Alran

di Maxximilian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Decisione ***
Capitolo 3: *** Legami ***
Capitolo 4: *** Yutaka ***
Capitolo 5: *** Dalgonn ***
Capitolo 6: *** Colosso ***
Capitolo 7: *** Guerra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Non c'era menzogna negli occhi impauriti dell'uomo davanti a lui, solo un folle si sarebbe permesso di mentire di fronte a morte certa.

Tutto era avvolto nel buio e solo un alito di vento muoveva le fronde degli alberi che circondavano minacciosi la radura.

Alran, avvolto nel mantello nero, era in piedi con la spada puntata a un soffio dalla gola del malcapitato, poteva vedere un liquido luccichio nei suoi occhi. Ripetè ancora una volta la domanda: «In che modo la Legione Nera colpirà la repubblica dell'Est?».

L'uomo, in ginocchio, tremava dalla paura e ancora una volta con un filo di voce rispose « I-io... non lo so... s-soltanto gli assegnati alla missione sanno i dettagli... io sono solo un semplice adepto... non so nulla dei piani dei miei compagni».

Diceva la verità, se lo aspettava che un semplice membro dell'organizzazione non fosse a conoscenza di un'operazione che probabilmente era segreta anche alla maggioranza della Legione stessa, ma sperava comunque di riuscire ad ottenere qualcosa di più.

Abbassò l'arma e rivolto alla figura ai suoi piedi gli fece segno di alzarsi. «G-Grazie infinite signor...»

Non aveva ancora finito di pronunciare la frase che il metallo gelido della lama tracciò un segno rosso sul suo collo e si accasciò a terra esanime.

Odiava uccidere a sangue freddo in quel modo, ma sapeva di non poter lasciare in vita quella serpe, era un individuo comunque pericoloso, solo chi amava l'omicidio e le stragi si univa a quella che chiamavano la Legione Nera.

I legionari si definivano eroi il cui compito era spazzare via ogni essere vivente che abitava il continente e per fare questo istigavano rivolte e sommosse. Non era raro che dietro lo scoppio di una guerra civile ci fosse il loro zampino.

Girava voce però che volessero scatenare la guerra tra le due più grandi potenze del mondo, la repubblica dell'Est e il regno dell'Ovest. Un conflitto del genere avrebbe coinvolto non solo tutto il continente ma anche il mondo intero visto che le due nazioni, da sempre rivali, potevano contare su un grosso numero di territori vassalli e del loro conseguente appoggio in caso di bisogno.


Soltanto tre giorni prima a Lisjask, la capitale dell'Ovest, la guardia reale aveva catturato un membro della Legione e, dopo un estenuante interrogatorio aveva confermato l'intenzione dell'organizzazione di mettere fine alla fragile pace tra l'Est e l'Ovest.

Come al resto della sua compagnia, anche ad Alran era stato affidato il compito di setacciare ogni centro abitato in cerca di altri membri della Legione e di scoprire qualcosa di più sui loro progetti.

E così quella sera si era trovato lontano da casa seduto al tavolo in una modesta locanda davanti ad una ciotola di zuppa e un tozzo di pane.

I riccioli castani scendevano ad incorniciare un viso da giovane ragazzo alle porte dell'età adulta, era diventato un militare molto presto ma nonostante questo era abile come qualsiasi altro soldato del regno.

Era intento a leggere alcuni rapporti reali sui movimenti della zona e nemmeno quando si aprì la porta alzo gli occhi dalle carte, si limitò ad osservare l'avventore con la coda dell'occhio.

L'uomo, avvolto in un mantello grigio con fare spavaldo ordinò un boccale di birra ma quando l'oste chiese se avesse i soldi per pagare lo straniero si tolse il guanto di pelle che copriva la mano sinistra. Alran capì subito chi fosse, aveva riconosciuto il tatuaggio sul palmo della mano che raffigurava un serpente rosso avvolto attorno ad una croce nera, segno inconfondibile della sua appartenenza alla Legione. Solitamente i membri della setta lo tenevano nascosto, non toglievano mai i guanti e usavano ogni precauzione possibile, ma questo doveva essere un novizio davvero ingenuo e poco furbo visto che stava mostrando il palmo all'oste sperando di intimorirlo: «Lo vedi questo, eh? Sai cosa significa vero? Tu chiudi un occhio sul mio conto e io non chiamo i miei compagni».

Solo quando ebbe la conferma, il giovane alzò lo sguardo, ripose con cura le carte e dopo aver indossato il mantello nero per coprire la vistosa armatura iniziò ad avvicinarsi al bancone. L'oste provò a protestare per un poco ma si arrese quasi subito, non poteva correre il rischio di perdere quell'attività così preziosa per lui. Proprio quando il legionario stava per voltarsi trionfante , Alran rapido gli immobilizzò le braccia dietro alla schiena. «Ma che diavolo?!» ebbe giusto il tempo di dire l'uomo.

« Per ordine di Sua Maestà, Re Angus III, siete in arresto per cospirazione contro la corona»

« Voi non potete! Sono innocente... non avete prove!»

«Il tatuaggio è una prova più che sufficiente» disse il cavaliere mentre scortava il prigioniero fuori dalla locanda verso gli alberi che si estendevano appena fuori il centro abitato. Arrivato in una radura nel folto del bosco e lontano da occhi indiscreti iniziò quell'inutile interrogatorio.


Pulì la spada sporca di sangue nel mantello della vittima, la rinfoderò e rimase per qualche secondo a contemplare il cadavere e la pozza di sangue che imbrattava il terreno attorno. L'avrebbe lasciato lì, dove quelli come lui meritano di marcire pregando che gli Dei avessero pietà della sua anima. Si chiedeva quanti ancora ne avrebbe dovuti uccidere, se davvero quel che aveva fatto era giusto e se quelli come lui non meritassero comunque un giusto processo. “Si... andava fatto, avrebbe ucciso degli innocenti in futuro se non l'avessi fermato” pensò mentre cancellava quel pensiero dalla mente.

Si girò e si incamminò a passi veloci verso il villaggio, la foresta inghiottì la sua figura mentre dietro le montagne il cielo andava rischiarandosi.


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Capitolo 2
*** Decisione ***


Decisione


Al suo ritorno, Altran trovò il villaggio pieno di vita. Ovunque poteva scorgere uomini che si avviavano verso i campi con gli attrezzi in spalla e cacciatori, che armati di arco e frecce, si accingevano ad inoltrarsi nella foresta.

Sperava che nessuno facesse caso a lui, che nessuno lo riconoscesse o, peggio, chiedesse dove fosse il suo prigioniero. Voleva lasciare al più presto il paese, non voleva correre nessun rischio, ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che qualcuno trovasse il cadavere nella radura ma aveva comunque premura. Arrivato alla stalla si guardò in giro alla ricerca del ragazzo a cui il giorno prima aveva affidato il suo destriero e, dopo averlo trovato, parve sollevato nel vedere che il suo cavallo era già sellato e pronto a partire:

« Immaginavo che un cavaliere come voi non si sarebbe fermato molto in questo sperduto posto quindi ho pensato di farvelo trovare già pronto» disse lo stalliere.

« Hai immaginato giusto, sei stato davvero bravo e credo ti meriti qualche corona extra».

Il giovane frugò nella bisaccia al suo fianco e mise qualche moneta nelle mani dell'altro, poi alla svelta montò in sella e senza aspettare un secondo di più spronò il cavallo al galoppo fuori dalla stalla e dal centro abitato puntando verso nord.


Viaggiava ormai da un paio di ore e davanti a lui poteva scorgere il profilo lontano delle montagne innevate del nord. Attorno a lui solo un'immensa prateria, un mare di erba illuminato da un pallido sole invernale. Soltanto qualche albero spoglio interrompeva il monotono panorama. Faceva freddo, Alran si strinse nel mantello e costrinse il cavallo, a suo malgrado, a rallentare per paura di affaticarlo troppo.

Ad un tratto, scorse delle macchioline brillanti all'orizzonte e man mano che si avvicinano capì che si trattava di soldati: anche da quella distanza poteva scorgere l'indistinguibile luccichio delle loro corazze. Era ancora nell'Ovest quindi difficilmente si sarebbe trattato di nemici, sperava facessero parte della guarnigione della fortezza di Dalgonn che proteggeva i confini settentrionali del regno dalle ormai sporadiche incursioni delle tribù barbare.

Non erano più di dieci ed erano tutti appiedati fatta eccezione per l'aprigruppo che Alran intuì essere un ufficiale. Procedevano molto lentamente e non portavano alcun stendardo in una triste processione.

Con l'accorciarsi della distanza, anche gli altri si accorsero di lui e sorpresi sguainarono le armi in attesa che il misterioso cavaliere si avvicinasse.

Erano stanchi e impauriti, lo leggeva sui loro volti, di sicuro era successo qualcosa di terribile a quel manipolo di soldati.

A pochi passi dalla compagnia, Arlan smontò e si tolse il mantello, rivelando l'armatura che era rimasta nascosta per tutto il viaggio. A quella vista, i soldati sollevati abbassarono le armi e il comandante spronò il cavallo verso quel volto amico.

Sull' armatura riluceva in tutto il suo splendore il grifone azzurro di Lisjask, ma Alran non riusciva a capire a quale compagnia appartenesse. Non sapeva dire quanti anni avesse ma non gliene avrebbe dati più di cinquanta. Sotto la calotta, il viso tirato e la folta barba davano all'uomo l'aria di un veterano,doveva aver partecipato a molte battaglie.

Dopo essersi portato il pugno sinistro sul petto in segno di saluto militare si rivolse ad Alran:

«Qual'è il tuo nome soldato? Cosa ci fai nella steppa?»

La voce tradiva una nota di nervosismo, sembrava scosso ma cercava di mantenere un'immagine sobria, ma al contempo solenne di fronte a quel giovane soldato incontrato per puro caso nell'abbandono più totale.

Anche Alran si portò il pugno al petto e iniziò:

« Il mio nome è Alran di Lisjask, membro del secondo reggimento della capitale. Sono stato inviato in missione per indagare sulla Legione Nera. Devo raggiungere Dalgonn e fare rapporto al comandante Lucius »

L'uomo lo scrutò per qualche istante, poi prese lentamente un bel respiro :

« Mi dispiace darti questa triste notizia ma il castello è stretto sotto assedio da un esercito sconosciuto, l'ho lasciato ieri mattina all'alba poco prima che venisse isolato completamente. A quest'ora il forte sarà già caduto in mano nemica. Di fronte alla schiacciante superiorità numerica del nemico ho deciso di abbandonare la postazione, noi siamo quasi sicuramente tutto quello che rimane della guarnigione di Dalgonn. Piacere di incontrarti ragazzino, sono il comandante Mavel Lucius. O almeno quel che ne rimane...».


A quelle parole Arlan sbiancò, erano anni che nessun provava ad invadere l'Ovest da quel confine, la fortezza era più che altro un simbolo della forza del regno, aveva perso la sua utilità quasi un secolo prima.

Era impensabile che qualcuno provasse anche solo ad assediarla ma il comandante era stato chiaro, con ogni probabilità il castello era già caduto in mano agli invasori.

Il re aveva un'altissima considerazione di quell'uomo, si era conquistato il titolo con grande onore sul campo di battaglia e, quasi dieci anni prima, aveva giocato un ruolo chiave nella Guerra D'Inverno; era a tutti gli effetti considerato un eroe, un abile stratega e un guerriero formidabile. Non poteva credere che quell'uomo sconfitto davanti a lui fosse proprio il brillante Lucius.

« Due giorni fa al tramonto ci sono piombati addosso senza nessun preavviso, si sono come materializzati dal nulla. Il buio non gli ostacolava, erano incredibilmente precisi e organizzati, non avevano arieti, hanno semplicemente iniziato a scalare le mura e riversarsi all'interno. Non ho mai visto creature simili: armature ed elmi neri come l'ebano, persino le loro spade erano nere. Non dimenticherò mai i loro occhi iniettati di sangue e le loro urla agghiaccianti».

Il comandante si interruppe un attimo e strinse gli occhi, quei terribili ricordi non facevano altro che tormentarlo dalla scorsa notte.

« Abbiamo difeso strenuamente il forte per tutta la notte ma all'alba, ma quando ho realizzato che respingere il nemico era impossibile ho abbandonato Dalgonn con questo manipolo di soldati» concluse l'uomo con sofferenza.

Arlan ascoltò rapito il resoconto, poi però alcune domande passarono per la sua mente: perché Lucius era fuggito? Aveva davvero abbandonato i suoi uomini a morte certa ed era fuggito come un codardo?

Come se avesse letto nei suoi pensieri il comandante fisso il suo viso:

«Ti starai chiedendo perché sono qui vero? Pensi che quello che ho fatto sia spregevole vero? Lo leggo nei tuoi occhi».

« Si signore, perdonate la mia mancanza di rispetto ma vorrei sapere cosa vi ha spinto ad abbandonare il forte».

Lucius se lo aspettava, fissò per qualche secondo il cavallo di Arlan, come a riordinare i pensieri, e riprese:

«Ho dovuto abbandonare il forte e i miei uomini in quell'inferno. Sarei voluto rimanere fino alla fine ma la mia missione ha la precedenza su qualsiasi altra cosa. Dalgonn era il nascondiglio di un importante segreto del regno che ho giurato di proteggere a costo della vita, per questo devo incontrarmi al più presto con il re. Questo è tutto quello che posso rivelare ad un soldato del tuo rango.»

Quelle parole furono come uno schiaffo per il giovane, si vergognò per quello che aveva detto poco prima e iniziò a fissare il terreno, in evidente disagio.

« Ad ogni modo credo che il tuo rapporto possa aspettare, ora è di vitale importanza comunicare al re ciò che è successo e il nostro gruppo è già abbastanza lento per la mancanza di cavalcature, ogni secondo è prezioso».

Girò il cavallo e ordinò agli uomini di ripartire, aspettò che tutti lo superarono poi, quando fu sicuro che nessuno potesse sentirlo, si rivolse ancora verso Arlan :

«Come ben saprai ultimamente la Legione Nera ha iniziato a muoversi, credo che l'attacco a Dalgonn possa essere collegato a quei bastardi. Non me la sento di lasciarti andare ad indagare al forte, sarebbe una missione suicida quindi ti chiedo di venire con me a Lisjask».

A sentir pronunciare il nome della setta Arlan ebbe un tuffo al cuore, se veramente c'erano loro dietro quella faccenda voleva scoprirlo a tutti i costi. Niente l'avrebbe fermato, nemmeno Lucius.

Il ragazzo studiò il cielo azzurro per alcuni istanti, ricordava che all'imbocco del tortuoso e stretto passaggio che, costeggiando le montagne, portava a Dalgonn sorgeva un piccolo villaggio di cacciatori che principalmente riforniva il forte di viveri e vettovaglie. Sarebbe stato un ottimo punto d'inizio per indagare su quello che era successo, sempre se non fosse già stato conquistato anch'esso.

«Che ne è stato di Vina, anche il villaggio è stato attaccato?»

«A quest'ora Vina sarà quasi deserto e vi troveresti solo soldati, il capitano Rakk sa di essere il prossimo obiettivo del nemico. Non potrà resistere a lungo con i pochi uomini che ha, ma cercherà di darci più tempo possibile» rispose l'ufficiale.

« Allora credo che mi dirigerò lì, forse posso scoprire qualcosa di più su questa misteriosa forza d'invasione e se veramente esiste un collegamento con la Legione».

Lucius non credeva alle sue orecchie:

«Questa è una follia! I soldati rimasti a Vina sanno già di essere condannati! Non servi a nulla da morto!»

« Devo scoprire assolutamente cosa centrano i legionari in tutto questo»

« E' un'assurdità! Finirai per farti ammazzare!»

« Vedrete che non morirò».

Arlan rimontò sul cavallo e cominciò ad allontanarsi dal comandante, rimasto spiazzato e senza parole di fronte all'audacia del giovane.

Lucius lo guardò allontanarsi, poteva ordinargli di tornare indietro, avrebbe dovuto obbedire per forza, oppure sarebbe stato diserzione, ma non disse nulla, c'era qualcosa di speciale in quel soldato, sentiva che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nei tempi bui che andavano a profilarsi.

«Che gli dei siano con te» disse soltanto, più rivolto a se stesso che al giovane. Poi, spronando il cavallo nella direzione opposta raggiunse il suo gruppo ormai molto distante.


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Capitolo 3
*** Legami ***


Legami


Poi fu il turno degli abitanti di Vina. Anche loro si muovevano lentamente, quasi privi di vitalità se non fosse stato per il loro monotono avanzare.

La lunga colonna di donne, vecchi, bambini, bestiame e carri si estendeva per almeno un miglio. Le loro facce erano una maschera di disperazione, avevano perso tutto, Alran non li biasimava.

Doveva essere stato tremendo abbandonare le proprie case e i campi per quella povera gente, nessun nemico metteva piede nel nord da almeno un secolo e nessuno si aspettava che il confine cadesse in così poco tempo.

Le Montagne di Ghiaccio costituivano il confine settentrionale del regno e, anche se il nome lo suggeriva, non erano veramente di ghiaccio, ma il freddo patito da chi ci si avventurava dava l'impressione di essere circondati da questo. Non erano attraversabili tranne che per un angusto valico, alla fine del quale era poi sorta Dalgonn che si affacciava direttamente sulla distesa glaciale all'altro lato dei monti.

Vedendo i profughi, Alran ripensò a tutto quello che aveva detto il comandante Lucius. Improvvisamente tutto diventava reale, un incubo che prendeva forma: l'Ovest era stato invaso.

Era assorto nelle sue riflessioni quando un anziano lo prese per un braccio.

«Ragazzo faresti meglio a tornare indietro, sembra incredibile ma qualcuno sta invadendo il regno»

«Faccio parte delle guardie di Lisjask e ho una missione da compiere a Vina»

«Ti avverto ragazzo, il villaggio è deserto. Non è rimasto nessuno oltre alla guarnigione militare e alcuni dei nostri uomini che sono rimasti indietro a dare una mano per le fortificazioni. Pare che qualcuno abbia conquistato Dalgonn. Cosa vai a fare a nord?»

Nella sua voce c'era una nota d'incredulità, anche lui stentava a credere a cosa stesse succedendo.

« Sono al corrente della situazione e devo raggiungere il capitano Rakk » si limitò a rispondere il giovane.

Sospirando il vecchio continuò:

« Devono essere proprio a corto di uomini per mandare un giovane come te verso il fronte».

Improvvisamente, con l'aria di chi ha avuto una brillante idea, si girò e dal retro del suo carro tirò fuori qualcosa:

«So di chiederti troppo ma ti prego prendi questa spada e dalla a mio figlio Ulter, è rimasto con i soldati».

Porse ad Arlan una splendida spada dalla lama verde, sembrava intrecciata direttamente con i fili d'erba dei prati del sud . Era sicuramente un'arma degna di un cavaliere, dava l'aria di essere spietata ma, allo stesso tempo guardarla appagava la vista.

Qualcosa di quella lama ipnotizzava lo sguardo. Il giovane era a bocca aperta, mai si sarebbe aspettato di vedere uno strumento del genere in mano a quel vecchio.

Il vecchio colse immediatamente lo stupore negli occhi di Arlan e, prima che il giovane potesse dire qualsiasi cosa, iniziò a spiegare:

«Questa spada apparteneva a mio padre, era un Custode della Vita. E' l'unico ricordo che possiedo di lui, dopo la sua morte ho giurato che nessuno l'avrebbe più utilizzata ma credo che ora mio figlio ne abbia bisogno. Ho paura che non lo rivedrò mai più... ti scongiuro portagliela!»

Arlan, senza pensarci due volte, mosse la testa in segno di consenso.

«Oh grazie! Grazie! Sei davvero un bravo ragazzo!»

«E' un grande onore per me recapitare un'arma del genere. Adesso però devo proseguire»

Legando la spada al cavallo Arlan si rimise in viaggio, non così in fretta però da non notare la lacrima che rigava il viso dell'anziano e aver udito le sue benedizioni.

Per il resto della giornata, Alran cavalcò a tutta velocità verso Vina. Man mano che avanzava il paesaggio mutava, l'immensa pianura era ora interrotta da piccole pozze e rigagnoli. Le montagne, prima distanti, incombevano minacciose sulla steppa e, qualche fiocco di neve solitario aveva iniziato a posarsi sul mantello del cavaliere.

Al tramonto, iniziò a nevicare abbondantemente e, in poco tempo, tutto fu buio rendendo l'orientamento difficile. Il ragazzo voleva continuare il viaggio nonostante nevicasse, ma dopo aver tentato inutilmente di avanzare, in mezzo a quella che ormai era un tempesta bella e buona, iniziò a cercare rifugio.

Per fortuna dovette percorrere solo pochi metri prima di trovare una grossa roccia che forniva riparo dalla tempesta non solo a lui, ma anche al cavallo.

Anche se con difficoltà, riuscì a preparare un giaciglio per riposarsi, tentare di accendere un fuoco in quelle condizioni era impossibile quindi si strinse nel mantello e si abbandonò ai suoi pensieri.

Ripensò agli avvenimenti della giornata, al suo incontro con Lucius, alla Legione Nera e al vecchio. Si chiedeva se avesse davvero fatto bene a rifiutare l'offerta del comandante: ora, sicuramente, avrebbe riposato in un posto migliore e ben presto avrebbe anche goduto delle comodità di Lisjask e, soprattutto, della temperatura mite. In fin dei conti cosa sperava di ottenere andando a Dalgonn? Poteva davvero scoprire qualcosa un semplice soldato come lui? Lucius aveva ragione, era molto probabile che andasse incontro a morte certa.

La sua mandibola cominciò a tremare mentre veniva pervaso da un crescente senso di afflizione. Si diede dello stupido e maledisse la propria testardaggine.

Quando ormai la disperazione aveva preso possesso della sua testa, un ricordo si fece strada nei suoi pensieri:


Tutto era avvolto dalle fiamme, si guardava attorno e, accanto a lui, giaceva il corpo senza vita di sua sorella. Al di là del fuoco si stagliava la figura nera e la sua terrificante risata maligna, poi tutto diventava buio.


Aveva deciso di consacrare la sua vita alla vendetta, era entrato nell'esercito per perseguire quello scopo e, quando infine aveva saputo che il nemico faceva parte della Legione, aveva giurato davanti alla tomba di Elyna che li avrebbe uccisi tutti, anche a costo di guadagnarsi un posto negli Inferi.

Ecco perché non poteva ancora arrendersi, non prima di aver reso giustizia alla memoria di chi si era preso cura di lui quando il mondo lo aveva abbandonato.

Una fiamma si accese nel suo petto, scacciò via dubbi e insicurezze. Provò ad alzarsi, addormentarsi in quell'inferno di ghiaccio avrebbe significato morte certa, ma il vento era troppo forte e lui troppo stanco. Riuscì solamente a sedersi rimanendo a fissare il grigio spettrale davanti a lui per quelle che dovettero essere ore.


Quando la bufera calò d'intensità era quasi l'alba e una pallida luce iniziava a comparire a Est.

Non un singolo muscolo di Arlan era stato risparmiato dalla morsa del freddo e, solo con un grandissimo sforzo, riusci a rimettersi in piedi. Anche se continuava a nevicare, decise di partire immediatamente, il tempo era prezioso e inoltre non sapeva nemmeno se Vina fosse ancora in piedi. Era improbabile comunque che un esercito si mettesse in marcia durante una bufera del genere e quell'armata sconosciuta non avrebbe fatto eccezione, ne era certo.

La neve caduta sarebbe stata un ulteriore rallentamento: non sapeva cosa potesse nascondere e il cavallo avrebbe dovuto procedere lentamente per forza. Rapidamente si preparò per il viaggio, si strinse nel mantello e montò in sella. Se tutto filava liscio, avrebbe raggiunto il villaggio nelle prime ore del pomeriggio.


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Capitolo 4
*** Yutaka ***


Yutaka


I soldati, affacciati al parapetto di legno, si chiedevano incuriositi chi fosse quel cavaliere solitario proveniente da sud, una macchia corvina tra la soffice neve appena caduta.

Le guardie confabulavano tra loro: alcune dicevano che era sicuramente una minaccia e che bisognava abbatterlo ora che si era in tempo, altre, invece speranzose, immaginavano che fosse un potente mago inviato a nord per respingere l'invasione. Per qualche minuto tutta Vina distolse lo sguardo dal nord.


Mentre si avvicinava alla palizzata, Alran riuscì a vedere la calca che si stava creando dietro il cancello. Con sollievo riconobbe che le guardie erano umane quindi il nemico non era ancora arrivato li. Cominciò ad essere nervoso, quegli uomini avevano sicuramente i nervi a fior di pelle e alla minima minaccia sarebbero scattati.

Davanti alla grande entrata un paio di lance incrociate bloccarono il suo cammino:

«E tu chi saresti?» esordì la guardia alla sua sinistra.

«Mi chiamo Alran, faccio parte della guardia della capitale. Sono stato inviato in questa regione per indagare sulla Legione. Se dietro alla perdita della fortezza di Dalgonn ci sono veramente i legionari allora è mio dovere indagare.» rispose Alran in tono deciso.

Questa volta l'uomo che non aveva ancora parlato prese la parola:

«Non hai l'aria di un nemico ma il comandante Rakk vorrà vederti... Sten vieni qui, accompagna il ragazzo alla tenda del capitano»

Una robusta guardia si fece spazio tra la folla e, quando le lance si levarono, fece segno al ragazzo di seguirlo.

Arlan scese da cavallo e cominciò a camminare dietro di lui.

Vina era in subbuglio, ovunque risuonavano gli ordini impartiti dai capisquadra e dagli ufficiali ai propri uomini. Gli artigiani lavoravano freneticamente per costruire difese e fortificazioni che potessero rallentare il nemico in qualunque modo, anche alcune piccole baliste erano state posizionate in punti strategici. Per le strada cittadine erano stati scavati terrapieni e fossati, ormai, sembrava più un accampamento militare invaso da qualche abitazione che una rigogliosa cittadina.

Dopo aver percorso interamente Vina, Sten si fermò davanti ad una grossa tenda e si voltò verso Alran:

«Questo è il quartier generale. Il capitano è qui dentro»

Il ragazzo prese con se la spada color smeraldo del vecchio e porse le briglie del destriero al soldato, poi entrò.


L'interno era austero, solo qualche braciere e supporto per candele illuminava l'ambiente.

Al centro della tenda, era posizionato un ampio tavolo pieno zeppo di mappe e fogli che il capitano stava analizzando.

Non appena Alran si mosse verso il centro dell'area Rakk alzò la testa e lo squadrò dalla testa ai piedi:

« Ah quindi sei tu il nostro ospite, ti facevo un po' più vecchio. Ti stavo aspettando, mi hanno detto che sai dell'invasione... posso chiederti quindi perché hai deciso di gettare la tua vita così?»

Il ragazzo salutò secondo il codice militare e cominciò:

«Signore, il comandante Lucius mi ha riferito che dietro questa nuova minaccia possa esserci la Legione. In quanto assegnato alla missione di ricerca e cattura credo sia mio dovere indagare su quanto accaduto.»

Il capitano raccolse i suoi lunghi capelli biondi dietro la nuca, mettendo anche in risalto la lunga cicatrice che solcava il viso dal sopracciglio sinistro allo zigomo destro. Prima Arlan non l'aveva notata.

«Non credo che sia solo per via della missione. Che cosa cerchi veramente?»

A quella domanda il ragazzo si senti spogliato di tutto, Rakk era davvero un uomo brillante se con un solo sguardo era riuscito a scrutare nella sua anima.

Non voleva rivelare tutto a Rakk, ma si costrinse ad ammettere che un giovane soldato così ligio al dovere doveva per forza avere un sorta di secondo fine e, nella peggiore delle circostanze, sarebbe anche potuto sembrare un traditore. Si decise quindi a confessare:

« Quel che dite è vero capitano, in verità cerco giustizia per me e la mia defunta sorella. E' stato uno di loro a ucciderla!»

Strinse i pugni pervaso dalla rabbia.

«Capisco. Tentare di fermarti sarebbe inutile giusto? Se così stanno le cose, allora forse ho il lavoro giusto per te:

ho bisogno di qualcuno che consegni un dispaccio urgente ad una postazione di vedetta a metà strada tra qui e Dalgonn. Sono la nostra avanguardia più vicina al nemico. Un compito banale e per nulla difficile, ma per te sarebbe un' ottima occasione per scoprire qualcosa di più. Partirai subito. E' tutto»

Impartito l'ordine, Rakk gli porse un plico tornò a studiare le carte sul tavolo.

Alran era entusiasta, finalmente dopo anni aveva la possibilità di avvicinarsi così tanto al cuore della Legione, questa volta magari sarebbe riuscito ad affrontare il suo nemico.

Fece per voltarsi e uscire, ma si ricordò di una cosa:

«Perdonatemi ancora capitano ma avrei un'altra cosa da chiedervi»

«Ti ascolto...»

«Un anziano di Vina che ho incontrato lungo il mio viaggio mi ha consegnato questa spada da consegnare a suo figlio rimasto qui...»

Porse l'arma a Rakk che, riconoscendola immediatamente, si limitò ad intarsiare un sorriso divertito.

«Mio padre non cambierà mai... capisco la sua preoccupazione ma non ho intenzione di usare la spada del nonno anche in una situazione del genere. Puoi benissimo tenerti Yutaka»

Alran era sorpreso, mai si sarebbe aspettato che il figlio dell'anziano fosse Rakk.

«Yutaka?» chiese.

«Si è il nome della spada. Ogni spada di un Custode della Vita ha un nome e Yutaka, nell'antica lingua dell'Est, significa “rigoglioso”. Verde come il germoglio della speranza che nasce nel nero della terra. La spada ideale per combattere la Legione non trovi? Adesso è tua» decretò infine l'ufficiale.

«Ma signore non posso, appartiene alla sua famiglia!» provò a controbattere il giovane.

«Ragazzo per quel che ne so potrei essere morto entro stasera, andrebbe comunque perduta e poi formereste davvero una bella coppia: Il misterioso cacciatore di legionari e Yutaka! Ahahahahahahah... Inoltre è un mio ordine»

Il capitano sembrava molto divertito e, senza aspettare un altra parola, congedò Alran.


Il ragazzo uscì dalla tenda fissando la sua nuova arma: chissà quante battaglie aveva visto, quante ferite inferte e quanti arti avesse reciso. Tutte domande la cui risposta non aveva più importanza, ora avrebbe reiniziato una “vita” in mano sua.

Scandagliò l'accampamento alla ricerca di un fodero adatto alle spalle visto che la spada era molto lunga e, con piacere, constatò che non era minimamente necessario affilarla anche dopo tutti quegli anni, il suo filo era più tagliente di un rasoio e sottile come la carta.

Recuperato il cavallo, si diresse verso il cancello nord e imboccò lo stretto sentiero imbiancato che si dipanava verso il cuore delle montagne.

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Capitolo 5
*** Dalgonn ***


Dalgonn


Seguire la strada immersa nella candida foresta non era per nulla difficile. Era infatti un nastro di ciottoli e pietre levigate perfettamente, anche se si snodava tra le alture non presentava nessuna irregolarità, si poteva tranquillamente viaggiare al galoppo senza nessun rallentamento. Era stata modellata così apposta e, in caso di bisogno, un intera colonna di cavalieri poteva percorrerla a tutta velocità senza dover rallentare mai.

In tempi di guerra, quel piccolo accorgimento aveva salvato l'Ovest da situazioni disperate e, lungo il ciglio, erano ancora ben visibili i resti degli antichi presidi che sorvegliavano il sentiero. Come scheletri del passato, le rovine sorvegliavano la strada a testimonianza del potere del regno.


Aveva lasciato l'avamposto da quasi un ora e, di lì a poco, avrebbe intravisto Dalgonn.

La missione affidatagli da Rakk era stata completata senza problemi, non aveva incontrato difficoltà nel raggiungere l'avanguardia e il soldato responsabile, un certo Roxas, era stato molto disponibile. Inoltre non aveva avuto nessuna obiezione quando, infine, l'aveva informato che si sarebbe recato alla fortezza.

Tutti gli esploratori inviati da Roxas non avevano riferito altro che una calma innaturale al forte: nessun movimento e nessuno in vista. Tutto ciò sembrava non avere senso. Alran non sapeva proprio cosa aspettarsi, qualcosa non andava, ma era ugualmente intenzionato a far luce sul mistero ad ogni costo.


Quando finalmente la fortezza si stagliò all'orizzonte, la pietra rossa delle pareti di Dalgonn, accolse il giovane con un effetto strabiliante: l'arancione del tramonto si infrangeva contro le mura, dando l'impressione che queste fossero parte di una diga. Tutto sommato, Dalgonn era davvero una diga, costruita per contenere l'avanzare delle tribù barbare che, ostinate come onde, avevano provato a superare il confine.

Soltanto la parte nord era provvista di mura e le altissime torri si allungavano minacciose verso i bassipiani gelati al di là dell'Ovest.

Era semplicemente maestosa, nessun nemico si sarebbe mai aspettato di espugnarla, la sola vista avrebbe atterrito anche il più determinato degli eserciti.

Eppure, qualcosa non andava, tutto era innaturalmente calmo, non aveva proprio l'aria di un luogo in cui era stata combattuta una feroce battaglia.

Arlan aguzzò la vista e riconobbe qualcosa penzolare dalla fortezza: con orrore, il ragazzo capì che si trattava della guarnigione, centinaia di corpi inermi ciondolavano dai parapetti da ogni lato del castello centrale. Avevano subito più o meno tutti mutilazioni e l'odio iniziò a farsi strada tra il disgusto del giovane.

«Maledetti!» imprecò Alran.

Una fiamma attraversò gli occhi del soldato mentre sguainava Yutaka, era più che determinato a vendicare quegli uomini. Spronò il cavallo al galoppo verso l'entrata meridionale. Una rabbia che non aveva mai provato annebbiò la sua mente. Passò al galoppo accanto al portone divelto ed entrò nel passaggio, più deciso che mai a seminare morte.

Nessun segno di vita, la fortezza era deserta. Percorse inutilmente tutto il cortile, ma non vide anima viva, era circondato solo da cadaveri.

Poco a poco, l'impeto di qualche istante prima scemò e la mente di Alran tornò lucida:

Sono proprio stupido... cosa credevo di fare? Sarei morto ora se ci fosse stato il nemico” pensò, “non riesco comunque a capire dove siano quei mostri. Roxas aveva ragione: la fortezza è vuota.”

Sceso da cavallo, decise di entrare nel castello alla ricerca d' indizi. Secondo il racconto di Lucius, i nemici erano innumerevoli e nessun esercito poteva scomparire in quel modo, era impossibile.

Anche il portone di legno del castello era distrutto e giaceva all'interno dell'atrio del mastio.

Avanzò adagio e, come aveva immaginato, si ritrovò circondato da corpi senza vita, doveva esserci stata una cruenta battaglia in quel luogo. Si fermò per esaminare il cadavere di una di quelle mostruose creature: alto e snello, braccia e gambe innaturalmente lunghe e, come aveva detto Lucius, in possesso di equipaggiamento nero. Si fece coraggio togliendo l'elmo di quell'abominio.

Quello che si trovò davanti lo fece inorridire: il muso del mostro era spaventoso, una bocca deformata costellata di zanne affilatissime. La testa, glabra, era irta di protuberanze cutanee e l'iride vermiglia dei suoi occhi spalancati lo terrorizzava.

Le sue mani si strinsero ancora più saldamente all'elsa di Yutaka e i suoi sensi si misero all'erta. Si mosse zigzagando tra i corpi inermi diretto verso l'armeria: voleva controllare se fosse rimasto qualcosa di utile.

Scavalcò un'altra di quelle creature, ma una mano lo afferrò all'altezza della caviglia sinistra e lo scaraventò a terra. Alran, allarmato,provò immediatamente ad alzarsi, ma c'era sangue viscoso era ovunque e ogni movimento era difficoltoso.

Le bestia intanto, padroneggiante sopra di lui, alzò la lama e caricò il colpo.

Il ragazzo fece appena in tempo a rotolare a destra che la lama si schiantò al suolo con un fragore tremendo.

Puntando Yutaka a terra, Arlan, riuscì finalmente a rimettersi in piedi. L'essere immondo che aveva davanti lo fissava con sguardo assetato di sangue.

Anche il giovane studiò il suo avversario: “Non sono così stupidi come immaginavo” pensò, “si è finto morto per attaccarmi alle spalle, davvero astuto... potrebbero essercene altri, non devo abbassare la guardia.”

Dopo quella che sembrò un eternità, il mostro si avventò sul ragazzo con un grido agghiacciante, sembrava un toro scatenato.

Alran, a sua volta, si lanciò all'attacco con Yutaka in pugno menando un montante mirato a sradicare l'arma del nemico.

Le due spade cozzarono in un clangore strepitoso, ma nessuna delle due ebbe la meglio. Con la gamba destra, Alran mirò un calcio verso l'addome del nemico che si ritrovò ad indietreggiare sbilanciato. A quel punto, con Yutaka libera dall'incrocio dell'altra arma, tracciò un arco verso la la spalla avversaria.

L'abominio, sorpreso, non oppose alcuna resistenza e la corsa della spada non trovò nessun ostacolo: la verde lama lacerò qualunque cosa trovasse sulla sua strada e si fermò solo in mezzo alla pancia avversaria.

Un rantolo strozzato, poi il corpo senza vita del mostro si accasciò a terra, liberando, al contempo, la spada avversaria dal suo ventre. Uno schizzo di sangue nero macchiò il braccio di Alran che rabbrividì: era gelato, sembrava che nelle vene di quelle creature scorresse solamente ghiaccio.

In quel momento, il ragazzo si rese conto della straordinarietà della sua lama che, senza difficoltà ,aveva colpito in modo poderoso e fracassato anche le ossa del suo nemico. Era davvero un'arma portentosa.

Continuò la sua esplorazione senza nessun'altra aggressione e, in poco tempo, raggiunse nell'armeria. Non rimaneva niente, nemmeno un misero stiletto o una singola freccia, quei mostri dovevano aver razziato tutto.

Setacciò le stanze per qualche minuto e, arrivato all'ultima di esse, l'unica cosa che attirò la sua attenzione furono le scale che portavano alle segrete:

Si sentivano distintamente suoni metallici lontani.

Sperando potessero essere dei superstiti, il giovane, si avventò velocemente verso le profondità del castello.

Soltanto quando sbucò in un ampio atrio, capì quello che stava succedendo: davanti a lui si presentava un'enorme voragine scavata di recente. Due di quelle nere creature, evidentemente poste di guardia, lo videro e gli corsero incontro armi in pugno.

Alran strinse Yutaka e aspettò il nemico.

Il primo si scaraventò con impeto su di lui, ma Arlan scansandosi leggermente di lato si limitò a disegnare un arco con la spada, recidendo facilmente la gamba del nemico che rovinò a terra in un tripudio di versi raccapriccianti.

Il secondo, invece, fu più furbo: con la sua mazza mirò, con molta precisione, alla testa del ragazzo. Il giovane, preso alla sprovvista e, ancora impreparato dall'attacco di prima, si buttò a terra ritrovandosi sotto il nemico. Ancora una volta, Yutaka si mosse e affondò la sua fredda lama nello sterno nemico sbucando oltre la schiena.

Il nemico cadde sul soldato mozzandogli il respiro, non si aspettava fosse così pesante. Con enorme fatica, riuscì infine a liberarsi del cadavere ed estrarre la spada.

Tornò dal primo mostro che giaceva ancora disteso, incapace di alzarsi. Lo osservò per un istante e poi affondò la spada nella sua gola, mettendo così fine alle sue sofferenze.

Si sedette per recuperare fiato e la sua attenzione tornò allo scavo che occupava l'intera area.

Il ragazzo si affacciò sulla voragine e quel che vide lo lasciò a bocca aperta:

la buca, di un diametro di almeno venti metri, si propagava sotto il castello, come una radice avida di nutrimento, per una distanza davvero notevole, non si riusciva nemmeno a intravederne la fine.

La consapevolezza lo colpì come una freccia scagliata da un arco, improvvisamente tutto ebbe un senso. Doveva tornare immediatamente a Vina e avvertire Rakk che il nemico non sarebbe mai arrivato da nord, che tutto era una trappola.

Prese una torcia da un supporto alla parete e diede fuoco all'impalcatura di legno che serviva per scendere in profondità. Con un po' di fortuna l'incendio si sarebbe propagato velocemente e avrebbe fatto crollare almeno la prima parte di scala e, magari, intaccato anche la retroguardia nemica.


Corse su per le scale ripercorrendo la strada al contrario, ma dovette sbagliare qualcosa perché si ritrovò in una piccola stanza che non aveva visitato prima.

Ai lati erano posizionate molte statue di marmo bianco. Un'altra, invece, illuminata dalla luce porpora del vespro occupava il centro. La statua rappresentava un uomo seduto su un trono, con le mani poggiate sulle ginocchia nell'atto di reggere qualcosa d'importante. Sulla testa portava una corona e, qualunque cosa custodisse nelle mani in origine, ora era sparita e al suo posto rimaneva solo la testa mozzata di un soldato in segno di beffa.

Doveva essere quello il luogo in cui era custodito il segreto di cui Lucius gli aveva accennato.

Avvicinandosi, Alran non poté fare a meno di notare che le statue sembravano osservarlo, specialmente quella del re.

Appoggiò la testa dell'uomo per terra e lesse la didascalia incisa sul trono:

Re Demorya

primo re dell'Ovest

e

Flagello del Nord”


Alran era affascinato, sapeva di non dover perdere nemmeno un minuto di più, ma non gli pareva giusto andarsene così: voleva restituire una dignità alla figura del grande re del passato, l'Ovest non si sarebbe piegato.

Quindi, prese un guanto dal cadavere del militare decapitato non molto lontano e pulì Yutaka in questo, lasciando il cuoio impregnato del sangue di quelle nere creature. Poi lo mise nelle mani della statua e aggiunse inchinandosi:

«Come voi avete dato la vita per queste terre, anche molti valorosi uomini hanno dato la vita per difendere la vostra memoria. Questo è in memoria del loro sacrificio».

Diede le spalle alla figura e uscì di corsa dalla camera.

Questa volta trovare la strada di ritorno non fu complicato e, in poco tempo, lascio la fortezza. Raggiunse il suo cavallo e si diresse a tutta velocità verso Vina, il tempo era prezioso e ne aveva già perso molto in quel luogo di morte e distruzione.





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Capitolo 6
*** Colosso ***


Colosso


Soltanto qualche debole raggio arancione illuminava ancora il paesaggio.

La palizzata meridionale di Vina pareva in fiamme, ma in poco tempo tutto sarebbe stato inghiottito dalle tenebre e, anche l'ultimo coraggioso bagliore del sole sarebbe scomparso tra i monti a ovest.

In piedi, sull'imponente barriera di legno, Rakk osservava la pianura davanti a se. Era sorpreso, non si sarebbe mai aspettato una mossa del genere. Attaccare da sud, dove le difese non erano state minimamente approntate, e schiacciare lui e la sua guarnigione tra Vina e le montagne. Dovette riconoscer che era un problema, qualsiasi strategia avesse deciso di adottare non avrebbe mai cambiato l'elemento di base: erano topi in trappola.

Una lieve brezza scompigliò i suoi lunghi capelli, come a dargli conforto in quel frangente di disperazione, una morbida carezza per ridare vigore al suo animo abbattuto.

«Quando sono comparsi?» chiese al suo attendente, accanto a lui in attesa di ordini.

«Più o meno un ora fa. Inizialmente le sentinelle pensavano fossero rinforzi, ma col diminuire della distanza hanno iniziato ad avere i primi dubbi...» rispose demoralizzato il giovane.

«Capisco... non ci rimane molto tempo. Fai schierare metà degli uomini sulla palizzata in attesa, all'altra metà ordina di spostare una mezza dozzina di baliste e di puntarle verso sud. Fai in modo che ogni uomo impugni un'arma, se non bastano le spade fai distribuire pugnali e daghe. Voglio che chiunque sia in grado di colpire una di quelle cose».

Non attese nemmeno che il giovane si congedasse che si allontanò diretto alla sua tenda: c'era una battaglia da combattere e gli uomini sarebbero stati più rincuorati nel vederlo il prima possibile schierato in prima linea.


Alran galoppava il più velocemente possibile, ma sapeva di essere troppo lento, non sarebbe mai arrivato in tempo. Eppure, non abbandonò la sua corsa, non diede un attimo di tregua al suo cavallo e dovette ringraziare solo la sua massiccia stazza se non era ancora stramazzato.

Soltanto quando scorse la vecchia torre diroccata, che fungeva da posto di guardia, si decise a rallentare.

Nel sentirlo avvicinare, Roxas, il soldato a cui era affidato il comando delle rovine, si affrettò verso Alran intuendo che soltanto qualcosa di grave avrebbe potuto obbligarlo ad simile ritorno.

«Roxas! Grazie al cielo! Avevi ragione, a Dalgonn non c'è più nessuno! Hanno scavato un tunnel sotto di noi, stanno attaccando Vina da sud!».

Il soldato, per tutta risposta, salì sul suo destriero sistemandosi arco e faretra sulle spalle.

«Rakk allora ha bisogno di tutto l'aiuto possibile. Cosa stiamo aspettando... in marcia!».

Anche gli altri uomini si precipitarono verso i cavalli e in poco tempo la torre di pietra tornò ad essere deserta, come lo era stata per i precendenti due secoli.

Il giovane comandante si affiancò al cavallo di Alran: «Sei sicuro di quello che dici? Non è che se ne sono semplicemente andati?».

Roxas era poco più che ventenne, alto e snello, capelli rossi come fuoco striati di nero qua e là. Prima di arruolarsi era stato un ottimo cacciatore e per questo la sua arma preferita rimaneva l'arco. Si diceva che non sbagliasse mai un colpo, riusciva a colpire un cervo dritto in mezzo agli occhi senza dargli nemmeno il tempo di rendersene conto.

«Si sono sicuro, sotto la fortezza di Dalgonn c'è una voragine immensa. Non vedo quale motivo abbiano per fare una cosa simile se non per aggirare le nostre difese...» rispose il giovane.

«Speriamo almeno siano numerosi, ho voglia di impiantare qualche freccia nelle loro teste nere. Non vorrei arrivare a battaglia conclusa, muoviamoci!»

Anche se Alran non aveva la stessa voglia di combattere del suo compagno, c'era qualcosa in quel giovane che infondeva sicurezza e coraggio. Sicuramente col passare del tempo sarebbe diventato un ottimo ufficiale, sempre se non fosse diventato cibo per corvi nell'imminente battaglia.


Quando arrivarono a Vina la battaglia infuriava ancora.

La porta meridionale reggeva ancora miracolosamente e l'unico modo che i nemici avevano per entrare nel villaggio rimaneva scalare la muraglia, ma, la maggior parte delle volte, non riuscivano nemmeno ad affacciarsi che venivano rigettati sui propri compagni sottostanti. I pochi che ce la facevano però erano ossi duri per la guarnigione e, troppe volte, prima della loro dipartita riuscivano a infliggere profondi tagli o a spezzare qualche osso ai malcapitati che si trovavano difronte.

Il gruppetto di rinforzi superò la piazza principale e si unì agli uomini nella difesa dell'entrata. Solo Roxas e Alran si diressero su per le scale di legno alla ricerca di Rakk.

Individuarlo sulla cima della palizzata non fu difficile visto che la sua corazza, dello stesso color dorato della sua chioma, risplendeva come un braciere alla luce delle torce.

Qualcosa sibilò dietro Alran e una di quelle creature cadde dal parapetto lanciando un ripugnante grido di dolore: Roxas aveva iniziato a colpire, e quel che si diceva sulla sua abilità era vero, senza dubbio.

Solo dopo aver affrontato un paio di abomini, riuscirono a raggiungere il capitano impegnato in un difficoltoso scontro. Altre due di quelle creature l'avevano accerchiato nello stretto camminamento e si preparavano a colpire.

Mentre Roxas scagliò un'altra freccia verso la più lontana delle figure nere, la punta di Yutaka squarciò la schiena dell'altra. Il mostro cadde in ginocchio, in attesa che la lama verde tagliasse di netto anche la testa.

«Sapevo che saresti stato utile!» gridò Rakk ancora col fiatone per la fatica dello scontro.

Il ragazzo si limitò a guardarlo: «Com'è la situazione capitano?».

«Disperata. Come ci aspettavano dopotutto... sapevano fin da subito di essere in minoranza numerica. Però non tutti i nemici ci stanno attaccando, sembra che abbiano mandato solo una piccola avanguardia per tenerci occupati.» rispose Rakk.

«Occupati? Per quale motivo?».

«Credo che cerchino Lucius e quello che trasporta, ma non sanno dove sia. A quest'ora dovrebbe già essere a Lisjask però. Dovranno affrontare metà dell'esercito reale per arrivare a lui...»

«Ma Lucius non può aver raggiunto Lisjask così in fretta!» ribatte Alran. «Non aveva abbastanza cavalli per tutti i suoi uomini e procedeva molto lentamente».

Lo sgomento attraversò gli occhi di Rakk: «Altri uomini? Non è possibile! Lucius è partito da solo, mi sono assicurato personalmente di fornirgli il miglior cavallo in mio...».

Un suono, profondo e cupo, costrinse tutti a voltarsi verso sud. La battaglia si fermò, mentre la paura iniziò ad attanagliare i cuori dei soldati.

Ci fu un altro passo e la terra tremò. L'enorme creatura si avvicinava in un susseguirsi di passi poderosi.

Poi, una grande figura emerse dalle tenebre: era un colosso, una malvagia creatura leggendaria che guidava armate demoniache. Alta almeno trenta piedi, il corpo scuro avvolto in una spettrale luce rossa. Sopra il muso da lupo e una rossiccia criniera, troneggiavano due corna decorate con catene d'oro e varie scritte: secondo le leggende più le corna di un colosso erano decorate, maggiore era la loro forza. Tra le grosse mani, impugnava un poderoso martello da guerra, grande quanto bastava per abbattere con un sol colpo un'abitazione.

Un uomo, che cavalcava un grosso scorpione vermiglio, lo affiancava.

Lo scorpione gigante era un animale molto diffuso nella desertica Repubblica dell'Est e, molti dei suoi condottieri ne cavalcavano uno in battaglia. Erano delle armi micidiali: una sola puntura della loro coda poteva uccidere uno stallone in meno di dieci secondi e anche le chele anteriori non erano più clementi. Ci erano voluti secoli prima che i Signori degli Scorpioni imparassero ad addomesticarli e ora, solo dopo anni di preparazione, un soldato poteva aspirare a scendere in battaglia in groppa ad uno di quei terrori.

Quando si fermarono si trovavano a ben poca distanza dal cancello di Vina.

Il cavaliere dell'Est si schiarì la voce:

«Chi di voi ha il comando?».

«Io, capitano Ulter Rakk. A chi devo il piacere di una simile visita dall'Est?» rispose Rakk facendosi avanti.

«Stupido zotico occidentale! Sono io che faccio le domande qui, dov'è l'Heruh? Dove l'avete nascosto?».

«L'Elmo Infernale non cadrà nelle vostre mani, ora è già in viaggio per Lisjask. Non lo raggiungerete mai!».

L'uomo sullo scorpione non si scompose, rimase come una statua nella sua armatura di piastre rosse. Poi, si tolse l'elmo e rivelò quella che era la sua testa deturpata: metà del viso era invasa dalle cicatrici di gravi ustioni, di un rosa innaturale, che dava l'impressione stessero ancora pulsando.

L'altra metà, invece, appariva normale, anche la barba e i capelli neri crescevano normalmente.

«Crimson Claw...» mormorò Rakk con occhi sbarrati.

«Capitano conosce quell'uomo?» chiese Roxas.

«Non di persona, ma sono moltissime le storie che girano attorno al suo nome: governa col pugno di ferro una provincia della Repubblica e si dice che non abbia pietà per nessuno. In battaglia sono pochi quelli che possono eguagliarlo e la sua daga si colora presto di rosso... per questo l'hanno soprannominato l'artiglio rosso: Crimson Claw».

Lo straniero sorrise e riprese a parlare:

«Ecco, ora che abbiamo fatto le presentazioni potresti gentilmente offrirti come prigioniero? Un ufficiale vivo vale più di uno morto e dato che quello che cerco non è qui, tu non hai più nessuna utilità per me. Arrenditi e avrai salva la vita».

«Non senza combattere!» ribatte il capitano stringendo la presa sulla sua lama.

«Ahahahahahah! Davvero poco furbo da parte tua. Non pensavo che voi occidentali foste un branco di stupidi. Exiles ritirata! Tu Melgor occupati di questi folli, non lasciare nessuno in vita».

Crimson Claw si rimise l'elmo, fece girare l'enorme scorpione e si immerse nelle tenebre da cui era fuoriuscito, seguito anche da tutte quelle creature di cui, fino a qualche secondo prima, nessun uomo dell'Ovest sapeva il nome.

Il colosso, invece, si piegò sulle ginocchia ed emise un poderoso ruggito di sfida agitando il gigantesco martello, poi caricò.

Rakk diede ordine agli arcieri di scoccare, ma le frecce sembravano non fargli nemmeno il solletico mentre il demone continuava ad avanzare.

Il martello di Melgor si schiantò sul legno della barriera con un fragore assurdo. Travi e uomini volarono ovunque, in un unico urlo di micidiale dolore.

Anche Alran e i suoi due vicini vennero scaraventati giù dalla palizzata a causa della potentissima onda d'urto. Sicuramente quello non era un martello comune.

«Non possiamo vincere contro una cosa del genere...» disse Rakk mentre si toglieva di dosso alcuni pezzi di legno.

«Ma ci deve essere qualcosa che possiamo fare capitano! Non possiamo arrenderci ora!» ribatte Alran.

L'ufficiale sospirò atterrito, stava per aprire bocca quando vide Yutaka, ancora in mano ad Arlan.

«Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima... Arlan la tua spada. La tua spada era l'arma di un Custode della Vita, uno strumento forgiato appositamente per sconfiggere le forze del male».

Guardò in direzione di Melgor e poi riprese: «Io e Roxas cercheremo di attirare l'attenzione del colosso e tu, invece, lo colpirai senza pietà!».

I due ragazzi aiutarono l'ufficiale a rimettersi in piedi.

Rakk imbracciò la spada e cominciò a correre in direzione del nemico, mentre Roxas lanciava frecce e urla per richiamarne l'attenzione.

Anche Alran si lanciò all'attacco, ma a qualche piede dalla gamba del gigante, questi mulinò il martello tracciando un arco verso gli assalitori.

Ancora una volta, il potere dell'arma entrò in gioco e vennero tutti sbalzati lontano. Tutti a parte Arlan.

Non aveva minimamente avvertito la forza proveniente dal martello e continuava a correre verso di lui.

Melgor, irritato, alzò l'arma a cielo e caricò il colpo con due mani. Riversò tutta la sua inaudita forza verso il giovane.

Alran, di fronte a morte certa, non poté fare altro che alzare la lama verde sopra la testa in un sorta di ultima inutile difesa.

Un lampo bianco scaturì dal cozzare delle loro armi e, inaspettatamente, il colpo non lo raggiunse: il martello rimaneva bloccato sopra Yutaka, mentre il colosso appariva visibilmente contratto nello sforzo di imprimere una forza maggiore.

Rimasero in quella posizione per quelli che parvero minuti, mentre il ragazzo non riusciva a capacitarsi per come era riuscito a bloccare l'attacco.

Riacquistata la consapevolezza, spazzò via l'arma del gigante senza difficoltà e si ributtò all'attacco mentre quest'ultimo si trovava ancora sbilanciato.

La verde lama recise i tendini e le ossa della gamba destra con estrema facilità, come era già accaduto precedentemente con gli exiles a Dalgonn.

Il colosso rovinò a terra sostituendo lo spavaldo ruggito di sfida con un insopportabile lamento di dolore, mentre il giovane soldato si ritrovò investito da una cascata di scuro sangue gelato.

Scivolò e si ritrovò sul terreno. Il suo nemico, in ginocchio, ma ancora determinato a vincere, si stava preparando ad abbattere ancora il martello su di lui. Alran, allora, rotolò sul fianco e, questa volta, fu l'arto superiore ad essere mozzato. Un altro grido straziante eruppe dalla bocca del colosso e, senza voler aspettare oltre, il ragazzo si alzò e si arrampicò sul corpo straziato.

Mentre il resto della guarnigione osservava con stupore il duello, Arlan, facendo appello alle sue ultime forze, si avvicinò alla gola del mostro impugnando la spada a due mani.

«Sconfitto da un ragazzo. Deve essere molto umiliante per un Signore degli Inferi come te, dico bene?».

Il colosso continuava a soffrire tra sangue e lamenti.

«Vai Alran! Finiscilo!» sentì urlare Roxas distante.

Spinse la spada nella carne, ma non ebbe nemmeno il tempo di esultare per la vittoria che sentì le forze abbandonarlo. Yutaka scivolò dalle sue mani mentre cadeva a terra esausto.


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Capitolo 7
*** Guerra ***


Guerra


«Non è possibile che stia dormendo da una settimana! Non ha nessuna ferita grave. Non può essere solo normale stanchezza, io dico che c'è dell'altro. Capisco due o tre giorni, ma una settimana no. No! E' successo qualcos'altro durante lo scontro che noi non abbiamo visto. Ne sono certo...».

Un sussulto dietro di lui e Rakk si voltò di scatto rivolgendo il suo sguardo al letto in cui giaceva Alran da quasi una settimana.

Il ragazzo aveva finalmente riaperto gli occhi dopo tutto quel tempo. Rakk aveva passato molto tempo in quella stanza aspettando che il ragazzo si svegliasse. Era solo grazie a lui se era ancora vivo e lo stesso valeva anche per più dei nove decimi della valorosa guarnigione di Vina. Ormai provava un particolare affetto per quel giovane, così ordinario ma così speciale.

«Era ora Arlan! Stavo iniziando a pensare che ti avrei dovuto portare a Lisjask in spalle» disse cercando in tutti i modi di essere il più serio possibile. Era davvero contento che alla fine si fosse svegliato, ma lui era pur sempre un'autorità militare, un figura forte agli occhi di molte persone, integerrima e seria. Però avvolse le sue braccia possenti attorno al suo busto. Un solo abbraccio non avrebbe intaccato la sua reputazione, nessuno avrebbe avuto niente da ridire se Rakk avesse scambiato un gesto di riconoscenza con l'eroe del nord.

Oltre al capitano, molti altri uomini durante la settimana aveva passato un po' di tempo ad assistere Alran: chi per una breve visita di qualche minuto, chi per intere ore, alla fine tutta la guarnigione avevano reso omaggio al giovane.

Lo stesso Roxas, che pareva sempre così distaccato da tutto e tutti, era passato due volte a vedere come stava, nascondendo poi la sua delusione mentre usciva.


Ancora intontito dalla lunga dormita, il ragazzo provò a mettersi a sedere sul comodo materasso di piume, ma a causa del lungo tempo passato senza muoversi le sue articolazioni erano bloccate e ogni movimento era un'esplosione di dolore. Ci vollero quasi cinque minuti prima che riuscisse ad alzare la schiena con successo.

Provò a parlare, ma dalla sua bocca non emersero altro che sommessi mugolii. Le labbra, pur muovendosi, non emettevano alcun suono articolato.

Rakk se ne accorse e fece cenno ad Alran di non sforzarsi:

«Non ancora Arlan. Ti serve dell'acqua fresca, avrai la gola secca dopo una settimana del genere.»

Alle sue spalle comparve subito un attendente grassoccio con una caraffa e un boccale. Lasciò il tutto in mano al capitano e si dileguò lasciando soli il giovane e l'ufficiale. Rakk versò del liquido nel boccale e lo porse al ragazzo.

«Avrai sicuramente troppi pensieri per la testa... posso iniziare col raccontarti cosa è successo dopo che hai abbattuto il colosso».

Già, il colosso. Prima di cadere in quello stato incosciente ne aveva abbattuto uno. Il ricordo tornò vivido in lui: il gigante era apparso dal nulla, come uscito da una di quelle storie che si raccontavano ai bambini vivaci per spaventarli. Ma Alran con l'aiuto della sua spada l'aveva ucciso, l'aveva proprio fatto a pezzi. Forse era l'unico uomo vivente ad averne abbattuto uno nell'ultimo millennio. Molte ballate cantavano di eroi impavidi che avevano sconfitto signori dei demoni. C'era Forlon l'Incubo, che aveva ucciso centinaia di creature maligne quando l'Ovest aveva dichiarato guerra alla Terra Dimenticata per combattere i necromanti e le loro oscure pratiche. Anche Enka, la principessa guerriera di Yerenia, aveva ucciso un colosso solo con l'aiuto delle sue braccia.

Il ragazzo però non osava paragonarsi a loro, magari col tempo sarebbe entrato nelle leggende e forse, da qualche parte, c'era già un cantastorie che scriveva una canzone proprio in suo onore. Il pensiero lo divertì e si chiese come avrebbe suonato il suo nome accompagnato dal suono soave di un'arpa.

Stava ancora fantasticando quando Rakk iniziò il suo resoconto, così incrociò le gambe tra mille dolori e iniziò ad ascoltare.

« Dopo che hai sconfitto quel mostro sei svenuto e sei rimasto incosciente fino a poco fa. Comunque noi abbiamo continuato a dare la caccia a quelle creature, quegli exiles... ne abbiamo abbattuta qualche decina, gli ultimi ritardatari della retroguardia, per lo più esploratori credo. Roxas e la sua abilità come cacciatore ci sono stati utilissimi. E' incredibile quanto quel ragazzo sia veloce e preciso con l'arco. Ho deciso di promuoverlo a luogotenente, d'ora in poi sarà il mio secondo.»

L'espressione del capitano divenne cupa mentre si alzava in piedi.

«Queste piccole vittorie non sono servite a molto, da sud continuano a giungere cattive notizie. Crimson Claw continua ad avanzare con il suo esercito e, anche se ha perso Melgor, la sua forza rimane ancora enorme. In più, come se non bastasse, da Lisjask ci fanno sapere che anche il confine ad est è stato attaccato. E' una forza minore di quella che avanza da nord ma è formata interamente dalle forze della Repubblica.»

Non più con la gola secca, Alran si azzardò a dire qualcosa:

«Quindi l'Est... ha deciso... d'invaderci?»

«Esatto. Controllano i demoni e hanno attaccato Dalgonn sapendo che la notizia non sarebbe giunta a Lisjask prima di quattro giorni, saranno almeno dieci anni che nessun mago è di stanza alla fortezza. Avevano progettato il tutto da molto tempo.»

«Quindi in tutto questo cosa centra la Legione Nera?» domandò il ragazzo.

Rakk gli rivolse uno sguardo carico di comprensione e sospirò lievemente.

«La Legione ha fornito all'Est l'esercito di exiles, ha messo i propri evocatori al suo servizio e chissà quali altre stregonerie hanno in serbo...»

Alran ripensò alla figura scura sghignazzante oltre il rogo, quell'immagine che continuava a perseguitarlo a distanza di anni. La sua unica ragione di vita, una vita così tristemente legata alla Legione Nera. Ovunque lui andasse il passato non faceva altro che seguirlo, aveva cercato di lasciarsi tutto alle spalle, ma era tutto inutile: era la vendetta che voleva, non la pace.

«... per fortuna non sono ancora in possesso dell'Elmo Infernale, se questo dovesse accadere saremmo spacciati».

Ancora quel nome: l'Elmo Infernale o Heruh, come l'aveva chiamato Crimson Claw. Non ne aveva mai sentito parlare fino a quel momento, ma era pronto a scommettere che era la chiave di tutto.

«Capitano, ma cos'è esattamente questo elmo?».

L'espressione di Rakk si fece ancora una volta grave e cominciò a giocherellare con il pomolo della spada legata al fianco: «Ormai è inutile nasconderlo, è giusto che tu sappia cosa stiamo combattendo. L'Elmo Infernale è uno degli oggetti magici più potenti al mondo, se un demonologo lo indossasse potrebbe aprire le porte dell'inferno e riversare il suo contenuto in questa dimensione. Questo significherebbe non solo altri demoni, ma anche defunti, in men che non si dica potremmo ritrovarci a dover combattere niente meno che i nostri caduti. La prospettiva sarebbe terribile, siamo già in difficoltà così, senza bisogno che il nemico ingrossi ancora di più le proprie fila con i morti».

Si alzò e cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro. «C'è pure la questione di Lucius, non capisco dove abbia preso quegli uomini e per quale motivo. Almeno ha raggiunto Lisjask...».


«Capitano!». L'attendente li interruppe entrando di corsa tenendo un foglio tra le dita. Non erano notizie buone, intuì Alran.

«Che succede ancora?» chiese irritato Rakk.«Non ci sono già troppi problemi?».

«Mio signore, i nostri esploratori riferiscono che a sud sono comparsi altri colossi, almeno cinque. Ora stanno seguendo le ultime linee dell'esercito di Crimson Claw. I nostri uomini dicono anche di aver trovato la colonna dei profughi di Vina». L'uomo si fermò, in attesa del consenso dell'ufficiale per proseguire.

Il capitano Rakk si fece più attento.«E quindi?».

«Mi dispiace signore, non ci sono sopravvissuti».

Alran ebbe un tuffo al cuore. Ricordava benissimo l'anziano, che gli aveva affidato Yutaka, rivelatosi poi il padre di Rakk. Ricordava anche tutta quelle persone, donne e bambini indifesi che scappavano dalla guerra. “Alla fine la guerra li ha raggiunti comunque” pensò amaramente.

Se anche il capitano fosse scosso dalla notizia di certo non lo dava a vedere. Era già pronto a quella possibilità, sapeva che se il nemico avesse superato Vina alla fine avrebbe raggiunto quella, triste e lenta, sfilata di povere anime. Per lui era solo questione di tempo ricevere quel messaggio, quindi congedò mestamente l'attendente e rimase nuovamente solo col ragazzo.

«Mi dispiace per vostro padre, capitano» disse triste Alran dopo qualche minuto. «sono sicuro fosse un buon uomo».

«Questa è la guerra Alran... sono sempre gli innocenti a farne le spese, dovresti saperlo anche tu. La morte è sempre presente in un conflitto, potrebbe colpire il tuo nemico come uno dei tuoi cari. Prima lo impari meglio è...».

Un'altra interruzione. Questa volta però erano Roxas e altri due soldati.

Come al solito, aveva il fedele arco con sè e la casacca di cuoio nero lo faceva sembrare molto più alto. Odiava portare la cotta di maglia perché in battaglia limitava i suoi movimenti e la trovava pesante. «Un arciere deve essere libero di muoversi come vuole in mezzo ad una schermaglia» diceva sempre.

I due che lo seguivano, invece, erano in tenuta da guerra e le loro armature di acciaio risaltavano nella semi oscurità della stanza. I loro volti erano celati da elmi con pennacchi bianco latte. Entrambi portavano grosse spade a due mani serrate nei possenti guanti d'arme con la punta verso il pavimento. Se Alran non li avesse visti entrare con i propri occhi li avrebbe scambiati per due statue.

«Alran! Sei sveglio!» esclamò Roxas non appena vide il giovane seduto sul letto.

L'abbraccio del ragazzo quasi lo stritolò, ma anche lui era contento di vederlo.

Rakk lo riprese subito però: «Sei venuto qui solo per interrompere una conversazione interessante o magari hai anche qualcosa da riferire? Magari importante».

Fulminato, Roxas liberò immediatamente Alran dalla sua presa e assunse una posizione più consona.

«Ah si... chiedo perdono capitano. E' appena giunto un gruppo di soldati da Kinoos in rinforzo, come simbolo di lealtà da parte del principe Beon delle Isole di Ghiaccio».

L'uomo alla sua sinistra fece un passo in avanti e alzò la celata del suo elmo per farsi vedere dal capitano.

«Sono Drael, comandante dei Glaciali. Veniamo come rinforzo per fronteggiare l'invasione della Repubblica in virtù della secolare alleanza tra le Isole di Ghiaccio e l'Ovest».

Il capitano Rakk gli andò incontro.«E' un onore conoscere uno dei famosi Glaciali. Il mio nome è Ulter Rakk, capitano della guarnigione di Vina e protettore del nord». Prese un altro sorso d'acqua. «Comandante Drael, vi sono grato per l'aiuto, ora ne abbiamo proprio bisogno. Siamo isolati dal resto dell'Ovest, la steppa è in mano al nemico».

«Appena abbiamo saputo dell'invasione, il principe ha radunato velocemente i vessilli di guerra e ha provveduto ad inviare i Glaciali, con me al comando, in vostro aiuto» disse il cavaliere.

Le Isole di Ghiaccio erano le estese isole che si trovavano proprio nel bel mezzo dell'enorme Lago Bianco, molto più a oriente di Vina. Formato da tutte e dieci le grosse isole, le Isole di Ghiaccio erano uno dei più antichi alleati dell'Ovest. Non il più forte, ma di sicuro il più fedele. La capitale, Kinoos, sorgeva in mezzo al lago. Le sue fondamenta si ergevano direttamente dal fondale creando una maestosa città-fortezza praticamente inespugnabile. Il clima era duro come i suoi abitanti e, tra questi, spiccavano i Glaciali: i più forti soldati del regno. La loro forza era conosciuta in tutto il mondo, anche i soldati più esperti tremavano al solo pensiero di doverli affrontare.

«Non abbiamo inviato nessuna richiesta di soccorso a Kinoos, come avete fatto a sapere che eravamo in difficoltà?» domandò Rakk.

«E' colpa dei sogni del principe» rispose deciso Drael.

Il capitano era perplesso, anche Alran guardò l'uomo con aria interrogativa.

Il Glaciale, vedendo le loro facce, riprese a parlare: « Il principe Beon è stato benedetto dagli dei. Fin da piccolo sognava cosa sarebbe successo il giorno dopo o semplicemente cosa avrebbe mangiato a pranzo o cena. Col passare del tempo, il suo dono si è sviluppato ulteriormente e ora gli permette di vedere non solo il suo futuro, ma anche altri importanti avvenimenti che devono ancora accadere. Circa due settimane fa uno di questi sogni ha predetto l'assedio e la caduta di Dalgoon, così in men che non si dica abbiamo marciato in vostro aiuto.»

«Sembra assurdo, ma deve essere per forza la verità visto che nessun messaggio ha raggiunto le Isole di Ghiaccio, Prenderò quindi per buona la tua storia, comandante Drael.» disse Rakk. Poi diede le spalle all'uomo e riprese: «Passiamo alle cose importanti ora: hai detto di essere qui in qualità di rinforzo giusto? quanti uomini rechi con te e quando il grosso dell'esercito di Kinoos si unirà alle nostre forze?»

Drael si guardò intorno e chiese: «Capitano non sarebbe meglio parlarne in privato?».

«Non ho segreti con i miei uomini, specialmente con questi due». Con un segno del capo, indicò prima Alran poi Roxas.

Convinto, il Glaciale proseguì: «D'accordo... con me ora ci sono cinquanta glaciali, ma entro due settimane arriveranno altre cinque centurie. Il grosso dell'esercito delle isole arriverà più o meno nello stesso periodo e sarà il principe in persona a guidarlo. Duemila fanti si apprestano ad arrivare da Ackaos e altri mille anche da Kir ».

Continuarono a parlare fitto di numeri e strategie per molto tempo, cose così poco interessanti da rispedire Arlan, ancora una volta, nel mondo dei sogni. Di sicuro però, i suoi non avrebbero predetto un bel niente.


Doveva essere passato almeno un altro giorno quando si svegliò. Ora però era da solo e tutto era avvolto dalle tenebre. Si decise a mettersi in piedi,aspettandosi di cadere non appena i piedi avrebbero toccato il freddo pavimento. Invece, le sue gambe ressero e trovò che anche il resto del corpo si era completamente ristabilito, sembrava rinato.

La porta di legno sembrava particolarmente pesante, ma niente di insuperabile. All'esterno, l'accampamento era ancora pieno di vita, i fuochi ardevano vivaci e dall'edificio più grande provenivano urla e risate a volontà.

Mentre si faceva strada tra le case ancora in piedi di Vina, scorse poco distante alcune tende di un bianco pallido. Arlan intuì dovettero essere quelle dei Glaciali.

Nessuno lo degnò di uno sguardo, erano tutti troppo indaffarati o ubriachi per badare a lui. Soltanto le guardie poste all'entrata dell'edificio, da cui provenivano i suoni della festa, si accorsero della sua presenza e lo salutarono con riverenza.

Quando entrò venne investito dalla luce e dalle grida di baldoria dei soldati. Quattro lunghi tavoli di legno, pieni zeppi di uomini, erano stati disposti nell'ampio salone per il lungo mentre un altro in fondo ospitava Rakk, Roxas, Drael e tutti gli altri ufficiali.

Regnava il caos totale: chi beveva, chi mangiava, chi cantava, chi ballava, tutti però urlavano e ridevano.

Nel tavolo in fondo, Rakk e Drael sembravano immersi in una gara di bevute. Da quel poco che Alran capì, sembrava che il Glaciale fosse in vantaggio. Roxas, invece, raccontava chissà cosa ad un gruppo di soldati riuniti attorno.

Non appena si accorsero di lui, tutti dimenticarono cosa stessero facendo e inneggiarono a lui alzando i boccali.

L'enorme sala fu pervasa di «Alran!» a non finire, «Lunga vita al Flagello di Melgor!», «Eroe del Nord!» e tanti altri complimenti.

Mentre tutti gridavano, il capitano Rakk, dal suo posto al tavolo d'onore, fece segno al ragazzo di avvicinarsi e prendere posto accanto a lui.

Tutte quelle persone e le loro odi lo fecero ben presto arrossire come una donnicciola mentre si faceva strada tra i due tavoli centrali. Il gradevole aroma di selvaggina arrosto, invece, ricordò lui che era tanto tempo che non mangiava qualcosa. Anche il suo stomaco glielo fece notare.

Rakk lo fece accomodare accanto a lui, così il giovane si ritrovò tra il capitano e Roxas. Un servitore si affrettò a servirgli un pollo arrosto intero e un paio di cosce di coniglio. Dopo una settimana di digiuno, Alran non chiedeva di meglio.

«Come ti senti ragazzo?» chiese Rakk. Il suo tono di voce tradiva qualche calice di vino di troppo.

«Molto meglio capitano, credo di essermi ripreso completamente».

«Sono contento di sentirtelo dire! Domani è un gran giorno, ci sposteremo alla possente Dalgonn» disse l'allegro Rakk mentre beveva un altro sorso di vino.«Rimane sempre una fortezza possente e con l'aiuto dei Glaciali potremmo anche rimetterla in sesto. La faremo tornare come era un tempo, il possente baluardo del Nord» .

Alran ripensò alla sua visita alle rovine di Dalgonn e l'appetito svanì di colpo: i corpi mutilati, i corvi e gli exiles non erano proprio i pensieri adatti con cui accompagnare le pietanze.

«Si! Si! La renderemo ancora più possente!» continuò l'ubriaco Rakk non notando la faccia disgustata del giovane. «Possente! Non trovi sia una parola magnifica? Anche Melgor era possente vero?». Non attese nemmeno la risposta di Alran, che si girò verso Drael, anch'egli non in condizioni migliori.

Il capitano è proprio andato” constatò Alran “Chissà se domani mattina riuscirà a guidare gli uomini a Dalgonn. Sarà tanto se riuscirà a svegliarsi”.

Facendosi coraggio, si costrinse a mangiare almeno le cosce di coniglio.


Il banchetto andò avanti fino a metà della notte e quando Alran ritornò nel suo alloggio crollò letteralmente sul letto, ma non riuscì a chiudere occhio. Anche lui si era lasciato andare a qualche coppa di vino con la speranza di riuscire ad assopirsi con più facilità, ma fu tutto inutile. Quel che aveva visto a Dalgonn tornò a perseguitarlo, simili orrori non andavano presto dimenticati e, forse, non lo sarebbero stati mai. Ripensò anche alla battaglia di Vina, al volto sfregiato di Crimson Claw e agli occhi furenti del colosso. Poi, come sempre, la sua mente fu invasa dall'uomo in nero e dalle fiamme che avvolgevano tutto, rendendo ogni altra cosa banale.

« Elyna... io ti vendicherò!» sussurrò nell'oscurità. «O morirò provandoci...»


La mattina seguente, nonostante la festa fosse durata fino a poche ore prima, tutto l'accampamento si svegliò di buon ora. Il capitano Rakk sembrava essersi ripreso alla perfezione a differenza di Roxas al suo fianco che pareva ancora intontito dagli eccessi della sera precedente.

Drael e i Glaciali erano già in marcia da più di un ora, avevano il compito di rendere sicura la strada prima dell'avanzare del grosso delle truppe.

Anche Alran era già in piedi e pronto come gli altri a marciare verso la scarlatta fortezza. Però qualcosa non andava, si sentiva nudo, come se mancasse qualcosa. “Ma certo! Yutaka!” comprese infine.

Era da quando aveva affrontato il colosso che non la vedeva, ma d'altronde, mentre dormiva avrebbe potuto vedere davvero ben poche cose. Quando poi aveva finalmente riaperto gli occhi, i troppi quesiti l'avevano distratto da tutto il resto.

Ora però, era tempo di riunirsi con la sua spada, quello strumento di morte così spietato. Quindi, decise di andare a chiedere dove fosse a Rakk.

Trovò il capitano intento ad esaminare la colonna degli approvvigionamenti, mentre un muscoloso fabbro si lamentava della carenza di legna.

«Ti ripeto che senza legna non posso forgiare l'acciaio» si lamentava l'artigiano. « E tu sai cosa si fa con l'acciaio, vero?».

Rakk era esasperato, doveva essere molto tempo che ascoltava le polemiche dell'armaiolo e sembrava sul punto di perdere la pazienza.

«Ma qui attorno è pieno di alberi! Prendi un ascia e vai a tagliarne qualcuno.»

«E chi lavora alle forgia? Lascio il cane a badare alle tue dannate armature? »

«Rimarranno con te altri otto uomini, sono abbastanza?» rispose il capitano stremato.

La faccia del fabbro si fece immediatamente più radiosa. «Ecco, ora si che si ragiona».

Risolta la questione con l'uomo l'attenzione di Rakk si concentrò su Alran:

«Ah giusto te Alran... Ti stavo per mandare a chiamare. Il tuo cavallo è già pronto nelle stalle e anche Roxas deve essere ormai pronto.»

Il giovane non capiva di cosa stesse parlando. «Pronto per cosa?».

«Come per cosa... per la tua visita a Kinoos. Nisuth è un ottimo plasmatore di elementi. E' l'unica persona in grado di aiutarti.» rispose Rakk con naturalezza.

«Ma i plasmatori servono solo per creare o riparare oggetti magici, io non ho...». La consapevolezza lo colpì come una lama rovente, tutto divenne chiaro: ecco dov'era finita Yutaka, il motivo per cui non era insieme a lui.

Quando fu chiaro che Arlan aveva compreso, Rakk spiegò:

«L'abbiamo trovata vicino al corpo di Melgor dopo che tu sei svenuto, era spezzata in due perfettamente, dalla punta all'elsa. Non sapevo come dirtelo, ma quando Drael mi ha parlato di Nisuth ho riacquistato speranza, quindi ti mando a fargli visita. Oltre ad essere un'arma potentissima, in fondo anche io nutro dei sentimenti per quella spada: E' l'unico ricordo che mi rimane di mio padre.»

«Non può mandare qualcun altro? Io sono pur sempre un soldato, posso aiutarvi a difendere Dalgonn!» protestò Alran.

Rakk non volle sentir ragioni. «Si dice che ogni soldato abbia un'arma prediletta, con cui si senta invincibile. Credo che per la maggior parte degli uomini non sia così dopotutto, in tanti muoiono pur combattendo con le loro fedelissime compagnie. Ma per te non è così...». Voltò le spalle ad Alran e si allontanò aggiungendo: «senza Yutaka sei perduto».


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