Die Another Day (Being a War Mage III)

di Sunny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vita quasi normale ***
Capitolo 2: *** Perfezione significa irrealtà ***
Capitolo 3: *** Strane sensazioni ***
Capitolo 4: *** Fulmini a ciel sereno ***
Capitolo 5: *** Di che pasta siamo fatti ***
Capitolo 6: *** Perde chi molla ***
Capitolo 7: *** La disperazione rende coraggiosi ***
Capitolo 8: *** Il gioco della guerra ***
Capitolo 9: *** Il cerchio si stringe ***
Capitolo 10: *** Nella tela del ragno ***
Capitolo 11: *** L'unione fa la forza ***
Capitolo 12: *** Casa dolce casa! ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una vita quasi normale ***


…il ritorno della folle

…il ritorno della folle!!! Ciao gente! Vi sono mancata? Vi assicuro che a me è mancato un bel po’ non avere cinque minuti a disposizione per scrivere un po’ in pace…dannati professori! Questa settimana si sono accaniti contro di me! Ah ah, ma i maledetti hanno avuto pane per i loro denti, perché mi sono tolta di mezzo tutte le loro dannate interrogazioni e ora starò in pace per un po’…finalmente! ^^

Vabbè, dai…non vi trattengo oltre. Avanti con la storia! Ecco l’attesissimo (?) seguito di It Never Ends, nonché terzo e ultimo capitolo della saga dei War Mage: oh, e non ditemi che il titolo non è mio, perché lo so già! E’ solo che ci sta tremendamente bene, perché….oh beh, questo lo scoprirete da soli man mano che leggerete i vari capitoli….^^

 

 

 

 

                                                                        DIE ANOTHER DAY

 

 

 

CAPITOLO 1: UNA VITA QUASI NORMALE

 

 

It’s a beautiful life,

I just wanna be here beside you

And stay until the break of dawn

And it’s such a dream, ooh…

                                                               Beautiful Life, Ace of Base

 

 

***************

 

 

La sveglia suonò più insistente che mai, ma Ron, senza svegliarsi completamente, la fece smettere con una manata. Mai e poi mai si sarebbe svegliato alle sette di mattina anche di sabato, e a quanto sembrava Hermione era della stessa idea, perché continuava a dormire accanto a lui senza accennare a svegliarsi. Quello che invece lo spinse a socchiudere gli occhi furono dei passettini nel corridoio e dei mormorii sottovoce; Ron si voltò verso Hermione e vide che anche lei, pur non avendo aperto gli occhi, stava sorridendo.

 

“Buongiorno.” Gli sussurrò, molto più sveglia di quanto non sembrasse.

 

“Buongiorno.” Le rispose con un sorriso lui. “E auguri.”

 

Lei gli accarezzò la guancia col dorso della mano. “Auguri anche a te. Ma non gli roviniamo la sorpresa.” Lui annuì, e richiusero di nuovo gli occhi.

 

La porta della stanza si aprì molto piano, e un bimbetto coi capelli e gli occhi nocciola si affacciò nella camera con un’espressione vispa ed emozionata; un secondo dopo lo seguì un bambino più alto, coi capelli rossi e gli occhi blu.

 

“Shh, non fare rumore.” Disse sottovoce il più grande, mentre entravano e si avvicinavano al lettone dei genitori. “Ok, pronto? Uno, due, tre…”

 

“SORPRESA!!!”

 

Ron e Hermione finsero di svegliarsi proprio in quel momento. “…mmh…ehi, ragazzi.” Fece Ron stiracchiandosi, mentre Hermione si metteva seduta.

 

“Tanti auguri!” squittirono i bambini, balzando sul lettone fra i genitori.

 

“Ve lo siete ricordato!” Hermione rivolse a entrambi un gran sorriso.

 

Il più grande, Jack, annuì entusiasta. “E come ce lo potevamo scordare? E’ diventata una roba importante come il Natale qua.”

 

Il piccolo Simon si mise comodo sulle gambe del padre. “Io vi ho fatto anche un disegno, guardate!” sul foglio che il bimbo mostrava con tanto orgoglio erano disegnati due omini secchi secchi che si davano la mano, e sopra stava scritto ‘Buon 10° Aniversario’ coi pennarelli.

 

“Tesoro, è bellissimo.” Hermione gli baciò la guancia.

 

Jack diede un’occhiata al foglio, poi mollò uno scrollone al fratello. “Ma che babbeo che sei! Anniversario si scrive con due n!”

 

Simon, perplesso, guardò il foglio. “Ah si?”

 

Ron rise e arruffò amorevolmente i capelli del figlio minore. “Non fa niente, Simon, è perfetto così.” Il bimbo sorrise allegramente, mostrando la boccuccia senza i due dentini davanti.

 

“Vi abbiamo comprato una cosa.” Disse Jack, dando a sua madre un pacchetto piccolo e di forma strana.

 

Hermione sorrise. “Una sorpresa, che bello!”

 

“Dai, aprila! Voglio vedere cosa c’è dentro.” Incalzò Ron.

 

Lei aprì il pacchettino con cura e ne venne fuori una pietra celeste molto chiara, quasi trasparente. Jack anticipò sua madre e le spiegò cos’era. “E’ una pietra che dovrebbe mostrare quello che più desideri con tutto il cuore. Rudy Philips, un mio compagno di calsse, ha detto che sua sorella l’ha regalata al suo fidanzato. Dan dice che è una scemenza, però a me è piaciuta.”

 

“Io credo proprio che funzioni.” Lo incoraggiò Hermione, mettendo la pietra controluce.

 

“Grazie, è un regalo molto bello.” Ron diede un pizzicotto sul naso di Simon e una pacchetta sulle spalle di Jack.

 

“Posso dare un bacio a tutti e due?” disse Hermione con un sorrisetto.

 

“Va bene, però piccolo. Sono troppo grande per queste cose.” Fece Jack, con aria da adulto.

 

Ron rise. “Eh si, l’età a due cifre comporta queste responsabilità.”

 

Hermione li baciò comunque tutti e due. “Oh, finitela. Non si smette mai di essere baciati dalla mamma.”

 

“Come nonna fa con papà.” Ridacchiò Simon, facendo ridere anche gli altri.

 

“Adesso tocca a me.” Ron si mise seduto e prese dal comodino una scatola elegantemente incartata. “Auguri, amore.” Disse, porgendola alla moglie con un gran sorriso.

 

Hermione la scartò e nell’aprirla trattenne per un attimo il fiato. Conteneva un bellissimo orologio in oro bianco, con un cinturino più lungo che prima di allacciarsi faceva un paio di giri attorno al polso. Lei lo indossò subito, molto emozionata. “Ron, è splendido.” Disse, rimirandoselo al polso.

 

“Fa’ vedere.” Jack volle vederlo da vicino.

 

Hermione ringraziò il marito con un piccolo bacio sulle labbra. “Grazie.”

 

Lui sorrise. “Ma ti pare.”

 

“Io ho visto un orologio così anche da un’altra parte.” Fece Simon, con un’aria molto concentrata e molto simile a sua madre.

 

“E dove?” gli chiese il fratello.

 

“Mmh…forse dentro William. Adesso vado a vedere.” Il bimbetto scese dal lettone e corse nella sua stanza.

 

Jack scosse la testa. “Non è normale.”

 

“Jack, non ricominciare.” Lo ammonì Hermione.

 

“Mamma, quante altre persone conosci che chiamano i libri per nome?!”

 

Ron rise. “Jack, conosco tua madre da quando avevamo poco più della tua età, e ti assicuro che in tutti questi anni ho visto di peggio.”

 

Hermione lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Stai dicendo che sono strana?”

 

Ron trattenne a fatica una risata. “Noo.” Jack ridacchiò.

 

Simon tornò nella stanza e balzò di nuovo sul lettone, mostrando alla mamma un libro aperto in cui c’era disegnato un orologio a cucù. “Ecco, vedi?”

 

Jack guardò la figura. “Ma questo è un orologio che si appende al muro, non è la stessa cosa.”

 

“Oh, quante storie.” Fece tranquillamente il fratello, mettendo via il libro. “Sempre un orologio è.”

 

Ron fece del suo meglio per non ridere. “Acuta osservazione, figliolo.”

 

Hermione prese da sotto il letto una scatola quadrata con un gran fiocco rosso. “Adesso è il mio turno. Scommetto che questo piacerà a tutti e tre.”

 

I due bambini si avvicinarono ancora di più al padre, che scartò il regalo con molta impazienza. “Oh santissimo cielo!” esclamò con un sorriso a dir poco incredulo.

 

Anche Jack aveva gli occhi fuori dalle orbite. “Mamma! Questa è la pluffa con cui i Cannoni di Chudley hanno vinto il campionato l’anno scorso!” fece, emozionatissimo.

 

“Che c’è scritto sopra?” chiese Simon.

 

“Sono le firme dei giocatori.” Ron guardò Hermione con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro. “Ma come hai fatto?”

 

Lei gli fece un occhiolino. “Ho le mie conoscenze.”

 

“E’ incredibile. Tu sei incredibile.” Le rispose lui, e le diede un bacio sulle labbra.

 

“Papà, la porti ai miei allenamenti? Me la fai usare?” fece subito Jack.

 

“Non se ne parla proprio, questa va esposta in bacheca.” Gli disse Ron. “Tu continuerai a usare la tua pluffa.”

 

“E dai!” protestò il figlio. “Ma così non posso farla vedere a nessuno!”

 

“Jack, questo è un pezzo raro, se la usiamo la rovineremo e si cancelleranno tutti gli autografi.”

 

Jack mise il broncio. “Ma non è giusto.”

 

“Va bene, adesso direi che è ora di fare colazione.” Li interruppe Hermione. “Forza, andate a vestirvi.”

 

Jack, brontolando, scese dal lettone e se ne tornò nella sua stanza. Ron si stiracchiò, poi notò che il piccolo Simon lo stava guardando accigliato. “Che c’è?”

 

“Sto aspettando che la smetti di schiacciare William.”

 

Ron tolse subito il piede dal libro che inavvertitamente stava schiacciando. “Accidenti, scusa Will.”

 

Simon parve soddisfatto, perché si prese il libro e se ne andò in camera sua. Hermione, che nel frattempo si era alzata, rise.

 

“E tu cosa ridi?” scherzò lui. “Ti ricordo che due settimane fa sei stata proprio tu a sporcare la copertina di Julian col sapone.”

 

Hermione prese un maglioncino e una gonna dall’armadio. “Beh, se Julian non fosse stato nel posto sbagliato non si sarebbe sporcato.”

 

Ron non potè fare a meno di sorridere: continuavano a chiamare Julian un libro di favole e leggende babbane.

 

Hermione si avvicinò al marito, in piedi vicino al bordo del letto, e tentò di sistemargli un po’ i capelli pettinandoglieli con le dita. “Ci pensi che sono dieci anni che siamo sposati?”

 

Lui le passò un braccio attorno alla vita. “Dieci intensissimi anni.” Le disse con un sorriso. “E stasera si festeggia.”

 

“Dove andiamo?”

 

“Sorpresa. Ma questa volta facciamo le cose per bene, a lume di candela e tutto il resto.”

 

Lei rise. “Questo è confortante. Quindi niente panino strozzato in uno squallido centro commerciale come l’anno scorso?” ancora la faceva ridere il ricordo del loro precedente anniversario, quando Ron si era dimenticato di prenotare il ristorante e avevano dovuto ripiegare per una soluzione…alternativa.

 

Lui finse di non aver sentito. “Non raccolgo.” Disse, con aria superiore.

 

Lei rise e si chinò sul suo viso per baciarlo, ma si fermò nel veder entrare di nuovo Simon. “Ancora in pigiama, tu?”

 

Il piccolo guardò il padre con gli occhioni spalancati e sorrise. “Papino? Ma se la tengo io la pluffa e sto attentissimo che non si cancellano i nomi?”

 

Ron rise, si alzò dal letto e lo prese in braccio. “Jack, smettila di usare tuo fratello!” disse, rivolto verso la porta.

 

Hermione prese i vestiti e si avviò verso il bagno. “Simon, va’ a vestirti. Altrimenti facciamo tardi.”

 

Il figlio mise il broncio, si fece mettere giù dal padre e se ne uscì di nuovo, brontolando. “Non c’è cascato, Jack.”

 

Ron riuscì a raggiungere Hermione prima che se ne andasse in bagno e la trattenne per un braccio. “Bada che tu stasera non mi scappi.” Le disse con un occhiolino.

 

“A stasera, allora.” Gli rispose lei con un sorriso, soffermandosi a baciarlo un momento prima di fargli un altro sorriso e chiudersi la porta alle spalle.

 

“Dammelo!! Ti ho detto di ridarmelo!!”

 

Ron si voltò in tempo per vedere entrare di corsa Simon, inseguito a tutta forza da Jack.

 

“Fermati, accidenti!!” Jack balzò sul letto dei genitori e mancò il fratello per un soffio; Simon lanciò uno strillino e saltò giù velocemente. “Basta, Simon, ti ho detto che me lo devi dare!!”

 

“No, perché tu a me mi prendi sempre in giro!” lo sfidò il più piccolo.

 

“Adesso ti faccio vedere io!!”

 

Ron trattenne Jack giusto in tempo, afferrandolo per gli avambracci. “Ehi, ehi! Che succede qui?!”

 

“Jack ha la fidanzata!” esclamò dispettosamente Simon.

 

“Non è vero, non ce l’ho la fidanzata!” replicò rabbiosamente Jack.

 

“Si che ce l’hai!” continuò Simon, sventolando un fogliettino di carta. “Le hai scritto pure che ti piace!”

 

“Io t’ammazzo!!!” Jack scalciò violentemente.

 

“Buoni, adesso basta!” intervenne duro Ron, trattenendo saldamente il figlio maggiore. “Simon, restituisci subito a tuo fratello quel foglio e smettila di prenderlo in giro.”

 

“No!”

 

“Simon, te lo devo ripetere ancora?”

 

Ron in versione padre arrabbiato incuteva un timore non indifferente, e tempo due secondi il figlio più piccolo posò il foglietto sul lettone, pur mettendo su il broncio.

 

Jack se lo riprese subito. “Non ti devi permettere mai più di prendere le mie cose senza il mio permesso!”

 

“Non ho preso niente, stava per terra in mezzo alla stanza! E’ colpa tua che l’hai fatto cadere!”

 

“E però tu ti sei buttato subito a leggerlo!”

 

“Si può sapere cos’è successo di tanto grave?” intervenne Ron.

 

“A Jack piace una ragazza!”

 

“Non è vero!”

 

“Si, invece! E si vuole fidanzare con lei!”

 

“Ma te la vuoi cucire quella boccaccia?!”

 

“Non ci sarebbe poi niente di male, sai.” Disse Ron con un sorriso, sedendosi sul bordo del lettone. “Anche a me alla tua età piaceva una mia amichetta. Vuol dire che stai crescendo, che ti stai facendo grande, non c’è proprio niente di cui vergognarsi. E’ una tua compagna di classe?”

 

Jack annuì con le guance e le orecchie rosse, e si sedette vicino al padre.

 

“E come si chiama?”

 

“Amelia.” Disse molto piano lui.

 

Ron si accigliò un attimo. “Aspetta un po’…non è quella ragazzina che alla recita di Natale faceva Giulietta?” Jack annuì, più rosso che mai. Ron gli diede una pacca sulle spalle. “Molto carina, complimenti.”

 

Jack sorrise, incoraggiato. “Anche lei sta imparando a volare, me l’ha detto ieri.”

 

“Ha l’aria molto sveglia.” Incalzò Ron.

 

“A me non piacciono le femmine.” Disse Simon, sedendosi sulle gambe del padre.

 

“Non ti piacciono adesso, ne riparliamo tra qualche anno.” Ridacchiò Ron.

 

“Non mi piace che non giocano mai con noi maschi.” Continuò Simon. “Dicono sempre che vogliono giocare con le bambole.”

 

“E’ perché siete una massa di pannoloni nella vostra classe, siete ancora troppo piccoli.” Fece Jack, con aria da adulto.

 

“Io non sono piccolo.” Protestò tranquillamente Simon.

 

Jack rise. “Si che lo sei. Sei un piccolo ippopotamo.”

 

“Tanto i miei denti stanno crescendo più belli dei tuoi.” Gli rispose il fratello, facendogli la linguaccia.

 

Ron gli diede un pizzicotto sul naso. “Avete finito? Bene. Ora che vi siete insultati a suffucienza, possiamo fare la pace e andare avanti?”

 

I due bambini attesero un attimo, poi si chiesero scusa contemporaneamente.

 

“Oh, meno male.” Fece Ron, con un sorrisone. “Forza, andate a vestirvi adesso, che se mamma vi trova ancora in pigiama vi ammazza.” I figli gli obbedirono e uscirono.

 

Qualche minuto dopo Hermione uscì dal bagno, tutta vestita e col pigiama in mano. “Che cos’era tutto quel chiasso?”

 

Ron prese un paio di jeans e un maglione dal suo cassetto. “La solita storia, sono dannatamente uguali a noi.” Le disse con un brillante sorriso.

 

Lei rise. “Ah, beh…allora andiamo bene.”

 

“Sicuro.” Fece Ron, entrando nel bagno ma appoggiandosi alla porta ancora aperta. “Tu sei bellissima. Io molto meglio di te…”

 

Lei ridendo gli tirò un cuscino contro la porta. “Sparisci, prima che ti riempia la vasca di ragni.” Lui rise e chiuse la porta.

 

 

***************

 

 

Ron, Hermione, Jack e Simon arrivarono all’appuntamento con un leggero ritardo. Si erano messi d’accordo con Ginny e Harry per le 11, perché sia Hermione che Ginny preferivano che le lezioni di volo si tenessero prima e non dopo il picnic, quel tanto da salvaguardare lo stomaco dei figli.

 

I Weasley avevano un quarto d’ora di ritardo, ma non era poi così grave. Ginny, godendosi in pieno l’aria fresca e pulita della campagna, aveva steso sul prato la grossa coperta che usavano come tovaglia e la stava apparecchiando tranquillamente con le cose che cacciava dal cestino del picnic. Più in là una bambina coi capelli rosso scuro sembrava piuttosto presa dalla casetta delle bambole che aveva davanti. Harry stava in piedi con la scopa in mano, e vicino a lui c’era il figlio Daniel, anche lui con la sua scopa, ed entrambi stavano ridendo a proposito di qualcosa.

 

Ginny alzò gli occhi e li vide arrivare. “Oh, ecco i festeggiati!”

 

“Scusate il ritardo.” Disse con un sorriso Hermione, mettendo giù il suo cestino.

 

“Com’è stato questo risveglio da coppia seria e decentemente sposata da dieci anni?” ridacchiò Harry, dando una pacca sulle spalle a Ron.

 

“E’ sul decentemente che ho qualche dubbio.” Rise Ron.

 

“I regali?” chiese Ginny curiosa. Hermione le mostrò il suo orologio orgogliosamente, e lei fece un sorriso enorme al fratello. “E’ bellissimo!”

 

“Sai che cosa ha regalato mamma a papà?” disse Jack al cugino. “La pluffa con cui i Cannoni di Chudley hanno vinto l’anno scorso. Quella originale, tutta autografata!”

 

Dan spalancò occhi e bocca. “Cavolo!”

 

“Hermione, vorrei ricordarti che il mio compleanno non è lontano.” Disse Harry con un gran sorriso.

 

“La cosa mi riempie di gioia.” La risposta sfacciata di Hermione fece ridere un po’ tutti.

 

“Andiamo adesso?” Jack sembrava impaziente.

 

“Ok, dai.” Ron posò la sua roba e prese la scopa.

 

“Julie, tu non vieni?” chiese Harry alla bambina.

 

“No, oggi no.” La piccola era davvero molto presa dal suo gioco.

 

“Vabbè. Noi andiamo.” Il gruppetto maschile, scope alla mano, si avviò verso un punto del prato completamente sgombro da alberi.

 

“Prudenza, per favore!” si raccomandò ancora una volta Ginny.

 

Hermione si inginocchiò accanto alla nipotina. “Ma è bellissima questa casetta!”

 

Julie sorrise, anche lei senza qualche dentino. “Me l’ha comprata papà ieri.”

 

“Anche io ne avevo una quando ero piccola, ma non era così bella.”

 

“Se vuoi, puoi giocarci con me dopo.”

 

La zia le accarezzò la guancia. “Però mi fai fare la figlioletta?” le disse, prendendo in mano la bambolina più piccola.

 

Julie annuì contenta. “Oh, si! Così io posso fare la mamma.”

 

Ginny sorrise. “Si è incollata a quella casetta da ieri.”

 

Hermione le sedette accanto. “Beh, almeno a te si incolla a una casetta delle bambole. A me passano le ore tra scacchi e giornali sul quidditch. Quando ci si mettono tutti e tre…”

 

Ginny annuì con un sorriso ben consapevole. “Anche a me Harry e Dan fanno lo stesso.”

 

Hermione cominciò a cacciare il pranzo dal suo cestino. “E ora pure le lezioni di volo ci volevano.”

 

Ginny scrollò le spalle, sorridendo in modo rassegnato. “Che vuoi farci, sono maschi. Loro dicono che non riescono a capire noi donne, e noi non riusciamo a smettere nemmeno un istante di preoccuparci per loro. Suppongo che ci faranno venire i capelli bianchi prima del tempo…”

 

“Già.” Annuì Hermione, scuotendo la testa e guardando nella direzione dove si stavano tenendo gli allenamenti.

 

Jack e Dan, sulle loro scope, non stavano andando particolarmente veloci: Harry li seguiva con la stessa andatura, Ron stava fermo poco più avanti; Simon stava sulla scopa col padre, e ogni tanto cercava inutilmente di scalciare o chinarsi in avanti per andare un po’ più veloce.

 

“Dan, tira un po’ più verso di te il manico.” Disse Harry al figlio. “Sta’ più eretto.”

 

Dan fece come suo padre gli aveva appena detto, ma si accigliò. “Ma così rallento ancora di più!”

 

“E qual è il problema?”

 

“Papà, dai! Così è una noia! Ormai sappiamo come si sta sulle scope e come si vola, perché non possiamo andare un po’ più veloci?”

 

“Possiamo fare una gara?” propose Jack.

 

“Non mi piace ancora come freni, Jack.” Gli rispose Ron. “Dovete avere ancora più controllo per poter correre.”

 

“Io la controllo la mia scopa!” replicò indignato Jack.

 

“Dai, per favore!” provò ancora Dan. “Una corsa piccola piccola!”

 

Harry guardò Ron, che annuì un po’ incerto. “Solo fino a quella montagna laggiù.” I due bambini sorrisero emozionati. “Non state troppo vicini e non inclinate troppo le scope.”

 

“Noi non corriamo, papà?” chiese Simon al padre, sgambettando un po’.

 

“Dopo di loro, facciamoli prima sfogare.” Fece Ron.

 

“Dai, siamo pronti.” Dan e Jack si allinearono su una linea immaginaria, tenendo saldamente i loro manici di scopa.

 

“Ricordatevi le regole, eh?” si raccomandò Harry. “Uno…due…tre…via!”

 

I due bambini partirono contemporaneamente, e parecchio più veloci di quanto Harry e Ron si aspettassero; poco prima del traguardo Dan riuscì a distanziare di poco il cugino, e Jack tentò immediatamente di riprenderlo, ma così facendo aumentarono entrambi la velocità e oltrepassarono il traguardo.

 

“Ma come lo sapevo io!” Ron immediatamente spronò la scopa, per la gioia del piccolo Simon.

 

“Tirate il manico!” gli urlò dietro Harry, mentre anche lui si gettava all’inseguimento.

 

Dan in qualche modo riuscì a frenare, ma la scopa traballò bruscamente; smise solo quando Ron, che era più vicino a lui, la afferrò con decisione e la fermò. Jack finì ben oltre il loro traguardo e riuscì a fermarsi solo perché Harry lo affiancò e prese il controllo della scopa prendendo il manico.

 

“Io la controllo la scopa!” tuonò Ron contro il figlio maggiore, ricordandogli la sua presunzione di un attimo prima. “Che cosa vi avevamo detto? Volare non è un gioco, è chiaro?! Avreste potuto anche farvi male sul serio!”

 

“Se volete fare le cose per bene e imparare a volare per il piacere di farlo, allora continuiamo. Ma se dovete solo fare gli sbruffoni, beh vi assicuro che in questo caso aspetterete di andare a Hogwarts prima di rimettere il sedere su una scopa!” incalzò Harry, decisamente arrabbiato. A volte Dan e Jack erano davvero inafferrabili, e le misure più dure erano le più efficaci.

 

I due bambini, terrorizzati all’idea, annuirono. “Va bene, torneremo a fare le lumache.” Disse Dan.

 

“Quando sarete più pratici riparleremo di gare e corse. Per il momento inchiodate sul passo normale o saranno guai, chiaro?” fece Ron.

 

“Sissignore.” Risposero insieme i due.

 

“Bene. Adeso torniamo dove eravamo.” Concluse Harry.

 

Dan e Jack si avviarono piano, borbottando sottovoce qualcosa fra di loro. Harry affiancò Ron, e quando furono sicuri di non essere ascoltati si concesse un sorrisetto furbo e orgoglioso. “Ma li hai visti?”

 

Anche Ron aveva quel mezzo sorriso fiero stampato in faccia. “A Hogwarts li supplicheranno di entrare in squadra.”

 

Simon si stava dondolando in avanti e indietro, cercando disperatamente di far muovere la scopa. “Papà, uffa! Anch’io voglio correre!”

 

 

***************

 

 

Harry e Ginny si trascinarono nella camera da letto baciandosi follemente, senza un minimo di decenza, proprio come facevano da ragazzi. Bill e Aki li avevano avvertiti più volte: questo era il tipico effetto che faceva la vita familiare con due bambini piccoli, in altre parole…crisi di astinenza bella e buona. Non avevano un solo secondo di tempo per rivivere i bei vecchi tempi di una volta. Si dovevano accontentare dei ritagli, e la cosa sarebbe anche andata bene…se Dan e Julie avessero mostrato un po’ di pietà! Ma ultimamente per un motivo o per un altro in casa Potter non si aveva un solo momento di intimità. Ma quella sera…

 

Harry aveva provveduto alla grande: aveva giocato coi suoi figli per tutta la sera, facendoli divertire e stancare alla grande. E lui e Ginny non avevano fatto in tempo a metterli entrambi a letto che si erano incollati l’uno all’altra nel corridoio della casa, trascinandosi nella stanza da letto tra una risatina e un bacio tutto fuoco e fiamme.

 

Diamine, erano due coniugi giovani e innamorati! E per di più troppo indaffarati…e anche troppo desiderosi di stare un po’ insieme in modo adeguato…

 

Ginny non scollò le labbra da quelle del marito mentre si chiudeva la porta alle spalle con un calcio, e Harry rise contro la sua bocca mentre armeggiava freneticamente con la lampo della gonna, e poi scese a baciarle il collo con una crescente voglia dentro l’anima e il corpo.

 

Ginny sorrise, inclinando un po’ il collo per lasciargli più spazio e passandogli le mani sotto il maglione. “…siamo proprio due bestie…”

 

Harry sorrise contro il suo collo e fece un “Groarr” tra un bacio e l’altro, facendola ridere ancora di più. Ben presto sentì le mani di sua moglie scivolare lungo i bordi dei suoi jeans, e intensificò la sua opera nei confronti della fastidiosa gonna.

 

“…mmh…Harry…” mormorò lei, le cui mani sembravano più attive che mai.

 

“…stanotte non mi scappi….” Le sussurrò lui contro il collo.

 

“Papà?”

 

La voce fuori dalla porta fece sobbalzare Harry e Ginny, che fecero appena in tempo a staccarsi l’uno dall’altra prima che Dan entrasse nella stanza, in pigiama e con un giornale in mano.

 

“Dan, che cosa ci fai ancora in piedi?” Ginny fece il possibile per darsi un contegno e non sembrare frustrata come si sentiva dentro. “Dovresti essere a letto.”

 

“Si, si, adesso ci vado.” Replicò tranquillamente il bambino. “Volevo solo chiedere una cosa. Visto che tra un po’ è il mio compleanno e tutto il resto…non è che potreste regalarmi il nuovo modello di Thunderlight 2010?” disse con un gran sorriso, mostrando sul giornale che aveva in mano la foto di una scopa che sembrava alquanto accessoriata.

 

“Ce l’hai già una scopa, Dan, e comunque ne riparliamo domani.” Fece sbrigativamente il padre.

 

Dan rimase a guardare suo papà con un’aria un po’ esitante e un sopracciglio inarcato, poi finalmente si decise a parlare. “Ehm…papà? Perché hai i pantaloni sbottonati?”

 

Harry immediatamente si tirò su la cerniera dei jeans, cercando di suonare il più casuale possibile. “Oh, si, grazie…stavo…giusto andando in bagno.”

 

“Dan, a letto.” S’intromise Ginny.

 

Dan non sembrava convinto. “Ok, buonanotte…” mormorò prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

Harry si voltò verso sua moglie e dopo nemmeno un istante scoppiarono a ridere tutti e due forte. Neanche il brusco rumore di un tuono servì a distrarli l’uno dall’altra quando scelsero di soffocare le risate nelle loro bocche, e ripresero ad attaccare i loro rispettivi indumenti. Un altro tuono piuttosto violento preannunciò il rumore della porta che si aprì di scatto, e altrettanto di scatto i due coniugi furono costretti a staccarsi.

 

“Julie!” esclamò senza fiato Ginny.

 

La bimba sembrava impaurita: era in pigiama, coi capelli spettinati e una bambola di pezza stretta fra le braccia. “C’è il temporale fuori!” piagnucolò.

 

Harry si passò una mano fra i capelli mentre Ginny raggiungeva la bambina. “Si, amore, ma ne abbiamo già parlato. Il temporale non fa paura.”

 

“E invece si! Fa un sacco di rumore!”

 

“Appunto, amore mio.” Intervenne Harry, inginocchiandosi di fronte a lei e accarezzandole il visetto paffuto. “Fa solo rumore.”

 

“Si, però è un rumore brutto…” si lamentò lei.

 

“Non ti devi preoccupare, principessa, ci sono io qui a proteggerti.” Le disse il papà con un sorriso rassicurante. “Il temporale non può farti proprio niente.”

 

Ginny accarezzò i capelli della figlia. “Vuoi che mamma ti racconti una bella favola?”

 

Lei scosse la testa. “No. Io voglio dormire nel lettone con voi.”

 

“Come?” Harry vacillò. “Ma tesoro, puoi dormire anche nel tuo lettino con la tua bambola, come si chiama…Jetsy…”

 

“Betsy.” Lo corresse la figlia. “E poi no, Betsy ha paura pure lei.”

 

“Nemmeno se restiamo a farti compagnia finchè non ti addormenti?” le propose ancora Ginny.

 

La bambina stava per rispondere, ma un tuono forte la fece sussultare e lei si gettò tra le braccia del padre, che la strinse subito a sé. “Lo vedi, lo vedi!”

 

Harry sospirò e guardò Ginny: a questo punto nessuno dei due se la sentiva più di insistere. I temporali erano ancora un dramma per la loro piccolina, ma non avevano il coraggio di farle passare la paura lasciandola a piangere per una notte intera nel suo letto. Così entrambi annuirono e si scambiarono un piccolo bacio sulle labbra, per poi dire arrivederci alla loro notte di fuoco.

 

“Ok, principessa, hai vinto.” Disse Harry alla figlia, prendendola in braccio e alzandosi in piedi. “Forza, sei ammessa nel lettone per stanotte.”

 

Julie emise un urletto di gioia. “Evviva! Così dormo con voi due!”

 

“Ti sei lavata i denti, Julie?” le chiese con un sorriso la madre.

 

Lei scosse la testa e scivolò giù dalle braccia del padre. “Ci metto un secondo!” squittì, correndo verso il bagno.

 

Harry sospirò e abbracciò sua moglie. “Riusciranno i nostri eroi…?”

 

Lei rise e gli baciò le labbra. “Lo sapremo nella prossima puntata.”

 

Anche lui rise, e le diede una pacca sul sedere prima di avviarsi a sua volta in bagno. “Che sarà vietata ai minori.”

 

Ginny gli fece un occhiolino. “Vietatissima.”

 

 

***************

 

 

Bill e Ben stavano osservando delle carte quando entrarono Harry e Ron. La sala centrale del quartier generale era relativamente vuota per essere solo le otto di mattina.

 

“Buongiorno, e grazie per averci fatto l’onore della vostra presenza.” Li salutò ironicamente Ben.

 

“Piantala, Ben, il piantone delle sette l’hai passato a Natan e Ike, no?” fece Harry, sbadigliando.

 

Bill trattenne una risatina. “Dì la verità, Harry, sei andato in bianco anche stanotte, eh?”

 

Harry gli lanciò un’occhiataccia. “Immagino che tu e Aki abbiate saputo gestire perfettamente il vostro tempo quando Emily e Jimmy erano piccoli.”

 

Bill rise. “Eh, lui ha l’occhio clinico per queste cose.” Commentò Ron con un sorrisetto divertito, scuotendo la testa.

 

“Se voi ragazzi avete finito.” S’intromise Ben. “Per quanto le vostre vite coniugali siano molto interessanti, qualche volta dobbiamo anche far finta di lavorare.”

 

“Che pensieri profondi per un lunedì mattina, Ben.” Ridacchiò Ron.

 

“Beh, che si fa stamattina?” chiese Harry.

 

“Voi due andate a sgranchirvi un po’ le gambe a Winchester.” Rispose Ben, porgendo a entrambi dei fogli. “In un cimitero babbano stanno facendo delle cose strane. Riti demoniaci o roba del genere, comunque di nostra pertinenza. Andate a fare un po’ di pulizia.”

 

“Mh. Agli ordini.” Ron, letto il documento, glielo restituì.

 

“Ah, c’è un’altra cosa.” Questo bloccò Harry e Ron, che si stavano avviando fuori. “Portate con voi Stevenson e McAudrey.”

 

Harry e Ron rimasero a bocca aperta, e Bill scoppiò a ridere.

 

“Ben, sono solo dieci minuti di ritardo, non è il caso di punirci così duramente.” Provò Harry.

 

“Harry, quei due pivellini non impareranno mai cosa significa essere un War Mage se non escono un po’ in missione.” Replicò Ben.

 

“E non lo capiranno nemmeno se passano il loro tempo a farci fotografie e a cercare di ficcare il naso nei cazzi nostri.” Ribbattè Ron.

 

Ben inarcò entrambe le sopracciglia. “Potter, Weasley, portate il culo fuori da questa stanza e aspettate le reclute Stevenson e McAudrey. E se tentate di svignarvela prima,” aggiunse, con un sorriso maligno per Ron. “li mando con Hermione.”

 

Ron gli lanciò un’occhiataccia. “Sei un bastardo, ecco cosa sei.” Brontolò, uscendo dalla stanza.

 

“Spero proprio per te che questo verrà conteggiato sulla nostra busta paga, colonnello.” Ringhiò Harry, sbattendosi la porta alle spalle e lasciando Bill e Ben a ridere.

 

“Lo odio quando fa lo stronzo così.” Sbuffò Ron, appoggiandosi di spalle contro il muro a braccia conserte. “Con tutti quelli a cui rompere…”

 

Harry sospirò e si sistemò il cinturone. “Che vuoi farci, a quell’età il sangue ti va alla testa se non riesci a farti tua moglie in modo decente.”

 

A Ron scappò un sorrisetto. “Solo a quell’età?”

 

Harry rise e scosse la testa. “A chi lo dici.”

 

“Vediamo se indovino.”

 

“Risparmiati la fatica, basta che pensi ai temporali che ci sono stati nelle ultime notti.”

 

Ron ridacchiò. “Cuccioletta si è imboscata nel lettone, eh?”

 

Harry annuì. “E non si è mossa." Quella bambina è la luce dei miei occhi, dico davvero, l’adoro più della mia stessa vita. Ma vorrei che imparasse a dormire nella sua stanza, praticamente non lo fa mai.”

 

“Da giovani amanti a genitori ronfanti.” Rise Ron.

 

“Già.” Annuì Harry, concedendosi una risatina. “Non mi ricordo più l’ultima volta che ho passato cinque minuti d’intimità con Ginny.”

 

Ron inarcò le sopracciglia. “Non credere che io e Hermione abbiamo tutto il tempo di questo mondo.”

 

“Ma per favore. Tre giorni fa, al vostro anniversario, avete passato tutta la sera, la notte e mezza mattina dopo da soli. E non provare a negarlo, perché i bambini sono stati da noi.”

 

Ron sfoderò un sorriso appagato. “E chi vuole negarlo.”

 

“Me lo faresti un piacere?”

 

“Sarebbe?”

 

“Vi posso lasciare Dan e Julie sabato prossimo?”

 

Ron inarcò le sopracciglia, trattenendo un sorrisetto furbo. “I tuoi figli li terrei a casa mia anche tutta la settimana, lo sai. Ma il fatto che tu li lasci da noi per fare il porco con mia sorella mi crea qualche problema.”

 

Harry scosse la testa con un sorriso. “Sai, Ron, non hai bisogno di fare del tuo meglio per sembrare ancora un ragazzino. Gli uomini sui trenta sono i più richiesti.”

 

Prima che Ron potesse farsi una risata, un flash illuminò per un secondo il corridoio. Harry, sconsolato, si passò una mano in faccia.

 

“Jerry, la prossima volta ti prendo la macchina fotografica e te la butto dalla finestra.” Disse Ron molto calmo, restando fermo dov’era.

 

I due diciottenni che stavano lì in piedi avevano due identici sorrisi idioti stampati sulla faccia. Quello con la macchina fotografica in mano, poi, tutto sembrava meno che un War Mage.

 

“E’ vero che veniamo con voi, Harry? Eh?” chiese insistentemente l’altro.

 

“Si, Anthony.”

 

“Fantastico!” esclamò il fotografo. “Allora andiamo a radunare il plotone?”

 

“Non dobbiamo giustiziare nessuno, Jerry. E i nostri ragazzi sono già pronti.” Ron stava sinceramente per esplodere.

 

“Allora ci conviene andare, dobbiamo essere in prima linea nell’attacco!” esclamò entusiasta l’altro ragazzo.

 

Ron fece uno sforzo estremo a incamminarsi lungo il corridoio senza prenderli entrambi per il collo e trascinarli, e Harry, notandolo, rise.

 

Jerry non si rassegnò. “Come stanno i bambini?”

 

“Bene, grazie.”

 

“Hermione non viene con noi?”

 

“No.”

 

“Credi che possiamo fermarci un secondo per fare una foto della nostra prima missione?”

 

Harry intervenne un secondo prima del suo migliore amico, per evitare l’irreparabile. “Ragazzi, perché non ci precedete? Andate a raggiungere gli altri all’ingresso.” I due annuirono e si allontanarono, e lui diede una pacca sulle spalle a Ron. “Dai, abbiamo avuto diciotto anni anche noi.”

 

“Se eravamo come questi due, avrebbero fatto proprio bene a ucciderci.”

 

Harry ci rise su e scosse la testa. “Ho idea che questa sarà una lunga giornata.”

 

 

                                                                ******************************

 

 

 

Signore e signori, il primo capitolo si conclude qui…tutto è tranquillo, sereno, rilassato….al momento…comunque, adesso avete un’idea di come sono queste due belle famigliole…tenete d’occhio i bambini, imparerete a conoscerli durante i vari capitoli! Oh, mi sembra superfluo dire che vi prego di recensire, altrimenti come faccio a tastare i gusti del mio adorato pubblico? ^^

 

Oh, prima che me lo dimentichi: Sara Lee, la mia beta lettrice, mi ha fatto notare una cosa molto giusta: non ho detto quanti anni hanno i bambini. Prima che me lo dimentichi (potrei non riuscire a inserirlo nei capitoli futuri), ecco a voi le quattro new entries della storia:

Daniel "Dan" Potter (ve lo ricordate il pargoletto insonne di It Never Ends?) ha quasi undici anni;

Jack Weasley (il pupetto che parlava con l’albero) ne ha dieci e mezzo, e anche per lui c’è odore di Hogwarts nell’aria;

Julianne "Julie" Potter ha appena otto anni;

Simon Weasley, dolcezza, è proprio piccino! Lui ha compiuto da poco sette anni.

 

Bene, ulteriori chiarimenti non mi sembrano necessari…ma naturalmente se avete domande fatele pure…Baci baci a tutti e buona Pasqua, ci rivediamo col secondo capitolo “Perfezione significa Irrealtà”

 

Ciao ciao,

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Perfezione significa irrealtà ***


                                                                                              

        DIE ANOTHER DAY

 

 

 

CAPITOLO 2: PERFEZIONE SIGNIFICA IRREALTA’

 

 

May God bless and keep you always

May you stay forever young

May you grow up to be righteous,

May you grow up to be true

May you always be corageous

Stand up right and be strong

And see the lights surrounding you…

                                                                        Forever Young, Bob Dylan

 

 

***************

 

 

La grotta era immersa nella penombra, solo le luci delle migliaia di candele disposte per terra la illuminavano; si sentiva un suono statico, monotono: una specie di lamento corale, voci maschili profonde che biascicavano versi ripetitivi in una strana lingua. Per terra era disegnata una specie di grossa stella dalle molteplici punte, e al culmine di ogni punta stava una ciotola contenente del sangue. L’aria era resa irrespirabile dalla puzza degli incensi che due uomini pelati diffondevano nell’ambiente, mentre una moltitudine di uomini vestiti di stracci rossi stava in ginocchio con la testa china. Si sentì un gong nell’aria, e qualche istante dopo comparve una figura maschile piuttosto alta e tetra, con addosso una specie di saio rosso fuoco e i capelli rasati al minimo. L’uomo si piazzò al centro della stella e battè le mani, e subito tutti alzarono la testa restando però in ginocchio. Quindi l’uomo aprì le braccia e parlò.

 

“Fratelli! Dopo tutti questi lunghissimi decenni d’attesa, finalmente la nostra grande madre Rahampur ci farà dono del salvatore, come promesso. Ella ci donerà suo figlio, il suo unico figlio immortale e divino, e finalmente noi potremo tornare a comandare sul mondo, restituendo questa vita alle tenebre che l’hanno avvolta!”

 

Un coro di ‘si’ si levò dai compiaciuti invasati, che tacquero solo quando l’uomo fece loro cenno di fermarsi.

 

“L’ora della vendetta è vicina, e Rahampur ha parlato.” E così dicendo mostrò a tutti un medaglione che raffigurava la stella disegnata a terra. “La nostra pietosa signora ci ha concesso di utilizzare il suo sacro simbolo, e ora noi riavremo la gloria che ci è stata strappata via secoli fa! Sia lode a Rahampur!”

 

La grotta rieccheggiò di un coro di voci che ripetevano continuamente ‘lode e onore alla grande madre’, e ad un dato momento l’uomo vestito di rosso prese da terra una ciotola di sangue e la avvicinò al medaglione. “Gioite, fratelli, per il ritorno del mondo delle tenebre!”

 

Un istante prima che l’uomo potesse intingere il medaglione nella ciotola, qualcosa gliela fece rompere fra le mani; un secondo dopo il gruppo di invasati si ritrovò circondato da soldati armati di bacchetta; si creò un momento di grande confusione, ma presto il problema fu risolto perché i fedeli non si aspettavano certamente un attacco durante il loro rituale, e pochi di loro erano armati. Molto presto i War Mage cominciarono a fare tutti prigionieri.

 

L’uomo in rosso, il ‘sacerdote’, rimase fermo anche quando si vide arrivare incontro Harry e Ron, con tanto di bacchetta in mano.

 

“La festa è finita, amico.” Disse Harry.

 

“Sacrileghi, voi non vi rendete conto della sciagura che avete attirato sul mondo intero interrompendo questo sacro rito.” Tuonò quello.

 

“Si, eh?” fece scettico Ron.

 

“Una cosa però te la riconosco.” Harry si lasciò scappare una risatina. “La tua è la pagliacciata più divertente che abbia mai visto.”

 

Il sacerdote strinse gli occhi, riducendoli a due fessure. “Vi pentirete amaramente per questo. La nostra dea vi punirà.”

 

“Si, si. Ma nel frattempo…” Ron gli strappò di mano il medaglione. “…questo lo prendo io.”

 

Harry con un colpo di bacchetta legò saldamente le mani al sacerdote prima che potesse reagire. “Io direi che qui è tutto fatto, no? Possiamo tornare.”

 

Un flash li stordì entrambi. “Wow, Harry! Sei venuto benissimo!” esclamò Jerry Stevenson, e al suo fianco il compagno Anthony McAudrey annuì. “Ron, vuoi metterti un po’ più vicino a loro, per favore? Questa cattura sarà immortalata per tutto il quartier generale che in questo momento non può vedere con che stile state arrestando questo invasato.”

 

Harry si voltò dall’altra parte per nascondere la sua risata. Ron fece un ambiguo sorriso e indicò con un dito a entrambi i ragazzi di avvicinarsi. Quindi li afferrò per i colletti delle tute e li strattonò in avanti bruscamente.

 

“Statemi bene a sentire, tutti e due.” Ruggì. “Questo non è un gioco, e se la vostra vocazione è quella di scattare foto e rompere i coglioni alla gente, vi accompagno io personalmente alla Gazzetta del Profeta. Ma se volete fare i War Mage, piantatela di fare i pagliacci e comportatevi da soldati. Sono stato chiaro?” i due, piuttosto spaventati, annuirono e Ron li mollò. “E fai sparire quell’affare, o te lo frantumo.”

 

Jerry si affrettò ad annuire e a nascondere la sua macchina fotografica dietro alla schiena. Harry mascherò la sua risata con un colpo di tosse.

 

 

***************

 

 

“Non ci posso credere!”

 

Jack Weasley, furioso come non mai, buttò a terra lo zaino e si sedette sul muretto fuori la scuola decisamente infuriato. Anche Dan mise giù lo zaino e si appoggiò al muretto, mentre la campanella della scuola dava il permesso alle varie classi di uscire.

 

“Non è così grave.” Cercò di calmarlo Dan.

 

“Certo, perché non è successo a te!” sbuffò lui, passandosi una mano in faccia. “Che figura…”

 

Dan ridacchiò, ma subito si trattenne. “Tanto domani tutti se lo saranno dimenticato.”

 

“Già, ma il votaccio resta…come faccio con mamma? Me la deve firmare lei la nota.”

 

“Questo potrebbe essere un problema.”

 

“Mamma mi spennerà.” Fece avvilito Jack.

 

Dan gli diede una pacca sulle spalle. “Vedrai che non si arrabbierà tantissimo…vabbè, si, un po’ magari…però forse se glielo spieghi…”

 

Julie Potter salutò le sue amichette all’uscita della scuola e saltellando allegramente raggiunse il fratello e il cugino. Ma il sorriso le andò via vedendo le loro facce. “Che è successo?”

 

Dan scrollò le spalle. “Un casino.”

 

“A te?” chiese la bambina incuriosita, evitando una grossa pozzanghera di fango a terra.

 

“No, a Jack.”

 

“Dovevo portare il libro di esercizi di storia, e invece guarda cosa mi sono ritrovato nello zaino!” ancora furibondo, Jack sfilò dallo zaino un libro dalla copertina animata.

 

Julie lo riconobbe subito e sorrise. “Ma è William.” In famiglia erano tutti abituati alla strana abitudine di Simon di chiamare i libri per nome.

 

“Appunto! E per colpa di quello stupido idiota di mio fratello, ho preso un brutto voto e ho fatto una figuraccia!”

 

“E vabbè.” Julie scrollò le spalle, e Dan le lanciò un’occhiataccia.

 

Il piccolo Simon scelse proprio quel momento per arrivare, col suo solito musetto vispo e tranquillo. Jack non si trattenne assolutamente. “Guarda che cos’hai combinato, brutto stupido!”

 

Simon, colto alla sprovvista, lo guardò con gli occhi sbarrati e confusi. “Ma che vuoi?”

 

Jack gli mostrò il libro. “Guarda un po’ che cosa c’era nel mio zaino al posto del libro di storia!”

 

“Ehi, perché ti sei portato William a scuola?” Simon fece per riprendersi il libro, ma il fratello non glielo permise.

 

“La colpa è tua e del tuo disordine! Stava in camera fra le mie cose! Mi spieghi come mai?” Jack era davvero furioso.

 

“E che ne so io!” Simon cercò di strappare il libro di mano a suo fratello, ma Jack lo spinse indietro. “E dai, Jack! Ridammelo!”

 

Proprio in quel momento passarono Frankie Murton e Randy Zender, due compagni di classe di Dan e Jack che erano tutto meno che amichevoli, i quali, assistendo alla scenetta, si misero a ridere.

 

“Ehi, Weasley, non ci riesci proprio a separarti dalle tue favolette, eh?” esclamò uno dei due.

 

Dan lo guardò imbufalito. “Invece tu è parecchio che il tuo cervello l’hai lasciato andare, eh Murton?”

 

Fortunatamente la cosa si concluse lì, perché stava uscendo anche il preside della scuola e i due ragazzini antipatici preferirono evitarlo. Ora, però, Jack stava davvero bruciando di rabbia. Lo avevano visto tutti con quello stupido libro di favole, inclusa Amelia. E così fece la prima cosa che la rabbia che stava provando gli suggerì di fare: gettò il libro nella pozzanghera di fango.

 

“No!!” Simon si gettò subito in ginocchio per recuperare il suo William.

 

“Ma perché l’hai fatto?!” Julie, indignata, pestò un piede a terra.

 

Simon tirò fuori dalla pozzanghera il suo libro: era tutto completamente pieno di fango, le pagine non si potevano girare tanto erano impiastricciate, e i personaggi erano scappati dalle figure imprecando. Fu solo per rabbia che, quando guardò suo fratello, Simon si costrinse a non piangere, anche se aveva gli occhi lucidi.

 

“L’hai ucciso!! Hai ucciso William!!”

 

Dan cercò di rimediare e prese il libro tutto sporco, cercando inutilmente di pulirlo con un fazzoletto. “Aspetta, magari lo possiamo aggiustare…” ma facendo così una pagina si stracciò.

 

“Dan!!” strillò arrabbiata Julie.

 

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Simon scoppiò a piangere, Julie mise le mani sui fianchi e guardò il fratello e il cugino con uno sguardo di pura indignazione.

 

Ginny, che stava venendo a prendere i bambini a scuola, trovandosi di fronte a quello spettacolo si sentì spaesata e agitata; li raggiunse a passo più svelto, ma quando vide Dan che cercava di pulire il libro che cadeva a pezzi, e Jack che guardava da tutte le parti meno che verso Simon in lacrime, fece due più due e immaginò cosa poteva essere successo.

 

 

***************

 

 

Harry, Ron e Hermione tornarono a casa Potter per le cinque del pomeriggio, ben felici di essere a casa con un’ora di anticipo. In genere era sempre Ginny la prima a smontare dal lavoro prima di pranzo, perciò era sempre lei ad andare a prendere i bambini e tenere anche i nipoti a casa finchè i genitori non tornavano.

 

Quel pomeriggio la trovarono seduta sul divano, mentre teneva sulle ginocchia un Simon con gli occhi gonfi e lucidi, e lei e la piccola Julie, che stava seduta accanto a loro, stavano cercando di consolarlo. Questo preoccupò non poco Hermione, che subito li raggiunse, seguita a ruota da Ron e Harry.

 

“Ma che è successo?” chiese, allarmata.

 

“Jack ha ucciso William.” Le spiegò Julie, mortificata.

 

I tre adulti ci misero un secondo per capire bene, quindi Hermione subito prese in braccio Simon, che ancora aveva il nasino rosso e gli occhioni lucidi e pericolosamente prossimi a un’altra scarica di pianto. “Tesoro, mi dispiace tanto.”

 

Ron mise le mani sui fianchi e sospirò, scuotendo per un momento la testa. “Com’è successo?”

 

“Pare che Jack abbia preso un brutto voto a scuola perché ha portato il libro di Simon invece di quello coi compiti fatti.” Spiegò Ginny, alzandosi dal divano.

 

“Quanto detesto quando Jack non pensa prima di fare le cose.” Fece Ron, decisamente seccato.

 

Harry trattenne un sorriso per decenza. “Chissà da chi ha preso.”

 

“Adesso andiamo a casa e vediamo se possiamo riparare William, va bene?” Hermione cercò di tirare su il morale al figlio.

 

Simon scosse la testa. “No, è proprio tutto strappato.” Disse, con una vocina piccola piccola.

 

Ron prese il controllo della situazione e si prese il figlio in braccio. “Ehi, Simon, vuoi venire a fare due passi con me?”

 

“Dove?” chiese il bambino, tirando su col naso.

 

“E’ una sorpesa.” Gli sorrise il padre. “Ci vediamo a casa tra un po’.” Disse a Hermione, e salutati tutti uscì col bimbetto in braccio.

 

 

***************

 

 

Jack si affacciò alla porta della cucina. Sua madre stava preparando la cena tranquillamente. Da quando erano tornati a casa non gli aveva detto niente. Nessuna, ramanzina, nessun ceffone, nessuna punizione, niente di niente. La cosa era davvero preoccupante. Per di più non aveva ancora visto suo padre, lui e Simon erano fuori da un paio d’ore e ancora non erano tornati. Tecnicamente avrebbe dovuto essere felice di tutto questo: si era aspettato di ricevere una sberla di quelle da ricordare, o una punizione di una settimana intera…eppure essere ignorato in quel modo gli dava ancora più fastidio. Meglio risolvere il problema subito e nel solito modo.

 

Hermione notò con la coda dell’occhio Jack, ma continuò a impastare la pasta per la pizza senza dire niente. Lo vide sedersi su una delle sedie al tavolo e si accorse che la stava fissando intensamente, ma continuò a tacere.

 

Jack esitò. “…mamma?”

 

“Mh?”

 

“…non…non mi hai detto niente da quando…siamo tornati a casa.” Jack la pensava esattamente come suo padre: se sua madre era arrabbiata c’era da farsela nelle mutande, perché aveva un gran gancio destro.

 

“Cosa volevi che ti dicessi?” replicò tranquillamente lei.

 

“Beh, che ne so…pensavo che mi avresti punito…”

 

“Vuoi una punizione?”

 

“No!” si affrettò a dire Jack. “No, però…cioè…”

 

Hermione incantò la pasta e lasciò che si preparasse da sé, quindi si sedette di fronte al figlio. “Jack, perché ti sei comportato in questo modo oggi?” gli chiese piano, con una voce severa ma non dura.

 

Il bambino scrollò le spalle e abbassò lo sguardo. “Io non volevo far piangere Simon…però ero arrabbiatissimo…tutti i compagni mi stavano prendendo in giro, e poi…non volevo dirti di quel brutto voto perché so che tu poi ti dispiaci…”

 

“Tesoro, io ci tengo che tu studi bene perché sei molto intelligente, e so che puoi fare davvero molto se ti impegni. Ma so benissimo che può capitare di prendere un brutto voto, è normale.”

 

“Davvero?” Jack decise di andarci coi piedi di piombo. “Papà dice che quando eravate a scuola, tu eri la migliore in assoluto.”

 

Lei annuì con un sorriso. “E per questo motivo le rare volte che prendevo un cattivo voto, la notizia faceva il giro della scuola in un’ora. E tutti si sfogavano a prendermi in giro.”

 

Jack sorrise, sentendosi più a suo agio. “E papà non ti difendeva?”

 

“Era il primo a darmi della secchiona.” Tutti e due ridacchiarono. “E non solo. A scuola mi prendevano tutti in giro perché il mio papà e la mia mamma erano babbani.”

 

“Che idioti! E tu li prendevi a calci?”

 

“No.”

 

“Beh, certo. Tu eri una femmina.”

 

Hermione inarcò un sopracciglio. “No, questo non c’entra. Tuo padre è un maschio ed è molto più alto di me, eppure quando ci alleniamo lo batto regolarmente.”

 

Jack si grattò la testa, un po’ confuso. “Allora…scusa, cosa facevi quando quelli ti dicevano quelle brutte cose?”

 

“Assolutamente niente.”

 

“Come?”

 

“Niente. Li ignoravo e basta. Non mi interessava affatto quello che dicevano, perciò…”

 

“Assurdo! Io li avrei come minimo presi a pugni sul naso…”

 

Hermione rise. “Buffo, era la stessa cosa che faceva papà.”

 

Jack s’illuminò. “Papà ha spaccato il muso a quelli che ti prendevano in giro?”

 

La madre gli sorrise. “Un centinaio di volte, credo.”

 

Jack annuì, soddisfatto. “Così si fa.”

 

“No, così non si fa.”

 

“Ma scusa…”

 

“Jack, tu hai lo stesso difetto di tuo padre. Sei troppo impulsivo.” Hermione cercò di spiegargli il concetto con più pazienza del solito. “Lo so che certe volte capita di perdere le staffe, ma non si può sempre agire senza pensare alle conseguenze. Se dici o fai una brutta cosa, devi pensare prima: se tu ci avessi pensato un momento prima di rompere il libro di tuo fratello, sapendo quanto ci teneva, l’avresti rotto lo stesso?” il figlio tenne gli occhi bassi e scosse la testa. “Appunto.”

 

Jack la guardò mortificato. “…è che quelli continuavano a prendermi in giro…”

 

“E tu non ascoltarli. Non perdere il tuo tempo a sentire le sciocchezze che ti dicono. Lasciali perdere, e invece stai coi tuoi amici, con quelli con cui stai bene. Impara a trattenerti, poco alla volta ma impara che devi sempre prima pensare alle conseguenze di quello che stai per fare o per dire.”

 

Jack rimase un attimo in silenzio; aveva recepito il messaggio. “Mi dispiace per William…mi è capitato fra le mani proprio quando avevo una gran voglia di rompere qualcosa.”

 

Hermione scosse la testa con un piccolo sorriso. “Tu sei identico a tuo padre. Quando vi arrabbiate non capite più niente, e riuscite a far piangere le persone che più amate.”

 

Jack abbassò gli occhi. “Mi dispiace davvero.”

 

La madre gli accarezzò una guancia. “Lo so che ti dispiace. E sono sicura che d’ora in avanti cercherai sempre di pensarci prima di fare una sciocchezza.”

 

Jack inarcò le sopracciglia. “…davvero?”

 

Hermione rise. “No, ma lo spero.”

 

Anche lui rise e annuì. “Ok, promesso. Ci proverò.”

 

“Bene.” Hermione sorrise soddisfatta. “E come punizione, visto che la volevi tanto, dovrai chiedere scusa a Simon quando torna a casa.”

 

“Ma…ehi, avevi detto niente punizioni!”

 

Lei gli diede un pizzicotto sulla guancia. “No, io non l’ho mai detto questo.”

 

Jack si accigliò ma poi rise, guardando sua madre con un’espressione divertita identica a quella di suo padre. “Sul serio tu metti a tappeto papà quando vi allenate?”

 

Lei rise e gli fece un occhiolino. “Quasi sempre. E hai il permesso di prenderlo in giro quanto vuoi.”

 

Il bambino fece un gran sorriso. “Wow, ma’, sei forte!”

 

“Mamma!! Mamma!!” la vocetta squillante di Simon si fece sentire da fuori, e un attimo dopo la porta si aprì e gli strillini si fecero più nitidi. “Mamma, guarda che mi ha comprato papà!! Guarda!!”

 

Simon entrò di corsa in cucina, eccitato e contento, stringendo un libro fra le mani. Dietro di lui anche Ron aveva un’espressione soddisfatta e felice.

 

“Guarda quant’è bello!” eccitatissimo, Simon balzò sulla sedia vicina a quella di sua madre e mise sul tavolo un libro azzurro. “Dì una parola!”

 

“Una parola?” gli chiese Hermione, un po’ confusa ma felice di vedere il suo bimbo così contento.

 

“Si, una che vuoi tu!”

 

“Mmh…pluffa.”

 

Il libro si aprì da solo, e si fermò ad una certa pagina mentre sopra si creava una specie di ologramma con l’immagine di una pluffa, quindi si udì una voce che cominciò a parlare. “Pluffa: è una delle palle utilizzate nel gioco del quidditch…” Hermione spalancò occhi e bocca, stupita e ammirata, e anche Jack rimase senza parole. “…viene lanciata dai cacciatori per entrare nei cerchi difesi dal portiere per segnare i punti.” L’immagine della pluffa si modificò in una specie di filmino in cui si vedevano tre cacciatori che se la lanciavano, mentre il libro continuava a commentare. S’interruppe solo quando Simon, orgogliosissimo, lo chiuse.

 

“Wow, forte!” esclamò Jack.

 

“Ma dove l’avete trovato, è bellissimo!” anche Hermione era entusiasta.

 

“Abbiamo girato tutte le librerie di Diagon Alley.” Fece sorridendo Ron, mentre si sedeva.

 

“E’ veramente splendido.” Disse Hermione.

 

“E fa così con tutte le parole che dici.” Esclamò allegramente Simon. “Tutte, tutte, tuttissime!”

 

“Ehi, non avevo mai visto un libro così.” Jack fece per dare un’occhiata al libro, ma il fratello lo prese subito dal tavolo, stringendolo fra le mani sopra la sua testa.

 

“Stai lontano, sassino!”

 

“Come?”

 

“Ho detto che non lo devi toccare, sassino!”

 

“Cos’è un sassino?” chiese incuriosito Ron.

 

“E’ uno che uccide le cose.”

 

Hermione sorrise, Ron scoppiò a ridere e anche a Jack scappò una risatina. “Si dice assassino.”

 

Simon non abbassò la guardia. “Non è importante, tu non lo puoi toccare perché lo rompi.”

 

“E se ti giuro che no?” provò Jack.

 

“No, perché sei cattivo.”

 

“Simon.” Lo rimproverò la madre.

 

“Mi dispiace tantissimo per William.” Fece Jack. “Non lo volevo uccidere…facciamo pace?”

 

Simon ci riflettè su. “Tu mi regali i doppioni delle figurine dell’album dei Cannoni di Chudley?”

 

“…uhm…” in realtà quelle Jack voleva regalarle ad Amelia, ma… “…e va bene.”

 

Simon esitò solo per un secondo. “Ok, allora ci sto.” I due bambini si strinsero la mano.

 

“Oh, finalmente!” sorrise Hermione.

 

“Ma quindi se gli chiedo una partita di quidditch famosa, lui me la fa vedere?” Jack era mezzo sdraiato sul tavolo.

 

“E’ uno dei motivi per cui questo libro è piaciuto tanto anche a me.” Fece Ron, con un sorrisetto furbo.

 

“Come hai pensato di chiamarlo, Simon?” chiese Hermione al figlio.

 

Il bimbetto ci pensò un attimo. “Paulie.”

 

Jack ridacchiò. “Che nome è Paulie?”

 

“E’ un nome che mi piace.” Squittì tutto felice Simon.

 

“Ehi, volete vedere una cosa fantastica?” Ron si avvicinò meglio con la sedia al tavolo e si schiarì la voce. “Mostrami il castello di Hogwarts e i suoi interni.”

 

Questa volta l’ologramma raffigurava Hogwarts, prima dall’esterno e poi dall’interno.

 

“Wow!” Jack aveva gli occhi fuori dalle orbite. “Allora quella è Hogwarts!”

 

Hermione era leggermente commossa: la loro Hogwarts, la loro giovinezza…ricordi belli e brutti… la scuola che le aveva cambiato la vita per sempre, e la cosa le fece venire per un momento gli occhi lucidi. Ron le fece un sorriso, per farle capire che anche lui provava la stessa cosa.

 

“E’ questa la sala comune di Grifondoro?” chiese emozionato Jack, indicando una stanzona al pian terreno con quattro lunghi tavoli.

 

“No, quella è la sala grande. Questa qui era la nostra sala comune.” Gli spiegò il padre, indicando una stanza più piccola al piano superiore.

 

“Così piccola?” Jack era incredulo.

 

“Era molto accogliente e comoda.” Rispose Hermione.

 

“Oh, e questo è lo stadio?” Simon stava guardando con interesse lo stadio di quidditch. Passarono tutti e quattro una serata molto bella a parlare di Hogwarts, a raccontare delle loro piccole e grandi avventure vissute in quella cara scuola, e di tutti i professori e gli studenti che erano stati lì con Harry, Ron e Hermione quando erano ancora dei ragazzini.

 

 

***************

 

 

“Beh, allora?” Homer rientrò nella sua stanza, dove trovò Ben, Bill, Liam, Sirius, Ron, Hermione e Harry. “Di cosa parliamo oggi?”

 

“C’è quella storia dei riti demoniaci.” Fece Ben, passandogli dei documenti.

 

“Ah già.” Homer sprofondò nella sua sedia dietro la scrivania. “Che avete da dirmi riguardo questa roba?”

 

Harry scrollò le spalle. “Niente di particolarmente importante. Un gruppo di fanatici pazzi stava dando i numeri in una tomba sotterranea nel cimitero di Winchester. Inneggiavano a una fantomatica dea delle tenebre, e tutto il resto.”

 

“Mh. E ora dove sono questi tizi?”

 

“Impacchettati per bene nelle prigioni.” Gli rispose Ron. “Che dobbiamo farne?”

 

Homer diede una veloce occhiata ai documenti. “Vediamo prima quanto si sono spinti in là con le loro cazzate, poi li spediamo dove meglio riteniamo.”

 

“Hanno fatto sacrifici o roba del genere?” chiese Sirius.

 

“Non abbiamo trovato vittime sacrificali né cadaveri.” Rispose Harry. “Ma il rito includeva alcune ciotole piene di sangue. E di qualcuno questo sangue doveva essere.”

 

“In più c’era questo.” Ron porse il medaglione a forma di stella a Homer, che lo esaminò.

 

Hermione fissò l’oggetto con particolare attenzione. “Ho l’impressione di aver già visto questo simbolo…”

 

“Dove?” le domandò Liam.

 

Lei scosse la testa. “Non lo so. Però credo di avere qualcosa sui simboli antichi a casa.”

 

Homer le diede il medaglione. “Va bene, allora aspetteremo l’esito della tua ricerca, Hermione. Nel frattempo…Bill, tu vedi di far parlare gli invasati. Magari dal loro delirio riusciamo a capire che diavolo stavano cercando di fare.”

 

“Va bene.” Annuì Bill.

 

“Vediamo di concludere in fretta questa cosa, c’è di meglio di un gruppo di pazzi su cui lavorare.” Disse Homer, restituendo a Ben i documenti.

 

 

***************

 

 

“Julie, ti do tre secondi, poi ti prendo e ti butto dalla finestra.”

 

Dan era al limite massimo della resistenza. Ok, va bene, in un momento di totale follia aveva acconsentito a giocare con sua sorella, ma non si aspettava certamente che sarebbe arrivata a questo: fargli fare il papà di una stupida bambola mentre lei faceva la mamma! E non si era accontentata di obbligarlo a giocare – minacciandolo che avrebbe spifferato a sua madre che la sua scopa non era assolutamente impazzita quando era finita nel vetro della finestra del salone – no, lei gli aveva messo quel benedetto bambolotto in mano e ora pretendeva anche che fingesse di dargli il biberon!

 

“E dai, Dan.” Fece tranquillamente la bambina, continuando a fare finta di cucinare con le sue pentoline giocattolo. “Che ci vuole a darle la pappa, lo sanno fare tutti.”

 

“Ma io mi scoccio! E poi non sono cose da uomini, queste!”

 

“Che scemenza, mamma ha detto che papà lo faceva con noi.”

 

“Ok, adesso basta.” Dan le porse la bambola e il biberon. “Guarda, se cambiamo gioco faccio tutto quello che vuoi.”

 

Julie scosse la testa. “Non posso prendere il nostro figlio. Per favore, gli dai tu la pappa, amore?”

 

Dan fece una faccia disgustata. “Bleah! Ma quale amore? Che schifezze dici?”

 

Julie lo guardò storto. “Mamma lo chiama amore a papà!”

 

“Ma quanto sei scema, loro sono marito e moglie! E’ normale che lo facciano, invece è completamente anormale se lo fai  tu!”

 

Julie mise le mani sui fianchi. “Sei un marito brutto e antipatico, e io voglio il divorzio.”

 

Dan rise. “Ma se non sai nemmeno che significa?”

 

“E invece lo so, me l’ha spiegato nonna. E’ quando io ti sbatto fuori di casa e mi tengo tutti i tuoi soldi.”

 

Dan lasciò la bambola e il biberon sul letto. “Alleluia! Ti lascio tutto quello che ti pare, basta che non siamo più marito e moglie.”

 

Julie ci riflettè un attimo, poi mise giù la padellina che aveva in mano. “Sai, mi sa che hai ragione tu. Cambiamo gioco.”

 

Dan la guardò sospettoso. “E che vorresti fare?”

 

Lei fece un gran sorriso. “Giochiamo al parrucchiere.”

 

“Eh no, eh!” Dan fece un balzo indietro, coprendosi i capelli con le mani. “Te lo puoi scordare, l’ultima volta mi hai conciato come un barboncino idiota!”

 

“E dai!” Julie fece per raggiungere il fratello, solo per vederlo scappare via a tutta velocità. In quell’istante, però, entrò Harry.

 

“Ehi, dove sta scappando?”

 

Julie scrollò le spalle. “E’ solo molto sciocco.”

 

Harry fece un sorrisetto divertito. “Perché, che ha combinato stavolta?” le chiese, sedendosi sul lettino accanto a lei.

 

“Non voleva fare il papà.” Brontolò lei, sedendosi in braccio al papà. “E’ proprio un maschio.”

 

Harry rise. “Eh si, mi sa di si, amore.”

 

Julie si voltò verso di lui e gli prese il viso fra le manine, schioccandogli un grosso bacio sulla guancia. “Io ti voglio proprio bene, papino! Tu sei un maschio, ma sei un maschio bello e buonissimo.”

 

Harry s’incollò alla sua guanciotta per un bacio interminabile. “E tu sei la mia fidanzata preferita.”

 

A Julie venne un’idea. “Papy…vuoi giocare con me?”

 

“Ah, sicuro.” Rispose tranquillamente Harry. “A cosa?”

 

Julie afferrò una spazzola e degli elastici. “Al parrucchiere.”

 

Harry non ebbe il tempo di fermarla che già se la ritrovò alle spalle, tutta intenta a pettinargli i capelli. Si, solo che quella era davvero un’impresa impossibile: ci aveva provato per 33 anni lui, e non era mai riuscito a tenerli particolarmente ordinati…e la manina intransigente di sua figlia stava cominciando a farsi sentire…

 

“..si…Julie…” niente da fare. “…principessa, mi sta facendo…un po’ male…” riuscì a dirle, mentre pregava che quelle manine adorate non gli strappassero via tutti i capelli.

 

“Un attimo di pazienza, ti sto facendo bello.” Replicò la bambina, armeggiando coi capelli del padre.

 

Un paio di minuti dopo sulla soglia della porta si affacciò Ginny, mentre ancora si puliva le mani col grembiule. “Harry, mi aiuti a…” ma la giovane rossa non finì la frase, perché scoppiò a ridere così forte che per sorreggersi ebbe bisogno di appoggiarsi alla porta.

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Ma che c’è?!”

 

Ginny, ridendo tanto che le scendevano le lacrime dagli occhi, tentò di fargli cenno con le mani indicandogli i capelli.

 

“…che?” Harry ancora non aveva capito cosa avesse da sbellicarsi tanto sua moglie, così prese lo specchio delle bambole che stava sul tavolino e si guardò…e spalancò gli occhi: Julie gli aveva riempito i capelli coi suoi elastici, facendogli tutti codini corti e scombinati. “Ma…Julie!”

 

La figlia lo guardò tranquilla. “Che c’è? Sei bellissimo e anche molto alla moda.” Ginny non ne poteva più dalle risate.

 

Harry alla fine si arrese, e rise anche lui. “Non male come look. Look da padre schiavo.”

 

 

***************

 

 

Simon, seduto per terra con le spalle al divano, stava giocando con i personaggi degli scacchi: aveva schierato bianchi e neri sui lati opposti della scacchiera e stava facendo scontrare un alfiere e una torre, facendo lui le voci e i rumori.

 

Jack, che stava scendendo le scalette con l’intenzione di andare a trafugare qualcosa dal frigo prima di cena, lo vide e s’incuriosì. “Che stai facendo?” gli chiese, avvicinandosi.

 

“Sto usando i tuoi scacchi.” Disse tranquillamente Simon.

 

“Ma non ci sai giocare.” Jack, più che infastidito dal fatto che il fratello stesse usando i suoi scacchi, sembrava divertito.

 

“Non sto facendo una partita, sto facendo la battaglia.”

 

“Che battaglia?”

 

“Quella tra Glifondoro e Serpeverde.”

 

Jack ridacchiò e gli sedette accanto. “Glifondoro?”

 

Simon annuì. “Eh.”

 

“E’ Grifondoro.” Gli spiegò il fratello. “Con la r.”

 

“Sei sicuro?” il piccolo Simon prese dal divano il suo Paulie e si mise a cercare la parola. Non sapeva ancora leggere bene, per cui Jack lo aiutò a trovare la pagina giusta. “Oh…si, è Grifondoro.”

 

Jack sembrò interessarsi alla battaglia. “Posso giocare anch’io?”

 

“Va bene.” Gli rispose Simon, spingendo più al centro la scacchiera. “Però io voglio fare Grifondoro.”

 

“E ti pareva! Chi lo dice che lo devi fare tu?”

 

“Perché io ci giocavo da prima!”

 

“Si, ma io sono più grande.”

 

“Infatti in tutti i giochi cominciano i più piccoli, e perciò comincio a scegliere io.”

 

Jack ci pensò un attimo. “Facciamo pari e dispari?”

 

Simon annuì. “Ok. Pari.”

 

“Dispari. Uno, due tre.” Il numero complessivo uscito dalla conta era un otto.

 

“E vai!” esultò allegramente Simon.

 

“Oggi sei pure fortunato.” Commentò Jack.

 

“Possiamo fare una cosa, facciamo due battaglie.” Propose vispo il più piccolo. “Così poi ci scambiamo.”

 

Jack sorrise. “Si, quest’idea mi piace.”

 

“Però la prima volta faccio io Grifondoro.”

 

“Va bene.” Simon fece un gran sorriso sdentato, e Jack ridacchiò. “Sembri proprio uguale a un ippopotamo.”

 

Simon, tutto allegro, spinse i suoi cavalli in avanti sulla scacchiera. “Truppe, avanti! Dobbiamo sconfiggere il nemico!”

 

Jack subito mise mano ai suoi alfieri. “Non mi batterai così facilmente, Godric Grifondoro!”

 

Hermione, che stava guardando i figli giocare dalla soglia della porta della cucina, non potè fare a meno di sorridere. Sentì due braccia vigorose circondarle i fianchi e si abbandonò ben volentieri nell’abbraccio del marito.

 

“Quanto mi piace guardarli quando non si ammazzano fra di loro.” Disse Ron con un sorriso. “Starei per ore a vedere che fanno.”

 

“Già.” Annuì Hermione. “Li adoro quando riescono a mettersi d’accordo.”

 

“E’ talmente raro.” Ridacchiò Ron, baciandole una spalla. “Mi ricordano qualcuno…”

 

Hermione sorrise, ma poi rimase in silenzio per un po’, abbandonando la testa sul petto di Ron. “Ti rendi conto di quanto sia perfetta la nostra vita? Abbiamo due figli splendidi, una bella casa, molto denaro, un lavoro che amiamo e tutto sembra sotto controllo.”

 

“Non sembrare troppo entusiasta, però.”

 

Lei scosse leggermente la testa. “E’ tutto troppo perfetto, Ron. Il concetto di perfezione è sinonimo di irrealtà.”

 

“Niente è mai perfetto nel vero senso della parola. A noi la nostra vita sembra perfetta perché ci piace, esattamente come succede a centinaia di migliaia di altre persone.” Le disse piano lui.

 

Lei sospirò. “Si, hai ragione tu. Non so nemmeno perché mi è venuta in mente questa cosa. Forse perché tutto quello che abbiamo avuto dalla vita, abbiamo sempre dovuto lottare con gli artigli e con i denti per averlo…mentre stavolta sembra che ci abbiano fatto lo sconto.”

 

“Non è stato sempre così. Suppongo che anche noi meritiamo un po’ di pace, no?”

 

Lei sorrise. “Si.”

 

Lui le baciò una guancia e il collo. “Godiamoci lo sconto per una volta.”

 

 

***************

 

 

“Non abbiamo bisogno di Jyro per questo.”

 

“Sono assolutamente d’accordo con te, possiamo farcela benissimo da soli.”

 

Nella grotta buia, illuminata solo da poche candele, quattro uomini seduti sulle ginocchia, l’uno opposto all’altro, discutevano animatamente.

 

“Dobbiamo farlo adesso.”

 

“Risvegliare il grande Noxer senza il medaglione vuol dire riportare in vita un comune essere mortale.”

 

“Un comune essere mortale che andrà a caccia della sua immortalità molto più facilmente di noi.”

 

“Basta, fratelli. Ne abbiamo discusso anche troppo a lungo. Tutto è pronto e il sacro rito deve cominciare adesso, anche se siamo soltanto noi quattro.”

 

“Sono d’accordo.”

 

“Va bene.”

 

“Sia come volete voi.”

 

I quattro uomini si andarono a sedere attorno a una specie di grosso calderone, a cui uno di loro diede fuoco avvicinandoci una fiaccola accesa. Il crepitio delle fiamme, comunque, era soffocato da una specie di monotono lamento, mentre nell’aria un irrespirabile odore d’incenso creava una vera e propria nube grigia. I quattro si inginocchiarono con il viso per terra e le mani protese in avanti verso il calderone infuocato, mentre il lamento aumentava sempre di più. A un certo punto si risollevarono sempre restando sulle ginocchia, a mani giunte e con gli occhi chiusi, continuando il lamento mentre uno di loro apriva un libro e cominciava a recitare una specie di preghiera in una strana lingua, con la voce che aumentava sempre di più. Le fiamme nel calderone si fecero più alte, il lamento e la preghiera divennero sempre più incalzanti, la nuvola di fumo grigio avvolse gli uomini, e qualche secondo dopo le fiamme si spensero tutte di un colpo, e così pure tacquero i quattro.

 

Dall’interno del calderone si sollevò una figura estremamente tetra, col corpo – machile – coperto di stracci, e col viso coperto da una massa di folti e lunghi capelli neri. Senza uscire dal calderone, la sagoma alzò il mento che fino a poco prima aveva tenuto basso, e nell’oscurità della caverna comparvero due occhi viola alquanto minacciosi.

 

 

                                                           ************************************

 

 

 

IO VI ADOROOOOO!!!!!! 20 recensioni per un solo capitolo…è una settimana che saltello allegramente per casa, ed è tutto merito vostro! Ed è altrettanto merito di queste recensioni che mi hanno messo di buon umore se oggi, approfittando della pennichella che si è presa mezza famiglia dopo il lauto pranzetto pasquale, mi sono messa d’impegno e ho finito questo capitolo (che oltretutto è più lungo del solito, sempre grazie al mio umore alle stelle…)…potenza di venti recensioni! Anzi, con l’occasione voglio ringraziare mia sorella Nenè che mi ha fatto da beta lettrice ieri sera tardi, visto che la Sara Lee è in vacanza…Nenè sapeva bene che ci tenevo parecchio a mettere on-line questo capitolo prima di tornare a scuola (…sob…)

 

Bene, a questo punto sono doverosi dei ringraziamenti a tutti i miei recensitori, e alcune risposte ad alcune domande:

 

Ice (sarebbe Icergaze, ma mi piace molto Ice, anche perché faccio prima! ^^),  Ci e tutti gli altri che mi avevano consigliato di dare più spazio alla coppia Harry/Ginny: vi ringrazio moltissimo per avermelo fatto notare! In effetti li avevo un po’ trascurati, e sono felice di sapere che ora la storia è più completa! Grazie davvero per avermelo fatto notare, sono molto contenta quando dai vostri suggerimenti riesco a fare qualcosa che vi interessa anche di più! ^^

 

Arianna: grazie per la bellissima mail! Davvero, mi hai fatto sentire molto contenta! Soprattutto perché ho notato che hai inquadrato perfettamente tutti i personaggi, in particolare Jack e Simon: è come dici tu, Jack è ugualissimo al padre e come lui è impulsivo e a volte un po’ brusco, e Simon, che è ancora piccolino, ci tiene a non farsi mettere mai i piedi in testa e mantiene il punto per ogni cosa….proprio come sua madre! Tieni d’occhio loro e il loro rapporto man mano che la storia avanza…credimi, sarà interessante osservarli…^^

 

Roby-chan: tranquilla, la tua richiesta è condivisa da molte altre persone (in primis mia sorella e la mia beta lettrice) e quindi ho già promesso che ci sarà la parte più interessante di tutta la saga dei War Mage: quella in cui si vede come sono cambiate le cose, ecc…che peraltro si preannuncia molto interessante! Ho già qualche ideuzza…

 

Mony-chan, tesoro, che io ti adoro già lo sai! ^^ La penso proprio come te, Simon è un amore e invidio da morire Hermione anch’io!!!! ^^

 

Kiak, amore mio! E il chiuaua cosa ne pensa, è contento? ^^ Sta’ tranquilla, io non seguo la moda che dicevi tu…nah, non ne sarei capace, li amo tutti troppo! ^^ Certo che però…strapazzarli un po’, che ne dici? Mh?  ^^

 

Keijei, ciao! Sono contenta di averti fatto rischiare un colpo! ^^ Chi saranno i protagonisti, genitori o bimbi? Tutti insieme appassionatamente!

 

Giuggy: le età dei bambini le ho annotate alla fine del capitolo precedente, ma proprio perché sei tu te le ripeto! ^^ Allora, Dan ha 11 anni, Jack 10 e mezzo, Julie ne ha 8 e Simon ne ha 7 da poco compiuti. Più chiaro adesso? Bacioni!

 

Strekon, il mio autore preferito! Grazie dei complimenti, te li ribadisco anch’io…sei un carnefice, ma scrivi davvero come pochi e riesci sempre a emozionarmi! Sei davvero un grande! ^^

 

Manny, si hai fatto centro! ( anche tu, Strek!) I due nuovi War Mage, quelli un po’ idioti, sono davvero fatti a misura dei fratelli Canon! (che a me fanno davvero morire dal ridere!)

 

Baci speciali anche a Ginny, Conci, Rachel Potter, Ary, Anjulie, Amelie, Serena e Sara. Dimenticato qualcuno? Non credo…

 

Mi raccomando, continuate a recensire e a dirmi cosa ne pensate della storia, perché questo mi aiuta (e mi velocizza ^^) davvero molto! Baci baci e ancora auguri!

 

Sunny (in pigiama e con un pezzo di cioccolata in mano…^^)

 

P.S.: li volete vedere i bambini? Li ha trovati on-line mia sorella (e direi che ha fatto una scelta eccellente, quando li ho visti ho detto: sono loro!) Ecco i link:

 

…questo è Dan…

 

http://it.groups.yahoo.com/group/il_favoloso_mondo_di_Harry/files/Fanfics%20n.2/Die%20Another%20Day%20%28BAWM%20III%29/I%20bambini/3.%20Daniel%20Potter.jpg

 

…poi c’è Jack…

 

http://it.groups.yahoo.com/group/il_favoloso_mondo_di_Harry/files/Fanfics%20n.2/Die%20Another%20Day%20%28BAWM%20III%29/I%20bambini/3.%20Jack%20Weasley.jpg

 

…quindi Julie…

 

http://it.groups.yahoo.com/group/il_favoloso_mondo_di_Harry/files/Fanfics%20n.2/Die%20Another%20Day%20%28BAWM%20III%29/I%20bambini/4.%20Julie%20Potter.jpg

 

…e Simon.

 

http://it.groups.yahoo.com/group/il_favoloso_mondo_di_Harry/files/Fanfics%20n.2/Die%20Another%20Day%20%28BAWM%20III%29/I%20bambini/4.%20Simon%20Weasley.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Strane sensazioni ***


                                                            DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 3: STRANE SENSAZIONI

 

 

It’s not time to make a change

Just relax, take it easy                                                

You’re still young, that’s not your fault

There’s so much you have to know

                                                                                    Father and Son, Boyzone

 

 

***************

 

 

Ron e Jack sembravano piuttosto presi dalla loro partita a scacchi, mentre Hermione si stava mettendo d’impegno a cucinare uno sformato in modo completamente babbano, nonostante le battutine di Ron in merito. In quel momento entrò Simon, con un libro in mano.

 

“Che stai facendo?” chiese alla mamma, arrampicandosi su una delle sedie vicine al tavolo.

 

“Uno sformato al formaggio.” Gli rispose lei, mentre si dava da fare a mescolare gli ingredienti in una terrina, seguendo la ricetta di nonna Weasley. “Ti piacerà, vedrai.”

 

Simon guardò l’impasto con un’espressione un po’ disgustata, poi aprì il suo libro colorato sul tavolo. “Posso leggerti la storia di Dumbo?”

 

“Nooo, ancora?!” sbuffò Jack.

 

“Certo che puoi, tesoro.” Gli sorrise Hermione, senza smettere di cucinare.

 

“Ma non sa leggere!” fece esasperato Jack.

 

“Legge molto meglio di te alla sua età.” Lo rimproverò Ron.

 

“Ma non mi fa concentrare!” si lamentò ancora il figlio.

 

“Guarda la scacchiera e fai funzionare il cervello, Jack. Tutto il resto viene da sé.” Disse pazientemente Ron. Jack sbuffò e gli obbedì.

 

Simon si schiarì la gola. “C’era…un…una…vo…l…volta…il…no, un…bel….ci…ci…cic…ciccio?…”

 

Hermione sorrise. “Circo.”

 

Simon si accigliò. “Circo, si…in…un…una…ci…ci…cit…”

 

“Città!” fece esasperato Jack, voltandosi. “Simon, se smetti di leggere te la racconto io per bene stanotte questa stupida storia!”

 

“Ok.” Rispose tranquillamente Simon, chiudendo il libro e andando a mettersi in piedi vicino alla scacchiera dove stavano giocando il padre e il fratello. “Chi sta vincendo?”

 

“Papà, tanto per cambiare.” Jack però non sembrava rassegnato.

 

“Papà, quando mi insegni a giocare a scacchi?” chiese ancora Simon appoggiandosi sulle gambe del padre, che se lo sistemò bene in braccio.

 

“Aspettiamo un altro po’, quando saprai leggere bene bene.” Gli disse Ron, pulendogli con un dito la macchia di cioccolato che aveva su una guancia.

 

“Regina in H6.” Jack fece la sua mossa tutto fiero. “Scacco.”

 

“Bella mossa, Jack. Ma ti sei dimenticato del tuo re. Cavallo in B4.” Il cavallo di Ron si portò di fronte al re de figlio. “Scacco matto.”

 

Jack, imbronciato, appoggiò i gomiti sul tavolino e il viso tra le mani. “La prossima volta non ti andrà così bene.”

 

Simon si mise più dritto. “Papà, come nascono i bambini?”

 

Ron spalancò gli occhi e lo guardò. “Eh?!”

 

“Come nascono i bambini?” fece ostinato il piccolo. “Secondo me la cicogna di Dumbo è una bugia.”

 

Ok, niente panico. “Hermione?”

 

“Se vuoi, te lo spiego io.” Si offrì Jack, tutto pimpante.

 

“Buono, Jack.” Lo zittì il padre.

 

Hermione si affacciò alla porta della cucina. “Che c’è?”

 

“Simon vuole sapere come nascono i bambini.”

 

“Va bene, diglielo.”

 

“Ma tu sai spiegare meglio di me!” replicò Ron.

 

Hermione scosse la testa. “Eh no. Io l’ho già spiegato a Jack. Adesso tocca a te.” E con un sorriso perfido si ritirò di nuovo in cucina.

 

Ron mise il broncio. “Ok, ma poi non lamentarti se tuo figlio resta traumatizzato a vita.”

 

Jack ridacchiò e scansò la scacchiera. Simon, seduto sul ginocchio del padre, lo guardava molto attento.

 

Forza Weasley, ce la puoi fare. Ron si schiarì la gola. “Allora, Simon, i bambini sono il frutto dell’amore fra mamma e papà. In altre parole, quando un uomo e una donna si amano tanto, stanno insieme e dopo nove mesi nasce un bambino.”

 

Simon lo guardò confuso. “E che devono fare per avere un bambino?”

 

Ron inspirò profondamente; le domande di Simon non erano mai semplici, aveva la stessa intelligenza e la stessa curiosità di Hermione. “Beh, dunque…”

 

“Si devono sbaciucchiare con la lingua.” S’intromise sicuro Jack.

 

“Jack!” lo rimproverò il padre.

 

“Con la lingua? Che schifo…” commentò Simon.

 

“Chi ti ha detto una cosa del genere?” fece Ron, con un’espressione dura.

 

“Me l’ha raccontato Morgan Green, un mio compagno di classe.” Rispose Jack, più mortificato. “Ha spiato la sorella e il suo ragazzo, e ha detto che facevano così.”

 

“E allora tu e mamma vi siete baciati con la lingua due volte?” chiese inorridito Simon.

 

Ron comprese che la situazione gli stava sfuggendo di mano. “Ok, adesso smettetela tutti e due con questa storia e statemi a sentire. Simon, lascia stare questa idiozia della lingua. E tu, Jack, non ti permettere più di dire queste cose davanti a tuo fratello, mi sono spiegato?”

 

“Sissignore.” Rispose Jack, evitando di incontrare lo sguardo del padre.

 

“Quello che succede quando mamma e papà stanno insieme è una cosa da grandi e quindi ne riparleremo fra qualche anno, ma la cosa più importante è che teniate bene a mente che i bambini nascono solo quando c’è amore.” Jack e Simon lo stavano guardando molto attenti. “Diciamo che la mamma e il papà si tengono per mano, si abbracciano e si danno qualche bacio, e quello che fanno la lingua e le altre parti del corpo non importa, va bene?”

 

“E poi nasce subito il bambino?” chiese Simon.

 

“No, passa prima nove mesi nella pancia della mamma dove gli si forma tutto il corpo, poi esce fuori.”

 

“Uh, allora anche io sono stato nella pancia di mamma?” chiese di nuovo Simon, tutto emozionato.

 

Ron sorrise al figlio, facendogli scivolare l’indice sul nasino. “Ci sei stato, e scalciavi come un bel cavallino.” Simon sorrise, mostrando la bocca senza i due dentini davanti.

 

“Io un po’ me la ricordo mamma quando aveva il pancione.” Disse Jack. “Era grassa, però era sempre bella. E mi ricordo che la sera, prima di dormire, si sdraiava sul lettone con me e si metteva un carillon sulla pancia.”

 

Ron sorrise. “Per far calmare Simon quando scalciava troppo.”

 

“E io mi stavo buono?” gli chiese il bimbetto.

 

“Per dieci minuti al massimo.” Ron alzò lo sguardo e vide Hermione, appoggiata alla porta della cucina, che li guardava con un sorriso. “Ehi, è pronto?”

 

“Si, andate a lavarvi le mani.” Disse lei dolcemente.

 

“Si mangia!” esclamò festoso Jack, mentre lui e Simon correvano in bagno.

 

Ron si alzò in piedi e Hermione gli si avvicinò. “Sei stato molto bravo prima.”

 

Lui fece un sorriso soddisfatto e le circondò i fianchi con le braccia. “Me la sono vista brutta.”

 

“Ma te la sei cavata egregiamente, papà.” Gli disse lei con un occhiolino, passandogli le braccia attorno al collo. “Ti amo.” E così dicendo lo attirò a sé e lo baciò.

 

Qualche secondo dopo un rumore di vetri rotti si avvertì dal piano di sopra.

 

“Mamma, Simon ha fatto cadere il bicchiere che stava sul lavandino!!!” strillò Jack.

 

“Non è vero, mi ha spinto lui!!!” gridò Simon.

 

Ron e Hermione si staccarono malvolentieri; lei fece per andare a vedere cos’era successo, ma lui la trattenne. “No, non andare…” le mormorò, cercando disperatamente di prolungare quel momento d’intimità.

 

“Fai il bravo bambino almeno tu.” Gli rispose lei, stampandogli un ultimo bacio sulle labbra.

 

“Appena i ragazzi si saranno addormentati, te lo faccio vedere io il bravo bambino.” Fece lui, con un sorriso e un occhiolino alquanto maliziosi. Lei rise, scuotendo la testa, e si avviò verso il bagno.

 

 

***************

 

 

Harry rientrò in casa con le buste della spesa in mano, e appena arrivò in cucina vide che Ginny e Julie si stavano dando da fare a preparare un dolce. Erano entrambe molto belle, con le maniche alzate e i capelli legati, coi visi sporchi di farina e le mani impiastricciate di pastafrolla. Harry sorrise entrando e mise giù le buste della spesa.

 

“Che stanno preparando di buono le mie ragazze?”

 

Julie gli fece un sorriso enorme e molto allegro. “La crostata di fragole!”

 

“Mmh…” Harry si avvicinò al tavolo dove mamma e figlia si stavano impiastricciando tutte nel tentativo di dominare la pasta ribelle stendendola nella teglia.

 

“Però non devi guardare, è una sorpresa!” Julie coprì con le manine l’impasto.

 

Harry sollevò le mani in segno di resa. “Ok, ok…vuol dire che aspetterò l’ora di cena…”

 

Julie rise. “Dai, papino, non fare la faccina dolce, tanto non te la facciamo assaggiare.”

 

Sia Harry che Ginny risero, e la bimba riprese in mano la cucchiarella con molta professionalità, pur ridendo di gusto anche lei.

 

Ginny si pulì le mani dalla farina e si avvicinò al marito. “Julie, posso fidarmi a lasciarti a bada della torta? Papà e io dobbiamo parlare un momento.”

 

“Va bene, non vi preoccupate.” Julie se la stava spassando a mescolare gli ingredienti, e nemmeno lo notò quando i genitori si avviarono nella camera da pranzo.

 

“Spara, che è successo?” disse Harry, leggendo sul viso della moglie una piccola ombra.

 

“Si tratta di Dan.” Fece piano Ginny. “Credo che sia successo qualcosa oggi a scuola, perché è in camera sua da quando è tornato e mi è sembrato molto giù di morale.”

 

Harry si accigliò. “Hai provato a parlarci?”

 

Lei annuì. “Ovviamente si, ma lo sai com’è fatto. E’ difficile che si apra.”

 

Harry sospirò. “Ok, ci penso io.”

 

Ginny gli diede un piccolo bacio sulle labbra. “In bocca al lupo.” Ma prima che lui potesse uscire dalla stanza, lo trattenne per un braccio. “Aspetta un attimo! Hai preso i bastoncini di zucchero, quelli buonissimi dell’altra volta?”

 

Harry ridacchiò. Sembrava una bambina quando faceva così, e guardacaso sembrava uguale a Julie. Con un sorriso le pizzicò il naso. “Sono nella busta bianca.”

 

Lei fece un sorriso enorme e lo baciò al volo. “Mmmh…quanto ti amo!” e senza dargli il tempo di replicare corse via.

 

Lui rise fra sé e sé mentre si avviava verso la cameretta di Julie e Dan. Si soffermò sulla soglia della porta prima di entrare: Dan stava sdraiato sul suo letto, con l’aria evidentemente scocciata, e continuava a lanciare in aria e riprendere senza troppo sforzo una pallina di gomma. Harry si prese qualche secondo per capire quale approccio era meglio usare, quindi entrò nella stanza e si andò a sedere sul letto del figlio.

 

“Sei scappato da tua sorella e le sue bambole?” gli disse con un sorrisetto.

 

Dan continuò a tirare e riprendere la pallina. “No.”

 

Harry inarcò le sopracciglia. “E’ successo qualcosa, Dan?”

 

“No.”

 

“Mh.” Harry annuì. “Allora perchè te ne stai qua sopra tutto solo a non fare niente?”

 

“Perché si.”

 

“Non è una risposta.”

 

“Non me ne importa.”

 

Harry si accigliò. “Spiegami un po’, sei ancora arrabbiato perché ti ho detto che è inutile comprare una scopa nuova quando ne hai già una che è ottima?”

 

“Tanto non serve a niente, anzi. Non voglio più nessuna scopa.”

 

Ok, questo era un po’ allarmante: Dan adorava le scope. “Posso capire almeno perché?”

 

Dan smise di palleggiare ma non alzò lo sguardo. “Perché tanto è tutto inutile. Qualsiasi cosa farò, la gente mi guarderà sempre la fronte per vedere se anche io ce l’ho la cicatrice.”

 

Quelle parole spiazzarono Harry. Si, certo, con Ginny ne avevano parlato, e questa era un’eventualità che si aspettavano di dover affrontare…ma per quanto potesse essersi preparato, non riusciva a sentirsi pronto. “Perché dici questo?” gli chiese piano.

 

Dan alzò gli occhi solo per un secondo. “Stamattina in classe il professor Robinson ci aveva dato un compito sui nostri hobby.” Disse piano. “Io ho scritto che il mio hobby sono le scope, ma Frankie Murton e Randy Zender hanno detto che mi piacciono solo perché voglio essere uguale a te e voglio essere famoso come te. E tutta la classe si è messa a ridere.”

 

Harry sospirò e annuì. “Mi dispiace.”

 

Dan si tirò su e si mise seduto accanto al padre. “A me non è che me ne importa se quei due cretini dicono una cosa, perché tanto nessuno li pensa mai…però mi da fastidio che ogni volta che mi chiedono come mi chiamo, poi fanno tutti la faccia sorpresa e mi dicono "Harry Potter è davvero tuo padre?"…cioè, alla fine…” il bambino sospirò. “…non lo so. A me piace tantissimo essere figlio tuo, e non cambierei mai il mio cognome, però…qualche volta vorrei che la gente  non mi guardasse sempre come una specie di fenomeno della natura solo perché sono figlio di Harry Potter.”

 

Harry annuì con amarezza. “Lo sai, io avevo il tuo stesso problema.”

 

“Davvero?”

 

“Si. Quando ho cominciato Hogwarts e ho capito di essere un mago…beh, non è stato facile. E tu ora puoi capirlo bene. Non potevo nemmeno fare un giro a Hogsmeade senza essere lasciato in pace, stavano tutti con gli occhi incollati alla mia fronte. E non era bello.”

 

Dan si grattò il naso. “E come facevi?”

 

Harry scrollò le spalle. “Non è stato facile. Non è mai stato facile. E’ una gran brutta sensazione quando la gente non è interessata a te, ma a quello che sanno di te. Io per tutti ero il Bambino Sopravvissuto, nient’altro. E credimi, ne hanno inventate di tutti i colori su di me e sulla mia vita.”

 

Dan guardò a terra. “Tu eri messo anche peggio di me, eh?”

 

Harry sorrise per un momento e annuì. “Eh si. Ma poi col tempo ho imparato a fregarmene di quello che dicevano gli altri. Perché io avevo moltissime persone che mi volevano bene non per la mia cicatrice. Mamma, zio Ron e zia Hermione, i nonni e gli zii…erano loro la mia famiglia, e se la mia famiglia mi amava, allora non mi interessava proprio un bel niente degli sguardi della gente.”

 

“Io…lo so che me ne devo fregare, però certe volte è impossibile.” Gli spiegò Dan. “L’altra mattina Jack e io stavamo per fare a botte con due nostri compagni perché dicevano che quando i nostri amici vengono a casa lo fanno solo per vedere voi grandi. E’ stato…proprio brutto sentirselo dire.”

 

Harry gli passò un braccio intorno alle spalle. “Questo è quello che vogliono farvi credere, ma tu lo sai benissimo che non è così. Tu e Jack avete moltissimi amici con cui state bene anche fuori di casa e senza di noi. Ignorali quando dicono queste cose. Sanno che siete due tipi in gamba e hanno trovato un modo per farvi innervosire.”

 

“E ci sono riusciti anche bene, pa’. Jack si è beccato una punizione per questo.”

 

“Ah, davvero?”

 

Dan annuì. “Il professor Robinson è entrato proprio mentre stava prendendo a calci nel sedere Randy Zender. E stava andando proprio forte, sai.” Disse piano, con un sorrisetto.

 

Harry non potè trattenersi e ridacchiò. “Gran bel colpo, davvero. Ha fatto proprio bene.”

 

Dan rise. “Se ti sentisse mamma…”

 

“No, scherzi a parte.” Harry tornò serio, ma sempre molto tranquillo. “Può capitare di perdere le staffe, ma voi dovete cercare di mantenere il controllo. Non è forte chi alza le mani, quella non è forza, è solo violenza. E’ forte chi cammina a testa alta e se ne frega dei commenti come quelli di quei due imbecilli. Siete forti voi due se li ignorate e tirate dritti per la vostra strada.” E così dicendo gli arruffò amorevolmente i capelli. “E tu devi continuare ad amare le scope e il quidditch senza preoccuparti di quello che pensano gli altri, è una cosa che ti piace e tu la porti avanti fino in fondo. Chiaro?”

 

Dan annuì. “Ok.”

 

“Bravo il mio ragazzo.” Harry gli diede una pacca sulle spalle. “E vedrai che farai mangiare la polvere a tutti quando entrerai a far parte della squadra di Grifondoro.”

 

“Ma come fai a essere sicuro che entrerò in squadra?”

 

Harry fece un sorrisetto orgoglioso. “Perché voli da fare invidia.” Dan finalmente ricambiò il sorriso del padre con uno dei suoi, bello e solare. “Allora, ci vieni giù a mangiare? Tua madre e Julie stanno preparando la crostata di fragole.”

 

“Altrochè se ci vengo!” Dan balzò in piedi subito e uscì allegramente dalla stanza assieme a suo padre.

 

 

***************

 

 

Nella penombra della grotta era fin troppo difficile distinguere le sagome dei quattro uomini che stavano in ginocchio di fronte a una specie di grosso masso su cui stava seduta una figura alquanto vigorosa, di cui, nell’ombra, si potevano vedere solo gli occhi nitidamente violacei e due grossi ciuffi di capelli sul viso completamente nascosto.

 

“Mio signore, non possiamo esaudire la tua richiesta.” Disse molto mortificato uno dei quattro che erano in ginocchio.

 

Gli occhi viola fiammeggiarono pericolosamente, e si udì una voce metallica dotata di una strana eco. “Che cosa significa?”

 

Un altro chinò la testa. “Sono stati gli auror, i soldati del mondo magico. Sono intervenuti mentre stavamo celebrando il nostro sacro rito, e il tuo grande sacerdote è stato catturato prima che potesse richiamarti alla vita nel modo in cui è scritto, mio signore.”

 

Il demone emise un sibilo. “Siete un branco di inetti.”

 

“Grande figlio delle tenebre, non tutto è perduto.” Fece ancora un altro uomo. “Quello che tu vuoi potrebbe non essere lontano.”

 

“Spiegati.” La voce del demone metteva i brividi.

 

“Il medaglione è nelle mani degli auror.” Continuò quello. “Dobbiamo solo sapere dove lo tengono, poi potremo riprendercelo senza problemi.”

 

Il demone esitò. “Sapete già cosa vi aspetta se fallirete ancora.”

 

I quattro s’inchinarono ancora di più. “Si, o potente.”

 

 

***************

 

 

Jack si svegliò di soprassalto sentendo gli strilli. Fece fatica a mettersi seduto nel suo letto, stropicciandosi gli occhi assonnati, e si voltò verso il letto del fratello. Simon stava strillando e scalciando come un pazzo, anche se aveva gli occhi chiusi.

 

Nemmeno un secondo dopo la porta della stanza si aprì e ne entrarono Ron e Hermione, che erano corsi senza nemmeno attardarsi a mettersi addosso una vestaglia sui pigiami. Ron immediatamente si sedette sul lettino del figlio e cercò di capire cosa avesse, mentre Hermione si fermò un istante ad accendere una lucetta per vederci qualcosa nella stanza buia, per poi piombare accanto al marito.

 

“Mamma!! Mamma!! Lasciala stare!!” strillava Simon, scalciando forte.

 

“Simon, svegliati!” Ron riuscì a prenderlo per le spalle e a scuoterlo. “Svegliati, è un brutto sogno!”

 

“C’è tutto il sangue…mamma!!!”

 

Ron scrollò più forte il figlio. “Apri gli occhi, Simon, è solo un incubo!!”

 

Scosso più forte, il bambino riuscì finalmente ad aprire gli occhi e vide subito i suoi genitori, che lo guardavano preoccupati.

 

“Non è successo niente, tesoro, è stato solo un brutto sogno.” Sua madre cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli una gambetta ancora tesa, mentre suo padre lo prendeva in braccio.

 

Simon scoppiò a piangere e nascose il viso nella maglietta del padre. “Sshh, è tutto finito.” Ron prese ad accarezzargli la testolina rotonda, che stava per metà schiacciata contro il suo stomaco.

 

“…c’era un orso brutto e nero…” piagnucolò il piccolo. “…aveva fatto male a mamma e voleva mangiarla…”

 

Hermione gli accarezzò ripetutamente una guancia. “”Amore, guardami…sto benissimo, non c’è nessun orso.”

 

“Si che c’era.” Singhiozzò il bimbo. “…io non voglio che ti uccide…”

 

“Mamma sta benissimo, e se quell’orso ritorna lo ucciderò io, non aver paura.” Gli mormorò Ron dolcemente, cercando di calmarlo con carezze e parole rasserenanti.

 

Jack si avvicinò, stropicciandosi gli occhi. “Mamma…che succede?” disse, con la voce ancora assonnata.

 

Hermione si alzò. “No, tesoro, va tutto bene. Tuo fratello ha avuto un incubo.” Dolcemente prese il figlio per mano e lo riaccompagnò al suo letto. Jack, che non si era nemmeno svegliato completamente, non oppose la minima resistenza e tornò a sdraiarsi. Hermione gli rimboccò le coperte e gli diede un bacio sulla fronte, per poi tornare dal figlio più piccolo.

 

Simon sembrava essersi calmato fra le braccia di suo padre, perché aveva smesso di agitarsi e di urlare, anche se ancora singultava ogni tanto. Ron lo stava cullando dolcemente, accarezzandogli le guanciotte ancora umide di pianto. Rimasero ancora qualche minuto così, poi Ron rimise il figlio nel letto, e Hermione si assicurò che fosse tranquillamente addormentato e ben coperto.

 

Solo quando si furono assicurati che i due bambini stavano dormendo serenamente, Ron e Hermione tornarono nella loro camera. Lei s’infilò sotto le coperte, mentre lui si sedette sul bordo del lettone senza dare cenno di muoversi.

 

Hermione lo notò. “Ron?” lui non le rispose, e lei si andò a mettere seduta accanto al marito. Stava guardando fuori dalla finestra verso il cielo pieno di stelle, ma con un’aria turbata. Lei gli accarezzò la schiena. “C’è qualcosa che non va?”

 

Lui sospirò e si voltò a guardarla. “Non avevo mai visto Simon così spaventato.”

 

“Ha avuto un incubo.”

 

“Orribile.”

 

Lei annuì. “Si, orribile. E’ normale avere tanta paura quando si ha un incubo. Hai dimenticato quanti ne avevamo noi quando iniziammo l’addestramento?”

 

Lui rimase in silenzio e abbassò lo sguardo.

 

Hermione si accigliò. “Ron?”

 

Lui non le rispose; invece si voltò verso di lei, la prese per le spalle e la baciò. Lei rimase per un momento disorientata: perché quel bacio era così disperato, così bisognoso? Era diverso dal solito… era passionale, certo, quando mai un loro bacio non lo era…ma stavolta era come se lui stesse cercando un modo per restare per sempre connesso a lei, come se…come se non volesse lasciarla andare nemmeno per un secondo. E questo era…un po’ insolito. Quando si separarono, perciò, lei non potè fare a meno di guardarlo con uno sguardo interrogativo.

 

“Io impazzirei se qualcuno facesse del male a te o ai bambini.” Le sussurrò piano lui, tenendo gli occhi fissi nei suoi.

 

Lei lo abbracciò. “Non succederà niente.” Gli disse, calma. “Non aver paura, staremo tutti bene. Continueremo a proteggerci l’un l’altro e a proteggere i bambini come abbiamo sempre fatto, e continuerà ad andare tutto bene.”

 

Lui annuì e si fece indietro per poterla guardare. Cercò di sorriderle, e le scansò un ciuffetto di capelli dal viso. “Già. Siamo insieme, non può non andare tutto bene.”

 

Lei gli accarezzò una guancia. “Torna a dormire, dai.”

 

“Ok.” Il resto della notte, comunque, la passarono abbracciati e stretti l’uno all’altra.

 

 

***************

 

 

Ginny si affacciò dalla cucina per vedere chi era appena entrato nel salotto di casa sua tramite la polvere volante, e fece un gran sorriso. “Ron!”

 

Lui le sorrise in risposta, scrollandosi la cenere dalla camicia. “Ehi, Gin.”

 

La sorella gli baciò la guancia, senza smettere di sbattere le uova nella terrina che aveva in mano. “E dove sono Hermione e i bambini?”

 

“Hermione sta facendo una ricerca a casa, e l’ultima volta che ho visto Jack e Simon stavano cercando di speronarsi a vicenda con le biciclette.”

 

Ginny rise. “Tutto come al solito, allora.”

 

Lui annuì. “Harry?”

 

“Sta costruendo un aquilone su in terrazza coi bambini.”

 

“Oh, beh…li raggiungo, allora.”

 

Lei sorrise e annuì. “Ok, ma passa da me prima di andartene. Ho appena finito i biscotti al limone, così ne porti un paio a Jack, li adora.”

 

“Ehi, mica solo lui!”

 

Ginny rise e tornò in cucina mentre Ron raggiunse la terrazza di casa Potter: Harry, Dan e Julie stavano tutti in ginocchio a terra, e i due bambini sembravano molto emozionati mentre guardavano il papà all’opera.

 

Dan alzò gli occhi. “Ciao, zio Ron!”

 

“Ciao, zietto!” squittì vispa la piccola Julie.

 

Ron rivolse a entrambi un gran sorriso. “Ehi, ragazzi. Che fate di bello?”

 

“Papino ci sta costruendo un aquilone.” Gli spiegò la bambina.

 

“Ah.” Ron ridacchiò e si mise le mani in tasca. “E come sta venendo, papino?”

 

“Perfetto come tutte le cose che fa papino, zietto.” Ridacchiò Harry, tirandosi su e mostrando ai figli la sua opera. “Ecco qua.”

 

Dan prese l’aquilone. “Wow, è fantastico!”

 

“Com’è bello, papà!”

 

“Possiamo andare a provarlo in giardino?” chiese Dan al padre.

 

“Va bene, ma vedete di non fargli fare la fine dell’altro.” Fece Harry con un sorrisetto, sedendosi sul dondolo.

 

“Io lo farò arrivare più in alto che mai!” urlò tutto felice Dan, correndo di nuovo in casa.

 

“Anch’io, aspettami!” gli strillò dietro la sorella, rincorrendolo.

 

Ron rise, scuotendo la testa, e si abbandonò sul dondolo vicino a Harry. “Mi ricorda sempre di più Ginny quando era piccola.”

 

Harry annuì. “E’ proprio questo il bello. Avere per casa la versione piccola e quella cresciuta.”

 

“Già.”

 

“E il resto della banda?”

 

“A casa.”

 

“Mh.” Harry guardò Ron con la coda dell’occhio. “E’ una mia impressione, o la tua non è proprio una faccia serena e tranquilla?”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “E questa brillante deduzione da cosa deriva, scusa?”

 

“Da vent’anni di amicizia. Che ti piaccia o no, Ron, ti conosco troppo bene. Sei come un libro aperto per me. Perciò o mi dici che c’è, o giochiamo agli indovinelli. A te la scelta.”

 

Ron scrollò le spalle e rimase per qualche secondo in silenzio. “Non c’è niente di preciso che non va…”

 

“…ma?”

 

“Hai mai avuto la sensazione di non fare abbastanza per proteggere tua moglie e i tuoi figli?”

 

Harry sospirò. “Tutte le dannatissime volte che penso a quanto sono fortunato ad averli.”

 

Ron annuì. “Beh, anch’io. Certe volte vorrei poter non lasciare Hermione e i bambini nemmeno per un secondo.”

 

“Anch’io. Se dipendesse da me, li farei diventare picccoli piccoli e me li metterei in tasca.”

 

A Ron sfuggì un sorrisetto amaro. “Tutto questo è assurdo. Ma che ne è di te e di me, gli auror più figli di puttana del Ministero?”

 

“Siamo cresciuti.” Ammise Harry, con lo stesso sorriso. “Siamo diventati mariti, padri…abbiamo smesso di giocare con la vita, e l’abbiamo presa sul serio. Non si può fare i figli di puttana in queste condizioni, suppongo sia normale.”

 

“E’ più complicato vivere quando al primo posto della tua hit-parade ci sono tua moglie e i tuoi figli. E’…” Ron scosse la testa. “Ah, non so nemmeno perchè ne stiamo parlando.”

 

Harry si grattò la nuca. “Perché capita di avere paura, Ron. Anche a te. Soprattutto dopo una vita come la nostra.”

 

“Già.” Annuì Ron. “Suppongo che questo sia il prezzo da pagare per aver sfidato la morte tutte quelle volte. Ora non ce lo possiamo più permettere.”

 

“No. Niente più filosofia del macho man, adesso c’è la teoria del papà.”

 

“E’ un gran cambiamento.”

 

“Per questo a volte fa paura.”

 

“Ma non a due pezzi d’uomini come noi.”

 

Harry ridacchiò. “Ecco, precisamente quello che volevo intendere io.”

 

Ron rise e gli diede una pacca sulle spalle. “Lo sai, amico mio, non sei male. Potrei perfino presentarti a mia sorella.”

 

“Mi piacerebbe molto conoscerla, ho sentito parlare molto bene di lei.” anche Harry rise.

 

 

***************

 

 

Hermione finì di annotare i suoi appunti sul blocco su cui stava scrivendo, controllando un’ultima volta che il medaglione e l’immagine sul libro aperto sulla sua scrivania coincidessero. La interruppe Jack, che entrò nella stanza con una merendina al cioccolato in mano.

 

“Che stai facendo?” le chiese, dando un morso.

 

La madre gli sorrise. “Una ricerca.”

 

“Su quel coso?” fece Jack a bocca piena, indicando il medaglione.

 

“Già.” Annuì Hermione. “Questo coso è un talismano molto antico, risale a più di un secolo fa.”

 

Jack, incuriosito, si avvicinò. “E che te ne fai di una cosa così vecchia?”

 

“E’ una ricerca per lavoro, non è un oggetto mio.” Gli spiegò Hermione. “Apparteneva a un gruppo di tipi strani che papà e zio Harry hanno arrestato.”

 

“Tipi strani? Che ci facevano con un talismano a forma di stella?”

 

Lei scrollò le spalle con un sorriso. “Cose strane.”

 

Jack ridacchiò. “Io lo appenderei all’albero di Natale.”

 

Hermione rise. “Già, non ci starebbe male.”

 

In quel momento entrò dalla porta Simon, con un paio di occhialoni sul naso. “Guarda, mamma!” disse allegramente. “Questi me li ha dati nonno, sono occhiali babbani da lavatore.”

 

Suo fratello e sua madre lo guardarono confusi. “Da che?” dissero contemporaneamente.

 

“Da lavatore.”

 

Hermione scoppiò a ridere. “Aviatore!”

 

Simon annuì. “Eh, quello.”

 

Anche Jack ridacchiò. “Certo che sei proprio un ignorante tu.”

 

Simon si mise le mani sui fianchi. “So un sacco di cose che tu non sai.”

 

Jack incrociò le braccia. “Io non credo proprio.”

 

Il fratello lo guardò con aria di sfida. “Lo sai cosa c’è al Polo Nord?”

 

“Che scemenza. Ci sono gli orsi polari, le foche, i trichechi, i pinguini, gli eschimesi…”

 

“Vedi, non lo sai! Non lo sai che là il giorno e la notte durano sei mesi!” esclamò il piccolo. “Io l’ho letto nel libro che mi ha portato mamma dal lavoro.”

 

“Capirai, tu leggi tutto, perfino i volantini delle pubblicità per strada.”

 

“E però almeno imparo le cose, io.”

 

“Bravo, complimenti. Hai vinto una battuta di unghie.” Fece sarcastico Jack.

 

Simon non mollò. “Jack e Amelia, Jack e Amelia…” si mise a canticchiare, e come vide che il fratello maggiore gli piombava addosso, scappò di corsa.

 

Hermione balzò in piedi. “No, non correte!” qualche istante dopo sentì il rumore di un ruzzolone e poi il pianto di Simon. Furibonda, raggiunse i figli: Jack era a metà della rampa di scale, Simon invece stava alla fine, seduto per terra, a piangere.

 

“Quante volte ve lo devo dire! Non si corre per le scale!” strillò, raggiungendo il figlio più piccolo.

 

“Io non ho fatto niente, è scivolato da solo!” fece subito Jack.

 

Simon piagnucolò che si era fatto male a un piede. “Così anche tu impari a non disobbedire e a non correre!” replicò Hermione, controllando i danni e prendendolo in braccio.

 

Ron, che proprio in quel momento era spuntato dal camino, si avvicinò ancora scrollandosi la cenere di dosso. “Ehi, ma che è successo qui?”

 

Hermione risalì le scale con Simon in braccio, diretta a trovare una pomata da mettergli sul piede, ma prima si fermò ancora un attimo vicino al figlio maggiore. “Jack, sono stanca di ripeterti che sei più grande e che dovresti controllarti! Tuo fratello è ancora piccolo, dovresti averne cura invece di litigarci in continuazione! E guai a te se scopro che sei stato tu a spingerlo!” gli disse, decisamente furibonda, prima di andare via.

 

Ron guardò Jack con le mani in tasca e le sopracciglia inarcate. Il bambino s’infuriò. “E certo! Siccome io sono il più grande, la colpa è automaticamente mia!”

 

“Non mi sembra affatto di averlo detto.” Replicò calmo il padre. “Stavo solo aspettando una spiegazione.”

 

Jack si sedette sull’ultimo scalino, imbronciato e con le orecchie rosse. “E’ successo che tuo figlio è un saputello rompipalle.”

 

Tuo figlio. Ron rise. “Che ha combinato stavolta?”

 

“Mi rompe le scatole! Mi rompe, mi rompe, mi rompe finchè io poi non lo prendo a mazzate!”

 

“Jack, ricordati che è più piccolo di te. Non è leale venire alle mani, figuriamoci con chi è più piccolo.”

 

“Sempre la stessa storia! Non me ne frega un accidente che è più piccolo, lo gonfio di botte!”

 

“Non penso proprio.”

 

“E invece è proprio quello che ci vorrebbe, papà! Una bella faccia di schiaffi! Com’è che qua a casa le sberle le prendo solo io, eh?! Non è giusto! L’ultimo ceffone che mi hai dato mi ha fatto girare la testa dall’altra parte, invece quando devi dare uno schiaffo a lui pare che gli stai facendo una carezza un po’ più pesante! Non è giusto!”

 

“Le sberle le prendete tutti e due, ora non fare la vittima. E di certo non servono a lasciarvi un occhio nero, ma a ricordarvi che una cosa non si fa.”

 

“Sai che ti dico, papà? Visto che non glielo vuoi dare tu un bel cazzotto in bocca, glielo mollo io!”

 

Ok, adesso le cose stavano prendendo una piega un po’ troppo seria, non era più uno scherzo. “Tu azzardati a farlo, e ti assicuro che poi mi occuperò io personalmente della tua faccia.”

 

Questo calmò l’animosità di Jack e lo mise a tacere.

 

Ron rimase in silenzio per qualche secondo, poi si voltò verso il figlio. “Non mi piace quando fate così. Se litigate lo capisco, e mi sta bene, lo facevo anch’io coi miei fratelli. Ma sentirti parlare in questo modo mi da molto fastidio.”

 

Jack incrociò le braccia, col broncio. “Ecco, lo sapevo. E poi dici anche che non è la solita storia.” Brontolò.

 

“E con questo che vuoi dire?”

 

“La verità.” Disse coraggiosamente (o impudentemente) Jack. “Che Simon si becca tutte le coccole solo perché è piccolo e perché fa tenerezza, ma a me non ne fa per niente! E’ irritante, e a sette anni sa quasi tutta la nostra biblioteca a memoria!”

 

Qui Ron non potè nascondere un sorrisetto. “Precisamente come tua madre quando eravamo a scuola. Anche lei era odiosa. Sembrava uscita dalle pagine di un’enciclopedia.”

 

“E va bene, tutte queste cose qua che assomiglia a mamma e il resto, però…” Jack sbuffò. “…papà, te lo giuro, non è sempre colpa mia. Certe volte io me ne sto per fatti miei, e lui viene e mi fa un dispetto. O mi chiede una cosa che ha appena letto, così poi io non la so e lui si sente tutto contento!” e qui Ron non potè proprio non ridere: un’immagine di lui e di Hermione a undici anni nella sala comune di Grifondoro gli balenò nella testa. “Che poi nemmeno ha imparato a leggere! Legge due o tre parole, e io non ho ancora capito come cavolo fa, se le ricorda a memoria e si sente tutto intelligente!” Jack era decisamente irritato.

 

E’ intelligente.”

 

“Si, però perché deve rompere le scatole a me? Che gli ho fatto io? Alle volte ho la sensazione che vuole sempre vedere chi è meglio fra noi due, ma a me non interessa, veramente!”

 

Ron sospirò e guardò suo figlio negli occhi, e capì che non stava mentendo. Jack aveva davvero tanti difetti, ma era sempre stato sincero e buono, e a dispetto di quello che diceva, voleva davvero bene a suo fratello.

 

“Figliolo, tu lo sai quanti fratelli ho io. Erano tutti più grandi di me. E poi c’era zia Ginny che era più piccola.” Gli disse calmo Ron. “La mia era la posizione peggiore, perché ero il bambino di casa ma tra me e tua zia l’aveva sempre vinta lei.”

 

Jack si accigliò. “Pure tu non te la passavi alla grande.”

 

“No, per niente.” Continuò suo padre, con un sorriso. “Sai che significa essere fratello minore di cinque maschi e maggiore dell’unica figlia femmina, la più piccola, per di più? Beh, te lo faccio capire subito: immaginati i tuoi zii Fred e George da ragazzini a provare tutti i loro scherzi magici su di me.” Qui Jack ridacchiò. “E pensa a tutte le volte che tua nonna mi ha costretto a giocare con le bambole con zia Ginny.”

 

Jack trattenne una risatina. “Cavolo. Ehi, chissà se anche Dan gioca mai con le bambole con Julie.”

 

Ron annuì con un sorriso. “Sicuro che lo fa. Per quanto possano essere noiosi, i fratelli più piccoli poi piacciono. Puoi insegnargli tutte le cose che sai, e perfino litigarci è diverso che litigare con un amico qualunque. E soprattutto senti la loro mancanza quando non ci sono. E se sei solo con loro, senti il bisogno di proteggerli.”

 

“Io non lo proteggerei per niente Simon.” 

 

Ron fece una smorfia. “Ma piantala. E Lenny…come si chiama?” disse con un sorrisetto, alludendo al ragazzino che una volta, durante una vacanza, aveva provato a rubare un giocattolo a Simon e aveva rischiato di venire picchiato da Jack.

 

Il bambino arrossì. “Che c’entra. E poi  lui è troppo rompipalle, mi prende in giro troppo spesso. Ormai mi ha rotto.”

 

“La sai una cosa, Jack? Ai tempi della scuola io adoravo tuo zio Charlie.”

 

Jack sbattè gli occhi. “Come?”

 

Ron annuì. “Sai, lui era stato un campione di quidditch a scuola. E quando io andavo a Hogwarts, lui lavorava in una terra lontana e aveva a che fare con le creature più spettacolari della terra, i draghi. Era il mio mito.”

 

“Che forza.” Jack sembrava affascinato dalle notizia appena ricevute su suo zio.

 

“E sai cosa facevo di più quando lo vedevo?” il figlio scosse la testa. “Lo provocavo finchè non finivamo a litigare.”

 

Jack parve sorpreso e si accigliò. “E perché?”

 

Ron rise. “Perché lui era più grande, non andava più a scuola, aveva vinto un sacco di trofei, faceva un lavoro invidiabile…e perché era più grande di me.” Il figlio non disse niente, e lui gli accarezzò la testa con un sorriso. “Vedi, Jack, tu dopo l’estate andrai a Hogwarts. Sai già volare, diamine se la sai usare la tua scopa, usi la pluffa come se fosse un pezzo del tuo braccio, e ora hai anche un’amichetta speciale. Simon vorrebbe fare tutto quello che fai tu, ma è normale che alcune cose non riesce ancora a farle, lui è ancora piccolo.”

 

“E perché se la prende con me?”

 

“Non se la prende con te, cerca di essere come te.”

 

Jack ci riflettè un attimo. “Però questo non è giusto. Non è colpa mia se è ancora un pannolone.”

 

“No, infatti. Però cerca di avere pazienza ora che che sai perché si comporta così. Se ti provoca, non raccogliere la sfida. Dagli un po’ di soddisfazione. Non ci perdi niente a dirgli che è bravo anche lui a fare qualcosa, e lo farai sentire soddisfatto; e scommetto che non ti stuzzicherebbe più. Che ne dici, ci vuoi provare?” Ron gli diede una pacchetta sulle spalle. “Mh?”

 

“…e va bene. Ma ci provo, non è detto che ci riesco.”

 

“Bravo il mio ragazzo.” Suo padre annuì contento. “Ehi, ti vanno due tiri?”

 

Jack fece un sorriso soddisfatto. “Vado a prendere il pallone.”

 

Ron guardò il figlio correre su per le scale e si alzò in piedi, stiracchiandosi e allungando i muscoli tesi delle spalle. Diede per un attimo un’occhiata fuori…che si aspettava di vedere? Proprio niente….o forse solo i fantasmi della sua angoscia….una strana angoscia immotivata….

 

…o sto diventando pazzo, o sono un dannatissimo paranoico…

 

 

                                                ***********************************

 

 

 

 

Scusatemi tantissimo per il ritardo! Ma la mia sorellona ha fatto 18 anni e non ho avuto molto tempo libero per scrivere! ^^ Auguri, Nenè, e ti dedico con tutto il cuore questo capitolo! (lei adora Harry e Ron in veste di papà…e onestamente anch’io! ^^)

 

Ehi ragazzi! Anche il terzo capitolo è andato…ancora un po’ di ‘family moments’, giusto per lasciarvi la bocca dolce…prima del prossimo capitolo….”Fulmini a ciel sereno”….il titolo spiega tutto….qualcosa sta per sconvolgere le vite dei nostri eroi, ancora…ma cosa? ……..lo scopriremo nella prossima puntata! ^^ (yeah, ho sempre desiderato dirlo!)

 

Naturalmente ci tengo a ringraziare tutti come sempre; a tutti quelli che l’hanno chiesto: i bambini non vanno ancora a Hogwarts, naturalmente….immagino che anche i maghi abbiano una sorta di scuola elementare, ed è lì che studiano i nostri piccoli protagonisti, come ha giustamente detto Ci.

 

Strekon, questi libri di cui parli non li conosco, ma grazie per la dritta perché ora li cercherò in giro: li voglio! Adoro questi generi un po’ dark e misteriosi! Keijei, amore, grazie dei complimenti! Mia sorella concorda con te che sono una pazza visionaria…si, ho parecchia fantasia….sono un po’ svitata, anche, ma chi non lo è ^^ Cosa? Non sei riuscita a vedere le foto? Povera! Dammi il tuo indirizzo, te le mando via mail! ^^

 

Un bacio ultra gigantesco a Mony (senza chan!), Alexis, Giuggy, Mikisankaineko (…l’ho scritto giusto?), Iceygaze, Rachel Potter (mi fa piacere che si noti la somiglianza tra Jack e Ron…io li volevo molto, molto simili! ^^), Kiak (un bacio a Tyson! ^^), Ginny, Ci, Chiaretta…e infine un bacio speciale tutto per Vega: ti ringrazio davvero tantissimo, primo perché adoro le recensioni dettagliate come la tua, e poi perché se mi dici che non sei il tipo da recensire e l’hai fatto vuol dire che ti è piaciuta davvero la storia e ne sono molto, molto felice! E in effetti hai fatto centro: in genere io quando scrivo ho già chiaro tutto quello che succederà, devo solo sistemare la storia e aggiungere o tagliare qua e là qualche pezzettino. Brava, mi hai capito bene! ^^ (oh, e anch’io amo Charlie e Tennessee…e ti prometto che ci sarà anche un momento dedicato tutto a loro! Parola! ^^)

 

Beh, bimbi belli….ora devo proprio andare….baci baci, alla prossima!

Sunny

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Capitolo 4
*** Fulmini a ciel sereno ***


                                                        DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 4: FULMINI A CIEL SERENO

 

 

Somebody’s gonna hurt someone

Before the night is through

Somebody’s gonna come undone

There’s nothing we can do

                                                                       Heartache Tonight, Eagles

 

***************

 

 

Simon Weasley uscì di corsa dalla sua stanza con lo zaino sulle spalle. Erano già in ritardo per la scuola, tanto per cambiare, e Jack era già sceso. Mancava solo lui, e conveniva darsi una mossa se non voleva beccarsi una bella ramanzina.

 

Sfortunatamente la pallina che aveva in mano scelse proprio quel momento per cadere e rimbalzare fin nella stanza dei suoi genitori, sotto la scrivania di sua madre. Simon si affrettò a recuperarla, procedendo carponi rapidamente.

 

“Simon! Farete tardi a scuola!”

 

“Arrivo, mamma!”

 

Simon, rialzandosi di colpo, diede un brusco scossone alla scrivania; ma non si accorse di quello che gli era caduto nello zaino aperto mentre si rialzava in piedi per correre via.

 

 

***************

 

 

Harry e Ron rientrarono al quartier generale ancora ridacchiando, Ron tirando per un braccio con noncuranza un uomo ammanettato.

 

“Quante volte ve lo devo ripetere!” brontolò avvilito l’uomo. “Non è stata colpa mia!”

 

“Sicuro, come no.” Annuì Harry ironicamente. “E’ il fucile del poliziotto babbano che si è lanciato nelle tue mani, Tom. Lo sappiamo.”

 

“Ma no, non potete arrestarmi!” protestò ancora quello.

 

“Va bene, basta che però stai zitto perché non ti sopporto.” Lo zittì Ron, spingendolo verso un paio di giovani auror che montavano la guardia nel corridoio centrale. “Guardate un po’ che bel regalo vi abbiamo portato.”

 

“Grazie mille, capitano.” Disse con un sorriso simpatico il giovane, portandosi via l’uomo mentre dallo scalone centrale stava scendendo Lysa Bloyd, la segretaria di Homer, con una pila di libri in mano. Vedendoli, lei sorrise a entrambi.

 

“Giusto voi due, ragazzi. Ben vi stava cercando un momento fa.”

 

Harry sbuffò. “Quell’uomo sta diventando una spina nel fianco. Ma non ha fame, è ora dello spacco!”

 

Lysa scrollò le spalle. “Che vuoi farci. Ancora qualche anno di sopportazione e poi andrà in pensione.”

 

“Mh. Senti un po’, per caso hai visto quell’angelo di mia moglie?” chiese Ron con un sorrisone.

 

“Quell’angelo di tua moglie è andata a prendere a scuola quegli angioletti dei tuoi figli.”

 

Ron si accigliò. “Credevo ci fosse andata Ginny.”

 

“E’ dovuta andare anche Hermione.” Replicò lei. “Pare che a scuola uno dei tuoi figli si sia azzuffato con un suo compagno. Credo sia stato…”

 

“Jack.” Dissero in coro i due uomini. Ron chiuse gli occhi e scosse la testa, passandosi una mano sulla faccia.

 

Harry rise e gli diede una pacca sulle spalle. “Tutto suo papà, eh?”

 

“Questa è la vendetta di mio padre.” Fece Ron, con un sorriso sconsolato. “Per tutte le volte che gli ho creato di questi problemi da piccolo, e lui diceva che avrei capito solo con un figlio identico a me.”

 

“Fortuna per tutti noi che Jack ha tanto anche di Hermione, altrimenti il mondo sarebbe in pericolo con due Ron Weasley in giro.” Harry rise, facendo ridere anche Ron.

 

Lysa ridacchiò. “Comunque fareste meglio ad andare da Ben, prima che vi venga a cercare lui.”

 

“Grazie, dolcezza.” Harry e Ron la salutarono e risalirono lo scalone. Nella stanza di Ben c’erano anche Liam e Sirius, e non avevano esattamente una faccia tranquilla.

 

“Che è successo, perché quell’aria da funerale?” chiese Ron, accigliandosi.

 

“Si può sapere dove cazzo siete stati tutta la mattina?” fece Ben, nervoso.

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Ti ricordo che sei stato tu a farci fare da scorta a Montgomery alla sua Giornata per l’Auror in Pensione, non è che avessimo una gran voglia di stare a sentire mentre sparava le sua cazzate al vento.”

 

Ron incrociò le braccia sul petto. “Hai qualche problema, Ben?”

 

“Il problema non è solo mio, ma di tutta la squadra.” Ribbattè brusco l’uomo.

 

“Stevenson e McAudrey sono stati attaccati mentre facevano un piantone giù in paese.” Disse Sirius.

 

Harry inarcò le sopracciglia, e a Ron scappò un sorrisetto. “E da chi, da un gattino?”

 

Liam scosse la testa. “Fai meno lo spiritoso, Ron. Quattro individui li hanno ridotti in fin di vita. Li avrebbero uccisi se Charlie e il suo gruppo non li avessero trovati in tempo.”

 

Ron mise le mani sui fianchi. “Beh, non guardate me. Non li ho strapazzati io.”

 

“E che cosa volevano da loro gli assalitori?” chiese Harry.

 

“Per quanto siamo stati in grado di capire, quei tizi cercavano qualcosa.” Replicò Liam. “Remus sta cercando di parlare coi due ragazzi giù in infermeria.”

 

Ron soppresse a fatica un sorrisetto. “Senti, non è che questi gli hanno semplicemente dato a parlare? Perché sai, McAudrey e Stevenson fanno questo effetto sulla gente.”

 

“Quand’è che prenderai sul serio quei due ragazzi?” fece Sirius, con un mezzo sorrisetto.

 

In quel momento le porte della stanza si aprirono di scatto e ne entrarono di corsa Aki e Remus, entrambi sconvolti e trafelati.

 

“Ce l’ha ancora Hermione il talismano a forma di stella, quello degli invasati dell’altra mattina?” fece Remus tutto d’un fiato, pallido e tesissimo.

 

Ron si accigliò. “Si, se ne sta occupando lei…perché?”

 

Aki si mise le mani sulle guance. “I quattro che hanno picchiato McAudrey e Stevenson lo stavano cercando, e sono riusciti a farsi dire chi di noi lo aveva in custodia!”

 

Ron sbiancò. “Hermione e i bambini saranno a casa a quest’ora!” esclamò inorridito Harry.

 

“Cazzo!!!” mormorò fra i denti Ron, prima di schizzare fuori dalla stanza come una furia, seguito a ruota da Harry e dagli altri.

 

 

***************

 

 

“Hai poco da ridere!” fece Julie, con aria superiore. “La mia bambola è bellissima.”

 

Julie, Simon, Dan e Jack trotterellavano verso casa Weasley vispi, intenti a beccarsi fra loro come al solito, mentre tornavano a casa da scuola con gli zaini sulle spalle. Hermione e Ginny camminavano tranquillamente dietro di loro.

 

“Sarà anche bellissima, ma ha i denti di un vampiro.” Ridacchiò Dan, facendo ridere anche i cugini.

 

“Mamma! Dan prende in giro la mia bambola!”

 

“Dan lascia in pace tua sorella.” Fece Ginny.

 

“Ma’, possiamo farci un giro in bici mentre voi preparate il pranzo?” chiese Jack a sua madre.

 

“No, non se ne parla.” Replicò Hermione. “Tu oggi sei in punizione, giovanotto.”

 

“Uffa…” sbuffò Jack.

 

Dan gli diede una pacca sulle spalle. “Lascia perdere, e ringrazia il cielo che il preside fa gli occhi dolci a tua mamma, altrimenti a quest’ora eri bello che sospeso.”

 

Hermione e Ginny sorrisero: i commenti dei bambini, per quanto realistici potessero essere, facevano sempre divertire proprio per il modo in cui venivano detti. “Come sarebbe che il preside mi fa gli occhi dolci?”

 

“E’ così, zia.” Annuì tranquillamente Dan. “Quando ti guarda fa sempre quella faccia da pesce lesso, e ogni cosa che dici tu va bene.”

 

“Già che ci sei, mammina, perché non gli dici se mi fa avere un bel dieci in matematica?” le chiese Jack con un sorriso di marca Ron Weasley.

 

Hermione, ridendo, scosse la testa. “Camminate tutti e due, mostriciattoli.”

 

“E guardoni.” Rise Ginny.

 

“Che cos’è un guardone?” domandò Julie.

 

“E’ uno che guarda, no?” le rispose Jack.

 

“Mamma, mi dai le chiavi di casa?” squittì Simon, prima che arrivassero al cancelletto del giardino. “Voglio aprire io.”

 

“Tieni.” Hermione lo accontentò e il bimbo corse per raggiungere per primo la porta, impiegandoci qualche minuto in più per aprirla. I bambini entrarono subito, seguiti dalle due mamme, ma il gruppetto si bloccò sulla soglia della porta.

 

Tutta la casa era sottosopra: mobili ribaltati, fogli e libri sparsi ovunque, il divano sconquassato, cocci per terra…e la cucina e l’ingresso erano messi ancora peggio.

 

“…ma…” fece incredulo e inorridito Jack.

 

Hermione mise immediatamente mano alla bacchetta, ma la punta di una lama contro la schiena le fece spalancare gli occhi.

 

“Gettala.” Sibilò una gelida voce alle sue spalle.

 

Julie emise un urletto quando vide uscire da dietro le tende due figure con una specie di saio e un cappuccio rosso fuoco addosso, che tenevano due sciabole in mano. I quattro bambini arretrarono immediatamente, costretti in un angolo dalle due lame affilate. Ginny fece per raggiungerli, ma un altro incappucciato la minacciò con la sua sciabola e la obbligò a restare di spalle contro il muro.

 

L’uomo che stava alle spalle di Hermione si posizionò di fronte a lei, tenendole ancora la punta della spada premuta contro lo stomaco. “Lascia cadere la bacchetta.” Ripetè, con lo stesso tono gelido e atono di prima.

 

Hermione gettò uno sguardo a Ginny: era bianca come un lenzuolo e aveva il fiato corto. I bambini tremavano e guardavano le figure in rosso con gli occhi sbarrati, e Julie, avvinghiata al braccio del fratello, aveva gli occhioni gonfi di lacrime.

 

“Va bene, la metto giù. Quindi state calmi.” Almeno lei cercò di mantenere il sangue freddo: lasciò cadere a terra la bacchetta, poi guardò i bambini. “Non vi preoccupate, ragazzi, andrà tutto bene. State tranquilli e non vi muovete.” Julie singhiozzò flebilmente.

 

L’uomo davanti a Hermione parlò ancora. “Sei tu la donna soldato?”

 

“Si. E se è me che vuoi, lascia andare i bambini.”

 

“Non così in fretta. Prima devi rispondere alle nostre domande.”

 

Hermione serrò i pugni. “Che diavolo volete?”

 

“Il medaglione.”

 

“Di che stai parlando?”

 

L’uomo le spinse la lama un po’ di più contro il corpo. “Lo sai benissimo. Voglio il medaglione che ci avete rubato. Lo so che è qui.”

 

Hermione avrebbe voluto fare una bravata e reagire, ma non poteva farlo. Non con i bambini sotto tiro. “Va bene, riprenditelo e vattene.”

 

All’uomo non bastò. “Qui non l’abbiamo trovato. Devi dirmelo tu dov’è.”

 

“E’ sulla scrivania nella stanza col letto grande, di sopra.”

 

L’assalitore sembrò spazientirsi. “Abbiamo rivoltato questo posto come un calzino, e il medaglione non è da nessuna parte, tantomeno dove dici tu. Ti avverto, o me lo dai o mi prenderò le teste dei mocciosi.”

 

I bambini trattennero rumorosamente il fiato, Ginny entrò visibilmente in panico e Hermione sentì la rabbia scorrerle nelle vene fino al cervello. “Ti ho detto dov’è quello che cerchi, ora prenditi quell’ affare e andatevene!”

 

L’uomo non perse tempo in convenevoli, e si voltò verso i bambini. “Con quale dei piccoli bastardi vuoi che cominci?”

 

Julie nascose il viso nella spalla del fratello, Jack e Dan fecero un passo indietro e Simon rabbrividì.

 

“No, vi prego!” lo supplicò Ginny.

 

Hermione cercò di riportare su di sé l’attenzione dell’uomo. “Quel dannato medaglione era sulla mia scrivania, te lo giuro! Se non è lì, non so dove altro possa essere!”

 

L’incappucciato si voltò di nuovo verso di lei. “Ridammi il sacro medaglione.”

 

Hermione lo guardò con gli occhi stretti in due fessure. “Vattelo a prendere da solo, io non ce l’ho il tuo medaglione.”

 

“E allora non mi servi viva.” Hermione non ebbe il tempo di sentire gli strilli dei bambini né le urla disperate di Ginny, e forse nemmeno si rese conto di quello che stava succedendo; ma una cosa l’avvertì inequivocabilmente: un dolore atroce alla pancia.

 

“Hermione!!!”

 

“Mamma!!!”

 

Jack si tuffò coraggiosamente in avanti, e Ginny urlò quando vide uno degli assalitori puntargli contro il palmo aperto della mano e pronunciare qualcosa in una strana lingua; un fascio di luce colpì i quattro bambini, che strillarono forte mentre però venivano avvolti dentro una strana sfera violacea. Non si capì nulla di quello che stava succedendo: ma un secondo dopo la luce si dissolse, e di Dan, Jack, Julie e Simon non c’era più traccia.

 

“Noooo!!!!” strillò disperata Ginny.

 

L’uomo che aveva pugnalato Hermione si voltò verso i suoi compagni, con gli occhi iniettati di sangue. “Dannazione!! Ce l’avevano i mocciosi!!”

 

In quel preciso istante la porta di casa fu buttata giù dall’esterno, e una trentina di uomini piombarono nella casa quasi contemporaneamente, urlando di fermarsi e puntando le bacchette.

 

Charlie riuscì a fermare uno degli aggressori balzandogli addosso insieme a Josh e Ben, ma gli altri tre furono più veloci e si volatilizzarono in pochi secondi, facendo cadere a terra gli auror che gli si erano lanciati contro.

 

Hermione, a terra, riusciva a vedere solo il soffitto sopra di lei; ma lo vedeva in modo strano, era come se stesse sott’acqua, i contorni non erano definiti e i suoni arrivavano talmente deformati da non consentirle di decifrarli. Tutto all’improvviso nel suo campo visivo comparve Ron…o meglio, lei ne vedeva due…tre…ma quanti erano? …le stavano dicendo qualcosa con un’espressione disperata, ma lei proprio non riusciva a capire cosa…avrebbe tanto voluto rispondergli, ma in quel momento l’unica cosa che desiderava fare era chiudere gli occhi e dormire…oltretutto qualcuno doveva aver spento la luce….

 

“Dio mio, no!!!” Ron la scosse leggermente per le spalle mentre Ginny, in lacrime, faceva del suo meglio per comprimerle forte la ferita al ventre. “Hermione, no!! Apri gli occhi!! Rispondimi, forza!!”

 

“Chiamate Aki, presto!!!” urlò disperato Harry, e nel casino generale Liam e Sirius si precipitarono a contattare la centrale.

 

Ron non aveva nemmeno idea del fatto che non stesse dando aria ai suoi polmoni; continuava ad accarezzare freneticamente il viso terreo della moglie, stringendola a sé e mormorandole qualcosa mentre nascondeva il viso nel suo collo. “Ti scongiuro, amore, resta con me…resta con me, non mi lasciare…ti supplico, resta con me…resta con me…”

 

 

***************

 

 

I quattro bambini si guardarono attorno letteralmente sconvolti. Ma dov’erano finiti? Quella non era assolutamente casa loro, né tantomeno il loro giardino. Era un posto enorme e tutto verde, pieno di alberi, cespugli e un grande prato, tutto molto soleggiato.

 

“Ma come ci siamo finiti qui?!” fece Jack, guardandosi freneticamente attorno in cerca di casa sua.

 

“Non lo so!” esclamò agitato Dan. “Dove sono mamma e zia Hermione?!”

 

Julie si avvinghiò al braccio del fratello. “Io ho paura! Voglio tornare a casa!”

 

Dan le passò un braccio attorno alle spalle e continuò a voltarsi alla ricerca di qualcosa. “Questo mi sembra un bosco…”

 

“Non ci sono boschi vicino a casa nostra!” anche Jack era spaventato.

 

Un singulto attirò l’attenzione dei tre bambini, che si accorsero che Simon, seduto a terra, stava piangendo e singhiozzando.

 

“Io voglio la mia mamma!” riuscì a dire fra i singulti. “Le hanno fatto male, povera mammina!”

 

Anche Julie pianse di più. Jack sospirò e si inginocchiò davanti al fratello, accarezzandogli la testa. “Dai, Simon, non piangere…”

 

“Io voglio mamma e papà!” piagnucolò Julie.

 

Simon si tirò indietro. “Che cosa hanno fatto a mamma, non è che l’hanno uccisa?” singhiozzò.

 

“No, non dirlo nemmeno per scherzo!” esclamò inorridito Jack.

 

“Vedrai che mia mamma l’ha curata.” Cercò di rassicurarlo Dan. “Lei riesce sempre a guarire tutti i graffi che ci facciamo.”

 

“Ma quello non era un graffio, era un graffio in lungo, dentro.” Protestò Simon, tirando su col naso.

 

“Vabbè, ma non ti dimenticare che con la magia riesci a fare le cose più impossibili.” Replicò Dan.

 

Jack annuì. “E già.”

 

“Allora secondo voi mammina sta bene?” chiese speranzoso il più piccolo.

 

“Io dico di si.” Lo incoraggiò il fratello. Simon si asciugò gli occhi con le mani e Jack gli fece un piccolo sorriso.

 

“Piuttosto vorrei capire dove siamo.” Fece Dan.

 

“Secondo me è un bosco.” Propose Jack.

 

“Però, sei un fulmine.” Ribbattè il cugino. “Ma dov’è questo bosco?”

 

“Chiediamolo a Paulie.” Simon aprì il suo zaino e ne estrasse il suo adorato libro nuovo, appoggiandolo a terra davanti a sé. “Paulie, dove siamo?” Nessuna risposta.

 

“Ma non glielo puoi chiedere così.” Dan prese sbrigativamente il controllo della situazione. “Voglio una cartina dell’Inghilterra. E segna con un puntino rosso dove siamo noi.”

 

Il libro si aprì, quindi comparve l’ologramma richiesto da Dan, ma la posizione del puntino lasciò tutti a bocca aperta: erano in…

 

Irlanda?!?” fece incredulo Jack.

 

“Ma è lontanissima da casa!” piagnucolò Julie.

 

Jack si passò una mano in faccia. “E adesso cosa facciamo?”

 

“Pensate che i nostri papà e le nostre mamme lo sanno che siamo qui?” chiese Julie.

 

“Io non lo so…” mormorò Dan.

 

“Che facciamo ora?” chiese il piccolo Simon, richiudendo il suo Paulie e rimettendolo nello zaino.

 

“Io ho paura…” ripetè ancora Julie.

 

“Ok, adesso basta.” Disse deciso Dan. “Smettetela di piagnucolare, non serve a niente frignare ora. Che farebbero i nostri genitori al nostro posto?”

 

Jack non esitò. “Cercherebbero di tornare a casa.”

 

Julie si asciugò gli occhi. “Ma mamma dice sempre che se ci perdiamo, dobbiamo restare fermi e aspettare che arriva qualcuno.”

 

“Ma quello va bene per il supermercato, Julie.” Replicò il fratello. “Chi vuoi che ci venga a cercare in un bosco dell’Irlanda?”

 

“E allora?” chiese ancora Simon.

 

“E allora…dobbiamo andare a cercare una città, un paese…qualcosa, e poi da là vediamo come fare per chiamare casa.” Concluse sicuro Dan.

 

“Io però non la vedo una città da qui…” Simon si riparò gli occhi dal sole con una mano, in modo da vedere oltre gli alberi.

 

“Dovremo camminare.” Fece un po’ preoccupato Jack, guardando il cugino.

 

“Tanto?” chiese Julie.

 

Dan scrollò le spalle. “Boh, che ne so io…andiamo, diamoci una mossa.”

 

I più piccoli si alzarono in piedi, un po’ titubanti. “Senti, Dan…” provò Simon timidamente. “…non è che esce qualche animale strano? Tipo…non so, una tigre o un leone…”

 

Jack scosse la testa. “Nah, quelli stanno nelle foreste…questo è un bosco, magari pure piccolo.”

 

“Tanto piccolo non mi pare.” Commentò scettico Simon.

 

“Dai, piantala, Simon.” S’intromise Dan. “Non è il momento di avere paura, dobbiamo essere forti come i nostri papà e le nostre mamme. Anche loro da piccoli hanno fatto un sacco di cose coraggiose.”

 

“Io sono d’accordo.” Disse deciso Jack. “Quando torneremo a casa, dimostreremo che siamo stati in gamba come loro.”

 

Simon ci pensò un momento, poi annuì. “Ok, va bene.”

 

Julie scrollò le spalle. “Beh, non posso certo lasciarvi andare da soli.”

 

Jack e Dan sorrisero. “Eh, come faremmo senza il tuo prezioso aiuto?” anche Simon ridacchiò.

 

“Allora, andiamo?” fece Dan, incoraggiando i più piccoli.

 

“Andiamo!” esclamarono gli altri tre.

 

I quattro bambini s’incamminarono nel bosco, con aria sicura e testa alta, tenendo presente il loro principale obbiettivo: dimostrare di essere in grado di cavarsela anche da soli.

 

 

***************

 

 

Arthur e Molly Weasley arrivarono di corsa nella saletta esterna all’infermeria del quartier generale dei War Mage. Erano entrambi già spaventati a morte, ma entrarono letteralmente in uno stato di panico represso quando videro l’atmosfera nella piccola stanza d’aspetto. Liam stava di spalle al muro, in piedi, con le braccia conserte e le dita che gli tamburellavano i bicipiti; Sirius alternava momenti di staticità a brevi camminate nervose avanti e indietro. Harry e Ron erano seduti su una panca vicino alla porta dell’infermeria; Harry aveva la testa appoggiata contro il muro e gli occhi socchiusi e vuoti, Ron teneva la testa fra le mani e i gomiti sulle ginocchia, e guardava fisso a terra senza nemmeno sbattere gli occhi.

 

Sirius alzò la testa e vide i coniugi Weasley, e subito andò loro incontro. Molly gli gettò le braccia al collo, trattenendo a malapena le lacrime che aveva negli occhi. “Dio mio, che sciagura.” Piagnucolò, lasciandolo andare.

 

Sirius annuì. “Disgraziatamente siamo arrivati troppo tardi.”

 

“Come sta Hermione?” chiese incalzante il signor Weasley.

 

“Sono più di tre ore che è dentro.” Rispose cupo Sirius. “Non sappiamo ancora niente, ma quando siamo arrivati qui…non stava affatto bene.” Si limitò a dire, evitando di dire alla già troppo devastata signora Weasley che a sua nuora avevano dato poche possibilità di farcela in quelle condizioni.

 

“Che il cielo l’aiuti…” mormorò angosciato il signor Weasley.

 

“Che ne è dei bambini?” fece Molly, stringendo forte un fazzoletto fra le mani.

 

Siirus scosse la testa. “Cinquanta di noi, inclusi Charlie e Bill, stanno setacciando tutti i posti possibili e immaginabili per trovarli.” E così dicendo le appoggiò le mani sulle spalle. “Li ritroveremo, vedrai.”

 

L’anziana signora scelse di trattenere il pianto che avrebbe tanto voluto farsi, e invece andò dritta verso Harry e Ron.

 

“Mi dispiace tanto, ragazzi…” mormorò abbracciando Harry, che ricambiò l’abbraccio molto debolmente. Cercò di abbracciare anche suo figlio, ma Ron non si mosse minimamente; nemmeno sbatteva gli occhi. Sembrava pietrificato. “Ron, tesoro…”

 

Nonna Weasley fu interrotta da Aki, che entrò in quel momento ancora col camice addosso, e Ron subito schizzò in piedi e le si avvicinò, senza nemmeno avvertire la presenza degli altri.

 

“Grazie al cielo il peggio è passato.” Gli disse subito la cognata, e lui tirò un sospiro impercettibile.

 

“Quindi ce l’ha fatta?” chiese ansioso Harry.

 

Aki annuì. “Quella donna ha la fibra più resistente che abbia mai visto. Ha resistito benissimo, anche se noi credevamo che non ce l’avrebbe fatta.”

 

“Come sta ora?” domandò accoratamente Molly Weasley.

 

“E’ molto debole, ha perso molto sangue. Ma sono certa che le basteranno un paio di settimane per riprendersi completamente.”

 

Arthur Weasley fece un gran sorriso. “Oh, bene. L’importante è che possa rimettersi al più presto.”

 

Ron, che era rimasto in silenzio tutto il tempo, stava scrutando attentamente il viso della cognata: non era per niente sollevato. “Aki,” le disse piano. “Cos’altro c’è?”

 

Aki sembrava lottare con se stessa per trovare le parole adeguate, e abbassò lo sguardo. “…Ron, quello che è successo avrebbe potuto portare anche conseguenze più gravi, è una fortuna che…”

 

“Quali conseguenze?” pressò lui.

 

Aki sospirò e gli prese una mano fra le sue. “Mi dispiace moltissimo, tesoro.” Gli disse alla fine. “Ma Hermione forse non potrà più avere bambini.”

 

Le parole della dottoressa colpirono Ron al cuore e non gli lasciarono il fiato per respirare. Si limitò a serrare forte gli occhi per un secondo, ma perse completamente i contatti con tutto quello che succedeva attorno a lui.

 

“Come?” chiese quasi senza fiato Harry. “Una ragazza dell’età di Hermione?…”

 

“L’età non c’entra, Harry.” Gli rispose avvilita Aki. “Non è ancora sicuro, ma…purtroppo la ferita era molto profonda e credimi, questo è il danno meno grave. Poteva finire molto peggio, se non nel peggiore dei modi.”

 

Molly Weasley andò a sedersi sulla panca, piagnucolando disperata accanto al marito. Harry si passò tutte e due le mani in faccia, e anche Sirius tirò un gran sospiro, guardando altrove.

 

Ron sembrava imbambolato. Continuava a fissare un punto fisso a terra senza dare il minimo cenno di vita. Liam gli appoggiò una mano sulla spalla. “E’ ancora viva, Ron. E’ questo l’importante.”

 

Nonna Weasley si alzò per abbracciare suo figlio. Gli si avvicinò tendendo una mano verso il suo viso per fargli una carezza, ma Ron scansò la testa guardando altrove. Molly trattenne per un momento il fiato: quel movimento…lo aveva rifatto. Per la prima volta dopo tanti anni…lo aveva rifatto. Lo stesso movimento della testa che aveva fatto quel giorno orribile che gli aveva portato via l’innocenza della sua infanzia e lo aveva trascinato a forza nel suo nuovo mondo. Quello stesso scatto della testa che aveva fatto quando sua madre aveva tentato di accarezzarlo e consolarlo dopo l’attacco a Hogwarts. Erano quindici anni che non faceva quel movimento.

 

“Vuoi stare con lei?” gli chiese dolcemente Aki. Lui annuì piano e lei lo tirò amorevolmente per la mano, conducendolo nell’infermeria.

 

Ora nonna Weasley aveva rinunciato a darsi un contegno, e piangeva come una fontana nonostante i tentativi del marito di calmarla. Harry stava stringendo i pugni così forte che le nocche delle mani erano bianche, e la mascella era serrata intensamente; dovunque i suoi muscoli si stavano tendendo visibilmente; sembrava decisamente indiavolato.

 

Sirius provò ad avvicinarlo, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Harry, figliolo…”

 

Harry fece bruscamente un passo avanti. “Dov’è il bastardo che è stato preso?”

 

“Se ne stanno occupando Remus e Ben.” Fece Liam, fiutando il suo livore.

 

“Harry, lascia che ci pensiamo noi. Tu sei troppo coinvolto per…” Sirius non fece in tempo a finire la frase che lo vide sfrecciare fuori dal corridoio a passi da tigre. “…lo sapevo.” Anche lui e Liam gli andarono dietro.

 

 

***************

 

 

Aki non lasciò la mano di Ron mentre lo accompagnava al letto dove Tennessee, Ginny e un altro paio di infermiere si stavano ancora occupando di Hermione. Le due infermiere si allontanarono con due bottigliette in mano mentre Ginny, vedendo entrare il fratello, gli andò incontro e lo abbracciò forte, con le lacrime agli occhi; ma lui a malapena le passò un braccio attorno alla vita.

 

Hermione era sdraiata nel letto, pallidissima e completamente immobile; aveva una mascherina sul viso e un polso attaccato a una specie di macchina che ne monitorava il battito. Ron sentì una mano fredda afferrargli e stritolargli lo stomaco; aveva un’aria così debole e indifesa…e questo gli ricordava ancora di più che nel momento del bisogno lui non era stato lì a proteggerla.

 

Aki gli strinse la mano. “Puoi restare qui anche tutta la notte, Ron. Lei dormirà fino a domattina, l’aiuterà a riprendersi meglio.”

 

Tennessee gli accarezzò una guancia. “Chiama per qualsiasi cosa, ok?”

 

Lui annuì a stento, ma nessuna delle tre donne scelse di insistere: preferirono invece lasciarlo solo, e uscirono dalla stanza.

 

Rimasto solo, Ron rimase per un momento immobile dov’era, solo qualche pensiero aveva un senso nella sua testa. Era come se una nebbia gli avvolgesse il cervello e gli impedisse di ragionare. Ci mise un po’ prima di riuscire a sedersi sulla sedia accanto al letto di Hermione, e una volta seduto rimase immobile a guardarla, senza fare il minimo movimento. Avrebbe tanto voluto prenderle la mano, abbracciarla, accarezzarla, coccolarla…e invece riusciva solo a restare immobile a guardarla. Ma perché, poi? Molto semplice.

 

Per paura.

 

Pura e seplice paura allo stato più netto. Sembrava talmente fragile in quel dannato letto…e Hermione era tutto meno che fragile. Probabilmente era la persona più forte che avesse mai conosciuto, anche più di lui stesso e di Harry. Da quanto la conosceva, vent’anni? In vent’anni non l’aveva mai vista debole o fragile. Mai.

 

Quando erano a scuola aveva sempre mantenuto la testa alta, ignorando chi la prendeva in giro e aiutando grandemente Harry a combattere le sue battaglie grazie al suo prezioso cervello. Quando avevano cominciato l’addestramento aveva fatto miracoli, era passata da un inizio completamente svantaggiato per la sua totale inesperienza in fatto di sport a un allenamento sfiancante, ma non si era mai arresa. Aveva lottato contro nemici di ogni genere, ma non aveva permesso al suo cuore di indurirsi. Sapeva essere determinata da far paura, ma anche dolcissima e comprensiva. Perfino litigare con lei era piacevole, perché era un’occasione in più per vederla così viva e piena d’energia, per parlare con lei. E pi era una madre fantastica. Sapeva sempre dosare le ramanzine e le coccole, equilibrava benissimo severità e dolcezza.

 

Per lui quella donna era la creatura più meravigliosa al mondo, se ne innamorava ogni minuto di più. Ed era felicissimo di vedere che i suoi figli avessero preso tanto anche da lei.

 

I suoi figli.

 

Jack e Simon.

 

Ron chiuse forte gli occhi e nascose il viso fra le mani. Dov’erano i suoi bambini in quel momento? Stavano bene? Erano molto lontani da casa? Avevano paura?

 

Dio…

 

Lui era il loro adorato papà, l’uomo di casa…avrebbe dovuto proteggerli, salvarli…e ora non sapeva nemmeno dove fossero, né in che stato stessero…era tutto un incubo, un grosso, enorme, crudele incubo.

 

E fu in quel momento che lui si rese conto di quanto sua moglie fosse importante. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle parlare, sfogarsi con lei…e sentirle dire che avrebbero trovato una soluzione, che avrebbero riportato i bambini a casa sani e salvi.

 

Ron si abbandonò completamente, ogni difesa venne meno. Questa volta non fermò le lacrime che gli erano salite fino agli occhi. Come avrebbe fatto a dirle che molto prbabilmente non avrebbero potuto più avere figli? Nessun altro a parte lui sapeva che Hermione voleva una bambina un po’ più in là…

 

Faceva un gran freddo attorno a lui, lo stesso freddo che aveva provato tanti anni prima…quando gli avevano detto che tutti i suoi amici erano morti, che il mondo era di nuovo in guerra, che la vita di una volta era finita con uno scoppio e un attacco di pazzi assassini….lo stesso freddo che gli aveva congelato anima e cuore dopo la fine della sua vita di ragazzino adolescente, e l’inizio del nuovo Ron…il bastardo incallito che solo una ragazzina coraggiosa e forte aveva saputo domare. Lo stesso freddo che in quel periodo riviveva ogni notte che si svegliava urlando nel sonno, convinto di stare annegando in una pozza di sangue. Quel freddo non era un bel sintomo. Era cominciato come una sensazione, poi si era esteso a tutto il suo corpo, e principalmente alla sua anima. E lui non era stato capace di combatterlo a suo tempo. E ora? Aveva voglia di combatterlo ora?

 

E pianse. Ron Weasley pianse le sue prime lacrime in quais vent’anni. E pianse molto.

 

 

***************

 

 

“Siete un branco di imbecilli!!”

 

Nella caverna i suoni e i rumori rimbombavano con violenza, la voce del demone, poi, saettava in modo a dir poco spaventoso.

 

I tre uomini in ginocchio arretrarono. “Perdona, potente signore.”

 

“Incapaci!” urlò ancora il demone, con gli occhi che da viola gli divennero rossi fiammeggianti. “Non vi siete accontentati di non portarmi il medaglione, avete perfino lasciato indietro uno di voi nullità!!”

 

Uno dei tre sollevò leggermente lo sguardo. “Mio signore, forse non tutto è perduto.”

 

“Sappiamo dov’è il medaglione.” Continuò l’altro. “E’ sparito coi quattro bambini, ma possiamo ritrovarlo.”

 

Il terzo annuì. “Dobbiamo risalire all’incantesimo che lo ha fatto funzionare in quel modo, e potremo capire dove si trova ora.”

 

Il demone tacque per qualche secondo. “Questa volta non avrete una seconda opportunità. L’ennesimo vostro fallimento sarà la vostra morte.” Sibilò, gelido.

 

“No, o potente. Stavolta non verrai deluso.”

 

 

***************

 

Where do you go, my lovely, where do you go?

I wanna know, my lovely, I wanna know…                                     

You leave without a world, no message, no number,

And now my head is pounding like rolling thunder

You left me with a hertache inside

                                                                                   Where Do You Go?, No Mercy

 

 

                                                              ******************************

 

 

Dan dan dan daaa….si era detto che c’era un po’ troppa calma in giro, no? ^^ Bravo Ice che aveva paura…^^ in effetti li ho strapazzati alla grande, eh? Che crudele che sono ^^ Ma tranquilli: tutto ha un senso in quello che è successo, anche in quello che è successo a Hermione (tenete d’occhio Ron…)

 

E adesso, signore e signori, si accettano scommesse: chi sarà più in gamba, i nostri eroi o i loro bambini? Chi resisterà meglio a quello che deve ancora succedere? I piccoli sapranno resistere? Che cos’è quel freddo che prova Ron? E il demone oscuro? Chi vivrà vedrà… ^^ (che infame che sono…)

 

Stavolta voglio dare un bacio colossale a Vega e a Vale: ragazze, con delle recensioni come quelle che mi avete lasciato voi c’è da commuoversi!

Vega, sapessi come mi rende felice vedere che hai inquadrato alla perfezione tutti i personaggi! Vuol dire che li ho descritti chiaramente! Yeah! ^^ Sai, io adoro descrivere gli stati d’animo dei personaggi, trovo che così è come se si presentassero meglio e da soli…se continuerai a seguire la storia, vedrai che tutti, ma proprio tutti, si riveleranno proprio come li hai descritti tu. Spero che questo colpo di scena ti sia piaciuto! E credimi, ce ne saranno ancora parecchi, ora il ritmo si farà incalzante….

Vale: grazie!!!! Wow, se hai deciso di recensire più spesso mi rendi molto, molto felice! Sai, ci tengo al tuo parere: la storia che hai scritto tu mi è piaciuta moltissimo, l’ho trovata dolcissima al punto giusto e scritta benissimo. Perciò se mi dici che ti ha ispirato il primo WM…fatti ispirare più spesso, ti prego!! ^^ E se scrivi un’altra storia, per favore dimmelo: voglio essere la prima a recensire! ^^ (ottima la tua osservazione riguardo a Ron e al suo carattere…osservalo bene nel corso degli eventi, vedrai che hai proprio ragione!)

 

Baci sconfinati a Mony, Giuggy, Ci, Ice, Beth, Mikisainkeiko, Erika (wow! Ho una recensione della webmistress! ^^), Kiak (buona vacanza! E baci a Tyson) Miyu, Keijei, Arianna e al grande Strekon.

 

Ah, e la Nenè ringrazia tutti per gli auguri! E’ tutta contenta lei, ora che è maggiorenne…beata! Noi minorenni ancora niente patente…arghh!!

 

Baci baci, ragazzi…ora devo proprio scappare: interrogazione di storia in vista! ^^ Alla prossima con: “Di che pasta siamo fatti”. (…titolo per niente allusivo… ^^)

 

Sunny

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Capitolo 5
*** Di che pasta siamo fatti ***


                                                       DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 5: DI CHE PASTA SIAMO FATTI

 

 

You live, you learn

You love, you learn

You cry, you learn

You lose, you learn

You bleed, you learn

You scream, you learn

                                                           You Learn, Alanis Morrisette

 

 

***************

 

 

“Te lo ripeto per l’ultima volta. Parla.”

 

La proverbiale pazienza di Remus stava cominciando a vacillare, e non sarebbe stata una sorpresa. L’uomo che lui e Ben stavano interrogando, uno degli assalitori che avevano colpito Hermione, Ginny e i bambini solo poche ore prima, si ostinava nel suo silenzio.

 

“Giuro che passerò alla tortura, se continui così.” Sibilò Remus.

 

La porta si spalancò con un rumoraccio, sbattendo forte. Sulla soglia c’era Harry, livido. Remus e Ben lo videro avanzare a passi da leone.

 

“Harry, non…” provò Ben.

 

Harry raggiunse il prigioniero, che stava seduto dall’altra parte di un tavolo; aveva uno sguardo di fuoco. Afferrò il tavolo e lo spinse violentemente di lato, riducendo la distanza fra loro due e restando in piedi davanti all’uomo seduto, troneggiando in tutta la sua furia.

 

“Dimmi dove sono i bambini.”

 

Le parole gli uscirono dalla bocca una alla volta, mentre ancora digrignava i denti. Liam e Sirius, che lo avevano raggiunto, si fermarono sulla soglia della porta.

 

“Harry, aspetta.” Tentò Sirius.

 

Lui si voltò: i suoi occhi emanavano un odio smisurato. “Non. Metterti. In. Mezzo.”

 

Nessuno se la sentì di intervenire ancora.

 

Harry si voltò ancora verso l’uomo seduto, che faceva del suo meglio per non mostrarsi minimamente sconvolto. “Voglio sapere dove sono i bambini.”

 

“Non è a me che devi chiederlo.”

 

Quella risposta fu il colpo di grazia. Harry afferrò il prigioniero per il colletto del saio rosso e lo sbattè con forza contro il muro. “Ah, no?!” gli urlò in faccia. “Hai ragione, forse quando ti avrò ucciso potrò chiederlo al tuo fantasma!!”

 

“Non lo so dove sono i ragazzini!” replicò impudentemente quello.

 

“Vediamo se riesco a farti tornare la memoria!” Harry strattonò violentemente l’uomo, gli tirò un pugno in faccia che gli procurò un’immediata frattura al naso, lo riafferrò per il colletto e lo sbattè di nuovo contro il muro violentemente.

 

Remus scoccò uno sguardo teso a Liam, che però scosse la testa.

 

“Adesso te lo ricordi cos’hai fatto stamattina, brutto figlio di puttana?! Hai attaccato donne e bambini!! E per tua enorme sfortuna, hai fatto del male ai miei figli e ai miei nipoti!!” urlò ancora Harry, sbattendolo ripetutamente contro il muro. “Forse ancora non ti è chiaro che hai commesso un grosso, grossissimo errore!!”

 

L’uomo, col sangue che gli colava dal naso, stordito dagli scrolloni e dagli urli di Harry, non dava cenno a voler rispondere.

 

“Lascia che ti sveli un piccolo segreto!” Harry aveva gli occhi iniettati di sangue. “Se togli a un padre i suoi figli, hai automaticamente fatto di lui un pazzo assassino!!” E in effetti la descrizione rispecchiava più che bene la realtà dei fatti.

 

“Siete stati voi ad interrompere il nostro sacro rito, è solo colpa vostra se l’ira della nostra grande madre si è riversata sui vostri figli!”

 

“Invece la mia ira si riverserà su di te!!”

 

Harry tirò una ginocchiata allo stomaco del prigioniero, facendolo piegare in due, e lo prese per i capelli, sbattendolo con forza per terra. Quindi prese una sedia e la usò per sedersi sopra di lui; l’uomo sentì un peso smisurato premere contro la sua gola, tanto che prese ad emettere dei versi strani e soffocati.

 

“Forse questo non mi aiuterà a ritrovare i miei figli, ma perlomeno mi prenderò la mia vendetta!” ruggì Harry.

 

L’uomo era diventato viola in faccia: non riusciva più a respirare, e Harry non accennava a muoversi. Era una morte orribile quella a cui stava andando incontro: non aveva più aria, non riusciva a respirare e la vista gli stava venendo meno, ed era come se gli stessero esplodendo le orecchie.

 

“…va bene!” riuscì a dire con un filo di voce strozzata. “…giuro che parlo!”

 

Harry si alzò e si trascinò la sedia poco più indietro, sedendosi di nuovo. L’uomo si rimise seduto per terra e tossì forte, massaggiandosi la gola e tenendosi lo stomaco.

 

Remus cercò in qualche maniera di riprendere il controllo. “Dicci tutto quello che dobbiamo sapere.”

 

Il prigioniero tirò un grosso sospiro e chiuse gli occhi, quindi si decise a cominciare. “La nostra comunità è stata sterminata anni fa da un’orda di pazzi assassini. Eravamo rimasti davvero in pochi, ma poi il nostro gran sacerdote è riuscito a ricreare la stessa atmosfera di una volta, e siamo diventati più numerosi. Soprattutto da quando la grande madre Rahampur ha parlato.”

 

“E che diavolo avrebbe detto?” incalzò Harry.

 

L’uomo gli lanciò un’occhiataccia. “Che è arrivata l’ora del riscatto per noi. E che per questo ci ha inviato il suo onnipotente figlio. Lui non ha bisogno delle vostre ridicole bacchette magiche per esercitare i suoi immensi poteri.” Disse con disprezzo. “I suoi smisurati poteri provengono dai tempi in cui i riti magici producevano incantesimi di pura e potentissima magia.”

 

“Che significato ha quel medaglione per voi?” chiese bruscamente Liam. “Perché vi siete disturbati a venirvelo a riprendere?”

 

“Perché se il mio signore riuscirà ad entrarne in possesso, otterrà l’immortalità.” Disse fiero l’uomo. “E il regno delle tenebre tornerà ad espandersi e raggiungerà il suo massimo splendore.”

 

Harry si scrocchiò le dita delle mani. Quanto gli prudevano….quanto lo avrebbe massacrato senza fregarsene un accidenti della Convenzione del Ministero per la Tutela dei Prigionieri…. “Cosa avete fatto ai bambini?” chiese ferocemente.

 

“Non sapevamo che il medaglione fosse in mano loro. Quel talismano protegge chiunque ne sia in possesso, ed è per questo che quando li abbiamo attaccati sono scomparsi. Il medaglione li ha trasportati altrove, al sicuro.”

 

“Altrove…dove?” pressò Harry.

 

L’uomo scosse la testa. “Questo io non lo so.”

 

“E non c’è modo per capirlo?” incalzò Sirius.

 

Il prigioniero esitò. “No, che io sappia no. Forse risalendo al meccanismo che ha innescato quella reazione, ma si dovrebbe avere a disposizione il medaglione.”

 

“E il tuo signore? Lui può trovarli?”

 

“Questo vi giuro che non lo so. Non ci è dato conoscere le dimensioni del suo potere, sappiamo solo che è immenso.”

 

 

***************

 

 

Ginny attese angosciata che Harry uscisse dalla sala degli interrogatori, torcendosi le dita tutto il tempo; quando finalmente lui aprì la porta e se la chiuse alle spalle, lei sussultò: aveva un’espressione sconvolta e ancora reduce da un violento attacco di rabbia. Questo lo capì prima ancora di chiedergli nulla: in tanti anni aveva imparato a capirlo anche solo da un movimento dei suoi occhi.

 

“…Harry…” mormorò atterrita.

 

Lui l’abbracciò forte. “Sono vivi, Gin. Di questo siamo quasi sicuri.”

 

La moglie nascose il viso nel suo collo quando si rese conto che le lacrime non l’avrebbero risparmiata. “Ma dove sono ora?” sussurrò.

 

Harry scosse la testa. “Non lo sappiamo. Passeremo la notte a cercare di capire dove possono essere finiti, e domani all’alba andremo a cercarli.”

 

Lei si tirò indietro. “All’alba?! Harry, ma stanotte…”

 

“Lo so, Gin.” Fece avvilito lui. “Ma non abbiamo altre alternative.”

 

Ginny sospirò e lasciò che un paio di lacrime silenziose le scivolassero lungo le guance. “…ho tanta, tanta paura, Harry…”

 

Lui l’abbracciò di nuovo, cercando conforto in lei come nell’unica persona che poteva dargliene, e s’impose di comunicarle un minimo di sicurezza anche se dentro di sé provava un dolore disumano. “…se la caveranno, vedrai…ne sono sicuro…”

 

 

***************

 

 

“Julie, non potresti camminare un po’ di più?”

 

La bambina, che era rimasta leggermente indietro rispetto agli altri tre, mise le mani sui fianchi. “Sono stanca, Dan. Non ce la faccio più.”

 

“E’ tutto il pomeriggio che camminiamo, tra un poco è pure sera, e ancora siamo in questo bosco.” Sbuffò Simon.

 

“Non è mica colpa mia se non c’è nessuna città qua vicino.” Dan scrollò le spalle.

 

“Vogliamo riposarci cinque minuti?” propose Jack.

 

“Buona idea.” Rispose il cugino.

 

I quattro bambini si sedettero sull’erba, riposandosi e godendosi il sole del pomeriggio.

 

“Che succede se non troviamo nemmeno una casa prima che viene la notte?” chiese un po’ preoccupata Julie.

 

“Dormiremo all’aperto.” Replicò semplicemente Jack.

 

“Come a un campeggio?” chiese vispo Simon.

 

“Si, però senza le tende.” Annuì il fratello.

 

“Forte…ma se viene qualche animale?”

 

Jack alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Ti ho già detto che gli animali feroci stanno nelle foreste, non nei boschi.”

 

Julie si sfilò lo zaino dalle spalle e cominciò a frugarlo con interesse. “Che cerchi?” le chiese Dan.

 

“Le mie merendine.” Rispose lei. “In classe nostra c’è stato il compleanno di Frankie Kerington, così abbiamo mangiato la sua torta e io ho conservato le mie merende.”

 

“Quante ne hai?” le chiese Simon.

 

“…uhm…due più un succo di frutta.”

 

“Io ho la bottiglia d’acqua, ma la merenda l’ho mangiata.” Fece Simon.

 

“Anch’io.” Annuì Dan.

 

Jack fece un sorriso da un orecchio all’altro. “Fate un applauso al vostro eroe. Stamattina ho rubato dal frigo tutto il pacco di cornettini imbottiti.”

 

“E vai!” esclamò entusiasta Simon, mentre i due più grandi si davano il cinque.

 

“Bene, almeno non moriremo di fame.” Disse contenta Julie.

 

Dan si soffermò un momento, poi prese il suo zaino fra le mani. “Sapete cosa penso?” disse, con un sorrisetto furbo. “…non possiamo continuare a camminare con questo peso sulle spalle.”

 

Jack inarcò le sopracciglia. “…e quindi?”

 

Il sorriso di Dan si allargò. “Semplice. Dobbiamo lasciare i libri.”

 

“Vuoi buttare via i libri?!?” chiesero contemporaneamente Simon e Julie, estremamente stupiti.

 

Dan annuì vigorosamente. “E certo! Noi stiamo cercando di sopravvivere, da soli e lontani da casa, e volete anche spezzarvi la schiena con questi affari inutili?”

 

“Ma non pensi che mamma e papà si arrabbieranno?” Julie sembrava convinta solo per metà.

 

“Stai scherzando?” ribbattè il fratello. “Saranno troppo impegnati a farci le feste e i complimenti per essere tornati a casa tutti interi.”

 

Jack, con un gran sorriso, aprì lo zaino e ci infilò la mano dentro. “Io sono d’accordo. Perciò…” e cacciò un libro. “…cominciamo col mio libro di matematica.” E così dicendo lo aprì e lo sbattè a terra, strusciandolo in modo da farlo sporcare di erba e terreno. Gli altri tre bambini risero.

 

Dan prese a sua volta un libro dal suo zaino e lo aprì a una pagina piena di segni rossi. “Questo è il mio libro di inglese…il tema che non andava bene perché era troppo corto.” E con un sorriso enorme stracciò il foglio e lo appallottolò, gettandosi alle spalle il libro.

 

I due più piccoli risero. “Anch’io!” strillicchiò Simon, e in breve quell’angolo di verde divenne un vero e proprio campo di battaglia: volavano fogli accartocciati, copertine sporche e interi libri e quaderni squarciati, col sottofondo delle risate divertite e spensierate dei quattro piccoli vandali.

 

Alla fine della battaglia all’ultimo ‘strap’, Dan si stese di spalle a terra, tutto soddisfatto. “Aah...quanto desideravo farlo!”

 

Simon, che stava sistemando nel suo zaino l’unico libro salvato – Paulie – estrasse una cosa che lo incuriosì, e la mostrò agli altri. “E questo?”

 

“Fa’ un po’ vedere.” Jack prese lo strano oggetto in mano e spalancò gli occhi. “Ehi, ma io questo coso l’ho già visto.”

 

Dan si tirò su. “Cosa?”

 

Jack mostrò il medaglione. “Questo è di mamma, è un talismano antico o qualcosa del genere. Lei lo stava studiando perché fa delle cose strane.”

 

“Strane in che senso?” chiese Julie.

 

Jack alzò spallucce. “Boh. Strane.”

 

“Tipo trasportare le persone da un posto all’altro?” fece accigliato Dan.

 

“Dici che funziona come una passaporta?” gli chiese il cugino, interessandosi all’idea.

 

Simon se lo riprese. “Uh, allora vediamo se funziona.” Chiuse forte gli occhi. “Voglio andare a casa!”

 

Niente.

 

I due più grandi scoppiarono a ridere; Simon li guardò decisamente accigliato, e Julie gli diede un paio di pacchette consolatorie sulle spalle. “Non fa niente, Simon, tu almeno ci hai provato.”

 

Jack scosse la testa, ancora ridacchiando. “Ma poi com’è che te lo ritrovi tu?”

 

Simon scrollò le spalle. “Boh. Che faccio, lo butto?”

 

“No, che butti! E’ di mamma.”

 

“Vabbè, allora lo tengo.” Molto tranquillamente, Simon rimise il talismano nello zaino e lo richiuse.

 

“Beh, ci siamo riposati abbastanza.” Disse Dan, alzandosi. “Tutti pronti a ripartire?”

 

“Si!” replicarono gli altri tre, alzandosi a loro volta in piedi. Avevano ancora qualche ora prima di sera, e avevano tutta l’intenzione di usare tutto il tempo possibile fino in fondo.

 

 

***************

 

Hello…can you hear me?

Am I getting through to you?

Hello…is it late there?

Are you sure you’re there alone?

Cuz I’m trying to explain

Something’s wrong

You just don’t sound the same…

                                                                    Kiss the Rain, Billie Myers

 

***************

 

 

Harry entrò nell’infermeria che il sole stava già tramontando. Gli fece malissimo vedere Hermione in quelle condizioni, e gli fece ancora più male vedere che Ron aveva ancora quell’espressione di dolore atroce e smarrimento sul viso. Teneva stretta la mano di Hermione fra le sue, e i suoi occhi erano ancora più cupi e vuoti di prima, fissi a terra.

 

Mai in vent’anni gli occhi di Ron Weasley erano stati così.

 

Ron era il tipo che al dolore reagiva con rabbia, grinta e grande forza, e l’aveva sempre dimostrato, a cominciare dai tempi dell’attacco a Hogwarts. E vederlo in quello stato da vegetale non poteva non dargli una stretta al cuore.

 

Harry avanzò piano, e quando si fu avvicinato diede un bacio sulla fronte di Hermione, accarezzandole la mano libera. Ron nemmeno alzò lo sguardo.

 

“Ehi.” Provò Harry, molto piano.

 

Finalmente Ron sollevò un po’ il mento, ma non disse niente.

 

Harry provò a venirgli incontro. “I bambini dovrebbero essere vivi. Sono vivi. Stiamo cercando di capire dove sono finiti.” Silenzio. “Ci penso io a loro, tu resta con Hermione.” Lui annuì stancamente. Harry sospirò. “Come sta?”

 

“Come una donna di poco più di trent’anni che ha rischiato di morire, ha momentaneamente perso due figli e forse non potrà averne altri.”

 

Quella non era la voce di Ron, non lo era per niente. No, quella era la voce rauca di un automa.

 

Harry annuì. “Che posso fare io?”

 

Ron esitò, poi chiuse gli occhi e si passò stancamente una mano sulla fronte. “Non lo so…trova i bambini, se pensi che siano ancora vivi.”

 

Sono ancora vivi, Ron.” Ancora silenzio. “Vuoi che ti porti qualcosa? …un caffè, una camomilla…”

 

Ron scosse la testa. “No, no. Grazie.”

 

Harry realizzò con gran dolore che se nemmeno il pensiero dei figli era riuscito a scuoterlo, allora Ron era davvero in stato di shock. Ma che poteva fare lui per aiutarlo? Nulla di più, purtroppo. Quando erano ragazzi era più semplice, erano come fratelli. Lo erano ancora, forse anche di più, ma adesso era diverso. Non era di un fratello che aveva bisogno Ron. E l’unica persona che poteva veramente fare qualcosa stava sdraiata in un letto d’ospedale, a lottare con la morte. D’altra parte anche lui aveva il cuore appesantito dal dolore: come avrebbero fatto i bambini a passare la notte da soli chissà dove? Il solo pensiero mandava in tilt anche lui.

 

“Vado di sopra, stiamo cercando il modo più rapido per ritrovare i bambini.” Gli disse alla fine. “Per qualunque cosa chiamami, capito?”

 

Ron annuì in modo assente. “Va bene.”

 

Harry uscì dall’infermeria col cuore che gli faceva male. Ma male davvero. E si chiuse la porta alle spalle un attimo prima di vedere Ron che, rabbrividendo, si stringeva il maglione addosso come infreddolito.

 

 

***************

 

 

Inevitabilmente anche sul bosco irlandese era sceso il buio. L’unica cosa che faceva un po’ di luce era la luna piena; mentre i grilli creavano un piacevole sottofondo musicale col loro verso. Dan, Jack, Julie e Simon avevano finito di ingozzarsi di merendine e stavano sdraiati sull’erba, usando gli zaini come cuscini.

 

“Però è bello qui.” Disse tranquillamente Dan. “Guardate quante stelle.”

 

“Si, è bello, però io voglio tornare a casa da mamma e papà.” Si lamentò Simon.

 

“Anch’io.” Continuò Julie. “E poi cosa mangiamo domani se non troviamo nessuno?”

 

Dan scrollò le spalle. “Boh.”

 

Simon si accigliò. “Come sarebbe boh?”

 

“Sarebbe che non lo so!”

 

“Ci sono dei frutti appesi agli alberi e sui cespugli. Magari possiamo prendere quelli.” Propose Jack.

 

“Si, che forse sono velenosi.” Replicò scettico il cugino.

 

Jack gli scoccò un’occhiataccia. “Se tu hai un’idea migliore, dilla! Pare sempre che solo tu sai le cose.”

 

“Non è che solo io so le cose, è che sono più grande e so un po’ più di cose.”

 

“Più grande di nove mesi e mezzo!”

 

“Beh, sempre più grande sono!”

 

“Uffa, e statevi un po’ zitti.” Sbuffò Julie.

 

Simon fece un grosso sbadiglio e si stropicciò gli occhi. “Hai sonno?” gli chiese il fratello, e lui annuì.

 

“Allora mi sa che ci conviene farci un sonnellino, no?” propose Dan.

 

“Io non voglio addormentarmi senza la favola di mamma!” protestò Simon.

 

“Non fare il pannolone, chiudi gli occhi e dormi.” Replicò Jack.

 

“No!”

 

“Te la racconto io una favola.” Si offrì Julie.

 

“Si?” Simon sembrò incerto, poi si convinse. “E quali sai?”

 

“Ne conosco tantissime. Tu quale vuoi sentire?”

 

“Mmh…quella dello specchio magico.”

 

“Ok, la so.”

 

Dan inarcò le sopracciglia. “E se invece ci addormentiamo senza questa rottura di scatole?”

 

Julie gli lanciò un’occhiataccia. “Sta’ zitto, Dan, lui è più piccolo.”

 

“Ha parlato la donna adulta.” La prese in giro Jack, e Dan ridacchiò.

 

Julie scosse semplicemente la testa e li ignorò. “Scemi.”

 

“Vabbè, fate come volete.” Concluse alla fine Dan, sistemandosi meglio il suo zaino. “’Notte.”

 

“Buonanotte.” Dissero anche Jack e Simon.

 

“Sogni d’oro.” Julie si sistemò vicino al cugino più piccolo. “Allora, c’era una volta un castello e un re molto buono e saggio….”

 

Simon si rilassò e chiuse gli occhi, immaginando che a raccontargli la favola fosse la sua adorata mammina, e presto si addormentò.

 

 

***************

 

 

Hello…do you miss me?

I hear you say you do

But not the way I’m missing you

What’s new? How’s the weather?

Is it stormy where you are?

You sound so close, but it feels like you’re so far…

                                                                                        Kiss the Rain, Billie Myers

 

***************

 

 

Faceva un gran freddo, e in più era buio. Dov’erano finiti tutti? Che ne era di casa sua? Come era finita in quella specie di tunnel buio?C’era un vento gelido che la faceva rabbrividire…ma dove si trovava? No, quel posto era orribile, tremendo…aveva un’atmosfera tetra come di morte…era bruttissimo…voleva fuggire, non voleva restare lì…e così fece, voltandosi dall’altra parte e prendendo a correre a più non posso…

 

 

“Bravissima, si sta svegliando da sola.”

 

Hermione aprì gli occhi di scatto.

 

Aki le fece un gran sorriso e Ron, che le teneva la mano con un’espressione di pura apprensione sul viso, si chinò ancora di più su di lei.

 

“Tranquilla, è tutto a posto.” Le mormorò dolcemente Aki, sfilandole la mascherina dal viso.

 

Ma cos’era successo?…dove si trovava…? Non riusciva a ricordare quasi niente…tranne forse…strilli…urla…e delle macchie rosse…evidentemente Aki le lesse in viso quel senso di sconvolgimento, perché le parlò ancora col suo tono più dolce.

 

“Non aver paura, va tutto bene. Sei in infermeria.” Le disse piano, cercando di non farla spaventare. “Sei stata ferita durante un attacco, ma ora è tutto finito. Sei già in ripresa.”

 

Hermione, che aveva ancora un po’ di affanno, si guardò attorno con aria spaesata e riuscì finalmente a incontrare gli occhi di Ron. E ci lesse qualcosa di non molto chiaro. Angoscia…per lei, certo. Comprensibile. Ma c’era anche qualcos’altro…comunque la testa le girava ancora troppo per capirci qualcosa. Lui si limitò ad accarezzarle il viso e a baciarle la mano che teneva fra le sue.

 

“…i bambini…” Hermione sussultò: tutto in una volta ricordava ogni cosa. “…dove sono?” mormorò debolmente, ma con frenesia.

 

“Stanno bene, tranquilla.” Provò a dirle il marito.

 

Ci vuole ben più che una ferita mortale a una madre per far passare i propri figli in secondo piano, e per questo Hermione, nonostante si sentisse a pezzi, tentò di alzarsi dal letto, ma Aki e Ron glielo impedirono subito.

 

“No, non provarci nemmeno.” La fermò Aki. “Devi rimanere a letto, hai bisogno di molto riposo. Ci sei andata fin troppo vicina stavolta.”

 

Hermione, con un po’ di difficoltà, girò la faccia dal lato di Ron. “…Jack e Simon…”

 

Lui continuò ad accarezzarle i capelli. “…stanno bene, non ti preoccupare. Siamo arrivati in tempo.”

 

Lei lo guardò intensamente, costringendolo a distogliere lo sguardo con la scusa di baciarle la mano e il polso. “…non sei mai stato capace…di dirmi una bugia…” mormorò debolmente.

 

Ron serrò la mascella e guardò Aki. Lei prese il controllo della situazione. “Tesoro, ascoltami bene.” Le disse dolcemente e con calma. “Le persone che vi hanno aggredito fanno parte della setta di invasati che Harry e Ron hanno arrestato qualche giorno fa, e volevano il medaglione che tu stavi analizzando. Non si sa come mai, ma quel medaglione era in possesso dei bambini. Sembra che questo talismano, tra le varie cose, sia in grado di proteggere chi lo possiede. Per questo, quando li hanno attaccati, sono stati trasportati via in salvo.”

 

Hermione, già pallida, sbiancò ancora di più e spalancò occhi e bocca. Ron le accarezzò ancora i capelli. “Sono ancora vivi, questo è sicuro.”

 

“Harry, Bill, Sirius e Liam sono andati già a cercarli con le loro squadre.” Aki tentò di rassicurarla. “Li troveranno presto, devi stare tranquilla.”

 

Hermione scosse la testa.. “…io voglio sapere…dove sono i miei figli…”

 

“Hermione, ti prego, tu non ti puoi agitare.” Le disse Ron, cercando di accarezzarla per farla calmare.

 

“Tesoro, posso solo immaginare cosa stai passando.” Le disse dolcemente Aki. “Ma è necessario che resti a letto a riposarti. Ehi, non vorrai farti trovare ancora in questo stato da Jack e Simon quando tornano, no?” aggiunse con un occhiolino, cercando di tranquillizzarla al meglio. “Adesso io vado a prepararti qualcosa che ti farà sentire subito meglio.” E con un ultimo sguardo per Ron, uscì.

 

Rimasero entrambi in silenzio mentre lui le accarezzava i capelli, e lei continuava a guardarlo. Alla fine fu Hermione a rompere il silenzio, parlando con un filo di voce. “…mi dispiace per non averli protetti…”

 

Ron le diede un lungo bacio sulla fronte. “Io non avrei fatto di meglio. Ti sei fatta quasi ammazzare per loro.”

 

Calò un silenzio atroce; Hermione chiuse gli occhi, chiedendosi dove potessero essere i suoi bambini, mentre Ron rabbrividì nel suo maglione, senza smettere di accarezzare sua moglie.

 

 

***************

 

 

“No! Io non voglio camminare ancora, voglio mamma e papà!”

 

Jack si passò una mano in faccia. “Anch’io li voglio, Simon, ma loro non lo sanno che siamo qua, e noi dobbiamo farglielo sapere.”

 

I quattro bambini, ancora seduti per terra, reduci dalla nottata passata soto le stelle, non riuscivano a mettersi d’accordo sul da farsi. E Simon sembrava il più ostinato.

 

“Ma questo bosco non finisce mai! Ieri abbiamo camminato un sacco, e siamo ancora qua dentro!” si lamentò.

 

“Beh, non è che ce lo stiamo facendo esattamente di corsa…” gli fece notare Dan.

 

Julie si soffermò un attimo. “Perché non chiediamo a Paulie? Magari lui sa quanto manca per arrivare a una città.”

 

Dan annuì e Simon lo tirò fuori. “Facci vedere la cartina dell’Irlanda.” L’immagine comparve, e Dan continuò. “Indica dove siamo noi.” Una piccola freccia rossa comparve nell’estremo nord dell’isola. “La città più vicina?” la freccia rossa che la indicò stava a due dita di distanza dalla prima.

 

“Ma è lontanissima!” si lamentò Julie.

 

“Non tantissimo…” fece incerto Jack, guardandola più da vicino. Dopo un po’ l’immagine scomparve. “Beh, in effetti…”

 

“E allora?” protestò Julie. “Vuoi camminare per tutta quella strada?”

 

“Senti, Julie, non è che io non ho niente da fare e mi voglio fare una passeggiata.” Le spiegò il fratello. “Dico solo che dobbiamo pure fare qualcosa per tornare a casa, o preferisci stare tutto il tempo ferma qua?”

 

Jack annuì. “Io sono d’accordo. E poi non è proprio tantissimissimo, possiamo farcela.”

 

“E cosa mangiamo?” replicò la bambina.

 

Dan esitò. “Beh…”

 

“Quel cespuglio là è pieno di frutti.” Esclamò Jack, indicandolo. “Sembrano mirtilli…”

 

“Già, e se poi sono velenosi?” ribbattè Dan.

 

“Ma non esistono mirtilli velenosi!” replicò stizzito Jack.

 

“E che ne sai che sono mirtilli?”

 

“Ma scusa, che vuoi che siano? Pere?!” nessuno si accorse, durante il battibecco, che Simon si era preso il suo libro ed era andato vicino al cespuglio.

 

“Non dire idiozie!”

 

“Perché io dico idiozie e tu invece dici sempre cose giuste, eh?!”

 

“E dai, smettetela.” Provò Julie.

 

“Tu sta’ zitta!!” le urlarono contro Jack e Dan.

 

“Ehi!!” protestò lei.

 

“Sono more!”

 

I tre bambini si voltarono verso Simon, che stava in piedi vicino al cespuglio col suo libro aperto in mano.

 

“More?” chiese Julie.

 

Simon annuì orgogliosamente. “Si, l’ha detto Paulie. Sono more e si possono mangiare.”

 

Julie scattò in piedi, felicissima, e corse verso il cespuglio. Jack incrociò le braccia sul petto, e Dan abbassò lo sguardo. “Beh…potevano anche non essere mangiabili…e poi non sono mirtilli!”

 

Jack si trattenne per un momento, poi scoppiò a ridere, e lo fece anche Dan. “Che scemo che sei.” Gli disse alzandosi, poi corse verso il cespuglio dove Julie e Simon si stavano ingozzando di more. “Chi arriva ultimo è un pesce lesso!”

 

“Cosa?! Ehi, ma non vale! Sei partito prima!!” protestò Dan, alzandosi e mettendosi a correre a sua volta.

 

 

***************

 

Whehter you’re a brother or whether you’re a mother

You’re stayin’ alive, stayin’ alive

Feel the city breakin’ and everybody shakin’

And we’re stayin’ alive, stayin’ alive

                                                                                  Stayin’ Alive, Bee Gees

 

 

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Ecco qui anche il quinto capitolo…ragazzi, 69 recensioni!!!!!! Quanto vi amo!!!! Non riuscivo a crederci neanch’io!!!!! ^^ Bene, come potete vedere le cose vanno avanti…i grandi fanno quello che possono per trovare i piccoli, e i piccoli fanno quello che riescono per trovare i grandi….molto divertente questa cosa! ^^ Non chiedetemi come mai questo bosco è così grosso: si, è un bosco molto grande, e i nostri mini eroi faranno meglio a restare in campana, perché presto saranno chiamati a mostrare la loro grinta e la loro tenacia. E si, come giustamente diceva Strekon, in effetti Paulie sembra più un computer! ^^ Beh, almeno un aiuto per sopravvivere a questi poveretti bisognava darlo, no? Per una volta la Sunny si mostra pietosa… ^^

 

Angolo ringraziamenti:

 

Keijei, amore mio!!! Grazie infinite, la tua recensione è bbellissima, mi ha fatto restare per un’ora a sorridere come un’ebete per tutta la casa! ^^ Wow, grazie davvero! E oltretutto devo farti i miei complimenti: in effetti la chiave per seguire le imprese dei bambini è tutta qui: loro sono bambini, non lo sanno veramente come va il mondo, lo vedono in maniera diversa…sono più spensierati. Ma anche molto svegli. Un bacio colossale tutto per te!

 

Vega, tu non devi essere breve! ^^ Io adoro le tue recensioni lunghe e intense. Hai colto perfettamente bene il rapporto tra Ron e Hermione. E hai capito altrettanto perfettamente come possa sentirsi lui in questo momento. Sono contentissima che continuerai a seguire la mia storia!

 

Baci, bacini e bacioni a: Mikisainkeiko (quanto mi piace la tua storia!), Roby-chan (Draco?…mmh…sai che non lo so? ^^), Mony (tesoro, tranquilla….^^ mi prenderò cura io di tutti questi poveri disperati…^^), Eli (ehi, da quanto tempo! Stavo cominciando a sentire la tua mancanza! ^^), Strekon (…noi gente sadica e crudele…^^), Giuggy (grazie per la canzoncina! ^^), Ice (grazie tantissimo! Sai, ci tengo molto al tuo parere!), Vale (ora sai cos’è andato a fare Harry! ^^), Rachel (stai andando molto bene con la tua storia!), Ameliè (povera, anche tu non sei riuscita a vederli…dammi la tua mail, ci penso io!), Alexis (…ho visto, ho visto….e mi auguro davvero che sia una balla….non può essere!! ^^), Ginny (io direi che sono in gamba anche i pupi….ma lo vedrai col tempo! Un bacione), Icer e Herm (grazie a tutti e due! Mi fa piacere sapere che vi piacciono le mie storie! ^^)

 

Bene…

 

 

Ok, ragazzi…adesso la Sunny va…ci rivediamo alla prossima con “Perde chi molla”. Ciao ciao, recensite!

 

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Perde chi molla ***


                                                         DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 6: PERDE CHI MOLLA

 

 

I wonder what it’s like to be a superhero

I wonder where I’d go if I could fly downtown

From some other planets…

Boy, I bet my friends would all be stunned…

                                                                                   Real Word, Matchbox 20

 

 

***************

 

 

Hermione, seduta nel suo letto dell’infermeria, appoggiata a una pila di cuscini, si stava guardando le mani da più di un’ora senza dire niente, e Ginny e Molly Weasley, che erano con lei, sembravano indaffarate a fare la stessa cosa. Stavano aspettando con un’ansia smisurata che tornassero Harry, Ron e gli altri War Mage che erano partiti il giorno prima per setacciare Winchester e tutta la regione in cerca dei bambini. Ormai erano tre giorni, e nessuno aveva avuto più notizie di loro; sembrava quasi che si fossero volatilizzati, scomparsi nel nulla.

 

“Vorrei proprio sapere perché non danno notizie.” Sbottò nonna Weasley, incapace di restare oltre in silenzio.

 

“E’ difficile che siano riusciti a mantenere un contatto, sono andati molto lontano.” Le spiegò piano Ginny.

 

“Sono stanca, sono tre benedettissimi giorni che cercano! Cercano, cercano, cercano…e intanto i miei nipotini rischiano di passare la loro quarta notte fuori casa!”

 

Ginny e Hermione si scambiarono un’occhiata tesa e preoccupata. In realtà tutta quell’attesa silenziosa era atroce, continuavano a pregare e a sperare che i bambini fossero ancora vivi, che fossero capitati in un posto dove qualcuno li aveva aiutati…tre, e con molta probabilità quattro notti fuori casa. Passate come, ancora così piccoli? Chi li rassicurava se erano spaventati, chi li proteggeva?

 

A interrompere i loro pensieri fu la porta dell’infermeria, che si aprì per rivelare Harry sulla soglia. Aveva l’aria stanca e appesantita, e i capelli più spettinati del solito.

 

“Allora?” chiese speranzosa Ginny.

 

Harry scosse la testa. “Riproveremo ancora domani.”

 

Ennesimo peso da una tonnellata sganciato sui cuori delle due mamme. “Oh, Signore…aiutali tu i miei piccolini…” mormorò nonna Weasley.

 

Harry si sedette stancamente sulla sedia accanto a Ginny e le appoggiò la testa su una spalla, mentre lei gli accarezzava dolcemente la nuca, troppo avvilita per parlare.

 

“Dov’è Ron?” gli chiese piano Hermione.

 

Harry esitò. “Io credo…che avesse bisogno di stare un po’ da solo.”

 

Hermione non disse niente. “Quel figlio mio deve sempre darmi delle preoccupazioni!” borbottò Molly Weasley, mentre si alzava e si infilava il cappotto.

 

“Mamma, non siamo più dei ragazzini.” Le fece notare con calma Ginny.

 

“Beh, una mamma non smette mai di preoccuparsi per i suoi figli, ormai dovresti saperlo.” Nonna Weasley diede un bacio a tutti e si avviò alla porta. “Chiamatemi subito se ci fossero novità.” E con l’ennesimo saluto uscì.

 

Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Hermione parlò. “Perché Ron mi sta evitando?”

 

Harry e Ginny si scambiarono un’occhiata. “Non ti sta evitando…” fece incerto lui. “…è che…”

 

Hermione scosse la testa. “Harry, ti prego, almeno per una volta nella tua vita non difenderlo. Già è difficile per me restare bloccata qui mentre voi andate a cercare i bambini per mare e per terra. Riesco perfino a capire quando resta qui con me e non dice uno straccio di parola. Ma mi sta tenendo a distanza.” E dicendo questo lo guardò in faccia. “Sta tenendo a distanza tutti noi. E tu lo sai cosa succede se Ron si chiude in se stesso.”

 

Ginny abbassò lo sguardo. “Dagli un po’ di tempo. E’ successo tutto molto in fretta.”

 

“Tutto quello che chiedo è affrontare questa situazione insieme, come abbiamo sempre fatto con tutte le difficoltà della vita. E’ una richiesta esagerata?” chiese stancamente Hermione.

 

Ginny le strinse una mano. Harry si passò una mano sul viso. Come poteva dire a Hermione che Ron, fra le altre cose, la stava evitando per non dirle quella orribile verità sulle conseguenze della sua ferita? E anche lui stesso…ma chi voleva prendere in giro, forse lui stava reagendo in modo diverso da Ron, ma il dolore era più o meno lo stesso. C’erano fin troppe paure nel suo cuore, torbide e nascoste…erano davvero ancora vivi i suoi figli? Perché, per quanto ne avesse fatto il suo mantra, Harry era pur sempre un soldato con 15 anni di esperienza alle spalle. E in 15 anni aveva imparato che non tutte le storie finiscono a lieto fine.

 

 

***************

 

 

Simon si stropicciò il naso. Sulle sue guance spuntavano già le prime lentiggini, visto che per tre giorni non avevano fatto altro che camminare al sole e cominciavano ad abbronzarsi leggermente, in particolar modo Jack, che aveva più lentiggini degli altri tre.

 

“Ho sete.” Brontolò Julie.

 

“Hai bevuto al ruscello di prima.” Le fece notare il fratello, senza smettere di camminare.

 

“Cioè quasi un’ora fa.” Replicò la bambina.

 

“Perché, a casa ogni quanto bevi?!” replicò stizzito Dan.

 

“Devo fare la pipì!” esclamò Simon.

 

“Non ti ci mettere anche tu.” Fece Jack, scansandosi dalla fronte i capelli.

 

Simon prese a saltellare disperatamente. “Mi scappa, mi scappa, mi scappa, mi scappa!!”

 

“E vai, vuoi farmela addosso?!” Jack capitolò e il fratello schizzò in avanti, correndo verso un cespuglio a pochi metri di distanza.

 

“Dan, io ho davvero sete!” anche Julie era insistente.

 

“Lo sai che mi sono proprio rotto?!” le urlò contro il fratello. “Io non sono papà! Anche io ho sete, però non mi lamento in continuazione come te!”

 

Julie si mise le mani sui fianchi. “E non c’è bisogno di urlare!!”

 

“Oh, oh!” Jack intervenne per calmare i cugini.

 

“Ehi, ragazzi!” strillò ancora Simon. I tre bambini si voltarono verso di lui. “C’è una cosa qua!”

 

“Cosa?” Julie gli corse incontro, seguita dagli altri due.

 

Simon stava indicando un piccolo ruscello. “E che c’è di tanto speciale? E’ un ruscello come gli altri.” Fece Dan.

 

Simon scosse la testa. “Shh, ascolta!”

 

I bambini tesero le orecchie: c’era un rumore come di scroscio d’acqua in lontananza. “…ma da dove viene?” chiese Julie.

 

Dan seguì con gli occhi il fiumiciattolo. “Vediamo dove porta.” Disse con sicurezza, avviandosi. Jack, Julie e Simon lo seguirono a ruota. Non camminarono molto che raggiunsero un prato enorme oltre la radura alberata, e il fiumiciattolo sgorgava attraverso una piccola cascatella in un grosso lago tranquillo, immerso nel silenzio in mezzo al verde e ai mille colori dei fiori.

 

Julie fece un gran sorriso. “Ma è bellissimo qui!” esclamò, battendo le manine allegramente.

 

Jack osservò bene il posto, poi le labbra gli si curvarono in un sorrisetto furbo. “Pensate anche voi quello che penso io?”

 

Tempo tre secondi tutti i vestiti rimasero a terra, e i bambini, in mutande, si lanciarono in acqua più allegri che mai. L’acqua era fresca ma più che piacevole, e dopo tanto camminare era proprio l’ideale per ritemprarsi. Ed essendo pulitissima, la cosa più bella era nuotare sott’acqua, per poi riemergere al sole finalmente puliti.

 

“Aah, finalmente!” fece contenta Julie, quando tornò in superficie e si stropicciò il viso bagnato.

 

Riemersero anche gli altri tre. “Ci voleva un bagno.” Disse Jack, scuotendo la testa vigorosamente per impedire ai suoi capelli di sgocciolargli negli occhi.

 

“Però, che pacchia…” fece Dan con un sorrisetto, galleggiando tranquillamente in superficie. “…niente scuola, niente compiti…”

 

“Non è male come vacanza.” Annuì Jack.

 

“Io però mi divertirei di più se ci fossero anche mamma e papà.” Rispose Simon, sgambettando nell’acqua.

 

“Guarda il lato positivo.” Dan cercò di tirargli su il morale. “Non c’è nessuno che ti sgrida.”

 

“Jack mi sgrida molto di più.”

 

Jack, che si era immerso di nuovo sott’acqua, riemerse in quel momento e si stropicciò gli occhi. “Che faccio io?”

 

Dan scosse la testa. “Lascia perdere.”

 

Julie, che stava sguazzando beatamente poco più in là, si soffermò a guardare un punto sul fondale a qualche metro di profondotà. “Guardate che bella!”

 

“Cosa?” le chiese il fratello, avvicinandosi insieme ai cugini.

 

“Là.” La bambina glielo indicò meglio. “Quella là sotto, vedi?”

 

Jack scrollò le spalle. “E’ una pietra rossa.”

 

“Appunto!” squittì Julie. “Quella rossa manca alla mia collezione!”

 

Dan storse il muso. “E’ un po’ troppo profonda l’acqua là.”

 

“Ma che ci vuole.” Fece Simon. “Vado a prendertela io.”

 

“Lascia perdere, tu sei pure più basso.” Gli disse il fratello.

 

Simon, per tutta risposta, gli rivolse uno sguardo furioso e s’immerse.

 

Dan inarcò le sopracciglia. “Fregati.” Brontolò Jack, nuotando verso la riva.

 

Julie rimase a sbirciare il cugino. “…dai…spicciati a tornare su…”

 

Dan raggiunse Jack e si sedette accanto a lui sulla riva del lago, sgambettando nell’acqua. Jack aveva un’espressione imbufalita, e ogni tanto lanciava uno sguardo nella direzione in cui si era immerso Simon.

 

“Credo di aver visto delle mele sugli alberi là dietro.” Gli disse Dan, scansandosi i capelli dal viso. “Potremmo mangiare quelle.”

 

“Già.” Annuì Jack, cupo.

 

Passò ancora qualche secondo, poi Julie, che era rimasta ancora nel lago, si voltò di scatto verso di loro. “Simon non riesce a risalire!” strillò. “Si è bloccato a metà!”

 

Jack e Dan si rituffarono immediatamente. Nuotarono il più velocemente possibile e s’immersero nel punto indicato da Julie; riemersero dopo pochi secondi tenendo per le braccia Simon, che però sembrava aver perso conoscenza.

 

“Simon!” piagnucolò Julie, seguendo a routa gli altri bambini che si affrettarono versola riva. Dan salì sul prato, poi aiutò Jack a tirare su Simon, che però era ancora bianco come un cencio.

 

“Dai, Simon, svegliati!!” feec freneticamente Jack, rigirando il fratello su un fianco. “Avanti!”

 

Julie, che nel frattempo li aveva raggiunti sulla terraferma, si inginocchiò accanto a loro con gli occhioni gonfi di lacrime. Dan aprì la bocca al cuginetto, che un momento dopo cominciò a tossire e a sputare acqua. Lui e Jack lo aiutarono immediatamente a mettersi seduto.

 

Simon continuò a tossire e a sputare acqua. Dan gli diede qualche pacchetta sulla schiena. “Dai, buttala tutta fuori!”

 

Quando finalmente Simon sembrò essersi calmato, Jack gli parlò. “Stai bene?” il fratello annuì, e lo sguardo di Jack si fece feroce. “Stupido idiota che non sei altro!!” gli urlò. “Che cosa ti avevo detto io?! Che volevi fare, affogare?!?”

 

“Jack, calmati.” Fece Dan.

 

Jack calmati?!? Ma dico, hai visto questo imbecille cosa stava facendo?!”

 

“Smettila di urlare!!” anche Dan alzò la voce.

 

“Se c’era qui papà, gli avrebbe fatto una faccia di sberle!” replicò furioso Jack. “Rischiare di morire solo per fare un dispetto a me, ma ti rendi conto?!?”

 

Simon scosse freneticamente la testa. “Io non volevo farti un dispetto!”

 

“Ah no?!?”

 

“No! Io volevo solo…ecco…”

 

“Che cos’è che volevi?”

 

“Volevo solo farti vedere che anche io sono grande!”

 

Jack lo guardò incredulo. “Come??”

 

Simon tirò su col naso. “Si, perché tu pensi sempre che io sono piccolo e non so fare le cose, e perciò ti sto antipatico.”

 

“Ma questa è una scemenza!” gli rispose il fratello. “Tu non mi stai antipatico!”

 

“Invece si.” Replicò il più piccolo, con una vocetta triste. “Tu e Dan fate sempre le cose da grandi, e io invece faccio le cose sceme dei piccoli, e non è giusto.”

 

“Tu non fai le cose sceme.” Gli disse Dan.

 

“Invece si.” Brontolò Simon, abbassando lo sguardo.

 

Jack si grattò la nuca. “Simon, tu non sei scemo. Però è vero che sei piccolo.” Gli dissse piano. “Ma non è che tutti i piccoli sono scemi. Si, vabbè, qualche volta sei un gran rompipalle, però…non sei poi tanto male.” Il fratello lo guardò un po’ incerto. “E poi ci sono un sacco di cose che sai fare bene anche se sei più piccolo.”

 

Il bimbetto fece un piccolo sorriso sdentato. “Davvero?”

 

Dan gli diede una pacca sulle spalle. “Sicuro. Tu non stai antipatico a nessuno, anzi. Basta che però non fai più una cosa come quella di prima, perché quella sì che è un’idiozia.”

 

Simon annuì. “Ok, promesso.”

 

Jack gli arruffò scherzosamente i capelli. “Te l’ho detto che non sei niente male per essere un piccolo ippopotamo.” Anche Simon e Dan risero.

 

“Adesso ti senti bene, vero?” gli chiese Julie, ancora preoccupata.

 

Simon annuì. “Si, sto benissimo. Ho aperto la bocca mentre ero sotto, perciò mi stavo strozzando. Un errore proprio scemo.”

 

“Scusami, Simon, ti stavi quasi ammazzando per colpa mia.” Gli disse mortificata la bambina.

 

“A proposito…” Simon aprì la manina verso la cugina: stretta nel suo pugno c’era la pietra rossa. Julie lanciò un piccolo urletto di gioia e prese la pietra.

 

“Nah, non ci credo…” ridacchiò Dan, e Jack diede al fratello una pacca sulle spalle.

 

“L’hai presa! Grazie!” Julie gli gettò le braccia al collo, tutta contenta.

 

Simon, però, dopo un secondo la spinse indietro. “Ehi! Smettila con queste sdolcinerie.” Tutti risero un po’.

 

“Beh…io ho fame.” Esclamò Jack.

 

“Andiamo a prendere quelle mele.” Disse Dan, alzandosi e poi guardando verso i due più piccoli. “Voi due, invece, restate qui e riempite le bottiglie d’acqua, ok?”

 

“Ok.” Risposero in coro Julie e Simon.

 

“Facciamo presto presto.” Li rassicurò Jack, e lui e Dan si avviarono di buon passo verso la radura alberata.

 

Julie, che era ancora tutta presa dalla sua pietra, la infilò nella tasca dei suoi jeans a terra e prese la sua bottiglietta mentre il cugino faceva altrettanto. “Io però spero proprio che mamma e papà ci trovano presto, perché ho una fame da lupi.”

 

“Anch’io.” Annuì Simon. “Mi mangerei un pollo intero!”

 

 

***************

 

Feels like the world is closin’ on me

Feels like my dreams will never come to me

I keep on slippin’ deeper into myself

And I’m scared, so scared…

                                                                                   Troubles, Alicia Keys

 

***************

 

 

Charlie raggiunse Liam nella sua stanza con una mappa in mano. “Ehi Liam, questo è il piano di oggi.”

 

Liam distolse l’attenzione dai documenti che aveva in mano e si concentrò sulla cartina che Charlie aveva poggiato sulla scrivania. “Dove andiamo stamattina?”

 

Charlie gli indicò due punti sul foglio. “Bill e Josh tornano a Winchester. Noi dobbiamo setacciare la zona costiera, si parte fra un’ora.”

 

Liam annuì. “Bene. Dove sono Harry e Ron?”

 

Charlie aprì la bocca per rispondere, ma la porta della stanza si spalancò di scatto, come colpita da un calcio. Ne entrò Ron.

 

Non aveva una bella cera : era senza uniforme, i capelli erano tutti spettinati, sotto gli occhi figuravano un gran paio di occhiaie, e in mano teneva una bottiglia quasi vuota di whisky.

 

“Latrina di porta.” Bofonchiò prima di raggiungere la sua scrivania e lasciarsi andare sulla sedia, riattaccandosi alla bottiglia e appoggiando i piedi sul tavolo senza la minima grazia.

 

Liam e Charlie si scambiarono un’occhiata. “Ron?” provò il fratello. “Fra un’ora andiamo di nuovo a cercare i bambini.”

 

Ron fece una smorfia beffarda. “Bravi.” E senza troppe cerimonie buttò giù un altro sorso di liquore.

 

Charlie inarcò le sopracciglia. “Sei ubriaco?” Ron gli rispose con un rutto. “Mh. Bene. Molto eloquente.”

 

Liam incrociò le braccia sul petto. “Ron, ti consiglio di tornare sobrio entro i prossimi sessanta minuti.”

 

Ron inarcò un sopracciglio, senza mollare la sua bottiglia. “Posso sapere perché?”

 

“Perché dobbiamo andare a cercare i tuoi figli.”

 

Ron guardò altrove, più torvo di prima. “Mi vedi addosso l’uniforme?” gli disse con voce dura. “Io non sono in servizio.”

 

Charlie si accigliò, ma rimase in silenzio abbastanza da sentire Liam che gli sussurrava di andare a chiamare Harry, e così fece.

 

Ron continuò a bere senza farsi troppi problemi. Liam rimase dov’era. “Ti sembra logico quello che stai facendo?” gli chiese piano.

 

“E a te sembra logico continuare a prenderci per il culo?”

 

“Che cosa intendi?”

 

“Quello che intendo,” fece Ron, alzandosi di nuovo in piedi. “E’ che sono veramente stanco di questa storia.”

 

“Sei stanco di cercare i tuoi figli?” la voce di Liam era un ardente e per niente velato rimprovero.

 

Ron fissò a lungo la bottiglia in mano con uno sguardo feroce, e quando parlò anche la sua voce si rivelò furente. “Siete tutti veramente fantastici, dico davvero. Tu, mia moglie, Harry, mia sorella, i miei genitori…tutti talmente presi che nemmeno lo guardate il calendario.”

 

“E che cosa dovremmo fare, sentiamo?”

 

“Dovreste essere realistici, porca puttana!!!” urlò Ron, tirando contro il muro la bottiglia di whisky che si infranse in mille pezzi. Per qualche minuto rimase un silenzio tombale nella stanza, e solo alla fine Ron si voltò verso la porta.

 

Sulla soglia c’erano Charlie, Harry e Ginny. E non solo. C’era anche Hermione. Aveva una vestaglia addosso al pigiama e si stava appoggiando un po’ al braccio di Ginny e un po’ a quello di Harry, ma era lì in piedi. E aveva un’espressione inorridita, come gli altri.

 

“Ah, grandioso.” Fece Ron, infilandosi le mani in tasca. “Ora il quadretto familiare è perfetto.”

 

Hermione si accigliò e si svincolò piano dalle braccia di Harry e Ginny, camminando lentamente fino a fermarsi a un passo dal marito.

 

“Non dovresti essere in piedi.” Le disse bruscamente Ron. “Tornatene a letto, forza.”

 

Ma non ebbe nemmeno il tempo di rimpiangere il tono con cui le aveva parlato: Hermione gli tirò uno schiaffo in pieno viso, che non era il ceffone di una moglie infuriata, ma il colpo veloce e potente di una vera guerriera. L’impatto gli fece girare la faccia dall’altra parte, e lo fece arretrare di buoni tre passi.

 

Nessuno ebbe il coraggio di dire niente; di sicuro, se la situazione fosse stata un’altra, ci sarebbe stato un tifo da stadio per Hermione: ottenere quel risultato – far indietreggiare uno della corporatura fisica di Ron – con un semplice schiaffo, dato per giunta in condizioni non ottimali, era a dir poco sbalorditivo.

 

Ron si voltò a guardare la moglie con un’espressione mista di sorpresa, stupore, rabbia e orgoglio ferito. Hermione scosse leggermente la testa, con gli occhi che le saettavano pericolosamente. “Sei proprio uno stronzo.” Sibilò a denti stretti, acida come poche volte nella sua vita era stata.

 

Liam mise giù i documenti che aveva in mano e aprì la porta, facendo capire agli altri che era il caso di uscire. Harry fu l’unico ad esitare per un secondo: in fondo quelli erano sempre i suoi migliori amici, e vederli in quelle condizioni gli faceva sentire una gran voglia di aiutarli. Ma vedendo il modo in cui si stavano ammazzando a colpi di sguardi scelse di uscire, chiudendosi piano la porta alle spalle.

 

“Sei impazzita?” il tono di Ron era di furia a stento trattenuta.

 

Hermione, tenendosi una mano sulla pancia ancora dolorante, fece un minaccioso passo avanti. “E’ ora che io e te affrontiamo un discorso insieme, Ron Weasley. Qui e adesso.”

 

Ron, invece, sembrava del parere contrario, e lo dimostrò andandosi a sedere nella sua sedia e sbattendo rumorosamente i piedi sulla scrivania. “Coraggio, va’ avanti, era da tempo che non mi davi una bella strigliata.”

 

Hermione non si arrese. “Sono quattro dannatissimi giorni che ho bisogno di te e non ci sei. Che i tuoi figli hanno bisogno di te, e tu stai lavorando uno schifo come non hai mai fatto in vita tua.”

 

“Oh, scusami! Scusami se non ero con te a raccontarti la favoletta della buonanotte, ma sai, ho avuto un po’ da fare in questi ultimi giorni! Sto cercando quei due ragazzini che dividono casa con noi, ce li hai presente?!”

 

Hermione fece un altro passo avanti. “E stai dando il peggio di te, non ti stai impegnando affatto! Harry ha passato tutta la notte a fare ricerche, e tu invece dov’eri?! A sbronzarti!”

 

“Ma certo, che santo che è Harry!” urlò Ron. “Sai che ti dico, sorella, hai fatto un grosso errore tu! Avresti dovuto sposare Harry, lui sì che è un essere perfetto come te!”

 

Hermione scosse la testa, disgustata. “Tu fai schifo quando bevi, ma non è una novità.”

 

“E allora non metterti fra i piedi mentre sono ubriaco, miss perfezione.” Lui fece per alzarsi dalla sedia, ma lei lo spinse di nuovo giù con tutte le sue forze.

 

“Non provarci, non questa volta e non con me!” urlò lei, tenendosi con una mano la ferita ancora dolorante. “Stai scappando da un po’ troppo tempo, non ti pare?!”

 

Lui strinse gli occhi. “Io sto scappando?”

 

“Si, grand’uomo, tu stai scappando!” ruggì lei. “Ma non questa volta, stavolta dovrai restare e affrontare il problema senza affogarti come un’anatra in una bottiglia di whisky! Credi di essere ancora capace di farlo?”

 

Ron, spazientitosi, si alzò con uno scatto di rabbia e si mise di fronte alla moglie. “Solo quattro parole, Hermione: che cosa cazzo vuoi?”

 

Lei non indietreggiò, era furibonda. “Io rivoglio l’uomo che amo e che ho sposato, e il padre dei miei figli. Tu non sei nemmeno la sua ombra, lui non perderebbe mai il suo tempo a imbottirsi di liquore mentre i suoi bambini rischiano la vita chissà dove!”

 

Lui fece un passo avanti. “Vai a fare questi discorsi a qualcuno che ha voglia di starti a sentire, e non rompere le palle a me.” E così dicendo si voltò per andarsene.

 

“E’ naturale che quando non sai cosa rispondere, tu ti defili dalla scena!” tuonò lei. “Questo te lo potevi permettere quando eri un ragazzo, Ron, ma ora sei un padre, dannazione!! Hai delle responsabilità!! Non puoi chiudere tutti fuori dal tuo mondo e tornare il bastardo che eri una volta, non te lo puoi più permettere!!”

 

Lui si girò di scatto. “Io ero un bastardo, eh?!” urlò.

 

“Si, e coi fiocchi anche!!” strillò lei. “Ma io non ti ho mai giudicato, a suo tempo ti ho compreso, anche se mi faceva male vedere quello che eri diventato ti capivo, ma ora proprio non ci riesco!! Perché, perché mi stai facendo questo?! Torna in te, Ron, sono finiti quei tempi!! Siamo insieme questa volta, se sbandiamo saranno i bambini a pagarne le conseguenze!! Neanche questo ti fa rinsavire?!”

 

“Io sono l’unico stronzo che qua dentro ha reagito come un figlio di puttana, giusto?! Beh, sai che ti dico, cara la mia superdonna invincibile?!” Ron stava urlando. “Almeno io sono onesto con me stesso e non mi prendo per il culo come fate voi altri!!”

 

“E questo che significa??”

 

“Significa che siete così presi a cercare l’ago nel pagliaio, che neanche le valutate le altre possibilità!!”

 

“E quali sarebbero queste altre possibilità?!”

 

“Non sarò io a farti scendere dal tuo mondo incantato! Usa il cervello, è sempre stato il tuo sport preferito, no?!” Ron le voltò ancora le spalle e fece per allontanarsi.

 

“Quali sono queste altre possibilità?!” gli urlò dietro lei.

 

“Vaffanculo!!”

 

“Quali cazzo sono!!!”

 

Ron si voltò di scatto e urlò con tutte le sue forze. “Potrebbero anche essere morti, porco cazzo!!!!!”

 

Hermione, con gli occhi sbarrati, fece un passo indietro. Non era solo il fatto che non lo aveva mai, mai sentito urlare in quel modo…erano le sue parole. Pericolosamente vicine ad un’ipotetica realtà.

 

“Nessuno si rende conto che sono passati quattro strafottuti giorni!!” Ron continuò ad urlare. “Date tutti per scontato che siccome sono sopravvissuti a quella specie di passaporta, sono vivi e stanno bene!! Ma come hanno fatto in questi giorni, eh?! Noi non abbiamo idea di dove possano essere finiti, e non è assolutamente detto che mentre parliamo siano in un posto da favola!! Dio, ma perché non volete capire che non hanno vinto una fottuta vacanza premio?!?” e detto questo sferrò un calcio ad un armadio, facendolo tremare.

 

Hermione si ammutolì: erano tanti anni che non lo vedeva così furibondo. Questo le duplicò il peso che già da prima le opprimeva il cuore.

 

Ron si abbandonò di nuovo sulla sedia, col viso fra le mani. Di tutti quelli a cui voleva urlare quelle cose, Hermione era proprio l’ultima. Lei aveva dovuto assistere al rapimento dei suoi figli senza poter fare molto, era stata ferita gravemente e…e le conseguenze, e tutto il resto…non meritava di sentirsi dire quelle cose da lui e con quel tono.

 

Sentì solo il fruscìo della sua vestaglia per terra, e immaginò che se ne stesse andando. Ma un momento dopo sentì una mano comprensiva accarezzargli dolcemente la testa e i capelli, mentre l’altra faceva lo stesso con la sua nuca. Ron tirò un grosso sospiro, passò le braccia attorno ai fianchi di sua moglie e nascose il viso nel suo stomaco. Le sue carezze erano dolcissime, comprensive, affettuose…quasi come quelle che riceveva sempre da sua madre da bambino quando si pentiva per aver fatto qualcosa di sbagliato. Erano colme d’amore. E in quel momento Ron sentì il freddo che lo tormentava da giorni svanire via come una nuvola di fumo.

 

“Non credere che noi non abbiamo pensato a questa eventualità, non è così.” La voce di Hermione era triste e stanca, ma calma e pacata come lo erano le sue carezze. “Io lo so come ti senti. E’ orribile…è come avere un vuoto dentro che ti mangia l’anima pezzo dopo pezzo…l’abbiamo già vissuta una cosa del genere, ti ricordi?” gli mormorò lentamente. “Ma adesso è diverso. Dobbiamo essere forti, e agire con prudenza e razionalità. Dobbiamo essere lucidi…e avere fede. Non ci possiamo permettere di uccidere la speranza che c’è in noi, anzi…ci dobbiamo credere fino all’ultimo. Perché…” e qui sospirò. “…io sono certa che i bambini sono vivi, e che in qualche modo stanno tenendo duro…e che stanno aspettando solo che ce li andiamo a riprendere.”

 

“…sono ancora così piccoli…” mormorò Ron contro il suo stomaco.

 

“Lo so. Ma sono anche i nostri figli, no?” Hermione sospirò. “Io ho molta fiducia in loro, non voglio pensare ad altro che a trovarli, perché in questo modo posso rendere al massimo, ed è questo ciò di cui loro hanno bisogno. Di noi efficienti completamente, di noi che ci diamo da fare più di quanto abbiamo mai fatto in vita nostra.”

 

Tanto per cambiare aveva ragione, e questo Ron lo comprese senza nemmeno rifletterci su. Aveva completamente ragione. Ma c’era qualcosa che lei ancora non sapeva…qualcosa che avrebbe voluto nasconderle solo per non darle altro dolore, ma che doveva dirle. Si fece coraggio e staccò leggermente il viso dal suo stomaco, quel tanto da poterle parlare continuando a beneficiare delle sue carezze.

 

“Hermione…” le disse piano. “…c’è una cosa che ancora non ti ho detto.” E qui tirò un sospiro e appoggiò la fronte contro il suo stomaco. Non sarebbe riuscito a guardarla negli occhi mentre le diceva questo. “…quello che ti è successo…ho rischiato di perderti…ti sei salvata per miracolo…però…” la sua gola sembrò rifiutarsi di lasciarlo continuare.

 

Hermione si sentiva una morsa allo stomaco, ma continuò ad accarezzarlo per facilitargli la confessione. “Ma che cosa?” gli chiese piano.

 

Lui serrò forte gli occhi. “…amore…c’è una distinta possibilità che io e te non possiamo avere più altri figli.”

 

Hermione non disse nulla, ma Ron sentì tutti i suoi muscoli tendersi nel suo abbraccio. Non aveva bisogno di guardarla negli occhi, riusciva a sentire il suo dolore anche così, e la strinse di più a sé. Passò qualche minuto prima che lei parlasse, ma la sua voce era tremula e instabile. Era una voce di pianto. “Va bene.” Disse in un soffio a malapena udibile. “Non è…non è importante. Quello che conta è riprenderci Jack e Simon.”

 

Ron si staccò da lei per guardarla in faccia: aveva le guance bagnate, ma si sforzò di sorridergli e di accarezzargli una guancia. “…noi…noi ce li abbiamo già due figli stupendi, no?” ma stavolta la sua voce era un soffio tremante.

 

Lui si alzò in piedi e l’abbracciò forte, avviluppandola nelle sue braccia forti come per strapparle via il dolore dal cuore. Lei stava piangendo nel suo petto, ma non faceva alcun rumore. Era quasi come…se non volesse fargli capire quanto le aveva fatto male quella notizia. Ma lui lo capiva eccome, sentiva il suo dolore scorrerle nelle vene e sotto la pelle come un brivido. Dio, cosa non avrebbe fatto pur di avere i suoi bambini lì con loro…sarebbe stato più facile aiutarla…

 

“Perdonami.” Le mormorò, baciandole una tempia e stringendola forte fra le braccia. “Credevo di impazzire quando l’ho saputo…e una gran parte di me ha smesso di funzionare quando Jack e Simon sono spariti…ti giuro sulla mia vita che non mi fermerò finchè non li avrò ritrovati.” E così dicendo le accarezzò i capelli con la sua mano grande e callosa. “Noi non molliamo. I nostri ragazzi hanno bisogno di noi, e adesso noi ce li andiamo a riprendere.”

 

Hermione annuì nel suo petto, quindi si tirò indietro per asciugarsi gli occhi con le maniche della vestaglia. “Si.” Sussurrò. “Si, noi saremo di nuovo tutti insieme. Al resto…penseremo dopo.”

 

Lui le prese il viso fra le mani e le baciò la fronte, il naso e le labbra, quindi appoggiò la propria fronte alla sua. “Ti amo. Ti ho sempre amato, e ti amerò sempre. Anche quando saremo due vecchi pezzi da museo, senza denti e con la gobba.” Le mormorò con un sorriso, e ottenne un piccolo sorriso in risposta. Sospirò ancora una volta e poi la baciò per qualche minuto, quindi ripresero a guardarsi negli occhi e a scambiarsi carezze, baci e piccoli sorrisi d’incoraggiamento. “Vorrei restare con te tutto il giorno, ma tra poco meno di un’ora devo essere là fuori a cercare i bambini.” Le disse piano.

 

Lei annuì con un piccolo sorriso triste e fece per uscire, ma lui la trattenne per una mano. “Ti accompagno.” Le mormorò.

 

Uscirono dalla stanza abbracciati, vicini più che mai. E se avevano tanto dolore nel cuore, la più grande consolazione che dava a entrambi la forza per lottare ancora era il loro grande, infinito amore.

 

 

***************

 

How can you see into my eyes like open doors

Leading you down into my core                                           

Where I’ve become so numb

Without a soul…

My spirit’s sleeping somewhere cold

Until you find it there and lead it back home

                                                                                Bring Me To Life, Evanescence

 

 

                                                                        *******************************

 

 

 

E abbiamo recuperato Ron, signore innamorate di lui! (mettetevi in coda, prego! ^^)  Niente demone…dove sarà il cattivone? Converrete tutti con me che quello che non si vede è più preoccupante di quello che si vede, no? ^^  Oh, e ho notato che Harry versione ‘io-te-spiezo-in-due’ ha riscosso molto successo…quello è stato senza dubbio uno dei momenti di gloria del mitico Potter! E badate che non sarà l’ultimo…^^

 

Bene, sono come sempre arci-contentissima di tutte le fantastiche recensioni che ho ricevuto! Siete sempre adorabili…perciò voglio dare un bacio speciale a tutti: a…

 

Strekon (e vaiii!!!! Pubblicherai presto qualcosa!! Evviva! In bocca al lupo per i tuoi esami….ah, io ho 16 anni!), Giuggy (Ron ‘patato’ è stupenda come definizione!!! ^^), Ameliè (piaciuti i bimbi, eh?), Vega (bene, brava, continua a seguire la storia! Grazie per il consiglio, lo accetto molto volentieri), Mikisainkeiko (tieni duro con le interrogazioni! ^^), Alexis (hola, hombre! ^^), Vale (tranquilla, fidati….e goditi i fuochi d’artifico di questo capitolo!), Mony (amore mio! Ron è finalmente tornato l’amore di uomo che tutti conosciamo…contenta? Sono contentissima che Harry ti abbia affascinato! ^^), Rachel Potter (…aspetta qualche riga che esaudisco la tua richiesta ^^), Ginny (…si, li recuperiamo poco alla volta! ^^), Ci (mi hai fatto morire dalle risate con quella storia della lingua! ^^ mi piacciono davvero un sacco le tue recensioni!), Kiak (amoreeee!!! Sei tornata! Certo che mi sei mancata! Com’era l’Inghilterra, ti è piaciuta? E sì, hai fatto centro: i bambini stanno proprio giocando a fare o grandi! ^^), Icer (ooh, vuoi qualche anticipazione? Ma si, te le posso dare…ma mandami una mail, così resta fra me e te! ^^).

 

Credo proprio di non aver mancato nessuno…ora devo lasciarvi! Ci rivediamo la prossima volta con “La disperazione rende coraggiosi”: finalmente vedremo all’opera i bambini….sono davvero in gamba come i genitori? O sono ancora troppo piccoli per sopravvivere da soli in un posto tanto selvaggio? La risposta a questa e ad altre domande…nel prossimo episodio! ^^ Bacissimi,

 

Sunny

 

P.S.: andate a leggere “Le eredi della luce”, la storia di Rachel Potter! Mi raccomando!

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Capitolo 7
*** La disperazione rende coraggiosi ***


                                                       DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 7: LA DISPERAZIONE RENDE CORAGGIOSI

 

 

Last night you were lying in my arms,

And now I’m wondering where you are

You know, you looked just like a baby

Fast asleep in this so dangerous world…

                                                                       When Tomorrow Comes, Eurythmics

 

 

***************

 

 

Dan si pulì la pera che doveva mangiare sulla manica e prese a darle qualche morso, esattamente come gli altri tre bambini, seduti al sole sull’erba all’ombra di un albero vicino a un piccolo fiume. Quello era qualcosa come il quarto pasto in poche ore, ma visto che colazione, pranzo, merenda e cena per loro si riducevano a quintali di frutta, mangiare poco e spesso era diventata una necessità.

 

“Io mi sono proprio stancato di questa frutta.” Sbuffò Simon, mettendo giù la sua pera.

 

“Ringrazia pure che te la trovi, altrimenti sai che fame.” Fece Jack.

 

Anche Julie mise giù la sua pera. “Che voglia di un bel panino al formaggio.” Mormorò con aria sognante, leccandosi le labbra.

 

Il fratello le tirò un fazzoletto accartocciato che aveva in mano. “Oh, dai, Julie! Così mi fai venire voglia!“ protestò.

 

“Chissà se mamma e zia Ginny sono preoccupate.” Disse tranquillo Jack, finendo la sua pera.

 

“Certo che saranno preoccupate. Saranno preoccupatissime.” Replicò Simon.

 

“Aspetta che raccontiamo che fine abbiamo fatto fare ai nostri libri.” Disse Julie con un sorrisetto condiviso anche dagli altri tre.

 

“Chi glielo dice?” chiese Simon.

 

“Glielo deve dire Dan, l’idea è stata sua.” Fece Julie.

 

“Certo che glielo dico io, cosa credi?” le rispose il fratello. “Mica ho paura. Sennò come farei a fare l’auror da grande?”

 

Simon lo guardò, non particolarmente stupito. “Tu vuoi fare l’auror?”

 

“Il War Mage.” Precisò Dan, fiero. “Come papà e zio Ron.”

 

“Pure io.” Aggiunse Jack, altrettanto orgoglioso. “Saremo i migliori in assoluto, e cattureremo un sacco di cattivi.”

 

“E poi che ve ne fate?” chiese Julie.

 

“La raccolta di figurine.” Rispose sarcastico Jack. “Che vuoi che ce ne facciamo, Julie? Li mandiamo ad Azkaban.”

 

Simon si accigliò. “Ma…secondo voi là c’è sempre posto per tutte le persone cattive?”

 

“Penso proprio di si.” Dan scrollò le spalle. “Altrimenti dove li mandano i criminali, scusa?”

 

“Vabbè, magari qualcuno lo ammazzano.” Intervenne Jack.

 

“Si, ma non sempre.” Replicò il cugino.

 

Jack si voltò verso il fratello. “E tu che vuoi fare da grande?”

 

“Io voglio studiare i draghi.” Gli rispose il piccolo Simon, con un gran sorriso. “Come faceva zio Charlie prima di diventare War Mage.”

 

“Però, mica male.” Commentò entusiasta Jack.

 

“Andrò a studiarli in un posto.” Continuò Simon.

 

“Che posto?” gli domandò Julie.

 

“Non me lo ricordo il nome. Comunque è un posto dove ci stanno un sacco di draghi sulle montagne.”

 

“Romania?” provò Dan.

 

“Eh, si! E tu come lo sai?”

 

Dan scrollò le spalle. “L’abbiamo studiata a scuola la settimana scorsa.”

 

“E poi mi farò fare un bel tatuaggio a forma di drago, proprio come ce l’ha zio Charlie.” Continuò vispo Simon.

 

Jack ridacchiò. “Mamma ne sarà contenta.”

 

“Tanto a lei glielo faccio vedere dopo che me lo sono fatto.” replicò tranquillamente il più piccolo.

 

Anche Dan ridacchiò. “Io me lo immagino Simon, tutto bruciacchiato e col suo bel tatuaggio mentre cammina sulla schiena di un drago.”

 

“Attento a non finire nella bocca, fratellino.” Jack lo prese un po’ in giro.

 

Simon non ci diede peso. “Sarò un bravissimo dragatore.”

 

Dan e Jack a momenti sputavano fuori le tonsille per le risate, e anche Julie rise, anche se con meno trasporto.

 

Simon si mise le mani sui fianchi, irritato. “Che c’è da ridere, eh?!”

 

Appena si riprese un po’ dalle risate, Jack gli rispose. “Il…dragatore?”

 

“Eh.” Ribbattè seccato il fratello. “Perché, si dice dragante?”

 

Dan, che serrò le labbra per non ridere di nuovo, diede una gomitata nelle costole di Jack, che invece sembrava non riuscire a trattenersi. “No, no, dragatore va benissimo. Simon il Dragatore.” Disse, cercando di non ridere.

 

“Wow, ho un fratello dragatore.” Esclamò Jack, sul punto di scoppiare di nuovo. Simon, comunque, non colse l’ironia e sembrò soddisfatto così.

 

“Che mestieri pericolosi volete fare voi.” Commentò tranquillamente Julie.

 

“Perché, tu che vuoi fare da grande?” le chiese Simon.

 

“Il dottore degli animali.” Rispose lei con un sorriso. “Voglio curare gli animaletti feriti e ammalati.”

 

“Curerai anche i serpenti, Julie?” le chiese accigliato Simon.

 

“No, che sciocchezza. Quelli mi fanno schifo. Perché proprio i serpenti, poi?”

 

Simon spalancò gli occhi. “Perché ce n’è uno là dietro.”

 

Tutti i bambini scattarono in piedi, decisamente inorriditi, ma non fu una saggia idea: il serpente che stava strisciando alle spalle di Julie le scivolò davanti, sibilando e strisciando verso di lei.

 

I tre bambini fecero qualche passo indietro, e Julie si schiacciò contro l’albero che le stava alle spalle. “Ho paura!!” piagnucolò.

 

“Accidenti!!” Dan si guardò intorno, in cerca di qualcosa da usare come arma.

 

“Aiuto!!” strillò Julie disperata, quando il serpente avanzò ancora verso di lei.

 

“Laggiù, c’è un bastone!!” Jack corse a prendere un ramo d’albero che stava a terra poco lontano.

 

“Aah!!” Julie urlò e chiuse gli occhi quando il serpente scattò per aggredirla.

 

“Julie, scappa!!!” Dan, raccogliendo tutto il suo coraggio, afferrò la coda del serpente per tirarlo via dalla sorella. Pessimo errore. Il viscido animale si rigirò su se stesso e morse la mano del bambino, che lo lasciò cadere immediatamente.

 

Julie urlò. “Dan!!!” strillò Simon.

 

Jack arrivò provvidenzialmente, tenendo saldamente fra le mani il ramo spezzato. “Brutto schifoso, ti faccio vedere io!!” con un colpo netto spinse il serpente a qualche metro di distanza. Il viscido animale strisciò velocemente via.

 

Dan, seduto a terra, si stava stringendo forte la mano e aveva sul viso un’espressione di sofferenza, ma stava facendo del suo meglio per trattenere le lacrime che aveva negli occhi. Jack, inginocchiatosi accanto a lui, guardò subito in che stato era il morso sulla mano del cugino: non era un buon segno che gli si fosse già gonfiato. Simon e Julie li raggiunsero in un istante, e Julie aveva già i primi lacrimoni che facevano capolino dagli occhioni terrorizzati.

 

“Dan!!” piagnucolò. “Scusami, è tutta colpa mia, mi dispiace!!”

 

Il fratello, nonostante stesse combattendo con le lacrime, si sforzò di scuotere la testa. “…no che non è colpa tua, Julie…ahi…”

 

Jack esaminò ancora la mano di Dan. “Credo che quel coso fosse velenoso…”

 

“E adesso?!” strillò Julie.

 

“Julie, non urlare!!” le urlò Jack, anche lui in visibile panico.

 

Simon si tolse freneticamente lo zaino dalle spalle e tirò fuori in fretta il suo libro. “Forse Paulie sa la cura!” esclamò, aprendo il libro davanti a sé. “Paulie, dimmi tutto sui serpenti!”

 

Sul libro comparve l’immagine di un serpente sibilante. “I serpenti sono animali della famiglia dei rettili, non provvisti di zampe ma di un corpo compatto e …”

 

Jack afferrò il libro bruscamente. “Che me ne frega di queste cretinate!! Come si curano i morsi di serpente?!”

 

Paulie si interruppe, poi riprese. “I morsi di serpente sono notoriamente velenosi, ma non necessariamente mortali. I babbani si servono di farmaci e antidoti ben definiti per curarli, ma nel mondo della magia il rimedio è molto più semplice.” L’immagine fu sostituita da quella di un fiore lilla con delle larghe foglie verde smeraldo. “Questo fiore si chiama Edumpulus Medicinalis, e le sue foglie, se pressate, danno un liquido pastoso che spalmato sul morso di serpente è in grado di prosciugare tutto il veleno presente nel sangue di chi è stato morso. E’ un fiore che si trova facilmente nei boschi d’Europa, e…”

 

Jack chiuse il libro. “Questo ci basta.”

 

“Che vuoi fare?” gli chiese Julie, piuttosto agitata.

 

Jack si scansò i capelli dalla fronte. Dan, che era impallidito, si piegò sulla pancia e si strinse forte la mano. “Dan?”

 

“…brucia…” si lamentò il cugino, sull’orlo di un pianto.

 

Jack lo aiutò a sdraiarsi contro l’albero lì vicino, poi si rivolse alla cugina. “Julie, pensi di poter fare come fa tua mamma? Curargli il morso?”

 

La bambina nnuì con poca convinzione. “…magari…si, coi fazzoletti puliti e l’acqua, no?”

 

Jack annuì. “Esatto. Non è difficile. Pensaci tu, va bene?” lei annuì di nuovo e cominciò a frugare nel suo zaino. “Dan, cerca di resistere, ok?” il cuginò annuì, forse senza aver capito molto, comunque Jack gli diede una piccola pacchetta sulle spalle e si alzò in piedi.

 

“Ehi, ma dove vai?” fece Simon, allarmato.

 

Jack si tolse lo zaino. “Io vado a cercare questo fiore.”

 

“Cosa?! No!” Simon balzò in piedi. “Non puoi andare! Non lo sai dove sta!”

 

“Paulie ha detto che si trova nei boschi d’Europa, e noi siamo in un bosco in Europa.” Gli rispose teso il fratello.

 

“Ma…allora io vengo con te!” fece Simon.

 

Jack scosse la testa e iniziò a camminare. “Non se ne parla nemmeno.”

 

Simon non mollò, e cercò di stare al passo con lui. “Non puoi andare da solo!”

 

“E invece farò più in fretta così.”

 

“E a noi non ci pensi?!”

 

Jack si fermò di scatto e si voltò, furioso. “Smettila di rompere, Simon!! Dan ha bisogno d’aiuto!!”

 

Il bimbo lo guardò ancora un attimo, poi si voltò di spalle, cercando di nascondere le lacrime.

 

Jack si sentì un verme. “…no, senti Simon…” gli appoggiò le mani sulle spalle e lo voltò di nuovo di faccia. “…scusa, non volevo urlare…”

 

Simon si attaccò al fratello e scoppiò a piangere nel suo felpone. “Non te ne puoi andare pure tu, Jack! Prima mamma e papà, e adesso tu! Io non voglio restare da solo! Ho paura!”

 

Jack sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma si sforzò di ricacciarle indietro. Invece si abbassò all’altezza del fratello e gli asciugò le lacrime coi pollici. “Dai, Simon…i maschi non piangono.” Gli disse piano. “Non devi avere paura…io non ti lascio, vado solo a cercare la medicina per Dan…devo andarci per forza, lo capisci questo?” Simon annuì, tenendo gli occhi bassi. “Guarda, facciamo così. Ti prometto che prima di sera sarò di nuovo qui.”

 

Simon tirò su col naso. “E se poi ti perdi?” mormorò.

 

“Nah…basta seguire il fiumiciattolo, no?”

 

Il più piccolo si asciugò il naso con una manica della camicia. “Perché non posso venire con te?”

 

“Perché…non possiamo lasciare Dan e Julie da soli. Dan non sta bene, e Julie…beh, Julie è una femmina. Mi prometti che penserai tu a loro?” Simon esitò, e Jack gli fece un sorrisetto. “E dai, non sei più un pannolone ormai.”

 

Simon fece un sorriso con gli occhioni lucidi. “Solo quando ti pare a te.”

 

Jack rise, poi si rialzò e gli arruffò i capelli. “Fa’ il bravo, ok?” Simon annuì e lui si voltò, e con un ultimo sorriso si avviò di corsa verso la radura alberata.

 

Simon emise un sospirone, poi si voltò e tornò dove stava steso Dan, pallido e dolorante, mentre Julie, in ginocchio vicino al fratello, gli stava tamponando la mano con un fazzoletto.

 

“Non vi preoccupate, mio fratello tornerà presto.” Disse, cercando di mostrarsi il più possibile sicuro.

 

 

***************

 

 

Ron entrò nell’infermeria decisamente furioso. Si augurava che quello che aveva detto Aki fosse un malinteso, ma sapeva che, conoscendo il soggetto in questione, era tutto vero. E infatti appena aprì la porta trovò Hermione in piedi vicino al suo letto, con i pantaloni e gli stivali dell’uniforme già addosso, che si stava abbottonando la camicia. Nonna Weasley sedeva lì accanto.

 

“Che diavolo sta succedendo qui?” fece irritato lui.

 

Hermione a stento alzò lo sguardo per qualche secondo. “Che cosa sta succedendo?” gli chiese in tono neutrale.

 

Ron mise le mani sui fianchi, decisamente infuriato. “Hermione, che cosa stai facendo in piedi? Aki ti aveva detto di restare a letto almeno fino alla fine della settimana.”

 

“Contrordine.” Disse semplicemente lei, finendo di abbottonarsi la camicia e tendendosi per prendere il cinturone dal letto, ma Ron fu più veloce e lo afferrò per primo.

 

“Ti devo ricordare che cinque giorni fa ti hanno trapassato la pancia con una lama di venti centimetri?!”

 

Hermione gli strappò di mano il cinturone e se lo mise addosso. “Grazie per il veloce riassuntino,  ma non credo di aver subito nessun incantesimo per la memoria.” Anche il tono di lei era duro.

 

La frustrazione di Ron arrivò al massimo, portandolo ad alzare la voce. “Questo non è un dannatissimo videogioco, Hermione! Siamo esseri umani perfettamente mortali! Tu hai rischiato di morire nemmeno una settimana fa, sei troppo debole per rimetterti già in piedi!”

 

Anche Hermione, irritata, mise le mani sui fianchi e lo guardò dritto negli occhi. “Io sto benissimo, e comunque c’è bisogno anche di me.” Replicò. “I miei figli sono in pericolo, non ho intenzione di restare ad aspettare in un letto a mani vuote.”

 

“Li stiamo cercando noi i bambini!” incalzò Ron. “Harry e io siamo in servizio praticamente 24 ore al giorno, non ti basta?”

 

“Proprio per questo avete bisogno di una mano.” Hermione scosse la testa. “Sono anche figli miei, Ron. E finchè avrò vita li proteggerò e mi occuperò di loro con tutta me stessa.”

 

Ron fece un passo avanti. “Ma se fai una stronzata del genere e ti metti di nuovo in pericolo, non ci pensi al dolore che avremmo sia loro che io?!”

 

Hermione scosse sbrigativamente la testa. “Aki ha detto che sto bene. Basta evitare per un po’ l’allenamento in palestra.”

 

Ron l’afferrò per gli avambracci, cercando i suoi occhi. “No. Io non te lo permetto.”

 

Hermione inarcò pericolosamente un sopracciglio e si liberò dalla presa. “Sei mio marito, non il mio padrone.” Sibilò fra i denti. “Non mi serve il tuo permesso.”

 

Ron si mise le mani fra i capelli e si voltò verso sua madre. “Per l’amor del cielo, mamma! Dì qualcosa almeno tu!”

 

Nonna Weasley li guardò. “Ricordati solo di prendere sempre le tue medicine, Hermione cara.” Hermione annuì con un sorriso, mentre Ron guardò la madre con gli occhi e la bocca spalancata. “Oh, non guardarmi così, Ron! Sono una madre anch’io, e sono certa che se a uno di voi fosse successo qualcosa mi sarei comportata esattamente come Hermione! Non puoi pretendere che se ne resti con le mani in mano mentre i suoi bambini sono dispersi chissà dove! E oltretutto… guadagnate un elemento più che ottimo. Tu non hai idea di che cos’è una madre a cui sottraggono i propri figli.”

 

Ron alzò le braccia in segno di resa. “Quindi, se ho capito bene, io posso anche urlare da ora fino a domani ma tu hai già deciso.”

 

“Hai capito bene.” Gli rispose Hermione, determinatissima.

 

Ron annuì, poi le si parò davanti con un’espressione minacciosa. “E va bene, faremo a modo tuo.” Sibilò. “Ma al primo mal di testa ti lego, ti imbavaglio e ti riporto qui. Anche con la forza, se è necessario.”

 

Hermione resse il suo sguardo senza abbassare il mento, e anzi inarcò perfino un sopracciglio. Ron, comunque, dopo un ultimo sguardo minaccioso uscì dalla stanzona sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle.

 

Hermione scosse la testa, tentata dall’idea di seguirlo per fargli una faccia di schiaffi, ma la suocera le appoggiò una mano sulla spalla per calmarla.

 

“Non te la prendere, tesoro.” Le disse, comprensiva. “Tutti gli uomini fanno così quando la situazione gli sta sfuggendo di mano.”

 

“Già.” Brontolò Hermione, abbottonandosi l’ultimo bottone della camicia.

 

 

***************

 

 

Jack rallentò la sua corsa fino a fermarsi per un momento, con le mani sulle ginocchia e il fiatone. Erano due ore che correva, e ora la fatica stava cominciando a farsi più difficile da sostenere. Non aveva ancora trovato traccia di quel fiore, e cominciava ad aver paura. La paura che aveva letto negli occhi di Simon e che si era rifiutato di mostrare.

 

Paura di non fare in tempo.

 

Erano già passate due ore, non due minuti. Come se la stava cavando Dan? E Simon e Julie? E se…qualche altro animale fosse uscito improvvisamente allo scoperto? Fino a qualche ora prima non avrebbe mai creduto che un serpente potesse spuntare dal prato di un bosco…e se c’erano i serpenti, che altri animali potevano esserci?

 

Riprese a correre; non aveva tutto quel tempo, non si poteva fermare. Doevav continuare a correre: Dan stava male. Ma dov’era quel caspita di fiore?! E corse, corse ancora, guardandosi freneticamente intorno…Ma perché quel fiore non era da nessuna parte?!? Più si allontanava dagli altri tre, più tempo ci avrebbe impiegato a tornare. E Dan avrebbe resistito fino al suo ritorno?

 

Jack non riuscì ad andare oltre e cadde sulle ginocchia, tenendosi il fianco dolorante per la troppa corsa. Ansimava disperatamente, e si guardava attorno in un avvilito tentativo di vedere da qualche parte il fiorellino lilla. Ma niente da fare.

 

E se quel fiore non fosse cresciuto in quel bosco?…

 

Che cosa fa un qualunque bambino di dieci anni che ha paura, se non correre dai propri genitori? E forse fu proprio per la consapevolezza di non poter fare questo che Jack scoppiò a piangere. Quanto avrebbe voluto i suoi genitori; loro gli davano sempre uno smisurato senso di sicurezza e protezione, erano i suoi eroi. In particolar modo suo padre.

 

Suo papà. Il grande War Mage Ron Waesely. Quanto sperava di diventare come lui da grande. Ne aveva sentite di storie su di lui, su sua mamma e sui suoi zii. Le sapeva tutte quasi a memoria; buffo, fino a qualche giorno prima avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere un’occasione per dimostrare di essere altrettanto speciale anche lui.

 

Che cosa avrebbe fatto suo padre se fosse stato al posto suo? Meglio ancora, che consiglio gli avrebbe dato? Molto semplice, gli avrebbe detto quello che gli diceva semore: gli avrebbe detto di non arrendersi mai, di andare avanti così come aveva sempre fatto in passato lui.

 

Jack si asciugò gli occhi e si rimise in piedi. Ora non era più tempo di piangere: Dan aveva bisogno del suo aiuto. E lui avrebbe trovato quel fiore a tutti i costi. E poi sarebbe tornato in fretta da suo fratello e dai suoi cugini. E poi avrebbero ritrovato tutti la strada di casa. E avrebbero reso fieri i loro genitori. Si, senza dubbio.

 

Tranquilli, ragazzi. Sto arrivando.

 

 

***************

 

I wanna go back and do it all over

But I can’t go back, I know                          

I wanna go back

Cause I’m feeling so much older

But I can’t go back, I know

                                                           I Wanna Go Back, Eddie Money

 

***************

 

 

Julie andò a bagnare il fazzoletto per l’ennesima volta nel ruscello vicino, e lo mise sulla fronte del fratello. Dan aveva la febbre alta, il respiro corto ed era completamente coperto di sudore, mentre il morso sulla mano aveva assunto un colorito violaceo.

 

“Dan?” gli chiese con una vocina piccola piccola. “Come va?”

 

Il fratello sembrava far fatica a parlare. “…n-non ti preoccupare…a-adesso passa…”

 

Julie si morse le labbra per non piangere e annuì coraggiosamente. “Certo che passa. Tieni duro.”

 

Anche Simon, che stava seduto a terra vicino ai cugini, decise di fare la sua parte. “Tra un po’ torna Jack con la medicina, è andato a prenderla.”

 

Dan annuì a stento, sul punto di chiudere gli occhi. “Non ti addormentare!” disse subito Julie. “Parla con noi, per favore!”

 

“…ho sonno…” mormorò stancamente Dan.

 

“Non voglio che ti addormenti! Che succede se poi non…” Julie non finì la frase: non voleva che Dan capisse che aveva una gran paura che il veleno fosse più veloce di Jack; ma le si riempirono ugualmente gli occhi di lacrime.

 

Simon si guardò le mani nervosamente, poi vide il suo Paulie che spuntava dallo zaino e gli venne un’idea. “Ehi, Dan!” esclamò, prendendo il libro. “Vuoi vedere Hogwarts?”

 

Il cugino lo guardò confuso, senza poter smettere di ansimare. Anche Julie sembrò stupirsi. “…come?”

 

Simon annuì contento. “Si, Paulie può farla vedere. Così tu e Jack l’anno prossimo, quando ci andate, sapete già com’è fatta.” E così dicendo aprì il libro. “Voglio vedere Hogwarts.”

 

Subito comparve l’immagine degli interni del castello di Hogwarts, e anche Dan, che aveva problemi a tenere gli occhi aperti, non potè fare a meno di fare un piccolo, brevissimo sorriso. “…forte…”

 

“…è grandissima!” disse Julie.

 

“Già. Guarda, adesso ti faccio vedere.” Simon prese ad indicare con un dito i vari corridoi e le varie stanze. “Allora, questo qui è il corridoio centrale…e su per queste scale c’è la sala grande…e poi di qua…”

 

 

***************

 

 

Harry rientrò a casa che si sentiva le ossa a pezzi; Sirius gli aveva misericordiosamente dato il cambio per la serata, in modo da recuperare qualche ora di sonno per tornare efficiente al massimo la mattina seguente. Erano previste altre spedizioni, probabilmente anche più lontano, e doveva essere lucido e concentrato. I suoi bambini contavano su questo. Diede un’occhiata in giro appena entrato, ma non vide Ginny. Si sentiva molto stanco, avrebbe voluto cercarla, ma in quel momento non desiderava altro che poter fare un bagno. Un bagno che gli scrollasse di dosso un po’ di sofferenza. Non esisteva un bagno capace di tanto, ma almeno la sensazione dell’acqua che gli scorreva sulla testa lo avrebbe aiutato a sentirsi un po’ più vivo.

 

Seminò i vestiti sul lettone e si avviò in bagno trascinandosi sui piedi, stropicciandosi gli occhi stanchi e cerchiati. Ma non gli dispiacque neanche un po’ trovare il bagno già occupato: c’era Ginny nella vasca, appoggiata di schiena contro il bordo e con gli occhi chiusi. Evidentemente anche lei stava cercando di fare la stessa cosa, rilassarsi un po’.

 

Harry approfittò della porta socchiusa per non fare il minimo rumore, e s’infilò nella vasca con l’agilità di un felino. Ginny socchiuse gli occhi e fu ben felice di vederlo lì con lei; senza dire nulla si accoccolò fra le sue braccia, godendosi in pieno il suo respiro stanco e regolare che la cullava ritmicamente.

 

Era da tempo che non trovavano cinque minuti per fare un bagno insieme. Ci avevano provato la mattina di Natale, mentre i bambini erano di sotto a giocare con i regali appena scartati; ma quando Dan, tutto emozionato, era sbucato dalla finestra sulla sua scopa, cercando di richiamare l’attenzione del genitore che pensava che fosse in bagno, Harry si era dovuto immergere in fretta per lasciare a Ginny il compito di congratularsi col figlio e di invitarlo però a scendere a terra subito. Avevano tentato di farsi una doccia insieme come ai vecchi tempi la sera della festa di Carnevale che i nonni Weasley avevano organizzato alla Tana; ma a Julie era venuta una improvvisa fissa di anticipare l’estate, facendo il bagno col costume assieme a suo padre. L’ultimo disperato tentativo risaliva a qualche settimana prima, ma quando Dan aveva visto per caso Harry entrare in bagno, tempo due secondi l’aveva raggiunto col galeone dei pirati che gli aveva regalato Sirius per il suo compleanno, con la ferma intenzione di giocare alla battaglia navale per tutto il pomeriggio.

 

Sembrava strano a dirsi, ma se sul momento erano state situazioni frustranti, a distanza di poche ore erano diventate barzellette da raccontare di generazione in generazione. Erano situazioni incredibilmente ridicole: tutte le migliaia di volte che si erano trovati di fronte Dan e Julie in un momento poco consono alla loro posizione di genitori…beh, anche quello faceva parte della collezione di momenti buffi che Harry e Ginny stavano raccogliendo. Si, perché ormai soprattutto Dan si era fatto grande, anche se per Ginny restava sempre il suo bambino. Il suo bambino che presto sarebbe andato a Hogwarts. Che avrebbe avuto la sua prima bacchetta da mago. Lui, ancora così piccolo! Malgrado la situazione, Ginny sorrise per un momento all’immagine del suo bambino nell’uniforme di Hogwarts. Sarebbe stato bellissimo.

 

Harry le stava accarezzando pigramente i capelli, cercando di distendere per qualche ora i nervi tesissimi. E quando la vide sollevarsi sulle braccia per guardarlo negli occhi si limitò a cercare di interpretare il suo sguardo, continuando ad accarezzarle i capelli.

 

Lei gli semplificò la situazione, facendogli un piccolo sorriso. “Ti amo.” Mormorò. “Ti amo per quello che stai facendo per i nostri figli.”

 

Lui fece un sorriso colmo di amarezza. “Non sto facendo proprio niente, Gin.”

 

“Stai facendo tutto, invece.” Lei gli accarezzò una guancia. “Quando li ritroveremo, sarà stato solo per merito tuo. E io sono fiera di te.”

 

Harry sospirò. Ginny era quello che era sempre stata per lui: la sua ancora di salvezza anche nei momenti più bui. Preferì baciarla e stringerla a sé invece di risponderle con le parole. Avevano tanto desiderato un po’ di tempo tutto per loro, e ora sembrava così tanto…troppo. Ma almeno erano insieme. Potevano farcela. Ce l’avrebbero fatta. E sarebbe stata una gran bella vittoria, perché avrebbero avuto il premio che più desideravano al mondo: i loro bambini.

 

 

***************

 

 

Il sole stava cominciando a calare; Dan ormai aveva completamente perso conoscenza già da un pezzo, il suo respiro era sempre più irregolare ed era ancora tutto sudato. Julie stava facendo del suo meglio per non piangere, ma aveva gli occhi lucidi ed era pallida e tesissima; Simon aveva le ginocchia strette al petto e l’aria sconsolata.

 

Julie sospirò. “Ho paura.” Sussurrò, con la voce che le tremava.

 

“Anch’io.” Le rispose il cugino in un soffio.

 

“Io voglio mamma e papà.” Mormorò ansiosa la bambina.

 

Simon stava per dirle qualcosa, ma la sua attenzione fu attirata da una figura in lontananza che sembrava venire nella loro direzione. “…Julie…” anche la cugina si voltò a guardare. La figura si stava avvicinando di corsa, sempre di più…Simon balzò in piedi. “E’ Jack!!” esclamò con un gran sorriso, e subito corse verso di lui.

 

Jack rallentò la sua corsa fino a cadere in ginocchio, sfinito e ansimante; Simon gli fu accanto in un attimo. “Jack!! Jack!!” anche lui finì sulle ginocchia. “Jack, stai bene??”

 

Il fratello riuscì a regolarizzare un po’ il respiro e annuì. Anche Julie li raggiunse di corsa. “Sei tutto intero?”

 

Jack prese un po’ di fiato e guardò con un sorriso stanco entrambi, e un momento dopo mostrò con orgoglio un mazzolino di fiori lilla che stringeva forte in mano.

 

Julie lanciò un piccolo strillino di gioia e gli gettò le braccia al collo. “Ce l’hai fatta, ce l’hai fatta!!”

 

“Sei grande, fratellone!” Simon prese i fiori e corse indietro da Dan, e qualche secondo dopo fu raggiunto dagli altri due. “Come si fa adesso?”

 

“Da’ qua.” Jack staccò le foglioline dai fiori e ad una ad una le strizzò fra le dita, facendo scorrere una specie di liquido pastoso sulle mani che Julie gli stava tendendo da sotto. Quando le foglie finirono, la bambina spalmò poco alla volta l’intruglio sulla mano del fratello, andandosi poi a sciacquare le mani nel fiumiciattolo.

 

“Che facciamo adesso?” chiese Simon.

 

Jack scrollò le spalle. “Che ne so…credo che tra un po’ Dan dovrebbe riprendersi.”

 

“Allora aspettiamo.” Fece Julie, tornando a sedersi.

 

Jack scelse di aspettare sdraiandosi a terra: era distrutto, aveva corso tutto il giorno e aveva trovato quel benedetto fiore proprio quando stava cominciando a perdere fiato ed energie; e probabilmente nemmeno si rese conto di quando si lasciò andare a un sonno pesante e meritato.

 

Anche Simon non tardò a stropicciarsi gli occhi, decisamente provato da una giornata come quella; solo pochi minuti dopo crollò con la testa appoggiata sulla pancia del fratello.

 

Julie si ripromise di aspettare il risveglio di Dan prima di concedersi un meritato pisolino; ma col calar della sera resistere a sbadigli e botte di sonno si fece troppo duro, e così anche lei si abbandonò alla dormita che le spettava, ma scelse di accoccolarsi sotto suo fratello: in questo modo, almeno, al risveglio di Dan si sarebbe svegliata subito anche lei.

 

 

***************

 

 

Niente da fare, non c’era verso di dormire. Erano più di tre ore che stava nel letto supino, con le braccia dietro alla testa, a guardare il soffitto della stanza. Ma aveva il cervello troppo confuso e il cuore troppo appesantito per potersi calmare e addormentare. E quel silenzio che c’era in casa… invece di farlo rilassare gli piantava una lama nel cuore sempre più a fondo.

 

Ron tirò un sospiro profondo e girò la testa per vedere Hermione, che dormiva profondamente accanto a lui. Per fortuna non si era accorta della pozione soporifera che le aveva messo di nascosto nell’acqua; non gli era piaciuto imbrogliarla, ma Aki era stata molto chiara: Hermione aveva ancora bisogno di riposo. Ed era vero: erano solo la sua grandissima forza di volontà e il suo smisurato amore materno che la tenevano in piedi, ma era ancora molto pallida e anche camminare le costava un leggero affanno, anche se lei faceva del suo meglio per nasconderlo. Non poteva permetterle di passare la notte in bianco come stava facendo lui.

 

Sicuro di non svegliarla, Ron si mise seduto in mezzo al letto, nascondendo il viso fra le mani. Non riusciva a pensare ad altro che a Jack e Simon; come stavano i suoi bambini? Dov’erano? Ma soprattutto…erano davvero ancora vivi?

 

Il fatto di sentirsi così impotente, di non riuscire a trovarli e a riportarli a casa al sicuro, dove dovevano stare, lo uccideva. Era notte fonda: e loro dove la stavano passando? A quell’ora in genere stavano nei loro lettini già da un pezzo, ormai…e invece nemmeno si sapeva se dove erano finiti i letti c’erano.

 

Incapace di restare oltre fermo, Ron scese dal letto e uscì dalla stanza; si soffermò sulla soglia della camera dei bambini, ma non riuscì ad entrare. Preferì scendere in cucina. Aprì il mobiletto della dispensa e prese una bottiglia dalla parte più interna, poi si sedette su una delle sedie e appoggiò la bottiglia sul tavolo. Non era acqua, né aranciata, né succo di frutta. Era alcool. Aveva perso il vizio di bere molti anni prima, sapeva quanto Hermione lo odiasse, non andava mai oltre un goccio una volta ogni tanto, se proprio non riusciva a farne a meno. Ma più fissava quella dannata bottiglia, più sentiva che quella notte avrebbe avuto bisogno di scolarsela tutta d’un fiato.

 

 

 

Ron stava tranquillamente leggendo la Gazzetta del Profeta nella sua potrona preferita; Simon sembrava molto preso dal disegno che stava colorando, e ogni tanto si soffermava un po’ sulla scelta del pennarello da usare.

 

“Papà?” Jack entrò nella stanza con un quaderno in mano. “Mamma non è ancora tornata?”

 

Ron alzò gli occhi dal giornale. “No, ha detto che passava anche a fare la spesa. Hai bisogno di qualcosa?”

 

Il bambino annuì. “Mi dai una mano coi compiti?”

 

“Sicuro. Cosa devi fare?” Ron mise via il giornale.

 

Jack prese posto accanto a Simon, scansando un po’ i pennarelli per far posto al suo quaderno sul tavolo. “E’ un lavoro di descrizione della nostra famiglia. Dobbiamo fare il nostro albero genealogico.”

 

Ron annuì. “Ok.”

 

“Dei nonni e degli zii paterni ho già scritto tutto.” Gli rispose il figlio. “Invece dei nonni materni…ho scritto solo i nomi, però non è che…”

 

Il padre annuì. “Ho capito. Vuoi sapere qualcosa in più, giusto?” Jack annuì.

 

Simon sembrò interessarsi, anche se non smise di colorare. “E’ vero che i nonni erano babbani?”

 

“Si, i nonni erano proprio due babbani.” Gli spiegò tranquillamente Ron. “Facevano i dentisti. Nonna…era molto simile a mamma. Però aveva un’autentica fissa con lo zucchero: era convinta che ne bastasse anche solo un pochettino per rovinare per sempre i denti.” I bambini sorrisero. “Invece nonno…beh, nonno era un padre molto premuroso e anche buonissimo. Adorava mamma, la chiamava sempre ‘la mia bambina’.”

 

Simon arricciò il nasino. “Perché mamma ne parla così poco?”

 

“Io credo che le manchino.”

 

“Ma quand’è che sono andati in cielo i nonni?” stavolta Simon mise via il pennarello. “Non è che possono venirci a trovare un po’, e poi tornano di nuovo a fare gli angeli?”

 

Ron fece un sorriso amaro e accarezzò la testolina rotonda del figlioletto. “Eh no, non si può. Gli angeli non possono entrare nelle case, è proibito. Altrimenti perdono le ali e non possono più volare.”

 

“Allora no, io voglio che nonno e nonna volano sempre.”

 

Jack esitò. “Papà…come sono morti?”

 

Ron non ci riflettè nemmeno. Non era il caso di dire a due bambini così piccoli come erano andate realmente le cose. Forse un giorno, più avanti, ma certo non ora. “Un incidente.” Disse semplicemente.

 

Simon si grattò la testa. “Però povera mammina…secondo me è una cosa brutta stare sempre senza mamma e papà.”

 

“Mamma ha pianto quando i nonni sono andati in cileo?” chiese Jack, posando la penna sul quaderno.

 

Ron annuì. “Si, ha pianto molto. Però poi non ha pianto più, perché ha capito che il suo papà e la sua mamma continuano a guardarla sempre anche dal cielo.”

 

“E guardano anche noi?” chiese vispo Simon. Il padre sorrise e annuì. “Uh, allora hanno visto che stamattina non mi sono lavato i denti!”

 

Ron ridacchiò e gli strapazzò un po’ i capelli. “E tu allora lavali sempre.”

 

Jack sembrava pensieroso. “E’ per questo che tu le dici sempre che le vuoi bene? Perché non vuoi che si senta sola senza la sua mamma e il suo papà?”

 

Ron sorrise. Questa era una bella domanda. “Si, anche per questo. Ma anche perché è bello dire a una persona che le vuoi bene.”

 

“Ma i maschi non dovrebbero…cioè…”

 

“E invece dovrebbero eccome, Jack. Non c’è proprio niente di male. Tutti lo possono fare, perché è una cosa bella da dire e da sentirsi dire.”

 

Simon ridacchiò. “Sentito? Allora anche tu lo puoi dire alla tua Amelia.”

 

Jack gli diede uno schiaffetto dietro alla testa. “Idiota.” Brontolò.

 

La porta di casa si aprì e si richiuse, e dall’ingresso si sentì una voce. “Ehi, sono a casa!”

 

Hermione fece a malapena in tempo a mettere giù le buste della spesa che vide il piccolo Simon correrle incontro e balzarle in braccio. “Ciao, mammina!”

 

Lei barcollò un momento, ma subito si assicurò che il figlio non cadesse. “…ciao a te, tesoro! Ma che…”

 

Anche Jack spuntò fuori, con un sorriso identico a quello di suo padre. “Ehi, ma’! Com’è andata la spesa?”

 

“Bene. Non vi preoccupate, ho fatto una scorta di ovetti di cioccolato, così non dovrete prendervi a capelli con papà.” Replicò Hermione, facendogli un occhiolino.

 

“Grazie, mammina! Sei sempre buonissima. Ti voglio un sacco di bene.” Simon le diede un sonoro bacio sulla guancia e poi si fece mettere giù, cominciando a guardare nelle buste.

 

“Non ti preoccupare, mamma, le portiamo noi le buste in cucina.” Jack ne prese due, lasciandone una al fratello. “Dai, Simon.”

 

Hermione osservò ad occhi spalancati i figli trascinare allegramente in cucina le buste della spesa, e mentre uscivano notò un ultra-sorridente Ron sulla soglia della porta. Riprendendosi dalla sorpresa, inarcò un sopracciglio e mise le mani sui fianchi. “Ok. Cosa avete rotto?”

 

Lui le venne incontro con un’espressione molto divertita. “Proprio niente.”

 

“E allora per cosa vi serve il mio permesso?”

 

Lui ridacchiò e le passò le braccia attorno ai fianchi. “Non possiamo semplicemente aver voglia di dirti quanto sei importante per noi?”

 

Ora anche lei aveva un’espressione divertita, mentre giocherellava coi capelli sulla sua nuca. “Non lo so…è che tu hai la fedina penale piuttosto sporca in questi casi…ed essendo i tuoi figli pressappoco i tuoi cloni…”

 

Ron rise. “Dacci un taglio, splendore.” Senza starci troppo a pensare chinò il viso su quello di sua moglie per poterla baciare, ma…

 

“Mamma! Non riesco a trovare i miei lecca-lecca alla fragola!”

 

Hermione sospirò, mentre Ron sbuffava nel suo collo. “Cerca meglio, Simon, li ho presi.”

 

“…ma io non li trovo!”

 

“E piantala, Simon, mamma e papà stanno facendo le porcherie, non li interrompere.” La voce di Jack era a malapena un sussurro, ma i genitori lo sentirono perfettamente.

 

Ron scoppiò a ridere. “Jack!” fece indignata Hermione.

 

“Che porcherie fanno?” chiese incuriosito Simon.

 

“Simon, non dare retta a tuo fratello!” Hermione alzò la voce in modo che i figli potessero sentirla anche dalla cucina. “E tu smettila di ridere!” disse al marito, mollandogli uno schiaffetto su un braccio.

 

“Oh, non guardare me. Queste sono cose che imparano a scuola.” Ridacchiò lui.

 

“Già, e tu che sei il padre dovresti dirgli che sono stupidaggini e che non sono vere.”

 

“Ma sono verissime, io e te facciamo le porcherie.”

 

“Si, ma loro queste cose non le devono sapere!”

 

Lui le rivolse un sorriso malizioso. “Hermione, sono maschi Weasley. Credimi, Jack tra qualche anno ne saprà più di quanto ne sai tu.”

 

Hermione scosse la testa. “Tu sei un caso disperato.” Borbottò, andandosene nella cucina. Ron la seguì ridendo di gusto.

 

 

 

La bottiglia era aperta, ma ancora completamente piena. La stava fissando probabilmente da più di un’ora. Alla fine Ron si alzò in piedi e la vuotò tutta nel lavandino.

 

Tornò in camera sua e si sdraiò di nuovo nel suo letto accanto a Hermione; coprì entrambi con la coperta e le passò un braccio attorno ai fianchi, per stringerla di più a sé e nascondere il viso nel suo collo. E prima di chiudere gli occhi supplicò il cielo per l’ennesima volta di proteggere i bambini, dovunque fossero.

 

 

                                                                ********************************

 

 

Scusate il ritardo, gente, ma il mio pc è stato ko per un’intera settimana! In altre parole, sono riuscita a lavorarci di nuovo nemmeno quattro giorni fa. Sorry! Comunque alla fine ecco questo benedetto settimo capitolo….

 

Come sempre vorrei dare un bacio grandissimo a tutti i miei recensitori adorati: Ci (già, finora sembrava una gita…finora…ma come giustamente dicevi tu, i bambini stanno cominciando a cambiare idea…), Beth (grazie mille!), Giuggy (tu non mi tedi mai! ^^ sono felicissima se sono riuscita a farti commuovere…e complimenti per l’interrogazione! E scrivi pure la tua fanfic se ti viene voglia, è molto piacevole farlo, ti dirò! ^^), Mikisainkeiko (sono contentissima che ti è piaciuto tanto! Aggiorna presto la tua storia, eh? Oh, si…ora ho 16 anni e mezzo…ai tempi di FD ne avevo 15 e qualche mese, però ^^), Iceygaze (perdonato!^^ perchè Ron predilige il whisky? Beh, perché in Inghilterra è l’unica bevanda alcolica forte decente, dati alla mano! ^^ E la faccenda delle distanze…beh, è ovvio che su una cartina un dito di distanza non sia nulla…ma poi a piedi è un’altra storia, specie se consideri che sono bambini piccoli e che non stanno correndo, anzi…si fermano perfino a fare il bagno ogni cinque minuti…sono proprio degli sfaticati, hai ragione tu! ^^), Miyu (ora che ho di nuovo il pc, farò sicuramente un salto a vedere la tua storia!), Roby Chan (…mi hai dato un’idea…^^), Herm (grazie millissime! ^^), Mony (quanto sei dolce, hai pianto davvero! ^^ il nostro adorato Ron è tornato ‘er mejo’ e questo ti farà sicuramente sorridere tantissimo! ^^ Oh, e mia sorella concorda in pieno con te: Simon è proprio un trudi!), Vale (io adoro le tue recensioni! ^^ si, in effetti Jack ci sta rendendo tutti molto fieri di lui…stanno imparando a fare i fratelli maggiori, lui e Dan…che carucci, eh? OOOH!!!! Che bello, scriverai presto qualcosa!!!! Tu non sai quanto questo mi renda felice! Certo, capisco: anch’io odio cominciare qualcosa che poi non finisco, perciò la parte razionale di me ti capisce…ma la parte irrazionale ti prega di iniziare presto! E ricordati che io voglio saperlo in anteprima assoluta! ^^), Kiak (^^ eh si, l’Inghilterra è soprattutto questo! contenta che Ron le ha prese da Hermione, eh? ^^ sai, c’è una distinta possibilità che succeda anche nei libri originali, secondo me…^^ certo che non ho attentato alla vita di Simon per spaventarti, lo so che sei invincibile…ma attenzione, io non ho mai detto che tutti sarebbero usciti illesi alla fine…*ora è la Sunny che se la ride diabolicamente!* ^^), Ary (grazie infinite, sei veramente troppo buona! Adesso andrò subito a leggere la tua storia!), Shinko_88 (però, cinque fratelli più piccoli! Povera…^^ Draco? Beh…guarda, quando ho iniziato a scrivere BAWM non è che mi stesse molto simpatico…e l’ho dimenticato per strada! Un giorno scriverò qualcosa tutto per lui, promesso! Anche perché anche mia cugina mi sta torturando da mesi! ^^), Gloria (certo che valgono le tue parole, valgono moltissimo! E ti ringrazio molto!), e Manny (richiesta esaudita! ^^).

 

Stavolta sono certa di non aver dimenticato nessuno! ^^

 

Ora devo proprio scappare…ma voglio darvi una piccola anticipazione per il prossimo capitolo “Il gioco della guerra” (…mi sento buona…): i War Mage, e in primis Hermione, inforcheranno una buona pista, quindi più azione…e poi…chi è che sentiva la mancanza dei cattivi? ^^

 

Ciao ciao, recensite tanto!

Sunny

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Capitolo 8
*** Il gioco della guerra ***


                                                          DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 8: IL GIOCO DELLA GUERRA

 

 

I'm looking for a place
I’m searching for a face
Is anybody here I know?                                          
Cause nothing’s going right
And everything’s a mess
And no one likes to be alone
Isn't anyone tryin’ to find me?
Won't somebodycome an’ take me home?
It's a damn cold night

Tryin’ to figure out this life…

                                                                       I’m With You, Avril Lavigne

 

 

***************

 

 

“Siete solo un branco di imbecilli!!”

 

La voce del demone rimbombò ancora di più, amplificata dalle mura rocciose della caverna. I tre uomini, prostrati in ginocchio davanti a lui, non osarono alzare la testa.

 

“Mio signore…” provò uno, ma fu subito interrotto.

 

“Sono sei giorni che aspetto, e questo dannato medaglione non è ancora nelle mie mani!!”

 

Un altro tentò di sollevare gli occhi. “O potente, hai una ragione immensa, ma ti prego di crederci… non c’è stato modo di trovare il tuo sacro medaglione perché finora è rimasto inattivo, ma non appena…”

 

Gli occhi violacei nel buio divennero rossi fuoco. “Siete vagamente consapevoli che il medaglione è nelle mani di quattro mocciosi? Quante possibilità che ci sono che lo facciano funzionare in modo corretto?!”

 

Il terzo uomo annuì. “Si, grande signore, lo sappiamo…ma il medaglione è fatto per collaborare attivamente con l’ecosistema che lo circonda, nell’arco massimo di altre 48 ore dovrà per forza dare dei segni di attività, questo è sicuro.”

 

“Com’è sicuro che se entro 48 ore non l’avrete ritrovato, io avrò le vostre teste.” Il tono di voce del demone congelò ulteriormente l’atmosfera.

 

Nessuno osò replicare.

 

 

***************

 

 

Dan sbattè gli occhi un paio di volte, svegliato dal cinguettìo insistente di un uccellino. Riconobbe il bosco in cui stavano camminando da giorni; e subito gli venne in mente che prima di addormentarsi – anche se non ricordava esattamente quando si era addormentato – sentiva un gran dolore alla mano…ma il dolore era passato. E non sentiva più neanche freddo.

 

Si guardò intorno: Jack stava dormendo a pochi passi di distanza, e Simon sembrava ancora più rilassato usando la pancia del fratello come cuscino. Allora Jack era tornato! Si, perché era andato a cercare qualcosa, ma non ricordava bene cosa…una medicina? Forse. Ma dove, poi?

 

Muovendosi leggermente, Dan notò che sua sorella stava dormendo accucciata accanto a lui, e appena si mosse la vide stiracchiarsi e stropicciarsi gli occhi per mettersi seduta. Quando finalmente si voltò a guardarlo, lanciò un gridolino di gioia e gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé.

 

“Ehi, Julie! Fammi respirare!” provò a dirle lui.

 

Lo strillino della bambina svegliò Jack, che si mise subito seduto, facendo sobbalzare anche Simon. “Dan!” esclamò Jack con un gran sorriso. “Stai bene?”

 

In qualche modo Dan riuscì a respingere la sorella. “Si, è tutto a posto…ma come sono guarito? Mi pare di essere stato morso da un serpente, no?”

 

“Eccome se sei stato morso.” Fece Jack.

 

“E’ stato tutto merito di Jack.” Disse orgoglioso Simon. “Lui ha trovato la pianta magica.”

 

Dan fece un sorrisetto al cugino. “Ti devo un favore.” Jack ricambiò con un occhiolino.

 

Simon si accigliò. “Julie, perché piangi?”

 

Fu in quel momento che Dan si accorse che la sorella stava piangendo e singhiozzando. “…Julie…”

 

“E va bene, non mi importa, chiamami pure piagnucolona!” strillò fra i singulti. “Ma io ho avuto paura, tantissima paura! Io non volevo che tu morivi!! E poi sono stanca, non ce la faccio più, voglio andare a casa! Voglio mamma e papà!!”

 

Il pianto disperato di Julie intristì tutti quanti. “Dai, Julie…” le mormorò il fratello, abbracciandola. “Mi dispiace che ti sei spaventata per colpa mia…”

 

“…non è stata colpa tua….” Singhiozzò Julie nella sua maglia.

 

“Però adesso non piangere più…sto bene ora, non è successo niente, capito?” Julie annuì e si tirò indietro. Dan le rivolse un piccolo sorriso e le accarezzò una guanciotta bagnata.

 

“Però Julie ha ragione.” Disse piano Simon. “All’inizio era divertente, però adesso è brutto. Camminiamo, camminiamo, e non si capisce perché stiamo sempre qua dentro. Io non ne posso più.”

 

Jack annuì. “Pure io. Basta andare avanti così, voglio tornare a casa.”

 

“Già. E poi sta diventando pericoloso.” replicò Dan.

 

“E allora che si fa?” chiese Jack.

 

Dan ci pensò un attimo. “Io penso…che dovremmo camminare un po’ più svelti. Siamo andati troppo lenti finora, dobbiamo cercare di metterci meno tempo.”

 

Julie era perplessa. “Ma…”

 

“E niente più fermate.” Annuì risoluto Jack. “Mangiamo camminando. Ci fermiamo solo per dormire.”

 

“Esatto.” Fece deciso Dan. “Andando più veloci dovremmo farcela. Ci state?”

 

Jack annuì. “Per me va bene.”

 

Simon scrollò le spalle. “Basta che arriviamo prima a casa.”

 

Julie esitò. “Va bene, ci proverò.”

 

Dan le fece un sorriso. “Non ti preoccupare, se resti indietro ti porto sulle spalle.”

 

La bambina fece un enorme sorriso. “Davvero?”

 

“Beh, è normale. In fondo tu sei una femmina, tutte le femmine sono deboli.” Ridacchiò Jack, ottenendo un’occhiataccia dalla cugina.

 

Simon ci pensò su. “Mamma non è debole.”

 

Jack annuì. “Ok, tutte le femmine tranne mamma.”

 

Dan si grattò una tempia. “Beh…allora tranne anche mia mamma. Non è tanto debole, se tira una sberla la senti tutta.”

 

Jack rise. “Brucia ancora il sedere dall’ultima volta, eh?”

 

Dan annuì ridacchiando e si mise in piedi. “Beh, truppa…che ne dite di riprendere la marcia?”

 

“Non ti vuoi riposare un altro po’?” gli chiese la sorella.

 

“Nah. Io sono a posto.”

 

Anche  gli altri tre si alzarono. “Allora andiamo.” Fece Jack.

 

 

***************

 

 

Hermione entrò nella stanza di Homer con un grosso foglio arrotolato in mano, con passo deciso e sguardo fermo. C’erano tutti al gran completo, e lei entrando salutò Homer con un cenno del capo. Prima che potesse prendere la parola, Ron le si avvicinò e le appoggiò una mano su un braccio. “Hai preso la tua medicina?”

 

Hermione lo guardò con un sopracciglio pericolosamente inarcato. “Ron, è la terza volta che me lo chiedi da stamattina. Alla quarta ti butto dalla finestra.”

 

Ron fece un passo indietro, e quando vide l’espressione leggermente divertita di Harry gli diede una manata nello stomaco. “E tu piantala.”

 

Homer si schiarì rumorosamente la gola, facendo tacere tutti i presenti. “Hermione, spiegaci la tua idea.”

 

Lei annuì, attirando su di sé l’attenzione degli altri. “Va bene, allora. Il mio punto è questo: abbiamo pochi elementi, ma anche un dettaglio può servire.” Disse con tono molto professionale, sollevando un foglio. “Tanto per cominciare, c’è la testimonianza dell’uomo che abbiamo catturato. In base alle notizie che ci ha fornito, abbiamo a che fare con una setta di pazzi invasati che in qualche modo riescono a fare magie senza bacchetta.” E qui mise giù il foglio e prese un libro, aprendolo a una pagina segnata. “Ho fatto delle ricerche. Non sono i primi, i popoli celtici avevano degli stregoni che facevano la stessa cosa. E non credo che sia un caso che il simobolo di quel medaglione compaia anche nell’iconografia di questi antichi maghi. E se questo è l’unico collegamento che abbiamo, allora lo sfrutteremo al meglio.”

 

“Suggerisci di analizzare in parallelo gli stregoni antichi?” le chiese Liam.

 

Hermione annuì. “Su di loro abbiamo più materiale.”

 

“E’ un suggerimento più che valido.” Disse concorde Homer. “Quindi voglio che si faccia immediatamente una ricerca…”

 

“Ci ho già pensato io.” Lo interruppe Hermione. “Sono andata a controllare direttamente nell’archivio del Ministero, mi sono rivolta al vice-segretario Percy Weasley per l’autorizzazione.”

 

Homer curvò le labbra in un mezzo sorrisetto ammirato. “Una madre a cui toccano i proprio figli è decisamente il miglior soldato che si possa chiedere, devo dire.”

 

“Specie se poi è la nostra Hermione.” Annuì Remus.

 

Lei non perse tempo a crogiolarsi nei complimenti. “Mi sono soffermata poco sulla tipologia degli incantesimi che sono capaci di sferrare, ci vorrebbe un esperto e mesi, forse perfino anni di lavoro, e noi non possiamo perdere tutto questo tempo. So solo che è un tipo di stregoneria antichissima diversa dal tipo di magia senza bacchetta che conosce Harry. Quello che ci interessa è il modo e i luoghi in cui la praticavano.” E così dicendo prese un altro libro e lo aprì a una pagina in cui stava una grossa figura proprio al centro.

 

Harry si accigliò. “Stonehenge.”

 

“Precisamente.” Annuì Hermione. “Il luogo più misterioso dell’intera Inghilterra. I babbani non si sono mai spiegati cosa sia. Forse noi possiamo.” Disse, indicando la foto. “Perché parte delle incisioni e delle iscrizioni su queste pietre riguardano i nostri amici Celti.”

 

“Pensi che i bambini siano stati trasportati lì?” le chiese Sirius.

 

“Lo vorrei tanto, ma purtroppo credo che la faccenda sia più complessa di così.” Replicò Hermione. “In questo momento tutto quello che voglio è raggiungere Stonehenge e decifrare quelle iscrizioni. Ho visto il simbolo del medaglione su una di quelle pietre.”

 

“Io sono d’accordo.” Annuì Harry. “E’ più sensato fare delle ricerche mirate.”

 

“Benissimo. Ron, Harry, Ben e Remus andranno con Hermione a Stonehenge. Josh, Bill e Charlie continueranno a cercare in tutta la zona a sud di Winchester.” Fece Homer, e i diretti interessati annuirono. “E vediamo di fare tutto il più in fretta possibile.”

 

Quando Harry, Ron e Hermione uscirono dalla stanza trovarono Ginny seduta su una panca ad aspettarli. Nel vederli uscire, lei subito balzò in piedi. “C’è qualche novità?”

 

Harry le rivolse un piccolo sorriso. “Abbiamo riguadagnato l’alleato più prezioso che abbiamo.” Le disse, con un occhiolino per Hermione. “Forse possiamo risalire a questi stronzi pazzi e alle loro cazzate dalla porta di servizio.”

 

Ginny annuì. “Basta che ci sbrighiamo, i bambini hanno bisogno di noi.”

 

Harry le passò un braccio attorno alle spalle. “Ci vediamo tra cinque minuti giù.” Disse a Ron e Hermione, per poi allontanarsi abbracciato a sua moglie.

 

Hermione, impegnata a sistemare i suoi appunti, non si accorse del modo in cui la stava guardando il marito. Ron aveva un’espressione orgogliosa e soddisfatta, ma anche incredula. Quanto gli piaceva vedere sua moglie così come l’aveva vista pochi minuti prima: intelligente, razionale, professionale, brillante…lucida e acuta dieci volte di più di quando erano solo dei ragazzini, scattante e deduttiva come il soldato ineccepibile che era diventata. E in quel momento s’innamorò di lei per l’ennesima volta.

 

Hermione finalmente alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Ron. “Che c’è?”

 

Lui scrollò le spalle e scosse la testa. “E’ solo che…ti amo.” Mormorò, accarezzandole una guancia.

 

Lei gli rivolse un piccolo sorriso e prendendo la mano nella sua gliela baciò. “Andiamo?” gli disse alla fine.

 

Ron annuì, ma continuò a tenerle al mano anche mentre camminavano.

 

 

***************

 

 

Se camminare più svelti era un vantaggio, di sicuro farlo col vento sferzante non era né facile né piacevole. E dopo giorni di sole caldo e incoraggiante una brutta giornata se la dovevano anche aspettare, in fondo. Sarebbe stato troppo bello il contrario.

 

“Uffa, questo vento!” si lamentò Julie, stropicciandosi un occhio. “Mi è andato qualcosa nell’occhio!”

 

“Non farla lunga, non è un elefante.” Le rispose Jack.

 

“Non ho detto che è un elefante.” Brontolò Julie.

 

“Devo fare la pipì.” Disse Simon in tono monotono.

 

“Trattienila.” Replicò Dan.

 

“Vuoi che me la faccia sotto?” Simon gli lanciò un’occhiataccia molto simile a quelle di sua madre.

 

“No, voglio solo che aspetti ancora un po’.” Gli disse Dan. “Appena troviamo da mangiare ci fermiamo, e tu puoi fare pipì.”

 

“E se non la trattengo?” ribbattè stizzito Simon, fermandosi e facendo fermare anche gli altri.

 

“Vuol dire che sei un pisciasotto!” fu la risposta secca di Dan.

 

A Simon gli occhi si strinsero in due fessure e mise le mani sui fianchi, cercando di mostrarsi più minaccioso di quanto gli consentissero la sua età e la sua statura. “Com’è che mi hai chiamato?”

 

Anche lo sguardo di Dan si rabbuiò. “Pisciasotto.”

 

“E ha proprio ragione.” Anche Jack sembrava spazientito.

 

“Ah si?!” Simon, arrabbiatissimo, si tolse lo zaino e lo sbattè per terra. “Allora sapete che vi dico?? Siete proprio degli imbecilli, ecco! E non voglio proprio più stare con voi!!” e, sempre urlando, si avviò verso un piccolo laghetto paludoso. “Me ne torno da solo a casa! Così posso mangiare, fare pipì e dormire tutte le volte che voglio!!” Simon si voltò per urlare ancora qualcosa, ma all’improvviso impallidì e spalancò gli occhi.

 

Un rumore incalzante fece voltare di scatto gli altri tre bambini, e Julie urlò: un grosso orso bruno, spuntato non si sa da dove, li stava caricando a tutta forza. Jack e Dan – che tirò la sorella per un braccio – balzarono di un passo indietro e riuscirono ad evitare la carica del bestione, che però continuò la sua corsa fino a raggiungere Simon, buttandolo nell’acqua con una zampata e, non contento, infilando la testa sotto per finire il lavoro.

 

“Simon!!!” Jack si lanciò verso l’orso assieme a Dan. Il grosso animale non voleva saperne di muoversi, nonostante i tentativi dei due bambini di tirargli indietro le zampe.

 

Julie raccolse tutto il suo coraggio e prese lo zaino di Simon. “Lascia stare mio cugino, bestiaccia!!” gli urlò, tirandoglielo addosso e centrandogli il sederone. Ma sfortunatamente non servì a molto.

 

“E basta, smettila!!!” urlò Dan, tirando più forte.

 

Improvvisamente lo zaino di Simon si aprì da solo, e ne uscì un fascio di luce viola. Sotto gli occhi più che stupiti dei bambini si materializzò una enorme mano spettrale di fumo viola; la mano afferrò l’orso e lo scagliò lontano, fra gli alberi.

 

Dan, Jack e Julie erano rimasti seduti a bocca aperta, e anche quando la mano si dissolse nell’aria non fecero altro che fissare la scena attoniti. Fu in quel momento che Simon riemerse, sputando acqua e tossendo. I bambini si scossero.

 

“Dammi la mano, Simon!” Jack e Dan gli tesero le mani dalla riva della palude, e Simon annaspando riuscì ad afferrale e fu subito tirato su. Tremava come una foglia, aveva i vestiti completamente inzuppati e appiccicati addosso, e il vento forte e freddo non era certo un aiuto alla sua situazione. Ma almeno era vivo, e tutto intero.

 

“Stai bene, Simon?” gli chiese subito Julie.

 

Simon tremava così tanto che i denti facevano un gran rumore. “Ti devi togliere subito questi vestiti prima di congelare!” Jack gli sfilò la felpa e la maglietta rapidamente, e altrettanto in fretta Dan gli mise addosso il suo giubbino. Suo fratello fece altrettanto col suo giacchino, ma non fu abbastanza per riscaldare Simon, che continuava a tremare, e non solo per il freddo. Era mezzo morto dalla paura.

 

“…f-fa…f-fre…d-do…” riuscì a malapena a dire in un soffio. Jack se lo strinse al petto, permettendogli di appoggiarsi di schiena a lui, e prese a fargli vigorose strofinazioni per trasmettergli un po’ di calore.

 

Julie gli prese una mano fra le sue e gliela massaggiò, soffiandoci sopra per riscaldargliela. Dan gli sfilò le scarpe per svuotarle dall’acqua e cercò di asciugargli i piedi con le mani. In qualche modo il sistema sembrò funzionare, perché Simon smise di tremare poco alla volta finchè i suoi fremiti non si trasformarono in singulti, e pochi minuti dopo si rilassò e si addormentò. Julie gli lasciò la mano e fece un gran sospiro. Dan, che aveva ancora i piedi del cugino fra le mani, si accorse solo in quel momento che Jack aveva le guance bagnate dalle lacrime. Anche Julie lo notò, e si sentì molto confusa. Dan e Jack erano i suoi punti di riferimento ora che i suoi genitori non c’erano, chi l’avrebbe protetta se ora anche loro avevano paura?

 

Jack si asciugò rabbiosamente le lacrime con una manica, senza però ritirare il braccio che teneva attorno alle spalle del fratello. “Voglio andare a casa. Voglio andare a casa mia.” Ma stavolta il suo non era il tono dell’ometto che si era sforzato di essere. Era quello di un bambino di dieci anni impaurito e stanco.

 

Dan sospirò e abbassò lo sguardo. Non voleva far vedere a sua sorella che anche lui aveva gli occhi lucidi. E poi almeno lui doveva cercare di contenersi: era il più grande, in fondo, e aveva più responsabilità degli altri. Anche di Jack.

 

Julie tutto a un tratto infilò una mano nello zaino di Simon che era lì accanto a lei, e ne estrasse il medaglione: era ancora attarversato da una luce viola, ma poi tornò normale. “Allora è stato questo coso a salvare Simon.”

 

“Fa’ vedere.” Dan prese in mano il medaglione e lo guardò con attenzione. “Io ancora non ho capito a cosa serve.”

 

“E’ un coso strano che fa cose strane.” Disse semplicemente Jack.

 

“Però ci conviene tenerlo.” Rispose Dan. “Ci ha salvato.”

 

“Basta che non fa arrivare più quella mano bruttissima.” Julie lo riprese e lo rimise di nuovo nello zaino di Simon, stringendosi nel giubbetto quando una ventata particolarmente forte attraversò il bosco.

 

 

***************

 

 

Nel buio della caverna il demone sedeva con le gambe all’indiana in un cerchio inciso sulla roccia col sangue, circondato da piccole fiaccole accese. Sembrava completamente rapito, e per questo non aprì subito i suoi terribili occhi viola quando uno dei suoi tre fedeli si presentò al suo cospetto e s’inginocchiò.

 

“Perdona, mio signore.” Disse quello, chinando la testa. “Ma finalmente abbiamo percepito le vibrazioni del sacro medaglione e siamo in grado di localizzare la sua posizione.”

 

La bocca del demone si curvò in un sinistro sorriso, scoprendo i lunghi denti bianchi appuntiti.

 

 

***************

 

 

“Trovato niente?”

 

“No, niente e nessuno.” Harry scosse la testa. “Proviamo a spingerci oltre quella radura.”

 

Ben e Remus, bacchetta alla mano, si allontanarono per accertarsi che non ci fosse veramente nessuno nelle vicinanze. Harry tornò da Ron e Hermione, che stavano in piedi davanti a una grossa stele di pietra su cui stavano incisi degli strani disegni.

 

“Forse sono io che non ne capisco niente di arte, ma che diavolo è quella roba?” fece Harry.

 

“Non chiederlo a me, questo conferma solo che siamo dietro a un branco di pazzi.” Confermò Ron.

 

“Volete stare zitti una buona volta?” disse spazientita Hermione. Ottenuto il silenzio che voleva, mormorò qualcosa a bassa voce che Harry e Ron riconobbero come un incantesimo per capire le lingue diverse.

 

“Che c’è scritto?” le chiese ancora Harry.

 

“E’ una leggenda antichissima, o almeno così sembra.” Disse lei, continuando a fissare la stele. “Parla di una dea immortale, una certa Rahampur. Era un essere invincibile, e dominava incontrastata sui popoli che abitavano su queste terre migliaia di anni fa. Era venerata da tutti, ma il suo potere si reggeva sul terrore e la violenza con cui si faceva rispettare, così nessuno osava mai opporsi a lei.”

 

“E cos’è andato storto?” fece Ron, inarcando un sopracciglio.

 

Hermione continuò a leggere. “Rahampur ha perso la sua immortalità quando si è innamorata di un mortale. Per poter stare con lui ha dovuto rinunciare a questo suo potere.”

 

“E’ proprio vero che noi uomini siamo la rovina di voi donne.” Nonostante la situazione, a Harry scappò un sorrisetto.

 

“E viceversa.” Annuì con lo stesso sorriso Ron.

 

Hermione lanciò a entrambi un’occhiataccia. “Comunque lei è stata furba abbastanza da aggirare il problema. Ha trasferito tutto il suo potere in un medaglione che ha donato al figlio nato dal suo matrimonio. Il bambino aveva gli stessi poteri di sua madre, ma non era immortale se non aveva al collo il suo medaglione. Poteva essere ferito, ma non ucciso perché la sua immortalità era garantita solo ed unicamente da quell’oggetto. E quando lo vennero a sapere, i ribelli organizzarono una rivolta e uccisero sia lei che il figlio, e fecero gettare il medaglione in un lago profondissimo. La leggenda si conclude con una profezia. Duemila anni dopo l’anima di Rahampur avrebbe restituito la vita al corpo di suo figlio se i suoi fedeli avessero recuperato quel medaglione.”

 

“Quadra tutto con quello che ha detto quella specie di bonzo che abbiamo preso.” Commentò Harry.

 

“Già, ma c’è una cosa che non mi piace.” Disse cupo Ron. “Se questo verme per tornare immortale ha bisogno di questo dannato medaglione…”

 

Hermione si voltò a guardarli. “E’ il motivo per cui ci hanno attaccati a casa.”

 

“Se è il medaglione che vogliono, non si fermeranno finchè non l’avranno trovato.” Annuì Ron.

 

Harry incrociò le braccia sul petto. “E questo vuol dire che andranno dietro ai bambini.”

 

“Dobbiamo assolutamente trovarli prima noi.” Fece Ron, più teso di prima.

 

 

***************

 

 

I tre uomini, completamente mascherati dalla tunica e dal cappuccio rosso fuoco, continuavano a guardarsi in giro con occhi da falco. Si muovevano piano a piedi nudi nell’erba, in modo da non fare rumore. I loro sguardi da predatore squarciavano l’aria, trafiggevano alberi e cespugli, e le loro orecchie tentavano di captare il minimo fiato che non fosse il frusciare del vento.

 

“Qui non ci sono.” Disse alla fine uno.

 

“Devono essere qui, da qualche parte.” Replicò un altro.

 

“Non percepisco più le vibrazioni del sacro medaglione.” S’intromise il terzo. “Fratelli, sono certo che non possono essere lontani. Proviamo più indietro.”

 

“Sono d’accordo.” Riprese il primo. “Spostiamoci sulle montagne.” Con uno schiocco di dita, i tre si dileguarono nel nulla.

 

Sul ramo d’albero dove si erano arrampicati, nascosti dalle foglie particolarmente fitte, i quattro bambini tirarono un sospiro di sollievo, restando però a cavalcioni sul grosso ramo.

 

“Fiùùù…” sospirò Julie. “…c’è mancato un pelo…”

 

“Allora li avevo riconosciuti.” Disse cupo Dan. “Quelli erano davvero gli stronzi che ci hanno attaccato a casa.”

 

“Ma che cavolo vogliono da noi ora?” fece Jack.

 

“Quel coso, credo.” Gli rispose pensieroso il cugino.

 

“Beh, che vadano a quel paese.” Ribbattè Jack. “Io non glielo darò. E’ di mia mamma.”

 

“E poi chissà che cosa ci vogliono fare.” Annuì Dan.

 

Simon, che finalmente aveva recuperato i suoi vestiti – ancora umidi – ma aveva ancora addosso il giubbino del fratello – che gli andava un po’ grande – tossì forte e si strinse nelle spalle, tutto infreddolito.

 

Jack lo notò. “Hai ancora freddo?” gli chiese preoccupato.

 

“N-no.” Gli rispose piano il fratello, stringendosi di più il giubbetto addosso.

 

Dan si stropicciò il naso. “Dobbiamo trovare un posto dove passare la notte. Non possiamo dormire all’aperto stasera, con questo freddo.”

 

Jack annuì. “Si, magari in una di quelle grotte laggiù…”

 

Julie, che si stava frugando le tasche alla ricerca di un fazzoletto da offrire al cuginetto raffreddato, estrasse qualcosa e fece un gran sorriso. “Una caramella!”

 

Jack e Dan si voltarono di scatto verso di lei. “Cosa??”

 

“Non credevo di averla…” la bambina la fissò con molto entusiasmo, poi guardò i due più grandi senza avere il coraggio di chiedere…

 

“…va bene, dai, prendila tu.” Disse alla fine Dan, e Jack annuì. “In fondo sei l’unica femmina.”

 

Julie fece un gran sorriso e scartò la sua caramella; in quel momento Simon cominciò a tossire forte, e continuò per un paio di secondi in più del normale, poi alla fine si calmò. Julie guardò lui e di nuovo la caramella che aveva ancora in mano e riflettè un secondo, quindi si sporse in avanti e la offì al cuginetto. “Tieni.”

 

Simon scosse la testa, tirando su col naso. “No, è tua.”

 

“Mangiala tu.” Replicò lei. “C’è lo zucchero, magari ti calma un po’ la tosse.” Gli disse con un sorriso.

 

Alla fine Simon l’accettò. “Grazie, Julie.”

 

Dan guardò la sorella con un sorriso orgoglioso. “Tu sei proprio uguale a mamma, sei buona come lei.” le disse.

 

“E’ vero.” Annuì Jack con un sorrisetto. “Non sei niente male per essere una femmina.”

 

Julie rivolse a entrambi un sorriso contento.

 

 

***************

 

You and me, we’re in this together now

None of them can stop us now

We will make it through somehow                           

You and me, if the world should break in two

Until the very end of me

Until the very end of you

                                                           We’re In This Together, Nine Inch Nails

 

***************

 

 

Ron si fermò sulla soglia della porta della stanza dei figli; era tutta al buio, tranne per il raggio di luna piena che si rifletteva sul pavimento. C’erano ancora i giocattoli sparsi in disordine sulla piccola scrivania, il trenino di legno di Simon, la scopa di Jack…e il disegno grazie a cui Simon aveva ottenuto un voto altissimo a scuola, che il piccolo aveva orgogliosamente appeso sul suo letto, diede una stretta al cuore a Ron.

 

Hermione era seduta sul letto del figlio più grande; teneva stretti al petto la pluffa di Jack e uno dei libri di Simon, e aveva le guance rigate dalle lacrime. Ron le sedette accanto in silenzio, passandole un braccio attorno alle spalle e l’altro attorno ai fianchi, stringendola a sé e baciandole una tempia.

 

Lei per un po’ non disse nulla, sospirò e continuò a piangere senza emettere neanche un suono, semplicemente soddisfatta di stare con la testa appoggiata alla spalla del marito. “Lo sai, una volta pensavo…pensavo che fosse mia madre ad essere esagerata, perché quando io ero piccola le veniva l’ansia per niente, si preoccupava per qualsiasi cosa…” mormorò, tirando su col naso. “Io mi preoccupo ogni momento per Jack e Simon, se stanno bene, se sono sereni, se studiano, se sono prudenti…e ogni volta che vedo Jack su quella benedetta scopa, ti assicuro che il cuore mi finisce puntualmente in gola…però…in qualche modo riesco sempre a tenere la situazione sotto controllo… ma questo…questo è diverso, perché è così…così…”

 

Ron la strinse di più a sé. Era la stessa sensazione che provava anche lui, perciò la capiva bene. Sapeva quanto male facesse.

 

Hermione tirò un grosso sospiro fra le lacrime, nascondendo il viso nel suo collo. “…non li voglio altri figli, Ron. E non è solo perché forse non possiamo averne più…” gli disse piano. “…se anche potessimo farne uno subito, non potrebbe mai, mai…prendere il posto di Jack e Simon.”

 

Ron annuì, accarezzandole un braccio. “Ce li riprenderemo, te lo giuro.”

 

Lei singhiozzò piano nel suo collo. “…se tu sapessi quanto li vorrei qui ora…”

 

Lui sospirò e le baciò la fronte e le labbra, scansandole i capelli dagli occhi. “Già. Se fossero qui, starebbero giocando da qualche parte in casa…forse le scale, visto che è dove gli diciamo sempre di non giocare…” e qui entrambi fecero un piccolo sorriso. “…ignorando il fatto che è ora di andare a dormire…”

 

Lei annuì. “O starebbero litigando.”

 

Anche lui fece un sorrios triste. “Lo fanno proprio sempre, eh?”

 

Hermione tirò su col naso. “Forse un po’ troppo…te ne preoccupi mai?”

 

“Nemmeno per un minuto.” Le disse Ron, con un’espressione tranquilla. “Fidati, sono cresciuto in una famiglia con sei fratelli. E’ più che normale, sarebbe strano il contrario.”

 

Lei tornò a rilassarsi nel suo abbraccio. “Hai ragione tu…e poi so che al momento del bisogno si aiutano l’un l’altro.”

 

Ron fece un sorrisetto. “Come abbiamo sempre fatto io e te. Un po’ è colpa nostra se sono così.” Hermione sorrise. “E ne vado fiero. Mi piacciono, tutti e due. Sono forti, sono testardi, sono coraggiosi e intelligenti. E sono pronto a scommettere che dovunque siano, se la stanno cavando alla grande.”

 

Hermione annuì e si asciugò le lacrime. “Già.” E così dicendo rigirò il palmo della mano verso l’alto, mostrando cosa stava stringendo: la pietra magica che i bambini avevano regalato a lei e a Ron per il loro anniversario. Anche lui fece un piccolo sorriso nel vederla, e strinse la sua mano attorno a quella più piccola di Hermione.

 

E qualche istante dopo accadde qualcosa di inaspettato.

 

La pietra s’illuminò di una piccola luce azzurra, e Ron e Hermione la osservarono stupiti: avevano capito che fosse poco più che un giocattolo…e invece stava funzionando davvero, perché un secondo dopo proiettò un’immagine: Dan, Julie, Jack e Simon stavano parlottando mentre camminavano in uno sfondo che aveva tutta l’aria di essere un bosco. L’immagine scomparve un momento dopo, e anche la luce si dissolse.

 

Ron e Hermione si guardarono un momento in faccia ad occhi sbarrati, prima di balzare in piedi e correre fuori dalla stanza.

 

 

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Prima di qualsiasi altra cosa, ci tengo a scusarmi con tutti quelli che stavano aspettando questo capitolo in tempi più brevi, e anche con i ragazzi che mi hanno chiesto di leggere le loro storie: mi dispiace tantissimo, ma non ho avuto tempo per niente questa settimana. Una persona a me molto cara sta attraversando un periodo difficilissimo, e non riesco a fare altro che rimanerle accanto tutto il tempo, senza pensare al resto. Volevo che questo capitolo riuscisse ancora meglio…ma al momento è il massimo che mi sia riuscito. Non l’ho neanche riletto, spero solo che in base al vostro giudizio sia all’altezza degli altri.

 

Un bacio enorme a Shinko_88, a Kiara (ti capisco, anch’io odio i problemi con il pc…oh, e sono riuscita a leggere di sfuggita una tua storia, e l’ho recensita subito! Mi è piaciuta moltissimo!), a Vale (sai, la tua recensione mi ha tirato un po’ su di morale in un momento non proprio allegrissimo…), a Oby86 (sono molto contenta che tu abbia questa sensazione riguardo ai bambini, perché è quello che volevo che s’intendesse…perciò se è questo che tu hai percepito, ci sono riuscita ^^), Herm (grazie!), a Eli (mi fa sempre una marea di piacere ricevere una tua recensione, anche se non è sempre!), a giuggy (pc cattivo il tuo…povera!) e a Roby Chan.

 

Spero con tutto il cuore di avere più tempo per aggiornare prima la storia…comunque vi do una meritata anticipazione: nel prossimo capitolo “Il cerchio si stringe” i bambini usciranno dal bosco (finalmente!) e sapranno anche perché ci hanno messo tanto…e i War Mage? Faranno qualche passo avanti nelle loro ricerche? ^^

 

Baci baci,

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Il cerchio si stringe ***


DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 9: IL CERCHIO SI STRINGE

 

 

Nothing’s fine I’m torn

I’m all out of faith…this is how I feel

I’m cold and I’m ashamed lying naked on the floor…                    

Illusion never changed into something real

I’m wide awake and I can see

The perfect sky is torn…

                                                                                  Torn, Natalie Imbruglia

 

 

***************

 

 

Simon stava davvero facendo appello a tutta la sua buona volontà per non buttarsi a terra e aspettare che qualcuno – possibilmente i suoi genitori – lo trovasse. Aveva un gran freddo nonostante il giubbino del fratello, gli facevano male le ossa e la testa gli rimbombava ad ogni colpo di tosse, e più camminava più faceva fatica a tenere gli occhi aperti.

 

Gli altri bambini sembravano rendersi conto della gravità della situazione, perché avevano rallentato un bel po’ la loro andatura; Jack camminava al fianco del fratello, e quando lo vedeva più in difficoltà gli dava una mano a proseguire. Gli faceva tenerezza vederlo in quello stato: quando non stava bene Simon non si lamentava mai, ma si metteva in braccio al padre o alla madre e si lasciava coccolare buono buono. E invece ora non solo non aveva con sé i suoi genitori, ma era anche costretto a continuare la marcia senza nemmeno riposarsi più di tanto.

 

Dan si riparò gli occhi dal sole con una mano e si guardò intorno. “Vorrei tanto sapere dove caspita siamo. Brontolò.

 

Simon barcollò e crollò sulle ginocchia, ansimando. Jack gli fu subito accanto. “Ehi!” anche Dan e Julie si voltarono di scatto.

 

Il piccolo si stropicciò gli occhi. “Andate avanti…io vengo fra un minuto…” mormorò col fiato corto.

 

Jack gli sentì la fronte col palmo della mano e guardò preoccupato Dan, che si grattò una tempia nel tentativo di pensare a qualcosa. Julie, però, sembrò aver visto qualcosa alle loro spalle, perché strattonò il fratello. “Dan, guarda!”

 

Il bambino subito si voltò. C’erano delle pecore – tre, quattro…no, almeno una decina se non di più – che stavano belando e andando nella loro direzione. Dan s’illuminò... “Pecore…non siamo molto lontani da qualche paese!” esclamò.

 

“Si!” squittì Julie.

 

“Dai, Simon, è l’ultimo sforzo!” fece Jack al fratello. “Forza, ti porto sulle spalle se vuoi. Simon lo guardò con un’espressione esausta.

 

In quel momento si sentì un abbaiare ripetuto e in avvicinamento, e i bambini si voltarono di scatto: un grosso pastore maremmano li raggiunse in poche zampate, e Julie subito si nascose dietro suo fratello.

 

E questo da dove arriva?” fece Dan, accigliato.

 

Il cane continuò ad abbaiare fino a che, pochi secondi dopo,  non si sentì una voce. “Isabelle! Buona!”

 

Dalla stessa direzione del gregge arrivò di corsa un ragazzino coi capelli biondi, piuttosto alto ma con molta probabilità non più che tredicenne, con un grosso cappello di paglia in testa e un paio di pantaloni marroni piuttosto ampi. Il cane smise di abbaiare e sgattaiolò accanto al suo padrone, che le arruffò i peli sulla schiena. “Sta’ buona, bella. Poi alzò lo sguardo e vide i quattro bambini. “E voi chi siete? Che ci fate qui?”

 

“Tu che ci fai?” ribatté Dan con prudenza.

 

Il ragazzino mise le mani sui fianchi. “Oh bella, io vivo qui. Mi chiamo Martin, e voi?”

 

“Io sono Daniel, questa è mia sorella Julie e loro sono i miei cugini, Jack e Simon. Julie gli fece timidamente ciao con la mano.

 

“Ciao, piacere.” Replicò allegramente il ragazzino.

 

“Ehm…tu sei un babbano, giusto?” provò Jack.

 

Martin inarcò un sopracciglio. “Come, scusa?”

 

“E’ un babbano.” Fece a bassa voce Jack.

 

“Spiegatemi un po’…da dove venite? Non mi dite che state venendo dal bosco maledetto?” Martin spalancò gli occhi per un momento.

 

Stavolta fu Jack a guardarlo confuso. “Bosco maledetto?”

 

“Si, quello che avete alle vostre spalle. Non ci viene mai nessuno qui, è considerato un posto infestato dai demoni perché succedono sempre cose strane. Dicono che molti secoli fa ci venivano gli stregoni a fare le magie. E chi ci entra ne esce difficilmente.”

 

Quindi siamo stati bravi a metterci “solo” una settimana, pensò Dan.

 

“E comunque che ci fanno quattro mocciosetti piccoli come voi tutti soli da queste parti?”

 

“…ehm…” Dan cercò di prendere tempo.

 

“…abbiamo perso la strada per casa dei nonni. S’intromise Jack.

 

Dan annuì. “Si. Sai, loro ci dovevano venire incontro a metà strada e…”

 

“…e non ci siamo ancora incrociati.” Finì Jack.

 

Martin si accigliò. “I vostri nonni vivono giù in paese?”

 

Dan annuì piano, incrociando le dita alle sue spalle. “Eh già…”

 

All’improvviso il ragazzino fece un gran sorriso. “Ah, ho capito! Siete i nipoti dei signori McDugall!”

 

Dan, Jack e Julie, che avevano trattenuto il respiro per un momento, si rilassarono e annuirono serenamente, sperando che i veri nipoti di questi McDugall non si fossero già presentati.

 

Ma certo, ora è tutto chiaro.” Riprese Martin. “I vostri nonni vi stanno aspettando con ansia già da qualche giorno, sono sempre così soli.

 

“…uhm…e quanto manca da qui al paese?” provò Dan.

 

“Non tantissimo, saranno un paio d’ore di cammino se seguite quel sentiero laggiù. Il ragazzino glielo indicò. Simon tossì forte, e Martin finalmente lo notò. “Ehi, e lui che cos’ha?”

 

“Non si sente bene. Disse semplicemente Jack.

 

Martin si avvicinò a Simon e gli appoggiò una mano sulla fronte. “Lo credo bene, ha un febbrone da cavallo. Dovresti prendere lo sciroppo, sai.”

 

“Non ce l’abbiamo con noi.” Rispose Jack.

 

“Beh…se volete potete fermarvi per qualche minuto da me, io lo sciroppo ce l’ho.” Fece tranquillamente Martin. “Casa mia è proprio dietro quegli alberi laggiù.”

 

Jack guardò un momento Dan, che dopo qualche attimo di indecisione annuì. “Ok, va bene.”

 

“Venite.” Disse Martin, tirandosi dietro il cagnolone. Jack prese Simon per un braccio e lo seguirono. “Non c’è nessuno oggi a casa perché i miei genitori sono andati giù in paese dal dottore. Sapete, mia mamma aspetta una bambina.”

 

“Allora avrai una sorella.” Fece Dan, sempre camminando.

 

Martin scrollò le spalle. “Non è che questo mi faccia un gran piacere. Com’è avere una sorella più piccola?”

 

“A volte è un casino, perché tutti danno ragione a lei. Replicò Dan, ottenendo un’occhiataccia dalla sorella. “Ma poi non è proprio bruttissimo. Qualche volta sono anche divertenti.”

 

“Speriamo che questa bambina almeno non pianga troppo. Solo un centinaio di metri dopo la piccola comitiva si ritrovò nella fattoria di Martin; era molto calda e accogliente, e ai bambini entrando questa sensazione piacque molto. “Eccoci qui, benvenuti a casa mia.

 

“…è molto carina…” disse piano Julie, molto timidamente.

 

“Grazie.” Rispose il ragazzino, e Julie arrossì furiosamente. “Sedetevi pure, vado a prendere lo sciroppo.

 

Jack aiutò Simon a sdraiarsi sul divano, Julie invece si guardò in giro con aria interessata e a un certo punto vide qualcosa. “Ehi, guardate! E’ come quello di nonno.” Disse ai due più grandi, indicando un telefono su un tavolino nel corridoio.

 

Jack si sporse in avanti per guardare. “…uhm…si, ma quello di nonno è da collezione, funziona poco.

 

Dan si accigliò. “Si, però…”

 

In quel momento rientrò Martin con un cucchiaio in mano. “Ecco qui la medicina. Disse a Simon, mettendoglielo vicino alle labbra. “Dai, apri la bocca, poi starai subito meglio.

 

Simon gli obbedì e non potè fare a meno di ingoiare il liquido amaro che subito si sentì scendere in gola, ma arricciò il naso e fece una faccia disgustata. “…che schifo…”

 

Martin ridacchiò. “Già, però è molto efficace, credimi.

 

“…ehm…senti Martin, ti dispiace se faccio una telefonata?” chiese Dan, e Jack lo guardò con le sopracciglia inarcate per lo stupore.

 

“No, fa’ pure.”

 

Dan raggiunse il mobile nel corridoio su cui stava il telefono, cercando di ricordarsi con precisione il numero dell’apparecchio che nonno Weasley teneva per casa nel tentativo di imparare ad usarlo bene. Ma appena alzò la cornetta sentì la mano del cugino sul braccio.

 

Ma a che ti serve un telefono?” gli chiese Jack. “Non ce l’abbiamo mica a casa questo coso.”

 

“Nonno ce l’ha.”

 

“Ma non lo sa usare, e poi è da collezione.

 

“Meglio che niente, io ci provo.” Dan cominciò a digitare il numero sulla tastiera del telefono e rimase in attesa, mentre Jack continuava a guardarlo con uno sguardo attento e leggermente speranzoso nonostante il suo scetticismo. Uno squillo, due, tre, quattro…poi finalmente la cornetta venne alzata e il viso del bambino si illuminò. “Nonno? Nonno, sono io! Sono…pronto? Nonno, mi senti? Non-…uffa!” piuttosto irritato, Dan mise giù la cornetta.

 

“Allora?” chiese Jack.

 

Dan scosse la testa. “Nah, niente da fare. E’ caduta la linea proprio mentre mi stava rispondendo.

 

Jack scrollò le spalle. “Te l’avevo detto.

 

Dan sbuffò. “Vabbè, dai. Riproveremo in paese, con un po’ di fortuna non ci sono solo babbani.

 

“Fortuna? Noi?” Jack inarcò un sopracciglio nello stesso irritante modo in cui lo faceva sempre suo padre.

 

Julie, nel frattempo, lasciò Simon che si era addormentato sul divano e raggiunse Martin nella cucina, che stava rimettendo a posto lo sciroppo. La bambina lo guardò timidamente, ciondolandosi da un piede all’altro, ma un momento dopo il suo sguardo cadde sulla forma di formaggio che stava sul tavolo, e spalancò occhi e bocca.

 

Martin, voltandosi, la vide e seguì il suo sguardo. Istintivamente sorrise. “Che c’è, hai fame?”

 

Julie sobbalzò e arrossì furiosamente. “…ecco…io…”

 

Il ragazzino ridacchiò. “Dai, te ne do un po’.

 

Dan e Jack entrarono proprio in quel momento, e nel vedere Martin alle prese con il formaggio rimasero immobili con gli occhi sbarrati e la mascella che rasentava i piedi. Martin rise.

 

“Ok, ok. Pane e formaggio per tutti.”

 

 

***************

 

 

“Hermione, è qualcosa come la centesima volta che te lo ripeto. Non c’è una sola zona di verde in tutta l’Inghilterra che non abbiamo già passato al setaccio.

 

Josh cercò di rivolgersi alla sua collega con calma. Erano nella sala grande del quartier generale, e stavano facendo del loro meglio per segnare sulla cartina tutti i luoghi già verificati, ma a quanto sembrava qualcuno aveva difficoltà ad accettare che Ron e Hermione si erano impuntati sulla necessità di frugare meglio parchi, boschi e riserve naturali.

 

Hermione si stava innervosendo. “Senti, ora cominci davvero a darmi su i nervi. Forse non sono stata abbastanza chiara.”

 

“No, tu sei stata chiarissima. Fin troppo. Hai visto i bambini camminare in un prato alberato grazie ad una pietra giocattolo dei tuoi figli. Replicò sarcastico Josh.

 

“Non è un giocattolo, e ha funzionato sul serio!” ruggì Hermione.

 

“Hermione, ti prego, calmati.” Intervenne Remus.

 

Lei si voltò verso di lui di scatto. “Dio mio, ma è possibile che nessuno mi crede?! Sono parte dei War Mage da quasi quindici anni, dannazione, e sono abituata a saper distinguere un indizio da una bufala!”

 

“Già, ma questa volta sei troppo coinvolta, è chiaro che…” cominciò Josh, ma Remus gli coprì la voce con la sua.

 

“Abbiamo frugato la Scozia, la costa meridionale, il Galles e anche la zona delle montagne. Quelle sono le parti più verdi di tutta l’isola…”

 

E allora cercheremo nel continente.” Disse Harry fermo.

 

Ike inarcò un sopracciglio. “In tutta l’Europa?”

 

“Anche in tutto il mondo, se sarà necessario. Replicò sferzante Harry. “Anche se dovessimo cercarli solo noi tre. Cazzo, le vite di quattro bambini piccoli sono in pericolo, e io non mi fermerò finchè non li avrò ritrovati.

 

Josh sospirò. “Harry, io capisco quello che state passando, ma…”

 

“No, tu non capisci un cazzo invece!!” Ron sbattè con violenza i pugni sul tavolo, cogliendo un po’ tutti di sorpresa. “Tu non hai due figli di 10 e 7 anni sperduti Dio solo sa dove, e in chissà quali condizioni!! Tu non puoi capire cosa significa andare a letto la sera e non avere idea di dove sono e cosa stanno facendo i tuoi bambini, se stanno bene, se hanno freddo…tu tutto questo non puoi capirlo, Josh, tu puoi solo sputare sentenze a vuoto!!”

 

Calò il silenzio. “Ron, mi dispiace.” Fece piano Josh. “Io non…”

 

“Appunto.” Replicò duro Ron. “Tu non.”

 

Liam lasciò passare qualche secondo prima di intromettersi. “Va bene, siamo tutti molto tesi. Dobbiamo cercare di mantenere il sangue freddo, almeno per i bambini.

 

In quel preciso istante la porta si spalancò di scatto e ne entrò una Ginny trafelata e ansimante, che si stava stringendo al petto un foglio di carta.

 

Che è successo?” Harry le fu subito accanto.

 

Ginny tentò di riprendere fiato. “I bambini…sono riusciti a telefonare a papà!”

 

Cosa?!” scattò Hermione.

 

“Come hai detto?!” incalzò Ron.

 

Aspetta, aspetta, spiegati meglio.” Fece un fremente Harry.

 

“Papà ha ricevuto una telefonata sul suo telefono babbano stamattina. Disse elettrizzata Ginny. “La linea è caduta subito, ma lui è sicuro di aver sentito la voce di Danny. Prima che qualcuno potesse interromperla, lei andò avanti. “Sono corsa al Ministero immediatamente, e Percy si è fatto dare il decoder per…”

 

“Da dove proveniva il segnale?” chiese subito Ron.

 

“Irlanda. Questa è la posizione precisa.” Ginny diede al marito il foglio che teneva in mano. Harry ebbe a malapena il tempo di stamparla un bacio sulle labbra a volo prima di schizzare fuori dalla stanza assieme a Ron e Hermione, seguito dagli altri.

 

Remus si fermò un secondo davanti a Ginny con un sorriso. “Sei stata molto preziosa, Ginny.

 

Lei fece un sorriso breve e teso. “Trovate i bambini, vi prego.

 

Lui annuì ed uscì.

 

 

***************

 

 

“Martin è stato proprio gentile, eh?” disse Julie, mentre camminava lungo il sentiero tenendo per mano Simon, che sembrava molto tranquillo mentre finiva di mangiucchiarsi il suo pane e formaggio.

 

Jack ridacchiò. “Pensa se poi incontra quei tizi che ha detto che sono i nostri nonni e gli racconta di noi!” anche Dan rise.

 

“Si, ridete pure.” S’intromise Julie. “Però è stato proprio buono con noi.

 

“Certo...” fece Dan, chiaramente deciso a prenderla in giro. “…e poi era biooondo, con gli occhi azzuuuurri…”

 

E questo che vuol dire?!” replicò lei, tutta rossa.

 

Dan rise. “A te piaceva.” Ridacchiò Jack.

 

Julie fece a entrambi la linguaccia. “Che scemi che siete. Intanto per merito suo Simon sta molto meglio.

 

“Questo è vero.” Annuì Jack, dando un’occhiata al fratello. Aveva ancora un po’ di febbre, ma stava già molto meglio con la tosse e riusciva a camminare con minore fatica di prima.

 

“Si, ma a quanto pare gli ha consumato la lingua, non parla più.” Osservò Dan.

 

Jack scosse la testa. “No, è normale. Simon sta sempre zitto quando non si sente bene. Papà dice che si capisce quando ha la febbre perché non parla. Però almeno non si lagna mai, è tranquillo.”

 

Dan sfoderò il suo magico sorrisetto di marca Potter. “Cento volte meglio di Julie. Lei invece se non si sente bene piagnucola in continuazione.

 

“Sempre meglio di te, che pari un morto.” Ribatté la sorella, senza lasciare la mano di Simon mentre camminavano.

 

Jack ridacchiò. “Io invece quando non sto bene ne approfitto per fare quello che voglio anziché studiare.”

 

Julie scrollò le spalle. “Ognuno fa quello che vuole.

 

Jack, che teneva sulle spalle lo zaino del fratello, si fermò tutto all’improvviso e lo mise giù. “Ehi, guardate là.

 

Anche gli altri bambini si bloccarono. Per terra a pochi metri di distanza da loro stava una grossa torta tutta coperta di panna e ciliegine. In mezzo a un bosco?! “…e che cavolo ci fa quella lì?!” fece sospettoso Dan. “Chi ce l’ha messa…?!”

 

Jack avanzò piano, spinto dalla curiosità, e altrettanto piano allungò la mano per sfiorare la panna sulla torta…ma in quel preciso istante una mano avvolta in un guanto rosso spuntò proprio dal centro del dolce e gli avviluppò il polso, trascinandolo con forza in avanti.

 

“Jack!!” Dan si tuffò in avanti appena in tempo per afferrare il braccio del cugino e cercare di tirarlo verso di sé. “Tieni duro!!”

 

Jack sembrava in gran difficoltà, visto che lo stavano tirando da due parti opposte. “Mi state spezzando in due!!!” strillò, dolorante.

 

“…resisti!!” Dan ci stava mettendo davvero l’anima per non mollare il braccio del cugino, ma uno strillo acuto della sorella gli fece voltare la testa di scatto.

 

Un uomo vestito e incappucciato di rosso stava in qualche modo trattenendo fra le braccia Julie e Simon, che si dimenavano e scalpitavano al meglio delle loro possibilità.

 

“Lasciami stare, brutto mostro!!!” strillò Julie.

 

“Mettimi giù!!” Simon scalciò forte ma inutilmente.

 

Dan ebbe a malapena un istante per tormentarsi su cosa fare e chi dei tre aiutare, perché un momento dopo un paio di braccia rudi lo tirarono indietro, trattenendolo vigorosamente.

 

“Lasciami!!” qualsiasi tentativo di Dan di divincolarsi si rivelò inutile: l’uomo in rosso lo stava tenendo fermo fin troppo rigidamente.

 

“Avete finito di scappare, mocciosetti.” Fece l’uomo con un sinistro sorriso.

 

 

***************

 

 

“…no, non credo. Non conosco questo numero.

 

“Non siamo stati in casa questa mattina, quindi è impossibile che abbiamo fatto alcuna telefonata.”

 

I due coniugi che abitavano nella casa da cui era partita la telefonata sembravano più confusi che mai, nonostante i War Mage per interrogarli si fossero travestiti da poliziotti babbani.

 

“La prego, signora, cerchi di ricordarsi. Disse Hermione. “E’ molto importante, c’è la vita di quattro bambini piccoli in pericolo.

 

“Siete sicuri che non c’è stato proprio nessuno in casa?” anche Harry tentò di insistere.

 

L’uomo scosse la testa. “Si, possiamo garantirlo. Siamo stati alla visita medica di mia moglie giù in paese.

 

“Non avete trovato segni d’infiltrazione?” chiese Ron. “Non si è introdotto nessuno in casa?”

 

La signora ci riflettè. “No. Ma forse…” si voltò verso l’ingresso della sua casa. “Martin?”

 

“Nostro figlio doveva portare il gregge al pascolo, comunque può darsi che almeno lui sappia qualcosa.” Spiegò l’irlandese.

 

Il ragazzino biondo raggiunse i genitori sulla soglia della porta, guardando con aria confusa i poliziotti.

 

“Martin, tesoro, tu dove sei stato stamattina?” gli chiese la madre.

 

“A pascolare le pecore, perché?” replicò lui, ancora confuso.

 

“Questi signori dicono che stamattina dal nostro telefono è stata fatta una telefonata a un numero che noi non conosciamo.” Gli disse il padre. “Tu ne sai niente?”

 

“No, certo che no.” Poi, però, si accigliò per un attimo. “A meno che…”

 

“A meno che?” lo incalzò Harry.

 

“Forse sono stati quei ragazzini.” I War Mage s’irrigidirono all’istante.

 

“Quali ragazzini?” fece sua madre.

 

Martin scrollò le spalle. “Quattro bambini che si erano persi. Li ho portati a casa per un paio di minuti, e ora che mi ci fate pensare hanno fatto una telefonata. Erano morti di fame.”

 

Hermione s’inginocchiò al livello del ragazzino. “Ascolta, potresti descrivermi un po’ questi bambini? Quello che ti ricordi, capelli, occhi, quanto erano alti…qualunque cosa.

 

“Mmh…” Martin si grattò una tempia. “Beh, mi ricordo bene che Daniel aveva i capelli neri…e l’altro era rosso…invece i più piccoli erano tutti e due castani….anche la bambina, si…”

 

Harry sentì una stretta al cuore a sentir parlare dei figli, e lui e Ron si scambiarono un’occhiata densa di emozioni: i bambini erano veramente vivi!

 

Hermione cercò di mantenere la calma. “Daniel, hai detto?”

 

“Si…ma perché?” chiese un po’ confuso il ragazzino.

 

“Ascolta, Martin, in questo momento i bambini che tu hai incontrato sono in grave pericolo. Gli disse piano Hermione. “Tu puoi aiutarci a ritrovarli in tempo. Sai che direzione hanno preso?”

 

“Beh…a me hanno detto che andavano a incontrare i nonni giù in paese, quindi sono andati per quel sentiero laggiù.” Le disse, indicandoglielo. “Si sono avviati stamattina, quindi forse sono già arrivati in paese. Ma…” Martin avrebbe voluto capirci un po’ di più, ma Hermione gli prese la mano e gli fece un sorriso.

 

“Ti ringrazio moltissimo, Martin. Ci sei stato davvero di grande aiuto. Il ragazzino arrossì.

 

Congedatisi con un saluto e un altro grazie, i War Mage non si fermarono a far tornare normali le loro uniformi, preferirono farlo mentre percorrevano rapidamente il sentiero indicato. Alla velocità a cui correvano ci misero meno di un quarto d’ora prima di raggiungere un ostacolo che si schierava sulla loro via: Ron raccolse l’oggetto da terra e ci mise un istante a riconoscerlo.

 

“E’ lo zaino di Simon.” Mormorò teso, passandolo alla moglie.

 

Hermione prese lo zainetto e subito se lo strinse al petto, quasi come se l’aiutasse a sentire la presenza del suo bambino.

 

“Guardate qui.” Fece Sirius, indicando con la bacchetta per terra. C’erano molte orme grandi e piccole nel terreno polveroso, alcune anche accavallate fra di loro.

 

“Sono i segni di uno scontro.” Disse Liam senza staccare gli occhi da terra.                

 

“Quei bastardi sono arrivati prima di noi. Harry serrò forte i pugni.

 

Remus si inginocchiò e tastò il terreno. “La terra è ancora instabile…deve essere successo da poco.

 

“Muovetevi, cerchiamo qualsiasi cosa possa fare da passaporta qui in mezzo!” disse Ron, e tutti presero a frugare intensamente la zona.

 

“Aspettate un momento.”

 

Harry, Ron, Charlie e Bill si fermarono all’istante, voltandosi verso Hermione. Lei teneva in mano qualcosa che mostrò con un viso più cupo che mai.

 

“Merda.” Ron serrò la mascella.

 

Harry s’irrigidì nel riconoscere il tanto discusso medaglione. “Dannazione…se questo coso è qui…”

 

Hermione annuì. “…li uccideranno perché non gli servono a niente.

 

“Muoviamoci, dobbiamo trovare…” Bill fece per riprendere la ricerca, ma Hermione li interruppe di nuovo, attirando anche l’attenzione degli altri.

 

“No, un attimo. Forse c’è un’altra soluzione. Disse nervosamente, guardando per un secondo il medaglione e poi mostrandolo agli altri. “Io credo che questo sarà la nostra passaporta.

 

Sirius inarcò le sopracciglia. “Intendi dire che sai come controllarlo?”

 

“Voglio provarci.”

 

Liam non esitò. “Sei certa che quell’affare sia in grado di trasportarci dove sono i bambini?”

 

“Questo talismano appartiene al demone, e se comandato a cercarlo lo troverà. Rispose lei.

 

“Ok, proviamoci.” Annuì Harry.

 

I War Mage si disposero quanto più vicini possibile a Hermione, che si rivolse un incantesimo per modificare la propria lingua: e quando parlò nessuno capì che era celtico antico, la lingua che aveva letto sulla stele di Stonehenge. E man mano che parlava il medaglione si illuminava un po’ di più…finchè la luce non si fece enorme, avvolgendo tutti i presenti in una specie di grossa sfera luminosa colorata.

 

La luce si dissolse solo qualche minuto dopo. Harry, Ron, Hermione, Sirius, Liam, Remus, Ben, Bill e Charlie si guardarono subito intorno, serrando i ranghi e tenendo ben salda la bacchetta in mano. Si, giacchè l’ambiente attorno era piuttosto inquietante.

 

Tanto per cominciare, il cielo era completamente annuvolato e attraversato da saette e lampi, e i tuoni spaccavano i timpani. Erano in una radura altamente ventosa, i rami si spezzavano per le raffiche di aria fredda e secca; il paesaggio era desolato per molte miglia, ma dritto davanti a loro si ergeva piuttosto isolata una grossa montagna rocciosa con un ingresso buio e piena di stalattiti che, dalla profondità con cui si estendeva, sembrava una caverna.

 

Ma che bel posticino.” Commentò Charlie, assicurandosi al meglio la sua presa sulla bacchetta.

 

Dove diavolo siamo?” chiese Ron, guardandosi bene attorno come un falco.

 

Remus sollevò uno strano oggetto, che dopo qualche istante materializzò un nome nell’aria. “Località non meglio definibile come isola a nord dell’Irlanda.

 

“Mh.” Annuì Liam. “Ben, tu e Remus resterete qui e cercherete di ripristinare i contatti con la centrale. Non abbiamo passaporte per tornare indietro, datevi da fare per ritrovare la strada di casa.

 

I due annuirono. “Andiamo.” Fece Sirius, e il gruppo armato cominciò la sua marcia.

 

La prima cosa che fecero entrando i War Mage fu tenere illuminate le punte delle bacchette: era buio pesto, e per di più furono subito accolti da un folto gruppo di pipistrelli che svolazzavano a bassa quota fino all’uscita della grotta.

 

“Sempre meglio…” fece Bill.

 

“Giuro che questa è la puzza peggiore che abbia mai sentito in vita mia. Disse Harry, sollevando un po’ di più la bacchetta per farsi più luce.

 

Hermione si bloccò un attimo. “Sshh, fate silenzio!...non sentite questo rumore?”

 

Charlie si accigliò. “Quale rumore?”

 

Tutti rimasero fermi, tendendo le orecchie per cercare di captarlo. Sembrava il rumore di un qualcosa che fendeva l’aria, quasi come un soffio intenso di vento…

 

All’improvviso Liam puntò la bacchetta alle spalle di Hermione e urlò “Immobilus!”

 

Tutti rimasero come impietriti e Hermione si voltò molto lentamente alle sue spalle, ma non c’era niente. Liam in due passi la raggiunse, prese da terra un pugno di terreno e lo gettò davanti a sé: dalla roccia della parete partiva una lama sottile quanto un foglio di carta ma tagliente al massimo, che ora era finalmente visibile grazie al terreno, ed era a neanche un centimetro di distanza dalla schiena di Hermione. Ron l’afferrò per un braccio e l’attirò a sé, allontanandola dalla lama. Hermione guardò Liam per ringraziarlo ma lui annuì una volta con un breve sorriso, facendole capire che non c’era bisogno di alcun grazie.

 

“Revelo.” Fece Sirius, puntando a terra la bacchetta. Lungo tutta la caverna c’erano lame, corde, grossi buchi a terra e un’infinità di tranelli sparsi da ogni parte che solo grazie all’incantesimo erano visibili.

 

“Mh. Almeno adesso sappiamo di aver fatto centro. Disse piano Harry. “L’amico è qui e non vuole essere raggiunto.

 

“Aspetta che gli metta le mani addosso.” Ruggì Ron, serrando la presa sulla sua bacchetta.

 

“Andiamo avanti con molta prudenza, perché questo posto è più infido di quanto non sembri. Mormorò Liam.

 

Il gruppo di War Mage riprese la marcia con particolare attenzione. Hermione fece scivolare una mano in tasca e strinse la pietra che i bambini le avevano regalato per l’anniversario del loro matrimonio. State tranquilli, piccoli miei. Mamma e papà stanno arrivando.

 

 

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Prima di andare avanti, vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno mandato e-mail in queste settimane: Any, Isa, Giò, Rachel, Alexis, Fede, Abby, Nora, Marco e Try. E ovviamente ai ragazzi che hanno recensito da quando mia sorella ha rimesso le sotire on-line: Kiara, Ilary e ancora Alexis (hola, maestro! ^^) Grazie di cuore, ragazzi! Quelli che ho potuto li ho ringraziati di persona, gli altri li saluto da qui. Mi dispiace di non aver potuto aggiornare la mia storia in questo periodo, ma come saprà chi fa parte del gruppo di mia sorella, non è stato un momento facile. Comunque voglio tranquillizzarvi tutti, questa storia sarà finita al più tardi entro la fine del mese. Non ho la minima intenzione di abbandonarla.

 

Ho notato che Erika ha avuto non pochi problemi col sito mentre ero via…peccato, ho perso tutte le mie recensioni! Vabbè…ne arriveranno delle altre, spero. Manca ancora qualche capitolo prima della conclusione della storia…e saranno tutti molto densi di azione. Molta azione. Fidatevi, il ritmo sarà scattante al massimo ^^

 

Oh, e prima di concludere…questo capitolo e anche tutti quelli che verranno sono interamente dedicati a mia sorella Nenè: non solo perché ha fatto un esame da far vergognare Hermione Granger, e siamo tutti molto fieri di lei, ma anche perché durante la mia assenza si è occupata di tutte le mie cose, dei miei cani e soprattutto è diventata una moderatrice modello! ^^ Né, sei la migliore!

 

Beh…vi lascio. Ci vediamo al prossimo capitolo “Nella tela del ragno”, che vi prometto sarà on-line molto prima di quanto pensate!

 

Sunny

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Capitolo 10
*** Nella tela del ragno ***


                                               DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 10: NELLA TELA DEL RAGNO

 

 

Ehi Daddy, this demon haunts me

Ehi Daddy, they’re takin’ me away                                     

By facing me and my soul…

Please, help me…

                                                           Ehi Daddy, Korn

 

 

***************

 

 

I tre uomini in rosso fecero entrare I bambini in quella che sembrava una sala ricavata bell’antro più profondo della caverna, illuminata dalle fiamme di alcune fiaccole che pendevano dalle pareti, ma la parte più in fondo era completamente al buio.

 

“Finalmente.”

 

Un’ombra uscì dal buio, completamente coperta fin dalla testa da un mantello nero. Avanzò a passi lenti ma sicuri, fino a venire alla luce.

 

“Tutto questo tempo per prendere quattro soldi di cacio.” Sibilò.

 

Dan lo guardò con rabbia. “Ha parlato la Torre di Londra.”

 

L’ombra si voltò leggermente verso di lui. “Sei molto coraggioso.” Sibilò lentamente. “O sei un pazzo incosciente.”

 

Dan non rispose, ma lo squadrò dall’alto in basso con lo sguardo. Uno dei tre uomini in rosso chinò il capo e uscì.

 

“Bene.” La voce dell’ombra assomigliava al sibilo freddo e sferzante di un serpente. “Ora forse è il caso di passare ai fatti. Non credete anche voi?”

 

Senza un minimo di preavviso l’ombra si tirò giù dalla testa il cappuccio, in modo da mostrarsi in piena luce. I bambini fecero qualche passo indietro, inorriditi e spaventati, e Julie soffocò uno strillo fra le mani. Il demone che avevano davanti faceva davvero paura: aveva la pelle grigia e squamata, gli occhi gelidi e viola, i denti che si mostravano attraverso le labbra nere erano appuntiti, e la sua espressione era perfida e compiaciuta di essere tale.

 

“Paura?” disse provocatorio ed entusiasta, godendosi il panico e il terrore dei bambini.

 

Dan guardò sua sorella: tremava come una foglia. Eh no! Nessuno poteva fare paura alla sua sorellina in quel modo! Raccolse tutto il suo coraggio e strinse forte i pugni, quindi guardò il demone con aria di sfida. “Nemmeno un po’.”

 

“Già.” Fece Jack, ed era piuttosto evidente che anche lui si stava sforzando di non mostrarsi spaventato. “Sembri…uscito da un fumetto squallido.”

 

Il demone inarcò un sopracciglio. “Davvero?” si avvicinò al ragazzino e gli piantò a due passi dal viso una mano, da cui si sollevarono di scatto degli artigli lunghi e affilati. Jack fece un balzo all’indietro, ansimando e fissando gli artigli con gli occhi sbarrati. “Il tuo fumetto sa fare anche questo?” sibilò il mostro con un sorriso sgradevole e feroce, ritirando via la mano.

 

Julie arretrò e si avvicinò a Simon, lottando con tutta se stessa per non piangere.

 

“E’ chiaro che a nessuno di voi fa piacere stare qui.” Mormorò il demone, con una voce disgustosamente suadente. “Quindi comportatevi da bravi bambini. Voi mi date il medaglione, e io vi lascio andare.”

 

“Quale medaglione?” fece Dan.

 

“Sapete benissimo di cosa parlo. A voi non serve e a me si.” Il tentativo del mostro di mostrarsi paziente era a dir poco squallido. “E se me lo date subito, sarete liberati all’istante.”

 

“…noi non ce l’abbiamo il tuo gingillo.” Disse Jack. Il mostro inarcò un sopracciglio e il bambino continuò, facendo appello a tutto il suo coraggio. “E’ la verità! Era nello zaino, e se questi imbecilli vestiti da Babbo Natale non me lo avessero strappato di dosso, ora te lo potremmo dare.”

 

“Un po’ comoda come scusa, non credi?”

 

“Non è una scusa!” ringhiò Dan. “Puoi anche frugarci se vuoi, noi non nascondiamo proprio niente.”

 

Il demone si avvicinò lentamente a Dan finchè non ebbe il viso allo stesso livello del suo, e lo guardò dritto negli occhi. “Forse un paio d’ore di tortura ti farebbero tornare la memoria, che dici?” sibilò.

 

Dan ingoiò a fatica un lamento di sconforto e mantenne lo sguardo del mostro. “N-non mi posso inventare il tuo medaglione se non ce l’ho.”

 

Il demone si mise di nuovo eretto. “E così preferite morire piuttosto che liberarvi di un oggetto che non vi serve e tornare dai vostri genitori?” disse, scuotendo la testa. “Siete veramente degli stupidi mocciosi.”

 

Jack aveva i pugni stretti e gli occhi ridotti a due fessure. “Mio padre ti prenderà a calci nel culo.” Ringhiò, incavolato nero.

 

“Credi? Perché il tuo adorato papà sa che siete qui?” l’espressione di sconforto dei bambini fece ridere forte il mostro, le cui risa rimbombarono fra le rocce. “E va bene. Allora vorrà dire che giocheremo a modo vostro.” E così dicendo schioccò le dita.

 

I quattro bambini si ritrovarono le braccia legate dietro la schiena e fecero il possibile per liberarsi, ma più si dimenavano più era inutile. Il mostro rise ancora e si avvicinò a Julie, che arretrò spaventata, con gli occhioni sbarrati.

 

“E tu, signorina?” disse, chinandosi all’altezza della bambina finchè non furono faccia a faccia. “Neanche tu vuoi salvarti?”

 

“Lascia stare mia sorella!!!” urlò Dan. Il demone schioccò ancora le dita e Dan e Jack si ritrovarono imbavagliati prima che potessero dire o fare qualsiasi cosa, e per quanto scalciassero non serviva a niente. Julie guardò nella loro direzione, disperata, e poi tornò a fissare il mostro davanti a lei con gli occhi spalancati e il respiro affannoso.

 

“Povera piccola…quanto sei spaventata…” le disse il demone, allungando una mano verso il suo viso e ignorando Dan, che dietro il bavaglio gli stava urlando di tutto. “…non vorresti tornare dalla tua mammina?”

 

Julie fece un passo indietro, tremando. “…lasciami stare, per favore! Io non so niente!” piagnucolò.

 

“…stai tremando…” le mormorò lui, suadente. “…non devi avere paura…se mi dici dov’è il medaglione non ti farò niente…”

 

Julie scosse freneticamente la testa, mentre sulle guance le scendevano due lacrimoni. “Ma io veramente non so dov’è questo coso!” urlò, disperata.

 

Un colpo di tosse attirò l’attenzione del mostro verso la sua sinistra: il piccolo Simon stava avendo dei seri problemi con la sua infreddatura, perché continuava a tossire disperatamente. Con un sorriso furbo e orribile, il demone schioccò le dita – imbavagliando anche Julie – e si diresse verso il più piccolo, chinandosi alla sua altezza.

 

“Oh, povero piccolino…non stai bene?” con uno schiocco di dita gli liberò le mani, sorprendendolo. “Meglio?”

 

Simon tossì un’ultima volta e si stropicciò gli occhi col dorso della mano. Il demone gli fece un sorriso stomachevole, ignorando completamente gli ‘mmph’ rabbiosi di Jack.

 

“Dimmi, piccolo…cos’hai, non ti senti bene?”

 

“No.” Disse piano Simon.

 

“Oh, poverino…forse posso fare qualcosa per te.” Il mostro fece un passo avanti e Simon ne fece uno indietro. “Ti piacerebbe stare nel tuo lettuccio, al caldo, nella tua bella casa…con la mamma che ti canta le canzoncine?”

 

Simon si accigliò. “La mia mamma mi racconta le storie.”

 

“Oh.” Il mostro annuì. “E a te piacciono le sue storie?”

 

“Si.”

 

“Ma che bambino obbediente…sei proprio bravo…meriteresti un premio…” e così schioccò le dita, facendo comparire un grosso e sugoso hamburger circondato da patatine fritte su un piatto che fluttuava alle sue spalle. Simon spalancò occhi e bocca, e per alcuni secondi perfino gli altri bambini cessarono di dimenarsi. “Hai fame?”

 

Il piccolo buttò giù la saliva che rischiava di colargli dalla bocca e cercò di contenersi. “N-no.”

 

Ma evidentemente al mostro la bugia sembrò fin troppo chiara, perché con un odioso sorriso dei suoi gli parlò ancora. “No? Forse hai ragione tu…si, qui ci vorrebbe qualcosa di zuccheroso, qualcosa che ti facesse passare la tosse…qualcosa di dolce…”

 

Non l’avesse mai detto. Altro schiocco di dita, altro piatto…su cui stavolta stava una torta tutta al cioccolato. Simon aveva gli occhioni grandi come due uova sode.

 

“Questa ti piace, che ne dici?” il bimbo quasi senza accorgersene si leccò le labbra. “O forse…ci preferisci sopra anche un po’ di panna?” altro schiocco di dita, e la torta venne ricoperta da uno strato di panna montata alquanto invitante. “Così mi sembra perfetta…tu che ne dici?”

 

Simon non disse niente, ma si morse le labbra.

 

Il demone, con un fastidioso sorriso prese in mano il piatto con la torta e passò un dito nella panna, leccandoselo con gusto. “…mmh…è molto buona…non vorresti assaggiarla?”

 

Simon fece un passo indietro, scuotendo la testa. “Non si prendono le cose dagli sconosciuti.”

 

“Vero, però…” la torta magicamente si scompose in otto fette, e una di queste cominciò a fluttuare davanti agli occhi del bambino. “Io trovo che sia buonissima…e sono sicuro che tu abbia voglia di assaggiarla.”

 

Il cioccolato che colava dalla fetta di torta sembrava aver catturato completamente l’attenzione di Simon, che nemmeno si accorgeva più di come Jack e Dan si stavano ribellando contro i due uomini che cercavano di trattenerli.

 

“Facciamo così.” Continuò il demone. “Tu mi dici dov’è quel medaglione…e io non solo ti rimando a casa dai tuoi genitori, ma ti faccio mangiare anche questa torta e tutte le cose buone che mi chiederai.”

 

Nemmeno gli urletti soffocati di Julie attirarono l’attenzione di Simon, che esitò ancora un momento prima di allungare la mano verso la fetta di torta.

 

Il mostro sorrise. “Bravo…prendila…”

 

Il bimbetto, dopo un ultimo istante di esitazione prese in mano la torta e la osservò un po’ assorto, quasi in trance…poi alzò lo sguardo lentamente fino a guardare dritto in faccia il suo interlocutore. “Non lo sai che a me la panna mi fa schifo?” e senza neanche pensarci su gli spiaccicò la torta in faccia, costringendolo ad arretrare.

 

Il demone, furioso, si pulì molto sommariamente la faccia con la manica della tunica rosso fuoco. “Come ti permetti, piccolo verme!! Ora ti insegno io a usare quella piccola testa che ti ritrovi!!”

 

Simon chiuse forte gli occhi e arretrò quando il mostro alzò la mano per schiaffeggiarlo, ma il terzo uomo in rosso entrò di scatto, sconvolto, e lo interruppe.

 

“Mio signore!”

 

Il demone si girò verso di lui con gli occhi rosso fuoco. “Come osi, dannato imbecille!!”

 

L’uomo chinò il capo fino in fondo. “Perdona, mio signore, perdona! Ma è un’emergenza, abbiamo assoluto bisogno di te!”

 

Il mostro si voltò verso i bambini con uno sguardo che li fece arretrare con paura, poi fece un gesto con la testa ai due uomini in rosso che stavano alle loro spalle, i quali annuirono e li trascinarono in un cunicolo buio. Alla fine del cunicolo si ritrovarono in una specie di piccola prigione di stalattiti; uno dei due uomini schioccò le dita, sollevando una stalattite giusto il tempo per farli entrare all’interno del circolo, poi la lasciò ricadere e prima di andarsene schioccò le dita un’altra volta, liberando i bambini da lacci e bavagli.

 

“Carogna, se ti riprendo!...” Dan lo guardò in cagnesco mentre si massaggiava i polsi finalmente liberi.

 

“Ehi, sei stato grande!” fece Jack al fratello, dandogli una pacca sulle spalle.

 

Simon fece un sorrisetto sdentato. “Fortuna che ci ha messo la panna, sennò me la sarei mangiata eccome quella torta…” Jack e Dan ridacchiarono.

 

Julie appoggiò le spalle al muro, molto avvilita. “Io ho paura…non voglio morire…”

 

“Ma come, non hai sentito?” le disse Jack.

 

“Sentito cosa?”

 

“Che c’è un’emergenza!”

 

“E allora?”

 

“E allora…forse sono mamma, papà e zio Harry che ci hanno ritrovato!”

 

“E come hanno fatto, scusa?”

 

“Ma che ne so…con la magia, credo.”

 

“Potrebbe anche essere così.” Dan annuì.

 

Julie sospirò. “Lo spero tanto, ma siamo sicuri?”

 

“Vabbè, sicuri proprio no…” ammise Jack. “Però…un pensierino ce lo facciamo.”

 

“E poi quello è brutto e io non lo sopporto, lui e quelle schifide torte…e tiene pure il fiato puzzante.” Fece Simon.

 

“Puzzolente.” Lo corresse Dan.

 

“Comunque feta.”

 

 

***************

 

 

Gli altri due uomini in rosso raggiunsero il demone davanti alla pozza d’acqua in cui si vedevano i War Mage avanzare fra i tranelli nella grotta, mentre il mostro li guardava accigliato e con gli occhi viola pulsanti più che mai.

 

“Sono arrivati fin qui superando tutti i tranelli.” Disse piano l’uomo in rosso, mentre li raggiungevano anche gli altri due.

 

“Sono i soldati del mondo magico.” Fece l’altro. “E’ evidente che sono qui per i bambini, la donna era con loro quando li abbiamo attaccati la prima volta.”

 

Il demone non disse nulla ma osservò con attenzione i visi dei suoi nemici nello specchio d’acqua, mentre camminavano nella grotta con estrema prudenza.

 

“Mio signore?” chiese infine il terzo. “Tu cosa proponi di fare?” non ci fu risposta.

 

Il primo uomo in rosso parlò ancora, esitando. “O potente, non possiamo ignorare il fatto che stanno venendo qui…”

 

Il mostro si voltò verso di lui con uno sguardo più gelido del solito. “La cosa ti spaventa?” sibilò ferocemente.

 

Quello chinò il capo. “No, mio signore, no…”

 

“Dubiti dei miei poteri?”

 

“No, mai! Mio signore e padrone, tu sei invincibile!”

 

Il demone tornò a guardare lo specchio d’acqua con un sorriso perfido. “Darò una lezione a voi, a questi poveri folli e al mondo intero. E’ ora che tutti sappiano di cosa è capace l’onnipotente signore delle tenebre.”

 

“Gloria a te, o potente.” Fecero in coro i tre uomini, chinando il capo.

 

Il demone si allontanò da loro sferzando il mantello e si voltò verso una parete di roccia; dopo qualche istante di silenzio sollevò le braccia coi palmi aperti verso il muro…e gli occhi da viola divennero rosso fuoco. Progressivamente le mani grigiastre vennero circondate da due sfere gialle pulsanti che rimasero in quello stato per poco meno di un minuto, poi il mostro abbassò le braccia e arretrò di qualche passo.

 

Dal muro cominciarono a uscire strane sagome: erano massi e blocchi di roccia disposti uno accanto all’altro come per formare un corpo umano dotato di braccia e gambe; ne uscirono due, tre, quattro…finchè non si formò un gruppetto di una ventina di elementi.

 

Il demone parlò ai suoi soldati di pietra. “Trovate gli invasori e uccideteli. Nessuna pietà per il nemico.”

 

I blocchi di pietra marciarono verso la galleria sotterranea, svanendo nel buio man mano che si allontanavano per raggiungere i loro obbiettivi.

 

“Guardate cosa può fare la potenza devastante del vostro re oscuro.” Sibilò il demone, riprendendo a guardare nello specchio d’acqua.

 

“La tua vittoria sarà schiacciante, venerabile padrone.”

 

 

***************

 

 

Sirius agitò ancora la bacchetta, ma stavolta non comparvero segni di tranelli o trappole.

 

“Adesso o i giochi sono finiti, o ci stanno fregando alla grande.” Fece Charlie, tenendo ben stretta la sua bacchetta in mano.

 

Liam aguzzò la vista. “Occhio, ci sono delle scale.” Proprio di fronte a loro, infatti, c’era una rampa in discesa di scale di pietra piuttosto grosse.

 

Ron annuì. “Perciò teniamo gli occhi aperti.”

 

Scesero le scale due gradini alla volta, con le armi pronte all’occorrenza; e una volta giù raggiunsero una specie di pianura rocciosa dove il soffitto era più alto, ma anche pieno di stalattiti appuntite. Davanti a loro la grotta continuava.

 

“Ma questo posto è infinito?” borbottò Charlie.

 

Sirius fece l’incantesimo dei quattro punti per accertarsi che stavano davvero seguendo il Nord, ma un secondo dopo, quando la truppa stava per proseguire, si bloccarono tutti: un rumore brusco e piuttosto massiccio e incalzante, proveniente dal fondo della grotta, si stava avvicinando.

 

“Ma che diavolo…?” Bill mise la mano anche sul pugnale.

 

Presto dall’ombra uscirono una ventina di unità, che i War Mage identificarono in qualche secondo: erano sagome all’apparenza uguali a quelle di corpi umani, ma non erano fatti di carne…di roccia, piuttosto. Pietra vera e propria. Erano fantocci che marciavano verso di loro con passo tetro e fermo; sembravano un esercito, e dal modo in cui si muovevano mettevano paura.

 

“E quelli che sono?” fece Hermione, accigliandosi.

 

“Che peccato che non ci sia tempo per fare conoscenza.” Ron gli puntò contro la bacchetta. “Implodeo!” Una zaffata di vento spaventosamente forte centrò in pieno i fantocci di pietra, ma nemmeno li scalfì. Ron si accigliò.

 

Charlie sollevò a sua volta la bacchetta. “Immobilus!” l’armata continuò la sua marcia.

 

“Testa dura, eh?” Harry rivolse contro di loro il palmo della mano ben aperto, si concentrò un secondo e un momento dopo tre fantocci esplosero in mille pezzi. Ma il sorrisetto che gli era comparso sul viso svanì immediatamente quando i pezzi dei tre fantocci si ricomposero alla perfezione. “Si può sapere di che cazzo sono fatti?!”

 

“Qui c’è lo zampino del demone.” Hermione rinfoderò la bacchetta nel cinturone e prese la sciabola. “la magia nemmeno li scalfisce, dovremo vedercela con le nostre forze.”

 

“Non chiedo di meglio.” Ron si scrocchiò le dita, per niente spaventato all’idea.

 

In meno di pochi secondi le due armate si scontrarono al centro della caverna, e fu subito battaglia. I War Mage, rinfoderate le bacchette, stavano usando un po’ tutte le armi a disposizione: Charlie scelse il bastone, e colpì il suo nemico roccioso più volte e in più punti, ma non ottenne risultati; in compenso quando quello gli sferrò un pugno, gli ruppe subito il naso. Una sorte simile toccò a Bill e Liam, che si stavano dando da fare con due pugnali particolarmente appuntiti. Sirius vide le stelle quando uno dei fantocci gli colpì la nuca con una manata. Harry centrò al volo le braccia del suo nemico con una corda magica che gliele bloccò, e lui ne approfittò per sferrargli un colpo fortissimo al bacino: le rocce che componevano le gambe e l’addome si staccarono dal resto del corpo, per poi riattaccarsi subito mentre il fantoccio si liberava le mani e passava al contrattacco. Hermione provò a scalfire la roccia con la sua spada; ma non servì a niente, e il fantoccio la costrinse contro il muro sollevando il suo pugno di pietra per colpirla. Ron parò il colpo a mani nude, afferrando da dietro il pugno roccioso e tirandolo sempre più giù, come per spezzargli il braccio, ma quello per tutta risposta lo spinse di violenza contro il muro, facendogli vedere per un momento in bianco e nero.

 

“Ma di che cazzo sono fatti?!” Bill provò a schivare un colpo del fantoccio con poco successo.

 

“Io credo di aver capito.” Sirius con un calcione atterrò l’assalitore di pietra, prontamente sostituito da un altro. “Ah, davvero?” Charlie calciò quella che sembrava la testa di uno dei nemici, bestemmiando un momento dopo in tutte le lingue per il dolore al piede.

 

Sirius si difese da un gancio destro con la spada. “Io credo…che siano collegati allo stato di salute del loro signore.”

 

Liam col suo bastone si liberò per un istante dal suo avversario roccioso. “…quindi se quello stronzo non si decide ad andare affanculo…”

 

“…dovrebbe essere più o meno così.” Replicò Sirius.

 

“Fantastico!” fece fantastico Harry, recuperando la sua posizione difensiva. “Quindi?”

 

“Quindi voi tre dovete andare a fargli la festa.” Liam si appoggiò al bastone per centrare un fantoccio con un calcio a piedi uniti.

 

“E voi che fate?” Ron schivò per un soffio un pugno di pietra.

 

“Muovete il culo e fate il più in fretta possibile!” Charlie parò un colpo con un braccio. “Pensiamo noi a questi cosi!”

 

“Tenete duro!” Harry parò un calcio con un altro calcio.

 

Hermione sollevò la bacchetta in aria. “Chiudete gli occhi! Lumus solis!!”

 

Una luce abbagliante accecò e stordì i fantocci di pietra quel tanto da consentire a lei, a Harry e a Ron di correre via; un istante dopo la battaglia riprese più incalzante di prima.

 

 

***************

 

 

Una goccia d’acqua cadendo dal soffitto in una piccola pozzanghera sporca a terra fece un rumore assurdamente notevole. Simon starnutì e si strinse nel giubbino del fratello, sistemandosi meglio con la testa appoggiata alla sua spalla. Si sentiva molto stanco, e si stava lentamente addormentando. Un brivido di freddo lo fece tremare un attimo, e Jack, che stava seduto di spalle al muro, gli sistemò meglio il giubbetto con tipico fare da fratello maggiore. Julie e Dan stavano seduti di fronte ai cugini, anche loro accucciati contro la parete rocciosa; la bambina aveva le ginocchia strette al petto, mentre Dan aveva le gambe stese e la testa appoggiata al muro. Nessuno di loro osava parlare, erano in attesa che qualcosa, qualsiasi cosa, accadesse.

 

“Io odio le attese.” Borbottò piano Dan, rompendo il silenzio. “Sembra prima di una vaccinazione.”

 

“O di un’interrogazione.” Sbuffò Jack.

 

“Io non mi sono mai vaccinata in una grotta, e a scuola è molto più pulito.” Commentò Julie, senza sollevare la guanciotta dalle ginocchia.

 

“Questo posto è un cesso.” Brontolò Simon.

 

Julie sollevò di scatto la testa, con gli occhi sbarrati, invece Dan e Jack scoppiarono a ridere di gusto. “Simon! Non si dicono queste cose!” il piccolo scrollò semplicemente le spalle.

 

Jack gli scompigliò i capelli, divertito. “Ripeti la stessa cosa a nonna la prossima volta che dice che sei uguale a mamma.” Ridacchiò.

 

Simon sembrò confuso. “…perché devo dire a nonna che è un cesso?”

 

Dan scosse la testa, con un sorrisetto perfido. “No, basta che dici solo cesso.”

 

Julie fulminò i più grandi con un’occhiataccia. “Non li pensare, Simon, vogliono solo farti dire una parolaccia così poi ti sgridano.”

 

Simon si rilassò di nuovo sulla spalla del fratello e chiuse gli occhi. “Cessi.” Disse tranquillamente. Dan e Jack risero, e Jack ridacchiò anche mentre mollava una pacchetta sulla fronte del fratello.

 

Dan smise di ridere, e calò di nuovo il silenzio. “Voi pensate che là fuori ci sono i War Mage?”

 

Jack sospirò. “Lo spero, ma non lo so.”

 

“Se almeno avessimo Paulie, potremmo chiedere a lui.” Fece triste Julie. Dan le diede una gomitata e Jack le fece cenno col dito di stare zitta, accennando al fratello con la testa: Simon era mezzo addormentato, e se avesse realizzato che il suo preziosissimo libro si era perso, come minimo gli sarebbe venuto un attacco di panico.

 

Altro tetro silenzio.

 

“…mh…e se raccontassimo qualche barzelletta?” propose Dan.

 

Julie scosse la testa. “Se sono quelle che ti raccontano quei maiali dei tuoi compagni, te le puoi anche tenere.”

 

Il fratello scrollò le spalle. “Non sono sporche. Era per farci due risate.”

 

“A me non viene da ridere.” Replicò la bambina. “Anzi, mi viene da piangere.”

 

“Dai, Julie, io penso che…” Jack provò a rassicurarla, ma lei lo interruppe.

 

“Se quello torna ci fa tutti a pezzi.”

 

A questo gli altri due bambini non seppero replicare. Perché era una paura fondata e condivisa.

 

“Io però non penso che moriremo.” Jack cercò di farsi coraggio. “Noi dobbiamo ancora entrare nella squadra di Grifondoro.”

 

“E tu devi ancora baciare Amelia Sheffield.” Aggiunse Dan, con un sorrisetto perfido.

 

Sul viso di Jack comparve il tipico sorriso di marca Ron Weasley. “Anche.”

 

Julie rimase per un attimo sconcertata. “Non l’avevi già fatto?”

 

“Sulla guancia. Sulla bocca ancora no.”

 

Ora anche Julie sorrideva. “La vuoi baciare sulla bocca come i grandi?”

 

“Eh.” Fece allegramente Jack.

 

“Allora nemmeno io posso morire.” Osservò Julie. “Non sono ancora stata baciata.”

 

“Ma che vuoi baciare tu, piccola poppante.” Dan la guardò con uno scettico sopracciglio inarcato.

 

Julie fece per rispondere ma un brusco rumore la fece sussultare, svegliando di soprassalto Simon e facendo voltare di scatto Jack e Dan. Due degli uomini in rosso erano appena entrati nella piccola prigione, rovesciando una delle stalattiti con violenza. Sembravano agguerriti.

 

“Tu prendi i più piccoli.” Fece uno. “Ai due ragazzini ci penso io.”

 

Il secondo uomo in rosso sollevò il palmo di una mano verso i bambini e in un istante Julie e Simon vennero tirati in piedi da una forza invisibile, che prese a trascinarli lentamente ma inesorabilmente verso i due uomini. Tutti e due strillarono, e Dan e Jack balzarono in piedi e li afferrarono per poterli trattenere. Sembrava tutto inutile: la forza invisibile trascinava Julie – che Dan tirava per le braccia dalla parte opposta – e Simon – che Jack aveva afferrato per la vita, tirando con tutte le sue forze – con una durezza difficile da contrastare. Quando Simon fu abbastanza vicino l’uomo allungò la mano, ma Jack fu più veloce e gliela morse.

 

“Piccolo bastardo!!” l’uomo ritirò la mano di scatto mentre l’altro, senza scomporsi, schioccò di nuovo le dita.

 

Una zaffata di vento scaraventò a terra Jack e Dan, permettendo così all’incappucciato di prendere in braccio due scalpitanti Simon e Julie.

 

“Daan!!” strillò Julie, dimenandosi.

 

“Jack, aiuto!!” urlò Simon, mentre scalciava forte.

 

Dan e Jack si rialzarono di corsa, ma quando si lanciarono contro i loro aggressori si ritrovarono a sbattere violentemente la faccia contro un muro invisibile, ricadendo a terra. I due bambini si rialzarono con più difficoltà, con tanto di lividi in fronte, giusto in tempo per vedere uno dei due uomini portare via Julie e Simon tra calci e strilli acuti. L’altro uomo schioccò di nuovo le dita, eliminando la barriera invisibile e tornando a guardare i due piccoli prigionieri con un’espressione beffarda.

 

“Fermo, torna indietro!!” urlò a gran voce Dan.

 

Jack era furioso. “Lasciateli stare!!”

 

Le labbra dell’uomo si curvarono in un sorrisetto crudele. “Non preoccupatevi, ragazzi. Ci divertiremo anche da soli, voi e io.”

 

 

***************

 

 

Harry, Ron e Hermione percorsero un lungo e profondo corridoio roccioso, dove le fiaccole che stavano appese al muro facevano una luce non particolarmente forte ma sufficiente. I tre War Mage stavano correndo al massimo delle loro possibilità: la meta era più che mai un obbiettivo da raggiungere nel minor tempo possibile.

 

Alla fine del lunghissimo corridoio si ritrovarono in un piccolo spiazzo più luminoso…illuminato abbastanza da mostrare che per poter proseguire c’era la possibilità di scegliere fra tre ulteriori cunicoli bui.

 

Harry, Ron e Hermione si fermarono un momento senza dire nulla. Non c’era bisogno di dire niente, sapevano già quello che dovevano fare, lo sapevano fin troppo bene. E, da esperti soldati quali erano, sapevano altrettanto bene che separarsi significava affrontare il pericolo svantaggiati. Ma avevano alternative? No.

 

Harry si voltò. “Io vado a sinistra.”

 

Hermione riprese di nuovo in mano la bacchetta. “Io al centro.”

 

Ron annuì, sistemandosi meglio il cinturone. “Occhi aperti, state attenti. Guardatevi le spalle.” Disse, teso.

 

Harry diede una pacca sulle spalle a entrambi e scambiò con tutti e due un ultimo sguardo silenzioso ma molto eloquente, prima di correre via nel cunicolo oscuro. Meglio non appesantire maggiormente il cuore dicendo a voce alta ciò che già appesantiva l’anima. Meglio non dire chiaramente che rischiavano di andare incontro alla morte da soli dopo una vita passata a combatterla insieme.

 

Con questo pensiero Hermione si voltò per avviarsi anche lei, ma si sentì trattenere alle sue spalle. Anche Ron stava pensando la stessa cosa, glielo lesse negli occhi: entrambi videro tutta la loro vita scorrere per un momento negli occhi dell’altro. Ma non c’era tempo per esitare. Non c’era più tempo per niente.

 

Lui esitò un momento. Voleva dirle ben altro…ma poi non avrebbe trovato la forza e la flemma di lasciarla andare da sola a fronteggiare un nemico che solo pochi giorni prima gliel’aveva quasi portata via. “Ci vediamo fra un po’.” Le disse semplicemente, molto teso.

 

Lei gli fece un piccolo, breve sorriso nervoso. “Si. Non fare tardi.”

 

Lui annuì, ricambiando il sorriso con uno piccolo e teso dei suoi. Si scambiarono un veloce bacio sulle labbra, per poi scappare in direzioni opposte col cuore pesante ma decisi a lottare fino alla fine.

 

 

***************

 

 

L’uomo in rosso rise forte, godendosi in pieno le urla di terrore dei due bambini. Jack e Dan erano sospesi a mezz’aria in una gabbia che si muoveva in su e in giù perpendicolare a un rogo piuttosto scoppiettante. Le fiamme erano abbastanza alte da raggiungere il fondo della gabbia, e i due bambini intervallavano urla di panico a colpi di tosse provocati dal fumo.

 

L’uomo rise forte. “Non fate più così tanto i bastardelli sulla brace! Che vi succede, avete paura?”

 

Dan si aggrappò come potè alle sbarre della parete superiore della gabbia, tanto per guadagnare qualche centimetro in più di distanza dalle fiamme; Jack fece altrettanto, scalpitando per tenersi su.

 

“Ormai non avete più scampo!” tuonò l’uomo in rosso. “Ditemi dov’è il sacro medaglione!”

 

“Non lo sappiamo!!” urlò disperato Dan, colpito da un violento attacco di tosse.

 

“E’ la vostra ultima opportunità!!”

 

“Non ce l’abbiamo noi!!” gridò inferocito Jack.

 

“Molto bene!! Dite pure addio al mondo, piccoli idioti!!” l’uomo schioccò le dita.

 

Dan e Jack strillarono terrorizzati mentre la gabbia precipitava giù a gran velocità. I due bambini chiusero forte gli occhi, preparandosi a cadere in un caldo fortissimo, ma quando la gabbia toccò terra con un rumoraccio aprirono gli occhi e videro che le fiamme erano sparite. Anche l’uomo in rosso si voltò di scatto alle sue spalle, con un’espressione sconcertata sul viso.

 

Dall’ombra emerse una figura vigorosa con la bacchetta ancora tesa in mano.

 

“Non te l’hanno mai insegnato che non te la devi prendere coi più piccoli?”

 

Dan e Jack fecero un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

 

“Papà!!!”

 

“Zio Harry!!!”

 

************************

 

 

Avevo detto che avrei fatto presto…è abbastanza presto questo per voi? Spero di si ^^

 

Come avrete notato…questo capitolo è stato molto intenso. Era nel mio cervelluzzo dall’inizio di questa storia, pensate un po’! E se pensate che ci sia stata azione qui…aspettatevi fuoco e fiamme nel prossimo, “L’unione fa la forza”!

 

Un mega grazie ai recensitori: Alexis (hasta luego, maystro! ^^), Ci (ah, lo so eccome! ^^ hai proprio ragione, mia sorella è un War Mage onorario! Direi che si trova proprio bene con te, ho letto un po’ i vostri messaggi e spoiler sul quinto libro…bada, la metà di quella roba gliel’ho detta io! ^^), Kiara (mi piaci notturna, diurna, pomeridiana…sempre! Baci baci), Strekon (il mio mito! Stai scrivendo, si? Perché tra un po’ voglio che aggiorni! Tranquillo, non sarai assalito dagli spoiler…ma so già che quello che leggerai, quando lo leggerai, ti piacerà da morire! ^^…io non ho detto niente, eh! ^^), Herm, Rachel e Ginny (grazie infinite a tutte e tre!), Mikisainkeiko (già, vedrai che momento alla Bond…!), Marilia (ti ringrazio moltissimo! Davvero, mi fa piacere sapere che la mia storia ti piaccia! A me piace molto scrivere!), Mony (tranquilla, avrai ancora un paio di capitoli e un epilogo per stare in compagnia di Simon e gli altri! E poi lo sai com’è fatta la mia manina di autrice folle: magari ogni tanto esce fuori una storiella da un capitoletto…. ^^), Kitty (grazie mille!) ed Eva (lo spero anch’io! E grazie mille, sono felice di averti presa così tanto!). Finiti? Così pare.

 

Bene…e dopo questo intenso casino…pubblico questo chap e mi metto subito a lavorare sull’altro. Non posso trattenermi oltre! Operazione te-spiezo-in-due cominciata! ^^

 

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** L'unione fa la forza ***


                                               DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 11: L’UNIONE FA LA FORZA

 

 

Play the game tonight

Can you tell me if it’s wrong or right?

Is it worth the time,

Is it worth the price?

Do you see yourself in the white spotlight?

Then play the game tonight

                                                                       Play the Game Tonight, Kansas

 

 

***************

 

 

Harry venne avanti completamente alla luce delle fiaccole, stringendo bene la bacchetta in mano. Tenendo sotto controllo il suo nemico, gettò un’occhiata ai bambini.

 

“Tutto bene, ragazzi?”

 

“Si, siamo ancora tutti interi!” Fece Jack.

 

“Lo sapevo che venivi a salvarci, papà! Lo sapevo!” Dan era al settimo cielo.

 

Harry gli fece un sorriso. “State tranquilli, tra un minuto sarete liberi.”

 

“Credi veramente di potermi battere in un minuto?” sibilò provocatoriamente l’uomo in rosso.

 

Harry lo incenerì con lo sguardo. “Non sarà necessario un minuto intero.”

 

L’uomo si scoprì la testa dal cappuccio con un gesto. “Fammi obbedire, avanti. Vediamo di cosa sei capace, sacrilego maghetto da quattro soldi.” E così dicendo sollevò il palmo di una mano verso l’alto, come se stesse cercando di reggere una sfera. In pochi secondi tutte le pietre piccole e grandi che stavano per terra si sollevarono in aria vibrando; l’uomo chiuse il pugno, e contro Harry si scatenò una vera e propria pioggia di pietre a tutta velocità.

 

Per fortuna lui fu altrettanto svelto da puntare la bacchetta. “Remando!!” i proiettili di roccia tornarono rapidamente indietro, ma l’uomo in rosso li fece scoppiare tutti con uno schiocco di dita.

 

Dan e Jack osservarono la scena a bocca aperta.

 

“Sei veloce.” Commentò l’uomo con un sorrisetto.

 

“E tu sei uno stronzo.” Sibilò ferocemente Harry. “Tu e i tuoi amici. Avete attaccato dei bambini innocenti e indifesi. Fosse anche l’ultima cosa che faccio, questa te la farò pagare.”

 

“Impudente pazzo visionario, tu sarai la prima vittima della vendetta del mio signore!!”

 

Harry fece una smorfia. “Buffo che adesso il visionario sarei io.” E senza aspettare una replica gli puntò contro la bacchetta. “Inflamare!!”

 

L’uomo si ritrovò circondato da fiamme alte e scoppiettanti che sembravano volerlo inghiottire; ma non ne ebbero la possibilità, perché lui alzò le braccia al cielo e poi le riabbassò, spegnendo tutto. Riemerse dal fumo inferocito più che mai, e puntò contro il suo nemico la mano tesa, urlando qualcosa in una strana lingua.

 

Un fascio di luce colpì Harry in pieno, facendolo sbattere di schiena contro le rocce e strappandogli un mugolìo di dolore.

 

“Papà, stai bene?” fece Dan, preoccupatissimo.

 

Harry si rimise in piedi soffocando un lamento di dolore solo per non spaventare ulteriormente i bambini: la schiena gli faceva un male disumano.

 

“Quando avrò finito con tuo padre dopo toccherà a te, piccolo mostriciattolo.” Sibilò l’uomo.

 

“Chiudi il becco, verme!!” Harry gli puntò di nuovo la bacchetta contro. “Stralis Inseunda!!”

 

Una lama si materializzò all’improvviso nell’aria e sfrecciò velocissima fino a trafiggere un braccio dell’uomo in rosso, che urlò.

 

“E vai!” esclamò Dan.

 

“Sei grande, zio Harry!” anche Jack era emozionato.

 

L’uomo si strappò la freccia dal braccio e si voltò inviperito verso i due bambini, che arretrarono spaventati quando gli videro sollevare il palmo della mano verso di loro.

 

“Noo!!” Harry si lanciò verso la gabbia, facendo esattamente il gioco del suo nemico: quando fu abbastanza vicino, l’uomo in rosso si voltò verso di lui e rivolse il palmo verso il basso. Harry all’istante crollò a terra sulle ginocchia, incapace di reggersi in piedi: era come se una tonnellata e più fosse tutta sulle sue spalle.

 

“No!!”

 

“Papà!!”

 

Harry fece del suo meglio per cercare di rialzarsi, ma i muscoli non gli rispondevano in nessun modo: si sentiva come schiacciato a terra da un macigno di piombo. Niente, non riusciva a sollevare neanche un braccio.

 

L’uomo in rosso rise forte, tenendo sempre la mano rivolta verso il basso. “Che c’è, grande eroe? Hai mangiato troppo?” e rise ancora.

 

“Papà rialzati, dai!!” Dan provò a incitarlo.

 

Harry continuava a restare costretto sulle ginocchia nonostante gli sforzi. L’uomo schioccò le dita della mano libera e una grossa stalattite si staccò dal soffitto, per mettersi a galleggiare in aria con la punta rivolta verso il basso, in linea diretta col corpo di Harry.

 

“No, fermo!!!” urlò Dan, mentre Jack prendeva a calci violentemente la gabbia per aprirla.

 

L’uomo rise forte, senza notare che ora gli sforzi di Harry erano concentrati nel rivolgere il palmo della mano verso l’alto, aprendo con enorme difficoltà le dita.

 

“Prima tu.” Sibilò con un sorrisetto l’uomo. “Poi loro.” Fece, accennando con la testa ai due bambini.

 

Jack e Dan urlarono e chiusero gli occhi per non vedere la stalattite cadere dopo che l’uomo aveva schioccato le dita, ma non si sentì nessun tonfo: la stalattite era ancora sospesa a mezz’aria, stavolta tenuta su dal palmo ben aperto della mano di Harry.

 

L’uomo in rosso lo guardò talmente stupefatto che la mano che teneva aperta gli ricadde lungo il corpo; Harry si rimise in piedi, controllando la stalattite con la mano.

 

“Che c’è, stronzone?” gli disse, in tono chiaramente provocatorio e beffardo. “Credevi di essere il solo a saper usare le mani?”

 

Il nemico, colto palesemente di sorpresa, non fece in tempo a scansarsi quando Harry gli tirò addosso la stalattite, facendolo schiantare contro il muro e scomparire in una nuvola di polvere e sotto le macerie.

 

“Grande!!” esclamarono euforici Dan e Jack.

 

Harry rimase per un attimo immobile a riprendere fiato, sempre molto attento e vigile. Sapeva per certo che non era bastato quel colpo ad uccidere il suo nemico; lo fiutava dal pericolo che vibrava ancora intensamente nell’aria. Ma più i secondi passavano, più non succedeva niente. Harry era un soldato esperto: sapeva perfettamente che l’attacco sarebbe partito al primo movimento che avesse fatto. Per questo motivo fece un piccolissimo passo, ma dalla parte opposta alla gabbia per allontanare il pericolo dai bambini.

 

Fu un attimo. Tutte le macerie che ricoprivano l’uomo in rosso esplosero e schizzarono da ogni parte come respinte da una bomba, e contemporaneamente si aprì sotto i piedi di Harry una voragine profondissima bel terreno, in cui lui non cadde solo perché riuscì ad aggrapparsi al margine con le mani.

 

“Attento, zio Harry!!”

 

“Papà, resisti!!”

 

L’uomo in rosso avanzò col palmo aperto fino alla voragine, dove Harry stava facendo l’impossibile pur di non mollare la presa. Con un perfido sorrisetto l’uomo gli pestò con forza una mano, lasciandolo sospeso a una mano sola.

 

“La partita è chiusa.” Sibilò, scandendo bene le parole. “Hai giocato e hai perso.”

 

Ma Harry fu più veloce di lui. Prevenne un ultimo calcio definitivo sfilandosi dal cinturone il suo pugnale, e in un istante glielo conficcò con tutte le sue forze in un piede. L’uomo emise un urlo disumano, piegandosi sulle ginocchia mentre Harry balzava su.

 

“Lo decido io quando e come io gioco è finito.” Sibilò con ferocia. “Ed è finito adesso.”

 

Harry diede un calcio all’uomo, che cadde nella voragine urlando finchè i suoi strilli non vennero inghiottiti dalla profondità del buco. Harry rimase a fissarlo ancora per qualche secondo, giusto per assicurarsi che fosse veramente finita, quindi si voltò verso Jack e Dan.

 

La maschera di coraggio che entrambi avevano dovuto indossare per così tanto giorni si spaccò, rivelando la realtà dei fatti: quelli erano due bambini di dieci anni spaventati a morte che, finalmente, trovavano giusto lasciarsi andare ora che c’era di nuovo un adulto a prendersi cura di loro. E per questo entrambi stavano opponendo una resistenza minima alle lacrime che gli si stavano formando negli occhi.

 

Harry aprì la porta della gabbia con un colpo di bacchetta. “Coraggio, venite fuori!” i due bambini sembravano troppo spaventati per muoversi. Harry s’inginocchiò davanti alla gabbia, aprendo le braccia e facendo un sorriso amorevole. “Venite qui, ragazzi. E’ finita, siete al sicuro adesso.”

 

Dan e Jack si lanciarono in lacrime fra le braccia di Harry, che li strinse forte a sé, baciandoli e accarezzandoli ripetutamente per calmarli. “E’ tutto passato…tutto finito…non dovete più avere paura…” continuava a ripetere, chiudendo gli occhi e ringraziando il cielo di averli ritrovati in tempo.

 

“…non sapevamo come ritrovarvi…” piagnucolò Dan nel collo del padre. “…e questi…questi ci volevano…c’è un mostro che…”

 

“…si sono portati via Simon e Julie…” singhiozzò Jack. “…non siamo riusciti a fermarli… noi…noi…”

 

“Ssh.” Harry si tirò un po’ indietro per poterli guardare, continuando però ad accarezzare le loro testoline. “E’ tutto passato, niente e nessuno vi farà più del male, è una promessa. Troveremo Julie e Simon. Siamo tutti qui e li ritroveremo in meno di un’ora, promesso.” Poi fece un sorriso a Jack. “Ci sono anche mamma e papà, Jack.” Il bambino annuì, tirando su col naso. Harry rivolse a entrambi un altro sorriso rassicurante. “Su, adesso calmatevi. I maschi non piangono, no?”

 

I due piccoli sorrisero e presero ad asciugarsi le lacrime con le maniche. “Non lo raccontare in giro.” Mormorò Dan.

 

Harry sorrise e scosse la testa. Poi fece a tutti e due un occhiolino. “Ma come siamo belli abbronzati! Dove lo avete preso tutto questo sole?”

 

Dan scrollò le spalle. “Abbiamo camminato in un bosco per giorni, assurdo. Non ne potevamo più. Ci è capitato di tutto.”

 

“Siete stati bravissimi.” Li rassicurò Harry. “Ora ce ne torniamo tutti a casa, dimenticherete presto tutto questo.”

 

Tutto a un tratto Jack alzò lo sguardo e spalancò gli occhi. “Zio Harry, attento!!” urlò.

 

Harry si voltò di scatto: un altro uomo in rosso gli stava puntando contro il pugnale. Ma prima che potesse colpirlo, l’uomo fu disarmato da un calcio che lo colpì in piena schiena.

 

Era stata Hermione.

 

“Mamma!!!” Jack, eccitatissimo, si lanciò verso di lei, ma Harry lo trattenne.

 

L’uomo in rosso si rimise in piedi, rivolto verso di lei. “Come hai osato…!!”

 

Hermione era inferocita. Emanava rabbia e ferocia da tutti i pori. “Io e te abbiamo un conto in sospeso, bastardo.” Sibilò.

 

L’uomo sollevò la mano, ma lei fu più veloce e gli afferrò il braccio, torcendoglielo dietro alla schiena; lui non ebbe il tempo di lamentarsi che si ritrovò a terra, buttato giù con forza. Si rimise in piedi in fretta, comunque, e si voltò per colpirla con un calcio; Hermione lo schivò abilmente e ricambiò con un pugno dritto in faccia, spaccandogli la bocca e il naso. E immediatamente dopo lo atterrò con un calcio alle gambe.

 

“Maledetta!” grugnì l’uomo, tenendosi il naso e la bocca.

 

“Che c’è, brutto figlio di puttana?” fece lei, mantenendo alta la guardia. “La vendetta fa male?”

 

L’uomo in rosso spalancò il palmo della mano verso di lei, ma Hermione con un colpo di bacchetta sollevò una barriera. Un momento dopo la barriera si dissolse e lei non perse neanche mezzo secondo: con un gran calcio allo stomaco lo fece arretrare e barcollare, quindi urlò “Impedimenta!”

 

L’uomo fu respinto da una zaffata di vento molto forte, forte abbastanza da fargli perdere l’equilibrio e farlo barcollare lungo il bordo della voragine; il suo titubare, comunque, durò veramente poco: solo un secondo dopo non riuscì e tenersi su e sprofondò nel grosso solco, urlando finchè la sua voce non scomparve nel buio della buca.

 

Harry, Jack e Dan osservarono a bocca spalancata Hermione abbassare la guardia. Harry aveva sul viso un’espressione incredula e un sorriso allegro e orgoglioso.

 

“Wow, zia…” mormorò Dan, stupito e ammirato insieme.

 

Hermione si voltò verso di loro e finalmente vide i due bambini; fu un’emozione fortissima per lei, che si coprì la bocca con una mano mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Jack le corse incontro e lei lo abbracciò fortissimo, baciandogli la testa e il viso mentre non tratteneva più le lacrime. Un momento dopo anche Dan le piombò addosso e lei lo strinse a sé, riservandogli lo stesso amorevole trattamento.

 

“…Dio mio…” mormorò tra le lacrime di gioia. “State bene, piccoli miei?” i due bambini annuirono, abbracciandola forte. “…eravamo così preoccupati…”

 

Jack si tirò indietro. “E tu come stai, mammina? Ti è passata la ferita alla pancia?”

 

Hermione, commossa, sorrise e annuì. Si asciugò via le lacrime e riprese ad accarezzarli, ora le loro mani e ora le loro teste quasi come per essere sicura che non fosse tutto un sogno. No, erano davvero loro, erano vivi e stavano bene; abbronzati, più magri e con l’aria stanca, ma tutti interi. Ma… “Simon e Julie dove sono?”

 

I due bambini s’intristirono. Fu Harry a rispondere al loro posto. “Li hanno divisi. Sono ancora qui, da qualche parte. Tu riporta loro a casa, io penso a Julie e Simon.” Hermione annuì.

 

Dan guardò il padre con un’espressione preoccupata. “Papà, devi stare attento.” mormorò. “C’è un mostro orribile qui. Vuole il medaglione, quel coso brutto e vecchio che stava studiando zia Hermione.”

 

Hermione si accigliò. “Ma poi come facevate ad averlo voi?”

 

Jack scrollò le spalle. “Boh. Però poi non lo sappiamo dov’è finito. Quello è pazzo, ci voleva ammazzare solo perché non lo troviamo più.”

 

Hermione li accarezzò entrambi. “Non vi preoccupate, nessuno vi farà più del male ora.”

 

“Pensa tu a loro, mi raccomando.” Le disse Harry.

 

Hermione annuì. “Fa’ attenzione.”

 

Harry annuì e si voltò per andarsene, ma fu interrotto ancora dal figlio. “Papà?”

 

“Dimmi, che c’è?”

 

Dan abbassò lo sguardo. “Trovali presto. Sai…Julie ha molta paura.”

 

Jack annuì vigorosamente. “E Simon ha un po’ di febbre.”

 

Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata, poi lui sorrise. “Siete due ragazzi in gamba. Li troveremo prestissimo, state tranquilli.” E dopo un altro occhiolino si avviò rapidamente in un cunicolo buio alla sua destra.

 

Hermione riprese la bacchetta in mano e si voltò verso i due bambini. “Andiamo, ragazzi?”

 

Jack e Dan annuirono. “Andiamocene da qua.”

 

“Mi raccomando, statemi vicini.”

 

 

***************

 

 

Il demone si muoveva in silenzio nel buio dei cunicoli più scuri, illuminato solo dalla luce delle fiaccole che si accendevano lungo i muri man mano che procedeva. Teneva la testa nascosta nel cappuccio, procedeva a passi vellutati e silenziosi ma svelti e decisi. Sottobraccio stringeva due bambini privi di sensi, le sue chiavi per uscire illeso dalla porta principale. Ora come ora la fuga gli sembrava la migliore opportunità. Godeva sempre di una certa protezione del medaglione, ma doveva assolutamente ritrovarlo se recuperare completamente tutti i suoi poteri; e l’unico modo per riprenderselo era di ricattare gli uomini che ne erano in possesso portandosi via i bambini.

 

Continuò ad avanzare rapidamente finchè qualcosa non gli sfrecciò a gran velocità davanti al naso per andarsi a schiantare violentemente nel muro. Si voltò a vedere cosa fosse: era un pugnale, che ora era incastrato nella roccia. Si voltò nella direzione da cui era partito il lancio.

 

C’era un uomo alto, dalla corporatura vigorosa e imponente, coi capelli rossi e il viso tirato in un’espressione di odio. Aveva qualcosa di familiare la sua faccia…gli vide abbassare un attimo lo sguardo sui due bambini che teneva sottobraccio. Ma certo. Ecco dove l’aveva visto prima: il ragazzino coi capelli rossi gli assomigliava in modo impressionante. Questo non poteva che significare che erano padre e figlio; il che era un punto a proprio favore per lui.

 

Ron si sentiva bruciare dalla rabbia e dall’odio. Finalmente era faccia a faccia con chi aveva fatto del male a sua moglie e ai suoi figli. Finalmente poteva prendersi la sua vendetta. Gettò un’occhiata ai due corpicini che il demone stava stringendo: Julie e Simon. Vederli, ma soprattutto vederli in quello stato, gli fece provare una stretta al cuore e gli ci volle ogni milligrammo di autocontrollo per non lanciarsi direttamente sul bastardo che li teneva in ostaggio. Ma gliel’avrebbe fatta pagare anche per questo.

 

Per un lungo momento nessuno dei due si mosse né disse niente, troppo impegnati a uccidersi a colpi di sguardi. Quindi Ron lasciò cadere a terra l’uomo che teneva per il lembo del mantello rosso nella mano che non stringeva la bacchetta. Il demone lo riconobbe subito: era uno dei suoi fedelissimi, e aveva la gola squarciata. Gli dedicò uno sguardo rapido e sempre ugualmente glaciale.

 

Fu Ron a parlare per primo, e la sua voce da sola avrebbe potuto fracassare un blocco di marmo. “Te lo dirò una volta sola. Lascia andare i bambini.”

 

Il demone non si mosse. “Io gli ordini non li ricevo. Li do.” Sibilò, con la sua voce gelida fornita di eco.

 

“Non mi importa un accidente di quello che fai tu.” Ringhiò Ron. “Libera immediatamente i bambini.”

 

“No.” Disse lentamente il demone, compiaciuto.

 

Ron serrò la mascella e sollevò la mano con la bacchetta. Gli prudevano terribilmente le mani.

 

Il demone con una mossa decisa si sfilò il cappuccio dalla testa, rivelando il mostro che era in realtà. “Povero pazzo mortale. Tu nemmeno immagini cosa significhi sfidare me.”

 

Ron non fece neanche un movimento della testa né si scompose in alcun modo quando vide quanto era mostruoso il suo nemico. “Se credi di spaventarmi con quel cesso di faccia che ti ritrovi, devo deluderti. Ci vuole ben altro.”

 

Gli occhi del demone calarono sulla bacchetta del suo avversario. “Credi che quella ti sarà utile contro di me?” sibilò.

 

Ron strinse i pugni. In effetti sapeva che la magia non poteva nulla contro i poteri di quel pazzo. No, quello era da buttar giù con altri mezzi. “Al momento giusto si, mi sarà utile anche questa.” Disse, rinfoderando la bacchetta ed estraendo la spada dal cinturone.

 

Con un sorrisetto beffardo il demone fece levitare Julie e Simon finchè non furono a terra, ben lontani da Ron. “Vediamo se mi fai divertire. Sento già l’odore del tuo sangue.”

 

Ron non disse nulla, semplicemente si limitò a far roteare la spada in mano. Per un lungo momento i due nemici si guardarono attentamente, girando attorno a un centro immaginario con tutti i muscoli tesi; quindi Ron fu il primo ad attaccare, sollevando rapidamente la spada e abbassandola con forza sul nemico; il demone parò il colpo con un braccio, e il rumore di ferro che si scontrava fece accigliare Ron.

 

Il mostro fece un orribile sorriso. “La mia carne e la mia pelle sono mille volte più resistenti della tua.”

 

“Non ti sarà sufficiente per salvarti!” Ron gli sferrò un calcio che lo fece arretrare, quindi approfittò dello spazio guadagnato per sciabolare di nuovo; con un buon fendente riuscì a scheggiargli la pelle squamosa di un braccio, ma un momento dopo il demone con uno scatto felino gli afferrò la spada fra le mani – immobilizzandolo parzialmente – e gli alitò in faccia: ne uscì un fumo viola che Ron evitò chiudendo occhi e bocca e arretrando bruscamente; ma così facendo non vide arrivare un destro micidiale del suo nemico, che lo fece cadere indietro a terra.

 

Il demone si guardò per un momento il taglio che aveva sul braccio, poi si voltò verso il suo nemico con uno sguardo di sufficienza.

 

Ron, accecato dalla rabbia e dalla voglia di vendetta, non perse tempo ad asciugarsi il sangue che gli colava dal naso; si rimise subito in piedi, stringendo forte in mano la sua sciabola. Doveva cercare di evitare colpi del genere: quello era fatto di pietra, o comunque di un materiale durissimo che rischiava di procurargli troppi danni troppo in fretta. No, doveva tenerlo a distanza e attaccarlo a ripetizione, senza lasciargli il tempo di reagire.

 

“Sei fragile, come tutti gli uomini.” Fece sprezzante il mostro.

 

Ron fu rapidissimo: mise mano alla bacchetta e urlò “Lumus solis!!” una luce abbagliante esplose nell’aria e lui ne approfittò per colpire il demone con due violentissimi pugni e poi cercò di infilzarlo con la spada, ma inspiegabilmente la sciabola gli rimbalzò indietro; e un momento dopo, mentre ancora la luce abbagliante risplendeva nella grotta, due mani squamose si protrassero in avanti, lo afferrarono per il collo e gli fecero fare un gran volo contro la parete rocciosa opposta.

 

La luce si era ormai dissipata quando Ron, mosso da una rabbia crescente, si rimise in piedi con gran determinazione; gli faceva un gran male la schiena, però. Il demone lo guardò con un sopracciglio inarcato, scuotendo la testa.

 

“Ancora non lo hai capito che i tuoi trucchetti con me non funzionano.”

 

Ron si lanciò di nuovo all’attacco, furioso; la sua sciabola vibrava di colpi precisi e potenti, uno dei quali provocò al mostro un taglio lungo tutto l’addome. Non contento, Ron lo colpì al viso con due pugni così forti che se ne sentì il rumore per tutta la caverna. Il demone barcollò indietro di qualche passo, lui invece si massaggiò il polso dolorante per un momento: non era facile né indolore colpire un blocco di pietra.

 

Il mostro tornò a guardare il suo nemico. “Sei bravo.” Sibilò. “Ma non abbastanza.” Con suo estremo orrore Ron vide il taglio sul suo addome rimarginarsi e tornare normale. Il demone rise forte.

 

“Tu non puoi niente contro di me.” Così dicendo socchiuse per un attimo gli occhi, e improvvisamente una specie di bastone di pietra appuntito schizzò via dalle rocce, puntando a gran velocità su Ron. Lui riuscì a schivarlo, ma il bastone continuò a puntarlo con velocità e potenza, rendendogli sempre più difficile evitarlo.

 

Ron stava sprecando un sacco di energie a schivare quell’affare, e sapeva perfettamente bene che farlo sfinire era l’obbiettivo del suo nemico. Ma come poteva fermare quel dannato palo di pietra? Usare la magia sarebbe stato pressocchè inutile, quello era un rito strano con cui non poteva competere. Cercò di sforzarsi: il demone lo stava manovrando con gli occhi, quindi…si stava concentrando. L’unica soluzione era farlo deconcentrare.

 

Aspettò che il piolo roccioso si fosse schiantato nella parete alle sue spalle per voltarsi e cercare il demone. L’unico problema era che non lo vedeva più.

 

Ma dove cazzo sei?

 

Si voltò di nuovo; niente. Schivò ancora un altro paio di volte la lancia di pietra. Si voltò di nuovo. E si ritrovò il mostro ghignante a due centimetri di distanza. E un istante dopo sentì il ginocchio durissimo del suo nemico conficcarsi forte nel suo stomaco.

 

Ron si piegò in due e cadde sulle ginocchia, con gli occhi e la bocca spalancata e sentendo in bocca il sapore ferroso del sangue. Il demone rise forte e s’inginocchiò davanti a lui, prendendogli un ciuffo di capelli in mano e sollevandogli la testa.

 

“Povero stupido pazzo mortale.” Sibilò, con gli occhi viola più vivi che mai. “Tu credevi di potermi battere. Credevi di poter vincere.” E così dicendo gli portò una mano sul fianco destro. “Idiota. Ancora non hai capito la differenza tra un essere immortale e uno mortale. Bene, lascia che te la spieghi una volta e per tutte.” E senza neanche un secondo di preavviso dalle unghie gli partirono delle lame che si conficcarono a tutta forza nel fianco di Ron, facendogli urlare a squarciagola il suo dolore.

 

 

***************

 

 

Hermione si fermò. Aveva avuto una strana sensazione…una brutta sensazione, dritta al cuore. Impallidì e si voltò un attimo, portandosi una mano sul petto.

 

I due bambini si fermarono a loro volta e si voltarono. “Mamma?...tutto ok?” le chiese Jack, un po’ incerto.

 

La voce del figlio la scosse e la riportò alla realtà. Erano ancora nella caverna, e dovevano ritrovare l’uscita. “Si…si, va tutto bene.”

 

“Forse sei stanca…capirai, dopo tutto il casino che hai combinato prima.” Le disse sorridendo Dan.

 

“Vuoi che ci fermiamo un po’?” le disse Jack. “Non è che ti fa male da qualche parte?”

 

Hermione sorrise e gli accarezzò la testa. “Adesso non fare come tuo padre. Sto benissimo, e prima ci muoviamo meglio è.”

 

“Ok, però ricordati che quando papà non c’è sono io l’uomo di casa.” Replicò sicuro Jack, riprendendo a camminare.

 

Dan lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Sarà, ma io mi fido più di zia che di te.”

 

Dei rumori piuttosto violenti li fecero sobbalzare. Subito Hermione avanzò con la bacchetta pronta in mano, facendo cenno ai bambini di starle vicini, cosa che fecero entrambi. Camminarono rasente il muro, in modo da restare nell’ombra, e si nascosero dietro a una roccia per poter vedere cosa c’era davanti a loro.

 

Nello spazio più illuminato era in corso una violenta battaglia tra fantocci di pietra e War Mage: Hermione notò con piacere che i rinforzi erano già arrivati. Questo significava anche che le passaporte erano attive e funzionanti.

 

“…e noi dovremmo passare là in mezzo?” fece Dan, decisamente scoraggiato al solo pensiero.

 

Hermione si guardò un attimo attorno, poi curvò le labbra in un sorrisetto. “Non necessariamente. Venite con me.”

 

I bambini la seguirono; a pochi passi alla loro destra c’erano le rocce che componevano la parete destra dello spiazzo, ed erano ammassate l’una sull’altra come se fossero crollate. Ma c’era una specie di spiraglio in alto…un buco, oltre il quale si vedeva la luce.

 

“Con un pizzico di fortuna, sarà quella la nostra via d’uscita.” Fece Hermione. “Ve la sentite di arrampicarvi fin lassù?”

 

“Mi sento profondamente offeso, zia.” Dan si finse colpito nel suo orgoglio. Se Dan e Jack avevano una passione oltre al quidditch era quella di sfidarsi a chi si arrampicava più velocemente sulla grande quercia che sorgeva nel giardino della Tana.

 

“Ok, allora.” Hermione si arrampicò per prima, in modo da assicurarsi che la strada fosse sicura; i bambini la seguirono a ruota, con l’agilità e la rapidità per cui erano famosi. Ci misero poco a scalare le rocce, e Hermione diede prima un’occhiata fuori.

 

C’era un via vai di War Mage in quella che riconobbe come la valle in cui erano stati trasportati prima dal medaglione. Ora, fortunatamente, le passaporte attivate da Ben e Remus avevano permesso ai rinforzi di raggiungerli; alcuni si avviavano verso la caverna, altri tornavano trasportando feriti, e a coordinarli c’era il giovane tenente Stephan Mitchell, uno fra i migliori della sua età. Hermione tirò un sospiro, più tranquilla, e fece un rassicurante sorriso ai due bambini dietro di lei. “Ragazzi, ci siamo!”

 

Il giovane tenente li vide e il suo viso s’illuminò. “Capitano! State tutti bene?” chiese subito, mentre tre War Mage aiutavano Hermione e i bambini a uscire dal buco.

 

“Si, tutti bene.” Fece lei, controllando principalmente se i due bambini stavano bene, e loro annuirono.

 

“Portate due coperte.” Fece Mitchell a un suo subalterno. “Capitano, ho io al momento il comando dei rinforzi. Ho mandato Correl, Jameson e Nilson in soccorso del colonnello Nixon. Sappiamo che i capitani Potter e Weasley si sono spinti oltre, ma non…”

 

Hermione scosse la testa. “No, tenente, va benissimo come stai procedendo. Concentriamo gli aiuti sulla battaglia lì fuori.”

 

Il giovane annuì. “Bene, capitano.”

 

Tempo pochi secondi Dan e Jack si ritrovarono avvolti in un paio di coperte calde che gradirono moltissimo. “Tenente, le passaporte?” fece Hermione.

 

“Da questa parte.” Il ragazzo fece strada, scortandoli un po’ più lontano dalla grotta. “Ecco, abbiamo un collegamento di fortuna diretto proprio nella nostra sala centrale.” Disse, porgendo a Hermione un tronco d’albero spezzato. “Ballerete un po’ più del solito, ma tutto funziona correttamente.”

 

Hermione annuì e salutò il giovane auror, poi si voltò verso i bambini e sorrise. “Allora ragazzi, andiamo a casa?”

 

Jack sembrava titubante. “E papà e gli altri?”

 

“Non li aspettiamo?” chiese Dan, un po’ incerto.

 

“Ci raggiungeranno prestissimo.” Hermione cercò di rassicurarli entrambi. “Ora però è meglio che cominciamo ad andare, queste passaporte non sopportano troppe persone. E poi c’è mamma che ci aspetta, Dan.”

 

Il bambino annuì con uno sguardo sicuro: al pensiero di riabbracciare sua madre si sentiva felice ed emozionato. “Vabbè, tanto vengono presto anche loro, no?”

 

“Certo.” Annuì sua zia. “Venite. E’ proprio ora di tornare.”

 

 

***************

 

 

Il demone rise forte, e la sua risata gelida echeggiò nella caverna più sinistra e crudele che mai. Un’altra battaglia, un’altra vittoria. Si sentiva più vivo che mai, pronto a sgominare tutti gli eserciti del mondo con i suoi poteri. Li sentiva crescere, pompati attraverso il sangue in tutto il suo corpo. Si sentiva invincibile, e aveva ben ragione di poterlo pensare.

 

Si voltò un momento a guardare il suo nemico: giaceva a terra, a pancia in giù, in una pozza di sangue. Si era battuto bene, ma aveva dimenticato la prima regola di ogni buon guerriero: saper riconoscere i propri limiti. Il mostro scosse la testa e si avviò lentamente verso i bambini, che stavano a terra poco distanti da lui.

 

“…aspetta…un attimo…”

 

Il demone si voltò di scatto: Ron, con tanta, tantissima buona volontà e uno sforzo al di là dei propri limiti, si stava rimettendo lentamente in piedi. Si teneva il fianco sanguinante, era molto pallido e aveva il viso contratto per il dolore; e nonostante questo la sua voce e la sua intera figura emanavano una rabbia e un odio molto intensi.

 

“N-non ho ancora finito con te.” Ruggì, estraendo la bacchetta e continuando a tenersi il fianco sanguinante.

 

Il demone inarcò un sopracciglio. Poteva anche essere solo un mortale, ma la sua grinta e la sua tenacia erano al pari di quelle di un essere immortale, era davvero un avversario che rendeva degna di orgoglio una vittoria.

 

Ron serrò la mano attorno alla bacchetta. Ora lo avrebbe fatto. Lo avrebbe lanciato per la prima volta in vita sua. Lo odiava, lo riteneva il più viscido e vigliacco degli incantesimi, perché non dava nemmeno il tempo al nemico di capire nulla, era come attaccarlo alle spalle. Ma doveva farlo, doveva ricorrere anche a un mezzo sporco come quello per sconfiggere quel mostro. Ne andava della vita dei suoi figli. Serrò gli occhi per un istante, puntando la bacchetta contro il suo nemico. Doveva agire subito, perché le forze lo stavano abbandonando.

 

“Avada Kedavra!!” urlò.

 

Una luce verde colpì in pieno il mostro, scaraventandolo contro la parete rocciosa. Passò qualche secondo; Ron lo fissò col fiato corto e una smorfia di dolore dipinta sul viso. Stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, quando vide il mostro sussultare, scosso da una risata gelida. Ron si sentì mancare il fiato quando lo vide rialzarsi illeso, a malapena bruciacchiato e molto, molto divertito.

 

“Ti sei convinto ora che è impossibile battermi?”

 

 

************************

 

 

Direi che è stato molto pregno di avvenimenti questo chap…eh si, considerando che è anche il penultimo…sob, che tristezza…DAD è quasi finita!!! Ok, niente lacrime: Mony, soprattutto tu, cara, non disperare…sicuramente scriverò qua e là qualche one-shot su Simon e gli altri, ok? Anzi, guarda: facciamo come ho fatto con  la mia beta-lettrice Sara Lee, dimmi quand’è il tuo compleanno che ti farò trovare una sorpresina on line, ok? ^^

 

Per il resto: baci immensi a tutti i miei recensitori. Vorrei dedicare un saluto a tutti come sempre, ma tra meno di mezzora devo uscire, e sono praticamente a zero. Cercate di capire…

 

Baci baci a tutti

Sunny

 

 

:::::::spazio privato…per favore, tranne la persona in questione, non leggete…::::::::

 

 

Visto amo’ che non ti trascuro? ^^ Ciao hubby! Love yah!

 

 

::::::::::::fine spazio privato::::::::::::::::::::::::

 

 

 

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Capitolo 12
*** Casa dolce casa! ***


                                               DIE ANOTHER DAY

 

 

CAPITOLO 12: CASA DOLCE CASA!

 

 

I wanna believe that my prayers are being heard

Lately it seems they’re all wasted words

How many prayers will it take

How many tears must we cry                                               

Till we can walk across that bridge of hope

To peace on the other side?

                                                                       Bridge of Hope, Lara Fabian

 

 

 

***************

 

 

Aki applicò un cerotto sul naso di Jack, che stava seduto sul letto dell’infermeria appoggiato di spalle a sua madre. Accanto a loro c’era Dan, a sua volta seduto in braccio a Ginny, che continuava ad accarezzarlo e a baciarlo più che poteva; ma stavolta nessuno dei due bambini si era lamentato con la scusa che erano troppo grandi per quelle cose: si stavano tranquillamente godendo le loro coccole, per niente imbarazzati.

 

Per fortuna avevano riportato danni molto lievi: Jack aveva un livido sulla fronte e uno sul naso, Dan aveva anche lui un livido in fronte, e Aki aveva preferito dargli una controllata anche alla mano anche se ormai era chiaro che il morso del serpente era più che guarito.

 

“Ancora non ci credo.” Ginny sorrise e baciò la guancia del figlio. “Il mio bambino è sopravvissuto a un morso di serpente.”

 

“E’ stato merito di Jack.” Le disse allegramente Dan.

 

Jack annuì. “Quindi ho diritto a una razione in più di biscotti al limone.” Hermione, Ginny e Aki risero.

 

“Tutti i biscotti che vuoi, amore.” Gli disse Ginny, quasi commossa per la centesima volta in dieci minuti.

 

Aki fece un occhiolino a entrambi i bambini. “Ho la sensazione che ve le daranno tutte vinte per un po’.”

 

I due piccoli spalancarono gli occhi, quindi Jack si voltò verso sua madre. “Mamma, sabato possiamo andare tutti al luna park invece che a scuola?” chiese, vispo e speranzoso. Hermione sorrise e annuì.

 

Dan seguì l’esempio del cugino. “Ma’, non è che mi compreresti la nuova SpeedLight 2020, il modello autofrenante con la sterzata semi-automatica?”

 

Ginny inarcò le sopracciglia. “Vedremo.”

 

Dan, superfelice della risposta di sua madre (ogni volta che glielo chiedeva otteneva solo un “No, Dan”, “Ne hai già una, Dan”, “Ne abbiamo già parlato, è no”), si scambiò il cinque con il cugino.

 

Aki rise e diede un bacio a entrambi. “Piccole pesti, quanto ci mancavate.”

 

“Anche voi ci siete mancati.” Disse Dan.

 

“A scuola tutti i vostri amici hanno chiesto di voi.” Fece Hermione. “Anche i professori.”

 

Jack curvò le labbra nel mitico sorrisetto Weasley. “Ehi Dan, che peccato…ci siamo persi il compito di matematica di martedì.”

 

Dan rispose con lo stesso sorriso. “Che peccato…”

 

Ginny rise. “Oh, non vi preoccupate. Il professor Smith ha detto che ve lo farà rifare con calma.”

 

Dan spalancò occhi e bocca. “Cosa?!?”

 

Jack scosse la testa. “Quell’uomo è un negriero.” Tutti risero; era bello ridere di nuovo con Dan e Jack. Ora, però, mancavano ancora dei tasselli per completare il puzzle.

 

 

***************

 

 

Ron non riusciva a capire se gli faceva più male il fianco o la scoperta che il mostro che aveva davanti era davvero immortale. Né la magia, né le armi babbane nè calci e pugni lo avevano scalfito. Possibile che non c’era nemmeno un modo per abbatterlo? Quel viscido verme avrebbe fatto del male ai bambini, e lui non riusciva a finirlo in alcun modo! Possibile?!

 

Il demone rise forte. “Ti sei convinto adesso? Hai capito che continui a combattere con chi è mille volte più forte di te?”

 

Ron emanava odio da tutti i pori. “Tu non vincerai.” Sibilò fra i denti.

 

“No? E chi me lo impedirà, forse tu?” il mostro spalancò gli occhi per un minuto, e Ron fece un volo che lo fece finire di schiena a terra con un gran tonfo, lasciandolo per un momento senza fiato e con la vista completamente sfuocata.

 

Il mostro lo raggiunse e gli diede un calcio sul fianco ferito, impedendogli di resistere quando si chinò su di lui e gli piantò le unghie della mano a un millimetro dalla gola. “Che cosa ti ha dato tua madre? Un corpo molle e debole.” Sibilò, con una voce fiera e soddisfatta. “La mia mi ha donato l’immortalità. E ora sarò ben fiero di offrire a lei la tua testa.”

 

“Fermo!!!”

 

Il demone si girò di scatto: Harry era in piedi a pochi passi, con la sciabola in mano. Il mostro ghignò. “Un altro pazzo aspirante suicida.”

 

“Guarda un po’ questo, figlio di puttana!” dalla mano di Harry penzolò un oggetto tondo con il disegno di una stella inciso sopra; Harry si gustò fino in fondo l’espressione sgomenta del demone, prima di lasciar cadere a terra il medaglione e pestarlo con forza, riducendolo in mille pezzi.

 

“NOOOO!!!!!” il mostro sentì come se gli avessero strappato un mantello di dosso, e si toccò freneticamente come per sincerarsi che la sua immortalità fosse ancora intatta. Il dubbio glielo levò Harry, sferrandogli contro un pugnale: la lama gli si conficcò nel braccio, superando lo strato squamoso della sua pelle grigiastra e facendo sgorgare dalla ferita un liquido rosso molto scuro. “Com’è possibile???” urlò in pieno panico il mostro. “Io non posso essere ferito!!! E’ assurdo!!!”

 

“E invece è tutto vero, brutto bastardo.” Harry fece due passi avanti, roteando la spada.

 

Ron fece uno sforzo e aprì gli occhi per vedere se quello che aveva sentito era vero. Ed era vero: il demone stava sanguinando. Non era più invincibile, non era più immortale! E la cosa gli fece ribollire il sangue: era arrivato il momento di farsi finalmente giustizia. Non sentì nemmeno più il dolore atroce che gli stava paralizzando il fianco destro. Si alzò lentamente, afferrando la sua sciabola e tornando a mostrarsi come la tigre che era sempre stato. Fece due passi avanti e il demone lo guardò con gli occhi sbarrati per il panico, arretrando.

 

“Tutto questo non può succedere!!!” urlò. “Voi siete dei comuni mortali, non potete uccidere il figlio di una dea eterna!!!”

 

Ron lo afferrò per la gola con un solo movimento, stringendo forte le dita in modo da rendergli difficile perfino la respirazione, e serrò la sua presa sulla sua sciabola. Avvicinò il demone, che annaspava sempre di più, finchè non potè guardarlo negli enormi occhi viola.

 

“Porta i miei saluti a quella puttana di tua madre, stronzo.” Ruggì, e un istante dopo gli trapassò il petto con la sua sciabola; il mostro non aveva nemmeno l’aria per urlare, si limitò a spalancare occhi e bocca, completamente colto di sorpresa da quello che gli stava accadendo: un mortale lo aveva ucciso!  Ron spinse con ancora più forza la lama fino a fargliela uscire dalla schiena, quindi lo lasciò. Il demone barcollò indietro per qualche istante, quindi cadde a terra come un peso morto, facendo un gran rumore; e in pochi secondo scomparve nel nulla, dissolvendosi: di lui rimase solo il mantello nero a terra.

 

Ron sospirò. Ce l’avevano fatta, finalmente l’avevano sconfitto e si erano liberati di lui, e si erano presi la loro vendetta. Sentì Harry dure qualcosa, ma non capì cosa. La vista prese a fargli flip-flop. Il dolore al fianco era tornato in pieno, più forte di prima. Forte abbastanza da farlo crollare a terra.

 

Nemmeno lui capiva bene se aveva perso conoscenza o cosa; di sicuro non riusciva a vedere né a sentire nulla, ma in qualche modo avvertiva un’altra sensazione…come se la vita gli stesse scivolando via, come se qualcuno lo stesse attirando altrove. Sarebbe stato facile non opporre resistenza e lasciarsi trasportare via, era una sensazione di piacere…ma lui non poteva farlo, perché non voleva morire. Voleva tornare da Hermione e dai bambini, non voleva e non poteva lasciarli. Loro avevano bisogno di lui, e lui di loro. Non era il momento giusto per morire, non se lo poteva permettere, non ora. E fu in quel momento che sentì una forza attirarlo nella direzione opposta…

 

Ron aprì gli occhi di scatto e vide che Harry, che stava in ginocchio accanto a lui, lo stava tirando su per una mano quasi come se lo stesse aiutando a uscire da uno strapiombo. Harry gli fece un sorriso e lo aiutò a mettersi seduto, dandogli una pacca sulle spalle.

 

“Meglio adesso?”

 

“Ma che…” Ron si guardò il fianco destro: non sanguinava più né gli faceva male. Era come se non fosse stato mai colpito. “…come hai fatto?”

 

Harry gli scoccò un occhiolino. “Un trucchetto che mi ha insegnato Ginny. Che viene ancora meglio senza la bacchetta, a quanto pare.”

 

Ron gli fece un sorriso. “E con questa cos’è, la centesima volta che mi salvi la pelle?”

 

“Dì pure la millesima. Ma non l’ho fatto per il tuo culone, bada.” Harry lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Hai idea di cosa mi farebbe Hermione se tornassi a casa senza di te?”

 

Ron rise, per la prima volta in una settimana rise senza trattenere niente. “Già, in effetti non ti converrebbe molto.”

 

“No, non mi converrebbe proprio.” Fece Harry, ridendo a sua volta.

 

 

***************

 

 

Jack e Dan giocavano tranquillamente a SNAP sul letto dell’infermeria mentre Aki, Tennessee, Ginny e Hermione sembravano sui carboni ardenti.

 

“Basta, io non ce la faccio più.” Fece Hermione, senza alzare la voce per evitare di agitare i bambini. “Sono due ore e mezzo. Io vado a cercarli.”

 

Aki la trattenne. “Ci sono già tutti gli altri. E’ meglio che tu resti qui.”

 

“Io non ce la faccio più ad aspettare con le mani in mano.” Hermione non riusciva neanche a restare ferma.

 

“Si, ma…” provò Aki.

 

“Mamma?” fece Dan, interrompendo la sua partita col cugino. “Quando tornano papà e gli altri?”

 

Ginny esitò, poi cercò di sorridere. “Presto, non temere.”

 

“Ma che, si sono fermati a comprare i gelati?”

 

Tennessee fece l’occhiolino ai due bambini. “Sai cosa dicono nel mio paese, Dan? Il vero saggio è colui che sa aspettare almeno dieci lune prima di agire.”

 

Jack si accigliò. “Zia, posso dirti una cosa in tutta sincerità?”

 

Tennessee inarcò le sopracciglia. “Certo.”

 

“I tuoi proverbi del Vietnam ci hanno rotto il…”

 

“Jack!” intervenne Hermione. Dan ridacchiò.

 

Tennessee si finse offesa. “Ah si, eh? Beh, attento a te: alla prossima occasione ti bucherò il tuo bel culetto con un siringone grande quanto una mano.” Jack spalancò gli occhi, facendola ridere.

 

Hermione guardò ancora l’orologio. “Basta, io vado.” E prima che le altre potessero fermarla si avviò verso la porta e l’aprì.

 

Si ritrovò di fronte Harry e Ron, che a loro volta stavano per aprire la porta; erano un po’ strapazzati, ma sembravano interi. E tenevano in braccio Julie e Simon, apparentemente addormentati.

 

Hermione sobbalzò, poi lanciò un piccolo strillino di gioia e corse incontro al marito. Ginny fece altrettanto, abbracciando per un istante Harry e poi prendendosi in braccio Julie. Hermione immediatamente prese in braccio Simon, baciandolo e stringendolo forte a sé, commuovendosi di gioia quando Ron le disse che stava bene ed era solo svenuto.

 

“Papà!!!” Jack balzò giù dal letto e corse incontro a Ron, che lo prese in braccio e lo riempì di baci, stringendolo forte a sé.

 

Aki e Tennesse non poterono fare altro che assistere a quella bellissima scena senza nemmeno parlare o commentare. Era troppo bello poterli rivedere di nuovo tutti insieme, felici e stretti gli uni agli altri in quel senso di completezza e gioia che riempiva una casa intera.

 

 

***************

 

 

Ginny finì di spazzolare i capelli della figlia davanti allo specchio; avevano fatto un lungo bagno rilassante, poi una cena più che succulenta, e ora erano in pigiama pronte per la nanna. E Ginny non riusciva a smettere di adorare la sua bambina.

 

“Lo sai che sei bellissima tutta abbronzata?” le disse.

 

Julie sorrise. “Però tu sei più bella, mammina, anche se non sei ancora nera come me.”

 

Ginny rise e le accarezzò il viso. “Ancora non riesco a credere di aver passato un’intera settimana senza voi due.”

 

Julie scrollò le spalle. “Pure noi ci siamo sentiti un po’ soli, però piano piano…l’unica cosa, se vedo un’altra mela nei prossimi tre mesi la butto dalla finestra.”

 

Ginny rise e la prese per mano. “Andiamo, cucciola. E’ ora di andare a letto.”

 

La bimba trotterellò allegramente accanto alla madre. “Però io dormo nel lettone con voi, eh?”

 

“Certamente.” Ginny sorrise; quanto le era mancato tutto questo…

 

In camera loro Harry stava sdraiato sul lettone e Dan era comodamente appoggiato con la testa sulla pancia del padre, mentre leggeva ad alta voce una rivista sui prezzi dei nuovissimi modelli di scope sul mercato. Anche loro erano già in pigiama, avevano un’aria magnificamente rilassata ed allegra, metteva una gran gioia vederli così.

 

Julie lasciò la mano della madre e balzò sul lettone, inginocchiandosi accanto al fratello per guardare il giornale. “Che leggete?” chiese vispa, mentre Harry le accarezzava i lunghi capelli ramati.

 

“Tuo fratello ha deciso di comprare la sua terza scopa.” Le disse il padre. “Come se non gli bastassero quelle che ha.”

 

“Che c’entra.” Fece Dan, continuando a sfogliare il giornale. “Questi sono i nuovi modelli. E poi tu hai detto che potevo scegliere un regalo.”

 

“Allora lo devo scegliere anch’io un regalo.” Disse Julie.

 

“E tu cosa vorresti, amore?”

 

La bimba scrollò le spalle. “Non so…però forse una bicicletta nuova. Tutta rosa e col cestello davanti.”

 

“E’ una bella idea.” Fece Ginny con un sorriso, sedendosi sul lettone.

 

“E non ti dimenticare che hai promesso anche che andiamo tutti al luna park sabato prossimo.” Continuò Dan.

 

“No che non lo dimentico.” Annuì Harry con un sorriso.

 

Ginny si stiracchiò. “Beh, è ora di andare a letto adesso. E’ stata una giornata molto intensa.”

 

“Yuppi!” Julie, eccitatissima, prese a saltare sul lettone. “Dormiamo tutti su un letto e non per terra!”

 

Harry rise e se la prese in collo, baciandole le guanciotte paffute. “Mmh, ti mangio tutta!” Julie rise forte, sgambettando perché il padre le stava facendo il solletico.

 

Ginny rise e si sistemò nel lettone, aspettando che il marito e la figlia si calmassero e si mettessero buoni buoni per tirare su le coperte. “Dan, non vieni?”

 

Il bambino si alzò dal lettone. “Nah, io sono troppo grande per queste cose. ‘Notte.” E così dicendo uscì dalla stanza.

 

Julie fece un sorrisetto, Harry inarcò un sopracciglio e poi si voltò verso la figlia con lo stesso sorrisetto. “Uno…due…tre…quattro…”

 

Dan fece di nuovo capolino nella stanza. “…ehm…giurate di non dire niente a nessuno?”

 

Harry rise e annuì, Ginny gli fece un rassicurante sorriso e Julie si passò due dita sulle labbra, per fargli capire che aveva le labbra cucite. Dan fece un gran sorriso e balzò a sua volta sul lettone, sistemandosi sotto le coperte.

 

Ginny trafficò con le lenzuola finchè non furono tutti e quattro ben coperti, e Harry spense la luce. Julie si accoccolò fra le braccia di sua madre, Dan si rilassò accanto a suo padre, e Harry e Ginny si fecero un gran sorriso prima di chiudere gli occhi: mai il loro lettone era stato così piccolo, e mai così comodo.

 

“Buonanotte.”

 

“Sogno d’oro.”

 

 

***************

 

 

Hermione si sfilò dai fianchi il grembiule e guardò soddisfatta il suo lavoro: la tavola era piena di ogni ben di Dio, tutte le cose che ai figli piacevano le aveva cucinate per la prima cena che passavano di nuovo tutti insieme. Ci aveva messo un bel po’ di tempo, ma la fatica era ben valsa la pena: era riuscito tutto alla perfezione.

 

All’apice della serenità Hermione risalì le scalette e si diresse direttamente verso il bagno, visto che aveva lasciato Ron e i bambini a farsi un bagno caldo, ma non li trovò. Li cercò nella camera da letto, ma nemmeno lì niente; c’era molto silenzio, il che la stupì: quando li aveva lasciati stavano ridendo come pazzi, a giocare nella vasca e a spruzzarsi furiosamente.

 

Alla fine li trovò nella loro stanzetta: stavano seduti a terra tutti e tre, ancora in accappatoio; Hermione sorrise e rimase per qualche minuto a guardarli: stavano dormendo come tre angioletti. Ron, appoggiato di spalle al letto, aveva un’aria beata e tranquilla; Simon stava tutto sdraiato sulla pancia del padre, profondamente addormentato; Jack, seduto accanto, stava appoggiato al fianco del papà, anche lui molto rilassato. Erano uno spettacolo che riempiva il cuore.

 

Hermione si avvicinò in punta di piedi e svegliò Ron con un bacio sulle labbra. Lui aprì gli occhi, realizzò dov’era e le fece un sorriso. “Finito tutto?” le disse piano, per non svegliare i bambini.

 

Lei annuì, sedendosi per terra di fronte a lui. “La cena è pronta, vi leccherete i baffi.” Disse con un sorriso. “Fatto un buon bagno?”

 

“Non ne facevo uno così bello da un bel po’.”

 

Lei ridacchiò. “E a che punto esattamente siete crollati?”

 

“Oh, eravamo alla parte più bella.” Rise lui. “I miei eroi preferiti mi stavano dando qualche piccola anticipazione sulle loro avventure.”

 

Lei inarcò le sopracciglia. “Ehi! Io non ho ancora avuto anticipazioni!”

 

Lui le rivolse uno dei suoi brillanti sorrisi. “Cose da uomini, amore.”

 

“Quali cose?”

 

“Dichiarazioni che tu non puoi conoscere.”

 

Lei gli fece gli occhioni dolci, sapendo che lui non avrebbe saputo resisterle. “Proprio no?”

 

Lui rise e scosse la testa. “Ok, ok. Hai vinto.” Mormorò, sempre tenendo basso il tono della voce. “Riguarda quello che è successo ai loro libri di scuola.”

 

Hermione s’incuriosì. “Cos’è successo?”

 

Ron curvò le labbra in un sorrisetto furbo. “Per te c’è la versione ufficiale. Io ho appena sentito quella ufficiosa.”

 

“Ah si? Sentiamole un po’ tutte e due.”

 

“Ufficialmente un grosso drago a macchie blu li ha inceneriti tutti col suo alito di fuoco, tu pensa un po’, mentre loro li tenevano ancora sulle spalle.”

 

Hermione scosse la testa con un sorriso. “Invece ufficiosamente?”

 

Ron mantenne il suo sorrisetto vispo e divertito. “Ne hanno fatto carta straccia in tre secondi.”

 

“I tuoi figli sono dei vandali, lo sai?” rise lei.

 

“Questa è un’altra delle cose che mi piacciono della nostra famiglia. Se fanno qualcosa di buono sono figli nostri. Al primo passo falso sono solo miei.”

 

“Ma tu sei un vandalo.”

 

“Vero.”

 

Tutti e due risero piano, serenamente. Che bella sensazione era poter ridere di nuovo. Erano stati sette giorni d’inferno, ma finalmente era tutto finito. Era un sogno riavere i bambini per casa.

 

Hermione sospirò. “Siete bellissimi voi tre, lo sai?”

 

Ron le fece un occhiolino. “Anche tu non sei niente male.”

 

Lei sorrise. Jack si stiracchiò nel sonno, sgambettando finchè non si tirò su, stropicciandosi gli occhi. Ron gli accarezzò la testa. “Ehi.”

 

Il bambino si guardò un momento attorno, poi fece un piccolo sorriso. “Allora siamo tornati veramente a casa, pensavo di aver sognato.” Mormorò, con la voce ancora assonnata.

 

Hermione gli sorrise. “No, siete proprio a casa. E la cena è pronta.”

 

Jack s’illuminò. “C’è anche il pane fritto con le patatine?”

 

La madre annuì allegramente. “Anche.”

 

“E allora che aspettiamo, dai, andiamo a mangiare!” Jack si alzò e tirò Hermione per la mano, facendola alzare e trascinandola rapidamente oltre la porta.

 

Ron rise e scosse leggermente Simon, cercando di svegliarlo. “Simon…è pronta la pappa buona, non vuoi mangiare?” Il piccolo mormorò qualcosa come ‘momento’ e si mise ancora più comodo. Ron rise e si alzò, tenendolo in braccio e avviandosi di sotto. “Vediamo un po’ se l’odorino avrà più successo di me.” Ridacchiò, mentre da sotto si sentivano gli strillini di gioia di Jack che aveva visto tutto quello che Hermione aveva preparato per loro.

 

 

***************

 

I could stay awake just to hear you breathing

Watch you smile while you’re sleeping,                                           

While you’re far away and dreaming

I could spend my life in this sweet surrender

I could stay lost in this moment forever

                                                                       I Don’t Wanna Miss A Thing, Aerosmith

 

***************

 

 

                                               …quattro mesi dopo…

 

Jack si guardò allo specchio per la centesima volta: l’uniforme di Hogwarts gli stava veramente a pennello. Peccato non avere già la cravatta di Grifondoro; avrebbe dovuto aspettare ancora una settimana per essere certo che il cappello parlante lo avrebbe mandato davvero in quella casa, ma si sentiva abbastanza tranquillo. Con la coda dell’occhio guardò il suo baule con tutti i libri accuratamente riposto vicino al suo letto, e notò anche che il suo nuovo gufo, Elios, stava nella sua gabbia a becchettare qualcosa tranquillamente.

 

Dall’altra parte della stanza, invece, c’era chi di buonumore non si sentiva affatto: Simon, seduto sul letto del fratello con le ginocchia strette al petto e l’aria imbronciata, stava zitto zitto senza dire neanche una parola.

 

Jack si voltò verso di lui. “Beh, che ne dici? Sembro un mago?” Simon gli lanciò un’occhiata imbronciatissima. “E dai, se fai quella faccia fai sentire triste pure me.”

 

“Non m’importa.” Simon tirò su col naso; aveva una vocetta piccola piccola.

 

Jack gli sedette accanto. “Guarda, te lo prometto: ti manderò un gufo ogni sabato, ti racconto cosa facciamo e tutto il resto.”

 

“Che me ne frega.” Piagnuolò Simon.

 

“Sai, non è un sacco di tempo, in fondo sono solo tre mesi alla volta.” Jack tentò di risollevargli il morale. “Tre mesi, e poi a Natale stiamo insieme. Tre mesi, e poi c’è Pasqua. E poi tre mesi, e viene l’estate e torno per tutto il tempo.”

 

“Non mi piace così.” Gli occhioni di Simon erano lucidi. “Poi te ne stai via e ti fai tutti gli amici e ti dimentichi di me.”

 

“Ma dai! Sei mio fratello, non mi posso dimenticare di te, pure se mi faccio un sacco di amici.”

 

“E però…” Simon tirò su col naso. “…io così resto solo e tu non ci stai a giocare con me.”

 

Jack gli passò un braccio attorno alle spalle. “Ci sono mamma e papà, ora sono tutti per te.”

 

“Lavorano tutto il giorno.”

 

“E dove li metti i tuoi amici? E poi c’è anche Julie.”

 

“A me piace tanto Julie, però lei è una femmina.” Piagnucolò il piccolo. “Io voglio giocare con te.”

 

“Pure io voglio giocare con te, però devo andare a scuola.” Jack ci pensò un attimo, poi sorrise. “E poi hai sentito che ha detto papà? Quest’inverno ti insegnerà a giocare a scacchi e a volare. Pensa che bello! Quando torno non solo possiamo giocare ancora di più, ma ci possiamo anche sfidare!”

 

Simon sembrò rallegrarsi un po’. “…dici che papà me la compra la scopa?”

 

Jack sorrise. “Certo che te la compra. E puoi usare la mia pluffa per allenarti.”

 

Simon spalancò gli occhi. “Me la lasci davvero?”

 

Jack annuì. “Certo. Tanto non me la posso portare a Hogwarts.”

 

Il più piccolo fece un sorrisone. “Wow, grazie!”

 

“Mi raccomando, impara bene a volare così potrai entrare anche tu nella squadra di Grifondoro.”

 

“Però io voglio imparare pure qualche magia.”

 

“Mmh…aspetta, forse questa te la posso far fare.” Jack prese dalla scatola sulla scrivania la sua bacchetta nuova di zecca. “Punta la porta e dì Occludi.”

 

Simon prese la bacchetta dal fratello e la puntò contro la porta aperta. “Occludi.”

 

La porta sbattè con violenza proprio in faccia a Hermione, che stava per entrare. Simon, terrorizzato, spalancò gli occhi mentre Jack gli strappò la bacchetta di mano e la nascose sotto al cuscino.

 

Hermione aprì la porta un attimo dopo. Aveva un sopracciglio inarcato e l’aria di chi la sa lunga. “Jack, stavi facendo usare la tua bacchetta a tuo fratello?”

 

Jack fece un sorriso uguale a quello di suo padre. “Nooo, mammina…so benissimo che non si può.”

 

Hermione sorrise e prese posto accanto ai figli sul letto. “Che fate di bello?”

 

Simon si voltò a guardare sua madre. “Mamma, io non voglio che Jack se ne va.”

 

Hermione gli accarezzò la testolina rotonda. “Lo so, tesoro, mancherà molto anche a me. Però Jack deve andare a scuola.” E così dicendo guardò il figlio maggiore. “E deve anche togliersi l’uniforme, se non la vuole sporcare.”

 

Simon mise il broncio. “E io mi sentirò solo.”

 

Hermione gli fece un occhiolino. “Io dico di no.”

 

Il piccolo imbronciatissimo si alzò e si nascose sotto al letto, facendo sorridere sua madre e suo fratello. “Non credo che là sotto risolverai più di tanto le cose, sai.” Ridacchiò Jack.

 

Hermione sorrise, poi si voltò verso suo figlio. “Sai dov’è papà?”

 

“Ha detto che usciva per fare quella cosa che sapevi tu.” Le rispose il bambino, accigliandosi. “Ma che cosa doveva fare?”

 

“Lo scoprirai presto.”

 

Jack notò che sua madre continuava a torcersi le dita e agitava un piede piuttosto nervosamente. “Mamma? Tutto ok?”

 

“Si! Si, certo…tutto ok, grazie.”

 

In quel momento fece capolino dalla porta Ron, con un sorrisone sul viso e un grosso pacco regalo in mano. “Si può?”

 

Jack balzò in piedi. “E’ per me quello?”

 

“Giù le zampe, è di Simon.” Ron lo cercò con lo sguardo. “…dov’è?” Jack e Hermione gli indicarono sotto al letto. “Simon?”

 

Ci provò Jack. “Ehi, pannolone, c’è un regalo per te!”

 

“Non lo voglio.” Fece una vocetta.

 

Ron mise il pacco per terra. “Dai, che questo regalo ti piace sicuramente.”

 

“No.”

 

Jack notò che la grossa scatola stava barcollando leggermente. “Ehi, ma quella scatola si muove!”

 

Qualche istante dopo Simon sgusciò fuori dal suo nascondiglio. “E va bene, la apro solo ma non me ne frega di che cos’è.” Brontolò. Ron trattenne a fatica una risata.

 

Simon scartò il pacco, stracciò via la carta e sollevò il coperchio della scatola…e un cagnolino, un cucciolo di Labrador latte e miele, fece la sua comparsa scodinzolando e abbaiando. “Un cane!!!” urlò felice il bambino, prendendolo.

 

Jack subito s’inginocchiò vicino al fratello per accarezzare il cucciolo, che leccava e annusava allegramente le loro manine. “Wow, è bellissimo!”

 

Anche Hermione riuscì ad accarezzare il dorso del nuovo arrivato, che scodinzolava felicemente e leccava la mano di Simon.

 

“Adesso vi siete decisi, eh? E’ un sacco che ve lo chiediamo!” esclamò Jack, strapazzando le orecchie del cagnolino.

 

“Ora ci sarà un po’ più di posto.” Ron incrociò le braccia sul petto. “Bada, Simon, dovrai pensarci tu perché è tuo.”

 

Il piccolo annuì, accarezzando le orecchie del cucciolo. “Certo che ci penso io a lui!” esclamò gioioso.

 

“Come lo vuoi chiamare?” gli chiese Hermione.

 

“Mmh…Spock!”

 

Jack rise. “Ma che razza di nome è Spock?”

 

“E’ un nome bellissimo!” Simon mise giù il cagnolino, che continuò ad abbaiare e a fargli feste. “E a lui piace un sacco, guarda!”

 

“Perché non porti un po’ Spock in giardino?” gli suggerì il padre.

 

Simon riprese il cagnolino in braccio e corse fuori, seguito a ruota da Jack. “Andiamo, Spock!”

 

“Jack, la divisa!” provò Hermione, ma gli urletti dei bambini e l’abbaiare del cagnolino ormai erano già lontani.

 

Ron sorrise. “Lascia perdere. Al limite gliela ripariamo dopo. Ora non riusciresti a trattenerlo.”

 

“Mh.” Hermione annuì, ciondolandosi da un piede all’altro.

 

“Dai, andiamo anche noi.”

 

Lui fece per andare, ma lei lo trattenne. “No!” strillò istericamente.

 

Ron la guardò con un sopracciglio inarcato. “…va bene, non c’è bisogno di scaldarsi…”

 

“E’ che…” Hermione si passò nevroticamente una mano fra i capelli. “…ti…devo dire una cosa che ti farà pensare che io sia pazza.”

 

Lui le rivolse uno dei suoi sorrisi più maliziosi. “Tesoro, non ti preoccupare. Non mi dirai niente che non so già, l’ho già capito che sei un po’ svitata.”

 

“Si, ma questo è peggio.”

 

Lui rise per un minuto. “Rilassati. Dimmi cosa c’è.”

 

“Ok.” Lei si passò di nuovo le mani fra i capelli, tirò un sospirone e chiuse forte gli occhi per un secondo. “…ecco, io…io ero…ehm…in ritardo, e…”

 

“In ritardo?” fece confuso lui. “Per cosa?”

 

Lei tirò un sospiro esasperato. “In ritardo, Ron, in ritardo!”

 

“…ah! Si, ho capito.”

 

“Finalmente.” Sibilò irritata lei. “Comunque, ero in ritardo…” estremamente tesa infilò una mano in tasca. “…lo so che sembra assurdo, voglio dire…però…” dopo un altro attimo di esitazione sollevò un oggetto.

 

Ron si accigliò. Era una specie di piccolo cilindro bianco schiacciato con una linea blu in mezzo. Appena lo riconobbe e capì cosa fosse spalancò occhi e bocca e guardò la moglie, che si stava mordendo nervosamente le labbra. “…ma…come?”

 

“Non lo so, giuro che non lo so proprio.”

 

“…hai…hai provato a farne qualcun altro, forse…”

 

Lei si voltò, si sfilò qualcosa dalla tasca e la mise sul letto. Ron non potè trattenere una risatina: erano almeno una quindicina di cilindrini, se non di più.

 

“Ma che ridi!” lei gli diede uno scrollone.

 

“Scusa.” Lui tornò serio ed esaminò i bastoncini uno alla volta. Erano tutti blu. Guardò di nuovo lei con un’espressione attonita ma illuminata. Stavano tutti e due combattendo un sorriso. “Che cos’ha detto Aki?”

 

Sul viso di Hermione comparve un piccolo sorriso. “Lei pensa che sia impossibile che a sbagliare siano tutti e venti…non si spiega bene come, però…”

 

Ron fece un sorriso enorme, balzò in piedi e la prese in braccio, stringendola forte a sé. “Dio, è la cosa più bella che potevi dirmi!”

 

Hermione gli passò le gambe attorno ai fianchi e gli prese il viso fra le mani. “Io non so come sia successo, davvero non lo so, però…” due grossi lacrimoni di commozione le scesero lungo le guance mentre nascondeva il viso nel suo collo. “…sono tanto, tanto felice!”

 

Ron l’abbracciò forte. “Ti amo, ti adoro, sei unica al mondo!”

 

Simon, che teneva in braccio il suo cucciolo, e Jack fecero capolino dalla porta: i genitori stavano strillando, ridendo, piangendo e girando per la stanza tutto contemporaneamente.

 

“…ma che fanno?” fece incerto Simon.

 

Jack scrollò le spalle. “Boh, forse sono impazziti…succede ai grandi…”

 

A un certo punto Ron e Hermione si incollarono ancora di più l’uno all’altra, baciandosi senza trattenere nulla. Jack fece una faccia disgustata e coprì con una mano gli occhi del fratello.

 

“Bleah! Non guardare, Simon, stanno facendo le porcherie.”

 

“Che porcherie?” chiese il piccolo. Spock abbaiò allegramente.

 

Ron mise giù Hermione, ed entrambi si voltarono verso i figli con un sorriso enorme sul viso. “Ragazzi, venite qui!”

 

“Scordatelo, io non voglio vedere le porcate che stai facendo!” esclamò Jack, mentre toglieva la mano davanti agli occhi del fratello.

 

Hermione scosse la testa. “No, no! Venite, c’è una sorpresa bellissima!”

 

“Vado pure io a Hogwarts?” chiese Simon entrando.

 

“Mi hanno già preso nella squadra di Grifondoro?” provò Jack.

 

“Molto, molto meglio!” fece Ron.

 

Chiunque fosse passato fuori da casa Weasley quel pomeriggio avrebbe sentito tante, tante risate, un cagnolino che abbaiava, strilli di gioia, poi un momento di silenzio, e poi…

 

“IO NON LA VOGLIO UNA SORELLA!!!!!!!!”

 

 

 

 

 

*THE END*

(stavolta sul serio!)

 

 

 

Per la cronaca…chi non è molto d’accordo è Simon ^^

 

No, non dite niente…andate prima a leggere l’epilogo, poi i commenti per favore! Ma prima: voglio dare un bacio gigantesco, ma proprio enorme, a tutti i miei recensitori! E ringraziate Sara Lee se questo chap è già on-line…lei parte oggi, e io senza la mia beta lettrice non posto…

 

P.s.: per tutti quelli che mi hanno chiesto di ripostare la mia prima storia, quella su Harry e Hermione. La rimetterò on-line molto presto! Avevo pensato di modificarla un po’, ma poi mi sono detta che mi è cara così com’è…dopo tutto è la mia prima storia in assoluto! ^^

 

Beh, che aspettate? Andate a leggere l’epilogo, su! ^^

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


EPILOGO

EPILOGO

 

Tratto da una pagina del diario di Katie Weasley

 

 

Caro diario,

e così il grande giorno è arrivato anche per me. Domani mattina partiremo tutti per King’s Cross, così potrò finalmente andare anch’io a Hogwarts. Non puoi immaginare quanto sono emozionata! Il mio primo giorno alla scuola di magia più famosa del paese…wow! Anche mamma non sta più nella pelle; sarà perchè tutte le compere di tre giorni fa l’hanno fatta emozionare o forse è tesa perché vado anch’io via di casa per tutto l’anno, non lo so. Però mi sembra davvero contenta. Mi mancherà stare qui a casa con lei: insieme mammina e io facciamo sempre un sacco di cose, e ci divertiamo sempre tanto. Lei è la migliore del mondo, e poi è fortissima. Sono molto orgogliosa di lei. Lo sai che il suo nome sta esposto in bella vista nella bacheca dei trofei a Hogwarts? Studentessa dell’anno. Papà dice sempre che nessuno era più bravo di lei a scuola. E naturalmente nessuno è più fantastico del mio papà! Io lo adoro. E’ sempre buonissimo, e anche quando si arrabbia…beh, quando se la prende con Jack e Simon fa davvero paura…ma con me non ci riesce proprio, mi sgrida un po’ e finisce lì. Anche perché io sono molto tranquilla. Diciamo che sono quella che nonna chiama ‘l’eccezione’ di casa Weasley: innanzitutto perché sono la prima in tutta la famiglia ad avere i capelli biondi, e poi perché cerco sempre di non dare preoccupazioni a mamma e papà, loro hanno sempre così tanto per la testa. Sono due War Mage, e anche molto importanti. E poi ci sono già i miei fratelli che li fanno preoccupare sempre.

 

Io adoro i miei fratelli, sono unici. Jack è proprio come papà, anche fisicamente; e poi è sempre allegro, e anche pieno di ragazze. Ne porta a casa una diversa ogni giorno. Papà dice che fa così perché non ha ancora trovato quella giusta, invece mamma mi ha detto in segreto che anche papà era così prima che si fidanzassero. E già, perché papà e mamma stanno insieme da sempre, o almeno è quello che dicono i miei zii. Invece Jack non si fidanza mai per più di una settimana! A me non piacciono molto le sue fidanzate, perché quando ci stanno loro lui non gioca con me; Jack gioca sempre con me quando ha tempo, e mi ha insegnato lui ad andare in bicicletta. Facciamo spesso le gare, ma ho la sensazione che qualche volta mi lasci vincere anche se è in vantaggio. Allora io mi arrabbio, perché non mi piace fare gli imbrogli, e si ricomincia tutto dall’inizio. E’ proprio in gamba, il mio fratellone. Quando andava a scuola giocava nella squadra di quidditch di Grifondoro, cacciatore. Quest’anno sarà il secondo anno di addestramento per lui alla War Mage Team. All’inizio papà non è stato molto contento che anche lui ha iniziato l’addestramento, anzi; quando Jack gliel’ha detto, lui e papà hanno litigato tantissimo e non si sono parlati per tre giorni interi. Poi alla fine ci ha pensato mamma a farli fare pace, e così adesso papà si è arreso all’idea che anche Jack diventi come lui.

 

Dan, mio cugino, diceva sempre che voleva farlo anche lui il War Mage, ma poi quando si è diplomato i Cannoni di Chudley l’hanno voluto in squadra, e così lui ha accettato. Ora è il loro cercatore professionista, e ogni volta che cammina per strada gli chiedono sempre l’autografo. Dan vola anche meglio di zio Harry, è bravissimo! E poi ogni volta che va a giocare una partita fuori mi porta sempre un regalo diverso. A scuola mi chiedono perfino di portare qualche sua foto…assurdo. A me da fastidio. Perché devono avere le foto di mio cugino? Poi c’è mia cugina Julie. Lei è così bella! A me piace moltissimo. Si è diplomata due anni fa a pieni voti, e l’inverno scorso ha iniziato il suo primo lavoro. Si, perché zio Perce l’ha fatta assumere al Ministero nella sezione delle…aspetta, come si dice….ah, si! Pubbliche Relazioni coi Babbani. Lei ama molto i Babbani, proprio come il mio nonnino. E vuole lavorare perché ci siano sempre buone relazioni fra loro e i maghi. Poverina, si è fidanzata da poco con un ragazzo che si chiama Chad e fa l’Auror, solo che zio Harry, papà, Dan, Jack e Simon le stanno sempre addosso, sono gelosissimi!

 

Che peccato che mio fratello Simon si sia diplomato proprio l’anno scorso da Hogwarts! Mi sarebbe tanto piaciuto stare a scuola con lui! Simon è incredibile, papà dice che si potrebbe girare il mondo senza trovarne uno uguale a lui. Tanto per cominciare, ha un’intelligenza disumana: ci mette dieci minuti a leggere un centinaio di pagine di un libro, e dopo si ricorda tutto, ma proprio tutto quello che c’è scritto! Risolve gli indovinelli in due secondi, e fa i compiti in massimo un’ora, due quando sono tantissimi. E’ micidiale! Ora tu potresti dire che è il classico secchione antipatico. Macchè! Se c’è un ragazzo simpatico, quello è Simon. E’ allegro, ha un sacco di amici, e poi ha una testa dura più del marmo. Dovresti vedere una volta Jack e Simon che litigano: sono uno spettacolo! Una volta papà li divideva se se le davano, ma ora li guarda e fa il possibile per non ridere. Si urlano di tutto, si tirano certe sberle a volte che poi li deve rimettere a posto zia Ginny, e cinque minuti dopo hanno fatto pace. Io mi preoccupavo all’inizio, non volevo vederli arrabbiati, ma papà dice che è il loro modo per dirsi che si vogliono bene. Strano, a me dicono ‘ti voglio bene’, ma non mi prendono a schiaffi. Comunque è da un po’ di tempo che vanno più d’accordo, soprattutto dopo la bravata di Simon dell’estate scorsa. Non te l’ho detto? Eh eh…finita la scuola, Simon è andato senza permesso a parlare con un signore proprietario di un allevamento di draghi poco lontano da qui…e si è fatto assumere! Non solo: si è anche fatto fare il tatuaggio di un drago su un braccio. A me, a papà e Jack è piaciuto molto quel tatuaggio, ma mamma e nonna si sono arrabbiate moltissimo. Però è passato tutto quando hanno sentito che è il miglior ‘dragatore’ in giro, come lo chiamano Dan e Jack. Una volta gliel’ho chiesto perché lo chiamano dragatore invece che allevatore di draghi, ma loro hanno detto che è una lunga storia. Boh, valli a capire.

 

Mi mancheranno da morire, ma per fortuna a quanto ho capito sarà difficile che mi senta sola a Hogwarts: basta andare nella sala dei trofei. Ci sono targhe dedicate a mamma come migliore studentessa del suo anno, a zio Harry e anche a Dan per tutte le coppe di quidditch che hanno fatto vincere a Grifondoro, a Simon come caposcuola e miglior studente dell’anno…c’è tutta la mia famiglia, insomma! Certo, magari mi verrà un po’ di malinconia ogni tanto…per esempio mi mancherà tantissimo quando andiamo a vedere tutti le partite di Dan, oppure quando tutta la famiglia Weasley si ritrova alla Tana dai nonni per passare una giornata insieme. Ci divertiamo sempre così tanto noi! Mammina mi ha preparato un album di foto animate da portare a Hogwarts, così posso sentire la mia famiglia sempre con me anche se non li posso abbracciare. E poi zio Harry e zia Ginny mi hanno regalato una civetta bianca bellissima, Isis, così posso mandare e ricevere messaggi a tutti. Comunque Simon dice sempre che a Hogwarts non hai molto tempo per le malinconie, c’è sempre tantissimo da fare e ti fai un mucchio di amici in poco tempo. E detto dal mio fratellone cervellone ci devo credere, no? Eh eh!

 

Beh, ora devo andare…devo ancora finire di mettere a posto il mio baule, e poi andiamo tutti a cena fuori. Ci aggiorniamo quando arrivo a Hogwarts! Ciao!

 

                                                                                                          Katie

 

 

 

 

 

 

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E attraverso gli occhi della piccola Katie, l’ultima arrivata della famiglia Weasely, abbiamo visto che cos’hanno combinato i nostri mini-eroi…che non sono più tanto mini! E mi è sembrato il modo meno malinconico di lasciare che la vita scorra per loro anche se noi non li vediamo! Ehi, ho il diritto di sviolinare un po’, in fondo questi ragazzini vengono tutti dal mio cervelluzzo folle! ^^

 

Bene, e ora è davvero venuto il momento dei saluti….NIENTE LACRIME! La saga di BAWM ha ancora un ultima storia multi-chap da completare…ricordate che avevo promesso che avrei scritto una prequel? Bene…a Settembre partirà “BAWM Capitolo Zero”, ovvero sia il tassello mancante al nostro puzzle: come i nostri eroi sono diventati War Mage, come si sono innamorati, ecc….a me l’idea piace molto, perché così sarà più facile seguire i personaggi e comprendere le loro evoluzioni e i loro cambiamenti nel tempo. Fino a Settembre, allora! E non vi preoccupate, amanti di questa parte della saga…ho già promesso che capiterà qua e là di trovare una one-shot fic da un capitoletto su Dan e gli altri. E una promessa è una promessa! ^^

 

Ciao ciao, buone vacanze e un bacio grande grande a tutti!

Sunny

 

 

 

 

 

 

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