Alran di Maxximilian (/viewuser.php?uid=462391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Decisione ***
Capitolo 3: *** Legami ***
Capitolo 4: *** Yutaka ***
Capitolo 5: *** Dalgonn ***
Capitolo 6: *** Colosso ***
Capitolo 7: *** Guerra ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Non
c'era menzogna negli occhi impauriti dell'uomo davanti a lui, solo un
folle si sarebbe permesso di mentire di fronte a morte certa.
Tutto
era avvolto nel buio e solo un alito di vento muoveva le fronde degli
alberi che circondavano minacciosi la radura.
Alran,
avvolto nel mantello nero, era in piedi con la spada puntata a un
soffio dalla gola del malcapitato, poteva vedere un liquido luccichio
nei suoi occhi. Ripetè ancora una volta la domanda: «In
che modo la Legione Nera colpirà la repubblica dell'Est?».
L'uomo,
in ginocchio, tremava dalla paura e ancora una volta con un filo di
voce rispose « I-io... non lo so... s-soltanto gli assegnati
alla missione sanno i dettagli... io sono solo un semplice adepto...
non so nulla dei piani dei miei compagni».
Diceva
la verità, se lo aspettava che un semplice membro
dell'organizzazione non fosse a conoscenza di un'operazione che
probabilmente era segreta anche alla maggioranza della Legione
stessa, ma sperava comunque di riuscire ad ottenere qualcosa di più.
Abbassò
l'arma e rivolto alla figura ai suoi piedi gli fece segno di alzarsi.
«G-Grazie infinite signor...»
Non
aveva ancora finito di pronunciare la frase che il metallo gelido
della lama tracciò un segno rosso sul suo collo e si accasciò
a terra esanime.
Odiava
uccidere a sangue freddo in quel modo, ma sapeva di non poter
lasciare in vita quella serpe, era un individuo comunque pericoloso,
solo chi amava l'omicidio e le stragi si univa a quella che
chiamavano la Legione Nera.
I
legionari si definivano eroi il cui compito era spazzare via ogni
essere vivente che abitava il continente e per fare questo istigavano
rivolte e sommosse. Non era raro che dietro lo
scoppio di una guerra civile ci fosse il loro zampino.
Girava
voce però che volessero scatenare la guerra tra le due più
grandi potenze del mondo, la repubblica dell'Est e il regno
dell'Ovest. Un conflitto del genere avrebbe coinvolto non solo tutto
il continente ma anche il mondo intero visto che le due nazioni, da
sempre rivali, potevano contare su un grosso numero di territori
vassalli e del loro conseguente appoggio in caso di bisogno.
Soltanto
tre giorni prima a Lisjask, la capitale dell'Ovest, la guardia reale
aveva catturato un membro della Legione e, dopo un estenuante
interrogatorio aveva confermato l'intenzione dell'organizzazione di
mettere fine alla fragile pace tra l'Est e l'Ovest.
Come
al resto della sua compagnia, anche ad Alran era stato affidato il
compito di setacciare ogni centro abitato in cerca di altri membri
della Legione e di scoprire qualcosa di più sui loro progetti.
E
così quella sera si era trovato lontano da casa seduto al
tavolo in una modesta locanda davanti ad una ciotola di zuppa e un
tozzo di pane.
I
riccioli castani scendevano ad incorniciare un viso da giovane
ragazzo alle porte dell'età adulta, era diventato un militare
molto presto ma nonostante questo era abile come qualsiasi altro
soldato del regno.
Era
intento a leggere alcuni rapporti reali sui movimenti della zona e
nemmeno quando si aprì la porta alzo gli occhi dalle carte, si
limitò ad osservare l'avventore con la coda dell'occhio.
L'uomo,
avvolto in un mantello grigio con fare spavaldo ordinò un
boccale di birra ma quando l'oste chiese se avesse i soldi per pagare
lo straniero si tolse il guanto di pelle che copriva la mano
sinistra. Alran capì subito chi fosse, aveva riconosciuto il
tatuaggio sul palmo della mano che raffigurava un serpente rosso
avvolto attorno ad una croce nera, segno inconfondibile della sua
appartenenza alla Legione. Solitamente i membri della setta lo
tenevano nascosto, non toglievano mai i guanti e usavano ogni
precauzione possibile, ma questo doveva essere un novizio davvero
ingenuo e poco furbo visto che stava mostrando il palmo all'oste
sperando di intimorirlo: «Lo vedi questo, eh? Sai cosa
significa vero? Tu chiudi un occhio sul mio conto e io non chiamo i
miei compagni».
Solo
quando ebbe la conferma, il giovane alzò lo sguardo, ripose
con cura le carte e dopo aver indossato il mantello nero per coprire
la vistosa armatura iniziò ad avvicinarsi al bancone. L'oste
provò a protestare per un poco ma si arrese quasi subito, non
poteva correre il rischio di perdere quell'attività così
preziosa per lui. Proprio quando il legionario stava per voltarsi
trionfante , Alran rapido gli immobilizzò le braccia dietro
alla schiena. «Ma che diavolo?!» ebbe giusto il tempo di
dire l'uomo.
«
Per ordine di Sua Maestà, Re Angus III, siete in arresto per
cospirazione contro la corona»
«
Voi non potete! Sono innocente... non avete prove!»
«Il
tatuaggio è una prova più che sufficiente» disse
il cavaliere mentre scortava il prigioniero fuori dalla locanda verso
gli alberi che si estendevano appena fuori il centro abitato.
Arrivato in una radura nel folto del bosco e lontano da occhi
indiscreti iniziò quell'inutile interrogatorio.
Pulì
la spada sporca di sangue nel mantello della vittima, la rinfoderò
e rimase per qualche secondo a contemplare il cadavere e la pozza di
sangue che imbrattava il terreno attorno. L'avrebbe lasciato lì,
dove quelli come lui meritano di marcire pregando che gli Dei
avessero pietà della sua anima. Si chiedeva quanti ancora ne
avrebbe dovuti uccidere, se davvero quel che aveva fatto era giusto e
se quelli come lui non meritassero comunque un giusto processo.
“Si... andava fatto, avrebbe ucciso degli innocenti in
futuro se non l'avessi fermato” pensò mentre
cancellava quel pensiero dalla mente.
Si
girò e si incamminò a passi veloci verso il villaggio,
la foresta inghiottì la sua figura mentre dietro le montagne
il cielo andava rischiarandosi.
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Capitolo 2 *** Decisione ***
Decisione
Al
suo ritorno, Altran trovò il villaggio pieno di vita. Ovunque
poteva scorgere uomini che si avviavano verso i campi con gli
attrezzi in spalla e cacciatori, che armati di arco e frecce, si
accingevano ad inoltrarsi nella foresta.
Sperava
che nessuno facesse caso a lui, che nessuno lo riconoscesse o,
peggio, chiedesse dove fosse il suo prigioniero. Voleva lasciare al
più presto il paese, non voleva correre nessun rischio, ci
sarebbe voluto ancora molto tempo prima che qualcuno trovasse il
cadavere nella radura ma aveva comunque premura. Arrivato alla stalla
si guardò in giro alla ricerca del ragazzo a cui il giorno
prima aveva affidato il suo destriero e, dopo averlo trovato, parve
sollevato nel vedere che il suo cavallo era già sellato e
pronto a partire:
«
Immaginavo che un cavaliere come voi non si sarebbe fermato molto in
questo sperduto posto quindi ho pensato di farvelo trovare già
pronto» disse lo stalliere.
«
Hai immaginato giusto, sei stato davvero bravo e credo ti meriti
qualche corona extra».
Il
giovane frugò nella bisaccia al suo fianco e mise qualche
moneta nelle mani dell'altro, poi alla svelta montò in sella e
senza aspettare un secondo di più spronò il cavallo al
galoppo fuori dalla stalla e dal centro abitato puntando verso nord.
Viaggiava
ormai da un paio di ore e davanti a lui poteva scorgere il profilo
lontano delle montagne innevate del nord. Attorno a lui solo
un'immensa prateria, un mare di erba illuminato da un pallido sole
invernale. Soltanto qualche albero spoglio interrompeva il monotono
panorama. Faceva freddo, Alran si strinse nel mantello e costrinse il
cavallo, a suo malgrado, a rallentare per paura di affaticarlo
troppo.
Ad
un tratto, scorse delle macchioline brillanti all'orizzonte e man
mano che si avvicinano capì che si trattava di soldati: anche
da quella distanza poteva scorgere l'indistinguibile luccichio delle
loro corazze. Era ancora nell'Ovest quindi difficilmente si sarebbe
trattato di nemici, sperava facessero parte della guarnigione della
fortezza di Dalgonn che proteggeva i confini settentrionali del regno
dalle ormai sporadiche incursioni delle tribù barbare.
Non
erano più di dieci ed erano tutti appiedati fatta eccezione
per l'aprigruppo che Alran intuì essere un ufficiale.
Procedevano molto lentamente e non portavano alcun stendardo in una
triste processione.
Con
l'accorciarsi della distanza, anche gli altri si accorsero di lui e
sorpresi sguainarono le armi in attesa che il misterioso cavaliere si
avvicinasse.
Erano
stanchi e impauriti, lo leggeva sui loro volti, di sicuro era
successo qualcosa di terribile a quel manipolo di soldati.
A
pochi passi dalla compagnia, Arlan smontò e si tolse il
mantello, rivelando l'armatura che era rimasta nascosta per tutto il
viaggio. A quella vista, i soldati sollevati abbassarono le armi e il
comandante spronò il cavallo verso quel volto amico.
Sull'
armatura riluceva in tutto il suo splendore il grifone azzurro di
Lisjask, ma Alran non riusciva a capire a quale compagnia
appartenesse. Non sapeva dire quanti anni avesse ma non gliene
avrebbe dati più di cinquanta. Sotto la calotta, il viso
tirato e la folta barba davano all'uomo l'aria di un veterano,doveva
aver partecipato a molte battaglie.
Dopo
essersi portato il pugno sinistro sul petto in segno di saluto
militare si rivolse ad Alran:
«Qual'è
il tuo nome soldato? Cosa ci fai nella steppa?»
La
voce tradiva una nota di nervosismo, sembrava scosso ma cercava di
mantenere un'immagine sobria, ma al contempo solenne di fronte a quel
giovane soldato incontrato per puro caso nell'abbandono più
totale.
Anche
Alran si portò il pugno al petto e iniziò:
«
Il mio nome è Alran di Lisjask, membro del secondo reggimento
della capitale. Sono stato inviato in missione per indagare sulla
Legione Nera. Devo raggiungere Dalgonn e fare rapporto al comandante
Lucius »
L'uomo
lo scrutò per qualche istante, poi prese lentamente un bel
respiro :
«
Mi dispiace darti questa triste notizia ma il castello è
stretto sotto assedio da un esercito sconosciuto, l'ho lasciato ieri
mattina all'alba poco prima che venisse isolato completamente. A
quest'ora il forte sarà già caduto in mano nemica. Di
fronte alla schiacciante superiorità numerica del nemico ho
deciso di abbandonare la postazione, noi siamo quasi sicuramente
tutto quello che rimane della guarnigione di Dalgonn. Piacere di
incontrarti ragazzino, sono il comandante Mavel Lucius. O almeno quel
che ne rimane...».
A
quelle parole Arlan sbiancò, erano anni che nessun provava ad
invadere l'Ovest da quel confine, la fortezza era più che
altro un simbolo della forza del regno, aveva perso la sua utilità
quasi un secolo prima.
Era
impensabile che qualcuno provasse anche solo ad assediarla ma il
comandante era stato chiaro, con ogni probabilità il castello
era già caduto in mano agli invasori.
Il
re aveva un'altissima considerazione di quell'uomo, si era
conquistato il titolo con grande onore sul campo di battaglia e,
quasi dieci anni prima, aveva giocato un ruolo chiave nella Guerra
D'Inverno; era a tutti gli effetti considerato un eroe, un abile
stratega e un guerriero formidabile. Non poteva credere che
quell'uomo sconfitto davanti a lui fosse proprio il brillante
Lucius.
«
Due giorni fa al tramonto ci sono piombati addosso senza nessun
preavviso, si sono come materializzati dal nulla. Il buio non gli
ostacolava, erano incredibilmente precisi e organizzati, non avevano
arieti, hanno semplicemente iniziato a scalare le mura e riversarsi
all'interno. Non ho mai visto creature simili: armature ed elmi neri
come l'ebano, persino le loro spade erano nere. Non dimenticherò
mai i loro occhi iniettati di sangue e le loro urla agghiaccianti».
Il
comandante si interruppe un attimo e strinse gli occhi, quei
terribili ricordi non facevano altro che tormentarlo dalla scorsa
notte.
«
Abbiamo difeso strenuamente il forte per tutta la notte ma all'alba,
ma quando ho realizzato che respingere il nemico era impossibile ho
abbandonato Dalgonn con questo manipolo di soldati» concluse
l'uomo con sofferenza.
Arlan
ascoltò rapito il resoconto, poi però alcune domande
passarono per la sua mente: perché Lucius era fuggito? Aveva
davvero abbandonato i suoi uomini a morte certa ed era fuggito come
un codardo?
Come
se avesse letto nei suoi pensieri il comandante fisso il suo viso:
«Ti
starai chiedendo perché sono qui vero? Pensi che quello che ho
fatto sia spregevole vero? Lo leggo nei tuoi occhi».
«
Si signore, perdonate la mia mancanza di rispetto ma vorrei sapere
cosa vi ha spinto ad abbandonare il forte».
Lucius
se lo aspettava, fissò per qualche secondo il cavallo di
Arlan, come a riordinare i pensieri, e riprese:
«Ho
dovuto abbandonare il forte e i miei uomini in quell'inferno. Sarei
voluto rimanere fino alla fine ma la mia missione ha la precedenza su
qualsiasi altra cosa. Dalgonn era il nascondiglio di un importante
segreto del regno che ho giurato di proteggere a costo della vita,
per questo devo incontrarmi al più presto con il re. Questo è
tutto quello che posso rivelare ad un soldato del tuo rango.»
Quelle
parole furono come uno schiaffo per il giovane, si vergognò
per quello che aveva detto poco prima e iniziò a fissare il
terreno, in evidente disagio.
«
Ad ogni modo credo che il tuo rapporto possa aspettare, ora è
di vitale importanza comunicare al re ciò che è
successo e il nostro gruppo è già abbastanza lento per
la mancanza di cavalcature, ogni secondo è prezioso».
Girò
il cavallo e ordinò agli uomini di ripartire, aspettò
che tutti lo superarono poi, quando fu sicuro che nessuno potesse
sentirlo, si rivolse ancora verso Arlan :
«Come
ben saprai ultimamente la Legione Nera ha iniziato a muoversi, credo
che l'attacco a Dalgonn possa essere collegato a quei bastardi. Non
me la sento di lasciarti andare ad indagare al forte, sarebbe una
missione suicida quindi ti chiedo di venire con me a Lisjask».
A
sentir pronunciare il nome della setta Arlan ebbe un tuffo al cuore,
se veramente c'erano loro dietro quella faccenda voleva scoprirlo a
tutti i costi. Niente l'avrebbe fermato, nemmeno Lucius.
Il
ragazzo studiò il cielo azzurro per alcuni istanti, ricordava
che all'imbocco del tortuoso e stretto passaggio che, costeggiando le
montagne, portava a Dalgonn sorgeva un piccolo villaggio di
cacciatori che principalmente riforniva il forte di viveri e
vettovaglie. Sarebbe stato un ottimo punto d'inizio per indagare su
quello che era successo, sempre se non fosse già stato
conquistato anch'esso.
«Che
ne è stato di Vina, anche il villaggio è stato
attaccato?»
«A
quest'ora Vina sarà quasi deserto e vi troveresti solo
soldati, il capitano Rakk sa di essere il prossimo obiettivo del
nemico. Non potrà resistere a lungo con i pochi uomini che ha,
ma cercherà di darci più tempo possibile» rispose
l'ufficiale.
«
Allora credo che mi dirigerò lì, forse posso scoprire
qualcosa di più su questa misteriosa forza d'invasione e se
veramente esiste un collegamento con la Legione».
Lucius
non credeva alle sue orecchie:
«Questa
è una follia! I soldati rimasti a Vina sanno già di
essere condannati! Non servi a nulla da morto!»
«
Devo scoprire assolutamente cosa centrano i legionari in tutto
questo»
«
E' un'assurdità! Finirai per farti ammazzare!»
«
Vedrete che non morirò».
Arlan
rimontò sul cavallo e cominciò ad allontanarsi dal
comandante, rimasto spiazzato e senza parole di fronte all'audacia
del giovane.
Lucius
lo guardò allontanarsi, poteva ordinargli di tornare indietro,
avrebbe dovuto obbedire per forza, oppure sarebbe stato diserzione,
ma non disse nulla, c'era qualcosa di speciale in quel soldato,
sentiva che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nei tempi bui che
andavano a profilarsi.
«Che
gli dei siano con te» disse soltanto, più rivolto a se
stesso che al giovane. Poi, spronando il cavallo nella direzione
opposta raggiunse il suo gruppo ormai molto distante.
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Capitolo 3 *** Legami ***
Legami
Poi
fu il turno degli abitanti di Vina. Anche loro si muovevano
lentamente, quasi privi di vitalità se non fosse stato per il
loro monotono avanzare.
La
lunga colonna di donne, vecchi, bambini, bestiame e carri si
estendeva per almeno un miglio. Le loro facce erano una
maschera di disperazione, avevano perso tutto, Alran non li
biasimava.
Doveva
essere stato tremendo abbandonare le proprie case e i campi per
quella povera gente, nessun nemico metteva piede nel nord da almeno
un secolo e nessuno si aspettava che il confine cadesse in così
poco tempo.
Le
Montagne di Ghiaccio costituivano il confine settentrionale del regno
e, anche se il nome lo suggeriva, non erano veramente di ghiaccio, ma
il freddo patito da chi ci si avventurava dava l'impressione di
essere circondati da questo. Non erano attraversabili tranne che per
un angusto valico, alla fine del quale era poi sorta Dalgonn che si
affacciava direttamente sulla distesa glaciale all'altro lato dei
monti.
Vedendo
i profughi, Alran ripensò a tutto quello che aveva detto il
comandante Lucius. Improvvisamente tutto diventava reale, un incubo
che prendeva forma: l'Ovest era stato invaso.
Era
assorto nelle sue riflessioni quando un anziano lo prese per un
braccio.
«Ragazzo
faresti meglio a tornare indietro, sembra incredibile ma qualcuno sta
invadendo il regno»
«Faccio
parte delle guardie di Lisjask e ho una missione da compiere a Vina»
«Ti
avverto ragazzo, il villaggio è deserto. Non è rimasto
nessuno oltre alla guarnigione militare e alcuni dei nostri uomini
che sono rimasti indietro a dare una mano per le fortificazioni. Pare
che qualcuno abbia conquistato Dalgonn. Cosa vai a fare a nord?»
Nella
sua voce c'era una nota d'incredulità, anche lui stentava a
credere a cosa stesse succedendo.
«
Sono al corrente della situazione e devo raggiungere il capitano Rakk
» si limitò a rispondere il giovane.
Sospirando
il vecchio continuò:
«
Devono essere proprio a corto di uomini per mandare un giovane come
te verso il fronte».
Improvvisamente,
con l'aria di chi ha avuto una brillante idea, si girò e dal
retro del suo carro tirò fuori qualcosa:
«So
di chiederti troppo ma ti prego prendi questa spada e dalla a mio
figlio Ulter, è rimasto con i soldati».
Porse
ad Arlan una splendida spada dalla lama verde, sembrava intrecciata
direttamente con i fili d'erba dei prati del sud . Era sicuramente
un'arma degna di un cavaliere, dava l'aria di essere spietata ma,
allo stesso tempo guardarla appagava la vista.
Qualcosa
di quella lama ipnotizzava lo sguardo. Il giovane era a bocca aperta,
mai si sarebbe aspettato di vedere uno strumento del genere in mano a
quel vecchio.
Il
vecchio colse immediatamente lo stupore negli occhi di Arlan e, prima
che il giovane potesse dire qualsiasi cosa, iniziò a spiegare:
«Questa
spada apparteneva a mio padre, era un Custode della Vita. E' l'unico
ricordo che possiedo di lui, dopo la sua morte ho giurato che nessuno
l'avrebbe più utilizzata ma credo che ora mio figlio ne abbia
bisogno. Ho paura che non lo rivedrò mai più... ti
scongiuro portagliela!»
Arlan,
senza pensarci due volte, mosse la testa in segno di consenso.
«Oh
grazie! Grazie! Sei davvero un bravo ragazzo!»
«E'
un grande onore per me recapitare un'arma del genere. Adesso però
devo proseguire»
Legando
la spada al cavallo Arlan si rimise in viaggio, non così in
fretta però da non notare la lacrima che rigava il viso
dell'anziano e aver udito le sue benedizioni.
Per
il resto della giornata, Alran cavalcò a tutta velocità
verso Vina. Man mano che avanzava il paesaggio mutava, l'immensa
pianura era ora interrotta da piccole pozze e rigagnoli. Le montagne,
prima distanti, incombevano minacciose sulla steppa e, qualche fiocco
di neve solitario aveva iniziato a posarsi sul mantello del
cavaliere.
Al
tramonto, iniziò a nevicare abbondantemente e, in poco tempo,
tutto fu buio rendendo l'orientamento difficile. Il ragazzo voleva
continuare il viaggio nonostante nevicasse, ma dopo aver tentato
inutilmente di avanzare, in mezzo a quella che ormai era un tempesta
bella e buona, iniziò a cercare rifugio.
Per
fortuna dovette percorrere solo pochi metri prima di trovare una
grossa roccia che forniva riparo dalla tempesta non solo a lui, ma
anche al cavallo.
Anche
se con difficoltà, riuscì a preparare un giaciglio per
riposarsi, tentare di accendere un fuoco in quelle condizioni era
impossibile quindi si strinse nel mantello e si abbandonò ai
suoi pensieri.
Ripensò
agli avvenimenti della giornata, al suo incontro con Lucius, alla
Legione Nera e al vecchio. Si chiedeva se avesse davvero fatto bene a
rifiutare l'offerta del comandante: ora, sicuramente, avrebbe
riposato in un posto migliore e ben presto avrebbe anche goduto delle
comodità di Lisjask e, soprattutto, della temperatura mite. In
fin dei conti cosa sperava di ottenere andando a Dalgonn? Poteva
davvero scoprire qualcosa un semplice soldato come lui? Lucius aveva
ragione, era molto probabile che andasse incontro a morte certa.
La
sua mandibola cominciò a tremare mentre veniva pervaso da un
crescente senso di afflizione. Si diede dello stupido e maledisse la
propria testardaggine.
Quando
ormai la disperazione aveva preso possesso della sua testa, un
ricordo si fece strada nei suoi pensieri:
Tutto
era avvolto dalle fiamme, si guardava attorno e, accanto a lui,
giaceva il corpo senza vita di sua sorella. Al di là del fuoco
si stagliava la figura nera e la sua terrificante risata maligna, poi
tutto diventava buio.
Aveva
deciso di consacrare la sua vita alla vendetta, era entrato
nell'esercito per perseguire quello scopo e, quando infine aveva
saputo che il nemico faceva parte della Legione, aveva giurato
davanti alla tomba di Elyna che li avrebbe uccisi tutti, anche a
costo di guadagnarsi un posto negli Inferi.
Ecco
perché non poteva ancora arrendersi, non prima di aver reso
giustizia alla memoria di chi si era preso cura di lui quando il
mondo lo aveva abbandonato.
Una
fiamma si accese nel suo petto, scacciò via dubbi e
insicurezze. Provò ad alzarsi, addormentarsi in quell'inferno
di ghiaccio avrebbe significato morte certa, ma il vento era troppo
forte e lui troppo stanco. Riuscì solamente a sedersi
rimanendo a fissare il grigio spettrale davanti a lui per quelle che
dovettero essere ore.
Quando
la bufera calò d'intensità era quasi l'alba e una
pallida luce iniziava a comparire a Est.
Non
un singolo muscolo di Arlan era stato risparmiato dalla morsa del
freddo e, solo con un grandissimo sforzo, riusci a rimettersi in
piedi. Anche se continuava a nevicare, decise di partire
immediatamente, il tempo era prezioso e inoltre non sapeva nemmeno se
Vina fosse ancora in piedi. Era improbabile comunque che un esercito
si mettesse in marcia durante una bufera del genere e quell'armata
sconosciuta non avrebbe fatto eccezione, ne era certo.
La
neve caduta sarebbe stata un ulteriore rallentamento: non sapeva cosa
potesse nascondere e il cavallo avrebbe dovuto procedere lentamente
per forza. Rapidamente si preparò per il viaggio, si strinse
nel mantello e montò in sella. Se tutto filava liscio, avrebbe
raggiunto il villaggio nelle prime ore del pomeriggio.
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Capitolo 4 *** Yutaka ***
Yutaka
I
soldati, affacciati al parapetto di legno, si chiedevano incuriositi
chi fosse quel cavaliere solitario proveniente da sud, una macchia
corvina tra la soffice neve appena caduta.
Le
guardie confabulavano tra loro: alcune dicevano che era sicuramente
una minaccia e che bisognava abbatterlo ora che si era in tempo,
altre, invece speranzose, immaginavano che fosse un potente mago
inviato a nord per respingere l'invasione. Per qualche minuto tutta
Vina distolse lo sguardo dal nord.
Mentre
si avvicinava alla palizzata, Alran riuscì a vedere la calca
che si stava creando dietro il cancello. Con sollievo riconobbe che
le guardie erano umane quindi il nemico non era ancora arrivato li.
Cominciò ad essere nervoso, quegli uomini avevano sicuramente
i nervi a fior di pelle e alla minima minaccia sarebbero scattati.
Davanti
alla grande entrata un paio di lance incrociate bloccarono il suo
cammino:
«E
tu chi saresti?» esordì la guardia alla sua sinistra.
«Mi
chiamo Alran, faccio parte della guardia della capitale. Sono stato
inviato in questa regione per indagare sulla Legione. Se dietro alla
perdita della fortezza di Dalgonn ci sono veramente i legionari
allora è mio dovere indagare.» rispose Alran in tono
deciso.
Questa
volta l'uomo che non aveva ancora parlato prese la parola:
«Non
hai l'aria di un nemico ma il comandante Rakk vorrà vederti...
Sten vieni qui, accompagna il ragazzo alla tenda del capitano»
Una
robusta guardia si fece spazio tra la folla e, quando le lance si
levarono, fece segno al ragazzo di seguirlo.
Arlan
scese da cavallo e cominciò a camminare dietro di lui.
Vina
era in subbuglio, ovunque risuonavano gli ordini impartiti dai
capisquadra e dagli ufficiali ai propri uomini. Gli artigiani
lavoravano freneticamente per costruire difese e fortificazioni che
potessero rallentare il nemico in qualunque modo, anche alcune
piccole baliste erano state posizionate in punti strategici. Per le
strada cittadine erano stati scavati terrapieni e fossati, ormai,
sembrava più un accampamento militare invaso da qualche
abitazione che una rigogliosa cittadina.
Dopo
aver percorso interamente Vina, Sten si fermò davanti ad una
grossa tenda e si voltò verso Alran:
«Questo
è il quartier generale. Il capitano è qui dentro»
Il
ragazzo prese con se la spada color smeraldo del vecchio e porse le
briglie del destriero al soldato, poi entrò.
L'interno
era austero, solo qualche braciere e supporto per candele illuminava
l'ambiente.
Al
centro della tenda, era posizionato un ampio tavolo pieno zeppo di
mappe e fogli che il capitano stava analizzando.
Non
appena Alran si mosse verso il centro dell'area Rakk alzò la
testa e lo squadrò dalla testa ai piedi:
«
Ah quindi sei tu il nostro ospite, ti facevo un po' più
vecchio. Ti stavo aspettando, mi hanno detto che sai
dell'invasione... posso chiederti quindi perché hai deciso di
gettare la tua vita così?»
Il
ragazzo salutò secondo il codice militare e cominciò:
«Signore,
il comandante Lucius mi ha riferito che dietro questa nuova minaccia
possa esserci la Legione. In quanto assegnato alla missione di
ricerca e cattura credo sia mio dovere indagare su quanto accaduto.»
Il
capitano raccolse i suoi lunghi capelli biondi dietro la nuca,
mettendo anche in risalto la lunga cicatrice che solcava il viso
dal sopracciglio sinistro allo zigomo destro. Prima Arlan non l'aveva
notata.
«Non
credo che sia solo per via della missione. Che cosa cerchi
veramente?»
A
quella domanda il ragazzo si senti spogliato di tutto, Rakk era
davvero un uomo brillante se con un solo sguardo era riuscito a
scrutare nella sua anima.
Non
voleva rivelare tutto a Rakk, ma si costrinse ad ammettere che un
giovane soldato così ligio al dovere doveva per forza avere un
sorta di secondo fine e, nella peggiore delle circostanze, sarebbe
anche potuto sembrare un traditore. Si decise quindi a confessare:
«
Quel che dite è vero capitano, in verità cerco
giustizia per me e la mia defunta sorella. E' stato uno di loro a
ucciderla!»
Strinse
i pugni pervaso dalla rabbia.
«Capisco.
Tentare di fermarti sarebbe inutile giusto? Se così stanno le
cose, allora forse ho il lavoro giusto per te:
ho
bisogno di qualcuno che consegni un dispaccio urgente ad una
postazione di vedetta a metà strada tra qui e Dalgonn. Sono la
nostra avanguardia più vicina al nemico. Un compito banale e
per nulla difficile, ma per te sarebbe un' ottima occasione per
scoprire qualcosa di più. Partirai subito. E' tutto»
Impartito
l'ordine, Rakk gli porse un plico tornò a studiare le carte
sul tavolo.
Alran
era entusiasta, finalmente dopo anni aveva la possibilità di
avvicinarsi così tanto al cuore della Legione, questa volta
magari sarebbe riuscito ad affrontare il suo nemico.
Fece
per voltarsi e uscire, ma si ricordò di una cosa:
«Perdonatemi
ancora capitano ma avrei un'altra cosa da chiedervi»
«Ti
ascolto...»
«Un
anziano di Vina che ho incontrato lungo il mio viaggio mi ha
consegnato questa spada da consegnare a suo figlio rimasto qui...»
Porse
l'arma a Rakk che, riconoscendola immediatamente, si limitò ad
intarsiare un sorriso divertito.
«Mio
padre non cambierà mai... capisco la sua preoccupazione ma non
ho intenzione di usare la spada del nonno anche in una situazione del
genere. Puoi benissimo tenerti Yutaka»
Alran
era sorpreso, mai si sarebbe aspettato che il figlio dell'anziano
fosse Rakk.
«Yutaka?»
chiese.
«Si
è il nome della spada. Ogni spada di un Custode della Vita ha
un nome e Yutaka, nell'antica lingua dell'Est, significa
“rigoglioso”. Verde come il germoglio della speranza che
nasce nel nero della terra. La spada ideale per combattere la Legione
non trovi? Adesso è tua» decretò infine
l'ufficiale.
«Ma
signore non posso, appartiene alla sua famiglia!» provò
a controbattere il giovane.
«Ragazzo
per quel che ne so potrei essere morto entro stasera, andrebbe
comunque perduta e poi formereste davvero una bella coppia: Il
misterioso cacciatore di legionari e Yutaka! Ahahahahahahah...
Inoltre è un mio ordine»
Il
capitano sembrava molto divertito e, senza aspettare un altra parola,
congedò Alran.
Il
ragazzo uscì dalla tenda fissando la sua nuova arma: chissà
quante battaglie aveva visto, quante ferite inferte e quanti arti
avesse reciso. Tutte domande la cui risposta non aveva più
importanza, ora avrebbe reiniziato una “vita” in mano
sua.
Scandagliò
l'accampamento alla ricerca di un fodero adatto alle spalle visto che
la spada era molto lunga e, con piacere, constatò che non era
minimamente necessario affilarla anche dopo tutti quegli anni, il suo
filo era più tagliente di un rasoio e sottile come la carta.
Recuperato
il cavallo, si diresse verso il cancello nord e imboccò lo
stretto sentiero imbiancato che si dipanava verso il cuore delle
montagne. |
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Capitolo 5 *** Dalgonn ***
Dalgonn
Seguire
la strada immersa nella candida foresta non era per nulla difficile.
Era infatti un nastro di ciottoli e pietre levigate perfettamente,
anche se si snodava tra le alture non presentava nessuna
irregolarità, si poteva tranquillamente viaggiare al galoppo
senza nessun rallentamento. Era stata modellata così apposta
e, in caso di bisogno, un intera colonna di cavalieri poteva
percorrerla a tutta velocità senza dover rallentare mai.
In
tempi di guerra, quel piccolo accorgimento aveva salvato l'Ovest da
situazioni disperate e, lungo il ciglio, erano ancora ben visibili i
resti degli antichi presidi che sorvegliavano il sentiero. Come
scheletri del passato, le rovine sorvegliavano la strada a
testimonianza del potere del regno.
Aveva
lasciato l'avamposto da quasi un ora e, di lì a poco, avrebbe
intravisto Dalgonn.
La
missione affidatagli da Rakk era stata completata senza problemi, non
aveva incontrato difficoltà nel raggiungere l'avanguardia e il
soldato responsabile, un certo Roxas, era stato molto disponibile.
Inoltre non aveva avuto nessuna obiezione quando, infine, l'aveva
informato che si sarebbe recato alla fortezza.
Tutti
gli esploratori inviati da Roxas non avevano riferito altro che una
calma innaturale al forte: nessun movimento e nessuno in vista. Tutto
ciò sembrava non avere senso. Alran non sapeva proprio cosa
aspettarsi, qualcosa non andava, ma era ugualmente intenzionato a far
luce sul mistero ad ogni costo.
Quando
finalmente la fortezza si stagliò all'orizzonte, la pietra
rossa delle pareti di Dalgonn, accolse il giovane con un effetto
strabiliante: l'arancione del tramonto si infrangeva contro le mura,
dando l'impressione che queste fossero parte di una diga. Tutto
sommato, Dalgonn era davvero una diga, costruita per contenere
l'avanzare delle tribù barbare che, ostinate come onde,
avevano provato a superare il confine.
Soltanto
la parte nord era provvista di mura e le altissime torri si
allungavano minacciose verso i bassipiani gelati al di là
dell'Ovest.
Era
semplicemente maestosa, nessun nemico si sarebbe mai aspettato di
espugnarla, la sola vista avrebbe atterrito anche il più
determinato degli eserciti.
Eppure,
qualcosa non andava, tutto era innaturalmente calmo, non aveva
proprio l'aria di un luogo in cui era stata combattuta una feroce
battaglia.
Arlan
aguzzò la vista e riconobbe qualcosa penzolare dalla fortezza:
con orrore, il ragazzo capì che si trattava della guarnigione,
centinaia di corpi inermi ciondolavano dai parapetti da ogni lato del
castello centrale. Avevano subito più o meno tutti mutilazioni
e l'odio iniziò a farsi strada tra il disgusto del giovane.
«Maledetti!»
imprecò Alran.
Una
fiamma attraversò gli occhi del soldato mentre sguainava
Yutaka, era più che determinato a vendicare quegli uomini.
Spronò il cavallo al galoppo verso l'entrata meridionale. Una
rabbia che non aveva mai provato annebbiò la sua mente. Passò
al galoppo accanto al portone divelto ed entrò nel passaggio,
più deciso che mai a seminare morte.
Nessun
segno di vita, la fortezza era deserta. Percorse inutilmente tutto il
cortile, ma non vide anima viva, era circondato solo da cadaveri.
Poco
a poco, l'impeto di qualche istante prima scemò e la mente di
Alran tornò lucida:
“Sono
proprio stupido... cosa credevo di fare? Sarei morto ora se ci fosse
stato il nemico” pensò,
“non riesco comunque a capire dove siano quei mostri.
Roxas aveva ragione: la fortezza è vuota.”
Sceso
da cavallo, decise di entrare nel castello alla ricerca d' indizi.
Secondo il racconto di Lucius, i nemici erano innumerevoli e nessun
esercito poteva scomparire in quel modo, era impossibile.
Anche
il portone di legno del castello era distrutto e giaceva all'interno
dell'atrio del mastio.
Avanzò
adagio e, come aveva immaginato, si ritrovò circondato da
corpi senza vita, doveva esserci stata una cruenta battaglia in quel
luogo. Si fermò per esaminare il cadavere di una di quelle
mostruose creature: alto e snello, braccia e gambe innaturalmente
lunghe e, come aveva detto Lucius, in possesso di equipaggiamento
nero. Si fece coraggio togliendo l'elmo di quell'abominio.
Quello
che si trovò davanti lo fece inorridire: il muso del mostro
era spaventoso, una bocca deformata costellata di zanne
affilatissime. La testa, glabra, era irta di protuberanze cutanee e
l'iride vermiglia dei suoi occhi spalancati lo terrorizzava.
Le
sue mani si strinsero ancora più saldamente all'elsa di Yutaka
e i suoi sensi si misero all'erta. Si mosse zigzagando tra i corpi
inermi diretto verso l'armeria: voleva controllare se fosse rimasto
qualcosa di utile.
Scavalcò
un'altra di quelle creature, ma una mano lo afferrò
all'altezza della caviglia sinistra e lo scaraventò a terra.
Alran, allarmato,provò immediatamente ad alzarsi, ma c'era
sangue viscoso era ovunque e ogni movimento era difficoltoso.
Le
bestia intanto, padroneggiante sopra di lui, alzò la lama e
caricò il colpo.
Il
ragazzo fece appena in tempo a rotolare a destra che la lama si
schiantò al suolo con un fragore tremendo.
Puntando
Yutaka a terra, Arlan, riuscì finalmente a rimettersi in
piedi. L'essere immondo che aveva davanti lo fissava con sguardo
assetato di sangue.
Anche
il giovane studiò il suo avversario: “Non sono
così stupidi come immaginavo”
pensò, “si è finto morto per attaccarmi
alle spalle, davvero astuto... potrebbero essercene altri,
non devo abbassare la guardia.”
Dopo
quella che sembrò un eternità, il mostro si avventò
sul ragazzo con un grido agghiacciante, sembrava un toro scatenato.
Alran,
a sua volta, si lanciò all'attacco con Yutaka in pugno menando
un montante mirato a sradicare l'arma del nemico.
Le
due spade cozzarono in un clangore strepitoso, ma nessuna delle due
ebbe la meglio. Con la gamba destra, Alran mirò un calcio
verso l'addome del nemico che si ritrovò ad indietreggiare
sbilanciato. A quel punto, con Yutaka libera
dall'incrocio dell'altra arma, tracciò un arco verso la la
spalla avversaria.
L'abominio,
sorpreso, non oppose alcuna resistenza e la corsa della spada non
trovò nessun ostacolo: la verde lama lacerò qualunque
cosa trovasse sulla sua strada e si fermò solo in mezzo alla
pancia avversaria.
Un
rantolo strozzato, poi il corpo senza vita del mostro si accasciò
a terra, liberando, al contempo, la spada avversaria dal suo ventre.
Uno schizzo di sangue nero macchiò il braccio di Alran che
rabbrividì: era gelato, sembrava che nelle vene di quelle
creature scorresse solamente ghiaccio.
In
quel momento, il ragazzo si rese conto della straordinarietà
della sua lama che, senza difficoltà ,aveva colpito in modo
poderoso e fracassato anche le ossa del suo nemico. Era davvero
un'arma portentosa.
Continuò
la sua esplorazione senza nessun'altra aggressione e, in poco tempo,
raggiunse nell'armeria. Non rimaneva niente, nemmeno un misero
stiletto o una singola freccia, quei mostri dovevano aver razziato
tutto.
Setacciò
le stanze per qualche minuto e, arrivato all'ultima di esse, l'unica
cosa che attirò la sua attenzione furono le scale che
portavano alle segrete:
Si
sentivano distintamente suoni metallici lontani.
Sperando
potessero essere dei superstiti, il giovane, si avventò
velocemente verso le profondità del castello.
Soltanto
quando sbucò in un ampio atrio, capì quello che stava
succedendo: davanti a lui si presentava un'enorme voragine scavata di
recente. Due di quelle nere creature, evidentemente poste di guardia,
lo videro e gli corsero incontro armi in pugno.
Alran
strinse Yutaka e aspettò il nemico.
Il
primo si scaraventò con impeto su di lui, ma Arlan scansandosi
leggermente di lato si limitò a disegnare un arco con la
spada, recidendo facilmente la gamba del nemico che rovinò a
terra in un tripudio di versi raccapriccianti.
Il
secondo, invece, fu più furbo: con la sua mazza mirò,
con molta precisione, alla testa del ragazzo. Il giovane, preso alla
sprovvista e, ancora impreparato dall'attacco di prima, si buttò
a terra ritrovandosi sotto il nemico. Ancora una volta, Yutaka si
mosse e affondò la sua fredda lama nello sterno nemico
sbucando oltre la schiena.
Il
nemico cadde sul soldato mozzandogli il respiro, non si aspettava
fosse così pesante. Con enorme fatica, riuscì infine a
liberarsi del cadavere ed estrarre la spada.
Tornò
dal primo mostro che giaceva ancora disteso, incapace di alzarsi. Lo
osservò per un istante e poi affondò la spada nella sua
gola, mettendo così fine alle sue sofferenze.
Si
sedette per recuperare fiato e la sua attenzione tornò allo
scavo che occupava l'intera area.
Il
ragazzo si affacciò sulla voragine e quel che vide lo lasciò
a bocca aperta:
la
buca, di un diametro di almeno venti metri, si propagava sotto il
castello, come una radice avida di nutrimento, per una distanza
davvero notevole, non si riusciva nemmeno a intravederne la fine.
La
consapevolezza lo colpì come una freccia scagliata da un arco,
improvvisamente tutto ebbe un senso. Doveva tornare immediatamente a
Vina e avvertire Rakk che il nemico non sarebbe mai arrivato da nord,
che tutto era una trappola.
Prese
una torcia da un supporto alla parete e diede fuoco all'impalcatura
di legno che serviva per scendere in profondità. Con un po' di
fortuna l'incendio si sarebbe propagato velocemente e avrebbe fatto
crollare almeno la prima parte di scala e, magari, intaccato anche la
retroguardia nemica.
Corse
su per le scale ripercorrendo la strada al contrario, ma dovette
sbagliare qualcosa perché si ritrovò in una piccola
stanza che non aveva visitato prima.
Ai
lati erano posizionate molte statue di marmo bianco. Un'altra,
invece, illuminata dalla luce porpora del vespro occupava il centro.
La statua rappresentava un uomo seduto su un trono, con le mani
poggiate sulle ginocchia nell'atto di reggere qualcosa d'importante.
Sulla testa portava una corona e, qualunque cosa custodisse nelle
mani in origine, ora era sparita e al suo posto rimaneva solo la
testa mozzata di un soldato in segno di beffa.
Doveva
essere quello il luogo in cui era custodito il segreto di cui Lucius
gli aveva accennato.
Avvicinandosi,
Alran non poté fare a meno di notare che le statue sembravano
osservarlo, specialmente quella del re.
Appoggiò
la testa dell'uomo per terra e lesse la didascalia incisa sul trono:
“Re
Demorya
primo
re dell'Ovest
e
Flagello
del Nord”
Alran
era affascinato, sapeva di non dover perdere nemmeno un minuto di
più, ma non gli pareva giusto andarsene così: voleva
restituire una dignità alla figura del grande re del passato,
l'Ovest non si sarebbe piegato.
Quindi,
prese un guanto dal cadavere del militare decapitato non molto
lontano e pulì Yutaka in questo, lasciando il cuoio impregnato
del sangue di quelle nere creature. Poi lo mise nelle mani della
statua e aggiunse inchinandosi:
«Come
voi avete dato la vita per queste terre, anche molti valorosi uomini
hanno dato la vita per difendere la vostra memoria. Questo è
in memoria del loro sacrificio».
Diede
le spalle alla figura e uscì di corsa dalla camera.
Questa
volta trovare la strada di ritorno non fu complicato e, in poco
tempo, lascio la fortezza. Raggiunse il suo cavallo e si diresse a
tutta velocità verso Vina, il tempo era prezioso e ne aveva
già perso molto in quel luogo di morte e distruzione.
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Capitolo 6 *** Colosso ***
Colosso
Soltanto
qualche debole raggio arancione illuminava ancora il paesaggio.
La
palizzata meridionale di Vina pareva in fiamme, ma in poco tempo
tutto sarebbe stato inghiottito dalle tenebre e, anche l'ultimo
coraggioso bagliore del sole sarebbe scomparso tra i monti a ovest.
In
piedi, sull'imponente barriera di legno, Rakk osservava la pianura
davanti a se. Era sorpreso, non si sarebbe mai aspettato una mossa
del genere. Attaccare da sud, dove le difese non erano state
minimamente approntate, e schiacciare lui e la sua guarnigione tra
Vina e le montagne. Dovette riconoscer che era un problema, qualsiasi
strategia avesse deciso di adottare non avrebbe mai cambiato
l'elemento di base: erano topi in trappola.
Una
lieve brezza scompigliò i suoi lunghi capelli, come a dargli
conforto in quel frangente di disperazione, una morbida carezza per
ridare vigore al suo animo abbattuto.
«Quando
sono comparsi?» chiese al suo attendente, accanto a lui in
attesa di ordini.
«Più
o meno un ora fa. Inizialmente le sentinelle pensavano fossero
rinforzi, ma col diminuire della distanza hanno iniziato ad avere i
primi dubbi...» rispose demoralizzato il giovane.
«Capisco...
non ci rimane molto tempo. Fai schierare metà degli uomini
sulla palizzata in attesa, all'altra metà ordina di spostare
una mezza dozzina di baliste e di puntarle verso sud. Fai in modo che
ogni uomo impugni un'arma, se non bastano le spade fai distribuire
pugnali e daghe. Voglio che chiunque sia in grado di colpire una di
quelle cose».
Non
attese nemmeno che il giovane si congedasse che si allontanò
diretto alla sua tenda: c'era una battaglia da combattere e gli
uomini sarebbero stati più rincuorati nel vederlo il prima
possibile schierato in prima linea.
Alran
galoppava il più velocemente possibile, ma sapeva di essere
troppo lento, non sarebbe mai arrivato in tempo. Eppure, non
abbandonò la sua corsa, non diede un attimo di tregua al suo
cavallo e dovette ringraziare solo la sua massiccia stazza se non era
ancora stramazzato.
Soltanto
quando scorse la vecchia torre diroccata, che fungeva da posto di
guardia, si decise a rallentare.
Nel
sentirlo avvicinare, Roxas, il soldato a cui era affidato il comando
delle rovine, si affrettò verso Alran intuendo che soltanto
qualcosa di grave avrebbe potuto obbligarlo ad simile ritorno.
«Roxas!
Grazie al cielo! Avevi ragione, a Dalgonn non c'è più
nessuno! Hanno scavato un tunnel sotto di noi, stanno attaccando Vina
da sud!».
Il
soldato, per tutta risposta, salì sul suo destriero
sistemandosi arco e faretra sulle spalle.
«Rakk
allora ha bisogno di tutto l'aiuto possibile. Cosa stiamo
aspettando... in marcia!».
Anche
gli altri uomini si precipitarono verso i cavalli e in poco tempo la
torre di pietra tornò ad essere deserta, come lo era stata per
i precendenti due secoli.
Il
giovane comandante si affiancò al cavallo di Alran: «Sei
sicuro di quello che dici? Non è che se ne sono semplicemente
andati?».
Roxas
era poco più che ventenne, alto e snello, capelli rossi come
fuoco striati di nero qua e là. Prima di arruolarsi era stato
un ottimo cacciatore e per questo la sua arma preferita rimaneva
l'arco. Si diceva che non sbagliasse mai un colpo, riusciva a colpire
un cervo dritto in mezzo agli occhi senza dargli nemmeno il tempo di
rendersene conto.
«Si
sono sicuro, sotto la fortezza di Dalgonn c'è una voragine
immensa. Non vedo quale motivo abbiano per fare una cosa simile se
non per aggirare le nostre difese...» rispose il giovane.
«Speriamo
almeno siano numerosi, ho voglia di impiantare qualche freccia nelle
loro teste nere. Non vorrei arrivare a battaglia conclusa,
muoviamoci!»
Anche
se Alran non aveva la stessa voglia di combattere del suo compagno,
c'era qualcosa in quel giovane che infondeva sicurezza e coraggio.
Sicuramente col passare del tempo sarebbe diventato un ottimo
ufficiale, sempre se non fosse diventato cibo per corvi
nell'imminente battaglia.
Quando
arrivarono a Vina la battaglia infuriava ancora.
La
porta meridionale reggeva ancora miracolosamente e l'unico modo che i
nemici avevano per entrare nel villaggio rimaneva scalare la
muraglia, ma, la maggior parte delle volte, non riuscivano nemmeno ad
affacciarsi che venivano rigettati sui propri compagni sottostanti. I
pochi che ce la facevano però erano ossi duri per la
guarnigione e, troppe volte, prima della loro dipartita riuscivano a
infliggere profondi tagli o a spezzare qualche osso ai malcapitati
che si trovavano difronte.
Il
gruppetto di rinforzi superò la piazza principale e si unì
agli uomini nella difesa dell'entrata. Solo Roxas e Alran si
diressero su per le scale di legno alla ricerca di Rakk.
Individuarlo
sulla cima della palizzata non fu difficile visto che la sua corazza,
dello stesso color dorato della sua chioma, risplendeva come un
braciere alla luce delle torce.
Qualcosa
sibilò dietro Alran e una di quelle creature cadde dal
parapetto lanciando un ripugnante grido di dolore: Roxas aveva
iniziato a colpire, e quel che si diceva sulla sua abilità era
vero, senza dubbio.
Solo
dopo aver affrontato un paio di abomini, riuscirono a raggiungere il
capitano impegnato in un difficoltoso scontro. Altre due di quelle
creature l'avevano accerchiato nello stretto camminamento e si
preparavano a colpire.
Mentre
Roxas scagliò un'altra freccia verso la più lontana
delle figure nere, la punta di Yutaka squarciò la schiena
dell'altra. Il mostro cadde in ginocchio, in attesa che la lama verde
tagliasse di netto anche la testa.
«Sapevo
che saresti stato utile!» gridò Rakk ancora col fiatone
per la fatica dello scontro.
Il
ragazzo si limitò a guardarlo: «Com'è la
situazione capitano?».
«Disperata.
Come ci aspettavano dopotutto... sapevano fin da subito di essere in
minoranza numerica. Però non tutti i nemici ci stanno
attaccando, sembra che abbiano mandato solo una piccola avanguardia
per tenerci occupati.» rispose Rakk.
«Occupati?
Per quale motivo?».
«Credo
che cerchino Lucius e quello che trasporta, ma non sanno dove sia. A
quest'ora dovrebbe già essere a Lisjask però. Dovranno
affrontare metà dell'esercito reale per arrivare a lui...»
«Ma
Lucius non può aver raggiunto Lisjask così in fretta!»
ribatte Alran. «Non aveva abbastanza cavalli per tutti i suoi
uomini e procedeva molto lentamente».
Lo
sgomento attraversò gli occhi di Rakk: «Altri uomini?
Non è possibile! Lucius è partito da solo, mi sono
assicurato personalmente di fornirgli il miglior cavallo in mio...».
Un
suono, profondo e cupo, costrinse tutti a voltarsi verso sud. La
battaglia si fermò, mentre la paura iniziò ad
attanagliare i cuori dei soldati.
Ci
fu un altro passo e la terra tremò. L'enorme creatura si
avvicinava in un susseguirsi di passi poderosi.
Poi,
una grande figura emerse dalle tenebre: era un colosso, una malvagia
creatura leggendaria che guidava armate demoniache. Alta almeno
trenta piedi, il corpo scuro avvolto in una spettrale luce rossa.
Sopra il muso da lupo e una rossiccia criniera, troneggiavano due
corna decorate con catene d'oro e varie scritte: secondo le leggende
più le corna di un colosso erano decorate, maggiore era la
loro forza. Tra le grosse mani, impugnava un poderoso martello da
guerra, grande quanto bastava per abbattere con un sol colpo
un'abitazione.
Un
uomo, che cavalcava un grosso scorpione vermiglio, lo affiancava.
Lo
scorpione gigante era un animale molto diffuso nella desertica
Repubblica dell'Est e, molti dei suoi condottieri ne cavalcavano uno
in battaglia. Erano delle armi micidiali: una sola puntura della loro
coda poteva uccidere uno stallone in meno di dieci secondi e anche le
chele anteriori non erano più clementi. Ci erano voluti secoli
prima che i Signori degli Scorpioni imparassero ad addomesticarli e
ora, solo dopo anni di preparazione, un soldato poteva aspirare a
scendere in battaglia in groppa ad uno di quei terrori.
Quando
si fermarono si trovavano a ben poca distanza dal cancello di Vina.
Il
cavaliere dell'Est si schiarì la voce:
«Chi
di voi ha il comando?».
«Io,
capitano Ulter Rakk. A chi devo il piacere di una simile visita
dall'Est?» rispose Rakk facendosi avanti.
«Stupido
zotico occidentale! Sono io che faccio le domande qui, dov'è
l'Heruh? Dove l'avete nascosto?».
«L'Elmo
Infernale non cadrà nelle vostre mani, ora è già
in viaggio per Lisjask. Non lo raggiungerete mai!».
L'uomo
sullo scorpione non si scompose, rimase come una statua nella sua
armatura di piastre rosse. Poi, si tolse l'elmo e rivelò
quella che era la sua testa deturpata: metà del viso era
invasa dalle cicatrici di gravi ustioni, di un rosa innaturale, che
dava l'impressione stessero ancora pulsando.
L'altra
metà, invece, appariva normale, anche la barba e i capelli
neri crescevano normalmente.
«Crimson
Claw...» mormorò Rakk con occhi sbarrati.
«Capitano
conosce quell'uomo?» chiese Roxas.
«Non
di persona, ma sono moltissime le storie che girano attorno al suo
nome: governa col pugno di ferro una provincia della Repubblica e si
dice che non abbia pietà per nessuno. In battaglia sono pochi
quelli che possono eguagliarlo e la sua daga si colora presto di
rosso... per questo l'hanno soprannominato l'artiglio rosso: Crimson
Claw».
Lo
straniero sorrise e riprese a parlare:
«Ecco,
ora che abbiamo fatto le presentazioni potresti gentilmente offrirti
come prigioniero? Un ufficiale vivo vale più di uno morto e
dato che quello che cerco non è qui, tu non hai più
nessuna utilità per me. Arrenditi e avrai salva la vita».
«Non
senza combattere!» ribatte il capitano stringendo la presa
sulla sua lama.
«Ahahahahahah!
Davvero poco furbo da parte tua. Non pensavo che voi occidentali
foste un branco di stupidi. Exiles ritirata! Tu Melgor occupati di
questi folli, non lasciare nessuno in vita».
Crimson
Claw si rimise l'elmo, fece girare l'enorme scorpione e si immerse
nelle tenebre da cui era fuoriuscito, seguito anche da tutte quelle
creature di cui, fino a qualche secondo prima, nessun uomo dell'Ovest
sapeva il nome.
Il
colosso, invece, si piegò sulle ginocchia ed emise un poderoso
ruggito di sfida agitando il gigantesco martello, poi caricò.
Rakk
diede ordine agli arcieri di scoccare, ma le frecce sembravano non
fargli nemmeno il solletico mentre il demone continuava ad avanzare.
Il
martello di Melgor si schiantò sul legno della barriera con un
fragore assurdo. Travi e uomini volarono ovunque, in un unico urlo di
micidiale dolore.
Anche
Alran e i suoi due vicini vennero scaraventati giù dalla
palizzata a causa della potentissima onda d'urto. Sicuramente quello
non era un martello comune.
«Non
possiamo vincere contro una cosa del genere...» disse Rakk
mentre si toglieva di dosso alcuni pezzi di legno.
«Ma
ci deve essere qualcosa che possiamo fare capitano! Non possiamo
arrenderci ora!» ribatte Alran.
L'ufficiale
sospirò atterrito, stava per aprire bocca quando vide Yutaka,
ancora in mano ad Arlan.
«Ma
certo! Come ho fatto a non pensarci prima... Arlan la tua spada. La
tua spada era l'arma di un Custode della Vita, uno strumento forgiato
appositamente per sconfiggere le forze del male».
Guardò
in direzione di Melgor e poi riprese: «Io e Roxas cercheremo di
attirare l'attenzione del colosso e tu, invece, lo colpirai senza
pietà!».
I
due ragazzi aiutarono l'ufficiale a rimettersi in piedi.
Rakk
imbracciò la spada e cominciò a correre in direzione
del nemico, mentre Roxas lanciava frecce e urla per richiamarne
l'attenzione.
Anche
Alran si lanciò all'attacco, ma a qualche piede dalla gamba
del gigante, questi mulinò il martello tracciando un arco
verso gli assalitori.
Ancora
una volta, il potere dell'arma entrò in gioco e vennero tutti
sbalzati lontano. Tutti a parte Arlan.
Non
aveva minimamente avvertito la forza proveniente dal martello e
continuava a correre verso di lui.
Melgor,
irritato, alzò l'arma a cielo e caricò il colpo con due
mani. Riversò tutta la sua inaudita forza verso il giovane.
Alran,
di fronte a morte certa, non poté fare altro che alzare la
lama verde sopra la testa in un sorta di ultima inutile difesa.
Un
lampo bianco scaturì dal cozzare delle loro armi e,
inaspettatamente, il colpo non lo raggiunse: il martello rimaneva
bloccato sopra Yutaka, mentre il colosso appariva visibilmente
contratto nello sforzo di imprimere una forza maggiore.
Rimasero
in quella posizione per quelli che parvero minuti, mentre il ragazzo
non riusciva a capacitarsi per come era riuscito a bloccare
l'attacco.
Riacquistata
la consapevolezza, spazzò via l'arma del gigante senza
difficoltà e si ributtò all'attacco mentre quest'ultimo
si trovava ancora sbilanciato.
La
verde lama recise i tendini e le ossa della gamba destra con estrema
facilità, come era già accaduto precedentemente con gli
exiles a Dalgonn.
Il
colosso rovinò a terra sostituendo lo spavaldo ruggito di
sfida con un insopportabile lamento di dolore, mentre il giovane
soldato si ritrovò investito da una cascata di scuro sangue
gelato.
Scivolò
e si ritrovò sul terreno. Il suo nemico, in ginocchio, ma
ancora determinato a vincere, si stava preparando ad abbattere ancora
il martello su di lui. Alran, allora, rotolò sul fianco e,
questa volta, fu l'arto superiore ad essere mozzato. Un altro grido
straziante eruppe dalla bocca del colosso e, senza voler aspettare
oltre, il ragazzo si alzò e si arrampicò sul corpo
straziato.
Mentre
il resto della guarnigione osservava con stupore il duello, Arlan,
facendo appello alle sue ultime forze, si avvicinò alla gola
del mostro impugnando la spada a due mani.
«Sconfitto
da un ragazzo. Deve essere molto umiliante per un Signore degli
Inferi come te, dico bene?».
Il
colosso continuava a soffrire tra sangue e lamenti.
«Vai
Alran! Finiscilo!» sentì urlare Roxas distante.
Spinse
la spada nella carne, ma non ebbe nemmeno il tempo di esultare per
la vittoria che sentì le forze abbandonarlo. Yutaka scivolò
dalle sue mani mentre cadeva a terra esausto.
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Capitolo 7 *** Guerra ***
Guerra
«Non
è possibile che stia dormendo da una settimana! Non ha nessuna
ferita grave. Non può essere solo normale stanchezza, io dico
che c'è dell'altro. Capisco due o tre giorni, ma una settimana
no. No! E' successo qualcos'altro durante lo scontro che noi non
abbiamo visto. Ne sono certo...».
Un
sussulto dietro di lui e Rakk si voltò di scatto rivolgendo il
suo sguardo al letto in cui giaceva Alran da quasi una settimana.
Il
ragazzo aveva finalmente riaperto gli occhi dopo tutto quel tempo.
Rakk aveva passato molto tempo in quella stanza aspettando che il
ragazzo si svegliasse. Era solo grazie a lui se era ancora vivo e lo
stesso valeva anche per più dei nove decimi della valorosa
guarnigione di Vina. Ormai provava un particolare affetto per quel
giovane, così ordinario ma così speciale.
«Era
ora Arlan! Stavo iniziando a pensare che ti avrei dovuto portare a
Lisjask in spalle» disse cercando in tutti i modi di essere il
più serio possibile. Era davvero contento che alla fine si
fosse svegliato, ma lui era pur sempre un'autorità militare,
un figura forte agli occhi di molte persone, integerrima e seria.
Però avvolse le sue braccia possenti attorno al suo busto. Un
solo abbraccio non avrebbe intaccato la sua reputazione, nessuno
avrebbe avuto niente da ridire se Rakk avesse scambiato un gesto di
riconoscenza con l'eroe del nord.
Oltre
al capitano, molti altri uomini durante la settimana aveva passato un
po' di tempo ad assistere Alran: chi per una breve visita di qualche
minuto, chi per intere ore, alla fine tutta la guarnigione avevano
reso omaggio al giovane.
Lo
stesso Roxas, che pareva sempre così distaccato da tutto e
tutti, era passato due volte a vedere come stava, nascondendo poi la
sua delusione mentre usciva.
Ancora
intontito dalla lunga dormita, il ragazzo provò a mettersi a
sedere sul comodo materasso di piume, ma a causa del lungo tempo
passato senza muoversi le sue articolazioni erano bloccate e ogni
movimento era un'esplosione di dolore. Ci vollero quasi cinque minuti
prima che riuscisse ad alzare la schiena con successo.
Provò
a parlare, ma dalla sua bocca non emersero altro che sommessi
mugolii. Le labbra, pur muovendosi, non emettevano alcun suono
articolato.
Rakk
se ne accorse e fece cenno ad Alran di non sforzarsi:
«Non
ancora Arlan. Ti serve dell'acqua fresca, avrai la gola secca dopo
una settimana del genere.»
Alle
sue spalle comparve subito un attendente grassoccio con una caraffa e
un boccale. Lasciò il tutto in mano al capitano e si dileguò
lasciando soli il giovane e l'ufficiale. Rakk versò del
liquido nel boccale e lo porse al ragazzo.
«Avrai
sicuramente troppi pensieri per la testa... posso iniziare col
raccontarti cosa è successo dopo che hai abbattuto il
colosso».
Già,
il colosso. Prima di cadere in quello stato incosciente ne aveva
abbattuto uno. Il ricordo tornò vivido in lui: il gigante era
apparso dal nulla, come uscito da una di quelle storie che si
raccontavano ai bambini vivaci per spaventarli. Ma Alran con l'aiuto
della sua spada l'aveva ucciso, l'aveva proprio fatto a pezzi. Forse
era l'unico uomo vivente ad averne abbattuto uno nell'ultimo
millennio. Molte ballate cantavano di eroi impavidi che avevano
sconfitto signori dei demoni. C'era Forlon l'Incubo, che aveva ucciso
centinaia di creature maligne quando l'Ovest aveva dichiarato guerra
alla Terra Dimenticata per combattere i necromanti e le loro oscure
pratiche. Anche Enka, la principessa guerriera di Yerenia, aveva
ucciso un colosso solo con l'aiuto delle sue braccia.
Il
ragazzo però non osava paragonarsi a loro, magari col tempo
sarebbe entrato nelle leggende e forse, da qualche parte, c'era già
un cantastorie che scriveva una canzone proprio in suo onore. Il
pensiero lo divertì e si chiese come avrebbe suonato il suo
nome accompagnato dal suono soave di un'arpa.
Stava
ancora fantasticando quando Rakk iniziò il suo resoconto,
così incrociò le gambe tra mille dolori e iniziò
ad ascoltare.
«
Dopo che hai sconfitto quel mostro sei svenuto e sei rimasto
incosciente fino a poco fa. Comunque noi abbiamo continuato a dare la
caccia a quelle creature, quegli exiles... ne abbiamo abbattuta
qualche decina, gli ultimi ritardatari della retroguardia, per lo più
esploratori credo. Roxas e la sua abilità come cacciatore ci
sono stati utilissimi. E' incredibile quanto quel ragazzo sia veloce
e preciso con l'arco. Ho deciso di promuoverlo a luogotenente, d'ora
in poi sarà il mio secondo.»
L'espressione
del capitano divenne cupa mentre si alzava in piedi.
«Queste
piccole vittorie non sono servite a molto, da sud continuano a
giungere cattive notizie. Crimson Claw continua ad avanzare con il
suo esercito e, anche se ha perso Melgor, la sua forza rimane ancora
enorme. In più, come se non bastasse, da Lisjask ci fanno
sapere che anche il confine ad est è stato attaccato. E' una
forza minore di quella che avanza da nord ma è formata
interamente dalle forze della Repubblica.»
Non
più con la gola secca, Alran si azzardò a dire
qualcosa:
«Quindi
l'Est... ha deciso... d'invaderci?»
«Esatto.
Controllano i demoni e hanno attaccato Dalgonn sapendo che la notizia
non sarebbe giunta a Lisjask prima di quattro giorni, saranno almeno
dieci anni che nessun mago è di stanza alla fortezza. Avevano
progettato il tutto da molto tempo.»
«Quindi
in tutto questo cosa centra la Legione Nera?» domandò il
ragazzo.
Rakk
gli rivolse uno sguardo carico di comprensione e sospirò
lievemente.
«La
Legione ha fornito all'Est l'esercito di exiles, ha messo i propri
evocatori al suo servizio e chissà quali altre stregonerie
hanno in serbo...»
Alran
ripensò alla figura scura sghignazzante oltre il rogo,
quell'immagine che continuava a perseguitarlo a distanza di anni. La
sua unica ragione di vita, una vita così tristemente legata
alla Legione Nera. Ovunque lui andasse il passato non faceva altro
che seguirlo, aveva cercato di lasciarsi tutto alle spalle, ma era
tutto inutile: era la vendetta che voleva, non la pace.
«...
per fortuna non sono ancora in possesso dell'Elmo Infernale, se
questo dovesse accadere saremmo spacciati».
Ancora
quel nome: l'Elmo Infernale o Heruh, come l'aveva chiamato Crimson
Claw. Non ne aveva mai sentito parlare fino a quel momento, ma era
pronto a scommettere che era la chiave di tutto.
«Capitano,
ma cos'è esattamente questo elmo?».
L'espressione
di Rakk si fece ancora una volta grave e cominciò a
giocherellare con il pomolo della spada legata al fianco: «Ormai
è inutile nasconderlo, è giusto che tu sappia cosa
stiamo combattendo. L'Elmo Infernale è uno degli oggetti
magici più potenti al mondo, se un demonologo lo indossasse
potrebbe aprire le porte dell'inferno e riversare il suo contenuto in
questa dimensione. Questo significherebbe non solo altri demoni, ma
anche defunti, in men che non si dica potremmo ritrovarci a dover
combattere niente meno che i nostri caduti. La prospettiva sarebbe
terribile, siamo già in difficoltà così, senza
bisogno che il nemico ingrossi ancora di più le proprie fila
con i morti».
Si
alzò e cominciò a camminare nervosamente avanti e
indietro. «C'è pure la questione di Lucius, non capisco
dove abbia preso quegli uomini e per quale motivo. Almeno ha
raggiunto Lisjask...».
«Capitano!».
L'attendente li interruppe entrando di corsa tenendo un foglio tra le
dita. Non erano notizie buone, intuì Alran.
«Che
succede ancora?» chiese irritato Rakk.«Non ci sono già
troppi problemi?».
«Mio
signore, i nostri esploratori riferiscono che a sud sono comparsi
altri colossi, almeno cinque. Ora stanno seguendo le ultime linee
dell'esercito di Crimson Claw. I nostri uomini dicono anche di aver
trovato la colonna dei profughi di Vina». L'uomo si fermò,
in attesa del consenso dell'ufficiale per proseguire.
Il
capitano Rakk si fece più attento.«E quindi?».
«Mi
dispiace signore, non ci sono sopravvissuti».
Alran
ebbe un tuffo al cuore. Ricordava benissimo l'anziano, che gli aveva
affidato Yutaka, rivelatosi poi il padre di Rakk. Ricordava anche
tutta quelle persone, donne e bambini indifesi che scappavano dalla
guerra. “Alla fine la guerra li ha raggiunti comunque”
pensò amaramente.
Se
anche il capitano fosse scosso dalla notizia di certo non lo dava a
vedere. Era già pronto a quella possibilità, sapeva
che se il nemico avesse superato Vina alla fine avrebbe raggiunto
quella, triste e lenta, sfilata di povere anime. Per lui era solo
questione di tempo ricevere quel messaggio, quindi congedò
mestamente l'attendente e rimase nuovamente solo col ragazzo.
«Mi
dispiace per vostro padre, capitano» disse triste Alran dopo
qualche minuto. «sono sicuro fosse un buon uomo».
«Questa
è la guerra Alran... sono sempre gli innocenti a farne le
spese, dovresti saperlo anche tu. La morte è sempre presente
in un conflitto, potrebbe colpire il tuo nemico come uno dei tuoi
cari. Prima lo impari meglio è...».
Un'altra
interruzione. Questa volta però erano Roxas e altri due
soldati.
Come
al solito, aveva il fedele arco con sè e la casacca di cuoio
nero lo faceva sembrare molto più alto. Odiava portare la
cotta di maglia perché in battaglia limitava i suoi movimenti
e la trovava pesante. «Un arciere deve essere libero di
muoversi come vuole in mezzo ad una schermaglia» diceva sempre.
I
due che lo seguivano, invece, erano in tenuta da guerra e le loro
armature di acciaio risaltavano nella semi oscurità della
stanza. I loro volti erano celati da elmi con pennacchi bianco latte.
Entrambi portavano grosse spade a due mani serrate nei possenti
guanti d'arme con la punta verso il pavimento. Se Alran non li avesse
visti entrare con i propri occhi li avrebbe scambiati per due statue.
«Alran!
Sei sveglio!» esclamò Roxas non appena vide il giovane
seduto sul letto.
L'abbraccio
del ragazzo quasi lo stritolò, ma anche lui era contento di
vederlo.
Rakk
lo riprese subito però: «Sei venuto qui solo per
interrompere una conversazione interessante o magari hai anche
qualcosa da riferire? Magari importante».
Fulminato,
Roxas liberò immediatamente Alran dalla sua presa e assunse
una posizione più consona.
«Ah
si... chiedo perdono capitano. E' appena giunto un gruppo di soldati
da Kinoos in rinforzo, come simbolo di lealtà da parte del
principe Beon delle Isole di Ghiaccio».
L'uomo
alla sua sinistra fece un passo in avanti e alzò la celata del
suo elmo per farsi vedere dal capitano.
«Sono
Drael, comandante dei Glaciali. Veniamo come rinforzo per
fronteggiare l'invasione della Repubblica in virtù della
secolare alleanza tra le Isole di Ghiaccio e l'Ovest».
Il
capitano Rakk gli andò incontro.«E' un onore conoscere
uno dei famosi Glaciali. Il mio nome è Ulter Rakk, capitano
della guarnigione di Vina e protettore del nord». Prese un
altro sorso d'acqua. «Comandante Drael, vi sono grato per
l'aiuto, ora ne abbiamo proprio bisogno. Siamo isolati dal resto
dell'Ovest, la steppa è in mano al nemico».
«Appena
abbiamo saputo dell'invasione, il principe ha radunato velocemente i
vessilli di guerra e ha provveduto ad inviare i Glaciali, con me al
comando, in vostro aiuto» disse il cavaliere.
Le
Isole di Ghiaccio erano le estese isole che si trovavano proprio nel
bel mezzo dell'enorme Lago Bianco, molto più a oriente di
Vina. Formato da tutte e dieci le grosse isole, le Isole di Ghiaccio
erano uno dei più antichi alleati dell'Ovest. Non il più
forte, ma di sicuro il più fedele. La capitale, Kinoos,
sorgeva in mezzo al lago. Le sue fondamenta si ergevano direttamente
dal fondale creando una maestosa città-fortezza praticamente
inespugnabile. Il clima era duro come i suoi abitanti e, tra questi,
spiccavano i Glaciali: i più forti soldati del regno. La loro
forza era conosciuta in tutto il mondo, anche i soldati più
esperti tremavano al solo pensiero di doverli affrontare.
«Non
abbiamo inviato nessuna richiesta di soccorso a Kinoos, come avete
fatto a sapere che eravamo in difficoltà?» domandò
Rakk.
«E'
colpa dei sogni del principe» rispose deciso Drael.
Il
capitano era perplesso, anche Alran guardò l'uomo con aria
interrogativa.
Il
Glaciale, vedendo le loro facce, riprese a parlare: « Il
principe Beon è stato benedetto dagli dei. Fin da piccolo
sognava cosa sarebbe successo il giorno dopo o semplicemente cosa
avrebbe mangiato a pranzo o cena. Col passare del tempo, il suo dono
si è sviluppato ulteriormente e ora gli permette di vedere non
solo il suo futuro, ma anche altri importanti avvenimenti che devono
ancora accadere. Circa due settimane fa uno di questi sogni ha
predetto l'assedio e la caduta di Dalgoon, così in men che non
si dica abbiamo marciato in vostro aiuto.»
«Sembra
assurdo, ma deve essere per forza la verità visto che nessun
messaggio ha raggiunto le Isole di Ghiaccio, Prenderò quindi
per buona la tua storia, comandante Drael.» disse Rakk. Poi
diede le spalle all'uomo e riprese: «Passiamo alle cose
importanti ora: hai detto di essere qui in qualità di rinforzo
giusto? quanti uomini rechi con te e quando il grosso dell'esercito
di Kinoos si unirà alle nostre forze?»
Drael
si guardò intorno e chiese: «Capitano non sarebbe meglio
parlarne in privato?».
«Non
ho segreti con i miei uomini, specialmente con questi due». Con
un segno del capo, indicò prima Alran poi Roxas.
Convinto,
il Glaciale proseguì: «D'accordo... con me ora ci sono
cinquanta glaciali, ma entro due settimane arriveranno altre cinque
centurie. Il grosso dell'esercito delle isole arriverà più
o meno nello stesso periodo e sarà il principe in persona a
guidarlo. Duemila fanti si apprestano ad arrivare da Ackaos e altri
mille anche da Kir ».
Continuarono
a parlare fitto di numeri e strategie per molto tempo, cose così
poco interessanti da rispedire Arlan, ancora una volta, nel mondo dei
sogni. Di sicuro però, i suoi non avrebbero predetto un bel
niente.
Doveva
essere passato almeno un altro giorno quando si svegliò. Ora
però era da solo e tutto era avvolto dalle tenebre. Si decise
a mettersi in piedi,aspettandosi di cadere non appena i piedi
avrebbero toccato il freddo pavimento. Invece, le sue gambe ressero e
trovò che anche il resto del corpo si era completamente
ristabilito, sembrava rinato.
La
porta di legno sembrava particolarmente pesante, ma niente di
insuperabile. All'esterno, l'accampamento era ancora pieno di vita, i
fuochi ardevano vivaci e dall'edificio più grande provenivano
urla e risate a volontà.
Mentre
si faceva strada tra le case ancora in piedi di Vina, scorse poco
distante alcune tende di un bianco pallido. Arlan intuì
dovettero essere quelle dei Glaciali.
Nessuno
lo degnò di uno sguardo, erano tutti troppo indaffarati o
ubriachi per badare a lui. Soltanto le guardie poste all'entrata
dell'edificio, da cui provenivano i suoni della festa, si accorsero
della sua presenza e lo salutarono con riverenza.
Quando
entrò venne investito dalla luce e dalle grida di baldoria dei
soldati. Quattro lunghi tavoli di legno, pieni zeppi di uomini, erano
stati disposti nell'ampio salone per il lungo mentre un altro in
fondo ospitava Rakk, Roxas, Drael e tutti gli altri ufficiali.
Regnava
il caos totale: chi beveva, chi mangiava, chi cantava, chi ballava,
tutti però urlavano e ridevano.
Nel
tavolo in fondo, Rakk e Drael sembravano immersi in una gara di
bevute. Da quel poco che Alran capì, sembrava che il Glaciale
fosse in vantaggio. Roxas, invece, raccontava chissà cosa ad
un gruppo di soldati riuniti attorno.
Non
appena si accorsero di lui, tutti dimenticarono cosa stessero facendo
e inneggiarono a lui alzando i boccali.
L'enorme
sala fu pervasa di «Alran!» a non finire, «Lunga
vita al Flagello di Melgor!», «Eroe del Nord!» e
tanti altri complimenti.
Mentre
tutti gridavano, il capitano Rakk, dal suo posto al tavolo d'onore,
fece segno al ragazzo di avvicinarsi e prendere posto accanto a lui.
Tutte
quelle persone e le loro odi lo fecero ben presto arrossire come una
donnicciola mentre si faceva strada tra i due tavoli centrali. Il
gradevole aroma di selvaggina arrosto, invece, ricordò lui
che era tanto tempo che non mangiava qualcosa. Anche il suo stomaco
glielo fece notare.
Rakk
lo fece accomodare accanto a lui, così il giovane si ritrovò
tra il capitano e Roxas. Un servitore si affrettò a servirgli
un pollo arrosto intero e un paio di cosce di coniglio. Dopo una
settimana di digiuno, Alran non chiedeva di meglio.
«Come
ti senti ragazzo?» chiese Rakk. Il suo tono di voce tradiva
qualche calice di vino di troppo.
«Molto
meglio capitano, credo di essermi ripreso completamente».
«Sono
contento di sentirtelo dire! Domani è un gran giorno, ci
sposteremo alla possente Dalgonn» disse l'allegro Rakk mentre
beveva un altro sorso di vino.«Rimane sempre una fortezza
possente e con l'aiuto dei Glaciali potremmo anche rimetterla in
sesto. La faremo tornare come era un tempo, il possente baluardo del
Nord» .
Alran
ripensò alla sua visita alle rovine di Dalgonn e l'appetito
svanì di colpo: i corpi mutilati, i corvi e gli exiles non
erano proprio i pensieri adatti con cui accompagnare le pietanze.
«Si!
Si! La renderemo ancora più possente!» continuò
l'ubriaco Rakk non notando la faccia disgustata del giovane.
«Possente! Non trovi sia una parola magnifica? Anche Melgor era
possente vero?». Non attese nemmeno la risposta di Alran, che
si girò verso Drael, anch'egli non in condizioni migliori.
“Il
capitano è proprio andato” constatò Alran
“Chissà se domani mattina riuscirà a guidare
gli uomini a Dalgonn. Sarà tanto se riuscirà a
svegliarsi”.
Facendosi
coraggio, si costrinse a mangiare almeno le cosce di coniglio.
Il
banchetto andò avanti fino a metà della notte e quando
Alran ritornò nel suo alloggio crollò letteralmente sul
letto, ma non riuscì a chiudere occhio. Anche lui si era
lasciato andare a qualche coppa di vino con la speranza di riuscire
ad assopirsi con più facilità, ma fu tutto inutile.
Quel che aveva visto a Dalgonn tornò a perseguitarlo, simili
orrori non andavano presto dimenticati e, forse, non lo sarebbero
stati mai. Ripensò anche alla battaglia di Vina, al volto
sfregiato di Crimson Claw e agli occhi furenti del colosso. Poi, come
sempre, la sua mente fu invasa dall'uomo in nero e dalle fiamme che
avvolgevano tutto, rendendo ogni altra cosa banale.
«
Elyna... io ti vendicherò!» sussurrò
nell'oscurità. «O morirò provandoci...»
La
mattina seguente, nonostante la festa fosse durata fino a poche ore
prima, tutto l'accampamento si svegliò di buon ora. Il
capitano Rakk sembrava essersi ripreso alla perfezione a differenza
di Roxas al suo fianco che pareva ancora intontito dagli eccessi
della sera precedente.
Drael
e i Glaciali erano già in marcia da più di un ora,
avevano il compito di rendere sicura la strada prima dell'avanzare
del grosso delle truppe.
Anche
Alran era già in piedi e pronto come gli altri a marciare
verso la scarlatta fortezza. Però qualcosa non andava, si
sentiva nudo, come se mancasse qualcosa. “Ma certo! Yutaka!”
comprese infine.
Era
da quando aveva affrontato il colosso che non la vedeva, ma
d'altronde, mentre dormiva avrebbe potuto vedere davvero ben poche
cose. Quando poi aveva finalmente riaperto gli occhi, i troppi
quesiti l'avevano distratto da tutto il resto.
Ora
però, era tempo di riunirsi con la sua spada, quello strumento
di morte così spietato. Quindi, decise di andare a chiedere
dove fosse a Rakk.
Trovò
il capitano intento ad esaminare la colonna degli approvvigionamenti,
mentre un muscoloso fabbro si lamentava della carenza di legna.
«Ti
ripeto che senza legna non posso forgiare l'acciaio» si
lamentava l'artigiano. « E tu sai cosa si fa con l'acciaio,
vero?».
Rakk
era esasperato, doveva essere molto tempo che ascoltava le polemiche
dell'armaiolo e sembrava sul punto di perdere la pazienza.
«Ma
qui attorno è pieno di alberi! Prendi un ascia e vai a
tagliarne qualcuno.»
«E
chi lavora alle forgia? Lascio il cane a badare alle tue dannate
armature? »
«Rimarranno
con te altri otto uomini, sono abbastanza?» rispose il capitano
stremato.
La
faccia del fabbro si fece immediatamente più radiosa. «Ecco,
ora si che si ragiona».
Risolta
la questione con l'uomo l'attenzione di Rakk si concentrò su
Alran:
«Ah
giusto te Alran... Ti stavo per mandare a chiamare. Il tuo cavallo è
già pronto nelle stalle e anche Roxas deve essere ormai
pronto.»
Il
giovane non capiva di cosa stesse parlando. «Pronto per cosa?».
«Come
per cosa... per la tua visita a Kinoos. Nisuth è un ottimo
plasmatore di elementi. E' l'unica persona in grado di aiutarti.»
rispose Rakk con naturalezza.
«Ma
i plasmatori servono solo per creare o riparare oggetti magici, io
non ho...». La consapevolezza lo colpì come una lama
rovente, tutto divenne chiaro: ecco dov'era finita Yutaka, il motivo
per cui non era insieme a lui.
Quando
fu chiaro che Arlan aveva compreso, Rakk spiegò:
«L'abbiamo
trovata vicino al corpo di Melgor dopo che tu sei svenuto, era
spezzata in due perfettamente, dalla punta all'elsa. Non sapevo come
dirtelo, ma quando Drael mi ha parlato di Nisuth ho riacquistato
speranza, quindi ti mando a fargli visita. Oltre ad essere un'arma
potentissima, in fondo anche io nutro dei sentimenti per quella
spada: E' l'unico ricordo che mi rimane di mio padre.»
«Non
può mandare qualcun altro? Io sono pur sempre un soldato,
posso aiutarvi a difendere Dalgonn!» protestò Alran.
Rakk
non volle sentir ragioni. «Si dice che ogni soldato abbia
un'arma prediletta, con cui si senta invincibile. Credo che per la
maggior parte degli uomini non sia così dopotutto, in tanti
muoiono pur combattendo con le loro fedelissime compagnie. Ma per te
non è così...». Voltò le spalle ad Alran e
si allontanò aggiungendo: «senza Yutaka sei perduto».
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