Gocce di Calzona

di lulubellula
(/viewuser.php?uid=192261)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice della raccolta ***
Capitolo 2: *** Una focaccia in riva al mare ***
Capitolo 3: *** Un pomeriggio da ricordare ***
Capitolo 4: *** Una spalla su cui piangere ***
Capitolo 5: *** Un istante per dimenticare tutto ***
Capitolo 6: *** Una pausa per poter riflettere ***
Capitolo 7: *** Un viaggio per ritrovarsi ***
Capitolo 8: *** Un disastro di madre ***
Capitolo 9: *** Un nemico da sconfiggere ***
Capitolo 10: *** Uno sguardo di troppo ***
Capitolo 11: *** Un giorno speciale ***
Capitolo 12: *** Una notte sotto le stelle ***
Capitolo 13: *** Una fredda e nebbiosa giornata di pioggia ***
Capitolo 14: *** Un pomeriggio di shopping prémaman ***
Capitolo 15: *** Un serata di angosce e tequila ***
Capitolo 16: *** Una stretta di mano ***
Capitolo 17: *** Un doloroso addio ***
Capitolo 18: *** Una notte senza nuvole ***
Capitolo 19: *** Un motivo per restare ***
Capitolo 20: *** Una colazione con i fiocchi ***
Capitolo 21: *** Un dolore e una speranza ***
Capitolo 22: *** Una mongolfiera ripiena di gelato ***



Capitolo 1
*** Indice della raccolta ***





1)            Indice:
2)            Una focaccia in riva al mare (Sabbia/ unto/ lavanderia/ bocca)
3)            Un pomeriggio da ricordare (Paura/ pozzanghera/ goccia/ lupo)
4)            Una spalla su cui piangere (Delirio/ tavolo/ lago/ lacrime)
5)            Un istante per dimenticare tutto(Cuore spezzato/ fazzoletto/ dvd/ spada)
6)            Una pausa per poter riflettere (Timidezza/mugugnare/livido/amarsi)
7)            Un viaggio per ritrovarsi (Notte/deserto/mai dire mai/baciami)
8)            Un disastro di madre (Master/carta/castoro/vernice fresca)
9)            Un nemico da sconfiggere (Motocicletta/ostaggio/nave/spranga)
10)            Uno sguardo di troppo (Cambiare/discoteca/lava/serial killer)
11)          Un giorno speciale(Tostapane/trappola/vino/candelabro)
12)          Una notte sotto le stelle (Regalo inaspettato/bacca/banana/mare)
13)          Una fredda e nebbiosa giornata di pioggia Prompt di _Trixie_ (Pioggia / Ricordi / Volontà / Segreto)
14)          Un pomeriggio di shopping prémaman (Genitori/stivali/spina/grano)
15)          Una serata di angosce e tequila (Velluto/password/lago/tortura)
16)          Una stretta di mano (vento/castello/invidia/piedi)
17)          Un doloroso addio (Musica/trappola/mani nude/marzo)
18)          Una notte senza nuvole (Quaderno/lenzuola/notte/quaranta)
19)          Un motivo per restare (Telefono/non puoi farlo/inferno/cioccolato)
20)          Una colazione con i fiocchi (Angelo / Sorriso / Felicità / Rosa) Prompt di _Trixie_
(Mondo/fango/c’ era una volta/borsetta)

   (Idea/quiete/idraulico(non disturbare)
   (Orizzonte/passo/falso/estate)
  (Mezzanotte/delfino/zero/alba)
  (Libro/portami con te/benzina/erede)
 (Hotel/bandiera/lucertola/salvadanaio)
  (Marte/ silenzio/ trottola/ oscar)
  (istruzioni d’ uso/vittoria/chiave/granello)
  (Spina/mitologia/tè/paradiso)
  (Bambini/fondersi/colibrì/separazione)
  (Corona/nuovo/continua a vivere/mosca)
  (Pagliaccio/viaggio a due/caviglia/unico)
 (Birra/pozione/martello/camera doppia)
 (Ferocia/salvezza/tienilo nascosto/veleno)
   (Rabbia/nascita/puzzle/giugno)
  (Montagna/meschino/lacrime/girandola)
  (Incendio/nick name/fusione/discorsi da letto)
  (Computer/immagine/foglie/scivolare)
  (Ricetta/risveglio/fame/delitto)
  (Tazza/amarsi/quadro/tisana)
  (Lussuria/davanzale/identità/aquilone)
  (Discorsi da doccia/Finestra/castigo/incubo)
  (Focaccia/folto/licenza di uccidere/gatto)
  (Pazzia/croissant/eco/centro commerciale)
 (Ventaglio/squalo/vampiro/boccale
  (Corda/non fa per me/gelato/violenza)
  (Caldo/albero/scioglilingua/cambiare)
  (Granita/vestito a pois/sangue/gioia)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una focaccia in riva al mare ***


Una focaccia in riva al mare

Parole chiave: Sabbia, unto, lavanderia, bocca

E’ una bella giornata di sole, una delle rare e quasi uniche giornate senza nuvole a Seattle.

Callie e Arizona sono appena scese dall’ auto, si sono ritagliate un pomeriggio di pura e semplice tranquillità coniugale, momento possibile grazie alla complicità di Derek che si è offerto di portare Sofia e Zola allo zoo.

Le due donne camminano per qualche centinaio di metri fino a raggiungere la spiaggia prescelta, una piccola e deliziosa insenatura semideserta, lievemente scossa da una leggera e frizzante brezza marina.

Il mese di marzo è ormai agli sgoccioli e la temperatura è mite ma decisamente non alta, come testimonia anche l’ abbigliamento delle due donne: giacca di pelle indossata sopra una maglia e pantaloni per Callie, giacca antivento e jeans per Arizona.

Giunte a destinazione, le due donne camminano verso l’ angolino di spiaggia che hanno adocchiato, trascinando i piedi sulla sabbia, riempiendosi le scarpe di minuscoli granelli dorati.

Callie estrae dal borsone che ha portato con sé una coperta a scacchi e la appoggia a terra, poi prende un sacchetto di carta contenente la loro merenda.

“Hai fame adesso o preferisci mangiare più tardi?” chiede ad Arizona.

“Adesso, ho un certo languorino. Oggi ho avuto molto da fare e ho saltato il pranzo”.

“Anche io, è stata una giornata pesantissima” le dice Callie.

“Che cosa hai comprato?” chiede incuriosita.

Callie estrae dalla carta due focacce alle olive.

“Le ho comprate al bar dell’ ospedale. Non saranno il massimo ma almeno sono commestibili e non posso dire lo stesso dei sandwich, quelli sì che avevano un aspetto davvero strano. Credo che risalgano al secolo scorso o giù di lì, sono dei cimeli” dice Callie.

Arizona le sorride e risponde: “Già, non mi fiderei ad assaggiarne neanche un morso, nemmeno sotto tortura”.

Callie intanto inizia a mangiare la focaccia, non ha un sapore cattivo, anzi è croccante e soffice al tempo stesso, tuttavia ha un piccolo, minuscolo difetto …

“C’ è troppo olio, guarda tutto quest’ unto! Ci potrei nuotare in tutto quest’ olio e poi deve contenere almeno un milione di calorie!” afferma Callie.

Arizona la osserva e poi le dice: “ E poi c’ è un altro piccolo inconveniente”.

“Quale?” chiede Callie incuriosita.

“Guarda la tua maglia” le suggerisce la donna.

Callie abbassa lo sguardo e la vede: una gigantesca e indelebile macchia d’ olio.

“No, no! La mia maglia preferita! Andata, rovinata, da buttare!” afferma Callie, arrabbiata a dispiaciuta.

“Forse potresti provare a portarla in lavanderia, vicino a casa nostra, con il mio maglioncino di cachemire hanno fatto miracoli!” le dice Arizona per cercare di tranquillizzarla.

“Credi che riuscirebbero a salvarla?”chiede Callie speranzosa.

“Sì, credo di sì. Ora però hai un altro problema: ti sei sporcata d’ olio, di nuovo” le dice la donna.

“Dove?” chiede Callie, lievemente preoccupata.

“Qui” le fa’ cenno Arizona indicando la sua bocca.

“ A questo però posso porre rimedio io” e si avvicina a baciare sua moglie, che la ricambia con entusiasmo.

Intanto, sullo sfondo, le onde del mare compongono la melodia di quel prezioso momento ritagliato apposta per loro due

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un pomeriggio da ricordare ***


Un pomeriggio da ricordare

Parole chiave: Paura/pozzanghera/goccia/lupo

E’ giorno di San Valentino, Callie e Arizona hanno deciso di regalarsi un pomeriggio speciale.

La destinazione l’ ha scelta Callie, dicendo alla donna che avrebbe avuto una bellissima sorpresa, Arizona un po’ preoccupata l’ aveva seguita nella sua piccola follia.

Arrivata nei pressi della roulotte di Derek, Arizona aveva cominciato a storcere il naso, infatti odiava tutto ciò che avesse a che fare con boschi, passeggiate in montagna e cose simili, le riportavano alla mente brutti ricordi di lei e Tim adolescenti al campeggio estivo organizzato dalla scuola, una vera e propria vacanza da dimenticare, ma soprattutto da non ripetere mai più nella vita.

Tuttavia Callie aveva scombinato i suoi piani proponendole una “dolce e romantica passeggiata nei boschi, fuori città, a respirare aria pura e festeggiare a lume di candela nella roulotte, gentilmente messa a disposizione di Derek”, come l’ aveva definita entusiasticamente la donna.

“Oppure una gran scocciatura fatta di spifferi, animali selvaggi e pozzanghere piene di acqua putrida e maleodorante” come l’ avrebbe definita Arizona, se solo avesse dovuto dare un nome alla situazione in cui l’ aveva messa sua moglie.

Tuttavia tace perché Callie sembra trovarsi perfettamente a suo agio a contatto con la natura e ben equipaggiata com’ è, con indosso una giacca grigia invernale, dei pantaloni blu in pile e un paio di stivali marroni in pelo sintetico.

Arizona invece, colta alla sprovvista dal piano organizzato da Callie, indossa abiti inadatti e un paio di stivali neri con il tacco, un vero e proprio flagello per i piedi, costretti ad avere a che fare con un terreno a tratti sconnesso ed accidentato.

La prima mezz’ ora di cammino passa in fretta, scossa solo dalle parole di Callie che sembra entusiasta della sua idea e cammina a gran passo, fermandosi di tanto in tanto ad aspettare Arizona che sbuffa e cammina molto più lentamente per via degli stivali scomodi e del suo malumore dilagante.

“Avresti dovuto indossare delle scarpe più adatte, Arizona, quegli stivali sono perfetti per una giornata di shopping, ma non lo sono di certo per un’ escursione in montagna” le dice Callie, all’ ennesima caduta della donna.

Arizona si rialza e le lancia un’ occhiataccia, poi le risponde: “Questa è la goccia che fa’ traboccare il vaso! Avresti potuto essere più chiara, non credi? Tu mi hai detto: ‘Tesoro, indossa abiti pesanti e un paio di scarpe comode, ti porto in un luogo bello da togliere il fiato per festeggiare San Valentino. Non che io voglia lamentarmi, ma, ecco, io pensavo a qualcosa di diverso, non certo a questo”.

Callie la fissa negli occhi, ferita e dispiaciuta al tempo stesso.

“Mi dispiace che ciò che ho organizzato per noi non sia quello che ti aspettavi. So benissimo che tu odi questo genere di gite, è solo che, per una volta, volevo fare qualcosa di speciale, solo tu ed io. Però non posso obbligarti, insomma, non è mia intenzione farti fare qualcosa che non vuoi. Se preferisci tornartene indietro, fai pure, proseguirò da sola, non mi perderò di certo lo spettacolo più bello del mondo, perché la donna che amo e con cui voglio condividerlo, non vuole la stessa cosa che voglio io. Io proseguo e tu?”

Arizona esita per qualche secondo e fissa il terreno sottostante, mantenendo lo sguardo a terra, per non dover leggere la delusione e la rabbia negli occhi di sua moglie.

Callie interpreta il suo silenzio come un ‘No’ e si incammina.

“Benissimo, se questo è quello che vuoi, proseguirò da sola”.

Callie si incammina e si inoltra maggiormente nel bosco, cercando di camminare il più velocemente possibile, per evitare che Arizona la senta piangere e che provi compassione per lei e decida di proseguire controvoglia, solo per non sentirsi un peso sulla coscienza.

Arizona, invece, si siede su una grossa pietra, vicino al luogo in cui si è fermata e si toglie gli stivali, massaggiandosi con forza i piedi indolenziti e sofferenti.

Osserva le mani screpolate dal freddo e piene di graffi dovuti alle piccola e innocua caduta di prima.

“Proprio qui mi doveva portare – pensa – con tutti i meravigliosi ristoranti ed i centri benessere che ci sono a Seattle, proprio in un dannato bosco di periferia mi toccava finire il giorno di San Valentino. Sola, su una pietra, a massaggiarmi i piedi, dopo aver litigato con lei, dopo averle appena detto che la sua idea era stata un completo ed irreparabile fiasco.”

Callie intanto continua a proseguire a piedi, per un’ altra manciata di minuti, fino al luogo meraviglioso, nel quale aveva pianificato di dare il suo regalo alla moglie.

Si siede e aspetta, spera di vederla spuntare da un momento all’ altro, anche se sa che probabilmente lei sarà già tornata alla roulotte di Derek e la starà aspettando seduta nella veranda, di malumore.

La donna invece continua a riflettere sulla litigata tra lei e Callie e inizia a sentirsi colpevole.

 “Però, anche io ho la mia parte di colpe, potevo almeno cercare di dimostrarle un po’ di riconoscenza, invece di dirle senza tanti giri di parole che avrei voluto essere in qualunque altro angolo del Pianeta piuttosto che qui, con lei. Ed ora non so nemmeno dove lei sia, é già passata almeno un’ ora da quando abbiamo litigato. Non è ancora tornata indietro, tra meno di due ore farà buio, forse si è sentita male, forse si è ferita, forse non la rivedrò più” pensa Arizona in preda alla paura, incamminandosi per cercare sua moglie.

Callie apre l’ astuccio che contiene il regalo di Arizona e rimira il suo acquisto, tenendolo tra le dita e piangendo lacrime amare al pensiero del litigio con sua moglie e del giorno di San Valentino rovinato da una sciocca discussione.

Intanto Arizona ha già percorso gran parte della distanza che la separa da Callie, anche se lei non ne è conscia, quando sente un terrificante ed agghiacciante ululato levarsi dal folto del bosco.

Colta di sorpresa ed in preda alla paura, comincia ad urlare e a correre.

A poche centinaia di metri, Callie sente l’ urlo di una donna rompere il silenzio e la pace che dominano il luogo da lei prescelto, perciò decide di correre in soccorso di quella persona.

L’ una ad insaputa dell’ altra, iniziano a correre fino a raggiungersi in una zona un po’ oscura del bosco, poco più in là.

“Arizona?”.

“Callie?”.

“Non sei tornata indietro? Mi sembravi piuttosto contrariata e arrabbiata con me” le dice Callie.

“No, ho pensato di farlo, poi mi sono seduta a pensare e ho capito di aver sbagliato e di averti ferita con le mie parole. Scusa, non volevo litigare prima, sono così felice che tu sia viva e che quel  lupo non ti abbia sbranata” le dice Arizona.

“Quale lupo?” chiede Callie incuriosita.

“Ho sentito ululare pochi minuti fa ed ho avuto paura che potesse attaccarti, per questo sono corsa a cercarti, sono anche caduta un paio di volte” afferma Arizona, mostrandole le mani piene di graffi.

“Non credo che in questa zona ci siano dei lupi. Alex mi ha parlato di un orso, però” le dice Callie sorridendole.

“Un orso?” chiede Arizona spaventata.

“Arizona, stai tranquilla e seguimi” le dice Callie.

Le due donne camminano per un centinaio di metri fino al luogo prescelto da Callie.

“Guarda, non ti sembra che sia il luogo più bello del mondo? Non c’ è una vista da togliere il fiato?” chiede Callie speranzosa.

Arizona guarda il sole tramontare sulle montagne, il rosso e il viola delle nuvole, l’ orizzonte limpido e magnifico, poi si volta verso Callie e le dice: “Sì, hai ragione, c’è davvero una vista da togliere il fiato” poi la bacia.

“Aspetta -  le dice Callie – voglio darti il mio regalo per San Valentino” e le porge l’ astuccio blu.

Arizona le sorride imbarazzata e le dice: “Callie, grazie, ma non me lo merito, io non ti ho comprato nulla e ti ho reso le cose impossibili oggi”.

Callie le sorride: “Sei qui con me oggi. Quale regalo migliore potrei desiderare? Ora aprilo”.

Arizona apre l’ astuccio e scorge due ciondoli d’ oro, due cuori a metà che combaciano perfettamente e i loro nomi incisi sopra.

“Grazie Callie, sono bellissimi” le dice Arizona baciandola.

“Sono come noi due, combaciano alla perfezione. Due cuori e una capanna” dice Callie.

“Due cuori e una roulotte, vorrai dire” le risponde Arizona, abbracciandola forte ed osservando quel tramonto stupendo insieme a lei.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una spalla su cui piangere ***


Una spalla su cui piangere

Arizona ha appena finito un turno interminabile in ospedale, dodici ore filate trascorse tra piccoli pazienti, sale operatorie, riunioni e vagonate di caffé espresso per mantenersi lucida.
Finalmente il suo turno é terminato, non le resta che tornarsene a casa e mangiare qualcosa di caldo, una minestra di verdure o una zuppa e poi andarsene a letto e dormire per le otto ore seguenti.
Si toglie il camice e indossa una pesante giacca invernale, poi prende la borsa a tracolla e si avvia verso l' ascensore.
Preme il pulsante per il piano terra e si appoggia contro le pareti, soffocando uno sbadiglio portandosi una mano alla bocca.
Arrivata nella hall, si lega la sciarpa al collo e si prepara ad affrontare il freddo pungente che i primi giorni del mese di febbraio avevano portato con sé.
Cammina di fretta, tenendo la testa bassa e cercando di schivare i passanti che provenivano dalla direzione opposta, le mani ben riparate all' interno delle tasche del giaccone, il volto esposto alle intemperie.
Giunta nello stabile dove abita, sale le scale invece di prendere l' ascensore e passa vicino all' appartamento dei suoi nuovi vicini chiassosi, due studenti universitari che avevano un' insana passione per le feste, un viavai di matricole infatti affollava il corridoio, pronto a trasformare la fine di una sessione di esami in un momento di delirio e di sballo allo stato puro.
Arizona, a differenza di altri condomini, non sembrava disapprovare la nuova movida del palazzo, anzi, ricordava con una certa nostalgia le feste organizzate con i suoi compagni di corso durante la scuola di medicina.
La donna fa un cenno ai due ragazzi e poi prosegue verso l' appartamento 502, pronta ad abbracciare Sofia, prima di metterla a letto e leggerle una fiaba e a fare due chiacchiere con Callie, prima che lei esca per il turno di notte.
Cerca distrattamente le chiavi frugando nelle tasche della giacca blu e poi apre la porta di casa.
La piccola Sofia le corre incontro e le vola in braccio, stampandole un bacio sulla guancia e abbracciandola molto forte.
"Ciao, Mama!".
"Ehi, cavalletta, non mi dirai che sei rimasta alzata fino a quest' ora solo per aspettarmi?" le chiede Arizona.
Sofia fa cenno di sì con la testa e si libera dall' abbraccio, correndo verso la sua stanza a prendere il pigiama e il suo libro di fiabe preferito.
Arizona intanto appoggia la borsa, le chiavi e la giacca e va in cucina.
Entra nella stanza e trova Callie con i gomiti appoggiati sul tavolo e con gli occhi lucidi e arrossati dal pianto.
Arizona si affretta ad avvicinarsi a sua moglie per scoprire il motivo del suo svolgimento e della marea di fazzoletti intrisi delle sue lacrime che affollavano il cestino dei rifiuti.
"Che cosa ti é successo, Callie?" le chiede la donna preoccupata.
Callie alza gli occhi verso sua moglie e poi riprende a singhiozzare.
"Oggi é il compleanno di mia madre".
Arizona si avvicina e la abbraccia.
"Oddio, é vero, me n' ero completamente dimenticata. Devi sentirti molto triste al pensiero di non poterle fare gli auguri e di non poterle regalare nulla".
Callie si asciuga le lacrime e le dice: " Questa mattina ho chiamato mia madre e mi ha risposto la sua segretaria, le ho chiesto di poter parlare con lei, ma la donna ha accampato scuse su scuse per evitare di passarmela. Mi é persino sembrato di sentire la sua voce in sottofondo, come un bisbiglio. Probabilmente sarà stato qualcosa del tipo 'Non azzardarti a passarmi mai figlia se ci tieni al tuo posto di lavoro', sai, Arizona, mia madre sa essere molto convincente quando vuole. Praticamente mi ha messo tutta la famiglia contro".
"Mi dispiace, Callie, speravo che con il passare del tempo le cose si sarebbero sistemate, che tua madre avrebbe capito o che almeno ci avrebbe provato" le dice Arizona.
Callie annuisce, sfregandosi le nocche contro le palpebre.
"Probabilmente ora sarà alla casa al lago, é una tradizione, il suo compleanno lo festeggia sempre lì, una volta ero invitata anche io, una volta ero la benvenuta ed ora lei non si abbassa nemmeno a rispondermi al telefono!" afferma Callie con amarezza.
"Lei non sa cosa si perde" le dice sua moglie.
"Cosa?" chiede Callie incuriosita.
"Lei si sta perdendo tutto, sta perdendo te, sua nipote, la possibilità di ricucire il vostro rapporto prima che sia distrutto irrimediabilmente. Sta perdendo sua figlia per la sua ignoranza, per il suo stupido orgoglio e questo, anche se lei non lo sa e se non rende conto, fa più male a lei che a te".
Callie la guarda negli occhi e le dice: "Allora perché continuo a starci così male?".
"Perché tu credi nella famiglia, nell' amicizia e nell' amore e soffri per questa tua ingenuità sentimentale. Ti ammiro per questo, perché anche se sai che probabilmente aprirti con gli altri ti farà soffrire, non smetti mai di avere fiducia nel prossimo, anche se hai paura di ferirti di nuovo. Io ti amo per questo, Callie, perché tu cerchi sempre di vedere il lato buono degli altri, cerchi sempre di far stare bene chi ti sta accanto" le dice Arizona sinceramente.
"Grazie Arizona, grazie per il tuo amore e per la tua comprensione, grazie per essere i miei occhi, il mio cuore, le mie spalle su cui piangere" le dice Callie abbracciandola forte.
"Ora dovremmo andare a leggere la fiaba a Sofia" propone la donna.
"Sì, aspetta solo un istante, il mio telefono sta squillando".
Callie si alza e prende il cellulare in soggiorno.
"Arizona, é mia madre" le dice la donna disorientata.
"Rispondi, Callie" la incoraggia Arizona.
"Anche se mi farà soffrire? Anche se avrà solo voglia di litigare o di rinfacciarmi le mie scelte? Anche se sarò uno straccio quando avrò terminato di parlarle?" chiede Callie spaventata e scossa.
Arizona le si avvicina e le prende le mani: "Ci sarò io ad asciugarti le lacrime, a farti piangere sulla mia spalla, a scostarti i capelli dai tuoi occhi arrossati e a baciarti finché tutto il dolore se ne sarà andato, se sarà il caso. Tuttavia, potrebbe anche volerti chiedere scusa, sei sicura di volerti perdere questa occasione, Calliope?".
"Hai ragione, rispondo, dopotutto non ho nulla da perdere, no?".
"No, hai ragione, però hai molto da guadagnare e tanto per cui ringraziare".
Callie le sorride e risponde alla chiamata, felice di aver preso la decisione giusta e di avere una donna accanto su cui contare, qualunque cosa accada.


NdA:
Vi é piaciuto il capitolo? Spero di riuscire ad aggiornare la raccolta più spesso durante queste vacanze e che ciò che avete letto vi sia piaciuto.
Sarei felice di leggere le vostre impressioni.
Un abbraccio
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un istante per dimenticare tutto ***


NdA: Questa shot contiene tematiche delicate come la malattia e la morte.
Ho cercato di trattarle nel modo più adatto, tuttavia ho preferito avvertire i lettori, nel caso a qualcuno potessero infastidire o turbare..
Buona lettura
 
 
Un istante per dimenticare tutto
 
"Oggi ho perso un paziente", ecco la frase che non vorresti mai pronunciare, né sentirti dire, soprattutto se il paziente in questione ha otto anni, un berretto rosa a nascondere dei capelli che non ci sono più e degli occhi grandi e pieni di speranza, di quella speranza che tu non puoi più dargli.
Certi giorni é proprio difficile essere un chirurgo pediatrico, ti dici che fa' parte del tuo mestiere, che per quanti piccoli non ce la fanno ce ne sono molti di più che ritornano a casa con i loro genitori e crescono, si diplomano, vanno al college, si innamorano, si sposano e a loro volta hanno figli.
Te lo ripeti in continuazione, come una sorta di filastrocca, di rito magico, di totem acchiappa-incubi, anche se tu, di filastrocche, canzoncine e storie infantili, ne hai fin sopra ai capelli. Forse perché ti tormentano la notte, forse perché sono più spaventose di un film horror, di un dvd noleggiato in un momento di noia.
Charlotte, si chiamava così la piccola, colpita da una forma di leucemia rara e fulminante, avevi sono potuto aprire e poi richiudere il suo fragile e malato corpicino, avevi solo potuto consegnarla nelle mani amorevoli dei suoi genitori e confortarli e sostenerli nel dirle addio, come se tutti quegli anni passati a studiare medicina si riducessero solo a questo: a parlare con i padri, a porgere fazzoletti alle madri, a presenziare ai funerali dei bambini.
Per loro, la polvere magica nelle sacche non aveva alcun potere, il tuo sorriso era solo un' immagine sbiadita e inutile in mezzo ad un mare di dolore e di stordimento.
"Non possiamo salvarli tutti, molti di loro sopravvivono, anzi, la maggior parte, in alcuni casi dobbiamo avere fiducia ed aspettare, in altri possiamo solo far sì che la fine sia il meno dolorosa e traumatica possibile", avevi ripetuto questa frase prima alla Bailey e poi ad Alex sino allo sfinimento, nel corso degli anni, ed ora, era proprio lui che la stava dicendo a te, appoggiandoti con fare incerto una mano sulla spalla.
Sei dovuta uscire, l' aria era irrespirabile lì dentro.
Sei seduta su una panchina, piove e c'é vento.
Te ne sei andata, hai terminato a fatica il tuo turno e sei uscita a respirare una boccata d' aria fresca, anche se sai che nulla ti farà stare meglio.
Charlotte é morta, la chiuderanno in una piccola bara bianca.
E tu le bare bianche le conosci benissimo, le sogni anche di notte.
Arcobaleni e unicorni.
Farfalle e gelato sulla spiaggia.
Marshmallows e birra ghiacciata.
Piedi scalzi e lenzuola.
Di solito pensare ad altro ti fa' stare meglio, pensare a quelle cose stupide e piacevoli che rendono la vita un po' più degna di essere vissuta ti fanno rinsavire, almeno un pochettino, ti fanno dimenticare le bare bianche.
Oggi non funziona, oggi chiudi gli occhi e vedi solo quei bambini che hai perso, non quelli che hai salvato.
Vedi Kate e la sua bambola di pezza caduta per terra.
Vedi Oliver e la sua pista delle macchinine con le batterie scariche.
Vedi Amy e i suoi occhi spenti e senza luce.
I sogni infranti e i cuori spezzati, i mostri sotto al letto che hanno preso il sopravvento, gli incubi hanno cominciato a camminare per i corridoi e a vivere anche di giorno, la mamma e il papà hanno smesso di essere dei supereroi e sono diventati piccoli e fragili, più dei loro stessi figli, a volte.
Neve fredda e bastoncini di zucchero.
Spade di cartone e draghi di peluche.
Principesse da salvare e principi imbranati.
L' abbraccio della mamma e la camomilla prima di dormire.
Rimani seduta sotto la pioggia finché qualcuno ti nota e cerca di convincerti a rientrare, ma tu lo fissi con quegli occhi vuoti, così azzurri e così vacui, senza luce, spenti.
Passano secondi, minuti, ore, forse di più, forse di meno, tu non lo sai, hai perso la cognizione del tempo e dello spazio.
Ti senti trascinare a casa da una donna, probabilmente Callie, non ne sei certa, non ti importa.
La donna apre la porta di casa tua e ti fa' entrare.
Deve essere Callie, nessun altro ha le chiavi del vostro appartamento che tu sappia.
Ti spoglia, ti toglie le scarpe, le calze, gli indumenti bagnati, ti asciuga i capelli con un asciugamano morbido e ti conduce verso la vasca da bagno dove ha preparato un bagno caldo e profumato.
Ti lasci guidare da lei docilmente, senza fare storie e lasci che ti lavi senza opporre resistenza.
Poi ti conduce a letto, tra le lenzuola fresche e il piumone caldo, scosta le coperte e si avvicina a te, restandoti vicina e massaggiandoti i capelli per farti sentire meglio.
Caramelle gommose e feste con gli amici.
Baci sotto le stelle e cotte estive.
Zucchero filato e giostre.
Bambini che giocano a nascondino e marachelle a volontà.
Chiudi gli occhi.
Non ci sono bare, non ci sono bambini che soffrono, non ci sono malattie, né pianto.
Le sacche di fisiologica sono piene di polvere magica, gli aghi farfalle, la macchina per la risonanza magnetica un' astronave e tu, di nuovo, una fata buona che scaccia i mostri cattivi.
Vedi Sunshine che riprende a camminare e ti saluta con la manina mentre esce dall' ospedale.
Vedi Jim che ci vede di nuovo e ti dice che il sole é più luminoso di quanto lui ricordasse.
Vedi Rose che mangia per la prima volta cibo solido.
Chiudi gli occhi e pensi che non sognerai bare bianche , non questa notte, ma distese di sabbia e bambini che corrono felici, che camminano, nuotano, saltano, ma soprattutto respirano e pensi che il tuo lavoro potrà anche fare schifo a volte ma che, molte altre é una delle tue ragioni di vita.
Le altre ovviamente sono Callie e vostra figlia Sofia.

NdA:
Grazie a chi é arrivato sin qui e a chi se la sentirà di scrivermi le sue impressioni
A presto
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Una pausa per poter riflettere ***


Una pausa per poter riflettere


Era stata una lunga notte quella, probabilmente una delle più lunghe della mia vita, almeno per quanto riuscissi a ricordare.

Avevo finto di non vederla uscire di casa, mentre si  stringeva il giubbotto di pelle al petto e sistemava il mazzo di chiavi nella borsa, morsicando distrattamente uno snack ipercalorico al cioccolato.

Doveva di certo essere ancora arrabbiata con me e quella barretta ne era la testimone chiave, dimostrava l’ umore nero che aleggiava nella sua testa dopo ieri sera.

Avevamo litigato, di nuovo e sempre per il solito motivo, lei voleva avere dei figli, io no, lei voleva una casetta in collina piena di marmocchi urlanti, io un cottage sulla spiaggia, possibilmente in Spagna, nel quale trascorrere le nostre vacanze.

Era forse chiedere troppo, questo?
Perché il non volere dei figli doveva per forza fare di me una persona orribile?

Aveva raccolto il coraggio e me lo aveva detto, senza tanti giri di parole, non potevamo più andare avanti e ignorare il problema per sempre, parlare di pancakes e di creme idratanti, per non dover toccare le note dolenti, tutto questo era solo un debole e temporaneo palliativo, non di certo la cura.
Nelle sue parole, c’era ostinazione, ma anche paura, una sorta di pudore misto a timidezza e orgoglio.

Callie desiderava avere un bambino più di ogni altra cosa al mondo, non era un capriccio il suo, nè l’angoscia del ticchettio dell’orologio biologico, lei era nata per diventare madre, persino io fui costretta ad arrendermi all’evidenza.

Mi adagiai al suo fianco dopo la discussione, consapevole del fatto che sarebbe stata l’ultima notte che avrei trascorso con lei, la strinsi a me e rimasi lì, a sentirla respirare e mugugnare nel sonno, ad arricciare il naso e a cambiare continuamente posizione, cosa che di solito mi mandava su tutte le furie, ma che, in quel momento, mi faceva solo stare male perché sapevo che l’avrei persa, che ci saremmo dolorosamente ed inesorabilmente allontanate.

Passai molto tempo a riflettere, a cercare di convincermi che forse avere un figlio con lei non sarebbe poi stata una cattiva idea, che dopotutto, Calliope sarebbe stata una madre tanto perfetta da compensare le mie mancanze e la mia totale e imbarazzante assenza di una qualsivoglia forma di istinto materno.

Pensai al fatto che avremmo potuto avere una figlia con gli occhi neri e grandi come i suoi e con il mio carattere, oppure ad un bambino biondo e con gli occhi blu e le ginocchia piene di lividi a causa del gran correre e delle marachelle che avrebbe combinato.

Trascorsi il resto del tempo a pensare che le mie erano solo sciocche fantasie e che avevo già rovinato tutto quello che di buono e puro eravamo riuscite a costruire insieme, a quanto ci amassimo vicendevolmente e a quanto ci fossimo ferite negli ultimi mesi.

Mi alzai presto, senza essere riuscita a dormire nemmeno per un istante, indossai una giacca e un paio di jeans e feci il giro dell’ isolato a piedi, con la speranza di riuscire a schiarirmi le idee, di trovare le parole giuste, il momento adatto, di esprimere finalmente quello che sentivo dentro di me, quello che provavo veramente.

Rientrai in tempo per vederla uscire da lontano, la borsa penzoloni, le chiavi in mano, la carta dello snack strappata malamente e il cioccolato morso di fretta, una lacrima che le scendeva sul viso.

Avevo rovinato la sua vita, l’avevo spezzata, non potevo correre da lei facendo finta di nulla e dirle che anche io avrei voluto un figlio con lei.
Avevo già fatto abbastanza danni, avevo già deluso e illuso l’ unica donna che avessi mai davvero amato.
Amarsi non era mai stato semplice, c’era sempre qualcosa che andava per il verso sbagliato, che si poneva tra noi due, come un ostacolo.
Tuttavia promisi a me stessa che sarebbe stato solo un piccolo intoppo nella lunga e felice vita che avremmo trascorso insieme.

Promisi a me stessa che un giorno avrei stretto tra le braccia quella bambina con gli occhi neri.

 
NdA:
Scusatemi per il ritardo con gli aggiornamenti, ma il mio computer mi ha abbandonata il 1 gennaio (tanto per iniziare l’ anno nuovo in bellezza), perciò ora scrivo con un computer di un’ amica.
Spero di riuscire ad aggiornare non appena ne avrò comprato uno nuovo.
Se il capitolo vi é piaciuto, fatemelo sapere.
A presto (spero)!
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Un viaggio per ritrovarsi ***


Un viaggio per ritrovarsi

“Non ce la faccio, Arizona! Non puoi obbligarmi a fare qualcosa che non voglio!”.

“Sì, certo che posso ed é esattamente quello che ho intenzione di fare, Callie! Non puoi andare avanti in questo modo, devi reagire, devi rialzarti, non puoi vivere nel passato per il resto dei tuoi giorni, devi superare le tue paure e vincerle, solo così potrai davvero voltare pagina”.

C’era riuscita, Dio solo sa come, Arizona era riuscita a fregarmi, mi aveva condotta qui con l’inganno, mi aveva trascinata nell’ultimo posto al mondo in cui sarei voluta stare, mi aveva riportato lì, dove la mia vita era stata quasi irrimediabilmente spezzata.

Lì su quella strada dove avevo rischiato di perdere tutto e che aveva raccolto il mio sangue e parte della mia linfa vitale, lì dove avevo deciso di non tornare più.

Mi mancava l’ aria, mi trovavo sul sedile anteriore dell’ auto e sentivo il respiro venire meno, man mano che scorrevamo quelle strade deserte, capivo che le forze mi stavano abbandonando e che non sarei riuscita a resistere, che non avrei retto il colpo, che il mio cervello e il mio cuore non avrebbero sopportato tanto.

“Arizona, fermati! Torniamo a casa, é notte fonda, io dovrei stare con la mia bambina, non dovrei essere qui. Sofia ha solo quattro mesi, é troppo piccola per essere lasciata sola, ha bisogno di me, delle mie cure, del mio sostegno. Torniamo indietro, Arizona, torniamocene a casa nostra” le avevo chiesto, implorante.

Per tutta risposta, lei aveva accostato l’auto sul ciglio della strada e si era voltata verso di me.

“Sofia é in ottime mani, é con Mark, lei non ha bisogno di ulteriori cure, sta benissimo. Sei tu ad aver bisogno di sostegno e di ritornare sul tuoi passi per capire dove hai perso te stessa, quella che eri. Non potrai mai voltare pagina davvero, Callie, non se eviti di ritornare dove tutto é iniziato. Io sono qui per aiutarti, per sostenerti, per ritrovarti, Calliope, sono qui per te”.

Mi guardava con quegli occhi azzurri, grandi ed espressivi e per un istante, un minuscolo ed insignificante attimo, desideravo crederle, assecondarla, acconsentire al proseguimento del viaggio.

Tuttavia quell’istante si era toconsuma come un fiammifero e, al suo posto, subentravano la rabbia, l’ angoscia e il risentimento che avevo covato in un angolo del cuore per molto tempo.

Mi sono tolta la giaccia e ho sbottonato i primi quattro bottoni della camicetta.

“La vedi questa cicatrice, Arizona? Credi forse che se ne andrà dopo che avremo fatto questa idiozia, dopo che tu mi avrai costretta a rivivere quei momenti terribili? Stai solo cercando di ripulirti la coscienza, stai facendo tutto questo solo per sentirti in pace con te stessa. Continua pure questa messinscena, io me ne torno a casa a piedi”.

Sono uscita dall’auto e ho cominciato a camminare nella direzione opposta, cercando di andare il più velocemente possibile, malgrado la fatica e l’affanno dovuti alla mia arrabbiatura e alla riabilitazione fisica ancora in corso.

Anche Arizona é scesa dall’ auto e mi ha gridato contro: “Seattle é a parecchie miglia da qui, non riuscirai mai a raggiungerla a piedi!”.

Senza neanche voltarmi, le ho risposto: “Farò l’ autostop. Come e quando arriverò a casa non ti riguarda, Arizona, non più, non dopo che hai cercato di costringermi a fare questa specie di pellegrinaggio dell’ orrore!”.

Ero arrabbiata, davvero molto arrabbiata, ho continuato a camminare per un’ altra manciata di metri, per poi voltarmi e accorgermi che Arizona non si era mossa di un millimetro, era ancora lì, vicino all’ auto, che mi fissava.

“Non ti deve importare poi tanto di me, se mi lasci andare via, così, da sola, di notte, senza neanche provare a convincermi, senza nemmeno tentare di persuadermi un po’" le ho detto, con un tono di voce che di amichevole aveva ben poco, ma che nascondeva una dannata e irrazionale paura della sua risposta, della sua reazione.

Arizona ha iniziato a ridere, in un modo un po’ beffardo, a dire il vero, e ha replicato: “Ti sto assecondando, Calliope Iphegenia Torres, non mi hai forse appena detto che non ti posso costringere a fare ciò che non vuoi? Hai ragione, io non posso, non ne ho alcun diritto. Se tu sei giunta a questo punto, é colpa mia, l’ incidente, la cicatrice, la nascita prematura di Sofia, tutto questo é accaduto a causa di una mia distrazione. Credi forse che io non mi colpevolizzi abbastanza? Credi che io non mi chieda in continuazione se e cosa avrei potuto fare per evitare l’ impatto con il camion? Pensi che io non stia soffrendo quanto te per questa situazione? Se per caso tu avessi pensato il contrario, ti saresti sbagliata. Io ho bisogno di fare questo viaggio, di ritornare lì, almeno quanto te, ho rischiato di perdere tutto quel giorno, tutto ciò che amavo, tutto ciò per cui avevo lottato e forse le mie cicatrici non saranno visibili quanto le tue, ma ci sono e fanno male, molto male.  Mai dire mai, Callie, perché un giorno potresti voler tornare qui e cercare delle risposte e potresti rinunciare al viaggio per via della tua cocciutaggine e dell’ ostinazione. Non devi smettere di cercare delle risposte, non devi smettere di provare a ritrovare te stessa, perché io ho bisogno di riaverti indietro, io rivoglio la donna che ho sposato, rivoglio la donna che mi sorrideva al mattino presto e che mi abbracciava la sera tardi, rivoglio quella magia che ci ha attratte l’una all’altra come una calamita, ma non so come fare per premere il tasto “Rewind” e riavvolgere il nastro dall’ inizio. Non so come fare”.

Arizona terminò il suo discorso piangendo e mi decisi a ritornare  sui miei passi e ad avvicinarmi a lei.

“Baciami, Arizona” le dissi piangendo.

Lei si asciugò le lacrime con le dita e mi chiese: “Cosa?”.

“Baciami perché non voglio più perdermi, perché voglio ritrovare me stessa e smettere di sentire il peso della cicatrice che ho sul cuore, di quella che non si vede, ma che io sento. Stringimi perché ho bisogno di averti vicino, ma non so come chiedertelo e so solo respingerti. Dammi la mano e aiutami, perché non sarà facile ripercorrere quei momenti drammatici, ma é l’unico modo che ho per superarli e ho bisogno di averti al mio fianco se voglio riuscirci”.

Arizona mi baciò e mi diede coraggio.

“Non ti avrei mai lasciata andare via da sola, ti avrei seguita in capo al mondo e ti avrei riportata qui e poi a casa, perché é qui che devi ripartire, da dove tutto é iniziato”.
 
NdA:
Ringrazio tutti/e coloro che avete recensito lo scorso capitolo, purtroppo gli aggiornamenti delle mie storie saranno discontinui ancora per qualche tempo, perché posso utilizzare la connessione a internet solo un paio di volea alla settimana, almeno finché non avrò risolto i problemi con il mio computer.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ovviamente é da collocare durante la fine della 7^ serie, quando anche Callie era scossa dall’ incidente
A presto
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un disastro di madre ***


Un disastro di madre

“Andiamo, Arizona, non crederai sul serio di riuscire a preparare una torta a tre piani per il secondo compleanno di Sofia, non pensi di sopravvalutare le tue abilità culinarie?” chiede Callie osservano il gran trambusto sul bancone della cucina.

Teglie, pentole, uova, farina, cioccolato e pasta di zucchero ingombrano il tavolo, lasciando ben poco spazio alla donna per cucinare.

Arizona solleva lo sguardo e fissa Calliope con aria di sfida: “Certo che ci riuscirò, Callie, preparerò la miglior torta di compleanno che si sia mai vista e tutte le mamme delle amichette del nido di nostra figlia mi guarderanno con invidia e ammirazione. Sono in una botte di ferro, ho guardato puntate su puntate di Masterchef, Cake Boss e sfogliato pagine e pagine di riviste specializzate, per non parlare dei blog di cucina e pasticceria. Sono prontissima, sono determinata a preparare la miglior torta di compleanno di sempre e non sarai di certo tu a fermarmi!”.

Di fronte alla determinazione di sua moglie, Callie prende atto e decide di uscire e portare Sofia a fare una passeggiata al parco.

“Torniamo tra un paio d’ore, Arizona, così tu potrai iniziare l’opera senza fonti di disturbo. Buon lavoro, ci vediamo più tardi”.

Arizona annuisce e inizia ad osservare le immagini della torta che ha deciso di preparare per la piccola Sofia: un torta a forma di castoro, interamente in cioccolato, con dettagli ai frutti di bosco e crema ai mirtilli per guarnire il tutto.

Inizia a prendere il necessario per il pan di Spagna: le uova, lo zucchero, il sale, la farina, la fecola di patate e la vanillina.

L’impasto non sembra legare un granché bene, gli ingredienti sembrano non volersi amalgamare a dovere, la pasta è decisamente diversa dalle fotografie del libro di cucina, tuttavia la donna non si arrende e decide di frullare il tutto in modo da ridurre in frantumi i grumi e legare al meglio il tutto.

Soddisfatta del risultato, Arizona inforna l’impasto del pan di spagna e inizia a preparare la crema ai mirtilli, aggiungendo i piccoli frutti a poco a poco e mescolandoli con lo zucchero a velo, cercando di far amalgamare bene il tutto, completando l’opera con l’acqua e la maizena.

Arrivata alla preparazione del castoro al cioccolato, Arizona si rende conto di non avere la più pallida idea di dove iniziare, perciò decide di affidarsi alla bibbia dei blog per mamme disperate, la www.supermom.com, sito guru per i genitori in difficoltà.

Dopo aver inserito il suo nickname, Supermagicmom, e la password, Arizona comincia a chiedere consigli alle altre mamme in rete su come preparare una decorazione tanto elaborata e impegnativa e aspetta di ricevere risposte.

Nel frattempo controlla il pan di Spagna che sta cuocendo nel forno e apre lo sportello, commettendo un errore da principiante: mai e poi mai lasciarsi prendere dalla curiosità di vedere se un dolce è ben riuscito prima che sia completata la cottura, pena la rovina dell’intera torta.

Senza essersi accorta dell’errore commesso, la donna ritorna al computer e vede che ha già ricevuto una risposta alla sua domanda.

Una volta letto il mittente però Arizona impallidisce: xXbestmomeverXx, decisamente la più antipatica, ipercritica e perfettina degli utenti del blog, la classica madre che fa sentire le mamme dell’intero globo inadeguate, incapaci e stupide.

xXbestmomeverXx: hai provato a prenotare la torta dal pasticcere? ti farà sentire meno inadeguata e ti eviterà una figuraccia di fronte alle madri degli amichetti di tua figlia. Ci vuole pratica ed esperienza per poter preparare certi tipi di dolci e decorazioni. Io, ad esempio, per il quinto compleanno della mia piccola Tiffany Jade, ho preparato una millefoglie alla frutta, con decorazioni al cioccolato bianco, dipinte a mano, e, a parte, una fontana di cioccolata fusa alle nocciole. Inutile dire che gli invitati sono stati entusiasti e che ricorderanno la splendida festa di mia figlia negli anni a venire. Se sei interessata posso indicarti l’indirizzo di qualche pasticceria, se vuoi ti mando un mp”.

“Inutile dire che gli invitati sono stati entusiasti! – ripete Arizona con un certo nervosismo – sai dove puoi mettere quella dannata fontana di cioccolato!”.

“Questo sito è decisamente sopravvalutato, è pieno di so-tutto-io, che passano la giornata a far sentire uno schifo gli altri genitori, come se saper fare torte da sogno e cucire costumi di halloween fosse parte integrante dell’essere madri!”.

Come se non bastasse, Arizona si accorge che il pan di Spagna, oltre ad essersi abbassato, si è anche bruciacchiato, rendendolo inutilizzabile.

“Sulla carta sembrava tutto più semplice! I dolci apparivano veloci da realizzare e non così impegnativi ed elaborati. Sulla ricetta, il pan di Spagna era descritto come uno delle basi della pasticceria ed era considerato un dolce di facile esecuzione ed io non sono stata capace di realizzare nemmeno quello!”.

Arizona si siede sconsolata e osserva la glassa ai mirtilli, che ha raggiunto una consistenza piuttosto liquida e grumosa, quasi quella della vernice fresca, con l’aggiunta di frammenti di intonaco.

“Credo di aver creato un nuovo tipo di vernice commestibile- pensa Arizona- nemmeno tra un milione di anni diventerà qualcosa di lontanamente invitante, sarà meglio che butti via tutto e ricominci dall’inizio”.

Arizona apre il cestino dei rifiuti e lascia cadere al suo interno il contenuto della terrina.

“Questo è per te, supermamma- butta parte della pseudo-glassa - per i tuoi dannati dolci di alta pasticceria –rovescia il restante contenuto violaceo – per la tua fontana di finissimo cioccolato – stacca un pezzo di base della torta bruciacchiata – per le tue feste di compleanno da manuale!”.

Di lì a pochi minuti torna a casa Callie con la piccola Sofia e trova sua moglie seduta sul divano, che fissa il libro di cucina molto intensamente.

“Credi forse che se continuerai a fissarlo in quel modo, la torta uscirà dal libro, aprirà il frigo e si posizionerà sul primo ripiano da sola?” chiede Calliope a sua moglie.

Arizona si volta e comunica a sua moglie il disastroso risultato di due ore di tentativi falliti e poi le fa leggere la risposta della mamma perfettina sul blog.

Callie dapprima storce il naso, poi scoppia a ridere .

Arizona inarca le sopracciglia e le chiede: “Non capisco che cosa tu possa trovarci di così divertente. Ti rendi conto che la festa di Sofia è domani, cosa credi che riesca a prepararle visto che entrambe lavoreremo fino a tardi?”.

Callie le mostra due buste, lasciate davanti alla porta.

“Ho fatto un po’ di spesa, Arizona, ho comprato gli ingredienti per preparare una crostata di frutta e una torta margherita, non dimenticare che i cibi più semplici, spesso sono anche i più gustosi. Inoltre i bambini hanno bisogno di mangiare cibi poco elaborati e freschi per restare in salute, perciò quella sbruffona del blog, questa volta è completamente fuoristrada”.

Gli occhi di Arizona si illuminano e corre ad abbracciare Callie.

“Mi hai salvata, hai salvato la festa! Siamo perfettamente in grado di preparare questi dolci senza l’aiuto di nessuno. Credi davvero che noi due siamo dei buoni genitori per Sofia anche se non sappiamo cucinarle una millefoglie al cioccolato bianco?”.

Callie riflette un istante e poi le dice: “Bé, se l’essere dei buoni genitori si misurasse in base alle abillità culinarie, io e te arriveremmo a stento alla sufficienza, per fortuna ci sono altri indicatori, come il prendersi cura della propria figlia o il preoccuparsi per lei e volere che sia felice e, in questo, non ci batte nessuno”.

“Hai ragione , Callie, noi siamo dei buoni genitori, a dispetto di quell’arpia di xXbestmomeverXx!”.

“Promettimi solo una cosa, Arizona” le chiede Callie seria.

“Cosa?”.

“Giura che non andrai più su quel sito, promettimelo, ne va della mia sanità mentale!”.

“D’accordo, direi che si può fare. Vieni in cucina, svuotiamo il contenuto delle buste e mettiamoci all’opera”.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Un nemico da sconfiggere ***


Un nemico da sconfiggere

 Arizona è in salotto in piedi sul tavolino, con una mazza da baseball in mano e un’espressione terrorizzata negli occhi, quando Callie apre la porta ed entra nell’appartamento, allarmata dal precedente messaggio inviatole dalla moglie.

“Aiutami, sono in pericolo, corri a casa immediatamente. Arizona”.

Ovviamente, la donna in preda al panico, aveva lasciato il cestino della spesa sul pavimento del supermercato e si era fiondata in soccorso di sua moglie, preparata al peggio, ad un incendio, un alluvione, un pazzo armato che l’avesse perlomeno presa in ostaggio con il resto degli inquilini dello stabile.

“Un topo, Arizona? Tu mi hai fatto correre per quattro isolati come una pazza per un semplice e indifeso topolino? Ti rendi conto del fatto che ho lasciato la spesa a metà e ho percorso tre piani di scale di corsa per non dover aspettare l’ascensore. Mi vuoi forse morta, Arizona? Perché se è questo che vuoi, ci sei quasi riuscita stavolta!”.

Arizona, totalmente in balia della sua agitazione, le ribatte: “Solo un topo, Callie? Tu chiameresti tutta l’intera situazione ‘solo un topo’? Ho rischiato la vita, sai, sarei potuta morire. Hai la più vaga idea di quante e quali malattie possano trasmettere all’uomo? Per non parlare del fatto che la mia non è una paura irrazionale, ma una fobia ben documentata, si chiama “musofobia”, insomma, se questa condizione ha un nome, di certo non può essere una sciocchezza, non credi?”.

Callie guarda la donna con aria poco convinta e si avvicina a lei, togliendole la mazza da baseball dalle mani, senza alcun successo.

“Cosa stai cercando ci fare, Calliope? Non puoi togliermi l’unica arma di difesa che mi resta contro quella dannata creatura. Già è stato difficile trovare un oggetto con cui potessi difendermi. Siamo molto carenti su questo fronte, dovremmo pensare di più alla nostra difesa e sicurezza personale. Ad esempio, dovremmo avere una spranga o qualcosa di simile, potrebbe sempre tornarci utile!” le dice Arizona, palesemente non nel pieno delle sue facoltà mentali.

Callie sospira e ribatte: “Già, perché no? Già che ci siamo potremmo comprare un arco e delle frecce, qualche ascia, un paio di carabine e una pistola ad acqua, giusto per sembrare ancora di più delle squilibrate! Non vedo perché tu debba preoccuparti più del necessario, probabilmente è solo un topolino solo ed indifeso, è sicuramente più spaventato lui di te. Poi non trovi che i topolini siano così carini? Pensa a tutti i cartoni animati che guarda Sofia, a Topolino, Stuart Little, Bianca e Bernie, Ratatouille, ad esempio, non credi che siano simpatici e socievoli?”.

Arizona inorridisce al pensiero e le dice: “Spero sinceramente che tu stia prendendomi in giro, i topi sono sporchi, antipatici e portatori di malattie, non dimenticare che molte delle peggiori epidemie della storia sono state causate da loro. La peste ad esempio”.

Callie scuote la testa e le dice: “Nel caso della peste, i topi hanno fatto da tramite tra la malattia e l’uomo, non sono stati loro a causarla! E poi, stavo pensando che Sofia ha l’età giusta per avere un animaletto domestico e pensavo proprio di regalarle un topolino di quelli domestici o un criceto, giusto per iniziare a responsabilizzarla un po’ verso un altro essere vivente. Non credi che sia una buona idea, Arizona?”.

“No, io non trovo che sia una buona idea, Calliope Iphegenia Torres! Con tutti gli animali che esistono al mondo, dimmi tu perché dovremmo comprare a nostra figlia un ratto! Perché non comprarle un leone o una giraffa, allora, avrebbe più possibilità di sopravvivenza!”.

“Andiamo, Arizona, non ti ho proposto di comprarle un boa constrictor, ma un criceto, un piccolo, dolce e socievole mammifero di piccola taglia che passa la sua giornata a correre su una ruota colorata e ad ingozzarsi di semi di girasole. Non puoi aver paura di animaletto del genere, non tu che mi hai proposto di fare un viaggio in motocicletta, noi due sole, lungo la West Coast!” le fa notare Calliope.

Arizona inarca le sopracciglia e risponde a tono: “Vada per il boa constrictor, perlomeno lui mangia i topi! E per quanto riguarda il nostro viaggio, io farei i primi dieci chilometri bendata, a testa in giù, piuttosto che trovarmi a dividere la mia casa e la mia famiglia con Hamtaro!”.

Callie apre la bocca come per rispondere a sua moglie, poi volta le spalle e va verso la porta.

“Dove stai andando? Hai forse intenzione di lasciarmi qui da sola?”.

Calliope apre la porta, senza voltarsi.

“Sei una vigliacca, Callie. Stai abbandonando la nave che affonda con tutto l’equipaggio! Come faccio a scendere da qui? Non voglio restarmene da sola”.

Callie si volta e le dice: “Non sei sola, ti lascio in compagnia di Mickey Mouse. Divertitevi, io vado a prendere Sofia all’asilo”.

Ed esce dall’appartamento, lasciando la povera Arizona, in piedi sul tavolino del soggiorno, con una mazza da baseball in mano, incerta sul da farsi e lievemente sconvolta.


NdA:
Ecco dove mi hanno portato le parole-chiave di questo capitolo, spero che la shot vi sia piaciuta e spero di ricevere qualche recensione (in più).
Alla prossima
lulubellula
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Uno sguardo di troppo ***


Uno sguardo di troppo

“Che ne dici di uscire, stasera?”.

Arizona era lì, di fronte a me, sulla porta, con quel sorriso smagliante e quelle fossette a cui non riuscivo a resistere.

Non sarei stata in grado di dirle di no, sarebbe stato inutile e anche controproducente, vista la mia condizione psico-fisica in bilico, conseguenza di un turno di dodici ore e di altrettante tazze di caffè, perciò annuii, sorridendo debolmente alla sua proposta e le chiesi di aspettarmi in salotto per qualche minuto, in modo da cercare di rendermi presentabile.

“Vado a fare una doccia veloce e a vestirmi, poi ti raggiungo. Aspettami pure qui, mettiti pure a tuo agio, come se fossi a casa tua” le dissi trascinandomi a fatica sino al bagno.

“Sicura di non aver bisogno di aiuto?” mi chiese lei, a metà tra il malizioso e il preoccupato.

Con un debole cenno della testa le chiesi di restare lì.

Ero proprio distrutta e nemmeno l’acqua tiepida riuscì a darmi un contegno, sembravo reduce da una settimane senza sonno e, in un certo senso lo ero, dati i turni orribili e le nottate piacevoli trascorse con lei.

Legai i capelli in uno chignon piuttosto semplice, optai per un top lievemente scollato e brillante, un paio di jeans scuri e dei tacchi, mi truccai con un velo di fondotinta color carne, un po’ di mascara, un lucidalabbra perla ed esagerai con il correttore nel disperato tentativo di cancellare le occhiaie.

Entrai in salotto e la vidi sorridere.

“Che c’è, Arizona? Sono un tale disastro?” le chiesi mordendomi il labbro inferiore, in attesa della sua risposta.

Lei continuò a guardarmi e a sorridere.

“Sei bella da togliere il fiato, Callie. Non riesco a credere ai miei occhi, sei persino più affascinante quando sei stanca”.

Ci baciammo velocemente prima di uscire di casa e salire sulla sua auto.

“Allora, Colonnello Robbins, quale sarà la meta del nostro appuntamento?” le chiesi, prendendola in giro scherzosamente.

Lei restò qualche istante a pensare in silenzio, poi disse: “Bè, vediamo un po’, abbiamo già esaurito molte possibilità: siamo state al cinema, al luna park, al parco, al mare, in tutti i bar e i ristoranti che ci venivano in mente. Forse è il caso di fare qualcosa di diverso, di cambiare, che ne dici?”.

“Dipende”.

“Da che cosa?”.

“Dalla tua concezione di cambiare. Sai, sono un po’ restia ai cambiamenti troppo repentini o strani. Forse è dovuto al fatto che, quand’ero bambina, Aria fosse particolarmente convinta del fatto che i cambiamenti fossero eccitanti ed entusiasmanti”.

“Ora sono io a non capirci nulla” mi disse con aria interrogativa.

“Ok, però mi devi promettere che non mi prenderai in giro”.

“Croce sul cuore, che io possa morire” mi rispose lei, a metà tra il serio e il divertito.

“D’accordo, è stato parecchi anni fa, quando noi due eravamo bambine. A Natale era consuetudine nella nostra famiglia che i bambini facessero un piccolo recital per i parenti con tanto di costumi di scena. Io e lei recitavamo sempre la parte delle fatine dei regali e avevamo dei vestitini deliziosi, io mio azzurro, il suo arancione. Tuttavia, un giorno, lei mi convinse del fatto che fosse venuto il momento di dare una svolta al recital e di scegliere una storia e dei costumi più adatti a noi due. Io mi feci abbindolare da tutto ciò che mi disse e mi ritrovai a dover recitare la parte dello spiritello cattivo del Natale. Da sorella maggiore quale era, lei mi fece indossare un abito bruttissimo in lana marrone e mi cosparse di marmellata alle pesche sin dentro le scarpe, poi mi coprì dalla testa ai piedi di farina. Farina, capisci, Arizona? Ed io la lasciai fare senza battere ciglio, ero orribile, sembravo un vulcano con tanto di lava! Però mi fidavo di lei ed aspettai che lei si andasse a cambiare come me. Immagina però la mia espressione quando arrivai nel salone e mia sorella, le mie cugine e i miei cugini erano vestiti esattamente come gli anni precedenti! Per non parlare dell’espressione di mia madre che non dimenticherò mai e poi mai. Da allora ho perso ogni tipo di fiducia nel cambiamento e in un certo senso anche nelle persone”.

Arizona ascoltò tutto il racconto in silenzio, poi disse: “Ti avrei abbracciata lo stesso, con quella mistura di farina e marmellata addosso e poi avrei tirato i capelli a tua sorella per il brutto scherzo che aveva tramato alle sue spalle”.

Io le sorrisi e poi affermai: “Per te posso fare un’eccezione, Arizona, tu sei stata un dei pochi cambiamenti che hanno reso davvero migliore la mia vita. Sono pronta ad assecondarti”.

“Ok, ma non si tratta di nulla di particolare, volevo solo invitarti a ballare con me, in discoteca, se non sei troppo stanca, è ad un centinaio di metri da qui, siamo quasi arrivate”.

“D’accordo, direi che si può fare”.

Entrammo in discoteca, dopo aver lasciato i nostri cappotti nel guardaroba e ci sedemmo al bancone del bar.

“Due Martini, per favore”.

“Mi sembra un bel posto, Arizona. Ci sei già stata altre volte?”.

Lei annuì.

“Con chi?” le chiesi, fingendo disinteresse.

“Con amici” mi rispose tagliando corto.

Indossava un vestito blu sino al ginocchio, senza maniche che le metteva in risalto lo sguardo e la linea slanciata, attirando la mia attenzione completamente e non solo la mia.

“Quella ragazza ti sta fissando da quasi dieci minuti, Arizona”.

“Chi?”.

“Non voltarti, non fare il suo gioco! Sei impegnata, non ricordi?”.

“Come potrei dimenticarmelo, Callie? Non c’è bisogno che tu faccia la gelosa”.

“Io non faccio la gelosa!”.

“Ah, no?”.

“No, io sono gelosa!”.

Lei mi sorrise di rimando e mi invitò a ballare.

“Siamo in una delle discoteche più belle di Seattle, non ho intenzione di restarmene in un angolo. Vieni?”.

Mi tese una mano e la seguii.

La musica era gradevole e il locale non era particolarmente affollato, il che giocava a mio favore, perché potevo tenere d’occhio Arizona e la donna che stava seguendo ogni sua minima azione.

“Sta esagerando ora!”.

“Chi?”.

“Quella ragazza! Sta diventando imbarazzante il modo in cui ti guarda, ti sta spogliando con gli occhi!”.
Lei mi mise le braccia attorno al collo.

“Siamo uscite insieme, non abbiamo turni stasera e abbiamo ancora tutta la notte per divertirci. Non ti sembra il caso di smettere di fissare quella poveretta come un serial killer scruta la sua prossima vittima?”.

“Io non la sto guardando in quel modo!”.

“Sì che lo stai facendo. Ma se preferisci, la guardi come un cacciatore fissa la sua preda”.

“Ma…”.

“Tom fissa Jerry”.

“Io…”.

“Will il Coyote guarda Bip Bip”.

“Non…”.

“La Regina di Cuori guarda Alice”

“La…”.

“Fred Flintstone fissa sua suocera”.

“Sto…”.

“Paperino spia un suo creditore”.

“Guardando…”.

“Sweneey Todd fissa il Giudice Turpin”.

“Così!”.

“Invece sì e ci stiamo rovinando la serata, perciò ora andrò da lei e sentirò che cosa ha da dirmi, così non due potremo continuare a parlare in pace!”.

Arizona girò sui tacchi e andò da lei.

Rimasi a fissarle in silenzio per qualche minuto, cercando di leggere il labiale, ma loro due erano distanti e la mia vista si era già offuscata al terzo Martini.

Tornò poco dopo, piuttosto incupita.

“Allora, avevo ragione io? Le hai spezzato ben bene il cuore, dicendole che stai uscendo con me?”.

“Niente di tutto questo, Callie. Ti sbagliavi”.

“Riguardo a cosa?”.

“Lei stava guardando tutta la serata nella mia direzione, ma non stava guardando me”.

“E chi allora?” le chiesi stupefatta.

“Te, stava guardando te. Mi ha chiesto se fossi tua amica, perché ti aveva notata subito. Ha fatto un’analisi minuziosa del tuo trucco, dei capelli e dei vestiti, nonché del tuo viso e del tuo corpo perfetti, per citare le sue parole. Mi ha detto che pensava che tu la ricambiassi, visto che non le hai tolto gli occhi di dosso, nemmeno un istante. Mi ha scritto il suo numero su questo biglietto e mi ha supplicato di metterci una buona parola con te”.

Dopo la costernazione iniziale, scoppiai a ridere di fronte all’espressione seccata sul volto della donna.

“Ho capito male, allora. Io credevo che lei stesse guardando te e invece … invece era interessata a me!”.

“Per favore, Callie, non farmi ripetere quello che ho dovuto sentire, perché credo che darei di stomaco”.

“Certo che no, Arizona, come ti senti ora? Delusa? Invidiosa? Gelosa?”.

“No, Callie, in realtà mi sento più come se un serial killer, un cacciatore, Tom, Will il Coyote, la Regina di cuori, Fred Flintstone e Sweeney Todd si fossero alleati contro un nemico comune!” mi rispose seccata.

“Wow, e poi sarei io quella passionale ed impulsiva tra noi due! Meglio che ce ne andiamo a prendere una boccata d’aria prima che tu commetta un crimine punibile con l’ergastolo o la sedia elettrica!”.









 
NdA:
 Non ho particolari commenti senonchè sto ancora ridendo di fronte alla mia infinità stupidità.
Aspetto le vostre recensioni
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un giorno speciale ***


Un giorno speciale
 
“Sei proprio sicura che sia la cosa giusta da fare, Callie?”.

“Proprio sicura sicura no, però che alternative abbiamo? Nessuna, almeno nulla di sensato che mi venga in mente. Siamo fritte, Arizona. Passeremo direttamente dalla padella alla brace!".

“Siamo in trappola! Sei proprio certa di voler assecondare nostra figlia in questa follia?”.

“No, in realtà, no. Però lei ci tiene così tanto a festeggiare questo giorno in modo fastoso, come si deve, tanto vale assecondarla. Dobbiamo solo respirare Arizona, respirare e uscire là fuori, fare questo passo insieme, come quel giorno magnifico di tanti anni fa”.

Arizona si sposta una ciocca di capelli argentei dal volto.

“Sei pronta, amore? Pronta a uscire con me, mano nella mano, a celebrare questa ricorrenza insieme a Mark?”.

“Sì, anche se avrei preferito qualcosa di meno formale, come un break veloce con un paio di amici e nostra figlia, qualcosa di caldo preparato nel tostapane, come un tramezzino o un toast”.

“Callie credo che non ci sia nessun toast là fuori, piuttosto delle tartine al salmone e del caviale”.

“E il vino? Se proprio devo compiere questo passo, almeno spero che il vino sia ottimo”.

Arizona sorride rivelando le sue fossette, solcate da una sottile fila di minuscole rughe, che rendono il suo volto dolce e vissuto, di quella sapienza che conforta e sorregge coloro che vi ripongono la loro fiducia.

“Me ne sono occupata personalmente Calliope, brinderemo con dell’ottimo champagne francese e ho selezionato alcuni tra i migliori vini italiani, siamo in una botte di ferro”.

Callie la bacia sulla bocca e appoggia il suo volto nell’incavo del collo di sua moglie.

“Lo sai che ti amo, vero?” le chiede.

“Certo, Calliope Iphegenia Torres, lo sospettavo”.

“Mi amerai anche se comincerò a balbettare durante il discorso e a fare la danza della pipì?”.

“In tal caso credo che ti verrò in soccorso e ti porgerò una coppa di champagne per tranquillizzarti.Ti senti meglio ora?”.

Callie si mette le mani nei capelli corvini, segnati qua e là da sottili fili grigio-argentei.

“No, non mi sento proprio tranquilla, ma prima o poi dovrò farmene una ragione e dovremo uscire là fuori, no?”.

“Callie?”.

“Sì?”.

Arizona la osserva con attenzione, il suo volto segnato dal tempo e dagli eventi, i suoi occhi scuri e vivi, le sue dita affusolate, il vestito candido che le sta a pennello.

“Ti amo, Callie e ti risposerei ogni singolo giorno della mia vita. Perciò non devi avere alcuna paura, perché non sono fuggita dall’altare cinquant’anni fa e non ho intenzione di farlo ora. Non ti amerò di meno se deciderai di restare qui, però sappi che là fuori ci sono un centinaio di invitati che ci aspettano e che non vedono l’ora di vederci attraversare la navata del salone per rinnovare i nostri voti nuziali e festeggiare il nostro cinquantesimo anniversario di matrimonio. E poi non dimenticarti di Sofia che tiene così tanto a condividere con noi questo momento e Mark che ha voluto a tutti i costi sposarsi in questo giorno, quello dell’anniversario delle sue nonne. Non vuoi deluderlo, vero?”.

Callie annuisce e una lacrima le scende dagli occhi grandi e fragili, lungo il volto.

“Mi mancano”.

“Chi, Callie, chi ti manca?” le  chiede Arizona porgendole un fazzoletto di seta.

“Mark, i miei genitori, Lexie, tutte le persone che ho amato e che non possono essere qui a festeggiare con noi questa ricorrenza felice”.

Arizona riflette un istante e le dice: “Hai ragione Callie, anche a me mancano ma credo che sarebbero felici per noi, per quello che siamo riuscite a costruire insieme, per i passi che abbiamo fatto, le scelte che abbiamo preso. Per me è come se fossero qui con noi, anche se non possiamo vederli”.

Callie asciuga una lacrima e sorride: “Forse è vero, forse sono davvero accanto a noi. Arizona?”.

“Sì, Calliope?”.

“Credo che dovremmo uscire”.

“Ne sei sicura?”.

“Sì, ci sono un mucchio di persone che aspettano di vederci percorrere la navata, tra cui nostra figlia e nostro nipote che si sposa proprio oggi. Credo che non dovremmo deluderli perché noi abbiamo già sofferto tanto, abbiamo percorso una strada lunga e difficile, ma anche entusiasmante ed emozionante per giungere sin qui insieme. Siamo l’esempio perfetto che il vero amore esiste, perché noi l’abbiamo trovato”.

Arizona annuisce e si aggiusta il vestito celeste.

“Credo che dovremmo uscire e goderci ogni singolo istante, la musica, la cerimonia, i candelabri  d‘argento e i calici di cristallo, nonché la pista da ballo, nella quale noi due e Mark con sua moglie apriremo le danze”.

Callie annuisce e porge la mani a sua moglie.

“Ti amo, Arizona, e sono qui per rinnovarti le mie promesse matrimoniali davanti alla nostra famiglia e ai nostri amici”.

Arizona le stringe forte la mano e le dice: “Sei pronta per entrare nella sala cerimonie?”.
“E’ tutta la vita che aspettavo questo momento. Anche questa volta scelgo te, sapendo, senza alcun dubbio, di fare la scelta giusta”.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Una notte sotto le stelle ***


Una notte sotto le stelle

 “Tieni gli occhi chiusi, non sbirciare Callie, mi raccomando!”.

Arizona cammina a piedi nudi sulla spiaggia, indossa un paio di infradito, una gonna lunga e leggera che le accarezza le caviglie, un top color bacca che le lascia scoperte le braccia abbronzate.

“Non sto sbirciando, Arizona, non vedo nulla, mi hai bendato gli occhi!”.

Calliope è scalza, una camicia bianca di lino, una gonna ampia, una cintura di pelle marrone legata in vita, un sorriso smagliante dipinto sul suo volto.

“Continua a camminare, manca poco, amore, ancora qualche passo”.

Callie incespica lievemente e rischia di inciampare e di perdere l’equilibrio, ma Arizona la ferma e riesce ad evitarle una rovinosa ed imbarazzante caduta.

“Siamo al mare, Calliope, in Spagna, sulla spiaggia e oggi è il tuo compleanno, perciò stai tranquilla e rilassati. Al resto penso tutto io”.

La donna sorride di rimando e cerca di fiutare qualche indizio tutt’intorno, di utilizzare gli altri sensi, eccetto la vista, che è momentaneamente fuori uso.

Il mare è calmo, quasi piatto, l’acqua scorre lentamente verso riva, bagnando la sabbia e i piedi dei pochi passanti.

Sono le nove di sera, è quasi l’ora del tramonto, il cielo assume tonalità di arancio rosato, violetto, le nuvole chiare si colorano tenui, i gabbiani volano solitari verso l’orizzonte.

“Siamo quasi arrivati, Callie, ancora una manciata di passi e potrai vedere la tua sorpresa” le dice la donna con la voce tremante, visibilmente emozionata.

“Non è che devo preoccuparmi, Arizona? Non è qualcosa di esagerato e imbarazzante? Per favore, dimmi che non hai invitato qui un mucchio di persone, dimmi che non hai invitato ex compagni di liceo o cose simili, perché, bendata o no, me la darò a gambe!”.

Arizona sorride all’idea e la tranquillizza: “Nulla di tutto questo, Callie, non farei mai nulla di simile alla donna che amo!”.

“Meno male perché senza nulla ai piedi non sarei riuscita a fuggire molto lontano”.

“Ecco, ora puoi aprire gli occhi, togliti la benda, piano”.

Callie non se lo fa ripetere due volte, si sfila la striscia di tessuto dal volto e apre gli occhi.

Deve riaprirli e chiuderli più e più volte prima di credere a ciò che vede.

Si trova in prossimità del molo, nel ristorante a due passi dal mare, con una splendida vista.

Arizona la invita a sedersi al tavolo riservato a loro due, nel locale aperto nel giorno di chiusura appositamente per Calliope.

“Arizona, io, io non ho parole, hai riservato un intero ristorante per me. Ti deve essere costato una fortuna! Non saresti dovuta arrivare a tanto ”.

Arizona le prende una mano.

“E’ esattamente quello che ti meriti, Calliope, tutto questo è per te, per il tuo compleanno, per questa giornata speciale”.

“Ti amo, Arizona”.

“Anche io, Callie. Ma ora è il momento di cominciare a gustare le deliziose pietanze che questo luogo magico e meraviglioso ha da offrirci”.

“Paella?”.

“E paella sia!”.

La cena si svolge in modo perfetto, le luci soffuse delle candele e alcune lanterne di carta rendono l’atmosfera piacevole e raccolta, il cibo è buono e delicato, i dolci, i frappè alla fragola e alla banana, la musica dolce e raffinata rendono il momento perfetto.

“Allora, Callie, piaciuta la cena del compleanno?”.

“Molto”.

Calliope si avvicina ad Arizona e la abbraccia con trasporto, baciandola sulle labbra e accarezzandole i capelli dorati con dolcezza.

“Questo regalo inaspettato è stato davvero molto gradito e non vedo l’ora di dimostrarti il mio entusiasmo”.

Callie prende la mano di Arizona e le fa cenno di seguirla verso il cottage che hanno preso in affitto.

“Aspetta! Il vero e proprio regalo deve ancora arrivare”.

Arizona prende la mano della donna.

“Vedi quella piccola imbarcazione?”.

“Sì”.

“Quello è il tuo regalo”.

Callie la guarda sorpresa.

“Mi hai regalato un barca a vela?”.

“No, molto meglio! Guarda”.

Dalla barca si vedono delle luci colorate che si diramano verso il cielo, seguite da degli scoppi che lasciano scivolare il brillio verso il mare.

“Fuochi d’artificio! Hai organizzato uno spettacolo pirotecnico per me?”.

Arizona annuisce.

“Ti piace?”.

“S-sì, Arizona, sono così, così colorati e luminosi, è magnifico vederli scendere sul pelo dell’acqua, sembra quasi che si avvicinino a noi quelle luci, fino ad abbracciarci. Io non ho parole, amore!”.

Arizona le si avvicina e la bacia con trasporto.

“Allora non parlare, Callie, goditi lo spettacolo e baciami, tutta la notte, tutta la vita”.

Callie le sorride.

“E’ proprio quello che avevo intenzione di fare”.
 
 
NdA:
Ed ecco che viene fuori il mio lato romantico, frutto di una miriade di film visti, di libri letti e di film mentali (soprattutto questi).
Spero che vi sia piaciuto il capitolo.
Stavo pensando di aggiungere altri capitoli a quelli programmati, insomma più di 45 giorni a casa loro, siete d’accordo? Volete suggerirmi delle parole chiave (4 per ogni shot)?
Allora scrivete, proprio qui in basso
Ciao Ciao
lulubellula
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Una fredda e nebbiosa giornata di pioggia ***


Una fredda e nebbiosa giornata di pioggia

Le vie di Seattle sono deserte, le luci dei lampioni sembrano fioche, quasi spente di fronte allapioggia e alla nebbia di un freddo e noioso giorno di novembre, una di quelle giornate in cui si vorrebbe poter restare rintanati in casa, sul divano, sotto una coperta, abbracciati alla persona amata a guardare un vecchio film insieme.

Calliope se ne sta rintanata in casa, ha la febbre, gli occhi lucidi e arrossati, le mani fresche, la fronte piuttosto calda.

Si trova in salotto, sul divano, proprio non ce l’ha fatta a rimanere per più di una manciata di minuti nel suo letto, perciò, verso le nove di mattina, dopo una decina di tentativi falliti ed essere  caduta sul pavimento, si è decisa a farsi aiutare da Mark, che è corso in suo aiuto, dopo aver lasciato Sofia nel suo appartamento per non esporla troppo al contagio e cercare di evitare che si ammalasse anche lei.

Ora sta facendo zapping e bevendo contro la sua volontà un misero brodino di pollo e dello sciroppo per la tosse, che, unita alla febbre, la stava facendo impazzire, letteralmente.

Il resto della mattinata e il pomeriggio le sembrano interminabili, non riesce a trovare la posizione giusta per dormire un po’ e nemmeno un programma interessante che la riesca a distrarre, anzi, a dirla tutta, persino i suoi film preferiti ora le sembrano una vera e propria schifezza.

Attende ancora qualche ora, confortata da Mark che, di tanto in tanto, le porta una tazza di tè, un cuscino più morbido, un sorriso per rischiararle la giornata.

Poi, verso le cinque, comincia a trattenere il respiro, confortata dal fatto che Arizona le ha promesso che avrebbe fatto qualunque cosa pur di rincasare al più presto quella sera.

Aspetta con impazienza una manciata di minuti, poi sente dei rumori provenire dalla porta e vede sua moglie varcare la soglia.

La donna le sorride e appoggia la giacca e la borsa su una sedia, poi si avvicina a lei.

“Ti senti meglio?” le chiede apprensiva, con una nota di senso di colpa nella voce.

Senso di colpa per averla lasciata lì, da sola, ammalata, proprio come quella volta, un paio d'anni prima, in cui aveva finto di non essersi mai presa la varicella e l’aveva osservata per ore, a separarle un vetro, prima di sciogliersi dall’emozione e dalla gelosia e stare stretta a lei, su un letto d’ospedale.

Callie annuisce debolmente soffocando un colpo di tosse e sfregandosi gli occhi con una leggera punta di stizza.

Arizona si avvicina a lei e nota uno strano segno all’altezza della fronte, proprio sopra l’occhio destro.

“Che cosa ti è successo, Callie? Che cos’è questo segno?”.

“Niente”.

“Callie, non prendermi in giro! Questo è qualcosa, non un ‘niente’ come dici tu!”.

Callie si morde il labbro e ribatte: “Non posso dirtelo!”.

Arizona si porta le braccia all’altezza dei fianchi e la guarda con aria accigliata.

“Cos’è, una specie di segreto? Qualcosa di così losco e inconfessabile da non potermi rendere partecipe? Devo iniziare a preoccuparmi, Calliope?”.

Callie sorride all’idea di sua moglie, preoccupata per lei, per un piccolo e insignificante bernoccolo sulla fronte e allora decide di raccontarle tutto.

“Sono caduta dal letto, Arizona. Quando ho sentito che stavi per rientrare in casa per la seconda volta, dopo esserti scordata di nuovo le chiavi di scorta, ho provato ad alzarmi, anche se mi sentivo debole e ti avevo promesso che me ne sarei rimasta buona sotto le coperte sino al tuo ritorno. Sono caduta, ho sbattuto la fronte contro il pavimento e anche la nuca contro il comodino quando ho provato a rialzarmi, è per questo che non ti ho voluto dire nulla, sapevo che ti saresti arrabbiata con me!”.

Lo sguardo di Arizona si scioglie di fronte alle parole innocenti e disarmanti di sua moglie.

“Come hai fatto ad arrivare sin qui? Ti prego, dimmi che non sei venuta strisciando o peggio che ti sei rialzata in piedi, quando in casa non c’era nessuno e saresti potuta rimanere distesa per terra per diverse ore”.

“Mark, non mi sono rialzata da sola, ho afferrato il cellulare che tengo sul comodino e l’ho chiamato. Lui è venuto qui all’istante, mi ha aiutata a rialzarmi e mi ha accompagnata in salotto, sul divano, poi mi ha fatto tenere la borsa del ghiaccio, anzi due borse del ghiaccio, una sulla fronte e una sulla nuca, per un po’. Inoltre mi ha fatto visita altre volte, per  vedere se avessi bisogno di qualcosa, cibo, coperte, conforto… “.

“Conforto?”.

“Non quel tipo di conforto!”.

“Lo spero bene, Calliope, perché sai che potrei ucciderlo questa volta”.

“Arizona, calmati, ti ho promesso di esserti fedele e di amarti tutti i giorni della mia vita, ricordi? E tu mi hai promesso di starmi vicino, in salute e in malattia, perciò ora ti tocca prenderti cura di questa tua povera e imbranata mogliettina con la testa quasi rotta!”.

Arizona ride a queste parole e la bacia lievemente sulla guancia.

“D’accordo, mia povera mogliettina malandata, cosa ti preparo questa sera, brodino di verdure, semolino, pastina?”.

Callie scuote la testa e propone: “Pizza?”.

“Direi di no, almeno per i prossimi giorni dovrai restare a dieta, per non affaticare troppo il tuo organismo”.

“Uffa! Non bastano la tosse e la febbre, ora devo persino digiunare”.

“Non arrabbiarti, Calliope, ascolta, ora ci guardiamo un vecchio film, visto che piove troppo per fare qualsiasi altra cosa e che tu sei ammalata e non puoi alzarti dal divano”.

“E film sia!” ribatte sarcasticamente la donna.

E ad osservarle da lontano, loro due, accoccolate vicine sul divano di casa, sembra di vedere il fotogramma della coppia perfetta, del vero amore, una stretta all’altra a guardare un vecchio film, mentre Callie si addormenta a causa della febbre a dieci minuti dall’inizio e Arizona la osserva sino a tardi, come se lo spettacolo più bello della sua vita non fosse nient’altro che lei.
 
NdA:
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia e soprattutto chi mi ha suggerito nuovi prompt per altre storie: arizona giggia lane, _Trixie_ ed _Elizabeth_.
Questa storia è nata a partire da uno degli shot suggeritomi da _Trixie_, che spero abbia gradito il risultato.
A presto
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Un pomeriggio di shopping prémaman ***


 
Un pomeriggio di shopping prémaman

“Calliope, alzati dal divano!”.

Arizona stava fissando sua moglie al quinto mese di gravidanza, che se ne stava sdraiata sul divano, in salotto, a mangiucchiare caramelle, con suo grande disappunto.

“Mmmm, aspetta un secondo, Arizona, non ho ancora capito bene chi sia l’assassino, comunque sarei pronta a scommettere cinquanta dollari sulla governante” afferma la donna con convinzione, sgranocchiando una stecca di liquirizia con voracità.

Arizona si avvicina ulteriormente a sua moglie e la squadra con un’occhiataccia.

“Non guardarmi così, Arizona, sono in piena tempesta ormonale, ho diritto alla mia dose quotidiana di caramelle, caffeina e gialli dei primi anni settanta, è sulla lista, ricordi? Rientrano tra i miei diritti inalienabili di donna incinta!” ribadisce con la classica lacrimuccia da “sono un minestrone di ormoni, ho la nausea, i piedi gonfi e la schiena dolorante, come osi pensare di privarmi dei miei amati orsetti gommosi?”.

“Ne abbiamo già parlato, Calliope, ormai non c’è nulla che ti entri, non puoi sempre girare per la casa in tuta o in pigiama, qui ci serve una soluzione, un …”.

Calliope chiude gli occhi e si porta le mani alle orecchie.

“Non dirlo, Arizona, non dirmelo, ti scongiuro!”.

“Un pomeriggio di sano ed esaltante shopping prémaman!” grida lei, tutta elettrizzata.

Callie si porta la coperta sin sopra al naso.

“Non ne ho voglia, Arizona, sono stanca, non sono proprio dell’umore per vestirmi come una meringa”.

Arizona la guarda e le sorride.

E’ mai possibile che anche quando fa i capricci, Calliope sia così incredibilmente bella?

“Ok, Callie, qui ci vuole una tregua, un patto. Ti farò una proposta che non potrai rifiutare. Che ne dici di una cioccolata con la panna dopo lo shopping?”.

Callie alza gli occhi verso sua moglie e le fa un sorriso storto.

“Ti ho già detto che ti odio?”.

“Almeno un paio di volte nell’ultima ora”.

“Ah, già. Allora ti ho già detto che sei la mia spina nel fianco?”.

“No, questa mi mancava”.

“Perfetto!” esclama sarcastica Callie.

“Allora ti alzi dal divano?”.

“D’accordo! Ma sappi che sei un mostro!”.

“Lo pensi sul serio, Calliope?” le chiede Arizona incuriosita.

Callie riflette un istante.

“No, non lo penso. Però non vedo perché dovremmo andarci proprio oggi!”.

Arizona fa un respiro profondo e inizia: “Sono settimane che cerco di convincerti a comprare dei vestiti più adatti e di portarti in qualche negozio di articoli per bambini. Stiamo per diventare genitori, Calliope, e ancora non abbiamo arredato la stanzetta del bambino, né abbiamo preso vestitini o giocattoli anallergici. Sembra quasi che tu abbia paura, che tu sia spaventata da tutto questo. Non è forse quello che volevi, Calliope, un figlio?”.

Callie si alza dal divano e si dirige verso la sua stanza, apre l’armadio e butta i vestiti sul letto, alla ricerca di qualcosa da indossare, alla fine, con suo estremo disappunto, si vede costretta ad optare per un paio di pantaloni in felpa, scoloriti e senza forma.

“Mi stai ascoltando?”.

Callie annuisce.

“Cosa c’è? Che cosa non va?”.

“Sta cambiando tutto, Arizona, tutto ed io non sono pronta, non così. I vestiti non mi entrano più, mi sento sempre esausta e persino quella dannata crema da duecento dollari alle germe di grano, che prometteva miracoli, non ha sortito alcun effetto. Sono un disastro, non riesco nemmeno ad allacciarmi le scarpe come prima, stavo quasi pensando di indossare ciabatte, stivali, ballerine, insomma quelle cose lì, calzature senza stringhe per estirpare il problema alla radice. E se poi non fossi capace, Arizona, se fossi un disastro totale come madre o peggio se diventassi tale e quale a mia madre?”.

Arizona le sorride sollevata e l’abbraccia.

“Calmati, Callie, tu non sarai un disastro come madre, d’accordo? Non devi pensarlo nemmeno. Ma soprattutto non diventerai come Lucia Torres, non dopo tutto il soffrire che hai fatto a causa sua, perciò stai tranquilla. Devi solo respirare, vestirti e uscire a comprarti qualche vestito adatto per la tua gravidanza e ti prometto che farò di tutto per impedirti di comprare dei vestiti che assomiglino anche solo lontanamente ad un tendone da circo o ad un costume di carnevale. E poi sei bellissima così, non dimenticartelo, sei semplicemente perfetta”.

“Davvero?”.

“Sì”.

“D’accordo, allora cosa stiamo aspettando?Ho anche un paio di idee in mente sull’arredamento della cameretta di nostro figlio. Sai non voglio che nasca senza una culla e tutto il corredino pronto, per ora nella sua stanzetta ci sono solo scatoloni, valigie e un mucchio di scarpe”.

“Hai perfettamente ragione, Callie, non vorrei proprio che il bambino arrivasse prima che tutto sia pronto, però abbiamo ancora quasi quattro mesi per arredare il tutto, non c’è fretta”.

 
NdA:
Rieccomi qui con una nuova shot, questa volta ambientata nella settima serie, una sorta di missing moment di quando Callie aspettava Sofia.
Il finale è giocato molto sul fatto che loro due si aspettano di avere chissà quanto tempo per completare la cameretta della piccola, visto che Callie è solo al quinto mese e invece, dopo neanche un mese, ecco che arriva la piccola a completare la loro bolla rosa.
Spero che la shot vi sia piaciuta
Alla prossima
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Un serata di angosce e tequila ***


Una serata di angosce e tequila

Ci sono giorni in cui tutto va bene, è perfetto, fila liscio come l'olio.
Giorni in cui non piove e i capelli non si arricciano.
Giorni in cui la besciamella viene senza grumi e la maionese non impazzisce.
Giorni in cui il semaforo è sempre verde al tuo passaggio e trovi parcheggio senza dover girare a vuoto per un'infinità di tempo.

E poi ci sono quelli in cui tutto va storto.

I capelli sono un disastro e le collant smagliate, i tacchi si rompono nel momento meno opportuno, con un tempismo allarmante.
L'arrosto si brucia e il contorno resta crudo, proprio a mezz'ora dall'arrivo degli ospiti.
Quelle giornate sono una vera e propria tortura, un idillio spezzato dal principio alla fine.

In giorni come questi, tanto varrebbe restarsene a letto.

La giornata era iniziata come tante, un bacio sulle labbra appena sveglie, una colazione veloce e leggera, due chiacchiere prima di andare al lavoro e …

“Ah, dimenticavo, Calliope, questa sera andrò a cena con Joanne, fa un salto in città e mi ha chiesto di vederci” buttò lì Arizona con una certa nonchalance.

Callie divenne bordeaux di fronte a quelle parole, rischiando di soffocare a causa di un boccone che le stava ostruendo le vie respiratorie, soffocamento che fu sventato da un celere e pronto intervento della sua fidanzata.

“J-Jooanne? Dici, proprio quella Joanne?” domandò Callie dopo essersi ripresa.

Arizona non rispose, alimentando i sospetti della sua dolce metà.

“Può darsi, chissà …” rispose in seguito, lasciando che quella sua allusione facesse l’effetto che aveva temuto.

Calliope si rinchiuse in se stessa, fingendo maldestramente una certa indifferenza e provando a recitare la parte della donna moderna e dalla mentalità aperta.

“D’accordo, Arizona, se proprio ci tieni a rivederla, per me va bene, dopotutto non ti voglio imporre nulla. Divertiti questa sera con Jane!”.

“Joanne!” rispose Arizona osservando Calliope uscire dalla porta di casa sua, sbattendo la porta e dimenticandosi le chiavi dell’appartamento.

Calliope si ritrovò a vagare come un’anima errante e disperata per l’intero turno di lavoro, camminando e bevendo tazze di caffè ad un ritmo allarmante, dimenticandosi perfino della password della biblioteca e ritrovandosi a doverla chiedere a Cristina, che la osservava scuotendo la testa e spettegolando con Meredith.

Nemmeno Mark fu d’aiuto, anzi, a dire il vero, sembrò peggiorare la situazione, con frasi fatte del tipo: “Il primo amore non si scorda mai”, “Non preoccuparti, sarà solo una sbandata, ritornerà da te, prima che faccia giorno” e altre amenità di vario tipo che avevano sortito l’effetto di averla ridotta sull’orlo di una crisi di nervi.

Il suo orgoglio però le impediva di piangere davanti a tutti, di annegare in un lago di lacrime tutte le sue paure, tutti i suoi timori, le sue angosce, la visione della sua ragazza tra le braccia di un’altra, di una donna che non fosse lei.

L’unico rimedio al suo stato d’animo era annebbiare la mente, dimenticare il motivo per cui si sentiva così male, così a pezzi e l’unico luogo che conosceva e che facesse  proprio al caso suo, era il bar di Joe.
Dopo essersi levata il camice nello spogliatoio e aver indossato i pantaloni di velluto e un giacchino pesante, si avviò verso il locale.

Il bancone era lì, a una manciata di passi da lei, un richiamo irresistibile per le sue gambe stanche e il suo cuore spezzato.

“Una tequila, Joe!” disse senza nemmeno riprendere fiato.

E la prima tequila divenne ben presto la seconda, a terza e la quarta, finchè Joe, preoccupato per Callie, le si avvicinò dicendole: “Basta tequila, Callie, dovresti darci un taglio”.

Callie lo guardò stranita un paio di secondi, poi ridendo scioccamente, gli rispose: “Hai perfettamente ragione, Joe, basta tequila! Versami un whiskey! Doppio malto, mi raccomando, noi ci meritiamo solo il meglio!”.

Joe si guardò attorno e le chiese: “Noi, chi?”.

Callie scoppio a ridere.

“Noi, io e te, perché non bevi qualcosa anche tu? Alla nostra salute!”.

“Ascoltami, Callie, sei completamente ubriaca e la mia coscienza insieme alla legge mi impongono di non darti più nulla di alcolico da bere. Forse dovresti tornartene a casa. Devo farti accompagnare?” le chiese preoccupato.

“N-no, Joe – biascicò la donna – sono perfettamente in grado di tornarmene a casa da sola” disse sorreggendosi malamente sulle sue gambe.

Uscì dal locale e camminò lungo un vialetto, descrivendo una traiettoria per nulla rettilinea, aggrappandosi a lampioni, passanti, cartelli stradali, chiunque le capitasse a tiro per non cadere a terra.

Arrivata davanti alla porta, dopo aver tentato più volte di aprirla con le chiavi della macchina, forcine per capelli e carte di caramella, dovette constatare con disappunto di essere rimasta chiusa fuori.

Accese il cellulare per chiamare Arizona, ma non compose il numero per intero, ricordandosi del motivo per cui si trovava sbronza, a pezzi e senza chiavi di casa.

L’unica cosa che le sembrò sensata da fare, fu sedersi sullo zerbino ad aspettare il ritorno della donna e le chiavi per entrare nell’appartamento.

Ma il sonno, l’ebbrezza e la stanchezza si fecero ben presto sentire e Calliope si addormentò sull’uscio, vicino a lei la sua borsa aperta, il portafoglio, le chiavi dell’auto e le carte di credito in totale balia di chiunque fosse passato di lì.

Verso le undici, rincasò anche Arizona e, arrivata davanti all’appartamento che condivideva da un paio di mesi con Callie, se la ritrovò distesa sullo zerbino a dormire come un angioletto.

A malincuore dovette svegliarla e convincerla ad alzarsi, poi la aiutò a trascinarsi sino in camera, dove le tolse le scarpe e i vestiti, preparandole il pigiama e una tisana calda per alleviare la nausea e il mal di testa post ubriacatura.

“Spero che tu e Joanne vi siate divertite - biascicò Calliope – e che sia valsa la pena di rivederla stasera”.
Arizona sorrise di fronte alla gelosia della sua fidanzata.

“E’ stato il mio primo amore, Callie, la mia prima cotta e la ricorderò per sempre. Però tu non sei solo una cotta, non sei un’infatuazione adolescenziale, tu sei la donna con la quale voglio addormentarmi ogni sera e risvegliarmi ogni mattina, sei la donna con cui voglio vivere e, averla rivista questa sera, me l’ha fatto comprendere persino più di prima. Tu non hai motivo di essere gelosa, Calliope, io non voglio al mio fianco nessun’altra, io scelgo te”.

Sul volto di Callie si dipinse un sorriso, prima che lei cedesse al sonno, cullata tra le braccia della sua anima gemella.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Una stretta di mano ***


Una stretta di mano

 “Forse non dovremmo parlarne ora, Calliope. Forse non dovremmo parlarne mai” le disse Arizona fissandola negli occhi, anzi fissando di sghembo il suo volto, il suo sguardo dritto a terra, ai suoi piedi.

Callie annuì a malapena, guardando il pavimento con insistenza, scrutando i minuscoli granelli di polvere nella palestra dell’ospedale.

“F-forse -iniziò Calliope -forse è il momento giusto per parlarne, forse è il caso che cominciamo ad abituarci all’idea che potrei non riuscire a riprendere a camminare come prima, che potrei avere delle difficoltà a tenere tra le dita un cucchiaio, un bisturi, nostra figlia”.

La voce della donna si spegne, rotta dall’emozione, dal pianto, dallo sconforto.

“Calliope” la chiamò piano Arizona, “dovresti considerare anche la possibilità di una completa riabilitazione, di tornare come prima”.

Calliope non le diede retta e continuò a parlare, più a se stessa che alla sua fidanzata.

“Sai, c’è stato un momento, un momento piuttosto breve a dire la verità, circa venti secondi, venti secondi nei quali io non stavo dando retta a Mark, venti secondi nei quali ero del tutto certa che i nostri cercapersone non avrebbero suonato, venti secondi in cui mi sentivo di nuovo bella e desiderabile e tu mi avevi appena chiesto di sposarti. Venti secondi nei quali avevo toccato il cielo con un dito. E poi, come sulle montagne russe, come al termine di un corso d’acqua al limitare di una ripida e scoscesa cascata, abbiamo iniziato la discesa verso il basso, brusca, terribile, sconvolgente. Il ventunesimo secondo, il mio castello  di carte è crollato e con lui sono caduta a terra anche io, sgretolandomi in mille pezzi sparpagliati e incompleti, mescolati dal vento”.

“Sei ancora viva, Callie, sei ancora qui, non dimenticartelo. Hai rischiato di perdere tutto, io ho rischiato di perderti, ma sei qui, vicino a me, qui con Sofia”.

Calliope continuò a parlare tra sè e sè, quasi ignorando le timide proteste, le spiegazioni di Arizona.

“Prima è passata una donna, vicino al nido, lei e suo marito indicavano un bambino rosa e paffutello, dolce e perfettamente sano, di quei bambini che sembrano più grandi della loro effettiva età. Io li ho osservati a lungo, poco lontano, vergognandomi come una ladra per quello che stavo pensando.
In fondo, ho desiderato di essere al suo posto, di aver avuto una gravidanza come tante altre, magari un banale parto naturale, di quelli che si raccontano alle amiche per gli anni a venire ricamandoci sopra un po’ di volta in volta”.

Arizona la osservò, i suoi occhi azzurri e cerulei e le appoggiò una mano sulla spalla, cercando di avere un contatto con lei, di stabilire un rapporto in qualche modo.

“Io ho provato invidia, Arizona, li ho invidiati con tutta me stessa, ogni singola fibra del mio corpo ha provato questo sentimento, il sentimento che tra tutti più odio ma che devo ammettere di aver provato con tutte le mie forze. Non riesco a tenere in mano nessun oggetto per più di venti secondi di fila senza che le mie dita non mollino la presa, senza che il mio cervello smetta di controllare i miei muscoli, i miei fasci nervosi, senza che il mio senso di frustrazione non accresca di fronte alla mia totale incapacità di ricominciare a vivere come prima!”.

“Callie, forse dovresti darti un po’ di tempo, essere meno dura con te stessa, aspettare che il tuo corpo riesca a recuperare le forze un po’ alla volta, senza esagerare, un passo, dopo l’altro. Io sono qui, ogni volta che starai per cadere ti prenderò al volo, perchè è così che deve essere ed è così che sarà, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia. E per quanto riguarda quella coppia, tu non hai nessun motivo per invidiarli. Tu hai me ed hai Sofia e lei è forte, proprio come la sua mamma. Cresce, lotta, combatte e vince ogni singolo giorno la sua piccola battaglia quotidiana per sopravvivere ed io sono orgogliosa di lei, così come sono sicura che anche tu provi gli stessi sentimenti per la nostra piccolina. E poi, sono orgogliosa di te, Calliope, sono orgogliosa del fatto che tu abbia accettato di sposarmi, di rendermi madre, di ritornare a vivere dopo l’incidente. Perciò sappi che ti amo e che non lascerò per nulla al mondo che tu ti arrenda e smetta di lottare, perchè tu sei una donna forte ed io non ti lascerò andare, perchè io proteggo le persone che amo”.

Una piccola goccia argentea solcò il viso di Callie.

“Anche se non riesco a stringere nulla per più di venti secondi di fila?”.

“Ventuno!”.

Calliope la osservò incuriosita e spaventata.

“Mi hai stretto la mano per ventuno secondi, senza lasciarmela nemmeno un istante, una presa forte e salda come quella che ho imparato ad amare”.

“Ventuno” ripeté Calliope sorridendo con le guance colme di lacrime salate.

“Sì, ventuno, come i giorni trascorsi dall’incidente, come i giorni di vita di Sofia, come i baci che tra qualche istante ti darò. Sei pronta, amore?”.

Calliope annuì sorridendole, prima di sciogliere tutta la tensione accumulata in un bacio dolce e disperato, un bacio che aveva il sapore di una vittoria.

Gli occhi azzurri e infiniti di Arizona si specchiarono in quelli scuri ed espressivi di Calliope, mescolandosi in un solo attimo in un abbraccio caldo e avvolgente che aveva lo stesso sapore del ritornare alla vita, alla speranza, all’amore.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Un doloroso addio ***


Spoiler Alert!
Questa shot contiene riferimenti all’episodio 9X23, chiunque non l’abbia ancora visto e non voglia alcun tipo di spoiler, farebbe meglio a non leggere.
 

 
Un doloroso addio

 La pioggia batteva incessantemente sui vetri delle finestre, l’appartamento era  buio, senza luce, la tempesta aveva lasciato interi quartieri senza nemmeno una lumicina fioca entro la quale riuscire a distinguere gli uni dagli altri, lungo le vie.

Era marzo inoltrato e l’inverno non sembrava avere la minima intenzione di lasciare il posto alla primavera, si comportava come se fosse saltato direttamente all’autunno, togliendo lo spazio alle giornate miti, calde e piacevoli, che sapevano così bene come far tornare il buonumore alle persone e rischiarare le loro vite, anche nei momenti più bui.

Anche se c’erano alcuni momenti più bui di altri e persone che non sarebbero state in grado di ritrovare loro stesse facilmente, perché non ricordavano più che la felicità  si può trovare anche negli attimi più tenebrosi e che basta solo ricordarsi di accendere la luce.

Calliope sedeva sulla sedia a dondolo, stringendo tra le braccia Sofia che aveva la febbre e lamentava un forte mal di orecchie, sfogando tutto il suo dolore nelle lacrime che le scendevano lungo le guance e le bagnavano il pigiamino a righe.

I lampi e i tuoni si facevano sempre più forti e il vento soffiava così intensamente da imitare gli ululati di un branco di lupi selvaggi, un branco affamato e senza nulla da perdere.

Sofia teneva stretto a sé il carillon che aveva ricevuto per il suo secondo compleanno dal suo papà, ascoltando con avidità la musica che emetteva, come se attraverso di essa, riuscisse a risentire di nuovo la sua voce, forte e decisa, e la sua presa amorevole e salda che percepiva ogni qualvolta la tenesse tra le braccia, la mettesse a dormire, la facesse volare su, verso il soffitto, per poi riprenderla al volo e compiacersi dei suoi sorrisi.

Le ore trascorrevano lente, l’orologio scandiva il tempo rumorosamente, facendo pesare, lancetta con lancetta, le ore, i minuti, i secondi, che la separavano dal ritorno di sua moglie.

Era così preoccupata per lei, così sconvolta dall’assenza di sue notizie che sarebbe partita anche subito, a piedi, in bicicletta, in auto, persino a bordo di uno skateboard, per andare a riprendersi la sua Arizona.

Ma sarebbe stato sciocco e inutile cercare sue notizie, riportarla indietro, perché era stata proprio lei ad urlare forte, più forte di tutti, quella sera, era stata lei ad indicarle la porta, lei a dirle di uscire per sempre dalle loro vite.

Erano passati i giorni, le settimane, senza vederla, evitando di incrociare il suo sguardo, prendendo l’ascensore al posto delle scale, le scale al posto dell’ascensore, per evitarla, per non dover di nuovo fare i conti con lei, per non doverli fare con se stessa.

E quello che lei faceva ancora più male era l’essere da sola, non single, ma sola, perché nonostante abitasse in una città di oltre seicentoventimila abitanti, nonostante lavorasse in un ospedale tra i più grandi e rinomati della West Coast, Calliope trascorreva la sua nuova vita in totale solitudine.

Si ostinava a mangiare nello scantinato, come una specializzanda qualunque al primo giorno di servizio e si trascinava per i corridoi struccata e distratta, con le occhiaie pronunciate e il volto di chi aveva le lacrime in tasca.

Era stanca, sfiduciata ed era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva sorriso, sorriso davvero, che il solo pensiero di allenare di nuovo i muscoli facciali, la spaventava e la inquietava non poco.

Soprattutto considerando che, per quanto l’ospedale fosse grande e lei cercasse di rendersi invisibile, i pettegolezzi erano volati talmente in fretta, che lei aveva ricevuto una lunga serie di occhiate compassionevoli, note di biasimo e inviti a cena, battutine alle spalle, da far impazzire persino una donna dai nervi saldi come lei.

Arizona era rimasta a Seattle per tutto quel tempo, ma, nonostante ciò, a Calliope sembrava che fosse partita, che se ne fosse andata per sempre, allontanandosi da lei, proprio come le aveva gridato contro nell’esatto momento in cui i tasselli del puzzle avevano cominciato ad avere un senso.

Quando il caffè, lo stanzino, gli sguardi, il modo differente in cui la guardava sua moglie negli occhi e la voce diversa dal solito, distaccata, avevano cominciato ad insospettirla.

Un indizio da solo non significa nulla, ma tre indizi iniziano a fare una prova.

E in quell’istante lei si sarebbe tanto voluta sbagliare.

Invece gli occhi di Arizona avevano guardato verso il basso e le sue guance avevano iniziato ad arrossire per la vergogna, di essere scoperta, di aver sbagliato.

Allora era in trappola, scoperta, alla luce del sole.

“Perché? Arizona, dimmi solo, dimmi solo il perché!” le chiese con la voce tremante per la rabbia, con la voce infervorata dalla delusione.

Arizona restò in silenzio a lungo, così a lungo, che quando trovò le parole da dire, Calliope le aveva già chiuso la porta in faccia.

E quel giorno, quella notte, tutto sembrò perduto, tutto sembrò finito.

Quel giorno, quella notte, le lacrime furono versate, mani nude  pulirono il pavimento fino a sanguinare e il muro abbracciò spalle troppo fragili per sorreggersi da sole.

E loro sole, chiuse in una stanza, una stanza vicina, una stanza lontana, vuota, a respirare la fine di un capitolo della loro vita, la fine di loro due.
 
 
 
NdA:
Ok, sto per piangere, dopo la 9x23 sono sconvolta per le Calzona e anche se credo (spero) che alla fine riescano a chiarirsi, sento che qualcosa si sia incrinato per sempre tra loro due, che non ritornerà del tutto a posto.
Ora me ne vado a studiare …
A presto
Lulubellula
p.s. che cosa ne pensate?
p.p.s la frase in corsivo è presa da Harry Potter (Silente docet!)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Una notte senza nuvole ***


Una notte senza nuvole

La notte era sempre stata il suo elemento naturale.

C’è chi riesce a concentrarsi e a dare il meglio di sé al mattino presto, chi verso l’imbrunire, chi tra le dieci e mezzogiorno.

Il momento della giornata che Arizona preferiva in assoluto era la notte, tra le undici e quaranta e le tre, quando era troppo tardi per definirla sera e troppo presto per chiamare quelle ore mattino, a cavallo tra il tramonto e l’alba.

In quegli istanti, Arizona riusciva a vedere tutto in modo più vivido, reale, persino più distaccato, perché il buio e le sue ombre spaventose o il chiarore della luna sapevano trasfigurare gli oggetti e le persone come nient’altro al mondo, donando loro una chiave di lettura, un nuovo paio di occhi per guardarle nella loro disarmante semplicità e immediatezza.

Come se la luce del giorno invece di permettere di vedere meglio, nascondesse, celasse agli occhi ciò che il buio della notte invece restituiva, come le onde del mare che scagliano sulla riva le conchiglie e i frammenti di vetro colorati, erosi dall’acqua, nascosti agli sguardi dei più.

E lei a quell’ora tarda vedeva sua moglie sotto una luce diversa, rinnovata, la guardava cullare Sofia da lontano,  camminava avanti e indietro per la stanza e le sussurrava dolcemente le note di una ninna nanna nella sua lingua madre, infine si appoggiava su una sedia a dondolo, continuando a mimare il movimento che alla piccola piaceva tanto.

Quel cullare istintivo che ricordava alla neonata il ventre materno e il galleggiare nell’acqua, che le riportava alla mente la voce delle sue mamme prima ancora di nascere, che le parlavano come se lei fosse stata già  lì, tra le loro braccia amorevoli, le loro spalle materne, il loro cuore grande e caldo, che più di qualunque altra cosa al mondo riuscivano a calmarla.

Callie continuava a cullare la piccola, cantando piano per evitare di svegliare la sua amata consorte, che era tornata tardi dal lavoro e che invece la stava osservando nel buio, come si ammira una perla rara, un tramonto particolarmente commovente, uno spettacolo unico al mondo.

Perché ai suoi occhi, Callie e Sofia apparivano così, le sembravano perfette e speciali, e talvolta si domandava come fosse riuscita ad ottenere la vita che aveva, che cosa avesse fatto o detto per essere arrivata a costruirsi con loro quel piccolo angolo di Paradiso.

Le si inumidivano gli occhi a pensarci, a pensare a loro, alle due persone più importanti della sua vita, che stavano sedute, sua figlia tra le braccia di sua moglie, nel salotto di quell’appartamento, di casa loro.

Si ripeteva che stava toccando il cielo con un dito, che per quanto avessero sofferto e rischiato vicendevolmente di perdersi, ne era valsa la pena, che ogni lacrima versata, ogni bacio, ogni sorriso le aveva portate a camminare l’una al fianco dell’altra, sino a lì.

E niente e nessuno le avrebbe separate, perché Arizona era seriamente intenzionata ad alzarsi tutte le notti ad ammirarle, da vicino o da lontano.

Avrebbe aiutato Sofia nei compiti, sarebbero rimaste alzate sino a tardi a studiare le poesie, ad imparare le tabelline, a scrivere su un quaderno temi e pensieri.

La avrebbe aiutata a crescere insieme a Callie, le avrebbe insegnato l’ottimismo e la magia, la magia di credere che la vita è meravigliosa, nonostante tutto e che la famiglia, l’amore, l’amicizia sono quasi tutto, persino tutto il più delle volte.

E le avrebbe insegnato a non avere paura del buio, a dormire con le lenzuola rimboccate da lei tutte le sere, ad abbracciarla il suo corpo ed una fiaba nuova ogni sera, una canzone cantata da Callie.

Perché la vita è breve, difficile, dolorosa a volte, ma anche colma di sentimenti, di gioia, di fiducia e fedeltà e se Arizona riesce a vedere tutto questo negli occhi della persona che ha scelto come anima gemella per la vita, avrà delle spalle su cui piangere, delle labbra da baciare, dei sorrisi a illuminarle la giornata, una bambina perfetta da prendere tra le braccia e riportare nel suo lettino e una donna meravigliosa da svegliare piano a riempire la sua vita.

Ed è proprio per questo che Arizona non ha più paura del buio, è proprio per questo che la notte è diventata il suo momento preferito della giornata.

Per questo motivo, quella notte e le seguenti, il cielo è una coperta di stelle e non c’è nemmeno l’ombra di una nuvola.


 
NdA:
Avevo bisogno di ricordarmele così, la shot si può collocare tra la fine della settima stagione e l’inizio dell’ottava.
Spero che la shot vi sia piaciuta, fatemelo sapere
Alla prossima
lulubellula
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Un motivo per restare ***


     Post 9x24


Un motivo per restare

Callie corse fuori dall’ospedale, sotto la pioggia, sotto le stelle, a piangere, a sfogare tutta l’amarezza, il dolore, l’odore del tradimento che sentiva ancora impigliato addosso, ai vestiti, al suo corpo.

Percorse velocemente il breve tragitto tra l’ospedale e il suo appartamento, con indosso il camice e le scarpe ortopediche, in tutto e per tutto abbigliata come un chirurgo prima di operare e non come una donna che aveva appena visto infrangersi il suo matrimonio in mille pezzi.

Entrò nel soggiorno e chiuse la porta con forza, lasciandosi il portone alle spalle, lasciandosi scivolare sul tappeto color cioccolato senza nemmeno badare al fatto che la stanza fosse disseminata di giocattoli di Sofia, di bambole, carillon, libri di fiabe.

E la sua, la sua fiaba si era appena spezzata per sempre, si era incrinata piano e poi scheggiata, fino a che, alla prima tempesta, le era crollata addosso, un ammasso di schegge di odio, di risentimento, di accuse, che le erano piombate contro sino a travolgerla del tutto.

Il pavimento freddo di casa sua raccoglieva tutte le sue lacrime, quasi come un vecchio amico che ti porge un fazzoletto e ti abbraccia finchè non ti rispunta il sorriso sulle labbra.

Callie prese il telefono senza nemmeno alzarsi in piedi, trascinandosi fino al tavolino nell’ingresso e iniziò a comporre un numero.

Poi lo cancellò.
Ne compose un altro.
E lo cancellò di nuovo.
Ne compose un ultimo.
E il telefono suonò a vuoto nell’appartamento di Mark.

Allora si lasciò scivolare di nuovo a terra, ma si mise seduta, le spalle appoggiate al muro, le ginocchia portate al petto e le lacrime a bagnarle gli occhi.

Passarono diversi minuti, quasi un’eternità, fino a che Calliope comprese cosa avrebbe dovuto fare e si alzò in piedi con una nuova forza, una forza che aveva dimenticato di avere, ma che in fondo aveva sempre posseduto e in cuor suo saputo di possedere.

Andò nella camera da letto e si fermò un istante a rimirare il letto che una volta era stato loro e che ora non sentiva nemmeno più suo, buttò a terra le lenzuola, i cuscini, il materasso, fino a che non restò null’altro da scagliare ovunque.

Poi scavalcò quella montagna di oggetti e raggiunse l’armadio, prese dei vestiti a casaccio, felpe, top, maglioni, qualche paio di jeans e le infilò senza troppa cura in una valigia di colore rosso.

Aggiunse pochi effetti personali e non portò con sé alcuna fotografia, poi entrò nella stanzetta di Sofia e fece lo stesso con i suoi vestitini.

Infine si avvicinò alla porta e si trovò davanti l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto incontrare in quel preciso istante: sua moglie.

Arizona osservò Callie, il camice bagnato, i capelli un po’ arruffati dalla pioggia, gli occhi che portavano i segni, tutti i segni del suo stato d’animo, la valigia che teneva stretta a sé.

“Che cosa stai facendo, Callie?” le chiese, con la voce rotta.

“Direi che la mia valigia parla da sé, io non ho nulla da aggiungere”.

“Callie …” iniziò.

“No, niente Callie. Sto facendo esattamente quello che mi hai chiesto, la smetto di comportarmi come se anche io fossi una vittima. Non sono una vittima? Bene, perfetto, magnifico. Eccoti accontentata! Levo il disturbo, me ne vado, ti lascio la possibilità di liberarti di me, di quella donna tanto egoista ed esibizionista, che ha fatto credere a tutti di essere una donna forte, una santa, una roccia!” disse lei senza nemmeno riprendere fiato.

“D-dove vai? Dove hai intenzione di andare? Non pensi a Sofia, non pensi a nostra figlia?” le disse trattenendo a stento le lacrime.

Callie scoppiò a ridere, una risata amara, ironica, cupa.

“Io, mi stai dicendo che non penso a mia figlia? Non farlo mai più, mai più!” gridò.

“Callie …”.

“Io penso a lei, in continuazione. Ok? Se c’è qualcuno in questa stanza che non ha pensato lei, Arizona, questa sei proprio tu! Se c’è qualcuno che ha fatto un’idiozia senza pensare alle conseguenze, quella non sono io!”.

“Callie”.

“Adesso fammi passare!”.

“Dove vai?”.

“Me ne vado!”.

“Dove?”.

“Me ne vado via e porto con me mia figlia!”.

“Callie!” gridò forte Arizona.

“Perchè lo fai?” le gridò nuovamente contro, dato che non aveva ricevuto alcuna risposta.

Callie si fermò un istante, si asciugò le lacrime e le disse:”Non mi hai dato altra scelta, Arizona. Tu non mi hai dato un’altra scelta. Io sono una donna, una moglie, un chirurgo, ma prima di tutto io sono una madre e una mamma vuole solo il meglio per i propri figli e questo – indicò loro due, la casa, il pavimento – questo non è il meglio che posso offrirle, questo non è nemmeno accettabile. Non è in quest’inferno che si merita di crescere, non è vedendo due persone che non si amano più, che non si rispettano, - Arizona abbassa lo sguardo a terra – che non riescono nemmeno più a guardarsi negli occhi, non è questo che mi aspettavo per lei, non è questo che volevo per me!”.

“Hai intenzione di portarmela via? Hai intenzione di andartene per sempre e chiuderti questa porta alle spalle, di non tornartene più indietro? Non puoi farlo! Non puoi andartene via!” le disse, pregando che lei ascoltasse, che le prestasse attenzione.

Calliope la guardò negli occhi intensamente, come non faceva da moltissimo tempo.

“Dammi una ragione, un motivo, dammi una buona ragione per restare, Arizona. Solo una. Un motivo per cui io dovrei disfare la valigia, rientrare in casa nostra e ricominciare tutto da capo, riprovarci”.

Arizona rimase zitta, non disse nemmeno una parola.

“Bene, perfetto, proprio quello che pensavo” disse con amarezza e si voltò.

“Noi!” gridò sua moglie.

“Cosa?” chiese Calliope.

“Noi” ripeté a voce più bassa.

Calliope rise di nuovo con sarcasmo.

“Non credo nemmeno che esista più un ‘noi’, Arizona, dovrei tornare sui miei passi per qualcosa che non c’è più, che è solo un ricordo sbiadito?”.

“Noi non siamo un ricordo sbiadito, Calliope, non ci siamo ancora! Non siamo qui!”.

“No, Arizona! Io sono qui, tu sei qui, ‘Noi’ non siamo qui, noi non ci siamo più!” le urlò contro piangendo.

“Callie!”.

La donna continuò a camminare per la sua strada.

“Callie!”.

La donna iniziò a scendere le scale senza nemmeno voltarsi indietro.

“Callie!” gridò Arizona, prima di iniziare a scivolare, dopo aver mancato una gradino e piombando addosso a sua moglie.

Calliope si voltò a quell’ultimo grido, buttò istintivamente la valigia a terra e cercò di prenderla al volo, ma venne investita dal suo corpo e rotolò per gli ultimi otto gradini insieme a lei.

“S-stai bene?” le chiese Arizona terrorizzata.

La donna si toccò la fronte che sanguinava e macchiò il pavimento con qualche goccia del suo stesso sangue.

“Calliope?” le chiese preoccupata.

“S-sto bene! Sto bene” disse asciugandosi la ferita con un fazzoletto.

“Mi hai, mi hai preso al volo, mi hai salvata” le disse.

“Ti ha vista cadere e non ci ho nemmeno pensato, ho agito e basta” le disse con semplicità.

“Eri arrabbiata, furiosa, stavi per andartene via, ma mi hai salvata”.

“A quanto pare” le disse accennando un sorriso.

“Grazie”.

“Dovere. Sei sempre la madre di mia figlia, no?”.

“Già”.

“Ora forse dovremmo alzarci in piedi. Mi stai massacrando la schiena”.

“Scusa”.

“Ora dovrei andarmene”.

“Callie!”.

La donna si voltò.

“Resta”.

“Dammi una buona ragione”.

“La mia risposta è sempre la stessa”.

“Noi?”.

“Sì, non tu ed io, noi, mi hai salvata, Callie, hai messo in pericolo te stessa, di nuovo, per prendermi al volo. Sei qui, hai i capelli fradici di pioggia, la fronte sporca di sangue, i vestiti pieni di polvere, la schiena a pezzi e mi stai ancora ascoltando. Ed io ho bisogno che resti. Ho bisogno di rimettere insieme i pezzi, di avere la possibilità di espiare le mie colpe, di avere la possibilità di riprovare a ricostruire la nostra casa di sabbia distrutta dalla tempesta e di costruirne una di pietra, indistruttibile, forte, eterna. Resta e dammi la possibilità di mantenere il mio impegno, Calliope, resta e non ti deluderò”.

Callie tacque e annuì piano, prese tra le mani la valigia e si avviò verso l’ascensore.

Destinazione: appartamento 502.
 


NdA:
Spero che vi sia piaciuta, aggrappiamoci a questa What if con tutte le nostre forze aspettando settembre
Alla prossima
lulubellula

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Una colazione con i fiocchi ***


Una colazione con i fiocchi

“Stanotte ti ho sognata, Arizona” le disse Calliope piano, baciandola dietro ad un orecchio e svegliandola dolcemente.

“Mmm, Callie. E’ l’alba, che ore sono? Ho bisogno di dormire ancora, almeno fino alle sette” le disse girandosi dall’altra parte.

“E non vuoi nemmeno sentirlo, non sei curiosa di sapere quello che ho sognato?”.

Arizona si girò nuovamente.

“Veramente no. Preferirei dormire, se dovessi scegliere”.

Callie annuì piano delusa e si girò dall’altro lato.

“Ok, come vuoi. Continua a dormire. Io mi alzo”.

“Mmm” mugugnò sua moglie come risposta.

Calliope indossò una vestaglia e uscì dalla stanza, cercando di fare meno rumore possibile.

Se ne andò in cucina ed iniziò a rovistare nella credenza, in frigorifero, tra gli utensili per cucinare.

Prese un grembiule rosa e se lo legò in vita, poi iniziò a racimolare gli ingredienti per preparare la colazione: uova, latte, burro, lievito per dolci, cioccolato e cominciò a mescolarli insieme secondo un ordine ben preciso, in modo che le si unissero perfettamente tra di loro.

Dopo aver ottenuto un impasto cremoso ed uniforme, lasciò scivolare il composto in una tortiera dalla forma inusuale e la ripose nel forno ventilato preriscaldato.

Infine preparò della spremuta d’arancia e spalmò marmellata e crema al cioccolato sulle fette biscottate, cercando di compiere tutte queste operazioni nel modo più silenzioso possibile, in maniera tale da non svegliare Sofia e Arizona.

Poi aspettò che la torta cuocesse a puntino e si sedette sul divano a leggere una rivista patinata nell’attesa, godendosi quel momento di tranquillità, prima del suo turno in ospedale.

Corse in cucina pochi istanti prima che il timer suonasse e attese un paio di minuti prima di aprire il forno, in modo che la torta non si rovinasse, accasciandosi al centro.

Prese il guanto e tolse la teglia, lasciando che il dolce riposasse una ventina di minuti a temperatura ambiente, poi lo ripose su un piatto da portata, con il bordo di colore blu.

Sul suo volto si dipinse un sorriso per il risultato ottenuto.

Camminò piano fino alla stanzetta di Sofia e la convinse a venire in cucina con lei.

La bambina si stropicciò gli occhi e trascinò dietro di sé il suo orsacchiotto di peluche preferito.

“Vieni a lavarti le mani, Sofia” le disse, prendendola in braccio e avvicinandola al rubinetto.

“Adesso cosa facciamo, mamma?”.

“Ora prendiamo lo zucchero a velo e tu mi aiuterai e cospargere la torta per mama”.

“Davvero?” le chiese la piccola con gli occhi che brillavano per la felicità.

Calliope annuì e le sorrise.

“Vieni qui, cavalletta! Mettiamoci all’opera!”.

Le due decorarono il dolce con lo zucchero a velo, poi si avviarono verso la camera da letto, dove Arizona continuava a riposare.

“Mi raccomando, Sofia, fai piano, non come …”.

La bambina si lanciò sul lettone e atterrò sulla schiena di Arizona.

“ … al solito” disse Calliope, ridendo di fronte al brusco risveglio della moglie.

“Sofia!” gridò Arizona di rimando, prendendola in braccio e stampandole un bacio sulla guancia.

“E’ stato un risveglio piacevole, eh?” le disse Callie, che sorreggeva il piatto con il dolce.

“Già, piacevolissimo!”.

“Ed è solo l’inizio”.

“L’inizio? Perché, cos’altro mi aspetta?” le chiese incuriosita.

“Per cominciare, una torta Paradiso cucinata dalla tua dolce mogliettina e decorata insieme a Sofia”.

“Wow, è bellissima ed è a forma di …”.

“Di angelo, sì. Proprio come nel mio sogno”.

“Hai sognato un angelo?” le chiese con aria interrogativa.

“No, ma ho sognato voi due, questo letto e la colazione, c’era una torta cosparsa di zucchero a velo, le lenzuola piene di briciole e noi tre che ridevamo felici. Ed ho pensato che una Torta Paradiso a forma di angelo, facesse al caso nostro”.

“Perché siamo degli angioletti noi due?” scherzò la donna, prendendo in braccio Sofia ed assumendo un’espressione dolce e buffa.

“Perché siete il mio Paradiso dolce e dal sapore di zucchero, morbido e celestiale. Perché tocco il cielo con un dito ogni volta che trascorro del tempo con voi” le disse e si avvicinò piano a baciare sua moglie.

“Anche io!” protestò la bambina.

“Eccoti accontentata!” le dissero in coro, dandole un bacio sulla guancia.

“Dovremmo fare un brindisi ora! - propose Arizona – c’è dello champagne? Dello spumante?”.

Callie rise.

“No, mi dispiace, niente bollicine!”.

Sofia scese dal letto e tornò con la brocca di plastica contenente la spremuta.

“Ecco, ho portato da bere!” esclamò soddisfatta.

“Grazie, tesoro!”.

“Ora facciamo un brindisi”.

“Al nostro Paradiso, alla spremuta, alle briciole sul letto, alla mia schiena dolorante e a noi tre!” disse Arizona ad alta voce.

Avvicinarono i bicchieri e Sofia si alzò il piedi sul letto matrimoniale per il brindisi, rovesciando tutto il contenuto sui capelli di mama.

“Sofia!” esclamò Arizona, pulendosi la fronte.

“Non lo sai che porta bene bagnarsi con lo champagne?” le disse Callie, rotolando dalle risate.

“Ah, sì. Buona fortuna!” e rovesciò altrettanta spremuta sulla testa della moglie.

“Ora me la paghi, Arizona. L’unico modo per risolvere per rimediare a questo affronto è …”.

Sofia iniziò a saltellare sul letto: “Un torneo di solletico!”.

“Esatto, Sofia, noi due contro mama!”.

“Non vale!” esclamò Arizona, prima di venire travolta dai suoi due angeli preferiti.


 
NdA:
Dopo avervi sommerse con un’ondata di fluff allo stato puro, vi comunico che, con i prompt che avevo scelto e con quelli che mi avete suggerito, posso arrivare sino all’ottantesima shot …
Sempre che qualcuno non mi cacci prima.
Se avete comunque prompt da suggerire, domande, commenti, dubbi, scriveteli qui sotto …
Alla prossima
lulubellula
p.s. grazie a _Trixie_ che mi ha suggerito il prompt alla base di questo capitolo
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Un dolore e una speranza ***


Un dolore e una speranza

 Meglio andare a dormire, domani sarà un giorno nuovo, migliore e vedrò tutto sotto una luce diversa.
Forse.

Il mio cuore sta sanguinando, gocce di senso di colpa mi scivolano sulla pelle, mi bruciano gli occhi, mi scorrono nelle vene come se fossero litri e litri di veleno ad uccidermi lentamente.

“Dormire non servirà a niente” penso mentre faccio la spola tra la stanza di Callie e il reparto di patologia neonatale, dove si trova la mia, anzi nostra piccola Sofia.

Non riesco a credere che tutto quello che ci è successo sia reale, sia accaduto proprio a noi.

“Le persone felici, le persone innamorate non dovrebbero stare male, non dovrebbero soffrire, non dovrebbe accadere nulla di brutto nelle loro vite” penso tra me e me, sentendo risuonare nella mia mente quelle parole che hai ripetuto tante volte, così tante che mi sembra di sentirtele pronunciare di nuovo.

Allora perché a noi? Allora perché a voi?
Perché tutto questo dolore? Perché tutta questa sofferenza?
Come mai l’universo intero sembra avercela con noi e non ci lascia vivere in pace, non ci lascia essere felici?

Io ti amo, ti voglio sposare, abbiamo una figlia, voglio venire al nostro matrimonio, non al tuo funerale, Calliope!

Lotta! Combatti! Aggrappati con tutte le tue forze alla vita perché se ti lasci trascinare via, non riuscirò a sopravvivere, perché se ti lasci morire, Sofia perderà due madri, non una sola.

Aggrappati con tutta te stessa al filo sottile che ci tiene vivi, a quella speranza che non muore nemmeno quando non rimane più nulla da fare, lotta contro la ferocia di questo mostro che ti sta portando via da me, lotta e non soccombere, Callie, lotta e sconfiggilo!

Salvati affinchè possa salvarmi anche io, salvati perché la corrente sta trascinando via anche me, vivi perché semplicemente non potrei sopravvivere un solo giorno senza averti al mio fianco.

I macchinari continuano a monitorare una Calliope senza coscienza, senza risposte, una Calliope che sembra una marionetta dai fili spezzati, che assomiglia incredibilmente alla donna che amo e al tempo stesso non è lei.

Lei che con il suo sorriso riempiva la mia vita, che con la sua risata mi illuminava l’anima, con il suo sguardo risollevava le mie giornate storte.
Lei che mi avrebbe seguita in capo al mondo sacrificando la sua felicità in nome della mia, lei che aveva pianto vedendomi allontanare in aeroporto e lasciando che me ne andassi via.
Lei che se ne stava in un letto a respirare la mia paura, che mi stringeva la mano e poi la lasciava, che stava pagando per colpe non sue e, nonostante tutto, non mi avrebbe odiata.



Tienilo nascosto”.
“Cosa?”.
“Il sesso del bambino. Mark non deve sapere che non abbiamo resistito e abbiamo dato una sbirciatina” mi rispose Calliope, sussurrando per paura che qualcuno si potesse sentirne parlare alle tre di notte nel nostro appartamento.
“Non posso credere che sia …”.
“Nemmeno io, non potrei esserne più felice”.
“Credo che dovremmo sceglierle un nome, Arizona”.
“Non è necessario, abbiamo ancora tempo e domani mattina partiremo per il nostro week end romantico”.
“Mi sentirei più a mio agio se ne scegliessimo uno invece, se ne parlassimo insieme” mi disse con espressione neutra, ma seria.
“Ok. Proposte?”.
“Io comincerei dai nomi di famiglia, da quelli dei nonni”.
“Lucia?”.
Ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere.
“No, direi che mia madre basta e avanza. Non lasciamo a nostra figlia quest’eredità”.
“Barbara?”.
“Nah! Non mi convince”.
“Ok, allora le versioni femminili dei nonni, Danielle o Carla”.
“Direi che la scelta del nome di famiglia è una sciocchezza colossale. Preferisco che abbia un nome che sia solo suo. Qualcosa di nuovo”.
“Io ne ho uno in mente” dissi.
“Sì?”.
“Sì”.
“Sputa il rospo, donna!”.
“Sofia”.
“Sofia? E’ dolce, melodioso, antico, dà l’idea di una persona equilibrata e saggia. Mi piace”.
“Davvero?”.
Callie annuì.
“Per il secondo nome, ho già scelto, Arizona, e non ammetto obiezioni”.
“D’accordo”.
“Vorrei che si chiamasse Robbin, in onore della sua mamma con i pattini a rotelle”.
“Sei sicura?” le chiesi con la voce tremante dall’emozione.
“Sì, Sofia Robbin Sloan Torres”.
“Impiegherà un’infinità di tempo a scrivere il suo nome”.
“Già” mi rispose sorridendomi.

 
Svegliati, Calliope, la nostra Sofia sta lottando per te, vuole la sua mamma, la donna che la addormentava cantandole la ninna nanna prima che nascesse, che ha rischiato di cadere dalla scala tentando di decorare la sua cameretta con la carta da parati delle fatine e dei folletti.

Percorri la via della salvezza e sarò lì ad accoglierti a braccia aperte, percorrila e ti condurrò all’altare, fuggi da questa stanza perché non riesco a vederti soffrire un istante di più.

Ti prego, Calliope, puoi scegliere?
Puoi vivere per me?
Puoi stringermi di nuovo la mano, puoi baciare le mie labbra stanche?

Vivi per me e non ti farò pentire della tua scelta, vivi e ti starò accanto in ogni momento, non ti lascerò mai sola, benedirò ogni giorno trascorso con te.

E il suono della tua voce, quando sei tornata indietro, è stato la melodia che mi ha riportata a casa.
Le tue parole, quel “Ti sposo”, la mia nuova e unica ragione di vita.
Perché tu, io e Sofia siamo una cosa sola, siamo un indivisibile tutt’uno.
 

 
NdA:
potete seguirmi su facebook (e farci conoscere ad altri qui:https://www.facebook.com/pages/Greys-anatomy-italia-fanfiction-Lulubellula-2calzona3/396998680414584?fref=ts
La pagina è gestita da me e da 2calzona3

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Una mongolfiera ripiena di gelato ***


Una mongolfiera ripiena di gelato

 

Ci sono certi giorni che sono belli da togliere il fiato, densi, ricchi, speciali.
Giorni che iniziano come tanti altri, giorni normali, qualunque, come ce li aspettiamo.
Eppure sono quelli che ricorderemo tutta la vita, che ci lasceranno il sorriso sulle labbra, quando non avremo nient’altro che ricordi per cui sopravvivere.

Iniziano tutti uguali, lenzuola, cuscini e federe stropicciati, il profumo del caffè che ti entra nelle narici, lo sguardo della persona che ami nei tuoi occhi ancora stanchi, un bacio ancora fresco sulle tue guance rosee, alzarsi dal letto trascinando i piedi fino in soggiorno.
Frammenti di vita che si ripetono e ripetono, ancora e ancora, finché qualcosa li spezza, finché qualcosa ti spezza.

“Non è questo quello che intendevo, Calliope”.

“Poppante, mi hai chiamata poppante, Arizona. Non ho intenzione di sentire altro”.

Pioggia, acqua che scroscia sui vetri delle finestre, due volti, i loro, l’uno offeso, l’altro perplesso.

“Se solo tu mi lasciassi spiegare, Callie. Non intendevo, non era mia intenzione …” iniziò Arizona, senza trovare le parole giuste da dire, quelle giuste per ritrattare, quelle giuste per parlare.

“Mi avevi chiamata poppante!”.

“Sei proprio sicura di voler litigare per una frase che ho pronunciato più di due anni fa?” le domandò esasperata la sua fidanzata.

“No, s-sì, sì, sono sicura!” ripeté Calliope, aggiustandosi la coperta sul ventre, sdraiata sul divano, con una vaschetta di gelato al limone e liquirizia e il telecomando impazzito a causa del tamburellare delle sue dita nervose a fare zapping, saltando da un canale all’altro.

“Non dovresti agitarti così tanto, Callie. La Dottoressa Fields ha detto e ripetuto un’infinità di volte di stare calma, che troppo stress può far male al bambino. Non vorrai che ti venga la pressione alta, amore”.

“La pressione alta? Tu mi fai venire la pressione alta e anche ribollire il sangue quando mi parli così, quando mi tratti con accondiscendenza, quando …”.

Calliope cominciò a piangere e Arizona le porse prontamente un fazzoletto di carta.

“Grazie” mugugnò la donna.

“Di nulla, Callie. Sei solo stanca, solo stressata, solo …”.

“Incinta” disse lei, riprendendo a piangere.

“Appunto” aggiunse Arizona, sedendosi sul divano con lei.

“Sono una mongolfiera, una mongolfiera ripiena di gelato” ammise, affondando il cucchiaio nella vaschetta.

“Questo non è vero, sei solo incinta e non sei una mongolfiera, assolutamente. E qui – disse mettendole una mano sulla pancia – qui c’è il nostro bellissimo bambino, che non ti farà dormire questa notte, se continui ad ingerire zuccheri”.

“Una mongolfiera ripiena di zuccheri” ripetè Calliope prima di riprendere a piangere.

“No, no. Stai tranquilla, sei bellissima, è solo che tutto quel gelato, in una volta sola, non è proprio indicato, sarebbe meglio qualcosa di più leggero, una granita magari, possibilmente piccola e con poco sciroppo”.

“Una mongolfiera a dieta”.

“Callie”.

La donna non la ascoltò e continuò a piangere.

“Callie!”.

“S-sì. Cosa c’è?”.

“Non dovresti continuare a piangere”.

“Perché fa male al piccolo?”.

“Perché mi si spezza il cuore a vederti così, i tuoi occhi grandi e scuri pieni di lacrime, le tue labbra che non sorridono, tu che non mi guardi e fissi il pavimento. C’è forse qualcosa che non va?”.

“Mia madre”.

“Tua madre?”.

“Mia madre mi ignora, totalmente. Le ho detto che sono incinta, che aspetto un bambino, che diventerà nonna e lei niente. Niente felicitazioni, gridolini di gioia, niente domande su come io stia, solo un “Che cosa ti aspetti che ti dica, Calliope?”.

Arizona scosse la testa e si avvicinò a sua moglie.

“Mi dispiace, non ne sapevo nulla, quando le hai parlato?”.

Callie si asciugò le lacrime.

“Un mese fa, più o meno. Da allora non ho più sue notizie, papà mi chiama spesso per sapere come sto, per avere notizie sul bambino, lei no, lei è sparita nel nulla”.

“Callie”.

“S-sto bene, s-sto bene. Come si dice? Non aspettarsi mai nulla dagli altri è il segreto per essere felici, no? Bè, è ufficiale, io non ne sono capace, io mi aspetto che le persone possano cambiare idea qualche volta, che possano farlo per le persone che amano, per i proprio figli”.

“Non è giusto!” disse Arizona a voce alta.

“Che cosa?”.

“Non è giusto che tu soffra in questo modo per causa sua. E’ semplicemente devastante vederti star male, vedere che tu pianga a causa di una persona che dovrebbe amarti per ciò che sei, per ciò che rappresenti per lei e non per le tue scelte, non perché hai avuto il coraggio di vivere fino in fondo quello che provi, quello che senti”.

“Arizona”.

“Sì?”.

“Promettimi che noi saremo diverse, promettimi che saremo due madri migliori, che supporteremo il nostro piccolo nelle sue scelte, nei suoi sbagli, senza giudicarlo, senza fargli del male, che lo lasceremo sperimentare e fallire, che saremo pronte a prenderlo al volo prima che cada e non gli rinfacceremo nulla. Niente di niente. Lo lasceremo volare via dal nostro nido, anche se ci sentiremo morire dentro, lo lascerai il primo giorno all’asilo, osservandolo tirarti un lembo di stoffa del tuo vestito a pois, quello blu, che mi piace tanto. Lo osserveremo staccarsi da noi pian piano, con l’emozione nel cuore e le gambe tremanti, ma il nostro piccolo dovrà sapere che la porta di casa nostra rimarrà sempre aperta, qualunque cosa faccia, ovunque vada, chiunque sposi”.

“Te lo prometto, Callie. Sono d’accordo su tutto”.

“Davvero?”.

“Assolutamente”.

“Grazie, Arizona”.

“Di cosa?”.

“Di amare così tanto la tua mongolfiera ripiena di gelato che ti renderà madre”.

“Sempre”.
 
 
NdA:
Spero che la shot vi sia piaciuta, per qualunque commento, scrivete qui sotto, e se volete seguirmi, ecco il link della pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Greys-anatomy-italia-fanfiction-Lulubellula-2calzona3/396998680414584?fref=ts
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1437147