Hope.

di Lollola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Volevo nove. ***
Capitolo 2: *** 2. Niente ospedale! ***
Capitolo 3: *** Non lo avrei mai detto, ma non lo sopporto! ***
Capitolo 4: *** 4. Un lungo viaggio ***



Capitolo 1
*** Volevo nove. ***


Biiiiip biiiiip biiiiiip biiiip.
Oh no, così presto? Non ero pronta, non potevano essere già le sette, dovevo aver di certo sognato. Aprii un occhio e lanciai una rapida occhiata verso la sveglia, erano proprio le sette. Feci una smorfia e tirai una botta con la mano all'aggeggio malefico. Un sorriso soddisfatto e poi mi raggomitolai ancora sotto le coperte, pronta a riprendere il sogno da dove lo avevo interrotto. Stavo per dire a Taylor Lautner che lo avrei sposato, ma...
“KIIIIIIIIIIIIIIIIIM IN PIEDI! ORAAAA!”
Spalancai gli occhi ma non mi mossi dal letto, stavo così bene, sotto il calduccio del piumone, per quale assurdo motivo avrei dovuto muovermi? Il mio letto era così caldo e confortevole, era il mio rifugio felice.
“Non costringermi ad usare il secchio..”
La voce di prima, quella che aveva urlato adesso cantilenava e si stava avvicinando lentamente verso di me, voleva tirarmi fuori da quel calore confortevole e io non volevo, risposi con un grugnito e un tono di voce scocciato dopo aver infilato la testa sotto il cuscino.
“Josh lasciami in pace”
“Lo sai che lo faccio kim, arrivo tra tre, due, uno...”
Sbarrai gli occhi e mi tirai su dal letto con uno scatto fulmineo, quel rompiscatole di mio fratello sarebbe stato capace di farlo davvero, ma in fondo aveva ragione, io dovevo andare a scuola quel giorno, era pur sempre un mercoledì, scolastico purtroppo.
“Okay, okay sono in piedi, sei veramente fastidioso”
“Gné gné gné principessina vedi di muoverti o i toast fatti da mamma si freddano.”
A quelle parole sentii un mormorio sinistro, il mio stomaco si faceva sentire, e come dargli torto? In fondo era dal pranzo del giorno prima che non toccavo cibo.
Mi infilai le pantofole pelose, quelle che tenevano i piedi al calduccio e corsi verso la cucina, vedere il tavolo pieno di toast e sentire l'odore del caffè fece nuovamente brontolare la mia pancia e io mi buttai a tavola prendendo il primo toast che mi capitava sotto mano, sfilandolo praticamente dalle mani di mio padre. Lo addentai e mi lasciai sfuggire un mugolio d'assenso, era veramente squisito.
“Buongiorno anche a te Kim”
Mi disse sarcastico mio padre vedendo la sua colazione che piano piano spariva mangiata da me. Abbozzai una risata e alzai il toast verso di lui, che, col giornale in mano, beveva il caffè come ogni mattina prima di uscire. Mio padre è un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati, in forma e sempre vestito elegante. Diceva che per la sua professione -medico- era una cosa buona farsi vedere elegante quando non si indossava il camice, e io sono la sua preferita, la figlia femmina e più piccola, la sua pupilla.
“Scusa papà, buongiorno.”
Mi allungai verso di lui e gli schioccai un bacio sulla guancia, consapevole del fatto che sarebbe bastato quel gesto a farmi perdonare.
“Voglio un bacio anche io tesoro!”
Proruppe allora mia madre. Lei invece è infermiera, 45 anni, capelli castani e in forma smagliante, lei e mio padre si erano conosciuti proprio in ospedale. Sorrisi e andai ad abbracciarla lasciando anche a lei un bacio sulla guancia.
“Buongiorno anche a te mamma, ora vado a prepararmi o faccio tardi”
Mi dileguai e corsi di nuovo in camera mia, al piano di sopra. Mi guardai intorno e andai verso la finestra, tirai su le serrande e sorrisi nel vedere la meravigliosa giornata che mi aspettava, c'era un bellissimo sole ed ero certa che sarebbe stata una bellissima giornata.
Lanciai un'occhiata al poster sul muro e salutai Taylor Lautner con la mano, questo mi riportò al mio sogno e io mi feci pensierosa mente sceglievo i vestiti che avrei indossato quel giorno per andare a scuola.
'Kimberly Lautner non suonerebbe male' mi dissi tra me e me mentre infilavo i Jeans e indossavo la camicetta blu, un abbigliamento che per scuola andava più che bene.
Presi la mia cartella e poi mi catapultai giù per le scale, se non mi fossi sbrigata sarei arrivata tardi e Sam mi aspettava fuori dalla porta per arrivare a scuola insieme. Salutai la mia famiglia e poi raggiunsi lei.
“Ce l'hai fatta a scendere, credevo non arrivassi più!”
Mi disse lei facendo una smorfia non appena mi vide. Risi della sua espressione e scossi la testa spostando una ciocca dei capelli castano mogano da sopra gli occhi.
“Scusa, stavo facendo un sogno, Taylor mi aveva fatto la prop-“
“Aaaaaaalt, buona ti perdono, basta che non cominci con i tuoi interminabili racconti sul licantropo.”
La guardai scioccata e le diedi una botta con la cartella, lei scoppiò a ridere consapevole che chiamando Taylor in quel modo mi avrebbe fatto arrabbiare.
“Sei una strega Sam, non devi chiamarlo così!!” Le dissi guardandola con le sopracciglia corrugate.
“Dovevo vendicarmi in un modo o nell'altro del fatto che ti mi hai fatto aspettare -rispose lei- ora muoviti o facciamo tardi.”
Cominciammo a correre e solo in quel momento notai che oltre che ad esserci il sole faceva anche un bel caldo, in quel modo sarei arrivata a scuola tutta sudata, ma meglio quello che arrivare in ritardo.
Appena arrivate le strade mie e di Sam si divisero, lei raggiunse le mie amiche e io andai da Kevin.
Kevin era all'ultimo anno come me, era il mio migliore amico, gay, e ci conoscevamo dalla terza elementare ed eravamo praticamente inseparabili, spesso ci scambiavano per una coppia, e nessuno di due lo sopportava, mai sentito parlare d'amicizia? Lo raggiunsi e quando stavo per salutarlo lui mi bloccò.
“Ferma, fai una giravolta.”
Spalancai gli occhi e aggrottai le sopracciglia alla sua richiesta, ma poi feci come mi disse.
“È la prima volta da quando ti conosco che approvo il tuo stile, questa camicia ti sta benissimo!”
Mi disse entusiasta e io scoppiai a ridere.
“Oh meno male, mi fa piacere e mi sento sollevata.”
“Non abituarti, non risuccederà tanto facilmente.”
Sentenziò allora lui. Io alzai gli occhi al cielo e lo presi per un braccio trascinandolo verso l'entrata.
“Muoviti, si sta facendo tardi.”
E lo trascinai in classe.
--------5 ore dopo----------------
“Meritavo un nove per quella ricerca! Sai bene quanto ci ho lavorato, non è giusto!”
Il viaggio di ritorno verso casa con Kevin fu una sequela di lamenti su un voto secondo me troppo basso per una ricerca di fisica che avevo svolto
“Hai preso 8 e mezzo, non è un quattro Kim”
Mi rispose lui scettico .
“Volevo nove!”
Continuai io imperterrita mentre attraversavamo la strada, ormai vicini a casa mia, dove mi aspettava mia madre che aveva preso un giorno di ferie.
“Tu vuoi troppe cose, al posto tuo mi sarei accontentato, io ho preso un sei, cosa dovrei dire?”

Alzai gli occhi al cielo e lasciai perdere, quando faceva così era impossibile parlare con lui, e poi non mi sembrava una cosa tanto grave aspirare ad un voto più alto no?
“Sai che in città gireranno un film?” Esordì lui all’improvviso “Un film d’azione, ma non hanno annunciato chi sarà la star, di sicuro qualche vecchiaccio.”
Terminò così la sua frase, ma come dargli torto? In fondo la nostra non era una città molto conosciuta e se pure non fosse venuto qualche attore sopra gli ‘Anta’ non sarebbe stato comunque famoso, come non lo sarebbe stato il film.
“Si avevo sentito una cosa del genere”   risposi allora io “Lo faranno vicino casa mia, quindi immagino che per un po’ sarà scomodo con la macchina, ci mancava solamente questa.”
Dissi io in tutta risposta alle sue parole, poi mi squillò il telefono, era mia madre. Alzai una mano facendogli segno di stare in silenzio, poiché immaginavo che stava per controbattere alle mie parole con qualche assurda affermazione.
-Mamma dimmi, cosa c’è?
Domandai dopo aver portato il telefono all’orecchio, Kevin dietro di me sbuffava, impaziente che riattaccassi per poter dire la sua
-Kim, devi farmi un favore, ho bisogno che tu vada al supermercato a prendere qualcosa per il pranzo, io non ho avuto tempo questa mattina.
Borbottai un po’, poi le risposi.
“Va bene, dimmi cosa ti serve”.
Mi pentii all’istante di aver acconsentito, infatti cominciò a fare una lista assurda di cose, fui costretta a prendere un’agenda e una penna o non avrei mai ricordato tutto quanto. Poi chiusi la chiamata e mi girai verso Kevin.
“Mia madre mi ha commissionato della spesa da fare, mi accompagni?”
“Scusa Kim non posso, devo andare a dare una mano a mio padre in officina, magari ti chiamo dopo va bene?”
-Bella scusa- Brontolai tra me e me, poi mi schioccò un bacio sulla guancia e se ne andò.
Mi diressi quindi verso il supermercato, per farlo dovetti passare anche davanti a casa mia e notai subito tutti i macchinari da presa, i sei sistemati, tutti gli addetti in fibrillazione per cominciare e in fondo, quasi nascosti, i camerini delle star. Provai a sbirciare ma purtroppo i nomi erano ben nascosti, così lasciai perdere e continuai per la mia strada.

Arrivata al super mercato presi tutto ciò che mi serviva, dovetti seguire anche una chilometrica fila alla cassa e ormai si erano fatte le due, considerando che il pranzo doveva essere ancora preparato avrei mangiato alle tre.
Sbuffando per quella previsione presi le mie buste e mi incamminai verso casa. Fortunatamente casa mia distava da lì solamente una decina di minuti, in poco tempo sarei arrivata.
L’aria era sempre la stessa di quella mattina, eppure mi sembrava tutto meno entusiasmante, la mia allegria si era spenta e nonostante avessi la testa tra le nuvole non mi eccitava nemmeno più l’idea che stessero per girare un film di fronte a casa mia. Ero di nuovo di fronte al set e tornai a fissarlo, nemmeno immaginassi che potesse cambiare da un momento all’altro. Totalmente persa in quei pensieri non mi accorsi di uno spesso cavo poggiato a terra, intruppandoci presi una storta e caddi a terra, proprio come una pera cotta. Sentii un dolore allucinante alla caviglia e dopo aver visto rotolare a terra tutta la spesa portai le mani su quest’ultima, non so come feci a trattenere un urlo di dolore. Due ragazzi stavano parlando non poco distanti da me, poco prima non li avevo notati, ma dopo avermi vista cadere uno dei due si era precipitato verso di me per soccorrermi, presa com’ero dal dolore nemmeno mi preoccupai di vedere chi fosse.
“Ehy tutto bene? Ti sei fatta male?”
Chiese premurosa la voce del ragazzo, mi sembrò familiare e alzai il viso per cercare di capire se fosse qualcuno che conoscevo, quando riconobbi quel volto rimasi senza fiato.




Angolo autrice

Ed eccomi qui, per la seconda volta a riproporre la mia storia. L'avevo già pubblicata, ma poi viste le poche recensioni mi ero scoraggiata e avevo smesso, ma ora eccomi qui, pronta a riprendere e speranzosa che la storia abbia più successo. Buona lettura!

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Capitolo 2
*** 2. Niente ospedale! ***


Stupore, sopresa, meraviglia, la paura che fosse tutto un semplice sogno. Tutte quelle sensazioni le provavo nello stesso istante.
Per un momento dimenticai di respirare e mi sembrò di aver perso il controllo del mio corpo, non riuscivo più a muovermi. Incredula battei le palpebre più volte, mettendo bene a fuoco il viso del ragazzo che mi ritrovavo di fronte.
Era indubbiamente lui, gli occhi nocciola, i corti e folti capelli neri, la forma del viso, delle labbra, ogni piccolo dettagli di quel viso mi ricordava lui, mi sembrava impossibile. Davvero Taylor Lautner, il ragazzo che fino alla notte prima avevo sognato, adesso si trovasse di fronte a me a chiedermi se stavo bene? Era certamente un altro sogno. Lui si accorse probabilmente della mia reazione e infatti mi sorrise, un misto tra l'imbarazzato e il comprensivo, gesto che mi fece immediatamente capire che molto probabilmente avevo appena fatto la figura dell'idiota. Ma dopo tutto era un sogno, no? Stavo di certo sognando.
A smentire quella suppposizione fu un'altra lancinante fitta alla caviglia, che aveva ricominciato a pulsare come a reclamare l'attenzione che in un solo istante si era spostata da lei al viso del ragazzo. Strinsi gli occhi e portai immediatamente le mani sulla parte dolorante che strinsi con forza come a placare le pulsazioni che provenivano da lì. Quel gesto fu inutile e servì solamente a peggiorare la situazione, infatti il dolore aumentò e un lamento si fece posto tra le mie labbra. Il che mi ricordò della domanda postami da lui pochi secondi, o minuti prima, avevo perso il conto ormai. Però le parole non uscivano e dovetti concentrarmi per far uscire dalla mia gola una frase coerente, che però aveva solamente la forma di un flebile balbettio.
"F..fa male."
Il ragazzo -non riuscivo ancora a capacitarmi che davanti a me ci fosse davvero Taylor Lautner- avvicinò le proprie mani alle mie e delicatamente le allontanò dalla caviglia alla quale erano ancora artigliate -come se mi stessi tenendo ad un ramo per non precipitare in un burrone- e la tastò lentamente, stando ben attento a non farmi male, cosa che però non riuscì a fare. Ogni volta che infatti effettuava anche una minima pressione dovevo stringere i denti per non urlare.
Se ne accorse e corrugando le sopracciglia si girò nuovamente verso di me.
"Aspetta qui, non muov-" Nonostante fossi ormai ben coscente di chi si trovasse di fronte a me non potei fare a meno di fulminarlo con lo sguardo. Era ovvio che non potessi muovermi, non in quelle condizioni.
"Okay, come non detto, torno subito."
Si alzò e corse verso il ragazzo con il quale stava parlando fino a quando io non avevo avuto la brillante idea di slogarmi la caviglia. Lo segui per un po' con lo sguardo, ancora incredula e poi mi girai a guardare la mia caviglia che si faceva sempre più gonfia.
Il dolore era allucinante, ma nonostante tutto non era quello che occupava i miei pensieri. Taylor Lautner, era là, probabilmente era lui l'attore del film che avrebbero girato là, a pochi metri da casa mia. Ancora non riuscivo a crederci. Per una volta non odiai il fatto di vivere là, a Lakeside, una piccola cittadina della California.
Passò qualche minuto, poi sentii dei passi dirigersi verso di me, mi voltai per vedere chi fosse. Era lui che veniva verso di me assieme ad un altro ragazzo.
L'altro ragazzo era alto, biondo e con occhi azzurri, muscolatura ben definita e per niente smilzo, sicuramente bellissimo, ma a fianco a Taylor sembrava niente.
Era come paragonare una 500 e una ferrari.
Scossi la testa, togliendomi quei pensieri assurdi dalla testa. Nel frattempo i due mi raggiunsero e il ragazzo accanto a Taylor mi aiutò ad alzarmi. Mi circondò i fianchi con le braccia e mi tirò su quasi di peso, dandomi senza che per lui ci fosse alcuno sforzo la possibilità di rimettermi in piedi.
Alla mia sinistra invece si mise Taylor che tenendomi nello stesso modo del ragazzo biondo mi aiutò a tenermi in piedi.
"Ce la fai?" Mi domandò il biondo. Bella domanda, ce la facevo?
"Si, ce la faccio, abito qui vicino." Balbettai allora io, con le guance che piano piano diventavano sempre più rosse.
I due allora si guardarono e mi lasciarono lentamente andare. Tentai immediatamente di poggiare il piede destro a terra, ma me ne pentii all'istante. Un'altra fitta mi prese e una smorfia di dolore si fece avanti sul mio viso, quasi persi l'equilibrio, ma il biondo fece in tempo a riprendermi prima che cadessi di nuovo.
"Non credo ce la faccia, dovremmo portarla al prontosoccorso, così per sicurezza." Il ragazzo pronunciò queste parole guardando Taylor che annuiva mentre riprendeva posto alla mia sinistra.
"La porto io con l'auto, tu Thomas avverti il regista, tanto io per oggi avevo terminato." Mi paralizzai all'istante, non credevo alle mie orecchie, e senza nemmeno controllare i miei movimenti scossi la testa tentando di oppormi alle decisioni dei due.
"D..davvero sto bene, posso andare a casa e m..mettere del ghiaccio passerà con un po' di riposo." Almeno lo spero.
"Va fasciata e medicata, non sono un medico ma questo lo so anch'io." Aveva ragione? Eccome se l'aveva.
"Taylor ha ragione, vedrai che farete in fretta." Detto questo il ragazzo biondo, o meglio, Thomas, si dileguò di corsa correndo da qualche parte.
"Anche Thomas ha detto che ho ragione." Disse allora Taylor che intanto continuava a sorreggermi mentre camminavo, anzi, zoppicavo al suo fianco, senza aver la minima forza di controbattere. Nemmeno ero mentalmente lucida con lui a fianco che mi teneva mentre ci dirigevamo verso la sua auto diretti all'ospedale.
Aspetta un momento. Ospedale? Oh no, ci mancava solamente quella.
Avevo una madre infermiera e un padre medico, ma gli ospedali erano sempre stati la mia più grande fobia, ne ero terrorizzata, come mi terrorizzavano anche gli aghi e gli insetti, Non volevo andare in ospedale.
Puntai il piede a terra, tentando di opporre restistenza, anche lui fu costretto a fermarsi e si girò a guardarmi con aria confusa.
"Niente ospedale." Dissi io, senza però proseguire la frase affermando di averne una paura pazzesca.
Le mie parole non lo toccarono minimamente, infatti riuscì a farmi camminare anche contro la mia volontà. Non che la mia capacità di resistere davanti al suo viso fosse molto alta.
Strinsi i denti, il dolore era ancora forte, forse anche per quello non avevo fatto troppe storie. Si accorse della mia smorfia e con un cenno della mano verso un auto grigia distante ancora pochi passi mi rassicurò.
"Dai tranquilla, ci siamo quas-" Si interruppe a metà frase girandosi per guardarmi, le sopracciglia corrugate e le labbra arriccciate. "Com'è che ti chiami?"
Ancora una volta le mie guancie andarono a fuoco, consapevole del fatto che io conoscevo il suo nome, mentre lui non aveva motivo di conoscere il mio.
Ci misi un po' prima di rispondere, non ero ancora  riuscita a parlare normalmente senza avere un nodo in gola davanti a lui.
"I..io sono Kimberly, ma Kim è più corto."
"Io sono Taylor." Mi rispose sorridente.
"Lo so" Risposi io accompagnando le mie parole con una risata nervosa, l'emozione. Ero certa che quella che stavo facendo non era la figura della stupida, ma molto peggio.
"Eccoci." Portai lo sguardo davanti a me, ed effettivamente avevamo già raggiunto l'auto grigia metallizzata indicata da lui pochi attimi prima.
Infilò una mano in tasca, dalla quale estrasse un piccolo oggetto luccicante: le chiavi dell'auto. La aprì e poi aprì lo sportello del passeggero sul quale mi aiutò a salire.
Una volta dentro tirai un sospiro di sollievo sentendo il dolore affievolirsi appena visto che finalmente mi ero seduta. Poggiai la testa lungo lo schienale del sedile e in quel momento un profumo tutto nuovo mi assalì.
Un profumo di muschio, mischiato al deodorante per l'auto. Il muschio doveva essere l'odore della pelle di Taylor che non ero riuscita a sentire fino a quel momento visto che ci trovavamo all'aria aperta, ma lì, al chiuso, nella sua auto, era molto più forte. Lo divenne ancora di più quando anche lui mi raggiunse entrando al posto del pilota. Mise in moto e poi si girò verso di me.
"Fa male?"
"Abbastanza."
"Dammi le indicazioni per arrivare in ospedale." Mi disse lui mentre metteva la prima, mi sorrideva, come se fossimo amici da una vita.
"Ci provo." Gli rivolsi un flebile sorriso e cercai di orientarmi, cominciando, a modo mio, a fare da navigatore.
Non ero mai stata molto brava ad orientarmi, nemmeno in quella cittadina tanto piccola, speravo solo di riuscire a ricordare la strada esatta.
Mi chiesi per un istante cosa lo spingesse ad essere tanto gentile con me, una ragazza conosciuta da pochi minuti di cui conosceva solamente il nome. Poi mi resi conto che molto probabilmente lui era così, una persona gentile con chiunque avesse bisogno d'aiuto. Sorrisi tra me e me, ringraziando mia madre che senza volerlo aveva permesso un incontro che senza quella storta probabilmente non sarebbe avvenuto.
 

 

Angolo autrice.

Eccoci qui con il secondo capitolo. Beh, che dire? Ringrazio tutte quante per le oltre 80 visualizzazioni, ma se lasciaste una piccola recensione per farmi sapere cosa ne pensate mi renderebbe davvero felice. In fondo a voi non costa nulla, no?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ci leggiamo la settimana prossima ;)

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Capitolo 3
*** Non lo avrei mai detto, ma non lo sopporto! ***


3.       Non lo avrei mai detto, ma non lo sopporto!
 
Un sogno che si realizzava? Si certo, un bell' incubo.
"Spiegami come hai fatto!" Urlava, lo facevo anche io, lo facevamo entrambi da una decina di minuti a quella parte.
"A fare cosa?!?"
"A perderti in un posto così piccolo, cavolo!"
"Ti avevo avvertito! Non sono un buon navigatore!" La caviglia pulsava. "Portami a casa!"
"Come faccio a portarti a casa? Ci siamo persi!"
"Accendi quel diavolo di navigatore che hai li! Non ci vuole tanto!"
"È scarico! Kim lo avrei già fatto!"
"Aaaaah, ho troppo male alla caviglia per stare a discutere con te!"
Detto questo, ormai esasperata, mi tastai le tasche in cerca del cellulare, quando sentii le tasche vuote andai nel panico, ero certa che fosse là, ce l'avevo messo dopo aver risposto a mia madre. Poi realizzai. Probabilmente lo avevo perso con la caduta. Mi girai verso di lui e tesi la mano aspettando che mi desse il suo.
Lui si girò verso di me, guardandomi confuso.
"Che cosa fai ora? Che vuoi da me?"
Possibile che non ci arrivasse da solo?
"Dammi il cellulare, chiamo i soccorsi."
"No!" Si ribellò, proprio come un bambino a cui volevi togliere le caramelle "Usa il tuo!"
"L'ho perso il mio, o di certo non stavo qui a chiedere il tuo"
Si impuntò. "Certo che sei proprio imbranata! Non voglio darti il mio cellulare!"
Lo guardai sbigottita, ma come si permetteva di darmi dell'imbranata? Mi guardai intorno, in cerca di qualcosa da lanciargli in testa, ma in quella dannata macchina tirata a lucido non c'era nulla che gli avesse fatto abbastanza male.
"Se io sono imbranata tu sei un cretino, ora dammi quel cazzo di cellulare che non sei tu quello con la caviglia dolorante!"
Spalancò la bocca fissandomi perplesso, l'avevo zittito. Forse non era abituato, forse era abituato al che tutti gli baciassero i piedi. Per quanto potessi essere una sua fan -almeno fino a 10 minuti prima- io non ero quel genere di persona.
Non mi facevo mettere in testa da nessuno, figuriamoci da lui, un ventenne da strapazzo, terribilmente sexy, ma pur sempre un ventenne da strapazzo.
No aspetta dietrofront, ti sei appena reso conto di non sopportarlo, lascia perdere il resto. Mi dicevo tra me e me.
Brontolò ancora per un bel po', era un bambino capriccioso ma poco dopo arricciò le labbra e diresse le mani verso la tasca posteriore dei suoi Jeans.
Stava cedendo finalmente.
Prese il cellulare e lo lasciò scivolare lentamente tra le mie mani.
"Chiunque tu stia chiamando usa il numero privato. Non voglio che qualche fan ossessionata possa avere il mio numero" Lo guardai alzando un sopracciglio, ma diceva seriamente? "E digli di passare a prendere Thomas prima, e di farlo in fretta, perché io non ti sopporto più, strilli peggio di.. di... Di non lo so nemmeno io!"
Strinsi i denti per non mandarlo a quel paese e cominciai a digitare sullo schermo il numero di Kevin. Ovviamente non utilizzai affatto il numero privato, se qualche fan lo avesse trovato affari suoi, lo avrebbe cambiato.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro squilli, poi sentii la voce di Kevin rispondere tentennante.
"Finalmente! Vienimi a prendere ti scongiuro. Mi sono persa!"
"Di nuovo?" Rispose la voce del mio amico, resa metallica Dall'aggeggio per il quale avevo discusso fino a poco fa. "Dimmi dove sei. Certo che sei proprio cretina!"
Taylor che riusciva a sentire perfettamente la conversazione a causa del volume alto scoppio a ridere.
Mi trattenni, o li avrei mandati al diavolo entrambi. Mi limitai a tirare un calcio a Taylor col piede buono.
"Muoviti che ho una caviglia come minimo slogata" risposi solamente "E prima di arrivare davanti al set fuori da me ti aspetta un ragazzo biondo, si chiama Thomas, deve venire con te."
"Come hai fatto a slogarti la cav-? No aspetta, un ragazzo? È carino?" Ma davvero me lo stava chiedendo in un momento come quello?
Non ebbi idea dell'espressione che comparve sul mio viso, ma doveva essere impagabile, perché Taylor aveva ricominciato a ridere come un pazzo. Altro calcio, sta volta più forte.
"Kevin sbrigati cazzo!" Addio alla finezza.
"Va bene, ma non arrabbiarti. Comunque di chi è questo numero?"
"Lo vedrai quando sarai qui."
Gli diedi le indicazioni di dove più o meno mi trovavo e poi passai il cellulare al suo proprietario con fare abbastanza scorbutico.
"Ecco, ho fatto."
Lui fissò lo schermo e poi mi guardò con aria scocciata. Io accennai una risata e alzai un sopracciglio, stava constatando che io non avevo dato retta alla sua richiesta -o meglio, capriccio- di nascondere il numero.
"Ti pesava così tanto farlo?"
Kim uno, Taylor zero.
"Kevin non è proprio una tua fan in calore, tranquillo."
Gli lanciai un'occhiataccia e la caviglia tornò a pulsare. Imprecai tra me e me mentre lui chiamava Thomas per avvertirlo dell'imminente arrivo di Kevin che andava a prenderlo.
In macchina era piombato il silenzio. Odiavo quella situazione e rimanere bloccata in auto con Taylor Lautner in quel momento mi sembrava molto meno entusiasmante di quanto avesse potuto sembrarmi due giorni prima.
Gli lanciavo continue occhiate, lui lo stesso, ma nessuno parlava.
Sinceramente non lo sopportavo e mi sentivo una cretina per essere stata a salutare il suo poster appeso in camera mia fino a quella mattina.
Era un cretino, un pallone gonfiato. Ma che altro potevo aspettarmi?
La prima cosa che avrei fatto dopo essermi messa il ghiaccio sulla caviglia sarebbe stato strappare ogni cosa che lo ritraesse da sopra al mio muro.
Feci una smorfia e mi appoggiai con la testa contro il finestrino socchiudendo gli occhi. Non avevo voglia di dormire, solamente di ignorare lui è il dolore.
Era possibile? Certo che no. Dopo pochi istanti mi arrivò in testa uno di quei pupazzetti che si appendono allo specchietto retrovisore.
Mi voltai verso di lui con aria scocciata.
"Che diavolo vuoi?"
"Non dormire" biascicò lui.
"Non volevo farlo, volevo semplicemente ignorarti."
"Non puoi."
"Che diavolo vuoi da me?"
Mi guardò spaesato "Non sei in fibrillazione?"
"Dovrei?" Un'espressione sconvolta si fece avanti sul mio viso.
"Direi, sei bloccata in macchina con me."
Che egocentrico.
"Forse lo sarei stata fino a ieri, ora non esattamente. Adesso, per favore, permettimi di ignorarti in santa pace."
"Sei strana."
"Grazie."
Me ne tornai sulle mie fissando fuori dal finestrino.
L'impressione che mi stava dando in quel momento era completamente diversa da quella che mi aveva dato quella mattina. Non era più gentile come quando si era offerto di accompagnarmi in ospedale, anzi, sbraitava di continuo.
Mi sembrava solamente uno stupido. Uno di quegli attori che pensano di essere il centro del mondo, di avere tutte le ragazze ai propri piedi.
Il mio primo incontro con Taylor Lautner non l'avevo di certo immaginato in quel modo. Con lui che mi dava dell'imbranata e che io a mia volta lo accusavo di essere un cretino.
Tutta la sorpresa che avevo provato nel ritrovarmelo davanti la prima volta era sparita, come l'entusiasmo e il resto. Non mi sentivo più in fibrillazione e sebbene quella mattina sarei stata in grado di pagare oro per poter rimanere bloccata in macchina con lui, in quel momento non vedevo l'ora di andarmene e lui lo stesso.
Gli rivolsi una rapida occhiata e stava giocherellando con le chiavi dell'auto che aveva sfilato pochi attimi prima dal cruscotto, le posò dopo un attimo e sentii i tasti di un cellulare suonare come quando si componeva un messaggio o un numero, poi riprese.
Scossi la testa e mi isolai, scordandomi completamente di chi si trovava al mio fianco.
Non passò molto quando sentii il clacson di una macchina che mi fece sobbalzare. Saltai quasi sul sedile e diedi una botta contro il tettino troppo basso, lui rideva divertito mentre io lo guardavo male per l'ennesima volta. Mi sporsi dal finestrino e tirai un sospiro di sollievo nel vedere che il clacson era quello dell'auto di Kevin ora parcheggiata accanto alla nostra.
Corse subito da me e mi aiutò a scendere tenendomi per un fianco. Dire che lo travolsi con un abbraccio era decisamente riduttivo, praticamente gli saltai addosso quando fu abbastanza vicino da permettermelo.
Taylor invece scese con una faccia scocciata raggiungendo l'amico, o la pazienza non era il suo forte o non aveva avuto da me il trattamento da super star che si aspettava di ricevere.
Gli lanciai un'occhiataccia che lui non esitò a ricambiare e poi mi lasciai sfuggire un gemito di dolore stringendomi a fianco di Kevin che mi guardò senza parole.
"Portami a casa, ti supplico."
"Qualche giorno fa avresti pagato per passare qualche minuto insieme a quel ragazzo."
"Ti racconto in auto, ora voglio andare a casa."
Ci dirigemmo verso la sua auto dove mi aiutò ad entrare, stava per entrare anche lui, quando una voce, che io riconobbi come quella di Thomas lo chiamò. Mi fece segno di aspettare un attimo e corse da lui. Mi girai per seguirlo con lo sguardo e notai il suo sorriso ebete mentre parlava col ragazzo, non potei fare a meno di ridacchiare.
Kevin dava le spalle a Taylor, ma anche lui ridacchiava nel mio stesso modo, il che mi fece pensare che anche Thomas avesse la stessa espressione di Kevin.
Qualcosa mi diceva che in macchina avremmo avuto davvero molto di cui parlare.
 

 

 
 Angolo autrice

Ebbene si, eccoci qui con il terzo capitolo. Direi che la situazione non è propriamente rose e fiori, i due non si sopportano! Di che dovranno parlare Kevin e Kim in macchina durante il viaggio? Se volete saperlo continuate a seguire la storia. Un bacio a tutti :3

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Capitolo 4
*** 4. Un lungo viaggio ***


Nonostante si fosse reso conto che lo fissavo con lo sguardo di chi aspettava qualcosa non apriva bocca, aveva quel sorrisetto da quando era rientrato in auto. Quel sorrisetto da ebete che conoscevo fin troppo bene. Ce l’aveva ogni volta che prendeva una sbandata per qualcuno ed era successo veramente tantissime volte,  per questo lo riconoscevo all’istante.
Eravamo partiti da circa una decina di minuti e sfrecciavamo sull’autostrada –non avevo idea di come avevo fatto ad allontanarmi così tanto prima- diretti a casa mia.
Dietro di noi c’era ancora la macchina di Taylor che ci stava alle calcagna, molto probabilmente non stava nemmeno tenendo la distanza di sicurezza. Sbuffai e poi mi girai verso Kevin che ancora non aveva spiccicato parola. Il che era strano visto che in un’altra circostanza avrebbe cominciato a parlare senza sosta di ciò che era successo con il povero ragazzo sfortunato che era capitato sulla sua strada. Eppure quella volta niente, nemmeno una piccola parola o una piccola domanda su quello che mi era successo in auto con Taylor. Decisamente non era da Kevin, lui era un tipo piuttosto logorroico, decisi di rompere io il silenzio usando la scusa di quei due che ci stavano attaccati dietro con l’auto.
“Si può sapere perché ci stanno alle calcagna? Secondo me ci stanno seguendo.”
“Oppure stanno tornando al set e quindi devono percorrere la nostra stessa strada.”
“Uhm hai ragione, non ci avevo pensato.”
“Kim tu dovresti accendere il cervello più spesso.”

Lo guardai male e gli feci una smorfia. Nemmeno quello l’aveva smosso. Mi sarei aspettata una battuta del tipo ‘Thomas avrà sicuramente chiesto a Taylor di seguirmi, è l’unica spiegazione’, invece niente. Quella cosa mi faceva ronzare le orecchie. Non sapevo se ero di più sulle spine per il fatto che non mi parlasse di ciò che gli era successo o perché non faceva domande su cosa era successo a me. Alla fine esplosi e decisi che se a lui fosse interessato o meno ascoltarmi io gli avrei raccontato tutto. Non ce la facevo più a rimanere in silenzio ed ero certa di non farcela nemmeno ad aspettare di arrivare a casa per chiamare Liz.
Liz –abbreviativo di Elizabeth- era la mia migliore amica. Aveva due anni più di me ed era andata a Vancouver a studiare dopo aver vinto una prestigiosa borsa di studio. Da quando si era trasferita non ci eravamo più viste, solamente sentite per telefono e mi mancava davvero tanto. Mi mancava farla arrabbiare con i miei nomignoli stupidi, mi mancava farla arrabbiare chiamandola col suo nome intero che lei odiava, mi mancavano le risate e ogni singolo momento avuto con lei, le raccontavo ogni cosa, come le avrei raccontato anche quello, ma se non ne parlavo subito con Kevin sarei potuta esplodere da un momento all’altro.
“Ti giuro, non lo sopporto! Non l’avrei mai detto. E’ un cretino, un egocentrico, un pallone gonfiato. E’ il tipico attore hollywoodiano che crede di avere il mondo ai suoi piedi! E’ assolutamente diverso da come me lo aspettavo, ti giuro che gli avrei volentieri tirato qualcosa in testa ma nella sua decappottabile tirata a lucido non c’era qualcosa di abbastanza pesante che avesse potuto causargli un trauma cr-”.
Mi ritrovai una mano di Kevin in faccia che mi zittiva. Avevo cominciato a parlare a ruota libera senza riprendere fiato nemmeno per un attimo.

“Dietro front, che ti ha fatto quel povero ragazzo Kim? A me sembrava simpatico.”
“Simpatico? Mi ha dato dell’imbranata! Dopo dieci minuti di viaggio ha cominciato a sbraitare. Pretendeva che io fossi in fibrillazione visto che mi trovavo in macchina con lui e non voleva darmi il cellulare per chiamarti.”
“Quindi era il suo numero.”
Scossi la testa guardandolo scettica. “No era quello di mia nonna.”
“Allora lo salvo, caso mai perdessi quello di Thomas.” Lo sentii sospirare guardando fuori con aria sognante.
Eccolo. Ero certa che ora mi sarebbe bastata una piccola domanda per fargli vuotare il sacco. Avrebbe cominciato tutto un discorso complicato e non mi avrebbe dato nemmeno il tempo di rispondergli. Ma in fondo era quello che volevo.

“Forza, raccontami subito cosa è successo con Thomas.”
Fece un sorriso a trentadue denti e io scoppiai a ridere. Il dolore alla caviglia cominciava a diminuire e non lo sentivo quasi più. Ero sicura che una volta a casa con un po’ di ghiaccio e qualche ora di riposo sarebbe tornato tutto a posto e che la mattina dopo sarei stata come nuova. Kevin era ancora perso e non aveva spiccicato una sola parola, gli tirai una gomitata certa che in quel modo avrei avuto la sua attenzione. Avevo ragione perché infatti mi guardò come se fossi pazza.
“Parla!” esclamai per giustificarmi.
“Cosa vuoi che ti dica?”
“Non lo so.. TUTTO!” Poi scoppiai a ridere, cosa che subito dopo di me fece anche lui.
“Allora, appena mi hai chiamato ho preso l’auto e mi sono diretto a casa tua perché non sapevo dove fosse l’entrata del set. Ho parcheggiato dietro l’auto di tua madre e poi sono andato a chiedere indicazioni ad un signore. Era grasso e calvo, sudaticcio e con l’aria da camionista. Aveva addosso una maglia tutta sgualcita che a mio parere gli dava almeno tre taglie in p-”
Lo bloccai con una mano. “Quando ti ho detto tutto, non intendevo proprio tutto.”
Rise, poi tornò a parlare “Va bè, insomma, mi ha chiesto chi fossi e subito dopo aver detto il mio nome sento la voce di un ragazzo venire dalle mie spalle. Diceva che mi stava aspettando e mi ha detto di essere Thomas. Ci siamo presentati  e poi siamo subito partiti per venire a prendervi. In macchina abbiamo parlato del più e del meno, è un ragazzo davvero interessante e simpatico, e poi è la copia esatta di Zac Efron, e tu sai che io ho un debole per lui!”
Volevo rispondergli, ma mi zittì con un gesto della mano mentre prendeva l’uscita dell’autostrada che ci avrebbe riportato a casa.
“Insomma, ci siamo trovati subito in sintonia e mi ha chiesto il numero di cellulare, ovviamente io gliel’ho dato e lui mi ha dato il suo. Sentivo che sarei potuto saltargli addosso ogni volta che incontravo i suoi occhioni azzurro cielo –altro sospirone- è talmente bello.”
“E tu sei talmente cotto.” Gli feci eco io cantilenando.
“E come biasimarmi? Insomma è così totalmente perfetto. Mi ha invitato a cena domani, ed io ho accettato.”
“Grande! Sono felice per te!”
“Ovviamente tu dovrai venire.”
“Mi sembra ov- No aspetta. Che?” Forse avevo capito male.
“Dovrai venire perché ci sarà anche Taylor, non voglio che rimanga solo, perché sarebbe una specie di terzo incomodo, almeno vi fate compagnia.” E mi rivolse un sorriso angelico.
Non ci sarei andata, soprattutto per fare la dama di compagnia per quella specie di attoruncolo da strapazzo.
“Non ci vengo, anche perché forse ti sei dimenticato che Taylor non mi sopporta.”
Gli risposi allora io con un sorrisetto fiero.
Sapeva che non avrei ceduto facilmente, riuscivo a leggerglielo in faccia. Si girò verso di me continuando a tenere d’occhio la strada.
“Ti prego Kim, ho bisogno che tu ci sia. Lo sai che io lo farei per te.”
Diamine, quando pronunciava quella frase sapevo che faceva sul serio. Se ci avesse messo anche gli occhioni dolci e la faccia da cucciolo non ce l’avrei fatta a dirgli di no.
Cazzo ecco anche quelli. Kim, Kim, Kimberly Samantah Colher non provare a cedere.
La vocina nella mia testa era decisa, dovevo seguirla, ma lui continuava con quel musetto.. Così alla fine..
“Oh e va bene. Ci sarò per te, ma puoi scordarti che io mi metta a fare conversazione con il signor ‘usa il numero privato’”
Tentai di imitare la voce di Taylor, ma non ebbi un gran successo. Kevin scoppiò a ridere e poi mi sorrise.
“Kim sei la migliore!” E mi schioccò un bacio sulla guancia.
Il resto del viaggio proseguì in modo abbastanza tranquillo. Cominciammo a ridere e scherzare parlando del più e del meno.
Quando arrivammo a casa Kevin mi aiutò a scendere dall’auto e a salire le scale che portavano alla veranda. Nonostante il dolore si fosse affievolito la sentivo ancora pulsare.
Quando arrivammo alla porta di casa e la vidi aprirsi senza nemmeno aver suonato rabbrividii terrorizzata.
Mi ero scordata di chiamare mia madre.

“Kimberly Samantah Colher, che ti è successo? Dove sei stata? Perché non hai chiamato!”
Kevin al mio fianco era terrorizzato quanto me, sapeva com’era mia madre quando veniva lasciata in ansia.

“Mamma tranquilla sto bene, ho solamente preso una storta, un ragazzo voleva accompagnarmi in ospedale e ci siamo persi, Kevin è venuto a riprendermi e mi ha portata a casa, sto bene.”
Ero certa che Kevin avrebbe avuto da obbiettare sul fatto che avessi estromesso il fatto che il ragazzo di cui parlavo era Taylor Lautner, ma l’occhiata che gli lanciai lo convinse a stare zitto, me lo doveva visto ciò che avrei dovuto fare io per lui la sera successiva.
“Kim dovevi chiamarmi santo cielo.” Okay, mi aveva chiamato Kim, stava a significare che le acque si erano calmate.
“Ho perso il telefono mamma, tutto qui, ora ci fai entrare?”
Si spostò per farci passare e Kevin mi accompagnò fino al divano mentre mia madre era corsa a prendere del ghiaccio. Quando me lo portò e io lo poggiai sulla caviglia dolorante sentii un dolore assurdo. Perché aumentava invece di diminuire? Strinsi i denti e poi sentii Kevin parlare.
“Kim io vado, domani ti vengo a prendere alle 19.30, vedi di riposarti che non ti voglio vedere zoppicare per tutta la sera okay?”
“Ci provo”.
Gli rivolsi un sorriso e poi mamma lo accompagnò alla porta.
Prima che tornasse da me mi allungai con un braccio verso il telefono di casa e per prenderlo quasi non caddi di nuovo. Ma che avevo quel giorno? La sera prima mi ero messa addormentata fatta di carne umana e ossa e quella mattina mi ero risvegliata di pasta frolla? Stavo componendo il numero di Liz per chiamarla, ma poi mi resi conto che parlarle di quanto era successo davanti a mia madre non era proprio il caso. Avrei aspettato la sera, oppure il giorno seguente dopo la fatidica cena.
Non sapevo decisamente che aspettarmi, ne tantomeno cosa mettermi addosso, non avevo la più pallida idea di dove fosse il luogo d’incontro.
Scossi la testa, a quello avrei pensato domani dopo aver parlato con Kevin, quindi socchiusi gli occhi e mi appisolai raggomitolata contro il bracciolo del divano.
 
 
 

Angolo autrice

Holaaaa :3
Eccomi qui, il quarto capitolo è questo. Non è niente di particolare, è un capitolo di passaggio, ma spero che possa piacervi.
Comunque, volevo avvisarvi che io sabato parto °n° e torno tra due settimane, quindi il prossimo capitolo lo posterò lunedì 8 luglio, oppure spero di riuscire a farlo entro venerdì, non vi prometto nienteçç

Comunque, cosa vi aspettate da questa fatidica cena? Fatemi sapere la vostra opinione con una piccola recensione.
Un bacio :*

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