Daimon di anneboleyn94 (/viewuser.php?uid=452478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rapito ***
Capitolo 3: *** Conversazioni ***
Capitolo 4: *** La Rue des Fées ***
Capitolo 5: *** Lezioni ***
Capitolo 6: *** I demoni ***
Capitolo 7: *** Discendenza ***
Capitolo 8: *** Diagon Alley ***
Capitolo 9: *** Lo smistamento ***
Capitolo 10: *** Le prime lezioni ***
Capitolo 11: *** Halloween ***
Capitolo 12: *** La partita di Quidditch ***
Capitolo 13: *** Natale, prima parte ***
Capitolo 14: *** Natale, seconda parte ***
Capitolo 15: *** L'attacco del serpente ***
Capitolo 16: *** Notte di luna piena ***
Capitolo 17: *** La storia di Philippe ***
Capitolo 18: *** Ritorno a Hogwarts ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Questa
è la prima storia che pubblico su questo sito,
nonché la prima che sono determinata a concludere.
Io leggo più che altro storie in inglese, perchè
apprezzo particolarmente le storie in cui Harry combatte con il lato
oscuro, e mi sembra che nel fandom italiano non ce ne siano molte.
Questa fanfiction quindi è un esperimento, ho deciso di
buttar giù alcune idee che avevevo in testa da anni,
partendo da una
domanda: Cosa sarebbe successo se Harry fosse cresciuto lontano dai
Dursley, ma anche dall'ala di Silente e della luce?
Probabilmente diventerà una slash, ma considerato che
all'inizio ha sette anni ci vorrà moooolto tempo prima che
emerga un pairing. I primi capitoli sono già scritti, li
devo solo battere, quindi aggiornerò regolarmente. Spero
che la storia vi piaccia e mi farebbe molto piacere leggere i vostri
commenti. Un bacio
Prologo
Nonostante
lo Statuto di Segretezza sia entrato in vigore solo dal 1692,
già secoli prima una larga parte della comunità
babbana si sforzava di ignorare l’esistenza della sua
controparte magica. Filosofi, letterati e scienziati di tutte le epoche
hanno elaborato una visione del mondo, della natura umana e delle leggi
dell’universo basata sull’arrogante e ottusa
convinzione che gli unici esseri senzienti che camminino sul globo
terrestre siano gli esseri umani.
La
filosofia babbana, per quanto affascinante, è incapacitata a
cogliere l’essenza della realtà perché
ne rinnega una parte. Il mondo, contrariamente a quanto creduto dai
babbani, non è popolato di soli uomini. Razze ben
più antiche e nobili condividono con noi la residenza in
questo insignificante pianeta ai margini dell’universo.
Diversi maghi di tutte le epoche si sono occupati del problema della
convivenza tra le diverse razze.
L’emanazione
di leggi discriminatorie tese ad affermare la superiorità
dei maghi sulle altre creature magiche è da sempre causa di
tensioni e conflitti. Nel 1814 Grogan Stump creò
la divisione tra Esseri e Bestie valida a tutt’oggi, che
stabilisce che “un essere è ogni creatura che ha
abbastanza intelligenza da capire le leggi della comunità
magica e da assumersi le proprie responsabilità modellate da
quelle stesse leggi.” Eppure, le stesse leggi non
valgono per i maghi e gli ibridi, ad esempio i goblin e gli elfi
domestici non hanno il diritto di possedere e utilizzare una bacchetta.
Il mondo magico diventa sempre più intollerante: se i maghi
non prenderanno al più presto consapevolezza della
dignità e forze delle altre razze, non ci sarà
mai pace.
L’uomo
camminava spedito, guardandosi intorno nervosamente e tenendo la mano
nella tasca destra, strettamente serrata attorno alla bacchetta, ma non
l’avrebbe tirata fuori, non ancora. Meglio non mostrare
quanto la situazione lo rendesse inquieto. Arrivato al punto
d’incontro, controllò la zona con disgusto. Il suo
contatto aveva insistito per vedersi nel cuore della Londra babbana, in
un piccolo parcheggio privato. Fortunatamente, a quell’ora
della notte non ci sarebbero stati babbani.
Un
leggero rumore distolse il mago dai suoi pensieri. Si guardò
intorno, tirando fuori la bacchetta. «Fatti vedere»
sibilò tra i denti, conscio che non ci fosse alcun bisogno
di urlare. Un rumore alla sua destra, un’ombra dietro di lui,
le luci del parcheggio si spensero, e poi finalmente il silenzio.
Imprecando fra i denti l’uomo mormorò
«lumos».
Finalmente,
il suo contatto si fece vedere. La luce fioca della bacchetta
illuminò un profilo alto, coperto interamente da un
mantello. «L’hai portata?»
chiese la figura con voce profonda.
«Non
erano questi i patti» rispose il mago cercando di non far
trapelare alcun nervosismo, «l’avrai dopo che avrai
portato a termine l’incarico».
«Non
posso farlo senza la gemma.»
«Pensi
che te la dia senza alcuna garanzia? Non sono un idiota, cosa mi
assicura che una volta ottenuto quello che vuoi non mi ucciderai? No,
avrai la gemma a lavoro concluso.»
L’individuo
rimase silenzioso per qualche istante, tanto che il mago si chiese se
non stesse pensando di attaccarlo, infine sospirò.
«Hai
la mia parola umano, prenderò il bambino. Ma solo se mi
consegnerai la gemma ora. So che ce l’hai con te, posso
sentirla. Queste sono le mie condizioni: puoi accettare o lasciare che
la prenda dal tuo cadavere. Per me non fa differenza.»
L’uomo
sentì montare la paura. Considerò le sue
possibilità. Per quanto odiasse ammetterlo, se si fosse
giunti a uno scontro, avrebbe avuto ben poche chance di uscire da quel
sudicio buco babbano vivo. D’altro canto, c’erano
buone probabilità che una volta presa la gemma
l’essere lo attaccasse comunque. Però conosceva i
rischi sin da quando aveva ideato il piano, ed era tardi per farsi
venire dei ripensamenti. Cautamente, tirò fuori dalla tasca
una chiave minuscola e, sentendo su di se lo sguardo della creatura, la
trasfigurò in una lunga collana. Una leggera folata di vento
e la catena scomparve dalle sue mani. Le luci si riaccesero,
illuminando il parcheggio vuoto.
«E
il patto?» urlò il mago.
Non
ci fu risposta.
Albus
Silente stava seduto nel suo ufficio, succhiando lentamente una
caramella al limone, e nel frattempo guardava di sfuggita la montagna
di carte che occupavano la sua scrivania. La parte più
pesante del suo lavoro era sicuramente ritrovarsi ogni estate a
sostenere colloqui e leggere curricula di aspiranti insegnanti di
difesa contro le arti oscure. Curricula che, a dirla tutta, diventavano
più esigui di anno in anno, via via che la voce della
maledizione sulla cattedra si diffondeva. L’ultimo insegnante
che avevano avuto, la professoressa Orchard, aveva dovuto rassegnare le
dimissioni a causa della perdita della gamba destra. Le circostanze
dell’incidente erano ancora poco chiare, anche se a detta
degli alunni il tragico evento era avvenuto durante una delle
incursioni della professoressa nella foresta alla ricerca di non meglio
specificati funghetti.
Silente
sospirò. Peccato, peccato davvero. La professoressa era
estremamente benvoluta dai suoi studenti.
Le
sue riflessioni vennero però interrotte dal suono di un
allarme. Un rapido controllo ai suoi strumenti fu sufficiente per
identificare il problema. Le barriere di Privet Drive.
Harry.
Il
sangue del mago si ghiacciò. Se fosse successo qualcosa a
Harry Potter…no, non poteva nemmeno pensarci.
Chiamò Fanny e si precipitò a Little Whinging.
La
casa sembrava perfettamente in ordine, ma un rapido controllo
mostrò che le barriere erano cadute. Senza disturbarsi a
bussare, il mago entrò nell’abitazione dei
Dursley. All’interno la casa era perfettamente pulita e
denotava una cura quasi maniacale. Il silenzio era opprimente.
Lanciò un humanis revelio non verbale, da cui
risultò che non c’era anima viva in casa.
Giunto
al piano di sopra, aprì la prima porta che gli si
presentò davanti; si ritrovò in una camera di
grandi dimensioni, piena zeppa di giocattoli e altre diavolerie
babbane. Al centro della stanza, un bambino di circa sette anni
sembrava dormire, ma il preside sapeva che non era così. La
causa del decesso era sicuramente un avada kedavra. Nella stanza
accanto, Silente trovò i corpi dei due coniugi Dursley. Del
piccolo Harry non c’era traccia.
Dopo
aver ispezionato tutta la casa alla ricerca d’indizi
inesistenti, Silente fece ritorno ad Hogwarts e si buttò a
sedere alla sua scrivania. Per una volta, il suo incredibile cervello
non era in grado di partorire una sola idea, un singolo piano
d’azione, al punto che il mago considerò
l’ipotesi di essere sotto stato di shock. Non era possibile,
non era semplicemente possibile. Il suo piano più brillante!
Anni di lavoro buttati in fumo. Qualcuno era riuscito a trovare una
falla nelle barriere più potenti mai create.
La
domanda era: chi?
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Capitolo 2 *** Rapito ***
Harry si sdraiò nel suo piccolo letto nel sottoscala. Calde
lacrime gli inumidivano gli occhi, ma le scacciò
velocemente. Non poteva piangere. Se avesse pianto, Vernon si sarebbe
arrabbiato ancora di più e Dudley lo avrebbe preso in giro e
chiamato femminuccia. Sentiva lo stomaco brontolare, ma sapeva che per
quella sera non c’erano speranze di sgattaiolare in cucina
per prendere qualcosa.
Erano due giorni che non toccava cibo. Non era stupido, sapeva
perché i suoi zii erano tanto arrabbiati: il suo primo anno
di scuola era terminato da appena una settimana e i suoi voti erano
risultati migliori di quelli di Dudley.
Un vero affronto.
Vernon si era infuriato persino con gli insegnanti, ma alla fine a
rimetterci era stato solo Harry. Suo zio aveva urlato davanti a tutti
gli altri genitori che era solo un piccolo ingrato, che aveva
imbrogliato, che non c’era alcuna possibilità che
si fosse guadagnato onestamente quei voti. Gli insegnanti erano rimasti
basiti davanti alla scena, ma poi era intervenuta Petunia, che aveva
spiegato pacatamente che Harry non studiava mai a casa, ma che Dudley
lo aveva più volte visto copiare a scuola e che anche lei
aveva notato comportamenti strani. I docenti non erano parsi
completamente persuasi, però avevano deciso di lasciar
perdere e avevano assicurato che l’anno successivo sarebbero
stati più attenti.
Tornati a casa, Harry era stato spedito nel sottoscala e chiuso dentro,
dopodiché aveva passato la settimana a fare i suoi lavori di
casa, con la minaccia che se non avesse finito tutte le mansioni della
lista compilata da Petunia, non avrebbe cenato. I primi giorni era
riuscito a concludere in tempo per avere qualcosa da mettere sotto i
denti, ma la lista si era fatta ogni giorno più lunga e alla
fine si era ritrovato davvero ad andare a dormire senza aver mangiato
nulla.
Tutto questo non è certo una novità,
pensò amaramente Harry, ma quello che davvero lo riempiva di
rabbia era che aveva pensato che una volta a scuola la situazione
sarebbe cambiata, avrebbe fatto amicizia e dimostrato ai Dursley che
non era un anormale buono a nulla. E invece non era cambiato proprio un
bel niente! Gli altri bambini erano stati avvisati da Dudley: suo
cugino era un pericoloso teppista da evitare. In compenso, Dudley e i
suoi amici avevano fatto del tormentarlo il loro passatempo preferito.
Certo, passare il tempo a scuola era sicuramente meglio che restare con
i suoi zii. Dopo una giornata particolarmente dura, si rifugiava
nell’ambiente intimo e raccolto della piccola biblioteca
scolastica e leggeva storie di principesse e cavalieri, fate e orchi, e
sognava che uno di quei fantastici esseri venisse a prenderlo e lo
portasse lontano dai Dursley.
Era andato tutto bene finché non erano arrivati i
primi voti più alti di quelli di Dudley, che avevano mandato
i suoi zii su tutte le furie. Da quel momento era diventato sempre
più difficile trovare il tempo per fare i compiti: Vernon
pretendeva che tornasse a casa immediatamente dopo la fine delle
lezioni e Petunia gli assegnava ogni giorno lavoretti che lo tenevano
impegnato fino a tardi. Il suo rendimento era calato, spesso si era
ritrovato ad andare a scuola senza aver fatto i compiti,
così era finito diverse volte in punizione e non aveva
più avuto il tempo di andare in biblioteca a leggere.
L’ingiustizia della situazione però gli aveva
finalmente aperto gli occhi: non sarebbe mai riuscito ad avere
l’approvazione e l’amore dei suoi parenti; loro lo
odiavano perché era anormale e nessuno, né i
professori né gli altri bambini, lo avrebbe aiutato per lo
stesso motivo. Era solo.
Finalmente il flusso dei suoi pensieri s’interruppe e
scivolò nel sonno.
Lo destò un leggero rumore. Si guardò intorno,
nel buio della sua “camera”, teso. Gli era sembrato
di sentire scattare la serratura. Cauto, si avvicinò alla
porta, e si accorse che era socchiusa. Il suo primo istinto fu di
correre in cucina e mangiare, ma s’impose di riflettere
prima. Il silenzio assoluto che pervadeva la casa sembrava indicare che
fosse notte fonda, ma la porta era stata aperta; significava che gli
stavano tendendo una trappola? Magari in cucina avrebbe trovato lo zio
pronto a picchiarlo per essere uscito dal sottoscala. Non sarebbe stata
la prima volta. Ma non gli importava, aveva troppa fame.
Uscì in punta di piedi. La casa sembrava effettivamente
deserta. Aprì il frigorifero e prese un pezzo di formaggio
che divorò in pochi secondi; ancora affamato, prese a
rovistare nella dispensa, finché un formicolio alla nuca non
lo costrinse a fermarsi.
Tutto il suo essere lo metteva in guardia, il suo istinto gridava che
c’era un pericolo dietro di lui. Si girò
lentamente. Fece appena in tempo a intravedere una figura alta e
longilinea, che la vista gli si annebbiò e perse i sensi.
La prima sensazione che colpì Harry al risveglio, fu un
gradevole tepore e un’insolità
comodità. Si rigirò nel letto, mentre riprendeva
finalmente conoscenza e le piacevoli sensazioni iniziali venivano
offuscate dalle fitte della fame.
Si sollevò di scatto e si guardò intorno. Non si
trovava nel sottoscala, ma in una gigantesca stanza debolmente
illuminata. Sbalordito, tastò le lenzuola, mentre i ricordi
della sera prima gli tornavano alla mente. Aveva visto qualcuno a casa
dei Dursley, qualcuno che presumibilmente l’aveva portato
lì. Un ladro? Un rapitore? In ogni caso, si
disse Harry, non poteva
certo essere peggiore dei suoi zii.
Quasi a conferma di quel pensiero, la sua attenzione venne catturata da
un tavolo posto vicino al letto, colmo di ogni ben di Dio. Si
avvicinò pieno di meraviglia. C’erano salsicce,
uova, toast, decine di tipi di marmellata e di thè, yogurt a
svariati gusti, cereali, succo di frutta, porridge. Abbandonato ogni
interrogativo sulla sua situazione, si sedette e iniziò a
mangiare come non aveva mai mangiato in vita sua, immaginandosi
divertito la faccia di Dudley se l’avesse visto con tutto
quel cibo delizioso.
Quando non ne poté più, decise di osservare
meglio la camera. Era incredibile. Ne esplorò ogni angolo,
mentre all’incertezza del risveglio si sostituiva la
meraviglia e la felicità di ritrovarsi in un posto tanto
lussuoso. Al centro della stanza c’era il letto matrimoniale
sul quale aveva dormito, alla sinistra, un immenso armadio contenente
biancheria e vestiti della sua misura. Vestiti nuovi!
Sulla destra, una porta che conduceva al bagno più bello che
avesse mai visto. A differenza della camera, era illuminato a giorno,
ma non c’erano né finestre né lampade.
Harry considerò questa stranezza, ma poi decise che se ne
sarebbe occupato in seguito.
Tornato nella stanza principale, notò un’altra
porta e scoprì che conduceva a un soggiorno dotato di una
scrivania, un televisore, dei divanetti e una grande libreria piena di
libri. Il piccolo si lanciò subito in quella direzione, ma
rimase amareggiato: nessuno dei libri era in inglese. La delusione ebbe
l’effetto di spazzare via l’entusiasmo.
Pensa, si
disse. Si trovava in un luogo sconosciuto, ed era probabilmente stato
rapito. Certo, c’era la possibilità che il
rapitore fosse suo amico – vecchie fantasie di ricchi parenti
che andavano a prenderlo gli tornarono alla mente – ma era
una possibilità remota. Sapeva per esperienza che nessuno si
sarebbe preso la briga di aiutarlo, e i Dursley erano i suoi unici
parenti. Un pensiero terribile lo attraversò. Forse lo
avevano venduto?
Gli venne in mente la storia di Hansel e Gretel, con la strega cattiva
che dava da mangiare al bambino solo per farlo ingrassare. Ma era solo
una favola, no? Nella vita reale i bambini non si mangiano.
Giusto?
Preso dal panico, si mise a cercare una via d’uscita, ma non
c’erano né porte né finestre. La camera
era completamente illuminata, ma anche lì non sembravano
esserci lampade. Si chiese se ci fossero telecamere. Magari qualcuno lo
stava spiando in quel preciso momento. Il pensiero era
inquietante.
Passarono diversi giorni. Ogni mattina al risveglio, Harry trovava il
tavolo vicino al letto con la colazione pronta e per il pranzo e la
cena il cibo sembrava apparire magicamente, così come le
luci della stanza apparentemente non venivano da nessuna fonte
elettrica. Si era arrovellato per giorni sulla questione, senza venirne
a capo.
Nessuno andò a visitarlo.
Aveva elaborato decine di teorie sulla situazione e via via che
passavano i giorni si era fatto sempre più depresso. Era
abituato a stare da solo, ignorarlo era la tattica preferita dei
Dursley, però non era mai stato tanto tempo senza vedere un
altro essere umano. La cosa iniziava a mandarlo sui nervi. Come se non
bastasse, non aveva assolutamente niente da fare: passava le giornate a
guardare distrattamente trasmissioni in una lingua a lui sconosciuta,
chiedendosi nel frattempo quando avrebbe finalmente scoperto qualcosa.
C’erano giorni in cui si sforzava di pensare ai
vantaggi di questa nuova vita, altri in cui passava delle ore immerso
apaticamente nella gigantesca vasca in marmo, annoiato.
Col passare delle settimane divenne sempre più disperato.
Arrivò a chiedersi se sarebbe mai uscito da quella stanza,
che diventava ogni giorno più soffocante. Si domandava il
perché di quella prigionia, cosa avesse mai fatto per
meritarla, e se fosse tutta una punizione per i voti troppo alti. Ma
no, i Dursley non l’avrebbero certo lasciato in una stanza
così lussuosa.
Così, cercava di deviare i suoi pensieri sui misteri della
sua confortevole prigione, a cominciare dal cibo. Più volte
gli era capitato di vederlo apparire dal nulla davanti ai suoi occhi.
Sembrava una magia, ma non poteva essere.
Con un brivido, si chiese come avrebbero reagito i Dursley se avessero
scoperto che un pensiero simile gli era passato per la testa:
l’ultima volta che Vernon l’aveva trovato leggendo
un libro di stregoni l’aveva picchiato con una violenza
inusuale.
Harry sapeva che la magia non esisteva e che solo le persone malvagie
ne parlavano, quindi vedere il cibo apparire dal nulla lo terrorizzava
talmente tanto che per un periodo aveva cercato di non mangiare, ma
dopo alcuni giorni di dolorosi crampi allo stomaco aveva desistito.
I suoi sogni si erano fatti sempre più cupi, e questo, unito
alla paura che qualcuno lo attaccasse nel sonno, rendeva le sue notti
agitate. Ogni giorno, guardandosi allo specchio, notava occhiaie sempre
più profonde.
Dopo tre settimane da quando era stato rinchiuso,
iniziò a battere i pugni contro le parete, urlando che lo
facessero uscire, che si mostrassero. Nonostante inizialmente si fosse
riproposto di mantenere la calma, anche per evitare di peggiorare la
situazione, si ritrovò a piangere disperato e supplicare.
Nel prossimo capitolo: il
primo incontro tra Harry e il suo rapitore e alcune risposte. Alla
prossima :)
|
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Capitolo 3 *** Conversazioni ***
Lavr
poteva ritenersi soddisfatto
di come si era evoluta la situazione. Finalmente era riuscito a
recuperare la
gemma.
Aveva
impiegato un millennio a
rintracciarla, solo per scoprire che era sempre stata sotto il suo
naso! Nascosta
per generazioni in una casa di maghi. Mai gli sarebbe passato per la
mente.
Aveva setacciato il mondo umano, per poi scoprire che il dannato
l’aveva
fregato ancora una volta! Tipico suo. Incredibile che non ci avesse
pensato
prima, era stato stupido a non indagare maggiormente sulla sua
famiglia.
Ma
era inutile pensarci ora.
L’importante era che la gemma fosse tornata nelle sue mani.
Appena Malfoy
gliela aveva consegnata, aveva eseguito il rituale con
l’aiuto di Veles, che
sicuramente avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Per riavere i suoi
poteri si
era ritrovato a contrattare con un vampiro e un mago. E a rapire un
moccioso.
Da una casa di babbani per giunta!
Certo,
considerò, nell’ultimo
millennio gli erano capitate diverse cose incredibili: aveva perso i
poteri per
colpa di un umano –un umano!- e si era ritrovato a vivere
come un vampiro qualunque,
dovendo fare affidamento solo sulla propria forza fisica.
Ora
la sua immensa magia
riaffiorava lentamente, provocandogli allo stesso tempo piacere e
disagio. Non
era più abituato; un tempo la usava per la minima
necessità ma secoli passati
senza gliene avevano reso meno automatico l’utilizzo. Con un
gesto delicato
della mano, attirò a sé la gemma, e la
guardò quasi affascinato. Pensare che
quella collana dall’aria così innocua aveva
custodito per secoli un potere così
grande. E ora non era che un pendaglio insignificante. Eppure, non se
n’era
ancora sbarazzato. Non voleva separarsene, rappresentava qualcosa
d’importante
per lui.
Cosa,
non ne era sicuro. Prima
dell’incontro con i due umani che gli avevano cambiato la
vita, non gli sarebbe
nemmeno passato per la mente di tenere un oggetto per semplice
attaccamento sentimentale, ma non
era più quello di
un tempo, inutile negarlo.
Doveva
andare avanti. Sarebbe
rimasto in quella villa il tempo necessario per far calmare le acque in
Inghilterra, nel giro di tre mesi avrebbe consegnato il bambino a
Malfoy e
sarebbe tornato al suo Palazzo. Nel frattempo, aveva provveduto
affinché il
bambino avesse tutto il necessario: lo aveva sistemato in uno degli
appartamenti più belli della casa e si era perfino dotato di
elfi domestici che
cucinassero per lui e provvedessero alle sue esigenze, con la
discrezione
tipica della loro razza.
Lo
sguardo gli cadde sul dipinto
su cui aveva lavorato in quell’ultimo mese. Un cespuglio di
rose, cresciute
ravvicinate come per proteggersi a vicenda dalle intemperie, e
circondate da piccoli
boccioli racchiuse tra il verde delle foglie. La monocromia del giallo
delicato
e dello smeraldo brillante era però contaminata dai puntini
marroni, arancioni
cupi e neri degli insetti posati sulla pianta, mentre alcune gocce di
rugiada
non ancora seccate dal sole gocciolavano dai petali delicati come delle
lacrime. Bello era bello. Ma quegli insetti, che infestavano la
perfezione del
fiore… eppure, senza di essi, la bellezza della pianta
sarebbe morta senza
possibilità di rigenerarsi. Sospirò. No, le rose,
per quanto belle, non erano
perfette. Erano fragili. Erano mortali.
Mise
da parte la tela e uscì dalla
camera ma rischio di inciampare nel corpo di Lucy, l’elfa che
aveva incaricato
di badare al bambino. La guardò vagamente interessato,
chiedendosi cosa ci
facesse seduta fuori dal suo studio.
Terrorizzata,
l’elfa squittì
«Sono spiacente, signore, Lucy non osava disturbare il
padrone, Lucy non sa
cosa fare col bambino.».
«Le
mie istruzioni erano chiare.
Non vedo perché dovresti avere problemi»
replicò pacato, incamminandosi verso
la biblioteca. Dietro di sé, i passetti affrettati
dell’elfa gli segnalarono
che la conversazione non era conclusa.
Si
girò di scatto per chiedere
cos’altro c’era, ma l’elfa, presa alla
sprovvista, gli finì contro.
Guardò perplesso la creatura alzare lo
sguardo colmo d’orrore, squittire un «Perdono
padrone!» e iniziare a sbattere
velocemente la testa al muro urlando «Lucy
cattiva!». Bizzarri esseri gli elfi
domestici. Aspettò pazientemente che finisse
di punirsi e poi le chiese cos’altro c’era.
L’elfa
scosse la testa,
come per riprendere il filo dei suoi pensieri. «Padrone, Lucy
ha obbedito agli
ordini, il bambino ha avuto tutto quello che il padrone ha ordinato,
però
bambino urla padrone.»
«Urla?»
ripeté leggermente
stranito.
«Si,
padrone! Urla, piange
e batte i pugni, padrone! Lucy non sa cosa fare! Lucy voleva chiedere a
padrone
cosa fare, ma padrone non usciva dallo studio e aveva ordinato di non
disturbare, così Lucy ha aspettato fuori dalla porta una
settimana.»
Lavr
scosse la testa.
Ancora due mesi e si sarebbe liberato di quell’ultima grana.
«Va
bene» disse solo «me ne
occuperò io.»
Si
recò alla porta della
camera dell’umano; non c’era bisogno di un udito
fine come il suo per sentire
le urla disperate di cui aveva parlato l’elfa. Rimase
sgomento. Come poteva un
bambino così piccolo emettere simili grida? E soprattutto,
perché urlava?
Suo
malgrado, si ritrovò ad
abbassare la maniglia ed entrare nella stanza.
Harry
urlava con tutto il fiato
che aveva. La gola gli faceva male, le nocche erano spellate e
sanguinanti e si
sentiva spossato come mai in vita sua. Aveva paura, non sapeva
dov’era, non
sapeva il perché si trovasse lì. Quella stanza
che inizialmente gli era
sembrata una reggia ora lo terrorizzava. Voleva tornare a casa! Voleva
uscire,
gli mancava la scuola, Dudley, persino Vernon! Stanco, si
appoggiò al muro,
senza più lacrime, ma senza smettere di urlare, seppur con
meno intensità.
Tacque solo quando vide comparire una porta nella stanza.
Il
suo primo istinto fu correre a
nascondersi, ma lo respinse. Non si sarebbe comportato come un
vigliacco. Si
alzò in piedi, sforzandosi di apparire coraggioso. Rimase
però sorpreso vide
entrare un uomo che sembrava uscito dalle riviste per casalinghe di sua
zia.
Era giovane, alto, vestito elegantemente.
Lo guardò a bocca aperta, dimentico per un
istante degli avvenimenti
dell’ultimo mese. Pareva uno dei principi delle favole.
«Come
hai fatto a ridurti così le
mani?» chiese lo sconosciuto con voce profonda.
Harry
se le guardò, confuso. La
vista del sangue bastò a ricordargli la situazione in cui si
trovava. Rialzò lo
sguardo sull’uomo e improvvisamente fu assalito da un
brivido, mentre qualcosa
dentro di sé gli urlava di scappare il più
velocemente possibile. Era una
sensazione mai provata prima, qualcosa di primordiale, di animale. Era
istinto.
Se
l’altro si accorse del suo
stato d’animo, non lo lasciò vedere: la sua
espressione rimase impenetrabile.
Questo ebbe il potere di calmarlo: gli adulti gli facevano del male
solo quando
erano arrabbiati. Certamente un uomo così calmo non
l’avrebbe schiaffeggiato,
no? Si sforzò di riprendere il controllo delle proprie
emozioni e chiese
«Perché sono qui?».
Per
un istante credette che non
avrebbe avuto risposta, ma poi l’altro parlò
«È complicato».
«Dove
sono i miei zii?»
«Sono
morti» fu la piatta
replica.
Harry
considerò la notizia.
Sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, tristezza almeno, eppure la
sensazione che investì non era di dispiacere. Era
un’emozione completamente
diversa. La represse immediatamente, disgustato di se stesso. Come
poteva
essere così cattivo? Era anormale, avevano ragione i suoi
zii.
«Morirò
anch’io?» chiese allora.
Ancora
una volta, l’uomo sembrò
soppesare la risposta.
«Vieni»
disse infine «ti curo le
ferite.» Con un gesto gli indicò di sedersi e,
seppur riluttante, il bambino lo
fece. Vedendolo così da vicino, rimase incantato
nell’osservare come i suoi
occhi, grandi, di un blu intenso, lo rendessero meno inaccessibile.
Erano occhi
vivi, brillanti.
Il
suo rapitore gli prese le mani
tra le sue e sussurrò qualcosa. Sbalordito, il bambino vide
le ferite
rimarginarsi e il sangue scomparire. Quella era…magia!
Nuovamente
spaventato, si
allontanò di scatto, mentre lo sconosciuto lo
guardò per la prima volta con un
barlume di curiosità.
«Cosa…cosa
era quella…cosa che
hai fatto?».
«Un
semplice incantesimo di
guarigione»
Harry
scosse la testa. «No» disse
«no, tu menti! Non esiste la magia!»
«Perché
dici questo?»
«Perché…»
esitò «Perché la magia
è una favola per gente fuori di testa e i miei zii non
vogliono che ne parli
perché non vogliono che si parli di cose anormali in casa
loro e perché sennò
mi faccio venire delle strane idee.» recitò.
«Capisco.»
rispose pacatamente
l’altro «ma i tuoi zii hanno mentito: la magia
esiste. E tu sei un mago.»
Harry
lo guardò incredulo, sicuro
che stesse mentendo, ma poi il dubbio s’insinuò in
lui. «Mi
è capitato di far succedere cose
strane…»
sussurrò timidamente.
«Per
esempio?»
«Una
volta zia Petunia mi ha
tagliato i capelli e mi sono ricresciuti in una notte, una volta sono
comparso
dal nulla...»
«Sì,
si» lo interruppe «è normale
per un mago.».
«Anche
i miei genitori erano
maghi?» chiese trepidante.
Di
nuovo, la risposta si fece
attendere.
«Ci sono molte
cose che non sai, ma non è
compito mio dirtele. Resterai qui solo per due mesi.»
«E
poi cosa succederà?»
«Ci
sono molti maghi interessati
a te, Harry Potter. Io ho il compito di consegnarti a uno di
loro.»
«E
cosa vuole da me?»
«Te
lo dirà lui se crede. Ora non
ci pensare. Smetti di farti del male, qui starai bene e io non ti
farò niente.»
Fece per uscire, ma Harry lo fermò urlando
«Aspetti! Non può chiudermi qui di
nuovo! La prego, mi faccia uscire, la prego!» Si mise a
piangere e corse a
frapporsi tra l’uomo e la porta.
«La
prego, non mi lasci qui da
solo.»
L’adulto
lo scrutò attentamente.
«Nel
mondo magico» disse infine
«sei famoso. Ti chiamano il bambino che è
sopravvissuto, perché hai sconfitto
un potente mago oscuro.»
Il
bambino lo guardò stupefatto.
«Colui
che mi ha incaricato di…prelevarti dalla
casa dei tuoi zii è un
uomo molto influente nel vostro mondo. Non so cosa voglia da te. Ho
stretto un
patto con lui perché aveva qualcosa che mi interessava
molto. Tutto qui. Io non
mi interesso degli affari degli umani.»
«Quindi
tu non sei umano?»
domandò Harry, incuriosito.
«No,
io sono qualcos’altro.»
«Che
cosa?»
La
voce dell’adulto si fece più
autoritaria «La tua razza mi chiama con nomi diversi. Ma la
mia essenza
sfuggirebbe alla tua comprensione. Ti basti sapere che non appartengo
al mondo
dei tuoi zii, né a quello dei tuoi genitori.»
«Non
sembri cattivo però»
Per
la seconda volta, il suo
interlocutore rimase interdetto.
«Se
vuoi» cambiò argomento «posso
portarti un animale, per tenerti compagnia.»
L’idea
lo rallegrò immediatamente
«Grazie!» trillò «Posso avere
un cagnolino? O magari…» si bloccò,
esitante.
«Tutto
quello che vuoi» lo
incoraggiò l’uomo.
«Anche
un serpente?»
«Perché
vorresti un serpente?» gli
chiese.
«Perché...
perché così ci posso
parlare, se per lei va bene?»
Questa
volta vide accendersi un
barlume d’interesse negli occhi dell’uomo.
«Molto
bene. Tornerò domani»
disse semplicemente, e se ne andò, lasciandolo di nuovo solo.
Lavr
fu sollevato di uscire dalla
stanza di Harry Potter. Fortunatamente, fra poco avrebbe ripreso
completamente
il controllo dei suoi poteri, e nel giro di due mesi sarebbe tornato
alla calma
e al silenzio del suo Palazzo, lontano da umani, elfi, vampiri, mannari
e tutte
le altre rumorose creature che infestavano il pianeta. Credeva di
averci fatto
l’abitudine, anzi, si era addirittura illuso di essere
diventato bravo a capire
le altre razze. E invece gli umani sfuggivano ancora alla sua
comprensione.
Anche il bambino prima…non si era aspettato che avrebbe
reagito così male alla
prigionia, dopotutto aveva provveduto affinché avesse tutto
ciò di cui
necessitava. E non poteva certo sentire la mancanza della sua
situazione
precedente; l’aveva trovato a vivere in un sottoscala!
Ora
che ci faceva caso, sembrava
fin troppo piccolo per la sua età, forse non era stato
nutrito a sufficienza,
ma era difficile da dire. Non era un esperto di bambini umani, per
questo aveva
incaricato Lucy di prendersi cura di lui. Eppure il piccolo non era
tranquillo.
Magari,
si disse, ha
reagito male alla solitudine. Agli umani talvolta capitava.
Però si era
ricomposto velocemente, considerò, aveva anche reagito
sorprendentemente bene
alle informazioni che gli aveva dato. Ma non era questo che
l’aveva colpito.
No,
era stata la notizia che il
bambino era rettilofono… un fiume di ricordi gli
tornò alla mente. Il mago che
l’aveva sconfitto, anche lui aveva quel dono.
Nella
sua mente, l’immagine del
piccolo Potter si sovrappose a quella di un uomo adulto, esile, dallo
sguardo
determinato, per poi essere sostituita dall’immagine di lei.
Sospirò.
In
mille anni aveva tentato di
evitare di pensare a lei. Il ricordo gli procurava ancora adesso una
fitta al
cuore.
Si
alzò. Non era il momento di
rievocare il passato: doveva incontrare Veles, anche se non aveva la
minima
voglia. Dopo l’incantevole
colloquio
con il Bambino Sopravvissuto, non era certo dell’umore adatto
per incontrare il
Signore dei vampiri d’Europa, l’essere
più scostante sulla faccia della terra,
nonché uno dei pochi esseri viventi con cui interagiva
abitualmente. Che poi,
viventi. Senzienti.
Lo
conosceva da tempi immemori. Era
stato Veles ad aiutarlo a riprendersi i poteri, e lo aveva anche
ospitarlo alla
sua Corte per un po’ di tempo, quando non sapeva dove andare.
Non poteva mancare
all’appuntamento, se lo avesse fatto, gli avrebbe dato il
tormento.
Si
smaterializzò e riapparve in
un salone ampio e buio. Notò con leggero fastidio che ancora
non era in grado
di materializzarsi con precisione. Si rassegnò a camminare,
percorrendo una
serie di corridoi labirintici, avvolti dalla penombra e appestati
dall’odore di
chiuso. Un altro forse avrebbe trovato il luogo silenzioso ma
luì sentiva
perfettamente i sussurri, i fruscii, i gemiti, ma non vi
prestò attenzione. Arrivato
alla sua metà, con un movimento imperioso della mano
aprì l’immenso portone
davanti a sé, entrando nella sala del trono.
Sentì addosso mille sguardi
incuriositi, e ne ricavò un sottile piacere. Era di nuovo se
stesso.
Veles
era stravaccato sul trono,
infondo alla stanza, ma non appena lo vide si alzò e gli
andò incontro. Indossava
stretti pantaloni neri e una camicia
rosso sangue che faceva risaltare la sua pelle pallida; i suoi occhi
vermigli
parevano brillare nella penombra.
«Mio
Signore» disse quando fu a
pochi metri da lui «sono lieto di vedere che siete nuovamente
Voi»
Lavr
notò divertito quanto il
tono deferente usato dall’amico contrastasse col sorriso
canzonatorio che gli
rivolgeva. «Possiamo
parlare in privato?
» chiese. Per tutta risposta, il vampiro lo
afferrò per un braccio e li
smaterializzò entrambi.
Riapparvero
in una spiaggia dalla
sabbia finissima, illuminata dalle luci della luna e di un paesino che
si
ergeva in alto, alle loro spalle. Il rumore del mare era soffocato
dalla musica
e dalle voci provenienti dal centro umano, voci di spensierata allegria
e
festeggiamenti. Lavr contemplò per qualche istante lo
spettacolo di luci e
confusione che rallegravano quella calda nottata estiva, per poi
tornare a
volgere lo sguardo al mare calmo.
«Italia?
»
«Grecia.
»
«Mm.
» Si sdraiò sulla sabbia,
più interessato alla volta stellata che non alla
conversazione.
«Niente
male come spettacolo, no?
» esclamò Veles, allargando le braccia con fare
teatrale.
«Peccato
per il baccano. » fu la
blanda risposta
Il
vampiro scosse la testa
energicamente, ed esclamò, gesticolando per imprimere il
messaggio con più
vigore «Andiamo! Per una volta apprezza le gioie della vita:
la musica, le
donne, l’alcool. Non vorrai davvero chiuderti nuovamente nel
tuo Palazzo e
dimenticarti del mondo esterno, vero? »
«
Perché no? » bofonchiò in
risposta «abbiamo idee diverse su quali siano i piaceri che
la vita offre. Non
riesco a trovare la bellezza nel caos del mondo. E ormai gli uomini
sono
dappertutto, con il loro rumore e la loro sporcizia e il loro
affaticarsi senza
senso.»
L’altro
rise e si sedette «Vero,
ma non mi lamento certo. Hanno fatto grandi progressi, non trovi? I
babbani e
la loro scienza… Il mondo umano è decisamente
più interessante di questi tempi.
Anzi, ormai passo più tempo fra i mortali che con la mia
gente. »
«Mm.»
«Demoni!»
Il vampiro si rialzò di
scatto «potresti almeno fingere di essere interessato!
»
«È
sempre la stessa solfa. Voi
vampiri e i vostri conflitti con i mannari. Anche gli umani sono
ripetitivi:
pace, guerra e poi di nuovo pace. E i maghi poi! Da quello che ho visto
in
questi ultimi mesi, non sono cambiati affatto. Un nuovo Lord Oscuro, un
altro
vecchio mago che lo combatte. »
«Ah
sì. Come ti sembra il piccolo
Harry Potter? »
Lavr
non
rispose, perso nei suoi pensieri «È rettilofono.
» sussurrò infine.
«
Capisco. Ti ricorda lui, non è così? »
Sbuffò,
infastidito dalla perspicacia del suo interlocutore «Non
è come se Merlino
fosse l’unico rettilofono al mondo!»
«No,
anche Voldemort lo era.»
Stavolta
preferì non rispondere, ma l’altro insistette:
«Quell’uomo è pazzo. È solo
interessato a se stesso.»
«Andrete
d’accordo.»
«Dico
sul serio. Anche tra i vampiri in molti hanno festeggiato la sua
caduta. E alla
mia corte serpeggia la curiosità per il bambino.»
«Viveva
tra i babbani. Non sapeva nemmeno di essere un mago. È uno
scricciolo,
assolutamente privo d’interesse.»
«Però
è rettilofono.»
Lavr
scrollò
le spalle, disinteressato
«E
se
è sopravvissuto all’anatema che uccide qualcosa di
singolare deve pur averlo.»
continuò il vampiro.
«Ripagherò
il mio debito il prima possibile.» provò a
cambiare argomento.
«Mi
ascolti? Non vorrai
davvero consegnare
il bambino a Malfoy.»
«I
patti erano quelli.»
«Chi
se ne frega!» sbottò Veles a quel punto
«Quel piccolo può rivelarsi utile,
potrebbe cambiare la storia. Non puoi lasciarlo a quel mago.»
«Non
riesco proprio a capire perché ti stai interessando tanto ai
problemi dei
mortali.» replicò placidamente il demone.
«Perché
il mondo è cambiato! Non è più come lo
conoscevamo noi. È diventato più piccolo
e ormai non possiamo più fingere che i destini delle razze
non siano legati.»
«Non
mi riguarda.»
«Non
capisci proprio, eh?» il vampiro diede un calcio alla sabbia
«Ci sarà pure
qualcosa in questo pianeta di cui t’importi
qualcosa.»
«Ho
imparato a non impicciarmi nelle faccende dei mortali.» Disse
allora Lavr «E
poi, in mille anni non ho visto nessun mago degno di Merlino.»
«Non
ne dubito, ma non si sa mai.»
Perso
ogni interesse, il demone si alzò, intenzionato ad
andarsene, ma si bloccò
sentendo l’ultima frase pronunciata dall’altro.
«Dallo
a me allora.»
Si girò sorpreso.
«Ti
ho
aiutato col rituale, sei in debito con me.»
continuò Veles
«Ma
il
bambino l’ho promesso a Malfoy.» obiettò.
«Hai
promesso di rapirlo e l’hai fatto.»
«Che
cosa faresti se te lo consegnassi?»
«Dipende.»
fu la noncurante risposta
«Valuterò
la questione.» concesse infine il demone, prima di
smaterializzarsi.
Ciao. Eccomi con un nuovo
capitolo :) Volevo dare alcuni chiarimenti sulla direzione che
prenderà la storia. Harry andrà ad Hogwarts, e
non ci vorrà molto perchè questo accada.
Seguirò i suoi anni là, che naturalmente saranno
molto diversi rispetto al libro, ma darà grande rilievo alla
guerra magica, che molto probabilmente inizierà prima
rispetto al canon. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, dovrei
pubblicare il prossimo al più tardi giovedi. Un bacio :)
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Capitolo 4 *** La Rue des Fées ***
Lavr
camminava per le strade malfamate della Parigi
magica; stava cercando il negozio di un certo Luis, un vampiro di
appena
sessant’anni che si occupava di contrabbando.
Attraversò la strada priva di
illuminazione senza difficoltà: i maghi evitavano di
avventurarsi in quella
zona di notte, e i vampiri erano abbastanza furbi da non importunarlo.
Imboccò
un vicolo senza esitazione ed entrò in un piccolo garage,
individuando subito
il proprietario.
«Sei
tu Luis?» chiese.
«Si,
signore» rispose l’altro, a disagio. Sembrava
sulla quarantina ed era vestito con un abbinamento di colori che gli
conferiva
l’aspetto di uno che si veste a occhi chiusi.
«Mi
serve un animale magico. Un serpente»
«Si,
signore» il vampiro gli si inchinò davanti,
incapace di mascherare il proprio nervosismo, e fece segno di seguirlo.
Il
garage sembrava ospitare ogni tipo di merce. Luis lo condusse in una
cantina,
dove si trovavano animali di ogni tipo e non solo. In un angolo
c’era anche una
gabbia con dentro due bambini.
«Lupi
mannari.» ghignò Luis, scoprendo le zanne.
«Vendono bene e nessuno viene a reclamarli.»
Lavr
fece una smorfia. In vita sua aveva visto molte
cose riprovevoli, ma il commercio di esseri senzienti restava tra le
peggiori.
«Quanti
anni hanno?» chiese casualmente.
«il
più grande sette, l’altro cinque. Sono stati
trasformati appena un anno fa.»
Sette
anni, pochi anche per i canoni dei mortali… la
stessa età di Harry Potter, se non si sbagliava.
«Li
ho trovati a mendicare per strada» continuò il
mercante «sicuramente erano dei piccoli maghi e i genitori li
hanno
abbandonati. Così li ho amorevolmente presi in custodia
io.» rise divertito.
«Il
serpente?» lo interruppe il demone.
«Oh
si signore» il ghigno del vampiro si spense, mentre
si addentrava nella stanza a rovistare tra le gabbie. Lavr non lo
seguì, ma
rimase a guardare i due bambini, che nel frattempo si erano
rannicchiati in
fondo alla gabbia, terrorizzati. La loro vita sarebbe stata un inferno,
ma del
resto lui cosa poteva farci? Un bambino a casa sua era più
che sufficiente.
La
ricomparsa di Luis lo distolse dai suoi pensieri.
«Ecco
signore. È un piccolo Agares, la razza più letale
di serpenti magici. Secondo la leggenda è stata creata da
Lilith in persona.
Bah» il mercante sputò per terra, come a dire che
lui non credeva a simili
sciocchezze «adesso è piccolo, ma
raggiungerà i quattro metri. È una razza di
famigli, sarà fedele al suo padrone se egli sarà
abbastanza potente. Voi non
avrete problemi ad addomesticarlo.» concluse untuosamente.
«Molto
bene,» fece Lavr, sbrigativo «lo prendo. E
prendo anche i lupacchiotti.» aggiunse, pentendosene
un’istante dopo
Il
vampiro si sfregò le mani avidamente.«
accetto solo pagamenti in valuta
babbana. Sono diecimila euro, signore.»
Lavr
lo guardò divertito, e il vampiro perse
immediatamente il suo ghigno «ottomila?»
tentò, rendendosi conto della
situazione.
Ignorando
il venditore, appellò il serpente, aprì la
gabbia con un gesto e invitò i bambini a uscire. Il vampiro
lo inseguì, urlando
cifre sempre più basse, e infine, dopo che ebbe esalato
«100!» senza molta
convinzione, Lavr si girò e gli lanciò un piccolo
rubino, che egli afferrò
prontamente.
Il
demone prese i bambini e si smaterializzò poco
lontano, in un vicolo deserto. I mannari sembravano felici e guardinghi
allo
stesso tempo.
«siete
liberi» disse Lavr bruscamente «fate più
attenzione la prossima volta.»
«signore
aspetti»
Si
voltò seccato, e il bambino sembrò perdere il suo
coraggio, ma poi si fece forza e continuò
«signore, la prego. Non sappiamo dove
andare»
Ma
perché finiva in situazioni simili? Non c’era una
singola possibilità al mondo che si facesse carico di due
lupacchiotti!
Considerò le alternative. Poteva mollarli a qualcuno, ma
chi? Il primo nome che
gli venne in mente fu Veles, ma lo scartò subito. Per
scaricarli a un vampiro,
avrebbe potuto lasciarli dov’erano. La cosa migliore sarebbe
stata affidarli a
un lupo mannaro, ma non ne conosceva molti, e quei pochi che aveva
frequentato
in passato erano sicuramente morti da un bel pezzo.
Proprio
quando stava accarezzando l’idea di andarsene e
lasciare che si arrangiassero, gli venne in mente un pub che aveva
frequentato
negli ultimi mesi passati in Francia, dove tra gli avventori abituali
c’erano
anche diversi lupi.
«d’accordo.
Prendete la mia mano.»
Quando
i due lo fecero, si smaterializzò nuovamente.
Riapparvero all’interno di un piccolo bar, molto frequentato
dalle creature
magiche della capitale. Alcuni clienti, soprattutto vampiri, si
girarono a
guardarli, ma vedendolo tornarono saggiamente a farsi gli affari
propri.
Avvertendo i bambini al suo fianco irrigidirsi, il demone
sussurrò «non
preoccupatevi, non oseranno attaccarvi se siete con me».
Incredibilmente,
funzionò. I piccoli afferrarono la sua mano e lo seguirono
fiduciosi, cosa che
lo lasciò quasi seccato. Uno penserebbe che mesi chiusi in
gabbia gli avessero
insegnato una cosa o due sul dare facilmente fiducia agli estranei!
Si
avvicinò al barista, un babbano alto e grosso.
«sto
cercando un lupo mannaro. Sulla trentina, capelli ingrigiti e
l’aria di uno che
avrebbe bisogno di un buon pasto». Dopo averlo squadrato con
occhio critico,
l’uomo indicò con un cenno uno dei tavolini
all’angolo.
Finalmente
un po’ di fortuna! Si diresse immediatamente
al tavolo del lupo, che alzò lo sguardo dalla sua burrobirra
non appena percepì
la sua presenza.
«questi
bambini erano stati catturati da un
trafficante» esordì Lavr, senza curarsi dei
convenevoli «poiché sono della tua
razza, te li affido. Io non posso aiutarli.»
Il
mannaro guardò prima lui, poi i bambini, con
l’aria
di uno sicuro di essere vittima di uno scherzo.
«co…
cosa? No aspetta! Non puoi lasciarmi così. Non
posso occuparmi di due bambini!»
Lavr
sospirò. Mortali. Sempre a complicare le cose.
«sei vestito in abiti babbani, ma tieni la mano pronta ad
afferrare la
bacchetta, il che significa che sei stato addestrato come un mago. I
tuoi
vestiti sono in uno stato pietoso e frequenti un posto malfamato come
questo,
quindi hai pochi soldi, ma si vede che sei civilizzato, sei
probabilmente
l’unico in questo buco che sa qual è la funzione
di un tovagliolo. Senza
contare che il tuo aspetto malnutrito e poco sano mi dice che non hai
accettato
la bestia, il che da un lato significa che sei un idiota, ma
dall’altro che sei
il mannaro più umano che abbia incontrato da molto tempo.
Sono sicuro che
troverai una sistemazione per questi due, sennò rimandali in
strada, non
m‘interessa. Io me ne lavo le mani, non sono mica il santo
protettore dei
mocciosi bistrattati». Approfittando dello sconcerto
dell’uomo, si liberò della
presa dei due bambini e si voltò per andarsene.
«
no aspetti!» lo fermò
Si
girò, infastidito. Il mannaro aveva ancora l’aria
di
uno che ha ricevuto una botta in testa, ma tentò di
ricomporsi.
«sono
Remus Lupin» disse semplicemente
«Lavr»
Era
passato un giorno da quando il suo rapitore era
andato a trovarlo. Harry aveva riflettuto a lungo sulle cose che gli
aveva
rivelato. Non erano certo facili da digerire.
I
suoi zii gli avevano mentito. La magia esisteva, e
lui e i suoi genitori erano maghi. Non solo, ma non c’era
stato nessun
incidente d’auto. Suo padre non era un ubriacone. Il petto
gli si riempì di
rabbia. Come avevano osato insinuare una cosa del genere? Ma la cosa
più
sconvolgente era scoprire di essere famoso nel mondo magico. Era
ridicolo.
Poteva credere all’esistenza della magia, al fatto che la sua
vita fosse stata
una menzogna, ma aver sconfitto un potente mago oscuro da neonato?
Forse era
tutto un sogno bizzarro. Il ricordo di sconosciuti che lo fermavano per
strada
per ringraziarlo gli balzò alla mente. Eppure, se era tanto
celebre, perché lo
avevano lasciato con i Dursley?
Il
suo carceriere era un altro enigma. Il suo istinto
gli aveva suggerito impressioni contrastanti, ma ciò che
maggiormente lo
preoccupava era l’uomo che aveva ordinato il su rapimento.
Sapeva bene che le
cose possono sempre peggiorare: vivere con i suoi zii era orribile, ma
chissà
cosa avrebbe potuto fargli un mago. Rabbrividì. E ora era
nelle mani di uno che
non era nemmeno umano! Ripensò ai libri di favole che aveva
letto. Non poteva
essere un orco, o un troll; sembrava un umano qualunque…
forse era un vampiro?
Si portò istintivamente la mano al collo, con un brivido.
Magari era quello il
motivo per cui non c’era luce solare nella sua stanza. O
almeno non c’era stata
fino al giorno prima. Al suo risveglio aveva trovato delle finestre
nella
camera, che davano su un bellissimo giardino e da cui si poteva vedere
il mare
in lontananza. Si potevano a malapena socchiudere, ma era
già un miglioramento.
Era stato carino da parte del suo rapitore, no? Magari era un elfo! Al
prossimo
incontro gli avrebbe controllato le orecchie.
Ma
poteva fidarsi di lui? Aveva ucciso i suoi zii. Però
lo aveva portato in quella bella stanza, e non gli aveva fatto del
male. Certo,
l’aveva lasciato lì da solo! Ma avrebbe potuto
abbandonarlo in un posto ben
peggiore... non gli era mai mancato il cibo. Scosse la testa. Era tutto
così
confuso!
Come
evocato, l’oggetto dei suoi pensieri entrò nella
stanza, (dopo aver bussato, registrò Harry, non abituato a
simili cortesie.)
«tieni»
disse porgendogli un piccolo serpente. Lo
prese, entusiasta. Era molto piccolino, poteva senza problemi tenerlo
nel palmo
della mano, ma le scaglie erano di un colore bellissimo, verde
brillante, e
aveva delle strisce nere sul dorso. Quasi dimentico della presenza del
suo
carceriere, cominciò a parlarci.
-
Come
ti chiami? – sibilò
-
Non
ho un nome. Non avevo mai incontrato un
umano col dono della lingua –
-
Che
cosa intendi? – chiese, confuso
-
Hai
il dono di parlare la lingua dei
serpenti -
-
Vuol
dire che sto parlando una lingua
diversa? – gli fece eco, stupefatto – lui capisce
quello che stiamo dicendo? –
aggiunse, lanciando un’occhiata di sottecchi
all’uomo.
-
No.
Il dio non ha il dono –
Adesso
era davvero senza
parole. Un dio?
-
Non
capisco. Come può essere un dio?
-
Sono
una creatura magica creata dalla Dea,
quindi riconosco che egli è simile a lei –
Harry
considerò quelle nuove informazioni. Ormai,
cominciava a non stupirsi più di niente.
-
Adesso
tu sei il mio padroncino – aggiunse
il serpente.
-
Va
bene. Mi prenderò cura di te – replicò
con un sorriso. Ringraziò l’uomo per il regalo, e
non potendosi trattenere
oltre, iniziò a formulare gli interrogativi che gli erano
passati per la mente
quella notte, sperando che il suo carceriere non odiasse le domande
quando i
Dursley.
«come
ti chiami?»
L’uomo
sembrava essersi
aspettato di subire un terzo grado, perché rispose
pacatamente: «ho diversi nomi,
ma tu puoi chiamarmi Lavr».
«sei
davvero un dio?»
«da
dove ti viene questa
idea?»
Per
tutta risposta, Harry
indicò il suo nuovo amico.
«dipende
da cosa intendi
per dio, suppongo» replicò dopo una breve
riflessione. «erano secoli che non mi
sentivo chiamare così, soprattutto da un essere umano.
Quelli della tua razza
ci chiamano demoni.»
«demoni?
Come Satana?»
chiese Harry, allontanandosi istintivamente.
Lavr
roteò gli occhi al
cielo «no, niente del genere. Il termine demone viene dal
greco, ma non penso
che questo sia il momento giusto per aprire un dibattito filosofico o
di
semantica. Puoi attribuirmi il nome che preferisci, la mia essenza non
cambia».
Un
po’ dubbioso, il
bambino lasciò cadere il discorso. «esistono altre
creature non umane? Non so,
elfi, vampiri, cose del genere?»
«si»
«wow»
esclamò,
elettrizzato dalle scoperte che stava facendo.
«credimi,
una volta che ti
sarai abituato a questo mondo, non ci troverai più niente di
entusiasmante».
Ne
dubitava, sinceramente.
Sembrava tutto così... beh, magico.
Ma
c’era un’altra domanda
che lo assillava. Prese un bel respiro e mormorò
«quindi non morirò?».
Lavr
non rispose. «ti
andrebbe di fare un giro nel mondo magico?» gli chiese.
Come
gli capitava spesso
di quei tempi, Lavr si pentì della proposta un istante dopo
averla fatta, ma
ormai il bambino era già esaltato. Prese le precauzioni
necessarie: cambiò
l’aspetto di Harry, trasformandolo in un bambino
più grande, biondo e riccio, e
nascondendo la cicatrice. Del resto, quella era la parte più
riconoscibile;
nessuno nel mondo magico aveva mai visto il bambino, e non era nemmeno
scoppiato uno scandalo quando era stato rapito, forse perché
già da prima i
maghi non sembravano sapere dove si trovasse il Bambino Sopravvissuto,
lui
stesso aveva impiegato un intero mese per scoprirne la residenza. Il
suo
tutore, Albus Silente, si era premurato di mantenere il segreto su
tutto ciò
che riguardava il bambino ma grazie ai suoi contatti al ministero,
Malfoy era
riuscito a indirizzarlo verso la pista giusta. E a proposito di Malfoy:
gli
aveva mandato una lettera non appena aveva prelevato
il bambino, promettendogli di consegnarglielo tra qualche
mese ma ora non
ne era più così sicuro. Affidare Harry Potter
nelle mani di un mangiamorte
sarebbe stato crudele, e l’idea lo turbava più di
quanto non volesse ammettere.
Nei suoi diecimila anni di vita si era abituato a gesti ben
più terribili, ma
questo bambino... la vita era stata ingiusta con lui. Si
schiarì a mente.
Inutile pensarci ora. Come aveva detto Veles, le sorti del piccolo
erano legate
indissolubilmente a quelle del mondo magico, e lui non si sarebbe fatto
incastrare una seconda volta nella politica umana. Forse Malfoy lo
avrebbe
ucciso, forse no, ma tanto alla fine quello era il destino di ogni
essere
umano. Però era curioso di scoprire se almeno Potter fosse
all’altezza delle
aspettative.
Dopo
essersi
smaterializzato, aspettò pazientemente che il bambino si
riprendesse. Si
trovavano a Montmartre, a Parigi. Fece un incantesimo che li
permettesse di
passare inosservati, e condusse il maghetto al portale che portava alla
Rue des
Fées, situato all’interno della Basilica del Sacro
Cuore. Doveva ammettere che
i maghi avessero un discreto senso dell’umorismo: piazzare
l’ingresso al loro
mondo nel luogo di culto della religione che li perseguitava! Senza che
nessuno
li degnasse di uno sguardo, entrarono nel confessionale, dove si
trovava il
portale, e passato quello, vide gli occhi del bambino spalancarsi alla
vista di
una strada stretta, in pietra, piena di maghi affaccendati e di negozi
che a
Harry dovevano apparire bizzarri. Lui invece, si sentì
soffocare dagli odori pungenti
di quella calca di uomini e di animali, d’ingredienti per
pozioni e delle
schifezze che i maghi avevano il coraggio di infilarsi in bocca. Storse
il
naso, disgustato. Se non altro, almeno di quei tempi gli umani avevano
il buon
gusto di non buttare i loro puzzolenti fluidi nelle strade.
Dopo
aver eseguito su se stesso una variante
dell’incanto testabolla, seguì il bambino in ogni
negozio che attirava la sua
attenzione, rispondendo alle centinaia di domande che gli sottoponeva
come
meglio poteva. Gli parlò dello statuto di segretezza, del
Ministero della
Magia, gli illustrò molto rapidamente alcune differenze tra
la Francia e
l’Inghilterra magiche. Arrivò persino a parlargli
di Hogwarts, attingendo prevalentemente
alle informazioni che aveva raccolto da Merlino. Dopo un po’
le domande si
fecero più complicate. Il piccolo voleva sapere dei suoi
genitori, e di
Voldemort, e di altre cose di cui, francamente, lui sapeva ben poco. Ma
sembrava anche molto interessato alle creature magiche, e a lui.
«ma
quindi tu sei immortale? Come i vampiri?» chiese a
un certo punto
«no.
I vampiri non sono veramente immortali. Sono
immuni allo scorrere del tempo, ma possono essere uccisi da un colpo al
cuore,
o dalla luce del sole, e devono bere sangue per vivere».
«e
tu cosa mangi?»
«niente»
L’idea
sembrò sconvolgere il maghetto. «niente niente?
Mai?»
«no»
«e
se mangi qualcosa stai male?»
«non
mi piace il cibo» tagliò corto.
Dopo
un paio d’ore non ne poté veramente più
di tutta
quella confusione, e riportò il bambino a casa. Harry era
euforico per la
giornata appena trascorsa, ed era buffo. Probabilmente, viveva il suo
rapimento
come la cosa migliore che gli fosse capitata da molto tempo.
«puoi
tornare nella tua stanza. Lucy provvederà alla
tua cena»
«chi
è Lucy?» chiese
Per
tutta risposta, Lavr chiamò l’elfa. Non aveva
più
senso tenere il bambino chiuso in camera, poteva fargli girare la casa,
tanto,
anche se avesse scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto poteva sempre
obliviarlo.
«il
padrone ha chiamato» domandò la creatura.
«si
Lucy. D’ora in poi prenderai ordini direttamente da
Harry». Poi, rivolgendosi al bambino, aggiunse:
«lei ha il compito di provvedere
a ogni tua necessità. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, puoi
chiedere a lei. La
casa è protetta da barriere magiche, quindi ti
sarà impossibile uscire, però
puoi entrare liberamente nelle stanze che non sono chiuse a chiave. Se
preferisci, potrai mangiare nella sala da pranzo e anche giocare in
giardino.
Lucy ti porterà a vedere il resto della casa».
«posso
restare con te adesso?»
Il
bambino aveva il potere di sorprenderlo. Era
sembrato incredibilmente a suo agio quel giorno; gli umani in genere
tendevano a
evitarlo, il loro istinto gli suggeriva che era un pericolo per loro.
Evidentemente però, uno cresciuto con dei parenti abusivi
aveva una percezione
diversa del pericolo. Aveva provato a fare qualche domanda sui Dursley
al
bambino, ma aveva ottenuto solo risposte vaghe e.. imbarazzate?
Così aveva
deciso di lasciar perdere.
«sono
occupato» rispose, ma vedendo il maghetto
rattristarsi, aggiunse: «ti farò compagnia a cena,
se lo desideri».
Harry
annuì, di nuovo allegro, e Lavr lo lasciò con
l’elfa e si recò nel suo studio. Gli erano venuti
in mente alcuni ritocchi per
il quadro.
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Capitolo 5 *** Lezioni ***
Severus Piton era seccato, e per delle buone ragioni. Era
seccato perché la sua estate tranquilla lontana dai suoi
pestiferi alunni d passare distillando pozioni e rifornendo il suo
armamentario era stata rovinata da nientemeno che dal pidocchioso
figlio di Potter. Era seccato perché si era illuso di non
doversi occupare del Bambino- purtroppo – sopravvissuto per
almeno altri cinque anni. Era seccato perché Silente aveva
incaricato lui di fare qualche ricerca nel vecchio giro, cosa che si
sarebbe risparmiato volentieri, ma soprattutto era seccato
perché per quanto odiasse ammetterlo, era preoccupato per il
bambino. Il figlio di Lily, che aveva giurato sulla tomba della donna
di proteggere, era scomparso, e una parte di lui –
estremamente fastidiosa – gli rinfacciava la propria
negligenza.
Non avrebbe dovuto assecondare il piano del preside. Lasciare
il figlio di Lily nelle mani di Petunia! A cosa era servito
poi? Le cosiddette barriere impenetrabili erano state buttate
giù, Severus stesso si era recato a Privet Drive a cercare
indizi, ma senza successo. I tre babbani erano morti nel sonno, e
l’assassino non aveva lasciato la benché minima
traccia del suo passaggio. Ma la cosa che più aveva colpito
il pozionista, era che non c’era nemmeno nella casa il minimo
indizio che una quarta persona avesse mai vissuto là. Non
c’era nemmeno una foto e delle tre camere da letto
dell’abitazione, nessuna sembrava esser stata di Harry: nella
camera del cugino c’era un solo letto, e l’altra
camera era sommersa di giocattoli e diavolerie babbane, e sembrava
improbabile che qualcuno ci avesse mai dormito.
Ispezionando il resto della casa era stato attirato dalla
porta del sottoscala, e quello che aveva visto lo avrebbe tormentato
per il resto dei suoi giorni: un minuscolo giaciglio sfatto, qualche
soldatino buttato sul pavimento, e nelle lenzuola improvvisate delle
vecchie macchie di sangue. Aveva parlato con i vicini, compresa quella
vecchia svitata di Arabella Figg, con gli insegnanti, con i poliziotti
che si occupavano del caso. Tutti gli avevano descritto un bambino
pallido, scheletrico, introverso, sempre vestito con abiti logori e
troppo grandi, preso di mira dai bulli della scuola, ossia gli amici
del cugino.
Non era così che si era immaginato il figlio di
James Potter.
Era tornato da Silente furioso, e gli aveva sputato in faccia
la verità sul luogo sicuro dove aveva lasciato
l’eroe dei maghi, e aveva goduto nel vedere il vecchio mago
portarsi le mani al viso, stanco e sconfitto, mentre Minerva gli
rinfacciava di non averla ascoltata, di non averle dato retta quando
gli diceva che il piccolo Harry non poteva crescere con quei babbani
orribili. Ma incolpare il preside non era servito a togliergli il
groppo che gli si era formato in gola.
Tutti i tentativi di Silente di rintracciare il bambino si
erano rivelati vani. Ovunque si trovasse, era nascosto da barriere
potentissime. Severus era anche andato a trovare Lucius, con la scusa
di chiedergli alcuni ingredienti difficili da trovare nei negozi di
Diagon Alley; Malfoy non era sembrato affatto sorpreso della sua
visita, e aveva mantenuto per tutto il tempo un sorriso sardonico che
poco era piaciuto al pozionista, ma per il resto non aveva fatto
trapelare nulla, non che Severus si aspettasse qualcosa di diverso.
Silente si era detto sicuro che Harry fosse ancora vivo, ma le
probabilità di trovarlo diminuivano di giorno in giorno.
Mentre Severus Piton si arrovellava nei suoi pensieri, il Bambino
Sopravvissuto, in Francia, si godeva un bagno caldo prima di cena. Era
stata la giornata più straordinaria della sua vita. Non
aveva creduto completamente alla magia finché non era stato
alla Rue des Fées; era rimasto incantato dalla vista di
tutte quelle persone vestite eccentricamente che si affrettavano da una
parte all’altra, entrando in negozi di bacchette, di
ingredienti per pozioni, di animali. E lui apparteneva a quel mondo!
Bruciava di curiosità, più cose scopriva
più domande gli passavano per la testa. Era rimasto
estasiato alla vista della libreria, e Lavr gli aveva detto che in casa
c’erano diversi libri in inglese e gli aveva promesso che
avrebbe potuto leggerli.
Prese della schiuma delicatamente, soffiò e
guardò divertito le bolle che si erano create. Dai Dursley
poteva solo farsi docce veloci in acqua fredda. Il pensiero dei suoi
zii lo incupì. Non voleva più pensarci. Le bugie
che gli avevano detto su di lui e sui suoi genitori lo riempivano di
rabbia e umiliazione. Una parte di lui era felice che fossero morti, e
questo lo faceva sentire orribile.
S’immerse nell’acqua, nel tentativo di
scacciare i ricordi. Ora che sapeva che non era anormale, ma speciale,
non avrebbe più permesso a nessuno di fargli del male. Mai
più.
Dopo essersi asciugato e rivestito, si recò nella
sala da pranzo, dove trovò Lavr, come promesso. Il demone
gli fece un tiepido sorriso, e con un gesto spostò la sedia
di fronte a lui per farlo accomodare. Harry si sedette, e il cibo
apparve immediatamente davanti a lui. Cominciò a mangiare,
sforzandosi di farlo il più educatamente possibile;
ricordava bene l’umiliazione che aveva subito quando i
professori a mensa lo avevano rimproverato davanti a tutti per le sue
cattive maniere a tavola. Avendo cura di inghiottire prima di parlare,
fece la domanda che aveva in testa tutto il giorno.
«Mi insegni la magia?»
Lavr lo osservò, impenetrabile come al solito.
«Non sono sicuro che gli umani possano imparare
così giovani.»
«Oh» esclamò Harry, deluso.
«Imparerai quando andrai a Hogwarts.»
Per tutta risposta, il bambino ebbe un moto di stizza.
«Sarà troppo tardi.» disse
«E perché mai?» gli
chiese il demone, chiaramente incuriosito.
«Devo imparare a difendermi.»
replicò, risoluto.
La risposta sembrò colpire l’adulto. Lavr
si protese leggermente nella sedia e gli afferrò il polso.
Sorpreso, il maghetto tentò di liberarsi, ma la presa era
ferrea. Improvvisamente sentì un gran calore partire dal
petto per divulgarsi in tutto il suo corpo, e dalla sua mano ancora
stretta in quella del demone uscì una sfera di luce che
quasi lo accecò, che scomparve non appena Lavr
lasciò andare il suo polso. Harry alzò lo
sguardo, e vide l’espressione stupita e calcolatrice
dell’altro.
«Cosa.. cosa è successo?»
chiese.
«Ho fatto emergere la tua magia.»
Harry lo guardò senza capire.
«Se lo desideri, domani proverò a
insegnarti qualcosa.»
Il mago lo ringraziò, felicissimo, e
tornò nella sua stanza, lasciando il demone perso nei suoi
pensieri.
Un simile potere in un umano di sette anni! Certo, non era un bambino
qualunque, però era comunque sorprendente. Probabilmente
Veles aveva ragione. Lasciarlo a Malfoy sarebbe stato un spreco. Si
passò la mano sugli abiti di mago che aveva indossato quella
mattina, trasfigurandoli in vestiti babbani, e concentrandosi sul
vampiro si smaterializzò. Come aveva immaginato, si
ritrovò in un locale babbano. Veles stava seduto in un
tavolino, circondato da umane vestite in abiti succinti. Gli fece un
cenno con la mano, e Lavr gli si avvicinò.
«Signore,» esclamò Veles
gioviale «ci scusereste per un attimo?» le ragazze
obbedirono, lanciando occhiate lascive al demone, che non le
degnò nemmeno di uno sguardo.
«Non mi aspettavo di rivederti così
presto; » esclamò il biondo, mentre Lavr prendeva
posto di fronte a lui. «devo dedurre che hai preso in
considerazione la mia proposta?»
Lavr scosse il capo, divertito. «Non sono
così crudele da lasciare un bambino nelle tue
mani.», commentò ironicamente.
L’altro fece un gesto seccato con la mano.
«Non mi sembrava che ti stesse a cuore la sorte di Harry
Potter.»
«Forse si.» mormorò il demone,
a voce così bassa che l’altro pensò di
esserselo solo immaginato.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese
meravigliato.
Lavr scrollò le spalle. «Una
sensazione.»
«Una sensazione?» gli fece eco il vampiro.
«Mi ricorda Merlino in qualche modo.»,
ammise.
«Dovresti odiarlo allora.»
commentò Veles.
«No,» obiettò «non
provo nessun rancore verso Merlino. Mi ha battuto perché era
straordinario, nonostante fosse umano.»
«A volte» commentò sarcastico
«penso che amassi più lui che Morgana».
Il demone non rispose, così l’altro
lasciò perdere. Indicò un gruppetto di ragazze
che ballavano poco distante.
«Che te ne pare?» gli chiese.
Lavr sbuffò. «Non sono venuto qui per
rimorchiare babbane.»
Veles rise. «Oh, nemmeno io se è per
questo». Prese il bicchiere davanti a se e ne
buttò giù il contenuto tutto d’un
fiato, guardando con aria improvvisamente seria e predatoria davanti a
se. Seguendo la direzione del suo sguardo, Lavr vide una ragazza molto
bella, seduta a un tavolino con delle amiche. Parlava gesticolando, con
un sorriso radioso in faccia. Nonostante la distanza, riuscì
a sentire la sua voce allegra e calda.
«La voglio trasformare.» disse Veles, con
un sorriso sinistro.
La mattina dopo, Harry si svegliò presto, eccitato
all’idea di imparare la magia. Si vestì
velocemente e si precipitò nella sala da pranzo, dove
trovò il demone immerso nella lettura di un tomo gigantesco.
«Buongiorno.» disse Lavr senza alzare lo
sguardo.
«Buongiorno!» trillò il
bambino, prendendo posto e iniziando a servirsi. Mangiò in
silenzio, non volendo disturbare l’adulto, ma non
poté fare a meno di agitarsi nella sedia tutto il tempo.
Infine, il demone parlò: «Ho pensato di sottoporti
a un test oggi, per vedere se sei in grado di imparare. Sei
pronto?»
«Si.» rispose Harry, determinato.
«Seguimi allora».
I due si diressero in soggiorno e con un ampio gesto del
braccio il demone chiuse le persiane, cosicché
l’unica illuminazione della stanza veniva da una piccola
candela poggiata sul basso tavolino al centro della stanza.
Con un movimento aggraziato, Lavr si inginocchiò
per terra, e il maghetto fece altrettanto.
«Guarda la candela,» sussurrò
«concentrati. Voglio che tu la spenga.»
«E come faccio?»
«Concentrati.»
Poco convinto, Harry si mise a fissare la fiamma per qualche
minuto, cercando di non pensare ad altro.
«Non ci riesco.» sbottò infine.
«Non mi dici come fare!»
«Ti ho detto di concentrarti;»
replicò il demone, senza scomporsi. «prova a
pensare alla sensazione che hai provato ieri, quando ho risvegliato il
tuo potere.»
Il mago sbuffò. Certo, sembrava facile a lui.
Ciononostante provò a fare come gli era stato suggerito.
Ripensò al calore che aveva invaso il suo corpo, alla
sensazione di pace e completezza che aveva provato, e si
concentrò sulla candela. All’inizio non accadde
niente, ma non si rassegnò. Le volte che aveva eseguito
magia accidentale era arrabbiato o spaventato, così cerco di
richiamare quelle sensazioni. Pensò alla disperazione che
aveva provato quando era stato rapito ed era rimasto chiuso nella sua
stanza per settimane, senza porte né finestre e senza sapere
cosa stesse succedendo, e si concentrò sul desiderio di non
sentirsi mai più così impotente.
La candela si spense.
Guardò il demone, sorridendo soddisfatto-
«Ora riaccendila.»
Per l’ora di pranzo, Harry era stanco e amareggiato.
Nonostante i suoi sforzi, era riuscito a riaccendere la candela solo
una volta, eppure si sentiva stremato come se avesse lavorato tutto il
giorno.
«Credevo sarebbe stato più facile dopo la
prima volta.» aveva esclamato dopo mezz’ora di
tentativi andati a vuoto.
«Naa,» lo aveva preso in giro il demone
«quella è stata solo fortuna.»
L’entusiasmo iniziale era scomparso, e Harry si
sentiva stupido. Evidentemente, anche come mago non era un
granché.
Vedendolo mangiare in silenzio, abbattuto, Lavr disse
«Possiamo lasciar perdere se vuoi.»
«No!» esclamò il bambino
«Non voglio mollare.»
L’altro annuì, soddisfatto.
«Molto bene. Il problema con voi umani, soprattutto
così giovani, è che la vostra magia,
così come la vostra memoria, è legata alle
emozioni.»
«Nel senso che riesco a fare magie solo quando sono
turbato?»
«Precisamente. È per questo che voi maghi
avete bisogno delle bacchette per catalizzare il potere. Siete privi
della capacità di controllare le vostre emozioni, siete
schiavi di esse. Ho sentito la tua magia, ed è straordinaria
per la tua età. Però devi imparare a controllare
te stesso per usarla.»
«Ma come posso fare?»
«Quando hai spento la candela, come hai
fatto?»
Harry ci pensò su. «Ho cercato di
richiamare le emozioni che ho provato dai Dursley, quando ho fatto
qualche magia accidentale.»
Lavr annuì. «E in seguito, quando hai
cercato di riaccenderla, senza successo? »
«Non saprei.» mormorò
«Io.. stavo ancora pensando ai miei zii, e ho perso la
concentrazione.», ammise.
«Quindi le emozioni hanno smesso di essere un mezzo,
hai lasciato che prendessero il sopravvento, perdendo di vista
l’obiettivo che ti avevo assegnato.»
«Si.»
Lavr sospirò «Non sono un esperto di
psicologia infantile,» esordì «ma penso
che parlare dei tuoi zii potrebbe aiutarti.»
«No!» gridò Harry, scuotendo il
capo violentemente. «Non voglio parlarne.»
«Nessuno ti obbliga,» replicò
calmo «ma non dovresti permettergli di influenzare ancora la
tua vita. Devi trovare un modo per andare avanti.»
Il bambino non rispose. Che aiuto poteva dargli parlarne? Ogni
volta che aveva provato a sfogarsi con un adulto, la situazione era
peggiorata. Certo, Lavr non era come i suoi professori, ma non voleva
comunque raccontargli dei Dursley. Non sarebbe servito a niente, se non
a far riaffiorare cose che voleva solo dimenticare. Non voleva che
nessuno sapesse cosa gli diceva Vernon o di quando Dudley gli metteva
la testa nel water. Il ricordo delle umiliazioni subite gli fece
inumidire gli occhi. Mai più.
Salve a tutti!
Ormai ci stiamo avvicinando a Hogwarts. Nel prossimo capitolo, che
cercherò di pubblicare entro lunedi per compensare il
ritardo, ci saranno delle informazioni sui demoni e poi nel settimo
capitolo sarà rivelata la storia di Lavr. A presto
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Capitolo 6 *** I demoni ***
Era
passato un mese da quando aveva iniziato a dare lezioni a Harry e i
progressi erano stati notevoli, considerando la sua età. In
un solo mese aveva imparato a richiamare a sé la sua magia,
e anche la sua resistenza era migliorata. Non avevano più
affrontato l’argomento Dursley, però il bambino
sembrava essere riuscito ad accettare il proprio passato. Non sembrava
nemmeno lo stesso marmocchio che aveva trovato in quella cucina babbana
intento a rovistare alla ricerca di cibo come un cucciolo affamato. Ora
aveva un aspetto sano e pareva anche felice. Il loro rapporto era
cordiale e Lavr era rimasto stupito di quanto velocemente si fosse
abituato alla presenza del maghetto.
Il fatto che fosse estremamente intelligente per un umano
della sua età aveva contribuito, ma non era il solo motivo
per cui aveva accettato così facilmente la sua presenza.
Aveva la capacità di stupirlo. Aveva mostrato una
determinazione ammirevole, era indipendente e maturo, ma nonostante
tutto quello che aveva passato aveva conservato una certa
ingenuità che contrastava con la durezza che mostrava ogni
qualvolta si sentisse a disagio, come quando avevano affrontato il
discorso su Lucius Malfoy.
Nonostante le risposte vaghe del demone, il bambino
sopravvissuto non aveva desistito e l’aveva stressato fino a
quando, non potendone più delle sue domande, gli aveva
spiegato che dopo mille anni di ricerche – mille? aveva
esalato Harry, sconvolto – aveva rintracciato un oggetto
molto importante, che si trovava nelle mani di un mago purosangue
inglese, il quale glielo aveva consegnato in cambio del rapimento del
famoso Harry Potter. Naturalmente, la spiegazione non aveva soddisfatto
il piccolo.
«cos’è l’oggetto?
Com’è finito nelle mani di un umano? Che cosa vuol
dire purosangue? Perché non l’hai semplicemente
rubato?». Sentendo l’ultima domanda, a Lavr era
venuto il dubbio di aver avuto una cattiva influenza
sull’eroe dei maghi; senza entusiasmo, gli aveva spiegato la
differenza tra purosangue e sanguesporco, e da lì era
arrivato a dirgli che Malfoy era un seguace dell’assassino
dei suoi genitori. Comprensibilmente, la notizia aveva mandato il suo
studente su tutte le furie, al punto che gli aveva distrutto il salotto
in un attacco di magia accidentale. Quando Lavr si era limitato ad
alzare un sopracciglio e fargli notare che non stava dimostrando un
grande autocontrollo, il maghetto aveva esalato un verso di
frustrazione ed era uscito sbattendo la porta. Aveva tenuto il broncio
chiuso nella sua stanza per un paio di giorni per poi andare da lui con
un’espressione determinata e dire, senza urlare ma con forza:
«non andrò da Malfoy».
Il demone non aveva risposto.
«mi hai sentito?» aveva gridato a quel
punto «non starò buono e tranquillo a farmi
mandare al macello!»
«d’accordo»
«d’accordo?» aveva ripetuto
Harry, stupito.
Lavr aveva scrollato le spalle. «non sarebbe certo
il primo patto che rompo».
«sapevo che sarebbe finita così» lo
punzecchiò Veles quella sera.
«perché dobbiamo sempre incontrarci in
posti così affollati?»
«perché, al contrario tuo, io mi so
godere la vita»
Lavr gettò un’occhiata poco convinta allo
squallido locale in cui si trovavano, pieno di gente evidentemente
già ubriaca e poco interessata alla band che strimpellava
sul palco. «se lo dici tu» replicò.
«perché siamo qui? Non
dovremmo…»
«shh» lo interruppe il vampiro, indicando
il gruppo. «sto ascoltando»
Gli venne voglia di abbrustolirlo, ma lasciò
perdere, si diresse al bancone del bar e prese due drink per poi
tornare dall'amico, che stava appoggiato a una colonna, apparentemente
concentrato sulla canzone. Gli porse il bicchiere e si girò
a guardare la band, composta di tre uomini sulla trentina assolutamente
poco interessanti. Veles non poteva certo apprezzare quel fracasso! Che
cosa era successo al vampiro in quell’ultimo secolo non
riusciva a spiegarselo. Lo conosceva da tempi immemori, ma stando
chiuso nella quiete del suo palazzo non aveva avuto molte occasioni di
interagire con lui, almeno prima che, posseduto da chissà
quale folle idea, aveva deciso di farsi un giro nel mondo. Nel giro di
due anni si era innamorato di una mortale, scontrato con un altro, si
era immischiato per motivi ignoti anche a lui nella politica vampiresca
e aveva finito con incasinarsi la vita. Aveva vissuto di più
in quei pochi anni che in tutti i millenni precedenti, e ancora si
chiedeva se ne era valsa la pena. Dopo la perdita dei poteri e la morte
di Morgana, aveva rimpianto di essersi mai immischiato in tutta quella
storia, ma ormai il danno era fatto. Non potendo rientrare al Palazzo
senza magia, era stato qualche tempo nel castello di Veles e aveva
iniziato ad apprezzarlo in qualche modo. Il signore dei vampiri europei
era sempre stato irrequieto per un essere che aveva vissuto quasi
altrettanti anni che Lavr stesso; era incline a intromettersi nelle
faccende degli umani, anche e soprattutto dei babbani, e sembrava
godere nel seminare il caos nel mondo. Con la sua filosofia di godersi
tutti i piaceri che la vita, anzi, la non-vita, offre, era
l’esatto opposto del demone. Tutte queste sue tendenze si
erano però accentuate nell’ultimo secolo, e ormai
passava più tempo nel mondo dei babbani che non alla sua
corte.
«grazie» disse Veles a un certo punto,
scambiando il suo bicchiere vuoto con quello intoccato di Lavr. Il
demone guardò esasperato il bicchiere vuoto che si era
ritrovato a stringere. Il vampiro gli rivolse un sorriso strafottente,
che però sparì quando il bicchiere pieno di
alcool gli esplose in mano.
«ti preferivo quando non avevi poteri»
commentò acidamente.
«non ne dubito. Possiamo uscire da questo
buco?»
«non ancora»
«che cosa devi fare si può
sapere?»
La risposta venne quando la canzone finì. Le luci
si alzarono e fra i timidi applausi della platea risuonò il
forte battito di mani di Veles. «bravò»
ruggì il vampiro «bravò»
Il cantante si guardò intorno, e individuando il
biondo sbiancò completamente. Fece un frettoloso
ringraziamento e lascò il palco, sparendo dietro le quinte.
Veles rivolse a Lavr un sorriso predatorio. «uscita
dal retro» si limitò a dire, poi si
smaterializzò.
«Oh per le mutande di Merlino!»
imprecò il demone, prima di seguirlo.
Come aveva previsto Veles, il cantante uscì
agitatissimo e nel vederli perse il poco colore che gli era rimasto.
«mi dispiace» balbettò, quasi
in singhiozzi «non volevo. Vi prego, farò
qualunque cosa»
Il vampiro gli si avvicinò lentamente, chiudendolo
contro il muro. «andiamo William! Non è certo una
sorpresa! Voglio dire» aggiunse con una risatina
«sei durato quasi cinquant’anni! E più
di quanto non avessi immaginato. Sei stato bravo. Ma sapevi che sarebbe
finita così»
«mio Signore! La supplico»
l’uomo, anzi, il vampiro, si buttò in ginocchio.
«perdonatemi mio signore»
I lineamenti delicati del viso di Veles erano ora
completamente deformati da un sorriso crudele, e tutto il suo corpo
sembrava emanare perversa eccitazione.
«perdono?» ripeté carezzevole.
Di scatto, gli infilò una mano nel torace con forza
inaudita. Il cantante spalancò gli occhi e urlò.
«sei perdonato» gli sussurrò
all’orecchio il biondo, e ritirò la mano,
strappandogli letteralmente il cuore dal petto. Il corpo del vampiro
crollò a terra e si dissolse in polvere. Veles si
strofinò le mani e sorrise allegramente.
«ora, se credi, possiamo trovarci un posto
più tranquillo.»
«era proprio necessario?» chiese Lavr laconico,
poco dopo.
«assolutamente» rispose Veles, stravaccato
nel suo letto. Erano tornati nel suo maniero, lontano da occhi
indiscreti.
«che cosa aveva fatto?»
«cinquant’anni fa viveva qui alla corte.
Erano in corso delle trattative con Grindewald. Voleva il nostro
sostegno per conquistare la Gran Bretagna. Erano dei negoziati
delicati, i generali tedeschi non erano per niente entusiasti
all’idea di allearsi con noi. Per questo avevo ordinato di
non cacciare in Germania, almeno tra i maghi. William era stato
trasformato da poco, era privo di autocontrollo. Si è bevuto
una strega di vent’anni»
«quindi eri arrabbiato con lui perché
aveva fatto saltare le trattative?»
«cielo no!» esclamò divertito
«sapevo anche all’epoca che il piano di Grindewald
era destinato a fallire. Ma non posso mica permettere a uno qualsiasi
dei miei sottoposti di disobbedire così sfacciatamente ai
miei ordini!»
«suppongo di no. Però, non mi spiego come
abbia fatto a sfuggirti così a lungo»
«in realtà l’ho trovato dopo
dieci giorni.» replicò allegramente «ma
così che gusto c’è? Me lo sono
conservato per un giorno in cui sarei stato di cattivo umore. E poi,
è più divertente sapere che ha vissuto
cinquant’anni nel terrore.»
Lavr scosse il capo, divertito.
«era un mago potente Grindewald»
considerò Veles «aveva un che di…
inebriante, davvero. Era seducente, incantatore. Il più
grande mago oscuro che il mondo abbia mai visto. A parte Merlino,
chiaro.»
«eppure, i maghi considerano Voldemort il
più potente mago oscuro»
Il vampiro sbuffò, rigirandosi nel letto con
insofferenza. «ne aveva il potenziale, ma era completamente
fuori di testa, parola mia. Sai girano delle voci… era
fissato con l’ottenere la vita eterna.»
«i maghi non sono fatti per
l’immortalità» disse saggiamente Lavr
«no infatti» gli diede ragione
l’altro «e le strade che ha percorso per
ottenerla… c’è poco da stupirsi se ha
la stabilità mentale di un vampiro a digiuno da duecento
anni. Ergo, sono contento che tu abbia deciso di non consegnare Harry
Potter a Malfoy»
«questo non vuol dire che lo lascerò a
te»
«e allora che farai? Lo terrai tu?» lo
derise Veles.
«no, sono perfettamente consapevole di non essere in
grado di occuparmene, grazie. Troverò qualcuno
adatto»
«come chi? Silente?» il vampiro fece una
smorfia di disprezzo.
«è il suo tutore magico se non
sbaglio» replicò Lavr, calmo.
«già, e l’ha lasciato a quegli
orribili babbani!»
«è bello vedere tutto questo interesse
per un bambino umano» disse sarcastico
«chissenefrega del bambino!» esplose Veles
«Silente è un pericoloso idiota che ha
già abbastanza potere senza controllare lo stramaledetto
Moccioso Sopravvissuto. Hai idea di quante speranze sono riposte in
quel piccolo? Girano…»
«delle voci, si» lo interruppe il demone
«sono stanco di sentire chiacchere. Hai qualcosa di
concreto?»
«Voldemort non dava la caccia ai Potter, lui mirava
al bambino. Il perché non lo so con certezza, ma so che
c’è di mezzo una profezia. Ho parlato con un
funzionario del ministero inglese, che l’ha vista
all’ufficio misteri»
«parlato eh?»
«comunque» continuò il vampiro,
ignorandolo il suo sarcasmo «il contenuto della profezia non
lo sa nessuno, ma le teorie si sprecano. In molti credono che Potter
sia destinato a prendere il posto di Voldemort»
«se t’interessa tanto, perché
non cerchi la veggente?»
Veles parve molto seccato dal suggerimento.
«perché lavora a Hogwarts, sotto la protezione del
dannato Silente, ecco perché»
«che seccatura» mormorò Lavr,
disinterassato.
Il vampiro balzò a sedere, fissandolo dritto negli
occhi «sai cosa penso?» disse «penso che
anche se non vuoi ammetterlo, il bambino t’interessa eccome.
L’aver recuperato i poteri non cambia il fatto che hai
vissuto nel mondo per mille anni, non sei più completamente
incurante di quello che succede qui, altrimenti perché
cercheresti di succhiarmi informazioni ogni volta che ci vediamo?
Quindi, perché non usi il tuo immenso potere per scoprire
quello che vuoi sapere?»
«che cosa suggerisci?» replicò
il demone, irritato.
«la profezia che riguarda Lord Voldemort e Harry
Potter si trova al Ministero inglese, e solo loro due possono
ritirarla, chiunque altro la tocchi impazzisce. Ma dubito che a te
succederebbe qualcosa.»
«questo non vuol dire che abbia voglia di
provarci»
«potresti usare il bambino allora»
«no»
«perché no?» chiese Veles,
frustrato
Lavr non gli rispose, invece, disse: «non mi hai
ancora spiegato perché sei così contrario ad
affidarlo a Silente»
«perché è un mio nemico. E
soprattutto» aggiunse, vedendo il demone aprire la bocca,
probabilmente per ribattere che quello non era affar suo «se
davvero la profezia parla di un nuovo signore oscuro, lasciargli Potter
sarebbe uno spreco. Il fatto stesso che lo abbia mollato a dei babbani
indica che non è interessato a sviluppare il suo potenziale.
Se le cose fossero andate come aveva progettato lui, Harry sarebbe
arrivato a Hogwarts senza aver mai praticato la magia e senza la
più pallida idea di come funzioni il mondo magico. Sarebbe
stato manipolabile»
«nella casa dei suoi zii c’erano potenti
barriere di sangue» obiettò Lavr
«probabilmente è per quello che lo ha lasciato
lì»
Veles sbuffò «evidentemente non conosci
Albus Silente. Credimi, è uno che pensa a tutto. Dopo la
sconfitta di Grindewald, pur non assumendo il ruolo di ministro,
è diventato la figura centrale del governo magico, e i
risultati si vedono. L’Europa ha bisogno di un signore
oscuro. Uno sano di mente.»
«riassumendo, Silente vuole Harry per usarlo, per
farne una specie di mascotte magari, mentre tu lo vuoi usare per
assicurare maggiore potere alla tua razza. Io invece, voglio che cresca
serenamente e abbia la libertà di prendere le sue decisioni
da solo»
«ci sono troppi interessi in ballo. Non troverai una
sola persona o creatura nel mondo magico che non abbia interesse a
plasmare il bambino sopravvissuto, o vuoi affidarlo nuovamente a dei
babbani?»
Lavr sospirò, frustrato, portandosi le mani alle
tempie. Ma perché si metteva in queste situazioni?
«a meno che» aggiunse Veles «tu
non voglia davvero tenerlo con te»
«non posso. Non saprei nemmeno da dove
cominciare.»
«il fatto stesso che tu stia considerando
l’ipotesi è sorprendente»
rifletté il vampiro. «certo, un demone che alleva
un umano... insolito sarebbe un eufemismo»
«credo che la parola giusta sia
“impossibile”»
«come vanno le lezioni?»
«è molto dotato. Soprattutto,
è avido di sapere. Si fionda su ogni libro su cui riesce a
mettere le mani. È anche molto emotivo però.
Questo interferisce nella sua capacità di controllare la
magia, ma immagino sia normale per un umano, soprattutto considerata
l’infanzia che ha avuto. È ancora un argomento
tabù per lui, ma è molto più sereno.
Tutto sommato, abbiamo instaurato una sorta di routine. Certo, a volte
è una piaga. Non fa che pormi domande su domande. Su di me,
sulla magia, sul mondo magico, sui suoi genitori…non sono
nemmeno la persona più indicata per rispondere. È
intelligente e indipendente per la sua età, ma perfino io mi
rendo conto che ha bisogno di un genitore o di qualcuno che lo ami, ed
io non posso. Non è nella mia natura»
«eppure, ti sei affezionato a lui»
Lavr rise «non posso più negarlo. Non
fatico nemmeno a credere che quando crescerà,
sarà un mago eccezionale. Ma questo non cambia il fatto che
non posso dargli quello di cui ha bisogno»
«che cosa? Una casa, una famiglia… sono
cose sopravvalutate! Lui cosa dice?»
«non ne abbiamo ancora parlato. Gli ho solo detto
che non ho intenzione di affidarlo a Malfoy, né a chiunque
altro gli farebbe del male.»
«allora dammi retta, lascia perdere Albus
Silente».
Nonostante l’ora tarda, Harry non dormiva.
Sfruttando la luce che lui stesso aveva evocato, divorava avidamente le
pagine del libro che aveva trovato quella mattina, steso sul suo letto.
Il libro, scritto da un mago e studioso di nome Stefano Borgia,
trattava l’argomento dei demoni. Non era il primo testo che
leggeva sull’argomento. Sul comodino, stava il dizionario
aperto, che il bambino aveva consultato più volte. Non
era una lettura leggera, ma era un argomento affascinante.
Voleva capire, sapere qualcosa di più su Lavr. Il tempo che
aveva trascorso imparando la magia da lui lo aveva portato ad
ammirarlo, e non riusciva ad associare l’immagine del suo
aristocratico maestro, con i suoi modi eleganti e controllati e la sua
voce profonda e pacata, con quella di un uomo capace di stringere un
patto con un mangiamorte, rapire un bambino e ammazzare tre persone nel
processo. Il pensiero lo metteva a disagio. L’uomo, anzi, il
demone, a cui si stava affezionando era un assassino, un essere che
chiunque avrebbe definito malvagio, eppure lui non riusciva a vederlo
in quel modo. Per lui, Lavr era il primo adulto di cui si fosse mai
fidato. Per questo voleva restare con lui, nonostante una parte di
sé, sempre più piccola a dire il vero, gli
urlasse di scappare il più lontano possibile.
Leggendo i libri che aveva trovato in casa, Harry aveva
scoperto qualcosa di più sui demoni. Contrariamente a quanto
pensava, la parola non aveva una connotazione negativa. Derivava dal
greco Daimon, e nella tradizione greca indicava un essere
sovrannaturale, superiore agli uomini ma inferiore agli dei, un
intermediario tra i due mondi. Era difficile venirne a capo,
perché aveva trovato versioni discordanti; sia i
testi babbani sia quelli magici trattavano l’argomento, in
modo a volte completamente diverso, a volte con delle analogie.
Questo libro però sembrava il più
attendibile. L’autore tracciava un riassunto dei miti babbani
e non, che erano sorti intorno ai demoni, analizzandoli e
confrontandoli. Era davvero appassionante. Scorse nuovamente
l’ultima parte che aveva letto, cercando di comprenderne le
implicazioni.
In diverse
civiltà primitive si possono ritrovare riscontri della
presenza dei demoni, il che porta a pensare che un tempo questi esseri
avessero una maggiore influenza sul nostro mondo. Secondo le
ricostruzioni fatte da Elfrida Clagg i demoni sono esseri di pura
magia, e per questo completamente immortali, a differenza dei vampiri
che possono essere uccisi in diversi modi.
Il mito babbano del demone
Lilith è particolarmente rilevante. Lilith, che anche nella
tradizione magica orientale è uno dei primi demoni, secondo
la mitologia è stata la creatrice di altri demoni. Nulla
sappiamo sulla vera origine della stirpe demoniaca, così
come non abbiamo a oggi risposte sulla nascita della stirpe umana o
dell’universo, tuttavia taluni testi greci e romani riportano
la teoria che i demoni siano la sorgente stessa della magia.
Effettivamente, nonostante i miti sorti attorno alle loro
abilità siano stati inevitabilmente esagerati, è
possibile che ci sia del vero in questa teoria. In questo senso, il
mito di Lilith potrebbe nascondere una grande verità.
È possibile che i demoni siano i responsabili della
creazione di tutte le razze del mondo dotate di magia.
Se questo sia stato
progettato volontariamente è opinabile. Considerata la
natura di questi esseri, è probabile che la loro magia si
sia riversata sul mondo spontaneamente, senza che uno di essi abbia
consciamente deciso di donarla ai mortali.
Difficile dire se ci potesse essere del vero. Il resto del
capitolo non diceva niente che non avesse già trovato in
altri libri. Bla bla
bla onnipotenti bla
bla bla con la forza di un esercito, capaci
d’incantesimi senza bacchetta, invincibili.Ma era la
questione della natura stessa dei demoni che gli dava maggiormente da
pensare. Alcuni testi li consideravano malvagi, come e più
dei vampiri, altri invece sostenevano che non fossero crudeli, ma solo
incapaci di provare emozioni sia positive sia negative. Gli pareva
impossibile, eppure era tormentato dai dubbi. Non osava sollevare il
problema con Lavr, perché ormai lo conosceva abbastanza bene
da sapere che gli avrebbe risposto onestamente, e lui aveva paura di
scoprire la verità. Personalmente, non pensava affatto che
Lavr fosse malvagio, ma sulla sua capacità di provare
sentimenti qualche dubbio lo aveva. Ne aveva parlato con il suo nuovo
serpente, Zar, che però gli aveva risposto come al solito
per enigmi. Era frustrante che un rettile sapesse più cose
di lui!
Durante le lezioni con Lavr aveva fatto enormi progressi, ma
si
rendeva conto che il suo livello era ancora basso, nonostante il demone
gli assicurasse che per la sua età non fosse affatto male.
In ogni
caso, s’impegnava al massimo, così quando sarebbe
andato a Hogwarts non
avrebbe avuto problemi. Aveva letto diversi libri sulla scuola e ne era
rimasto affascinato. A dirla tutta, aveva cercato informazioni anche
sulle altre scuole europee, ma a Hogwarts avevano studiato i suoi
genitori, e probabilmente lì avrebbe potuto scoprire
più cose sul loro
e sul proprio conto. Aveva anche fatto delle ricerche su Voldemort, ma
per una volta Lavr era intervenuto e gli aveva consigliato di non
indagare troppo sull’argomento, perché sarebbe
potuto diventare un
ossessione. Ciononostante, gli aveva promesso che gli avrebbe dato lui
stesso informazioni quando sarebbe stato pronto.
In ogni caso, Harry ormai considerava la villa un
po’ casa sua, e il pensiero di separarsi dalla sua nuova vita
non gli piaceva. Dopo la visita alla Rue des Fées non era
più uscito, ma la cosa non gli pesava. Il parco della dimora
era gigantesco, e in ogni caso non aveva senso avventurarsi fuori
quando non parlava nemmeno la lingua. Si sarebbe solo perso. Si era
abituato velocemente al caldo dell’estate francese, e le ore
che non passava a studiare la magia le trascorreva in piscina, o seduto
a leggere sotto un pino. Si era affezionato a Lucy, anche se scoprire
che era praticamente una schiava lo aveva fatto sentire a disagio,
anche perché gli ricordava come veniva trattato dai Dursley,
ma ogni tentativo di pagarla o liberarla aveva portato solo a delle
crisi isteriche da parte dell’elfa, quindi aveva lasciato
perdere.
Non era stupido, aveva capito che Lavr non aveva ancora deciso
cosa fare con lui, ma aveva tutte l'intenzione di avere voce in
capitolo.
Eccomi qui, come
promesso. Spero che questo capitolo non vi abbia deluso, mi rendo conto
che magari alcuni di voi si aspettassero di vedere evolversi il
rapporto tra Lavr e Harry, ma il prossimo capitolo sarà
tutto su di loro, e sarà anche l'ultimo sull'infanzia di
Harry. Ormai siamo vicinissimi a Hogwarts, e ne sono contentissima :) A
giovedì.
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Capitolo 7 *** Discendenza ***
Era una giornata stupenda. Sotto il riparo di
alcuni pini, il piccolo Harry Potter stava seduto sull’erba,
con le mani protese in aria. Alcune goccioline di sudore gli
imperlavano la fronte corrugata per la concentrazione. Accanto a lui,
ritto in piedi, Lavr lo osservava pazientemente. Finalmente dalle mani
del bambino uscì una luce bianca, e nella zolla di terra
sotto di lui spuntò una foglia, che crebbe velocemente, fino
a diventare un piccolo fiore giallo.
Soddisfatto, Harry sorrise al suo mentore.
«Sei stato bravo.» concesse il
demone.
«Possiamo fare una pausa
adesso?»
«No, devi lavorare sulla
resistenza.»
«Potremmo continuare stasera.»
propose il bambino. «Ora sono davvero stanco.»
«Stasera non ci
sarò».
La curiosità di Harry si accese
all’istante. «Come mai?»
L’altro distolse lo sguardo, senza
rispondere.
«Si tratta di me, non è
vero?» insistette.
Lavr annuì senza aggiungere altro.
Il piccolo sentì montare la rabbia.
Odiava quando il demone si chiudeva nel silenzio e soprattutto
detestava non essere messo al corrente di cose che lo riguardavano in
prima persona. Tuttavia, si sforzò di calmarsi,
perché sapeva che urlando non avrebbe ottenuto niente, se
non di provocarsi un inutile travaso di bile. Fece un paio di respiri
profondi e poi, col tono più tranquillo che gli
riuscì, disse: «Non credi che io abbia il diritto
di sapere?».
«Sì, ma non
c’è molto da dire. Stasera devo fare alcune
ricerche. Siccome non vuoi andare da Malfoy- aggiunse con un sorriso
ironico - devo trovare qualcun altro a cui affidarti.»
«Perché non mi puoi tenere
tu?» esclamò Harry frustrato.
Rimase sorpreso quando il demone si sedette accanto
a lui, a gambe incrociate sulla nuda terra.
«Harry,» iniziò con
tono insolitamente dolce «hai sette anni, e sei umano. Hai
bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, ed io non posso farlo.
Siamo troppo diversi».
«Sto molto meglio con te che con i
Dursley, eppure loro erano i miei parenti.»
obiettò.
«È proprio questo il punto. Tu
vuoi stare con me perché non hai idea di come sia vivere con
una famiglia normale, non abusiva. Ma starai meglio con dei
maghi».
«Ma io non voglio!»
sbottò. «Hai detto tu stesso che non ho parenti in
vita e che il mio tutore, Silente, mi ha lasciato dai miei zii senza
più interessarsi a me! Ed io non ho bisogno di genitori,
sono sopravvissuto senza per tutta la vita. Quello di cui ho bisogno,
è di qualcuno che non mi tratti come un moccioso,
perché non lo sono. Voglio stare con qualcuno che
m’insegni a difendermi, non che mi tenga sotto una campana di
vetro. Ci sono persone più grandi e più potenti
di me che vogliono farmi del male, ed io devo essere in grado di
prendermi cura di me stesso». Tacque, ansante, con gli occhi
lucidi. Lavr lo guardava come al solito senza lasciar trapelare alcuna
emozione.
«Capisco le tue ragioni-»
cominciò, ma il bambino lo interruppe.
«No. Non credo che tu sappia come ci si
senta, a essere impotenti.» disse amaramente.
«No,» ammise «ed
è questo il problema. Non posso capire quello che provi,
perché apparteniamo a due razze diverse».
«Ma io mi fido di te.»
Il demone distolse lo sguardo, perso nei suoi
pensieri, e Harry sospirò, mentre la speranza lo
abbandonava. Lo invase un senso di oppressione. Ancora una volta non
avrebbe potuto decidere per sé.
«Esiste un incantesimo che permette di
ricostruire l’albero genealogico di una persona. Mi
servirà una goccia del tuo sangue.» vedendolo
pronto a protestare, il demone continuò «Ti do la
mia parola che ti consulterò prima di prendere una decisione
e non ti affiderò a qualcuno senza il tuo consenso.
D’accordo?»
Harry annuì, conscio che era
già un passo avanti.
«Lo farai ora?»
«Se per te va bene. Dammi la
mano».
Lui lo fece, vedendo che il demone reggeva uno
spillo argentato. Fu più veloce di quanto si aspettasse.
Lavr gli fece uscire un po’ di sangue dal palmo della mano e
gliela rigirò in modo da farlo cadere, solo che le gocce
vermiglie non finirono al suolo, bensì rimasero sospese in
aria, come se si trovassero nello spazio. Poi il demone
iniziò a bofonchiare qualcosa in una lingua sconosciuta.
Affascinato, Harry osservò le gocce di sangue dividersi in
due, poi in quattro, otto, sedici, fino a formare una rete di nomi
sospesa in aria. Il suo era in alto al centro; immediatamente sotto
c’erano i suoi genitori. Affianco al nome di James Potter
partivano una serie di linee: i suoi nonni, i suoi bisnonni; scorse i
nomi, incantato, mentre una sensazione nuova lo invadeva: un calore
intenso all’altezza del petto. La sua famiglia.
Istintivamente, alzò una mano per accarezzare le lettere
cangianti, ma si fermò, timoroso che il suo tocco potesse
farle sparire. Si girò verso il demone, e rimase sorpreso
nel vedere i suoi lineamenti virili contorti, mentre il suo viso
lasciava trapelare sgomento, agitazione e altre emozioni che il bambino
non era in grado di identificare.
Seguì lo sguardo di Lavr e vide che era
piantato sulla parte materna della sua famiglia. Stranamente, era
più lunga di quella di James. Scorse velocemente i nomi,
finché il suo sguardo non venne catturato da uno dei nomi
più in basso.
Merlino.
Rimase a bocca aperta. «Credevo che la
mamma venisse da una famiglia di babbani!» esclamò
eccitato «Questo significa che discendo dal grande Merlino!
Cielo, non posso crederci! Secondo te la mamma lo sapeva? Ma se
discendeva da Merlino com’è possibile
che…».
«Va in camera tu.» lo
interruppe bruscamente il demone.
«Ma…»
tentò di protestare.
«Adesso,» sibilò
Lavr. «ho bisogno di pensare.»
Stranito, Harry si avviò verso la sua
stanza, lasciandolo a guardare i nomi in aria come se gli avessero
fatto un gran torto.
Il pranzo era comparso nella sua camera, e Harry non aveva avuto il
coraggio di uscire. Non aveva mai visto il demone comportarsi
così, non aveva idea di cosa aspettarsi. Ormai si era
abituato alla sua calma imperturbabile, ed era rimasto sconvolto nel
vederlo così turbato, le emozioni leggibili nel suo volto.
Gli era sembrato… arrabbiato quasi. Gli era anche venuto il
dubbio di essere stato nuovamente chiuso a chiave in camera, ma non
aveva osato controllare. Aveva passato diverse ore con un libro in
mano, senza però riuscire a concentrarsi nella lettura.
Verso le cinque del pomeriggio, quando ormai aveva
rinunciato completamente a leggere, Lavr entrò nella stanza.
Istintivamente, il bambino s’irrigidì, ma nel
vedere che l’espressione del demone era tornata a essere
calma e impenetrabile, si rilassò. Un po’ incerto,
l’adulto si sedette ai piedi del suo letto, e parve cercare
le parole adatte.
«Devi sapere che io sono
molto…antico,» cominciò dopo qualche
istante d’imbarazzato silenzio «più di
quanto tu possa immaginare. Per millenni ho vissuto isolato dal mondo,
nel Palazzo che io stesso ho costruito, senza curarmi di ciò
che accadeva tra i mortali. Finché circa mille anni fa, non
ebbi l’idea di fare una delle mie rare incursioni nel mondo.
Conobbi una giovane strega, un’umana incredibilmente potente,
e me ne innamorai».
Harry, che stava ascoltando con grande attenzione,
si lasciò sfuggire un verso
d’incredulità.
«Lo so, sembra incredibile anche a me.
Eppure, in lei c’era qualcosa che mi colpì fin
dalla prima volta che la vidi. Si chiamava Morgana.»
«Morgana?»
boccheggiò il bambino.
«Sì. Non so cosa sai di lei,
girano molte voci contrastanti, in ogni caso si può dire che
non fosse esattamente la persona più retta sulla faccia
della terra. Nel mondo magico era in corso una guerra che vedeva
contrapporsi lei e Merlino. A me del conflitto non importava niente, ma
volevo aiutare Morgana. Per farla breve, arrivai a scontrarmi con
Merlino. Lui era straordinario, il mago più eccezionale che
sia mai esistito. Contro ogni previsione, mi sconfisse. Durante il
combattimento usò un incantesimo che quasi lo uccise, con
cui riuscì a racchiudere i miei poteri in una
gemma.»
«Quella di Malfoy!»
Lavr annuì «In
realtà, l’incantesimo riuscì anche a
tenermi intrappolato nell'oblio per un po’ di tempo. Quando
ripresi conoscenza, sia Merlino che Morgana erano morti.»
«Ma quanto tempo era passato?»
«Circa un secolo» . Vedendo
l’espressione agghiacciata del bambino, aggiunse
«Per me non è molto, piccolo. La mia percezione
del tempo è diversa dalla vostra. Comunque quando mi
risvegliai, il mondo che avevo imparato a conoscere era già
scomparso, e senza magia non potevo tornare al Palazzo.
Così, ho iniziato a cercare la gemma ovunque, vivendo per lo
più con i vampiri, la razza che tollero meglio. Alla fine,
ho scoperto che Merlino non l’aveva nascosta in qualche
angolo remoto del pianeta. L’aveva affidata a
un’amante di cui nessuno sapeva l’esistenza, che,
incinta, si rifugiò in Francia, dove sposò il
conte De Montblanc. Studiandone la genealogia ho scoperto che nel 1600
i discendenti della donna, i Malfoir, tornarono in Inghilterra, dove in
seguito cambiarono il nome in Malfoy. Ho raccolto recentemente tutte
queste informazioni, ma non mi ero soffermato sull’altro ramo
della famiglia. Nel 1377 il primogenito dei Montblanc, Louis, fu
diseredato a causa della sua relazione con una babbana, e diede origine
a una linea di Montblanc fortemente contaminata. Evidentemente,
è da lui che discende tua madre. I Malfoy discendono invece
dalla linea del fratello cadetto di Louis, che prese il titolo di conte
al posto del fratello ed ebbe una discendenza pura che intorno al 400
si estinse nella linea maschile.».
«Ma se discendo da Merlino, come poteva
la mamma essere una Nata Babbana?»
«Suppongo che sia insolito, ma non
impossibile. La magia dei Montblanc è andata scomparendo a
causa dei ripetuti matrimoni con babbani, ed è riaffiorata
spontaneamente secoli dopo, così come
l’abilità di parlare con i serpenti, che pare
pochi degli eredi di Merlino abbiano posseduto».
Harry rimase in silenzio, cercando di elaborare
tutte quelle informazioni. «Quindi adesso che
farai?» chiese infine «Sono l’erede di
Merlino. Vuoi uccidermi?»
«Non essere ridicolo! Perché
dovrei farlo? Tu non hai niente a che fare con lui e, come ho detto
prima, provo solo ammirazione per Merlino. Il fatto che tu sia il suo
discendente, mi convince sempre di più che sarai un grande
mago un giorno».
«E ora che si fa?» chiese il
bambino dopo qualche istante.
Lavr sospirò. «Io voglio
tornare al mio Palazzo.»
«Portami con te.»
«Non è un posto adatto a un
bambino.»
«Perché no?»
«Perché no!» chiuse
il discorso il demone. «Se vuoi, te lo faccio
vedere».
Harry era senza parole. Il Palazzo di Lavr… era impossibile
descriverlo. Si ergeva su una spiaggia immensa; ovunque volgesse lo
sguardo vedeva solo sabbia, e il monotono suono delle onde in
lontananza era l’unico rumore che spezzasse il silenzio
assoluto in cui era immerso il paesaggio. Il Palazzo si trovava
sopraelevato rispetto alla spiaggia, ed era fatto interamente di marmo
bianchissimo, accecante.
«Seguimi.» sussurrò
il demone, prendendolo per mano. Il bambino obbedì docile,
senza riuscire a levare lo sguardo dall’imponente dimora. Con
un gesto imperioso, Lavr spalancò il portone e i due
entrarono in un enorme atrio, dominato al centro da una scalinata
talmente lunga che Harry non riusciva a vedere il piano superiore.
«In questi mesi ho apportato delle
modifiche. Ho aggiunto alcuni particolari che mi hanno colpito negli
anni passati nel mondo».
«Ma dove siamo?»
domandò Harry.
«In una dimensione creata da me. Il mio
mondo per così dire.» spiegò, divertito
dalla sua reazione.
Harry lasciò andare la mano del demone
per guardarsi meglio attorno. La stanza era avvolta dalla penombra,
mentre la scala era illuminata a giorno, come se fosse sotto un
riflettore.
«Vieni di sopra.»
Leggermente titubante, Harry mise salì
il primo scalino; come lo fece, l’atrio scomparve, e solo la
scalinata rimase visibile.
«Non avere paura. Sali.» lo
incoraggiò il demone.
Il bambino obbedì, cercando di non
pensare al vuoto assoluto che lo circondava. Salì gradino
dopo gradino finché, esausto, chiese: «Ma quando
finisce questa scala?». Alzando lo sguardo però si
accorse che Lavr non era più davanti a lui. Preso dal
panico, si fermò. Guardò in basso, e
realizzò con crescente orrore che delle decine di scalini
che aveva percorso non ne erano rimasti che cinque. Prima che potesse
pensare a cosa fare, udì la voce rassicurante del demone
esortarlo a continuare a salire. Facendosi coraggio, lo fece.
Uno, due scalini, e d’un tratto la
scalinata scomparve, e si ritrovò in una vasta stanza
quadrata, col pavimento in granito rosa, occupata da una gigantesca
piscina circondata da colonne, alla cui estremità stava una
fontana di marmo formata da un trio di donne seminude intente a fare il
bagno. L’acqua sgorgava da più parti, e non aveva
il tipico colore delle piscine, bensì era verde acqua come
il mare caraibico. Non c’era soffitto, e il sole alto di
mezzogiorno – ma
sono le sette di sera! Pensò Harry –
illuminava la sala. Lavr lo aspettava seduto elegantemente sul bordo
della vasca.
«È assurdo. Tutto questo non
è possibile.» esclamò il bambino.
«Qui lo è.» fu la
semplice risposta.
«Hai creato tutto questo da
solo?» si stupì.
«Ammetto che è stato complesso
perfino per me. Ho messo talmente tanta magia in questo posto, che ora
il Palazzo ha una propria coscienza».
«Intendi dire che pensa?»
«Non è un essere senziente,
però non è nemmeno inanimato».
«Non capisco.» ammise il
bambino.
«Non mi aspettavo che ci riuscissi. Il
Palazzo è una mia creatura, obbedisce ai miei comandi, ma
talvolta lascio che si modifichi da solo. La scalinata non
l’ho progettata io ad esempio».
«Non sapevi che conduceva qui?»
«Sì, ma non ero sicuro che il
Palazzo ti avrebbe permesso di arrivarci.»
«Stai dicendo che potevo farmi del
male?» s’indignò il maghetto.
«Non l’avrei permesso.
Però ero curioso di vedere cosa sarebbe successo.»
accorgendosi della rabbia del bambino, disse: «Capisci adesso
perché non puoi stare qui? Ogni cosa è decisa da
me o dal Palazzo, compreso il sorgere o meno del sole. Non è
un posto adatto a un umano».
«A me piace.» fece Harry
caparbio.
«Non potresti tornare spesso nel mondo.
Vivresti senza vedere altri bambini, altri umani. È questo
che vuoi?»
«Potrei andare a Hogwarts?»
Preso in contropiede, Lavr annuì.
«Allora ti chiedo di tenermi qui per
quattro anni. Per te non sono niente!»
«Questo posto è molto
pericoloso.»
«Non m’importa.»
«Hai sette anni, non puoi prendere una
decisione simile.»
«Sono abbastanza grande da sapere che
ovunque è pericoloso.» replicò cocciuto.
Dopo qualche secondo, Lavr sorrise.
«Molto bene. Benvenuto al Palazzo, Harry Potter.»
E
questo capitolo chiude la parentesi dell'infanzia di Harry. Nel
prossimo, il suo undicesimo compleanno e lo shopping a Diagon Alley. A
giovedì :)
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Capitolo 8 *** Diagon Alley ***
Nel Palazzo non ci si annoiava mai.
C’erano giorni in cui si svegliava, si affacciava alla
finestra e scopriva di trovarsi nel mezzo di una foresta tropicale;
giorni in cui non poteva uscire perché la casa dava sul
picco di una montagna innevata e giorni in cui pareva di stare dentro
una fornace. A volte, aprendo quella che pensava essere la porta della
cucina, finiva nei sotterranei di castelli medievali. C’erano
ale del palazzo costruite in stile rinascimentale, altre che sembravano
vere e proprie sale di museo. Ciononostante, orientarsi non era
impossibile: fortunatamente, alcune stanze non mutavano mai, prima fra
tutte, l’immane biblioteca, grande quanto la sua vecchia
scuola, dove Harry trascorreva la maggior parte del suo tempo.
Ogni tanto si divertiva a esplorare il
Palazzo, vivendo incredibili avventure, come quando salendo una scala a
chiocciola in legno spuntata all’improvviso, si era ritrovato
in un vero e proprio shuttle spaziale, con tanto di luna visibile
dall’oblò. Altre volte, invece, le sue escursioni
non erano state piacevoli; gli era capitato più volte di
perdersi e dover gridare finché Lavr non era andato a
ripescarlo. Di recente mentre camminava verso lo studio del demone, si
era ritrovato in un vicolo cieco in cui l’unica via
d’uscita era un lungo corridoio buio, infondo al quale
s’intravedeva una luce rossa che gettava bagliori sinistri
sul luogo. Preso dalla curiosità, aveva deciso di imboccare
quella strada. A ripensarci adesso, era stata una vera idiozia.
Comunque, il giorno aveva fatto un bel respiro e aveva seguito la luce,
ignorando i fruscii sinistri che riempivano il silenzio. Aveva scoperto
che la luce si trovava sopra una porta, l’aveva aperta, ed
era entrato in una stanza le cui pareti, soffitto e pavimento erano
fatti di specchi. Si era divertito a fare smorfie, saltellare da una
parte e ammirare il gioco di riflessi per qualche minuto, ma poi in
tutti gli specchi era apparsa una figura ammantata di nero, i cui
tratti erano nascosti da un cappuccio, che protendeva una mano verso di
lui, e dopo pochi secondi alla spaventosa immagine si erano unite altre
figure confuse di uomini e donne. Quel giorno aveva strillato talmente
tanto che quando Lavr l’aveva trovato non aveva nemmeno avuto
il coraggio di sfotterlo come al solito, bensì gli aveva
spiegato che quelli erano avversaspecchi, usati solitamente per tenere
d’occhio i propri nemici.
Gli anni col demone erano passati velocemente,
nonostante l’opprimente solitudine. C’erano stati
momenti in cui Harry si era amaramente pentito di essere andato a
vivere con lui. Era sempre stato solo, non aveva mai nemmeno avuto
degli amici, ma talvolta rimpiangeva le ore di scuola, le chiacchere e
le risate degli altri bambini. Il Palazzo era costantemente immerso in
un’atmosfera grave e maestosa, come quella di una chiesa
gotica, e le sue dimensioni lo facevano sentire ancora più
solo. Avrebbe voluto qualcuno con cui giocare ma la sua unica compagnia
era Zar, che per quanto intelligente, era pur sempre un serpente. Lavr
si sforzava di passare del tempo con lui, e Harry ne era grato e lo
cercava continuamente perché la sua silenziosa presenza era
meglio della solitudine totale.
Materialmente, aveva tutto ciò che
potesse desiderare. Non aveva il potere di controllare direttamente il
maniero, ma esso gli procurava quello che voleva. Il Palazzo era come
un bambino, aveva realizzato Harry: gli faceva i dispetti facendolo
perdere e vagare senza metà per ore, e poi si sentiva in
colpa e gli faceva delle sorprese; quando si sentiva particolarmente
giù di morale, gli sembrava che la magia stessa del Palazzo
lo abbracciasse e lo consolasse. E anche Lavr, quando lo vedeva
abbattuto, faceva del suo meglio per consolarlo: gli insegnava
incantesimi, gli procurava libri, e a volte per farlo addormentare gli
raccontava favole animate da combattimenti tra gli oggetti della sua
camera. Ogni tanto lo portatva nel mondo. Era diventata quasi
una tradizione che per il suo compleanno il demone gli facesse visitare
posti a sua scelta, magari luoghi di cui aveva letto e che lo avevano
colpito. Aveva visto la muraglia cinese, gli animali della savana
africana, era salito sulla Tour Eiffel e per il suo ottavo compleanno
era persino riuscito a trascinare il suo tutore a Disneyland, dove
aveva giocato con dei coetanei mentre le loro madri ci provavano
spudoratamente con Lavr. Era stato sicuramente il più bel
compleanno della sua vita, e l’evidente disagio del demone
non era riuscito a guastargli la giornata. Nella sua stanza, o meglio,
in quella che il più delle volte era la sua camera, aveva
tutti i giocattoli che anni prima aveva invidiato a Dudley, anche se
ormai aveva perso ogni interesse per i giochi infantili e preferiva
dedicare il suo tempo alla magia e allo studio. Un intero scaffale
della sua libreria era occupato dalle copie de “La Gazzetta
del Profeta” che Veles gli portava affinché non
perdesse i contatti col suo mondo.
Il vampiro era, insieme a lui e a Lavr,
l’unico altro essere che avesse accesso al Palazzo,
così ogni tanto piombava da loro e rimaneva per qualche
giorno o settimana. Harry lo trovava simpatico, ma non aveva mancato di
notare quanto il demone fosse restio a lasciarli da soli. Veles lo
aveva più volte invitato alla sua corte, ma Lavr aveva ogni
volta liquidato l’offerta sostenendo che non fosse un posto
adatto a un bambino, anzi, che fosse pericoloso per chiunque non fosse
un succhiasangue. Considerate certe storie che gli raccontava Veles,
Harry pensava che il suo tutore non avesse tutti i torti.
Era incredibile quanto poco ci fosse voluto per
abituarsi alla sua nuova vita: quei quattro anni erano passati in un
lampo, e ora tutto sarebbe cambiato nuovamente. Tra pochi giorni
avrebbe compiuto undici anni e sarebbe andato a Hogwarts. Aveva
discusso a lungo la questione con Lavr. Si era tenuto informato su
ciò che accadeva nel mondo magico, aveva seguito le indagini
del ministero sulla sua scomparsa e aveva scoperto che dopo due anni
avevano rinunciato. Il giorno in cui Veles gli aveva consegnato con un
ghigno il giornale con il titolo in prima pagina: “HARRY
POTTER DICHIARATO MORTO. CROLLANO LE SPERANZE DI RITROVARE IL BAMBINO
SOPRAVVISSUTO” era rimasto turbato ma anche leggermente
divertito. Si era recato da Lavr, giornale alla mano, e glielo aveva
piazzato davanti, guardandolo come per dire: “E
adesso?”
Il demone aveva preso il quotidiano e gli
aveva dato un’occhiata veloce. «A quanto ne so, il
Ministero della Magia ha un sistema per rintracciare i maghi minorenni,
si chiama Traccia. Questo gli permette di intercettare la magia
minorile, ma anche eventualmente di localizzare un mago scomparso.
Certo, se questi si trova lontano o in un luogo protetto da barriere
potenti, quelli del ministero non sono in grado di trovarlo, ma possono
comunque percepire la sua magia e quindi sapere che è ancora
vivo. Tuttavia, il Palazzo si trova in un’altra dimensione,
perciò non riescono a percepirti. Il che significa, che non
hanno il minimo dubbio sul fatto che tu sia morto» aveva
detto.
«Sarà un bel colpo per loro
quando mi presenterò a Hogwarts» aveva ridacchiato
Harry. Lavr non aveva risposto in quell’occasione, ma
l’argomento era stato ripreso mesi dopo. Il demone gli aveva
fatto notare che presentarsi a scuola avrebbe significato scatenare un
vespaio, che gli avrebbero fatto domande su domande e che probabilmente
Harry sarebbe stato affidato a una famiglia di maghi.
«Stai dicendo che non posso andare a
Hogwarts?» aveva chiesto il maghetto, orripilato alla sola
idea. Aveva sognato il giorno in cui avrebbe messo piede nella scuola e
ne avrebbe scoperto tutti i segreti da quando aveva scoperto
la verità sul proprio conto.
Lavr aveva sospirato. «Non sto dicendo
questo, ma devi prendere delle decisioni ponderate».
«Che cosa pensi che dovrei
fare?».
Il demone aveva mormorato qualcosa che Harry non
aveva capito, poi con un gesto forzato ma anche molto dolce gli aveva
scompigliato i capelli. «Se lo desideri,
c’è un modo per andare a Hogwarts senza avere
problemi. Basterà usare una falsa
identità».
L’idea gli era immediatamente piaciuta.
Con un nome falso non sarebbe stato al centro dell’attenzione
e nessuno lo avrebbe importunato per la sua fama. Così, lui
e Lavr si erano messi a lavorare sulla sua nuova identità.
Si sarebbe chiamato Henri de Montblanc. Era stato il demone a suggerire
di usare il cognome dei suoi antenati, e Harry aveva approvato senza
esitare, perché aveva sviluppato una grande ammirazione per
Merlino ed era fiero di essere un suo discendente. Avrebbe detto di
essere francese ma di essersi trasferito da suo zio in Gran Bretagna
dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora piccolo.
Lavr, aiutato da Veles, si era procurato tutti i documenti necessari
per confermare la storia, in più Harry aveva delle basi in
francese, perché aveva iniziato a studiarlo quando il demone
gli aveva confidato che quello era il linguaggio moderno che preferiva.
L’unico problema era l’aspetto
fisico. Certo, tutti erano sicuri che Harry Potter fosse morto, ma se a
Hogwarts si fosse presentato un primino della stessa età
quasi identico a James… beh, qualche domanda sarebbe sorta.
E il maghetto era consapevole di essere molto simile al padre. Per il
suo nono compleanno Lavr gli aveva regalato delle foto dei suoi
genitori. Era stato uno dei gesti più belli che gli avessero
mai fatto, e non aveva potuto fare a meno di abbracciare forte il suo
tutore, lasciandolo poi immobile a chiedersi cosa fosse successo.
L’aspetto non era un problema da poco. Lavr gli aveva
spiegato che comunemente i lineamenti si possono modificare solo
temporaneamente: sia che usasse un incantesimo o una pozione, l'effetto
sarebbe durato poco e c’era il forte rischio che un
controincantesimo rivelasse il suo vero aspetto. Un’altra
soluzione poteva essere l’uso di un oggetto, ad esempio un
bracciale, ma questo avrebbe attinto alle riserve magiche del
portatore, e siccome era solo un bambino gli avrebbe reso molto
difficile eseguire magie complesse. L’unica alternativa era
un antico rituale che avrebbe cambiato il suo aspetto
permanentemente, così che le modifiche sarebbero state
impossibili da rimuovere; anche crescendo, avrebbe conservato i nuovi
tratti, mentre quelli originali sarebbero andati perduti per sempre.
Proprio perché irreversibile, non era una magia che poteva
essere fatta alla leggera. «Ti suggerisco di pensarci su,
è una tua scelta» aveva concluso il demone.
E Harry ci aveva riflettuto a lungo, ma ora non
poteva più rimandare la decisione. Era l’ultimo
dettaglio mancante, poi sarebbe stato pronto per Hogwarts. Si
guardò allo specchio con attenzione, accarezzando con lo
sguardo i familiari particolari del suo viso. Era davvero simile a suo
padre. Sospirò. Non era stata una decisione facile, il suo
aspetto era l’unica cosa che lo avvicinava ai suoi genitori.
Qualche anno prima l’idea di cambiarlo lo avrebbe inorridito
e lasciato diffidente, ma ora si rendeva conto che era necessario.
Veles gli aveva parlato spesso del mondo dei maghi e si era reso conto
che non era tutto rosa e fiori come si era immaginato. Gli aveva
spiegato che durante la guerra contro Voldemort anche i cosiddetti
buoni avevano usato metodi poco ortodossi, e che in molti avrebbero
voluto controllarlo.
«Devi stare in guardia,
pasticcino» gli aveva detto una volta. «Soprattutto
con Albus Silente. Viene considerato un esempio di bontà e
moralità, ma in realtà è uno squallido
bastardo...».
«Veles!»
«un verme manipolatore» aveva
continuato ignorando il demone «E sta pur certo che non vede
l’ora di farti il lavaggio del cervello».
Il vampiro gli aveva dato molto su cui riflettere.
«Pensi che sia normale che un neonato venga lasciato davanti
alla casa dei suoi zii solo con una lettera? Non trovi strano che
nessuno sia mai venuto a controllare se stavi bene?» aveva
sbottato un giorno. «La verità è che
Silente ha fatto si che nessuno si avvicinasse a te, così
saresti arrivato a scuola ignorante su come funzioni il mondo
magico».
Se quello davvero era stato l’obiettivo
originale del preside, sarebbe rimasto deluso. Con la sua insaziabile
curiosità, Harry aveva divorato testi su testi sulla storia
della magia e si era fatto un’idea su come funzionasse
attualmente la Gran Bretagna, e non gli piaceva per niente. - Merlino inorridirebbe
- aveva pensato un giorno, leggendo che il Ministero proibiva
l’uso di centinaia di incantesimi antichissimi con la scusa
che si trattasse di magia nera. Sapeva che non era un ragazzo come
tutti gli altri e che c’erano grandi interessi intorno a lui,
per questo avrebbe dovuto essere prudente e non fidarsi di nessuno. Ne
andava della sua libertà, e questa valeva qualche sacrifico.
Risoluto come sempre dopo aver preso una decisione,
si recò allo studio di Lavr. Percependo il suo stato
d’animo, il Palazzo gli permise di arrivarci senza problemi.
«Va bene» esordì una
volta trovato il demone. «Fai pure
l’incantesimo».
Lavr non gli chiese di cosa stesse parlando, ormai
lo conosceva. Si limitò ad avvicinarsi e imporre le mani su
di lui, per poi iniziare una lunga cantilena. Harry rimase in piedi e
immobile per almeno venti minuti, mentre il cuore gli batteva forte nel
petto, senza mai, nemmeno per un istante, avere un ripensamento. La
decisione era stata presa.
«Finito» disse il demone
soddisfatto, facendo apparire uno specchio a grandezza umana davanti al
ragazzo. Il maghetto si accostò al riflesso e dovette
trattenere un sussulto di sorpresa. Era ancora lui, eppure non era
più lo stesso. La prima cosa che notò fu la
pelle: la sua epidermide diafana, così pallida da lasciar
intravedere la trama di vene pulsanti, non c’era
più. Ora aveva una carnagione più scura,
abbronzata, come se avesse passato un anno ai tropici; ma non era
proprio olivastra, bensì dorata, di una calda sfumatura
color caramello. Aveva guadagnato un paio di centimetri di altezza, e
il suo fisico era rimasto immutato, probabilmente perché
chiunque lo avesse conosciuto quando viveva dai Dursley non lo avrebbe
riconosciuto comunque dopo anni di dieta regolare. Il viso aveva invece
subito diversi cambiamenti: il naso era diventato più
regolare, la bocca più grande e carnosa. Sorrise scoprendo
una fila di denti bianchi e perfetti. Gli occhi, l’unica cosa
che aveva chiesto a Lavr di non toccare, erano rimasti gli stessi, ma
per via delle modifiche ai lineamenti e al contrasto con la pelle scura
apparivano più grandi e verdi, inoltre non aveva
più bisogno degli occhiali. Anche i capelli,
l’altra parte di sé che amava particolarmente,
erano rimasti nerissimi e indomabili come quelli di James, cosa per la
quale era grato, ma l’effetto sul nuovo viso era
completamente diverso. Infine, portò una mano alla
cicatrice. Era ancora lì, poteva sentirla al tatto, ma il
demone l’aveva uniformata al colore della pelle,
così era praticamente impossibile da scorgere con lo
sguardo. Nel complesso, sembrava più grande.
«Un giorno farai impazzire le
ragazze» commentò allegramente Lavr.
Harry rise divertito, mentre un pensiero bizzarro
lo attraversava.
– Sono
diventato una delle sue opere d’arte -.
Harry Potter aprì gli occhi.
Controvoglia abbandonò il tepore delle coperte,
infilò le pantofole e si recò in bagno. Il grande
specchio davanti al lavandino gli rimandò
l’immagine di un ragazzino dagli spettinatissimi capelli
neri, con gli occhi verdi gonfi di sonno. Aprì il rubinetto
e si gettò dell’acqua fredda sul viso, cercando di
darsi un po’ di contegno prima di scendere per colazione. Non
c’erano molte regole in quella casa, ma Lavr pretendeva da
lui la massima cura di sé e della propria igiene.
– Dopotutto
– pensò Harry - è un vero
perfettino
-. Non che potesse biasimarlo, soprattutto considerato che, avendo un
olfatto più sviluppato di quello umano, si accorgeva subito
se il suo protetto aveva trascurato la propria toletta.
Dopo essersi lavato, si recò nella sala
da pranzo, dove il demone aspettava seduto.
«Buon compleanno, Harry» disse
non appena lo vide entrare.
«Grazie» rispose. Indicando la
busta appoggiata sulla tavola, aggiunse, eccitato:
«E’ quello che credo?».
«Per saperlo dovrai aprirla»
replicò il demone.
Senza farselo ripetere due volte, il bambino prese
in mano la spessa busta di pergamena giallastra, con scritto in
inchiostro verde un indirizzo:
Signor Henri
Montblanc
Cameretta
Nottingh Hill
Londra
Lavr aveva effettivamente comprato, o meglio, occupato, una bella
casa nel quartiere residenziale di Londra, giusto per non trascurare
nessun dettaglio. Fremente, il maghetto aprì la busta e
lesse la lettera velocemente. Poi, con un gran sorriso stampato in
faccia, si sedette al suo posto e iniziò a imburrarsi una
fetta di pane tostato.
«Per le cose da comprare...»
cominciò, ma il demone lo interruppe.
«Pensavo che visto che oggi è
il tuo compleanno, potremmo andare a Diagon Alley e prendere tutto
l’occorrente. Se ti fa piacere, chiaro».
«Ma certo!» ruggì il
ragazzo. «Andiamo subito dopo colazione?»
«Prima c’è una cosa
di cui volevo parlarti».
Harry tornò immediatamente serio.
«Dimmi».
«Come ben sai, ci sono persone da cui
devi guardarti. In particolare, il preside».
«Lo so bene. Veles me l’ha
ripetuto fino alla nausea. Ma abbiamo già preso tutte le
precauzioni necessarie, no?»
«Non tutte» lo contraddisse il
demone. «C’è una cosa che ancora non
sai. Alcuni maghi padroneggiano l’arte della Legimanzia. Sai
cos’è?»
Il maghetto scosse il capo.
«E’ la capacità di
penetrare la mente di un’altra persona»
«Vuoi dire lettura del
pensiero?» chiese orripilato.
«Non la metterei in termini
così semplicistici, però suppongo che per certi
versi possa essere considerata tale».
«Stai dicendo che Silente
potrà entrare nella mia testa?»
Senza rispondere direttamente, il demone
spiegò: «Esiste una pratica, chiamata Occlumanzia,
che permette di contrastare la legimanzia e proteggere la propria
mente. È una branca della magia complessa e difficile da
padroneggiare, sicuramente al di là delle
capacità di un undicenne, per quanto dotato».
«Ma allora se Silente o chiunque altro
dovessero usare la legimanzia su di me, scoprirebbero tutto! Chi sono
in realtà, dove ho vissuto questi quattro anni…
aver cambiato identità e aspetto non servirebbe a
niente!».
«Calma. Non c’è
motivo di preoccuparsi, ho trovato una soluzione. Ho lavorato tutta la
settimana per creare una sorta di barriera mentale che protegga i tuoi
ricordi dagli attacchi, non solo dei legimens, ma anche di sieri della
verità come il veritaserum. Non potrà fermare i
maghi che proveranno a usare la legimanzia, ma gli impedirà
di accedere ai tuoi segreti. La tua identità sarà
salva. In ogni caso, suggerisco che tu inizi al più presto a
studiare occlumanzia, considerato che senza dubbio tra qualche anno
avrai altri segreti da proteggere, oltre alla tua
identità» concluse ammiccante.
Harry sorrise. «D’accordo,
allora fai pure l’incantesimo».
«Oh, ma l’ho già
fatto» replicò il demone con noncuranza.
«Stanotte, mentre dormivi. Ero sicuro che avresti
acconsentito, quindi perché perdere tempo? Se hai finito con
la colazione, possiamo andare».
Diagon Alley era, se possibile, ancora più vivace e caotica
della Rue des Fées parigina. Ovunque c’erano
vetrine colorate e gente affaccendata negli acquisti. C’erano
molti ragazzi, notò Harry, probabilmente studenti di
Hogwarts. Il baccano lo lasciò scombussolato, ma avrebbe
dovuto abituarcisi visto che fra un mese avrebbe lasciato la
tranquillità del Palazzo per andare a vivere in una scuola
piena di adolescenti chiassosi.
«Cos’è
quello?» domandò a Lavr, indicando il sontuoso
edificio davanti a loro.
«Quella è la banca, la
Gringott»
«Oh» fece Harry, imbarazzato.
Il demone provvedeva a tutte le sue necessità e alle volte
si sentiva un peso, anche se sapeva bene che un demone onnipotente di
diecimila anni non ha certo problemi economici. Come leggendogli nel
pensiero, Lavr aggiunse: «Se non sbaglio i tuoi genitori ti
hanno lasciato un conto cospicuo, ma non è il caso di usarlo
ora. I folletti teoricamente mantengono i segreti dei loro clienti,
tuttavia è meglio non fidarsi. Potrai riscattarlo quando
sarai più grande, ma non c’è fretta.
Tieni». Gli porse un sacchetto gonfio di monete.
«Prendi quello che ti serve. Io devo fare una commissione, ti
raggiungerò più tardi,
d’accordo?»
Harry annuì, prese le monete e
iniziò i suoi acquisti. Entrò prima al Ghirigoro
per comprare i libri, poi in farmacia per gli ingredienti di pozioni e
infine da Madama McClan per l’uniforme.
«Hogwarts caro?» chiese la
donna non appena lo vide. «Ho qui tutto
l’occorrente. Di là c’è un
altro giovanotto che sta provando l’uniforme». Nel
retro del negozio era effettivamente seduto un ragazzino biondo dal
viso pallido e appuntito.
«Ciao. Anche tu a Hogwarts?»
«Si» rispose Harry.
«Mio padre, nel negozio qui accanto, mi
sta comprando i libri, e mia madre sta guardando le bacchette un
po’ più avanti» disse il ragazzo, con
voce strascicata e annoiata. «Dopo li trascinerò a
vedere le scope da corsa. Non capisco proprio perché noi del
primo anno non possiamo averne di personali. Penso che
costringerò mio padre a comprarmene una e la
porterò dentro di straforo, in un modo o
nell’altro. E tu ce l’hai un manico di scopa tutto
tuo?»
«Si» rispose Harry. Glielo
aveva regalato Lavr l’anno prima.
«Sai giocare a Quidditch?»
«Non ho mai provato» ammise.
«Volare mi piace ma preferisco leggere».
Il ragazzo ridacchiò sprezzante.
«Oh, non mi dire che sei un secchione!»
Irritato dal tono, Harry replicò
acidamente: «mi piace studiare, sì. Studio
così un giorno, quando sarà il mago
più potente al mondo, avrò degli ignoranti
leccapiedi come te a fare il lavoro pesante».
Il ragazzino balzò in piedi, rosso di
colera. «Hai un’idea di chi sia io?»
sibilò furioso.
«No» replicò
disinteressato.
«Sono Draco Malfoy. Mio padre»
aggiunse, ponendo particolare enfasi sull’ultima parola
«è uno degli uomini più influenti e
ricchi della Gran Bretagna».
«Ah si? E lo è diventato
giocando a Quidditch?» chiese Harry sarcastico. «E
per la cronaca» aggiunse senza aspettare la risposta
«so perfettamente chi è tuo padre, e fossi in te
non mi vanterei di essere suo figlio».
«Cos’hai detto?»
strillò Malfoy.
Attirata dal baccano, Madama McClan si
affacciò nel retrobottega. «Ci sono problemi
qui?» chiese guardinga.
«No signora» replicò
educatamente Harry. «Stavamo facendo amicizia».
Poco convinta, la donna si allontanò.
«Ti farò pentire di quello che
hai detto» lo minacciò Draco.
«Dammi retta, non sprecare le tue
energie» rispose per niente intimorito.
Senza un’altra parola, il biondo
uscì dal negozio.
Dopo che Madama McClan, scocciatissima, gli ebbe
consegnato la divisa, anche Harry uscì e si diresse verso il
negozio che lo attirava maggiormente: quello di bacchette magiche. Come
entrò nella vecchia e squallida bottega, percepì
immediatamente la magia che la permeava.
«Buongiorno» disse una voce
sommessa.
«Salve». Guardò
incuriosito il vecchio proprietario, che da parte sua
strizzò gli occhi per scrutarlo.
«Non credo di conoscerti,
giovanotto»
«Sono Henri de Montblanc,
signore»
«Mm» mormorò
Ollivander. «Sei francese?»
«Sisignore, ma vivo in Inghilterra da
diversi anni ormai.»
«Questo spiega perché io non
ti conosca. Sono pochi i maghi francesi che acquistano bacchette da me.
Immagino che i tuoi genitori non fossero tra questi».
«No» mentì, a
disagio sotto lo sguardo indagatore del commesso.
«Molto bene. Vediamo di trovare la
bacchetta adatta a te, figliolo».
Il vecchio iniziò a tirare fuori dagli
scaffali bacchette su bacchette, ma nessuna sembrava essere
giusta per lui; una addirittura finì in fiamme non appena la
prese in mano, cosa che gli guadagnò un’occhiata
stupita del commesso.
«Ecco, ebano e peli di unicorno, undici
pollici, bella flessibile».
Harry la provò poco convinto, senza
risultato.
«Cliente difficile, eh?» fece
Ollivander, compiaciuto. «Mm sì, perché
no. Forse ho trovato». Prese una bacchetta dallo scaffale
più in alto e gliela porse solenne. «Agrifoglio e
piuma di fenice, undici pollici, bella flessibile».
Harry la prese in mano, sentendo su di se lo
sguardo attento del vecchio, ma non accadde niente.
«Oh» esclamò il
negoziante, per la prima volta deluso. «Questa volta ero
sicura di averla trovata».
«Mi dispiace» disse Harry.
«Henri è un giovane mago molto
particolare» s’intromise una voce. Il maghetto si
voltò mentre Lavr faceva il suo ingresso nel negozio buio.
«Mio dio!» sussurrò
Ollivander.
Harry sentì la mano di Lavr sulla
spalla, mentre il vecchio venditore sembrava aver perso l’uso
della parola. – Sa
chi è – realizzò
stupito. Non era mai capitato prima che qualcuno capisse che Lavr non
era umano.
Senza prestare attenzione alla reazione che aveva
scatenato, il demone disse sottovoce: «Mi chiedevo se lei non
abbia altre bacchette da mostrarci. Bacchette meno…
convenzionali, diciamo. Mi rendo conto che con le leggi in vigore in
Gran Bretagna… ma un inventore come lei, magari ha
sperimentato…soluzioni non proprio ortodosse».
Il vecchio si guardò attorno guardingo,
poi fece loro cenno di seguirlo nel retrobottega.
«Aspettate qui» disse aprendo
una botola e scendendo. I due fecero come gli era stato detto,
rimanendo in silenzio finché il vecchio non riemerse con una
scatola grigia di polvere. La pulì frettolosamente con la
manica, l’aprì e tirò fuori una
bacchetta nera. La porse a Harry, che la prese senza esitare.
Finalmente avvertì qualcosa. Un tiepido
calore invase il suo corpo mentre la sua magia emergeva dal profondo
del suo essere e affiorava in superficie, donandogli brividi di piacere.
Il vecchio negoziante spalancò gli
occhi. «Quanto potere» mormorò fra se.
Si riscosse e gli sorrise. «Tredici pollici, ebano e polvere
di scaglie di basilisco. La bacchetta più potente che abbia
mai creato. Ne faccia buon uso, signor Montblanc».
Lavr pagò senza batter ciglio i quaranta
galeoni chiesti da Ollivander, gli rivolse un’educata frase
di commiato che prometteva orrende torture nel caso avesse parlato a
qualcuno della loro visita e poi finalmente lui e Harry uscirono alla
luce del sole.
Su richiesta del ragazzo, lasciarono Diagon Alley
per immergersi nella Londra Babbana.
«Ho incontrato il figlio di
Malfoy» buttò lì Harry quando si
fermarono per mangiare un boccone.
«Mm»
«Non è stato un incontro
piacevole»
«Ah no?» chiese Lavr,
disinteressato come al solito.
«L’ho praticamente mandato a
quel paese»
«Ottimo inizio»
sbuffò il demone. «Forse inimicarsi il figlio di
Lucius Malfoy prima ancora di mettere piede a Hogwarts non è
un grande idea, non pensi?».
«Perché no?»
replicò Harry, imbronciato. «Suo padre mi ha fatto
rapire!»
«Mi sembra che si sia rivelato
provvidenziale no? Dovresti ringraziarlo»
Fu il turno del ragazzo di sbuffare.
«Come no. Se fossi finito tra le sue grinfie, probabilmente a
quest’ora sarei sepolto sotto qualche discarica».
«Ed io vivrei in pace» lo prese
in giro Lavr «Fai come preferisci, ma vorrei che non
dimenticassi una cosa. Non sei più Harry Potter, ora sei
Henri de Montblanc. Quando sarai a Hogwarts farai bene a
ricordartelo».
«Non capisco cosa vuoi dire».
«La gente aveva delle aspettative sul
Bambino Sopravvissuto, ma dubito tu voglia fare ciò che ci
si aspetta da te. Harry Potter e Draco Malfoy sicuramente non avrebbero
potuto essere amici…».
«E Malfoy e Henri de Montblanc
nemmeno» lo interruppe il maghetto, spazzolando
ciò che restava del suo pranzo.
Quando tornarono al Palazzo, Harry era esausto e non vedeva
l’ora di andare a dormire, ma Lavr lo fermò:
«Un momento. Prima voglio darti questo» disse,
sfilandosi dal collo un ciondolo e porgendoglielo. Il ragazzo riconobbe
subito la gemma che aveva contenuto i poteri del demone per un
millennio, ma la collana era diversa. Ora era sottile e sembrava fatta
di filigrana.
«E’ il mio regalo di
compleanno. L’ho incantata rendendola una passaporta. Se
sarai in pericolo ti basterà dire Daimon, e ti
porterà da me. Naturalmente, dovrai usarla solo in caso di
estrema necessità, e con questo intendo pericolo di morte,
non nostalgia di casa».
«Tranquillo»
ridacchiò il ragazzo. «Grazie».
Eccomi qui!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, era abbastanza lungo e
anche pieno di sorprese. Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate
dell'idea della falsa identità di Harry e del Palazzo. Mi
auguro che non ci siano errori, la mia beta oggi ha dato forfeit. Nel
caso, fatemelo sapere :) Nel prossimo capitolo ci
sarà Hogwarts finalmente. Sono ufficialmente aperte le
scommesse sulla casa in cui verrà smistato Harry. Alla
prossima :)
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Capitolo 9 *** Lo smistamento ***
La
stazione di King Kross pullulava di gente. Uomini e donne di tutte le
età camminavano spediti, trascinando i loro bagagli senza
curarsi di niente se non della loro meta. In mezzo alla folla
affaccendata, un ragazzino stava fermo da diversi minuti, con
un’espressione confusa e arrabbiata in volto. Se non fossero
stati tutti concentrati solo sui loro impegni, sulla loro vita, forse
si sarebbero accorti di quanto fosse strano quel ragazzo solitario;
invece nessuno notò i suoi vestiti raffinati, lo stravagante
baule in cuoio, o il terrario vuoto poggiato sopra di esso. Se non
fosse stato per il potente incantesimo di disillusione poi, avrebbero
visto il serpente lungo quanto una coscia umana che vi risiedeva, e
forse quello li avrebbe distolti per un attimo dalla corsa frenetica
che era la vita della capitale.
Harry
Potter fissava il biglietto ferroviario nella sua mano come se gli
avesse appena fatto una pernacchia. Binario nove e ¾. nove e
¾! Maledisse silenziosamente il suo tutore. –Sei così indipendente –
gli fece il verso mentalmente – non avrai certo bisogno di me
per andare alla stazione –
Dannato. Maledetto lui e tutti i demoni menefreghisti del mondo.
Maledetti quegli imbecilli di Hogwarts che non fornivano indicazioni.
Sbuffò, e s’impose di mantenere la calma.
9
e ¾.
Beh,
il nove c’era, costatò ironicamente. Il dieci
anche. A rigor di logica, l’espresso per Hogwarts doveva
essere lì da qualche parte. Ci sarebbero stati centinaia di
ragazzi accompagnati dalle loro famiglie, tutti armati di bacchetta,
animali esotici in gabbia, libri di magia. Molti sarebbero stati
purosangue con la puzza sotto il naso, ben poco propensi a mischiarsi
alla folla di babbani. Chiaramente, il treno non poteva partire
veramente da King Cross. Doveva cercare l’ingresso quindi,
che si trovava senza dubbio lì vicino.
Chiuse
gli occhi. L’ingresso era nascosto da un incantesimo, e
proprio la magia di questo gli avrebbe permesso di trovare il binario.
Il Palazzo era magia allo stato puro, che l’aveva avvolto per
anni. Aveva imparato a percepire la magia dentro e fuori di
sé. Non era bravo quanto Lavr, certo, ma il più
delle volte riusciva a individuare gli incantesimi più
potenti che impregnavano l’ambiente intorno a lui.
Aprì
gli occhi. Trovato! Si avvicinò al muro che separava i
binari nove e dieci e lo tastò, andando a tentoni. Sembrava
una normalissima parete, ma come applicò una maggiore
pressione, la sua mano la attraversò. Colto alla sprovvista,
per poco non si sbilanciò, ma riuscì a mantenere
l’equilibrio. Ritirò la mano, impugnò
il carello, e con un sorriso e una preghiera sulle labbra prese la
rincorsa e si lanciò contro il muro. Un battito del cuore, e
si ritrovò su una piattaforma ancora più caotica
di quella babbana. Il grande orologio sulla parete affianco a lui
indicava le undici meno venti. Ovunque c’erano gruppetti di
ragazzi entusiasti di riabbracciare gli amici dopo le vacanze, o che
salutavano i genitori, ansiosi di salire sul treno.
Per
la prima volta dopo tanto tempo, Harry sentì una fitta di
disagio. Sembrava essere l’unico ragazzino completamente
solo. Guardando un padre abbracciare il figlio, desiderò
avere Lavr al suo fianco. Quella mattina si erano guardati esitanti,
Harry aveva fatto per avvicinarsi e abbracciare il demone, ma lui lo
aveva preceduto e lo aveva salutato con un semplice:
“Arrivederci”.
Si
avvicinò al treno. Non aveva nessuno da salutare,
perciò non aveva motivo di rimanere impalato sulla
piattaforma. Lasciò il carrello insieme con gli altri e
cominciò a trascinare il pesante baule, con molta
difficoltà.
«Serve
una mano?»
Si
girò, e si trovò davanti due ghigni identici,
abbinati a due folte chiome rosse. «Grazie»
rispose, mentre i due gemelli sollevavano il suo baule e lo aiutavano a
sistemarlo sul porta bagagli di uno scompartimento vuoto.
«Grazie
davvero» ripeté Harry, riconoscente.
«Non so come avrei fatto senza di voi».
«Figurati»
replicò uno dei gemelli. «E’ sempre un
piacere aiutare voialtri primi smarriti» aggiunse
l’altro, facendogli l’occhiolino.
«Henri
de Montblanc» si presentò, porgendogli la mano.
«Io
sono Fred Weasley, e lui è mio fratello George. Sentirai
spesso parlare di noi a scuola, ma non ti preoccupare, sono tutte
menzogne. Beh, quasi tutte. Se hai bisogno di qualcosa,
chiamaci» detto questo, i due uscirono dallo scompartimento,
mentre Harry prendeva posto vicino al finestrino. Osservò i
due gemelli ricongiungersi alla loro numerosa famiglia, i cui membri
erano tutti contraddistinti dalla chioma color carota.
«Ti
dispiace se mi siedo qui?»
Si
girò. Sulla porta dello scompartimento, stava un ragazzino
dai capelli biondi, vestito con abiti vecchi e sbiaditi.
«Certo,
fai pure».
Il
ragazzo entrò, caricò il baule sul portabagagli
senza difficoltà e si sedette sul sedile di fronte a lui,
girandosi a guardare fuori dal finestrino. Harry lo osservò
attentamente. La decisione con cui guardava fuori dal finestrino
tradiva l’intento di scoraggiare ogni tentativo di
conversazione, inoltre era seduto in una posa rigida, come se non si
trovasse a suo agio. Non volendolo disturbare, tornò anche
lui a guardare verso il binario. La famiglia dai capelli rossi era
ancora lì; la madre era intenta a sfregare energicamente il
naso del più piccolo, e le loro voci gli arrivavano nitide.
Chissà com’era vivere in una famiglia del genere!
Avere quattro fratelli, una madre premurosa… non riusciva
nemmeno a immaginarlo. Seguì con lo sguardo il minore dei
Weasley finché non salì sul treno, poi la sua
attenzione venne catturata da un trio ben diverso.
Draco
Malfoy salutava compostamente i suoi genitori, anche se dal modo girava
la testa da una parte all’altra e si torturava le mani era
chiaro che non vedeva l’ora di salire. Stringendo gli occhi a
fessura, Harry studiò il profilo aristocratico di Lucius
Malfoy. Il suo contegno era invidiabile. Salutò il figlio
con una pacca sulla spalla, mentre sua moglie lo abbracciava per pochi
istanti, e poi anche Draco salì sul treno.
L’orologio segnava le undici. Gli studenti ritardatari si
affrettarono a salutare le loro famiglie, e salirono di corsa. Il treno
partì. Il viaggio sarebbe durato almeno fino a sera.
Rimpianse di non essere stato abbastanza previdente da tenere uno dei
suoi libri con sé.
La
porta dello scompartimento si aprì di nuovo, e una ragazzina
dai capelli crespi entrò. «Ciao. Potreste darmi
una mano con il baule?» Aveva una voce squillante.
Il ragazzino biondo si alzò e senza dire una parola la
aiutò a sistemare il bagaglio.
«Grazie»
disse la ragazza, prendendo posto. «Io sono Hermione
Granger»
«Henri
de Montblanc»
«Philippe»
bofonchiò il biondo.
«Piacere.
Io sono estremamente eccitata all’idea di andare a Hogwarts,
voi no? I miei genitori sono dentisti, sapete, quindi è
stata una vera sorpresa ricevere la lettera. Ho studiato tutti i libri
di testo, spero che basti. Oh, e naturalmente ho comprato qualche libro
extra al Ghirigoro, per saperne di più sul mondo magico.
Alcuni erano davvero affascinanti. Avete letto Storia di
Hogwarts?» Pronunciò il tutto senza prendere fiato
nemmeno una volta. Philippe la guardò scioccato.
«Io
l’ho letta» rispose Harry. «E’
interessante»
Hermione
gli rivolse un gran sorriso. «Voi due vi conoscete? Siete
francesi?».
I
due ragazzi si scambiarono un’occhiata.
«Io
sono francese, ma mi sono trasferito qui in Inghilterra quando ero
molto piccolo, dopo la morte dei miei genitori».
«Mi
dispiace» esclamò la ragazza, e lo sembrava
davvero.
«Non
fa niente» la rassicurò Harry.
«E’ passato molto tempo».
Hermione
si girò verso l’altro ragazzo. «Tu
invece?»
«Ora
vivo qui» fu la secca risposta.
«I
tuoi genitori si sono trasferiti? Ora che ci penso… ci sono
scuole di magia in Francia? Ho comprato un libro sulle scuole magiche
europee, ma non ho ancora avuto il tempo di leggerlo».
«C’è
Beauxbatons» le rispose Harry. Philippe si rigirò
verso il finestrino, disinteressandosi alla conversazione.
«Avete
già un’idea della casa in cui andrete? Io penso
Grifondoro, ma anche Corvonero non sarebbe male».
«Io
non sono sicuro. Forse Corvonero, ma potendo scegliere, spero di andare
a Serpeverde».
«Oh,
molto meglio Corvonero, credimi! So che Serpeverde ha davvero una
brutta reputazione. È la casa che ha sfornato più
maghi oscuri. Inoltre, ho letto che là ci finiscono quelli
che hanno pregiudizi. Sai, quelli con la puzza sotto il naso. Non mi
sembra il tuo caso»
Philippe
ridacchiò sarcastico. «Proprio tu parli di puzza
sotto il naso?» le dissi acidamente. «Hai scoperto
di essere una strega quanto? Un mese fa? E ora credi di poter giudicare
i membri di un’intera casa perché hai letto un
paio di libri! Arrogante come sei, finirai senza dubbio a
Grifondoro».
«Io
sarei arrogante?» chiese la ragazza, oltraggiata.
«Non
ha tutti i torti» intervenne Harry. «Non
è stato molto educato da parte tua giudicare in quel modo
della casa in cui voglio andare. Conosci qualche Serpeverde?
Ne dubito. Parli senza cognizione di causa.»
Hermione
gli lanciò un’occhiata furiosa e se ne
uscì sbattendo la porta.
«Qualcuno
qui non accetta le critiche» commentò Philippe.
Harry
sospirò «E con questa sono due compagni che mi
sono inimicato prima ancora di mettere piede a scuola. Niente
male.»
«Niente
male davvero» commentò
Philippe. «E
dicono che io ho un brutto carattere! L’altro chi
è, se posso chiederlo?»
«Draco
Malfoy»
Il
ragazzo fischiò ammirato.
«Se
lo avessi conosciuto, mi capiresti» si difese Harry.
«Oh,
non ne dubito» rise Philippe «Ma se davvero finirai
a Serpeverde, sarà una bella grana».
«E’
solo un ragazzino viziato» replicò noncurante.
«Tu pensi di andare a Serpeverde?»
«Non
ne ho idea sinceramente. Non so nemmeno come avverrà la
scelta».
«Sarà
il Capello Parlante a decidere»
«Un
capello» ripeté Philippe, incredulo.
«Già.
Niente di complicato»
«Non
so dove finirò» continuò dopo qualche
istante di silenzio. «So che in genere dipende anche da dove
sono stati smistati i propri genitori, ma i miei non hanno frequentato
Hogwarts» le guance gli si tinsero di rosso. Harry
lasciò cadere l’argomento. Era un terreno
pericoloso. Non si era certo immaginato di ritrovarsi un compagno di
scuola francese! E se gli avesse fatto domande sui suoi genitori? Se
avesse in qualche modo scoperto le sue frottole? Fortunatamente
però, Philippe sembrava restio quanto lui a parlare di
sé.
La
porta dello scompartimento si aprì, e una donna di mezza
età chiese se volevano qualcosa dal carello. Philippe
rifiutò cortesemente, mentre Harry, curioso di assaggiare i
dolci magici, comprò un po’ di tutto.
«Vuoi
qualcosa?» gli chiese quando il tavolino fu ricoperto di
carte colorate. «Sono davvero troppi per me».
«No,
grazie. Non sono un amante dei dolci».
«Andiamo»
spalancò gli occhi Harry «non possono non
piacerti!»
Il
ragazzo fece una smorfia. «Preferisco cose più
sostanziose» replicò sorridente, tirando fuori dal
suo bagaglio dei panini giganteschi e addentandone uno, soddisfatto.
Harry
sorrise. «Se cambi idea…»
Calò
il silenzio. Harry sentiva Zar intimargli di farlo uscire dal terrario,
ma dopo aver scoccato un’occhiata furtiva al suo compagno di
viaggio, decise di ignorare il serpente. Lavr gli aveva consigliato di
tenere segreto il suo essere rettilofono.
-
Fammi uscire. Fammi uscire – .
l’incessante cantilena di Zar lo stava innervosendo.
«Cosa
c’è nel terrario?» chiese
all’improvviso Philippe.
«Cosa
ti fa pensare che ci sia qualcosa?» ribatté Harry,
nervoso.
Il
ragazzo scrollò le spalle. «Perché
dovresti portarti appresso una gabbia vuota? Capirei se avessi un gufo
e fosse in viaggio, ma quello è un terrario!»
Sempre
diffidente, Harry rispose: «Il mio animale
è… esotico, quindi ho pensato fosse meglio
disilluderlo, per non attirare l’attenzione dei
babbani».
Philippe
ghignò. «Di pure che lo stai portando di
straforo».
Rise
anche Harry. «A quanto pare non era un’idea
così brillante!».
«Non
ti preoccupare, il fatto che me ne sia accorto io non vuol dire che lo
capiranno anche gli altri. Sono molto attento, ecco tutto».
«Ho
notato». Lo studiò discretamente. Aveva
l’impressione di non essere l’unico a nascondere un
segreto. «E’ un serpente, comunque».
«Forte»
commentò il ragazzo, senza mostrarsi particolarmente
sorpreso.
Per
il resto del viaggio, chiacchierarono allegramente di cose poco
importanti. Arrivati in prossimità della scuola si
cambiarono – Philippe parve grato di levarsi i consunti
vestiti babbani – e Hermione tornò a prendersi il
baule, rifiutandosi però di parlare loro. Finalmente,
scesero dal treno e seguirono un omone alto due metri fino a delle
barche con cui attraversarono il lago. Harry e Philippe salirono con
una ragazzina bionda molto graziosa e un ragazzo di colore.
Un
coro di «ooh» si levò quando il castello
apparve davanti a loro. Harry dovette ammettere che era incredibilmente
suggestivo, visto dal basso e illuminato dal quarto di luna. Persino
Philippe aveva perso la sua aria noncurante. La folla di primini si
riversò nell’atrio, dove trovarono ad accoglierli
una donna alta e dall’aria severa. La professoressa
richiamò il silenzio e li istruì sul sistema
delle case. Finito di spiegargli le regole, disse loro di attendere.
Uscita la donna, la stanza rimase insolitamente silenziosa. I primini
erano agitati e bisbigliavano sottovoce fra loro. Molti non sapevano
nemmeno in cosa consistesse lo Smistamento. Harry sentì
addirittura un ragazzino sostenere che bisognasse battersi contro un
troll! Rimase in silenzio affianco a Philippe; tra la folla,
individuò il minore dei maschi Weasley, Malfoy e la Granger.
Finalmente,
la McGRanitt riapparve e li condusse nella Sala Grande. Gli occhi di
tutti gli studenti erano su di loro, ma lui si sentiva tranquillo. Il
Capello Parlante cantò una filastrocca, e poi la
professoressa iniziò a chiamare i primini in ordine
alfabetico.
-
Abbott Hannah! –
-
Tassorosso! –
-
Bones Susana –
-
Tassorosso –
-
Boot Terry –
-
Corvonero –
Uno
dopo l’altro, i primini vennero smistati nelle diverse case.
Hermione, quando giunse il suo turno, sedette sullo sgabello e vi
rimase a lungo, causando diversi bisbigli, ma infine il Capello
urlò
-
Grifondoro! –
Philippe
sbuffò, mentre la strega, felicissima, prendeva posto al
tavolo rosso-oro.
-
Leroy, Philippe! – chiamò la McGranitt.
Il ragazzo si diresse verso di lei, visibilmente a disagio, e
indossò il cappello. Anche questa volta, ci volle un
po’ perché fosse smistato, ma alla fine il
cappello urlò:
-
Serpeverde! –
La
McGranitt continuò l’appello, fino ad arrivare a
– Malfoy, Draco – che finì a Serpeverde
l’istante stesso che il cappello fu poggiato sulla sua testa,
e infine…
-
Montblanc, Henri –
Harry
si sedette con sicurezza sullo sgabello, e il cappello calò
a coprirgli gli occhi.
«Mm» fece
una voce nella sua testa. «Bene bene, questo non succede
tutti i giorni. Sei consapevole ragazzo mio, di avere un potente blocco
mentale? Non dirmelo, sono sicuro di sì. Insolito. Quali
segreti nascondi? Non importa, la barriera non m’impedisce di
svolgere il mio compito. Hai una mente interessante. Non è
una scelta facile. Sei impulsivo e testardo, coraggioso.
C’è talento in te, e brama di conoscenza.
Priscilla avrebbe senza dubbio apprezzato la tua intelligenza, ma
c’è dell’altro. Pura ambizione,
desiderio di metterti alla prova. Sì, sarà
meglio…»
-
Serpeverde! –
Harry
si levò il cappello, soddisfatto, e si diresse verso la
tavolata delle serpi, dove Philippe gli aveva tenuto il posto.
«Sarai
contento» gli disse. Harry sorrise in risposta. Lo era
eccome, anche se per ragioni che nessuno poteva immaginare. Era nella
casa di Merlino.
Finito
lo smistamento, il preside si alzò in piedi e
piombò il silenzio.
«Benvenuti.
Benvenuti a un nuovo anno a Hogwarts. Prima di dare inizio al
banchetto, vorrei dire qualche parola. E cioè: pigna
pizzicotto, manicotto, tigre». Le smorfie
d’incredulità che accompagnarono il discorso la
dicevano lunga su cosa pensassero di Silente le serpi.
«Guarda
un po’ chi è finito a Serpeverde»
commentò Draco astioso, non appena apparve il cibo.
«Montblanc
eh? E Leroy… siete francesi?» chiese la ragazza
che aveva attraversato il lago con loro, Daphne Greengrass.
«Si»
confermò Philippe, controvoglia.
«Leroy…
sei per caso imparentato con Nicolas Leroy, il sottosegretario del
Ministro francese?» s’intromise Blaise Zabini.
«Alla
lontana»
«Ma
se sei un Leroy perché non sei a Beauxbatons?»
chiese Pansy Parkinson, altezzosa.
«Non
puoi essere un Leroy» intervenne Draco «ti ho visto
alla stazione, vestito come un pezzente babbano. E vorresti farci
credere che appartieni a una delle più prestigiose famiglie
magiche francesi?
«Io
non voglio farvi credere proprio niente! Non sono affari
vostri.»
«Che
c’è, sei un bastardo mezzosangue e cerchi di
nasconderlo?» lo aggredì Pansy.
«E
tu? Per caso cerchi di nascondere di essere metà strega e
metà carlino?» lo difese Harry. «A cosa
dobbiamo questo interrogatorio?»
«Benvenuti
a Serpeverde» gli rispose Draco. «Non
c’è spazio per sanguesporco in questa
casa».
«Non
c’è ne sono» replicò Harry.
«Io sono mezzosangue*, e anche Philippe. È tutto
quello che dovete sapere. Ora siete pregati di pensare alle vostre di
famiglie, perché sono sicuro che a nessuno che qui piacciano
gli impiccioni».
«Fate
silenzio» s’intromise un ragazzo più
grande di loro. «Siete nuovi qui, ma imparerete presto come
ci si comporta. Dopo cena, il nostro capocasa, il professor Piton, vi
spiegherà le regole di Serpeverde, nel frattempo attenetevi
a quelle dell’etichetta: non si alza la voce a tavola. Non
siete degli zotici grifondoro».
Imbarazzati
dalla predica, i primini rivolsero a Harry e Philippe
un’ultima occhiata sprezzante e iniziarono una garbata
conversazione tra di loro, ignorandoli.
«Com’è
che ha detto il cappello?» bisbigliò Philippe
«A serpeverde troverete gli amici migliori?».
Dopo che anche l’ultimo dolce fu scomparso dal tavolo,
Silente si rialzò in piedi e nella Sala cadde nuovamente il
silenzio. «Ora che siamo tutti sazi, vorrei fare alcuni
annunci. Innanzitutto, voglio ricordare a tutti che la Foresta Proibita
si chiama così per un motivo. Non vogliamo certo
sovraccaricare di lavoro la nostra infermiera, Madama Chips, dalla
prima settimana.» Gli occhi del preside scintillarono,
divertiti. «Sono proibiti anche i duelli nei corridoi, e
quest’anno c’è una novità:
è vietato l’accesso al corridoio del terzo piano a
destra. Grazie dell’attenzione. Ora, c’è
un’ultima cosa che voglio dirvi prima di mandarvi a
riposare» la voce del preside si fece grave
«Quest’anno, dovrebbe esserci un altro studente
seduto in mezzo a voi. Come molti di voi sapranno, quest’anno
Harry Potter avrebbe dovuto compiere undici anni». Se
possibile, il silenzio nella sala divenne più profondo.
Tutti guardavano il preside attentamente, l’allegria e la
stanchezza di qualche attimo prima dimenticate. Anche i volti degli
altri insegnanti si fecero tesi. «La maggior parte di voi
conosce la storia del Bambino Sopravvissuto, così come
immagino sappiate che dopo anni di ricerche, il ministero si
è dovuto arrendere all’evidenza e dichiararne la
morte. Non conosciamo le dinamiche che hanno portato alla scomparsa di
Harry, possiamo solo sperare che la giustizia faccia il suo corso e che
la verità venga rivelata. Vi chiedo quindi di alzarvi e
brindare a Harry James Potter, vittima innocente di una guerra troppo
crudele».
Obbedirono
tutti, anche se alcuni serpeverde degli ultimi anni non mascherarono il
loro disappunto.
«A
Harry» disse Silente, alzando il suo calice.
«A
Harry» gli fecero eco tutti gli altri. Alcuni avevano gli
occhi lucidi.
«Addio, Bambino Sopravvissuto»
pensò Harry, bevendo.
Quando arrivarono alla Sala comune di serpeverde, Harry era
stanchissimo e non vedeva l’ora di mettersi a letto.
Sfortunatamente, la giornata non era ancora finita. Piton li aspettava
in piedi, davanti al camino.
«Ognuno
nel proprio dormitorio, eccetto le matricole»
ordinò, e tutti si affrettarono a obbedire. «Voi
del primo anno, sedetevi e prestate la massima attenzione. Voglio che
comprendiate fin da subito cosa significhi appartenere a Serpeverde.
Tutti voi conoscete la fama che avvolge la casa di Salazar. Da questo
momento, questa sarà la vostra famiglia. Serpeverde
è sempre rimasta unita, perché deve fronteggiare
l’intera scuola. Non m’interessa cosa succede qui
dentro, purché non passiate i limiti s’intende, ma
fuori non mostrerete tensioni, non cercherete di prevaricare su un
vostro compagno o di metterlo in cattiva luce. Se lo desiderate, nei
dormitori potrete sprecare il vostro tempo lanciandovi maledizioni, ma
fuori aiuterete i vostri compagni di casa sempre e comunque. Se dovrete
coprire uno di voi davanti agli altri insegnanti, lo farete; se sarete
in possesso di informazioni riservate, le terrete per voi; se ci
sarà da prestare soccorso a un compagno, non vi tirerete
indietro. Le vostre brighe le risolverete in privato, ma
sarà meglio per voi che non vi veda mai attaccarvi
fisicamente o verbalmente davanti al resto della scuola»
lanciò un’occhiata penetrante a Harry e Draco
«Tutti i presenti sono stati smistati dal Cappello, il che
significa che sono degni di essere Serpeverde, a meno che qualcuno di
voi non pensi di poter giudicare meglio di un artefatto magico tra i
più potenti mai creati. Per quanto riguarda le altre case,
non m’interessa se vi provocheranno, non voglio che i miei
colleghi vengano a lamentarsi della cattiva condotta dei miei alunni.
Se dovesse succedere, state pur certi che la punizione sarà
esemplare» Lo sguardo del professore non lasciava dubbi sulla
veridicità della minaccia. «Sappiate che anche se
vi aiuterò davanti agli altri professori, non rimarrete mai
impuniti; io non tollererò violazioni delle regole, siete
avvisati. Mi aspetto che teniate alta la vostra media, che ragioniate
prima di agire e che veniate da me se avete problemi. Penso sia inutile
dirvi che a Hogwarts ci sono barriere che rilevano incantesimi
proibiti». Passò in rassegna ognuno di loro,
soffermandosi su Malfoy. «Direi che per ora è
tutto, spero che il mio discorso sia stato chiaro. Insegno da
abbastanza tempo da sapere che molti di voi stanno giù
progettando scorrazzate notturne e duelli contro i grifondoro, ma vi
suggerisco caldamente di desistere, almeno finché non sarete
abbastanza furbi da non farvi beccare. Buona notte, e badate di
arrivare puntuali a colazione, domani».
In
silenzio, le matricole si diressero verso i loro dormitori. Harry
avrebbe dormito con Philippe, Theodore Notte e Blaise Zabini.
Distrutto, non appena si coricò, piombò in un
sonno senza sogni.
* Piccola nota, nel caso
qualcuno non lo sapesse. I traduttori italiani hanno usato lo stesso
termine, mezzosangue, per indicare i figli di babbani, come Hermione ad
esempio, e quelli che hanno del sangue babbano, magari
perché figli di un mago e un babbano, come Piton e
Voldemort. I purosangue odiano solo i sanguesporco, mentre diversi
mezzosangue sono stati smistati a Serpeverde.
Ok, fine della precisazione. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, la
maggior parte di voi aveva indovinato la casa di Harry :) Per quanto
riguarda il prossimo, proverò a pubblicarlo
giovedì, ma non so se riuscirò. Nel caso, dovrete
aspettare fino a martedì prossimo. Baci.
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Capitolo 10 *** Le prime lezioni ***
Abituarsi
ai ritmi di Hogwarts non fu facile. La vita nella
scuola scorreva frenetica; fra le lezioni, i pasti in Sala Grande e il
dormitorio diviso con altri tre ragazzi Harry non riusciva a stare
quasi mai da
solo, il che era una seccatura per uno come lui, abituato ad avere
molto tempo
per sé.
La
maggior parte dei Serpeverde del suo
anno non sembrava nutrire grande simpatia per lui, in parte
perché provenendo da importanti famiglie
purosangue erano già tutti amici, e in parte
perché Draco non nascondeva certo
la sua antipatia per lui, e nessuno sembrava avere il coraggio o il
desiderio
di inimicarsi un Malfoy, seppur in miniatura. Dal canto suo, Harry
ricambiava
interamente l’astio del rampollo di Lucius. Arrogante e
viziato com’era, gli
riportava alla mente ricordi che sperava di aver seppellito per sempre.
E
invece, trovarsi a Hogwarts, di nuovo circondato da umani suoi
coetanei, gli rammentava talvolta dell’altra scuola
che aveva frequentato e di conseguenza
della sua vita prima che Lavr lo salvasse. Sorprendentemente, il suo
tutore gli
aveva mandato una breve lettera sin dai primi giorni di scuola,
chiedendogli
com’era andato lo Smistamento e intimandogli di non cacciarsi
nei guai.
Quello
non era un problema, davvero. In realtà,
Hogwarts si era rivelata diversa da come se l’aspettava.
Certo, era bellissima e piena
di magia, ma si sentiva fuori posto. Gli altri primini erano estasiati
dal
castello, con i suoi misteri, le sue scale dotate di volontà
propria e le porte
che richiedevano moine per aprirsi ma, avendo vissuto al Palazzo, Harry
non lo
trovava straordinario, ed era l’unico del suo anno che
riuscisse a spostarsi
senza difficoltà. Il suo senso dell’orientamento,
sviluppato negli anni passati
con Lavr, era imbattibile.
Poi
c’erano le lezioni. Storia della magia si era
rivelata un disastro, il corso più inutile e noioso della
scuola, con grande
scorno di Harry, che amava la materia. Incantesimi e trasfigurazione
erano
senz’altro migliori, ma lo avevano lasciato perplesso.
La professoressa
McGranitt, una donna severa ed esigente, la prima lezione chiese alla
classe di trasfigurare uno stuzzicadenti in un ago. Mostrò
il movimento
della bacchetta e insegnò loro la formula,
dopodiché tutti si misero a
provare l’incantesimo.
Tutti
tranne lui, che rimase fermo a guardare i
tentativi dei suoi compagni, senza capire. Come poteva la
donna pretendere che
qualcuno riuscisse a eseguire il compito con quelle poche istruzioni?
Quando
Lavr gli sottoponeva una magia, gli parlava della tecnica che questa
richiedeva,
in modo che sapesse come eseguirla con il minor dispendio di forze
possibile. A
volte, prima di fargli eseguire una trasfigurazione, gli faceva
studiare per
giorni le caratteristiche dell’oggetto da trasfigurare e di
quello in cui
doveva trasformarlo, in modo che ne cogliesse gli aspetti comuni sui
quali
poteva far leva per risparmiare energie.
Solo dopo, gli permetteva di
eseguire la magia vera e propria, e allora Harry richiamava il proprio
potere,
cosa che ormai gli riusciva facile, e si concentrava per manipolarlo a
suo
piacimento.
Per
quanto ne sapeva, la maggior parte dei suoi
compagni di classe non aveva mai provato a fare magie, per cui non
sarebbe
stato più logico insegnargli prima a richiamare il loro
potere?
«Tu
non provi, Montblanc?»
Preso
com’era dai suoi pensieri, non si era accorto che
la McGranitt gli si era parata davanti. «Professoressa,
io…»
«Non
hai nemmeno tirato fuori la bacchetta!» si
scandalizzò la donna. «Non accetto scansafatiche
nella mia classe, signor
Montblanc. Prova l’incantesimo adesso
o sarò costretta a togliere cinque punti a
Serpeverde».
Sentendo
gli sguardi di tutta la classe su di lui, e
anche qualche risatina soffocata, prese la bacchetta e
pronunciò la formula. Lo
stuzzicadenti si trasformò in un ago lucente.
L’espressione
della professoressa si distese. «Molto
bene. Cinque punti a Serpeverde. La prossima volta, però, ti
suggerisco di
eseguire immediatamente i compiti che assegno».
La
lezione d’incantesimi non andò molto diversamente.
Riuscì a eseguire l’incantesimo mostrato da
Vitious al primo tentativo, ma nel
momento in cui lo fece si sentì leggermente a disagio, come
se stesse in
qualche modo barando. Usare la sua bacchetta era facile, ma era in
qualche
modo… impersonale. Solo
formule da
imparare a memoria e movimenti meccanici da memorizzare. Non sentiva lo
stesso
calore che provava quando richiamava la sua magia
dall’interno, quella fiamma
che gli riscaldava il petto e gli dava la certezza di essere
più di carne e
sangue. Inoltre, rimpiangeva la soddisfazione che gli procurava
padroneggiare
una nuova, complessa magia propostagli da Lavr.
Per
questo decise di parlarne con il demone, e si sentì
meglio quando lesse la sua replica.
So
che i maghi utilizzano la bacchetta perché la maggior parte
di loro non può
fare altrimenti. Tu hai un dono raro e prezioso. La tua magia
è potente e riesci ad attingerci direttamente, come
pochi dei tuoi simili sanno fare.
Proprio perché possiedi una dote rara, ti consiglio di non
darne pubblico
sfoggio, almeno all’inizio. Comunque, le bacchette sono
artefatti creati appositamente
per la vostra razza e, che io sappia, non esiste mago che non ne possa
trarre
vantaggio. Anche Merlino, il mago più versato nella pratica
della magia libera
che abbia mai conosciuto, usava la sua per la maggior parte degli
incantesimi.
Ritengo che il disagio che provi sia dovuto solamente al basso livello
degli
incantesimi che stai imparando. Se ti senti poco stimolato, esercitati
con gli
incantesimi più avanzati.
L
La
lezione di pozioni fu ben più interessante. Il professor
Piton esordì con un discorso sull’arte del
distillare pozioni che fece venire
la pelle d’oca a Harry, e non solo per le parole scelte
accuratamente e la
passione che vi era contenuta. Sentiva la magia del suo capocasa come
se
irradiasse dalla sua figura e si riversasse sulla classe. Aveva
percepito che
Vitious e la McGranitt erano potenti, ma Piton era diverso. Il suo
potere era
diverso.
Era
un potere in grado di
stregare la mente, irretire i sensi e mettere un fermo alla morte,
e Harry aveva la sensazione che scuotesse qualcosa dentro di lui che
non aveva mai esplorato prima.
La
lezione si svolse con i Grifondoro e per il suono
della campana nessuno aveva più dubbi sul fatto che
sì, quello che si diceva
sulla parzialità di Piton era vero. La Granger
cercò per tutto il tempo di
attirare l’attenzione del professore con la mano alzata quasi
a voler toccare
il soffitto, ma lui diede segno di accorgersi di lei solo quando il
calderone
di Neville Paciock esplose, dandogli l’occasione di toglierle
cinque punti per
non aver aiutato il compagno di casa. L’ingiustizia della
cosa era evidente, ma
ciononostante le serpi ne risero per tutto il giorno.
In
realtà, Piton non aveva mostrato grande entusiasmo
nemmeno per gli studenti della sua casa, ad eccezione che davanti al
lavoro di
Harry e Draco. Naturalmente, Malfoy non era stato contento di dover
dividere le
lodi del professore con il figlio di
nessuno, e aveva cercato invano di sabotarlo.
Dopo
le prime due settimane, cominciava a non poterne
più del figlio di Lucius. Si stava rivelando una vera spina
nel fianco: non
solo faceva di tutto per escluderlo, ma si divertiva anche a provocarlo
in
continuazione.
Però
non era solo, con lui c’era Philippe. Il francese
era diventato il suo inseparabile compagno di banco e di studio. Harry
si
trovava bene con lui; proprio come il Bambino Sopravvissuto,
Philippe era l’emarginato di Serpeverde a causa dei
suoi vestiti di
seconda mano e del suo essere straniero e non purosangue. Non era
invadente, anzi, non di rado era una compagnia alquanto
silenziosa, ma era anche intelligente e divertente.
I
due avevano quindi formato un duo isolato dal resto
della casa, anche se, come imposto da Piton, il primo anno di
Serpeverde
appariva unito di fronte al resto della scuola.
Theodore
Nott, il loro compagno di dormitorio, era
abbastanza gentile con loro, ma passava la maggior parte del tempo con
Zabini,
che era se possibile persino più altezzoso di Malfoy. Harry
aveva anche
considerato l’idea di stabilire una tregua con Draco; farlo
avrebbe significato
la fine della guerra fredda che si andava instaurando ogni giorno di
più,
frecciatina dopo frecciatina, ma era restio. Non lo sopportava e non
voleva
perdere tempo a fingere che non fosse così; meno gli stava
vicino e meglio era
per i suoi nervi, senza contare che anche con gli altri ragazzi aveva
poco in
comune. Erano viziati figli di papà la cui maggior
preoccupazione era la
posizione in classifica della loro squadra di Quidditch. Harry aveva
altro per
la testa. Hogwarts era un luogo antico e pieno di segreti, e lui voleva
scoprirli tutti. A cominciare dal perché Silente avesse
proibito l’accesso al
terzo piano. Le voci si sprecavano, ma difficilmente la
verità risiedeva nei
pettegolezzi degli undicenni. Lui aveva una teoria, basata
però solo sul suo
istinto. La Gazzetta del Profeta aveva riportato la notizia che il 31
luglio
c’era stato un tentativo di furto alla Gringott. Niente era
stato rubato,
perché la camera in questione era stata svuotata il giorno
stesso.
Svuotata.
Harry
aveva letto e riletto l’articolo, cercando di
cogliere le informazioni nascoste tra le righe, e quello era il
particolare che
più lo aveva colpito. Difficilmente poteva trattarsi della
camera di qualche
antica famiglia purosangue; probabilmente conteneva poche cose, o
addirittura
un singolo oggetto. Qualunque cosa fosse, doveva essere importante:
molti
dettagli erano stati tenuti segreti. E qualcuno aveva prelevato il
contenuto
della camera poco prima che il ladro vi s’intrufolasse. Una
coincidenza, o il
proprietario sapeva che qualcuno avrebbe cercato di derubarlo?
Forse
erano solo macchinazioni, eppure una parte di lui
era prepotentemente convinta che Silente avesse nascosto il
contenuto della camera a Hogwarts.
Razionalmente però non aveva senso. Se le cose stavano
così, perché richiamare
l’attenzione? Perché non nasconderlo e basta,
senza rischiare che qualcuno,
forse persino uno studente, facesse il collegamento con
l’improvvisa chiusura
di un’ala del castello?
A
meno che Silente non avesse lanciato il guanto di
sfida al misterioso ladro, certo che il castello fosse ancora
più sicuro e
impenetrabile di uno dei posti meglio protetti al mondo. O
magari era una trappola. Per sapere se le sue
supposizioni erano esatte sarebbe dovuto andare a vedere con i suoi
occhi cosa
c’era al terzo piano, e l’avrebbe già
fatto se il giorno prima della sua gita,
la sua attenzione non fosse stata catturata da un altro mistero. La sua
cicatrice. Gli era capitato che prudesse a volte, fin da quando era
piccolo, ma
adesso la sentiva bruciare. La
prima
volta che era successo, stava cenando in Sala Grande. Aveva sentito una
dolorosa ma breve fitta alla fronte. Dopo quella volta, il dolore si
rifece
sentire altre due volte, e non riusciva a spiegarsi perché.
Per
la terza settimana, i professori avevano lasciato
da parte ogni riserva e avevano iniziato a caricarli di lavoro. Harry
si recò
in biblioteca per completare il tema assegnato dalla McGranitt, che
avrebbe
dovuto consegnare il lunedì successivo. Philippe non era con
lui: dopo pranzo
aveva accusato un malore e si era recato in infermeria.
Il
tavolo era occupato da diversi libri e pergamene
arrotolate. Si passò una mano tra i capelli. Non aveva mai
fatto un compito
simile prima, non era del tutto sicuro di come realizzarlo al meglio.
Rilesse quello
che aveva scritto, correggendo alcuni termini per rendere il discorso
più
fluido.
«Ti
spiace se ci sediamo qui?». La voce di Theo gli
fece sollevare lo sguardo, e si accorse con disappunto che Nott non era
solo:
Blaise era con lui e si sedette al tavolo senza aspettare la sua
risposta.
«Ma
certo, fate pure» replicò Harry, non senza
sarcasmo.
«Ci
servirebbe una mano con il tema di trasfigurazione»
spiegò Theo, prendendo posto accanto all’amico.
«Abbiamo
pensato di dare un’occhiata al tuo» concluse
arrogantemente Zabini, allungando il braccio per afferrare la pergamena
di
Harry. Questa tuttavia gli sgusciò dalle mani, tornando dal
proprietario.
«Come
hai fatto?» esclamò Blaise sbalordito.
«L’incantesimo
d’appello è del quarto anno! E non hai nemmeno
tirato fuori la bacchetta».
Harry
ghignò. «Per essere un purosangue, la tua
educazione lascia a desiderare, Zabini. Non si tocca la roba altrui
senza
permesso. E se pensi che ti lasci copiare un lavoro che come puoi
vedere mi è
costato tempo e fatica… beh, sei fuori strada. Potete anche
andarvene».
«Scusalo.
E’ sempre impulsivo.», intervenne Theo.
«Tu
sei il migliore in Trasfigurazione anzi, a dirla tutta, sei il migliore
in
tutti i corsi, così ci chiedevamo se potessi aiutarci.
Naturalmente ripagheremo
il favore». Blaise annuì a quelle parole, anche se
controvoglia.
«Molto
bene allora.» acconsentì il moro.
Le
ore successive passarono velocemente. Harry diede ai
suoi compagni alcune dritte sul compito e tutto sommato riuscirono ad
andare
d’accordo, anche se Zabini non mancò di lanciare
qualche frecciatina.
«Allora
Henri - disse a un certo punto - non sappiamo
molto di te».
Harry
sospirò. Prima o poi, il discorso sarebbe saltato
fuori comunque, quindi tanto valeva affrontarlo ora. «Non
c’è molto da dire.
Sono nato in Francia da una famiglia di maghi non molto in vista. I
miei
genitori sono morti quando ero piccolo, così mi sono
trasferito in Inghilterra
da mio zio. Tutto qua».
«Mm»
mugugnò Blaise, poco convinto. «Quindi sei
purosangue?»
Il
ragazzo scrollò le spalle. «I miei genitori erano
maghi, e per quello che so lo erano anche le loro famiglie, ma non
appartengo a
una casata prestigiosa, quindi non so molto sul mio albero
genealogico».
«Non
dovresti frequentare quel Philippe.» lo ammonì
Theo «Girano strane voci su i lui. Passando il tuo tempo con
lui, rischi di
inimicarti tutta la casa».
A
quelle parole, Harry rise sprezzante. «Credevo fosse
Molfoy a fare terra bruciata intorno a me».
Anche
Blaise ridacchiò malevolo. «Certamente Draco non
ti sopporta, ma non saresti così male se non stessi sempre
con quel bastardo».
«Che
cosa hai detto?» scattò Harry, ma Theo si mise in
mezzo per calmarlo.
«Non
c’è bisogno di scaldarsi, ragazzi. Non
è il caso
di metterci a urlare in biblioteca». Si chinò
verso Harry, e aggiunse a bassa
voce: «Non si sa molto su di lui, ma non girano molti Leroy
in Francia. Draco
stava dicendo l’altro giorno che suo padre gli ha riferito
che pare ci sia
stato uno scambio di gufi tra Nicolas Leroy e il ministro della magia
britannico.
Stando a quanto ha detto Draco, il sottosegretario francese non era
molto
contento di sapere che Philippe frequenta Hogwarts, anzi, il padre di
Pansy,
che lavora al ministero, sostiene che Caramell abbia richiesto un
colloquio con
Silente per parlare della questione. Nessuno sa bene chi sia Philippe,
ma molti
pensano che sia un figlio illegittimo, se non di Nicolas, di uno dei
suoi
fratelli, probabilmente avuto con una donna poco appropriata. Capisci
ora
perché nessuno ci tiene a frequentarlo? Le amicizie sono
importanti, le persone
di cui ti circondi dicono chi sei. Che cosa ci dice di te, il fatto che
hai
stretto amicizia con un bastardo mezzosangue?»
«Che
non sono un ipocrita superficiale e bigotto come
voi.» replicò Harry, con calma solo apparente.
«Non m’importa se quello che
dici è vero, se anche lo fosse, Philippe è mio
amico, e voi, i vostri genitori,
il ministro e Nicolas Leroy potete anche andarvene in
malora». Si alzò, afferrò
le sue cose e prima che uno dei due potesse ribattere si
congedò dicendo:
«Ricordate che mi dovete un favore».
Quella
sera quando Blaise e Theo entrarono nel loro
dormitorio, Harry alzò a malapena lo sguardo dal libro di
pozioni che aveva
sfogliato nell’ultima ora. I due non dissero niente, ma si
cambiarono in
silenzio, preparandosi per andare a dormire, e poi uscirono, diretti
probabilmente verso l’altro dormitorio maschile. Era
diventata un’abitudine che
i due dopo che scattava il coprifuoco si dirigessero in camera di
Draco,
lasciando i francesi da soli, ma
quella sera Philippe non era ancora tornato, così Harry,
dopo essersi
assicurato che i due fossero lontani, chiuse il libro e fece uscire Zar
dal
terrario. Il serpente salì sul letto, distendendosi come un
umano che si
stiracchi.
-
Dovresti
farmi uscire più spesso- si lagnò.
– detesto quella gabbia –
- Lo
so, ma non posso lasciarti vagare solo
per la scuola. Chissà come reagirebbero gli studenti. Avrai
notato che i miei
compagni di dormitorio non sono esattamente entusiasti; non fanno che
controllare
che il terrario sia ben chiuso! –
-
Oggi
non ho visto il tuo compagno. –
commentò il serpente – quello strano –
-
Strano?
Non ti ci metterai anche tu! –
esclamò Harry, spazientito. – Perché
pensi sia strano? –
-
Ha
un odore diverso da te e dagli altri. –
- Un
odore diverso?- ripeté –
Com’è
possibile? –
- Non
ci arrivi da solo? -.
Harry
alzò gli occhi al cielo. Perfetto, anche il
suo serpente gli parlava con supponenza! –
Potresti
dirmelo tu. –
- Potrei.
E tu potresti farmi andare a
caccia, ogni tanto ~.
-
Ti ho già spiegato perché non posso farlo.
–
-
Allora
non ti dirò niente. –
Infastidito,
fece scendere l’animale dal letto con un
gesto brusco. – Non ho bisogno del tuo aiuto, lo
scoprirò da solo. –
Non
ci fu risposta, Zar gli rivolse un’occhiata offesa
-ma che razza di serpente era?- e se ne tornò spontaneamente
nel terrario.
A
colazione, il giorno successivo, non c’era ancora
traccia di Philippe, ma nessuno a parte Harry sembrò
accorgersene. Tutti i
serpeverde del primo anno erano troppo eccitati per la prima lezione di
volo,
che si sarebbe tenuta quella mattina, con i grifondoro. Malfoy non
faceva che
vantarsi con chiunque gli prestasse attenzione della sua bravura a
Quidditch, e
si lagnava di non poter entrare nella squadra. Harry sembrava
l’unico a non condividere
l’entusiasmo dei primini. Sapeva già volare, fin
dalla prima volta che aveva
provato non aveva avuto la minima difficoltà, e gli piaceva
anche, ma non
sapeva molto di Quidditch e non gli interessava.
Finita
la colazione, tutti gli studenti della casa
verde argento si alzarono e si diressero ordinatamente fuori dalla Sala
Grande,
per poi separarsi, ogni anno diretto verso la prima lezione del giorno.
Le
matricole andarono verso il campo di Quidditch, chiacchierando ad alta
voce, la
disciplina di qualche istante prima dimenticata non appena messo il
naso fuori
dal castello. Arrivati al campo, trovarono ad aspettarli
l’insegnante, Madama
Bumb. I grifondoro arrivarono dopo qualche minuto.
«Molto
bene, disponetevi in fila. Mettete le mani sopra
la scopa e dite su.» li istruì la professoressa.
Harry riuscì a far sollevare
la scopa al primo tentativo, come Draco e pochi altri, tra i quali Ron
Weasley,
mentre la Granger, che solitamente eseguiva tutti i compiti alla
perfezione, dovette
provare più volte. Dopo diversi tentativi, tutti riuscirono.
«Ora,
al mio fischio, vi darete una bella spinta,
salirete di qualche centimetro e riatterrerete. Tutto chiaro? Bene.
Tre, due…»
Senza
aspettare il segnale di Madama Bumb, Neville
Paciock si sollevò in aria e nonostante i richiami della
donna continuò a
sollevarsi, incapace di tornare con i piedi per terra. Salì,
salì, gridando e
agitandosi, finché non cadde, urtando malamente il braccio
destro.
La
professoressa gli fu subito affianco. Lo prese per
il braccio sano e lo aiutò a rialzarsi, mentre gli altri
studenti guardavano la
scena in silenzio. «Sta tranquillo Paciock, ti accompagno in
infermeria.» lo
rassicurò, per poi rivolgersi alla classe con tono
autoritario e continuare: «Che
nessuno di voi si azzardi a inforcare le scope mentre sono via. Se
becco uno di
voi per aria, l’idiota si ritroverà espulso da
Hogwarts prima che riesca a dire
Quidditch».
Quando
l’insegnante scomparve, Draco raccolse qualcosa
dal punto dov’era caduto Neville.
«Guardate!» esclamò ad alta voce.
«Quel
babbeo ha perso una ricordella! Peccato che non gli abbia ricordato che
il volo
non è adatto agli incapaci ciccioni come lui».
«Sta
zitto Malfoy!» Ron Weasley fece un passo verso il
biondo. Gli sguardi di tutti i primini erano su di lui, tutti erano
curiosi di
sapere cosa sarebbe successo.
«Oh
Weasleyuccio! Che fai, racimoli il tuo coraggio da
grifondoro per difendere Paciock?» lo derise Draco, la
ricordella ancora
stretta in pugno.
«Dammela.
Appartiene a Neville». Gli ingiunse Ron, col
viso rosso quanto i suoi capelli per la rabbia.
«Altrimenti
che fai?» lo provocò.
«Piantala
Malfoy, molla quella ricordella» s’intromise
Harry, avvicinandosi ai due e tendendo una mano verso il compagno di
casa.
Sentì su di sé le occhiate ammonitrici degli
altri serpeverde, ma non ci bado,
concentrandosi solo su Draco, che aveva dato le spalle a Weasley e lo
guardava
con rabbia evidente.
«Non
mi sembra che siano affari tuoi, Montblanc»
sibilò. «Ma se proprio ci
tieni…». Senza preavviso, Malfoy
inforcò la scopa e
con una spinta decisa si levò in volo.
«Perché non vieni a prenderla?»
urlò una
volta raggiunta l’altezza di diversi metri.
Dudley
era davanti a lui. Teneva tra le mani il suo libro, quello che la
maestra gli
aveva regalato il giorno prima come premio per un compito fatto bene.
«Ridammelo!»
strillò Harry, gettandosi addosso al cugino e sollevandosi
in punta di piedi
per cercare di riprenderselo, ma Dudley era più alto di lui,
e teneva il libro
al di fuori della sua portata. Attorno a loro, gli amici di Dudley
ridevano
divertiti. Senza preavviso, il cugino gli tirò un pugno allo
stomaco. Harry si
accasciò, e lo vide con gli occhi appannati dal colpo
lanciare il libro a
Piers. La banda di bulli si dispose a cerchio attorno a lui,
divertendosi a
lanciarsi il libro l’un l’altro mentre lui correva
disperatamente da una parte
all’altra, cercando di intercettarlo.
«Smettetela!»
gemette «Basta, lo state rompendo!».
Lancio
dopo lancio, sentiva il rumore di pagine che si strappavano e un paio
caddero
anche al suolo. Alla fine, il libro tornò nelle mani di
Dudley, che davanti al
suo sguardo implorante lo prese e lo strappò in due e poi in
quattro parti. Lo
lasciò cadere a terra con una risata e se ne andò
con i suoi amici, lasciandolo
solo. Harry si chinò a terra, senza riuscire a trattenere le
lacrime mentre
raccoglieva i resti del primo regalo che avesse mai ricevuto.
Senza
pensarci due volte, Harry afferrò la scopa e si
levò in volo. Sentì i suoi compagni trattenere il
fiato e anche Malfoy sembrò
stupito quando se lo trovò davanti.
«Non
male per un secchione come te, ma vediamo se
riesci a starmi dietro.» puntò la scopa verso
l’alto, salendo ancora di alcuni
metri. Harry lo seguì senza difficoltà.
Vedendolo, Draco sembrò preoccupato.
«Qui
non ci sono Tiger e Goyle a salvarti il collo!» lo
derise Harry.
Malfoy
sorrise forzatamente in risposta. «Se proprio ci
tieni a fare l’eroe, prendila». Allungò
il braccio e lanciò la ricordella
lontano.
Agendo
d’istinto, Harry si gettò verso la sfera, ma
prima che riuscisse a raggiungerla, questa prese a cadere.
Puntò la scopa verso
il suolo, inseguendola. Per un soffio, riuscì ad afferrarla
prima che si
spiaccicasse sul terreno e a raddrizzare la scopa prima di fare lui
quella
fine. Partirono delle acclamazioni di approvazione che si spensero
all’istante
non appena toccò terra, e non ci mise molto a capire
perché. Piton veniva in
quella direzione, e nonostante la distanza si vedeva che era livido.
«Montblanc,
Malfoy… seguitemi» sibilò. I due
obbedirono, consci che qualunque protesta avrebbe solo peggiorato la
situazione. Camminando svelto, senza mai girarsi verso di loro, Piton
li scortò
fino al suo ufficio.
«Dentro.»
ingiunse. Indicò loro le sedie, ma lui non si
sedette. I due iniziarono ad accusarsi a vicenda, ma l’uomo
li zittì.
«Non
m’interessano le vostre giustificazioni. Quando
Madama Bumb mi ha chiesto di controllare una classe del primo anno per
qualche
minuto, mi sarai aspettato tutto, tranne che di vedere i miei studenti
fare una
cosa così stupida come disobbedire a un ordine perentorio di
un insegnante. Avete
un’idea della gravità di ciò che avete
fatto? Il vostro spettacolino potrebbe
costarvi l’espulsione». Malfoy aprì la
bocca per protestare, ma lo sguardo
omicida del pozionista lo fece desistere. «Senza parlare del
fatto che vi siete
messi a litigare davanti ai grifondoro. Forse non mi sono spiegato bene
il
primo giorno, forse non avete compreso perché vi ho fatto
quel discorso?
Evidentemente, pensate di essere al di sopra delle regole. Cosa
pensavate di
fare, agendo come degli ottusi grifondoro? Siete in punizione per tutta
la
settimana. Tutti e due. Mi aspetto che veniate qui alle sette e mezza,
puntuali, ogni giorno e che svolgiate i compiti che vi assegno senza
emettere
un fiato. Ora fuori. Non tu, Montblanc. Tu resta seduto».
Draco uscì dallo
studio sbattendo la porta, cosa che fece assottigliare le labbra di
Piton in un
modo che ricordava molto la McGranitt.
«Signore,
non è stata colpa mia…»
tentò di spiegarsi
Harry.
«Non
ho forse detto che non voglio sentire scuse?» lo
fermò il professore. «Non m’interessa il
motivo per cui vi siate comportati
così. Non accetto che due miei studenti si sabotino a
vicenda, farai bene a
ricordartelo. In ogni caso, non è per sentire le tue
giustificazioni che ti ho
trattenuto. Era la prima volta che salivi su una scopa?».
Preso
in contropiede, Harry negò col capo. «No signore,
l’avevo già fatto».
«Sai
giocare a Quidditch?»
«Non
ho mai provato».
«Eppure,
sembri avere un grande talento». Considerò
Piton. «La settimana prossima si terranno i provini per la
squadra di
Serpeverde. Tu parteciperai».
«Ma
signore…» boccheggiò Harry «
quelli del primo anno
non possono…»
«Ci
sono sempre le eccezioni» lo interruppe Piton. «Del
resto, il provino sarà una formalità.
Parlerò con Flint. Sono sicuro che sarai
un eccellente cercatore».
«Ma
io non voglio entrare nella squadra!» protestò il
ragazzo. «Non m’interessa il Quidditch».
Il
professore si chinò su di lui, con gli occhi che
dardeggiavano pericolosamente. «Forse non hai capito
Montblanc. Sei fortunato a
non essere stato espulso. Farai tutto quello che occorre per la tua
casa, e
soprattutto farai tutto quello che dico io. Intesi?»
«Sisignore»
si arrese Harry, maledicendo
silenziosamente la propria impulsività.
Se
non altro, ora Malfoy avrebbe avuto un motivo valido
per odiarlo.
So
che avevo detto che avrei pubblicato entro martedì, ma sono
davvero molto impegnata in questo periodo. Per questo, per il prossimo
capitolo dovrete aspettare il 10 o l'11, ma poi riprenderò
con gli aggiornamenti settimanali regolari. Colgo l'occasione per
ringraziare tutti quelli che recensiscono, che hanno messo la storia
nelle preferite o nelle seguite o che leggono e basta. Come potete
vedere, Harry nonostante sia più maturo e intelligente che
nei libri, ha mantenuto una buona dose di impulsività,
nonché il vizio di fare le amicizie sbagliate (dal punto di
vista di quelli come Malfoy). So che eravate
curiosi a proposito di Philippe... in questo capitolo non
compare mai direttamente, ma dal prossimo sarà
più presente... in ogni caso, si iniziano a scoprire delle
cose su di lui. Per quanto riguarda i sospetti di Harry sul terzo
piano... il suo ragionamento può apparire forzato, ma
è l'istinto che lo mette su quella pista, un
istinto che ha molto a che vedere con la sua connessione con
Voldemort. Alla prossima :)
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Capitolo 11 *** Halloween ***
Harry
fece ritorno alla Sala Comune di Serpeverde con
un diavolo per capello, e trovare tutti quelli del suo anno seduti
attorno a
Malfoy, intenti ad ascoltare le sue lamentele per la punizione, non
aiutò il
suo umore. Come si accorse di lui Draco gli andò incontro,
livido di rabbia.
«Sarai
contento adesso, Montblanc!» strillò, attirando
l’attenzione di tutta la casa su di loro. «Grazie
alla tua bravata siamo in
punizione, e abbiamo fatto una figuraccia davanti a tutti!»
«La
mia bravata?» ripeté Harry, incredulo.
«Se non ti
fossi messo a fare il bullo, non saremmo finiti nei guai».
«Se
non ti fossi messo in mezzo, Piton non sarebbe
intervenuto».
Harry
non poté trattenersi. Scoppiò a ridere per
l’assurdità della situazione e per la faccia tosta
del compagno. «E’ davvero
per la punizione che sei arrabbiato, Malfoy? O magari ti secca che ti
abbia
umiliato? Non sei così bravo a volare, dopotutto».
Aveva
colpito un tasto dolente. Le guance di Draco si
tinsero di rosa e il biondo tirò fuori la bacchetta. Con la
coda dell’occhio,
Harry si accorse che i suoi compagni di casa, anche quelli
più grandi, stavano
seguendo la scena con attenzione.
«Ti
credi molto in gamba, non è vero?»
sibilò il figlio
di Lucius sprezzante. «Non hai ancora capito come funzionano
le cose qui a
Serpeverde. Io sono un Malfoy, e tu non sei nessuno. Perché
pensi che Piton
abbia trattenuto te e non me nel suo ufficio?»
Harry
gli rivolse un sorriso mellifluo. «In realtà, mi
ha chiesto di rimanere per offrirmi un posto nella squadra di
Quidditch».
Ci
furono dei sussulti di sorpresa, e Draco sbiancò.
«Non è possibile!» balbettò
«quelli del primo anno non possono far parte della
squadra!»
Il
sorriso di Harry si allargò. «Oh, ma ci sono
sempre
le eccezioni» replicò dolcemente. «Il
professor Piton è rimasto davvero
impressionato dalla mia abilità. Immagino di doverti
ringraziare».
Senza
preavviso, Malfoy agitò la bacchetta, ma Harry fu
più veloce. Con un gesto della mano la bacchetta di
biancospino gli finì ai
piedi. Nella Sala piombò il silenzio, mentre tutti
guardavano Montblanc increduli.
Lui non ci badò, invece si avvicinò a Draco e gli
sussurrò, abbastanza forte
perché anche gli altri sentissero «Te
l’ho già detto. Non m’interessa chi sia
tuo padre o quanto sia puro il tuo sangue. Se ti metti contro di me, te
ne farò
pentire».
Il
giorno dopo Philippe non era ancora uscito
dall’infermeria. Harry era andato a trovarlo ma
l’infermiera, Madama Chips, non
gli aveva concesso il permesso di vederlo, sostenendo che il paziente
avesse
bisogno di riposo. Durante la colazione si era sentito addosso le
occhiate di
tutta la casa, ma nessuno gli aveva rivolto la parola, cosa che non gli
dispiaceva affatto.
Quando
suonò la campana, il gruppo dei primini si
diresse compatto verso l’aula di Difesa contro le Arti
Oscure, dove Harry prese
posto nell’ultimo banco, da solo. Il professor Raptor li
aspettava seduto alla
scrivania, e il ragazzo notò che giocherellava con le mani
con evidente
nervosismo. Perché Silente avesse scelto lui come insegnante
era un mistero.
Quell’uomo aveva paura anche della propria ombra, e le sue
lezioni erano una
vera barzelletta. In pratica, non facevano che leggere e prendere
appunti.
Mentre il professore dava le istruzioni con la consueta voce tremula,
lo
sguardo di Harry cadde sul turbante. Le storie che giravano su quel
turbante! Si
diceva che fosse pieno di aglio, per proteggere Raptor da un vampiro
che aveva
incontrato durante i suoi viaggi. Il ragazzo sperava davvero che non
fosse il
caso. Sarebbe stato il colmo se il professore di difesa non sapesse
nemmeno che
l’aglio è utile contro i vampiri quanto un
ombrello contro una valanga! “Anche
se” pensò
vedendolo saltare quando
uno studente starnutì “forse dopotutto
è davvero così
incompetente.”
La
lezione sembrò interminabile e quando finalmente
finì Harry non perse tempo a rimettere i libri in borsa per
uscire da
quell’aula soffocante. Non sapeva bene perché, ma
Raptor lo metteva a disagio.
Come uscì, sentì una mano sulla spalla. Si
girò e si trovò davanti la Granger,
che aveva un’espressione curiosa, come se stesse cercando di
simulare una
sicurezza che non aveva. Harry rivolse uno sguardo duro alla mano
poggiata su
di lui, e la ragazza la ritrasse immediatamente.
«Ciao»
gli disse imbarazzata. «Volevo solo ringraziarti
per quello che hai fatto per Neville. È stato un gesto molto
nobile da parte
tua. Spero che non ti abbia causato problemi».
«Nessun
problema»
«Ma
ho notato che non vai d’accordo con i tuoi compagni
di casa. Tu sei diverso dagli altri serpeverde! Se posso fare qualcosa
per te...»
«Non
so di che parli. Sei gentile, ma non ho bisogno
dell’aiuto di nessuno».
«Ma…»
tentò di protestare lei.
«Senti,
a dirla tutta non me ne frega niente di Neville
o di te. Ieri sono intervenuto perché non mi piacciono i
bulli e non mi piace
Malfoy. Tutto qua. Ora se non ti dispiace, devo andare a lezione. Ci
vediamo,
Granger».
Quella
sera Harry e Draco s’incontrarono davanti
all’ufficio di Piton. Dopo essersi guardati in cagnesco per
un istante
bussarono ed entrarono. Il professore li aspettava seduto alla
scrivania con
una pila di compiti da correggere davanti a sé, e non
sollevò nemmeno lo
sguardo. «Ho preparato alcuni ingredienti che dovrete
smistare nei contenitori.
Là, nella stanza sulla destra. Non voglio sentirvi emettere
un fiato».
I
due si affrettarono a mettersi a lavoro. Dopo qualche
minuto, Malfoy commentò sottovoce: «Se mio padre
sapesse cosa mi tocca fare».
Prese un occhio di rospo con la punta delle dita e lo gettò
con aria schifata
nel barattolo. «Me la pagherai cara, Montblanc»
continuò «per questo e per
ieri».
Harry
sospirò, alzando lo sguardo per affrontare quello
dell’altro. «Proprio non capisci, eh?»
mormorò. «Più mi provochi,
più finirai
umiliato».
Draco
ghignò in risposta. «Non ne sarei così
sicuro se
fossi in te. Tu e quell’altro francese siete due intrusi. Non
appartenete
davvero a Serpeverde»
«Se
lo dici tu…»
Dopo
un paio d’ore e un’ulteriore ramanzina finalmente
Piton permise a entrambi di andarsene. Uscirono dallo studio sporchi e
puzzolenti,
e Harry non vedeva l’ora di farsi una doccia, ma ancora non
era finita. Draco
gli si parò davanti.
«Ti
sfido»
«Non
essere ridicolo Malfoy» gli rispose stancamente.
«Sono
serissimo. Ti sconfiggerò in un duello. Voglio
umiliarti e ricordarti qual è il tuo posto. O hai troppa
paura?»
«Paura?
Di te? Non farmi ridere» lo sbeffeggiò Harry.
«Molto
bene allora» esclamò soddisfatto.
«Domani sera a
mezzanotte. Blaise sarà il mio secondo».
«Il
mio sarà Philippe. Ma se dovesse essere ancora in
infermeria…».
«Nel
caso rimanderemo la sfida» concluse Malfoy. Senza
dire un'altra parola, i due si recarono al loro dormitorio.
Philippe
ricomparve il mattino dopo all’ora di pozioni.
Entrò in ritardo, senza che Piton facesse commenti, e si
sedette affianco a
Harry.
«Finalmente
sei tornato! Cosa ti è successo?»
esclamò
Harry.
«Niente,
solo un po’ di febbre» replicò lui
velocemente. «Mi sono perso qualcosa?»
«Vediamo…
alla lezione di volo ho litigato con Malfoy e
Piton ci ha messo in punizione per tutta la settimana, sono
praticamente
entrato nella squadra di Quidditch e Draco mi ha sfidato a duello. Per
stasera.
Tu mi farai da secondo a proposito».
«Sei
entrato nella squadra di Quidditch?!?»
Harry
alzò gli occhi al cielo. «Praticamente
si».
«Ma
è fantastico!» ruggì il francese,
guadagnandosi uno
sguardo omicida da parte di Piton. «E’
fantastico» ripeté sottovoce.
Il
bambino sopravvissuto scrollò le spalle con
indifferenza. «Non sono molto entusiasta in
realtà. Piton mi ha praticamente
costretto. L’unico lato positivo è che Malfoy era
livido».
«Me
lo immagino» rise Philippe. «E pensa quanto
sarà
furioso quando stasera lo sconfiggerai a duello». Anche Harry
ghignò.
La
giornata passò velocemente. Harry e Draco non si
scambiarono una parola durante le ore di punizione, e una volta usciti
dallo
studio di Piton Malfoy propose di incontrarsi a mezzanotte davanti alla
Sala
Trofei. Harry lo guardò sospettoso, ma Draco si
affrettò a giustificarsi: «Non
possiamo sfidarci nella sala comune. Qualcuno potrebbe avvisare Piton e
finiremo nei guai. Meglio un luogo neutro».
«Non
è che stai cercando di fregarmi?»
replicò lui,
diffidente.
«perché
dovrei fregarti?»
«Non
lo so, forse sei troppo codardo per affrontarmi
davvero».
Punto
sul vivo, Draco ribatté piccato che non aveva
assolutamente paura, e che se proprio Henri non si fidava potevano
recarsi nel
luogo della sfida assieme.
E
così fecero. Arrivati davanti alla Sala dei Trofei,
Zabini e Philippe si allontanarono leggermente dai due sfidanti, mentre
Harry e
Draco presero posizione l’uno davanti all’altro,
con le bacchette sfoderate.
«Cambiato
idea, Montblanc?»
«Ti
piacerebbe» replicò Harry con un ghigno.
«Molto
bene» esclamò Zabini. «Sfidanti in
posizione. Al
mio tre: uno… due…». Entrambi avevano
già la prima maledizione sulle labbra, ma
la voce del custode poco distante li bloccò sul posto.
Sentirono Gazza
avvicinarsi, attratto probabilmente dal rumore. Spaventati, i quattro
si diedero
alla fuga, inseguiti dal custode.
«Di
qua!» gridò Harry, aprendo con un incantesimo la
porta davanti a loro. Aspettò che i suoi compagni entrassero
e la richiuse alle
sue spalle. Sentendo i passi del custode allontanarsi, si
voltò verso Draco e
gli puntò contro un dito accusatore. «Siete stati
voi due ad avvisare Gazza?». Non
ebbe risposta, Draco, Blaise e anche Philippe non si voltarono nemmeno,
troppo
impegnati a guardare con crescente orrore davanti a loro. Harry si
girò, e vide
che la stanza dove erano entrati non era affatto vuota, anzi, in
realtà non era
nemmeno una stanza. Era un corridoio, occupato largamente da un
gigantesco
cane. Con tre teste. Che sembrava aver superato la sorpresa di
ritrovarseli
davanti, perché aveva cominciato a ringhiare
minacciosamente. Gridando, i
quattro undicenni si affrettarono ad andarsene, riuscendo per un pelo a
richiudere la porta sul muso del mostro. Corsero a perdifiato sino ai
sotterranei, e solo quando furono al sicuro nella Sala Comune si
fermarono a
riprendere fiato.
«Merlino»
esalò Draco. «Che diamine era quel coso?»
«Silente
è pazzo, ecco la verità!»
esclamò Blaise.
«Come si può tenere un mostro come quello in una
scuola? Stavamo per diventare
il suo spuntino di mezzanotte!»
«Che
Silente è pazzo è probabilmente vero, ma non
è
certo stupido. Se quel bestione è qui,
c’è senz’altro un motivo. Non avete
notato che poggiava i piedi sopra una botola?»
ragionò Harry.
«Chissenefrega
di dove poggiava i piedi!» sbottò
Zabini, ma Draco guardò Harry con una scintilla di
curiosità. «Cosa può mai
esserci nascosto sotto la botola?» domandò.
«Qualunque
cosa sia» commentò Philippe «Mi sembra
che
sia ben protetta».
«Io
me ne vado a letto» annunciò Zabini a quel punto.
«Non ne voglio più sapere, non ho nessun interesse
a ritrovarmi di nuovo faccia
a faccia con quel mostro». Senza un’altra parola,
sparì dietro la porta che
conduceva ai dormitori. Draco lo seguì, ma prima di entrare
si girò verso Harry
e Philippe. «Non sono stato io ad avvisare Gazza»
disse sinceramente.
Harry
annuì, e poi disse con un mezzo sorriso: «Il
duello è solo rimandato».
Anche
Draco sorrise, fece un gesto d’assenso e lasciò
la Sala Comune.
Una
volta che furono rimasti soli, Philippe si buttò su
uno dei divani. «Non sei curioso di sapere cosa nasconda il
mostro?» chiese.
«Molto»
replicò Harry prendendo posto di fronte a lui.
«E ho qualche sospetto. Hai sentito del furto alla
Gringott?»
Il
francese annuì. «Pensi che le due cose siano
collegate? Potrebbe essere. Ma cosa può essere
così importante da essere
custodito prima alla Gringott e poi a Hogwarts?»
«Non
ne ho idea».
I
provini da cercatore sarebbero stati gli ultimi così
Harry, accompagnato da Philippe, prese posto ai bordi del campo e
aspettò il
suo turno mentre Flint, il capitano, sottoponeva gli aspiranti
giocatori a una
serie di difficili prove. Il bambino sopravvissuto seguì il
gioco con crescente
interesse mentre l’amico gli spiegava le regole con evidente
entusiasmo.
Individuò nelle tribune l’inconfondibile chioma
bionda di Malfoy, accompagnato
da Tiger e Goyle. Draco stava guardando nella loro direzione, e anche
se a
causa della distanza Harry non poteva dirlo con certezza, era sicuro
che il
malefico gli stesse facendo un gestaccio con la mano.
«Idiota»
commentò Potter.
«Tra
poco gli toglierai il ghigno dalla faccia»
commentò tranquillamente Philippe.
Finalmente,
la selezione dei cacciatori terminò e venne
il turno dei cercatori. Flint gli fece segno di avvicinarsi e lui lo
fece a
malincuore. Il suo avversario era un ragazzo del quinto anno che era il
doppio
di lui, come tutti i membri della squadra del resto.
«Molto
bene. Ora faccio partire il boccino; chi lo
acchiappa entra nella squadra. I battitori vi complicheranno le cose.
Bene in
sella alle scope. Ah, Henri» aggiunse afferrando per la
spalla e piegandosi
leggermente su di lui in modo che l’altro aspirante giocatore
non potesse
sentire «Il professor Piton mi ha incaricato di informarti
che se non passi il
provino sarai in punizione fino al settimo anno». Gli diede
una pacca sulla
spalla e si allontanò con un ghigno. Con un gemito
disperato, Harry si levò in
aria. Vide Flint liberare il boccino e si gettò
immediatamente
all’inseguimento, ma un bolide lanciatogli da Montague lo
costrinse a scartare
di lato e la pallina scomparve. «Dannazione»
imprecò Harry, aguzzando la vista
alla ricerca di un guizzo dorato. Il suo avversario faceva lo stesso,
senza
fortuna.
Dopo
pochi minuti lo vide nuovamente e si lanciò per
prenderlo. Con la coda dell’occhio vide uno dei battitori
lanciargli contro un
bolide. Pregando che la scopa della scuola fosse abbastanza veloce, non
si
spostò dalla traiettoria del bolide, invece
accelerò concentrandosi sul
boccino. Il bolide lo mancò per un soffio, andando invece a
colpire il suo
avversario che lo tallonava da dietro. Harry allungò le
braccia che poté e
riuscì a chiudere il pugno attorno al boccino.
Tornato
con i piedi per terra, fu raggiunto e acclamato
da tutta la squadra.
«Ottima
presa!» si congratulò il capitano «Il
professor
Piton aveva visto giusto. Benvenuto nella squadra, Henri».
Harry
ringraziò tutti quanti e raggiunse Philippe, che
lo aspettava con un sorriso ammirato. «Sei stato eccezionale!
E pensare che era
la prima volta che giocavi».
«Si
be, devo confessare che mi è piaciuto» ammise
Harry, felice.
Quella
sera, a cena, molti serpeverde si avvicinarono
per complimentarsi con lui. Flint era fin troppo entusiasta, e non
faceva che
ripetere che con Henri in squadra avevano la coppa già in
tasca. Persino Malfoy
non fece commenti, il che equivaleva ad ammettere la bravura del
compagno.
L’intera casa sembrava non vedere l’ora di vederlo
in azione, e a un certo
punto Harry intercettò anche lo sguardo di approvazione di
Piton.
Le
settimane successive passarono velocemente. I
professori erano entusiasti di Harry, lui e Hermione Granger erano i
primi
della classe, solo che il ragazzo non era odioso quanto la grifondoro,
che con
la sua mano sempre alzata e la sua aria saccente era diventata la
primina più
odiata della scuola. Harry, al contrario, in classe tendeva a farsi gli
affari
propri. Non interveniva mai volontariamente, se non per fare qualche
domanda
quando un argomento lo interessava particolarmente, ma i professori
sapevano
che se interpellato era in grado di dare risposte appropriate ed
esaustive.
Dopo due mesi le lezioni erano diventare più stimolanti, e
tra i compiti e gli
allenamenti di Quidditch tre volte la settimana Harry non aveva avuto
molto
tempo per rimuginare sul segreto del terzo piano. Il lato positivo
della cosa era
che i suoi compagni di scuola non erano antipatici come quelli del suo
anno, si
trovava abbastanza bene con loro.
La
mattina successiva di Halloween tutti gli studenti
erano eccitati per la festa che il preside stava organizzando, o
almeno, quasi
tutti.
«E’
ridicolo» commentò Malfoy, senza preoccuparsi di
tenere bassa la voce, allontanando dal suo posto una delle zucche
centrotavola
che gli elfi domestici avevano disposto per l’occasione. I
ragazzi attorno a
lui annuirono.
«Mio
padre dice sempre che quel babbanofilo di Silente
è la cosa peggiore che sia capitata a questa
scuola» continuò Draco.
«E’
una vergogna» gli diede ragione Blaise. «La scuola
di magia più prestigiosa d’Europa che calpesta una
delle feste più antiche del
nostro mondo per queste ridicole tradizione babbane».
«Che
intendi dire» domandò Harry.
«Oggi
è il giorno di Samhaine» disse Philippe.
«La
festa più importante per la nostra razza»
intervenne Flint. I primini si misero in ascolto, attenti, mentre il
prefetto
spiegava con aria solenne «il capodanno celtico. È
il giorno in cui i nostri
antenati celebravano l’ultimo giorno del raccolto, ed
è una delle feste più
sacre. Samhaine segna la fine di un’era, propizia la caduta
di un ordine e un
rovesciamento degli equilibri: i nostri avi credevano che nel giorno di
Samhaine il velo che divide il nostro mondo da quello dei morti si
squarci ed è
possibile effettuare magie solitamente impossibili».
«Questo
lo sapevo, ma non capisco perché Draco accusi
Silente di violare la tradizione» disse Harry.
Zabini
rise sprezzante. «Non mi stupisce che tu non
capisca, Montblanc. Tu non vieni dal nostro ambiente».
«Fa
silenzio» gli intimò il prefetto. «Da
decenni le
nostre tradizioni stanno svanendo. Il ministero della magia non vede di
buon
occhio le celebrazioni di Samhaine, così le ha lentamente
sostituite con queste»
sollevò una delle zucche, il
disprezzo stampato sul volto. «Stanno distruggendo la nostra
cultura, le nostre
radici per sostituirle con le ridicole superstizioni dei sanguesporco,
così che
si trovino a loro agio nel nostro mondo».
«Ma
non ha senso!» esclamò Harry indignato.
«Eppure
sta succedendo» replicò Flint.
«Quelli
come Silente sono degli idioti che vogliono
distruggere quello che sono troppo ignoranti per comprendere»
disse Draco.
«In
realtà il discorso è più complesso di
così»
intervenne Philippe. Tutti si girarono verso di lui, e lui
arrossì leggermente,
ma continuò «Samhaine è una festa
antichissima, e viene associata alla magia
oscura, mentre Belthaine, che ricorre in primavera, essendo la festa
che
celebra la rinascita, è legata alla magia bianca. Ma il
ministero della magia
non vede di buon occhio nessuna delle due».
«E’
vero, ma la maggiore ostilità va contro Samhaine»
concluse Flint «Di questi tempi tutto quello che è
bollato come oscuro viene
bandito. Maghi come Silente ci disprezzano».
Piombò
il silenzio. Harry tornò a mangiare, scosso da
quei discorsi e quasi stizzito. Nonostante i suoi studi, le sue
letture,
c’erano ancora troppe cose che non sapeva! Veles gli aveva
spiegato una volta
che in Gran Bretagna la luce governava da quasi due secoli ormai e
questo aveva
portato alla messa al bando di molte pratiche antiche, ma non aveva
colto
appieno le implicazioni di quelle affermazioni. Scrutò con
la coda dell’occhio
i suoi compagni. Sapeva che molti di loro venivano da famiglie che
praticavano
la magia oscura, viene ma non aveva mai pensato molto alla cosa.
Guardò
Draco. Il figlio di un mangiamorte. Ripensò a
quando aveva intravisto Lucius Malfoy alla stazione. Un uomo elegante,
aristocratico.
Un mangiamorte. Per la prima volta si chiese cosa significasse essere
un
mangiamorte. Cosa aveva spinto molti purosangue a seguire Voldemort?
Per cosa
avevano combattuto? Aveva cercato avidamente informazioni
sull’assassino dei
suoi genitori, ed era stato soddisfatto di leggere che era solo un
pazzo
assettato di sangue e distruzione. Non si era mai soffermato a
chiedersi se ci
fosse qualcosa di più.
Dopo
colazione si diressero verso l’aula d’incantesimi.
Quel giorno Vitious mostrò loro l’incantesimo per
far levitare gli oggetti, e
li divise in coppie per esercitarsi. Harry come al solito si sedette
con
Philippe. Il francese fece un paio di tentativi controvoglia, mentre
Harry lo
osservava in silenzio.
«Sei
molto silenzioso oggi» commentò l’amico
«I
discorsi di stamattina ti hanno turbato?»
«E’
solo che… non sapevo quelle cose. E non mi
aspettavo che tu ne fossi a conoscenza».
Philippe
non rispose. Distolse lo sguardo da Harry e
fece un altro tentativo con la piuma.
Il
bambino sopravvissuto non si fece scoraggiare. «Chi
ti ha parlato di Samhaine?» gli chiese.
«Perché
t’interessa?» replicò il francese
bruscamente.
«Beh,
credevo che la famiglia Leroy fosse della luce».
«Infatti
lo sono» asserì l’altro, sempre senza
guardarlo in faccia.
«Quindi
tu dove hai sentito parlare di Samhaine?»
Il
francese si girò a guardarlo, seccato.
«Perché non la
smetti di girare attorno alla questione e non mi chiedi quello che vuoi
sapere?»
«Non
volevo farti arrabbiare» si scusò Harry
«Ero solo
curioso».
«Già,
siete tutti curiosi!» affermò Philippe
amaramente.
Dispiaciuto
per la piega che stava prendendo la
conversazione, Harry decise di cambiare argomento. Non poteva certo
biasimare
l’amico se era restio a parlare di sé, considerate
le voci che giravano sul suo
conto aveva tutte le ragioni.
«Wingardium
Leviosa» pronunciò a bassa voce Harry. La
sua piuma si librò in aria.
«Molto
bene» esclamò subito il professore con la sua
voce stridula. «Avete visto tutti? Il signor Montblanc ce
l’ha fatta! Dieci
punti a serpeverde!»
Si
levarono diversi gemiti di disappunto da parte dei
grifondoro. Hermione Granger, che fino a un secondo prima stava facendo
la
saccente con il suo sfortunato compagno, si raddrizzò sulla
sedia e con voce
sicura intonò: «Wingardium Leviosa». La
sua piuma si levò in aria. La ragazza
sorrise soddisfatta, ma improvvisamente la penna d’oca
saettò con la velocità
di un proiettile andando a finire dritto nell’orecchio del
professore. «Ma
cosa…» balbettò la ragazza, sconvolta.
«Sì,
beh» fece Vitious, togliendo la piuma e cercando
di sovrastare il suono delle risate che riempivano l’aula.
«Un buon tentativo,
signorina Granger, ma deve lavorare sul controllo, si».
La
Granger era rossa per la vergogna, e Harry ridacchiò
sotto i baffi.
«Un
giorno mi devi spiegare come ci riesci» gli disse
Philippe sottovoce, divertito.
«A
fare cosa?» chiese Harry con finta innocenza.
«A
fare magie senza bacchetta».
«Non
so di che parli» replicò Harry con un ghigno
malizioso.
Non
appena il professore li congedò, i due presero le
loro cose e si diressero fuori dalla classe. Uscendo, sentirono Ron
Weasley
imitare ad alta voce la Granger, scatenando le risa dei suoi amici.
Hermione li
sorpassò, camminando veloce e cercando senza successo di
nascondere le lacrime.
Una parte di Harry si sentì in colpa, ma dismise la
sensazione. Il suo era
stato uno scherzo innocuo, e la Granger era davvero insopportabile.
Le
altre lezioni passarono senza incidenti, e arrivò
l’ora della festa. Come al solito, i serpeverde si diressero
tutti assieme al
tavolo e presero posto senza dar segno di condividere
l’allegria del resto
della sala. La cena era squisita, e le chiacchere gioviali degli
studenti
rendevano l’atmosfera piacevole e familiare, così
le serpi del primo anno non
riuscirono a mantenere il broncio a lungo.
Proprio
quando la festa stava entrando nel vivo, il
portone della Sala Grande si spalancò di botto e il
professor Raptor si
precipitò verso il tavolo degli insegnanti, correndo
goffamente e inciampando
più volte, finché non cadde a terra. Gli occhi di
tutti erano puntati su di
lui. «UN TROOLL!» urlò con tutto il
fiato che aveva in gola. «UN TROLL! NEI
SOTTERANEI! Io ve l’ho detto» concluse flebilmente,
prima di accasciarsi a
terra, svenuto. Dopo un istante di attonito silenzio, tutti i presenti
si
misero a gridare, e molti si alzarono in piedi per scappare. Harry
rimase al
suo posto, stringendo le mani attorno alla bacchetta.
Con
un urlo, Silente riprese il controllo della
situazione. «I prefetti e i caposcuola scorteranno tutti gli
studenti nei loro
dormitori. I professori mi seguiranno nei sotterranei»
comandò con grande
pacatezza.
I
prefetti di serpeverde si alzarono immediatamente e
fecero cenno di seguirli. La casa di Salazar, abituata alla compostezza
e alla
disciplina, si mise ordinatamente in fila per un anno senza mettere un
suono e
uscì dalla Sala mentre i prefetti delle altre case stavano
ancora urlando per
farsi ubbidire.
«Il
preside è un imbecille!» Harry sentì
esclamare da
uno dei suoi compagni, e non poté dargli torto. Silente
aveva ordinato di far
tornare gli studenti nei loro dormitori, ma quelli di Serpeverde si
trovavano
nei sotterranei!
“
Se non altro” pensò il ragazzo divertito
“siamo
probabilmente gli unici della scuola che potrebbero incontrare il troll
e
uscirne senza nemmeno un graffio; filandocela con eleganza”.
«Come
avrà fatto un troll a entrare?» gli
sussurrò
Philippe.
«Non
saprei, ma mi sembra strano che abbia sorpassato
le barriere da solo».
«Forse
qualcuno l’ha fatto entrare di proposito»
intervenne Theo, che si trovava dietro di loro.
«E’
un’idea» annuì Philippe «Ma
chi sarebbe così
idiota?»
«Ho
un’altra domanda» s’intromise Daphne
Greengrass.
«Sono l’unica che ha notato che Piton si
è defilato subito dopo l’annuncio?»
I
primini si fermarono, guardandosi con la stessa muta
domanda in testa.
«Il
corridoio del terzo piano» intuì Harry.
«Merlino
no» esclamò Philippe «E non fare quella
faccia, Henri, piuttosto che avvicinarmi di nuovo a quel cane vado a
farmi una
partita a carte con il troll!»
«Di
che state parlando?» domandò Daphne.
«Il
corridoio del terzo piano» spiegò Harry
«Silente ci
ha nascosto qualcosa, e ha piazzato un gigantesco cane a tre teste a
fare la
guardia».
«E
pensate che Piton abbia creato un diversivo per
cercare di prenderlo?» fece la ragazza, pensierosa.
«Sarebbe un buon piano».
«Io
vado a controllare» decise Harry.
«Non
farlo Henri, sarebbe stupido… qualunque cosa
nasconda il cane, non sono affari nostri» disse Theo.
«E dobbiamo muoverci,
altrimenti perderemo i nostri compagni.» Detto questo, Nott
se ne andò, e dopo
aver lanciato un’occhiata pensierosa a Harry anche Daphne lo
seguì.
«Tu
che fai?» domandò il bambino sopravvissuto a
Philippe.
Il
francese sospirò rassegnato. «Vediamo almeno di
non
farci beccare».
Si
guardarono attorno per controllare di essere soli,
si voltarono e ripercorsero di corsa la strada fatta con i prefetti,
risalendo
il castello e arrivando al terzo piano senza incontrare nessuno.
Arrivati vicini
al corridoio proibito sentirono dei passi. Si nascosero dietro ad una
colonna e
videro passare Raptor, che sembrava furioso. Quando il professore
sparì, i due
uscirono dal loro nascondiglio e guardarono il punto dove
l’uomo era scomparso
interessati. «Perché Raptor non era nei
sotterranei con gli altri insegnanti?»
si domandò Philippe.
«La
domanda giusta» disse una voce glaciale alle loro
spalle «è perché voi due non siate
nella sala comune con gli altri studenti.»
Harry
si girò lentamente, e si ritrovò davanti un Piton
furioso come non l’aveva mai visto. «Signore
noi…»
«Fate
silenzio» sibilò il loro capocasa.
«Avrete tutto
il tempo di spiegare la vostra presenza in questo corridoio durante le
ore di
detenzione che, vi assicuro saranno parecchie. Ora seguitemi».
Rassegnati,
i due obbedirono senza protestare. Harry
notò che la gamba del pozionista grondava sangue, e
l’uomo sembrava soffrire
grandemente, anche se non si lamentava.
Stranamente,
Piton non li condusse verso la sala comune
di serpeverde, bensì verso il bagno delle ragazze del
secondo piano. La porta
era aperta e il professore entrò senza una parola. I due
primini si scambiarono
un’occhiata perplessa e lo seguirono.
Dentro
il bagno c’era un fetore indescrivibile,
sembrava di trovarsi in una discarica in estate. Il troll era
accasciato a
terra, svenuto. La McGranitt, con solo qualche ciuffo fuori posto,
stava
riponendo la bacchetta nella veste. Dietro di lei c’erano la
Granger,
pallidissima, e Raptor.
«Ah
Severus, giusto in tempo» cominciò la donna, ma si
bloccò quando si accorse della presenza di Philippe e Henri.
«Signor Montblanc,
signor Leroy, che ci fate voi qui?»
Fu
Piton a rispondere. «Li ho trovati che
bighellonavano al primo piano, ma non ti preoccupare, mi
occuperò io di loro».
«Molto
bene» fece la McGranitt «Possiamo ritenerci
fortunati che nessuno studente sia rimasto ferito. La signorina Granger
se l’è
cavata per un soffio. Non era presente al banchetto e non sapeva del
mostro.
Come è entrato nel bagno è riuscita a scappare e
i ritratti che l’hanno sentita
urlare ci hanno avvisato».
«Che
fortuna» commentò sarcasticamente Piton.
«Visto
che qui la situazione è sotto controllo,
accompagnerò i miei studenti al loro
dormitorio».
«Solo
un momento Severus» lo fermò la McGranitt.
«Penso
che sia opportuno togliere cinque punti a questi tre. A
testa». Piton annuì
seccato e uscì dal bagno, seguito da Harry e Philippe. Li
condusse nel suo
studio e si accasciò sulla sedia, sofferente.
«Adesso
voglio sapere perché, in nome di Salazar, vi
trovavate al primo piano quando vi era stato ordinato di andare nei
vostri
dormitori»
«Terzo
piano» lo corresse Harry.
«Primo»
sibilò Piton. Harry sorresse il suo sguardo
freddo, con la strana sensazione che Piton stesse cercando di leggergli
l’anima.
«Stavamo
cercando la Granger» se ne uscì Philippe,
interrompendo la sfida silenziosa. Sia il professore che Harry si
girarono
verso di lui, increduli.
«Si»
ribadì il francese con ammirevole faccia tosta
«Sapevamo che non era alla festa ed eravamo preoccupati per
lei. Volevamo
avvisarla della presenza del troll».
«Cercavate
la Granger» ripeté lentamente Piton.
«Sissignore»
confermò
Harry. «Per questo ci trovavamo al primo
piano»
La
vena sul collo del
pozionista prese a pulsare pericolosamente, ma per il resto
l’uomo non diede segno
di aver colto la frecciata.
«Molto
bene» disse dopo
qualche istante. «Fingerò di credervi.
Naturalmente, siete entrambi in
punizione per il vostro comportamento avventato. Sconterete la
punizione
separatamente; Leroy ogni venerdì e Montblanc ogni sabato,
finché lo riterrò
opportuno. Ah» aggiunse quando i due stavano uscendo
«d’ora in poi
consideratevi sorvegliati speciali».
Eccomi di
ritorno, un po' in ritardo rispetto al previsto, ma come promesso dalla
settimana prossima riprenderò con gli aggiornamenti
regolari. Come potete vedere, Harry inizia a capire che non sa poi
molto sul mondo magico, considerato che prima di arrivare a Hogwarts
non ne faceva parte.. e non tutto si può imparare dai libri.
Nel prossimo capitolo ci sarà anche il Pov di Piton. A
giovedì :)
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Capitolo 12 *** La partita di Quidditch ***
«Avevi
ragione a sospettare di Raptor. Sono riuscito a intercettarlo giusto in
tempo. Chiaramente voleva approfittare del diversivo creato dal troll
per cercare di neutralizzare il cane».
Il vecchio
mago di fronte a lui annuì gravemente, scartando una
caramellina al limone.
«Fortunatamente,
il tuo intervento non gliene ha dato modo» disse.
«Mi dispiace solo che tu sia rimasto ferito».
Severus Piton
sbuffò, infastidito. «Dannato cane»
imprecò «come si fa a tenere a bada tutte e tre le
teste?»
Silente
sorrise benevolo. «Fuffy è un animale
affascinante, non potrei immaginare guardia migliore per la pietra.
Senza contare le difese che tutti voi avete aggiunto. Eppure,
considerato l’evolversi della situazione, forse sarebbe
opportuno che anch’io portassi un contributo alle
difese».
«Hai
qualche idea?»
«Diverse
in realtà, nulla di ancora definito»
«Se
vuoi che tenga d’occhio Raptor, forse dovresti dirmi come
controllare il cane» suggerì il pozionista.
«Sono
sicuro che troverai il modo» replicò bonariamente
il preside. «Sono solo curioso di vedere quanto tempo ci
impiegherai».
Severus decise
di lasciar perdere, conscio che discutere non sarebbe servito a niente.
Prima che potesse congedarsi, il preside parlò di nuovo:
«piuttosto, cosa ci facevano i tuoi studenti del primo anno
in giro per il castello, la notte di Halloween?»
indagò.
«Sai
come sono fatti i mocciosi. Ma ti assicuro che dopo la punizione che
gli assegnerò, ci penseranno due volte prima di disobbedire
alle regole della scuola nuovamente».
«Non
ne dubito» replicò con vecchio con la consueta
luce divertita negli occhi «ma mi chiedevo se per caso la
loro escursione non abbia qualcosa a che fare con la pietra».
«Ne
dubito» mentì Piton. Naturalmente non aveva
creduto alla panzana colossale che i due stessero cercando la
Granger, e l'averli trovati al terzo piano lo
inquietava, tuttavia avrebbe avuto il tempo di scoprire cosa
stavano combinando. Non aveva senso sottoporre al preside i suoi dubbi.
Se due grifondoro fossero stati beccati a cercare di salire al terzo
piano tutti i suoi colleghi avrebbero archiviato la faccenda come
un’innocua ragazzata, ma se a farlo fossero state delle
serpi… beh, non sarebbero stati così magnanimi. E
poi dicevano che era lui parziale! Anche
l’integerrima Minerva, se avesse saputo dove aveva realmente
trovato i due primini, avrebbe dato di matto. No, meglio occuparsi
personalmente della faccenda.
«Quindi pensi che l’effrazione alla Gringott sia
stata compiuta da Piton?» disse Philippe.
«Beh,
è più plausibile questo che non che ci siano due
ladri» ragionò Harry.
«Ma
Piton non sarebbe capace di scassinare la Gringott! » fece
Daphne. «Voglio dire, è la banca
più sicura del mondo magico».
«Eppure
qualcuno è riuscito a entrare. E Piton è un mago
potente» la contraddì Harry.
I tre erano
seduti nei divanetti della Sala Comune di Serpeverde, stranamente
deserta, e discutevano degli avvenimenti del giorno prima.
«E
poi, altrimenti perché avrebbe detto alla McGranitt che ci
ha trovati al primo piano? Chiaramente non voleva far sapere che mentre
tutti cercavano il troll lui si stava occupando di un altro
mostro!»
«Sono
d’accordo» disse Philippe.
«Però Henri, io non escluderei l’ipotesi
che i ladri siano due. Piton è un uomo molto conosciuto in
Inghilterra, se avesse derubato la Gringott…»
«E’
un maestro di pozioni» lo interruppe il moro «pensi
che non sappia come non farsi riconoscere?»
«Ma
non si trovava al terzo piano da solo» s’intromise
Daphne. «C’era anche Raptor. Magari lavorano
insieme. Forse è stato Raptor a derubare la banca».
«Certo»
la derise Leroy «Piton non è abbastanza potente
per scassinare la banca più sicura del mondo, ma Raptor si!
Ora sì che tutto ha un senso!»
«Prendimi
pure in giro, ma non solo Raptor si trovava al terzo piano, ma
è stato anche quello che ci ha avvisato del troll. Piton si
trovava al banchetto, non aveva la possibilità di far
entrare il troll, lui si!»
«Quello
che dici ha senso» le diede ragione Harry.
«Però dai. Piton e Raptor che lavorano insieme?
Devi ammettere che è un’idea alquanto
bizzarra».
«Consideriamo
le possibilità» la ragazza tirò fuori
dalla borsa piuma d’oca e pergamena.
«Che
fai?» domandò il francese.
«Scrivere
le ipotesi ci aiuterà a fare chiarezza. Allora…
prima ipotesi: Piton sta cercando di rubare qualcosa. È
stato lui a entrare alla Gringott e ha usato il diversivo del troll per
fare un tentativo. Non è riuscito a prendere quello che
voleva, in compenso il cane gli ha spappolato la gamba».
«Ma
questa teoria non spiega il ruolo di Raptor»
obiettò Philippe.
«Magari
lo stava seguendo per vedere che cosa stava combinando, proprio come
noi» ipotizzò Harry.
La bionda
annuì soddisfatta. «Potrebbe essere. Seconda
ipotesi: i due sono alleati»
«Spiega
la presenza di entrambi e come sia entrato il troll»
considerò il francese «come hai detto prima, Piton
non ne avrebbe avuto il tempo visto che si trovava al banchetto, ed
è poco probabile che si sia trattato di una fortuita
coincidenza».
«Poco
probabile non vuol dire impossibile» intervenne il moro,
sempre più interessato. «Non possiamo escludere
nessuna possibilità, almeno finché non avremo
più informazioni. Dobbiamo scoprire cosa stanno cercando».
«Henri
ha ragione, senza sapere a cosa il ladro dà la caccia non
possiamo svelarne l’identità».
«E
come facciamo a scoprirlo?» esclamò Philippe.
«Calandoci nella botola? E sia chiaro» aggiunse
vedendo l’espressione dell’amico «io non
ho alcuna intenzione di riavvicinarmi a quel cane!»
Harry
uscì dagli spogliatoi di Serpeverde col sorriso sulle
labbra. Quella mattina, a colazione, aveva ricevuto la sua Nimbus, e
Flint era rimasto a dir poco entusiasta della sua performance durante
l’allenamento. Senza l’impedimento della scopa
della scuola, era riuscito a prendere il boccino in cinque minuti.
«Schiacceremo
i Grifondoro» aveva assicurato il capitano quando avevano
lasciato il campo. «La coppa è già
nostra». Mancavano poco più di tre settimane alla
partita, e gli allenamenti si erano intensificati, sottraendo tempo a
tutto il resto. Come se non bastasse, quel giorno avrebbe avuto la
prima punizione con Piton. Philippe, che l’aveva avuto la
sera prima, era tornato al dormitorio stanco e disgustato:
«Mi ha fatto lucidare i trofei della scuola! Senza magia e
sotto la sorveglianza di Gazza. Un incubo! E si aspetta che continui
fino a quando finirà la punizione!»
Rassegnato,
dopo essersi dato una veloce ripulita, il bambino sopravvissuto si
diresse verso lo studio di Piton. Bussò, e la voce del
professore lo invitò a entrare.
«Buonasera
Montblanc. Entra pure. Di là ci sono alcuni ingredienti che
dovrai tagliare e preparare per l’uso».
Stupito, il
ragazzo non riuscì a trattenere un commento
«Credevo che avrei avuto un compito simile a quello di
Philippe… pulire calderoni o qualcosa del genere».
«Considerato
che sei uno dei pochi studenti che sono abbastanza sicuro di poter
lasciare vicino al mio laboratorio senza che faccia esplodere la
scuola, ho pensato di farti sbrigare del lavoro utile.... Ma se
preferisci darti alle pulizie... »
«Nossignore.
Mi occuperò degli ingredienti». Il ragazzo si mise
subito al lavoro. Piton gli aveva lasciato l’elenco degli
ingredienti che c’erano sul tavolo e il tipo di pozioni a cui
erano destinati, così si mise a tagliuzzare, spremere e
pulire, sentendo su di sé ogni tanto lo sguardo del
pozionista.
«Cosa
stavate combinando tu e Leroy il giorno di Halloween?»
chiese il professore dopo un po'. «E
non mentire».
«Niente
professore.» replicò tranquillo il ragazzo.
L’uomo si chinò sul banco sul quale stava
lavorando, guardandolo dritto negli occhi.
«Ti
ho detto di non mentire, Monblanc» sibilò.
Il ragazzo
sentì una sensazione strana, come una pressione a livello
delle tempie. "Legimens"
pensò, e interruppe il contatto visivo, sforzandosi di
concentrare i propri pensieri sugli ingredienti davanti a lui.
Funzionò: la pressione scomparve e Harry si
azzardò a guardare in faccia il professore. La sua
espressione era indecifrabile.
«Lo
sai Henri, che se non avessi detto che vi ho trovato al primo piano,
probabilmente ora sareste facendo questa conversazione col
preside?»
«Quindi
è per questo che ha detto di averci trovato lì,
signore? » lo sfidò.
Per la prima
volta, Piton tradì una leggera sorpresa.
«Perché, che altro motivo potrei avere?»
Harry
pensò alla risposta da dare. Provocare il suo Capocasa
poteva essere molto pericoloso, ma c’era anche la
possibilità che mettendolo alle strette commettesse un
errore. Certo, l’uomo era se possibile ancora più
controllato di Lavr, ma sicuramente l’ultima cosa che si
aspettava era una replica sincera, perciò tanto valeva fare
un tentativo.
«Pensavo
solo che sia strano che mentre tutti gli altri insegnanti davano la
caccia al troll, lei si trovasse al terzo piano, signore».
Funzionò. Piton non riuscì a mascherare la
sorpresa, e quando parlò, la sua voce tradiva un certo
nervosismo.
«Stammi
bene a sentire, Montblanc. Quello che faccio e i motivi che mi spingono
non sono affar tuo. Tuo e il tuo amico d’ora in poi starete
alla larga dal corridoio proibito, o vi posso assicurare che vi
ritroverete sul treno di ritorno prima di avere il tempo di elaborare
altre teorie strampalate. Sono stato chiaro?
«Cosa
c’è sotto la botola?» domandò
Harry, per niente intimorito.
Ancora una
volta, il pozionista sembrò preso in contropiede.
«niente che ti riguardi» sbottò.
«Ma
è lo stesso oggetto che qualcuno ha cercato di rubare alla
Gringott, non è vero?»
«Montblanc!
» sibilò Piton «Stai rischiando. Dammi
retta, dimentica il terzo piano e bada agli affari tuoi».
«Di
cosa si tratta?» lo incalzò il ragazzo
«Per
l’amor di Merlino!» sbottò infine
l’uomo, perdendo definitivamente la pazienza.
«Venti punti in meno a serpeverde, e sta pur certo che la tua
punizione durerà molto
a lungo. Ora fuori di qui!» Harry raccolse le sue cose,
deluso, e uscì. Aveva sperato che Piton si lasciasse
sfuggire qualche informazione sull’oggetto misterioso, ma
evidentemente lo aveva sottovalutato.
Il
lunedì successivo, a colazione, Harry stava chiacchierando
con Philippe, quando il francese fece una smorfia di dolore e
iniziò a tenersi le tempie.
«Che
cos’hai? » gli chiese preoccupato.
«Mal
di testa... anche stanotte sono stato poco bene. Forse mi sta venendo
di nuovo la febbre» rispose Leroy.
«Dovresti
andare a farti vedere da Madama Chips».
Il ragazzo
annuì. «sì, farò
così» Si alzò dal tavolo, attirandosi
diverse occhiatacce, e uscì dalla Sala Grande. Harry riprese
a mangiare in silenzio, alzando lo sguardo solo quando il ben noto
frastuono annunciò l’arrivo dei gufi, ma rimase
deluso: Lavr non gli aveva risposto. Nell’ultima lettera che
gli aveva mandato, gli aveva raccontato gli avvenimenti di Halloween e
parlato dei suoi sospetti, nella speranza che il demone sapesse
qualcosa sull’oggetto misterioso.
«Dov’è
andato Leroy?» La voce di Draco lo distolse dai suoi
pensieri.
«In
infermeria. Si sentiva poco bene»
«Di
nuovo? » fu il commento disgustato «Magari ha solo
finto perché oggi c’è il test della
vecchiaccia».
«Non
essere ridicolo» lo redarguì Daphne
«Philippe non ha problemi in trasfigurazione».
«Chissenefrega
di Leroy» esclamò a quel punto Blaise.
«Per quanto mi riguarda, può anche passarsi tutto
l’anno in infermeria».
«Senti,
ma qual è il tuo problema? » domandò
Harry. «Non ti piace Philippe, d’accordo,
l’abbiamo capito. Non sei costretto a esserci amico.
Però piantala di malignare sempre alle sue spalle! Invece di
preoccuparti della sua famiglia, pensa alla tua!»
«Hai
qualcosa da dire sulla mia famiglia? » chiese il serpeverde,
minaccioso «Ti avviso Montblanc, se osi di nuovo tirare in
ballo la mia famiglia…»
Ma Harry non
seppe mai cosa gli sarebbe successo, perché una voce
stizzita interruppe la discussione. «Zabini, Montblanc,
vorreste cortesemente abbassare i toni? » Non si erano
accorti che Piton si era alzato dal tavolo degli insegnanti.
«Ci
scusi signore» replicò prontamente Blaise. Come il
professore si fu allontanato, lui e Malfoy tornarono a ignorare Harry,
il quale, per niente dispiaciuto, tirò fuori dalla borsa un
libro sulla storia contemporanea che aveva da poco preso in prestito
dalla biblioteca. Stava cercando più informazioni possibile
su Silente, sia perché sapeva che il mago era strettamente
legato alla sua vita, sia perché nutriva la speranza di
trovare nel passato del preside informazioni su Voldemort.
A quanto
apprese leggendo il testo, non c’erano dubbi sul fatto che
l’assassino dei suoi genitori fosse più potente di
Grindewald, ciononostante, anche lui temeva Silente. Harry
osservò l’anziano mago conversare con la
professoressa Sprite. A vederlo così, con l’aria
serena e la veste sgargiante, faticava a credere che avesse tenuto
testa non a uno, ma a due maghi oscuri.
Vedendo che i
suoi compagni si stavano alzando, infilò velocemente il
libro nella borsa e si diresse verso l’aula di
Trasfigurazione. La McGranitt era già lì,
puntuale come al solito. Il ragazzo prese posto in fondo alla classe.
Lo sguardo della professoressa si soffermò per un istante
sul banco vuoto accanto a lui – il posto di Philippe
– poi la donna iniziò a parlare.
«Molto
bene, fate silenzio. Via i libri. Ora vi consegnerò le
domande; avete tre quarti d’ora per rispondere,
dopodiché ritirerò il compito e
passerò tra i banchi per vedere se riuscite a trasfigurare
la tazza davanti a voi in un porcellino. La riuscita
dell’incantesimo varrà la metà del
punteggio finale del test. Molto bene, cominciate».
Harry lesse le
domande velocemente e sorrise tra sé e sé. Fin
troppo facile. Senza perdere tempo, iniziò a rispondere;
quando la McGranitt annunciò che il tempo era scaduto,
consegnò il compito e si risedette nel banco, aspettando il
suo turno per provare l’incantesimo. La lezione era con i
corvonero, che naturalmente eseguirono la trasfigurazione senza
problemi e ridacchiarono con aria di superiorità quando
Tiger non solo non riuscì a trasformare la tazza, ma la
mandò in mille pezzi.
Quando
arrivò il suo turno, sentendo su di sé le
occhiate altezzose dei corvi, Harry decise di dare ai cosiddetti
studenti più brillanti della scuola una lezione di
umiltà. Con le labbra increspate da un ghigno trattenuto a
stento, il ragazzo impugnò la bacchetta ed eseguì
l’incantesimo alla perfezione. Senza parlare. La McGranitt
gli regalò un’espressione di stupore rimpiazzata
immediatamente da un gran sorriso e gli assegnò cinquanta
punti, mentre i suoi compagni di casa ghignavano soddisfatti e i
corvonero lo guardavano increduli e risentiti. Come suonò la
campanella, persino Draco gli rivolse un sorriso sinceramente
divertito, e Daphne lo prese a braccetto e gli disse: «ma hai
visto le facce dei corvonero? Terry Boot aveva l’aria di
essere vicino a un infarto».
«Lo
credo bene» commentò Theo «Gli
incantesimi non verbali fanno parte del programma del sesto anno! Come
diavolo ci sei riuscito? »
Harry sorrise
sardonico. «Fortuna immagino».
«Come
no! » mugugnò Nott, per nulla convinto
«cos’abbiamo ora?»
«Storia
della magia» replicò prontamente Daphne.
«Salazar, il lunedì è il giorno che
odio di più in assoluto! Vorrei sapere chi è
l’idiota che ci ha messo due ore di Ruf! È da
suicidio!»
«Basta
trovarsi qualcosa da fare per passare il tempo».
«Attento
Montblanc» lo ammonì la Greengrass scherzosamente
«Dicendo queste cose rischi di rovinarti la reputazione di
studente modello».
«Non
sono mica la Granger! » protestò Harry,
oltraggiato.
«Grazie
a Merlino» esclamò lei. «Stanotte
abbiamo anche astronomia... rischio di addormentarmi sulla Torre! Non
vedo l’ora che arrivino le vacanze»
Ed
effettivamente quella sera Harry dovette tirare più volte
dei colpetti alla compagna per evitare che si assopisse. La lezione di
astronomia si teneva a mezzanotte; quel giorno la professoressa
Sinistra gli aveva assegnato il compito di riportare sulla mappa
celeste la costellazione del sagittario, annotando anche il nome e le
caratteristiche delle stelle. Nonostante la stanchezza accumulata nelle
ultime settimane, il bambino sopravvissuto riuscì a rimanere
concentrato e godersi la serenità che gli infondeva il
cielo. Contemplando lo spettacolo della luce della luna piena che
accarezzava il lago, Harry si disse che dopotutto, Hogwarts era davvero
stupenda.
Al termine
della lezione, quando fece ritorno al dormitorio, si accorse che
Philippe non era ancora tornato. Sospirò. Il giorno dopo lo
avrebbe cercato in infermeria. Distrutto, tirò le tende del
suo letto e si addormentò.
Fece
un sogno curioso: seguiva Piton fino al terzo piano ed entrava nel
corridoio protetto dal cane, solo che il mostro non c’era
più. Al suo posto, c’erano gli avversaspecchi che
aveva visto al Palazzo. Dentro, vi era riflessa una figura avvolta da
un mantello, la cui unica caratteristica visibile erano i cupi occhi
cremisi. Spaventato, scese nella botola e atterrò in una
camera circolare poco illuminata, di cui faticava a distinguere i
dettagli. All’improvviso, seppe che Philippe si trovava
lì, e che era in pericolo. Voleva aiutarlo, ma non riusciva
vedere, la vista gli si annebbiava. Mentre lottava per riprendere il
controllo, sentì la voce di Silente.
«devi
andare più a fondo»
Come si
svegliò la mattina dopo, non ricordava più niente
del sogno.
Philippe
uscì dall’infermeria due giorni dopo: Harry lo
trovò seduto su uno dei divanetti della Sala Comune, intento
a fissare il fuoco con aria abbattuta.
«Ciao»
lo salutò, andando a sedersi accanto a lui.
«Ehi»
rispose l'amico debolmente, senza distogliere lo sguardo dalle fiamme.
«Ti
sentì meglio? »
«Mm»
fu l’unica replica.
Preoccupato,
il bambino sopravvissuto posò una mano sulla spalla
dell’amico. «Che succede? » chiese
esitante.
Il francese
scosse la testa, senza guardarlo in faccia «Non mi sento
ancora molto bene» mormorò. «Ma mi
riprenderò».
«D’accordo»
replicò Harry, stranito dal bizzarro comportamento
dell’amico.
Philippe si
girò con un sorriso forzato. «Cosa mi sono
perso?» chiese.
«Niente,
tutto come al solito»
«Meglio
così… se non ti dispiace, io vado a dormire. Sono
molto stanco»
«E
la cena? »
«Non
ho fame» Il ragazzo si alzò e sparì nel
dormitorio, lasciando Harry a chiedersi come mai si comportasse
così stranamente.
Fortunatamente,
il malumore del francese non durò a lungo. Il giorno dopo,
durante l’ora di erbologia, si giustificò
spiegando che era sempre stato cagionevole di salute, fin da piccolo, e
lo irritava sentirsi così debole. Harry gli rispose di non
preoccuparsi, e di non mettersi troppi complessi.
Severus prese posto sulla tribuna d’onore. Il giorno tanto
atteso era arrivato: la prima partita dell’anno, grifondoro
contro serpeverde. Tutta la scuola era già sistemata sugli
spalti, la tensione e l’eccitazione erano palpabili, e anche
lui, nonostante si sforzasse di mantenere il suo solito riserbo,
fremeva. La McGranitt, seduta affianco a lui, era meno brava a
mantenere un contegno, e il suo sorriso lasciava trapelare un
comprensibile nervosismo. Grifondoro non aveva più vinto la
coppa da quando Charlie Weasley aveva lasciato la scuola.
E non ci
riuscirete nemmeno quest’anno, pensò il
pozionista, soddisfatto. Non con Montblanc in campo. Sapeva riconoscere
il talento, Henri avrebbe dato il filo da torcere anche al tanto
decantato secondogenito Weasley, non aveva dubbi. Osservò
con un sorriso sardonico l’entrata in campo delle due squadre
e la men che amichevole stretta di mano che si scambiarono i capitani.
Al fischio di Madama Bumb i giocatori si levarono in volo.
Il gioco
entrò immediatamente nel vivo: dalla posizione privilegiata
che occupava, riusciva a seguire i suoi ragazzi mentre sfrecciavano da
un lato all’altro del campo.
Palla in possesso dei serpeverde.
Bolide lanciato da uno dei gemelli. Palla in possesso dei grifondoro.
Ottima manovra di Flitt, che intercetta la pluffa e fila dritto verso
il portiere.
La telecronaca
di quell’imbecille di Lee Jordan teneva il conto dei punti
segnati. Dagli spalti degli studenti venivano urla e acclamazioni,
mentre sulla tribuna d’onore i suoi colleghi e lui stesso si
limitavano ad applaudire i propri pupilli. Sorrise alla McGranitt
quando il bolide lanciato dai suoi battitori riuscì a far
sgusciare la pluffa dalle mani di Katie Bell, e imprecò
sotto i denti quando Angelina riuscì a recuperarla.
Pur seguendo
con attenzione il gioco, però, lo sguardo gli cadeva spesso
sulla minuscola figura del suo cercatore. Il boccino non era ancora
apparso.
Flitt
segnò di nuovo, e la tribuna di Serpeverde lanciò
un boato mentre le labbra della collega di trasfigurazione si
assottigliarono. Alicia Spinnet recuperò la
pluffa, ma l’attenzione del pubblico non era concentrata su
di lei, ma su Henri, che aveva smesso di bighellonare per il campo e
aveva accelerato, puntando verso un punto all’altezza delle
porte di grifondoro, tallonato dal cercatore avversario.
Dalle tribune,
Severus e il resto della scuola osservarono trepidanti il giocatore di
grifondoro tentare disperatamente di raggiungere Montblanc, riuscendo
quasi a colmare la distanza che li separava.
Improvvisamente
Henri fece una cosa incredibile: senza diminuire la
velocità, ruotò la scopa di 180 gradi, rimanendo
sospeso in aria a testa in giù, usando la sola forza delle
gambe per tenersi ancorato alla Nimbus, e puntando in direzione opposta
rispetto a un minuto prima. Il cuore di ogni spettatore perse
un battito vedendolo, sempre da quella posizione assurdamente
pericolosa, allungare le braccia verso il basso e stringere il pugno
attorno al boccino, per poi riafferrare la scopa con il braccio
sinistro e rigirarsi in aria, tornando a cavalcare normalmente.
La curva verde
–argento esplose in un boato fragoroso, mentre Severus
batteva le mani con forza e i suoi colleghi - la McGranitt con poco
entusiasmo - facevano lo stesso. I giocatori tornarono con i piedi per
terra, e Montblanc venne letteralmente sommerso dai suoi compagni si
squadra. Con un sorriso, Piton si alzò in piedi e scese
dalla tribuna. Aveva fatto bene a offrire il posto in squadra al
primino. Quel ragazzo era stato un ottimo acquisto, e non solo per il
Quidditch: era uno studente brillante, come pochi che avevano
frequentato la scuola, il migliore del suo anno, di gran lunga
superiore a quella rompiscatole della Granger.
Per certi
versi lo impensieriva. Aveva notato che né lui né
Leroy godevano di grande popolarità tra i loro compagni. "Certo",
pensò amaramente, "inserirsi
a Serpeverde quando non si ha una ricca famiglia alle spalle non
è facile". E sapeva bene quanto fosse
complicata la situazione di Philippe. Ma sia lui che Henri erano
intelligenti, se la sarebbero cavata, e lui non poteva aiutarli in
alcun modo.
Ciò
che più lo preoccupava però era
l’interesse che avevano mostrato per il terzo piano; la sua
missione era abbastanza complessa anche senza che due mocciosi si
mettessero in mezzo. Per questo aveva deciso di tenerli
d’occhio discretamente, senza coinvolgere i suoi colleghi.
Non succedeva spesso che gli altri professori tessessero le lodi di una
delle sue giovani serpi, e sentire la McGranitt raccontare entusiasta
di come Montblanc avesse eseguito un incantesimo non verbale, lo
riempiva di orgoglio. Persino Silente era rimasto colpito.
Certo, non
aveva dubbi che dopo la batosta di quel giorno, la professoressa di
trasfigurazione sarebbe stata propensa a decantare il talento di Henri.
Il modo in cui aveva catturato il boccino! Nemmeno Charlie Weasley
avrebbe potuto fare una cosa simile. Diavolo, nemmeno James Potter ci
sarebbe riuscito!
Il pensiero
del bastardo riuscì a fargli perdere il buon umore.
Arrivato nel
suo studio, si concesse un bicchiere di FireWhisky. Possibile che
ancora non riuscisse a liberarsi dei suoi fantasmi? No, lo seguivano
dovunque andasse, lo tormentavano, gli ricordavano emozioni che avrebbe
voluto tenere sepolte nella memoria.
James Potter.
L’umiliazione di un ragazzino vestito di abiti consunti,
trascurato e disprezzato a tutti, perfino dal padre.
Lily Evans. Il
tradimento di una parola tagliente come una lama- mezzosangue -,
un’amicizia pura e preziosa sacrificata sull’altare
dell’ambizione e del desiderio di rivalsa.
E infine
l’ultimo, il peggiore. Harry
Potter. La sua espiazione, la sua redenzione fallita.
Non
c’era perdono per lui. Solo fantasmi di troppi errori
commessi.
|
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Capitolo 13 *** Natale, prima parte ***
Nota:
la frase pronunciata da Veles all'inizio, (Essa
è una manifestazione del genio. È una
delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o
come il
riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo
luna. Non
può venire contestata. Regna per diritto divino e rende
principi coloro che la
possiedono) è
presa dal Ritratto di Dorian Gray. Detto questo, vi lascio al capitolo.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
S’incamminò
verso la macchina, senza prestare
attenzione alla mano che la spingeva, o ai baci lascivi che il suo
accompagnatore le lasciava sul collo.
Idiota.
Era
andato nel locale dove lavorava quella sera, si era
seduto in prima fila e aveva passato la serata a sbavarle dietro e
infilarle
banconote nelle mutande. Quando aveva finito il suo spettacolo,
l’aveva
aspettata fuori dal camerino. Le si era avvicinato, posandole una mano
sul
fianco e chiedendole all’orecchio se voleva andare con lui in
albergo, per
cento sterline. Lei aveva annuito, aveva preso le sue cose e aveva
lasciato che
la guidasse verso la sua macchina.
La
disgustava.
Arrivati
all’auto, le lasciò andare la vita e si mise a
cercare le chiavi. Alex si guardò intorno. Erano in una
stradina laterale, poco
fuori dal night dove lavorava. Erano le quattro del mattino e non
c’era anima
viva. L’uomo stava armeggiando con le chiavi, le dava le
spalle. Era grasso,
sulla quarantina, e puzzava di alcool e sudore e eccitazione. Ma
nonostante
l’odore sgradevole, riusciva ancora a sentire il profumo
inebriante del sangue
che scorreva sotto gli strati di pelle flaccida. Non era il massimo,
però era
affamata, e le si era praticamente offerto su un piatto
d’argento. Con uno
scatto, lo afferrò per la spalla e lo voltò.
L’uomo la guardò, sorpreso dalla
sua irruenza, ma dovette leggere qualcosa nel suo viso,
perché l’espressione
lussuriosa e carica di aspettativa che aveva tenuto tutta le sera venne
rimpiazzata da un barlume di paura.
Lo
scacciò velocemente comunque, e le disse con un
sorriso viscido: «Pensavo avremmo aspettato ad arrivare in
albergo». Mosse un
passo verso di lei, annullando la già esigua distanza che li
separava. Lei non
si mosse, si accorse a malapena che le aveva infilato le mani sotto la
maglia.
Guardava la vena sul suo collo.
Pulsava, pulsava.
Un
brivido di desiderio la attraversò. Lui se ne
accorse, perché smise di baciarle la clavicola e
alzò lo sguardo su di lei.
Alex
osservò con sublime distacco il colore andar via
dalla faccia dell’uomo, i suoi occhi spalancarsi, la bocca
aprirsi in uno
squittio terrorizzato. L’uomo si gettò verso la
macchina, cercando le chiavi
con movimenti agitati, e lei si sorprese a simpatizzare per lui. Poteva
capire
il suo stato d’animo, ricordava bene il terrore che aveva
provato lei quando
aveva visto il bel viso di quello che aveva considerato il suo ragazzo
trasfigurarsi in una maschera animalesca e affamata. Con un balzo gli
fu
addosso, gli strappò le chiavi di mano e le
lanciò lontano.
«Ti
prego» balbettò l’uomo, schiacciandosi
contro
l’auto come per mettere la massima distanza possibile tra
loro. «Ti prego. Ho
moglie e figli. Mi dispiace. Ti prego ho dei soldi. Prendili. Ecco
prendili».
Ho
moglie e figli.
Quella frase la riscosse, facendole
staccare lo sguardo famelico dalla giugulare dell’uomo.
Moglie e figli.
Qualcosa dentro di sé urlò, ma non
riuscì a capire cosa dicesse. Aveva fame.
Dannazione, aveva fame. Era l’unico pensiero corrente che
riuscisse a formulare
al momento, e lo espresse ad alta voce, quasi con tono di scusa.
«Ho fame».
L’uomo
la guardò per un secondo come se fosse pazza, ma
poi annuì, e nel suo viso si accese un barlume di
speranza. «Va bene, ti darò dei soldi. Ecco
prendili»
le mise in mano delle banconote. «E’ tutto quello
che ho».
Ma
lei aveva nuovamente smesso di prestare
attenzione. Nella
sua mente, il volto
sgradevole dell’uomo venne rimpiazzato da un viso conosciuto
anni prima, un
viso virile, attraente, incorniciato da una massa di onde biondo scuro.
«Sei bellissima»
«E’
un complimento banale, non trovi?»
«Non
c’è niente di banale nella bellezza. Essa
è una manifestazione del genio. È una
delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o
come il
riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo
luna. Non
può venire contestata. Regna per diritto divino e rende
principi coloro che la
possiedono. »
Avrebbe
dovuto capirlo allora. Aveva incontrato il suo
Lord Henri, e per lei ci sarebbe stata solo dannazione.
La
prima volta che aveva letto il capolavoro di Oscar
Wilde, aveva provato disprezzo per coloro che cadevano vittima del
fascino
illusorio di Dorian, così concentrati sulla sua bellezza da
non vederne la
malvagità. Ora aveva compreso che la
superficialità è il vizio che rende gli
umani prede. Vi era caduta vittima lei, e ora quest’uomo.
Questo sconosciuto,
che quella sera aveva riso, l’aveva osservata,
l’aveva toccata e non aveva
nemmeno immaginato che sarebbe morto per sua mano in una sudicia strada
di un
sudicio quartiere di Londra.
Distaccata,
senza più curarsi delle frasi sconnesse
della sua vittima, gli saltò addosso e affondò i
denti nel suo collo. Lui urlò
e si dibatté, ma dopo pochi secondi smise, già
indebolito dalla perdita di
sangue.
Il
sangue.
C’era
solo il sangue, che scorreva veloce dentro di
lei. Veloce, come erano passati veloce i mesi dopo il loro incontro.
Mesi di
feste, divertimenti, lusso. Mesi di amore, o così aveva
creduto.
«Io
ti darò tutto. Realizzerò tutti i tuoi
sogni».
Sciocca.
Come aveva potuto credere a degli occhi il cui
stesso colore conteneva un inganno? Rosso celato da un vetro azzurro
come il
cielo più limpido.
I
suoi sogni. Ne aveva avuti tanti, un tempo. Sogni
bianchi come le bende che alleviano le ferite, e aranciati come il
tramonto
africano. E invece aveva ottenuto solo il grigiore dei cadaveri e il
rosso del
sangue.
Allontanò
il corpo dell’uomo, con un calcio. Tra
qualche ora, quando si sarebbe sdraiata nello squallido monolocale dove
abitava
da ormai quattro anni, avrebbe pianto e si sarebbe graffiata il viso
per il
rimorso di quella vita spezzata, ma non ora. Ora, c’era
l’estasi del sangue che
scorreva nelle sue vene.
Era
sazia.
Dal
giorno della partita di Quidditch, la popolarità di
Harry tra le serpi era salita di colpo. I suoi compagni di squadra lo
adoravano
già da prima, ma dopo la sua brillante performance contro i
grifondoro tutti sembravano
conoscere il suo nome. Spesso ragazzi che conosceva di sfuggita lo
salutavano
calorosamente nei corridoi e persino alcuni studenti di altre case gli
si erano
avvicinati per congratularsi.
Con
quelli del suo anno invece le cose erano più
complicate. Certo, erano rimasti impressionati dalla sua bravura e
volevano
condividere la sua nuova popolarità, ma d’altra
parte i motivi di scontro non
erano scomparsi. Draco in particolare sembrava essere profondamente
indeciso su
come comportarsi con lui: da un lato detestava che ci fosse qualcuno
che gli
rubasse la scena, dall’altro era al settimo cielo per la
vittoria di serpeverde
e non faceva che vantarsene davanti ai grifondoro e soprattutto davanti
ai
ragazzi Weasley, che a quanto pareva detestava per ragioni di famiglia.
Philippe invece si trovava a disagio a stare i riflettori per via della
sua
amicizia con la star del momento, ma Harry gli aveva detto di non farci
caso.
«Vedrai, tempo due settimane e torneranno a ignorarci
entrambi.»
Dalla
finestra della Guferia, in cui si era recato
nella speranza di trovare un po’ di pace, Harry ammirava il
parco innevato. Tra
pochi giorni sarebbero iniziate le vacanze di Natale e lui sarebbe
tornato da
Lavr. Era incredibile che fossero già passati tre mesi.
Sorrise. Era felice di
rivedere il demone. Certo, il loro rapporto era strano, se ne rendeva
conto, ma
al momento era l’unico, insieme a Veles, a sapere la
verità sul suo conto.
Inoltre, apprezzava ciò che aveva fatto per lui in quegli
anni. Sapeva bene che
non era stato facile per Lavr prendersi cura di un bambino umano,
seppur in
modo distaccato.
I
suoi pensieri vennero interrotti dall’aprirsi della
porta della Guferia. Era Philippe.
«Ciao»
lo salutò il francese. «Non pensavo di trovarti
qua».
«Stavo
curiosando un po’ per la scuola. Tu?»
«Devo
spedire una lettera a casa» rispose evasivo. Harry
lo osservò in silenzio convincere un gufo particolarmente
reticente a lasciarsi
legare una busta di piccole dimensioni alla zampa. «Ho deciso
di rimanere qui
per le vacanze» disse quando finalmente il gufo
partì.
«Oh»
boccheggiò Harry, preso in contropiede «Come
mai?»
Philippe
sembrò esitare ma poi gli si avvicinò e si
sedette per terra. Lui fece altrettanto. «Non avevo molta
voglia di tornare a
casa» disse. «Non… non dico che mi trovo
male, ma a volte… non so, è stupido».
Non
sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che
l’amico affrontava l’argomento, e aveva paura di
dire qualcosa di sbagliato.
Prima che potesse formulare una risposta, il ragazzo
ricominciò a parlare. «Ero
molto indeciso, sai. Non volevo deludere mio fratello e mio…
il mio tutore.
Loro non centrano, non è colpa loro. Però non
voglio tornare, non per Natale»
sospirò. «Sono sicuro che i nostri compagni non
perderanno questa nuova
occasione per sparlare di me»
«Se
lo faranno, gli scaglierò contro una fattura»
promise Harry, risoluto. «Se vuoi rimango con te»
aggiunse.
Philippe
sorrise, il sorriso più aperto e sincero che
gli avesse mai rivolto, ma scosse il capo «No, non ce
n’è bisogno. Starò bene
qui, avrò tutta la Sala Comune per me, e poi non sono molto
di compagnia
durante le feste»
«Guarda
che per me non è un problema»
«Lo
so. E ti ringrazio. Ma non voglio che cambi i tuoi
piani per me»
Harry
colse la sincerità delle parole dell’amico e
comprese che voleva davvero stare solo. Eppure, non riusciva a
spiegarsi il
perché. Seppur timoroso di tradire in qualche modo la
fiducia del compagno,
azzardò qualche altra domanda sulla sua famiglia.
«Così
hai un fratello?» chiese, cercando di sembrare
noncurante. Vide l’espressione dell’amico cambiare,
mentre diverse emozioni
affioravano sul suo viso. Affetto, nostalgia, preoccupazione? Difficile
dirlo.
«Si.
Ha due anni meno di me e sicuramente non sarà
felice di non riavermi a casa per natale. È un po’
una peste a dirla tutta.
Comunque, devo scendere in dormitorio. Ci vediamo, Henri».
Come
aveva previsto Philippe, Zabini e Malfoy non
mancarono di lanciare frecciatine sul fatto che non tutti fossero i
benvenuti a
casa propria durante le vacanze, ma se non altro limitarono i commenti
a quando
si trovavano nella Sala Comune, seguendo le regole di Piton. Come al
solito,
Philippe si limitò ad ignorarli, e fermò Harry
quando si accorse che aveva già
la mano sulla bacchetta. Per il resto, la fine prossima delle lezioni
aveva
creato un’atmosfera di spensieratezza. I professori si davano
da fare per
decorare la scuola, mentre gli studenti avevano mollato i libri senza
rimpianti
in favore di battaglie di neve e partite a sparaschiocco. Quello era
sicuramente l’unico periodo dell’anno in cui molte
delle serpi più giovani
avrebbero voluto far parte di un’altra casa, una in cui gli
studenti più grandi
non punissero chi, contagiato dal clima di festa, trascurasse il
decoro. C’era
un prezzo da pagare quando si faceva parte delle famiglie
più in vista del
mondo magico.
Le
ultime lezioni non furono affatto impegnative, ad
eccezione di pozioni; senza dubbio, Piton non era stato contagiato
dallo
spirito natalizio, anzi, pretese che Harry scontasse la sua punizione
anche il
giorno prima delle vacanze, ma se non altro gli annunciò che
la detenzione era
finita. La notizia lo rallegrò, anche perché
trovava assurdi due mesi di
punizione per un’innocua infrazione, e nemmeno la minaccia
del pozionista di
tenerlo d’occhio lo preoccupava. Del resto, anche lui avrebbe
tallonato il
Capocasa fino a che non avesse scoperto il mistero
dell’oggetto protetto dal
cane.
La
sfida era aperta.
Lavr
stava immerso nella vasca da ore, guardando
l’arazzo rinascimentale del soffitto attraverso il velo
dell’acqua. Tutta la
schiuma era svanita, e l’acqua si era sicuramente
raffreddata, ma non aveva molta
importanza: a malapena percepiva la differenza.
Assurdo.
Tutti
i suoi sensi erano più sviluppati di quelli degli
altri esseri viventi: il suo udito gli permetteva di distinguere un
sospiro in
mezzo al fracasso delle moderne metropoli; la sua vista poteva cogliere
la
forma di un granello di polvere a metri di distanza; il suo olfatto
delicato
gli rendeva insopportabile passare troppo tempo in mezzo alla cacofonia
di
odori tipica delle aree umane. Eppure, il suo tatto era difettoso.
Toccando un
tessuto riusciva a sentirne il disegno dei fili intrecciati, ma alcune
sensazioni, come quella di caldo e freddo, non era in grado di
percepirle, così
come non provava dolore alla maniera degli umani o dei vampiri, e
probabilmente
nemmeno piacere, non con la stessa intensità. Altrimenti,
non si spiegava
perché tutte le creature della terra si agitassero,
combattessero, soffrissero
per pochi minuti di sensazioni gradevoli certo, ma sopravvalutate. Una
distrazione non così diversa da quella dell’acqua
che solletica la pelle.
Riemerse,
scostandosi i capelli scuri dal viso.
L’indomani sarebbe tornato Harry, e ne era grato. Aveva
addirittura tenuto il
conto dei giorni che mancavano. Strano. Ma era inevitabile che vivere
con un
bambino umano per diverso tempo, dopo un millennio passato nel mondo lo
avesse
cambiato. Ricordava alla perfezione ogni singolo istante dei novemila
anni
trascorsi da eremita, eppure ora non riusciva nemmeno a passare tre
mesi in
solitudine! No, era andato più volte a cercare Veles nel
tempo che Harry aveva
trascorso a scuola, e il vampiro non aveva mancato di notare che per
qualcuno
che dichiarava di cercare l’isolamento totale, non se la
cavava tanto bene da
solo. Sospirò. Forse stava impazzendo.
Londra
non doveva essere molto lontana, ormai erano sul
treno da ore e la luce fuori dal finestrino iniziava ad affievolirsi.
Lui e Daphne avevano fatto di
tutto per passare il tempo: giocare a Gobbiglie, a scacchi, abbuffarsi
di
dolci. La ragazza era senza dubbio uno delle serpi del suo anno con cui
si
trovava più a suo agio. Durante il viaggio anche Theo,
Blaise e Draco si erano
uniti a loro ed erano riusciti a trascorrere qualche ora insieme senza
litigare. Per quanto gli non gli piacesse ammetterlo, le rare volte che
aveva
parlato civilmente con il figlio di Lucius aveva scoperto di avere
diverse cose
in comune con lui, però lo trovava troppo viziato e
petulante per poterci
stringere una vera amicizia.
Il
treno finalmente si fermò. Harry si alzò in
piedi,
prese il baule con l’aiuto dei suoi compagni e dopo i saluti
e gli auguri uscì
dal treno, per poi guardarsi attorno. Non aveva concordato con Lavr
dove
trovarsi, ma sicuramente il demone si sarebbe ricordato di andarlo a
prendere,
no? Aveva una memorie eidetica! Eppure, l’idea stessa del suo
tutore che lo
attendeva al binario con gli altri genitori era bislacca. Mentre
rifletteva sul
da farsi, si accorse di una figura solitaria poggiata mollemente contro
una
colonna.
Beh,
questa proprio non se l’era aspettata.
Si
avvicinò. Se anche non avesse riconosciuto
immediatamente la figura longilinea, il modo in cui mordicchiava
distrattamente
una mela sarebbe bastata a fargli capire chi fosse l’uomo
nascosto dal
mantello.
«Salve
pasticcino» esclamò Veles, giocherellando col
frutto che aveva in mano. «Contento di tornare a
casa?»
«Dov’è
lavr?»
«Oh,
ho pensato di venire io a prenderti. Giusto per
risparmiare al grand’ uomo la fatica di uscire dal suo
maniero» spiegò con
noncuranza.
«Lavr
dice sempre che non si fida a lasciarmi solo con
te» fece Harry, sospettoso.
Veles
si raddrizzò. «Andiamo pasticcino» disse
con un
ghigno «paura di mamma chioccia? Perché tu e io
non facciamo un giro e mi
racconti della scuola eh? Prometto solennemente che ti
riporterò al Palazzo
sano e salvo e senza perdita di fluidi corporei. A meno che tu non
voglia andare
in bagno, chiaro. Ma niente spargimenti di sangue».
«E
perché vuoi portarmi in giro?» domandò
Harry, poco
convinto.
«Mi
sei mancato» replicò il vampiro, mettendo su un
sorriso assolutamente poco credibile. «Sarà
divertente, vedrai. Ti porto a
mangiare qualche porcheria, ti do delle dritte musicali e tu mi
racconti cosa
sta combinando il vecchio pedofilo».
Il
maghetto ridacchiò «Silente non è mica
un maniaco,
grazie a Merlino! Ma quindi Lavr non sa che sei qui?»
Veles
sbuffò, seccato «Si che lo sa! L’ho
cortesemente
informato, sta tranquillo. E poi, se ti facessi del male, lui ti
vendicherebbe.
Non mi conviene, no?»
Fu
il turno di Harry di sbuffare. «Certo, come
no. Stiamo parlando di quello che non prova rancore nemmeno per
l’uomo che gli
ha fatto passare mille anni senza poteri!»
«Oh,
ci sono molte cose che non sai, pasticcino»
esclamò il biondo, malizioso «Dai, leviamoci da
qui». Lo afferrò per la spalla e insieme
attraversarono il muro che portava al binario babbano.
Poco
più tardi, erano seduti in una bella pasticceria
davanti a due fette di torta al triplo cioccolato.
«Credevo
che i vampiri bevessero solo sangue» commentò
Harry, vedendolo divorare avidamente il dolce.
«Possiamo
anche mangiare il cibo umano, ma la maggior
parte di noi non ne sopporta nemmeno l’odore».
«Come
mai?»
«Vedi,
la vita di un vampiro è composta dall’alternarsi
di due stati: quando siamo sazi, e ci sentiamo come se avessimo
ingurgitato il
fabbisogno medio alcolico di un irlandese, e quando non abbiamo bevuto
sangue,
che è un po’ come un lungo stato di post sbornia.
Più tempo passiamo senza
bere, più il mal di testa e il cattivo umore si aggravano.
Quando sarai un po’
più grande, scoprirai che in entrambi questi esaltanti
momenti non si ha molta
voglia di cibo solido. Io d’altro canto, non sono come gli
altri vampiri;
riesco a controllare meglio la sete, e questo mi offre innumerevoli
opportunità
interessanti».
«Come
soggiogare il cameriere per non dover pagare»
commentò il ragazzo, sarcastico.
Veles
fece un gesto noncurante con la mano. «Noi lo
chiamiamo Fascino, e non è una mia prerogativa in
realtà. Tutti i vampiri dopo
qualche secolo iniziano ad acquisire un minimo di autocontrollo, e i
maghi
trasformati dopo un po’ di pratica possono vantare qualche
trucchetto in più nel loro arsenale,
anche se sono molto limitati rispetto a prima. Certamente, nessuno
è al mio
livello. Invece i vampiri creati da babbani devono contare solo sulla
forza
fisica, il che spiega perché non vivano poi così
a lungo».
«Però
sono di più» constatò Harry.
«Considerato
che i babbani sono la nostra prima fonte
di sostentamento, non c’è da sorprendersi se
vengono trasformati più dei maghi.
Ma basta parlare di questo. Dimmi di Hogwarts».
«Che
cosa vuoi sapere?» chiese Harry, fingendo di
interessarsi più alla torta che alla conversazione. Veles
gli portò via il
piatto. Alzò lo sguardo per protestare e si accorse che il
viso del vampiro era
vicinissimo, e i suoi occhi brillavano sotto le lenti azzurre.
«Ho
visto la lettera che hai mandato a Lavr sulla tua
avventura di Halloween. E se ti dicessi che ho un’idea su
cosa nasconda il
vecchio pazzo?»
Bastò
ad attirare l'attenzione del maghetto. «Di cosa si
tratta?» domandò.
«Se
te lo dico, come userai l’informazione?»
«Dipende»
replicò Harry, senza sbilanciarsi.
«Sai
chi è Nicolas Flamel?»
Per
poco non si mise a urlare per la sorpresa «Stai
dicendo che Silente sta nascondendo…»
«Esattamente»
concluse il vampiro, compiaciuto.
«Ma
allora è davvero pazzo! Non può tenere la Pietra
Filosofale in una scuola piena di studenti.» esplose Harry,
incredulo.
«Abbassa
la voce» lo rimproverò Veles «In un
certo
senso è folle, ma non devi mai, e dico mai, sottovalutare
Albus Silente. È fin
troppo furbo. Credimi se ti dico che non sono in molti a sapere dove si
trova
la pietra. Lui e Flamel sono riusciti a tenere bene il segreto, e nel
mondo dei
maghi non è cosa da poco. Io stesso l’ho scoperto
quasi per caso».
«Non
mi stupisce proprio che qualcuno stia tentando di
rubarla» commentò il maghetto «e visto
il valore della pietra, dubito che il
cane sia l’unica protezione. Chissà quante
trappole ha piazzato il preside!»
«Vediamo
un po’ come funziona il tuo cervellino.
Secondo te perché Silente ha portato la pietra a
Hogwarts?»
«Per
proteggerla. Qualcuno ha tentato di rubarla alla
Gringott. Ma ha anche reso fin troppo chiaro che sta nascondendo
qualcosa
d’importante al terzo piano. Nessuno sa della pietra, ma il
ladro avrà
sicuramente fatto il collegamento. Il preside gli ha praticamente
lanciato una
sfida. Ma non ha senso! Perché correre un simile rischio? A
meno che non
sospettasse di uno degli insegnanti, e volesse avere la
certezza...»
Un
verso di derisione interruppe il suo ragionamento.
«Diavolo no, pasticcino! Stavi andando così bene!
Rifletti. A che cosa serve la
pietra?»
«Rende
immortali. Trasforma i metalli in oro».
«Esatto.
Perché pensi che il tuo professore la
voglia?».
Fu
il turno di Harry di guardarlo come se fosse un
idiota. «Direi che ogni essere umano vorrebbe metterci le
mani sopra».
«Senza
dubbio» concesse Veles «ma pensaci.
Immortalità.
Chi è il primo mago che questa parola ti fa venire in
mente?»
«Stai
dicendo…».
Il
vampiro ghignò.
«No!»
negò Harry, orripilato «Silente non può
essere
così imbecille da attirare Voldemort in una scuola piena di
ragazzini. E poi,
lui non ha forze al momento. Non può essere entrato alla
Gringott» E poi capì,
e fu ancora peggio di scoprire che l’assassino dei suoi
genitori fosse sulle
tracce della pietra filosofale. Qualcuno
stava aiutando Voldemort. Raptor… o Piton. Il suo capocasa.
Rabbrividì al
pensiero di tutto il tempo che aveva passato da solo con il pozionista.
«Ma
se Voldemort dovesse ottenere la Pietra…»
mormorò
«Non
puoi permetterlo» lo interruppe Veles, serio come
non mai.
«Ma
cosa posso farci?»
«Puoi
prenderla prima che lo faccia lui».
Harry
considerò la possibilità. Avrebbe dovuto trovare
il modo per superare il cane e tutte le altre eventuali trappole.
«Perché
io? Silente avrà capito chi sta dando la caccia
alla pietra. L’avrà messa al sicuro!»
«Infatti»
intervenne una voce alle loro spalle «non
dovresti intrometterti in questa storia»
«Lavr!»
esclamò il maghetto, felice di rivedere il suo
tutore. Il demone gli rivolse un tiepido sorriso e si sedette a loro
tavolo,
mentre Veles sbuffava contrariato.
«Vedo
che Veles ti ha messo al corrente delle sue congetture.
Ma sul serio Harry, preferirei se ne rimanessi fuori».
«Ma
se Voldemort dovesse tornare…»
«Non
avrebbe niente a che vedere con te» concluse per
lui il demone «nessuno sa chi sei in realtà. Tutti
sono convinti che Harry
Potter sia morto. Sei al sicuro.»
«Per
ora forse» commentò Veles con disappunto
«ma prima
o poi sarà coinvolto nella guerra. Se è vero che
c’è una pro…». La voce del
vampiro si strozzò. Harry lo vide portarsi le mani alla gola
e scoccare
un’occhiata furibonda a Lavr.
«Cosa
stava dicendo?» domandò il ragazzo, incuriosito.
«Non
è né l’ora né il luogo
adatto per questi discorsi»
replicò il demone, tranquillo. «Vieni, torniamo al
Palazzo. Veles, ci vediamo»
e lasciandosi alle spalle il vampiro, uscirono dalla pasticceria e si
smaterializzarono.
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Capitolo 14 *** Natale, seconda parte ***
La
conversazione con Veles avrebbe finito col rovinargli le
vacanze di assoluto relax che aveva
progettato, ne era certo. Non faceva che pensare alla Pietra, a
Voldemort, a
Piton. Lavr gli aveva suggerito di non ossessionarsi troppo su quelle
che erano
semplici speculazioni, ma come poteva non rimuginarci su? Uno dei suoi
professori stava aiutando Voldemort! Doveva sapere. Doveva scoprire da
chi
doveva guardarsi. E sapeva chi poteva aiutarlo. Per questo quella sera,
a cena,
decise di affrontare il discorso con il suo tutore.
«Devo
parlare con Veles» gli disse dopo avergli
raccontato dei mesi trascorsi a scuola.
«Perché?»
chiese il demone, senza però mostrarsi sorpreso.
«Voglio
indagare nel passato di Raptor e Piton, ma per
farlo ho bisogno di qualcuno che abbia contatti nel mondo magico, e
tu…»
«Non
sono la persona adatta» convenne Lavr «Se
è
davvero quello che vuoi, gli parlerò. D’altronde,
sono certo che abbia iniziato
a raccogliere informazioni da quando ha intercettato la lettera che mi
hai
mandato. Ma voglio che tu stia attento».
«Lo
so, non vuoi che mi metta in mezzo».
«Quello,
e devi fare attenzione con Veles. Il momento è
delicato, e lui non aspetta altro che l’occasione di usarti a
suo vantaggio.»
«Di
cosa stai parlando?» domandò il ragazzo, confuso.
Lavr
sospirò. «C’è agitazione
nell’aria. Sono stato
alla corte di Veles in questi mesi. Vi si respira
un’atmosfera di attesa
febbrile. Si colgono sussurri, ovunque risuonano frasi concitate
mormorate nel
buio. I vampiri sono in subbuglio, ed erano secoli che non ne vedevo
così tanti
radunarsi intorno al loro Signore. Sono sul piede di guerra».
«Guerra?
Contro chi? Io non ho sentito niente!»
«Questo
perché la mia razza agisce nell’ombra, e i pochi
segnali vengono ignorati dalle alte sfere e mascherati al
pubblico».
Harry
si girò, sorpreso, vedendo l’oggetto della loro
conversazione entrare nella stanza con i vestiti strappati e macchiato
di
vernice gialla.
«Ma
cosa…?» esclamò stupefatto; con la coda
dell’occhio
vide Lavr portarsi un calice alla bocca per mascherare un ghigno.
«Cosa
ti è successo?» domandò il ragazzo.
«Niente,
ora anche gli edifici hanno il
senso dell’umorismo» grugnì il vampiro,
levandosi
ciò che restava della sua camicia e sedendosi accanto a
loro. «Quindi, mi pare
di capire che ti serva il mio aiuto.»
Harry
annuì.
«Molto
bene. È bello vedere che sei capace di decidere
con la tua testa, pasticcino. Conosco la persona che fa al caso nostro,
ed è
già al lavoro. Come ha detto lui»
indicò Lavr «questa faccenda ha catturato il
mio interesse. Ma voglio qualcosa in cambio del mio aiuto.»
«Veles…»
lo ammonì il demone.
Il
vampiro alzò una mano. «Tranquillo, tranquillo.
Non
metterò nei guai il tuo protetto. Chiedo solo che tenga gli
occhi bene aperti a
scuola e mi metta al corrente di ogni cosa sospetta. Entrambi non
vogliamo che
Voldemort metta le mani sulla pietra, tanto vale collaborare per
prevenire che
questo accada.»
«D’accordo»
disse Harry. «Ma c’è una cosa che non
capisco. Tu detesti Silente. Perché allora odi anche
Voldemort?»
Veles
lo guardò carico di disappunto. «A quanto pare,
non sai ancora niente sul mondo magico» disse sepolcrale.
Harry
arrossì davanti al suo sguardo, sentendosi punto
sul vivo. Era vero, nonostante i libri che aveva letto e lo sforzo
incessante
di documentarsi il più possibile, quando era arrivato a
Hogwarts si era sentito
un estraneo. Non si sentiva parte del suo mondo: era stato cresciuto da
dei
babbani prima e da un demone dopo, e alcune tradizioni dei maghi gli
sembravano
ancora aliene. Come nella notte di Halloween, quando si era scoperto
ignorante
sulla festività di Samhaine. «Allora informami
tu» disse fermamente, fissando
il vampiro negli occhi cremisi.
«Molto
bene. Ma sarà un discorso lungo, mi servirà
qualcosa per sciacquarmi la bocca. Lavr, hai qualcosa o devo rifarmi i
canini
sul marmocchio?».
Il
demone gli scoccò un’occhiata annoiata e
invocò un
calice dorato, colmo di sangue. «Tieni, affogatici pure. Se
non vi dispiace, io
mi ritiro nel mio studio. Questa conversazione non
m’interessa. Harry,
bentornato. Veles, non distruggere niente. A dopo».
Aprì un passaggio nascosto
nel muro e sparì.
«Non
sapevo ci fosse un passaggio là»
commentò Harry.
«Si
beh, buona fortuna a orientarti in questo posto.
Torniamo al discorso. Presta attenzione, perché ti
parlerò di miti tramandati
dall’alba dei tempi, di leggende perdute e riscoperte
infinite volte nel corso
dei millenni, di guerre e di conflitti, e dell’origine stessa
del mondo»
cominciò il vampiro, gesticolando «Immagino che tu
sappia, che le più antiche
civiltà veneravano la Dea madre, la natura benigna, la fonte
di vita. Ma fin
dalle epoche più remote, diverse razze popolavano la terra.
Ciascuna con le
proprie credenze, le proprie aspirazioni, le proprie debolezze.
Inizialmente,
anche i non maghi erano consapevoli dell’esistenza della
magia e di razze
senzienti non umane, ma con il passare dei secoli, questa conoscenza
è andata
perduta e si è trasformata in mito. Ma al momento, questa
parte della storia
non c’interessa. Quello che conta, è che i maghi e
le altre razze magiche, un
tempo facevano realmente parte dello stesso mondo: convivevano fra di
loro,
nonostante le differenze. Come i babbani credevano nella Dea Madre, noi
credevamo nella Magia. Secondo la tradizione, il mondo è
stato creato in
equilibrio tra i contrari: luce e buio, maschile e femminile, bene e
male.
Questi opposti cercheranno sempre di prevalere l’uno
sull’altro, ma questo non
dovrà mai accadere».
«E’
il principio cardine delle filosofie orientali»
«Si,
ma nel nostro mondo non si tratta di speculazioni
filosofiche, è la realtà delle cose.
L’intero mondo magico e le sue creature
sono divisi in due fazioni per nascita: luce e buio.»
«Ma
questo è ridicolo» lo interruppe Harry
«Ognuno
sceglie il proprio destino. Sono i maghi a decidere che tipo di magia
praticare!»
«E’
vero, ma non puoi negare che per nascita si è più
portati per un certo tipo di incantesimi. La magia scorre nel
sangue».
«Non
dirmi che sei anche tu un fanatico del sangue
puro!» esclamò Harry.
Il
vampiro fece una smorfia. «Credimi, non è solo una
teoria quella della preservazione del sangue puro, ma non
m’interessano le
beghe tra maghi e non ho il tempo, né la voglia, di colmare
tutte le tue
lacune. Se l’argomento t’interessa, ti consiglio di
parlarne con i tuoi adorabili
compagni di casa. Io ti sto
offrendo un quadro più ampio. Nel corso della storia le due
fazioni rivali si
sono scontrate ripetutamente e si sono alternate al potere. Si dice che
la
storia è un cerchio che si ripete all’infinito:
una delle due parti prende il
potere e lo conserva, finché l’altra non si
ribella, e dallo scontro
solitamente nasce una nuova era. La storia è piena di grandi
figure che hanno
assunto il ruolo di leader, la cui superiorità era tale da
essere accettati e
seguiti da tutte le razze del loro stesso schieramento. Dopo la morte
del Lord
Oscuro Dimitrov, avvenuta negli ultimi anni del Settecento, la luce ha
assunto
il controllo dell’intera Europa. La situazione è
rimasta immutata finché uno
dei maghi più potenti maghi di sempre non ha cominciato a
radunare seguaci. Gli
schieramenti si sono preparati alla guerra, da ogni parte
d’Europa maghi e
creature oscure si sono alleate per combattere. Ma la guerra non
c’è stata; il
conflitto è stato risolto da un duello tra i due leader,
Silente e Grindewald.
Come saprai, il loro scontro è stato leggendario, ma
sfortunatamente Grindewald
è stato sconfitto e rinchiuso a Nurmengarden, la prigione
che egli stesso aveva
costruito. Il suo esercito si è sfaldato, le speranze di
riscatto delle forze
oscure sono state deluse e la luce ha continuato a governare, e lo fa
tuttora.
Ma ormai ha tenuto il controllo troppo a lungo. Dopo due secoli di
potere, la
nostra nemica è diventata audace come non mai. Nella foga di
distruggere tutto
ciò che era oscuro o semplicemente diverso, i maghi hanno
dimenticato gli
antichi miti, hanno scordato l’importanza
dell’equilibrio. Il mondo ha bisogno
di qualcuno che rimetta le cose a posto».
«Qual
è il ruolo di Voldemort in tutto questo?»
«Voldemort
non è che l’ombra di un Lord Oscuro, un
fantoccio, figlio delle politiche cieche e ignoranti degli ultimi
secoli. Non
ha niente a che vedere con i grandi maghi oscuri del passato»
rispose Veles,
sprezzante.
«Eppure,
viene considerato il più grande mago oscuro di
tutti i tempi» obiettò Harry.
«Più potente dello stesso Grindewald».
Il
vampiro alzò gli occhi al cielo «Per prima cosa,
tu
fra tutti dovresti sapere bene che questo non è vero. Per
quanto duecento anni
di governo della luce siano riusciti a spazzare via dalla memoria dei
maghi la
verità su Merlino, tu ed io sappiamo che
lui era il più potente mago oscuro del mondo.
Né Voldemort né Grindewald
possono reggere il confronto. In ogni caso, forse Voldemort era
magicamente più
potente del mago tedesco, ma ciononostante non merita il titolo di
Lord. Questo
spetta a colui o colei che viene incaricato dalla Magia di guidare
tutti gli
esseri oscuri. Voldemort si è autoassegnato il titolo e
l’ha usato per
procurarsi seguaci tra le creature magiche emarginate e discriminate,
che hanno
creduto alle sue vuote promesse. Tuttavia, Voldemort non combatte per
creare un
mondo nuovo. Forse all’inizio, ma poi le sue paure lo hanno
reso folle. Lui e i
suoi seguaci non sono diversi dai patetici ometti che governano
attualmente
l’Europa. Credono che i maghi possano sopravvivere senza
l’appoggio delle altre
creature, pensano di essere superiori. Hanno
dimenticato le regole della magia. Il problema non è la
supremazia della luce,
ma che l’equilibrio è andato perduto: le due
fazioni si sono disgregate; maghi
oscuri e della luce si sono mischiati tra loro, si sono alleati
nell’intento di
combattere i loro naturali compagni. Capisci ora? L’ultima
guerra magica è
stata una farsa: un Lord Oscuro che non era tale, interessato solo al
potere, e
ad opporglisi un Lord della luce incapace di fare il suo
dovere».
«Parli
di Silente?»
«Silente
conosce bene le leggi della magia. Sa meglio
di chiunque altro che questa situazione non può continuare.
Eppure, dopo la
sconfitta di Grindewald, si è rintanato a Hogwarts, senza
rivendicare appieno
il suo titolo di Lord della luce, lasciando che personaggi greti e
mediocri
distruggessero ciò che restava delle antiche tradizioni,
opponendosi con
debolezza alle leggi discriminatorie approvate contro i non umani,
nella
convinzione che il vero nemico fosse la Magia Oscura, e che la perdita
dell’identità
fosse il prezzo da pagare per sconfiggerla e estirparla. Silente si
è convinto
che sia la cosa migliore, che il mondo può andare avanti
anche senza la
tensione tra le due opposte tendenze. I suoi deboli tentativi di
sostenere
l’uguaglianza tra tutte le creature non sono che un modo per
ripulirsi la
coscienza. Ma le leggi della magia non possono essere bleffate. La
guerra è
alle porte. Non resta che sperare che quando scoppierà, ci
sarà un Lord Oscuro,
uno vero, a guidare le forze oscure, di nuovo unite, e riportare
l’ordine,
altrimenti il futuro sarà quanto mai incerto. Finora la mia
razza e le altre
creature si sono astenute dal combattere i maghi, nel tentativo di
restare
fedeli alle regole, nella speranza che i maghi comprendessero la
gravità delle
loro azioni, ma non rimarremo ancora a lungo inerti a farci
schiacciare. Le
forze oscure combatteranno, e se non potranno farlo con i maghi oscuri,
lo
faranno contro di loro».
«Che
cosa intendi?»
«Intendo
che se qualcuno tra i maghi non aprirà gli
occhi, la vostra razza pagherà a caro prezzo la vostra
tracotanza. Pensate di
essere superiori al resto del mondo, siete sicuri che la vostra magia
vi
protegga da ogni minaccia, ed in passato forse è stato
così. Ma io non credo
che la storia sia ciclica. Io penso che le cose possano cambiare. Se i
nostri
naturali alleati si ostineranno a combatterci, ci rivolgeremo da
un’altra parte».
«Stai
dicendo che visto che maghi oscuri e della luce
si sono alleati contro i non umani, questi si alleeranno tra di loro
contro i
maghi? È una possibilità remota, forse non so
molto sul mondo della magia, ma
so che i centauri, gli elfi, i goblin, non farebbero mai causa comune
con voi.
E tra le creature oscure, senza un leader, sarà difficile
che vampiri, giganti,
e lupi mannari si uniscano».
Il
vampiro ghignò, e Harry percepì
un’ondata di potere
venire da lui. Non era propriamente magia oscura, perché in
quanto vampiro, il
potere magico di Veles era limitato, ma era un’autorevolezza
che prima non gli
aveva mai visto. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto,
capì perché
i vampiri lo consideravano il loro Signore indiscusso. «Oh,
ma ci sono anche
altre strade da percorrere. Strade mai battute prima, che potrebbero
generare
effetti imprevedibili. Vedi, sono ormai cinquant’anni che
un’immagine mi gira
in testa. Da quando il mondo è entrato nel più
grande conflitto della sua
storia. Ecco vedi, io immagino il Ministero della Magia e i trionfi
maghi che
vi lavorano, così convinti della loro superiorità
da non prestare attenzione a
ciò che accade al di fuori del loro piccolo mondo. E mi
chiedo quanto
durerebbero, in una guerra, contro le bombe e i missili e le armi
chimiche. Mi
chiedo che difesa potrebbero offrire, le vostre amate bacchette, contro
le
tecnologie sempre più potenti e distruttive dei
babbani».
Un
brivido attraversò la schiena del ragazzo, ma Veles
si affrettò a rassicurarlo, con aria compiaciuta:
«E’ uno scenario interessante
non trovi? Ma io spero che non si arrivi a questo, no. Ho vissuto
più di quanto
tu non possa immaginare, i millenni mi hanno reso saggio, e non voglio
contravvenire alle leggi che regolano il mondo per capriccio. No, io
spero che
questa buia epoca termini per mano di un nuovo Lord oscuro.»
«E
il ritorno di Voldemort complicherebbe le cose.
Merlino, tutto questo è… è troppo! Non
so cosa pensare».
«Devi
sapere cosa c’è in ballo; dovrai prendere una
posizione prima o poi» disse Veles, serio come non mai.
«Perché?
Perché continui a ripetere che io sono
immischiato in questa storia? Io non…»
«Non
ti sei mai chiesto perché Voldemort abbia tentato
di ucciderti quando eri un neonato, Harry Potter?»
Preso
in contropiede, il ragazzo scosse il capo.
«Non
si sa per certo, ma alcuni pensano che volesse
prevenire il sorgere di un nuovo, vero, Lord Oscuro».
«Io?»
boccheggiò Harry «ma avevo solo un anno!»
«Molte
speranze sono riposte in te. E che sia vero o
no, ti ho visto studiare la magia con Lavr. Ho visto la tua passione,
così come
ho visto la tua ambizione, la tua brama. Hai un grande potere, sei
l’erede di
Merlino, l’unica persona al mondo ad essere sopravvissuto
alla maledizione
senza perdono. Non ti preoccupare, avrai tempo per decidere, ma sappi
che
nell’istante in cui Voldemort dovesse tornare, ti
darà la caccia, e la tua
nuova identità non basterà a
proteggerti». Si alzò in piedi. «Devo
andare ora.
Fatti trovare qua domani alle nove. Scopriremo la verità sul
servo di Voldemort
insieme. Au revoir».
Il
resto della giornata passò velocemente. Harry non
cercò la compagnia di Lavr, preferì restare solo
per metabolizzare le nuove
scoperte. Nella sua mente, ripensava alle parole di Veles, alla
prospettiva di
una guerra imminente. Eppure, ciò che più lo
aveva colpito, era l’idea che
alcuni credessero che lui potesse diventare il leader delle forze
oscure.
Scosse il capo, cercando di fare chiarezza tra i suoi pensieri. Meglio
dormirci
su. Si recò in bagno per lavarsi i denti, ma si
bloccò davanti allo specchio.
Osservò il suo riflesso, e non poté fare a meno
di immaginarsi adulto,
circondato da un esercito. Il Lord Oscuro scelto della magia. Qualcosa
si
risvegliò dentro di lui, qualcosa di bestiale, una brama
intensa, mai
sperimentata prima, e scoprì di desiderare che
quell’immagine diventasse realtà
con ogni fibra del suo essere.
Dopo
una notte agitata da sogni confusi, Harry si
preparò per l’appuntamento con Veles. Scese in
cucina vestito di tutto punto,
salutò Lavr e si versò del succo di frutta, senza
nemmeno sedersi. «Ho un
appuntamento con Veles» spiegò.
«Credimi»
disse il demone alzando gli occhi al cielo
«non c’è bisogno di
affrettarsi.»
Harry
iniziò a capire cosa avesse voluto dire quando le
lancette dell’orologio segnarono i minuti e poi le ore senza
che il Signore dei
vampiri si degnasse di arrivare. Quando infine comparve in cucina alle
cinque
del pomeriggio, il ragazzo dovette faticare non poco per trattenersi
dal
lanciargli qualche fattura.
«Avevi
detto di svegliarmi presto» sibilò.
«Si
beh, non è salutare dormire fino a tardi»
replicò
Veles, ilare. «Comunque sono stato trattenuto, ma ora
possiamo andare».
«Dove
esattamente?»
«A
Londra». Il vampiro afferrò una mela dal
centrotavola proprio mentre Lavr entrava nella stanza.
«Mi
dimentico sempre di metterci il veleno» commentò
casualmente il demone. Veles gli lanciò
un’occhiataccia e addentò il pomo con
aria di sfida.
«A
Londra dove?» chiese Harry.
«Devo
incontrarmi con la donna che ho incaricato di
raccogliere informazioni, una magano che lavora al Ministero. Non sa
nemmeno da
che parte si regga una bacchetta, però è la
migliore quando si tratta
d’intrufolarsi e spiare, e non c’è
serratura che riesca a resisterle. Così,
visto la paga da fame che le danno, arrotonda facendo dei lavoretti in
proprio
nelle case dei babbani, e a volte accetta qualche incarico che le
affido io o
altri abbastanza furbi da riconoscere del talento quando lo vedono. Mi
ha
mandato un messaggio proprio ieri per dirmi che ha raccolto abbastanza
informazioni.»
«D’accordo»
disse Harry «Andiamo. Tu vieni Lavr?»
«Non
me lo perderei per niente al mondo» fu l’annoiata
replica.
«Non
penso di poter stare qui» mormorò Harry poco dopo,
sentendo le guance andargli a fuoco. Veles li aveva trascinati in
quello che
aveva tutta l’aria di essere un night club; era praticamente
deserto, visto che
era ancora presto, così presero posto in un tavolino in
prima fila davanti al
palco dotato di palo per la lap dance. Una ragazza vestita con dei
cortissimi
pantaloncini e un reggiseno che lasciava poco spazio
all’immaginazione si
avvicinò immediatamente e salutò Veles con un
bacio a fior di labbra.
«Era
da un po’ che non passavi da queste parti»
esclamò. Aveva una voce leziosa che la rese immediatamente
antipatica al
maghetto. «Sei qui per vedere Alex? Manca ancora un
po’ alla sua esibizione.»
«No,
cherie, in realtà sono qui per affari»
replicò il
vampiro abbracciandola per la vita. «Portami il solito, e lo
stesso anche per
il mio amico».
La
cameriera scoccò un’occhiata ammirata al demone,
che
la ignorò. «D’accordo. E il bambino cosa
prende?» chiese, girandosi verso Harry
con un sorriso più falso del suo seno.
Il
ragazzo stava per rispondere, ma Veles lo precedette
e ordinò una coca. Come si fu allontanata, Lavr chiese, con
la solita calma:
«Ma non potevi scegliere un altro posto per questo
incontro?»
«Che
tu ci creda o no, l’ha scelto il mio contatto, non
io. Non ci vengo così volentieri, ma visto che tutti quelli
che ci lavorano
sono sul mio libro paga, non c’era ragione di
protestare».
«Quando
dici sul tuo libro paga…»
«Intendo
che sono tutti sotto Fascino, si» confermò
gioviale. «Questo posto ha una clientela variegata. Io gli
aiuto a coprire
certi loro affari con la polizia, e loro procurano cibo ad alcuni dei
miei
neovampiri. Sapete, qui girano tante persone di cui nessuno
noterà mai la
scomparsa. E loro si occupano anche di non lasciare tracce.
È perfetto».
Harry
preferì non commentare. Si girò a guardare il
locale, lieto che fosse troppo presto perché si riempisse.
Si chiese quanti
babbani fossero sotto il controllo del vampiro. Ripensò alle
sue parole del
giorno prima, all’idea dei vampiri alleati con i non maghi, e
rabbrividì.
La
ragazza di prima tornò poco dopo con le loro
ordinazioni, che servì avendo cura di sporgersi in avanti
per donare ai due
adulti una panoramica del suo seno. Harry sogghignò quando
vide il suo
risentimento per l’indifferenza del demone, e anche Veles
parve averlo notato,
perché sembrava diviso tra il divertito e il seccato per la
noncuranza
dell’amico.
Dopo
qualche minuto passato in silenzio, una donna si
avvicinò a loro tavolo. Non c’erano dubbi sul
fatto che non lavorasse lì: era una
signora di mezza età dall’aspetto anonimo: magra,
con dei vestiti spenti e
troppo larghi e dei grossi occhiali che le davano l’aspetto
di una mosca. Li
salutò e si sedette con loro. Aveva una voce bassa, sottile.
Era il tipo di
persona che passa sempre inosservata; lo stesso Harry - che pure aveva
una
buona memoria per le fisionomie - era sicuro che se l’avesse
incontrata in un
altro contesto non l’avrebbe mai notata. Eppure, Veles parve
estasiato di
vederla. Le rivolse un gran sorriso e si affrettò a
richiamare la cameriera per
farle portare un drink, che lei vuotò in un sorso.
«Allora,
hai portato tutto?» le chiese.
«Si,
ho tutto qua nella mia borsa» rispose la donna,
asciugandosi la bocca con la manica destra. «Lei ha portato i
soldi?»
Harry,
che stava osservando attentamente il vampiro,
notò un fremito agli angoli della sua bocca, e lo
attribuì allo sforzo del
biondo di essere gentile. Veles allungò un mazzo di
banconote babbane alla
donna, che le afferrò e le contò rapidamente, per
poi annuire soddisfatta e
tirare fuori una pila di fogli dalla borsa.
«Qui
troverete le informazioni che avete richiesto»
disse. Si raddrizzò e cominciò, con tono chiaro e
professionale: «Dagli archivi
del Ministero della Magia, processo a Severus Piton, accusato di
attività
criminali e di appartenenza al gruppo di seguaci di colui che non deve
essere
nominato noti con il nome di mangiamorte. In data 9 dicembre 1981, la
suprema
corte del Wizengamot dichiara Severus Piton non colpevole. Motivo della
sentenza: pur essendo stato accertato che Piton fosse un mangiamorte e
nonostante le prove che egli abbia partecipato in diverse occasioni
alle retate
degli stessi, la corte ha preso atto della testimonianza di Albus
Silente, il
quale assicura che Piton non ebbe mai un ruolo centrale nelle
attività illecite
dei mangiamorte e che, pentitosi delle sue scelte, sia diventato una
spia per
la luce mesi prima della caduta di Colui che Non Deve essere
Nominato».
«Piton
era una spia tra i mangiamorte?» ripeté Harry,
sbalordito.
La
donna si girò verso di lui e annuì.
«Queste sono le
informazioni che ho trovato negli archivi giudiziari, ma nel fascicolo
troverete tutto il resto. Per quanto riguarda l’altro uomo,
Raptor, non ho
trovato precedenti penali; in generale, è stato
più difficile indagare sul suo
passato. A mio parere, questo è sospetto, ma giudicherete
voi».
Veles
prese le due cartelle e le sfogliò rapidamente,
annuì soddisfatto. «Molto bene, hai fatto un
ottimo lavoro, come sempre.»
«Non
è difficile quando puoi intrufolarti negli archivi
inosservata».
«Ed
è lì che sta la tua bravura. Per ora è
tutto. A
meno che voi due non vogliate aspettare che inizi lo
spettacolo…» sorrise a Harry
e Lavr, ma davanti alle loro facce poco entusiaste tornò
serio «Allora noi
andiamo. Tu divertiti, Magnolia. I drink sono sul mio conto. Domani ti
farò
sapere se mi occorre altro». Si alzò e si diresse
verso l’uscita, e Lavr e
Harry lo seguirono.
Improvvisamente,
lo videro bloccarsi, come
pietrificato. Seguendo la direzione del suo sguardo, Harry vide una
ragazza
mora, bellissima ma truccata pesantemente, vestita con una corta
vestaglia
rossa e dei tacchi altissimi. La mascella di Veles si
indurì, mentre la
sconosciuta lo guardava con rabbia crescente; i lineamenti dolci del
suo viso
si deformarono in un’espressione animalesca, gli occhi
vermigli brillarono
nella penombra, la bocca si aprì a rivelare dei canini
affilati.
«Alex,
che cazzo stai facendo? Muovi il culo, tra un
po’ inizia il tuo spettacolo» urlò una
voce maschile. La ragazza parve
calmarsi, il suo viso tornò normale. Con un’ultima
occhiata di puro disgusto,
si voltò e sparì dietro una porta riservata.
Senza commentare, Veles uscì dal
locale.
Tornati
al Palazzo, Harry e Veles si diressero verso
l’accogliente soggiorno per studiare i documenti che Magnolia
li aveva
consegnato. Lavr li seguì, ma s’immerse nella
lettura di un tomo antico,
ignorandoli. Decisero di dividere il lavoro per fare più
velocemente; Harry
scelse di studiare il fascicolo di Piton, mentre il vampiro prese
quello di Raptor.
Fin
dalle prime pagine, rimase impressionato
dall’accuratezza delle ricerche. Nel fascicolo, la donna
aveva ricostruito
dettagliatamente la vita del suo capocasa. C’era la sua
scheda scolastica,
inserti di giornale sulla sua attività di pozionista, schede
informative sulle
persone a lui più vicine, vecchie foto e perfino
l’abero genealogico della sua
famiglia. Via via che scorreva le pagine, sentiva di essere una spanna
più
vicino a comprendere Piton, un uomo che nei pochi mesi trascorsi a
Hogwarts
aveva imparato ad apprezzare, nonostante il suo carattere cinico e
sarcastico.
Scoprì che era mezzosangue: sua madre, Eileen Prince, era
l’erede di un antica
casata purosangue nota per la pratica delle arti oscure; era stata
smistata a
serpeverde e finita la scuola si era sposata con un babbano, Tobias
Piton,
perché incinta. Severus era nato il nove gennaio 1960 nel
quartiere di
Spinner’s End, dove abitava tuttora. Sua madre era stata
privata di quel poco
che restava del patrimonio dei Prince a causa del suo matrimonio, e
Tobias era
un muratore e un alcolista. Così Piton, cresciuto in un
ambiente familiare poco
felice, probabilmente era stato lieto di andare a Hogwarts. Era stato
smistato
a serpeverde, ovviamente, ed era stato uno tra i più
brillanti studenti del suo
anno, con un particolare talento per le pozioni. Nella parte del
fascicolo
dedicata agli anni a Hogwarts erano riportate anche delle note sul suo
comportamento o che comunque lo riguardavano. Nel leggerle, il cuore di
Harry
perse un battito più di una volta. Il nome di suo padre
compariva di frequente,
in genere in compagnia di quelli che erano sicuramente suoi amici,
Sirius
Black, Peter Minus, e talvolta anche un certo Remus Lupin.
All’inizio,
scorrendo i resoconti di scherzi, duelli e liti, ne ricavò
l’idea che James e
Piton fossero stati rivali, cosa non inconsueta tra grifondoro e
serpeverde, ma
continuando con la lettura, notò che era quasi sempre suo
padre ad attaccare. Gli
diede fastidio, e non poco, pensare che l’uomo che gli aveva
dato la vita fosse
stato un bullo, soprattutto visto che Piton era stato il suo bersaglio.
Eppure,
fin dagli ultimi anni di scuola, poté vedere un
cambiamento nel suo capocasa: a partire dal quinto anno,
iniziò a trovare cenni
di attività proibite compiute da lui e un gruppetto di altri
serpeverde.
Magnolia aveva riportato qualche informazione su ognuno di loro. Avery,
Nott,
Lestrange, Malfoy. Tutti in seguito accusati di essere mangiamorte e in
alcuni
casi condannati.
Non
provò biasimo per Piton. Poteva comprendere quanto
dovesse stato felice, il ragazzo emarginato, preso di mira dai bulli,
nel
stringere amicizia con un gruppo di ragazzi ricchi e influenti.
Sicuramente, in
quel periodo aveva iniziato a praticare le arti oscure. Finiti gli
studi, la carriera
di Piton era stata brillante. Il suo vecchio professore, Lumacorno, lo
aveva
caldamente raccomandato, e l’amicizia con Malfoy e il suo
innegabile talento
avevano fatto il resto. Poi era scoppiata la guerra. C’erano
poche informazioni
su quegli anni, la maggior parte delle quali contenute nei verbali del
processo. Harry le lesse con attenzione, consapevole che le risposte
che stava
cercando era quasi certamente contenute tra quelle poche righe. Il suo
professore era stato accusato nei primi mesi dalla scomparsa del
signore oscuro,
in seguito alle testimonianze di alcuni mangiamorte di poco conto. Non
appena
era stato fatto il suo nome, Albus Silente si era fatto garante della
sua non
colpevolezza e la sua testimonianza era risultata decisiva: il processo
era
durato solo un giorno e Piton era stato scagionato da tutte le accuse.
Da quel
momento in poi, aveva lavorato a Hogwarts. Seguivano alcuni appunti
sugli
ultimi anni che Harry saltò, frustrato. Non sapeva cosa
pensare! Severus era
stato un mangiamorte, eppure Silente sembrava fidarsi di lui.
Perché?
Cercò
di immedesimarsi nel suo professore. La sua vita
non era stata facile, nessuno gli aveva mai regalato niente, anzi. Era
stato un
figlio non voluto, un mezzosangue nella purissima casa di serpeverde,
perseguitato dai compagni di scuola; ma si era rialzato, con le sue
sole forza.
Aveva trovato un mezzo di riscatto nella sua intelligenza e nella
pratica di
arti proibite. Cosa aveva significato, per lui, essere un mangiamorte?
Sentirsi
parte di qualcosa di grande, far parte di una cerchia influente.
Potere,
gloria, rivincita.
Piton
era un mago oscuro per lignaggio e per scelta. E
lo era ancora, aveva sentito il suo potere fin dalla prima volta che
aveva
messo piede nell’aula di pozioni. Allora perché
cambiare fazione? C’era forse
qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che Magnolia non era riuscita a
scoprire,
qualcosa che lo aveva cambiato? O forse Silente si era sbagliato.
Magari,
dopotutto, Piton era ancora fedele a Voldemort.
«Dannazione»
sbottò Harry, chiudendo di scatto il
fascicolo. Era deluso. Aveva sperato di scoprire che no, il suo
capocasa non
stava tentando di resuscitare l’assassino dei suoi genitori,
e invece i suoi
dubbi erano aumentati piuttosto che scomparire.
«Deduco
che non hai trovato quello che cercavi» ghignò
Veles.
«No!
Piton era un mangiamorte, ma Silente si fida di
lui. In questa cartella c’è riportata tutta la sua
dannata vita, ma non c’è
traccia del motivo per cui il preside lo ha tenuto fuori da
Azkaban!»
«Cosa
dice la sua testimonianza al processo?»
«Te
l’ho detto, niente. Stando ai verbali, Silente si
è
alzato in piedi, ha detto che Piton era passato dalla loro parte prima
della
caduta di Voldemort e che si fidava di lui, e il Wizengamot lo ha
dichiarato
innocente. Tutto qui.»
«Non
mi stupisce. Quei processi sono stati una vera
farsa. Io invece credo di aver avuto più fortuna».
L’attenzione
di Harry venne immediatamente catturata.
«Cosa hai trovato?»
«Un
sacco di noiosi dati sulla sua noiosa vita, ma proprio
quando stavo per dar fuoco al fascicolo, ho letto qualcosa di
interessante.
Dopo aver occupato la carica di professore di Babbanologia, Raptor
chiese un
congedo di un anno per viaggiare. E indovina dove
andò?». Fece una pausa per
aumentare la suspense, e poi esclamò, vittorioso:
«Albania!»
Lo
guardò senza capire, e Veles gli rivolse
un’occhiata
di sufficienza. «Albania» ripeté
«Merlino, non dirmi che non lo sai! È opinione
comune, che Voldemort, o almeno quello che resta di lui, si sia
rifugiato in Albania».
«Raptor
potrebbe averlo trovato. O forse è andato là
apposta per cercarlo» ipotizzò Harry.
«Esattamente
la mia teoria. È un uomo mediocre,
desideroso di fare qualcosa di grande. Immagino che sognasse di trovare
Voldemort, aiutarlo a tornare e diventare il suo servo più
fedele o boiate
simili».
Il
ragazzo non poté fare a meno di sentirsi sollevato,
ma durò poco. «E’ solo una supposizione,
però. Non abbiamo prove» disse.
Il
vampiro prese il fascicolo di Piton e lo sfogliò
velocemente, senza rispondere. Harry lo vide saltare gli anni di scuola
e
soffermarsi sui verbali del processo, la fronte aggrottata per la
concentrazione e la bocca incurvata in una smorfia di disappunto.
«Silente si è
esposto molto per far scagionare Piton» pronunciò
infine. «Dubito lo avrebbe
fatto se non avesse avuto l’assoluta certezza sulla sua
lealtà. E se anche
Piton fosse riuscito a ingannarlo, perché cercare di rubare
la pietra sotto il
suo naso? No, sono quasi sicuro che sia Raptor il nostro uomo. Ma io
non li
conosco. Tu cosa pensi?».
«Contro
Raptor abbiamo solo il viaggio in Albania…».
«Quello
e il fatto che al ritorno ha fatto domanda per
la cattedra di difesa e per ottenerla ha dato sfoggio di
capacità magiche che
in precedenza non aveva mai mostrato» disse il vampiro,
indicandogli una pagina
sulla cartella di Raptor. «Fossi in te mi concentrerei su di
lui, anche se non
devi sottovalutare Piton. Se proverai a prendere la
pietra…»
«Credevo
avessimo concordato sul fatto che fosse una
pessima idea». Harry e Veles si girarono contemporaneamente.
Aveva dimenticato,
e evidentemente anche il vampiro, che Lavr fosse nella stanza.
«Lavr
ha ragione. Non sono affari miei. Silente sa che
qualcuno sta dando la caccia alla pietra e saprà anche
perché la vuole. Se ne
occuperà lui. Ora scusatemi, devo andare in
bagno». I due adulti storsero il
naso all’ultima frase, ma lui non se ne curò e
uscì dalla stanza.
Quando
stava tornando, però, commise l’errore di
appoggiarsi per un secondo alla parete del corridoio, aprendo
inavvertitamente
un passaggio segreto. Incuriosito, entrò. Fosse stato un
poco più alto, avrebbe
dovuto camminare curvo: il passaggio era stretto e basso, e la fioca
luce della
bacchetta lo illuminava completamente. Lo percorse velocemente,
arrivando
davanti a un muro. Deluso, stava per tornare indietro, quando gli
giunse la
voce di Lavr, nitida come se fosse a pochi passi.
«La
ragazza del night club. Alex» stava dicendo il
demone.
Harry
si avvicinò al muro. Lo toccò con la bacchetta, e
quello si trasformò in un vetro trasparente, dal quale
poteva vedere Lavr e
Veles seduti nel accogliente salone. Stando alla prospettiva dal quale
li
osservava, doveva trovarsi dietro al grande specchio situato in fondo
alla
stanza. I due uomini erano poco lontani: Lavr gli dava le spalle,
mentre poteva
vedere il profilo del vampiro.
«Era
la ragazza che mi avevi mostrato in quel locale
quattro anni fa» continuò il demone.
«Mi
sorprende che te la ricordi» lo derise Veles. Il
suo tono era indisponente, ma Lavr non diede cenno di esserne
infastidito.
«Sai
bene che la mia memoria è perfetta, inoltre quella
ragazza era particolare. Aveva una bella voce. Sembravi molto preso da
lei».
Il
vampiro lo ignorò, girandosi a guardare verso il
punto in cui si trovava Harry. Il ragazzo temette che lo avesse
scoperto, ma
poi il vampiro tornò a fronteggiare Lavr. Sospirando per il
sollievo, il mago
si disse che avrebbe fatto meglio a smettere di origliare, ma non
riuscì a
vincere la propria curiosità.
«Ho
avuto l’impressione che fosse ridotta male» disse
ancora il demone.
«Senti,
a te che te ne frega eh? L’ho trasformata
quattro anni fa, e ora lavora in quel buco. Questo è tutto.
Ah, lei mi odia, ma
questo immagino lo avessi intuito».
«Però
ti piaceva. Perché lasciarla a vivere in quelle
condizioni? Perché non l’hai portata alla
corte?»
La
domanda cadde nel vuoto. Harry si decise ad
andarsene, aveva giocato fin troppo con la sua buona sorte, quando
colse la
risposta del vampiro, mormorata con tono pieno di sprezzo e delusione.
«Credevo
fosse speciale. Era così bella, così fresca.
Volevo darle tutto, volevo che lei mi desse tutto».
«E
poi cosa è successo?»
«L’ho
trasformata, ma è stato uno sbaglio. È diventata
tediosa,
insignificante, debole. L’immortalità non le
dona».
Harry
non tornò dai due adulti, bensì decise di stare
un po’ da solo, in camera sua. Quei pochi giorni erano stati
pieni di scoperte,
tra ciò che gli aveva detto Veles e le scoperte su Piton, e
ora questa
conversazione.
L’immortalità
non le dona.
Ripensò
al bel viso della giovane, carico di rabbia e
disperazione, e provò un’ondata di sdegno per il
modo in cui Veles aveva
parlato di lei. Sembrava un bambino che avesse rotto il giocattolo
preferito!
Era
troppo. Tutte le informazioni che gli erano state
date… pensò a Voldemort, a Silente, a Veles, e si
rese conto che non era che un
bambino, confronto a loro. A scuola poteva anche essere considerato un
prodigio, ma loro avevano un esercito, influenza, decenni di
esperienza, anzi,
nel caso di Veles, millenni.
Doveva
diventare più forte. Non per quello che gli
aveva detto Veles, non era ancora pronto ad accettare l’idea
di diventare il
capo delle forze oscure. Quello era un pensiero stravagante, alieno.
No, doveva
diventare potente, perché solo quando sarebbe stato
invincibile, sarebbe stato
completamente libero. Come Lavr.
Di
scatto, colto da un impulso irrefrenabile, si gettò
fuori dalla stanza e corse verso la biblioteca; gli bastò
pensare al libro che
stava cercando perché questo gli apparisse davanti.
Introduzione
alle arti oscure nel combattimento.
Si
sedette sulla poltrona, e iniziò la sua lettura.
Eccomi di
nuovo qua :) Questo capitolo è abbastanza
importante, e ormai ci avviciniamo alla fine del primo anno. Con questo
si conclude la parentesi sulle vacanze, nel prossimo capitolo
ci sarà il ritorno a Hogwarts e sarà quasi tutto
dal pov di Severus. Spero che vi sia
piaciuto e che il discorso di Veles sia chiaro. Alla prossima :)
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Capitolo 15 *** L'attacco del serpente ***
La
fine delle vacanze invernali era arrivata come ogni
anno troppo presto. Severus non poteva tuttavia lamentarsi, erano state
due
settimane tranquille. Non ci aveva sperato, soprattutto quando durante
il primo
pranzo dalla partenza del grosso degli studenti aveva intercettato le
inconfondibili chiome dei gemelli Weasley tra quelli rimasti al
castello. E
invece aveva potuto rilassarsi e dedicarsi alle sue faccende senza
dover
correre dietro a ragazzini pestiferi. Anche Raptor non gli aveva dato
problemi,
del resto era poco probabile che tentasse qualcosa prima del riinizio
delle
lezioni e il ritorno alla consueta confusione che regnava nella scuola;
ciononostante non gli era sfuggita la frequenza con cui lo sguardo del
professore di difesa cadeva su Hagrid.
Si
appoggiò alla finestra della torre est, e osservò
il
parco sottostante. Perché Silente si ostinasse ad affidare
la sicurezza della
pietra a quel babbeo del guardiacaccia, proprio non lo capiva, ma in
dieci anni
si era abituato alle stranezze del preside. Vide in lontananza le
carrozze che
riportavano gli studenti al castello. Poteva sentire il brusio delle
loro
chiacchere spensierate da quella distanza, o forse era solo la sua
immaginazione.
Chissà
se qualcuno di loro vedeva che cosa trainava le carrozze.
Trasse
un profondo respiro e innalzò le sue barriere
mentali, cercando di respingere i ricordi. Solo la sua
abilità con
l’Occlumanzia gli permetteva di rimanere lucido quando
pensieri scatenati dai
gesti più banali minacciavano di farlo sprofondare nella
spirale del rimorso e
dell’autocommiserazione. Come adesso. Ricordava perfettamente
la prima volta
che li aveva visti, il giorno che era tornato a Hogwarts col ruolo di
professore.
Odiava
i Thestral.
Vide
la folla di ragazzi salire verso il castello, e si
ricompose. Doveva tornare a fare il suo lavoro. E se c’era
una cosa che aveva
imparato presto, prima ancora di diventare professore in effetti, era
che gli
adolescenti sono prevedibili. Ogni studente è
così sicuro di essere speciale,
più furbo degli altri, da essere benedettamente ignaro di
quanto le sue bravate
appaiano monotone a un adulto.
C’erano
delle eccezioni naturalmente. Non poteva certo
dire in tutta coscienza che i due pestiferi gemelli pel di carota non
fossero
riusciti a sorprenderlo una volta o due. Ma alcune cose erano
tristemente
uguali anno dopo anno, e il rientro dalle vacanze era tra queste.
Puntualmente,
qualcuno dei suoi primini giungeva alla brillante conclusione che il
giorno del
rientro era perfetto per introdurre nel castello ogni genere di
articolo
illegale, visto che sicuramente nessuno si sarebbe degnato di
controllarli.
Anni di esperienza gli avevano insegnato che poteva evitare il tedioso
compito
di ispezionare ogni dormitorio scegliendo un solo studente come esempio
per gli
altri. Inutile dire che il fortunato di turno si ritrovava a svuotare
vasi da
notte per un mese, e quel giorno Severus non aveva dubbi sulla stanza
in cui
effettuare il sopralluogo.
Si
diresse verso i sotterranei, senza fretta, per dare
il tempo agli studenti di arrivare e cominciare a sistemare le loro
cose prima
di cena. Quando giunse alla Sala Comune, fu accolto dai ghigni
divertiti dei
due prefetti. Quello di Flint era particolarmente sentito, visto che
quattro
anni prima era stato lui a dover pulire i bagni per una settimana in
seguito al
suo abituale sopralluogo. Senza una parola, si diresse verso uno dei
dormitori
maschili e spalancò la porta.
Alzò
un sopracciglio allo spettacolo che gli si
presentò davanti. Tiger e Goyle non avevano perso tempo per
iniziare a
ingozzarsi: alzarono lo sguardo su di lui con le guance gonfie e la
bocca
sporca di cioccolato. Draco saltò come lo vide e si
spostò per nascondere
qualcosa alla sua vista, con un’espressione di colpevolezza
talmente evidente
che Piton si chiese se i suoi antenati non stessero vomitando nelle
loro tombe
sontuose.
«Voi
due. Fuori» comandò imperioso, rivolto verso Tiger
e Goyle. I due esitarono un secondo, voltandosi a guardare Malfoy come
per
chiedere conferma, afferrarono due scatole di cioccorane dal letto e
uscirono.
Severus li osservò con la coda dell’occhio, e
quando la porta si fu chiusa alle
loro spalle sorrise.
«Allora,
Draco, stavi sistemando le tue cose?» domandò
mellifluo. Come previsto, gli occhi dell’undicenne guizzarono
verso il baule che
stava maldestramente cercando di nascondere.
Severus
fece un passo verso di lui. «Sono venuto per
assicurarmi che sia tutto in regola. Che ne dici di semplificarmi il
lavoro?
C’è qualcosa nel tuo baule che non dovrebbe
esserci?»
Il
ragazzino lo squadrò nervoso, ma poi sembrò
ricomporsi. Mise su una facciata arrogante e rispose calmo:
«No, signore».
Il
pozionista lo scrutò, diviso tra il sollievo nel
vedere che un minimo di capacità recitativa la possedeva e
il desiderio di
levargli quell’aria di sfida con una fattura. Resistette
all’impulso di
massaggiarsi le tempie. Aveva sempre saputo che il figlio di Lucius si
sarebbe
rivelato una piaga.
«Ti
avviso, Draco, se dovessi trovare qualcosa, anche
solo una caccabomba, per ogni minuto di tempo che ho sprecato nella
ricerca
sconterai una settimana in più di punizione». Come
previsto, l’aria sicura di
Malfoy vacillò. «Allora Draco? Devo mettermi a
cercare?»
Non
c’era bisogno di ricorrere alla Legimanzia, i
pensieri del ragazzo erano scritti nel suo viso appuntito e nelle
guance
insolitamente rosa. «Non c’è niente,
signore» disse ciononostante, con appena
un accenno di insicurezza nella voce. Scelta poco saggia.
Lentamente,
con gli occhi fissi sul ragazzino per
godersi al meglio la sua reazione, Severus sollevò la
bacchetta e disse
chiaramente: «Accio scopa di Malfoy». Il ragazzo
sbiancò completamente, e quando
una Nimbus sbucò da dietro il baule per andare a finire
nelle mani del
professore sembrò sul punto di farsela addosso.
«Fin
troppo prevedibile» commentò Severus con un ghigno
soddisfatto. «Direi che una settimana di punizione sia
d’obbligo. Tu che ne
pensi, signor Malfoy?»
«NO!»
strillò Draco, con grande sorpresa del
pozionista.
«Come
scusa?» sibilò minacciosamente Piton. Voleva
dargli l’opportunità di ritrattare, ma il
ragazzino sembrava fuori di sé.
«No,
no, non è giusto! Quella è la mia scopa e io ho
il
diritto di portarla qua. Non m’importa cosa dice il preside!
E lei, lei
dovrebbe essere d’accordo. Voglio dire, dovrei essere io! E
invece ha fatto
entrare in squadra quel francese! E lui può fare tutto, non
è vero? Le regole
non valgono per lui. No, lui è bravo a Quidditch, bravo in
pozioni, bravo in
tutto e nessuno sembra ricordare che lui è un pezzente e io
sono un Malfoy!
Sono un Malfoy e un Black, dovrei essere io a giocare nella squadra,
dovrei
avere il diritto di usare la mia scopa ogni volta che voglio. Io, non
lui!»
Il
pozionista ascoltò il piagnisteo con un sopracciglio
alzato, ma lo lasciò sfogare, chiedendosi se fosse normale
essere così
incoerenti a undici anni. Merlino, odiava insegnare. E come avesse
potuto
Lucius viziare in quel modo il figlio, Severus proprio non lo
concepiva.
Come
il marmocchio si fermò per riprendere fiato, Piton
decise di intervenire prima che ricominciasse. Voleva finire in fretta,
così
non avrebbe perso la cena e avrebbe anche avuto il tempo di passare per
il suo
studio per rilassarsi prima di scendere in Sala Grande.
«Finiscila con questa
scenata, Draco. Dovresti vergognarti di te stesso, i tuoi genitori
sarebbero
orripilati se ti vedessero adesso. Quanto a Montblanc, è
stata fatta
un’eccezione perché la squadra aveva disperato
bisogno di un valido cercatore.
Dovresti essere contento per la tua casa che Henri sia così
bravo. Questo non
fa certamente di lui un privilegiato, te lo posso assicurare».
Il
ragazzo, sembrò ricomporsi sentendo le sue parole,
ma dopo l’ultima frase i suoi lineamenti si distorsero in una
smorfia di
derisione. «Si certo, come no. A lui gli fate passare
tutto».
«Non
fare il bambino, sai che non è vero».
«Si
invece» sbottò Draco «Lei sta qua a
farmi una
predica solo perché ho portato il mio manico di scopa, come
se fosse chissà che
crimine, e nessuno dice niente a Montblanc che dall’inizio
dell’anno tiene un
serpente di un metro nel dormitorio! È assolutamente
ingiusto!»
Continuò
a blaterare, ma Piton non stava più
ascoltando. Montblanc. Un serpente. Di un metro. Una volta nel suo
ufficio
avrebbe avuto bisogno di una burrobirra, altroché.
«A
Montblanc ci penserò io» disse, interrompendo la
sequela di recriminazioni del giovane Malfoy. «Ma
ciò non cambia il fatto che
sei in punizione. E spero che sia l’ultima volta per
quest’anno. Ricordati che
il cognome che porti con tanto orgoglio comporta anche dei doveri, tra
cui il
mantenere un certo contegno, e non frignare come un moccioso di quattro
anni
per una scopa da corsa. Falla sparire entro domani mattina».
Senza aspettare la
replica, uscì dalla stanza e girò a destra, verso
l’altro dormitorio, seccato
dal fatto che rischiava di perdere la cena.
Entrò
nella stanza e fu lieto di vedere che Montblanc
era da solo. Evidentemente gli altri erano già scesi.
«Voleva
qualcosa signore? Stavo per scendere per il
banchetto» disse il ragazzo. Severus osservò la
sua posa, così diversa da
quella di Malfoy. Il ragazzo era tranquillo, eppure Piton poteva vedere
che si
stava chiedendo il motivo della visita e stava elaborando delle
ipotesi. Se
anche sospettava che fosse per il serpente, non mostrò segni
di nervosismo.
Non
aveva ancora deciso se gli piaceva Montblanc. Era
un vero prodigio e aveva senza alcun dubbio un brillante futuro davanti
a sé,
eppure nonostante l’indifferenza che mostrava, Piton non si
lasciava ingannare.
Il ragazzo era tutto fuorché modesto, e aveva fin troppa
faccia tosta, ma se
credeva di poter fare quello che voleva si sbagliava di grosso.
«Signor
Montblanc, per caso ha ancora la sua lettera di ammissione a
Hogwarts?»
Per
un istante, vide qualcosa negli occhi del
ragazzino. Confusione, sorpresa, paura. Durò un secondo, ma
il pozionista ne
rimase affascinato. Era la prima volta che coglieva
un’esitazione simile nel
ragazzo. Non si era aspettato questa reazione, evidentemente Montblanc
aveva
intuito dove voleva andare a parare. Encomiabile, davvero.
«Mi
scusi signore?» domandò Henri, come per prendere
tempo.
«La
lettera. Tirala fuori» ordinò Piton.
Con
espressione indecifrabile, il ragazzo gli diede le
spalle e prese a frugare nel suo baule. Severus approfittò
della sua
distrazione per osservare la stanza. Individuò subito quello
che cercava. Il
letto di Montblanc era sulla sinistra; davanti a lui, sul letto destro
del
letto, il ragazzo stava cercando nel baule, abbastanza lentamente da
fargli
pensare che stesse cercando di elaborare un piano. Il professore si
spostò
leggermente a sinistra, in modo da avere la visuale
dell’altro lato del
baldacchino, e scorse una teca di vetro che spuntava da sotto le
lenzuola.
Montblanc finalmente si risollevò. Gli porse la lettera, ma
Piton non la prese.
Invece, sussurrò perentorio: «Leggila».
Henri
la riavvicinò a sé, e dopo avergli lanciato uno
sguardo incerto cominciò a leggere il messaggio della
vicepreside. Come ebbe
finito rialzò gli occhi su di lui, in attesa.
«Continua» ordinò Severus.
Perplesso,
il ragazzo lesse ad alta voce l’elenco dei
libri, interrompendosi di tanto in tanto per guardarlo, la confusione
evidente
nel suo viso. «Un telescopio. Una bilancia in ottone. Gli
allievi possono
portare anche un gufo, oppure un gatto, oppure un rospo. Oh»
esclamò
bloccandosi.
Severus
osservò con leggero divertimento la nuova gamma
di emozioni che passò per gli occhi del ragazzo.
Comprensione. Sollievo (ma
perché sollievo?), e nervosismo.
«Allora,
Montblanc? Mi sembra che la lettera sia
chiara. L’hai riletta tutta. Per caso hai trovato menzione
alla possibilità di
introdurre pericolosi serpenti nei dormitori?»
Il
ragazzo lo guardò con aria colpevole. «No,
signore»
disse, spostandosi con aria casuale e andando a frapporsi tra il
professore e
la teca. «Ma lasci che le spieghi. Zar non è
pericoloso. Lui…»
«Non
voglio sentire spiegazioni. Congratulazione, sei
nuovamente in punizione. Ora dammi il serpente».
«NO!»
urlò il ragazzo non appena Piton si sporse per
prendere il terrario.
Due
volte in un giorno. Questo non era mai successo.
Forse stava invecchiando. «Che cosa hai detto?»
sibilò.
«Zar
è mio amico, e non è affatto pericoloso! E poi
questa regola non la rispetta nessuno, in stazione c’era un
grifondoro con una
tarantola appresso!»
«Montblanc,
per oggi ho raggiunto la quota di
piagnistei che posso sopportare. Non m’interessa se pensi che
un serpente possa
essere un tenero animaletto da compagnia. Non puoi tenerlo. Ora fatti
da
parte». Allontanò il ragazzo con un gesto brusco,
senza tuttavia fargli male, e
sollevò la gabbia del serpente, che come aveva detto Malfoy
doveva essere lungo
quasi un metro.
Fu
un attimo. Si voltò per uscire, e quasi non si
accorse che il vetro della teca era scomparso. Il serpente si
lanciò verso il
suo collo, pronto ad azzannarlo, e Piton cercò di prendere
la bacchetta,
consapevole che non avrebbe mai fatto in tempo…. E poi il
serpente si fermò e
si ritirò, voltandosi verso Henri che stava…
No.
No.
Non era possibile. Sentì Montblanc sibilare, vide
il serpente strisciare verso di lui e salirgli sulle spalle. Vide Henri
accarezzare il rettile, proprio come…
No.
Guardò
il ragazzo in viso, quasi aspettandosi di vedere
i suoi lineamenti cambiare, i suoi occhi diventare ardenti e rossi. Ma
gli
occhi di Henri erano verdi come al solito. Verdi. Verdissimi.
Le
sue gambe cedettero. Si sedette sul letto. Vide il serpente
scendere dalle spalle del ragazzo, sentì lo sguardo di Henri
su di sé, ma non
gli prestò attenzione. Tenne i suoi occhi piantati sul
pavimento, persi nella
contemplazione di cose distanti.
Sciocco,
sciocco Severus,
spaventato da qualche sibilo emesso da un
undicenne.
Stupido,
stupido cuore,
che perde un battito ogni volta che si
trova davanti a un paio di banalissimi occhi verdi. No, non banali.
Verde
acceso, brillante, come il più mortale dei veleni, come la
maledizione che
tolse la luce a due paia di occhi molto simili.
No.
Ringraziando
l’esistenza dell’Occlumanzia, si
concentrò
sulle sue difese, respingendo quei pensieri deliranti. Dopo aver
ripreso
controllo di sé, un’altra emozione lo invase.
Furia.
Quel
ragazzino. Quel marmocchio col moccio al naso aveva osato….
Si
alzò di scatto e con soddisfazione vide Montblanc
arretrare. C’era paura adesso negli occhi del ragazzo.
«Sarai espulso per
questo» sibilò Piton.
«No,
non sono stato io!» strillò il ragazzo
«Non so
come sia successo, il vetro è semplicemente
scomparso!»
«Semplicemente
scomparso?» ripeté il pozionista,
furioso come non mai. Afferrò il braccio del ragazzo e lo
tirò a sé, piantando
gli occhi dentro i suoi, incurante dei suoi disperati tentativi di
liberarsi.
Entrò nella mente del ragazzo, spazzando via le sue deboli
barriere. Registrò
distrattamente che Henri sembrava sapere esattamente cosa stava
facendo, ma ci
avrebbe pensato più tardi. Le emozioni del primino non lo
stupirono, gliele
aveva lette in faccia pochi istanti prima. Non ebbe molta
difficoltà a trovare
quello che stava cercando, il ricordo era ancora fresco.
Vide
sé stesso afferrare il terrario. Vide il serpente uscire.
Sentì la sorpresa di
Montblanc e le parole che aveva urlato: “No Zar,
fermati”. Sentì il sollievo
del ragazzo quando il rettile ubbidì, la preoccupazione per
lui, Piton, pallido
e sconvolto. Sentì Montblanc mormorare: ”il vetro.
Cosa diavolo è successo al
vetro?”. Poi
però un’ondata di magia potentissima lo
scagliò
lontano dall’undicenne, mandandolo a finire contro la parete
e interrompendo il
contatto visivo.
«STIA
FUORI DALLA MIA TESTA!» urlò Henri, pallido e
spaventato.
Severus
si rialzò in piedi. Notò che il ragazzo aveva
la bacchetta puntata contro di lui, la stessa bacchetta che prima stava
sul
comodino. Non era stato Montblanc a far sparire il vetro. Ma allora
come?
«Metti giù la bacchetta»
sussurrò.
«Lei
non aveva il diritto» urlò Henri, senza dargli
ascolto.
«Avevo
tutto il diritto!» gridò Piton, sentendo la
rabbia montare nuovamente. «Il tuo serpente mi ha aggredito,
e tu non hai idea
del guaio in cui ti trovi. Abbassa la bacchetta ora,
e ci sarà ancora una possibilità per te
di restare in questa
scuola».
Per
un’istante, credette che il ragazzo avrebbe osato
lanciargli contro un incantesimo, ma poi parve calmarsi e tornare a
ragionare.
Abbassò la bacchetta, e Severus tirò mentalmente
un respiro di sollievo. Le
cose erano decisamente degenerate. Si sentiva indolenzito nel punto
dove aveva
sbattuto, e si accorse con una fitta di rimorso che si stavano formando
dei
lividi sul polso di Henri. «Fai scendere il serpente
lì» disse con calma, visto
che il dannato rettile era tornato ad acciambellarsi attorno alle
spalle del
ragazzo.
«Non
provi a fargli del male» sussurrò Henri,
supplicante.
Si
trattenne dal sbuffare. «Montblanc, il tuo
animaletto per poco non mi azzannava» gli fece notare.
«Solo
perché lei lo stava portando via»
replicò il
ragazzo. «L’ha percepita come un nemico».
«Sentimento
ricambiato. Non ho intenzione di
avvicinarmi finché quel coso sarà a piede
libero» prese il terrario e lo
riparò, poi si rivolse verso Henri «Fallo entrare
prima che la mia pazienza si
esaurisca. Non gli farò del male, per ora».
Il
ragazzo esitò, ma infine prese il serpente con
delicatezza e lo appoggiò al suolo. Sibilò
qualcosa e l’animale entrò nel
terrario. Henri si risollevò in piedi, in attesa.
«I
tuoi compagni sanno che sei rettilofono?» chiese
Severus dopo qualche minuto di silenzio carico di tensione.
«No,
non lo sa nessuno».
«Saprai
di certo che è una dote molto rara. Serpeverde
era un rettilofono».
Il
ragazzo scrollò le spalle. «Non era
l’unico grande
mago con questo dono» si lasciò sfuggire, prima di
mordersi le labbra, pentito.
Di
nuovo arrabbiato, Piton chiese, sarcastico: «Ah si?
E chi per esempio?» sfidandolo a rispondergli, a pronunciare
quel nome….
«Merlino».
Lo
aveva sussurrato a voce così bassa che per un
secondo Severus pensò di esserselo immaginato. Di sicuro non
era la risposta che
si era aspettato. «Dove hai sentito che Merlino fosse un
rettilofono?» chiese,
stupito.
«Io…
l’ho letto in un libro».
«Una
lettura sicuramente interessante» commentò
ironico.
«E la tua abilità da dove viene?»
«A
quanto ne so, avevo un antenato rettilofono. Ho
preso da lui. Non tutti i rettilofoni erano maghi celebri come
Serpeverde o
Merlino».
Severus
annuì, pensieroso. Poteva essere la verità? Non
sapeva molto sull’argomento, ma era una spiegazione
plausibile. Si chiese però
se Montblanc avesse percepito il nome che aleggiava nell’aria
dall’inizio della
conversazione, se avesse dedotto quali pensieri gli erano passati nella
mente.
Ipotesi assurde, fantasiose. Terribili. Scosse il capo. Si chiese se
dovesse
parlarne con Albus. Sicuramente il preside avrebbe voluto sapere che
c’era un
altro rettilofono in Gran Bretagna. Guardò il ragazzo. Uno
dei suoi serpeverde,
che aveva il compito di proteggere. A Silente non sarebbe piaciuto
scoprire
dell’abilità di Montblanc, soprattutto se avesse
saputo del suo interesse per
il terzo piano. Si chiese se anche Albus avrebbe avuto il suo stesso
pensiero.
Non era come se non ci fossero donne abbastanza fanatiche per fare una
cosa del
genere, bastava pensare a Bellatrix. Ma il Signore Oscuro non aveva
certo alcun
interesse a riempire l’Europa di suoi bastardi, e non era il
tipo che indugiava
in certi… passatempi. Il solo pensiero lo riempì
di disgusto. No, probabilmente
stava solo diventando paranoico, e Montblanc aveva detto la
verità e la
spiegazione per il suo dono era davvero così semplice,
così scontata. E se lo
avesse detto ad Albus, sarebbe venuto meno ai suoi doveri di capocasa
per
niente. No, non avrebbe parlato con il preside, non prima di aver
indagato
sulla faccenda.
«Non
puoi tenere il serpente».
Henri
si tese nuovamente e parve sul punto di
rimettersi a urlare, ma poi sembrò calmarsi. Di nuovo, Piton
si chiese se il
ragazzo non stesse già studiando per diventare un
occlumante. «Non è pericoloso,
posso parlargli, posso controllarlo» disse il ragazzo.
«Ci
sono comunque delle regole…»
«Ma
io ci parlo! Zar è mio amico, il mio confidente,
non un semplice famiglio. Non le permetterò di portarlo
via».
Severus
guardò l’animale, acciambellato a terra e
apparentemente tranquillo. Con un sospiro, chiese: «Quanto
diventerà grande?»
«Sei
metri credo. Forse un po’ di più».
La
risposta sincera lo stupì, ma si ricompose subito.
Aveva già notato che Henri era uno diretto, e aveva il
potere di spiazzare il
pozionista, abituato com’era a districarsi tra le sottili
allusioni e i giochi
di mezze verità tipici dei serpeverde. Non che Montblanc
mancasse di
sottigliezza. Sembrava usare sincerità come tattica e
sorprendentemente,
funzionava.
«Ti
renderai conto che non potrai tenerlo, sarà più
lungo del tuo letto».
«Non
crescerà mica stanotte! Quando succederà
troverò
un’altra soluzione, ma per ora non creerà
problemi, glielo prometto».
«Molto
bene» cedette Severus. «Ma non dovranno esserci
incidenti, e voglio che tu tenga la tua abilità segreta. Lo
dico per te»
aggiunse, guardandolo dritto negli occhi «Rischi di attirare
attenzione
indesiderata».
Il
ragazzo annuì, e il volto gli si distese in un mezzo
sorriso.
Distrutto,
Severus lasciò il dormitorio. Gli parve di
udire un «grazie» esalato dal ragazzo, ma non se ne
curò. Al diavolo la cena e
la burrobirra! Quella sera aveva bisogno di un FireWhisky.
Non
appena Piton ebbe lasciato la stanza, Harry si
buttò sul letto e prese a sbattere la testa contro il
cuscino.
Stupido.
Stupido. Stupido.
Ma
come aveva fatto Piton a scoprire Zar? Probabilmente
i suoi compagni di dormitorio avevano fatto la spia. Nott, o magari
Zabini. Ma
non aveva importanza ora. Poteva prendersela solo con se stesso,
avrebbe dovuto
gestire meglio la situazione. Aveva fatto il nome di Merlino! Stupido,
stupidissimo. Come se non fosse abbastanza grave che Piton avesse
scoperto che
era rettilofono! E lui gli aveva quasi detto da dove veniva il dono.
Avrebbe
scoperto la verità? Sarebbe stato in grado di risalire nei
secoli fino ai fasti
della famiglia Montblanc, e da lì scoprire del suo famoso
antenato? Lavr c’era
riuscito, ma lui aveva risorse di cui il pozionista sicuramente non
disponeva.
E il segreto più importante, quello era al sicuro. Non
c’era verso che Piton
scoprisse il collegamento tra i Montblanc e Lily Evans.
E
che importanza aveva in fondo se anche Silente in
persona avesse scoperto che discendeva da Merlino? Non era una cosa che
doveva
nascondere per forza. Aveva scelto il cognome Montblanc proprio per
rivendicare
il suo lignaggio, dopotutto.
Rincuorato,
si sollevò a sedere. Rimaneva ancora una
questione da chiarire. Aprì il terrario, e lasciò
che Zar si sistemasse sul
letto.
"Zar, cosa è successo
prima?" chiese accarezzando la
testa del serpente.
"Non
permetterò a nessuno di portarmi
via dal padroncino" replicò l’animale,
sollevandosi alla sua altezza.
Harry
si lasciò sfuggire un sorriso. "Beh, è
commovente sapere che ci tieni a me, soprattutto considerato che ogni
volta che
parliamo mi tratti come un idiota." Sospirò. "Vorrei solo capire come hai
fatto ad uscire dal terrario. Devo aver fatto una magia accidentale, ma
come è
possibile che non me ne sia reso conto?"
"Il
padroncino avrebbe dovuto liberarmi
quando l’uomo ha minacciato di portarmi via. Visto che il
padroncino non è stato abbastanza
sveglio, ci ho pensato da solo".
"Pensato
da solo? Che intendi dire?"
domandò il ragazzo, smettendo di accarezzarlo.
"Ho tolto il vetro"
"Ma non puoi averlo fatto!
Insomma, non puoi mica usare la magia… o sì?"
"Perché pensi che non possa?" lo derise il
serpente.
Harry non rispose. Ci
doveva essere un’altra spiegazione. Aveva letto diversi libri
sui serpenti
magici. Venivano chiamati così perché erano
più intelligenti di quelli comuni,
e alcuni avevano delle capacità particolari. Sapeva per
esempio che il veleno
degli Agares come Zar aveva le stesse proprietà di quello
del basilisco. Ma
fare delle vere e proprie magie?
"Il
padroncino sembra sorpreso".
"I serpenti
non possono… voglio dire, come
fai ad usare la magia?"
"Il padroncino come fa?" rigirò
la domanda il
rettile.
A
Harry venne da rispondere che ovviamente lui era un
mago, ma si bloccò, capendo cosa gli stesse realmente
chiedendo il suo
famiglio. Se gli umani, gli elfi, i goblin potevano usare la magia,
perché lo
scioccava tanto l’idea che anche Zar potesse? Merlino sapeva
che l’intelligenza
non gli mancava. Eppure…D’un tratto si
ricordò lette diverse anni
prima.
Alcuni
testi greci e romani riportano la teoria che i demoni siano la sorgente
stessa
della magia… Se questo sia stato progettato volontariamente
è opinabile.
Considerata la natura di questi esseri, è probabile che la
loro magia si sia
riversata sul mondo spontaneamente, senza che uno di essi abbia
consciamente
deciso di donarla ai mortali.
Quando
era arrivato a Hogwarts era rimasto sorpreso
nello scoprire di essere più potente dei suoi compagni. Le
difficoltà incontrate dagli altri studenti
nell’eseguire magie che a lui
apparivano facili lo avevano lasciato attonito. Era innegabilmente
migliore di loro, ma non si mai chiesto da dove venisse il suo potere.
Dopotutto, era il
discendente di Merlino, e l’unico a essere mai sopravvissuto
all’Anatema
mortale; ma ora si chiese se non ci fosse dell’altro, se
sarebbe stato così
potente se Lavr non lo avesse mai salvato dai Dursley. L’idea
lo metteva a
disagio. Si sentiva quasi un parassita.
Si
riscosse da quei pensieri. Era solo un’ipotesi in
fondo, e se anche fosse stato vero, non cambiava quello che era, non
sminuiva
le sue capacità.
“Si,
invece” disse
una vocina dentro di lui “perché
significherebbe che quella che credevi la tua essenza è solo
frutto del caso”
"E' per via
di Lavr?" sussurrò il ragazzo,
sapendo la risposta eppure sperando con tutto se stesso di sbagliarsi.
"Il Dio emana potere".
Non
era una negazione, ma nemmeno una conferma
esplicita. Harry sospirò. Avrebbe affrontato il discorso con
Lavr quando lo
avrebbe rivisto, e nel frattempo avrebbe evitato di rimuginare sulla
faccenda.
"Aspetta un secondo"
realizzò ad un tratto. "Hai
usato altre volte la magia per uscire dal terrario?"
Il serpente ridacchiò.
«Oh
Grindewald!»
esclamò Harry, lasciandosi nuovamente
cadere sul letto e coprendosi il viso con le mani. "E se ti vedessero?"
"So come evitarlo"
"Ma non mi dire"
commentò il ragazzo, sarcastico "Avrei dovuto lasciare che ti
portassero via. Visto che dici che sono il tuo padroncino, non dovresti
obbedirmi?"
Zar
sembrò pensarci su. "No.
Obbedirò al padroncino quando lui sarà degno".
"Come pensavo" si
rassegnò il ragazzo.
Guardò l’ora. La cena stava quasi per finire. Si
chiese se visto che era tardi
per andare a mangiare non fosse il caso di approfittare
dell’assenza dei suoi
compagni per vendicarsi della soffiata a Piton, ma dismise
l’idea. Non era
certo che Zabini o Nott avessero fatto la spia. Guardando la stanza
vuota, però
si accorse che c’era qualcosa per terra. Si
avvicinò. Era l’agenda di Philippe,
probabilmente era caduta durante il confronto con Piton. La raccolse e
fece per
rimetterla nella borsa del compagno, ma la curiosità lo
trattenne. Aveva notato
che Philippe teneva l’agenda sempre con se, e spesso la
consultava con fare
furtivo.
Sentendosi
leggermente in colpa, l’aprì. Le pagine
erano bianche, ad eccezione di alcune colorate di rosso. Harry le
sfogliò,
chiedendosi il significato. Sembrava esserci una pagina colorata per
ogni mese.
Con la fronte aggrottata, rimise l’agenda al suo posto.
Nota
importante: Harry non sa che Voldemort era rettilofono. Nei libri si
vede chiaramente che sono poche le informazioni sul signore oscuro note
al grande pubblico, per così dire. Penso che solo la cerchia
più stretta dei mangiamorte ne fosse a conoscenza, oltre
naturalmente a Silente e alcuni membri dell'ordine. Veles lo sa,
e in uno dei primi capitoli l'ha detto a Lavr, ma il demone
non ha mai sentito l'esigenza di riferirlo a Harry, perché
pensa che non abbia niente a che fare con lui e non gli ha mai parlato
molto di Voldemort. Penso fosse importante chiarirlo, soprattutto per
il futuro :) Alla prossima.
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Capitolo 16 *** Notte di luna piena ***
.....
Ehm. Lo so, lo so. Gli aggiornamenti regolari sono andati a farsi
friggere. Purtroppo, anche con tutta la buona volontà del
mondo, possono succedere degli imprevisti, come andare
all'università e dover cambiare casa dopo una settimana per
trasferirsi in un'altra senza internet. E adesso non so bene come
fare... intanto approffito dei santi per pubblicare gli
ultimi capitoli del primo anno. Il prossimo aggiornamento
sarà o venerdì o sabato, e poi si
vedrà. Non appena avrò nuovamente
accesso a internet, riprenderò ad aggiornare. Nel caso
peggiore, dovrete aspettare le vacanze di natale :( Io però
continuerò a scrivere, e spero che nonostante tutto anche
voi non abbandoniate la storia. Per quanto riguarda il
capitolo, è strettamente connesso con il successivo, quindi
non mi sembrava giusto farvi aspettare fino a natale. Che altro posso
dire? Spero vi piaccia, ma vi do un consiglio: i fan di Sua
Oscurità tengano lo champagne ancora ben tappato, la strada
per la Sua rinascita non è poi così in discesa ;)
Saltò fuori che era stato Malfoy a fare
la spia su Zar. Harry non poté certo dirsi stupito, ma
decise che la rabbia di Draco per il fatto che era riuscito a tenersi
il serpente fosse una vendetta sufficiente. Evidentemente
però il biondo andò a lagnarsi con Piton,
perché il primo giorno di punizione questi
annunciò a Henri che, considerato che gli aveva permesso di
tenere Zar, era giusto che scontasse più di una settimana di
detenzione. Harry non protestò, anche perché era
convinto che Piton l’avesse fatto non tanto per chiudere la
bocca a Malfoy, ma anche perché iniziava ad apprezzare il
vantaggio di avere lui a preparare le pozioni più semplici e
noiose per l’infermeria. Le ore di detenzione con il suo
capocasa divennero parte integrante della sua quotidianità,
e in fondo non gli dispiacevano. I suoi voti in pozioni
senz’altro ne beneficiarono.
Il rapporto con il pozionista era strano.
Harry lo teneva d’occhio per avere informazioni sulla pietra.
Da parte sua Piton lo studiava con sospetto; più di una
volta Harry si chiese il motivo di tutta questa diffidenza, del resto
non aveva fatto niente di così grava da meritarsela, a meno
che l’atteggiamento circospetto del professore non fosse
dovuto a Zar. Possibile che il capocasa di Serpeverde avesse dei
pregiudizi contro i rettilofoni? Suonava come un controsenso.
Anche le lezioni di Raptor, dopo Natale, divennero
ben più interessanti. Harry le trascorreva ignorando i
compiti elementari che il professore assegnava per concentrarsi invece
su di lui. Grazie al suo attento studio notò che il
balbettio di Raptor era troppo perfetto e regolare per essere vero, e
quando credeva di essere solo la sua camminata assumeva una nuova
sicurezza, la sua postura si raddrizzava e il suo sguardo si induriva.
Si chiese come facessero gli altri a non notarlo, ma nemmeno lui si era
accorto di niente prima che la verità gli venisse sbattuta
in faccia.
Non aveva parlato a nessuno della pietra. Si era
domandato per giorni se dirlo o meno a Philippe, ma alla fine aveva
deciso di no. Non poteva spiegare come aveva scoperto la natura
dell’oggetto misterioso senza ammettere che aveva fonti fuori
dal castello, e non sapeva come l’amico avrebbe preso la
notizia che Raptor lavorava per Voldemort. Senza dubbio, se
l’avesse detto a Malfoy, il ragazzino sarebbe corso
entusiasta a dirlo al padre, ma Harry non riusciva a immaginare quale
sarebbe stata la reazione di Philippe. Non sapeva in che ambiente fosse
cresciuto, né cosa pensasse di Voldemort. Magari non gliene
fregava nemmeno niente, visto che era francese.
No, non poteva parlarne a Philippe, non
finché non avesse scoperto la verità sul suo
conto. La sua storia, il motivo per cui si trovava in Inghilterra, il
suo legame con i Leroy, e soprattutto la ragione delle sue frequenti
sparizioni. Harry era certo che Philippe spariva non andasse
in infermeria le volte che spariva. Si era intrufolato una notte, per
avere la conferma, e aveva visto che non c’era nessuno nei
letti. Non lo aveva ancora affrontato direttamente, sarebbe stato
più facile scoprire la verità se
l’amico non avesse avuto idea che stava indagando su di lui.
Il rapporto con gli altri suoi compagni era sempre
freddo, ma almeno Draco sembrava aver trovato qualcun altro a cui dare
il tormento. Doveva essere successo qualcosa tra lui e Ron Weasley
durante la partita di Quidditch tra grifondoro e tassorosso,
perché dal giorno il biondo aveva fatto del provocare il
rosso la sua missione. Stando a quanto diceva Daphne, Malfoy, Weasley e
Paciock se le erano date sulle tribune, ma quale che fosse il motivo,
Harry era contento di non essere più il bersaglio principale
delle infantili provocazioni del figlio di Lucius, senza contare che la
nuova rivalità tra i due primini portò risultati
insperati: una mattina, i serpeverde si svegliarono e scoprirono con
grande gioia che la clessidra dei grifondoro si era praticamente
svuotata durante la notte. Si diffuse poi la notizia che la McGranitt
aveva beccato Weasley, Paciock, Thomas, Finnigan e Malfoy in giro per i
corridoi di notte; Harry sentì Draco raccontare a Blaise e
Theo, a colazione, di come il guardiacaccia si fosse tenuto un drago in
casa per settimane, e Weasley e gli amici lo avessero aiutato a farlo
sparire. I quattro grifondoro avevano perso duecento punti in un solo
colpo, così nessun serpeverde se la prese con Malfoy per i
cinquanta sottratti a Serpeverde, anzi, venne acclamato come un eroe
per aver fatto la spia alla McGranitt. Grazie anche ai punti guadagnati
per le vittorie a Quidditch, Serpeverde era in testa alla classifica e
ormai aveva la vittoria in tasca. Flint era determinato a garantire
alla casa verdeargento anche la coppa del Quidditch, così
raddoppiò le ore di allenamento settimanale.
Nel frattempo, gli esami si avvicinavano e la
biblioteca diventava ogni giorno più affollata, ma Harry era
sereno. Era il migliore del suo anno e non avrebbe avuto problemi. La
prossimità degli esami lo portò ad avvicinarsi
agli altri serpeverde. Piton incoraggiò i primini a studiare
insieme, e Harry cominciò a incontrarsi regolarmente con i
suoi compagni in biblioteca o in sala comune per prepararsi assieme
agli esami. Nonostante all’inizio lo facesse controvoglia,
dopo un po’ cominciò a trovare piacevole le ore
trascorse a studiare con gli altri, senza contare che Draco, Blaise e
Theo erano abbastanza desiderosi di ricevere il suo aiuto da
comportarsi civilmente anche con Philippe, almeno in sua presenza.
Lavr gli scrisse diverse volte, sempre
raccomandandogli di starsene fuori dai guai, ma le sue lettere avevano
l’effetto opposto: gli ricordavano della pietra, di Voldemort
e delle cose che gli aveva detto Veles. Si era imposto evitare le
tentazioni e stare lontano dal terzo piano, almeno fisicamente, ma
nella sua testa la pietra era un chiodo fisso. Non riusciva a decidere
cosa fare. C’erano giorni che si sentiva scoppiare
all’idea di non far niente mentre uno squilibrato cercava di
resuscitare il Lord Oscuro, altri in cui si convinceva che, davvero,
non erano affari suoi - che se la sbrigasse Silente! -, infine,
c’erano giorni in cui, per quanto cercasse di sopprimerlo,
sentiva montare il desiderio di andare da Raptor e affrontarlo.
Chiedergli perché lo stesse facendo, a che scopo servire un
pazzo, cosa si aspettasse di ottenere.
Chiedergli
com’era Lui.
È così, profondamente
indeciso, lasciò passare le settimane e i mesi senza far
niente. O forse il suo atteggiamento passivo significava che aveva
già scelto: scelto di lavarsene le mani, di pensare al
Quidditch e alla scuola e non al destino del mondo magico. Ma non era
tranquillo. Le parole di Veles tornavano a torturarlo, e la cicatrice
bruciava quasi quotidianamente, accusandolo. Stava aiutando Voldemort?
Il suo menefreghismo avrebbe contribuito a far cominciare una nuova
guerra? Ma lui aveva solo undici anni, non era compito suo fermare il
lord oscuro, non finché a Hogwarts c’era Silente.
Silente, l’unico mago che Voldemort avesse mai temuto.
Finché ci fosse stato lui a proteggerla, Voldemort non
avrebbe osato prenderla.
Vennero infine gli esami. Come previsto, Harry non incontrò
difficoltà; ciononostante, uscì
dall’aula di Storia della Magia, dove aveva dato
l’ultimo, con il cuore più leggero.
Sentì la Granger parlare con Paciock delle risposte che
aveva dato.
«Cavolo, ma come fa quella?»
sussurrò Philippe, scioccato. «Io mi sono
già dimenticato quali erano le domande, e meno male direi.
Fra una settimana usciranno i risultati, nel frattempo possiamo goderci
la riconquistata libertà».
«Hai perfettamente ragione»
concordò vivacemente Harry. «Penso che dopo tante
ore in biblioteca sia il caso di uscire un po’, tu che
dici?».
Philippe esitò un secondo, ma poi
annuì sorridendo. I due uscirono dal castello. Il parco era
pieno di studenti che avevano avuto la loro stessa idea,
così decisero di allontanarsi un po’ per trovare
un posto tranquillo. Si spinsero fin quasi alla foresta proibita,
sedendosi all’ombra di un grande salice davanti al lago nero.
Non c’era nessuno, a parte loro, i gemelli Weasley e Lee
Jordan che in lontananza si divertivano a stuzzicare la piovra gigante.
«Sembra impossibile che sia
già passato un anno» disse Philippe.
«Già, incredibile»
mormorò Harry, quasi a se stesso. Ancora poco più
di una settimana, e sarebbe tornato a casa. Ma ormai anche Hogwarts era
un po’ casa sua. Gli sarebbe mancata. Quasi
inconsapevolmente, si strofinò la fronte, la dove si
trovava, nascosta, la cicatrice. L’anno scolastico era giunto
al termine e Raptor non era riuscito a mettere le mani sulla pietra.
Forse, dopotutto, Silente sapeva quel che faceva, e lui aveva fatto
bene a non mettersi in mezzo.
Vide un tentacolo della piovra uscire
dall’acqua e afferrare Lee, e rise di cuore quando i gemelli
si portarono le mani nei capelli, recitando ad alta voce un epitaffio
tanto solenne quanto volgare per il loro amico scomparso, prima di
buttarsi in acqua a ripescare il povero grifondoro. Dopo pochi secondi
i tre riemersero dall’acqua e si diressero verso il castello,
ridendo spensierati e orgogliosi della loro ultima prodezza.
Harry e Philippe invece si trattennero nel parco,
giocando a gobbiglie e parlando di tutto fuorché di esami.
Dopo un’oretta però, Philippe si portò
una mano allo stomaco, con una smorfia dolorante.
«Non dirmelo!»
esclamò Harry «stai di nuovo male».
Philippe arrossì, ma non rispose.
«Vuoi che ti accompagni in
infermeria?» domandò Harry, più
freddamente di quanto non volesse.
Come previsto, l’amico declinò
l’offerta, evitando accuratamente di guardarlo in faccia
mentre diceva «non preoccuparti, faccio da solo. Tu resta
pure qui».
Harry non insistette. Lo osservò
raccogliere le sue cose frettolosamente, lasciando anche cadere un
libro a terra per il nervosismo, e lo seguì con lo sguardo
mentre si dirigeva verso il castello, la sua sagoma che diventava
sempre più piccola. Un anno, e l’unico vero amico
che si fosse fatto al castello era praticamente un estraneo. Per un
attimo fu tentato di rincorrerlo, scagliargli una fattura e urlargli
che le sue patetiche scuse non convincevano nessuno, e che lui esigeva
di sapere la verità, ma si rese conto che sarebbe stato
tremendamente ipocrita da parte sua. Prese un bel respiro, e decise di
approfittare della solitudine per dedicarsi agli esercizi di
meditazione che aveva trovato nel libro di Occlumazia regalatogli da
Lavr per natale.
Chiuse gli occhi, e si sforzò di non
pensare a niente se non al proprio respiro. All’inizio non fu
facile, migliaia di pensieri affioravano nella sua mente, ma dopo
qualche minuto riuscì a calmarsi e concentrarsi solo sui
delicati suoni che lo circondavano. Le fronde degli alberi mossi da un
alito di vento, il leggero incresparsi della superficie del lago.
Attraverso le palpebre chiuse percepiva il colore caldo del tramonto, e
il tronco a cui era poggiato era comodo e avvolgente come una nicchia.
Si sentiva in pace, libero e senza preoccupazioni come non era stato da
settimane. Gli esami erano finiti, l’estate era alle porte, e
stava così bene lì accoccolato vicino al
lago…
Era euforico, esaltato e
trepidante come non si sentiva da anni, ma sembravano secoli.
Finalmente, l’occasione perfetta gli si era offerta senza che
dovesse pensarci lui. Quel babbeo di Hagrid era stato fin troppo facile
da abbindolare, l’ennesima prova di quanto fosse sciocco,
Silente, a fidarsi. E ora il vecchio era lontano, a Londra, e quando
sarebbe tornato sarebbe stato troppo tardi. Ora che sapeva come
superare il cane non avrebbe avuto problemi con le altre protezioni.
Mesi di tentativi, e ora solo poche ore lo separavano
dall’impadronirsi della pietra, dal proprio ritorno. Dopo
undici anni di orribile, estenuante sopravvivenza, Lord Voldemort
avrebbe riavuto il suo corpo, e non sarebbe più stato
costretto a dipendere da animali e idioti come Raptor, non avrebbe
più dovuto nascondersi da patetici auror il cui potere era
niente, niente in confronto al suo. Nessun altro si era spinto in
là quanto lui nel mettere alla prova la magia, nessun altro
avrebbe potuto resistere alla condizione miserabile a cui era stato
costretto quando qualcosa era andato storto nell’attacco ai
Potter. Un errore che non si sarebbe ripetuto. Stanotte, stanotte.
Interiormente urlava di gioia. Quale ironia, che il suo ritorno sarebbe
avvenuto rubando la leggendaria pietra filosofale da sotto il naso di
Albus Silente! Mancava poco, pochissimo…
Harry aprì gli occhi. La cicatrice a forma di saetta
bruciava e il cuore gli batteva furioso nel petto. Si alzò a
sedere, confuso, appoggiandosi al tronco dove si era…
addormentato? Il sogno era stato tanto vivido che per un secondo si
aspettò di trovarsi Voldemort davanti, di sentire urla, di
vedere bagliori di incantesimi, ma tutto attorno a lui era calmo.
Doveva aver dormito diverse ore: il parco era buio e poteva vedere la
luna sorgere attraverso il velo delle nuvole. Si sentì
assalire dal panico. Era fuori nel parco, di notte. Sicuramente il
portone era chiuso da ore. E la pietra….
Strabuzzò gli occhi. Doveva tornare al castello, subito, non
importava se si sarebbe cacciato nei guai, doveva avvisare qualcuno.
«Bella nottata, eh?» disse una
voce allegra alle sue spalle.
Harry trasalì e si girò con
la bacchetta stretta in pugno, solo per trovarsi davanti i due gemelli
Weasley. Sollevato, abbassò la bacchetta, senza tuttavia
riporla in tasca. «Voi che ci fate qui?» chiese.
«Sentito Fred? Chiede cosa facciamo
qui».
«Festeggiamo, mi sembra chiaro. Secondo
te cosa potremo mai fare, di notte nel parco?»
domandò il secondo gemello, con un sorrisetto canzonatorio.
«Ehm» fece Harry, a cui
francamente non importava niente dei due grifondoro in quel momento.
Forse nel mentre che lui parlava con loro, Voldemort si avvicinava alla
pietra. «Sentite, io devo assolutamente tornare al
castello» esordì, ma George lo interruppe.
«Si beh, odio deluderti, ma il portone
è leggermente
chiuso al momento».
«Mi farò aprire»
tagliò corto il serpeverde, decidendo che non aveva senso
perdere altro tempo e girandosi per tornare a scuola. Uno dei gemelli,
Fred probabilmente, gli si parò davanti, bloccandolo.
«Sentite» esclamò
Harry, spazientito «io devo tornare subito al castello. Voi
fate quello che volete, non dirò di avervi visto
qui».
Fred si portò una mano sul cuore.
«Ma è commovente!»
«Un serpeverde che copre due grifondoro
per proteggerli da una punizione!» esclamò George,
con voce fintamente rotta.
«Non ho voglia di scherzare»
disse Harry, con tono mortalmente serio.
I due smisero di ridere. «Ascolta Henri;
posso chiamarti Henri vero? In fondo ci siamo già
conosciuti…» disse Fred, alludendo al loro
incontro al binario nove e tre quarti. «Non
succederà niente se passi la notte qui fuori. Insomma, a
meno che i tuoi compagni non facciano la spia, ma anche in quel
caso…. Se ora ti metti a bussare al castello rischi ben
più di una punizione, se invece rimani hai qualche
possibilità di farla franca. E puoi restare con noi, se hai
paura. Noi siamo nati per aiutare i primini in difficoltà,
ricordi?»
Sua malgrado, nonostante il terrore che provava e
l’assurdità della situazione, Harry sorrise.
«Anche se il primino in questione è una
serpe?»
I due gemelli si guardarono, come se non avessero
considerato la cosa, ma poi si strinsero nelle spalle.
«Diciamola tutta, tu sei il nostro peggiore incubo»
disse Fred.
«Già» convenne
George «Sei un secchione serpeverde e per giunta nostro
rivale a Quidditch, ma se ora ti lasciassimo fare qualcosa di
stupido…»
«Come svegliare Gazza e farti
espellere…»
«Non avremmo la soddisfazione di
disarcionarti con un bolide alla prossima partita. E credimi, non
vediamo l’ora di farlo» concluse Gerge con un
ghigno.
«Che dire, sono davvero commosso. Ma voi
non capite, devo assolutamente tornare al castello. Io ho…
scoperto una cosa, e devo parlare con un insegnante. Si tratta del
corridoio del terzo piano».
I due lo guardarono curiosi. «Oh, parli
del cane?»
«Come sapete…»
cominciò Harry, ma si bloccò. «Oh, non
importa! Non ho tempo di spiegare, ma c’è un ladro
nel castello, e devo avvisare Piton o la McGranitt, non
m’interessa se finirò nei guai».
«Molto nobile da parte tua.
Ricapitoliamo. Dopo un bel sonnellino ristoratore nel parco, ti svegli
e improvvisamente ti ricordi che devi assolutamente tornare al
castello, per compiere un atto nobile quale avvisare gli insegnanti di
un imminente furto. Ho capito bene?» fece George, sarcastico.
«Sono curioso. Se la missione della quale
sei stato investito è tanto importante, perché
non ci hai pensato prima di addormentarti placidamente contro un
albero?»
«O magari sei un veggente. Ma certo Fred,
come abbiamo fatto a non capirlo prima? Henri qui ha avuto un sogno
premonitore! E noi che pensavamo dicesse baggianate!»
«Non m’interessa se sembra
assurdo e non mi credete» replicò Harry, cercando
di non pensare che ci fosse un fondo di verità nelle loro
parole. Si stava agitando tanto per un sogno. Un sogno incredibilmente
vivido e realistico, ma pur sempre un sogno. Eppure non poteva fare
altrimenti; se c’era anche una minima possibilità
che avesse ragione, doveva sbrigarsi. «Non vi chiedo di
fidarvi di me, non mi conoscete nemmeno. Però che motivi
avrei di mentire? Come avete detto voi, ho solo da perdere a tornare al
castello adesso, e certamente non potete pensare che lo faccia per
tirarvi qualche tiro mancino, al massimo sono io che dovrei
preoccuparmi di eventuali scherzi, visto con chi sto parlando. Fate
come se non mi aveste visto. Datemi almeno il beneficio del dubbio
quando vi dico che è una questione di vita o di
morte».
I due gemelli lo studiarono in silenzio per qualche
istante, assorbendo le sue parole, poi si guardarono e sospirarono
teatralmente. «Lo stiamo facendo davvero, George?»
«Temo di sì,
fratello» gli rispose l’altro, rassegnato.
Prima che Harry potesse chiedere di che diavolo
stessero parlando, i due lo afferrarono per un braccio ciascuno e lo
condussero a forza verso la foresta. «Se vuoi entrare nel
castello, ci sono vie più rapide che prendere a calci il
cancello finché qualcuno non viene a espellerti»
gli spiegò Fred, prima che potesse ribellarsi.
«Ti stiamo facendo un grande onore a
mostrartelo» asserì George, solenne. Il trio si
fermò ai margini della foresta proibita, e Fred
puntò la bacchetta contro il terreno sottostante un grande
sempreverde e sussurrò: «Alohomora».
Sotto lo sguardo stupito di Harry, il terreno
davanti a loro cominciò a sprofondare, fino a creare
un’apertura abbastanza grande da far entrare un uomo. Si
inginocchiò, e vide che il buco non era che
l’ingresso a un tunnel sotterraneo.
«Questo ti porterà dritto
all’anticamera della Sala Grande, da lì dovrai
arrangiarti da solo».
«E’ la verità? Non
è uno dei vostri scherzi?»
«Serpeverde!»
esclamò George, ferito. «Così
diffidenti!»
Oh beh, pensò Harry. Il gioco vale la
candela.
«Grazie» disse con un sorriso.
I due annuirono con un’espressione seria che non gli si
addiceva per niente. «Spero che non ce ne
pentiremo» mormorò Fred. Senza aggiungere altro,
si allontanarono.
Senza perdere altro tempo, Harry si
infilò nel tunnel. Era basso e stretto, e
all’interno faceva un freddo terribile. Illuminò
la strada con la bacchetta, e camminò per diversi minuti,
mentre la sua mente lavorava frenetica. Dovevano essere le undici di
sera circa. Forse Raptor avrebbe aspettato che fosse più
tardi per scendere sotto la botola, forse era ancora in tempo. Dopo
quella che gli parve un’infinita giunse alla fine del tunnel.
Usò lo stesso incantesimo di Fred per aprire la piccola
porta che si trovò davanti, e fu lieto di vedere che i
gemelli non lo avevano preso in giro. Era vicino alla sala grande. Non
ebbe bisogno di fermarsi a riflettere, imboccò il corridoio
a sinistra e cominciò a correre verso i sotterranei,
pregando di non incontrare nessuno lungo il tragitto.
Piton, doveva parlare con Piton. Il pozionista si
sarebbe infuriato e lo avrebbe messo in punizione fino ai diciassette
anni, ma gli avrebbe creduto. Lui avrebbe saputo cosa fare. Dovette
interrompere la sua corsa disperata quando sentì dei rumori.
Si nascose dietro una colonna, e vide passare Pix. Il poltergeist stava
canticchiando una canzone volgare e colpendo le armature, facendo un
casino infernale. Harry pregò che non attirasse
l’attenzione di Gazza. Aspettò diversi minuti
nascosto, maledicendo Pix. Stava perdendo tempo.
Quando fu sicuro che il poltergeist si era
allontanato, uscì dal nascondiglio e riprese a correre.
Arrivato davanti allo studio di Piton non si concesse il lusso di
esultare, ma prese a bussare furiosamente alla porta, invano. Se il
pozionista non era nei suoi appartamenti sarebbe stato un disastro.
Pregando che stesse solo dormendo, per la seconda volta usò
l’Alohomora.
Entrò nell’ufficio del
pozionista, e non fu molto sorpreso di trovarlo vuoto. Sperando che,
come immaginava, Piton vivesse lì, attraversò lo
studio e tentò di aprire la porta in fondo. Era chiusa.
Questa volta non si prese il disturbo di bussare. Impugnò la
bacchetta e recitò sicuro: «Alohomora».
Non si aprì.
Preso dal panico, Harry si chiese se seguire il
consiglio di Fred e prendere a calci la porta o lasciar perdere e
andare al terzo piano personalmente. Si riscosse. Ormai, visto tutto il
tempo che aveva sprecato, un ultimo tentativo non avrebbe cambiato
nulla. Cercando di non pensare a cosa gli avrebbe fatto Piton una volta
sveglio, Harry si allontanò prudentemente e
pronunciò: «Bombarda».
La porta saltò in aria con un boato
tremendo, che fece tremare il pavimento, e la vista gli fu offuscata
dalla polvere alzata dall’esplosione. Quando finalmente la
cappa di fumo si fu diradata, Harry varcò ciò che
restava della soglia, bacchetta alla mano e pensando con umorismo
suicida che ora Piton era senz’altro sveglio. Ciò
che vide una volta dentro però lo lasciò a bocca
aperta.
Era entrato in un salotto di medie dimensioni,
decorato con i colori di serpeverde, e in piedi davanti a lui,
l’espressione sconvolta e spaventata, c’era
Philippe.
«Che diavolo…»
balbettò Harry, ma l’amico non stava ascoltando.
Philippe si gettò in ginocchio, là dove, si
accorse il moro, si stavano spargendo i resti di una qualche pozione.
«No, no, no»
balbettò Philippe, atterrito, cercando di raccogliere i
frammenti di una fiala, contenendo con la mani la pozza di liquido
fumante che si stava creando. «No, mi è caduta, mi
è caduta!» urlò, alzando lo sguardo
carico di paura, incredulità e rancore. «Che cazzo
pensavi di fare?» gridò.
Harry non rispose. Si sentiva come pietrificato.
Rimase li, a guardare il suo migliore amico, mentre la sua mente
sembrava indecisa su cosa fosse più urgente capire: il
perché Philippe si trovasse là, nello studio di
Piton, con in mano chissà quale pozione, o come fare a
fermare Raptor prima che fosse troppo tardi. Si riscosse.
«Philippe ascoltami, adesso non ha importanza il
perché sei qui. Devo trovare Piton,
Raptor…»
Ma Philippe non stava prestando attenzione. Il
francese si portò una mano al petto, come se provasse
dolore, e gettò uno sguardo al grande orologio posto al lato
della stanza. «Devi andartene, adesso» disse, il
volto privo di colore. «Piton sta facendo la ronda, vallo a
chiamare. Esci da qui!»
«Philippe che ti sta
succedendo?» chiese Harry, avvicinandosi e porgendogli una
mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Ti ho detto di andartene!»
urlò il ragazzo, allontanandogli il braccio con un colpo.
Sorpreso, Harry lo guardò bene. Era sconvolto, e il suo viso
era contratto dal dolore. C’era qualcosa di bestiale in lui.
Oh,
fu tutto quello che riuscì a pensare, mentre finalmente
tutto acquistava un senso. Le sparizioni. L’agenda. La
pozione.
Oddio, la
pozione.
«Philippe, tu ne hai bevuta almeno un
po’?» L’amico capì di cosa
stava parlando, ma non ci fu bisogno di rispondere. Lanciò
un urlo straziante, e si accasciò a terra.
Harry rimase a terra, dimentico della pietra, di
Voldemort e di Raptor, a guardare il suo migliore amico contorcersi per
quelle che parvero delle ore. Nella stanza risuonavano le urla di
Philippe, e il nauseante rumore di ossa che si spezzano, mentre il
corpo del ragazzo si allungava e si riempiva di peli, e lui, Harry, non
sapeva che fare. Voleva aiutarlo, ma sapeva che era troppo tardi, che
avrebbe fatto meglio a scappare…
E poi cadde il silenzio. Davanti a lui, ora
c’era un lupo mannaro completamente trasformato. Si
guardarono per un secondo, il ragazzo e il lupo. La bestia
scoprì le fauci, emettendo un basso ringhio. Di scatto,
Harry si precipitò verso l’uscita, ma non fu
abbastanza veloce. Con un balzo, il lupo gli fu addosso. Rotolarono
fino all’ufficio di Piton, colpendo alcuni scaffali e
rovesciando a terra diverse pozioni. L’aria divenne
irrespirabile. Il mannaro era sopra di lui, pronto a morderlo.
Disperato, Harry gli chiuse la bocca con le mani, consapevole che la
sua forza non era paragonabile a quella dell’animale, ma
approfittò dei pochi secondi così guadagnati per
richiamare in superficie la sua magia e scagliarla contro la bestia,
scaraventandola lontano.
Si rialzò, ansante, e
recuperò la bacchetta. Non poteva fare del male al lupo, era
Philippe dopotutto, ma non sarebbe nemmeno rimasto lì a
farsi ammazzare. Si precipitò verso la porta, ma ancora una
volta non fu abbastanza veloce. Sentì gli artigli della
bestia conficcarsi nella sua schiena. Cadde a pancia in giù,
urlando di dolore. Il lupo era di nuovo sopra di lui, poteva sentirne
il fiato caldo sul collo, mentre gli artigli della bestia gli
si conficcavano sempre più a fondo nella schiena,
lacerandogli la carne. Realizzò in quell’istante
che sarebbe morto, lì nell’ufficio di Piton,
ucciso dal suo migliore amico la stessa notte che Voldemort riotteneva
il suo corpo. Oh, che peccato che solo Lavr e Veles avrebbero potuto
apprezzare l’ironia della cosa.
Ci fu un lampo di luce rossa, e il peso sopra di
lui scomparve. La vista gli si appannò, sentiva le forze che
lo lasciavano. Una gioia selvaggia, feroce, lo invase, e
sprofondò nell’incoscienza.
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Capitolo 17 *** La storia di Philippe ***
In fondo al capitolo troverete le
note dell'autore. Vi prego, leggetele :)
Nell’istante
esatto in cui Raptor alzò la pietra, quasi ad offrirgliela
simbolicamente, seppe che il momento era delicatissimo, e non avrebbe
potuto lasciare niente al caso. Aveva la pietra, e non avrebbe
permesso a un' eventuale incompetenza del suo sciocco servo di
portarlo al fallimento. Facendo appello a tutte le sue forze, prese
il controllo della volontà di Raptor,
s’impossessò del comando
dei suoi arti e della sua magia, e senza lasciarsi inebriare
dall’effimera e fuorviante sensazione di aver di nuovo un
corpo,
seppur debole e mortale e umano, si allontanò da Hogwarts,
sollevato, per quanto non lo avrebbe ammesso nemmeno con se stesso,
quando nessuno si frappose sul suo cammino. Non sarebbe stato in
grado di duellare contro Silente, in quelle condizioni.
Ma
presto sì pensò
con selvaggia soddisfazione. Era stato furbo Silente, doveva
riconoscerlo. Lo specchio l’aveva messo in
difficoltà, lo aveva
spinto per un lungo, angoscioso istante a credere di doversi fermare
proprio quando era così vicino. Ma lui non si fermava, lui
non si
arrendeva. E l’ultima difesa non era nemmeno riuscita a
trattenerlo
il tempo sufficiente perché il vecchio si accorgesse di
quello che
stava accadendo e tornasse da Londra.
Lasciò
il castello, addentrandosi nel riparo della foresta oscura,
impaziente di superare le barriere e smaterializzarsi quanto
più
lontano la sua fragile condizione gli permettesse.
Riapparve
in un cimitero ben noto, e la prima cosa che vide fu il profilo
lontano di una casa altrettanto famigliare, che aveva visitato una
sola volta ma che non aveva mai abbandonato la sua memoria. Cadde a
terra, stremato, e lasciò che la coscienza di Raptort
riaffiorasse e
riprendesse il controllo. Poteva sentire il suo terrore, e gli
provocò una sadica soddisfazione, sapere che il suo servo
aveva
assaggiato l’impotenza e il vuoto della non esistenza in cui
lui
era costretto da dieci anni.
Ancora
per poco.
Ora
che era lontano da Hogwarts e da Silente poteva concedersi il lusso
di lasciar vagare la mente, di pensare, pianificare. Sotto sua
indicazione, Raptor aveva raccolto il necessario a distillare
l’elisir di lunga vita già da agosto, ma non
sarebbe stato
sufficiente. Il rituale a cui avrebbe dovuto sottoporsi era unico nel
suo genere, mai sperimentato prima, come unica era la sua condizione.
Avrebbe richiesto tempo. Aveva aspettato nove anni che uno dei suoi
patetici, fedifraghi servitori andasse a cercarlo. Aveva aspettato
oltre un anno per mettere le mani sulla pietra. Non avrebbe
vanificato tutti i suoi sforzi affrettandosi a compiere il rituale
senza prima compiere le necessarie ricerche. Poteva aspettare, la
pazienza non gli era mai mancata.
Avrebbe
concesso a Raptor un giorno per riprendere le forze, e avrebbero
lasciato la Gran Bretagna. Non si sentiva sicuro. Ora che i suoi
pensieri erano inondati dalle speranze per il futuro, era
più che
mai consapevole della sua attuale debolezza, e voleva mettere
più
miglia possibile tra lui e Albus Silente. Un’irrazionale
paura lo
assalì, se qualcosa fosse andato storto adesso….
Finora era stato
tutto facile.
Troppo
facile.
«Prendi
la pietra Raptor» sibilò.
Il
piagnucolare che aveva fatto da sottofondo ai suoi pensieri da quando
aveva messo piede nel cimitero si interruppe. «Si mio
signore»
replicò il servo, con voce tremula, ancora scosso dalla
sensazione
della possessione.
Attese
che Raptor eseguisse, sentendo sempre una sorta di ingiustificata,
irrazionale trepidazione. Avvertì il servo prendere la
pietra e sollevarla,
e il pensiero prese forma.
Era
stato davvero troppo facile.
«Distruggila»
«Come
dite, mio signore?» Poteva sentire
l’incredulità del suo
involucro, ma non gli bado. Odiava quando i suoi ordini non venivano
eseguiti all’istante. Raptor comprese il suo errore, si
affrettò a
poggiare la pietra su una lapida e dopo aver atteso la silenziosa
conferma del suo signore, scagliò un bombarda contro la
pietra.
Voldemort
aspettò irrequieto che il fumo dell’erosione si
diradasse. La
pietra sarebbe rimasta intatta, perché era un artefatto
magico dal
potere incommensurabile, e un incantesimo di primo livello non
avrebbe mai potuto scalfirla.
Vide
nei pensieri di Raptor la visuale schiarirsi per mostrare la lapide
distrutta e frammenti di rubino sparsi per terra. Urlò,
strepitò,
si dimenò, invaso da una rabbia folle, troppo grande per
essere
contenuta nel gracile corpo che lo ospitava. La sua coscienza si
liberò, e di nuovo, non era che puro spirito,
un’essenza, un ombra
di se stesso. Non rimase a guardare il corpo di Raptor sgretolarsi al
suolo, devastato per l’uscita del suo parassita. Doveva
tornare al
suo esilio.
Fu
il dolore intenso alla cicatrice a far svegliare Harry. Aprì
gli
occhi, l’eco di una furia agghiacciante ai margini della
coscienza,
residuo di un sogno confuso. Sbatté le palpebre un paio di
volte,
cercando di mettere a fuoco il posto dove si trovava. Era
nell’infermeria e seduto vicino a lui,
l’espressione
impenetrabile e gli occhi che dardeggiavano di rabbia e
preoccupazione, c’era Piton.
«La
pietra…» mormorò debolmente Harry.
Aveva la bocca secca. Come
intuendolo, Piton gli porse un bicchiere d’acqua e lo
aiutò a
mettersi a sedere e bere. Si sentiva indolenzito, ma non provava
dolore. Si portò una mano alla scapola, e si accorse che la
schiena
era ricoperta da bende. I ricordi si agitarono confusi nella sua
testa. La pietra. Voldemort aveva la pietra? E Philippe.
Strabuzzò
gli occhi. «Diventerò…?»
domandò, spaventato.
«No»
replicò con fermezza Piton «Sei stato fortunato.
Non sei stato
morso, solo graffiato. Non ti rimarranno nemmeno le cicatrici,
considerato che ho richiuso in tempo le ferite».
Graffiato.
Che bel modo per dire che era quasi stato squartato vivo pensò
Harry. «Philippe sta bene?»
«Leroy
aveva solo qualche livido, Madama Chips l’ha sistemato in
pochi
minuti. Ieri notte non aveva preso la pozione antilupo da me
preparata, come immagino tu abbia compreso. Suppongo che la sua
mancanza sia in qualche modo connessa al fatto che hai pensato bene
di far saltare in aria i miei appartamenti» disse Piton,
sarcastico.
Ora che si era accertato che Harry stesse bene, sembrava pronto a
fargli una sfuriata. Aprì la bocca, probabilmente per dire
che era un
idiota e che avrebbe passato la vita a ripagarlo per i danni che
aveva causato, ma Harry fu salvato dall’ingresso
nell’infermeria
di Albus Silente. Come lo vide, Piton si alzò immediatamente
in
piedi e lo raggiunse. I due mormorarono qualcosa che il ragazzo non
capì, e poi, dopo avergli lanciato un’ultima
occhiata
inceneritrice, Piton uscì e Silente si sedette affianco a
lui.
Harry
non aspettò che il preside parlasse.
«Sarò espulso?» chiese,
sentendo il mondo crollargli addosso.
Silente
scosse vigorosamente il capo. «No, Henri, non sarai
espulso» disse
con tono grave «però vorrei che mi spiegassi
quello che è successo
la scorsa notte».
Così
Harry cominciò a raccontare, omettendo le cose
più importanti e
pregando che Silente credesse alle sue mezze verità.
Parlò
dell’incontro col cane, senza approfondire le circostanze che
lo
avevano portato al corridoio proibito, di come avesse notato la
botola e avesse fatto il collegamento con la Gringott. Disse che
aveva dedotto che il ladro era a Hogwarts, e che dopo Halloween si era
convinto che fosse Raptor, ma che non aveva parlato con nessuno per
timore di non essere creduto, visto che non aveva prove.
Raccontò di
averlo visto aggirarsi per il terzo piano la notte precedente, e di
essere corso da Piton per avvisarlo, ma di essere incappato in
Philippe.
Silente
non lo interruppe, non gli chiese che ci facesse in giro di notte
vicino al terzo piano, e quindi ben lontano dai sotterranei di
Serpeverde. Non gli chiese perché avesse passato
l’anno a
ossessionarsi con l’oggetto misterioso, né gli
domandò se tra una
deduzione e l’altra avesse intuito anche che era la pietra
filosofale a essere protetta dal cane. Come terminò, Harry
sentì lo
sguardo del preside scrutargli il viso come se volesse leggergli
l’anima, anche se il vecchio mago non stava tentando di usare
la
legimanzia. Sostenne lo sguardo, a disagio. Era consapevole che la
sua versione dei fatti presentava delle lacune, e sapeva che aveva
commesso un grave errore appena sveglio: aveva nominato la pietra
davanti a Piton. Ma non avrebbe potuto spiegare come lo aveva
scoperto senza parlare di Veles, e farla passare per una semplice
intuizione sarebbe stato davvero poco credibile.
Silente
gli sorrise benevolo, gli occhi azzurri che scintillavano divertiti.
Harry sospettò che non avesse creduto a una sola parola del
suo
racconto. «Avresti dovuto confidarti con uno dei tuoi
insegnanti,
Henri, ma fortunatamente tutto si è risolto per il meglio.
L‘ufficio
del professor Piton dovrà essere sistemato e diverse pozioni
sono
andate distrutte, ma l’importante è che sia tu che
il signor Leroy
stiate bene. Le tue ferite guariranno completamente. Il professor
Piton è stato molto abile nel richiuderle, e Madama Chips ha
guarito
i danni provocati dall’inalazione delle pozioni. Ritengo che
per
stasera potrai tornare dai tuoi compagni, ma dovrà essere
lei a
dimetterti. Ora Henri, devo chiederti di promettere che non parlerai
con nessuno della condizione di Philippe. Tu capisci che, facendolo,
comprometteresti la sua presenza qui».
«Non
lo farei mai!» esclamò Harry con forza.
«Philippe è mio amico».
«Molto
bene allora» disse Silente, il volto ora completamente
rischiarato.
«Naturalmente i tuoi compagni non sanno il perché
sei stato
ricoverato in infermeria, ma la tua assenza non dovrebbe causare
molte domande. Un’ultima cosa. Preferirei che tu non facessi
menzione nemmeno di Raptor, con i tuoi compagni. Ora ti lascio,
c’è
qualcuno qui fuori che aspetta impazientemente di parlare con
te».
Silente
si alzò, ma Harry lo fermò. «Aspetti
professore. Cosa è successo
a Raptor e all’oggetto custodito dal cane?»
«Oh,
io non me ne preoccuperei» fece allegramente Silente,
facendogli
l’occhiolino. Uscì dalla stanza, lasciando Harry a
chiedersi che
diamine intendesse. Appena la veste scintillante del preside
sparì,
nell’infermeria entrò Philippe. Il ragazzo
esitò un secondo
all’ingresso, poi parve farsi coraggio e andò a
sedersi affianco a
Harry, evitando accuratamente di guardarlo in faccia. Era molto
pallido, e aveva l’aria di uno che sta per vomitare.
Prima
che Harry potesse dire qualcosa, mormorò, pianissimo
«Avevo cinque
anni». Ci fu una pausa, e Harry decise di aspettare che
riprendesse,
di lasciarlo parlare.
«Avevo
cinque anni, quasi in sei in realtà, e mio fratello, Marc,
solo tre.
Nostro padre, ne avrai senza dubbio sentito parlare dai nostri
compagni, è Nicolas Leroy, il sottosegretario francese. Un
uomo
potente, con molti nemici… non ho mai saputo se fosse stato
per
causa sua, o solo un incidente. Per le vacanze di natale eravamo
andati nella nostra casa di campagna. Solitamente gli elfi domestici
ci controllavano tutto il tempo, ma la sera della Vigilia i nostri
genitori avevano organizzato una festa per i loro amici
dell’alta
società, e tutti i domestici erano impegnati. Credevano che
fossimo
a letto, ma io e Marc non avevamo sonno. Non potevamo partecipare al
party, così siamo sgattaiolati nel parco. Stavamo giocando
quando è
arrivato il lupo; non capii che era un mannaro. Non ricordo molto di
quello che successe dopo. So solo che mi svegliai nel mio letto, ma
ero debole e non riuscivo a parlare o aprire gli occhi. Alternai
momenti di incoscienza a momenti di veglia per giorni. Attorno a me
avvertivo delle presenze, degli estranei. Solo una volta
sentì la
voce di mio padre vicino al mio capezzale. Ricordò
perfettamente
quello che disse. “Non li voglio, portate questi mostri fuori
dalla
mia casa”. Provai a parlare, a chiamarlo, ma ero troppo
debole. Non
so quanto altro tempo passò, ma finalmente mi ripresi. Aprii
gli
occhi. Ero ancora nella mia stanza, e mio fratello era in piedi
davanti a me; con lui c’era un uomo che conoscevo di
sfuggita, uno
dei dipendenti di mio padre. Mi lanciò dei vestiti, mi disse
di
metterli, di sbrigarmi. Io lo feci, anche se ero confuso. Chiesi dove
fossero i miei genitori, e lui rispose che non ne avevo. Marc
iniziò
a piangere; chiamava mamma e papà. L’uomo gli
ordinò di tacere e,
spazientito, mi vestì con un incantesimo. Poi
afferrò me e Marc per
la collottola e ci smaterializzò in una strada della Parigi
magica.
Senza dire una parola, si rismaterializzò, lasciandoci
lì da soli.
Vagabondammo per qualche giorno, e saremmo morti se un uomo, un
vampiro, non ci avesse trovati. Era un trafficante, voleva
rivenderci. Rimanemmo con lui per un anno. In un certo senso ci ha
salvato la vita, ma all’epoca sarei anche morto volentieri
pur di
allontanarmi da lui. Eravamo già con lui la prima volta che
ci
trasformammo. Solitamente ci teneva assieme, ma quando c’era
la
luna piena ci chiudeva in due gabbie separate. Questo rendeva le cose
peggiori: un lupo mannaro che si trasforma da solo si fa del male,
mentre stare in gruppo rende la trasformazione più facile e
sopportabile. Credo che lui lo sapesse questo, che lo facesse
apposta. Aveva paura di noi, quando c’era la luna piena. I
giorni
che la precedevano li passavamo senza mangiare, e questo ci rendeva
ancora più aggressivi. Quando ci svegliavamo eravamo di
nuovo
insieme, e io mi prendevo cura delle ferite mie e di Marc. Come
passavano i mesi e nessuno ci comprava, il vampiro diventava sempre
più nervoso. Diceva che eravamo inutili, e non avrebbe
tenuto due
bestie inutili nel suo negozio. E poi una mattina mi risvegliai dopo
la trasformazione, e mi accorsi che Marc era ricoperto di sangue, e il
vampiro stava trafficando con qualcosa, e solo dopo capì che
era il cadavere di un uomo. Il vampiro mi concesse di portare
mio fratello in bagno e lavarlo;
era decisamente di buon umore, disse che aveva trovato un
utilità
per noi. Ero disperato, e come misi Marc sotto la doccia vidi che stava
solo dormendo, e quel sangue non era suo» la voce di
Philippe si strozzò, e un singhiozzo senza lacrime gli
scappò dalle
labbra.
Harry
chiuse gli occhi, pieno di disgusto, compassione e rabbia.
«Non
credo che Marc si ricordi niente. Non ne parliamo mai, comunque, di
quel periodo. Fortunatamente, quello fu l’ultimo plenilunio
che
passammo lì. Pochi giorni dopo, un uomo venne nel negozio.
Un
ragazzo. Ci comprò e ci portò via da quel posto.
Non ci tenne con
sé, ma ci affidò al nostro attuale tutore,
Remus».
«Un
ragazzo?» chiese Harry, ricordando una conversazione avuta
con Lavr
anni prima. «Ho tirato fuori due bambini, due mannari, da un
brutto
pasticcio con un trafficante» gli aveva raccontato il demone,
durante un surreale discorso sulle buone azioni.
«Si,
un giovane molto strano. Me lo ricordo molto bene. Non credo fosse un
umano. Non aveva odore»
disse Philippe, guardandolo in viso per la prima volta da quando era
entrato nella stanza.
«In
che senso?»
«Sai,
tutte le persone hanno un odore particolare, caratteristico. I
mannari lo sentono, abbiamo un olfatto molto più sviluppato
di
quello umano. Ma lui niente. Non aveva odore. Non ho mai incontrato
nessun altro così».
Harry
non disse niente, e Philippe distolse lo sguardo. Non doveva essere
stato facile, rievocare quei ricordi. Poteva capirlo, lui non parlava
mai dei Dursley, anzi, aveva praticamente rimosso il periodo passato
con loro dalla testa, e quello che aveva passato lui non era niente
confronto a quello che aveva dovuto affrontare l’amico.
Odiava
vederlo così tormentato. Fece per abbracciarlo, ma si
trattenne. Non
sapeva bene come comportarsi. Voleva parlargli, dirgli che era tutto
passato, che era al sicuro e non gli sarebbe più capitato
niente del
genere, ma gli sembravano parole vuote e banali, così non
disse
niente. Si limitò a dargli una veloce, imbarazzata pacca
sulla
spalla. Philippe alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso
stiracchiato, e Harry seppe che aveva capito.
«Remus,
il mio tutore, è inglese» riprese Philippe.
«In quel periodo si
trovava in Francia per cercare lavoro, ma la casa dove abitava era
troppo piccola per starci in tre, così decise di portarci in
Inghilterra. Trovò un lavoro e si prese cura di noi, ma
dovevamo
spostarci in continuazione. Tre lupi mannari attirano inevitabilmente
l’attenzione. Alla fine decidemmo di andare a vivere con gli
altri
della nostra… insomma, altri mannari. Non è stato
facile per
Remus, lui è sempre vissuto con i maghi, ma l’ha
fatto per noi. È
l’uomo più buono e gentile che conosca. Marc lo
chiama papà, e
forse a lui farebbe piacere se lo facessi anche io, ma non posso. Mio
padre è l’uomo che non ci ha pensato due volte a
buttarmi in mezzo
a una strada quando non gli andavo più a genio,
condannandomi a
morte o peggio. Remus è quello che mi ha accolto nonostante
non
fosse obbligato, nonostante non ci fosse nessun legame sanguigno tra
di noi, è quello che ha passato gli ultimi quattro anni
della sua
vita a sacrificarsi per dare a me e Marc una casa, del cibo, e tutto
l’affetto del mondo. Non posso chiamarlo padre, lui non ha niente
a che fare con Nicolas, e usare lo stesso appellativo per entrambi
sarebbe come metterli sullo stesso piano». Lo disse con
rabbia, ma
poi aggiunse, più debolmente «Non so se lo sa,
però. Vorrei
spiegarglielo, vorrei dirgli quanto lo apprezzi e quanto tengo a lui,
ma non ci riesco. Per Marc è diverso, lui non ricorda molto
del
prima, ma io…» scosse il capo.
«Sono
sicuro che lo sa» lo rassicurò Harry, dolcemente.
«Vivere
col branco
è strano. Ci hanno accolti come fossimo figli loro. Per loro
è
normale, è tradizione che i bambini vengano allevati da
tutta la
collettività. Con Remus invece erano più
diffidenti all’inizio,
perché si comporta come un mago, ma l’hanno
accettato lo stesso
alla fine. È come una grande famiglia, anche se ci sono
alcune
tensioni. Stare con loro ha reso anche le trasformazioni più
facili,
meno dolorose. Ma poi l’anno scorso, Remus ci ha lasciato per
qualche settimana, e quando è tornato, era raggiante. Ci
prese da
parte e ci chiese se volessimo fare un viaggio con lui. Noi andammo,
anche se gli altri non ne erano molto entusiasti. Quando ci fummo
allontanati dal branco, Remus iniziò a parlarmi di Hogwarts.
Mi
parlò della sua trasformazione, dei suoi genitori, e di
come, quando
nessuno pensava fosse possibile, il preside lo avesse contattato e
gli avesse offerto di studiare con i maghi. Mi raccontò dei
suoi
anni di scuola, dei suoi amici. Io lo ascoltavo, e la speranza mi
cresceva nel petto, mi chiedevo se stesse dicendo quello che credevo.
Perché fin da piccolo mi avevano raccontato storie su
Beauxbatons, e
io avevo sempre desiderato andarci, ma avevo creduto che quella
possibilità fosse svanita per sempre. E invece Remus mi
portò a
Diagon Alley, e lì ci raggiunse Silente. Mi offrì
un posto qui, mi
disse che non avrei avuto gli stessi problemi che aveva avuto Remus,
perché ora c’è la pozione antilupo, e
il Potion Master della
scuola me l’avrebbe preparata ogni mese. Io lo ascoltavo,
troppo
felice per credergli. Mi disse che aveva preso tutte le misure
necessarie perché il mio segreto restasse tale; la pozione
mi
avrebbe lasciato il controllo sulla bestia, e avrei passato le notti
da licantropo al sicuro nell’ufficio del mio capocasa.
Certo»
aggiunse divertito «chiaramente non credeva che sarei stato
smistato
a Serpeverde. Questo ha un po’ complicato le cose,
perché tra
Piton e Remus non scorre buon sangue, ma alla fine Piton si
è
abituato a sopportare la mia presenza, credo».
«Piton
e Remus si conoscono?»
Philippe
annuì. «Andavano a scuola assieme. Remus era un
grifondoro, sai, e
hanno avuto qualche dissapore».
«Remus
Lupin!» realizzò Harry, stupefatto. Certo,
aveva letto il suo nome nel fascicolo di Piton.
«Come
lo sai?» chiese Philippe.
«Oh,
ho trovato il suo nome nel registro dei vecchi prefetti»
replicò
noncurante. Non era una vera bugia, l’aveva effettivamente
visto
mentre cercava quello di suo padre, all’inizio
dell’anno. Ma
James Potter non era mai stato prefetto, e dopo aver letto le note di
Piton, non ne era certo sorpreso.
«Se
ci penso ora, mi sembra ancora incredibile. Silente mi ha offerto
quello che credevo di aver perso per sempre. Avere una bacchetta,
studiare la magia, non sono cose scontate per uno come me. Quasi
tutti i membri del mio branco hanno sempre vissuto tra i licantropi e
non sanno usare i loro poteri, ma io nonostante tutto non riesco a
pensare a me come un mannaro. Io sono un mago, e questo è il
mio
posto. Gli altri non lo capiscono però. Erano decisamente
contrariati quando l’hanno scoperto. L’hanno preso
come un
tradimento, erano infuriati con Remus. Ci hanno accolto quando non
avevamo niente; per loro “andare a fare gli animaletti da
compagnia
dei maghi” è come sputare sulla loro
generosità. Abborriscono
l’idea di prendere una pozione per controllare la bestia.
C’è
stato uno scontro. Remus voleva portarci via, lui e la Luna hanno
litigato violentemente».
«Come
scusa?» fece Harry, senza capire.
«La
Luna. La capobranco. E’ lei che comanda, e la sua
autorità è
assoluta, le sue decisioni indiscutibili. Quello che ha fatto Remus,
iscrivermi a Hogwarts senza consultarla, è un gesto
gravissimo. È
stato punito per quello. Ma alla fine la Luna ha acconsentito a
mandarmi qua a studiare, perciò non abbiamo dovuto lasciare
il
branco. Marc era quanto mai contrariato. Ha tenuto il broncio a me e
Remus per una settimana. Lui la pensa come gli altri
licantropi»
spiegò, vedendo la faccia perplessa di Harry «Non
approva il fatto
che sia venuto qui, allontanandomi dalla mia razza». Fece un
sorriso
amareggiato. «E’ arrabbiato con Remus per aver
disobbedito alla
Luna. E quando non sono tornato per Natale ha smesso di scrivermi. Ma
gli passerà, non mi preoccupo. Sono sicuro che come mi
vedrà gli
sarà già passato tutto. E probabilmente
vorrà venire anche lui,
quando avrà undici anni. Almeno, questo è quello
che spera Remus».
«Non
riesco a immaginare che esista qualcuno che non vuole studiare a
Hogwarts» disse Harry.
«Nemmeno
io» sorrise Philippe. «Sono in debito con Silente.
Si è battuto
molto perché potessi venire qui. Quando mio padre
l’ha scoperto,
non ne era molto felice. Ha scomodato tutte le sue conoscenze
altolocate per impedirlo».
«Sembrano
tutti convinti che tu sia un figlio illegittimo»
asserì Harry «Com’è
possibile che nessuno sappia di voi? Intendo, come ha fatto a
nascondere di avere due figli?»
«Oh,
scommetto che non è stato difficile» rispose
Philippe, amaro.
«Vedi, è tradizione fra le famiglie purosangue che
i figli
debuttino in società solo dopo aver compiuto sei anni.
Così è più
facile nascondere eventuali maghino, perché la magia si
manifesta
entro i sei anni. Solo pochi amici intimi sapevano della nostra
esistenza, e senza dubbio li avrà messi a tacere».
Harry
aprì la bocca, ma poi la richiuse. Non avrebbe saputo
esprimere la
rabbia che provava, a meno di lanciare un’imprecazione tale
da far
arrivare il ministro della magia in persona per espellerlo.
«Lo
so» disse Philippe, solidale.
«Se
la gente lo sapesse…»
«Starebbero
dalla sua parte. Non capisci? I maghi odiano i lupi mannari. Per
questo il gesto di Silente è tanto incredibile. Mi ha dato
molta
fiducia, e non ne ha ricavato che guai».
«Se
ti riferisci a ieri sera, è stata solo colpa mia. Merlino,
non so
cosa mi sia preso. Ho fatto saltare in aria l’ufficio di
Piton!
Dovevo essere impazzito».
Philippe
ridacchiò. «Sicuramente la fortuna ci odia. Se
fosse successo
qualsiasi altro plenilunio, non sarebbe accaduto niente».
«In
che senso?»
«Generalmente
prendo la pozione anti lupo dal giorno prima. In piccole dosi, sai.
Ma questa volta non potevo, perché mi lascia debilitato, e
questa
settimana avevo gli esami. Così Piton mi ha preparato una
versione
più forte della pozione, da prendere poco prima della
trasformazione».
«Merlino
che sfiga» convenne Harry, ridendo.
Risero
per un bel po’. Entrambi ne avevano disperatamente bisogno.
Quando
si calmarono, Philippe chiese, esitante: «Quindi…
siamo apposto?»
«Sì»
sorrise Harry «siamo apposto».
«Un
falso?» chiese Severus, sicuro di aver capito male. Aveva
passato la
notte a rimediare ai disastri combinati da Montblanc, e solo ora che
il marmocchio si era svegliato e stava bene – non per molto,
sul
quello non c’erano dubbi – era riuscito a salire
nell’ufficio
di Albus. Aveva domandato, con il cuore in gola e le mani fredde,
cosa ne era stato della pietra. La risposta non avrebbe potuto essere
più sorprendente.
«Un
falso» confermò Silente, trionfante.
«Io
non capisco» ammise Severus.
«Siediti
Severus, siediti. Ti spiegherò tutto. Da un anno ormai avevo
il
sospetto che Voldemort fosse tornato in Inghilterra e che fosse sulle
tracce della pietra filosofale, all’epoca custodita alla
Gringott.
E avevo ragione. Parlai con Nicolas e Petronella, e li convinsi a
farmi spostare la pietra. Giusto in tempo, aggiungerei. Poche ore
dopo che la camera era stata svuotata, Voldemort fece la sua mossa.
Comprendevo il pericolo in cui ci trovavamo. Voldemort avrebbe fatto
di tutto pur di prendere la pietra. Così io e Nicolas
parlammo a
lungo e convenimmo che il pericolo costituito dalla pietra era troppo
grande. Decidemmo di distruggerla. Ma la pietra filosofale è
forse
l’artefatto magico più potente mai creato, per
niente facile da
danneggiare. Nicolas e Petronella dipendono dall’elisir, e
perciò
l’hanno costruita in maniera tale che possa essere distrutta
solo
da un lungo e complicato rituale. Sarebbero serviti mesi, e nel
frattempo dovevamo impedire che Voldemort capisse quello che volevamo
fare e agisse. Così pensammo a un’esca per tenerlo
occupato.
Prendemmo due piccioni con una fava: fargli credere che la pietra
fosse qui a Hogwarts era la cosa migliore, perché era il
primo posto
in cui avrebbe cercato in ogni caso; inoltre avevo dei sospetti su
Raptor, e in questo modo avrei potuto tenerlo d’occhio da
vicino. E
tutto è andato come previsto. Ieri notte, mentre Voldemort
dedicava
le sue energie a impadronirsi di un falso, io e Nicolas abbiamo
completato il rituale. La pietra non esiste più».
«E
dove l’avete tenuta, per tutto questo tempo?»
«A
casa di Nicolas».
«E
non avete pensato… se il Signore Oscuro avesse scoperto il
vostro
bluff, non avrebbe avuto difficoltà a prenderla da
lì» disse
Severus, irato.
«Ah,
ma ero certo che Voldemort non avrebbe mai scoperto la
verità. Vedi,
lui sa che Nicolas e Petronella hanno bisogno dell’elisir per
vivere. Ho sfruttato la sua più grande debolezza, la sua
incapacità
di comprendere che ci sono cose peggiori della morte, e che esistono
uomini e donne infinitamente più saggi di lui che non la
temono
affatto».
«Potevi
dirmelo» disse il pozionista, non senza astio. «Ho
passato l’anno
a correre dietro a Raptor…»
«E
hai fatto un ottimo lavoro, Severus» replicò
Silente con dolcezza.
«Avevo bisogno di qualcuno che controllasse Raptor, che si
assicurasse che non ci fossero incidenti. Mi dispiace solo che quello
che è accaduto nei sotterranei abbia contribuito a
facilitarne la
fuga, ma qualcosa mi dice che Raptor non sarà più
un problema.
Quando Voldemort scoprirà della pietra – sempre
che non lo sappia
già – sarà troppo furioso per
ricordarsi che Raptor gli serve,
temo».
Severus
sbuffò. Se il preside aveva ragione, lui non avrebbe speso
nemmeno
una lacrima per l’ex professore di difesa. Non
poté però fare a
meno di chiedersi se non ci fosse dell’altro, nelle azioni
del
preside. Se non avesse progettato quella messinscena anche per
accertarsi della sua lealtà, ora che Potter era morto.
«Henri
Montblanc è un giovanotto molto interessante, non
è vero?» cambiò
argomento Silente, distogliendolo dai suoi pensieri.
«E’
un vero piantagrane, anche se incredibilmente dotato» disse
Piton,
sforzandosi di non pensare a quanto esattamente fosse talentuoso
Henri. Rettilofono.
«Davvero.
Non essere troppo severo con lui, la curiosità non
è un peccato in
un ragazzo così giovane».
«Ha
messo in pericolo la sua vita e quella di Leroy, distrutto il mio
laboratorio e indirettamente agevolato la fuga di Raptor. Direi che
una punizione sia il minimo».
«Ne
ha avuto molte di punizioni con te, se non sbaglio»
commentò il
preside, gli occhi che scintillavano divertiti. «Forse
togliergli
qualche punto sarebbe più efficace. Cinquanta punti in meno
a
Serpeverde per il suo comportamento irresponsabile della scorsa
notte. Mi sembra equo, non credi?»
Piton
si alzò in piedi, pronto a congedarsi. «Vinceremo
comunque la
coppa» disse con malevola soddisfazione.
«Ah
Severus, non devi mica dirlo a me. Io sono imparziale»
replicò
Silente, divertito.
Il
banchetto di fine anno fu stupendo. La Sala Grande era arredata con
stendardi verde e argento, in onore della casa vincitrice. Serpeverde
si era assicurata la coppa per il settimo anno di fila, e le serpi
non avrebbero potuto esserne più felici. Harry e Philippe
presero
posto vicino agli altri del primo anno. Nessuno aveva voglia di
litigare l’ultimo giorno, e il clima da festa, che a onor del
vero
non toccava le altre case, li rese tutti amici, almeno per quella
sera. Harry sentiva la mente sgombra come non gli capitava da
settimane. Si era ricordato del sogno, infine. La pietra era un
falso, e Raptor era morto. Voldemort era inoffensivo, almeno per il
momento. Appena uscito dall’infermeria si era precipitato a
mandare
un messaggio a Lavr, memore della promessa di tenere aggiornato Veles
in tempo reale, e poi aveva lasciato che il pensiero di Voldemort
scivolasse dalla sua mente, lasciandolo libero di godersi la festa e
i suoi ultimi giorni a Hogwarts. L’indomani sarebbero usciti
i
risultati degli esami, e fra due giorni sarebbe salito sul treno per
fare ritorno a casa. Era stato un anno complicato, e l’ultima
settimana gli aveva riservato fin troppe sorprese.
Lo
sguardo gli cadde sul tavolo degli insegnanti. Piton ghignava
soddisfatto, gli occhi scuri puntati sugli stendardi. La McGranitt
chiacchierava con Vitious, voltandosi però di tanto in tanto
a
fulminare con lo sguardo il collega di pozioni. Silente era immerso
in una fitta conversazione con la Sprite, ma parve sentirsi
osservato, così si girò verso Harry. Gli sorrise,
e alzò
lievemente il calice nella sua direzione. Anche Harry sorrise. Sapeva
che aveva catturato l’interesse del preside, e questo non
poteva
che portargli grane, ma al momento non gli importava. Nonostante quel
che pensava del vecchio mago, era grazie a lui se Philippe ora stava
seduto con loro. Forse aveva ragione Veles, forse Silente era
colpevole quanto gli altri maghi per le discriminazioni subite dai
non umani, forse avrebbe potuto fare di più; ma si era
esposto,
aveva lottato affinché Philippe avesse la
possibilità di
frequentare Hogwarts. Aveva accolto Philippe, e aveva accolto Remus
Lupin, quando nessun altro l’avrebbe fatto, e questo Harry
non
poteva ignorarlo.
Harry
distolse lo sguardo dalla tavola degli insegnanti, per osservare
divertito la tristezza e la delusione delle altre case. Ricordava
come se fosse trascorso solo un giorno il discorso di Piton alle
matricole. State
uniti, perché vi troverete a fronteggiare tutta la scuola. Non
era giusto, ma era la realtà delle cose, e nonostante tutto
Harry
non avrebbe voluto essere in nessun altra casa. Gli sarebbe mancata
Serpeverde. Gli sarebbe mancato il dormitorio, sinistro ma regale,
gli sarebbero mancate le ore passate a giocare con Philippe in Sala
Comune, le partite a Quidditch, persino le frecciatine scambiate con
Draco.
E
parlando di Malfoy…
La
notte trascorsa in infermeria non era affatto passata inosservata.
Come era tornato al dormitorio, Draco lo aveva sottoposto al terzo
grado. Dov’era stato, cosa aveva avuto, se ora stava meglio. Se
avrebbe cominciato a sparire regolarmente come Leroy.
Draco
poteva essere immaturo e viziato, ma non era stupido, e il tono con
cui aveva posto l’ultima domanda non gli era piaciuto per
niente.
Cominciava ad avere dei sospetti, e Harry sapeva che Malfoy era
l’ultima persona al mondo che avrebbe mai dovuto scoprire il
segreto di
Philippe.
Il
tavolo di grifondoro era il più silenzioso di tutti; i
grifoni
sembravano essere in lutto, e a ragione. Erano addirittura finiti
ultimi in classifica. Harry notò che Weasley e i suoi amici,
i
colpevoli della situazione, sembravano cercare di passare il
più
inosservati possibile, senza molto successo. Ghignò
divertito,
scorrendo le facce mogie dei grifondoro, finché non si
accorse che
uno dei gemelli, impossibile dire quale, stava guardando dritto nella
sua direzione. Fred, o forse era George, si portò lentamente
due
dita vicino agli occhi, per poi puntarle verso di lui, nel gesto
universalmente noto come: “ti tengo
d’occhio”. Harry distolse
lo sguardo, sempre sorridendo. Decisamente, il prossimo anno si
preannunciava interessante.
Lavr
prese a giocherellare con il bicchiere vuoto davanti a sé,
attendendo che Veles si ricomponesse. Non appena gli era arrivata la
lettera di Harry, era andato a far visita al vampiro alla corte. Gli
aveva mostrato la lettera. Veles l’aveva letta d’un
fiato, e poi
si era accasciato sulla sedia e aveva iniziato a sganasciarsi senza
ritegno.
Il
demone attese pazientemente, con solo un sopracciglio alzato a
indicare quanto trovasse poco fine la reazione dell’amico.
Finalmente, Veles parve calmarsi. Tornò a sedersi in una
posizione
più composta, ancora scosso da qualche risata, e
asciugò con la
manica le lacrime causategli dal troppo ridere.
«Oh,
è fottutamente magnifico. Un falso. Un falso! Dio, pagherei
per
vedere la faccia di Voldemort. A parte il fatto che non ha una
faccia».
«Sono
lieto che tu la prenda così bene»
commentò Lavr.
«Perché,
come dovrei prenderla? È incredibilmente divertente, pensare
che il
grande Lord Oscuro abbia passato un anno a dar la caccia a un
falso»
celiò allegramente Veles, prendendo il calice dalle mani di
Lavr e
facendo cenno a uno dei servi presenti nella stanza di avvicinarsi
per riempirlo.
«Come
te» replicò Lavr «Non hai forse speso
tempo e risorse dietro alla
pietra? Non hai forse passato un anno a ossessionarti, arrivando a
implorare un undicenne umano di tenerti informato sulle mosse di
Raptor?».
L’espressione
di Veles non cambiò, ma Lavr lo conosceva abbastanza bene da
notare
il leggero tremito della sua mascella. Il servo si chinò per
versare
del sangue nel calice. Con un gesto fulmineo, troppo veloce per
l’occhio umano, Veles estrasse un paletto dalla veste, lo
ficcò
nel cuore dell’altro vampiro, si sollevò in piedi
e in un impeto
di rabbia diede un calcio alla sedia, mandandola a frantumarsi
dall’altra parte della stanza, per poi rovesciare il tavolino
e
ogni altro costoso oggetto che gli capitasse a tiro, accompagnando ogni
tonfo
con un’imprecazione. Con un sorriso divertito, Lavr decise di
lasciare l’amico alla sua distruzione catartica, e si
smaterializzò
al Palazzo.
Note dell'autore: okay, vi chiedo un minuto
del vostro tempo
per leggere le note. Ci sono due punti di cui vorrei parlarvi relativi
a questo
capitolo :)
Punto primo: la pietra. Credo che nessuno di voi si
aspettasse questo, e quindi
vorrei spiegarvi il motivo per cui l'ho fatto. La storia
della pietra non
mi ha mai convinta. Perchè offrire a Voldemort la
possibilità di tornare e
scatenare un'altra guerra su un piatto d'argento? A parte Fuffy e lo
specchio,
le altre protezioni erano un po' una barzelletta diciamocelo... non
hanno
fermato nemmeno tre undicenni, figuriamoci un mago geniale come
Voldemort. E
dopo che il signor oscuro per poco non è risorto, Silente si
sveglia e pensa:
toh! Forse dovremmo distruggere la pietra! Secondo me non regge...
infatti sono
portata a pensare che Silente avesse intenzione di far affrontare Harry
e
Voldemort. Altrimenti perchè dargli il mantello e fargli
vedere lo specchio? Ma
visto che in questa storia Harry non c'è, o almeno
così crede Silente, dovevo
trovare un altro motivo per far mettere la pietra a Hogwarts. Questa
soluzione
mi sembra sensata, e francamente anche divertente: non ho potuto fare a
meno di
flasharmi Voldemort che se ne va bello soddisfatto con una pietra made
in
china. Ehm. Spero che il tutto sia risultato credibile :)
Secondo punto: Questo capitolo e molto importante per
me, e non vedevo
l'ora di pubblicarlo. Il motivo è che finalmente viene
svelata la storia di
Philippe. Perchè Veles è fuori di testa, e Lavr
è inutile, ma Philippe e Marc
sono i miei bambini, e per questo non posso essere molto obiettiva nel
giudicare quello che ho scritto. Per questo vi chiedo di dirmi voi cosa
ne
pensate, se sono riuscita a trasmettervi un po' dell'amore che provo
per questo
lupacchiotto o se invece non sono riuscita per niente a
caratterizzarlo. E
sempre a questo proposio: ieri sera, mentre mi apprestavo a coricarmi
tutta
felice perché l'indomani avrei pubblicato, è
arrivata, inaspettata e non
richiesta, l'ispirazione. E quando l'ispirazione arriva, non si
può scacciarla
per motivi futili come il fatto che sia mezzanotte passata e l'indomani
bisogna
svegliarsi presto per studiare. Così mi son messa di buona
lena e ho scritto
una spin off introspettiva: i pensieri di Remus sulla sua vita e sui
lupacchiotti
che si è dovuto accollare. E ora non so se aspettare a
pubblicarla a quando
entreranno in scena Remus e Marc (ossia al terzo anno) o se farlo
adesso.
Lascio la scelta a voi. Se questo capitolo vi è piaciuto e
siete impazienti di
saperne di più sul rapporto tra Remus e i suoi protetti
fatemi un fisc
hio ;)
Alla prossima, sperando sia presto. Baci.
|
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Capitolo 18 *** Ritorno a Hogwarts ***
Harry
sollevò la bacchetta d’ebano. Prese un bel
respiro, eseguì un
movimento rotatorio con il polso e pensò con forza Expelliarmus.
Ci fu un lampo, e il pezzo di legno stretto nel pugno del manichino
davanti a lui volò lontano.
«Non
male.» commentò Lavr. «Mi stupisce
però che non avessi ancora
provato questo incantesimo. Mi sembri piuttosto interessato agli
incantesimi di difesa.»
Harry
non rispose. Ripose con estrema cura la bacchetta nella tasca del
mantello e focalizzò la sua attenzione sul manichino, il
quale –
sicuramente grazie a Lavr- aveva di nuovo impugnato la finta
bacchetta. Non era la prima volta quell’estate che si
esercitava in
questo modo. Sperimentava, cercava di comprendere il perché
fosse
l’unico tra i suoi compagni a usare la magia senza bacchetta.
Aveva
provato a eseguire senza l’ausilio della sua fedele bacchetta
d’ebano incantesimi che Lavr gli aveva insegnato da piccolo,
e non
aveva incontrato difficoltà. Il contrario, per qualche
sconosciuto,
frustrante motivo, era più difficile. Anche ora, non
riusciva a
disarmare il manichino senza bacchetta, forse perché non
riusciva a
far a meno di scacciare dal sua mente quella parola. Expelliarmus.
Aveva
chiesto a Lavr se conoscesse una spiegazione per questo fenomeno, ma
il demone non era un grande esperto di magia umana. Aveva
però
acconsentito a sottoporsi a un piccolo esperimento: aveva provato a
eseguire lo stesso incantesimo prima al suo solito modo, ovvero con
il solo pensiero, poi con la bacchetta di Harry, e non aveva
riscontrato differenze. Era anche riuscito a effettuare
l’incantesimo
usando una combinazione dei due metodi: senza bacchetta ma enunciando
la formula, cosa che a Harry non era mai riuscita. La cosa aveva
incuriosito molto Harry, mentre Lavr non si era mostrato interessato
alla faccenda, né si era scomposto quando il suo protetto
gli aveva
parlato della sua paura che il suo grande potere fosse dovuto solo
all’influenza del demone. L’indifferenza del suo
tutore verso un
argomento che lo riguardava e che lo tormentava tanto aveva lasciato
Harry ferito. Lavr sembrava incapace di capire quanto fosse
importante per lui scoprire l’origine dei suoi poteri; se
erano
veramente i suoi, o se non erano che un riflesso del potere del
demone, e lui, Harry, non era niente di speciale.
Questi
dubbi lo avevano ossessionato da quando era tornato a Palazzo. Visto
che Lavr aveva liquidato le sue domande con una scrollata di spalle,
aveva deciso di fare da sé. Non era una ricerca facile. Per
scoprire
da dove venivano i suoi poteri, dove prima cogliere l’essenza
stessa della magia. Era sicuro di poter trovare delle risposte
nell’immensa biblioteca del Palazzo, ma gran parte dei testi
erano
scritti in lingue a lui incomprensibili e, come se non bastasse, il
Palazzo sembrava restio a rivelare i segreti della biblioteca.
Più
di una volta, Harry aveva vagato per ore nel dedalo di corridoi
divisi da alti scaffali, solo per ritrovarsi all’ingresso.
Era
snervante. Si era persino chiesto se non fosse Lavr a mettergli i
bastoni tra le ruote, ma aveva dismesso il pensiero. Non era nello
stile del demone un atteggiamento tanto puerile; se non avesse voluto
che Harry frugasse tra i suoi libri glielo avrebbe semplicemente
detto. No, era il Palazzo che lo ostacolava, e il ragazzo aveva
un’idea del perché. Il Palazzo cambiava
continuamente,
inesorabilmente, approfittando dell’indifferenza del suo
padrone.
L’unica parte che rimaneva immutata, statica, era la
biblioteca.
Harry aveva la sensazione che questa fosse il centro del Palazzo, non
il cuore pulsante, perché era Lavr con la sua magia che lo
alimentava, ma il cervello.
Sapeva
di aver bisogno dell’aiuto del suo mentore se voleva avere
delle
risposte, ma lo seccava insistere quando l’altro gli aveva
fatto
capire di non essere minimamente interessato alla questione. Visto
che non riusciva a trovare informazioni tra i libri, si era messo a
testare il suo potere.
Ed
ecco perché giorno dopo giorno si ritrovava lì,
bacchetta alla
mano, a provare ogni sorta di incantesimi sul manichino. Se le sue
ricerche sulla magia si erano rivelate infruttuose, almeno poteva
consolarsi pensando a tutti gli incantesimi che aveva imparato, molti
dei quali avanzati per la sua età.
Eppure
era frustrante! Possibile che nessun altro si fosse posto il
problema? Perché a Hogwarts, anziché sommergerli
di temi inutili,
non gli spiegavano come funzionava la magia? Perché nessuno
si
sforzava di usare la magia senza bacchetta, quando la maggior parte
delle creature magiche la padroneggiavano senza difficoltà?
Colto
da un pensiero improvviso, chiese a Lavr: «Perché
i vampiri non
riescono a usare la magia, anche quelli che da vivi erano
maghi?»
Il
demone lo guardò, impenetrabile come di consueto.
«Dopo qualche
secolo, necessario per riacquistare un minimo di controllo sui loro
impulsi, riescono nuovamente a usarla».
«Ma
in maniera estremamente limitata. Persino Veles può solo
Smaterializzarsi e usare il Fascino, e lui è il Signore dei
vampiri».
«Non
ho risposte, Harry.» disse Lavr placidamente.
«Come
fai a non avere risposte?!?» esplose finalmente il ragazzo,
esprimendo i pensieri che lo avevano tormentato tutta
l’estate.
Senza curarsi di abbassare la voce, continuò: «Tu
sei un demone,
puoi tutto, non c’è niente che
tu non sia in
grado di fare. Io mi sto dannando a imparare incantesimi, ho passato
tutta l’estate cavandomi gli occhi su libri giganteschi che
divenivano bianchi o sparivano con un puf
non
appena trovavo qualcosa di interessante. E tu, tu non puoi non
saperlo. E se anche non lo sai, ti basterebbe schioccare le dita per
avere tutte le risposte!». Si fermò per riprendere
fiato. Si
sentiva accaldato e probabilmente aveva il volto paonazzo.
Lavr
non era trasalito, né aveva mutato espressione. Quando
parlò, lo
fece con la sua solita voce.
Piatta,
priva di emozioni. Irritante.
«Credo
che ti stai scontrando con un problema troppo vasto. Se vuoi ottenere
delle risposte, devi fare domande più specifiche, esaminare
un
problema alla volta. Sei ancora molto giovane, persino per i canoni
umani, e ci sono molte cose che non sai. Mi chiedi perché i
vampiri
non
sono in
grado di usare la magia come i maghi, sebbene un tempo lo fossero.
Non lo so. Non mi sono mai interessato alla questione. Del resto io
non sono un vampiro. Lo so,» aggiunse, vedendo che stava
aprendo
bocca per replicare, forse per rimettersi a urlare «non
capisci,
perché tu sei curioso, hai milioni di domande in testa e ti
affanni
alla ricerca delle risposte. Ma devi capire che io non sono
così,
non sono mosso dalla tua frenesia; queste domande non me le pongo.
Adesso che l’hai formulata tu, potrei provare a rispondere,
ma
dubito che troveresti le mie ipotesi soddisfacenti, perché
si
baserebbero su informazioni che tu non possiedi. Ed è questo
il
problema. Come puoi chiederti come funziona la magia, e avvalerti
dell’esempio di una razza per formulare un’ipotesi,
se su di essa
sai poco e niente?»
Harry
rimase in silenzio, mordendosi il labbro. Una parte di lui trovava il
discorso di Lavr profondamente ingiusto. Lui non era ignorante in
materia di vampiri, ne sapeva più della maggior parte dei
maghi,
almeno stando ai discorsi che sentiva a Hogwarts. Del
resto pensò
risentito, per
lui non ha importanza se sono il migliore del mio corso, o se conosco
incantesimi del quarto e quinto anno. Non sono al suo livello, sono
solo una formica.
Senza rispondere, Harry lasciò la stanza.
Quella
sera, Lavr si Smaterializzò alla Corte. Notò con
una vaga punta di
fastidio che Veles non era solo. Nella grande stanza dei ricevimenti
gruppetti di vampiri si affaccendavano da una parte all’altra
,
bisbigliavano concitati, scoccando occhiate furtive al loro Signore.
La stanza, arredata in stile antico, era occupata da un lungo tavolo
dove il Signore dei vampiri era solito tenere i consigli di guerra.
Veles era seduto a capotavola; un vampiro non molto alto era chinato
su di lui, e gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Lavr
aspettò
che Veles lo congedasse, prima di avvicinarglisi.
Forse
non era in grado di capire cosa passasse per la testa di Harry
– in
quel periodo meno che mai – ma conosceva Veles da
più di un
millennio, e sapeva leggerne l’espressione. Se non era
inusuale
vedere il Signore dei vampiri scuro in volto, l’espressione
distante e riflessiva, le rughe sulla fronte aggrottata e la posa
forzatamente rilassata non comparivano spesso. Solitamente, quando
qualcosa lo turbava, Veles non si faceva remore a mostrarlo: il viso
diventava la maschera di una belva, urlava e distruggeva qualsiasi
cosa – o persona – gli si avvicinasse. In quel
momento, invece,
sembrava far appello a tutte le sue forze per mantenere la calma. La
mano sinistra giocherellava distratta con le ciocche bionde che
ricadevano sul viso, dandogli un’aria noncurante, ma Lavr non
mancò
di notare la mano destra che, sotto il tavolo, apriva e chiudeva il
pugno, le unghie conficcate nella carne fino a farla sanguinare. Era
successo qualcosa, qualcosa di molto grave.
Veles
dovette accorgersi del suo sguardo, perché lasciò
ricadere entrambe
le mani. Obbedendo a un ordine non espresso, tutti i vampiri
lasciarono la sala, lasciandoli soli.
«Oggi
sembra proprio che non riuscirò ad avere un po’ di
pace.»
commentò Lavr, sedendosi affianco all’amico.
«Oggi
sembra non esserci pace per nessuno. Anche se mi domando cosa possa
mai turbare l’eterna quiete del tuo Palazzo».
«Harry».
«Ah.»
fece Veles, comprensivo.
Sorprendentemente,
Lavr elaborò senza essere sollecitato. «In questo
periodo è
particolarmente irrequieto. E’ afflitto da molte domande, e
cerca
disperatamente le risposte».
«E
cosa vorrebbe sapere esattamente?»
«L’origine
e il perché del cosmo, a quanto ho capito».
Un
accenno di sorriso distese l’espressione del vampiro.
«Capisco.
Ambizioso, il poppante».
«Fin
troppo.» convenne Lavr, con un tono rammaricato che fece
ridacchiare
il vampiro.
«Non
ti invidio, sai. Ho idea che la tua leggendaria e seccante pazienza
sarà messa a dura prova. Adesso ha dodici anni…
tra poco, ti
ritroverai per casa un adolescente in preda agli ormoni».
«Non
credo sarà così tragica».
«Questo,
vecchio mio, perché non hai idea di ciò che ti
aspetta. Comunque,
se vuoi passare un po’ di tempo lontano da quel buco di
Palazzo,
potresti darmi una mano».
«Ah,
sì, ho notato un certo fermento…che è
successo?»
L’espressione
di Veles si rabbuiò. Si alzò in piedi e gli disse
di seguirlo.
Uscirono dalla
sala e imboccarono il corridoio che portava ai sotterranei. Scesero,
giù, sempre più giù, lungo un stretto
corridoio da cui si aprivano
delle celle, dove erano tenuti i prigionieri. All’interno, si
intravedevano figure accasciate, attrezzi da tortura e bare, decine
di bare. L’aria era impregnata dall’odore del
sangue.
Proseguirono il loro cammino a lungo avvolti da buio impenetrabile.
Non per i loro occhi, comunque. Finalmente,
Veles si fermò davanti a una cella. A differenza delle
altre, questa
non era chiusa da una sbarra di ferro, ma da una porta di pietra.
«In
queste celle, ci sono gli ospiti
di cui mi voglio occupare personalmente.» spiegò
Veles. Come aprì
la porta, un fetore insopportabile assalì le narici di Lavr.
Bastò
a fargli capire che l’abitante della prigione era un essere
umano.
Nella stanza, oltre alla tipiche
immondezze umane
che fecero storcere il naso al demone, c’erano solo una bara
nera e
una figura vestita di stracci rannicchiata a terra, scossa da brividi
e singhiozzi. Veles si avvicinò all’uomo, lo
afferrò senza alcun
riguardo e lo sollevò in piedi, mostrandolo al demone. Era
un uomo
di mezza età, alto, anche se era difficile notarlo ora che
stava
curvo e si reggeva a malapena in piedi. I vestiti che indossava erano
talmente sporchi che era impossibile indovinarne il colore originario
ed erano strappati in più punti. Un tempo dovevano essere
della
misura giusta, ma adesso ricadevano disarmonicamente sulla figura
scheletrica.
«Basta,
basta, vi prego. Non so niente, non so niente.»
esclamò il
prigioniero, la voce roca di uno che ha urlato troppo. La faccia era
una maschera di sangue e non riusciva ad aprire gli occhi pesti.
«Lo
so che non sai niente, pezzo di idiota! È per questo che ti
trovi
qui. Ti aiuterò a ricordare. Collaborerai, e tutto
sarà finito.»
disse Veles aspramente. Lo scaraventò dall’altra
parte della
stanza, mandandolo a cozzare contro il muro. L’uomo si
accasciò a
terra, senza rialzarsi.
«E’
svenuto.» constatò Veles, nonostante non fosse
necessario. Sia lui
che Lavr potevano sentire distintamente i battiti del cuore del
prigioniero nel silenzio della stanza. «Tre mesi fa, mi
è giunta
voce che un rinnegato, scappato dalla corte, di nome Alexander, si
trovava in Bosnia. Mandai alcuni uomini a occuparsi di lui, avevamo
un grosso conto in sospeso, noi due. I miei uomini tornarono senza
essere riusciti a catturarlo, e portando notizie quanto mai
allarmanti. Come ti ho già detto, la situazione
nell’Est sta
diventando spinosa. Ci sono stati diversi raid, sono state create
squadre di Cacciatori. Pare che il governo abbia promulgato una legge
per obbligare i vampiri a registrarsi presso il Ministero e obbedire
alle leggi dei maghi.», rise sprezzante. «Fin qui
niente di nuovo,
non è la prima volta che sento farneticazioni simili da
parte dei
maghi. Ma poi vengo a sapere che negli ultimi due anni Alexander ha
collaborato con uomo di nome Andrej Kakanovic. Un Auror e un
Cacciatore, nonché un eroe locale, per essersi liberato di
un paio
di vampiri molesti. Ovviamente, la voce di quest’insolita
alleanza
mi ha fatto preoccupare, soprattutto considerato che Alexander mi
aveva derubato di alcuni testi dal valore incommensurabile. Libri che
non possono finire nelle mani dei maghi».
«Ossia?»
Veles
fece un gesto seccato con la mano. «Non è
importante. Ciò che
conta, è che sono andato di persona a esprimere tutto il mio
disappunto ad Alexander…»
Lavr
gettò uno sguardo verso la bara, dalla quale provenivano
gemiti
soffocati.
«…
e così ho scoperto che la situazione era peggiore di quanto
pensassi. Alexander ha rivelato ad Andrej alcuni tra i più
importanti segreti della nostra razza, segreti che potrebbero
metterci in pericolo. E come se non bastasse, ha fatto dono a questo
auror, a questo sudicio ammasso di escrementi, del libro più
prezioso della mia biblioteca. ». Accecato dalla rabbia,
Veles prese
una ciotola di acqua sporca da terra e ne gettò il contenuto
sul
prigioniero, facendolo rinvenire. «Ma io ancora pensavo ci
fosse
speranza;» continuò il vampiro, con tono sempre
più alto,
afferrando nuovamente il prigioniero – questa volta per i
capelli –
e trascinandolo ai piedi di Lavr, ignorando i suoi lamenti in lingua
slava. «perché Alexander mi aveva garantito,
mentre con grande
piacere gli staccavo le sue infide dita a una a una, che Andrej non
aveva ancora condiviso con nessuno le sue scoperte, perché
è un
piccolo bastardo ambizioso, e contava di usarle per diventare
ministro. Allora mi precipito nuovamente in Bosnia, per chiudere una
volta per tutte questa storia. E come arrivo lì, cosa trovo?
Questo
relitto inutile, che non ricorda nemmeno il suo nome, figuriamoci
dove ha nascosto il mio libro!»
«Ha
perso la memoria.» comprese Lavr.
«Non
ha perso la memoria!» urlò Veles, piantandosi a
pochi centimetri
dal demone. «Gliel’hanno cancellata! Capisci cosa
significa?»
«Dovresti
mantenere la calma.» commentò Lavr, senza muoversi.
«Al
diavolo!» esclamò Veles, facendo un passo
indietro. «Sono passati
due mesi, e gli idioti che mi circondano non hanno trovato il minimo
indizio su chi possa aver Obliviato questo tizio, e io continuo a
torturare un involucro vuoto, che sa solo implorare e pisciarsi
addosso!»
«Arrabbiarti
non servirà a niente. Quello che devi fare, è
mantenere la calma e
ragionare. Usciamo da qui». Prese il braccio di Veles e
Smaterializzò entrambi negli appartamenti privati del
vampiro.
Dal
giorno in cui aveva alzato la voce con Lavr, non c'erano più
stati
episodi simili. Harry avvertiva un certo disagio intorno al demone, e
anche una punta di risentimento, ma era sicuro che fossero sentimenti
unilaterali, del resto probabilmente per il demone non era stato
nulla di importante. Harry, al contrario, aveva ripensato alle parole
di Lavr più volte nelle settimane successive. Ora che si era
calmato, doveva ammettere che il suo tutore aveva ragione. Interruppe
la sua ricerca, concentrandosi invece su quello che l'aspettava una
volta a Hogwarts. Era andato a Diagon Alley a prendere tutto
l'occorrente; Lavr non l'aveva accompagnato questa volta -
ultimamente passava più tempo alla Corte che a Palazzo - ma
lì
aveva incontrato Daphne con la famiglia.
La
mattina del primo settembre, Lavr lo accompagnò sino alla
stazione
di King Kross, affollata come di consueto. Harry si guardò
intorno,
per vedere se riconosceva qualcuno tra la folla di Babbani, ma era
ancora presto, e poi probabilmente le famiglie dei suoi amici
Serpeverde si Smaterializzavano direttamente al binario 9 e tre
quarti. Quanto a Philippe, si erano sentiti via gufo
quell’estate,
ma era un sistema di corrispondenza abbastanza lento, soprattutto
perché per leggere le lettere che gli mandava l'amico dove
chiedere
a Lavr di portargliele dalla loro casa di copertura di Londra. Per
questo motivo, non sapeva come sarebbe arrivato l'amico al binario;
probabilmente si sarebbero incontrati direttamente sul treno, ma gli
sarebbe piaciuto conoscere Remus Lupin.
«Ora
sarà meglio che vada.» disse, rivolto verso il
demone.
Lavr
annuì. Lo salutò – senza abbracciarlo
– ma quando lo vide
girarsi verso il binario parlò. «Eri potente anche
quando ti ho
conosciuto».
Harry
si girò, incredulo. «Come?»
«Avevi
del potenziale, una magia molto simile a quella di Merlino. E Merlino
praticava magia senza bacchetta da molto prima che le nostre strade
si incrociassero. Se la sua magia non era una conseguenza della mia
vicinanza, nemmeno la tua lo è. Forse ti ho influenzato, ma
in
minima parte. Il tuo potere è tuo e tuo soltanto. Tienilo
bene a
mente».
Harry
guardò stupefatto il demone Smaterializzarsi senza
aggiungere altro,
sentendosi commosso, non solo per le parole di Lavr, ma anche
perché
non si aspettava che questi arrivasse a comprendere così
bene quello
che l'affliggeva da dire le parole più giuste per
rassicurarlo. Con
un sorriso, si diresse verso il muro che separava i binari 9 e 10,
ricordando divertito quanti problemi aveva avuto l'anno precedente a
trovare il treno. Si guardò attorno per assicurarsi che
nessuno gli
stesse prestando attenzione, e spinse il carrello contro il muro.
Immediatamente,
gli giunse il rumore di centinaia di voci; davanti a lui si stagliava
l'Espresso per Hogwarts, lucido e magnifico come lo ricordava. Si
avvicinò al treno, cercando tra la folla Philippe, ma una
voce
conosciuta lo chiamò a gran voce.
«Montblanc,
ehi Montblanc!»
Con
un sospiro, Harry si girò, e si trovò davanti la
famiglia Malfoy al
completo. «Ciao, Draco.» disse, rassegnato.
«Henri,
ti presento i miei genitori. Mamma, padre, vi presento Henri
Montblanc. Quello di cui vi ho parlato».
«La
star della squadra di Serpeverde.» commentò
Lucius, mellifluo,
stringendogli la mano e scrutandolo intensamente. Somigliava molto al
figlio, e la sua figura emanava autorità. Sicuramente, era
un uomo
che intimidiva, soprattutto
se avevi dodici
anni; anche Draco sembrava stare sulle spine in sua presenza, ma
Harry viveva con un demone onnipotente. La signora Malfoy invece era
una bella donna, e sorprese Harry rivolgendogli un tiepido sorriso
«Sono contenta di conoscere un amico di Draco.»
disse. Nei volti di
Harry e Draco affiorò una smorfia dubbiosa, ma entrambi si
affrettarono a nasconderla. Lucius comunque doveva averla notata,
perché ghignò leggermente. La conversazione con i
Malfoy non durò
a lungo. Dopo qualche raccomandazione la coppia li
accompagnò al
treno, e li aiutò a mettere i bagagli in un vagone. Poi i
Malfoy
salutarono il loro unico figlio.
Forse
fu solo un'impressione, dovuta alla non eccelsa opinione che aveva di
Malfoy Senior, ma Harry ebbe la sensazione che il mago fosse
distratto. Mentre Narcissa abbracciava Draco, Lucius continuava a
scoccare occhiate verso la piattaforma, come in cerca di qualcosa.
Come fu il suo turno di salutare il figlio, gli posò una
mano sulla
spalla, e guardandolo dritto negli occhi sussurrò
semplicemente «Mi
raccomando». L'intensità con cui lo disse, la
serietà con cui
Draco annuì - la serietà di uno che si trova
davanti a una grande
responsabilità e ne è fiero - e il modo in cui
Narcissa guardava i
suoi due uomini diedero da pensare a Harry. Era come se in quelle due
semplici parole fosse racchiuso un mondo di frasi non dette, che solo
lui non era riuscito a intuire. Dopo avergli nuovamente stretto la
mano, i Malfoy uscirono dal treno.
Draco
sprofondò nei sedili con aria compiaciuta, che scomparve non
appena
vide Harry dirigersi verso la porta dello scompartimento.
«Dove stai
andando?» chiese.
«A
cercare Philippe.»
«Non
ce n'è bisogno, ti troverà lui.»
«Sì,
ma...» cercò di obiettare Harry.
«Possiamo
fare il viaggio insieme.» lo interruppe Draco.
Non
avendo voglia di discutere, Harry si sedette vicino al finestrino,
scrutando la piattaforma. Dopo una decina di minuti, la porta del
vagone si aprì e Tiger e Goyle fecero per entrare, ma Malfoy
li
bloccò. «Andate a cercare un altro
scompartimento.» ordinò
perentorio.
Harry
alzò un sopracciglio, ma non commentò. Passarono
alcuni minuti. Gli
studenti rimasti sul binario si affrettarono a salire, e il treno
finalmente partì. Davanti al loro scompartimento passarono
diversi
studenti, nessuno dei quali provo a entrare, e alla fine Harry vide
Philippe. Lo salutò dall'altra parte del vetro, ma quando si
accorse
di Malfoy lo guardò perplesso. Il moro scrollò le
spalle.
Draco,
che stava guardando fuori dal finestrino, si accorse del francese e
gli fece cenno di entrare. Con aria dubbiosa, Philippe lo fece, e si
sedette vicino a Harry.
Nonostante
tutto, il viaggio fu piacevole. Draco si comportò in maniera
stranamente impeccabile, e passato il disagio iniziale i tre
parlarono dell'estate, di Quidditch, delle lezioni che gli
attendevano e dell'anno precedente. Draco si ingozzò di
dolci e
Harry gli diede manforte, mentre Philippe li guardava un filino
schifato. Dopo diverse ore, la luce fuori dal finestrino
iniziò ad
affievolirsi, e Harry sentì montare l'eccitazione. Stavano
arrivando
a Hogwarts. Solo ora si rendeva pienamente conto di quanto gli era
mancata.
Finalmente,
il treno si fermò. Come scesero, videro il guardiacaccia
chiamare i
primini, mentre loro si diressero verso le carrozze. Draco si
separò
da loro per andare a cercare i suoi amici, così Philippe
commentò:
«Non trovi anche tu che sia stato strano?»
«Molto
strano.» convenne Harry. «Dovrai fare attenzione
con Malfoy
quest'anno».
Philippe
annuì, ma poi sorrise, deciso a lasciar cadere
quell'argomento.
Salirono
su una delle carrozze, dove vennero raggiunti da Daphne e Theo. I due
parlarono tutto il tempo, mentre i due francesi rimasero silenziosi.
Harry pensava a quanto fosse strano, ritrovarsi di nuovo in mezzo al
fracasso degli studenti, dopo un'estate in cui aveva lasciato
raramente il Palazzo. In quei mesi l'anno passato a Hogwarts gli era
sembrato un sogno lontano, e ora invece era di nuovo lì. Si
chiese
quali sorprese gli riservasse quell'anno. Aveva una strana
sensazione, dovuta forse all'incontro con Malfoy. Del resto, era
strano essere presentati all'uomo che aveva organizzato il suo
rapimento.
Senza
che se ne accorgesse, erano già arrivati al castello. Scese,
cercando di scacciare i pensieri e concentrarsi su quello che
accadeva intorno a sé. Entrò nella Sala Grande e
prese posto al
tavolo di Serpeverde, insieme ai suoi accompagni. Seguì lo
Smistamento con poco interesse, applaudendo meccanicamente quando
qualcuno veniva smistati a Serpeverde, e ascoltando con un orecchio
solo i commenti che i suoi compagni facevano su ogni primino:
quello è di una famiglia illustre, quello deve essere un
Sanguesporco, oh cielo, un'altra Weasley!
Il
banchetto fu delizioso come al solito, e come al solito quando
l'ultimo dolce scomparve dalla tavola Harry si sentiva piacevolmente
sazio e assonato. Il preside prese la parola, e il silenzio cadde
sulla sala. Fece i soliti avvisi, presentò il nuovo
insegnante di
Difesa contro le Arti Oscure – che fu accolto da grandi
applausi,
soprattutto da parte delle ragazze, e poi congedò gli
studenti.
Serpeverde
si diresse compatta verso i sotterranei, ma una volta giunti nella
Sala Comune né Harry né Philippe si trattennero
con i compagni,
anche perché a breve sarebbe arrivato Piton per fare il
discorso ai
primini. Salirono nel loro dormitorio e si coricarono.
Eccomi di ritorno, chiedo venia
per il ritardo. Questa università mi distrugge. Vi faccio
tanti auguri per l'anno nuovo, nella mia lista di buoni propositi
c'è anche non essere troppo cattiva con i miei
lettori e aggiornare, spero riuscirò a
mantenerlo.
Per coloro che fossero
interessati, alla fine ho deciso di pubblicare la piccola one shot che
avevo scritto su Remus e i due Leroy. La trovate qua http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2360872&i=1
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