~limbo.

di _Kiiko Kyah
(/viewuser.php?uid=251544)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** meeting the phantom atsuya. ***
Capitolo 2: *** don't wanna die? then wake up. ***
Capitolo 3: *** i want to hug my brother again in this life. ***
Capitolo 4: *** i'd prefer to go out with a ghost. ***



Capitolo 1
*** meeting the phantom atsuya. ***


– Ciao Yuuka, come stai? – la sento, la voce di mio fratello.
Passa ore qui, accanto a me, a parlarmi, e io colgo ogni singola parola. Peccato che lui non lo sappia. Sento tutte le sue preoccupazioni e vorrei confortarlo, sorridergli e dirgli qualcosa per tirarlo su di morale. Forse se solo riuscissi ad aprire gli occhi, basterebbe; ma non ci riesco davvero. Scusami, niisan.
L’orario visite è finito, e Shuuya deve andarsene, e lasciare, come tutti i giorni, la sua sorellina in coma. So che gli fa male vedermi su questo letto, e vorrei potergli semplicemente dire “Io ti sento, niisan”. Basterebbe, a me e a lui. Lo so.
Mi carezza la testa con la mano e sento un forte calore invadermi, poi il suo tono mesto mi chiede di vegliare su di lui, e la porta della stanza si apre per poi richiudersi dietro le sue spalle. Se potessi, adesso piangerei.

E’ notte. Il silenzio che proviene dall’ospedale intorno a me mi suggerisce questo.
Tutto ciò che sento è il mio respiro, flebile e stanco. Oh, e come dimenticare i fastidiosi beep di quel macchinario che controlla la mia attività cardiaca.
Sì, ho cinque anni e conosco questi termini. D’altra parte, li sento ogni santo giorno.
Penso a Shuuya. Oggi mi ha detto che non avrebbe dormito a casa. Chissà dove si trova questo “posto speciale” dove ha detto di doversi allenare. Non lo so, comunque sono contenta che non abbia problemi a parlare di nuovo di calcio con me.
Anche se pensa di parlare un po’ da solo, vero? Solo il coma mi impedisce di piangere.

Se non fosse per la costante presenza di voci intorno a me, penserei di essere morta. Ogni tanto vedo solo una grande luce intorno a me, come se mi trovassi su uno sfondo bianco da cartone animato. Pessimo esempio, lo so, perché questo è molto più inquietante. Ho paura che non mi sveglierò più, anzi tutti hanno questo timore.
Perché penso queste cose brutte? Ho una voglia matta di piangere.
...
Devo star sognando, perché sento delle lacrime asciutte, come soffi di vento, rigarmi le guance. Sbatto le palpebre. Aspetta. Sbatto le palpebre. Eppure sto ancora dormendo, non vedo nulla. Ora sì che ho paura.
Sussulto all’udire un refolo di vento, e mi rendo conto di essere in quella luce, adesso.
E’ più... reale, questa volta. Forse sto veramente sognando. Mi tocco il viso, sto veramente piangendo...? Non mi era mai successo di fare un sogno così nitido. E sono in coma da almeno un anno, forse più. Ancora non so contare molto bene, eh.
– Perché piangi? – mi domanda una voce.
Mi volto di scatto, e dietro di me, immerso nella luce con uno sguardo meno spaesato, vedo un bambino che ha più o meno la mia età. Ha degli spettinati capelli rosa, mi ricordano tanto un salmone, e i suoi occhi sono azzurro-grigiastri. Indossa una felpa arancione e bianca, dei pantaloni scuri e una sciarpa bianca. Mi asciugo le lacrime con le mani, rapidamente.
– I-Io... – provo a dire, la mia voce è sempre stata così? Non me la ricordavo.
– Aspetta. – mormora e mi si avvicina. Mi asciuga il viso con la lana della sciarpa, e sento improvvisamente caldo. Non ho più tanta voglia di piangere.
– Che strano sogno... – sussurro senza pensarci.
– Sogno? – ridacchia il bambino – Sì, anche io credevo che fosse un sogno all’inizio. – conviene poi, sollevando lievemente un angolo della bocca in una sorta di sorriso.
– P-Perché, non lo è? – devo avere un’espressione davvero strana, perché lui ride ancora. Non so perché, tuttavia mi sembra più grande di un bambino di cinque anni.
Scuote la testa. – Affatto, – alza le spalle – questo è il limbo dei morti.

Lo fisso attonita mentre si sfrega il naso con l’indice e forza un altro sorriso accennato.
– Limbo dei c-cosa?! – sbotto. Non ci credo, no. Devo star per forza sognando.
Io non sono morta.
Non lo sono... io sono ancora viva, vero? Vero?
Il rosa incrocia le braccia dietro la testa.
– Però tu non sembri morta, – riflette ignorandomi – non sei ancora un fantasma.
– I-Io non sono affatto morta! – la mia voce è molto più acuta di prima a causa della paura, credo – Sono solamente in coma, ecco! – sbraito poi, pestando un piede.
Lui sbatte le palpebre, perplesso.
– Oh. – è l’inarticolato suono emesso. – Ecco perché posso... – non termina la frase che corre verso di me e mi attraversa. Ho di nuovo paura.
– C-Come... – balbetto confusa, girandomi verso di lui.
– Io sono morto, invece! – mi fa la linguaccia, stringendo una palpebra.
– Non ci credo, i morti non parlano e non corrono! – esclamo incrociando le braccia e arricciando le labbra. Il mio stesso sogno mi sta prendendo in giro, accidenti.
– Sono morto al cento per cento, io! – replica gonfiando il petto quasi con orgoglio – Quello che vedi è il mio fantasma. Il “morto” che dici tu sta nella mia tomba, sai!
Il modo in cui parla di queste cose mi mette ansia; è troppo piccolo per poter parlare così di queste cose e, mi terrorizza dirlo, ma neanche io saprei fare discorsi simili così a cuor leggero, nemmeno la mia mente: quindi, non lo sto sognando, questo bambino dai capelli rosa. Lui esiste davvero. E forse è davvero un fantasma.
– Come ti chiami? – mi domanda di punto in bianco, avvicinandosi ancora a me.
Istintivamente indietreggio un po’. – Yuuka. – rispondo comunque.
– Quanti anni hai, Yuuka? – continua, e io faccio un altro passo indietro.
– Cinque. – sussurro guardando basso.
– Io sono Atsuya, Fubuki Atsuya. – si presenta sorridente, e mi tende una mano.
Lo guardo interdetta. Lui, il fantasma, vuole stringermi la mano?
Non lo so perché, ma acconsento e ricambio quel saluto. Stringendo, la mia mano si chiude a pugno, trapassando quella incorporea di Atsuya. Indietreggio ancora, inorridita.
– Ah, già, tu sei viva. – pensa a bassa voce, scrutandosi il palmo chiaro, aprendo e chiudendo le dita ad intermittenza. – Che peccato. Beh, comunque non mi sarei potuto divertire molto con una bambina come te.
Inclino la testa a quell’affermazione così assurda.
– Scusa, anche tu sei un bambino, no? – inarco un sopracciglio, tirando le labbra in una smorfia. Sono molto, molto infastidita.
Atsuya ride sommessamente.
– Sembra, vero? – dice fra una risatina e l’altra – Il fatto è che io sono morto a cinque anni! – esclama a mo’ di spiegazione – Ma è successo otto anni fa! Ora io ne ho tredici! – conclude prendendo un profondo respiro per smettere di ridere.
Lui... tredici anni? Cioè, ha l’età di mio fratello? No, non è possibile...

Il trillo di una campana. E’ quella fuori dall’ospedale. Sta suonando. E’ mattina...
La luce intorno a me diventa fioca, e Atsuya diventa sempre meno opaco. Probabilmente anche lui mi vede così. Il solo pensiero mi mette i brividi.
– Groan, allora è vero che sei viva. – borbotta facendo una smorfia delusa, che io ricambio con un’espressione annoiata.
– Tanto hai detto che con una bambina come me non ti divertiresti. – incrocio le braccia, mentre ormai lo vedo a malapena. Sto per “tornare alla realtà”, sempre che poter utilizzare solo l’apparato uditivo possa essere definito “realtà”.
– Però sei carina. – ribatte quello senza perdere il cipiglio scontento – E poi – aggiunge un secondo prima che i miei sensi si spengano di nuovo – se muori, la tua età non avrà importanza.
Forse non sa che così dicendo mi ha ferita profondamente. Io non morirò. Non morirò, non diventerò un fantasma come lui. Vero?
– Torna a trovarmi! – è tutto ciò che sento, prima della ricomparsa nella mia mente dei beep del monitor cardiaco.
Il rumore della porta che si apre, l’infermiera che entra salutandomi serenamente e chiedendomi come sto, come se potessi rispondere.
Un medico mi visita.
Dopo qualche ora di calma la porta si apre nuovamente e la voce di Shuuya mi coglie.
In tutto questo, però, io non do retta a ciò che sento.
Sto solo pensando se riuscirei a tornare da Atsuya, più tardi, stanotte magari.
...
Solo ed esclusivamente per dirgli che io non morirò, ecco.
Non per altro.






~Angolo della Kyah♥

Ma perché, perché ho cominciato questa fic.
Boh. So solo che sarà molto breve perché non ho un sacco di cose da raccontare.
Però mi è venuta quest’ispirazione...
Atsuya è morto a cinque anni. Yuuka è andata vicina alla morte a cinque anni.
Per una volta non la faccio AU e non la faccio che Atsuya è un lolicon =w=
Voglio farvi capire che, anche se questo lolicon in particolare mi piace, così è più casto e carino, non dà subito da pensare a male. Atsuya pare meno perv, insomma.
Voleva essere una OS, ma poi ho cambiato idea v.v
Spero che vi piaccia.
Durerà poco e gli aggiornamenti saranno rapidi.
Scusatemi, voi che leggete le altre mie fic, mi dedico anche a quelle, promesso.
Ciao ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** don't wanna die? then wake up. ***


La porta si richiude dietro le spalle di mio fratello. Sento sei rintocchi provenire dal grande orologio vicino all’ospedale, sono le sei di sera. Perfetto, è il momento buono per tornare nel limbo. Anche se, a dire il vero, la sola idea mi fa un po’ paura.
Ci ho pensato molto, oggi; ho riflettuto sul fatto che se torno lì, potrei per qualche ragione non riuscire ad uscirne. Cosa farei in quel caso? Cosa potrei fare? E se magari non trovassi Atsuya, ma qualcun altro? Anche questa è una possibilità da non sottovalutare. Però ormai ho deciso, devo tentare. Forse è perché non mi sentivo così viva da un anno a questa parte... eliminiamo il forse.

La luce mi avvolge e i miei occhi cominciano a mettere a fuoco. Osservo le dita delle mie piccole mani da bambina, tocco con delicatezza le mie guance. Sì, sono di nuovo qui. Sento un profondo freddo salire dallo stomaco. E ho ancora paura.
In questo momento, il mio sistema nervoso sta maledicendo il mio istinto infantile che ha portato la curiosità a sopraffare il buon senso. Sì, mi sto davvero dando della stupida. Però non è colpa mia!
– Yuuka! – mi chiama una voce conosciuta, e una lieve folata di vento riesce quasi a sciogliermi le trecce, ottenendo anche il risultato si sollevarmi un po’ la gonna del vestito, che mi premuro a tenere bassa, stringendo gli occhi.
Quando li riapro, Fubuki è davanti a me, e sorride allegramente.
– C-Ciao, Atsuya. – saluto interdetta da quell’apparizione improvvisa. Eppure ormai non sono più scettica: sì, quel bambino, che probabilmente bambino non è, è uno spettro. Al solo pensiero, mi tremano le ginocchia.
– Non pensavo saresti tornata. – ammette il rosa, avvicinandosi un po’ a me.
Al contrario di ieri, non mi ritraggo. Ho paura, sì, forse anche più di ieri, ma i miei piedi non vogliono proprio muoversi.
– Se vuoi posso andarmene. – borbotto alzando le spalle; so che non è questo che intendeva, non sono sciocca, tuttavia voglio essere sicura.
– No che non voglio! – arriccia le labbra contrariato – Una volta che ho qualcuno con cui parlare...! – esala incrociando le braccia al petto.
Quell’affermazione mi lascia molto, molto perplessa.
– Che vuol dire? – do istintivamente e innocentemente voce ai miei pensieri – Non parli con gli altri fantasmi? – inclino la testa, senza capire.
Lui mi sorride, ma è un sorriso mesto e forzato. Lo vedo, ed è come se lo sentissi; sì, è esattamente quella mestizia che percepisco quando Shuuya viene all’ospedale a parlare con me. Atsuya... quel bambino pieno di energia e sarcasmo è... triste?
– Loro? – sfoggia una risatina falsa e melanconica – Loro non vogliono parlare con me. – sbatte lentamente le palpebre; sta reprimendo le lacrime.
– Come sarebbe a dire? Perché? – provo ad accostarmi appena a lui, ma quando la mia mano attraversa debolmente la sua spalla incorporea non posso trattenermi dal ritrarre l’arto rapidamente.
E mi sento un po’ male, ad avere paura di quel fantasma. Non somiglia per niente agli spettri tormentati di cui ho sentito parlare nelle varie fiabe che mi sono state lette prima del coma.
...
Anche se anche lui è evidentemente tormentato da qualcosa.
– Sono morto troppo giovane, secondo loro. – mormora, sedendosi di scatto a gambe incrociate.
Anche io mi siedo, ma mi inginocchio, perché altrimenti mi si alzerebbe la gonna.
– Lo hai detto tu che l’età non ha importanza, giusto? – azzardo in un misto fra curiosità, preoccupazione e un po’ di pena.
– Non ha importanza per me. – mugugna facendo vagare i suoi occhi grigiazzurri in un’altra direzione – Per gli altri, uno morto a cinque anni ha troppa poca esperienza di vita per “essere alla loro altezza” o cose simili. – aggiunge, spostando la coda dell’occhio su di me.
La smorfia che mi rivolge mi avvisa di come si è accorto della mia espressione triste.
– Che hai adesso? – domanda inasprendo il suo tono.
Non so perché, eppure percepisco di essere arrossita; sono proprio strana...
– N-Niente, è solo che... – socchiudo le palpebre, mentre sento le mie iridi inumidirsi e fremere – Non lo trovo affatto giusto, ecco. – traccio dei cerchi concentrici sul pavimento (pavimento?) bianco del limbo.
Passano un paio di secondi, e d’improvviso sento la calda e soffice lana della sciarpa di Atsuya sul viso. Sollevo sorpresa lo sguardo, e incontro il suo sorriso.
– Non pensavo che le bambine piangessero con tanta facilità. – ridacchia, e non capisco se si tratta di un ghigno sarcastico o di un sorriso di gratitudine per averlo distratto in qualche modo dai suoi tristi pensieri.
Gonfio le gote, abbastanza offesa, ma tutto sommato contenta.
– Sei sicuro di avere tredici anni? – brontolo – Non sei affatto maturo. – osservo poi, prendendo fra le dita la sua sciarpa. Perché posso toccare quella, e non lui?
– Sono morto otto anni fa. – alza le spalle – Cinque più otto fra tredici. – conta sulle dita, come assorto – E’ così e basta. – stringe i pugni ancora riflessivo, poi alza il volto verso di me e sorride – Anche se la mia mentalità non è cresciuta molto, neh? – ridacchia.
Sembra una bambola di porcellana. Cosa strana da dire di un bambino maschio, ciò nonostante lo penso davvero. La sua carnagione è nivea e i suoi tratti sono dolci e delicati, i suoi capelli hanno il color pastello dei confetti e i suoi occhi sono limpidi come due perle, due grandi biglie colorate ed espressive.
Sì, sembra una bambola viva. Cioè, no, una bambola fantasma... viva-non-viva?
– Ehi, Yuuka. –  mi chiama, distogliendomi dalle mie riflessioni, le quali fra l’altro mi hanno fatto imporporare un pochino. Forse più di un pochino.
– Sì, Atsuya? – gli concedo, sbattendo le palpebre mentre lui stacca la sciarpa da me.
Già sento la mancanza del tepore di quel tessuto...
– Come sei finita in coma? – domanda a bruciapelo, senza il benché minimo giro di parole, tale che il mio singulto lo fa sobbalzare. Indelicato, il fantasma...
– N-Non ne sono molto sicura, – confesso, seppur controvoglia – credo che... qualcosa mi abbia investito. – rifletto – Ero per strada, e ho visto una luce improvvisa... sì, devo essere stata investita da qualcosa. – concludo incerta.
Seriamente, non sono sicura di aver tirato fuori l’ipotesi esatta... cioè, teoricamente dovrei saperlo, fino a pochi giorni dopo l’essere stata portata in ospedale ho sentito persone che parlavano del mio incidente... però non ricordo cosa si dissero davvero.
– Allora non è così diverso da come sono morto io. – considera, parlando fra sé e sé, ma con un tono abbastanza alto perché lo senta anche io, il bambino che ho davanti ai miei occhi neri come la cioccolata.
– Uh? – è il mio inarticolato verso interrogativo – Perché, come sei morto? – mi accorgo della mia indiscrezione solo dopo, ciò nonostante non mi sento in colpa.
Sono ancora troppo piccola per sentirmi in colpa per avergli chiesto qualcosa di così doloroso, e so perfettamente che lui lo ha già capito.
Per questo, lo vedo sorridere lievemente, di nuovo con quell’incurvatura storta, mesta.
– Sono stato investito da una valanga con i miei genitori e mio fratello gemello. – sussurra roco, il tono quasi incrinato.
– Atsuya... – spiro quando la vedo. Una lacrima che scivola lungo il viso di quel bambolotto di porcellana, il quale la asciuga in fretta.
– Sai qual è la cosa peggiore? – mormora ancora – I miei genitori non sono entrati nel limbo con me, perché loro non hanno conti in sospeso con il loro passato, non hanno motivi per essere dei fantasmi. – inizia a piangere silenziosamente. – E mio fratello è sopravvissuto. Lui è vivo, e io no. Io... io sono... sono completamente solo, qui.
Sta piangendo.
Sta piangendo.
Sto guardando un fantasma piangere.

Come ho fatto.
Come ho fatto?
Come ho fatto?!
Non lo so. So solo che lo sto abbracciando.
Io, Gouenji Yuuka, viva e vegeta, persona corporea, sto abbracciando lui, Fubuki Atsuya, morto e defunto, fantasma incorporeo, che finora ho solamente potuto attraversare. E adesso lo sto stringendo fra le mie piccole braccia da bambina di cinque anni, avvertendo la sua sorpresa e il mio stupore incontrarsi.
– Y-Yuuka... Yuuka, come...? – tenta di chiedermi, e io lo zittisco.
– Shh. – bisbiglio appoggiando il viso nell’incavo del suo collo, sulla sciarpa. – Ricordo che, prima del coma, se ero triste, mio fratello mi abbracciava sempre. – spiego con un fil di voce – Sono otto anni che nessuno ti abbraccia, vero Atsuya?
Rimane in silenzio, però solleva le mani affusolate per ricambiare quell’abbraccio. Passata una manciata di momenti, ci stacchiamo. O meglio, lui torna incorporeo per me, e io lo attraverso, ritirandomi subito con uno scatto del corpo all’indietro.
– Come hai fatto? – mi domanda il rosa guardandosi le mani.
– Non ne ho la minima idea. – la mia voce è molto incrinata.
– Solo i fantasmi possono toccarsi fra loro. – borbotta lui, scrutandomi con palese preoccupazione. No, non starà pensando che...
– Io sono viva! – sbotto posando i palmi sul pavimento del limbo e sporgendomi in avanti.
– Ma mi hai toccato! – risponde a tono.
– Solo per qualche secondo! – la mia voce è troppo incrinata.
– Yuuka, ho paura che tu stia morendo. – dice in tono più calmo – Lentamente, ma stai morendo. – i suoi occhi tornano lucidi.
I miei si sciolgono direttamente in pianto.
Nessun singhiozzo, solo lacrime che scendono dalle mie iridi sgranate di terrore.
Lentamente, sto morendo.
Io, proprio io, sto morendo.

– Non voglio, non voglio morire! – il primo rumoroso singhiozzo fuoriesce dalle mie labbra arricciate.
Atsuya mi fissa, le sue iridi tremano con uno sguardo indecifrabile.  
– E allora devi svegliarti da questo coma.
...
Svegliarmi...?
...E come dovrei fare?



§ Angolino §

Yuuka si deve svegliare, o morirà anche lei v.v
Tanto noi sappiamo che si sveglierà... ma anche se nel mondo “vero” tutti non aspettano altro, nel limbo ci sarà qualcuno che non è d’accordo?
Scopriamolo insieme =w=
Oh, ma come sono prevedibile ^^;;
So anche che i capitoli sono corti, però niente, così sono e così ve li tenete, yay. 
Ora vado via, però.
See you. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** i want to hug my brother again in this life. ***


Sbatto le palpebre più di una volta, perdendomi nello sguardo di Atsuya. I fatti sono due. O mi sveglio, o muoio. Situazione fantastica, davvero.
Da quando so fare sarcasmo? Mi sta venendo mal di testa.
– Yuuka, non guardarmi in quel modo. – mi risveglia dai miei pensieri la voce del fantasma davanti a me.
– E come dovrei guardarti? – borbotto asciugandomi gli occhi – Mi hai appena detto che io morirò se non riuscirò a svegliarmi! – mi porto in avanti con il busto, avvicinandomi a lui.
So di star piangendo di nuovo e il modo in cui le sue grandi iridi blu si dilatano, la maniera in cui i suoi tratti si tirano e le sue labbra si incurvano non promette niente di buono. Sembra... sembra terrorizzato.
So che non è colpa sua, so che lui non mi ha fatto niente, eppure non riesco a non essere un po’ arrabbiata per quello che mi ha detto, perché ha ragione, cavolo.
Intanto il rosa sbatte le palpebre, e dopo poco il suo sguardo si intristisce; sposta il volto verso il pavimento alla sua sinistra, e il mio cuore perde un battito nel notare che le sue labbra tremano, che i suoi capelli scarmigliati gli coprono parzialmente gli occhi, che questi ultimi sembrano diventati due pozzi d’acqua piovana.
Lui è decisamente più bello di una bambola di porcellana, decisamente. Ho incontrato tanti bambini nella mia breve vita, ciò nonostante lui... lui è una cosa fuori dal comune. E’ bel-lis-si-mo.
Ecco, adesso non mi importa più se mi ha predetto la morte.
– Scusa. – mormoro sedendomi meglio sul terreno – Il fatto è che... il fatto è che io non voglio... non voglio finire... finire come...
– Me? – termina al posto mio, serrando le palpebre nervoso.
Non era quello che avevo intenzione di dire. Non era quello!
– Volevo... – sussurro mesta – Volevo dire come la mia mamma.

Fra noi cala un silenzio, è il caso di dirlo, spettrale e opprimente. Non ho mai detto a nessuno una cosa del genere, voglio dire, con nessuno ho mai parlato della mamma. Neanche con papà, o con Shuuya. Con nessuno.
Mi prendo le ginocchia fra le braccia e arriccio le labbra in uno stupido broncio da stupida bambina di soli stupidi cinque anni. Ah, aspetta. E’ quello che sono.
– Scusa.
– Io non voglio morire, Atsuya. – stringo gli occhi e affondo il viso fra le ginocchia.
Lui mi si avvicina leggermente, sempre con quell’espressione affranta dipinta sul viso.

– Nessuno vuole morire, Yuuka.
Lo so.

Il punto è che io non ho paura di morire perché ho paura della morte. Certo, sarebbe stato normale prima, ma adesso so che se morissi ora finirei in questo limbo, e non sarei sola. Sarei un piccolo fantasma, vivrei la mia eternità con questo bellissimo bambino dalla chioma spettinata del colore del salmone, starei insieme a lui, non sarei sola e avrei qualcuno con cui parlare, con cui stare, giocare, ricordare i momenti brutti e belli della mia corta, troppo corta, vita.
Però... però se io ora morissi, cosa ne sarebbe di mio fratello?


– Ecco niisan, questo è un amuleto che ti porterà fortuna!
Le mie delicate manine nivee da quattrenne posarono con dolcezza quel ciondolo a forma di scarpino da calcio fra le dita così grandi rispetto alle mie, così scure rispetto alle mie, così virili rispetto alle mie. Le mani di Gouenji Shuuya, il mio fantastico fratellone.
– Mi raccomando, devi vincere! Devi segnare e vincere la partita! – gridai entusiasta.
Ero così contenta per lui.
Era arrivato alla finale del Football Frontier, e io ero così felice!
Vedere il sorriso che mi rivolse riempì il mio cuore di gioia.
– Certo sorellina. – mi promise mettendomi le mani sulle spalle.
Avevo tanta voglia di abbracciarlo, però non lo feci. Non lo feci perché volevo che vedesse il mio sorriso, l’ultima cosa prima della partita doveva essere il mio sorriso, perché sapevo che l’avrei reso contento.
Perché non l’ho abbracciato quando ne avevo l’occasione?
Avrei dovuto farlo, lo so.
Perché poi lo salutai, e lui andò allo stadio. E poi... e poi ci sono andata anche io. La strada era vuota, e io stupida corsi in mezzo, sorridendo.
Una luce abbagliante mi investì.
E poi il vuoto.



La mano di Atsuya è sulla mia spalla, e non la attraversa. Di nuovo.
Però lui non sembra farci caso.
– Se otto anni fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei sentito tanto simile ad una femmina probabilmente l’avrei preso a pugni. – considera quando alzo gli occhi per incontrare i suoi più chiari.
– Se un anno fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei sentita tanto simile ad un fantasma avrei pianto. – mi mordo il labbro inferiore – Cosa che sto facendo.
Incurva le labbra in un accenno di un sorriso; un sorriso storto e triste. Sono pessima nelle questioni di tatto, comunque non che lui sia molto più bravo di me.

Non siamo affatto diversi l’uno dall’altra. Abbiamo più cose in comune noi che due gocce d’acqua. Effettivamente, l’unica differenza che trovo è che lui è un maschio e io una femmina. Oh, e il fatto che io sono viva, per il momento.
No, omettiamo quel “per il momento”. Io sono viva e sarò viva ancora per tanto, tantissimo tempo. Devo svegliarmi, accidenti.
– Come faccio a svegliarmi, Atsuya?
Lui sembra intristirsi ancora di più a quella domanda. Per un attimo mi attraversa l’idea che lui non lo sappia, e che quindi sia dispiaciuto di non potermelo dire, tuttavia quest’impressione scompare quando la sua mano attraversa la mia spalla fino a toccare il pavimento, e il suo viso sfiora incorporeo la mia clavicola.
Ho un brivido e il rosa si ritira di scatto, allontanandosi. Dalla smorfia che ha rapidamente dipinto sul proprio viso capisco che è frustrato.
Oddio.
Lui lo sa. Sa come posso svegliarmi, lo so che lo sa!
– Atsuya, io non voglio morire. – ripeto per l’ennesima volta – Dimmi come posso impedire che accada, ti prego! – mi sposto in ginocchio e unisco le mani a mo’ di preghiera. – So che sai come fare, ti prego, ti prego Atsuya!
L’interpellato sussulta alla mia ultima frase. Ora vorrei non essere così intelligente nonostante la mia età.
– Cosa dici, io non ne so niente. – si volta in un’altra direzione e si alza in piedi.
Sì, sta mentendo. Sento di starmi arrabbiando come non mai. Non vorrà davvero lasciarmi morire, vero? Vero?!
– Non fare il bambino con me, Atsuya. – intimo cercando di eliminare qualsiasi traccia di pianto dal mio tono incrinato, e mi sollevo a mia volta.
– Io sono un bambino. – risponde semplicemente, alzando le spalle.
Sento il rintocco della campana fuori dall’ospedale, ciò nonostante le immagini non diventano offuscate come l’altra volta. No... non me ne sto andando! Sto rimanendo qui, nel limbo!
Qualcosa mi dice... qualcosa mi dice che oggi Shuuya parlerà davvero al vento.

Devo tornare da mio fratello. Devo impedire al coma di divorarmi, devo impedire a quello stupido incidente di uccidermi. Io voglio vivere. Io... io...
Io voglio andarmene! – grido con quanto fiato ho in gola nella direzione del fantasma, il quale spalanca le palpebre frattanto che le sue iridi si sgranano.
Io penso di poterlo capire. Capisco che non voglia che io me ne vada, probabilmente non vuole dirmi come fare a svegliarmi perché probabilmente se io morissi rimarrei sempre con lui. Probabilmente non vuole rimanere solo.
Ma io devo andarmene.
Shuuya ha bisogno di me. Anche papà ha bisogno di me. E io ho bisogno di loro! La mia famiglia ha già subito una perdita, non voglio che la mia morte provochi altro dolore alle persone a cui tengo, assolutamente no, è fuori discussione!
– Dimmi come fare ad andarmene. – ordino con determinazione, e quell’altro stringe i pugni.
– Ti ho detto che non so come fare, quindi—
– Fubuki Atsuya, – lo interrompo – io non ti lascerei solo con leggerezza, lo sai?
Il modo in cui il mio “coetaneo” mi osserva interdetto mi provoca un piccolo sorriso. E’ vero, non me ne andrei con tanta leggerezza, senza farmi alcun problema.
– Però io ho ancora tanto da fare, lì. – deglutisco mentre vedo un accenno di lacrime graffiare il viso perfetto del mio interlocutore – Devo riabbracciare mio fratello.
So di averlo colpito con questa frase. Da quanto mi ha detto, anche lui aveva un fratello; non so se più grande o più giovane di lui, fatto sta che aveva un fratello. E quindi può capire cosa proverei io abbandonando Shuuya per stare con lui, lo so.
– Prima di tutto ti dirò come uscire dal limbo. – sussurra a malapena – Ma per non rischiare di morire, non ci dovrai più tornare, mai. – continua abbassando gli occhi – Basterà questo. E poi sono sincero, dovrai vedertela da sola su come svegliarti.

Lo abbraccio. Ho come la sensazione di non essere io quella diversa, adesso. Non mi sembra davvero di essere ancora in quell’intermezzo fra viva e morta... ho come l’impressione che sia lui a trovarsi in questa situazione. E’ lui che è meno incorporeo, stavolta. E questo mi rende tanto felice.
– Grazie. – mormoro appena nel suo orecchio.

– Devi solo concentrarti bene, senza farti prendere dal panico. – lascia le mie mani e forza un sorriso in risposta al mio sincero.
Sbatto le palpebre. – Tutto qui?
– Se mi facessi parlare. – borbotta arricciando le labbra in un delizioso broncio da bambola di porcellana qual è. – Allora, ti devi concentrare molto. – ripete – Poi dovresti anche visualizzare perché vuoi andartene. La motivazione è molto importante. – aggiunge incrociando le braccia e soffiando su una ciocca rosata per sollevarla dal viso.
Devo concentrarmi... sul perché? Allora è facile.
Per Shuuya. Io voglio andarmene per Shuuya. Devo tornare nel mio mondo, per potermi svegliare e riabbracciare mio fratello.

– Y-Yuuka, ti stai offuscando! – mi avverte Atsuya, e scrutandolo mi accorgo di poter dire la stessa cosa di lui.
Sì! Sì, sto tornando alla realtà!
Quindi perché... ho un grosso vuoto nel centro del petto?
– Ti ho vista solo due volte nella mia vita – comincia il rosa poco prima di sparire – eppure già mi piaci molto, scricciolo.
Scri...cciolo?
Non ho tempo per pensare. – Vieni ad infestare i miei sogni quando ti senti solo! – propongo mentre scompare alla mia vista – Ti aspetterò! – aggiungo quando ormai non lo vedo più. Eppure sento che mi ha sentito.

La voce di niisan sostituisce nella mia mente il suono di quella del mio amico fantasma. Sono contenta di sentirla, però... però sento ancora quel vuoto.
Io lo sento!
Poco prima di salutarmi per sempre, Atsuya mi ha detto che gli piaccio. E’ una cosa strana, non l’ho mai sentito dire a nessuno, non a me quantomeno. E poi, mi ha chiamata in quella maniera... perché mi sento così male?
Dovrei essere contenta di essere tornata qui, di sentire la voce di mio fratello...
E invece no. Sono proprio strana, io...




Angolo della Kyah
Che è questo schifo? Sì, è il penultimo capitolo di “~limbo”.
L’ho scritto proprio male, non mi piace per niente... è orribile, lo so, non me lo dire.
L’unica cosa di cui sono sicura è che il prossimo, nonché ultimo, sarà migliore. Scusatemi davvero! ^^"

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** i'd prefer to go out with a ghost. ***


Una quindicenne medio-alta, dalla carnagione nivea e i tratti dolci e infantili, era seduta alla scrivania della sua camera da letto, osservando con insistenza il foglio bianco a righe che aveva davanti agli occhi. Le sue grandi iridi a mandorla erano dello stesso colore del caffè nero, amaro e liquido, e il suo sguardo era profondo come un abisso marino. I suoi capelli erano raccolti in due trecce alte ai lati della testa, mori come cioccolata al latte.
La sua espressione non era delle più felici mentre picchiettava la penna sul legno del banco, indecisa su cosa scrivere in quel pezzo di carta. Per la capsula del tempo che i suoi professori avevano deciso di seppellire le era stato assegnato il compiti di scrivere qualcosa di importante riguardo a sé stessa, qualcosa di ricordare nel futuro.
Il punto era che lei sapeva di cosa parlare. Ciò nonostante non sapeva come. Tirò un profondo respiro e decise di lasciar perdere le formalità e il fatto che fosse un tema scolastico. Volevano qualcosa da ricordare per sempre? Avrebbero avuto qualcosa di incredibilmente meglio. Stappò la penna e cominciò a scrivere, a parlare dell’accadimento più speciale della sua vita.

“ Salve, ragazzi e ragazze del futuro.

Il mio nome è Gouenji Yuuka. Ho quindici anni.
E ho una cotta per un fantasma. Non ridete di me, non sono pazza.
Adesso vi racconto tutto dall’inizio.

Per ragioni ancora a me non del tutto chiare – suppongo per un incidente d’auto – all’età di quattro anni sono andata in coma.
Ho dormito per un anno intero, e mi sono risvegliata con un grande peso nel cuore.

Durante la mia comatosi, infatti, ho incontrato una persona.
So cosa state pensando, e anche io all’inizio credevo non fosse possibile. Pensavo seriamente di star sognando.

Mi trovavo in un luogo ampio, forse infinito, bianco come latte, vuoto come nulla.
E l’ho incontrato. Un bambino proprio come me.
Aveva i capelli rosa e gli occhi blu, era bello come una bambola. Una bambina come ero io era in grado di recepire solo questo.

Subito capii di non star sognando. Quel bambino parlava di argomenti di cui io avevo timore, parlava di morte con facilità incredibile.
Non potevo averlo inventato io.

Era un bambino sofferente. Solo e triste, non aveva nessuno accanto. Solo me. Per questo, in cuor suo lui sperava che io morissi, per stare insieme a lui per sempre.
Io non l’ho accontentato. E lui, mentre stavo svanendo per sempre dalla sua vista, dichiarò chiaro e tondo che gli ero subito piaciuta.

Certo, direte voi, stavo sognando, nonostante le mie convinzioni.
Beh, invece no. Circa un anno dopo, in televisione ho visto un ragazzo identico a quel fantasma. Questi mi aveva parlato di un fratello gemello vivo, e data la loro schiacciante somiglianza capii subito che era lui.

Quell’incontro mi ha cambiata. Atsuya mi ha cambiata.
Mi ha cambiata, e il suo nome adesso è scolpito indelebile nel mio cuore come un’incisione antica è scolpita nella roccia più marmorea.

Probabilmente non lo saprà mai nessuno prima che la capsula sia aperta.
Ma io sono innamorata di un fantasma da dieci anni, mentre lui probabilmente nella sua eternità si è già completamente dimenticato di me.

Per concludere in bellezza potrei dire qualcos’altro, ma non lo farò.
Vi dico solo che tutte quelle storie su amori impossibili, beh...
non sono cavolate. “



La ragazza si passò la manica della sua maglietta a maniche lunghe verde sugli occhi, avvertendo così che le sue gote erano terribilmente calde al tatto. Se le avesse potute vedere, si sarebbe accorta che erano rosso fuoco.
Pic.
Il rumore di una lacrima che cadeva con efferata violenza su quelle parole.
Pic. Pic.
Altre lacrime piombarono maligne sulla busta rosa salmone in cui Yuuka avrebbe dovuto rinchiudere quella confessione.
Pic. Pic. Pic.
Una pioggia di amarezza che non accennava a smettere di cadere, graffiando gelida il viso infantile della secondogenita della famiglia Gouenji.
Lei decise di ignorare quella manifestazione dello schiacciante dolore che stava opprimendo il suo cuore, e ripiegò quel foglio di carta bianco un po’ macchiato d’acqua, per poi infilarlo nella busta da lettere e sigillare quest’ultima con un adesivo a forma di pesca.

Afferrò una maglia larga e a maniche corte giallo canarino e la infilò sopra quella che già indossava, per poi infilarne il bordo nella vita alta dei suoi larghi bermuda di jeans. Si allacciò le cinghie degli stivali in pelle e sospirò, asciugandosi come meglio poteva il viso, cercando di frenare il suo silenzioso pianto. Non voleva uscire in quello stato, rischiando che Shuuya la vedesse.
Suo fratello le aveva promesso che per l’imminente sedicesimo compleanno le avrebbe concesso di avere qualsiasi cosa come regalo. Lei sapeva esattamente cosa desiderava, e quel giorno l’avrebbe ottenuto. Non era una vera cosa materiale, ma qualsiasi persona in tutto il mondo avrebbe pensato che fosse una cosa normale per una ragazza della sua età fare una cosa del genere.
– Niisan! – chiamò mentre si accostava alla porta di casa – Allora io vado! Ci vediamo dopo! – salutò.
Udì la voce di suo fratello rispondere dall’altra stanza con un – Sei sicura di voler proprio fare una cosa del genere? – incerto, tuttavia lo ignorò.
Si richiuse la porta alle spalle attenta a fare abbastanza rumore per lasciare intendere di essere uscita e si incamminò svelta, borsa a tracolla, verso la sua destinazione. Non ci mise molto ad arrivare dal suo parrucchiere, e sforzò un sorriso quando fu accolta allegramente dal proprietario, il quale senza pensarci due volte la schiaffò su una sedia davanti ad un grande specchio e le chiese cosa le servisse.
Esposta la sua richiesta, la mora si godette l’espressione sorpresa dell’oramai amico e poi lasciò che facesse il suo lavoro. Una nuova Yuuka sarebbe uscita da quel posto.

Certo, era un po’ strano, e ora la sua chioma sembrava meno morbida e setosa di prima, pur conservando queste caratteristiche. Ma la ragazza non era affatto pentita, mentre si guardava allo specchio, di essersi tinta i capelli di rosa confetto. Avrebbe preferito direttamente il rosa salmone, ma quel colore non era disponibile. Tornata a casa ascoltò le frasi sorprese di suo fratello e si chiuse rapidamente in camera, per sedersi sul cuscino e riprendere quel pianto che aveva iniziato e non terminato.

Atsuya le mancava. L’aveva visto solo due volte, eppure le mancava talmente tanto da essersi tinta i capelli di rosa. Stringendo il suo cuscino fra le braccia, la neo-rosata ripensava alle ultime parole che gli aveva rivolto. Gli aveva proposto di andare a trovarla nei sogni, sapeva che poteva farlo, ne era certa. Gli aveva detto di farlo quando si sentiva solo.
Ma lui non l’aveva mai fatto.
Forse le aveva mentito, forse non era veramente solo come le aveva detto. O forse in tutto quel tempo aveva trovato qualcuno con cui parlare, qualcuno con cui stare e passare la sua eternità. Probabilmente era così. Si era scordato di lei. Lui si era per forza dimenticato di lei. E se così non fosse stato, perché non l’aveva davvero più rivisto? Perché non ci aveva neanche provato, quella bambola di porcellana senza vita? L’aveva dimenticata, oppure... non voleva? Se non voleva, allora lei... lei...
– Ti... odio. – mormorò sovrappensiero – Ti odio. Ti odio! – si ritrovò a gridare affondando il viso nella federa del guanciale.
– Parli con me? – rispose una voce. Una voce infantile, una voce sbarazzina simile ad un eco. Non sembrava realmente presente, e infatti quando la ragazza si alzò di scatto per guardarsi intorno non vide niente di diverso.
– C-Chi c’è? – domandò istintivamente.
Un verso inarticolato simile ad un grugnito colse il suo udito. – Va bene che è passato tanto tempo, ma se mi invochi in questo modo penso che la mia voce dovresti riconoscerla... – seguì un ghigno – No?
Proprio davanti al viso della quindicenne, l’aria iniziò ad intorpidirsi, opacizzarsi. Fino a prendere una forma... umana. La forma umana di un bambino.

Man mano che l’immagine diventava nitida, Yuuka si ritrovò ad indietreggiare spaventata. E poi una linguaccia proveniente da due labbra sottili e nivee la fece sussultare.
– Che accoglienza! Sarà vero che mi odi? – domandò il fantasmino, scompigliandosi la scarmigliata chioma rosa.
– Non è possibile, sto sognando! Sto sognando sto sognando! – si limitò a pigolare quell’altra, scattando in piedi (tenendo ancora in mano il cuscino) e, guardando terrorizzata quell’apparizione, si spostò rapidamente fino a far scontrare la schiena contro il muro.
Il bambino svolazzante si imbronciò, avvicinandosi. – Ancora? Quante volte ti devo ripetere che io non sono un sogno? – si lamentò attraversando senza fatica il cuscino di piume che la Gouenji gli scagliò contro. – Simpatica. – ironizzò roteando gli occhi blu.
– T-Tu non meriti che io sia simpatica, dopo dieci anni ti fai rivedere così, voglio dire, mi hai quasi fatto venire un infarto, tu stupidissimo fantasma! E poi potevi anche farti vedere prima anziché dimenticarti della mia esistenza per poi ritornare così, accidenti!! – gridò tutto d’un fiato la ragazza, guardandolo con rabbia.
Atsuya sbatté le palpebre un paio di volte, dopodiché prese un’aria più che austera che la fece trasalire, avvicinandosi sempre di più. – Non usare questo tono con me, signorina! – la rimproverò accigliandosi – Ricorda che anche se non sembra io sono molto più grande di te! Inoltre come puoi accusarmi di averti dimenticata se ti sto pedinando da quando sono riuscito ad uscire da quello stupido limbo?!
Yuuka si sentì violentemente avvampare. Lui... l’aveva pedinata? Cioè, per tutto quel tempo l’aveva davvero seguita? No, non aveva senso. Non aveva il minimo senso!
Poi si ricordò di quella volta che, al suo primo appuntamento con un ragazzo, quest’ultimo aveva perso la cintura e i pantaloni senza trovarne spiegazione. E quella volta che un ragazzo le aveva “fatto dono” di una lettera, quest’ultima era volata via sotto il loro naso nonostante non ci fosse così tanto vento. E infine quando alla festa d’estate dei suoi quattordici anni la ragazza aveva avvertito uno strano senso di freddo ogni qualvolta si avvicinava ad uno dei suoi compagni maschi.
– Tu... – esalò – Tu mi hai impedito di avere un ragazzo per tutto questo tempo. – voleva essere una ricerca di conferma, e invece il tono serio e flebile di Yuuka non sembrava accettare dinieghi.
Il Fubuki incrociò le braccia dietro la nuca con fare ovvio. – Ho solo fatto in modo che non uscissi con perfetti idioti come quelli.
– Ehi, io posso uscire con chi mi pare! – portò i pugni sui fianchi, corrucciandosi. A quelle parole, il bambino ghignò, evidentemente sicuro di sé, e si accostò ancora di più al viso dell’amica.
– E tu volevi uscire con quei perfetti idioti? – domandò sornione, facendola arrossire – Io avrei preferito di gran lunga stare con un fantasma.
La sua interlocutrice ci mise qualche secondo a realizzare come quella frase fosse un implicito modo di dirle che l’aveva fatto per vera e propria gelosia da ragazzo innamorato. D’altra parte, anche se fisicamente aveva cinque anni, quel rosato in verità ne aveva ventitré, quasi ventiquattro. E il suo sguardo era così magnetico...
Arrossì. – An...ch’io. – mormorò appena; resasi conto di ciò che aveva detto e dell’espressione trionfante di lui, si premunì dall’aggiungere con palpabile nervosismo – M-Ma d-devi capire c-che n-non s-sarebbe possibile comunque, tu hai l’aspetto di un bambino e non hai neanche un corpo vero insomma io—Argh! – si interruppe esasperata, portandosi le mani sul viso.
– Il fatto che ti posso attraversare non significa che non mi puoi volere bene. – considerò quell’altro facendo qualche volteggio all’indietro e finendo con l’atterrare in mezzo al materasso della ragazza.
Quest’ultima rimase a riflettere su quelle parole. Aveva ragione, certo, si potevano comunque volere bene, ma... senza potersi toccare, che senso aveva? Quale senso poteva avere amare qualcuno di morto e che fra l’altro aveva l’aspetto di un bambino? Nessuno. Non aveva nessuno senso.
Per quanto potesse essere doloroso, Yuuka doveva vivere una vita normale. E Atsuya probabilmente lo sapeva, eppure il suo essere ancora così infantile non glielo lasciava accettare. La ragazza incurvò le labbra in una smorfia triste, e i suoi occhi puntarono sulla lettera che aveva lasciato sulla scrivania. Doveva metterla nella capsula del tempo, sì, però... però poteva sempre scriverne un’altra, giusto?
Ignorando l’espressione perplessa dell’amico, si avvicinò al tavolo e afferrò la busta rosa salmone fra le dita affusolate.
– Anche se non la puoi toccare... – si voltò verso di lui – vorrei che leggessi questa lettera.



Angolo della Kyah
Doveva essere l’ultimo capitolo, ma mi sono accorta che non è possibile.
Veniva troppo lungo, quindi l’ho tagliato. Già questo è il più lungo pubblicato finora...
E ho cambiato stile di scrittura, cioè dalla prima alla terza persona, e poi al passato, perché mi scappano sempre i passati remoti.
Ora devo andare, scusatemi se vi avevo promesso un ultimo capitolo oggi, ma non mi è stato proprio possibile.
Baci,
Anna. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1756967