce l'avevo ma la mia bocca non ha intenzione di dartelo."
" Johanna.."
" Ville io davvero.."- lo interruppe nuovamente disperata.
Ville si avvicinò a lei e la prese per le spalle.
" Johanna! Vuoi stare calma?"

La ragazza restò in silenzio, in attesa che lui facesse qualcosa.
Ville si abbassò per guardarla meglio e le strinse la mano.
" Bene." - la guardò ancora.- " Io non pretendo che tu mi chiami papà. È già tanto che tu sia qui e non mi mandi a quel paese in maniera definitiva per il modo con cui a volte mi comporto con gli altri e anche con te. Non credere che per me sia come fare una passeggiata, anche io sono piuttosto bloccato. Avere una figlia e scoprirlo in questo modo..beh non è stato bellissimo. È scioccante specie per me che di figli non ne avevo in programma..ma ciò non significa che io non ti voglia bene o pretendo che dobbiamo apparire come la famigliola felice dopo soli due mesi di convivenza, uno dei quali anche forzato. Un regalo già me l'hai fatto. Grazie a te sto scoprendo una parte di me che credevo essere morta e sepolta. Il Ville Valo che hai sempre visto, non era quello che sono realmente."- si bloccò sentendo il solito nodo alla gola.- " io..io mi sento a casa anche nella mia stessa casa, ora che ci sei tu. So che quando torno in queste quattro mura non sono più solo come un cane..che c'è qualcuno che con i suoi borbottii e giornate storte mi accoglie. Che quando siamo soli possiamo cantare e suonare insieme, che ci divertiamo con poco e ci sopportiamo a vicenda quando siamo arrabbiati. Non ricordavo nemmeno più come fosse l'edificio della scuola e venirti a prendere all'uscita mi fa sentire un perfetto comune mortale, quello che vorrei essere. Con te sento che tutto sta andando nel verso giusto, per una volta nella mia vita. Quindi come vedi, il regalo per il mio compleanno me l'hai fatto.."- poi si avvicinò al suo orecchio.-  "..e sinceramente è molto meglio il tuo, di quello di tutte le altre persone che verranno oggi a casa."
Johanna era in lacrime e non riusciva a dire nulla di sensato. Così si buttò fra le braccia di Ville e lo strinse a sé. Anche a Ville scesero delle lacrime, ma fu ben deciso a non piangere. Non potevano trasformare il salotto in una valle di lacrime.
" Grazie."- disse Johanna quando ebbe finito di sfogarsi.
" Grazie a te..per aver deciso di..di provarci."

Il loro sorriso era identico. Erano due perfetti Valo, in tutto e per tutto.
Nell'essere impacciati nei sentimenti.
Nel non tollerare i grandi discorsi.
Nell'irritarsi facilmente quando le cose non andavano come volevano.
Nel celare un amore verso l'altro molto più grande di quello che pensavano.
" Oops!"
Entrambi si voltarono verso il disturbatore che era appena entrato senza avviso.
" Jesse!"- esclamò Johanna andandogli incontro.

" Johannaaaa!"
Jesse abbracciò sua nipote e poi iniziarono a salutarsi in un maniera strana, un po' come i saluti fra rapper afroamericani. Scoppiarono a ridere mentre Ville alzò gli occhi al cielo.
" Disturbo?"- chiese Jesse guardando suo fratello.
" Ormai l'hai fatto."
" Sei sempre simpatico."
Poi Jesse guardò il pianoforte ed esclamò: " ooh! Stavate suonando? Suoniamo insieme? Johanna, cosa vuoi che lo zio canti per te?"
" Sai cantare?"- chiese la ragazza avvicinandosi a Jesse, che si era appena seduto al pianoforte.
" E' una cornacchia. Jesse levati."
" Ehi! Io devo suonare."
Ville si sedette accanto a lui e iniziarono a spingersi.

" Tu non ucciderai le mie orecchie con la tua voce da cornacchia."
" Voce da cornacchia a chi? Ehi!"
" Ti ammazzo di botte!"- esclamò Ville.
" Prima io."
" Insomma! Che sta succedendo?"
Johanna, che era piegata in due dalle risate, guardò Jackie che era appena entrata in casa.
" Zia Jackie, non farci caso. Sono così, dobbiamo tenerceli."
" Ehi!"- esclamarono in coro i due fratelli.

Jackie alzò gli occhi al cielo.
" Bene! Ora che ci siamo tutti, possiamo cantare."- propose Jesse che si alzò e trascinò Jackie con lui.
" Cosa? Ma io non so cantare!"
" Non fa niente. Ci divertiremo prima di vedere la mamma che ci ammazzerà di parole perché siamo due imbecilli." - disse Jesse indicando lui e suo fratello.
Ville scoppiò a ridere, così come tutti gli altri.
Il tempo che restò i quartetto lo utilizzò per stonare, urlare, improvvisare e suonare senza sosta. Quei sorrisi, le risate..furono tutto ciò che Johanna desiderava per stare bene.
E per quanto riguardava Ville, era sicuro che questo era il suo compleanno migliore, quello in cui veramente si sentiva felice come non lo era stato mai.

 

 

 

L'ANGOLO DI VALS.
Nemmeno fossimo ad High School Musical. Cioè rendiamoci conto dello scempio. Ville che canta Elton John e tutto il resto. Parliamone.
Comunque, facciamo finta che siano passati solo alcuni giorni dall'ultimo aggiornamento. Facciamo?
No, è giusto per non essere uccisa. SONO TROPPO GIOVANE, capite?
Va beh, la follia è sempre di casa, che ce volete fa?
Allora, come vi è sembrato? Fa tanto schifo?
Dovevo aggiornare per forza e nonostante non fossi molto convinta ho postato lo stesso questo capitolo.
E poi volevo spendere due parole per quanto riguarda il nuovo personaggio, che sembra un po' uno che sta sulle nuvole.
ALLORA, premetto che un tipo del genere io lo conosco quindi spero per lui che  non venga mai a sapere che l'ho messo qui. Capirebbe che sono una psicopatica.
POI, siccome non posso violare la privacy altrui, ho dovuto scegliere qualcun altro che interpretasse questo Thomas, quindi questo è lui. E' stata difficile scegliere, credetemi.
Non è bellissimo, però..insomma amiamolo lo stesso xD! E' questo ragazzo che probabilmente darà filo da torcere al Valo eheheheheheh u.u


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Bene. Questo è tutto.

Fatemi sapere cosa ne pensate, e se volete potete anche mandarmi a quel paese. Non c'è problema :3
Ringrazio le anime che invece di abbandonarmi, sono state qui ad aspettare e soprattutto a quelle che si sono aggiunge in questi mesi. Cioè io se fossi stata in voi non l'avrei fatto ahahah xD
Scemenza a parte, grazie davvero tanto <3
Alla prossima
Vals

 




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