Daimon

di anneboleyn94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rapito ***
Capitolo 3: *** Conversazioni ***
Capitolo 4: *** La Rue des Fées ***
Capitolo 5: *** Lezioni ***
Capitolo 6: *** I demoni ***
Capitolo 7: *** Discendenza ***
Capitolo 8: *** Diagon Alley ***
Capitolo 9: *** Lo smistamento ***
Capitolo 10: *** Le prime lezioni ***
Capitolo 11: *** Halloween ***
Capitolo 12: *** La partita di Quidditch ***
Capitolo 13: *** Natale, prima parte ***
Capitolo 14: *** Natale, seconda parte ***
Capitolo 15: *** L'attacco del serpente ***
Capitolo 16: *** Notte di luna piena ***
Capitolo 17: *** La storia di Philippe ***
Capitolo 18: *** Ritorno a Hogwarts ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Questa è la prima storia che pubblico su questo sito, nonché la prima che sono determinata a concludere. Io leggo più che altro storie in inglese, perchè apprezzo particolarmente le storie in cui Harry combatte con il lato oscuro, e mi sembra che nel fandom italiano non ce ne siano molte. Questa fanfiction quindi è un esperimento, ho deciso di buttar giù alcune idee che avevevo in testa da anni, partendo da una domanda: Cosa sarebbe successo se Harry fosse cresciuto lontano dai Dursley, ma anche dall'ala di Silente e della luce?  Probabilmente diventerà una slash, ma considerato che all'inizio ha sette anni ci vorrà moooolto tempo prima che emerga un pairing. I primi capitoli sono già scritti, li devo solo battere, quindi aggiornerò regolarmente. Spero che la storia vi piaccia e mi farebbe molto piacere leggere i vostri commenti. Un bacio 






Prologo

Nonostante lo Statuto di Segretezza sia entrato in vigore solo dal 1692, già secoli prima una larga parte della comunità babbana si sforzava di ignorare l’esistenza della sua controparte magica. Filosofi, letterati e scienziati di tutte le epoche hanno elaborato una visione del mondo, della natura umana e delle leggi dell’universo basata sull’arrogante e ottusa convinzione che gli unici esseri senzienti che camminino sul globo terrestre siano gli esseri umani. 
La filosofia babbana, per quanto affascinante, è incapacitata a cogliere l’essenza della realtà perché ne rinnega una parte. Il mondo, contrariamente a quanto creduto dai babbani, non è popolato di soli uomini. Razze ben più antiche e nobili condividono con noi la residenza in questo insignificante pianeta ai margini dell’universo. Diversi maghi di tutte le epoche si sono occupati del problema della convivenza tra le diverse razze. 
L’emanazione di leggi discriminatorie tese ad affermare la superiorità dei maghi sulle altre creature magiche è da sempre causa di tensioni e conflitti.  Nel 1814 Grogan Stump creò la divisione tra Esseri e Bestie valida a tutt’oggi, che stabilisce che “un essere è ogni creatura che ha abbastanza intelligenza da capire le leggi della comunità magica e da assumersi le proprie responsabilità modellate da quelle stesse leggi.”  Eppure, le stesse leggi non valgono per i maghi e gli ibridi, ad esempio i goblin e gli elfi domestici non hanno il diritto di possedere e utilizzare una bacchetta. Il mondo magico diventa sempre più intollerante: se i maghi non prenderanno al più presto consapevolezza della dignità e forze delle altre razze, non ci sarà mai pace.

L’uomo camminava spedito, guardandosi intorno nervosamente e tenendo la mano nella tasca destra, strettamente serrata attorno alla bacchetta, ma non l’avrebbe tirata fuori, non ancora. Meglio non mostrare quanto la situazione lo rendesse inquieto. Arrivato al punto d’incontro, controllò la zona con disgusto. Il suo contatto aveva insistito per vedersi nel cuore della Londra babbana, in un piccolo parcheggio privato. Fortunatamente, a quell’ora della notte non ci sarebbero stati babbani. 

Un leggero rumore distolse il mago dai suoi pensieri. Si guardò intorno, tirando fuori la bacchetta. «Fatti vedere» sibilò tra i denti, conscio che non ci fosse alcun bisogno di urlare. Un rumore alla sua destra, un’ombra dietro di lui, le luci del parcheggio si spensero, e poi finalmente il silenzio. Imprecando fra i denti l’uomo mormorò «lumos».  

Finalmente, il suo contatto si fece vedere. La luce fioca della bacchetta illuminò un profilo alto, coperto interamente da un mantello.  «L’hai portata?» chiese la figura con voce profonda.
«Non erano questi i patti» rispose il mago cercando di non far trapelare alcun nervosismo, «l’avrai dopo che avrai portato a termine l’incarico».
«Non posso farlo senza la gemma.»
«Pensi che te la dia senza alcuna garanzia? Non sono un idiota, cosa mi assicura che una volta ottenuto quello che vuoi non mi ucciderai? No, avrai la gemma a lavoro concluso.»
L’individuo rimase silenzioso per qualche istante, tanto che il mago si chiese se non stesse pensando di attaccarlo, infine sospirò.
«Hai la mia parola umano, prenderò il bambino. Ma solo se mi consegnerai la gemma ora. So che ce l’hai con te, posso sentirla. Queste sono le mie condizioni: puoi accettare o lasciare che la prenda dal tuo cadavere. Per me non fa differenza.»

L’uomo sentì montare la paura. Considerò le sue possibilità. Per quanto odiasse ammetterlo, se si fosse giunti a uno scontro, avrebbe avuto ben poche chance di uscire da quel sudicio buco babbano vivo. D’altro canto, c’erano buone probabilità che una volta presa la gemma l’essere lo attaccasse comunque. Però conosceva i rischi sin da quando aveva ideato il piano, ed era tardi per farsi venire dei ripensamenti. Cautamente, tirò fuori dalla tasca una chiave minuscola e, sentendo su di se lo sguardo della creatura, la trasfigurò in una lunga collana. Una leggera folata di vento e la catena scomparve dalle sue mani. Le luci si riaccesero, illuminando il parcheggio vuoto.
«E il patto?» urlò il mago.
Non ci fu risposta.

Albus Silente stava seduto nel suo ufficio, succhiando lentamente una caramella al limone, e nel frattempo guardava di sfuggita la montagna di carte che occupavano la sua scrivania. La parte più pesante del suo lavoro era sicuramente ritrovarsi ogni estate a sostenere colloqui e leggere curricula di aspiranti insegnanti di difesa contro le arti oscure. Curricula che, a dirla tutta, diventavano più esigui di anno in anno, via via che la voce della maledizione sulla cattedra si diffondeva. L’ultimo insegnante che avevano avuto, la professoressa Orchard, aveva dovuto rassegnare le dimissioni a causa della perdita della gamba destra. Le circostanze dell’incidente erano ancora poco chiare, anche se a detta degli alunni il tragico evento era avvenuto durante una delle incursioni della professoressa nella foresta alla ricerca di non meglio specificati funghetti.
Silente sospirò. Peccato, peccato davvero. La professoressa era estremamente benvoluta dai suoi studenti.
Le sue riflessioni vennero però interrotte dal suono di un allarme. Un rapido controllo ai suoi strumenti fu sufficiente per identificare il problema. Le barriere di Privet Drive.

 Harry. 

Il sangue del mago si ghiacciò. Se fosse successo qualcosa a Harry Potter…no, non poteva nemmeno pensarci. Chiamò Fanny e si precipitò a Little Whinging.
 La casa sembrava perfettamente in ordine, ma un rapido controllo mostrò che le barriere erano cadute. Senza disturbarsi a bussare, il mago entrò nell’abitazione dei Dursley. All’interno la casa era perfettamente pulita e denotava una cura quasi maniacale. Il silenzio era opprimente. Lanciò un humanis revelio non verbale, da cui risultò che non c’era anima viva in casa.

Giunto al piano di sopra, aprì la prima porta che gli si presentò davanti; si ritrovò in una camera di grandi dimensioni, piena zeppa di giocattoli e altre diavolerie babbane. Al centro della stanza, un bambino di circa sette anni sembrava dormire, ma il preside sapeva che non era così. La causa del decesso era sicuramente un avada kedavra. Nella stanza accanto, Silente trovò i corpi dei due coniugi Dursley. Del piccolo Harry non c’era traccia. 

Dopo aver ispezionato tutta la casa alla ricerca d’indizi inesistenti, Silente fece ritorno ad Hogwarts e si buttò a sedere alla sua scrivania. Per una volta, il suo incredibile cervello non era in grado di partorire una sola idea, un singolo piano d’azione, al punto che il mago considerò l’ipotesi di essere sotto stato di shock. Non era possibile, non era semplicemente possibile. Il suo piano più brillante! Anni di lavoro buttati in fumo. Qualcuno era riuscito a trovare una falla nelle barriere più potenti mai create.
 La domanda era: chi?

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Capitolo 2
*** Rapito ***


Harry si sdraiò nel suo piccolo letto nel sottoscala. Calde lacrime gli inumidivano gli occhi, ma le scacciò velocemente. Non poteva piangere. Se avesse pianto, Vernon si sarebbe arrabbiato ancora di più e Dudley lo avrebbe preso in giro e chiamato femminuccia. Sentiva lo stomaco brontolare, ma sapeva che per quella sera non c’erano speranze di sgattaiolare in cucina per prendere qualcosa.
Erano due giorni che non toccava cibo. Non era stupido, sapeva perché i suoi zii erano tanto arrabbiati: il suo primo anno di scuola era terminato da appena una settimana e i suoi voti erano risultati migliori di quelli di Dudley.

Un vero affronto.

Vernon si era infuriato persino con gli insegnanti, ma alla fine a rimetterci era stato solo Harry. Suo zio aveva urlato davanti a tutti gli altri genitori che era solo un piccolo ingrato, che aveva imbrogliato, che non c’era alcuna possibilità che si fosse guadagnato onestamente quei voti. Gli insegnanti erano rimasti basiti davanti alla scena, ma poi era intervenuta Petunia, che aveva spiegato pacatamente che Harry non studiava mai a casa, ma che Dudley lo aveva più volte visto copiare a scuola e che anche lei aveva notato comportamenti strani. I docenti non erano parsi completamente persuasi, però avevano deciso di lasciar perdere e avevano assicurato che l’anno successivo sarebbero stati più attenti.

Tornati a casa, Harry era stato spedito nel sottoscala e chiuso dentro, dopodiché aveva passato la settimana a fare i suoi lavori di casa, con la minaccia che se non avesse finito tutte le mansioni della lista compilata da Petunia, non avrebbe cenato. I primi giorni era riuscito a concludere in tempo per avere qualcosa da mettere sotto i denti, ma la lista si era fatta ogni giorno più lunga e alla fine si era ritrovato davvero ad andare a dormire senza aver mangiato nulla.

Tutto questo non è certo una novità
, pensò amaramente Harry, ma quello che davvero lo riempiva di rabbia era che aveva pensato che una volta a scuola la situazione sarebbe cambiata, avrebbe fatto amicizia e dimostrato ai Dursley che non era un anormale buono a nulla. E invece non era cambiato proprio un bel niente! Gli altri bambini erano stati avvisati da Dudley: suo cugino era un pericoloso teppista da evitare. In compenso, Dudley e i suoi amici avevano fatto del tormentarlo il loro passatempo preferito.

Certo, passare il tempo a scuola era sicuramente meglio che restare con i suoi zii. Dopo una giornata particolarmente dura, si rifugiava nell’ambiente intimo e raccolto della piccola biblioteca scolastica e leggeva storie di principesse e cavalieri, fate e orchi, e sognava che uno di quei fantastici esseri venisse a prenderlo e lo portasse lontano dai Dursley.
 Era andato tutto bene finché non erano arrivati i primi voti più alti di quelli di Dudley, che avevano mandato i suoi zii su tutte le furie. Da quel momento era diventato sempre più difficile trovare il tempo per fare i compiti: Vernon pretendeva che tornasse a casa immediatamente dopo la fine delle lezioni e Petunia gli assegnava ogni giorno lavoretti che lo tenevano impegnato fino a tardi. Il suo rendimento era calato, spesso si era ritrovato ad andare a scuola senza aver fatto i compiti, così era finito diverse volte in punizione e non aveva più avuto il tempo di andare in biblioteca a leggere. L’ingiustizia della situazione però gli aveva finalmente aperto gli occhi: non sarebbe mai riuscito ad avere l’approvazione e l’amore dei suoi parenti; loro lo odiavano perché era anormale e nessuno, né i professori né gli altri bambini, lo avrebbe aiutato per lo stesso motivo. Era solo.

Finalmente il flusso dei suoi pensieri s’interruppe e scivolò nel sonno.
Lo destò un leggero rumore. Si guardò intorno, nel buio della sua “camera”, teso. Gli era sembrato di sentire scattare la serratura. Cauto, si avvicinò alla porta, e si accorse che era socchiusa. Il suo primo istinto fu di correre in cucina e mangiare, ma s’impose di riflettere prima. Il silenzio assoluto che pervadeva la casa sembrava indicare che fosse notte fonda, ma la porta era stata aperta; significava che gli stavano tendendo una trappola? Magari in cucina avrebbe trovato lo zio pronto a picchiarlo per essere uscito dal sottoscala. Non sarebbe stata la prima volta. Ma non gli importava, aveva troppa fame.
Uscì in punta di piedi. La casa sembrava effettivamente deserta. Aprì il frigorifero e prese un pezzo di formaggio che divorò in pochi secondi; ancora affamato, prese a rovistare nella dispensa, finché un formicolio alla nuca non lo costrinse a fermarsi.
Tutto il suo essere lo metteva in guardia, il suo istinto gridava che c’era un pericolo dietro di lui. Si girò lentamente. Fece appena in tempo a intravedere una figura alta e longilinea, che la vista gli si annebbiò e perse i sensi.

La prima sensazione che colpì Harry al risveglio, fu un gradevole tepore e un’insolità comodità. Si rigirò nel letto, mentre riprendeva finalmente conoscenza e le piacevoli sensazioni iniziali venivano offuscate dalle fitte della fame.
Si sollevò di scatto e si guardò intorno. Non si trovava nel sottoscala, ma in una gigantesca stanza debolmente illuminata. Sbalordito, tastò le lenzuola, mentre i ricordi della sera prima gli tornavano alla mente. Aveva visto qualcuno a casa dei Dursley, qualcuno che presumibilmente l’aveva portato lì. Un ladro? Un rapitore? In ogni caso, si disse Harry, non poteva certo essere peggiore dei suoi zii.
Quasi a conferma di quel pensiero, la sua attenzione venne catturata da un tavolo posto vicino al letto, colmo di ogni ben di Dio. Si avvicinò pieno di meraviglia. C’erano salsicce, uova, toast, decine di tipi di marmellata e di thè, yogurt a svariati gusti, cereali, succo di frutta, porridge. Abbandonato ogni interrogativo sulla sua situazione, si sedette e iniziò a mangiare come non aveva mai mangiato in vita sua, immaginandosi divertito la faccia di Dudley se l’avesse visto con tutto quel cibo delizioso.

Quando non ne poté più, decise di osservare meglio la camera. Era incredibile. Ne esplorò ogni angolo, mentre all’incertezza del risveglio si sostituiva la meraviglia e la felicità di ritrovarsi in un posto tanto lussuoso. Al centro della stanza c’era il letto matrimoniale sul quale aveva dormito, alla sinistra, un immenso armadio contenente biancheria e vestiti della sua misura. Vestiti nuovi! Sulla destra, una porta che conduceva al bagno più bello che avesse mai visto. A differenza della camera, era illuminato a giorno, ma non c’erano né finestre né lampade. Harry considerò questa stranezza, ma poi decise che se ne sarebbe occupato in seguito.

Tornato nella stanza principale, notò un’altra porta e scoprì che conduceva a un soggiorno dotato di una scrivania, un televisore, dei divanetti e una grande libreria piena di libri. Il piccolo si lanciò subito in quella direzione, ma rimase amareggiato: nessuno dei libri era in inglese. La delusione ebbe l’effetto di spazzare via l’entusiasmo.  
Pensa, si disse. Si trovava in un luogo sconosciuto, ed era probabilmente stato rapito. Certo, c’era la possibilità che il rapitore fosse suo amico – vecchie fantasie di ricchi parenti che andavano a prenderlo gli tornarono alla mente – ma era una possibilità remota. Sapeva per esperienza che nessuno si sarebbe preso la briga di aiutarlo, e i Dursley erano i suoi unici parenti. Un pensiero terribile lo attraversò. Forse  lo avevano venduto? Gli venne in mente la storia di Hansel e Gretel, con la strega cattiva che dava da mangiare al bambino solo per farlo ingrassare. Ma era solo una favola, no? Nella vita reale i bambini non si mangiano.

Giusto?

Preso dal panico, si mise a cercare una via d’uscita, ma non c’erano né porte né finestre. La camera era completamente illuminata, ma anche lì non sembravano esserci lampade. Si chiese se ci fossero telecamere. Magari qualcuno lo stava spiando in quel preciso momento.  Il pensiero era inquietante.

Passarono diversi giorni. Ogni mattina al risveglio, Harry trovava il tavolo vicino al letto con la colazione pronta e per il pranzo e la cena il cibo sembrava apparire magicamente, così come le luci della stanza apparentemente non venivano da nessuna fonte elettrica. Si era arrovellato per giorni sulla questione, senza venirne a capo.

Nessuno andò a visitarlo.

Aveva elaborato decine di teorie sulla situazione e via via che passavano i giorni si era fatto sempre più depresso. Era abituato a stare da solo, ignorarlo era la tattica preferita dei Dursley, però non era mai stato tanto tempo senza vedere un altro essere umano. La cosa iniziava a mandarlo sui nervi. Come se non bastasse, non aveva assolutamente niente da fare: passava le giornate a guardare distrattamente trasmissioni in una lingua a lui sconosciuta, chiedendosi nel frattempo quando avrebbe finalmente scoperto qualcosa. C’erano giorni  in cui si sforzava di pensare ai vantaggi di questa nuova vita, altri in cui passava delle ore immerso apaticamente nella gigantesca vasca in marmo, annoiato.

Col passare delle settimane divenne sempre più disperato. Arrivò a chiedersi se sarebbe mai uscito da quella stanza, che diventava ogni giorno più soffocante. Si domandava il perché di quella prigionia, cosa avesse mai fatto per meritarla, e se fosse tutta una punizione per i voti troppo alti. Ma no, i Dursley non l’avrebbero certo lasciato in una stanza così lussuosa.
Così, cercava di deviare i suoi pensieri sui misteri della sua confortevole prigione, a cominciare dal cibo. Più volte gli era capitato di vederlo apparire dal nulla davanti ai suoi occhi. Sembrava una magia, ma non poteva essere.
Con un brivido, si chiese come avrebbero reagito i Dursley se avessero scoperto che un pensiero simile gli era passato per la testa: l’ultima volta che Vernon l’aveva trovato leggendo un libro di stregoni l’aveva picchiato con una violenza inusuale.

Harry sapeva che la magia non esisteva e che solo le persone malvagie ne parlavano, quindi vedere il cibo apparire dal nulla lo terrorizzava talmente tanto che per un periodo aveva cercato di non mangiare, ma dopo alcuni giorni di dolorosi crampi allo stomaco aveva desistito.
I suoi sogni si erano fatti sempre più cupi, e questo, unito alla paura che qualcuno lo attaccasse nel sonno, rendeva le sue notti agitate. Ogni giorno, guardandosi allo specchio, notava occhiaie sempre più profonde.

Dopo tre settimane da quando era stato rinchiuso, iniziò a battere i pugni contro le parete, urlando che lo facessero uscire, che si mostrassero. Nonostante inizialmente si fosse riproposto di mantenere la calma, anche per evitare di peggiorare la situazione, si ritrovò a piangere disperato e supplicare.




Nel prossimo capitolo: il primo incontro tra Harry e il suo rapitore e alcune risposte. Alla prossima :)

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Capitolo 3
*** Conversazioni ***


Lavr poteva ritenersi soddisfatto di come si era evoluta la situazione. Finalmente era riuscito a recuperare la gemma.

Aveva impiegato un millennio a rintracciarla, solo per scoprire che era sempre stata sotto il suo naso! Nascosta per generazioni in una casa di maghi. Mai gli sarebbe passato per la mente. Aveva setacciato il mondo umano, per poi scoprire che il dannato l’aveva fregato ancora una volta! Tipico suo. Incredibile che non ci avesse pensato prima, era stato stupido a non indagare maggiormente sulla sua famiglia.

Ma era inutile pensarci ora. L’importante era che la gemma fosse tornata nelle sue mani. Appena Malfoy gliela aveva consegnata, aveva eseguito il rituale con l’aiuto di Veles, che sicuramente avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Per riavere i suoi poteri si era ritrovato a contrattare con un vampiro e un mago. E a rapire un moccioso. Da una casa di babbani per giunta!

Certo, considerò, nell’ultimo millennio gli erano capitate diverse cose incredibili: aveva perso i poteri per colpa di un umano –un umano!- e si era ritrovato a vivere come un vampiro qualunque, dovendo fare affidamento solo sulla propria forza fisica. 

Ora la sua immensa magia riaffiorava lentamente, provocandogli allo stesso tempo piacere e disagio. Non era più abituato; un tempo la usava per la minima necessità ma secoli passati senza gliene avevano reso meno automatico l’utilizzo. Con un gesto delicato della mano, attirò a sé la gemma, e la guardò quasi affascinato. Pensare che quella collana dall’aria così innocua aveva custodito per secoli un potere così grande. E ora non era che un pendaglio insignificante. Eppure, non se n’era ancora sbarazzato. Non voleva separarsene, rappresentava qualcosa d’importante per lui.

Cosa, non ne era sicuro. Prima dell’incontro con i due umani che gli avevano cambiato la vita, non gli sarebbe nemmeno passato per la mente di tenere un oggetto per semplice attaccamento sentimentale, ma non era più quello di un tempo, inutile negarlo.

Doveva andare avanti. Sarebbe rimasto in quella villa il tempo necessario per far calmare le acque in Inghilterra, nel giro di tre mesi avrebbe consegnato il bambino a Malfoy e sarebbe tornato al suo Palazzo. Nel frattempo, aveva provveduto affinché il bambino avesse tutto il necessario: lo aveva sistemato in uno degli appartamenti più belli della casa e si era perfino dotato di elfi domestici che cucinassero per lui e provvedessero alle sue esigenze, con la discrezione tipica della loro razza.

Lo sguardo gli cadde sul dipinto su cui aveva lavorato in quell’ultimo mese. Un cespuglio di rose, cresciute ravvicinate come per proteggersi a vicenda dalle intemperie, e circondate da piccoli boccioli racchiuse tra il verde delle foglie. La monocromia del giallo delicato e dello smeraldo brillante era però contaminata dai puntini marroni, arancioni cupi e neri degli insetti posati sulla pianta, mentre alcune gocce di rugiada non ancora seccate dal sole gocciolavano dai petali delicati come delle lacrime. Bello era bello. Ma quegli insetti, che infestavano la perfezione del fiore… eppure, senza di essi, la bellezza della pianta sarebbe morta senza possibilità di rigenerarsi. Sospirò. No, le rose, per quanto belle, non erano perfette. Erano fragili. Erano mortali.

Mise da parte la tela e uscì dalla camera ma rischio di inciampare nel corpo di Lucy, l’elfa che aveva incaricato di badare al bambino. La guardò vagamente interessato, chiedendosi cosa ci facesse seduta fuori dal suo studio.

Terrorizzata, l’elfa squittì «Sono spiacente, signore, Lucy non osava disturbare il padrone, Lucy non sa cosa fare col bambino.».

«Le mie istruzioni erano chiare. Non vedo perché dovresti avere problemi» replicò pacato, incamminandosi verso la biblioteca. Dietro di sé, i passetti affrettati dell’elfa gli segnalarono che la conversazione non era conclusa.

Si girò di scatto per chiedere cos’altro c’era, ma l’elfa, presa alla sprovvista, gli finì contro.  Guardò perplesso la creatura alzare lo sguardo colmo d’orrore, squittire un «Perdono padrone!» e iniziare a sbattere velocemente la testa al muro urlando «Lucy cattiva!». Bizzarri esseri gli elfi domestici. Aspettò pazientemente che finisse di punirsi e poi le chiese cos’altro c’era.

L’elfa scosse la testa, come per riprendere il filo dei suoi pensieri. «Padrone, Lucy ha obbedito agli ordini, il bambino ha avuto tutto quello che il padrone ha ordinato, però bambino urla padrone.»

«Urla?» ripeté leggermente stranito.

«Si, padrone! Urla, piange e batte i pugni, padrone! Lucy non sa cosa fare! Lucy voleva chiedere a padrone cosa fare, ma padrone non usciva dallo studio e aveva ordinato di non disturbare, così Lucy ha aspettato fuori dalla porta una settimana.»

Lavr scosse la testa. Ancora due mesi e si sarebbe liberato di quell’ultima grana.

«Va bene» disse solo «me ne occuperò io.»

Si recò alla porta della camera dell’umano; non c’era bisogno di un udito fine come il suo per sentire le urla disperate di cui aveva parlato l’elfa. Rimase sgomento. Come poteva un bambino così piccolo emettere simili grida? E soprattutto, perché urlava?

Suo malgrado, si ritrovò ad abbassare la maniglia ed entrare nella stanza.

 

Harry urlava con tutto il fiato che aveva. La gola gli faceva male, le nocche erano spellate e sanguinanti e si sentiva spossato come mai in vita sua. Aveva paura, non sapeva dov’era, non sapeva il perché si trovasse lì. Quella stanza che inizialmente gli era sembrata una reggia ora lo terrorizzava. Voleva tornare a casa! Voleva uscire, gli mancava la scuola, Dudley, persino Vernon! Stanco, si appoggiò al muro, senza più lacrime, ma senza smettere di urlare, seppur con meno intensità. Tacque solo quando vide comparire una porta nella stanza.

Il suo primo istinto fu correre a nascondersi, ma lo respinse. Non si sarebbe comportato come un vigliacco. Si alzò in piedi, sforzandosi di apparire coraggioso. Rimase però sorpreso vide entrare un uomo che sembrava uscito dalle riviste per casalinghe di sua zia. Era giovane, alto, vestito elegantemente.  Lo guardò a bocca aperta, dimentico per un istante degli avvenimenti dell’ultimo mese. Pareva uno dei principi delle favole.

«Come hai fatto a ridurti così le mani?» chiese lo sconosciuto con voce profonda.

Harry se le guardò, confuso. La vista del sangue bastò a ricordargli la situazione in cui si trovava. Rialzò lo sguardo sull’uomo e improvvisamente fu assalito da un brivido, mentre qualcosa dentro di sé gli urlava di scappare il più velocemente possibile. Era una sensazione mai provata prima, qualcosa di primordiale, di animale. Era istinto.

Se l’altro si accorse del suo stato d’animo, non lo lasciò vedere: la sua espressione rimase impenetrabile. Questo ebbe il potere di calmarlo: gli adulti gli facevano del male solo quando erano arrabbiati. Certamente un uomo così calmo non l’avrebbe schiaffeggiato, no? Si sforzò di riprendere il controllo delle proprie emozioni e chiese «Perché sono qui?».

Per un istante credette che non avrebbe avuto risposta, ma poi l’altro parlò «È complicato».

«Dove sono i miei zii?»

«Sono morti» fu la piatta replica.

Harry considerò la notizia. Sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, tristezza almeno, eppure la sensazione che investì non era di dispiacere. Era un’emozione completamente diversa. La represse immediatamente, disgustato di se stesso. Come poteva essere così cattivo? Era anormale, avevano ragione i suoi zii.

«Morirò anch’io?» chiese allora.

Ancora una volta, l’uomo sembrò soppesare la risposta.

«Vieni» disse infine «ti curo le ferite.» Con un gesto gli indicò di sedersi e, seppur riluttante, il bambino lo fece. Vedendolo così da vicino, rimase incantato nell’osservare come i suoi occhi, grandi, di un blu intenso, lo rendessero meno inaccessibile. Erano occhi vivi, brillanti.

Il suo rapitore gli prese le mani tra le sue e sussurrò qualcosa. Sbalordito, il bambino vide le ferite rimarginarsi e il sangue scomparire. Quella era…magia!

Nuovamente spaventato, si allontanò di scatto, mentre lo sconosciuto lo guardò per la prima volta con un barlume di curiosità.

«Cosa…cosa era quella…cosa che hai fatto?».

«Un semplice incantesimo di guarigione»

Harry scosse la testa. «No» disse «no, tu menti! Non esiste la magia!»

«Perché dici questo?»

«Perché…» esitò «Perché la magia è una favola per gente fuori di testa e i miei zii non vogliono che ne parli perché non vogliono che si parli di cose anormali in casa loro e perché sennò mi faccio venire delle strane idee.» recitò.

«Capisco.» rispose pacatamente l’altro «ma i tuoi zii hanno mentito: la magia esiste. E tu sei un mago.»

Harry lo guardò incredulo, sicuro che stesse mentendo, ma poi il dubbio s’insinuò in lui.  «Mi è capitato di far succedere cose strane…» sussurrò timidamente.

«Per esempio?»

«Una volta zia Petunia mi ha tagliato i capelli e mi sono ricresciuti in una notte, una volta sono comparso dal nulla...»

«Sì, si» lo interruppe «è normale per un mago.».

«Anche i miei genitori erano maghi?» chiese trepidante.

Di nuovo, la risposta si fece attendere.

 «Ci sono molte cose che non sai, ma non è compito mio dirtele. Resterai qui solo per due mesi.»

«E poi cosa succederà?»

«Ci sono molti maghi interessati a te, Harry Potter. Io ho il compito di consegnarti a uno di loro.»

«E cosa vuole da me?»

«Te lo dirà lui se crede. Ora non ci pensare. Smetti di farti del male, qui starai bene e io non ti farò niente.» Fece per uscire, ma Harry lo fermò urlando «Aspetti! Non può chiudermi qui di nuovo! La prego, mi faccia uscire, la prego!» Si mise a piangere e corse a frapporsi tra l’uomo e la porta.

«La prego, non mi lasci qui da solo.»

L’adulto lo scrutò attentamente.

«Nel mondo magico» disse infine «sei famoso. Ti chiamano il bambino che è sopravvissuto, perché hai sconfitto un potente mago oscuro.»

Il bambino lo guardò stupefatto.

«Colui che mi ha incaricato di…prelevarti dalla casa dei tuoi zii è un uomo molto influente nel vostro mondo. Non so cosa voglia da te. Ho stretto un patto con lui perché aveva qualcosa che mi interessava molto. Tutto qui. Io non mi interesso degli affari degli umani.»

«Quindi tu non sei umano?» domandò Harry, incuriosito. 

«No, io sono qualcos’altro.»

«Che cosa?»

La voce dell’adulto si fece più autoritaria «La tua razza mi chiama con nomi diversi. Ma la mia essenza sfuggirebbe alla tua comprensione. Ti basti sapere che non appartengo al mondo dei tuoi zii, né a quello dei tuoi genitori.»

«Non sembri cattivo però»

Per la seconda volta, il suo interlocutore rimase interdetto.

«Se vuoi» cambiò argomento «posso portarti un animale, per tenerti compagnia.»

L’idea lo rallegrò immediatamente «Grazie!» trillò «Posso avere un cagnolino? O magari…» si bloccò, esitante.

«Tutto quello che vuoi» lo incoraggiò l’uomo.

«Anche un serpente?»

«Perché vorresti un serpente?» gli chiese.

«Perché... perché così ci posso parlare, se per lei va bene?»

Questa volta vide accendersi un barlume d’interesse negli occhi dell’uomo.

«Molto bene. Tornerò domani» disse semplicemente, e se ne andò, lasciandolo di nuovo solo.

 

Lavr fu sollevato di uscire dalla stanza di Harry Potter. Fortunatamente, fra poco avrebbe ripreso completamente il controllo dei suoi poteri, e nel giro di due mesi sarebbe tornato alla calma e al silenzio del suo Palazzo, lontano da umani, elfi, vampiri, mannari e tutte le altre rumorose creature che infestavano il pianeta. Credeva di averci fatto l’abitudine, anzi, si era addirittura illuso di essere diventato bravo a capire le altre razze. E invece gli umani sfuggivano ancora alla sua comprensione. Anche il bambino prima…non si era aspettato che avrebbe reagito così male alla prigionia, dopotutto aveva provveduto affinché avesse tutto ciò di cui necessitava. E non poteva certo sentire la mancanza della sua situazione precedente; l’aveva trovato a vivere in un sottoscala!

Ora che ci faceva caso, sembrava fin troppo piccolo per la sua età, forse non era stato nutrito a sufficienza, ma era difficile da dire. Non era un esperto di bambini umani, per questo aveva incaricato Lucy di prendersi cura di lui. Eppure il piccolo non era tranquillo.

Magari, si disse, ha reagito male alla solitudine. Agli umani talvolta capitava. Però si era ricomposto velocemente, considerò, aveva anche reagito sorprendentemente bene alle informazioni che gli aveva dato. Ma non era questo che l’aveva colpito.

No, era stata la notizia che il bambino era rettilofono… un fiume di ricordi gli tornò alla mente. Il mago che l’aveva sconfitto, anche lui aveva quel dono.

Nella sua mente, l’immagine del piccolo Potter si sovrappose a quella di un uomo adulto, esile, dallo sguardo determinato, per poi essere sostituita dall’immagine di lei.

Sospirò.

In mille anni aveva tentato di evitare di pensare a lei. Il ricordo gli procurava ancora adesso una fitta al cuore. 

Si alzò. Non era il momento di rievocare il passato: doveva incontrare Veles, anche se non aveva la minima voglia. Dopo l’incantevole colloquio con il Bambino Sopravvissuto, non era certo dell’umore adatto per incontrare il Signore dei vampiri d’Europa, l’essere più scostante sulla faccia della terra, nonché uno dei pochi esseri viventi con cui interagiva abitualmente. Che poi, viventi. Senzienti.

Lo conosceva da tempi immemori. Era stato Veles ad aiutarlo a riprendersi i poteri, e lo aveva anche ospitarlo alla sua Corte per un po’ di tempo, quando non sapeva dove andare. Non poteva mancare all’appuntamento, se lo avesse fatto, gli avrebbe dato il tormento.

Si smaterializzò e riapparve in un salone ampio e buio. Notò con leggero fastidio che ancora non era in grado di materializzarsi con precisione. Si rassegnò a camminare, percorrendo una serie di corridoi labirintici, avvolti dalla penombra e appestati dall’odore di chiuso. Un altro forse avrebbe trovato il luogo silenzioso ma luì sentiva perfettamente i sussurri, i fruscii, i gemiti, ma non vi prestò attenzione. Arrivato alla sua metà, con un movimento imperioso della mano aprì l’immenso portone davanti a sé, entrando nella sala del trono. Sentì addosso mille sguardi incuriositi, e ne ricavò un sottile piacere. Era di nuovo se stesso.

Veles era stravaccato sul trono, infondo alla stanza, ma non appena lo vide si alzò e gli andò incontro.  Indossava stretti pantaloni neri e una camicia rosso sangue che faceva risaltare la sua pelle pallida; i suoi occhi vermigli parevano brillare nella penombra.

«Mio Signore» disse quando fu a pochi metri da lui «sono lieto di vedere che siete nuovamente Voi»

Lavr notò divertito quanto il tono deferente usato dall’amico contrastasse col sorriso canzonatorio che gli rivolgeva.  «Possiamo parlare in privato? » chiese. Per tutta risposta, il vampiro lo afferrò per un braccio e li smaterializzò entrambi.

Riapparvero in una spiaggia dalla sabbia finissima, illuminata dalle luci della luna e di un paesino che si ergeva in alto, alle loro spalle. Il rumore del mare era soffocato dalla musica e dalle voci provenienti dal centro umano, voci di spensierata allegria e festeggiamenti. Lavr contemplò per qualche istante lo spettacolo di luci e confusione che rallegravano quella calda nottata estiva, per poi tornare a volgere lo sguardo al mare calmo.

«Italia? »

«Grecia. »

«Mm. » Si sdraiò sulla sabbia, più interessato alla volta stellata che non alla conversazione.

«Niente male come spettacolo, no? » esclamò Veles, allargando le braccia con fare teatrale.

«Peccato per il baccano. » fu la blanda risposta

Il vampiro scosse la testa energicamente, ed esclamò, gesticolando per imprimere il messaggio con più vigore «Andiamo! Per una volta apprezza le gioie della vita: la musica, le donne, l’alcool. Non vorrai davvero chiuderti nuovamente nel tuo Palazzo e dimenticarti del mondo esterno, vero? »

« Perché no? » bofonchiò in risposta «abbiamo idee diverse su quali siano i piaceri che la vita offre. Non riesco a trovare la bellezza nel caos del mondo. E ormai gli uomini sono dappertutto, con il loro rumore e la loro sporcizia e il loro affaticarsi senza senso.»

L’altro rise e si sedette «Vero, ma non mi lamento certo. Hanno fatto grandi progressi, non trovi? I babbani e la loro scienza… Il mondo umano è decisamente più interessante di questi tempi. Anzi, ormai passo più tempo fra i mortali che con la mia gente. »

«Mm.»

«Demoni!» Il vampiro si rialzò di scatto «potresti almeno fingere di essere interessato! »

«È sempre la stessa solfa. Voi vampiri e i vostri conflitti con i mannari. Anche gli umani sono ripetitivi: pace, guerra e poi di nuovo pace. E i maghi poi! Da quello che ho visto in questi ultimi mesi, non sono cambiati affatto. Un nuovo Lord Oscuro, un altro vecchio mago che lo combatte. »

«Ah sì. Come ti sembra il piccolo Harry Potter? »

Lavr non rispose, perso nei suoi pensieri «È rettilofono. » sussurrò infine.

« Capisco. Ti ricorda lui, non è così? »

Sbuffò, infastidito dalla perspicacia del suo interlocutore «Non è come se Merlino fosse l’unico rettilofono al mondo!»

«No, anche Voldemort lo era.»

Stavolta preferì non rispondere, ma l’altro insistette: «Quell’uomo è pazzo. È solo interessato a se stesso.»

«Andrete d’accordo.»  

«Dico sul serio. Anche tra i vampiri in molti hanno festeggiato la sua caduta. E alla mia corte serpeggia la curiosità per il bambino.»

«Viveva tra i babbani. Non sapeva nemmeno di essere un mago. È uno scricciolo, assolutamente privo d’interesse.»

«Però è rettilofono.»

Lavr scrollò le spalle, disinteressato

«E se è sopravvissuto all’anatema che uccide qualcosa di singolare deve pur averlo.» continuò il vampiro.

«Ripagherò il mio debito il prima possibile.» provò a cambiare argomento.

«Mi ascolti?  Non vorrai davvero consegnare il bambino a Malfoy.»

«I patti erano quelli.»

«Chi se ne frega!» sbottò Veles a quel punto «Quel piccolo può rivelarsi utile, potrebbe cambiare la storia. Non puoi lasciarlo a quel mago.»

«Non riesco proprio a capire perché ti stai interessando tanto ai problemi dei mortali.» replicò placidamente il demone.

«Perché il mondo è cambiato! Non è più come lo conoscevamo noi. È diventato più piccolo e ormai non possiamo più fingere che i destini delle razze non siano legati.»

«Non mi riguarda.»

«Non capisci proprio, eh?» il vampiro diede un calcio alla sabbia «Ci sarà pure qualcosa in questo pianeta di cui t’importi qualcosa.»

«Ho imparato a non impicciarmi nelle faccende dei mortali.» Disse allora Lavr «E poi, in mille anni non ho visto nessun mago degno di Merlino.»

«Non ne dubito, ma non si sa mai.»

Perso ogni interesse, il demone si alzò, intenzionato ad andarsene, ma si bloccò sentendo l’ultima frase pronunciata dall’altro.

«Dallo a me allora.»

 Si girò sorpreso.

«Ti ho aiutato col rituale, sei in debito con me.» continuò Veles

«Ma il bambino l’ho promesso a Malfoy.» obiettò.

«Hai promesso di rapirlo e l’hai fatto.»

«Che cosa faresti se te lo consegnassi?»

«Dipende.» fu la noncurante risposta

«Valuterò la questione.» concesse infine il demone, prima di smaterializzarsi.

 

Ciao. Eccomi con un nuovo capitolo :) Volevo dare alcuni chiarimenti sulla direzione che prenderà la storia. Harry andrà ad Hogwarts, e non ci vorrà molto perchè questo accada. Seguirò i suoi anni là, che naturalmente saranno molto diversi rispetto al libro, ma darà grande rilievo alla guerra magica, che molto probabilmente inizierà prima rispetto al canon. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, dovrei pubblicare il prossimo al più tardi giovedi. Un bacio :)

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Capitolo 4
*** La Rue des Fées ***


Lavr camminava per le strade malfamate della Parigi magica; stava cercando il negozio di un certo Luis, un vampiro di appena sessant’anni che si occupava di contrabbando. Attraversò la strada priva di illuminazione senza difficoltà: i maghi evitavano di avventurarsi in quella zona di notte, e i vampiri erano abbastanza furbi da non importunarlo. Imboccò un vicolo senza esitazione ed entrò in un piccolo garage, individuando subito il proprietario.

«Sei tu Luis?» chiese.

«Si, signore» rispose l’altro, a disagio. Sembrava sulla quarantina ed era vestito con un abbinamento di colori che gli conferiva l’aspetto di uno che si veste a occhi chiusi.

«Mi serve un animale magico. Un serpente»

«Si, signore» il vampiro gli si inchinò davanti, incapace di mascherare il proprio nervosismo, e fece segno di seguirlo. Il garage sembrava ospitare ogni tipo di merce. Luis lo condusse in una cantina, dove si trovavano animali di ogni tipo e non solo. In un angolo c’era anche una gabbia con dentro due bambini.

«Lupi mannari.» ghignò Luis, scoprendo le zanne. «Vendono bene e nessuno viene a reclamarli.»

Lavr fece una smorfia. In vita sua aveva visto molte cose riprovevoli, ma il commercio di esseri senzienti restava tra le peggiori.

«Quanti anni hanno?» chiese casualmente.

«il più grande sette, l’altro cinque. Sono stati trasformati appena un anno fa.»

Sette anni, pochi anche per i canoni dei mortali… la stessa età di Harry Potter, se non si sbagliava.

«Li ho trovati a mendicare per strada» continuò il mercante «sicuramente erano dei piccoli maghi e i genitori li hanno abbandonati. Così li ho amorevolmente presi in custodia io.» rise divertito.

«Il serpente?» lo interruppe il demone.

«Oh si signore» il ghigno del vampiro si spense, mentre si addentrava nella stanza a rovistare tra le gabbie. Lavr non lo seguì, ma rimase a guardare i due bambini, che nel frattempo si erano rannicchiati in fondo alla gabbia, terrorizzati. La loro vita sarebbe stata un inferno, ma del resto lui cosa poteva farci? Un bambino a casa sua era più che sufficiente.

La ricomparsa di Luis lo distolse dai suoi pensieri.

«Ecco signore. È un piccolo Agares, la razza più letale di serpenti magici. Secondo la leggenda è stata creata da Lilith in persona. Bah» il mercante sputò per terra, come a dire che lui non credeva a simili sciocchezze «adesso è piccolo, ma raggiungerà i quattro metri. È una razza di famigli, sarà fedele al suo padrone se egli sarà abbastanza potente. Voi non avrete problemi ad addomesticarlo.» concluse untuosamente.

«Molto bene,» fece Lavr, sbrigativo «lo prendo. E prendo anche i lupacchiotti.» aggiunse, pentendosene un’istante dopo

Il vampiro si sfregò le mani  avidamente.« accetto solo pagamenti in valuta babbana. Sono diecimila euro, signore.»

Lavr lo guardò divertito, e il vampiro perse immediatamente il suo ghigno «ottomila?» tentò, rendendosi conto della situazione.

Ignorando il venditore, appellò il serpente, aprì la gabbia con un gesto e invitò i bambini a uscire. Il vampiro lo inseguì, urlando cifre sempre più basse, e infine, dopo che ebbe esalato «100!» senza molta convinzione, Lavr si girò e gli lanciò un piccolo rubino, che egli afferrò prontamente.

Il demone prese i bambini e si smaterializzò poco lontano, in un vicolo deserto. I mannari sembravano felici e guardinghi allo stesso tempo.

«siete liberi» disse Lavr bruscamente «fate più attenzione la prossima volta.»

«signore aspetti»

Si voltò seccato, e il bambino sembrò perdere il suo coraggio, ma poi si fece forza e continuò «signore, la prego. Non sappiamo dove andare»

Ma perché finiva in situazioni simili? Non c’era una singola possibilità al mondo che si facesse carico di due lupacchiotti! Considerò le alternative. Poteva mollarli a qualcuno, ma chi? Il primo nome che gli venne in mente fu Veles, ma lo scartò subito. Per scaricarli a un vampiro, avrebbe potuto lasciarli dov’erano. La cosa migliore sarebbe stata affidarli a un lupo mannaro, ma non ne conosceva molti, e quei pochi che aveva frequentato in passato erano sicuramente morti da un bel pezzo.

Proprio quando stava accarezzando l’idea di andarsene e lasciare che si arrangiassero, gli venne in mente un pub che aveva frequentato negli ultimi mesi passati in Francia, dove tra gli avventori abituali c’erano anche diversi lupi.

«d’accordo. Prendete la mia mano.»

Quando i due lo fecero, si smaterializzò nuovamente. Riapparvero all’interno di un piccolo bar, molto frequentato dalle creature magiche della capitale. Alcuni clienti, soprattutto vampiri, si girarono a guardarli, ma vedendolo tornarono saggiamente a farsi gli affari propri. Avvertendo i bambini al suo fianco irrigidirsi, il demone sussurrò «non preoccupatevi, non oseranno attaccarvi se siete con me». Incredibilmente, funzionò. I piccoli afferrarono la sua mano e lo seguirono fiduciosi, cosa che lo lasciò quasi seccato. Uno penserebbe che mesi chiusi in gabbia gli avessero insegnato una cosa o due sul dare facilmente fiducia agli estranei!

Si avvicinò al barista, un babbano alto e grosso. «sto cercando un lupo mannaro. Sulla trentina, capelli ingrigiti e l’aria di uno che avrebbe bisogno di un buon pasto». Dopo averlo squadrato con occhio critico, l’uomo indicò con un cenno uno dei tavolini all’angolo.

Finalmente un po’ di fortuna! Si diresse immediatamente al tavolo del lupo, che alzò lo sguardo dalla sua burrobirra non appena percepì la sua presenza.

«questi bambini erano stati catturati da un trafficante» esordì Lavr, senza curarsi dei convenevoli «poiché sono della tua razza, te li affido. Io non posso aiutarli.»

Il mannaro guardò prima lui, poi i bambini, con l’aria di uno sicuro di essere vittima di uno scherzo.

«co… cosa? No aspetta! Non puoi lasciarmi così. Non posso occuparmi di due bambini!»

Lavr sospirò. Mortali. Sempre a complicare le cose. «sei vestito in abiti babbani, ma tieni la mano pronta ad afferrare la bacchetta, il che significa che sei stato addestrato come un mago. I tuoi vestiti sono in uno stato pietoso e frequenti un posto malfamato come questo, quindi hai pochi soldi, ma si vede che sei civilizzato, sei probabilmente l’unico in questo buco che sa qual è la funzione di un tovagliolo. Senza contare che il tuo aspetto malnutrito e poco sano mi dice che non hai accettato la bestia, il che da un lato significa che sei un idiota, ma dall’altro che sei il mannaro più umano che abbia incontrato da molto tempo. Sono sicuro che troverai una sistemazione per questi due, sennò rimandali in strada, non m‘interessa. Io me ne lavo le mani, non sono mica il santo protettore dei mocciosi bistrattati». Approfittando dello sconcerto dell’uomo, si liberò della presa dei due bambini e si voltò per andarsene.

« no aspetti!» lo fermò

Si girò, infastidito. Il mannaro aveva ancora l’aria di uno che ha ricevuto una botta in testa, ma tentò di ricomporsi.

«sono Remus Lupin» disse semplicemente

«Lavr»

 

 

Era passato un giorno da quando il suo rapitore era andato a trovarlo. Harry aveva riflettuto a lungo sulle cose che gli aveva rivelato. Non erano certo facili da digerire.

I suoi zii gli avevano mentito. La magia esisteva, e lui e i suoi genitori erano maghi. Non solo, ma non c’era stato nessun incidente d’auto. Suo padre non era un ubriacone. Il petto gli si riempì di rabbia. Come avevano osato insinuare una cosa del genere? Ma la cosa più sconvolgente era scoprire di essere famoso nel mondo magico. Era ridicolo. Poteva credere all’esistenza della magia, al fatto che la sua vita fosse stata una menzogna, ma aver sconfitto un potente mago oscuro da neonato? Forse era tutto un sogno bizzarro. Il ricordo di sconosciuti che lo fermavano per strada per ringraziarlo gli balzò alla mente. Eppure, se era tanto celebre, perché lo avevano lasciato con i Dursley?

Il suo carceriere era un altro enigma. Il suo istinto gli aveva suggerito impressioni contrastanti, ma ciò che maggiormente lo preoccupava era l’uomo che aveva ordinato il su rapimento. Sapeva bene che le cose possono sempre peggiorare: vivere con i suoi zii era orribile, ma chissà cosa avrebbe potuto fargli un mago. Rabbrividì. E ora era nelle mani di uno che non era nemmeno umano! Ripensò ai libri di favole che aveva letto. Non poteva essere un orco, o un troll; sembrava un umano qualunque… forse era un vampiro? Si portò istintivamente la mano al collo, con un brivido. Magari era quello il motivo per cui non c’era luce solare nella sua stanza. O almeno non c’era stata fino al giorno prima. Al suo risveglio aveva trovato delle finestre nella camera, che davano su un bellissimo giardino e da cui si poteva vedere il mare in lontananza. Si potevano a malapena socchiudere, ma era già un miglioramento. Era stato carino da parte del suo rapitore, no? Magari era un elfo! Al prossimo incontro gli avrebbe controllato le orecchie.

Ma poteva fidarsi di lui? Aveva ucciso i suoi zii. Però lo aveva portato in quella bella stanza, e non gli aveva fatto del male. Certo, l’aveva lasciato lì da solo! Ma avrebbe potuto abbandonarlo in un posto ben peggiore... non gli era mai mancato il cibo. Scosse la testa. Era tutto così confuso!

Come evocato, l’oggetto dei suoi pensieri entrò nella stanza, (dopo aver bussato, registrò Harry, non abituato a simili cortesie.)

«tieni» disse porgendogli un piccolo serpente. Lo prese, entusiasta. Era molto piccolino, poteva senza problemi tenerlo nel palmo della mano, ma le scaglie erano di un colore bellissimo, verde brillante, e aveva delle strisce nere sul dorso. Quasi dimentico della presenza del suo carceriere, cominciò a parlarci.

-     Come ti chiami? – sibilò

-     Non ho un nome. Non avevo mai incontrato un umano col dono della lingua –

-     Che cosa intendi? – chiese, confuso

-     Hai il dono di parlare la lingua dei serpenti -

-     Vuol dire che sto parlando una lingua diversa? – gli fece eco, stupefatto – lui capisce quello che stiamo dicendo? – aggiunse, lanciando un’occhiata di sottecchi all’uomo.

-     No. Il dio non ha il dono –

Adesso era davvero senza parole. Un dio?

-     Non capisco. Come può essere un dio?

-     Sono una creatura magica creata dalla Dea, quindi riconosco che egli è simile a lei –

Harry considerò quelle nuove informazioni. Ormai, cominciava a non stupirsi più di niente.

-     Adesso tu sei il mio padroncino – aggiunse il serpente.

-     Va bene. Mi prenderò cura di te – replicò con un sorriso. Ringraziò l’uomo per il regalo, e non potendosi trattenere oltre, iniziò a formulare gli interrogativi che gli erano passati per la mente quella notte, sperando che il suo carceriere non odiasse le domande quando i Dursley.

«come ti chiami?»

L’uomo sembrava essersi aspettato di subire un terzo grado, perché rispose pacatamente: «ho diversi nomi, ma tu puoi chiamarmi Lavr».

«sei davvero un dio?»

«da dove ti viene questa idea?»

Per tutta risposta, Harry indicò il suo nuovo amico.

«dipende da cosa intendi per dio, suppongo» replicò dopo una breve riflessione. «erano secoli che non mi sentivo chiamare così, soprattutto da un essere umano. Quelli della tua razza ci chiamano demoni.»

«demoni? Come Satana?» chiese Harry, allontanandosi istintivamente.

Lavr roteò gli occhi al cielo «no, niente del genere. Il termine demone viene dal greco, ma non penso che questo sia il momento giusto per aprire un dibattito filosofico o di semantica. Puoi attribuirmi il nome che preferisci, la mia essenza non cambia».

Un po’ dubbioso, il bambino lasciò cadere il discorso. «esistono altre creature non umane? Non so, elfi, vampiri, cose del genere?»

«si»

«wow» esclamò, elettrizzato dalle scoperte che stava facendo.

«credimi, una volta che ti sarai abituato a questo mondo, non ci troverai più niente di entusiasmante».

Ne dubitava, sinceramente. Sembrava tutto così... beh, magico.

Ma c’era un’altra domanda che lo assillava. Prese un bel respiro e mormorò «quindi non morirò?».

Lavr non rispose. «ti andrebbe di fare un giro nel mondo magico?» gli chiese.

 

Come gli capitava spesso di quei tempi, Lavr si pentì della proposta un istante dopo averla fatta, ma ormai il bambino era già esaltato. Prese le precauzioni necessarie: cambiò l’aspetto di Harry, trasformandolo in un bambino più grande, biondo e riccio, e nascondendo la cicatrice. Del resto, quella era la parte più riconoscibile; nessuno nel mondo magico aveva mai visto il bambino, e non era nemmeno scoppiato uno scandalo quando era stato rapito, forse perché già da prima i maghi non sembravano sapere dove si trovasse il Bambino Sopravvissuto, lui stesso aveva impiegato un intero mese per scoprirne la residenza. Il suo tutore, Albus Silente, si era premurato di mantenere il segreto su tutto ciò che riguardava il bambino ma grazie ai suoi contatti al ministero, Malfoy era riuscito a indirizzarlo verso la pista giusta. E a proposito di Malfoy: gli aveva mandato una lettera non appena aveva prelevato il bambino, promettendogli di consegnarglielo tra qualche mese ma ora non ne era più così sicuro. Affidare Harry Potter nelle mani di un mangiamorte sarebbe stato crudele, e l’idea lo turbava più di quanto non volesse ammettere. Nei suoi diecimila anni di vita si era abituato a gesti ben più terribili, ma questo bambino... la vita era stata ingiusta con lui. Si schiarì a mente. Inutile pensarci ora. Come aveva detto Veles, le sorti del piccolo erano legate indissolubilmente a quelle del mondo magico, e lui non si sarebbe fatto incastrare una seconda volta nella politica umana. Forse Malfoy lo avrebbe ucciso, forse no, ma tanto alla fine quello era il destino di ogni essere umano. Però era curioso di scoprire se almeno Potter fosse all’altezza delle aspettative.

Dopo essersi smaterializzato, aspettò pazientemente che il bambino si riprendesse. Si trovavano a Montmartre, a Parigi. Fece un incantesimo che li permettesse di passare inosservati, e condusse il maghetto al portale che portava alla Rue des Fées, situato all’interno della Basilica del Sacro Cuore. Doveva ammettere che i maghi avessero un discreto senso dell’umorismo: piazzare l’ingresso al loro mondo nel luogo di culto della religione che li perseguitava! Senza che nessuno li degnasse di uno sguardo, entrarono nel confessionale, dove si trovava il portale, e passato quello, vide gli occhi del bambino spalancarsi alla vista di una strada stretta, in pietra, piena di maghi affaccendati e di negozi che a Harry dovevano apparire bizzarri. Lui invece, si sentì soffocare dagli odori pungenti di quella calca di uomini e di animali, d’ingredienti per pozioni e delle schifezze che i maghi avevano il coraggio di infilarsi in bocca. Storse il naso, disgustato. Se non altro, almeno di quei tempi gli umani avevano il buon gusto di non buttare i loro puzzolenti fluidi nelle strade.

 

Dopo aver eseguito su se stesso una variante dell’incanto testabolla, seguì il bambino in ogni negozio che attirava la sua attenzione, rispondendo alle centinaia di domande che gli sottoponeva come meglio poteva. Gli parlò dello statuto di segretezza, del Ministero della Magia, gli illustrò molto rapidamente alcune differenze tra la Francia e l’Inghilterra magiche. Arrivò persino a parlargli di Hogwarts, attingendo prevalentemente alle informazioni che aveva raccolto da Merlino. Dopo un po’ le domande si fecero più complicate. Il piccolo voleva sapere dei suoi genitori, e di Voldemort, e di altre cose di cui, francamente, lui sapeva ben poco. Ma sembrava anche molto interessato alle creature magiche, e a lui.

«ma quindi tu sei immortale? Come i vampiri?» chiese a un certo punto

«no. I vampiri non sono veramente immortali. Sono immuni allo scorrere del tempo, ma possono essere uccisi da un colpo al cuore, o dalla luce del sole, e devono bere sangue per vivere».

«e tu cosa mangi?»

«niente»

L’idea sembrò sconvolgere il maghetto. «niente niente? Mai?»

«no»

«e se mangi qualcosa stai male?»

«non mi piace il cibo» tagliò corto.

 

Dopo un paio d’ore non ne poté veramente più di tutta quella confusione, e riportò il bambino a casa. Harry era euforico per la giornata appena trascorsa, ed era buffo. Probabilmente, viveva il suo rapimento come la cosa migliore che gli fosse capitata da molto tempo.

«puoi tornare nella tua stanza. Lucy provvederà alla tua cena»

«chi è Lucy?» chiese

Per tutta risposta, Lavr chiamò l’elfa. Non aveva più senso tenere il bambino chiuso in camera, poteva fargli girare la casa, tanto, anche se avesse scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto poteva sempre obliviarlo.

«il padrone ha chiamato» domandò la creatura.

«si Lucy. D’ora in poi prenderai ordini direttamente da Harry». Poi, rivolgendosi al bambino, aggiunse: «lei ha il compito di provvedere a ogni tua necessità. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, puoi chiedere a lei. La casa è protetta da barriere magiche, quindi ti sarà impossibile uscire, però puoi entrare liberamente nelle stanze che non sono chiuse a chiave. Se preferisci, potrai mangiare nella sala da pranzo e anche giocare in giardino. Lucy ti porterà a vedere il resto della casa».

«posso restare con te adesso?»

Il bambino aveva il potere di sorprenderlo. Era sembrato incredibilmente a suo agio quel giorno; gli umani in genere tendevano a evitarlo, il loro istinto gli suggeriva che era un pericolo per loro. Evidentemente però, uno cresciuto con dei parenti abusivi aveva una percezione diversa del pericolo. Aveva provato a fare qualche domanda sui Dursley al bambino, ma aveva ottenuto solo risposte vaghe e.. imbarazzate? Così aveva deciso di lasciar perdere.

«sono occupato» rispose, ma vedendo il maghetto rattristarsi, aggiunse: «ti farò compagnia a cena, se lo desideri».

Harry annuì, di nuovo allegro, e Lavr lo lasciò con l’elfa e si recò nel suo studio. Gli erano venuti in mente alcuni ritocchi per il quadro.




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Capitolo 5
*** Lezioni ***


Severus Piton era seccato, e per delle buone ragioni. Era seccato perché la sua estate tranquilla lontana dai suoi pestiferi alunni d passare distillando pozioni e rifornendo il suo armamentario era stata rovinata da nientemeno che dal pidocchioso figlio di Potter. Era seccato perché si era illuso di non doversi occupare del Bambino- purtroppo – sopravvissuto per almeno altri cinque anni. Era seccato perché Silente aveva incaricato lui di fare qualche ricerca nel vecchio giro, cosa che si sarebbe risparmiato volentieri, ma soprattutto era seccato perché per quanto odiasse ammetterlo, era preoccupato per il bambino. Il figlio di Lily, che aveva giurato sulla tomba della donna di proteggere, era scomparso, e una parte di lui – estremamente fastidiosa – gli rinfacciava la propria negligenza.

Non avrebbe dovuto assecondare il piano del preside. Lasciare il figlio di Lily nelle mani di Petunia!  A cosa era servito poi? Le cosiddette barriere impenetrabili erano state buttate giù, Severus stesso si era recato a Privet Drive a cercare indizi, ma senza successo. I tre babbani erano morti nel sonno, e l’assassino non aveva lasciato la benché minima traccia del suo passaggio. Ma la cosa che più aveva colpito il pozionista, era che non c’era nemmeno nella casa il minimo indizio che una quarta persona avesse mai vissuto là. Non c’era nemmeno una foto e delle tre camere da letto dell’abitazione, nessuna sembrava esser stata di Harry: nella camera del cugino c’era un solo letto, e l’altra camera era sommersa di giocattoli e diavolerie babbane, e sembrava improbabile che qualcuno ci avesse mai dormito.

Ispezionando il resto della casa era stato attirato dalla porta del sottoscala, e quello che aveva visto lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni: un minuscolo giaciglio sfatto, qualche soldatino buttato sul pavimento, e nelle lenzuola improvvisate delle vecchie macchie di sangue. Aveva parlato con i vicini, compresa quella vecchia svitata di Arabella Figg, con gli insegnanti, con i poliziotti che si occupavano del caso. Tutti gli avevano descritto un bambino pallido, scheletrico, introverso, sempre vestito con abiti logori e troppo grandi, preso di mira dai bulli della scuola, ossia gli amici del cugino.

Non era così che si era immaginato il figlio di James Potter.

Era tornato da Silente furioso, e gli aveva sputato in faccia la verità sul luogo sicuro dove aveva lasciato l’eroe dei maghi, e aveva goduto nel vedere il vecchio mago portarsi le mani al viso, stanco e sconfitto, mentre Minerva gli rinfacciava di non averla ascoltata, di non averle dato retta quando gli diceva che il piccolo Harry non poteva crescere con quei babbani orribili. Ma incolpare il preside non era servito a togliergli il groppo che gli si era formato in gola.

Tutti i tentativi di Silente di rintracciare il bambino si erano rivelati vani. Ovunque si trovasse, era nascosto da barriere potentissime. Severus era anche andato a trovare Lucius, con la scusa di chiedergli alcuni ingredienti difficili da trovare nei negozi di Diagon Alley; Malfoy non era sembrato affatto sorpreso della sua visita, e aveva mantenuto per tutto il tempo un sorriso sardonico che poco era piaciuto al pozionista, ma per il resto non aveva fatto trapelare nulla, non che Severus si aspettasse qualcosa di diverso. Silente si era detto sicuro che Harry fosse ancora vivo, ma le probabilità di trovarlo diminuivano di giorno in giorno.


Mentre Severus Piton si arrovellava nei suoi pensieri, il Bambino Sopravvissuto, in Francia, si godeva un bagno caldo prima di cena. Era stata la giornata più straordinaria della sua vita. Non aveva creduto completamente alla magia finché non era stato alla Rue des Fées; era rimasto incantato dalla vista di tutte quelle persone vestite eccentricamente che si affrettavano da una parte all’altra, entrando in negozi di bacchette, di ingredienti per pozioni, di animali. E lui apparteneva a quel mondo! Bruciava di curiosità, più cose scopriva più domande gli passavano per la testa. Era rimasto estasiato alla vista della libreria, e Lavr gli aveva detto che in casa c’erano diversi libri in inglese e gli aveva promesso che avrebbe potuto leggerli.

Prese della schiuma delicatamente, soffiò e guardò divertito le bolle che si erano create. Dai Dursley poteva solo farsi docce veloci in acqua fredda. Il pensiero dei suoi zii lo incupì. Non voleva più pensarci. Le bugie che gli avevano detto su di lui e sui suoi genitori lo riempivano di rabbia e umiliazione. Una parte di lui era felice che fossero morti, e questo lo faceva sentire orribile.

S’immerse nell’acqua, nel tentativo di scacciare i ricordi. Ora che sapeva che non era anormale, ma speciale, non avrebbe più permesso a nessuno di fargli del male. Mai più.

Dopo essersi asciugato e rivestito, si recò nella sala da pranzo, dove trovò Lavr, come promesso. Il demone gli fece un tiepido sorriso, e con un gesto spostò la sedia di fronte a lui per farlo accomodare. Harry si sedette, e il cibo apparve immediatamente davanti a lui. Cominciò a mangiare, sforzandosi di farlo il più educatamente possibile; ricordava bene l’umiliazione che aveva subito quando i professori a mensa lo avevano rimproverato davanti a tutti per le sue cattive maniere a tavola. Avendo cura di inghiottire prima di parlare, fece la domanda che aveva in testa tutto il giorno.

«Mi insegni la magia?»

Lavr lo osservò, impenetrabile come al solito.

«Non sono sicuro che gli umani possano imparare così giovani.»

«Oh» esclamò Harry, deluso.

«Imparerai quando andrai a Hogwarts.»

Per tutta risposta, il bambino ebbe un moto di stizza.

«Sarà troppo tardi.» disse

«E perché mai?»  gli chiese il demone, chiaramente incuriosito.

«Devo imparare a difendermi.» replicò, risoluto.

La risposta sembrò colpire l’adulto. Lavr si protese leggermente nella sedia e gli afferrò il polso. Sorpreso, il maghetto tentò di liberarsi, ma la presa era ferrea. Improvvisamente sentì un gran calore partire dal petto per divulgarsi in tutto il suo corpo, e dalla sua mano ancora stretta in quella del demone uscì una sfera di luce che quasi lo accecò, che scomparve non appena Lavr lasciò andare il suo polso. Harry alzò lo sguardo, e vide l’espressione stupita e calcolatrice dell’altro.

«Cosa.. cosa è successo?» chiese.

«Ho fatto emergere la tua magia.»

Harry lo guardò senza capire.

«Se lo desideri, domani proverò a insegnarti qualcosa.»

Il mago lo ringraziò, felicissimo, e tornò nella sua stanza, lasciando il demone perso nei suoi pensieri.


Un simile potere in un umano di sette anni! Certo, non era un bambino qualunque, però era comunque sorprendente. Probabilmente Veles aveva ragione. Lasciarlo a Malfoy sarebbe stato un spreco. Si passò la mano sugli abiti di mago che aveva indossato quella mattina, trasfigurandoli in vestiti babbani, e concentrandosi sul vampiro si smaterializzò. Come aveva immaginato, si ritrovò in un locale babbano. Veles stava seduto in un tavolino, circondato da umane vestite in abiti succinti. Gli fece un cenno con la mano, e Lavr gli si avvicinò.

«Signore,» esclamò Veles gioviale «ci scusereste per un attimo?» le ragazze obbedirono, lanciando occhiate lascive al demone, che non le degnò nemmeno di uno sguardo.

«Non mi aspettavo di rivederti così presto; » esclamò il biondo, mentre Lavr prendeva posto di fronte a lui. «devo dedurre che hai preso in considerazione la mia proposta?»

Lavr scosse il capo, divertito. «Non sono così crudele da lasciare un bambino nelle tue mani.», commentò ironicamente.

L’altro fece un gesto seccato con la mano. «Non mi sembrava che ti stesse a cuore la sorte di Harry Potter.»

«Forse si.» mormorò il demone, a voce così bassa che l’altro pensò di esserselo solo immaginato.

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese meravigliato.

Lavr scrollò le spalle. «Una sensazione.»

«Una sensazione?» gli fece eco il vampiro.

«Mi ricorda Merlino in qualche modo.», ammise.

«Dovresti odiarlo allora.» commentò Veles.

«No,» obiettò «non provo nessun rancore verso Merlino. Mi ha battuto perché era straordinario, nonostante fosse umano.»

«A volte» commentò sarcastico «penso che amassi più lui che Morgana».

Il demone non rispose, così l’altro lasciò perdere. Indicò un gruppetto di ragazze che ballavano poco distante.

«Che te ne pare?» gli chiese.

Lavr sbuffò. «Non sono venuto qui per rimorchiare babbane.»

Veles rise. «Oh, nemmeno io se è per questo». Prese il bicchiere davanti a se e ne buttò giù il contenuto tutto d’un fiato, guardando con aria improvvisamente seria e predatoria davanti a se. Seguendo la direzione del suo sguardo, Lavr vide una ragazza molto bella, seduta a un tavolino con delle amiche. Parlava gesticolando, con un sorriso radioso in faccia. Nonostante la distanza, riuscì a sentire la sua voce allegra e calda.

«La voglio trasformare.» disse Veles, con un sorriso sinistro.


La mattina dopo, Harry si svegliò presto, eccitato all’idea di imparare la magia. Si vestì velocemente e si precipitò nella sala da pranzo, dove trovò il demone immerso nella lettura di un tomo gigantesco.

«Buongiorno.» disse Lavr senza alzare lo sguardo.

«Buongiorno!» trillò il bambino, prendendo posto e iniziando a servirsi. Mangiò in silenzio, non volendo disturbare l’adulto, ma non poté fare a meno di agitarsi nella sedia tutto il tempo. Infine, il demone parlò: «Ho pensato di sottoporti a un test oggi, per vedere se sei in grado di imparare. Sei pronto?»

«Si.» rispose Harry, determinato.

«Seguimi allora».

I due si diressero in soggiorno e con un ampio gesto del braccio il demone chiuse le persiane, cosicché l’unica illuminazione della stanza veniva da una piccola candela poggiata sul basso tavolino al centro della stanza.

Con un movimento aggraziato, Lavr si inginocchiò per terra, e il maghetto fece altrettanto.

«Guarda la candela,» sussurrò «concentrati. Voglio che tu la spenga.»

«E come faccio?»

«Concentrati.»

Poco convinto, Harry si mise a fissare la fiamma per qualche minuto, cercando di non pensare ad altro.

«Non ci riesco.» sbottò infine. «Non mi dici come fare!»

«Ti ho detto di concentrarti;» replicò il demone, senza scomporsi. «prova a pensare alla sensazione che hai provato ieri, quando ho risvegliato il tuo potere.»

Il mago sbuffò. Certo, sembrava facile a lui. Ciononostante provò a fare come gli era stato suggerito. Ripensò al calore che aveva invaso il suo corpo, alla sensazione di pace e completezza che aveva provato, e si concentrò sulla candela. All’inizio non accadde niente, ma non si rassegnò. Le volte che aveva eseguito magia accidentale era arrabbiato o spaventato, così cerco di richiamare quelle sensazioni. Pensò alla disperazione che aveva provato quando era stato rapito ed era rimasto chiuso nella sua stanza per settimane, senza porte né finestre e senza sapere cosa stesse succedendo, e si concentrò sul desiderio di non sentirsi mai più così impotente.

La candela si spense.

Guardò il demone, sorridendo soddisfatto-

«Ora riaccendila.»


Per l’ora di pranzo, Harry era stanco e amareggiato. Nonostante i suoi sforzi, era riuscito a riaccendere la candela solo una volta, eppure si sentiva stremato come se avesse lavorato tutto il giorno.

«Credevo sarebbe stato più facile dopo la prima volta.» aveva esclamato dopo mezz’ora di tentativi andati a vuoto.

«Naa,» lo aveva preso in giro il demone «quella è stata solo fortuna.»

L’entusiasmo iniziale era scomparso, e Harry si sentiva stupido. Evidentemente, anche come mago non era un granché.

Vedendolo mangiare in silenzio, abbattuto, Lavr disse «Possiamo lasciar perdere se vuoi.»

«No!» esclamò il bambino «Non voglio mollare.»

L’altro annuì, soddisfatto. «Molto bene. Il problema con voi umani, soprattutto così giovani, è che la vostra magia, così come la vostra memoria, è legata alle emozioni.»

«Nel senso che riesco a fare magie solo quando sono turbato?»

«Precisamente. È per questo che voi maghi avete bisogno delle bacchette per catalizzare il potere. Siete privi della capacità di controllare le vostre emozioni, siete schiavi di esse. Ho sentito la tua magia, ed è straordinaria per la tua età. Però devi imparare a controllare te stesso per usarla.»

«Ma come posso fare?»

«Quando hai spento la candela, come hai fatto?»

Harry ci pensò su. «Ho cercato di richiamare le emozioni che ho provato dai Dursley, quando ho fatto qualche magia accidentale.»

Lavr annuì. «E in seguito, quando hai cercato di riaccenderla, senza successo? »

«Non saprei.» mormorò «Io.. stavo ancora pensando ai miei zii, e ho perso la concentrazione.», ammise.

«Quindi le emozioni hanno smesso di essere un mezzo, hai lasciato che prendessero il sopravvento, perdendo di vista l’obiettivo che ti avevo assegnato.»

«Si.»

Lavr sospirò «Non sono un esperto di psicologia infantile,» esordì «ma penso che parlare dei tuoi zii potrebbe aiutarti.»

«No!» gridò Harry, scuotendo il capo violentemente. «Non voglio parlarne.»

«Nessuno ti obbliga,» replicò calmo «ma non dovresti permettergli di influenzare ancora la tua vita. Devi trovare un modo per andare avanti.»

Il bambino non rispose. Che aiuto poteva dargli parlarne? Ogni volta che aveva provato a sfogarsi con un adulto, la situazione era peggiorata. Certo, Lavr non era come i suoi professori, ma non voleva comunque raccontargli dei Dursley. Non sarebbe servito a niente, se non a far riaffiorare cose che voleva solo dimenticare. Non voleva che nessuno sapesse cosa gli diceva Vernon o di quando Dudley gli metteva la testa nel water. Il ricordo delle umiliazioni subite gli fece inumidire gli occhi. Mai più.

Salve a tutti! Ormai ci stiamo avvicinando a Hogwarts. Nel prossimo capitolo, che cercherò di pubblicare entro lunedi per compensare il ritardo, ci saranno delle informazioni sui demoni e poi nel settimo capitolo sarà rivelata la storia di Lavr. A presto

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Capitolo 6
*** I demoni ***


Era passato un mese da quando aveva iniziato a dare lezioni a Harry e i progressi erano stati notevoli, considerando la sua età. In un solo mese aveva imparato a richiamare a sé la sua magia, e anche la sua resistenza era migliorata. Non avevano più affrontato l’argomento Dursley, però il bambino sembrava essere riuscito ad accettare il proprio passato. Non sembrava nemmeno lo stesso marmocchio che aveva trovato in quella cucina babbana intento a rovistare alla ricerca di cibo come un cucciolo affamato. Ora aveva un aspetto sano e pareva anche felice. Il loro rapporto era cordiale e Lavr era rimasto stupito di quanto velocemente si fosse abituato alla presenza del maghetto.

Il fatto che fosse estremamente intelligente per un umano della sua età aveva contribuito, ma non era il solo motivo per cui aveva accettato così facilmente la sua presenza. Aveva la capacità di stupirlo. Aveva mostrato una determinazione ammirevole, era indipendente e maturo, ma nonostante tutto quello che aveva passato aveva conservato una certa ingenuità che contrastava con la durezza che mostrava ogni qualvolta si sentisse a disagio, come quando avevano affrontato il discorso su Lucius Malfoy.

Nonostante le risposte vaghe del demone, il bambino sopravvissuto non aveva desistito e l’aveva stressato fino a quando, non potendone più delle sue domande, gli aveva spiegato che dopo mille anni di ricerche – mille? aveva esalato Harry, sconvolto – aveva rintracciato un oggetto molto importante, che si trovava nelle mani di un mago purosangue inglese, il quale glielo aveva consegnato in cambio del rapimento del famoso Harry Potter. Naturalmente, la spiegazione non aveva soddisfatto il piccolo.

«cos’è l’oggetto? Com’è finito nelle mani di un umano? Che cosa vuol dire purosangue? Perché non l’hai semplicemente rubato?». Sentendo l’ultima domanda, a Lavr era venuto il dubbio di aver avuto una cattiva influenza sull’eroe dei maghi; senza entusiasmo, gli aveva spiegato la differenza tra purosangue e sanguesporco, e da lì era arrivato a dirgli che Malfoy era un seguace dell’assassino dei suoi genitori. Comprensibilmente, la notizia aveva mandato il suo studente su tutte le furie, al punto che gli aveva distrutto il salotto in un attacco di magia accidentale. Quando Lavr si era limitato ad alzare un sopracciglio e fargli notare che non stava dimostrando un grande autocontrollo, il maghetto aveva esalato un verso di frustrazione ed era uscito sbattendo la porta. Aveva tenuto il broncio chiuso nella sua stanza per un paio di giorni per poi andare da lui con un’espressione determinata e dire, senza urlare ma con forza: «non andrò da Malfoy».

Il demone non aveva risposto.

«mi hai sentito?» aveva gridato a quel punto «non starò buono e tranquillo a farmi mandare al macello!»

«d’accordo»

«d’accordo?» aveva ripetuto Harry, stupito.

Lavr aveva scrollato le spalle. «non sarebbe certo il primo patto che rompo».


«sapevo che sarebbe finita così» lo punzecchiò Veles quella sera.

«perché dobbiamo sempre incontrarci in posti così affollati?»

«perché, al contrario tuo, io mi so godere la vita»

Lavr gettò un’occhiata poco convinta allo squallido locale in cui si trovavano, pieno di gente evidentemente già ubriaca e poco interessata alla band che strimpellava sul palco. «se lo dici tu» replicò. «perché siamo qui? Non dovremmo…»

«shh» lo interruppe il vampiro, indicando il gruppo. «sto ascoltando»

Gli venne voglia di abbrustolirlo, ma lasciò perdere, si diresse al bancone del bar e prese due drink per poi tornare dall'amico, che stava appoggiato a una colonna, apparentemente concentrato sulla canzone. Gli porse il bicchiere e si girò a guardare la band, composta di tre uomini sulla trentina assolutamente poco interessanti. Veles non poteva certo apprezzare quel fracasso! Che cosa era successo al vampiro in quell’ultimo secolo non riusciva a spiegarselo. Lo conosceva da tempi immemori, ma stando chiuso nella quiete del suo palazzo non aveva avuto molte occasioni di interagire con lui, almeno prima che, posseduto da chissà quale folle idea, aveva deciso di farsi un giro nel mondo. Nel giro di due anni si era innamorato di una mortale, scontrato con un altro, si era immischiato per motivi ignoti anche a lui nella politica vampiresca e aveva finito con incasinarsi la vita. Aveva vissuto di più in quei pochi anni che in tutti i millenni precedenti, e ancora si chiedeva se ne era valsa la pena. Dopo la perdita dei poteri e la morte di Morgana, aveva rimpianto di essersi mai immischiato in tutta quella storia, ma ormai il danno era fatto. Non potendo rientrare al Palazzo senza magia, era stato qualche tempo nel castello di Veles e aveva iniziato ad apprezzarlo in qualche modo. Il signore dei vampiri europei era sempre stato irrequieto per un essere che aveva vissuto quasi altrettanti anni che Lavr stesso; era incline a intromettersi nelle faccende degli umani, anche e soprattutto dei babbani, e sembrava godere nel seminare il caos nel mondo. Con la sua filosofia di godersi tutti i piaceri che la vita, anzi, la non-vita, offre, era l’esatto opposto del demone. Tutte queste sue tendenze si erano però accentuate nell’ultimo secolo, e ormai passava più tempo nel mondo dei babbani che non alla sua corte.

«grazie» disse Veles a un certo punto, scambiando il suo bicchiere vuoto con quello intoccato di Lavr. Il demone guardò esasperato il bicchiere vuoto che si era ritrovato a stringere. Il vampiro gli rivolse un sorriso strafottente, che però sparì quando il bicchiere pieno di alcool gli esplose in mano.

«ti preferivo quando non avevi poteri» commentò acidamente.

«non ne dubito. Possiamo uscire da questo buco?»

«non ancora»

«che cosa devi fare si può sapere?»

La risposta venne quando la canzone finì. Le luci si alzarono e fra i timidi applausi della platea risuonò il forte battito di mani di Veles. «bravò» ruggì il vampiro «bravò»

Il cantante si guardò intorno, e individuando il biondo sbiancò completamente. Fece un frettoloso ringraziamento e lascò il palco, sparendo dietro le quinte. Veles rivolse a Lavr un sorriso predatorio. «uscita dal retro» si limitò a dire, poi si smaterializzò.

«Oh per le mutande di Merlino!» imprecò il demone, prima di seguirlo.

Come aveva previsto Veles, il cantante uscì agitatissimo e nel vederli perse il poco colore che gli era rimasto.

«mi dispiace» balbettò, quasi in singhiozzi «non volevo. Vi prego, farò qualunque cosa»

Il vampiro gli si avvicinò lentamente, chiudendolo contro il muro. «andiamo William! Non è certo una sorpresa! Voglio dire» aggiunse con una risatina «sei durato quasi cinquant’anni! E più di quanto non avessi immaginato. Sei stato bravo. Ma sapevi che sarebbe finita così»

«mio Signore! La supplico» l’uomo, anzi, il vampiro, si buttò in ginocchio. «perdonatemi mio signore»

I lineamenti delicati del viso di Veles erano ora completamente deformati da un sorriso crudele, e tutto il suo corpo sembrava emanare perversa eccitazione.

«perdono?» ripeté carezzevole. Di scatto, gli infilò una mano nel torace con forza inaudita. Il cantante spalancò gli occhi e urlò.

«sei perdonato» gli sussurrò all’orecchio il biondo, e ritirò la mano, strappandogli letteralmente il cuore dal petto. Il corpo del vampiro crollò a terra e si dissolse in polvere. Veles si strofinò le mani e sorrise allegramente.

«ora, se credi, possiamo trovarci un posto più tranquillo.»


«era proprio necessario?» chiese Lavr laconico, poco dopo.

«assolutamente» rispose Veles, stravaccato nel suo letto. Erano tornati nel suo maniero, lontano da occhi indiscreti.

«che cosa aveva fatto?»

«cinquant’anni fa viveva qui alla corte. Erano in corso delle trattative con Grindewald. Voleva il nostro sostegno per conquistare la Gran Bretagna. Erano dei negoziati delicati, i generali tedeschi non erano per niente entusiasti all’idea di allearsi con noi. Per questo avevo ordinato di non cacciare in Germania, almeno tra i maghi. William era stato trasformato da poco, era privo di autocontrollo. Si è bevuto una strega di vent’anni»

«quindi eri arrabbiato con lui perché aveva fatto saltare le trattative?»

«cielo no!» esclamò divertito «sapevo anche all’epoca che il piano di Grindewald era destinato a fallire. Ma non posso mica permettere a uno qualsiasi dei miei sottoposti di disobbedire così sfacciatamente ai miei ordini!»

«suppongo di no. Però, non mi spiego come abbia fatto a sfuggirti così a lungo»

«in realtà l’ho trovato dopo dieci giorni.» replicò allegramente «ma così che gusto c’è? Me lo sono conservato per un giorno in cui sarei stato di cattivo umore. E poi, è più divertente sapere che ha vissuto cinquant’anni nel terrore.»

Lavr scosse il capo, divertito.

«era un mago potente Grindewald» considerò Veles «aveva un che di… inebriante, davvero. Era seducente, incantatore. Il più grande mago oscuro che il mondo abbia mai visto. A parte Merlino, chiaro.»

«eppure, i maghi considerano Voldemort il più potente mago oscuro»

Il vampiro sbuffò, rigirandosi nel letto con insofferenza. «ne aveva il potenziale, ma era completamente fuori di testa, parola mia. Sai girano delle voci… era fissato con l’ottenere la vita eterna.»

«i maghi non sono fatti per l’immortalità» disse saggiamente Lavr

«no infatti» gli diede ragione l’altro «e le strade che ha percorso per ottenerla… c’è poco da stupirsi se ha la stabilità mentale di un vampiro a digiuno da duecento anni. Ergo, sono contento che tu abbia deciso di non consegnare Harry Potter a Malfoy»

«questo non vuol dire che lo lascerò a te»

«e allora che farai? Lo terrai tu?» lo derise Veles.

«no, sono perfettamente consapevole di non essere in grado di occuparmene, grazie. Troverò qualcuno adatto»

«come chi? Silente?» il vampiro fece una smorfia di disprezzo.

«è il suo tutore magico se non sbaglio» replicò Lavr, calmo.

«già, e l’ha lasciato a quegli orribili babbani!»

«è bello vedere tutto questo interesse per un bambino umano» disse sarcastico

«chissenefrega del bambino!» esplose Veles «Silente è un pericoloso idiota che ha già abbastanza potere senza controllare lo stramaledetto Moccioso Sopravvissuto. Hai idea di quante speranze sono riposte in quel piccolo? Girano…»

«delle voci, si» lo interruppe il demone «sono stanco di sentire chiacchere. Hai qualcosa di concreto?»

«Voldemort non dava la caccia ai Potter, lui mirava al bambino. Il perché non lo so con certezza, ma so che c’è di mezzo una profezia. Ho parlato con un funzionario del ministero inglese, che l’ha vista all’ufficio misteri»

«parlato eh?»

«comunque» continuò il vampiro, ignorandolo il suo sarcasmo «il contenuto della profezia non lo sa nessuno, ma le teorie si sprecano. In molti credono che Potter sia destinato a prendere il posto di Voldemort»

«se t’interessa tanto, perché non cerchi la veggente?»

Veles parve molto seccato dal suggerimento. «perché lavora a Hogwarts, sotto la protezione del dannato Silente, ecco perché»

«che seccatura» mormorò Lavr, disinterassato.

Il vampiro balzò a sedere, fissandolo dritto negli occhi «sai cosa penso?» disse «penso che anche se non vuoi ammetterlo, il bambino t’interessa eccome. L’aver recuperato i poteri non cambia il fatto che hai vissuto nel mondo per mille anni, non sei più completamente incurante di quello che succede qui, altrimenti perché cercheresti di succhiarmi informazioni ogni volta che ci vediamo? Quindi, perché non usi il tuo immenso potere per scoprire quello che vuoi sapere?»

«che cosa suggerisci?» replicò il demone, irritato.

«la profezia che riguarda Lord Voldemort e Harry Potter si trova al Ministero inglese, e solo loro due possono ritirarla, chiunque altro la tocchi impazzisce. Ma dubito che a te succederebbe qualcosa.»

«questo non vuol dire che abbia voglia di provarci»

«potresti usare il bambino allora»

«no»

«perché no?» chiese Veles, frustrato

Lavr non gli rispose, invece, disse: «non mi hai ancora spiegato perché sei così contrario ad affidarlo a Silente»

«perché è un mio nemico. E soprattutto» aggiunse, vedendo il demone aprire la bocca, probabilmente per ribattere che quello non era affar suo «se davvero la profezia parla di un nuovo signore oscuro, lasciargli Potter sarebbe uno spreco. Il fatto stesso che lo abbia mollato a dei babbani indica che non è interessato a sviluppare il suo potenziale. Se le cose fossero andate come aveva progettato lui, Harry sarebbe arrivato a Hogwarts senza aver mai praticato la magia e senza la più pallida idea di come funzioni il mondo magico. Sarebbe stato manipolabile»

«nella casa dei suoi zii c’erano potenti barriere di sangue» obiettò Lavr «probabilmente è per quello che lo ha lasciato lì»

Veles sbuffò «evidentemente non conosci Albus Silente. Credimi, è uno che pensa a tutto. Dopo la sconfitta di Grindewald, pur non assumendo il ruolo di ministro, è diventato la figura centrale del governo magico, e i risultati si vedono. L’Europa ha bisogno di un signore oscuro. Uno sano di mente.»

«riassumendo, Silente vuole Harry per usarlo, per farne una specie di mascotte magari, mentre tu lo vuoi usare per assicurare maggiore potere alla tua razza. Io invece, voglio che cresca serenamente e abbia la libertà di prendere le sue decisioni da solo»

«ci sono troppi interessi in ballo. Non troverai una sola persona o creatura nel mondo magico che non abbia interesse a plasmare il bambino sopravvissuto, o vuoi affidarlo nuovamente a dei babbani?»

Lavr sospirò, frustrato, portandosi le mani alle tempie. Ma perché si metteva in queste situazioni?

«a meno che» aggiunse Veles «tu non voglia davvero tenerlo con te»

«non posso. Non saprei nemmeno da dove cominciare.»

«il fatto stesso che tu stia considerando l’ipotesi è sorprendente» rifletté il vampiro. «certo, un demone che alleva un umano... insolito sarebbe un eufemismo»

«credo che la parola giusta sia “impossibile”»

«come vanno le lezioni?»

«è molto dotato. Soprattutto, è avido di sapere. Si fionda su ogni libro su cui riesce a mettere le mani. È anche molto emotivo però. Questo interferisce nella sua capacità di controllare la magia, ma immagino sia normale per un umano, soprattutto considerata l’infanzia che ha avuto. È ancora un argomento tabù per lui, ma è molto più sereno. Tutto sommato, abbiamo instaurato una sorta di routine. Certo, a volte è una piaga. Non fa che pormi domande su domande. Su di me, sulla magia, sul mondo magico, sui suoi genitori…non sono nemmeno la persona più indicata per rispondere. È intelligente e indipendente per la sua età, ma perfino io mi rendo conto che ha bisogno di un genitore o di qualcuno che lo ami, ed io non posso. Non è nella mia natura»

«eppure, ti sei affezionato a lui»

Lavr rise «non posso più negarlo. Non fatico nemmeno a credere che quando crescerà, sarà un mago eccezionale. Ma questo non cambia il fatto che non posso dargli quello di cui ha bisogno»

«che cosa? Una casa, una famiglia… sono cose sopravvalutate! Lui cosa dice?»

«non ne abbiamo ancora parlato. Gli ho solo detto che non ho intenzione di affidarlo a Malfoy, né a chiunque altro gli farebbe del male.»

«allora dammi retta, lascia perdere Albus Silente».


Nonostante l’ora tarda, Harry non dormiva. Sfruttando la luce che lui stesso aveva evocato, divorava avidamente le pagine del libro che aveva trovato quella mattina, steso sul suo letto. Il libro, scritto da un mago e studioso di nome Stefano Borgia, trattava l’argomento dei demoni. Non era il primo testo che leggeva sull’argomento. Sul comodino, stava il dizionario aperto, che il bambino aveva consultato più volte. Non era una lettura leggera, ma era un argomento affascinante. Voleva capire, sapere qualcosa di più su Lavr. Il tempo che aveva trascorso imparando la magia da lui lo aveva portato ad ammirarlo, e non riusciva ad associare l’immagine del suo aristocratico maestro, con i suoi modi eleganti e controllati e la sua voce profonda e pacata, con quella di un uomo capace di stringere un patto con un mangiamorte, rapire un bambino e ammazzare tre persone nel processo. Il pensiero lo metteva a disagio. L’uomo, anzi, il demone, a cui si stava affezionando era un assassino, un essere che chiunque avrebbe definito malvagio, eppure lui non riusciva a vederlo in quel modo. Per lui, Lavr era il primo adulto di cui si fosse mai fidato. Per questo voleva restare con lui, nonostante una parte di sé, sempre più piccola a dire il vero, gli urlasse di scappare il più lontano possibile.

Leggendo i libri che aveva trovato in casa, Harry aveva scoperto qualcosa di più sui demoni. Contrariamente a quanto pensava, la parola non aveva una connotazione negativa. Derivava dal greco Daimon, e nella tradizione greca indicava un essere sovrannaturale, superiore agli uomini ma inferiore agli dei, un intermediario tra i due mondi. Era difficile venirne a capo, perché aveva trovato versioni discordanti; sia i testi babbani sia quelli magici trattavano l’argomento, in modo a volte completamente diverso, a volte con delle analogie.

Questo libro però sembrava il più attendibile. L’autore tracciava un riassunto dei miti babbani e non, che erano sorti intorno ai demoni, analizzandoli e confrontandoli. Era davvero appassionante. Scorse nuovamente l’ultima parte che aveva letto, cercando di comprenderne le implicazioni.

In diverse civiltà primitive si possono ritrovare riscontri della presenza dei demoni, il che porta a pensare che un tempo questi esseri avessero una maggiore influenza sul nostro mondo. Secondo le ricostruzioni fatte da Elfrida Clagg i demoni sono esseri di pura magia, e per questo completamente immortali, a differenza dei vampiri che possono essere uccisi in diversi modi.

Il mito babbano del demone Lilith è particolarmente rilevante. Lilith, che anche nella tradizione magica orientale è uno dei primi demoni, secondo la mitologia è stata la creatrice di altri demoni. Nulla sappiamo sulla vera origine della stirpe demoniaca, così come non abbiamo a oggi risposte sulla nascita della stirpe umana o dell’universo, tuttavia taluni testi greci e romani riportano la teoria che i demoni siano la sorgente stessa della magia. Effettivamente, nonostante i miti sorti attorno alle loro abilità siano stati inevitabilmente esagerati, è possibile che ci sia del vero in questa teoria. In questo senso, il mito di Lilith potrebbe nascondere una grande verità. È possibile che i demoni siano i responsabili della creazione di tutte le razze del mondo dotate di magia.

Se questo sia stato progettato volontariamente è opinabile. Considerata la natura di questi esseri, è probabile che la loro magia si sia riversata sul mondo spontaneamente, senza che uno di essi abbia consciamente deciso di donarla ai mortali.

Difficile dire se ci potesse essere del vero. Il resto del capitolo non diceva niente che non avesse già trovato in altri libri. Bla bla bla onnipotenti bla bla bla con la forza di un esercito, capaci d’incantesimi senza bacchetta, invincibili.Ma era la questione della natura stessa dei demoni che gli dava maggiormente da pensare. Alcuni testi li consideravano malvagi, come e più dei vampiri, altri invece sostenevano che non fossero crudeli, ma solo incapaci di provare emozioni sia positive sia negative. Gli pareva impossibile, eppure era tormentato dai dubbi. Non osava sollevare il problema con Lavr, perché ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che gli avrebbe risposto onestamente, e lui aveva paura di scoprire la verità. Personalmente, non pensava affatto che Lavr fosse malvagio, ma sulla sua capacità di provare sentimenti qualche dubbio lo aveva. Ne aveva parlato con il suo nuovo serpente, Zar, che però gli aveva risposto come al solito per enigmi. Era frustrante che un rettile sapesse più cose di lui!

Durante le lezioni con Lavr aveva fatto enormi progressi, ma si rendeva conto che il suo livello era ancora basso, nonostante il demone gli assicurasse che per la sua età non fosse affatto male. In ogni caso, s’impegnava al massimo, così quando sarebbe andato a Hogwarts non avrebbe avuto problemi. Aveva letto diversi libri sulla scuola e ne era rimasto affascinato. A dirla tutta, aveva cercato informazioni anche sulle altre scuole europee, ma a Hogwarts avevano studiato i suoi genitori, e probabilmente lì avrebbe potuto scoprire più cose sul loro e sul proprio conto. Aveva anche fatto delle ricerche su Voldemort, ma per una volta Lavr era intervenuto e gli aveva consigliato di non indagare troppo sull’argomento, perché sarebbe potuto diventare un ossessione. Ciononostante, gli aveva promesso che gli avrebbe dato lui stesso informazioni quando sarebbe stato pronto.

In ogni caso, Harry ormai considerava la villa un po’ casa sua, e il pensiero di separarsi dalla sua nuova vita non gli piaceva. Dopo la visita alla Rue des Fées non era più uscito, ma la cosa non gli pesava. Il parco della dimora era gigantesco, e in ogni caso non aveva senso avventurarsi fuori quando non parlava nemmeno la lingua. Si sarebbe solo perso. Si era abituato velocemente al caldo dell’estate francese, e le ore che non passava a studiare la magia le trascorreva in piscina, o seduto a leggere sotto un pino. Si era affezionato a Lucy, anche se scoprire che era praticamente una schiava lo aveva fatto sentire a disagio, anche perché gli ricordava come veniva trattato dai Dursley, ma ogni tentativo di pagarla o liberarla aveva portato solo a delle crisi isteriche da parte dell’elfa, quindi aveva lasciato perdere.

Non era stupido, aveva capito che Lavr non aveva ancora deciso cosa fare con lui, ma aveva tutte l'intenzione di avere voce in capitolo.

Eccomi qui, come promesso. Spero che questo capitolo non vi abbia deluso, mi rendo conto che magari alcuni di voi si aspettassero di vedere evolversi il rapporto tra Lavr e Harry, ma il prossimo capitolo sarà tutto su di loro, e sarà anche l'ultimo sull'infanzia di Harry. Ormai siamo vicinissimi a Hogwarts, e ne sono contentissima :) A giovedì.


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Capitolo 7
*** Discendenza ***


Era una giornata stupenda. Sotto il riparo di alcuni pini, il piccolo Harry Potter stava seduto sull’erba, con le mani protese in aria. Alcune goccioline di sudore gli imperlavano la fronte corrugata per la concentrazione. Accanto a lui, ritto in piedi, Lavr lo osservava pazientemente. Finalmente dalle mani del bambino uscì una luce bianca, e nella zolla di terra sotto di lui spuntò una foglia, che crebbe velocemente, fino a diventare un piccolo fiore giallo.

Soddisfatto, Harry sorrise al suo mentore.

«Sei stato bravo.» concesse il demone.

«Possiamo fare una pausa adesso?»

«No, devi lavorare sulla resistenza.»

«Potremmo continuare stasera.» propose il bambino. «Ora sono davvero stanco.»

«Stasera non ci sarò».

La curiosità di Harry si accese all’istante. «Come mai?»

L’altro distolse lo sguardo, senza rispondere.

«Si tratta di me, non è vero?» insistette.

Lavr annuì senza aggiungere altro.

Il piccolo sentì montare la rabbia. Odiava quando il demone si chiudeva nel silenzio e soprattutto detestava non essere messo al corrente di cose che lo riguardavano in prima persona. Tuttavia, si sforzò di calmarsi, perché sapeva che urlando non avrebbe ottenuto niente, se non di provocarsi un inutile travaso di bile. Fece un paio di respiri profondi e poi, col tono più tranquillo che gli riuscì, disse: «Non credi che io abbia il diritto di sapere?».

«Sì, ma non c’è molto da dire. Stasera devo fare alcune ricerche. Siccome non vuoi andare da Malfoy- aggiunse con un sorriso ironico - devo trovare qualcun altro a cui affidarti.»

«Perché non mi puoi tenere tu?» esclamò Harry frustrato.

Rimase sorpreso quando il demone si sedette accanto a lui, a gambe incrociate sulla nuda terra.

«Harry,» iniziò con tono insolitamente dolce «hai sette anni, e sei umano. Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, ed io non posso farlo. Siamo troppo diversi».

«Sto molto meglio con te che con i Dursley, eppure loro erano i miei parenti.» obiettò.

«È proprio questo il punto. Tu vuoi stare con me perché non hai idea di come sia vivere con una famiglia normale, non abusiva. Ma starai meglio con dei maghi».

«Ma io non voglio!» sbottò. «Hai detto tu stesso che non ho parenti in vita e che il mio tutore, Silente, mi ha lasciato dai miei zii senza più interessarsi a me! Ed io non ho bisogno di genitori, sono sopravvissuto senza per tutta la vita. Quello di cui ho bisogno, è di qualcuno che non mi tratti come un moccioso, perché non lo sono. Voglio stare con qualcuno che m’insegni a difendermi, non che mi tenga sotto una campana di vetro. Ci sono persone più grandi e più potenti di me che vogliono farmi del male, ed io devo essere in grado di prendermi cura di me stesso». Tacque, ansante, con gli occhi lucidi. Lavr lo guardava come al solito senza lasciar trapelare alcuna emozione.

«Capisco le tue ragioni-» cominciò, ma il bambino lo interruppe.

«No. Non credo che tu sappia come ci si senta, a essere impotenti.» disse amaramente.

«No,» ammise «ed è questo il problema. Non posso capire quello che provi, perché apparteniamo a due razze diverse».

«Ma io mi fido di te.»

Il demone distolse lo sguardo, perso nei suoi pensieri, e Harry sospirò, mentre la speranza lo abbandonava. Lo invase un senso di oppressione. Ancora una volta non avrebbe potuto decidere per sé.

«Esiste un incantesimo che permette di ricostruire l’albero genealogico di una persona. Mi servirà una goccia del tuo sangue.» vedendolo pronto a protestare, il demone continuò «Ti do la mia parola che ti consulterò prima di prendere una decisione e non ti affiderò a qualcuno senza il tuo consenso. D’accordo?»

Harry annuì, conscio che era già un passo avanti.

«Lo farai ora?»

«Se per te va bene. Dammi la mano».

Lui lo fece, vedendo che il demone reggeva uno spillo argentato. Fu più veloce di quanto si aspettasse. Lavr gli fece uscire un po’ di sangue dal palmo della mano e gliela rigirò in modo da farlo cadere, solo che le gocce vermiglie non finirono al suolo, bensì rimasero sospese in aria, come se si trovassero nello spazio. Poi il demone iniziò a bofonchiare qualcosa in una lingua sconosciuta. Affascinato, Harry osservò le gocce di sangue dividersi in due, poi in quattro, otto, sedici, fino a formare una rete di nomi sospesa in aria. Il suo era in alto al centro; immediatamente sotto c’erano i suoi genitori. Affianco al nome di James Potter partivano una serie di linee: i suoi nonni, i suoi bisnonni; scorse i nomi, incantato, mentre una sensazione nuova lo invadeva: un calore intenso all’altezza del petto. La sua famiglia. Istintivamente, alzò una mano per accarezzare le lettere cangianti, ma si fermò, timoroso che il suo tocco potesse farle sparire. Si girò verso il demone, e rimase sorpreso nel vedere i suoi lineamenti virili contorti, mentre il suo viso lasciava trapelare sgomento, agitazione e altre emozioni che il bambino non era in grado di identificare.

Seguì lo sguardo di Lavr e vide che era piantato sulla parte materna della sua famiglia. Stranamente, era più lunga di quella di James. Scorse velocemente i nomi, finché il suo sguardo non venne catturato da uno dei nomi più in basso.

Merlino.

Rimase a bocca aperta. «Credevo che la mamma venisse da una famiglia di babbani!» esclamò eccitato «Questo significa che discendo dal grande Merlino! Cielo, non posso crederci! Secondo te la mamma lo sapeva? Ma se discendeva da Merlino com’è possibile che…».

«Va in camera tu.» lo interruppe bruscamente il demone.

«Ma…» tentò di protestare.

«Adesso,» sibilò Lavr. «ho bisogno di pensare.»

Stranito, Harry si avviò verso la sua stanza, lasciandolo a guardare i nomi in aria come se gli avessero fatto un gran torto.


Il pranzo era comparso nella sua camera, e Harry non aveva avuto il coraggio di uscire. Non aveva mai visto il demone comportarsi così, non aveva idea di cosa aspettarsi. Ormai si era abituato alla sua calma imperturbabile, ed era rimasto sconvolto nel vederlo così turbato, le emozioni leggibili nel suo volto. Gli era sembrato… arrabbiato quasi. Gli era anche venuto il dubbio di essere stato nuovamente chiuso a chiave in camera, ma non aveva osato controllare. Aveva passato diverse ore con un libro in mano, senza però riuscire a concentrarsi nella lettura.

Verso le cinque del pomeriggio, quando ormai aveva rinunciato completamente a leggere, Lavr entrò nella stanza. Istintivamente, il bambino s’irrigidì, ma nel vedere che l’espressione del demone era tornata a essere calma e impenetrabile, si rilassò. Un po’ incerto, l’adulto si sedette ai piedi del suo letto, e parve cercare le parole adatte.

«Devi sapere che io sono molto…antico,» cominciò dopo qualche istante d’imbarazzato silenzio «più di quanto tu possa immaginare. Per millenni ho vissuto isolato dal mondo, nel Palazzo che io stesso ho costruito, senza curarmi di ciò che accadeva tra i mortali. Finché circa mille anni fa, non ebbi l’idea di fare una delle mie rare incursioni nel mondo. Conobbi una giovane strega, un’umana incredibilmente potente, e me ne innamorai».

Harry, che stava ascoltando con grande attenzione, si lasciò sfuggire un verso d’incredulità.

«Lo so, sembra incredibile anche a me. Eppure, in lei c’era qualcosa che mi colpì fin dalla prima volta che la vidi. Si chiamava Morgana.»

«Morgana?» boccheggiò il bambino.

«Sì. Non so cosa sai di lei, girano molte voci contrastanti, in ogni caso si può dire che non fosse esattamente la persona più retta sulla faccia della terra. Nel mondo magico era in corso una guerra che vedeva contrapporsi lei e Merlino. A me del conflitto non importava niente, ma volevo aiutare Morgana. Per farla breve, arrivai a scontrarmi con Merlino. Lui era straordinario, il mago più eccezionale che sia mai esistito. Contro ogni previsione, mi sconfisse. Durante il combattimento usò un incantesimo che quasi lo uccise, con cui riuscì a racchiudere i miei poteri in una gemma.»

«Quella di Malfoy!»

Lavr annuì «In realtà, l’incantesimo riuscì anche a tenermi intrappolato nell'oblio per un po’ di tempo. Quando ripresi conoscenza, sia Merlino che Morgana erano morti.»

«Ma quanto tempo era passato?»

«Circa un secolo» . Vedendo l’espressione agghiacciata del bambino, aggiunse «Per me non è molto, piccolo. La mia percezione del tempo è diversa dalla vostra. Comunque quando mi risvegliai, il mondo che avevo imparato a conoscere era già scomparso, e senza magia non potevo tornare al Palazzo. Così, ho iniziato a cercare la gemma ovunque, vivendo per lo più con i vampiri, la razza che tollero meglio. Alla fine, ho scoperto che Merlino non l’aveva nascosta in qualche angolo remoto del pianeta. L’aveva affidata a un’amante di cui nessuno sapeva l’esistenza, che, incinta, si rifugiò in Francia, dove sposò il conte De Montblanc. Studiandone la genealogia ho scoperto che nel 1600 i discendenti della donna, i Malfoir, tornarono in Inghilterra, dove in seguito cambiarono il nome in Malfoy. Ho raccolto recentemente tutte queste informazioni, ma non mi ero soffermato sull’altro ramo della famiglia. Nel 1377 il primogenito dei Montblanc, Louis, fu diseredato a causa della sua relazione con una babbana, e diede origine a una linea di Montblanc fortemente contaminata. Evidentemente, è da lui che discende tua madre. I Malfoy discendono invece dalla linea del fratello cadetto di Louis, che prese il titolo di conte al posto del fratello ed ebbe una discendenza pura che intorno al 400 si estinse nella linea maschile.».

«Ma se discendo da Merlino, come poteva la mamma essere una Nata Babbana?»

«Suppongo che sia insolito, ma non impossibile. La magia dei Montblanc è andata scomparendo a causa dei ripetuti matrimoni con babbani, ed è riaffiorata spontaneamente secoli dopo, così come l’abilità di parlare con i serpenti, che pare pochi degli eredi di Merlino abbiano posseduto».

Harry rimase in silenzio, cercando di elaborare tutte quelle informazioni. «Quindi adesso che farai?» chiese infine «Sono l’erede di Merlino. Vuoi uccidermi?»

«Non essere ridicolo! Perché dovrei farlo? Tu non hai niente a che fare con lui e, come ho detto prima, provo solo ammirazione per Merlino. Il fatto che tu sia il suo discendente, mi convince sempre di più che sarai un grande mago un giorno».

«E ora che si fa?» chiese il bambino dopo qualche istante.

Lavr sospirò. «Io voglio tornare al mio Palazzo.»

«Portami con te.»

«Non è un posto adatto a un bambino.»

«Perché no?»

«Perché no!» chiuse il discorso il demone. «Se vuoi, te lo faccio vedere».


Harry era senza parole. Il Palazzo di Lavr… era impossibile descriverlo. Si ergeva su una spiaggia immensa; ovunque volgesse lo sguardo vedeva solo sabbia, e il monotono suono delle onde in lontananza era l’unico rumore che spezzasse il silenzio assoluto in cui era immerso il paesaggio. Il Palazzo si trovava sopraelevato rispetto alla spiaggia, ed era fatto interamente di marmo bianchissimo, accecante.

«Seguimi.» sussurrò il demone, prendendolo per mano. Il bambino obbedì docile, senza riuscire a levare lo sguardo dall’imponente dimora. Con un gesto imperioso, Lavr spalancò il portone e i due entrarono in un enorme atrio, dominato al centro da una scalinata talmente lunga che Harry non riusciva a vedere il piano superiore.

«In questi mesi ho apportato delle modifiche. Ho aggiunto alcuni particolari che mi hanno colpito negli anni passati nel mondo».

«Ma dove siamo?» domandò Harry.

«In una dimensione creata da me. Il mio mondo per così dire.» spiegò, divertito dalla sua reazione.

Harry lasciò andare la mano del demone per guardarsi meglio attorno. La stanza era avvolta dalla penombra, mentre la scala era illuminata a giorno, come se fosse sotto un riflettore.

«Vieni di sopra.»

Leggermente titubante, Harry mise salì il primo scalino; come lo fece, l’atrio scomparve, e solo la scalinata rimase visibile.

«Non avere paura. Sali.» lo incoraggiò il demone.

Il bambino obbedì, cercando di non pensare al vuoto assoluto che lo circondava. Salì gradino dopo gradino finché, esausto, chiese: «Ma quando finisce questa scala?». Alzando lo sguardo però si accorse che Lavr non era più davanti a lui. Preso dal panico, si fermò. Guardò in basso, e realizzò con crescente orrore che delle decine di scalini che aveva percorso non ne erano rimasti che cinque. Prima che potesse pensare a cosa fare, udì la voce rassicurante del demone esortarlo a continuare a salire. Facendosi coraggio, lo fece.

Uno, due scalini, e d’un tratto la scalinata scomparve, e si ritrovò in una vasta stanza quadrata, col pavimento in granito rosa, occupata da una gigantesca piscina circondata da colonne, alla cui estremità stava una fontana di marmo formata da un trio di donne seminude intente a fare il bagno. L’acqua sgorgava da più parti, e non aveva il tipico colore delle piscine, bensì era verde acqua come il mare caraibico. Non c’era soffitto, e il sole alto di mezzogiorno – ma sono le sette di sera! Pensò Harry – illuminava la sala. Lavr lo aspettava seduto elegantemente sul bordo della vasca.

«È assurdo. Tutto questo non è possibile.» esclamò il bambino.

«Qui lo è.» fu la semplice risposta.

«Hai creato tutto questo da solo?» si stupì.

«Ammetto che è stato complesso perfino per me. Ho messo talmente tanta magia in questo posto, che ora il Palazzo ha una propria coscienza».

«Intendi dire che pensa?»

«Non è un essere senziente, però non è nemmeno inanimato».

«Non capisco.» ammise il bambino.

«Non mi aspettavo che ci riuscissi. Il Palazzo è una mia creatura, obbedisce ai miei comandi, ma talvolta lascio che si modifichi da solo. La scalinata non l’ho progettata io ad esempio».

«Non sapevi che conduceva qui?»

«Sì, ma non ero sicuro che il Palazzo ti avrebbe permesso di arrivarci.»

«Stai dicendo che potevo farmi del male?» s’indignò il maghetto.

«Non l’avrei permesso. Però ero curioso di vedere cosa sarebbe successo.» accorgendosi della rabbia del bambino, disse: «Capisci adesso perché non puoi stare qui? Ogni cosa è decisa da me o dal Palazzo, compreso il sorgere o meno del sole. Non è un posto adatto a un umano».

«A me piace.» fece Harry caparbio.

«Non potresti tornare spesso nel mondo. Vivresti senza vedere altri bambini, altri umani. È questo che vuoi?»

«Potrei andare a Hogwarts?»

Preso in contropiede, Lavr annuì.

«Allora ti chiedo di tenermi qui per quattro anni. Per te non sono niente!»

«Questo posto è molto pericoloso.»

«Non m’importa.»

«Hai sette anni, non puoi prendere una decisione simile.»

«Sono abbastanza grande da sapere che ovunque è pericoloso.» replicò cocciuto.

Dopo qualche secondo, Lavr sorrise. «Molto bene. Benvenuto al Palazzo, Harry Potter.»

 

E questo capitolo chiude la parentesi dell'infanzia di Harry. Nel prossimo, il suo undicesimo compleanno e lo shopping a Diagon Alley. A giovedì :)

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Capitolo 8
*** Diagon Alley ***


Nel Palazzo non ci si annoiava mai. C’erano giorni in cui si svegliava, si affacciava alla finestra e scopriva di trovarsi nel mezzo di una foresta tropicale; giorni in cui non poteva uscire perché la casa dava sul picco di una montagna innevata e giorni in cui pareva di stare dentro una fornace. A volte, aprendo quella che pensava essere la porta della cucina, finiva nei sotterranei di castelli medievali. C’erano ale del palazzo costruite in stile rinascimentale, altre che sembravano vere e proprie sale di museo. Ciononostante, orientarsi non era impossibile: fortunatamente, alcune stanze non mutavano mai, prima fra tutte, l’immane biblioteca, grande quanto la sua vecchia scuola, dove Harry trascorreva la maggior parte del suo tempo.

Ogni tanto si divertiva a esplorare il Palazzo, vivendo incredibili avventure, come quando salendo una scala a chiocciola in legno spuntata all’improvviso, si era ritrovato in un vero e proprio shuttle spaziale, con tanto di luna visibile dall’oblò. Altre volte, invece, le sue escursioni non erano state piacevoli; gli era capitato più volte di perdersi e dover gridare finché Lavr non era andato a ripescarlo. Di recente mentre camminava verso lo studio del demone, si era ritrovato in un vicolo cieco in cui l’unica via d’uscita era un lungo corridoio buio, infondo al quale s’intravedeva una luce rossa che gettava bagliori sinistri sul luogo. Preso dalla curiosità, aveva deciso di imboccare quella strada. A ripensarci adesso, era stata una vera idiozia. Comunque, il giorno aveva fatto un bel respiro e aveva seguito la luce, ignorando i fruscii sinistri che riempivano il silenzio. Aveva scoperto che la luce si trovava sopra una porta, l’aveva aperta, ed era entrato in una stanza le cui pareti, soffitto e pavimento erano fatti di specchi. Si era divertito a fare smorfie, saltellare da una parte e ammirare il gioco di riflessi per qualche minuto, ma poi in tutti gli specchi era apparsa una figura ammantata di nero, i cui tratti erano nascosti da un cappuccio, che protendeva una mano verso di lui, e dopo pochi secondi alla spaventosa immagine si erano unite altre figure confuse di uomini e donne. Quel giorno aveva strillato talmente tanto che quando Lavr l’aveva trovato non aveva nemmeno avuto il coraggio di sfotterlo come al solito, bensì gli aveva spiegato che quelli erano avversaspecchi, usati solitamente per tenere d’occhio i propri nemici.

Gli anni col demone erano passati velocemente, nonostante l’opprimente solitudine. C’erano stati momenti in cui Harry si era amaramente pentito di essere andato a vivere con lui. Era sempre stato solo, non aveva mai nemmeno avuto degli amici, ma talvolta rimpiangeva le ore di scuola, le chiacchere e le risate degli altri bambini. Il Palazzo era costantemente immerso in un’atmosfera grave e maestosa, come quella di una chiesa gotica, e le sue dimensioni lo facevano sentire ancora più solo. Avrebbe voluto qualcuno con cui giocare ma la sua unica compagnia era Zar, che per quanto intelligente, era pur sempre un serpente. Lavr si sforzava di passare del tempo con lui, e Harry ne era grato e lo cercava continuamente perché la sua silenziosa presenza era meglio della solitudine totale.

Materialmente, aveva tutto ciò che potesse desiderare. Non aveva il potere di controllare direttamente il maniero, ma esso gli procurava quello che voleva. Il Palazzo era come un bambino, aveva realizzato Harry: gli faceva i dispetti facendolo perdere e vagare senza metà per ore, e poi si sentiva in colpa e gli faceva delle sorprese; quando si sentiva particolarmente giù di morale, gli sembrava che la magia stessa del Palazzo lo abbracciasse e lo consolasse. E anche Lavr, quando lo vedeva abbattuto, faceva del suo meglio per consolarlo: gli insegnava incantesimi, gli procurava libri, e a volte per farlo addormentare gli raccontava favole animate da combattimenti tra gli oggetti della sua camera. Ogni tanto lo portatva nel mondo. Era diventata quasi una tradizione che per il suo compleanno il demone gli facesse visitare posti a sua scelta, magari luoghi di cui aveva letto e che lo avevano colpito. Aveva visto la muraglia cinese, gli animali della savana africana, era salito sulla Tour Eiffel e per il suo ottavo compleanno era persino riuscito a trascinare il suo tutore a Disneyland, dove aveva giocato con dei coetanei mentre le loro madri ci provavano spudoratamente con Lavr. Era stato sicuramente il più bel compleanno della sua vita, e l’evidente disagio del demone non era riuscito a guastargli la giornata. Nella sua stanza, o meglio, in quella che il più delle volte era la sua camera, aveva tutti i giocattoli che anni prima aveva invidiato a Dudley, anche se ormai aveva perso ogni interesse per i giochi infantili e preferiva dedicare il suo tempo alla magia e allo studio. Un intero scaffale della sua libreria era occupato dalle copie de “La Gazzetta del Profeta” che Veles gli portava affinché non perdesse i contatti col suo mondo.

Il vampiro era, insieme a lui e a Lavr, l’unico altro essere che avesse accesso al Palazzo, così ogni tanto piombava da loro e rimaneva per qualche giorno o settimana. Harry lo trovava simpatico, ma non aveva mancato di notare quanto il demone fosse restio a lasciarli da soli. Veles lo aveva più volte invitato alla sua corte, ma Lavr aveva ogni volta liquidato l’offerta sostenendo che non fosse un posto adatto a un bambino, anzi, che fosse pericoloso per chiunque non fosse un succhiasangue. Considerate certe storie che gli raccontava Veles, Harry pensava che il suo tutore non avesse tutti i torti.

Era incredibile quanto poco ci fosse voluto per abituarsi alla sua nuova vita: quei quattro anni erano passati in un lampo, e ora tutto sarebbe cambiato nuovamente. Tra pochi giorni avrebbe compiuto undici anni e sarebbe andato a Hogwarts. Aveva discusso a lungo la questione con Lavr. Si era tenuto informato su ciò che accadeva nel mondo magico, aveva seguito le indagini del ministero sulla sua scomparsa e aveva scoperto che dopo due anni avevano rinunciato. Il giorno in cui Veles gli aveva consegnato con un ghigno il giornale con il titolo in prima pagina: “HARRY POTTER DICHIARATO MORTO. CROLLANO LE SPERANZE DI RITROVARE IL BAMBINO SOPRAVVISSUTO” era rimasto turbato ma anche leggermente divertito. Si era recato da Lavr, giornale alla mano, e glielo aveva piazzato davanti, guardandolo come per dire: “E adesso?”

 Il demone aveva preso il quotidiano e gli aveva dato un’occhiata veloce. «A quanto ne so, il Ministero della Magia ha un sistema per rintracciare i maghi minorenni, si chiama Traccia. Questo gli permette di intercettare la magia minorile, ma anche eventualmente di localizzare un mago scomparso. Certo, se questi si trova lontano o in un luogo protetto da barriere potenti, quelli del ministero non sono in grado di trovarlo, ma possono comunque percepire la sua magia e quindi sapere che è ancora vivo. Tuttavia, il Palazzo si trova in un’altra dimensione, perciò non riescono a percepirti. Il che significa, che non hanno il minimo dubbio sul fatto che tu sia morto» aveva detto.

«Sarà un bel colpo per loro quando mi presenterò a Hogwarts» aveva ridacchiato Harry. Lavr non aveva risposto in quell’occasione, ma l’argomento era stato ripreso mesi dopo. Il demone gli aveva fatto notare che presentarsi a scuola avrebbe significato scatenare un vespaio, che gli avrebbero fatto domande su domande e che probabilmente Harry sarebbe stato affidato a una famiglia di maghi.

«Stai dicendo che non posso andare a Hogwarts?» aveva chiesto il maghetto, orripilato alla sola idea. Aveva sognato il giorno in cui avrebbe messo piede nella scuola e ne avrebbe scoperto tutti i segreti da quando aveva scoperto la verità sul proprio conto.

Lavr aveva sospirato. «Non sto dicendo questo, ma devi prendere delle decisioni ponderate».

«Che cosa pensi che dovrei fare?».

Il demone aveva mormorato qualcosa che Harry non aveva capito, poi con un gesto forzato ma anche molto dolce gli aveva scompigliato i capelli. «Se lo desideri, c’è un modo per andare a Hogwarts senza avere problemi. Basterà usare una falsa identità».

L’idea gli era immediatamente piaciuta. Con un nome falso non sarebbe stato al centro dell’attenzione e nessuno lo avrebbe importunato per la sua fama. Così, lui e Lavr si erano messi a lavorare sulla sua nuova identità. Si sarebbe chiamato Henri de Montblanc. Era stato il demone a suggerire di usare il cognome dei suoi antenati, e Harry aveva approvato senza esitare, perché aveva sviluppato una grande ammirazione per Merlino ed era fiero di essere un suo discendente. Avrebbe detto di essere francese ma di essersi trasferito da suo zio in Gran Bretagna dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora piccolo. Lavr, aiutato da Veles, si era procurato tutti i documenti necessari per confermare la storia, in più Harry aveva delle basi in francese, perché aveva iniziato a studiarlo quando il demone gli aveva confidato che quello era il linguaggio moderno che preferiva.

L’unico problema era l’aspetto fisico. Certo, tutti erano sicuri che Harry Potter fosse morto, ma se a Hogwarts si fosse presentato un primino della stessa età quasi identico a James… beh, qualche domanda sarebbe sorta. E il maghetto era consapevole di essere molto simile al padre. Per il suo nono compleanno Lavr gli aveva regalato delle foto dei suoi genitori. Era stato uno dei gesti più belli che gli avessero mai fatto, e non aveva potuto fare a meno di abbracciare forte il suo tutore, lasciandolo poi immobile a chiedersi cosa fosse successo. L’aspetto non era un problema da poco. Lavr gli aveva spiegato che comunemente i lineamenti si possono modificare solo temporaneamente: sia che usasse un incantesimo o una pozione, l'effetto sarebbe durato poco e c’era il forte rischio che un controincantesimo rivelasse il suo vero aspetto. Un’altra soluzione poteva essere l’uso di un oggetto, ad esempio un bracciale, ma questo avrebbe attinto alle riserve magiche del portatore, e siccome era solo un bambino gli avrebbe reso molto difficile eseguire magie complesse. L’unica alternativa era un antico rituale che avrebbe cambiato il suo aspetto permanentemente, così che le modifiche sarebbero state impossibili da rimuovere; anche crescendo, avrebbe conservato i nuovi tratti, mentre quelli originali sarebbero andati perduti per sempre. Proprio perché irreversibile, non era una magia che poteva essere fatta alla leggera. «Ti suggerisco di pensarci su, è una tua scelta» aveva concluso il demone.

E Harry ci aveva riflettuto a lungo, ma ora non poteva più rimandare la decisione. Era l’ultimo dettaglio mancante, poi sarebbe stato pronto per Hogwarts. Si guardò allo specchio con attenzione, accarezzando con lo sguardo i familiari particolari del suo viso. Era davvero simile a suo padre. Sospirò. Non era stata una decisione facile, il suo aspetto era l’unica cosa che lo avvicinava ai suoi genitori. Qualche anno prima l’idea di cambiarlo lo avrebbe inorridito e lasciato diffidente, ma ora si rendeva conto che era necessario. Veles gli aveva parlato spesso del mondo dei maghi e si era reso conto che non era tutto rosa e fiori come si era immaginato. Gli aveva spiegato che durante la guerra contro Voldemort anche i cosiddetti buoni avevano usato metodi poco ortodossi, e che in molti avrebbero voluto controllarlo.

«Devi stare in guardia, pasticcino» gli aveva detto una volta. «Soprattutto con Albus Silente. Viene considerato un esempio di bontà e moralità, ma in realtà è uno squallido bastardo...».

«Veles!»

«un verme manipolatore» aveva continuato ignorando il demone «E sta pur certo che non vede l’ora di farti il lavaggio del cervello».

Il vampiro gli aveva dato molto su cui riflettere. «Pensi che sia normale che un neonato venga lasciato davanti alla casa dei suoi zii solo con una lettera? Non trovi strano che nessuno sia mai venuto a controllare se stavi bene?» aveva sbottato un giorno. «La verità è che Silente ha fatto si che nessuno si avvicinasse a te, così saresti arrivato a scuola ignorante su come funzioni il mondo magico».

Se quello davvero era stato l’obiettivo originale del preside, sarebbe rimasto deluso. Con la sua insaziabile curiosità, Harry aveva divorato testi su testi sulla storia della magia e si era fatto un’idea su come funzionasse attualmente la Gran Bretagna, e non gli piaceva per niente. - Merlino inorridirebbe - aveva pensato un giorno, leggendo che il Ministero proibiva l’uso di centinaia di incantesimi antichissimi con la scusa che si trattasse di magia nera. Sapeva che non era un ragazzo come tutti gli altri e che c’erano grandi interessi intorno a lui, per questo avrebbe dovuto essere prudente e non fidarsi di nessuno. Ne andava della sua libertà, e questa valeva qualche sacrifico.

Risoluto come sempre dopo aver preso una decisione, si recò allo studio di Lavr. Percependo il suo stato d’animo, il Palazzo gli permise di arrivarci senza problemi.

«Va bene» esordì una volta trovato il demone. «Fai pure l’incantesimo».

Lavr non gli chiese di cosa stesse parlando, ormai lo conosceva. Si limitò ad avvicinarsi e imporre le mani su di lui, per poi iniziare una lunga cantilena. Harry rimase in piedi e immobile per almeno venti minuti, mentre il cuore gli batteva forte nel petto, senza mai, nemmeno per un istante, avere un ripensamento. La decisione era stata presa.

«Finito» disse il demone soddisfatto, facendo apparire uno specchio a grandezza umana davanti al ragazzo. Il maghetto si accostò al riflesso e dovette trattenere un sussulto di sorpresa. Era ancora lui, eppure non era più lo stesso. La prima cosa che notò fu la pelle: la sua epidermide diafana, così pallida da lasciar intravedere la trama di vene pulsanti, non c’era più. Ora aveva una carnagione più scura, abbronzata, come se avesse passato un anno ai tropici; ma non era proprio olivastra, bensì dorata, di una calda sfumatura color caramello. Aveva guadagnato un paio di centimetri di altezza, e il suo fisico era rimasto immutato, probabilmente perché chiunque lo avesse conosciuto quando viveva dai Dursley non lo avrebbe riconosciuto comunque dopo anni di dieta regolare. Il viso aveva invece subito diversi cambiamenti: il naso era diventato più regolare, la bocca più grande e carnosa. Sorrise scoprendo una fila di denti bianchi e perfetti. Gli occhi, l’unica cosa che aveva chiesto a Lavr di non toccare, erano rimasti gli stessi, ma per via delle modifiche ai lineamenti e al contrasto con la pelle scura apparivano più grandi e verdi, inoltre non aveva più bisogno degli occhiali. Anche i capelli, l’altra parte di sé che amava particolarmente, erano rimasti nerissimi e indomabili come quelli di James, cosa per la quale era grato, ma l’effetto sul nuovo viso era completamente diverso. Infine, portò una mano alla cicatrice. Era ancora lì, poteva sentirla al tatto, ma il demone l’aveva uniformata al colore della pelle, così era praticamente impossibile da scorgere con lo sguardo. Nel complesso, sembrava più grande.

«Un giorno farai impazzire le ragazze» commentò allegramente Lavr.

Harry rise divertito, mentre un pensiero bizzarro lo attraversava.

Sono diventato una delle sue opere d’arte -.


Harry Potter aprì gli occhi. Controvoglia abbandonò il tepore delle coperte, infilò le pantofole e si recò in bagno. Il grande specchio davanti al lavandino gli rimandò l’immagine di un ragazzino dagli spettinatissimi capelli neri, con gli occhi verdi gonfi di sonno. Aprì il rubinetto e si gettò dell’acqua fredda sul viso, cercando di darsi un po’ di contegno prima di scendere per colazione. Non c’erano molte regole in quella casa, ma Lavr pretendeva da lui la massima cura di sé e della propria igiene.  – Dopotutto – pensò Harry - è un vero perfettino -. Non che potesse biasimarlo, soprattutto considerato che, avendo un olfatto più sviluppato di quello umano, si accorgeva subito se il suo protetto aveva trascurato la propria toletta.

Dopo essersi lavato, si recò nella sala da pranzo, dove il demone aspettava seduto.

«Buon compleanno, Harry» disse non appena lo vide entrare.

«Grazie» rispose. Indicando la busta appoggiata sulla tavola, aggiunse, eccitato: «E’ quello che credo?».

«Per saperlo dovrai aprirla» replicò il demone.

Senza farselo ripetere due volte, il bambino prese in mano la spessa busta di pergamena giallastra, con scritto in inchiostro verde un indirizzo:

Signor Henri Montblanc

Cameretta

Nottingh Hill

Londra

Lavr aveva effettivamente comprato, o meglio, occupato, una bella casa nel quartiere residenziale di Londra, giusto per non trascurare nessun dettaglio. Fremente, il maghetto aprì la busta e lesse la lettera velocemente. Poi, con un gran sorriso stampato in faccia, si sedette al suo posto e iniziò a imburrarsi una fetta di pane tostato.

«Per le cose da comprare...» cominciò, ma il demone lo interruppe.

«Pensavo che visto che oggi è il tuo compleanno, potremmo andare a Diagon Alley e prendere tutto l’occorrente. Se ti fa piacere, chiaro».

«Ma certo!» ruggì il ragazzo. «Andiamo subito dopo colazione?»

«Prima c’è una cosa di cui volevo parlarti».

Harry tornò immediatamente serio. «Dimmi».

«Come ben sai, ci sono persone da cui devi guardarti. In particolare, il preside».

«Lo so bene. Veles me l’ha ripetuto fino alla nausea. Ma abbiamo già preso tutte le precauzioni necessarie, no?»

«Non tutte» lo contraddisse il demone. «C’è una cosa che ancora non sai. Alcuni maghi padroneggiano l’arte della Legimanzia. Sai cos’è?»

Il maghetto scosse il capo.

«E’ la capacità di penetrare la mente di un’altra persona»

«Vuoi dire lettura del pensiero?» chiese orripilato.

«Non la metterei in termini così semplicistici, però suppongo che per certi versi possa essere considerata tale».

«Stai dicendo che Silente potrà entrare nella mia testa?»

Senza rispondere direttamente, il demone spiegò: «Esiste una pratica, chiamata Occlumanzia, che permette di contrastare la legimanzia e proteggere la propria mente. È una branca della magia complessa e difficile da padroneggiare, sicuramente al di là delle capacità di un undicenne, per quanto dotato».

«Ma allora se Silente o chiunque altro dovessero usare la legimanzia su di me, scoprirebbero tutto! Chi sono in realtà, dove ho vissuto questi quattro anni… aver cambiato identità e aspetto non servirebbe a niente!». 

«Calma. Non c’è motivo di preoccuparsi, ho trovato una soluzione. Ho lavorato tutta la settimana per creare una sorta di barriera mentale che protegga i tuoi ricordi dagli attacchi, non solo dei legimens, ma anche di sieri della verità come il veritaserum. Non potrà fermare i maghi che proveranno a usare la legimanzia, ma gli impedirà di accedere ai tuoi segreti. La tua identità sarà salva. In ogni caso, suggerisco che tu inizi al più presto a studiare occlumanzia, considerato che senza dubbio tra qualche anno avrai altri segreti da proteggere, oltre alla tua identità» concluse ammiccante.

Harry sorrise. «D’accordo, allora fai pure l’incantesimo».

«Oh, ma l’ho già fatto» replicò il demone con noncuranza. «Stanotte, mentre dormivi. Ero sicuro che avresti acconsentito, quindi perché perdere tempo? Se hai finito con la colazione, possiamo andare».


Diagon Alley era, se possibile, ancora più vivace e caotica della Rue des Fées parigina. Ovunque c’erano vetrine colorate e gente affaccendata negli acquisti. C’erano molti ragazzi, notò Harry, probabilmente studenti di Hogwarts. Il baccano lo lasciò scombussolato, ma avrebbe dovuto abituarcisi visto che fra un mese avrebbe lasciato la tranquillità del Palazzo per andare a vivere in una scuola piena di adolescenti chiassosi.

«Cos’è quello?» domandò a Lavr, indicando il sontuoso edificio davanti a loro.

«Quella è la banca, la Gringott»

«Oh» fece Harry, imbarazzato. Il demone provvedeva a tutte le sue necessità e alle volte si sentiva un peso, anche se sapeva bene che un demone onnipotente di diecimila anni non ha certo problemi economici. Come leggendogli nel pensiero, Lavr aggiunse: «Se non sbaglio i tuoi genitori ti hanno lasciato un conto cospicuo, ma non è il caso di usarlo ora. I folletti teoricamente mantengono i segreti dei loro clienti, tuttavia è meglio non fidarsi. Potrai riscattarlo quando sarai più grande, ma non c’è fretta. Tieni». Gli porse un sacchetto gonfio di monete. «Prendi quello che ti serve. Io devo fare una commissione, ti raggiungerò più tardi, d’accordo?»

Harry annuì, prese le monete e iniziò i suoi acquisti. Entrò prima al Ghirigoro per comprare i libri, poi in farmacia per gli ingredienti di pozioni e infine da Madama McClan per l’uniforme.

«Hogwarts caro?» chiese la donna non appena lo vide. «Ho qui tutto l’occorrente. Di là c’è un altro giovanotto che sta provando l’uniforme». Nel retro del negozio era effettivamente seduto un ragazzino biondo dal viso pallido e appuntito.

«Ciao. Anche tu a Hogwarts?»

«Si» rispose Harry.

«Mio padre, nel negozio qui accanto, mi sta comprando i libri, e mia madre sta guardando le bacchette un po’ più avanti» disse il ragazzo, con voce strascicata e annoiata. «Dopo li trascinerò a vedere le scope da corsa. Non capisco proprio perché noi del primo anno non possiamo averne di personali. Penso che costringerò mio padre a comprarmene una e la porterò dentro di straforo, in un modo o nell’altro. E tu ce l’hai un manico di scopa tutto tuo?»

«Si» rispose Harry. Glielo aveva regalato Lavr l’anno prima.

«Sai giocare a Quidditch?»

«Non ho mai provato» ammise. «Volare mi piace ma preferisco leggere».

Il ragazzo ridacchiò sprezzante. «Oh, non mi dire che sei un secchione!»

Irritato dal tono, Harry replicò acidamente: «mi piace studiare, sì. Studio così un giorno, quando sarà il mago più potente al mondo, avrò degli ignoranti leccapiedi come te a fare il lavoro pesante».

Il ragazzino balzò in piedi, rosso di colera. «Hai un’idea di chi sia io?» sibilò furioso.

«No» replicò disinteressato.

«Sono Draco Malfoy. Mio padre» aggiunse, ponendo particolare enfasi sull’ultima parola «è uno degli uomini più influenti e ricchi della Gran Bretagna».

«Ah si? E lo è diventato giocando a Quidditch?» chiese Harry sarcastico. «E per la cronaca» aggiunse senza aspettare la risposta «so perfettamente chi è tuo padre, e fossi in te non mi vanterei di essere suo figlio».

«Cos’hai detto?» strillò Malfoy.

Attirata dal baccano, Madama McClan si affacciò nel retrobottega. «Ci sono problemi qui?» chiese guardinga.

«No signora» replicò educatamente Harry. «Stavamo facendo amicizia».

Poco convinta, la donna si allontanò.

«Ti farò pentire di quello che hai detto» lo minacciò Draco.

«Dammi retta, non sprecare le tue energie» rispose per niente intimorito.

Senza un’altra parola, il biondo uscì dal negozio.

Dopo che Madama McClan, scocciatissima, gli ebbe consegnato la divisa, anche Harry uscì e si diresse verso il negozio che lo attirava maggiormente: quello di bacchette magiche. Come entrò nella vecchia e squallida bottega, percepì immediatamente la magia che la permeava.

«Buongiorno» disse una voce sommessa.

«Salve». Guardò incuriosito il vecchio proprietario, che da parte sua strizzò gli occhi per scrutarlo.

«Non credo di conoscerti, giovanotto»

«Sono Henri de Montblanc, signore»

«Mm» mormorò Ollivander. «Sei francese?»

«Sisignore, ma vivo in Inghilterra da diversi anni ormai.»

«Questo spiega perché io non ti conosca. Sono pochi i maghi francesi che acquistano bacchette da me. Immagino che i tuoi genitori non fossero tra questi».

«No» mentì, a disagio sotto lo sguardo indagatore del commesso.

«Molto bene. Vediamo di trovare la bacchetta adatta a te, figliolo».

Il vecchio iniziò a tirare fuori dagli scaffali bacchette su bacchette, ma nessuna sembrava essere giusta per lui; una addirittura finì in fiamme non appena la prese in mano, cosa che gli guadagnò un’occhiata stupita del commesso.

«Ecco, ebano e peli di unicorno, undici pollici, bella flessibile».

Harry la provò poco convinto, senza risultato.

«Cliente difficile, eh?» fece Ollivander, compiaciuto. «Mm sì, perché no. Forse ho trovato». Prese una bacchetta dallo scaffale più in alto e gliela porse solenne. «Agrifoglio e piuma di fenice, undici pollici, bella flessibile».

Harry la prese in mano, sentendo su di se lo sguardo attento del vecchio, ma non accadde niente.

«Oh» esclamò il negoziante, per la prima volta deluso. «Questa volta ero sicura di averla trovata».

«Mi dispiace» disse Harry.

«Henri è un giovane mago molto particolare» s’intromise una voce. Il maghetto si voltò mentre Lavr faceva il suo ingresso nel negozio buio.

«Mio dio!» sussurrò Ollivander.

Harry sentì la mano di Lavr sulla spalla, mentre il vecchio venditore sembrava aver perso l’uso della parola. – Sa chi è  – realizzò stupito. Non era mai capitato prima che qualcuno capisse che Lavr non era umano.

Senza prestare attenzione alla reazione che aveva scatenato, il demone disse sottovoce: «Mi chiedevo se lei non abbia altre bacchette da mostrarci. Bacchette meno… convenzionali, diciamo. Mi rendo conto che con le leggi in vigore in Gran Bretagna… ma un inventore come lei, magari ha sperimentato…soluzioni non proprio ortodosse».

Il vecchio si guardò attorno guardingo, poi fece loro cenno di seguirlo nel retrobottega.

«Aspettate qui» disse aprendo una botola e scendendo. I due fecero come gli era stato detto, rimanendo in silenzio finché il vecchio non riemerse con una scatola grigia di polvere. La pulì frettolosamente con la manica, l’aprì e tirò fuori una bacchetta nera. La porse a Harry, che la prese senza esitare. 

Finalmente avvertì qualcosa. Un tiepido calore invase il suo corpo mentre la sua magia emergeva dal profondo del suo essere e affiorava in superficie, donandogli brividi di piacere.

Il vecchio negoziante spalancò gli occhi. «Quanto potere» mormorò fra se. Si riscosse e gli sorrise. «Tredici pollici, ebano e polvere di scaglie di basilisco. La bacchetta più potente che abbia mai creato. Ne faccia buon uso, signor Montblanc».

Lavr pagò senza batter ciglio i quaranta galeoni chiesti da Ollivander, gli rivolse un’educata frase di commiato che prometteva orrende torture nel caso avesse parlato a qualcuno della loro visita e poi finalmente lui e Harry uscirono alla luce del sole.

Su richiesta del ragazzo, lasciarono Diagon Alley per immergersi nella Londra Babbana.

«Ho incontrato il figlio di Malfoy» buttò lì Harry quando si fermarono per mangiare un boccone.

«Mm»

«Non è stato un incontro piacevole»

«Ah no?» chiese Lavr, disinteressato come al solito.

«L’ho praticamente mandato a quel paese»

«Ottimo inizio» sbuffò il demone. «Forse inimicarsi il figlio di Lucius Malfoy prima ancora di mettere piede a Hogwarts non è un grande idea, non pensi?».

«Perché no?» replicò Harry, imbronciato. «Suo padre mi ha fatto rapire!»

«Mi sembra che si sia rivelato provvidenziale no? Dovresti ringraziarlo»

Fu il turno del ragazzo di sbuffare. «Come no. Se fossi finito tra le sue grinfie, probabilmente a quest’ora sarei sepolto sotto qualche discarica».

«Ed io vivrei in pace» lo prese in giro Lavr «Fai come preferisci, ma vorrei che non dimenticassi una cosa. Non sei più Harry Potter, ora sei Henri de Montblanc. Quando sarai a Hogwarts farai bene a ricordartelo».

«Non capisco cosa vuoi dire».

«La gente aveva delle aspettative sul Bambino Sopravvissuto, ma dubito tu voglia fare ciò che ci si aspetta da te. Harry Potter e Draco Malfoy sicuramente non avrebbero potuto essere amici…».

«E Malfoy e Henri de Montblanc nemmeno» lo interruppe il maghetto, spazzolando ciò che restava del suo pranzo.


Quando tornarono al Palazzo, Harry era esausto e non vedeva l’ora di andare a dormire, ma Lavr lo fermò: «Un momento. Prima voglio darti questo» disse, sfilandosi dal collo un ciondolo e porgendoglielo. Il ragazzo riconobbe subito la gemma che aveva contenuto i poteri del demone per un millennio, ma la collana era diversa. Ora era sottile e sembrava fatta di filigrana.

«E’ il mio regalo di compleanno. L’ho incantata rendendola una passaporta. Se sarai in pericolo ti basterà dire Daimon, e ti porterà da me. Naturalmente, dovrai usarla solo in caso di estrema necessità, e con questo intendo pericolo di morte, non nostalgia di casa».

«Tranquillo» ridacchiò il ragazzo. «Grazie».

Eccomi qui! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, era abbastanza lungo e anche pieno di sorprese. Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate dell'idea della falsa identità di Harry e del Palazzo. Mi auguro che non ci siano errori, la mia beta oggi ha dato forfeit. Nel caso, fatemelo sapere :)  Nel prossimo capitolo ci sarà Hogwarts finalmente. Sono ufficialmente aperte le scommesse sulla casa in cui verrà smistato Harry. Alla prossima :)

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Capitolo 9
*** Lo smistamento ***


La stazione di King Kross pullulava di gente. Uomini e donne di tutte le età camminavano spediti, trascinando i loro bagagli senza curarsi di niente se non della loro meta. In mezzo alla folla affaccendata, un ragazzino stava fermo da diversi minuti, con un’espressione confusa e arrabbiata in volto. Se non fossero stati tutti concentrati solo sui loro impegni, sulla loro vita, forse si sarebbero accorti di quanto fosse strano quel ragazzo solitario; invece nessuno notò i suoi vestiti raffinati, lo stravagante baule in cuoio, o il terrario vuoto poggiato sopra di esso. Se non fosse stato per il potente incantesimo di disillusione poi, avrebbero visto il serpente lungo quanto una coscia umana che vi risiedeva, e forse quello li avrebbe distolti per un attimo dalla corsa frenetica che era la vita della capitale.

Harry Potter fissava il biglietto ferroviario nella sua mano come se gli avesse appena fatto una pernacchia. Binario nove e ¾. nove e ¾! Maledisse silenziosamente il suo tutore. –Sei così indipendente – gli fece il verso mentalmente – non avrai certo bisogno di me per andare alla stazione – Dannato. Maledetto lui e tutti i demoni menefreghisti del mondo. Maledetti quegli imbecilli di Hogwarts che non fornivano indicazioni. Sbuffò, e s’impose di mantenere la calma.

9 e ¾.

Beh, il nove c’era, costatò ironicamente. Il dieci anche. A rigor di logica, l’espresso per Hogwarts doveva essere lì da qualche parte. Ci sarebbero stati centinaia di ragazzi accompagnati dalle loro famiglie, tutti armati di bacchetta, animali esotici in gabbia, libri di magia. Molti sarebbero stati purosangue con la puzza sotto il naso, ben poco propensi a mischiarsi alla folla di babbani. Chiaramente, il treno non poteva partire veramente da King Cross. Doveva cercare l’ingresso quindi, che si trovava senza dubbio lì vicino.

Chiuse gli occhi. L’ingresso era nascosto da un incantesimo, e proprio la magia di questo gli avrebbe permesso di trovare il binario. Il Palazzo era magia allo stato puro, che l’aveva avvolto per anni. Aveva imparato a percepire la magia dentro e fuori di sé. Non era bravo quanto Lavr, certo, ma il più delle volte riusciva a individuare gli incantesimi più potenti che impregnavano l’ambiente intorno a lui.

Aprì gli occhi. Trovato! Si avvicinò al muro che separava i binari nove e dieci e lo tastò, andando a tentoni. Sembrava una normalissima parete, ma come applicò una maggiore pressione, la sua mano la attraversò. Colto alla sprovvista, per poco non si sbilanciò, ma riuscì a mantenere l’equilibrio. Ritirò la mano, impugnò il carello, e con un sorriso e una preghiera sulle labbra prese la rincorsa e si lanciò contro il muro. Un battito del cuore, e si ritrovò su una piattaforma ancora più caotica di quella babbana. Il grande orologio sulla parete affianco a lui indicava le undici meno venti. Ovunque c’erano gruppetti di ragazzi entusiasti di riabbracciare gli amici dopo le vacanze, o che salutavano i genitori, ansiosi di salire sul treno.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Harry sentì una fitta di disagio. Sembrava essere l’unico ragazzino completamente solo. Guardando un padre abbracciare il figlio, desiderò avere Lavr al suo fianco. Quella mattina si erano guardati esitanti, Harry aveva fatto per avvicinarsi e abbracciare il demone, ma lui lo aveva preceduto e lo aveva salutato con un semplice: “Arrivederci”.

Si avvicinò al treno. Non aveva nessuno da salutare, perciò non aveva motivo di rimanere impalato sulla piattaforma. Lasciò il carrello insieme con gli altri e cominciò a trascinare il pesante baule, con molta difficoltà.

«Serve una mano?»

Si girò, e si trovò davanti due ghigni identici, abbinati a due folte chiome rosse. «Grazie» rispose, mentre i due gemelli sollevavano il suo baule e lo aiutavano a sistemarlo sul porta bagagli di uno scompartimento vuoto.

«Grazie davvero» ripeté Harry, riconoscente. «Non so come avrei fatto senza di voi».

«Figurati» replicò uno dei gemelli. «E’ sempre un piacere aiutare voialtri primi smarriti» aggiunse l’altro, facendogli l’occhiolino.

«Henri de Montblanc» si presentò, porgendogli la mano.

«Io sono Fred Weasley, e lui è mio fratello George. Sentirai spesso parlare di noi a scuola, ma non ti preoccupare, sono tutte menzogne. Beh, quasi tutte. Se hai bisogno di qualcosa, chiamaci» detto questo, i due uscirono dallo scompartimento, mentre Harry prendeva posto vicino al finestrino. Osservò i due gemelli ricongiungersi alla loro numerosa famiglia, i cui membri erano tutti contraddistinti dalla chioma color carota.

«Ti dispiace se mi siedo qui?»

Si girò. Sulla porta dello scompartimento, stava un ragazzino dai capelli biondi, vestito con abiti vecchi e sbiaditi.

«Certo, fai pure».

Il ragazzo entrò, caricò il baule sul portabagagli senza difficoltà e si sedette sul sedile di fronte a lui, girandosi a guardare fuori dal finestrino. Harry lo osservò attentamente. La decisione con cui guardava fuori dal finestrino tradiva l’intento di scoraggiare ogni tentativo di conversazione, inoltre era seduto in una posa rigida, come se non si trovasse a suo agio. Non volendolo disturbare, tornò anche lui a guardare verso il binario. La famiglia dai capelli rossi era ancora lì; la madre era intenta a sfregare energicamente il naso del più piccolo, e le loro voci gli arrivavano nitide. Chissà com’era vivere in una famiglia del genere! Avere quattro fratelli, una madre premurosa… non riusciva nemmeno a immaginarlo. Seguì con lo sguardo il minore dei Weasley finché non salì sul treno, poi la sua attenzione venne catturata da un trio ben diverso.

Draco Malfoy salutava compostamente i suoi genitori, anche se dal modo girava la testa da una parte all’altra e si torturava le mani era chiaro che non vedeva l’ora di salire. Stringendo gli occhi a fessura, Harry studiò il profilo aristocratico di Lucius Malfoy. Il suo contegno era invidiabile. Salutò il figlio con una pacca sulla spalla, mentre sua moglie lo abbracciava per pochi istanti, e poi anche Draco salì sul treno. L’orologio segnava le undici. Gli studenti ritardatari si affrettarono a salutare le loro famiglie, e salirono di corsa. Il treno partì. Il viaggio sarebbe durato almeno fino a sera. Rimpianse di non essere stato abbastanza previdente da tenere uno dei suoi libri con sé.

La porta dello scompartimento si aprì di nuovo, e una ragazzina dai capelli crespi entrò. «Ciao. Potreste darmi una mano con il baule?» Aveva una voce squillante. Il ragazzino biondo si alzò e senza dire una parola la aiutò a sistemare il bagaglio.

«Grazie» disse la ragazza, prendendo posto. «Io sono Hermione Granger»

«Henri de Montblanc»

«Philippe» bofonchiò il biondo.

«Piacere. Io sono estremamente eccitata all’idea di andare a Hogwarts, voi no? I miei genitori sono dentisti, sapete, quindi è stata una vera sorpresa ricevere la lettera. Ho studiato tutti i libri di testo, spero che basti. Oh, e naturalmente ho comprato qualche libro extra al Ghirigoro, per saperne di più sul mondo magico. Alcuni erano davvero affascinanti. Avete letto Storia di Hogwarts?» Pronunciò il tutto senza prendere fiato nemmeno una volta. Philippe la guardò scioccato.

«Io l’ho letta» rispose Harry. «E’ interessante»

Hermione gli rivolse un gran sorriso. «Voi due vi conoscete? Siete francesi?».

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata.

«Io sono francese, ma mi sono trasferito qui in Inghilterra quando ero molto piccolo, dopo la morte dei miei genitori».

«Mi dispiace» esclamò la ragazza, e lo sembrava davvero.

«Non fa niente» la rassicurò Harry. «E’ passato molto tempo».

Hermione si girò verso l’altro ragazzo. «Tu invece?»

«Ora vivo qui» fu la secca risposta.

«I tuoi genitori si sono trasferiti? Ora che ci penso… ci sono scuole di magia in Francia? Ho comprato un libro sulle scuole magiche europee, ma non ho ancora avuto il tempo di leggerlo».

«C’è Beauxbatons» le rispose Harry. Philippe si rigirò verso il finestrino, disinteressandosi alla conversazione.

«Avete già un’idea della casa in cui andrete? Io penso Grifondoro, ma anche Corvonero non sarebbe male».

«Io non sono sicuro. Forse Corvonero, ma potendo scegliere, spero di andare a Serpeverde».

«Oh, molto meglio Corvonero, credimi! So che Serpeverde ha davvero una brutta reputazione. È la casa che ha sfornato più maghi oscuri. Inoltre, ho letto che là ci finiscono quelli che hanno pregiudizi. Sai, quelli con la puzza sotto il naso. Non mi sembra il tuo caso»

Philippe ridacchiò sarcastico. «Proprio tu parli di puzza sotto il naso?» le dissi acidamente. «Hai scoperto di essere una strega quanto? Un mese fa? E ora credi di poter giudicare i membri di un’intera casa perché hai letto un paio di libri! Arrogante come sei, finirai senza dubbio a Grifondoro».

«Io sarei arrogante?» chiese la ragazza, oltraggiata.

«Non ha tutti i torti» intervenne Harry. «Non è stato molto educato da parte tua giudicare in quel modo della casa in cui voglio andare.  Conosci qualche Serpeverde? Ne dubito. Parli senza cognizione di causa.»

Hermione gli lanciò un’occhiata furiosa e se ne uscì sbattendo la porta.

«Qualcuno qui non accetta le critiche» commentò Philippe.

Harry sospirò «E con questa sono due compagni che mi sono inimicato prima ancora di mettere piede a scuola. Niente male.»

«Niente male davvero» commentò Philippe. «E dicono che io ho un brutto carattere! L’altro chi è, se posso chiederlo?»

«Draco Malfoy»

Il ragazzo fischiò ammirato.

«Se lo avessi conosciuto, mi capiresti» si difese Harry.

«Oh, non ne dubito» rise Philippe «Ma se davvero finirai a Serpeverde, sarà una bella grana».

«E’ solo un ragazzino viziato» replicò noncurante. «Tu pensi di andare a Serpeverde?»

«Non ne ho idea sinceramente. Non so nemmeno come avverrà la scelta».

«Sarà il Capello Parlante a decidere»

«Un capello» ripeté Philippe, incredulo.

«Già. Niente di complicato»

«Non so dove finirò» continuò dopo qualche istante di silenzio. «So che in genere dipende anche da dove sono stati smistati i propri genitori, ma i miei non hanno frequentato Hogwarts» le guance gli si tinsero di rosso. Harry lasciò cadere l’argomento. Era un terreno pericoloso. Non si era certo immaginato di ritrovarsi un compagno di scuola francese! E se gli avesse fatto domande sui suoi genitori? Se avesse in qualche modo scoperto le sue frottole? Fortunatamente però, Philippe sembrava restio quanto lui a parlare di sé.

La porta dello scompartimento si aprì, e una donna di mezza età chiese se volevano qualcosa dal carello. Philippe rifiutò cortesemente, mentre Harry, curioso di assaggiare i dolci magici, comprò un po’ di tutto.

«Vuoi qualcosa?» gli chiese quando il tavolino fu ricoperto di carte colorate. «Sono davvero troppi per me».

«No, grazie. Non sono un amante dei dolci».

«Andiamo» spalancò gli occhi Harry «non possono non piacerti!»

Il ragazzo fece una smorfia. «Preferisco cose più sostanziose» replicò sorridente, tirando fuori dal suo bagaglio dei panini giganteschi e addentandone uno, soddisfatto.

Harry sorrise. «Se cambi idea…»

Calò il silenzio. Harry sentiva Zar intimargli di farlo uscire dal terrario, ma dopo aver scoccato un’occhiata furtiva al suo compagno di viaggio, decise di ignorare il serpente. Lavr gli aveva consigliato di tenere segreto il suo essere rettilofono.

-    Fammi uscire. Fammi uscire – . l’incessante cantilena di Zar lo stava innervosendo.

«Cosa c’è nel terrario?» chiese all’improvviso Philippe.

«Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa?» ribatté Harry, nervoso.

Il ragazzo scrollò le spalle. «Perché dovresti portarti appresso una gabbia vuota? Capirei se avessi un gufo e fosse in viaggio, ma quello è un terrario!»

Sempre diffidente, Harry rispose: «Il mio animale è… esotico, quindi ho pensato fosse meglio disilluderlo, per non attirare l’attenzione dei babbani».

Philippe ghignò.  «Di pure che lo stai portando di straforo».

Rise anche Harry. «A quanto pare non era un’idea così brillante!».

«Non ti preoccupare, il fatto che me ne sia accorto io non vuol dire che lo capiranno anche gli altri. Sono molto attento, ecco tutto».

«Ho notato». Lo studiò discretamente. Aveva l’impressione di non essere l’unico a nascondere un segreto. «E’ un serpente, comunque».

«Forte» commentò il ragazzo, senza mostrarsi particolarmente sorpreso.

Per il resto del viaggio, chiacchierarono allegramente di cose poco importanti. Arrivati in prossimità della scuola si cambiarono – Philippe parve grato di levarsi i consunti vestiti babbani – e Hermione tornò a prendersi il baule, rifiutandosi però di parlare loro. Finalmente, scesero dal treno e seguirono un omone alto due metri fino a delle barche con cui attraversarono il lago. Harry e Philippe salirono con una ragazzina bionda molto graziosa e un ragazzo di colore.

Un coro di «ooh» si levò quando il castello apparve davanti a loro. Harry dovette ammettere che era incredibilmente suggestivo, visto dal basso e illuminato dal quarto di luna. Persino Philippe aveva perso la sua aria noncurante. La folla di primini si riversò nell’atrio, dove trovarono ad accoglierli una donna alta e dall’aria severa. La professoressa richiamò il silenzio e li istruì sul sistema delle case. Finito di spiegargli le regole, disse loro di attendere. Uscita la donna, la stanza rimase insolitamente silenziosa. I primini erano agitati e bisbigliavano sottovoce fra loro. Molti non sapevano nemmeno in cosa consistesse lo Smistamento. Harry sentì addirittura un ragazzino sostenere che bisognasse battersi contro un troll! Rimase in silenzio affianco a Philippe; tra la folla, individuò il minore dei maschi Weasley, Malfoy e la Granger.

Finalmente, la McGRanitt riapparve e li condusse nella Sala Grande. Gli occhi di tutti gli studenti erano su di loro, ma lui si sentiva tranquillo. Il Capello Parlante cantò una filastrocca, e poi la professoressa iniziò a chiamare i primini in ordine alfabetico.

-    Abbott Hannah! –

-    Tassorosso! –

-    Bones Susana –

-    Tassorosso –

-    Boot Terry –

-    Corvonero –

Uno dopo l’altro, i primini vennero smistati nelle diverse case. Hermione, quando giunse il suo turno, sedette sullo sgabello e vi rimase a lungo, causando diversi bisbigli, ma infine il Capello urlò

-    Grifondoro! –

Philippe sbuffò, mentre la strega, felicissima, prendeva posto al tavolo rosso-oro.

-    Leroy, Philippe! – chiamò la McGranitt. Il ragazzo si diresse verso di lei, visibilmente a disagio, e indossò il cappello. Anche questa volta, ci volle un po’ perché fosse smistato, ma alla fine il cappello urlò:

-    Serpeverde! –

La McGranitt continuò l’appello, fino ad arrivare a – Malfoy, Draco – che finì a Serpeverde l’istante stesso che il cappello fu poggiato sulla sua testa, e infine…

-    Montblanc, Henri –

Harry si sedette con sicurezza sullo sgabello, e il cappello calò a coprirgli gli occhi.

«Mm» fece una voce nella sua testa. «Bene bene, questo non succede tutti i giorni. Sei consapevole ragazzo mio, di avere un potente blocco mentale? Non dirmelo, sono sicuro di sì. Insolito. Quali segreti nascondi? Non importa, la barriera non m’impedisce di svolgere il mio compito. Hai una mente interessante. Non è una scelta facile. Sei impulsivo e testardo, coraggioso. C’è talento in te, e brama di conoscenza. Priscilla avrebbe senza dubbio apprezzato la tua intelligenza, ma c’è dell’altro. Pura ambizione, desiderio di metterti alla prova. Sì, sarà meglio…»

-    Serpeverde! –

Harry si levò il cappello, soddisfatto, e si diresse verso la tavolata delle serpi, dove Philippe gli aveva tenuto il posto.

«Sarai contento» gli disse. Harry sorrise in risposta. Lo era eccome, anche se per ragioni che nessuno poteva immaginare. Era nella casa di Merlino.

Finito lo smistamento, il preside si alzò in piedi e piombò il silenzio.

«Benvenuti. Benvenuti a un nuovo anno a Hogwarts. Prima di dare inizio al banchetto, vorrei dire qualche parola. E cioè: pigna pizzicotto, manicotto, tigre». Le smorfie d’incredulità che accompagnarono il discorso la dicevano lunga su cosa pensassero di Silente le serpi.

«Guarda un po’ chi è finito a Serpeverde» commentò Draco astioso, non appena apparve il cibo.

«Montblanc eh? E Leroy… siete francesi?» chiese la ragazza che aveva attraversato il lago con loro, Daphne Greengrass.

«Si» confermò Philippe, controvoglia.

«Leroy… sei per caso imparentato con Nicolas Leroy, il sottosegretario del Ministro francese?» s’intromise Blaise Zabini.

«Alla lontana»

«Ma se sei un Leroy perché non sei a Beauxbatons?» chiese Pansy Parkinson, altezzosa.

«Non puoi essere un Leroy» intervenne Draco «ti ho visto alla stazione, vestito come un pezzente babbano. E vorresti farci credere che appartieni a una delle più prestigiose famiglie magiche francesi?

«Io non voglio farvi credere proprio niente! Non sono affari vostri.»

«Che c’è, sei un bastardo mezzosangue e cerchi di nasconderlo?» lo aggredì Pansy.

«E tu? Per caso cerchi di nascondere di essere metà strega e metà carlino?» lo difese Harry. «A cosa dobbiamo questo interrogatorio?»

«Benvenuti a Serpeverde» gli rispose Draco. «Non c’è spazio per sanguesporco in questa casa».

«Non c’è ne sono» replicò Harry. «Io sono mezzosangue*, e anche Philippe. È tutto quello che dovete sapere. Ora siete pregati di pensare alle vostre di famiglie, perché sono sicuro che a nessuno che qui piacciano gli impiccioni».

«Fate silenzio» s’intromise un ragazzo più grande di loro. «Siete nuovi qui, ma imparerete presto come ci si comporta. Dopo cena, il nostro capocasa, il professor Piton, vi spiegherà le regole di Serpeverde, nel frattempo attenetevi a quelle dell’etichetta: non si alza la voce a tavola. Non siete degli zotici grifondoro».

Imbarazzati dalla predica, i primini rivolsero a Harry e Philippe un’ultima occhiata sprezzante e iniziarono una garbata conversazione tra di loro, ignorandoli.

«Com’è che ha detto il cappello?» bisbigliò Philippe «A serpeverde troverete gli amici migliori?».


Dopo che anche l’ultimo dolce fu scomparso dal tavolo, Silente si rialzò in piedi e nella Sala cadde nuovamente il silenzio. «Ora che siamo tutti sazi, vorrei fare alcuni annunci. Innanzitutto, voglio ricordare a tutti che la Foresta Proibita si chiama così per un motivo. Non vogliamo certo sovraccaricare di lavoro la nostra infermiera, Madama Chips, dalla prima settimana.» Gli occhi del preside scintillarono, divertiti. «Sono proibiti anche i duelli nei corridoi, e quest’anno c’è una novità: è vietato l’accesso al corridoio del terzo piano a destra. Grazie dell’attenzione. Ora, c’è un’ultima cosa che voglio dirvi prima di mandarvi a riposare» la voce del preside si fece grave «Quest’anno, dovrebbe esserci un altro studente seduto in mezzo a voi. Come molti di voi sapranno, quest’anno Harry Potter avrebbe dovuto compiere undici anni». Se possibile, il silenzio nella sala divenne più profondo. Tutti guardavano il preside attentamente, l’allegria e la stanchezza di qualche attimo prima dimenticate. Anche i volti degli altri insegnanti si fecero tesi. «La maggior parte di voi conosce la storia del Bambino Sopravvissuto, così come immagino sappiate che dopo anni di ricerche, il ministero si è dovuto arrendere all’evidenza e dichiararne la morte. Non conosciamo le dinamiche che hanno portato alla scomparsa di Harry, possiamo solo sperare che la giustizia faccia il suo corso e che la verità venga rivelata. Vi chiedo quindi di alzarvi e brindare a Harry James Potter, vittima innocente di una guerra troppo crudele».

Obbedirono tutti, anche se alcuni serpeverde degli ultimi anni non mascherarono il loro disappunto.

«A Harry» disse Silente, alzando il suo calice.

«A Harry» gli fecero eco tutti gli altri. Alcuni avevano gli occhi lucidi.

«Addio, Bambino Sopravvissuto» pensò Harry, bevendo.


Quando arrivarono alla Sala comune di serpeverde, Harry era stanchissimo e non vedeva l’ora di mettersi a letto. Sfortunatamente, la giornata non era ancora finita. Piton li aspettava in piedi, davanti al camino.

«Ognuno nel proprio dormitorio, eccetto le matricole» ordinò, e tutti si affrettarono a obbedire. «Voi del primo anno, sedetevi e prestate la massima attenzione. Voglio che comprendiate fin da subito cosa significhi appartenere a Serpeverde. Tutti voi conoscete la fama che avvolge la casa di Salazar. Da questo momento, questa sarà la vostra famiglia. Serpeverde è sempre rimasta unita, perché deve fronteggiare l’intera scuola. Non m’interessa cosa succede qui dentro, purché non passiate i limiti s’intende, ma fuori non mostrerete tensioni, non cercherete di prevaricare su un vostro compagno o di metterlo in cattiva luce. Se lo desiderate, nei dormitori potrete sprecare il vostro tempo lanciandovi maledizioni, ma fuori aiuterete i vostri compagni di casa sempre e comunque. Se dovrete coprire uno di voi davanti agli altri insegnanti, lo farete; se sarete in possesso di informazioni riservate, le terrete per voi; se ci sarà da prestare soccorso a un compagno, non vi tirerete indietro. Le vostre brighe le risolverete in privato, ma sarà meglio per voi che non vi veda mai attaccarvi fisicamente o verbalmente davanti al resto della scuola» lanciò un’occhiata penetrante a Harry e Draco «Tutti i presenti sono stati smistati dal Cappello, il che significa che sono degni di essere Serpeverde, a meno che qualcuno di voi non pensi di poter giudicare meglio di un artefatto magico tra i più potenti mai creati. Per quanto riguarda le altre case, non m’interessa se vi provocheranno, non voglio che i miei colleghi vengano a lamentarsi della cattiva condotta dei miei alunni. Se dovesse succedere, state pur certi che la punizione sarà esemplare» Lo sguardo del professore non lasciava dubbi sulla veridicità della minaccia. «Sappiate che anche se vi aiuterò davanti agli altri professori, non rimarrete mai impuniti; io non tollererò violazioni delle regole, siete avvisati. Mi aspetto che teniate alta la vostra media, che ragioniate prima di agire e che veniate da me se avete problemi. Penso sia inutile dirvi che a Hogwarts ci sono barriere che rilevano incantesimi proibiti». Passò in rassegna ognuno di loro, soffermandosi su Malfoy. «Direi che per ora è tutto, spero che il mio discorso sia stato chiaro. Insegno da abbastanza tempo da sapere che molti di voi stanno giù progettando scorrazzate notturne e duelli contro i grifondoro, ma vi suggerisco caldamente di desistere, almeno finché non sarete abbastanza furbi da non farvi beccare. Buona notte, e badate di arrivare puntuali a colazione, domani».

In silenzio, le matricole si diressero verso i loro dormitori. Harry avrebbe dormito con Philippe, Theodore Notte e Blaise Zabini. Distrutto, non appena si coricò, piombò in un sonno senza sogni.



* Piccola nota, nel caso qualcuno non lo sapesse. I traduttori italiani hanno usato lo stesso termine, mezzosangue, per indicare i figli di babbani, come Hermione ad esempio, e quelli che hanno del sangue babbano, magari perché figli di un mago e un babbano, come Piton e Voldemort. I purosangue odiano solo i sanguesporco, mentre diversi mezzosangue sono stati smistati a Serpeverde.
Ok, fine della precisazione. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, la maggior parte di voi aveva indovinato la casa di Harry :) Per quanto riguarda il prossimo, proverò a pubblicarlo giovedì, ma non so se riuscirò. Nel caso, dovrete aspettare fino a martedì prossimo. Baci.

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Capitolo 10
*** Le prime lezioni ***


Abituarsi ai ritmi di Hogwarts non fu facile. La vita nella scuola scorreva frenetica; fra le lezioni, i pasti in Sala Grande e il dormitorio diviso con altri tre ragazzi Harry non riusciva a stare quasi mai da solo, il che era una seccatura per uno come lui, abituato ad avere molto tempo per sé.

La maggior parte dei Serpeverde del suo anno non sembrava nutrire grande simpatia per lui, in parte perché provenendo da importanti famiglie purosangue erano già tutti amici, e in parte perché Draco non nascondeva certo la sua antipatia per lui, e nessuno sembrava avere il coraggio o il desiderio di inimicarsi un Malfoy, seppur in miniatura. Dal canto suo, Harry ricambiava interamente l’astio del rampollo di Lucius. Arrogante e viziato com’era, gli riportava alla mente ricordi che sperava di aver seppellito per sempre. E invece, trovarsi a Hogwarts, di nuovo circondato da umani suoi coetanei, gli rammentava talvolta dell’altra scuola che aveva frequentato e di conseguenza della sua vita prima che Lavr lo salvasse. Sorprendentemente, il suo tutore gli aveva mandato una breve lettera sin dai primi giorni di scuola, chiedendogli com’era andato lo Smistamento e intimandogli di non cacciarsi nei guai.

Quello non era un problema, davvero. In realtà, Hogwarts si era rivelata diversa da come se l’aspettava. Certo, era bellissima e piena di magia, ma si sentiva fuori posto. Gli altri primini erano estasiati dal castello, con i suoi misteri, le sue scale dotate di volontà propria e le porte che richiedevano moine per aprirsi ma, avendo vissuto al Palazzo, Harry non lo trovava straordinario, ed era l’unico del suo anno che riuscisse a spostarsi senza difficoltà. Il suo senso dell’orientamento, sviluppato negli anni passati con Lavr, era imbattibile.

Poi c’erano le lezioni. Storia della magia si era rivelata un disastro, il corso più inutile e noioso della scuola, con grande scorno di Harry, che amava la materia. Incantesimi e trasfigurazione erano senz’altro migliori, ma lo avevano lasciato perplesso.

 La professoressa McGranitt, una donna severa ed esigente, la prima lezione chiese alla classe di trasfigurare uno stuzzicadenti in un ago. Mostrò il movimento della bacchetta e insegnò loro la formula, dopodiché tutti si misero a provare l’incantesimo.

Tutti tranne lui, che rimase fermo a guardare i tentativi dei suoi compagni, senza capire. Come poteva la donna pretendere che qualcuno riuscisse a eseguire il compito con quelle poche istruzioni? Quando Lavr gli sottoponeva una magia, gli parlava della tecnica che questa richiedeva, in modo che sapesse come eseguirla con il minor dispendio di forze possibile. A volte, prima di fargli eseguire una trasfigurazione, gli faceva studiare per giorni le caratteristiche dell’oggetto da trasfigurare e di quello in cui doveva trasformarlo, in modo che ne cogliesse gli aspetti comuni sui quali poteva far leva per risparmiare energie. Solo dopo, gli permetteva di eseguire la magia vera e propria, e allora Harry richiamava il proprio potere, cosa che ormai gli riusciva facile, e si concentrava per manipolarlo a suo piacimento.

Per quanto ne sapeva, la maggior parte dei suoi compagni di classe non aveva mai provato a fare magie, per cui non sarebbe stato più logico insegnargli prima a richiamare il loro potere?

«Tu non provi, Montblanc?»

Preso com’era dai suoi pensieri, non si era accorto che la McGranitt gli si era parata davanti. «Professoressa, io…»

«Non hai nemmeno tirato fuori la bacchetta!» si scandalizzò la donna. «Non accetto scansafatiche nella mia classe, signor Montblanc. Prova l’incantesimo adesso o sarò costretta a togliere cinque punti a Serpeverde».

Sentendo gli sguardi di tutta la classe su di lui, e anche qualche risatina soffocata, prese la bacchetta e pronunciò la formula. Lo stuzzicadenti si trasformò in un ago lucente.

L’espressione della professoressa si distese. «Molto bene. Cinque punti a Serpeverde. La prossima volta, però, ti suggerisco di eseguire immediatamente i compiti che assegno».

La lezione d’incantesimi non andò molto diversamente. Riuscì a eseguire l’incantesimo mostrato da Vitious al primo tentativo, ma nel momento in cui lo fece si sentì leggermente a disagio, come se stesse in qualche modo barando. Usare la sua bacchetta era facile, ma era in qualche modo… impersonale. Solo formule da imparare a memoria e movimenti meccanici da memorizzare. Non sentiva lo stesso calore che provava quando richiamava la sua magia dall’interno, quella fiamma che gli riscaldava il petto e gli dava la certezza di essere più di carne e sangue. Inoltre, rimpiangeva la soddisfazione che gli procurava padroneggiare una nuova, complessa magia propostagli da Lavr.

Per questo decise di parlarne con il demone, e si sentì meglio quando lesse la sua replica.

So che i maghi utilizzano la bacchetta perché la maggior parte di loro non può fare altrimenti. Tu hai un dono raro e prezioso. La tua magia è potente e riesci ad attingerci direttamente, come pochi dei tuoi simili sanno fare. Proprio perché possiedi una dote rara, ti consiglio di non darne pubblico sfoggio, almeno all’inizio. Comunque, le bacchette sono artefatti creati appositamente per la vostra razza e, che io sappia, non esiste mago che non ne possa trarre vantaggio. Anche Merlino, il mago più versato nella pratica della magia libera che abbia mai conosciuto, usava la sua per la maggior parte degli incantesimi. Ritengo che il disagio che provi sia dovuto solamente al basso livello degli incantesimi che stai imparando. Se ti senti poco stimolato, esercitati con gli incantesimi più avanzati.

L

 

La lezione di pozioni fu ben più interessante. Il professor Piton esordì con un discorso sull’arte del distillare pozioni che fece venire la pelle d’oca a Harry, e non solo per le parole scelte accuratamente e la passione che vi era contenuta. Sentiva la magia del suo capocasa come se irradiasse dalla sua figura e si riversasse sulla classe. Aveva percepito che Vitious e la McGranitt erano potenti, ma Piton era diverso. Il suo potere era diverso. 

Era un potere in grado di stregare la mente, irretire i sensi e mettere un fermo alla morte, e Harry aveva la sensazione che scuotesse qualcosa dentro di lui che non aveva mai esplorato prima.

La lezione si svolse con i Grifondoro e per il suono della campana nessuno aveva più dubbi sul fatto che sì, quello che si diceva sulla parzialità di Piton era vero. La Granger cercò per tutto il tempo di attirare l’attenzione del professore con la mano alzata quasi a voler toccare il soffitto, ma lui diede segno di accorgersi di lei solo quando il calderone di Neville Paciock esplose, dandogli l’occasione di toglierle cinque punti per non aver aiutato il compagno di casa. L’ingiustizia della cosa era evidente, ma ciononostante le serpi ne risero per tutto il giorno.

In realtà, Piton non aveva mostrato grande entusiasmo nemmeno per gli studenti della sua casa, ad eccezione che davanti al lavoro di Harry e Draco. Naturalmente, Malfoy non era stato contento di dover dividere le lodi del professore con il figlio di nessuno, e aveva cercato invano di sabotarlo.

Dopo le prime due settimane, cominciava a non poterne più del figlio di Lucius. Si stava rivelando una vera spina nel fianco: non solo faceva di tutto per escluderlo, ma si divertiva anche a provocarlo in continuazione.

Però non era solo, con lui c’era Philippe. Il francese era diventato il suo inseparabile compagno di banco e di studio. Harry si trovava bene con lui; proprio come il Bambino Sopravvissuto, Philippe era l’emarginato di Serpeverde a causa dei suoi vestiti di seconda mano e del suo essere straniero e non purosangue. Non era invadente,  anzi, non di rado era una compagnia alquanto silenziosa, ma era anche intelligente e divertente.

I due avevano quindi formato un duo isolato dal resto della casa, anche se, come imposto da Piton, il primo anno di Serpeverde appariva unito di fronte al resto della scuola.

Theodore Nott, il loro compagno di dormitorio, era abbastanza gentile con loro, ma passava la maggior parte del tempo con Zabini, che era se possibile persino più altezzoso di Malfoy. Harry aveva anche considerato l’idea di stabilire una tregua con Draco; farlo avrebbe significato la fine della guerra fredda che si andava instaurando ogni giorno di più, frecciatina dopo frecciatina, ma era restio. Non lo sopportava e non voleva perdere tempo a fingere che non fosse così; meno gli stava vicino e meglio era per i suoi nervi, senza contare che anche con gli altri ragazzi aveva poco in comune. Erano viziati figli di papà la cui maggior preoccupazione era la posizione in classifica della loro squadra di Quidditch. Harry aveva altro per la testa. Hogwarts era un luogo antico e pieno di segreti, e lui voleva scoprirli tutti. A cominciare dal perché Silente avesse proibito l’accesso al terzo piano. Le voci si sprecavano, ma difficilmente la verità risiedeva nei pettegolezzi degli undicenni. Lui aveva una teoria, basata però solo sul suo istinto. La Gazzetta del Profeta aveva riportato la notizia che il 31 luglio c’era stato un tentativo di furto alla Gringott. Niente era stato rubato, perché la camera in questione era stata svuotata il giorno stesso.

Svuotata.

Harry aveva letto e riletto l’articolo, cercando di cogliere le informazioni nascoste tra le righe, e quello era il particolare che più lo aveva colpito. Difficilmente poteva trattarsi della camera di qualche antica famiglia purosangue; probabilmente conteneva poche cose, o addirittura un singolo oggetto. Qualunque cosa fosse, doveva essere importante: molti dettagli erano stati tenuti segreti. E qualcuno aveva prelevato il contenuto della camera poco prima che il ladro vi s’intrufolasse. Una coincidenza, o il proprietario sapeva che qualcuno avrebbe cercato di derubarlo?

Forse erano solo macchinazioni, eppure una parte di lui era  prepotentemente convinta che Silente avesse nascosto il contenuto della camera a Hogwarts. Razionalmente però non aveva senso. Se le cose stavano così, perché richiamare l’attenzione? Perché non nasconderlo e basta, senza rischiare che qualcuno, forse persino uno studente, facesse il collegamento con l’improvvisa chiusura di un’ala del castello?

A meno che Silente non avesse lanciato il guanto di sfida al misterioso ladro, certo che il castello fosse ancora più sicuro e impenetrabile di uno dei posti meglio protetti al mondo. O magari era una trappola. Per sapere se le sue supposizioni erano esatte sarebbe dovuto andare a vedere con i suoi occhi cosa c’era al terzo piano, e l’avrebbe già fatto se il giorno prima della sua gita, la sua attenzione non fosse stata catturata da un altro mistero. La sua cicatrice. Gli era capitato che prudesse a volte, fin da quando era piccolo, ma adesso la sentiva bruciare. La prima volta che era successo, stava cenando in Sala Grande. Aveva sentito una dolorosa ma breve fitta alla fronte. Dopo quella volta, il dolore si rifece sentire altre due volte, e non riusciva a spiegarsi perché.

 

Per la terza settimana, i professori avevano lasciato da parte ogni riserva e avevano iniziato a caricarli di lavoro. Harry si recò in biblioteca per completare il tema assegnato dalla McGranitt, che avrebbe dovuto consegnare il lunedì successivo. Philippe non era con lui: dopo pranzo aveva accusato un malore e si era recato in infermeria.

Il tavolo era occupato da diversi libri e pergamene arrotolate. Si passò una mano tra i capelli. Non aveva mai fatto un compito simile prima, non era del tutto sicuro di come realizzarlo al meglio. Rilesse quello che aveva scritto, correggendo alcuni termini per rendere il discorso più fluido.

«Ti spiace se ci sediamo qui?». La voce di Theo gli fece sollevare lo sguardo, e si accorse con disappunto che Nott non era solo: Blaise era con lui e si sedette al tavolo senza aspettare la sua risposta.

«Ma certo, fate pure» replicò Harry, non senza sarcasmo.

«Ci servirebbe una mano con il tema di trasfigurazione» spiegò Theo, prendendo posto accanto all’amico.

«Abbiamo pensato di dare un’occhiata al tuo» concluse arrogantemente Zabini, allungando il braccio per afferrare la pergamena di Harry. Questa tuttavia gli sgusciò dalle mani, tornando dal proprietario.

«Come hai fatto?» esclamò Blaise sbalordito. «L’incantesimo d’appello è del quarto anno! E non hai nemmeno tirato fuori la bacchetta».

Harry ghignò. «Per essere un purosangue, la tua educazione lascia a desiderare, Zabini. Non si tocca la roba altrui senza permesso. E se pensi che ti lasci copiare un lavoro che come puoi vedere mi è costato tempo e fatica… beh, sei fuori strada. Potete anche andarvene».

«Scusalo. E’ sempre impulsivo.», intervenne Theo. «Tu sei il migliore in Trasfigurazione anzi, a dirla tutta, sei il migliore in tutti i corsi, così ci chiedevamo se potessi aiutarci. Naturalmente ripagheremo il favore». Blaise annuì a quelle parole, anche se controvoglia.

«Molto bene allora.» acconsentì il moro.

Le ore successive passarono velocemente. Harry diede ai suoi compagni alcune dritte sul compito e tutto sommato riuscirono ad andare d’accordo, anche se Zabini non mancò di lanciare qualche frecciatina.

«Allora Henri - disse a un certo punto - non sappiamo molto di te».

Harry sospirò. Prima o poi, il discorso sarebbe saltato fuori comunque, quindi tanto valeva affrontarlo ora. «Non c’è molto da dire. Sono nato in Francia da una famiglia di maghi non molto in vista. I miei genitori sono morti quando ero piccolo, così mi sono trasferito in Inghilterra da mio zio. Tutto qua».

«Mm» mugugnò Blaise, poco convinto. «Quindi sei purosangue?»

Il ragazzo scrollò le spalle. «I miei genitori erano maghi, e per quello che so lo erano anche le loro famiglie, ma non appartengo a una casata prestigiosa, quindi non so molto sul mio albero genealogico».

«Non dovresti frequentare quel Philippe.» lo ammonì Theo «Girano strane voci su i lui. Passando il tuo tempo con lui, rischi di inimicarti tutta la casa».

A quelle parole, Harry rise sprezzante. «Credevo fosse Molfoy a fare terra bruciata intorno a me».

Anche Blaise ridacchiò malevolo. «Certamente Draco non ti sopporta, ma non saresti così male se non stessi sempre con quel bastardo».

«Che cosa hai detto?» scattò Harry, ma Theo si mise in mezzo per calmarlo.

«Non c’è bisogno di scaldarsi, ragazzi. Non è il caso di metterci a urlare in biblioteca». Si chinò verso Harry, e aggiunse a bassa voce: «Non si sa molto su di lui, ma non girano molti Leroy in Francia. Draco stava dicendo l’altro giorno che suo padre gli ha riferito che pare ci sia stato uno scambio di gufi tra Nicolas Leroy e il ministro della magia britannico. Stando a quanto ha detto Draco, il sottosegretario francese non era molto contento di sapere che Philippe frequenta Hogwarts, anzi, il padre di Pansy, che lavora al ministero, sostiene che Caramell abbia richiesto un colloquio con Silente per parlare della questione. Nessuno sa bene chi sia Philippe, ma molti pensano che sia un figlio illegittimo, se non di Nicolas, di uno dei suoi fratelli, probabilmente avuto con una donna poco appropriata. Capisci ora perché nessuno ci tiene a frequentarlo? Le amicizie sono importanti, le persone di cui ti circondi dicono chi sei. Che cosa ci dice di te, il fatto che hai stretto amicizia con un bastardo mezzosangue?»

«Che non sono un ipocrita superficiale e bigotto come voi.» replicò Harry, con calma solo apparente. «Non m’importa se quello che dici è vero, se anche lo fosse, Philippe è mio amico, e voi, i vostri genitori, il ministro e Nicolas Leroy potete anche andarvene in malora». Si alzò, afferrò le sue cose e prima che uno dei due potesse ribattere si congedò dicendo: «Ricordate che mi dovete un favore».

 

Quella sera quando Blaise e Theo entrarono nel loro dormitorio, Harry alzò a malapena lo sguardo dal libro di pozioni che aveva sfogliato nell’ultima ora. I due non dissero niente, ma si cambiarono in silenzio, preparandosi per andare a dormire, e poi uscirono, diretti probabilmente verso l’altro dormitorio maschile. Era diventata un’abitudine che i due dopo che scattava il coprifuoco si dirigessero in camera di Draco, lasciando i francesi da soli, ma quella sera Philippe non era ancora tornato, così Harry, dopo essersi assicurato che i due fossero lontani, chiuse il libro e fece uscire Zar dal terrario. Il serpente salì sul letto, distendendosi come un umano che si stiracchi.

-     Dovresti farmi uscire più spesso- si lagnò. – detesto quella gabbia –

-    Lo so, ma non posso lasciarti vagare solo per la scuola. Chissà come reagirebbero gli studenti. Avrai notato che i miei compagni di dormitorio non sono esattamente entusiasti; non fanno che controllare che il terrario sia ben chiuso! –

-     Oggi non ho visto il tuo compagno. – commentò il serpente – quello strano –

-     Strano? Non ti ci metterai anche tu! – esclamò Harry, spazientito. – Perché pensi sia strano? –

-     Ha un odore diverso da te e dagli altri. –

-    Un odore diverso?- ripeté – Com’è possibile? –

-    Non ci arrivi da solo? -.

Harry alzò gli occhi al cielo. Perfetto, anche il suo serpente gli parlava con supponenza! – Potresti dirmelo tu. –

-    Potrei. E tu potresti farmi andare a caccia, ogni tanto ~.

-   Ti ho già spiegato perché non posso farlo. –

-    Allora non ti dirò niente. –

Infastidito, fece scendere l’animale dal letto con un gesto brusco. – Non ho bisogno del tuo aiuto, lo scoprirò da solo. –

Non ci fu risposta, Zar gli rivolse un’occhiata offesa -ma che razza di serpente era?- e se ne tornò spontaneamente nel terrario.

 

A colazione, il giorno successivo, non c’era ancora traccia di Philippe, ma nessuno a parte Harry sembrò accorgersene. Tutti i serpeverde del primo anno erano troppo eccitati per la prima lezione di volo, che si sarebbe tenuta quella mattina, con i grifondoro. Malfoy non faceva che vantarsi con chiunque gli prestasse attenzione della sua bravura a Quidditch, e si lagnava di non poter entrare nella squadra. Harry sembrava l’unico a non condividere l’entusiasmo dei primini. Sapeva già volare, fin dalla prima volta che aveva provato non aveva avuto la minima difficoltà, e gli piaceva anche, ma non sapeva molto di Quidditch e non gli interessava.

Finita la colazione, tutti gli studenti della casa verde argento si alzarono e si diressero ordinatamente fuori dalla Sala Grande, per poi separarsi, ogni anno diretto verso la prima lezione del giorno. Le matricole andarono verso il campo di Quidditch, chiacchierando ad alta voce, la disciplina di qualche istante prima dimenticata non appena messo il naso fuori dal castello. Arrivati al campo, trovarono ad aspettarli l’insegnante, Madama Bumb. I grifondoro arrivarono dopo qualche minuto.

«Molto bene, disponetevi in fila. Mettete le mani sopra la scopa e dite su.» li istruì la professoressa. Harry riuscì a far sollevare la scopa al primo tentativo, come Draco e pochi altri, tra i quali Ron Weasley, mentre la Granger, che solitamente eseguiva tutti i compiti alla perfezione, dovette provare più volte. Dopo diversi tentativi, tutti riuscirono.

«Ora, al mio fischio, vi darete una bella spinta, salirete di qualche centimetro e riatterrerete. Tutto chiaro? Bene. Tre, due…»

Senza aspettare il segnale di Madama Bumb, Neville Paciock si sollevò in aria e nonostante i richiami della donna continuò a sollevarsi, incapace di tornare con i piedi per terra. Salì, salì, gridando e agitandosi, finché non cadde, urtando malamente il braccio destro.

La professoressa gli fu subito affianco. Lo prese per il braccio sano e lo aiutò a rialzarsi, mentre gli altri studenti guardavano la scena in silenzio. «Sta tranquillo Paciock, ti accompagno in infermeria.» lo rassicurò, per poi rivolgersi alla classe con tono autoritario e continuare: «Che nessuno di voi si azzardi a inforcare le scope mentre sono via. Se becco uno di voi per aria, l’idiota si ritroverà espulso da Hogwarts prima che riesca a dire Quidditch».

Quando l’insegnante scomparve, Draco raccolse qualcosa dal punto dov’era caduto Neville. «Guardate!» esclamò ad alta voce. «Quel babbeo ha perso una ricordella! Peccato che non gli abbia ricordato che il volo non è adatto agli incapaci ciccioni come lui».

«Sta zitto Malfoy!» Ron Weasley fece un passo verso il biondo. Gli sguardi di tutti i primini erano su di lui, tutti erano curiosi di sapere cosa sarebbe successo.

«Oh Weasleyuccio! Che fai, racimoli il tuo coraggio da grifondoro per difendere Paciock?» lo derise Draco, la ricordella ancora stretta in pugno.

«Dammela. Appartiene a Neville». Gli ingiunse Ron, col viso rosso quanto i suoi capelli per la rabbia.

«Altrimenti che fai?» lo provocò.

«Piantala Malfoy, molla quella ricordella» s’intromise Harry, avvicinandosi ai due e tendendo una mano verso il compagno di casa. Sentì su di sé le occhiate ammonitrici degli altri serpeverde, ma non ci bado, concentrandosi solo su Draco, che aveva dato le spalle a Weasley e lo guardava con rabbia evidente.

«Non mi sembra che siano affari tuoi, Montblanc» sibilò. «Ma se proprio ci tieni…». Senza preavviso, Malfoy inforcò la scopa e con una spinta decisa si levò in volo. «Perché non vieni a prenderla?» urlò una volta raggiunta l’altezza di diversi metri.

 

 

Dudley era davanti a lui. Teneva tra le mani il suo libro, quello che la maestra gli aveva regalato il giorno prima come premio per un compito fatto bene.

«Ridammelo!» strillò Harry, gettandosi addosso al cugino e sollevandosi in punta di piedi per cercare di riprenderselo, ma Dudley era più alto di lui, e teneva il libro al di fuori della sua portata. Attorno a loro, gli amici di Dudley ridevano divertiti. Senza preavviso, il cugino gli tirò un pugno allo stomaco. Harry si accasciò, e lo vide con gli occhi appannati dal colpo lanciare il libro a Piers. La banda di bulli si dispose a cerchio attorno a lui, divertendosi a lanciarsi il libro l’un l’altro mentre lui correva disperatamente da una parte all’altra, cercando di intercettarlo.

«Smettetela!» gemette «Basta, lo state rompendo!».

Lancio dopo lancio, sentiva il rumore di pagine che si strappavano e un paio caddero anche al suolo. Alla fine, il libro tornò nelle mani di Dudley, che davanti al suo sguardo implorante lo prese e lo strappò in due e poi in quattro parti. Lo lasciò cadere a terra con una risata e se ne andò con i suoi amici, lasciandolo solo. Harry si chinò a terra, senza riuscire a trattenere le lacrime mentre raccoglieva i resti del primo regalo che avesse mai ricevuto.

 

Senza pensarci due volte, Harry afferrò la scopa e si levò in volo. Sentì i suoi compagni trattenere il fiato e anche Malfoy sembrò stupito quando se lo trovò davanti.

«Non male per un secchione come te, ma vediamo se riesci a starmi dietro.» puntò la scopa verso l’alto, salendo ancora di alcuni metri. Harry lo seguì senza difficoltà. Vedendolo, Draco sembrò preoccupato.

«Qui non ci sono Tiger e Goyle a salvarti il collo!» lo derise Harry.

Malfoy sorrise forzatamente in risposta. «Se proprio ci tieni a fare l’eroe, prendila». Allungò il braccio e lanciò la ricordella lontano.

Agendo d’istinto, Harry si gettò verso la sfera, ma prima che riuscisse a raggiungerla, questa prese a cadere. Puntò la scopa verso il suolo, inseguendola. Per un soffio, riuscì ad afferrarla prima che si spiaccicasse sul terreno e a raddrizzare la scopa prima di fare lui quella fine. Partirono delle acclamazioni di approvazione che si spensero all’istante non appena toccò terra, e non ci mise molto a capire perché. Piton veniva in quella direzione, e nonostante la distanza si vedeva che era livido.

«Montblanc, Malfoy… seguitemi» sibilò. I due obbedirono, consci che qualunque protesta avrebbe solo peggiorato la situazione. Camminando svelto, senza mai girarsi verso di loro, Piton li scortò fino al suo ufficio.

«Dentro.» ingiunse. Indicò loro le sedie, ma lui non si sedette. I due iniziarono ad accusarsi a vicenda, ma l’uomo li zittì.

«Non m’interessano le vostre giustificazioni. Quando Madama Bumb mi ha chiesto di controllare una classe del primo anno per qualche minuto, mi sarai aspettato tutto, tranne che di vedere i miei studenti fare una cosa così stupida come disobbedire a un ordine perentorio di un insegnante. Avete un’idea della gravità di ciò che avete fatto? Il vostro spettacolino potrebbe costarvi l’espulsione». Malfoy aprì la bocca per protestare, ma lo sguardo omicida del pozionista lo fece desistere. «Senza parlare del fatto che vi siete messi a litigare davanti ai grifondoro. Forse non mi sono spiegato bene il primo giorno, forse non avete compreso perché vi ho fatto quel discorso? Evidentemente, pensate di essere al di sopra delle regole. Cosa pensavate di fare, agendo come degli ottusi grifondoro? Siete in punizione per tutta la settimana. Tutti e due. Mi aspetto che veniate qui alle sette e mezza, puntuali, ogni giorno e che svolgiate i compiti che vi assegno senza emettere un fiato. Ora fuori. Non tu, Montblanc. Tu resta seduto». Draco uscì dallo studio sbattendo la porta, cosa che fece assottigliare le labbra di Piton in un modo che ricordava molto la McGranitt.

«Signore, non è stata colpa mia…» tentò di spiegarsi Harry.

«Non ho forse detto che non voglio sentire scuse?» lo fermò il professore. «Non m’interessa il motivo per cui vi siate comportati così. Non accetto che due miei studenti si sabotino a vicenda, farai bene a ricordartelo. In ogni caso, non è per sentire le tue giustificazioni che ti ho trattenuto. Era la prima volta che salivi su una scopa?».

Preso in contropiede, Harry negò col capo. «No signore, l’avevo già fatto».

«Sai giocare a Quidditch?»

«Non ho mai provato».

«Eppure, sembri avere un grande talento». Considerò Piton. «La settimana prossima si terranno i provini per la squadra di Serpeverde. Tu parteciperai».

«Ma signore…» boccheggiò Harry « quelli del primo anno non possono…»

«Ci sono sempre le eccezioni» lo interruppe Piton. «Del resto, il provino sarà una formalità. Parlerò con Flint. Sono sicuro che sarai un eccellente cercatore».

«Ma io non voglio entrare nella squadra!» protestò il ragazzo. «Non m’interessa il Quidditch».

Il professore si chinò su di lui, con gli occhi che dardeggiavano pericolosamente. «Forse non hai capito Montblanc. Sei fortunato a non essere stato espulso. Farai tutto quello che occorre per la tua casa, e soprattutto farai tutto quello che dico io. Intesi?»

«Sisignore» si arrese Harry, maledicendo silenziosamente la propria impulsività.

Se non altro, ora Malfoy avrebbe avuto un motivo valido per odiarlo.

So che avevo detto che avrei pubblicato entro martedì, ma sono davvero molto impegnata in questo periodo. Per questo, per il prossimo capitolo dovrete aspettare il 10 o l'11, ma poi riprenderò con gli aggiornamenti settimanali regolari. Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che recensiscono, che hanno messo la storia nelle preferite o nelle seguite o che leggono e basta. Come potete vedere, Harry nonostante sia più maturo e intelligente che nei libri, ha mantenuto una buona dose di impulsività, nonché il vizio di fare le amicizie sbagliate (dal punto di vista di quelli come Malfoy).  So che eravate curiosi a proposito di Philippe... in questo capitolo non compare mai direttamente, ma dal prossimo sarà più presente... in ogni caso, si iniziano a scoprire delle cose su di lui. Per quanto riguarda i sospetti di Harry sul terzo piano... il suo ragionamento può apparire forzato, ma è l'istinto che lo mette su quella pista, un istinto che ha molto a che vedere con la sua connessione con Voldemort. Alla prossima :)

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Capitolo 11
*** Halloween ***


Harry fece ritorno alla Sala Comune di Serpeverde con un diavolo per capello, e trovare tutti quelli del suo anno seduti attorno a Malfoy, intenti ad ascoltare le sue lamentele per la punizione, non aiutò il suo umore. Come si accorse di lui Draco gli andò incontro, livido di rabbia.

«Sarai contento adesso, Montblanc!» strillò, attirando l’attenzione di tutta la casa su di loro. «Grazie alla tua bravata siamo in punizione, e abbiamo fatto una figuraccia davanti a tutti!»

«La mia bravata?» ripeté Harry, incredulo. «Se non ti fossi messo a fare il bullo, non saremmo finiti nei guai».

«Se non ti fossi messo in mezzo, Piton non sarebbe intervenuto».

Harry non poté trattenersi. Scoppiò a ridere per l’assurdità della situazione e per la faccia tosta del compagno. «E’ davvero per la punizione che sei arrabbiato, Malfoy? O magari ti secca che ti abbia umiliato? Non sei così bravo a volare, dopotutto».

Aveva colpito un tasto dolente. Le guance di Draco si tinsero di rosa e il biondo tirò fuori la bacchetta. Con la coda dell’occhio, Harry si accorse che i suoi compagni di casa, anche quelli più grandi, stavano seguendo la scena con attenzione.

«Ti credi molto in gamba, non è vero?» sibilò il figlio di Lucius sprezzante. «Non hai ancora capito come funzionano le cose qui a Serpeverde. Io sono un Malfoy, e tu non sei nessuno. Perché pensi che Piton abbia trattenuto te e non me nel suo ufficio?»

Harry gli rivolse un sorriso mellifluo. «In realtà, mi ha chiesto di rimanere per offrirmi un posto nella squadra di Quidditch».

Ci furono dei sussulti di sorpresa, e Draco sbiancò. «Non è possibile!» balbettò «quelli del primo anno non possono far parte della squadra!»

Il sorriso di Harry si allargò. «Oh, ma ci sono sempre le eccezioni» replicò dolcemente. «Il professor Piton è rimasto davvero impressionato dalla mia abilità. Immagino di doverti ringraziare».

Senza preavviso, Malfoy agitò la bacchetta, ma Harry fu più veloce. Con un gesto della mano la bacchetta di biancospino gli finì ai piedi. Nella Sala piombò il silenzio, mentre tutti guardavano Montblanc increduli. Lui non ci badò, invece si avvicinò a Draco e gli sussurrò, abbastanza forte perché anche gli altri sentissero «Te l’ho già detto. Non m’interessa chi sia tuo padre o quanto sia puro il tuo sangue. Se ti metti contro di me, te ne farò pentire».

 

Il giorno dopo Philippe non era ancora uscito dall’infermeria. Harry era andato a trovarlo ma l’infermiera, Madama Chips, non gli aveva concesso il permesso di vederlo, sostenendo che il paziente avesse bisogno di riposo. Durante la colazione si era sentito addosso le occhiate di tutta la casa, ma nessuno gli aveva rivolto la parola, cosa che non gli dispiaceva affatto.

Quando suonò la campana, il gruppo dei primini si diresse compatto verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, dove Harry prese posto nell’ultimo banco, da solo. Il professor Raptor li aspettava seduto alla scrivania, e il ragazzo notò che giocherellava con le mani con evidente nervosismo. Perché Silente avesse scelto lui come insegnante era un mistero. Quell’uomo aveva paura anche della propria ombra, e le sue lezioni erano una vera barzelletta. In pratica, non facevano che leggere e prendere appunti. Mentre il professore dava le istruzioni con la consueta voce tremula, lo sguardo di Harry cadde sul turbante. Le storie che giravano su quel turbante! Si diceva che fosse pieno di aglio, per proteggere Raptor da un vampiro che aveva incontrato durante i suoi viaggi. Il ragazzo sperava davvero che non fosse il caso. Sarebbe stato il colmo se il professore di difesa non sapesse nemmeno che l’aglio è utile contro i vampiri quanto un ombrello contro una valanga! “Anche se” pensò vedendolo saltare quando uno studente starnutì “forse dopotutto è davvero così incompetente.”

La lezione sembrò interminabile e quando finalmente finì Harry non perse tempo a rimettere i libri in borsa per uscire da quell’aula soffocante. Non sapeva bene perché, ma Raptor lo metteva a disagio. Come uscì, sentì una mano sulla spalla. Si girò e si trovò davanti la Granger, che aveva un’espressione curiosa, come se stesse cercando di simulare una sicurezza che non aveva. Harry rivolse uno sguardo duro alla mano poggiata su di lui, e la ragazza la ritrasse immediatamente.

«Ciao» gli disse imbarazzata. «Volevo solo ringraziarti per quello che hai fatto per Neville. È stato un gesto molto nobile da parte tua. Spero che non ti abbia causato problemi».

«Nessun problema»

«Ma ho notato che non vai d’accordo con i tuoi compagni di casa. Tu sei diverso dagli altri serpeverde! Se posso fare qualcosa per te...»

«Non so di che parli. Sei gentile, ma non ho bisogno dell’aiuto di nessuno».

«Ma…» tentò di protestare lei.

«Senti, a dirla tutta non me ne frega niente di Neville o di te. Ieri sono intervenuto perché non mi piacciono i bulli e non mi piace Malfoy. Tutto qua. Ora se non ti dispiace, devo andare a lezione. Ci vediamo, Granger».

 

Quella sera Harry e Draco s’incontrarono davanti all’ufficio di Piton. Dopo essersi guardati in cagnesco per un istante bussarono ed entrarono. Il professore li aspettava seduto alla scrivania con una pila di compiti da correggere davanti a sé, e non sollevò nemmeno lo sguardo. «Ho preparato alcuni ingredienti che dovrete smistare nei contenitori. Là, nella stanza sulla destra. Non voglio sentirvi emettere un fiato».

I due si affrettarono a mettersi a lavoro. Dopo qualche minuto, Malfoy commentò sottovoce: «Se mio padre sapesse cosa mi tocca fare». Prese un occhio di rospo con la punta delle dita e lo gettò con aria schifata nel barattolo. «Me la pagherai cara, Montblanc» continuò «per questo e per ieri».

Harry sospirò, alzando lo sguardo per affrontare quello dell’altro. «Proprio non capisci, eh?» mormorò. «Più mi provochi, più finirai umiliato».

Draco ghignò in risposta. «Non ne sarei così sicuro se fossi in te. Tu e quell’altro francese siete due intrusi. Non appartenete davvero a Serpeverde»

«Se lo dici tu…»

Dopo un paio d’ore e un’ulteriore ramanzina finalmente Piton permise a entrambi di andarsene. Uscirono dallo studio sporchi e puzzolenti, e Harry non vedeva l’ora di farsi una doccia, ma ancora non era finita. Draco gli si parò davanti.

«Ti sfido»

«Non essere ridicolo Malfoy» gli rispose stancamente.

«Sono serissimo. Ti sconfiggerò in un duello. Voglio umiliarti e ricordarti qual è il tuo posto. O hai troppa paura?»

«Paura? Di te? Non farmi ridere» lo sbeffeggiò Harry.

«Molto bene allora» esclamò soddisfatto. «Domani sera a mezzanotte. Blaise sarà il mio secondo».

«Il mio sarà Philippe. Ma se dovesse essere ancora in infermeria…».

«Nel caso rimanderemo la sfida» concluse Malfoy. Senza dire un'altra parola, i due si recarono al loro dormitorio.

 

Philippe ricomparve il mattino dopo all’ora di pozioni. Entrò in ritardo, senza che Piton facesse commenti, e si sedette affianco a Harry.

«Finalmente sei tornato! Cosa ti è successo?» esclamò Harry.

«Niente, solo un po’ di febbre» replicò lui velocemente. «Mi sono perso qualcosa?»

«Vediamo… alla lezione di volo ho litigato con Malfoy e Piton ci ha messo in punizione per tutta la settimana, sono praticamente entrato nella squadra di Quidditch e Draco mi ha sfidato a duello. Per stasera. Tu mi farai da secondo a proposito».

«Sei entrato nella squadra di Quidditch?!?»

Harry alzò gli occhi al cielo. «Praticamente si».

«Ma è fantastico!» ruggì il francese, guadagnandosi uno sguardo omicida da parte di Piton. «E’ fantastico» ripeté sottovoce.

Il bambino sopravvissuto scrollò le spalle con indifferenza. «Non sono molto entusiasta in realtà. Piton mi ha praticamente costretto. L’unico lato positivo è che Malfoy era livido».

«Me lo immagino» rise Philippe. «E pensa quanto sarà furioso quando stasera lo sconfiggerai a duello». Anche Harry ghignò.

 

La giornata passò velocemente. Harry e Draco non si scambiarono una parola durante le ore di punizione, e una volta usciti dallo studio di Piton Malfoy propose di incontrarsi a mezzanotte davanti alla Sala Trofei. Harry lo guardò sospettoso, ma Draco si affrettò a giustificarsi: «Non possiamo sfidarci nella sala comune. Qualcuno potrebbe avvisare Piton e finiremo nei guai. Meglio un luogo neutro».

«Non è che stai cercando di fregarmi?» replicò lui, diffidente.

«perché dovrei fregarti?»

«Non lo so, forse sei troppo codardo per affrontarmi davvero».

Punto sul vivo, Draco ribatté piccato che non aveva assolutamente paura, e che se proprio Henri non si fidava potevano recarsi nel luogo della sfida assieme.

E così fecero. Arrivati davanti alla Sala dei Trofei, Zabini e Philippe si allontanarono leggermente dai due sfidanti, mentre Harry e Draco presero posizione l’uno davanti all’altro, con le bacchette sfoderate.

«Cambiato idea, Montblanc?»

«Ti piacerebbe» replicò Harry con un ghigno.

«Molto bene» esclamò Zabini. «Sfidanti in posizione. Al mio tre: uno… due…». Entrambi avevano già la prima maledizione sulle labbra, ma la voce del custode poco distante li bloccò sul posto. Sentirono Gazza avvicinarsi, attratto probabilmente dal rumore. Spaventati, i quattro si diedero alla fuga, inseguiti dal custode.

«Di qua!» gridò Harry, aprendo con un incantesimo la porta davanti a loro. Aspettò che i suoi compagni entrassero e la richiuse alle sue spalle. Sentendo i passi del custode allontanarsi, si voltò verso Draco e gli puntò contro un dito accusatore. «Siete stati voi due ad avvisare Gazza?». Non ebbe risposta, Draco, Blaise e anche Philippe non si voltarono nemmeno, troppo impegnati a guardare con crescente orrore davanti a loro. Harry si girò, e vide che la stanza dove erano entrati non era affatto vuota, anzi, in realtà non era nemmeno una stanza. Era un corridoio, occupato largamente da un gigantesco cane. Con tre teste. Che sembrava aver superato la sorpresa di ritrovarseli davanti, perché aveva cominciato a ringhiare minacciosamente. Gridando, i quattro undicenni si affrettarono ad andarsene, riuscendo per un pelo a richiudere la porta sul muso del mostro. Corsero a perdifiato sino ai sotterranei, e solo quando furono al sicuro nella Sala Comune si fermarono a riprendere fiato.

«Merlino» esalò Draco. «Che diamine era quel coso?»

«Silente è pazzo, ecco la verità!» esclamò Blaise. «Come si può tenere un mostro come quello in una scuola? Stavamo per diventare il suo spuntino di mezzanotte!»

«Che Silente è pazzo è probabilmente vero, ma non è certo stupido. Se quel bestione è qui, c’è senz’altro un motivo. Non avete notato che poggiava i piedi sopra una botola?» ragionò Harry.

«Chissenefrega di dove poggiava i piedi!» sbottò Zabini, ma Draco guardò Harry con una scintilla di curiosità. «Cosa può mai esserci nascosto sotto la botola?» domandò.

«Qualunque cosa sia» commentò Philippe «Mi sembra che sia ben protetta».

«Io me ne vado a letto» annunciò Zabini a quel punto. «Non ne voglio più sapere, non ho nessun interesse a ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con quel mostro». Senza un’altra parola, sparì dietro la porta che conduceva ai dormitori. Draco lo seguì, ma prima di entrare si girò verso Harry e Philippe. «Non sono stato io ad avvisare Gazza» disse sinceramente.

Harry annuì, e poi disse con un mezzo sorriso: «Il duello è solo rimandato».

Anche Draco sorrise, fece un gesto d’assenso e lasciò la Sala Comune.

Una volta che furono rimasti soli, Philippe si buttò su uno dei divani. «Non sei curioso di sapere cosa nasconda il mostro?» chiese.

«Molto» replicò Harry prendendo posto di fronte a lui. «E ho qualche sospetto. Hai sentito del furto alla Gringott?»

Il francese annuì. «Pensi che le due cose siano collegate? Potrebbe essere. Ma cosa può essere così importante da essere custodito prima alla Gringott e poi a Hogwarts?»

«Non ne ho idea».

 

I provini da cercatore sarebbero stati gli ultimi così Harry, accompagnato da Philippe, prese posto ai bordi del campo e aspettò il suo turno mentre Flint, il capitano, sottoponeva gli aspiranti giocatori a una serie di difficili prove. Il bambino sopravvissuto seguì il gioco con crescente interesse mentre l’amico gli spiegava le regole con evidente entusiasmo. Individuò nelle tribune l’inconfondibile chioma bionda di Malfoy, accompagnato da Tiger e Goyle. Draco stava guardando nella loro direzione, e anche se a causa della distanza Harry non poteva dirlo con certezza, era sicuro che il malefico gli stesse facendo un gestaccio con la mano.

«Idiota» commentò Potter.

«Tra poco gli toglierai il ghigno dalla faccia» commentò tranquillamente Philippe.

Finalmente, la selezione dei cacciatori terminò e venne il turno dei cercatori. Flint gli fece segno di avvicinarsi e lui lo fece a malincuore. Il suo avversario era un ragazzo del quinto anno che era il doppio di lui, come tutti i membri della squadra del resto.

«Molto bene. Ora faccio partire il boccino; chi lo acchiappa entra nella squadra. I battitori vi complicheranno le cose. Bene in sella alle scope. Ah, Henri» aggiunse afferrando per la spalla e piegandosi leggermente su di lui in modo che l’altro aspirante giocatore non potesse sentire «Il professor Piton mi ha incaricato di informarti che se non passi il provino sarai in punizione fino al settimo anno». Gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò con un ghigno. Con un gemito disperato, Harry si levò in aria. Vide Flint liberare il boccino e si gettò immediatamente all’inseguimento, ma un bolide lanciatogli da Montague lo costrinse a scartare di lato e la pallina scomparve. «Dannazione» imprecò Harry, aguzzando la vista alla ricerca di un guizzo dorato. Il suo avversario faceva lo stesso, senza fortuna.

Dopo pochi minuti lo vide nuovamente e si lanciò per prenderlo. Con la coda dell’occhio vide uno dei battitori lanciargli contro un bolide. Pregando che la scopa della scuola fosse abbastanza veloce, non si spostò dalla traiettoria del bolide, invece accelerò concentrandosi sul boccino. Il bolide lo mancò per un soffio, andando invece a colpire il suo avversario che lo tallonava da dietro. Harry allungò le braccia che poté e riuscì a chiudere il pugno attorno al boccino.

Tornato con i piedi per terra, fu raggiunto e acclamato da tutta la squadra.

«Ottima presa!» si congratulò il capitano «Il professor Piton aveva visto giusto. Benvenuto nella squadra, Henri».

Harry ringraziò tutti quanti e raggiunse Philippe, che lo aspettava con un sorriso ammirato. «Sei stato eccezionale! E pensare che era la prima volta che giocavi».

«Si be, devo confessare che mi è piaciuto» ammise Harry, felice.

Quella sera, a cena, molti serpeverde si avvicinarono per complimentarsi con lui. Flint era fin troppo entusiasta, e non faceva che ripetere che con Henri in squadra avevano la coppa già in tasca. Persino Malfoy non fece commenti, il che equivaleva ad ammettere la bravura del compagno. L’intera casa sembrava non vedere l’ora di vederlo in azione, e a un certo punto Harry intercettò anche lo sguardo di approvazione di Piton.

 

Le settimane successive passarono velocemente. I professori erano entusiasti di Harry, lui e Hermione Granger erano i primi della classe, solo che il ragazzo non era odioso quanto la grifondoro, che con la sua mano sempre alzata e la sua aria saccente era diventata la primina più odiata della scuola. Harry, al contrario, in classe tendeva a farsi gli affari propri. Non interveniva mai volontariamente, se non per fare qualche domanda quando un argomento lo interessava particolarmente, ma i professori sapevano che se interpellato era in grado di dare risposte appropriate ed esaustive. Dopo due mesi le lezioni erano diventare più stimolanti, e tra i compiti e gli allenamenti di Quidditch tre volte la settimana Harry non aveva avuto molto tempo per rimuginare sul segreto del terzo piano. Il lato positivo della cosa era che i suoi compagni di scuola non erano antipatici come quelli del suo anno, si trovava abbastanza bene con loro.

La mattina successiva di Halloween tutti gli studenti erano eccitati per la festa che il preside stava organizzando, o almeno, quasi tutti.

«E’ ridicolo» commentò Malfoy, senza preoccuparsi di tenere bassa la voce, allontanando dal suo posto una delle zucche centrotavola che gli elfi domestici avevano disposto per l’occasione. I ragazzi attorno a lui annuirono.

«Mio padre dice sempre che quel babbanofilo di Silente è la cosa peggiore che sia capitata a questa scuola» continuò Draco.

«E’ una vergogna» gli diede ragione Blaise. «La scuola di magia più prestigiosa d’Europa che calpesta una delle feste più antiche del nostro mondo per queste ridicole tradizione babbane».

«Che intendi dire» domandò Harry.

«Oggi è il giorno di Samhaine» disse Philippe.

«La festa più importante per la nostra razza» intervenne Flint. I primini si misero in ascolto, attenti, mentre il prefetto spiegava con aria solenne «il capodanno celtico. È il giorno in cui i nostri antenati celebravano l’ultimo giorno del raccolto, ed è una delle feste più sacre. Samhaine segna la fine di un’era, propizia la caduta di un ordine e un rovesciamento degli equilibri: i nostri avi credevano che nel giorno di Samhaine il velo che divide il nostro mondo da quello dei morti si squarci ed è possibile effettuare magie solitamente impossibili».

«Questo lo sapevo, ma non capisco perché Draco accusi Silente di violare la tradizione» disse Harry.

Zabini rise sprezzante. «Non mi stupisce che tu non capisca, Montblanc. Tu non vieni dal nostro ambiente».

«Fa silenzio» gli intimò il prefetto. «Da decenni le nostre tradizioni stanno svanendo. Il ministero della magia non vede di buon occhio le celebrazioni di Samhaine, così le ha lentamente sostituite con queste» sollevò una delle zucche, il disprezzo stampato sul volto. «Stanno distruggendo la nostra cultura, le nostre radici per sostituirle con le ridicole superstizioni dei sanguesporco, così che si trovino a loro agio nel nostro mondo».

«Ma non ha senso!» esclamò Harry indignato.

«Eppure sta succedendo» replicò Flint.

«Quelli come Silente sono degli idioti che vogliono distruggere quello che sono troppo ignoranti per comprendere» disse Draco.

«In realtà il discorso è più complesso di così» intervenne Philippe. Tutti si girarono verso di lui, e lui arrossì leggermente, ma continuò «Samhaine è una festa antichissima, e viene associata alla magia oscura, mentre Belthaine, che ricorre in primavera, essendo la festa che celebra la rinascita, è legata alla magia bianca. Ma il ministero della magia non vede di buon occhio nessuna delle due».

«E’ vero, ma la maggiore ostilità va contro Samhaine» concluse Flint «Di questi tempi tutto quello che è bollato come oscuro viene bandito. Maghi come Silente ci disprezzano».

Piombò il silenzio. Harry tornò a mangiare, scosso da quei discorsi e quasi stizzito. Nonostante i suoi studi, le sue letture, c’erano ancora troppe cose che non sapeva! Veles gli aveva spiegato una volta che in Gran Bretagna la luce governava da quasi due secoli ormai e questo aveva portato alla messa al bando di molte pratiche antiche, ma non aveva colto appieno le implicazioni di quelle affermazioni. Scrutò con la coda dell’occhio i suoi compagni. Sapeva che molti di loro venivano da famiglie che praticavano la magia oscura, viene ma non aveva mai pensato molto alla cosa.

Guardò Draco. Il figlio di un mangiamorte. Ripensò a quando aveva intravisto Lucius Malfoy alla stazione. Un uomo elegante, aristocratico. Un mangiamorte. Per la prima volta si chiese cosa significasse essere un mangiamorte. Cosa aveva spinto molti purosangue a seguire Voldemort? Per cosa avevano combattuto? Aveva cercato avidamente informazioni sull’assassino dei suoi genitori, ed era stato soddisfatto di leggere che era solo un pazzo assettato di sangue e distruzione. Non si era mai soffermato a chiedersi se ci fosse qualcosa di più.

 

Dopo colazione si diressero verso l’aula d’incantesimi. Quel giorno Vitious mostrò loro l’incantesimo per far levitare gli oggetti, e li divise in coppie per esercitarsi. Harry come al solito si sedette con Philippe. Il francese fece un paio di tentativi controvoglia, mentre Harry lo osservava in silenzio.

«Sei molto silenzioso oggi» commentò l’amico «I discorsi di stamattina ti hanno turbato?»

«E’ solo che… non sapevo quelle cose. E non mi aspettavo che tu ne fossi a conoscenza».

Philippe non rispose. Distolse lo sguardo da Harry e fece un altro tentativo con la piuma.

Il bambino sopravvissuto non si fece scoraggiare. «Chi ti ha parlato di Samhaine?» gli chiese.

«Perché t’interessa?» replicò il francese bruscamente.

«Beh, credevo che la famiglia Leroy fosse della luce».

«Infatti lo sono» asserì l’altro, sempre senza guardarlo in faccia.

«Quindi tu dove hai sentito parlare di Samhaine?»

Il francese si girò a guardarlo, seccato. «Perché non la smetti di girare attorno alla questione e non mi chiedi quello che vuoi sapere?»

«Non volevo farti arrabbiare» si scusò Harry «Ero solo curioso».

«Già, siete tutti curiosi!» affermò Philippe amaramente.

Dispiaciuto per la piega che stava prendendo la conversazione, Harry decise di cambiare argomento. Non poteva certo biasimare l’amico se era restio a parlare di sé, considerate le voci che giravano sul suo conto aveva tutte le ragioni.

«Wingardium Leviosa» pronunciò a bassa voce Harry. La sua piuma si librò in aria.

«Molto bene» esclamò subito il professore con la sua voce stridula. «Avete visto tutti? Il signor Montblanc ce l’ha fatta! Dieci punti a serpeverde!»

Si levarono diversi gemiti di disappunto da parte dei grifondoro. Hermione Granger, che fino a un secondo prima stava facendo la saccente con il suo sfortunato compagno, si raddrizzò sulla sedia e con voce sicura intonò: «Wingardium Leviosa». La sua piuma si levò in aria. La ragazza sorrise soddisfatta, ma improvvisamente la penna d’oca saettò con la velocità di un proiettile andando a finire dritto nell’orecchio del professore. «Ma cosa…» balbettò la ragazza, sconvolta.

«Sì, beh» fece Vitious, togliendo la piuma e cercando di sovrastare il suono delle risate che riempivano l’aula. «Un buon tentativo, signorina Granger, ma deve lavorare sul controllo, si».

La Granger era rossa per la vergogna, e Harry ridacchiò sotto i baffi.

«Un giorno mi devi spiegare come ci riesci» gli disse Philippe sottovoce, divertito.

«A fare cosa?» chiese Harry con finta innocenza.

«A fare magie senza bacchetta».

«Non so di che parli» replicò Harry con un ghigno malizioso.

Non appena il professore li congedò, i due presero le loro cose e si diressero fuori dalla classe. Uscendo, sentirono Ron Weasley imitare ad alta voce la Granger, scatenando le risa dei suoi amici. Hermione li sorpassò, camminando veloce e cercando senza successo di nascondere le lacrime. Una parte di Harry si sentì in colpa, ma dismise la sensazione. Il suo era stato uno scherzo innocuo, e la Granger era davvero insopportabile.

Le altre lezioni passarono senza incidenti, e arrivò l’ora della festa. Come al solito, i serpeverde si diressero tutti assieme al tavolo e presero posto senza dar segno di condividere l’allegria del resto della sala. La cena era squisita, e le chiacchere gioviali degli studenti rendevano l’atmosfera piacevole e familiare, così le serpi del primo anno non riuscirono a mantenere il broncio a lungo.

Proprio quando la festa stava entrando nel vivo, il portone della Sala Grande si spalancò di botto e il professor Raptor si precipitò verso il tavolo degli insegnanti, correndo goffamente e inciampando più volte, finché non cadde a terra. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. «UN TROOLL!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. «UN TROLL! NEI SOTTERANEI! Io ve l’ho detto» concluse flebilmente, prima di accasciarsi a terra, svenuto. Dopo un istante di attonito silenzio, tutti i presenti si misero a gridare, e molti si alzarono in piedi per scappare. Harry rimase al suo posto, stringendo le mani attorno alla bacchetta.

Con un urlo, Silente riprese il controllo della situazione. «I prefetti e i caposcuola scorteranno tutti gli studenti nei loro dormitori. I professori mi seguiranno nei sotterranei» comandò con grande pacatezza.

I prefetti di serpeverde si alzarono immediatamente e fecero cenno di seguirli. La casa di Salazar, abituata alla compostezza e alla disciplina, si mise ordinatamente in fila per un anno senza mettere un suono e uscì dalla Sala mentre i prefetti delle altre case stavano ancora urlando per farsi ubbidire.

«Il preside è un imbecille!» Harry sentì esclamare da uno dei suoi compagni, e non poté dargli torto. Silente aveva ordinato di far tornare gli studenti nei loro dormitori, ma quelli di Serpeverde si trovavano nei sotterranei!

“ Se non altro” pensò il ragazzo divertito “siamo probabilmente gli unici della scuola che potrebbero incontrare il troll e uscirne senza nemmeno un graffio; filandocela con eleganza”.

«Come avrà fatto un troll a entrare?» gli sussurrò Philippe.

«Non saprei, ma mi sembra strano che abbia sorpassato le barriere da solo».

«Forse qualcuno l’ha fatto entrare di proposito» intervenne Theo, che si trovava dietro di loro.

«E’ un’idea» annuì Philippe «Ma chi sarebbe così idiota?»

«Ho un’altra domanda» s’intromise Daphne Greengrass. «Sono l’unica che ha notato che Piton si è defilato subito dopo l’annuncio?»

I primini si fermarono, guardandosi con la stessa muta domanda in testa.

«Il corridoio del terzo piano» intuì Harry.

«Merlino no» esclamò Philippe «E non fare quella faccia, Henri, piuttosto che avvicinarmi di nuovo a quel cane vado a farmi una partita a carte con il troll!»

«Di che state parlando?» domandò Daphne.

«Il corridoio del terzo piano» spiegò Harry «Silente ci ha nascosto qualcosa, e ha piazzato un gigantesco cane a tre teste a fare la guardia».

«E pensate che Piton abbia creato un diversivo per cercare di prenderlo?» fece la ragazza, pensierosa. «Sarebbe un buon piano».

«Io vado a controllare» decise Harry.

«Non farlo Henri, sarebbe stupido… qualunque cosa nasconda il cane, non sono affari nostri» disse Theo. «E dobbiamo muoverci, altrimenti perderemo i nostri compagni.» Detto questo, Nott se ne andò, e dopo aver lanciato un’occhiata pensierosa a Harry anche Daphne lo seguì.

«Tu che fai?» domandò il bambino sopravvissuto a Philippe.

Il francese sospirò rassegnato. «Vediamo almeno di non farci beccare».

Si guardarono attorno per controllare di essere soli, si voltarono e ripercorsero di corsa la strada fatta con i prefetti, risalendo il castello e arrivando al terzo piano senza incontrare nessuno. Arrivati vicini al corridoio proibito sentirono dei passi. Si nascosero dietro ad una colonna e videro passare Raptor, che sembrava furioso. Quando il professore sparì, i due uscirono dal loro nascondiglio e guardarono il punto dove l’uomo era scomparso interessati. «Perché Raptor non era nei sotterranei con gli altri insegnanti?» si domandò Philippe.

«La domanda giusta» disse una voce glaciale alle loro spalle «è perché voi due non siate nella sala comune con gli altri studenti.»

Harry si girò lentamente, e si ritrovò davanti un Piton furioso come non l’aveva mai visto. «Signore noi…»

«Fate silenzio» sibilò il loro capocasa. «Avrete tutto il tempo di spiegare la vostra presenza in questo corridoio durante le ore di detenzione che, vi assicuro saranno parecchie. Ora seguitemi».

Rassegnati, i due obbedirono senza protestare. Harry notò che la gamba del pozionista grondava sangue, e l’uomo sembrava soffrire grandemente, anche se non si lamentava.

Stranamente, Piton non li condusse verso la sala comune di serpeverde, bensì verso il bagno delle ragazze del secondo piano. La porta era aperta e il professore entrò senza una parola. I due primini si scambiarono un’occhiata perplessa e lo seguirono.

Dentro il bagno c’era un fetore indescrivibile, sembrava di trovarsi in una discarica in estate. Il troll era accasciato a terra, svenuto. La McGranitt, con solo qualche ciuffo fuori posto, stava riponendo la bacchetta nella veste. Dietro di lei c’erano la Granger, pallidissima, e Raptor.

«Ah Severus, giusto in tempo» cominciò la donna, ma si bloccò quando si accorse della presenza di Philippe e Henri. «Signor Montblanc, signor Leroy, che ci fate voi qui?»

Fu Piton a rispondere. «Li ho trovati che bighellonavano al primo piano, ma non ti preoccupare, mi occuperò io di loro».

«Molto bene» fece la McGranitt «Possiamo ritenerci fortunati che nessuno studente sia rimasto ferito. La signorina Granger se l’è cavata per un soffio. Non era presente al banchetto e non sapeva del mostro. Come è entrato nel bagno è riuscita a scappare e i ritratti che l’hanno sentita urlare ci hanno avvisato».

«Che fortuna» commentò sarcasticamente Piton. «Visto che qui la situazione è sotto controllo, accompagnerò i miei studenti al loro dormitorio».

«Solo un momento Severus» lo fermò la McGranitt. «Penso che sia opportuno togliere cinque punti a questi tre. A testa». Piton annuì seccato e uscì dal bagno, seguito da Harry e Philippe. Li condusse nel suo studio e si accasciò sulla sedia, sofferente.

«Adesso voglio sapere perché, in nome di Salazar, vi trovavate al primo piano quando vi era stato ordinato di andare nei vostri dormitori»

«Terzo piano» lo corresse Harry.

«Primo» sibilò Piton. Harry sorresse il suo sguardo freddo, con la strana sensazione che Piton stesse cercando di leggergli l’anima.

«Stavamo cercando la Granger» se ne uscì Philippe, interrompendo la sfida silenziosa. Sia il professore che Harry si girarono verso di lui, increduli.

«Si» ribadì il francese con ammirevole faccia tosta «Sapevamo che non era alla festa ed eravamo preoccupati per lei. Volevamo avvisarla della presenza del troll».

«Cercavate la Granger» ripeté lentamente Piton.

«Sissignore» confermò Harry. «Per questo ci trovavamo al primo piano»

La vena sul collo del pozionista prese a pulsare pericolosamente, ma per il resto l’uomo non diede segno di aver colto la frecciata.

«Molto bene» disse dopo qualche istante. «Fingerò di credervi. Naturalmente, siete entrambi in punizione per il vostro comportamento avventato. Sconterete la punizione separatamente; Leroy ogni venerdì e Montblanc ogni sabato, finché lo riterrò opportuno. Ah» aggiunse quando i due stavano uscendo «d’ora in poi consideratevi sorvegliati speciali».

 

 

Eccomi di ritorno, un po' in ritardo rispetto al previsto, ma come promesso dalla settimana prossima riprenderò con gli aggiornamenti regolari. Come potete vedere, Harry inizia a capire che non sa poi molto sul mondo magico, considerato che prima di arrivare a Hogwarts non ne faceva parte.. e non tutto si può imparare dai libri. Nel prossimo capitolo ci sarà anche il Pov di Piton. A giovedì :)

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Capitolo 12
*** La partita di Quidditch ***



«Avevi ragione a sospettare di Raptor. Sono riuscito a intercettarlo giusto in tempo. Chiaramente voleva approfittare del diversivo creato dal troll per cercare di neutralizzare il cane».

Il vecchio mago di fronte a lui annuì gravemente, scartando una caramellina al limone.

«Fortunatamente, il tuo intervento non gliene ha dato modo» disse. «Mi dispiace solo che tu sia rimasto ferito».

Severus Piton sbuffò, infastidito. «Dannato cane» imprecò «come si fa a tenere a bada tutte e tre le teste?»

 Silente sorrise benevolo. «Fuffy è un animale affascinante, non potrei immaginare guardia migliore per la pietra. Senza contare le difese che tutti voi avete aggiunto. Eppure, considerato l’evolversi della situazione, forse sarebbe opportuno che anch’io portassi un contributo alle difese».

«Hai qualche idea?»

«Diverse in realtà, nulla di ancora definito»

«Se vuoi che tenga d’occhio Raptor, forse dovresti dirmi come controllare il cane» suggerì il pozionista.

 «Sono sicuro che troverai il modo» replicò bonariamente il preside. «Sono solo curioso di vedere quanto tempo ci impiegherai».

Severus decise di lasciar perdere, conscio che discutere non sarebbe servito a niente. Prima che potesse congedarsi, il preside parlò di nuovo: «piuttosto, cosa ci facevano i tuoi studenti del primo anno in giro per il castello, la notte di Halloween?» indagò.

«Sai come sono fatti i mocciosi. Ma ti assicuro che dopo la punizione che gli assegnerò, ci penseranno due volte prima di disobbedire alle regole della scuola nuovamente».

«Non ne dubito» replicò con vecchio con la consueta luce divertita negli occhi «ma mi chiedevo se per caso la loro escursione non abbia qualcosa a che fare con la pietra».

«Ne dubito» mentì Piton. Naturalmente non aveva creduto alla panzana colossale che i due stessero cercando la Granger,  e l'averli trovati al terzo piano lo inquietava,  tuttavia avrebbe avuto il tempo di scoprire cosa stavano combinando. Non aveva senso sottoporre al preside i suoi dubbi. Se due grifondoro fossero stati beccati a cercare di salire al terzo piano tutti i suoi colleghi avrebbero archiviato la faccenda come un’innocua ragazzata, ma se a farlo fossero state delle serpi… beh, non sarebbero stati così magnanimi. E poi dicevano che era lui parziale!  Anche l’integerrima Minerva, se avesse saputo dove aveva realmente trovato i due primini, avrebbe dato di matto. No, meglio occuparsi personalmente della faccenda.


«Quindi pensi che l’effrazione alla Gringott sia stata compiuta da Piton?» disse Philippe.

«Beh, è più plausibile questo che non che ci siano due ladri» ragionò Harry.

«Ma Piton non sarebbe capace di scassinare la Gringott! » fece Daphne.  «Voglio dire, è la banca più sicura del mondo magico».

«Eppure qualcuno è riuscito a entrare. E Piton è un mago potente» la contraddì Harry.

I tre erano seduti nei divanetti della Sala Comune di Serpeverde, stranamente deserta, e discutevano degli avvenimenti del giorno prima.

«E poi, altrimenti perché avrebbe detto alla McGranitt che ci ha trovati al primo piano? Chiaramente non voleva far sapere che mentre tutti cercavano il troll lui si stava occupando di un altro mostro!»

«Sono d’accordo» disse Philippe. «Però Henri, io non escluderei l’ipotesi che i ladri siano due. Piton è un uomo molto conosciuto in Inghilterra, se avesse derubato la Gringott…»

«E’ un maestro di pozioni» lo interruppe il moro «pensi che non sappia come non farsi riconoscere?»

«Ma non si trovava al terzo piano da solo» s’intromise Daphne. «C’era anche Raptor. Magari lavorano insieme. Forse è stato Raptor a derubare la banca».

«Certo» la derise Leroy «Piton non è abbastanza potente per scassinare la banca più sicura del mondo, ma Raptor si! Ora sì che tutto ha un senso!»

«Prendimi pure in giro, ma non solo Raptor si trovava al terzo piano, ma è stato anche quello che ci ha avvisato del troll. Piton si trovava al banchetto, non aveva la possibilità di far entrare il troll, lui si!»

«Quello che dici ha senso» le diede ragione Harry. «Però dai. Piton e Raptor che lavorano insieme? Devi ammettere che è un’idea alquanto bizzarra».

«Consideriamo le possibilità» la ragazza tirò fuori dalla borsa piuma d’oca e pergamena.

«Che fai?» domandò il francese.

«Scrivere le ipotesi ci aiuterà a fare chiarezza. Allora… prima ipotesi: Piton sta cercando di rubare qualcosa. È stato lui a entrare alla Gringott e ha usato il diversivo del troll per fare un tentativo. Non è riuscito a prendere quello che voleva, in compenso il cane gli ha spappolato la gamba».

«Ma questa teoria non spiega il ruolo di Raptor» obiettò Philippe.

«Magari lo stava seguendo per vedere che cosa stava combinando, proprio come noi» ipotizzò Harry.

La bionda annuì soddisfatta. «Potrebbe essere. Seconda ipotesi: i due sono alleati»

«Spiega la presenza di entrambi e come sia entrato il troll» considerò il francese «come hai detto prima, Piton non ne avrebbe avuto il tempo visto che si trovava al banchetto, ed è poco probabile che si sia trattato di una fortuita coincidenza».

«Poco probabile non vuol dire impossibile» intervenne il moro, sempre più interessato. «Non possiamo escludere nessuna possibilità, almeno finché non avremo più informazioni. Dobbiamo scoprire cosa stanno cercando».

«Henri ha ragione, senza sapere a cosa il ladro dà la caccia non possiamo svelarne l’identità».

«E come facciamo a scoprirlo?» esclamò Philippe. «Calandoci nella botola? E sia chiaro» aggiunse vedendo l’espressione dell’amico «io non ho alcuna intenzione di riavvicinarmi a quel cane!»

Harry uscì dagli spogliatoi di Serpeverde col sorriso sulle labbra. Quella mattina, a colazione, aveva ricevuto la sua Nimbus, e Flint era rimasto a dir poco entusiasta della sua performance durante l’allenamento. Senza l’impedimento della scopa della scuola, era riuscito a prendere il boccino in cinque minuti.

«Schiacceremo i Grifondoro» aveva assicurato il capitano quando avevano lasciato il campo. «La coppa è già nostra». Mancavano poco più di tre settimane alla partita, e gli allenamenti si erano intensificati, sottraendo tempo a tutto il resto. Come se non bastasse, quel giorno avrebbe avuto la prima punizione con Piton. Philippe, che l’aveva avuto la sera prima, era tornato al dormitorio stanco e disgustato: «Mi ha fatto lucidare i trofei della scuola! Senza magia e sotto la sorveglianza di Gazza. Un incubo! E si aspetta che continui fino a quando finirà la punizione!»

Rassegnato, dopo essersi dato una veloce ripulita, il bambino sopravvissuto si diresse verso lo studio di Piton. Bussò, e la voce del professore lo invitò a entrare.

«Buonasera Montblanc. Entra pure. Di là ci sono alcuni ingredienti che dovrai tagliare e preparare per l’uso».

Stupito, il ragazzo non riuscì a trattenere un commento «Credevo che avrei avuto un compito simile a quello di Philippe… pulire calderoni o qualcosa del genere».

«Considerato che sei uno dei pochi studenti che sono abbastanza sicuro di poter lasciare vicino al mio laboratorio senza che faccia esplodere la scuola, ho pensato di farti sbrigare del lavoro utile.... Ma se preferisci darti alle pulizie... »

«Nossignore. Mi occuperò degli ingredienti». Il ragazzo si mise subito al lavoro. Piton gli aveva lasciato l’elenco degli ingredienti che c’erano sul tavolo e il tipo di pozioni a cui erano destinati, così si mise a tagliuzzare, spremere e pulire, sentendo su di sé ogni tanto lo sguardo del pozionista.

«Cosa stavate combinando tu e Leroy il giorno di Halloween?» chiese il professore dopo un po'. «E non mentire».

«Niente professore.» replicò tranquillo il ragazzo.

L’uomo si chinò sul banco sul quale stava lavorando, guardandolo dritto negli occhi.

«Ti ho detto di non mentire, Monblanc» sibilò.

Il ragazzo sentì una sensazione strana, come una pressione a livello delle tempie. "Legimens" pensò, e interruppe il contatto visivo, sforzandosi di concentrare i propri pensieri sugli ingredienti davanti a lui. Funzionò: la pressione scomparve e Harry si azzardò a guardare in faccia il professore. La sua espressione era indecifrabile.

«Lo sai Henri, che se non avessi detto che vi ho trovato al primo piano, probabilmente ora sareste facendo questa conversazione col preside?»

«Quindi è per questo che ha detto di averci trovato lì, signore? » lo sfidò. 

Per la prima volta, Piton tradì una leggera sorpresa. «Perché, che altro motivo potrei avere?»

Harry pensò alla risposta da dare. Provocare il suo Capocasa poteva essere molto pericoloso, ma c’era anche la possibilità che mettendolo alle strette commettesse un errore. Certo, l’uomo era se possibile ancora più controllato di Lavr, ma sicuramente l’ultima cosa che si aspettava era una replica sincera, perciò tanto valeva fare un tentativo.

«Pensavo solo che sia strano che mentre tutti gli altri insegnanti davano la caccia al troll, lei si trovasse al terzo piano, signore». Funzionò. Piton non riuscì a mascherare la sorpresa, e quando parlò, la sua voce tradiva un certo nervosismo.

«Stammi bene a sentire, Montblanc. Quello che faccio e i motivi che mi spingono non sono affar tuo. Tuo e il tuo amico d’ora in poi starete alla larga dal corridoio proibito, o vi posso assicurare che vi ritroverete sul treno di ritorno prima di avere il tempo di elaborare altre teorie strampalate. Sono stato chiaro?

«Cosa c’è sotto la botola?» domandò Harry, per niente intimorito.

Ancora una volta, il pozionista sembrò preso in contropiede. «niente che ti riguardi» sbottò.

«Ma è lo stesso oggetto che qualcuno ha cercato di rubare alla Gringott, non è vero?»

«Montblanc! » sibilò Piton «Stai rischiando. Dammi retta, dimentica il terzo piano e bada agli affari tuoi».

«Di cosa si tratta?» lo incalzò il ragazzo

«Per l’amor di Merlino!» sbottò infine l’uomo, perdendo definitivamente la pazienza. «Venti punti in meno a serpeverde, e sta pur certo che la tua punizione durerà molto a lungo. Ora fuori di qui!» Harry raccolse le sue cose, deluso, e uscì. Aveva sperato che Piton si lasciasse sfuggire qualche informazione sull’oggetto misterioso, ma evidentemente lo aveva sottovalutato.

Il lunedì successivo, a colazione, Harry stava chiacchierando con Philippe, quando il francese fece una smorfia di dolore e iniziò a tenersi le tempie.

«Che cos’hai? » gli chiese preoccupato.

«Mal di testa... anche stanotte sono stato poco bene. Forse mi sta venendo di nuovo la febbre» rispose Leroy.

«Dovresti andare a farti vedere da Madama Chips».

Il ragazzo annuì. «sì, farò così» Si alzò dal tavolo, attirandosi diverse occhiatacce, e uscì dalla Sala Grande. Harry riprese a mangiare in silenzio, alzando lo sguardo solo quando il ben noto frastuono annunciò l’arrivo dei gufi, ma rimase deluso: Lavr non gli aveva risposto. Nell’ultima lettera che gli aveva mandato, gli aveva raccontato gli avvenimenti di Halloween e parlato dei suoi sospetti, nella speranza che il demone sapesse qualcosa sull’oggetto misterioso.

«Dov’è andato Leroy?» La voce di Draco lo distolse dai suoi pensieri.

«In infermeria. Si sentiva poco bene»

«Di nuovo? » fu il commento disgustato «Magari ha solo finto perché oggi c’è il test della vecchiaccia».

«Non essere ridicolo» lo redarguì Daphne «Philippe non ha problemi in trasfigurazione».

«Chissenefrega di Leroy» esclamò a quel punto Blaise. «Per quanto mi riguarda, può anche passarsi tutto l’anno in infermeria».

«Senti, ma qual è il tuo problema? » domandò Harry. «Non ti piace Philippe, d’accordo, l’abbiamo capito. Non sei costretto a esserci amico. Però piantala di malignare sempre alle sue spalle! Invece di preoccuparti della sua famiglia, pensa alla tua!»

«Hai qualcosa da dire sulla mia famiglia? » chiese il serpeverde, minaccioso «Ti avviso Montblanc, se osi di nuovo tirare in ballo la mia famiglia…» 

Ma Harry non seppe mai cosa gli sarebbe successo, perché una voce stizzita interruppe la discussione. «Zabini, Montblanc, vorreste cortesemente abbassare i toni? » Non si erano accorti che Piton si era alzato dal tavolo degli insegnanti.

«Ci scusi signore» replicò prontamente Blaise. Come il professore si fu allontanato, lui e Malfoy tornarono a ignorare Harry, il quale, per niente dispiaciuto, tirò fuori dalla borsa un libro sulla storia contemporanea che aveva da poco preso in prestito dalla biblioteca. Stava cercando più informazioni possibile su Silente, sia perché sapeva che il mago era strettamente legato alla sua vita, sia perché nutriva la speranza di trovare nel passato del preside informazioni su Voldemort.

A quanto apprese leggendo il testo, non c’erano dubbi sul fatto che l’assassino dei suoi genitori fosse più potente di Grindewald, ciononostante, anche lui temeva Silente. Harry osservò l’anziano mago conversare con la professoressa Sprite. A vederlo così, con l’aria serena e la veste sgargiante, faticava a credere che avesse tenuto testa non a uno, ma a due maghi oscuri.

Vedendo che i suoi compagni si stavano alzando, infilò velocemente il libro nella borsa e si diresse verso l’aula di Trasfigurazione. La McGranitt era già lì, puntuale come al solito. Il ragazzo prese posto in fondo alla classe. Lo sguardo della professoressa si soffermò per un istante sul banco vuoto accanto a lui – il posto di Philippe – poi la donna iniziò a parlare.

«Molto bene, fate silenzio. Via i libri. Ora vi consegnerò le domande; avete tre quarti d’ora per rispondere, dopodiché ritirerò il compito e passerò tra i banchi per vedere se riuscite a trasfigurare la tazza davanti a voi in un porcellino. La riuscita dell’incantesimo varrà la metà del punteggio finale del test. Molto bene, cominciate».

Harry lesse le domande velocemente e sorrise tra sé e sé. Fin troppo facile. Senza perdere tempo, iniziò a rispondere; quando la McGranitt annunciò che il tempo era scaduto, consegnò il compito e si risedette nel banco, aspettando il suo turno per provare l’incantesimo. La lezione era con i corvonero, che naturalmente eseguirono la trasfigurazione senza problemi e ridacchiarono con aria di superiorità quando Tiger non solo non riuscì a trasformare la tazza, ma la mandò in mille pezzi.

Quando arrivò il suo turno, sentendo su di sé le occhiate altezzose dei corvi, Harry decise di dare ai cosiddetti studenti più brillanti della scuola una lezione di umiltà. Con le labbra increspate da un ghigno trattenuto a stento, il ragazzo impugnò la bacchetta ed eseguì l’incantesimo alla perfezione. Senza parlare. La McGranitt gli regalò un’espressione di stupore rimpiazzata immediatamente da un gran sorriso e gli assegnò cinquanta punti, mentre i suoi compagni di casa ghignavano soddisfatti e i corvonero lo guardavano increduli e risentiti. Come suonò la campanella, persino Draco gli rivolse un sorriso sinceramente divertito, e Daphne lo prese a braccetto e gli disse: «ma hai visto le facce dei corvonero? Terry Boot aveva l’aria di essere vicino a un infarto».

«Lo credo bene» commentò Theo «Gli incantesimi non verbali fanno parte del programma del sesto anno! Come diavolo ci sei riuscito? »

Harry sorrise sardonico. «Fortuna immagino».

«Come no! » mugugnò Nott, per nulla convinto «cos’abbiamo ora?»

«Storia della magia» replicò prontamente Daphne. «Salazar, il lunedì è il giorno che odio di più in assoluto! Vorrei sapere chi è l’idiota che ci ha messo due ore di Ruf! È da suicidio!»

«Basta trovarsi qualcosa da fare per passare il tempo».

«Attento Montblanc» lo ammonì la Greengrass scherzosamente «Dicendo queste cose rischi di rovinarti la reputazione di studente modello».

«Non sono mica la Granger! » protestò Harry, oltraggiato.

«Grazie a Merlino» esclamò lei. «Stanotte abbiamo anche astronomia... rischio di addormentarmi sulla Torre! Non vedo l’ora che arrivino le vacanze»

Ed effettivamente quella sera Harry dovette tirare più volte dei colpetti alla compagna per evitare che si assopisse. La lezione di astronomia si teneva a mezzanotte; quel giorno la professoressa Sinistra gli aveva assegnato il compito di riportare sulla mappa celeste la costellazione del sagittario, annotando anche il nome e le caratteristiche delle stelle. Nonostante la stanchezza accumulata nelle ultime settimane, il bambino sopravvissuto riuscì a rimanere concentrato e godersi la serenità che gli infondeva il cielo. Contemplando lo spettacolo della luce della luna piena che accarezzava il lago, Harry si disse che dopotutto, Hogwarts era davvero stupenda.

Al termine della lezione, quando fece ritorno al dormitorio, si accorse che Philippe non era ancora tornato. Sospirò. Il giorno dopo lo avrebbe cercato in infermeria. Distrutto, tirò le tende del suo letto e si addormentò.

Fece un sogno curioso: seguiva Piton fino al terzo piano ed entrava nel corridoio protetto dal cane, solo che il mostro non c’era più. Al suo posto, c’erano gli avversaspecchi che aveva visto al Palazzo. Dentro, vi era riflessa una figura avvolta da un mantello, la cui unica caratteristica visibile erano i cupi occhi cremisi. Spaventato, scese nella botola e atterrò in una camera circolare poco illuminata, di cui faticava a distinguere i dettagli. All’improvviso, seppe che Philippe si trovava lì, e che era in pericolo. Voleva aiutarlo, ma non riusciva vedere, la vista gli si annebbiava. Mentre lottava per riprendere il controllo, sentì la voce di Silente.

«devi andare più a fondo»

Come si svegliò la mattina dopo, non ricordava più niente del sogno.

Philippe uscì dall’infermeria due giorni dopo: Harry lo trovò seduto su uno dei divanetti della Sala Comune, intento a fissare il fuoco con aria abbattuta.

«Ciao» lo salutò, andando a sedersi accanto a lui.

«Ehi» rispose l'amico debolmente, senza distogliere lo sguardo dalle fiamme.

«Ti sentì meglio? »

«Mm» fu l’unica replica.

Preoccupato, il bambino sopravvissuto posò una mano sulla spalla dell’amico. «Che succede? » chiese esitante.

Il francese scosse la testa, senza guardarlo in faccia «Non mi sento ancora molto bene» mormorò. «Ma mi riprenderò».

«D’accordo» replicò Harry, stranito dal bizzarro comportamento dell’amico.

Philippe si girò con un sorriso forzato. «Cosa mi sono perso?» chiese.

«Niente, tutto come al solito»

«Meglio così… se non ti dispiace, io vado a dormire. Sono molto stanco»

«E la cena? »

«Non ho fame» Il ragazzo si alzò e sparì nel dormitorio, lasciando Harry a chiedersi come mai si comportasse così stranamente.

Fortunatamente, il malumore del francese non durò a lungo. Il giorno dopo, durante l’ora di erbologia, si giustificò spiegando che era sempre stato cagionevole di salute, fin da piccolo, e lo irritava sentirsi così debole. Harry gli rispose di non preoccuparsi, e di non mettersi troppi complessi.


Severus prese posto sulla tribuna d’onore. Il giorno tanto atteso era arrivato: la prima partita dell’anno, grifondoro contro serpeverde. Tutta la scuola era già sistemata sugli spalti, la tensione e l’eccitazione erano palpabili, e anche lui, nonostante si sforzasse di mantenere il suo solito riserbo, fremeva. La McGranitt, seduta affianco a lui, era meno brava a mantenere un contegno, e il suo sorriso lasciava trapelare un comprensibile nervosismo. Grifondoro non aveva più vinto la coppa da quando Charlie Weasley aveva lasciato la scuola.

E non ci riuscirete nemmeno quest’anno, pensò il pozionista, soddisfatto. Non con Montblanc in campo. Sapeva riconoscere il talento, Henri avrebbe dato il filo da torcere anche al tanto decantato secondogenito Weasley, non aveva dubbi. Osservò con un sorriso sardonico l’entrata in campo delle due squadre e la men che amichevole stretta di mano che si scambiarono i capitani. Al fischio di Madama Bumb i giocatori si levarono in volo.

Il gioco entrò immediatamente nel vivo: dalla posizione privilegiata che occupava, riusciva a seguire i suoi ragazzi mentre sfrecciavano da un lato all’altro del campo.

Palla in possesso dei serpeverde. Bolide lanciato da uno dei gemelli. Palla in possesso dei grifondoro. Ottima manovra di Flitt, che intercetta la pluffa e fila dritto verso il portiere.

La telecronaca di quell’imbecille di Lee Jordan teneva il conto dei punti segnati. Dagli spalti degli studenti venivano urla e acclamazioni, mentre sulla tribuna d’onore i suoi colleghi e lui stesso si limitavano ad applaudire i propri pupilli. Sorrise alla McGranitt quando il bolide lanciato dai suoi battitori riuscì a far sgusciare la pluffa dalle mani di Katie Bell, e imprecò sotto i denti quando Angelina riuscì a recuperarla.

Pur seguendo con attenzione il gioco, però, lo sguardo gli cadeva spesso sulla minuscola figura del suo cercatore. Il boccino non era ancora apparso.

Flitt segnò di nuovo, e la tribuna di Serpeverde lanciò un boato mentre le labbra della collega di trasfigurazione si assottigliarono.  Alicia Spinnet recuperò la pluffa, ma l’attenzione del pubblico non era concentrata su di lei, ma su Henri, che aveva smesso di bighellonare per il campo e aveva accelerato, puntando verso un punto all’altezza delle porte di grifondoro, tallonato dal cercatore avversario.

Dalle tribune, Severus e il resto della scuola osservarono trepidanti il giocatore di grifondoro tentare disperatamente di raggiungere Montblanc, riuscendo quasi a colmare la distanza che li separava.

Improvvisamente Henri fece una cosa incredibile: senza diminuire la velocità, ruotò la scopa di 180 gradi, rimanendo sospeso in aria a testa in giù, usando la sola forza delle gambe per tenersi ancorato alla Nimbus, e puntando in direzione opposta rispetto a un minuto prima.  Il cuore di ogni spettatore perse un battito vedendolo, sempre da quella posizione assurdamente pericolosa, allungare le braccia verso il basso e stringere il pugno attorno al boccino, per poi riafferrare la scopa con il braccio sinistro e rigirarsi in aria, tornando a cavalcare normalmente.

La curva verde –argento esplose in un boato fragoroso, mentre Severus batteva le mani con forza e i suoi colleghi - la McGranitt con poco entusiasmo - facevano lo stesso. I giocatori tornarono con i piedi per terra, e Montblanc venne letteralmente sommerso dai suoi compagni si squadra. Con un sorriso, Piton si alzò in piedi e scese dalla tribuna. Aveva fatto bene a offrire il posto in squadra al primino. Quel ragazzo era stato un ottimo acquisto, e non solo per il Quidditch: era uno studente brillante, come pochi che avevano frequentato la scuola, il migliore del suo anno, di gran lunga superiore a quella rompiscatole della Granger.

Per certi versi lo impensieriva. Aveva notato che né lui né Leroy godevano di grande popolarità tra i loro compagni. "Certo", pensò amaramente, "inserirsi a Serpeverde quando non si ha una ricca famiglia alle spalle non è facile". E sapeva bene quanto fosse complicata la situazione di Philippe. Ma sia lui che Henri erano intelligenti, se la sarebbero cavata, e lui non poteva aiutarli in alcun modo.

Ciò che più lo preoccupava però era l’interesse che avevano mostrato per il terzo piano; la sua missione era abbastanza complessa anche senza che due mocciosi si mettessero in mezzo. Per questo aveva deciso di tenerli d’occhio discretamente, senza coinvolgere i suoi colleghi. Non succedeva spesso che gli altri professori tessessero le lodi di una delle sue giovani serpi, e sentire la McGranitt raccontare entusiasta di come Montblanc avesse eseguito un incantesimo non verbale, lo riempiva di orgoglio. Persino Silente era rimasto colpito.

Certo, non aveva dubbi che dopo la batosta di quel giorno, la professoressa di trasfigurazione sarebbe stata propensa a decantare il talento di Henri. Il modo in cui aveva catturato il boccino! Nemmeno Charlie Weasley avrebbe potuto fare una cosa simile. Diavolo, nemmeno James Potter ci sarebbe riuscito!

Il pensiero del bastardo riuscì a fargli perdere il buon umore.

Arrivato nel suo studio, si concesse un bicchiere di FireWhisky. Possibile che ancora non riuscisse a liberarsi dei suoi fantasmi? No, lo seguivano dovunque andasse, lo tormentavano, gli ricordavano emozioni che avrebbe voluto tenere sepolte nella memoria.

James Potter. L’umiliazione di un ragazzino vestito di abiti consunti, trascurato e disprezzato a tutti, perfino dal padre.

Lily Evans. Il tradimento di una parola tagliente come una lama- mezzosangue -, un’amicizia pura e preziosa sacrificata sull’altare dell’ambizione e del desiderio di rivalsa.

E infine l’ultimo, il peggiore. Harry Potter. La sua espiazione, la sua redenzione fallita.

Non c’era perdono per lui. Solo fantasmi di troppi errori commessi.

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Capitolo 13
*** Natale, prima parte ***



Nota: la frase pronunciata da Veles all'inizio,  (Essa è una manifestazione del genio. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono) è presa dal Ritratto di Dorian Gray. Detto questo, vi lascio al capitolo.

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S’incamminò verso la macchina, senza prestare attenzione alla mano che la spingeva, o ai baci lascivi che il suo accompagnatore le lasciava sul collo.

Idiota.

Era andato nel locale dove lavorava quella sera, si era seduto in prima fila e aveva passato la serata a sbavarle dietro e infilarle banconote nelle mutande. Quando aveva finito il suo spettacolo, l’aveva aspettata fuori dal camerino. Le si era avvicinato, posandole una mano sul fianco e chiedendole all’orecchio se voleva andare con lui in albergo, per cento sterline. Lei aveva annuito, aveva preso le sue cose e aveva lasciato che la guidasse verso la sua macchina.

La disgustava.

Arrivati all’auto, le lasciò andare la vita e si mise a cercare le chiavi. Alex si guardò intorno. Erano in una stradina laterale, poco fuori dal night dove lavorava. Erano le quattro del mattino e non c’era anima viva. L’uomo stava armeggiando con le chiavi, le dava le spalle. Era grasso, sulla quarantina, e puzzava di alcool e sudore e eccitazione. Ma nonostante l’odore sgradevole, riusciva ancora a sentire il profumo inebriante del sangue che scorreva sotto gli strati di pelle flaccida. Non era il massimo, però era affamata, e le si era praticamente offerto su un piatto d’argento. Con uno scatto, lo afferrò per la spalla e lo voltò. L’uomo la guardò, sorpreso dalla sua irruenza, ma dovette leggere qualcosa nel suo viso, perché l’espressione lussuriosa e carica di aspettativa che aveva tenuto tutta le sera venne rimpiazzata da un barlume di paura.

Lo scacciò velocemente comunque, e le disse con un sorriso viscido: «Pensavo avremmo aspettato ad arrivare in albergo». Mosse un passo verso di lei, annullando la già esigua distanza che li separava. Lei non si mosse, si accorse a malapena che le aveva infilato le mani sotto la maglia. Guardava la vena sul suo collo.

Pulsava, pulsava.

Un brivido di desiderio la attraversò. Lui se ne accorse, perché smise di baciarle la clavicola e alzò lo sguardo su di lei.

Alex osservò con sublime distacco il colore andar via dalla faccia dell’uomo, i suoi occhi spalancarsi, la bocca aprirsi in uno squittio terrorizzato. L’uomo si gettò verso la macchina, cercando le chiavi con movimenti agitati, e lei si sorprese a simpatizzare per lui. Poteva capire il suo stato d’animo, ricordava bene il terrore che aveva provato lei quando aveva visto il bel viso di quello che aveva considerato il suo ragazzo trasfigurarsi in una maschera animalesca e affamata. Con un balzo gli fu addosso, gli strappò le chiavi di mano e le lanciò lontano.

«Ti prego» balbettò l’uomo, schiacciandosi contro l’auto come per mettere la massima distanza possibile tra loro. «Ti prego. Ho moglie e figli. Mi dispiace. Ti prego ho dei soldi. Prendili. Ecco prendili».

Ho moglie e figli. Quella frase la riscosse, facendole staccare lo sguardo famelico dalla giugulare dell’uomo. Moglie e figli. Qualcosa dentro di sé urlò, ma non riuscì a capire cosa dicesse. Aveva fame. Dannazione, aveva fame. Era l’unico pensiero corrente che riuscisse a formulare al momento, e lo espresse ad alta voce, quasi con tono di scusa. «Ho fame».

L’uomo la guardò per un secondo come se fosse pazza, ma poi annuì, e nel suo viso si accese un barlume di speranza. «Va bene, ti darò dei soldi. Ecco prendili» le mise in mano delle banconote. «E’ tutto quello che ho».

Ma lei aveva nuovamente smesso di prestare attenzione.  Nella sua mente, il volto sgradevole dell’uomo venne rimpiazzato da un viso conosciuto anni prima, un viso virile, attraente, incorniciato da una massa di onde biondo scuro.

«Sei bellissima»

«E’ un complimento banale, non trovi?»

«Non c’è niente di banale nella bellezza. Essa è una manifestazione del genio. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono.  »

Avrebbe dovuto capirlo allora. Aveva incontrato il suo Lord Henri, e per lei ci sarebbe stata solo dannazione.

La prima volta che aveva letto il capolavoro di Oscar Wilde, aveva provato disprezzo per coloro che cadevano vittima del fascino illusorio di Dorian, così concentrati sulla sua bellezza da non vederne la malvagità. Ora aveva compreso che la superficialità è il vizio che rende gli umani prede. Vi era caduta vittima lei, e ora quest’uomo. Questo sconosciuto, che quella sera aveva riso, l’aveva osservata, l’aveva toccata e non aveva nemmeno immaginato che sarebbe morto per sua mano in una sudicia strada di un sudicio quartiere di Londra.

Distaccata, senza più curarsi delle frasi sconnesse della sua vittima, gli saltò addosso e affondò i denti nel suo collo. Lui urlò e si dibatté, ma dopo pochi secondi smise, già indebolito dalla perdita di sangue.

Il sangue. 

C’era solo il sangue, che scorreva veloce dentro di lei. Veloce, come erano passati veloce i mesi dopo il loro incontro. Mesi di feste, divertimenti, lusso. Mesi di amore, o così aveva creduto.

«Io ti darò tutto. Realizzerò tutti i tuoi sogni».

Sciocca. Come aveva potuto credere a degli occhi il cui stesso colore conteneva un inganno? Rosso celato da un vetro azzurro come il cielo più limpido.

I suoi sogni. Ne aveva avuti tanti, un tempo. Sogni bianchi come le bende che alleviano le ferite, e aranciati come il tramonto africano. E invece aveva ottenuto solo il grigiore dei cadaveri e il rosso del sangue.

Allontanò il corpo dell’uomo, con un calcio. Tra qualche ora, quando si sarebbe sdraiata nello squallido monolocale dove abitava da ormai quattro anni, avrebbe pianto e si sarebbe graffiata il viso per il rimorso di quella vita spezzata, ma non ora. Ora, c’era l’estasi del sangue che scorreva nelle sue vene.

Era sazia.

 

 

Dal giorno della partita di Quidditch, la popolarità di Harry tra le serpi era salita di colpo. I suoi compagni di squadra lo adoravano già da prima, ma dopo la sua brillante performance contro i grifondoro tutti sembravano conoscere il suo nome. Spesso ragazzi che conosceva di sfuggita lo salutavano calorosamente nei corridoi e persino alcuni studenti di altre case gli si erano avvicinati per congratularsi.

Con quelli del suo anno invece le cose erano più complicate. Certo, erano rimasti impressionati dalla sua bravura e volevano condividere la sua nuova popolarità, ma d’altra parte i motivi di scontro non erano scomparsi. Draco in particolare sembrava essere profondamente indeciso su come comportarsi con lui: da un lato detestava che ci fosse qualcuno che gli rubasse la scena, dall’altro era al settimo cielo per la vittoria di serpeverde e non faceva che vantarsene davanti ai grifondoro e soprattutto davanti ai ragazzi Weasley, che a quanto pareva detestava per ragioni di famiglia. Philippe invece si trovava a disagio a stare i riflettori per via della sua amicizia con la star del momento, ma Harry gli aveva detto di non farci caso. «Vedrai, tempo due settimane e torneranno a ignorarci entrambi.»

Dalla finestra della Guferia, in cui si era recato nella speranza di trovare un po’ di pace, Harry ammirava il parco innevato. Tra pochi giorni sarebbero iniziate le vacanze di Natale e lui sarebbe tornato da Lavr. Era incredibile che fossero già passati tre mesi. Sorrise. Era felice di rivedere il demone. Certo, il loro rapporto era strano, se ne rendeva conto, ma al momento era l’unico, insieme a Veles, a sapere la verità sul suo conto. Inoltre, apprezzava ciò che aveva fatto per lui in quegli anni. Sapeva bene che non era stato facile per Lavr prendersi cura di un bambino umano, seppur in modo distaccato.

I suoi pensieri vennero interrotti dall’aprirsi della porta della Guferia. Era Philippe.

«Ciao» lo salutò il francese. «Non pensavo di trovarti qua».

«Stavo curiosando un po’ per la scuola. Tu?»

«Devo spedire una lettera a casa» rispose evasivo. Harry lo osservò in silenzio convincere un gufo particolarmente reticente a lasciarsi legare una busta di piccole dimensioni alla zampa. «Ho deciso di rimanere qui per le vacanze» disse quando finalmente il gufo partì.

«Oh» boccheggiò Harry, preso in contropiede «Come mai?»

Philippe sembrò esitare ma poi gli si avvicinò e si sedette per terra. Lui fece altrettanto. «Non avevo molta voglia di tornare a casa» disse. «Non… non dico che mi trovo male, ma a volte… non so, è stupido».

Non sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che l’amico affrontava l’argomento, e aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. Prima che potesse formulare una risposta, il ragazzo ricominciò a parlare. «Ero molto indeciso, sai. Non volevo deludere mio fratello e mio… il mio tutore. Loro non centrano, non è colpa loro. Però non voglio tornare, non per Natale» sospirò. «Sono sicuro che i nostri compagni non perderanno questa nuova occasione per sparlare di me»

«Se lo faranno, gli scaglierò contro una fattura» promise Harry, risoluto. «Se vuoi rimango con te» aggiunse.

Philippe sorrise, il sorriso più aperto e sincero che gli avesse mai rivolto, ma scosse il capo «No, non ce n’è bisogno. Starò bene qui, avrò tutta la Sala Comune per me, e poi non sono molto di compagnia durante le feste»

«Guarda che per me non è un problema»

«Lo so. E ti ringrazio. Ma non voglio che cambi i tuoi piani per me»

Harry colse la sincerità delle parole dell’amico e comprese che voleva davvero stare solo. Eppure, non riusciva a spiegarsi il perché. Seppur timoroso di tradire in qualche modo la fiducia del compagno, azzardò qualche altra domanda sulla sua famiglia.

«Così hai un fratello?» chiese, cercando di sembrare noncurante. Vide l’espressione dell’amico cambiare, mentre diverse emozioni affioravano sul suo viso. Affetto, nostalgia, preoccupazione? Difficile dirlo.

«Si. Ha due anni meno di me e sicuramente non sarà felice di non riavermi a casa per natale. È un po’ una peste a dirla tutta. Comunque, devo scendere in dormitorio. Ci vediamo, Henri».

 

Come aveva previsto Philippe, Zabini e Malfoy non mancarono di lanciare frecciatine sul fatto che non tutti fossero i benvenuti a casa propria durante le vacanze, ma se non altro limitarono i commenti a quando si trovavano nella Sala Comune, seguendo le regole di Piton. Come al solito, Philippe si limitò ad ignorarli, e fermò Harry quando si accorse che aveva già la mano sulla bacchetta. Per il resto, la fine prossima delle lezioni aveva creato un’atmosfera di spensieratezza. I professori si davano da fare per decorare la scuola, mentre gli studenti avevano mollato i libri senza rimpianti in favore di battaglie di neve e partite a sparaschiocco. Quello era sicuramente l’unico periodo dell’anno in cui molte delle serpi più giovani avrebbero voluto far parte di un’altra casa, una in cui gli studenti più grandi non punissero chi, contagiato dal clima di festa, trascurasse il decoro. C’era un prezzo da pagare quando si faceva parte delle famiglie più in vista del mondo magico.

Le ultime lezioni non furono affatto impegnative, ad eccezione di pozioni; senza dubbio, Piton non era stato contagiato dallo spirito natalizio, anzi, pretese che Harry scontasse la sua punizione anche il giorno prima delle vacanze, ma se non altro gli annunciò che la detenzione era finita. La notizia lo rallegrò, anche perché trovava assurdi due mesi di punizione per un’innocua infrazione, e nemmeno la minaccia del pozionista di tenerlo d’occhio lo preoccupava. Del resto, anche lui avrebbe tallonato il Capocasa fino a che non avesse scoperto il mistero dell’oggetto protetto dal cane.

La sfida era aperta.

 

Lavr stava immerso nella vasca da ore, guardando l’arazzo rinascimentale del soffitto attraverso il velo dell’acqua. Tutta la schiuma era svanita, e l’acqua si era sicuramente raffreddata, ma non aveva molta importanza: a malapena percepiva la differenza.

Assurdo.

Tutti i suoi sensi erano più sviluppati di quelli degli altri esseri viventi: il suo udito gli permetteva di distinguere un sospiro in mezzo al fracasso delle moderne metropoli; la sua vista poteva cogliere la forma di un granello di polvere a metri di distanza; il suo olfatto delicato gli rendeva insopportabile passare troppo tempo in mezzo alla cacofonia di odori tipica delle aree umane. Eppure, il suo tatto era difettoso. Toccando un tessuto riusciva a sentirne il disegno dei fili intrecciati, ma alcune sensazioni, come quella di caldo e freddo, non era in grado di percepirle, così come non provava dolore alla maniera degli umani o dei vampiri, e probabilmente nemmeno piacere, non con la stessa intensità. Altrimenti, non si spiegava perché tutte le creature della terra si agitassero, combattessero, soffrissero per pochi minuti di sensazioni gradevoli certo, ma sopravvalutate. Una distrazione non così diversa da quella dell’acqua che solletica la pelle.

Riemerse, scostandosi i capelli scuri dal viso. L’indomani sarebbe tornato Harry, e ne era grato. Aveva addirittura tenuto il conto dei giorni che mancavano. Strano. Ma era inevitabile che vivere con un bambino umano per diverso tempo, dopo un millennio passato nel mondo lo avesse cambiato. Ricordava alla perfezione ogni singolo istante dei novemila anni trascorsi da eremita, eppure ora non riusciva nemmeno a passare tre mesi in solitudine! No, era andato più volte a cercare Veles nel tempo che Harry aveva trascorso a scuola, e il vampiro non aveva mancato di notare che per qualcuno che dichiarava di cercare l’isolamento totale, non se la cavava tanto bene da solo. Sospirò. Forse stava impazzendo.

 

Londra non doveva essere molto lontana, ormai erano sul treno da ore e la luce fuori dal finestrino iniziava ad affievolirsi. Lui e Daphne avevano fatto di tutto per passare il tempo: giocare a Gobbiglie, a scacchi, abbuffarsi di dolci. La ragazza era senza dubbio uno delle serpi del suo anno con cui si trovava più a suo agio. Durante il viaggio anche Theo, Blaise e Draco si erano uniti a loro ed erano riusciti a trascorrere qualche ora insieme senza litigare. Per quanto gli non gli piacesse ammetterlo, le rare volte che aveva parlato civilmente con il figlio di Lucius aveva scoperto di avere diverse cose in comune con lui, però lo trovava troppo viziato e petulante per poterci stringere una vera amicizia.

Il treno finalmente si fermò. Harry si alzò in piedi, prese il baule con l’aiuto dei suoi compagni e dopo i saluti e gli auguri uscì dal treno, per poi guardarsi attorno. Non aveva concordato con Lavr dove trovarsi, ma sicuramente il demone si sarebbe ricordato di andarlo a prendere, no? Aveva una memorie eidetica! Eppure, l’idea stessa del suo tutore che lo attendeva al binario con gli altri genitori era bislacca. Mentre rifletteva sul da farsi, si accorse di una figura solitaria poggiata mollemente contro una colonna.

Beh, questa proprio non se l’era aspettata.

Si avvicinò. Se anche non avesse riconosciuto immediatamente la figura longilinea, il modo in cui mordicchiava distrattamente una mela sarebbe bastata a fargli capire chi fosse l’uomo nascosto dal mantello.

«Salve pasticcino» esclamò Veles, giocherellando col frutto che aveva in mano. «Contento di tornare a casa?»

«Dov’è lavr?»

«Oh, ho pensato di venire io a prenderti. Giusto per risparmiare al grand’ uomo la fatica di uscire dal suo maniero» spiegò con noncuranza.

«Lavr dice sempre che non si fida a lasciarmi solo con te» fece Harry, sospettoso.

Veles si raddrizzò. «Andiamo pasticcino» disse con un ghigno «paura di mamma chioccia? Perché tu e io non facciamo un giro e mi racconti della scuola eh? Prometto solennemente che ti riporterò al Palazzo sano e salvo e senza perdita di fluidi corporei. A meno che tu non voglia andare in bagno, chiaro. Ma niente spargimenti di sangue».

«E perché vuoi portarmi in giro?» domandò Harry, poco convinto.

«Mi sei mancato» replicò il vampiro, mettendo su un sorriso assolutamente poco credibile. «Sarà divertente, vedrai. Ti porto a mangiare qualche porcheria, ti do delle dritte musicali e tu mi racconti cosa sta combinando il vecchio pedofilo».

Il maghetto ridacchiò «Silente non è mica un maniaco, grazie a Merlino! Ma quindi Lavr non sa che sei qui?»

Veles sbuffò, seccato «Si che lo sa! L’ho cortesemente informato, sta tranquillo. E poi, se ti facessi del male, lui ti vendicherebbe. Non mi conviene, no?»

Fu il turno di Harry di sbuffare. «Certo, come no. Stiamo parlando di quello che non prova rancore nemmeno per l’uomo che gli ha fatto passare mille anni senza poteri!»

«Oh, ci sono molte cose che non sai, pasticcino» esclamò il biondo, malizioso «Dai, leviamoci da qui». Lo afferrò per la spalla e insieme attraversarono il muro che portava al binario babbano.

 

Poco più tardi, erano seduti in una bella pasticceria davanti a due fette di torta al triplo cioccolato.

«Credevo che i vampiri bevessero solo sangue» commentò Harry, vedendolo divorare avidamente il dolce.

«Possiamo anche mangiare il cibo umano, ma la maggior parte di noi non ne sopporta nemmeno l’odore».

«Come mai?»

«Vedi, la vita di un vampiro è composta dall’alternarsi di due stati: quando siamo sazi, e ci sentiamo come se avessimo ingurgitato il fabbisogno medio alcolico di un irlandese, e quando non abbiamo bevuto sangue, che è un po’ come un lungo stato di post sbornia. Più tempo passiamo senza bere, più il mal di testa e il cattivo umore si aggravano. Quando sarai un po’ più grande, scoprirai che in entrambi questi esaltanti momenti non si ha molta voglia di cibo solido. Io d’altro canto, non sono come gli altri vampiri; riesco a controllare meglio la sete, e questo mi offre innumerevoli opportunità interessanti».

«Come soggiogare il cameriere per non dover pagare» commentò il ragazzo, sarcastico.

Veles fece un gesto noncurante con la mano. «Noi lo chiamiamo Fascino, e non è una mia prerogativa in realtà. Tutti i vampiri dopo qualche secolo iniziano ad acquisire un minimo di autocontrollo, e i maghi trasformati dopo un po’ di pratica possono vantare qualche trucchetto in più nel loro arsenale, anche se sono molto limitati rispetto a prima. Certamente, nessuno è al mio livello. Invece i vampiri creati da babbani devono contare solo sulla forza fisica, il che spiega perché non vivano poi così a lungo».

«Però sono di più» constatò Harry.

«Considerato che i babbani sono la nostra prima fonte di sostentamento, non c’è da sorprendersi se vengono trasformati più dei maghi. Ma basta parlare di questo. Dimmi di Hogwarts».

«Che cosa vuoi sapere?» chiese Harry, fingendo di interessarsi più alla torta che alla conversazione. Veles gli portò via il piatto. Alzò lo sguardo per protestare e si accorse che il viso del vampiro era vicinissimo, e i suoi occhi brillavano sotto le lenti azzurre.

«Ho visto la lettera che hai mandato a Lavr sulla tua avventura di Halloween. E se ti dicessi che ho un’idea su cosa nasconda il vecchio pazzo?»

Bastò ad attirare l'attenzione del maghetto. «Di cosa si tratta?» domandò.

«Se te lo dico, come userai l’informazione?»

«Dipende» replicò Harry, senza sbilanciarsi.

«Sai chi è Nicolas Flamel?»

Per poco non si mise a urlare per la sorpresa «Stai dicendo che Silente sta nascondendo…»

«Esattamente» concluse il vampiro, compiaciuto.

«Ma allora è davvero pazzo! Non può tenere la Pietra Filosofale in una scuola piena di studenti.» esplose Harry, incredulo.

«Abbassa la voce» lo rimproverò Veles «In un certo senso è folle, ma non devi mai, e dico mai, sottovalutare Albus Silente. È fin troppo furbo. Credimi se ti dico che non sono in molti a sapere dove si trova la pietra. Lui e Flamel sono riusciti a tenere bene il segreto, e nel mondo dei maghi non è cosa da poco. Io stesso l’ho scoperto quasi per caso».

«Non mi stupisce proprio che qualcuno stia tentando di rubarla» commentò il maghetto «e visto il valore della pietra, dubito che il cane sia l’unica protezione. Chissà quante trappole ha piazzato il preside!»

«Vediamo un po’ come funziona il tuo cervellino. Secondo te perché Silente ha portato la pietra a Hogwarts?»

«Per proteggerla. Qualcuno ha tentato di rubarla alla Gringott. Ma ha anche reso fin troppo chiaro che sta nascondendo qualcosa d’importante al terzo piano. Nessuno sa della pietra, ma il ladro avrà sicuramente fatto il collegamento. Il preside gli ha praticamente lanciato una sfida. Ma non ha senso! Perché correre un simile rischio? A meno che non sospettasse di uno degli insegnanti, e volesse avere la certezza...»

Un verso di derisione interruppe il suo ragionamento. «Diavolo no, pasticcino! Stavi andando così bene! Rifletti. A che cosa serve la pietra?»

«Rende immortali. Trasforma i metalli in oro».

«Esatto. Perché pensi che il tuo professore la voglia?».

Fu il turno di Harry di guardarlo come se fosse un idiota. «Direi che ogni essere umano vorrebbe metterci le mani sopra».

«Senza dubbio» concesse Veles «ma pensaci. Immortalità. Chi è il primo mago che questa parola ti fa venire in mente?»

«Stai dicendo…».

Il vampiro ghignò.

«No!» negò Harry, orripilato «Silente non può essere così imbecille da attirare Voldemort in una scuola piena di ragazzini. E poi, lui non ha forze al momento. Non può essere entrato alla Gringott» E poi capì, e fu ancora peggio di scoprire che l’assassino dei suoi genitori fosse sulle tracce della pietra filosofale. Qualcuno stava aiutando Voldemort. Raptor… o Piton. Il suo capocasa. Rabbrividì al pensiero di tutto il tempo che aveva passato da solo con il pozionista.

«Ma se Voldemort dovesse ottenere la Pietra…» mormorò

«Non puoi permetterlo» lo interruppe Veles, serio come non mai.

«Ma cosa posso farci?»

«Puoi prenderla prima che lo faccia lui».

Harry considerò la possibilità. Avrebbe dovuto trovare il modo per superare il cane e tutte le altre eventuali trappole.

«Perché io? Silente avrà capito chi sta dando la caccia alla pietra. L’avrà messa al sicuro!»

«Infatti» intervenne una voce alle loro spalle «non dovresti intrometterti in questa storia»

«Lavr!» esclamò il maghetto, felice di rivedere il suo tutore. Il demone gli rivolse un tiepido sorriso e si sedette a loro tavolo, mentre Veles sbuffava contrariato.

«Vedo che Veles ti ha messo al corrente delle sue congetture. Ma sul serio Harry, preferirei se ne rimanessi fuori».

«Ma se Voldemort dovesse tornare…»

«Non avrebbe niente a che vedere con te» concluse per lui il demone «nessuno sa chi sei in realtà. Tutti sono convinti che Harry Potter sia morto. Sei al sicuro.»

«Per ora forse» commentò Veles con disappunto «ma prima o poi sarà coinvolto nella guerra. Se è vero che c’è una pro…». La voce del vampiro si strozzò. Harry lo vide portarsi le mani alla gola e scoccare un’occhiata furibonda a Lavr.

«Cosa stava dicendo?» domandò il ragazzo, incuriosito.

«Non è né l’ora né il luogo adatto per questi discorsi» replicò il demone, tranquillo. «Vieni, torniamo al Palazzo. Veles, ci vediamo» e lasciandosi alle spalle il vampiro, uscirono dalla pasticceria e si smaterializzarono.

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Capitolo 14
*** Natale, seconda parte ***


La conversazione con Veles avrebbe finito col rovinargli le vacanze di assoluto relax che aveva progettato, ne era certo. Non faceva che pensare alla Pietra, a Voldemort, a Piton. Lavr gli aveva suggerito di non ossessionarsi troppo su quelle che erano semplici speculazioni, ma come poteva non rimuginarci su? Uno dei suoi professori stava aiutando Voldemort! Doveva sapere. Doveva scoprire da chi doveva guardarsi. E sapeva chi poteva aiutarlo. Per questo quella sera, a cena, decise di affrontare il discorso con il suo tutore.

«Devo parlare con Veles» gli disse dopo avergli raccontato dei mesi trascorsi a scuola.

«Perché?» chiese il demone, senza però mostrarsi sorpreso.

«Voglio indagare nel passato di Raptor e Piton, ma per farlo ho bisogno di qualcuno che abbia contatti nel mondo magico, e tu…»

«Non sono la persona adatta» convenne Lavr «Se è davvero quello che vuoi, gli parlerò. D’altronde, sono certo che abbia iniziato a raccogliere informazioni da quando ha intercettato la lettera che mi hai mandato. Ma voglio che tu stia attento».

«Lo so, non vuoi che mi metta in mezzo».

«Quello, e devi fare attenzione con Veles. Il momento è delicato, e lui non aspetta altro che l’occasione di usarti a suo vantaggio.»

«Di cosa stai parlando?» domandò il ragazzo, confuso.

Lavr sospirò. «C’è agitazione nell’aria. Sono stato alla corte di Veles in questi mesi. Vi si respira un’atmosfera di attesa febbrile. Si colgono sussurri, ovunque risuonano frasi concitate mormorate nel buio. I vampiri sono in subbuglio, ed erano secoli che non ne vedevo così tanti radunarsi intorno al loro Signore. Sono sul piede di guerra».

«Guerra? Contro chi? Io non ho sentito niente!»

«Questo perché la mia razza agisce nell’ombra, e i pochi segnali vengono ignorati dalle alte sfere e mascherati al pubblico».

Harry si girò, sorpreso, vedendo l’oggetto della loro conversazione entrare nella stanza con i vestiti strappati e macchiato di vernice gialla.

«Ma cosa…?» esclamò stupefatto; con la coda dell’occhio vide Lavr portarsi un calice alla bocca per mascherare un ghigno.

«Cosa ti è successo?» domandò il ragazzo.

«Niente, ora anche gli edifici hanno il senso dell’umorismo» grugnì il vampiro, levandosi ciò che restava della sua camicia e sedendosi accanto a loro. «Quindi, mi pare di capire che ti serva il mio aiuto.»

Harry annuì.

«Molto bene. È bello vedere che sei capace di decidere con la tua testa, pasticcino. Conosco la persona che fa al caso nostro, ed è già al lavoro. Come ha detto lui» indicò Lavr «questa faccenda ha catturato il mio interesse. Ma voglio qualcosa in cambio del mio aiuto.»

«Veles…» lo ammonì il demone.

Il vampiro alzò una mano. «Tranquillo, tranquillo. Non metterò nei guai il tuo protetto. Chiedo solo che tenga gli occhi bene aperti a scuola e mi metta al corrente di ogni cosa sospetta. Entrambi non vogliamo che Voldemort metta le mani sulla pietra, tanto vale collaborare per prevenire che questo accada.»

«D’accordo» disse Harry. «Ma c’è una cosa che non capisco. Tu detesti Silente. Perché allora odi anche Voldemort?»

Veles lo guardò carico di disappunto. «A quanto pare, non sai ancora niente sul mondo magico» disse sepolcrale.

Harry arrossì davanti al suo sguardo, sentendosi punto sul vivo. Era vero, nonostante i libri che aveva letto e lo sforzo incessante di documentarsi il più possibile, quando era arrivato a Hogwarts si era sentito un estraneo. Non si sentiva parte del suo mondo: era stato cresciuto da dei babbani prima e da un demone dopo, e alcune tradizioni dei maghi gli sembravano ancora aliene. Come nella notte di Halloween, quando si era scoperto ignorante sulla festività di Samhaine. «Allora informami tu» disse fermamente, fissando il vampiro negli occhi cremisi.

«Molto bene. Ma sarà un discorso lungo, mi servirà qualcosa per sciacquarmi la bocca. Lavr, hai qualcosa o devo rifarmi i canini sul marmocchio?».

Il demone gli scoccò un’occhiata annoiata e invocò un calice dorato, colmo di sangue. «Tieni, affogatici pure. Se non vi dispiace, io mi ritiro nel mio studio. Questa conversazione non m’interessa. Harry, bentornato. Veles, non distruggere niente. A dopo». Aprì un passaggio nascosto nel muro e sparì.

«Non sapevo ci fosse un passaggio là» commentò Harry.

«Si beh, buona fortuna a orientarti in questo posto. Torniamo al discorso. Presta attenzione, perché ti parlerò di miti tramandati dall’alba dei tempi, di leggende perdute e riscoperte infinite volte nel corso dei millenni, di guerre e di conflitti, e dell’origine stessa del mondo» cominciò il vampiro, gesticolando «Immagino che tu sappia, che le più antiche civiltà veneravano la Dea madre, la natura benigna, la fonte di vita. Ma fin dalle epoche più remote, diverse razze popolavano la terra. Ciascuna con le proprie credenze, le proprie aspirazioni, le proprie debolezze. Inizialmente, anche i non maghi erano consapevoli dell’esistenza della magia e di razze senzienti non umane, ma con il passare dei secoli, questa conoscenza è andata perduta e si è trasformata in mito. Ma al momento, questa parte della storia non c’interessa. Quello che conta, è che i maghi e le altre razze magiche, un tempo facevano realmente parte dello stesso mondo: convivevano fra di loro, nonostante le differenze. Come i babbani credevano nella Dea Madre, noi credevamo nella Magia. Secondo la tradizione, il mondo è stato creato in equilibrio tra i contrari: luce e buio, maschile e femminile, bene e male. Questi opposti cercheranno sempre di prevalere l’uno sull’altro, ma questo non dovrà mai accadere».

«E’ il principio cardine delle filosofie orientali»

«Si, ma nel nostro mondo non si tratta di speculazioni filosofiche, è la realtà delle cose. L’intero mondo magico e le sue creature sono divisi in due fazioni per nascita: luce e buio.»

«Ma questo è ridicolo» lo interruppe Harry «Ognuno sceglie il proprio destino. Sono i maghi a decidere che tipo di magia praticare!»

«E’ vero, ma non puoi negare che per nascita si è più portati per un certo tipo di incantesimi. La magia scorre nel sangue».

«Non dirmi che sei anche tu un fanatico del sangue puro!» esclamò Harry.

Il vampiro fece una smorfia. «Credimi, non è solo una teoria quella della preservazione del sangue puro, ma non m’interessano le beghe tra maghi e non ho il tempo, né la voglia, di colmare tutte le tue lacune. Se l’argomento t’interessa, ti consiglio di parlarne con i tuoi adorabili compagni di casa. Io ti sto offrendo un quadro più ampio. Nel corso della storia le due fazioni rivali si sono scontrate ripetutamente e si sono alternate al potere. Si dice che la storia è un cerchio che si ripete all’infinito: una delle due parti prende il potere e lo conserva, finché l’altra non si ribella, e dallo scontro solitamente nasce una nuova era. La storia è piena di grandi figure che hanno assunto il ruolo di leader, la cui superiorità era tale da essere accettati e seguiti da tutte le razze del loro stesso schieramento. Dopo la morte del Lord Oscuro Dimitrov, avvenuta negli ultimi anni del Settecento, la luce ha assunto il controllo dell’intera Europa. La situazione è rimasta immutata finché uno dei maghi più potenti maghi di sempre non ha cominciato a radunare seguaci. Gli schieramenti si sono preparati alla guerra, da ogni parte d’Europa maghi e creature oscure si sono alleate per combattere. Ma la guerra non c’è stata; il conflitto è stato risolto da un duello tra i due leader, Silente e Grindewald. Come saprai, il loro scontro è stato leggendario, ma sfortunatamente Grindewald è stato sconfitto e rinchiuso a Nurmengarden, la prigione che egli stesso aveva costruito. Il suo esercito si è sfaldato, le speranze di riscatto delle forze oscure sono state deluse e la luce ha continuato a governare, e lo fa tuttora. Ma ormai ha tenuto il controllo troppo a lungo. Dopo due secoli di potere, la nostra nemica è diventata audace come non mai. Nella foga di distruggere tutto ciò che era oscuro o semplicemente diverso, i maghi hanno dimenticato gli antichi miti, hanno scordato l’importanza dell’equilibrio. Il mondo ha bisogno di qualcuno che rimetta le cose a posto».

«Qual è il ruolo di Voldemort in tutto questo?»

«Voldemort non è che l’ombra di un Lord Oscuro, un fantoccio, figlio delle politiche cieche e ignoranti degli ultimi secoli. Non ha niente a che vedere con i grandi maghi oscuri del passato» rispose Veles, sprezzante.

«Eppure, viene considerato il più grande mago oscuro di tutti i tempi» obiettò Harry. «Più potente dello stesso Grindewald».

Il vampiro alzò gli occhi al cielo «Per prima cosa, tu fra tutti dovresti sapere bene che questo non è vero. Per quanto duecento anni di governo della luce siano riusciti a spazzare via dalla memoria dei maghi la verità su Merlino, tu ed io sappiamo che lui era il più potente mago oscuro del mondo. Né Voldemort né Grindewald possono reggere il confronto. In ogni caso, forse Voldemort era magicamente più potente del mago tedesco, ma ciononostante non merita il titolo di Lord. Questo spetta a colui o colei che viene incaricato dalla Magia di guidare tutti gli esseri oscuri. Voldemort si è autoassegnato il titolo e l’ha usato per procurarsi seguaci tra le creature magiche emarginate e discriminate, che hanno creduto alle sue vuote promesse. Tuttavia, Voldemort non combatte per creare un mondo nuovo. Forse all’inizio, ma poi le sue paure lo hanno reso folle. Lui e i suoi seguaci non sono diversi dai patetici ometti che governano attualmente l’Europa. Credono che i maghi possano sopravvivere senza l’appoggio delle altre creature, pensano di essere superiori. Hanno dimenticato le regole della magia. Il problema non è la supremazia della luce, ma che l’equilibrio è andato perduto: le due fazioni si sono disgregate; maghi oscuri e della luce si sono mischiati tra loro, si sono alleati nell’intento di combattere i loro naturali compagni. Capisci ora? L’ultima guerra magica è stata una farsa: un Lord Oscuro che non era tale, interessato solo al potere, e ad opporglisi un Lord della luce incapace di fare il suo dovere».

«Parli di Silente?»

«Silente conosce bene le leggi della magia. Sa meglio di chiunque altro che questa situazione non può continuare. Eppure, dopo la sconfitta di Grindewald, si è rintanato a Hogwarts, senza rivendicare appieno il suo titolo di Lord della luce, lasciando che personaggi greti e mediocri distruggessero ciò che restava delle antiche tradizioni, opponendosi con debolezza alle leggi discriminatorie approvate contro i non umani, nella convinzione che il vero nemico fosse la Magia Oscura, e che la perdita dell’identità fosse il prezzo da pagare per sconfiggerla e estirparla. Silente si è convinto che sia la cosa migliore, che il mondo può andare avanti anche senza la tensione tra le due opposte tendenze. I suoi deboli tentativi di sostenere l’uguaglianza tra tutte le creature non sono che un modo per ripulirsi la coscienza. Ma le leggi della magia non possono essere bleffate. La guerra è alle porte. Non resta che sperare che quando scoppierà, ci sarà un Lord Oscuro, uno vero, a guidare le forze oscure, di nuovo unite, e riportare l’ordine, altrimenti il futuro sarà quanto mai incerto. Finora la mia razza e le altre creature si sono astenute dal combattere i maghi, nel tentativo di restare fedeli alle regole, nella speranza che i maghi comprendessero la gravità delle loro azioni, ma non rimarremo ancora a lungo inerti a farci schiacciare. Le forze oscure combatteranno, e se non potranno farlo con i maghi oscuri, lo faranno contro di loro».

«Che cosa intendi?»

«Intendo che se qualcuno tra i maghi non aprirà gli occhi, la vostra razza pagherà a caro prezzo la vostra tracotanza. Pensate di essere superiori al resto del mondo, siete sicuri che la vostra magia vi protegga da ogni minaccia, ed in passato forse è stato così. Ma io non credo che la storia sia ciclica. Io penso che le cose possano cambiare. Se i nostri naturali alleati si ostineranno a combatterci, ci rivolgeremo da un’altra parte».

«Stai dicendo che visto che maghi oscuri e della luce si sono alleati contro i non umani, questi si alleeranno tra di loro contro i maghi? È una possibilità remota, forse non so molto sul mondo della magia, ma so che i centauri, gli elfi, i goblin, non farebbero mai causa comune con voi. E tra le creature oscure, senza un leader, sarà difficile che vampiri, giganti, e lupi mannari si uniscano».

Il vampiro ghignò, e Harry percepì un’ondata di potere venire da lui. Non era propriamente magia oscura, perché in quanto vampiro, il potere magico di Veles era limitato, ma era un’autorevolezza che prima non gli aveva mai visto. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, capì perché i vampiri lo consideravano il loro Signore indiscusso. «Oh, ma ci sono anche altre strade da percorrere. Strade mai battute prima, che potrebbero generare effetti imprevedibili. Vedi, sono ormai cinquant’anni che un’immagine mi gira in testa. Da quando il mondo è entrato nel più grande conflitto della sua storia. Ecco vedi, io immagino il Ministero della Magia e i trionfi maghi che vi lavorano, così convinti della loro superiorità da non prestare attenzione a ciò che accade al di fuori del loro piccolo mondo. E mi chiedo quanto durerebbero, in una guerra, contro le bombe e i missili e le armi chimiche. Mi chiedo che difesa potrebbero offrire, le vostre amate bacchette, contro le tecnologie sempre più potenti e distruttive dei babbani».

Un brivido attraversò la schiena del ragazzo, ma Veles si affrettò a rassicurarlo, con aria compiaciuta: «E’ uno scenario interessante non trovi? Ma io spero che non si arrivi a questo, no. Ho vissuto più di quanto tu non possa immaginare, i millenni mi hanno reso saggio, e non voglio contravvenire alle leggi che regolano il mondo per capriccio. No, io spero che questa buia epoca termini per mano di un nuovo Lord oscuro.»

«E il ritorno di Voldemort complicherebbe le cose. Merlino, tutto questo è… è troppo! Non so cosa pensare».

«Devi sapere cosa c’è in ballo; dovrai prendere una posizione prima o poi» disse Veles, serio come non mai.

«Perché? Perché continui a ripetere che io sono immischiato in questa storia? Io non…»

«Non ti sei mai chiesto perché Voldemort abbia tentato di ucciderti quando eri un neonato, Harry Potter?»

Preso in contropiede, il ragazzo scosse il capo.

«Non si sa per certo, ma alcuni pensano che volesse prevenire il sorgere di un nuovo, vero, Lord Oscuro».

«Io?» boccheggiò Harry «ma avevo solo un anno!»

«Molte speranze sono riposte in te. E che sia vero o no, ti ho visto studiare la magia con Lavr. Ho visto la tua passione, così come ho visto la tua ambizione, la tua brama. Hai un grande potere, sei l’erede di Merlino, l’unica persona al mondo ad essere sopravvissuto alla maledizione senza perdono. Non ti preoccupare, avrai tempo per decidere, ma sappi che nell’istante in cui Voldemort dovesse tornare, ti darà la caccia, e la tua nuova identità non basterà a proteggerti». Si alzò in piedi. «Devo andare ora. Fatti trovare qua domani alle nove. Scopriremo la verità sul servo di Voldemort insieme. Au revoir».

Il resto della giornata passò velocemente. Harry non cercò la compagnia di Lavr, preferì restare solo per metabolizzare le nuove scoperte. Nella sua mente, ripensava alle parole di Veles, alla prospettiva di una guerra imminente. Eppure, ciò che più lo aveva colpito, era l’idea che alcuni credessero che lui potesse diventare il leader delle forze oscure. Scosse il capo, cercando di fare chiarezza tra i suoi pensieri. Meglio dormirci su. Si recò in bagno per lavarsi i denti, ma si bloccò davanti allo specchio. Osservò il suo riflesso, e non poté fare a meno di immaginarsi adulto, circondato da un esercito. Il Lord Oscuro scelto della magia. Qualcosa si risvegliò dentro di lui, qualcosa di bestiale, una brama intensa, mai sperimentata prima, e scoprì di desiderare che quell’immagine diventasse realtà con ogni fibra del suo essere.

 

Dopo una notte agitata da sogni confusi, Harry si preparò per l’appuntamento con Veles. Scese in cucina vestito di tutto punto, salutò Lavr e si versò del succo di frutta, senza nemmeno sedersi. «Ho un appuntamento con Veles» spiegò.

«Credimi» disse il demone alzando gli occhi al cielo «non c’è bisogno di affrettarsi.»

Harry iniziò a capire cosa avesse voluto dire quando le lancette dell’orologio segnarono i minuti e poi le ore senza che il Signore dei vampiri si degnasse di arrivare. Quando infine comparve in cucina alle cinque del pomeriggio, il ragazzo dovette faticare non poco per trattenersi dal lanciargli qualche fattura.

«Avevi detto di svegliarmi presto» sibilò.

«Si beh, non è salutare dormire fino a tardi» replicò Veles, ilare. «Comunque sono stato trattenuto, ma ora possiamo andare».

«Dove esattamente?»

«A Londra». Il vampiro afferrò una mela dal centrotavola proprio mentre Lavr entrava nella stanza.

«Mi dimentico sempre di metterci il veleno» commentò casualmente il demone. Veles gli lanciò un’occhiataccia e addentò il pomo con aria di sfida.

«A Londra dove?» chiese Harry.

«Devo incontrarmi con la donna che ho incaricato di raccogliere informazioni, una magano che lavora al Ministero. Non sa nemmeno da che parte si regga una bacchetta, però è la migliore quando si tratta d’intrufolarsi e spiare, e non c’è serratura che riesca a resisterle. Così, visto la paga da fame che le danno, arrotonda facendo dei lavoretti in proprio nelle case dei babbani, e a volte accetta qualche incarico che le affido io o altri abbastanza furbi da riconoscere del talento quando lo vedono. Mi ha mandato un messaggio proprio ieri per dirmi che ha raccolto abbastanza informazioni.»

«D’accordo» disse Harry «Andiamo. Tu vieni Lavr?»

«Non me lo perderei per niente al mondo» fu l’annoiata replica.

 

 

«Non penso di poter stare qui» mormorò Harry poco dopo, sentendo le guance andargli a fuoco. Veles li aveva trascinati in quello che aveva tutta l’aria di essere un night club; era praticamente deserto, visto che era ancora presto, così presero posto in un tavolino in prima fila davanti al palco dotato di palo per la lap dance. Una ragazza vestita con dei cortissimi pantaloncini e un reggiseno che lasciava poco spazio all’immaginazione si avvicinò immediatamente e salutò Veles con un bacio a fior di labbra.

«Era da un po’ che non passavi da queste parti» esclamò. Aveva una voce leziosa che la rese immediatamente antipatica al maghetto. «Sei qui per vedere Alex? Manca ancora un po’ alla sua esibizione.»

«No, cherie, in realtà sono qui per affari» replicò il vampiro abbracciandola per la vita. «Portami il solito, e lo stesso anche per il mio amico».

La cameriera scoccò un’occhiata ammirata al demone, che la ignorò. «D’accordo. E il bambino cosa prende?» chiese, girandosi verso Harry con un sorriso più falso del suo seno.

Il ragazzo stava per rispondere, ma Veles lo precedette e ordinò una coca. Come si fu allontanata, Lavr chiese, con la solita calma: «Ma non potevi scegliere un altro posto per questo incontro?»

«Che tu ci creda o no, l’ha scelto il mio contatto, non io. Non ci vengo così volentieri, ma visto che tutti quelli che ci lavorano sono sul mio libro paga, non c’era ragione di protestare».

«Quando dici sul tuo libro paga…»

«Intendo che sono tutti sotto Fascino, si» confermò gioviale. «Questo posto ha una clientela variegata. Io gli aiuto a coprire certi loro affari con la polizia, e loro procurano cibo ad alcuni dei miei neovampiri. Sapete, qui girano tante persone di cui nessuno noterà mai la scomparsa. E loro si occupano anche di non lasciare tracce. È perfetto».

Harry preferì non commentare. Si girò a guardare il locale, lieto che fosse troppo presto perché si riempisse. Si chiese quanti babbani fossero sotto il controllo del vampiro. Ripensò alle sue parole del giorno prima, all’idea dei vampiri alleati con i non maghi, e rabbrividì.

La ragazza di prima tornò poco dopo con le loro ordinazioni, che servì avendo cura di sporgersi in avanti per donare ai due adulti una panoramica del suo seno. Harry sogghignò quando vide il suo risentimento per l’indifferenza del demone, e anche Veles parve averlo notato, perché sembrava diviso tra il divertito e il seccato per la noncuranza dell’amico.

Dopo qualche minuto passato in silenzio, una donna si avvicinò a loro tavolo. Non c’erano dubbi sul fatto che non lavorasse lì: era una signora di mezza età dall’aspetto anonimo: magra, con dei vestiti spenti e troppo larghi e dei grossi occhiali che le davano l’aspetto di una mosca. Li salutò e si sedette con loro. Aveva una voce bassa, sottile. Era il tipo di persona che passa sempre inosservata; lo stesso Harry - che pure aveva una buona memoria per le fisionomie - era sicuro che se l’avesse incontrata in un altro contesto non l’avrebbe mai notata. Eppure, Veles parve estasiato di vederla. Le rivolse un gran sorriso e si affrettò a richiamare la cameriera per farle portare un drink, che lei vuotò in un sorso.

«Allora, hai portato tutto?» le chiese.

«Si, ho tutto qua nella mia borsa» rispose la donna, asciugandosi la bocca con la manica destra. «Lei ha portato i soldi?»

Harry, che stava osservando attentamente il vampiro, notò un fremito agli angoli della sua bocca, e lo attribuì allo sforzo del biondo di essere gentile. Veles allungò un mazzo di banconote babbane alla donna, che le afferrò e le contò rapidamente, per poi annuire soddisfatta e tirare fuori una pila di fogli dalla borsa.

«Qui troverete le informazioni che avete richiesto» disse. Si raddrizzò e cominciò, con tono chiaro e professionale: «Dagli archivi del Ministero della Magia, processo a Severus Piton, accusato di attività criminali e di appartenenza al gruppo di seguaci di colui che non deve essere nominato noti con il nome di mangiamorte. In data 9 dicembre 1981, la suprema corte del Wizengamot dichiara Severus Piton non colpevole. Motivo della sentenza: pur essendo stato accertato che Piton fosse un mangiamorte e nonostante le prove che egli abbia partecipato in diverse occasioni alle retate degli stessi, la corte ha preso atto della testimonianza di Albus Silente, il quale assicura che Piton non ebbe mai un ruolo centrale nelle attività illecite dei mangiamorte e che, pentitosi delle sue scelte, sia diventato una spia per la luce mesi prima della caduta di Colui che Non Deve essere Nominato».

«Piton era una spia tra i mangiamorte?» ripeté Harry, sbalordito.

La donna si girò verso di lui e annuì. «Queste sono le informazioni che ho trovato negli archivi giudiziari, ma nel fascicolo troverete tutto il resto. Per quanto riguarda l’altro uomo, Raptor, non ho trovato precedenti penali; in generale, è stato più difficile indagare sul suo passato. A mio parere, questo è sospetto, ma giudicherete voi».

Veles prese le due cartelle e le sfogliò rapidamente, annuì soddisfatto. «Molto bene, hai fatto un ottimo lavoro, come sempre.»

«Non è difficile quando puoi intrufolarti negli archivi inosservata».

«Ed è lì che sta la tua bravura. Per ora è tutto. A meno che voi due non vogliate aspettare che inizi lo spettacolo…» sorrise a Harry e Lavr, ma davanti alle loro facce poco entusiaste tornò serio «Allora noi andiamo. Tu divertiti, Magnolia. I drink sono sul mio conto. Domani ti farò sapere se mi occorre altro». Si alzò e si diresse verso l’uscita, e Lavr e Harry lo seguirono.

Improvvisamente, lo videro bloccarsi, come pietrificato. Seguendo la direzione del suo sguardo, Harry vide una ragazza mora, bellissima ma truccata pesantemente, vestita con una corta vestaglia rossa e dei tacchi altissimi. La mascella di Veles si indurì, mentre la sconosciuta lo guardava con rabbia crescente; i lineamenti dolci del suo viso si deformarono in un’espressione animalesca, gli occhi vermigli brillarono nella penombra, la bocca si aprì a rivelare dei canini affilati.

«Alex, che cazzo stai facendo? Muovi il culo, tra un po’ inizia il tuo spettacolo» urlò una voce maschile. La ragazza parve calmarsi, il suo viso tornò normale. Con un’ultima occhiata di puro disgusto, si voltò e sparì dietro una porta riservata. Senza commentare, Veles uscì dal locale.

 

Tornati al Palazzo, Harry e Veles si diressero verso l’accogliente soggiorno per studiare i documenti che Magnolia li aveva consegnato. Lavr li seguì, ma s’immerse nella lettura di un tomo antico, ignorandoli. Decisero di dividere il lavoro per fare più velocemente; Harry scelse di studiare il fascicolo di Piton, mentre il vampiro prese         quello di Raptor.

Fin dalle prime pagine, rimase impressionato dall’accuratezza delle ricerche. Nel fascicolo, la donna aveva ricostruito dettagliatamente la vita del suo capocasa. C’era la sua scheda scolastica, inserti di giornale sulla sua attività di pozionista, schede informative sulle persone a lui più vicine, vecchie foto e perfino l’abero genealogico della sua famiglia. Via via che scorreva le pagine, sentiva di essere una spanna più vicino a comprendere Piton, un uomo che nei pochi mesi trascorsi a Hogwarts aveva imparato ad apprezzare, nonostante il suo carattere cinico e sarcastico. Scoprì che era mezzosangue: sua madre, Eileen Prince, era l’erede di un antica casata purosangue nota per la pratica delle arti oscure; era stata smistata a serpeverde e finita la scuola si era sposata con un babbano, Tobias Piton, perché incinta. Severus era nato il nove gennaio 1960 nel quartiere di Spinner’s End, dove abitava tuttora. Sua madre era stata privata di quel poco che restava del patrimonio dei Prince a causa del suo matrimonio, e Tobias era un muratore e un alcolista. Così Piton, cresciuto in un ambiente familiare poco felice, probabilmente era stato lieto di andare a Hogwarts. Era stato smistato a serpeverde, ovviamente, ed era stato uno tra i più brillanti studenti del suo anno, con un particolare talento per le pozioni. Nella parte del fascicolo dedicata agli anni a Hogwarts erano riportate anche delle note sul suo comportamento o che comunque lo riguardavano. Nel leggerle, il cuore di Harry perse un battito più di una volta. Il nome di suo padre compariva di frequente, in genere in compagnia di quelli che erano sicuramente suoi amici, Sirius Black, Peter Minus, e talvolta anche un certo Remus Lupin. All’inizio, scorrendo i resoconti di scherzi, duelli e liti, ne ricavò l’idea che James e Piton fossero stati rivali, cosa non inconsueta tra grifondoro e serpeverde, ma continuando con la lettura, notò che era quasi sempre suo padre ad attaccare. Gli diede fastidio, e non poco, pensare che l’uomo che gli aveva dato la vita fosse stato un bullo, soprattutto visto che Piton era stato il suo bersaglio.

Eppure, fin dagli ultimi anni di scuola, poté vedere un cambiamento nel suo capocasa: a partire dal quinto anno, iniziò a trovare cenni di attività proibite compiute da lui e un gruppetto di altri serpeverde. Magnolia aveva riportato qualche informazione su ognuno di loro. Avery, Nott, Lestrange, Malfoy. Tutti in seguito accusati di essere mangiamorte e in alcuni casi condannati.

Non provò biasimo per Piton. Poteva comprendere quanto dovesse stato felice, il ragazzo emarginato, preso di mira dai bulli, nel stringere amicizia con un gruppo di ragazzi ricchi e influenti. Sicuramente, in quel periodo aveva iniziato a praticare le arti oscure. Finiti gli studi, la carriera di Piton era stata brillante. Il suo vecchio professore, Lumacorno, lo aveva caldamente raccomandato, e l’amicizia con Malfoy e il suo innegabile talento avevano fatto il resto. Poi era scoppiata la guerra. C’erano poche informazioni su quegli anni, la maggior parte delle quali contenute nei verbali del processo. Harry le lesse con attenzione, consapevole che le risposte che stava cercando era quasi certamente contenute tra quelle poche righe. Il suo professore era stato accusato nei primi mesi dalla scomparsa del signore oscuro, in seguito alle testimonianze di alcuni mangiamorte di poco conto. Non appena era stato fatto il suo nome, Albus Silente si era fatto garante della sua non colpevolezza e la sua testimonianza era risultata decisiva: il processo era durato solo un giorno e Piton era stato scagionato da tutte le accuse. Da quel momento in poi, aveva lavorato a Hogwarts. Seguivano alcuni appunti sugli ultimi anni che Harry saltò, frustrato. Non sapeva cosa pensare! Severus era stato un mangiamorte, eppure Silente sembrava fidarsi di lui. Perché?

Cercò di immedesimarsi nel suo professore. La sua vita non era stata facile, nessuno gli aveva mai regalato niente, anzi. Era stato un figlio non voluto, un mezzosangue nella purissima casa di serpeverde, perseguitato dai compagni di scuola; ma si era rialzato, con le sue sole forza. Aveva trovato un mezzo di riscatto nella sua intelligenza e nella pratica di arti proibite. Cosa aveva significato, per lui, essere un mangiamorte? Sentirsi parte di qualcosa di grande, far parte di una cerchia influente.

Potere, gloria, rivincita.

Piton era un mago oscuro per lignaggio e per scelta. E lo era ancora, aveva sentito il suo potere fin dalla prima volta che aveva messo piede nell’aula di pozioni. Allora perché cambiare fazione? C’era forse qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che Magnolia non era riuscita a scoprire, qualcosa che lo aveva cambiato? O forse Silente si era sbagliato. Magari, dopotutto, Piton era ancora fedele a Voldemort.

«Dannazione» sbottò Harry, chiudendo di scatto il fascicolo. Era deluso. Aveva sperato di scoprire che no, il suo capocasa non stava tentando di resuscitare l’assassino dei suoi genitori, e invece i suoi dubbi erano aumentati piuttosto che scomparire.

«Deduco che non hai trovato quello che cercavi» ghignò Veles.

«No! Piton era un mangiamorte, ma Silente si fida di lui. In questa cartella c’è riportata tutta la sua dannata vita, ma non c’è traccia del motivo per cui il preside lo ha tenuto fuori da Azkaban!»

«Cosa dice la sua testimonianza al processo?»

«Te l’ho detto, niente. Stando ai verbali, Silente si è alzato in piedi, ha detto che Piton era passato dalla loro parte prima della caduta di Voldemort e che si fidava di lui, e il Wizengamot lo ha dichiarato innocente. Tutto qui.»

«Non mi stupisce. Quei processi sono stati una vera farsa. Io invece credo di aver avuto più fortuna».

L’attenzione di Harry venne immediatamente catturata. «Cosa hai trovato?»

«Un sacco di noiosi dati sulla sua noiosa vita, ma proprio quando stavo per dar fuoco al fascicolo, ho letto qualcosa di interessante. Dopo aver occupato la carica di professore di Babbanologia, Raptor chiese un congedo di un anno per viaggiare. E indovina dove andò?». Fece una pausa per aumentare la suspense, e poi esclamò, vittorioso: «Albania!»

Lo guardò senza capire, e Veles gli rivolse un’occhiata di sufficienza. «Albania» ripeté «Merlino, non dirmi che non lo sai! È opinione comune, che Voldemort, o almeno quello che resta di lui, si sia rifugiato in Albania».

«Raptor potrebbe averlo trovato. O forse è andato là apposta per cercarlo» ipotizzò Harry.

«Esattamente la mia teoria. È un uomo mediocre, desideroso di fare qualcosa di grande. Immagino che sognasse di trovare Voldemort, aiutarlo a tornare e diventare il suo servo più fedele o boiate simili».

Il ragazzo non poté fare a meno di sentirsi sollevato, ma durò poco. «E’ solo una supposizione, però. Non abbiamo prove» disse.

Il vampiro prese il fascicolo di Piton e lo sfogliò velocemente, senza rispondere. Harry lo vide saltare gli anni di scuola e soffermarsi sui verbali del processo, la fronte aggrottata per la concentrazione e la bocca incurvata in una smorfia di disappunto. «Silente si è esposto molto per far scagionare Piton» pronunciò infine. «Dubito lo avrebbe fatto se non avesse avuto l’assoluta certezza sulla sua lealtà. E se anche Piton fosse riuscito a ingannarlo, perché cercare di rubare la pietra sotto il suo naso? No, sono quasi sicuro che sia Raptor il nostro uomo. Ma io non li conosco. Tu cosa pensi?».

«Contro Raptor abbiamo solo il viaggio in Albania…».

«Quello e il fatto che al ritorno ha fatto domanda per la cattedra di difesa e per ottenerla ha dato sfoggio di capacità magiche che in precedenza non aveva mai mostrato» disse il vampiro, indicandogli una pagina sulla cartella di Raptor. «Fossi in te mi concentrerei su di lui, anche se non devi sottovalutare Piton. Se proverai a prendere la pietra…»

«Credevo avessimo concordato sul fatto che fosse una pessima idea». Harry e Veles si girarono contemporaneamente. Aveva dimenticato, e evidentemente anche il vampiro, che Lavr fosse nella stanza.

«Lavr ha ragione. Non sono affari miei. Silente sa che qualcuno sta dando la caccia alla pietra e saprà anche perché la vuole. Se ne occuperà lui. Ora scusatemi, devo andare in bagno». I due adulti storsero il naso all’ultima frase, ma lui non se ne curò e uscì dalla stanza.

Quando stava tornando, però, commise l’errore di appoggiarsi per un secondo alla parete del corridoio, aprendo inavvertitamente un passaggio segreto. Incuriosito, entrò. Fosse stato un poco più alto, avrebbe dovuto camminare curvo: il passaggio era stretto e basso, e la fioca luce della bacchetta lo illuminava completamente. Lo percorse velocemente, arrivando davanti a un muro. Deluso, stava per tornare indietro, quando gli giunse la voce di Lavr, nitida come se fosse a pochi passi.

«La ragazza del night club. Alex» stava dicendo il demone.

Harry si avvicinò al muro. Lo toccò con la bacchetta, e quello si trasformò in un vetro trasparente, dal quale poteva vedere Lavr e Veles seduti nel accogliente salone. Stando alla prospettiva dal quale li osservava, doveva trovarsi dietro al grande specchio situato in fondo alla stanza. I due uomini erano poco lontani: Lavr gli dava le spalle, mentre poteva vedere il profilo del vampiro.

«Era la ragazza che mi avevi mostrato in quel locale quattro anni fa» continuò il demone.

«Mi sorprende che te la ricordi» lo derise Veles. Il suo tono era indisponente, ma Lavr non diede cenno di esserne infastidito.

«Sai bene che la mia memoria è perfetta, inoltre quella ragazza era particolare. Aveva una bella voce. Sembravi molto preso da lei».

Il vampiro lo ignorò, girandosi a guardare verso il punto in cui si trovava Harry. Il ragazzo temette che lo avesse scoperto, ma poi il vampiro tornò a fronteggiare Lavr. Sospirando per il sollievo, il mago si disse che avrebbe fatto meglio a smettere di origliare, ma non riuscì a vincere la propria curiosità.

«Ho avuto l’impressione che fosse ridotta male» disse ancora il demone.

«Senti, a te che te ne frega eh? L’ho trasformata quattro anni fa, e ora lavora in quel buco. Questo è tutto. Ah, lei mi odia, ma questo immagino lo avessi intuito».

«Però ti piaceva. Perché lasciarla a vivere in quelle condizioni? Perché non l’hai portata alla corte?»

La domanda cadde nel vuoto. Harry si decise ad andarsene, aveva giocato fin troppo con la sua buona sorte, quando colse la risposta del vampiro, mormorata con tono pieno di sprezzo e delusione.

«Credevo fosse speciale. Era così bella, così fresca. Volevo darle tutto, volevo che lei mi desse tutto».

«E poi cosa è successo?»

«L’ho trasformata, ma è stato uno sbaglio. È diventata tediosa, insignificante, debole. L’immortalità non le dona».

 

Harry non tornò dai due adulti, bensì decise di stare un po’ da solo, in camera sua. Quei pochi giorni erano stati pieni di scoperte, tra ciò che gli aveva detto Veles e le scoperte su Piton, e ora questa conversazione.

L’immortalità non le dona.

Ripensò al bel viso della giovane, carico di rabbia e disperazione, e provò un’ondata di sdegno per il modo in cui Veles aveva parlato di lei. Sembrava un bambino che avesse rotto il giocattolo preferito!

Era troppo. Tutte le informazioni che gli erano state date… pensò a Voldemort, a Silente, a Veles, e si rese conto che non era che un bambino, confronto a loro. A scuola poteva anche essere considerato un prodigio, ma loro avevano un esercito, influenza, decenni di esperienza, anzi, nel caso di Veles, millenni.

Doveva diventare più forte. Non per quello che gli aveva detto Veles, non era ancora pronto ad accettare l’idea di diventare il capo delle forze oscure. Quello era un pensiero stravagante, alieno. No, doveva diventare potente, perché solo quando sarebbe stato invincibile, sarebbe stato completamente libero. Come Lavr.

Di scatto, colto da un impulso irrefrenabile, si gettò fuori dalla stanza e corse verso la biblioteca; gli bastò pensare al libro che stava cercando perché questo gli apparisse davanti.

Introduzione alle arti oscure nel combattimento.

Si sedette sulla poltrona, e iniziò la sua lettura.

 

 

 Eccomi di nuovo qua :)  Questo capitolo è abbastanza importante, e ormai ci avviciniamo alla fine del primo anno. Con questo si  conclude la parentesi sulle vacanze, nel prossimo capitolo ci sarà il ritorno a Hogwarts e sarà quasi tutto  dal pov  di Severus.  Spero che vi sia piaciuto e che il discorso di Veles sia chiaro. Alla prossima :)

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Capitolo 15
*** L'attacco del serpente ***


La fine delle vacanze invernali era arrivata come ogni anno troppo presto. Severus non poteva tuttavia lamentarsi, erano state due settimane tranquille. Non ci aveva sperato, soprattutto quando durante il primo pranzo dalla partenza del grosso degli studenti aveva intercettato le inconfondibili chiome dei gemelli Weasley tra quelli rimasti al castello. E invece aveva potuto rilassarsi e dedicarsi alle sue faccende senza dover correre dietro a ragazzini pestiferi. Anche Raptor non gli aveva dato problemi, del resto era poco probabile che tentasse qualcosa prima del riinizio delle lezioni e il ritorno alla consueta confusione che regnava nella scuola; ciononostante non gli era sfuggita la frequenza con cui lo sguardo del professore di difesa cadeva su Hagrid.

Si appoggiò alla finestra della torre est, e osservò il parco sottostante. Perché Silente si ostinasse ad affidare la sicurezza della pietra a quel babbeo del guardiacaccia, proprio non lo capiva, ma in dieci anni si era abituato alle stranezze del preside. Vide in lontananza le carrozze che riportavano gli studenti al castello. Poteva sentire il brusio delle loro chiacchere spensierate da quella distanza, o forse era solo la sua immaginazione.

Chissà se qualcuno di loro vedeva che cosa trainava le carrozze.

Trasse un profondo respiro e innalzò le sue barriere mentali, cercando di respingere i ricordi. Solo la sua abilità con l’Occlumanzia gli permetteva di rimanere lucido quando pensieri scatenati dai gesti più banali minacciavano di farlo sprofondare nella spirale del rimorso e dell’autocommiserazione. Come adesso. Ricordava perfettamente la prima volta che li aveva visti, il giorno che era tornato a Hogwarts col ruolo di professore.

Odiava i Thestral.

Vide la folla di ragazzi salire verso il castello, e si ricompose. Doveva tornare a fare il suo lavoro. E se c’era una cosa che aveva imparato presto, prima ancora di diventare professore in effetti, era che gli adolescenti sono prevedibili. Ogni studente è così sicuro di essere speciale, più furbo degli altri, da essere benedettamente ignaro di quanto le sue bravate appaiano monotone a un adulto.

C’erano delle eccezioni naturalmente. Non poteva certo dire in tutta coscienza che i due pestiferi gemelli pel di carota non fossero riusciti a sorprenderlo una volta o due. Ma alcune cose erano tristemente uguali anno dopo anno, e il rientro dalle vacanze era tra queste. Puntualmente, qualcuno dei suoi primini giungeva alla brillante conclusione che il giorno del rientro era perfetto per introdurre nel castello ogni genere di articolo illegale, visto che sicuramente nessuno si sarebbe degnato di controllarli. Anni di esperienza gli avevano insegnato che poteva evitare il tedioso compito di ispezionare ogni dormitorio scegliendo un solo studente come esempio per gli altri. Inutile dire che il fortunato di turno si ritrovava a svuotare vasi da notte per un mese, e quel giorno Severus non aveva dubbi sulla stanza in cui effettuare il sopralluogo.

Si diresse verso i sotterranei, senza fretta, per dare il tempo agli studenti di arrivare e cominciare a sistemare le loro cose prima di cena. Quando giunse alla Sala Comune, fu accolto dai ghigni divertiti dei due prefetti. Quello di Flint era particolarmente sentito, visto che quattro anni prima era stato lui a dover pulire i bagni per una settimana in seguito al suo abituale sopralluogo. Senza una parola, si diresse verso uno dei dormitori maschili e spalancò la porta.

Alzò un sopracciglio allo spettacolo che gli si presentò davanti. Tiger e Goyle non avevano perso tempo per iniziare a ingozzarsi: alzarono lo sguardo su di lui con le guance gonfie e la bocca sporca di cioccolato. Draco saltò come lo vide e si spostò per nascondere qualcosa alla sua vista, con un’espressione di colpevolezza talmente evidente che Piton si chiese se i suoi antenati non stessero vomitando nelle loro tombe sontuose.

«Voi due. Fuori» comandò imperioso, rivolto verso Tiger e Goyle. I due esitarono un secondo, voltandosi a guardare Malfoy come per chiedere conferma, afferrarono due scatole di cioccorane dal letto e uscirono. Severus li osservò con la coda dell’occhio, e quando la porta si fu chiusa alle loro spalle sorrise.

«Allora, Draco, stavi sistemando le tue cose?» domandò mellifluo. Come previsto, gli occhi dell’undicenne guizzarono verso il baule che stava maldestramente cercando di nascondere.

Severus fece un passo verso di lui. «Sono venuto per assicurarmi che sia tutto in regola. Che ne dici di semplificarmi il lavoro? C’è qualcosa nel tuo baule che non dovrebbe esserci?»

Il ragazzino lo squadrò nervoso, ma poi sembrò ricomporsi. Mise su una facciata arrogante e rispose calmo: «No, signore».

Il pozionista lo scrutò, diviso tra il sollievo nel vedere che un minimo di capacità recitativa la possedeva e il desiderio di levargli quell’aria di sfida con una fattura. Resistette all’impulso di massaggiarsi le tempie. Aveva sempre saputo che il figlio di Lucius si sarebbe rivelato una piaga.

«Ti avviso, Draco, se dovessi trovare qualcosa, anche solo una caccabomba, per ogni minuto di tempo che ho sprecato nella ricerca sconterai una settimana in più di punizione». Come previsto, l’aria sicura di Malfoy vacillò. «Allora Draco? Devo mettermi a cercare?»

Non c’era bisogno di ricorrere alla Legimanzia, i pensieri del ragazzo erano scritti nel suo viso appuntito e nelle guance insolitamente rosa. «Non c’è niente, signore» disse ciononostante, con appena un accenno di insicurezza nella voce. Scelta poco saggia.

Lentamente, con gli occhi fissi sul ragazzino per godersi al meglio la sua reazione, Severus sollevò la bacchetta e disse chiaramente: «Accio scopa di Malfoy». Il ragazzo sbiancò completamente, e quando una Nimbus sbucò da dietro il baule per andare a finire nelle mani del professore sembrò sul punto di farsela addosso.

«Fin troppo prevedibile» commentò Severus con un ghigno soddisfatto. «Direi che una settimana di punizione sia d’obbligo. Tu che ne pensi, signor Malfoy?»

«NO!» strillò Draco, con grande sorpresa del pozionista.

«Come scusa?» sibilò minacciosamente Piton. Voleva dargli l’opportunità di ritrattare, ma il ragazzino sembrava fuori di sé.

«No, no, non è giusto! Quella è la mia scopa e io ho il diritto di portarla qua. Non m’importa cosa dice il preside! E lei, lei dovrebbe essere d’accordo. Voglio dire, dovrei essere io! E invece ha fatto entrare in squadra quel francese! E lui può fare tutto, non è vero? Le regole non valgono per lui. No, lui è bravo a Quidditch, bravo in pozioni, bravo in tutto e nessuno sembra ricordare che lui è un pezzente e io sono un Malfoy! Sono un Malfoy e un Black, dovrei essere io a giocare nella squadra, dovrei avere il diritto di usare la mia scopa ogni volta che voglio. Io, non lui!»

Il pozionista ascoltò il piagnisteo con un sopracciglio alzato, ma lo lasciò sfogare, chiedendosi se fosse normale essere così incoerenti a undici anni. Merlino, odiava insegnare. E come avesse potuto Lucius viziare in quel modo il figlio, Severus proprio non lo concepiva.

Come il marmocchio si fermò per riprendere fiato, Piton decise di intervenire prima che ricominciasse. Voleva finire in fretta, così non avrebbe perso la cena e avrebbe anche avuto il tempo di passare per il suo studio per rilassarsi prima di scendere in Sala Grande. «Finiscila con questa scenata, Draco. Dovresti vergognarti di te stesso, i tuoi genitori sarebbero orripilati se ti vedessero adesso. Quanto a Montblanc, è stata fatta un’eccezione perché la squadra aveva disperato bisogno di un valido cercatore. Dovresti essere contento per la tua casa che Henri sia così bravo. Questo non fa certamente di lui un privilegiato, te lo posso assicurare».

Il ragazzo, sembrò ricomporsi sentendo le sue parole, ma dopo l’ultima frase i suoi lineamenti si distorsero in una smorfia di derisione. «Si certo, come no. A lui gli fate passare tutto».

«Non fare il bambino, sai che non è vero».

«Si invece» sbottò Draco «Lei sta qua a farmi una predica solo perché ho portato il mio manico di scopa, come se fosse chissà che crimine, e nessuno dice niente a Montblanc che dall’inizio dell’anno tiene un serpente di un metro nel dormitorio! È assolutamente ingiusto!»

Continuò a blaterare, ma Piton non stava più ascoltando. Montblanc. Un serpente. Di un metro. Una volta nel suo ufficio avrebbe avuto bisogno di una burrobirra, altroché.

«A Montblanc ci penserò io» disse, interrompendo la sequela di recriminazioni del giovane Malfoy. «Ma ciò non cambia il fatto che sei in punizione. E spero che sia l’ultima volta per quest’anno. Ricordati che il cognome che porti con tanto orgoglio comporta anche dei doveri, tra cui il mantenere un certo contegno, e non frignare come un moccioso di quattro anni per una scopa da corsa. Falla sparire entro domani mattina». Senza aspettare la replica, uscì dalla stanza e girò a destra, verso l’altro dormitorio, seccato dal fatto che rischiava di perdere la cena.

Entrò nella stanza e fu lieto di vedere che Montblanc era da solo. Evidentemente gli altri erano già scesi.

«Voleva qualcosa signore? Stavo per scendere per il banchetto» disse il ragazzo. Severus osservò la sua posa, così diversa da quella di Malfoy. Il ragazzo era tranquillo, eppure Piton poteva vedere che si stava chiedendo il motivo della visita e stava elaborando delle ipotesi. Se anche sospettava che fosse per il serpente, non mostrò segni di nervosismo.

Non aveva ancora deciso se gli piaceva Montblanc. Era un vero prodigio e aveva senza alcun dubbio un brillante futuro davanti a sé, eppure nonostante l’indifferenza che mostrava, Piton non si lasciava ingannare. Il ragazzo era tutto fuorché modesto, e aveva fin troppa faccia tosta, ma se credeva di poter fare quello che voleva si sbagliava di grosso. «Signor Montblanc, per caso ha ancora la sua lettera di ammissione a Hogwarts?»

Per un istante, vide qualcosa negli occhi del ragazzino. Confusione, sorpresa, paura. Durò un secondo, ma il pozionista ne rimase affascinato. Era la prima volta che coglieva un’esitazione simile nel ragazzo. Non si era aspettato questa reazione, evidentemente Montblanc aveva intuito dove voleva andare a parare. Encomiabile, davvero.

«Mi scusi signore?» domandò Henri, come per prendere tempo.

«La lettera. Tirala fuori» ordinò Piton.

Con espressione indecifrabile, il ragazzo gli diede le spalle e prese a frugare nel suo baule. Severus approfittò della sua distrazione per osservare la stanza. Individuò subito quello che cercava. Il letto di Montblanc era sulla sinistra; davanti a lui, sul letto destro del letto, il ragazzo stava cercando nel baule, abbastanza lentamente da fargli pensare che stesse cercando di elaborare un piano. Il professore si spostò leggermente a sinistra, in modo da avere la visuale dell’altro lato del baldacchino, e scorse una teca di vetro che spuntava da sotto le lenzuola. Montblanc finalmente si risollevò. Gli porse la lettera, ma Piton non la prese. Invece, sussurrò perentorio: «Leggila».

Henri la riavvicinò a sé, e dopo avergli lanciato uno sguardo incerto cominciò a leggere il messaggio della vicepreside. Come ebbe finito rialzò gli occhi su di lui, in attesa. «Continua» ordinò Severus.

Perplesso, il ragazzo lesse ad alta voce l’elenco dei libri, interrompendosi di tanto in tanto per guardarlo, la confusione evidente nel suo viso. «Un telescopio. Una bilancia in ottone. Gli allievi possono portare anche un gufo, oppure un gatto, oppure un rospo. Oh» esclamò bloccandosi.

Severus osservò con leggero divertimento la nuova gamma di emozioni che passò per gli occhi del ragazzo. Comprensione. Sollievo (ma perché sollievo?), e nervosismo.

«Allora, Montblanc? Mi sembra che la lettera sia chiara. L’hai riletta tutta. Per caso hai trovato menzione alla possibilità di introdurre pericolosi serpenti nei dormitori?»

Il ragazzo lo guardò con aria colpevole. «No, signore» disse, spostandosi con aria casuale e andando a frapporsi tra il professore e la teca. «Ma lasci che le spieghi. Zar non è pericoloso. Lui…»

«Non voglio sentire spiegazioni. Congratulazione, sei nuovamente in punizione. Ora dammi il serpente».

«NO!» urlò il ragazzo non appena Piton si sporse per prendere il terrario.

Due volte in un giorno. Questo non era mai successo. Forse stava invecchiando. «Che cosa hai detto?» sibilò.

«Zar è mio amico, e non è affatto pericoloso! E poi questa regola non la rispetta nessuno, in stazione c’era un grifondoro con una tarantola appresso!»

«Montblanc, per oggi ho raggiunto la quota di piagnistei che posso sopportare. Non m’interessa se pensi che un serpente possa essere un tenero animaletto da compagnia. Non puoi tenerlo. Ora fatti da parte». Allontanò il ragazzo con un gesto brusco, senza tuttavia fargli male, e sollevò la gabbia del serpente, che come aveva detto Malfoy doveva essere lungo quasi un metro.

Fu un attimo. Si voltò per uscire, e quasi non si accorse che il vetro della teca era scomparso. Il serpente si lanciò verso il suo collo, pronto ad azzannarlo, e Piton cercò di prendere la bacchetta, consapevole che non avrebbe mai fatto in tempo…. E poi il serpente si fermò e si ritirò, voltandosi verso Henri che stava…

No.

No. Non era possibile. Sentì Montblanc sibilare, vide il serpente strisciare verso di lui e salirgli sulle spalle. Vide Henri accarezzare il rettile, proprio come…

No.

Guardò il ragazzo in viso, quasi aspettandosi di vedere i suoi lineamenti cambiare, i suoi occhi diventare ardenti e rossi. Ma gli occhi di Henri erano verdi come al solito. Verdi. Verdissimi.

Le sue gambe cedettero. Si sedette sul letto. Vide il serpente scendere dalle spalle del ragazzo, sentì lo sguardo di Henri su di sé, ma non gli prestò attenzione. Tenne i suoi occhi piantati sul pavimento, persi nella contemplazione di cose distanti.

Sciocco, sciocco Severus, spaventato da qualche sibilo emesso da un undicenne.

Stupido, stupido cuore, che perde un battito ogni volta che si trova davanti a un paio di banalissimi occhi verdi. No, non banali. Verde acceso, brillante, come il più mortale dei veleni, come la maledizione che tolse la luce a due paia di occhi molto simili.

No.

Ringraziando l’esistenza dell’Occlumanzia, si concentrò sulle sue difese, respingendo quei pensieri deliranti. Dopo aver ripreso controllo di sé, un’altra emozione lo invase. Furia.

Quel ragazzino. Quel marmocchio col moccio al naso aveva osato….

Si alzò di scatto e con soddisfazione vide Montblanc arretrare. C’era paura adesso negli occhi del ragazzo. «Sarai espulso per questo» sibilò Piton.

«No, non sono stato io!» strillò il ragazzo «Non so come sia successo, il vetro è semplicemente scomparso!»

«Semplicemente scomparso?» ripeté il pozionista, furioso come non mai. Afferrò il braccio del ragazzo e lo tirò a sé, piantando gli occhi dentro i suoi, incurante dei suoi disperati tentativi di liberarsi. Entrò nella mente del ragazzo, spazzando via le sue deboli barriere. Registrò distrattamente che Henri sembrava sapere esattamente cosa stava facendo, ma ci avrebbe pensato più tardi. Le emozioni del primino non lo stupirono, gliele aveva lette in faccia pochi istanti prima. Non ebbe molta difficoltà a trovare quello che stava cercando, il ricordo era ancora fresco.

Vide sé stesso afferrare il terrario. Vide il serpente uscire. Sentì la sorpresa di Montblanc e le parole che aveva urlato: “No Zar, fermati”. Sentì il sollievo del ragazzo quando il rettile ubbidì, la preoccupazione per lui, Piton, pallido e sconvolto. Sentì Montblanc mormorare: ”il vetro. Cosa diavolo è successo al vetro?”. Poi però un’ondata di magia potentissima lo scagliò lontano dall’undicenne, mandandolo a finire contro la parete e interrompendo il contatto visivo.

«STIA FUORI DALLA MIA TESTA!» urlò Henri, pallido e spaventato.

Severus si rialzò in piedi. Notò che il ragazzo aveva la bacchetta puntata contro di lui, la stessa bacchetta che prima stava sul comodino. Non era stato Montblanc a far sparire il vetro. Ma allora come? «Metti giù la bacchetta» sussurrò.

«Lei non aveva il diritto» urlò Henri, senza dargli ascolto.

«Avevo tutto il diritto!» gridò Piton, sentendo la rabbia montare nuovamente. «Il tuo serpente mi ha aggredito, e tu non hai idea del guaio in cui ti trovi. Abbassa la bacchetta ora, e ci sarà ancora una possibilità per te di restare in questa scuola».

Per un’istante, credette che il ragazzo avrebbe osato lanciargli contro un incantesimo, ma poi parve calmarsi e tornare a ragionare. Abbassò la bacchetta, e Severus tirò mentalmente un respiro di sollievo. Le cose erano decisamente degenerate. Si sentiva indolenzito nel punto dove aveva sbattuto, e si accorse con una fitta di rimorso che si stavano formando dei lividi sul polso di Henri. «Fai scendere il serpente lì» disse con calma, visto che il dannato rettile era tornato ad acciambellarsi attorno alle spalle del ragazzo.

«Non provi a fargli del male» sussurrò Henri, supplicante.

Si trattenne dal sbuffare. «Montblanc, il tuo animaletto per poco non mi azzannava» gli fece notare.

«Solo perché lei lo stava portando via» replicò il ragazzo. «L’ha percepita come un nemico».

«Sentimento ricambiato. Non ho intenzione di avvicinarmi finché quel coso sarà a piede libero» prese il terrario e lo riparò, poi si rivolse verso Henri «Fallo entrare prima che la mia pazienza si esaurisca. Non gli farò del male, per ora».

Il ragazzo esitò, ma infine prese il serpente con delicatezza e lo appoggiò al suolo. Sibilò qualcosa e l’animale entrò nel terrario. Henri si risollevò in piedi, in attesa.

«I tuoi compagni sanno che sei rettilofono?» chiese Severus dopo qualche minuto di silenzio carico di tensione.

«No, non lo sa nessuno».

«Saprai di certo che è una dote molto rara. Serpeverde era un rettilofono».

Il ragazzo scrollò le spalle. «Non era l’unico grande mago con questo dono» si lasciò sfuggire, prima di mordersi le labbra, pentito.

Di nuovo arrabbiato, Piton chiese, sarcastico: «Ah si? E chi per esempio?» sfidandolo a rispondergli, a pronunciare quel nome….

«Merlino».

Lo aveva sussurrato a voce così bassa che per un secondo Severus pensò di esserselo immaginato. Di sicuro non era la risposta che si era aspettato. «Dove hai sentito che Merlino fosse un rettilofono?» chiese, stupito.

«Io… l’ho letto in un libro».

«Una lettura sicuramente interessante» commentò ironico. «E la tua abilità da dove viene?»

«A quanto ne so, avevo un antenato rettilofono. Ho preso da lui. Non tutti i rettilofoni erano maghi celebri come Serpeverde o Merlino».

Severus annuì, pensieroso. Poteva essere la verità? Non sapeva molto sull’argomento, ma era una spiegazione plausibile. Si chiese però se Montblanc avesse percepito il nome che aleggiava nell’aria dall’inizio della conversazione, se avesse dedotto quali pensieri gli erano passati nella mente. Ipotesi assurde, fantasiose. Terribili. Scosse il capo. Si chiese se dovesse parlarne con Albus. Sicuramente il preside avrebbe voluto sapere che c’era un altro rettilofono in Gran Bretagna. Guardò il ragazzo. Uno dei suoi serpeverde, che aveva il compito di proteggere. A Silente non sarebbe piaciuto scoprire dell’abilità di Montblanc, soprattutto se avesse saputo del suo interesse per il terzo piano. Si chiese se anche Albus avrebbe avuto il suo stesso pensiero. Non era come se non ci fossero donne abbastanza fanatiche per fare una cosa del genere, bastava pensare a Bellatrix. Ma il Signore Oscuro non aveva certo alcun interesse a riempire l’Europa di suoi bastardi, e non era il tipo che indugiava in certi… passatempi. Il solo pensiero lo riempì di disgusto. No, probabilmente stava solo diventando paranoico, e Montblanc aveva detto la verità e la spiegazione per il suo dono era davvero così semplice, così scontata. E se lo avesse detto ad Albus, sarebbe venuto meno ai suoi doveri di capocasa per niente. No, non avrebbe parlato con il preside, non prima di aver indagato sulla faccenda.

«Non puoi tenere il serpente».

Henri si tese nuovamente e parve sul punto di rimettersi a urlare, ma poi sembrò calmarsi. Di nuovo, Piton si chiese se il ragazzo non stesse già studiando per diventare un occlumante. «Non è pericoloso, posso parlargli, posso controllarlo» disse il ragazzo.

«Ci sono comunque delle regole…»

«Ma io ci parlo! Zar è mio amico, il mio confidente, non un semplice famiglio. Non le permetterò di portarlo via».

Severus guardò l’animale, acciambellato a terra e apparentemente tranquillo. Con un sospiro, chiese: «Quanto diventerà grande?»

«Sei metri credo. Forse un po’ di più».

La risposta sincera lo stupì, ma si ricompose subito. Aveva già notato che Henri era uno diretto, e aveva il potere di spiazzare il pozionista, abituato com’era a districarsi tra le sottili allusioni e i giochi di mezze verità tipici dei serpeverde. Non che Montblanc mancasse di sottigliezza. Sembrava usare sincerità come tattica e sorprendentemente, funzionava.

«Ti renderai conto che non potrai tenerlo, sarà più lungo del tuo letto».

«Non crescerà mica stanotte! Quando succederà troverò un’altra soluzione, ma per ora non creerà problemi, glielo prometto».

«Molto bene» cedette Severus. «Ma non dovranno esserci incidenti, e voglio che tu tenga la tua abilità segreta. Lo dico per te» aggiunse, guardandolo dritto negli occhi «Rischi di attirare attenzione indesiderata».

Il ragazzo annuì, e il volto gli si distese in un mezzo sorriso.

Distrutto, Severus lasciò il dormitorio. Gli parve di udire un «grazie» esalato dal ragazzo, ma non se ne curò. Al diavolo la cena e la burrobirra! Quella sera aveva bisogno di un FireWhisky.

 

 

Non appena Piton ebbe lasciato la stanza, Harry si buttò sul letto e prese a sbattere la testa contro il cuscino.

Stupido. Stupido. Stupido.

Ma come aveva fatto Piton a scoprire Zar? Probabilmente i suoi compagni di dormitorio avevano fatto la spia. Nott, o magari Zabini. Ma non aveva importanza ora. Poteva prendersela solo con se stesso, avrebbe dovuto gestire meglio la situazione. Aveva fatto il nome di Merlino! Stupido, stupidissimo. Come se non fosse abbastanza grave che Piton avesse scoperto che era rettilofono! E lui gli aveva quasi detto da dove veniva il dono. Avrebbe scoperto la verità? Sarebbe stato in grado di risalire nei secoli fino ai fasti della famiglia Montblanc, e da lì scoprire del suo famoso antenato? Lavr c’era riuscito, ma lui aveva risorse di cui il pozionista sicuramente non disponeva. E il segreto più importante, quello era al sicuro. Non c’era verso che Piton scoprisse il collegamento tra i Montblanc e Lily Evans.

E che importanza aveva in fondo se anche Silente in persona avesse scoperto che discendeva da Merlino? Non era una cosa che doveva nascondere per forza. Aveva scelto il cognome Montblanc proprio per rivendicare il suo lignaggio, dopotutto.

Rincuorato, si sollevò a sedere. Rimaneva ancora una questione da chiarire. Aprì il terrario, e lasciò che Zar si sistemasse sul letto.

"Zar, cosa è successo prima?" chiese accarezzando la testa del serpente.

      "Non permetterò a nessuno di portarmi via dal padroncino" replicò l’animale, sollevandosi alla sua altezza.

Harry si lasciò sfuggire un sorriso. "Beh, è commovente sapere che ci tieni a me, soprattutto considerato che ogni volta che parliamo mi tratti come un idiota." Sospirò. "Vorrei solo capire come hai fatto ad uscire dal terrario. Devo aver fatto una magia accidentale, ma come è possibile che non me ne sia reso conto?"  

    "Il padroncino avrebbe dovuto liberarmi quando l’uomo ha minacciato di portarmi via. Visto che il padroncino non è stato abbastanza sveglio, ci ho pensato da solo".  

    "Pensato da solo? Che intendi dire?" domandò il ragazzo, smettendo di accarezzarlo.                                                                                                                                                                                                                                                    
"Ho tolto il vetro

"Ma non puoi averlo fatto! Insomma, non puoi mica usare la magia… o sì?"

"Perché pensi che non possa?"
lo derise il serpente.


Harry non rispose. Ci doveva essere un’altra spiegazione. Aveva letto diversi libri sui serpenti magici. Venivano chiamati così perché erano più intelligenti di quelli comuni, e alcuni avevano delle capacità particolari. Sapeva per esempio che il veleno degli Agares come Zar aveva le stesse proprietà di quello del basilisco. Ma fare delle vere e proprie magie?

   "Il padroncino sembra sorpreso".

   "I serpenti non possono… voglio dire, come fai ad usare la magia?"

           "Il padroncino come fa?" rigirò la domanda il rettile.

A Harry venne da rispondere che ovviamente lui era un mago, ma si bloccò, capendo cosa gli stesse realmente chiedendo il suo famiglio. Se gli umani, gli elfi, i goblin potevano usare la magia, perché lo scioccava tanto l’idea che anche Zar potesse? Merlino sapeva che l’intelligenza non gli mancava. Eppure…D’un tratto si ricordò lette diverse anni prima.

Alcuni testi greci e romani riportano la teoria che i demoni siano la sorgente stessa della magia… Se questo sia stato progettato volontariamente è opinabile. Considerata la natura di questi esseri, è probabile che la loro magia si sia riversata sul mondo spontaneamente, senza che uno di essi abbia consciamente deciso di donarla ai mortali.

Quando era arrivato a Hogwarts era rimasto sorpreso nello scoprire di essere più potente dei suoi compagni. Le difficoltà incontrate dagli altri studenti nell’eseguire magie che a lui apparivano facili lo avevano lasciato attonito. Era innegabilmente migliore di loro, ma non si mai chiesto da dove venisse il suo potere. Dopotutto, era il discendente di Merlino, e l’unico a essere mai sopravvissuto all’Anatema mortale; ma ora si chiese se non ci fosse dell’altro, se sarebbe stato così potente se Lavr non lo avesse mai salvato dai Dursley. L’idea lo metteva a disagio. Si sentiva quasi un parassita.

Si riscosse da quei pensieri. Era solo un’ipotesi in fondo, e se anche fosse stato vero, non cambiava quello che era, non sminuiva le sue capacità.

“Si, invece” disse una vocina dentro di lui “perché significherebbe che quella che credevi la tua essenza è solo frutto del caso

   "E' per via di Lavr?" sussurrò il ragazzo, sapendo la risposta eppure sperando con tutto se stesso di sbagliarsi.

"Il Dio emana potere".

Non era una negazione, ma nemmeno una conferma esplicita. Harry sospirò. Avrebbe affrontato il discorso con Lavr quando lo avrebbe rivisto, e nel frattempo avrebbe evitato di rimuginare sulla faccenda.

   "Aspetta un secondo" realizzò ad un tratto. "Hai usato altre volte la magia per uscire dal terrario?" 

    Il serpente ridacchiò.

   «Oh Grindewald!» esclamò Harry, lasciandosi nuovamente cadere sul letto e coprendosi il viso con le mani. "E se ti vedessero?"

"So come evitarlo"

"Ma non mi dire" commentò il ragazzo, sarcastico "Avrei dovuto lasciare che ti portassero via. Visto che dici che sono il tuo padroncino, non dovresti obbedirmi?"


Zar sembrò pensarci su. "No. Obbedirò al padroncino quando lui sarà degno".

   "Come pensavo" si rassegnò il ragazzo. Guardò l’ora. La cena stava quasi per finire. Si chiese se visto che era tardi per andare a mangiare non fosse il caso di approfittare dell’assenza dei suoi compagni per vendicarsi della soffiata a Piton, ma dismise l’idea. Non era certo che Zabini o Nott avessero fatto la spia. Guardando la stanza vuota, però si accorse che c’era qualcosa per terra. Si avvicinò. Era l’agenda di Philippe, probabilmente era caduta durante il confronto con Piton. La raccolse e fece per rimetterla nella borsa del compagno, ma la curiosità lo trattenne. Aveva notato che Philippe teneva l’agenda sempre con se, e spesso la consultava con fare furtivo.

Sentendosi leggermente in colpa, l’aprì. Le pagine erano bianche, ad eccezione di alcune colorate di rosso. Harry le sfogliò, chiedendosi il significato. Sembrava esserci una pagina colorata per ogni mese. Con la fronte aggrottata, rimise l’agenda al suo posto.

Nota importante: Harry non sa che Voldemort era rettilofono. Nei libri si vede chiaramente che sono poche le informazioni sul signore oscuro note al grande pubblico, per così dire. Penso che solo la cerchia più stretta dei mangiamorte ne fosse a conoscenza, oltre naturalmente a Silente e alcuni membri dell'ordine. Veles lo sa,  e in uno dei primi capitoli l'ha detto a Lavr, ma il demone non ha mai sentito l'esigenza di riferirlo a Harry, perché pensa che non abbia niente a che fare con lui e non gli ha mai parlato molto di Voldemort. Penso fosse importante chiarirlo, soprattutto per il futuro :) Alla prossima.

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Capitolo 16
*** Notte di luna piena ***


.....
Ehm. Lo so, lo so. Gli aggiornamenti regolari sono andati a farsi friggere. Purtroppo, anche con tutta la buona volontà del mondo, possono succedere degli imprevisti, come andare all'università e dover cambiare casa dopo una settimana per trasferirsi in un'altra senza internet. E adesso non so bene come fare... intanto approffito dei  santi per pubblicare gli ultimi capitoli del primo anno. Il prossimo aggiornamento sarà o venerdì o sabato, e poi si vedrà.  Non appena avrò nuovamente accesso a internet, riprenderò ad aggiornare. Nel caso peggiore, dovrete aspettare le vacanze di natale :( Io però continuerò a scrivere, e spero che nonostante tutto anche voi non abbandoniate la storia.  Per quanto riguarda il capitolo, è strettamente connesso con il successivo, quindi non mi sembrava giusto farvi aspettare fino a natale. Che altro posso dire? Spero vi piaccia, ma vi do un consiglio: i fan di Sua Oscurità tengano lo champagne ancora ben tappato, la strada per la Sua rinascita non è poi così in discesa ;)




Saltò fuori che era stato Malfoy a fare la spia su Zar. Harry non poté certo dirsi stupito, ma decise che la rabbia di Draco per il fatto che era riuscito a tenersi il serpente fosse una vendetta sufficiente. Evidentemente però il biondo andò a lagnarsi con Piton, perché il primo giorno di punizione questi annunciò a Henri che, considerato che gli aveva permesso di tenere Zar, era giusto che scontasse più di una settimana di detenzione. Harry non protestò, anche perché era convinto che Piton l’avesse fatto non tanto per chiudere la bocca a Malfoy, ma anche perché iniziava ad apprezzare il vantaggio di avere lui a preparare le pozioni più semplici e noiose per l’infermeria. Le ore di detenzione con il suo capocasa divennero parte integrante della sua quotidianità, e in fondo non gli dispiacevano. I suoi voti in pozioni senz’altro ne beneficiarono.

Il rapporto con il pozionista era strano. Harry lo teneva d’occhio per avere informazioni sulla pietra. Da parte sua Piton lo studiava con sospetto; più di una volta Harry si chiese il motivo di tutta questa diffidenza, del resto non aveva fatto niente di così grava da meritarsela, a meno che l’atteggiamento circospetto del professore non fosse dovuto a Zar. Possibile che il capocasa di Serpeverde avesse dei pregiudizi contro i rettilofoni? Suonava come un controsenso.

Anche le lezioni di Raptor, dopo Natale, divennero ben più interessanti. Harry le trascorreva ignorando i compiti elementari che il professore assegnava per concentrarsi invece su di lui. Grazie al suo attento studio notò che il balbettio di Raptor era troppo perfetto e regolare per essere vero, e quando credeva di essere solo la sua camminata assumeva una nuova sicurezza, la sua postura si raddrizzava e il suo sguardo si induriva. Si chiese come facessero gli altri a non notarlo, ma nemmeno lui si era accorto di niente prima che la verità gli venisse sbattuta in faccia.

Non aveva parlato a nessuno della pietra. Si era domandato per giorni se dirlo o meno a Philippe, ma alla fine aveva deciso di no. Non poteva spiegare come aveva scoperto la natura dell’oggetto misterioso senza ammettere che aveva fonti fuori dal castello, e non sapeva come l’amico avrebbe preso la notizia che Raptor lavorava per Voldemort. Senza dubbio, se l’avesse detto a Malfoy, il ragazzino sarebbe corso entusiasta a dirlo al padre, ma Harry non riusciva a immaginare quale sarebbe stata la reazione di Philippe. Non sapeva in che ambiente fosse cresciuto, né cosa pensasse di Voldemort. Magari non gliene fregava nemmeno niente, visto che era francese.

No, non poteva parlarne a Philippe, non finché non avesse scoperto la verità sul suo conto. La sua storia, il motivo per cui si trovava in Inghilterra, il suo legame con i Leroy, e soprattutto la ragione delle sue frequenti sparizioni. Harry era certo che Philippe spariva non andasse in infermeria le volte che spariva. Si era intrufolato una notte, per avere la conferma, e aveva visto che non c’era nessuno nei letti. Non lo aveva ancora affrontato direttamente, sarebbe stato più facile scoprire la verità se l’amico non avesse avuto idea che stava indagando su di lui.

Il rapporto con gli altri suoi compagni era sempre freddo, ma almeno Draco sembrava aver trovato qualcun altro a cui dare il tormento. Doveva essere successo qualcosa tra lui e Ron Weasley durante la partita di Quidditch tra grifondoro e tassorosso, perché dal giorno il biondo aveva fatto del provocare il rosso la sua missione. Stando a quanto diceva Daphne, Malfoy, Weasley e Paciock se le erano date sulle tribune, ma quale che fosse il motivo, Harry era contento di non essere più il bersaglio principale delle infantili provocazioni del figlio di Lucius, senza contare che la nuova rivalità tra i due primini portò risultati insperati: una mattina, i serpeverde si svegliarono e scoprirono con grande gioia che la clessidra dei grifondoro si era praticamente svuotata durante la notte. Si diffuse poi la notizia che la McGranitt aveva beccato Weasley, Paciock, Thomas, Finnigan e Malfoy in giro per i corridoi di notte; Harry sentì Draco raccontare a Blaise e Theo, a colazione, di come il guardiacaccia si fosse tenuto un drago in casa per settimane, e Weasley e gli amici lo avessero aiutato a farlo sparire. I quattro grifondoro avevano perso duecento punti in un solo colpo, così nessun serpeverde se la prese con Malfoy per i cinquanta sottratti a Serpeverde, anzi, venne acclamato come un eroe per aver fatto la spia alla McGranitt. Grazie anche ai punti guadagnati per le vittorie a Quidditch, Serpeverde era in testa alla classifica e ormai aveva la vittoria in tasca. Flint era determinato a garantire alla casa verdeargento anche la coppa del Quidditch, così raddoppiò le ore di allenamento settimanale.

Nel frattempo, gli esami si avvicinavano e la biblioteca diventava ogni giorno più affollata, ma Harry era sereno. Era il migliore del suo anno e non avrebbe avuto problemi. La prossimità degli esami lo portò ad avvicinarsi agli altri serpeverde. Piton incoraggiò i primini a studiare insieme, e Harry cominciò a incontrarsi regolarmente con i suoi compagni in biblioteca o in sala comune per prepararsi assieme agli esami. Nonostante all’inizio lo facesse controvoglia, dopo un po’ cominciò a trovare piacevole le ore trascorse a studiare con gli altri, senza contare che Draco, Blaise e Theo erano abbastanza desiderosi di ricevere il suo aiuto da comportarsi civilmente anche con Philippe, almeno in sua presenza.

Lavr gli scrisse diverse volte, sempre raccomandandogli di starsene fuori dai guai, ma le sue lettere avevano l’effetto opposto: gli ricordavano della pietra, di Voldemort e delle cose che gli aveva detto Veles. Si era imposto evitare le tentazioni e stare lontano dal terzo piano, almeno fisicamente, ma nella sua testa la pietra era un chiodo fisso. Non riusciva a decidere cosa fare. C’erano giorni che si sentiva scoppiare all’idea di non far niente mentre uno squilibrato cercava di resuscitare il Lord Oscuro, altri in cui si convinceva che, davvero, non erano affari suoi - che se la sbrigasse Silente! -, infine, c’erano giorni in cui, per quanto cercasse di sopprimerlo, sentiva montare il desiderio di andare da Raptor e affrontarlo. Chiedergli perché lo stesse facendo, a che scopo servire un pazzo, cosa si aspettasse di ottenere.

Chiedergli com’era Lui.

È così, profondamente indeciso, lasciò passare le settimane e i mesi senza far niente. O forse il suo atteggiamento passivo significava che aveva già scelto: scelto di lavarsene le mani, di pensare al Quidditch e alla scuola e non al destino del mondo magico. Ma non era tranquillo. Le parole di Veles tornavano a torturarlo, e la cicatrice bruciava quasi quotidianamente, accusandolo. Stava aiutando Voldemort? Il suo menefreghismo avrebbe contribuito a far cominciare una nuova guerra? Ma lui aveva solo undici anni, non era compito suo fermare il lord oscuro, non finché a Hogwarts c’era Silente. Silente, l’unico mago che Voldemort avesse mai temuto. Finché ci fosse stato lui a proteggerla, Voldemort non avrebbe osato prenderla.


Vennero infine gli esami. Come previsto, Harry non incontrò difficoltà; ciononostante, uscì dall’aula di Storia della Magia, dove aveva dato l’ultimo, con il cuore più leggero. Sentì la Granger parlare con Paciock delle risposte che aveva dato.

«Cavolo, ma come fa quella?» sussurrò Philippe, scioccato. «Io mi sono già dimenticato quali erano le domande, e meno male direi. Fra una settimana usciranno i risultati, nel frattempo possiamo goderci la riconquistata libertà».

«Hai perfettamente ragione» concordò vivacemente Harry. «Penso che dopo tante ore in biblioteca sia il caso di uscire un po’, tu che dici?».

Philippe esitò un secondo, ma poi annuì sorridendo. I due uscirono dal castello. Il parco era pieno di studenti che avevano avuto la loro stessa idea, così decisero di allontanarsi un po’ per trovare un posto tranquillo. Si spinsero fin quasi alla foresta proibita, sedendosi all’ombra di un grande salice davanti al lago nero. Non c’era nessuno, a parte loro, i gemelli Weasley e Lee Jordan che in lontananza si divertivano a stuzzicare la piovra gigante.

«Sembra impossibile che sia già passato un anno» disse Philippe.

«Già, incredibile» mormorò Harry, quasi a se stesso. Ancora poco più di una settimana, e sarebbe tornato a casa. Ma ormai anche Hogwarts era un po’ casa sua. Gli sarebbe mancata. Quasi inconsapevolmente, si strofinò la fronte, la dove si trovava, nascosta, la cicatrice. L’anno scolastico era giunto al termine e Raptor non era riuscito a mettere le mani sulla pietra. Forse, dopotutto, Silente sapeva quel che faceva, e lui aveva fatto bene a non mettersi in mezzo.

Vide un tentacolo della piovra uscire dall’acqua e afferrare Lee, e rise di cuore quando i gemelli si portarono le mani nei capelli, recitando ad alta voce un epitaffio tanto solenne quanto volgare per il loro amico scomparso, prima di buttarsi in acqua a ripescare il povero grifondoro. Dopo pochi secondi i tre riemersero dall’acqua e si diressero verso il castello, ridendo spensierati e orgogliosi della loro ultima prodezza.

Harry e Philippe invece si trattennero nel parco, giocando a gobbiglie e parlando di tutto fuorché di esami. Dopo un’oretta però, Philippe si portò una mano allo stomaco, con una smorfia dolorante.

«Non dirmelo!» esclamò Harry «stai di nuovo male».

Philippe arrossì, ma non rispose.

«Vuoi che ti accompagni in infermeria?» domandò Harry, più freddamente di quanto non volesse.

Come previsto, l’amico declinò l’offerta, evitando accuratamente di guardarlo in faccia mentre diceva «non preoccuparti, faccio da solo. Tu resta pure qui».

Harry non insistette. Lo osservò raccogliere le sue cose frettolosamente, lasciando anche cadere un libro a terra per il nervosismo, e lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il castello, la sua sagoma che diventava sempre più piccola. Un anno, e l’unico vero amico che si fosse fatto al castello era praticamente un estraneo. Per un attimo fu tentato di rincorrerlo, scagliargli una fattura e urlargli che le sue patetiche scuse non convincevano nessuno, e che lui esigeva di sapere la verità, ma si rese conto che sarebbe stato tremendamente ipocrita da parte sua. Prese un bel respiro, e decise di approfittare della solitudine per dedicarsi agli esercizi di meditazione che aveva trovato nel libro di Occlumazia regalatogli da Lavr per natale.

Chiuse gli occhi, e si sforzò di non pensare a niente se non al proprio respiro. All’inizio non fu facile, migliaia di pensieri affioravano nella sua mente, ma dopo qualche minuto riuscì a calmarsi e concentrarsi solo sui delicati suoni che lo circondavano. Le fronde degli alberi mossi da un alito di vento, il leggero incresparsi della superficie del lago. Attraverso le palpebre chiuse percepiva il colore caldo del tramonto, e il tronco a cui era poggiato era comodo e avvolgente come una nicchia. Si sentiva in pace, libero e senza preoccupazioni come non era stato da settimane. Gli esami erano finiti, l’estate era alle porte, e stava così bene lì accoccolato vicino al lago…


Era euforico, esaltato e trepidante come non si sentiva da anni, ma sembravano secoli. Finalmente, l’occasione perfetta gli si era offerta senza che dovesse pensarci lui. Quel babbeo di Hagrid era stato fin troppo facile da abbindolare, l’ennesima prova di quanto fosse sciocco, Silente, a fidarsi. E ora il vecchio era lontano, a Londra, e quando sarebbe tornato sarebbe stato troppo tardi. Ora che sapeva come superare il cane non avrebbe avuto problemi con le altre protezioni. Mesi di tentativi, e ora solo poche ore lo separavano dall’impadronirsi della pietra, dal proprio ritorno. Dopo undici anni di orribile, estenuante sopravvivenza, Lord Voldemort avrebbe riavuto il suo corpo, e non sarebbe più stato costretto a dipendere da animali e idioti come Raptor, non avrebbe più dovuto nascondersi da patetici auror il cui potere era niente, niente in confronto al suo. Nessun altro si era spinto in là quanto lui nel mettere alla prova la magia, nessun altro avrebbe potuto resistere alla condizione miserabile a cui era stato costretto quando qualcosa era andato storto nell’attacco ai Potter. Un errore che non si sarebbe ripetuto. Stanotte, stanotte. Interiormente urlava di gioia. Quale ironia, che il suo ritorno sarebbe avvenuto rubando la leggendaria pietra filosofale da sotto il naso di Albus Silente! Mancava poco, pochissimo…


Harry aprì gli occhi. La cicatrice a forma di saetta bruciava e il cuore gli batteva furioso nel petto. Si alzò a sedere, confuso, appoggiandosi al tronco dove si era… addormentato? Il sogno era stato tanto vivido che per un secondo si aspettò di trovarsi Voldemort davanti, di sentire urla, di vedere bagliori di incantesimi, ma tutto attorno a lui era calmo. Doveva aver dormito diverse ore: il parco era buio e poteva vedere la luna sorgere attraverso il velo delle nuvole. Si sentì assalire dal panico. Era fuori nel parco, di notte. Sicuramente il portone era chiuso da ore.  E la pietra…. Strabuzzò gli occhi. Doveva tornare al castello, subito, non importava se si sarebbe cacciato nei guai, doveva avvisare qualcuno.

«Bella nottata, eh?» disse una voce allegra alle sue spalle.

Harry trasalì e si girò con la bacchetta stretta in pugno, solo per trovarsi davanti i due gemelli Weasley. Sollevato, abbassò la bacchetta, senza tuttavia riporla in tasca. «Voi che ci fate qui?» chiese.

«Sentito Fred? Chiede cosa facciamo qui».

«Festeggiamo, mi sembra chiaro. Secondo te cosa potremo mai fare, di notte nel parco?» domandò il secondo gemello, con un sorrisetto canzonatorio.

«Ehm» fece Harry, a cui francamente non importava niente dei due grifondoro in quel momento. Forse nel mentre che lui parlava con loro, Voldemort si avvicinava alla pietra. «Sentite, io devo assolutamente tornare al castello» esordì, ma George lo interruppe.

«Si beh, odio deluderti, ma il portone è leggermente chiuso al momento».

«Mi farò aprire» tagliò corto il serpeverde, decidendo che non aveva senso perdere altro tempo e girandosi per tornare a scuola. Uno dei gemelli, Fred probabilmente, gli si parò davanti, bloccandolo.

«Sentite» esclamò Harry, spazientito «io devo tornare subito al castello. Voi fate quello che volete, non dirò di avervi visto qui».

Fred si portò una mano sul cuore. «Ma è commovente!»

«Un serpeverde che copre due grifondoro per proteggerli da una punizione!» esclamò George, con voce fintamente rotta.

«Non ho voglia di scherzare» disse Harry, con tono mortalmente serio.

I due smisero di ridere. «Ascolta Henri; posso chiamarti Henri vero? In fondo ci siamo già conosciuti…» disse Fred, alludendo al loro incontro al binario nove e tre quarti. «Non succederà niente se passi la notte qui fuori. Insomma, a meno che i tuoi compagni non facciano la spia, ma anche in quel caso…. Se ora ti metti a bussare al castello rischi ben più di una punizione, se invece rimani hai qualche possibilità di farla franca. E puoi restare con noi, se hai paura. Noi siamo nati per aiutare i primini in difficoltà, ricordi?»

Sua malgrado, nonostante il terrore che provava e l’assurdità della situazione, Harry sorrise. «Anche se il primino in questione è una serpe?»

I due gemelli si guardarono, come se non avessero considerato la cosa, ma poi si strinsero nelle spalle. «Diciamola tutta, tu sei il nostro peggiore incubo» disse Fred.

«Già» convenne George «Sei un secchione serpeverde e per giunta nostro rivale a Quidditch, ma se ora ti lasciassimo fare qualcosa di stupido…»

«Come svegliare Gazza e farti espellere…»

«Non avremmo la soddisfazione di disarcionarti con un bolide alla prossima partita. E credimi, non vediamo l’ora di farlo» concluse Gerge con un ghigno.

«Che dire, sono davvero commosso. Ma voi non capite, devo assolutamente tornare al castello. Io ho… scoperto una cosa, e devo parlare con un insegnante. Si tratta del corridoio del terzo piano».

I due lo guardarono curiosi. «Oh, parli del cane?»

«Come sapete…» cominciò Harry, ma si bloccò. «Oh, non importa! Non ho tempo di spiegare, ma c’è un ladro nel castello, e devo avvisare Piton o la McGranitt, non m’interessa se finirò nei guai».

«Molto nobile da parte tua. Ricapitoliamo. Dopo un bel sonnellino ristoratore nel parco, ti svegli e improvvisamente ti ricordi che devi assolutamente tornare al castello, per compiere un atto nobile quale avvisare gli insegnanti di un imminente furto. Ho capito bene?» fece George, sarcastico.

«Sono curioso. Se la missione della quale sei stato investito è tanto importante, perché non ci hai pensato prima di addormentarti placidamente contro un albero?»

«O magari sei un veggente. Ma certo Fred, come abbiamo fatto a non capirlo prima? Henri qui ha avuto un sogno premonitore! E noi che pensavamo dicesse baggianate!»

«Non m’interessa se sembra assurdo e non mi credete» replicò Harry, cercando di non pensare che ci fosse un fondo di verità nelle loro parole. Si stava agitando tanto per un sogno. Un sogno incredibilmente vivido e realistico, ma pur sempre un sogno. Eppure non poteva fare altrimenti; se c’era anche una minima possibilità che avesse ragione, doveva sbrigarsi. «Non vi chiedo di fidarvi di me, non mi conoscete nemmeno. Però che motivi avrei di mentire? Come avete detto voi, ho solo da perdere a tornare al castello adesso, e certamente non potete pensare che lo faccia per tirarvi qualche tiro mancino, al massimo sono io che dovrei preoccuparmi di eventuali scherzi, visto con chi sto parlando. Fate come se non mi aveste visto. Datemi almeno il beneficio del dubbio quando vi dico che è una questione di vita o di morte».

I due gemelli lo studiarono in silenzio per qualche istante, assorbendo le sue parole, poi si guardarono e sospirarono teatralmente. «Lo stiamo facendo davvero, George?»

«Temo di sì, fratello» gli rispose l’altro, rassegnato.

Prima che Harry potesse chiedere di che diavolo stessero parlando, i due lo afferrarono per un braccio ciascuno e lo condussero a forza verso la foresta. «Se vuoi entrare nel castello, ci sono vie più rapide che prendere a calci il cancello finché qualcuno non viene a espellerti» gli spiegò Fred, prima che potesse ribellarsi.

«Ti stiamo facendo un grande onore a mostrartelo» asserì George, solenne. Il trio si fermò ai margini della foresta proibita, e Fred puntò la bacchetta contro il terreno sottostante un grande sempreverde e sussurrò: «Alohomora».

Sotto lo sguardo stupito di Harry, il terreno davanti a loro cominciò a sprofondare, fino a creare un’apertura abbastanza grande da far entrare un uomo. Si inginocchiò, e vide che il buco non era che l’ingresso a un tunnel sotterraneo.

«Questo ti porterà dritto all’anticamera della Sala Grande, da lì dovrai arrangiarti da solo».

«E’ la verità? Non è uno dei vostri scherzi?»

«Serpeverde!» esclamò George, ferito. «Così diffidenti!»

Oh beh, pensò Harry. Il gioco vale la candela.

«Grazie» disse con un sorriso. I due annuirono con un’espressione seria che non gli si addiceva per niente. «Spero che non ce ne pentiremo» mormorò Fred. Senza aggiungere altro, si allontanarono.

Senza perdere altro tempo, Harry si infilò nel tunnel. Era basso e stretto, e all’interno faceva un freddo terribile. Illuminò la strada con la bacchetta, e camminò per diversi minuti, mentre la sua mente lavorava frenetica. Dovevano essere le undici di sera circa. Forse Raptor avrebbe aspettato che fosse più tardi per scendere sotto la botola, forse era ancora in tempo. Dopo quella che gli parve un’infinita giunse alla fine del tunnel. Usò lo stesso incantesimo di Fred per aprire la piccola porta che si trovò davanti, e fu lieto di vedere che i gemelli non lo avevano preso in giro. Era vicino alla sala grande. Non ebbe bisogno di fermarsi a riflettere, imboccò il corridoio a sinistra e cominciò a correre verso i sotterranei, pregando di non incontrare nessuno lungo il tragitto.

Piton, doveva parlare con Piton. Il pozionista si sarebbe infuriato e lo avrebbe messo in punizione fino ai diciassette anni, ma gli avrebbe creduto. Lui avrebbe saputo cosa fare. Dovette interrompere la sua corsa disperata quando sentì dei rumori. Si nascose dietro una colonna, e vide passare Pix. Il poltergeist stava canticchiando una canzone volgare e colpendo le armature, facendo un casino infernale. Harry pregò che non attirasse l’attenzione di Gazza. Aspettò diversi minuti nascosto, maledicendo Pix. Stava perdendo tempo.

Quando fu sicuro che il poltergeist si era allontanato, uscì dal nascondiglio e riprese a correre. Arrivato davanti allo studio di Piton non si concesse il lusso di esultare, ma prese a bussare furiosamente alla porta, invano. Se il pozionista non era nei suoi appartamenti sarebbe stato un disastro. Pregando che stesse solo dormendo, per la seconda volta usò l’Alohomora.

Entrò nell’ufficio del pozionista, e non fu molto sorpreso di trovarlo vuoto. Sperando che, come immaginava, Piton vivesse lì, attraversò lo studio e tentò di aprire la porta in fondo. Era chiusa. Questa volta non si prese il disturbo di bussare. Impugnò la bacchetta e recitò sicuro: «Alohomora».

Non si aprì.

Preso dal panico, Harry si chiese se seguire il consiglio di Fred e prendere a calci la porta o lasciar perdere e andare al terzo piano personalmente. Si riscosse. Ormai, visto tutto il tempo che aveva sprecato, un ultimo tentativo non avrebbe cambiato nulla. Cercando di non pensare a cosa gli avrebbe fatto Piton una volta sveglio, Harry si allontanò prudentemente e pronunciò: «Bombarda».

La porta saltò in aria con un boato tremendo, che fece tremare il pavimento, e la vista gli fu offuscata dalla polvere alzata dall’esplosione. Quando finalmente la cappa di fumo si fu diradata, Harry varcò ciò che restava della soglia, bacchetta alla mano e pensando con umorismo suicida che ora Piton era senz’altro sveglio. Ciò che vide una volta dentro però lo lasciò a bocca aperta.

Era entrato in un salotto di medie dimensioni, decorato con i colori di serpeverde, e in piedi davanti a lui, l’espressione sconvolta e spaventata, c’era Philippe.

«Che diavolo…» balbettò Harry, ma l’amico non stava ascoltando. Philippe si gettò in ginocchio, là dove, si accorse il moro, si stavano spargendo i resti di una qualche pozione.

«No, no, no» balbettò Philippe, atterrito, cercando di raccogliere i frammenti di una fiala, contenendo con la mani la pozza di liquido fumante che si stava creando. «No, mi è caduta, mi è caduta!» urlò, alzando lo sguardo carico di paura, incredulità e rancore. «Che cazzo pensavi di fare?» gridò.

Harry non rispose. Si sentiva come pietrificato. Rimase li, a guardare il suo migliore amico, mentre la sua mente sembrava indecisa su cosa fosse più urgente capire: il perché Philippe si trovasse là, nello studio di Piton, con in mano chissà quale pozione, o come fare a fermare Raptor prima che fosse troppo tardi. Si riscosse. «Philippe ascoltami, adesso non ha importanza il perché sei qui. Devo trovare Piton, Raptor…»

Ma Philippe non stava prestando attenzione. Il francese si portò una mano al petto, come se provasse dolore, e gettò uno sguardo al grande orologio posto al lato della stanza. «Devi andartene, adesso» disse, il volto privo di colore. «Piton sta facendo la ronda, vallo a chiamare. Esci da qui!»

«Philippe che ti sta succedendo?» chiese Harry, avvicinandosi e porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.

«Ti ho detto di andartene!» urlò il ragazzo, allontanandogli il braccio con un colpo. Sorpreso, Harry lo guardò bene. Era sconvolto, e il suo viso era contratto dal dolore. C’era qualcosa di bestiale in lui.

Oh, fu tutto quello che riuscì a pensare, mentre finalmente tutto acquistava un senso. Le sparizioni. L’agenda. La pozione.

Oddio, la pozione.

«Philippe, tu ne hai bevuta almeno un po’?» L’amico capì di cosa stava parlando, ma non ci fu bisogno di rispondere. Lanciò un urlo straziante, e si accasciò a terra.

Harry rimase a terra, dimentico della pietra, di Voldemort e di Raptor, a guardare il suo migliore amico contorcersi per quelle che parvero delle ore. Nella stanza risuonavano le urla di Philippe, e il nauseante rumore di ossa che si spezzano, mentre il corpo del ragazzo si allungava e si riempiva di peli, e lui, Harry, non sapeva che fare. Voleva aiutarlo, ma sapeva che era troppo tardi, che avrebbe fatto meglio a scappare…

E poi cadde il silenzio. Davanti a lui, ora c’era un lupo mannaro completamente trasformato. Si guardarono per un secondo, il ragazzo e il lupo. La bestia scoprì le fauci, emettendo un basso ringhio. Di scatto, Harry si precipitò verso l’uscita, ma non fu abbastanza veloce. Con un balzo, il lupo gli fu addosso. Rotolarono fino all’ufficio di Piton, colpendo alcuni scaffali e rovesciando a terra diverse pozioni. L’aria divenne irrespirabile. Il mannaro era sopra di lui, pronto a morderlo. Disperato, Harry gli chiuse la bocca con le mani, consapevole che la sua forza non era paragonabile a quella dell’animale, ma approfittò dei pochi secondi così guadagnati per richiamare in superficie la sua magia e scagliarla contro la bestia, scaraventandola lontano.

Si rialzò, ansante, e recuperò la bacchetta. Non poteva fare del male al lupo, era Philippe dopotutto, ma non sarebbe nemmeno rimasto lì a farsi ammazzare. Si precipitò verso la porta, ma ancora una volta non fu abbastanza veloce. Sentì gli artigli della bestia conficcarsi nella sua schiena. Cadde a pancia in giù, urlando di dolore. Il lupo era di nuovo sopra di lui, poteva sentirne il fiato caldo sul collo, mentre gli artigli della bestia gli si conficcavano sempre più a fondo nella schiena, lacerandogli la carne. Realizzò in quell’istante che sarebbe morto, lì nell’ufficio di Piton, ucciso dal suo migliore amico la stessa notte che Voldemort riotteneva il suo corpo. Oh, che peccato che solo Lavr e Veles avrebbero potuto apprezzare l’ironia della cosa.

Ci fu un lampo di luce rossa, e il peso sopra di lui scomparve. La vista gli si appannò, sentiva le forze che lo lasciavano. Una gioia selvaggia, feroce, lo invase, e sprofondò nell’incoscienza.

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Capitolo 17
*** La storia di Philippe ***


In fondo al capitolo troverete le note dell'autore. Vi prego, leggetele :)

Nell’istante esatto in cui Raptor alzò la pietra, quasi ad offrirgliela simbolicamente, seppe che il momento era delicatissimo, e non avrebbe potuto lasciare niente al caso. Aveva la pietra, e non avrebbe permesso a un' eventuale incompetenza del suo sciocco servo di portarlo al fallimento. Facendo appello a tutte le sue forze, prese il controllo della volontà di Raptor, s’impossessò del comando dei suoi arti e della sua magia, e senza lasciarsi inebriare dall’effimera e fuorviante sensazione di aver di nuovo un corpo, seppur debole e mortale e umano, si allontanò da Hogwarts, sollevato, per quanto non lo avrebbe ammesso nemmeno con se stesso, quando nessuno si frappose sul suo cammino. Non sarebbe stato in grado di duellare contro Silente, in quelle condizioni.

Ma presto sì pensò con selvaggia soddisfazione. Era stato furbo Silente, doveva riconoscerlo. Lo specchio l’aveva messo in difficoltà, lo aveva spinto per un lungo, angoscioso istante a credere di doversi fermare proprio quando era così vicino. Ma lui non si fermava, lui non si arrendeva. E l’ultima difesa non era nemmeno riuscita a trattenerlo il tempo sufficiente perché il vecchio si accorgesse di quello che stava accadendo e tornasse da Londra.

Lasciò il castello, addentrandosi nel riparo della foresta oscura, impaziente di superare le barriere e smaterializzarsi quanto più lontano la sua fragile condizione gli permettesse.

Riapparve in un cimitero ben noto, e la prima cosa che vide fu il profilo lontano di una casa altrettanto famigliare, che aveva visitato una sola volta ma che non aveva mai abbandonato la sua memoria. Cadde a terra, stremato, e lasciò che la coscienza di Raptort riaffiorasse e riprendesse il controllo. Poteva sentire il suo terrore, e gli provocò una sadica soddisfazione, sapere che il suo servo aveva assaggiato l’impotenza e il vuoto della non esistenza in cui lui era costretto da dieci anni.

Ancora per poco.

Ora che era lontano da Hogwarts e da Silente poteva concedersi il lusso di lasciar vagare la mente, di pensare, pianificare. Sotto sua indicazione, Raptor aveva raccolto il necessario a distillare l’elisir di lunga vita già da agosto, ma non sarebbe stato sufficiente. Il rituale a cui avrebbe dovuto sottoporsi era unico nel suo genere, mai sperimentato prima, come unica era la sua condizione. Avrebbe richiesto tempo. Aveva aspettato nove anni che uno dei suoi patetici, fedifraghi servitori andasse a cercarlo. Aveva aspettato oltre un anno per mettere le mani sulla pietra. Non avrebbe vanificato tutti i suoi sforzi affrettandosi a compiere il rituale senza prima compiere le necessarie ricerche. Poteva aspettare, la pazienza non gli era mai mancata.

Avrebbe concesso a Raptor un giorno per riprendere le forze, e avrebbero lasciato la Gran Bretagna. Non si sentiva sicuro. Ora che i suoi pensieri erano inondati dalle speranze per il futuro, era più che mai consapevole della sua attuale debolezza, e voleva mettere più miglia possibile tra lui e Albus Silente. Un’irrazionale paura lo assalì, se qualcosa fosse andato storto adesso…. Finora era stato tutto facile.

Troppo facile.

«Prendi la pietra Raptor» sibilò.

Il piagnucolare che aveva fatto da sottofondo ai suoi pensieri da quando aveva messo piede nel cimitero si interruppe. «Si mio signore» replicò il servo, con voce tremula, ancora scosso dalla sensazione della possessione.

Attese che Raptor eseguisse, sentendo sempre una sorta di ingiustificata, irrazionale trepidazione. Avvertì il servo prendere la pietra e sollevarla, e il pensiero prese forma.

Era stato davvero troppo facile.

«Distruggila»

«Come dite, mio signore?» Poteva sentire l’incredulità del suo involucro, ma non gli bado. Odiava quando i suoi ordini non venivano eseguiti all’istante. Raptor comprese il suo errore, si affrettò a poggiare la pietra su una lapida e dopo aver atteso la silenziosa conferma del suo signore, scagliò un bombarda contro la pietra.

Voldemort aspettò irrequieto che il fumo dell’erosione si diradasse. La pietra sarebbe rimasta intatta, perché era un artefatto magico dal potere incommensurabile, e un incantesimo di primo livello non avrebbe mai potuto scalfirla.

Vide nei pensieri di Raptor la visuale schiarirsi per mostrare la lapide distrutta e frammenti di rubino sparsi per terra. Urlò, strepitò, si dimenò, invaso da una rabbia folle, troppo grande per essere contenuta nel gracile corpo che lo ospitava. La sua coscienza si liberò, e di nuovo, non era che puro spirito, un’essenza, un ombra di se stesso. Non rimase a guardare il corpo di Raptor sgretolarsi al suolo, devastato per l’uscita del suo parassita. Doveva tornare al suo esilio.



Fu il dolore intenso alla cicatrice a far svegliare Harry. Aprì gli occhi, l’eco di una furia agghiacciante ai margini della coscienza, residuo di un sogno confuso. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco il posto dove si trovava. Era nell’infermeria e seduto vicino a lui, l’espressione impenetrabile e gli occhi che dardeggiavano di rabbia e preoccupazione, c’era Piton.

«La pietra…» mormorò debolmente Harry. Aveva la bocca secca. Come intuendolo, Piton gli porse un bicchiere d’acqua e lo aiutò a mettersi a sedere e bere. Si sentiva indolenzito, ma non provava dolore. Si portò una mano alla scapola, e si accorse che la schiena era ricoperta da bende. I ricordi si agitarono confusi nella sua testa. La pietra. Voldemort aveva la pietra? E Philippe. Strabuzzò gli occhi. «Diventerò…?» domandò, spaventato.

«No» replicò con fermezza Piton «Sei stato fortunato. Non sei stato morso, solo graffiato. Non ti rimarranno nemmeno le cicatrici, considerato che ho richiuso in tempo le ferite».

Graffiato. Che bel modo per dire che era quasi stato squartato vivo pensò Harry. «Philippe sta bene?»

«Leroy aveva solo qualche livido, Madama Chips l’ha sistemato in pochi minuti. Ieri notte non aveva preso la pozione antilupo da me preparata, come immagino tu abbia compreso. Suppongo che la sua mancanza sia in qualche modo connessa al fatto che hai pensato bene di far saltare in aria i miei appartamenti» disse Piton, sarcastico. Ora che si era accertato che Harry stesse bene, sembrava pronto a fargli una sfuriata. Aprì la bocca, probabilmente per dire che era un idiota e che avrebbe passato la vita a ripagarlo per i danni che aveva causato, ma Harry fu salvato dall’ingresso nell’infermeria di Albus Silente. Come lo vide, Piton si alzò immediatamente in piedi e lo raggiunse. I due mormorarono qualcosa che il ragazzo non capì, e poi, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata inceneritrice, Piton uscì e Silente si sedette affianco a lui.

Harry non aspettò che il preside parlasse. «Sarò espulso?» chiese, sentendo il mondo crollargli addosso.

Silente scosse vigorosamente il capo. «No, Henri, non sarai espulso» disse con tono grave «però vorrei che mi spiegassi quello che è successo la scorsa notte».

Così Harry cominciò a raccontare, omettendo le cose più importanti e pregando che Silente credesse alle sue mezze verità. Parlò dell’incontro col cane, senza approfondire le circostanze che lo avevano portato al corridoio proibito, di come avesse notato la botola e avesse fatto il collegamento con la Gringott. Disse che aveva dedotto che il ladro era a Hogwarts, e che dopo Halloween si era convinto che fosse Raptor, ma che non aveva parlato con nessuno per timore di non essere creduto, visto che non aveva prove. Raccontò di averlo visto aggirarsi per il terzo piano la notte precedente, e di essere corso da Piton per avvisarlo, ma di essere incappato in Philippe.

Silente non lo interruppe, non gli chiese che ci facesse in giro di notte vicino al terzo piano, e quindi ben lontano dai sotterranei di Serpeverde. Non gli chiese perché avesse passato l’anno a ossessionarsi con l’oggetto misterioso, né gli domandò se tra una deduzione e l’altra avesse intuito anche che era la pietra filosofale a essere protetta dal cane. Come terminò, Harry sentì lo sguardo del preside scrutargli il viso come se volesse leggergli l’anima, anche se il vecchio mago non stava tentando di usare la legimanzia. Sostenne lo sguardo, a disagio. Era consapevole che la sua versione dei fatti presentava delle lacune, e sapeva che aveva commesso un grave errore appena sveglio: aveva nominato la pietra davanti a Piton. Ma non avrebbe potuto spiegare come lo aveva scoperto senza parlare di Veles, e farla passare per una semplice intuizione sarebbe stato davvero poco credibile.

Silente gli sorrise benevolo, gli occhi azzurri che scintillavano divertiti. Harry sospettò che non avesse creduto a una sola parola del suo racconto. «Avresti dovuto confidarti con uno dei tuoi insegnanti, Henri, ma fortunatamente tutto si è risolto per il meglio. L‘ufficio del professor Piton dovrà essere sistemato e diverse pozioni sono andate distrutte, ma l’importante è che sia tu che il signor Leroy stiate bene. Le tue ferite guariranno completamente. Il professor Piton è stato molto abile nel richiuderle, e Madama Chips ha guarito i danni provocati dall’inalazione delle pozioni. Ritengo che per stasera potrai tornare dai tuoi compagni, ma dovrà essere lei a dimetterti. Ora Henri, devo chiederti di promettere che non parlerai con nessuno della condizione di Philippe. Tu capisci che, facendolo, comprometteresti la sua presenza qui».

«Non lo farei mai!» esclamò Harry con forza. «Philippe è mio amico».

«Molto bene allora» disse Silente, il volto ora completamente rischiarato. «Naturalmente i tuoi compagni non sanno il perché sei stato ricoverato in infermeria, ma la tua assenza non dovrebbe causare molte domande. Un’ultima cosa. Preferirei che tu non facessi menzione nemmeno di Raptor, con i tuoi compagni. Ora ti lascio, c’è qualcuno qui fuori che aspetta impazientemente di parlare con te».

Silente si alzò, ma Harry lo fermò. «Aspetti professore. Cosa è successo a Raptor e all’oggetto custodito dal cane?»

«Oh, io non me ne preoccuperei» fece allegramente Silente, facendogli l’occhiolino. Uscì dalla stanza, lasciando Harry a chiedersi che diamine intendesse. Appena la veste scintillante del preside sparì, nell’infermeria entrò Philippe. Il ragazzo esitò un secondo all’ingresso, poi parve farsi coraggio e andò a sedersi affianco a Harry, evitando accuratamente di guardarlo in faccia. Era molto pallido, e aveva l’aria di uno che sta per vomitare.

Prima che Harry potesse dire qualcosa, mormorò, pianissimo «Avevo cinque anni». Ci fu una pausa, e Harry decise di aspettare che riprendesse, di lasciarlo parlare.

«Avevo cinque anni, quasi in sei in realtà, e mio fratello, Marc, solo tre. Nostro padre, ne avrai senza dubbio sentito parlare dai nostri compagni, è Nicolas Leroy, il sottosegretario francese. Un uomo potente, con molti nemici… non ho mai saputo se fosse stato per causa sua, o solo un incidente. Per le vacanze di natale eravamo andati nella nostra casa di campagna. Solitamente gli elfi domestici ci controllavano tutto il tempo, ma la sera della Vigilia i nostri genitori avevano organizzato una festa per i loro amici dell’alta società, e tutti i domestici erano impegnati. Credevano che fossimo a letto, ma io e Marc non avevamo sonno. Non potevamo partecipare al party, così siamo sgattaiolati nel parco. Stavamo giocando quando è arrivato il lupo; non capii che era un mannaro. Non ricordo molto di quello che successe dopo. So solo che mi svegliai nel mio letto, ma ero debole e non riuscivo a parlare o aprire gli occhi. Alternai momenti di incoscienza a momenti di veglia per giorni. Attorno a me avvertivo delle presenze, degli estranei. Solo una volta sentì la voce di mio padre vicino al mio capezzale. Ricordò perfettamente quello che disse. “Non li voglio, portate questi mostri fuori dalla mia casa”. Provai a parlare, a chiamarlo, ma ero troppo debole. Non so quanto altro tempo passò, ma finalmente mi ripresi. Aprii gli occhi. Ero ancora nella mia stanza, e mio fratello era in piedi davanti a me; con lui c’era un uomo che conoscevo di sfuggita, uno dei dipendenti di mio padre. Mi lanciò dei vestiti, mi disse di metterli, di sbrigarmi. Io lo feci, anche se ero confuso. Chiesi dove fossero i miei genitori, e lui rispose che non ne avevo. Marc iniziò a piangere; chiamava mamma e papà. L’uomo gli ordinò di tacere e, spazientito, mi vestì con un incantesimo. Poi afferrò me e Marc per la collottola e ci smaterializzò in una strada della Parigi magica. Senza dire una parola, si rismaterializzò, lasciandoci lì da soli. Vagabondammo per qualche giorno, e saremmo morti se un uomo, un vampiro, non ci avesse trovati. Era un trafficante, voleva rivenderci. Rimanemmo con lui per un anno. In un certo senso ci ha salvato la vita, ma all’epoca sarei anche morto volentieri pur di allontanarmi da lui. Eravamo già con lui la prima volta che ci trasformammo. Solitamente ci teneva assieme, ma quando c’era la luna piena ci chiudeva in due gabbie separate. Questo rendeva le cose peggiori: un lupo mannaro che si trasforma da solo si fa del male, mentre stare in gruppo rende la trasformazione più facile e sopportabile. Credo che lui lo sapesse questo, che lo facesse apposta. Aveva paura di noi, quando c’era la luna piena. I giorni che la precedevano li passavamo senza mangiare, e questo ci rendeva ancora più aggressivi. Quando ci svegliavamo eravamo di nuovo insieme, e io mi prendevo cura delle ferite mie e di Marc. Come passavano i mesi e nessuno ci comprava, il vampiro diventava sempre più nervoso. Diceva che eravamo inutili, e non avrebbe tenuto due bestie inutili nel suo negozio. E poi una mattina mi risvegliai dopo la trasformazione, e mi accorsi che Marc era ricoperto di sangue, e il vampiro stava trafficando con qualcosa, e solo dopo capì che era il cadavere di un uomo. Il vampiro mi concesse di portare mio fratello in bagno e lavarlo; era decisamente di buon umore, disse che aveva trovato un utilità per noi. Ero disperato, e come misi Marc sotto la doccia vidi che stava solo dormendo, e quel sangue non era suo» la voce di Philippe si strozzò, e un singhiozzo senza lacrime gli scappò dalle labbra.

Harry chiuse gli occhi, pieno di disgusto, compassione e rabbia.

«Non credo che Marc si ricordi niente. Non ne parliamo mai, comunque, di quel periodo. Fortunatamente, quello fu l’ultimo plenilunio che passammo lì. Pochi giorni dopo, un uomo venne nel negozio. Un ragazzo. Ci comprò e ci portò via da quel posto. Non ci tenne con sé, ma ci affidò al nostro attuale tutore, Remus».

«Un ragazzo?» chiese Harry, ricordando una conversazione avuta con Lavr anni prima. «Ho tirato fuori due bambini, due mannari, da un brutto pasticcio con un trafficante» gli aveva raccontato il demone, durante un surreale discorso sulle buone azioni.

«Si, un giovane molto strano. Me lo ricordo molto bene. Non credo fosse un umano. Non aveva odore» disse Philippe, guardandolo in viso per la prima volta da quando era entrato nella stanza.

«In che senso?»

«Sai, tutte le persone hanno un odore particolare, caratteristico. I mannari lo sentono, abbiamo un olfatto molto più sviluppato di quello umano. Ma lui niente. Non aveva odore. Non ho mai incontrato nessun altro così».

Harry non disse niente, e Philippe distolse lo sguardo. Non doveva essere stato facile, rievocare quei ricordi. Poteva capirlo, lui non parlava mai dei Dursley, anzi, aveva praticamente rimosso il periodo passato con loro dalla testa, e quello che aveva passato lui non era niente confronto a quello che aveva dovuto affrontare l’amico. Odiava vederlo così tormentato. Fece per abbracciarlo, ma si trattenne. Non sapeva bene come comportarsi. Voleva parlargli, dirgli che era tutto passato, che era al sicuro e non gli sarebbe più capitato niente del genere, ma gli sembravano parole vuote e banali, così non disse niente. Si limitò a dargli una veloce, imbarazzata pacca sulla spalla. Philippe alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso stiracchiato, e Harry seppe che aveva capito.

«Remus, il mio tutore, è inglese» riprese Philippe. «In quel periodo si trovava in Francia per cercare lavoro, ma la casa dove abitava era troppo piccola per starci in tre, così decise di portarci in Inghilterra. Trovò un lavoro e si prese cura di noi, ma dovevamo spostarci in continuazione. Tre lupi mannari attirano inevitabilmente l’attenzione. Alla fine decidemmo di andare a vivere con gli altri della nostra… insomma, altri mannari. Non è stato facile per Remus, lui è sempre vissuto con i maghi, ma l’ha fatto per noi. È l’uomo più buono e gentile che conosca. Marc lo chiama papà, e forse a lui farebbe piacere se lo facessi anche io, ma non posso. Mio padre è l’uomo che non ci ha pensato due volte a buttarmi in mezzo a una strada quando non gli andavo più a genio, condannandomi a morte o peggio. Remus è quello che mi ha accolto nonostante non fosse obbligato, nonostante non ci fosse nessun legame sanguigno tra di noi, è quello che ha passato gli ultimi quattro anni della sua vita a sacrificarsi per dare a me e Marc una casa, del cibo, e tutto l’affetto del mondo. Non posso chiamarlo padre, lui non ha niente a che fare con Nicolas, e usare lo stesso appellativo per entrambi sarebbe come metterli sullo stesso piano». Lo disse con rabbia, ma poi aggiunse, più debolmente «Non so se lo sa, però. Vorrei spiegarglielo, vorrei dirgli quanto lo apprezzi e quanto tengo a lui, ma non ci riesco. Per Marc è diverso, lui non ricorda molto del prima, ma io…» scosse il capo.

«Sono sicuro che lo sa» lo rassicurò Harry, dolcemente.

«Vivere col branco è strano. Ci hanno accolti come fossimo figli loro. Per loro è normale, è tradizione che i bambini vengano allevati da tutta la collettività. Con Remus invece erano più diffidenti all’inizio, perché si comporta come un mago, ma l’hanno accettato lo stesso alla fine. È come una grande famiglia, anche se ci sono alcune tensioni. Stare con loro ha reso anche le trasformazioni più facili, meno dolorose. Ma poi l’anno scorso, Remus ci ha lasciato per qualche settimana, e quando è tornato, era raggiante. Ci prese da parte e ci chiese se volessimo fare un viaggio con lui. Noi andammo, anche se gli altri non ne erano molto entusiasti. Quando ci fummo allontanati dal branco, Remus iniziò a parlarmi di Hogwarts. Mi parlò della sua trasformazione, dei suoi genitori, e di come, quando nessuno pensava fosse possibile, il preside lo avesse contattato e gli avesse offerto di studiare con i maghi. Mi raccontò dei suoi anni di scuola, dei suoi amici. Io lo ascoltavo, e la speranza mi cresceva nel petto, mi chiedevo se stesse dicendo quello che credevo. Perché fin da piccolo mi avevano raccontato storie su Beauxbatons, e io avevo sempre desiderato andarci, ma avevo creduto che quella possibilità fosse svanita per sempre. E invece Remus mi portò a Diagon Alley, e lì ci raggiunse Silente. Mi offrì un posto qui, mi disse che non avrei avuto gli stessi problemi che aveva avuto Remus, perché ora c’è la pozione antilupo, e il Potion Master della scuola me l’avrebbe preparata ogni mese. Io lo ascoltavo, troppo felice per credergli. Mi disse che aveva preso tutte le misure necessarie perché il mio segreto restasse tale; la pozione mi avrebbe lasciato il controllo sulla bestia, e avrei passato le notti da licantropo al sicuro nell’ufficio del mio capocasa. Certo» aggiunse divertito «chiaramente non credeva che sarei stato smistato a Serpeverde. Questo ha un po’ complicato le cose, perché tra Piton e Remus non scorre buon sangue, ma alla fine Piton si è abituato a sopportare la mia presenza, credo».

«Piton e Remus si conoscono?»

Philippe annuì. «Andavano a scuola assieme. Remus era un grifondoro, sai, e hanno avuto qualche dissapore».

«Remus Lupin!» realizzò Harry, stupefatto. Certo, aveva letto il suo nome nel fascicolo di Piton.

«Come lo sai?» chiese Philippe.

«Oh, ho trovato il suo nome nel registro dei vecchi prefetti» replicò noncurante. Non era una vera bugia, l’aveva effettivamente visto mentre cercava quello di suo padre, all’inizio dell’anno. Ma James Potter non era mai stato prefetto, e dopo aver letto le note di Piton, non ne era certo sorpreso.

«Se ci penso ora, mi sembra ancora incredibile. Silente mi ha offerto quello che credevo di aver perso per sempre. Avere una bacchetta, studiare la magia, non sono cose scontate per uno come me. Quasi tutti i membri del mio branco hanno sempre vissuto tra i licantropi e non sanno usare i loro poteri, ma io nonostante tutto non riesco a pensare a me come un mannaro. Io sono un mago, e questo è il mio posto. Gli altri non lo capiscono però. Erano decisamente contrariati quando l’hanno scoperto. L’hanno preso come un tradimento, erano infuriati con Remus. Ci hanno accolto quando non avevamo niente; per loro “andare a fare gli animaletti da compagnia dei maghi” è come sputare sulla loro generosità. Abborriscono l’idea di prendere una pozione per controllare la bestia. C’è stato uno scontro. Remus voleva portarci via, lui e la Luna hanno litigato violentemente».

«Come scusa?» fece Harry, senza capire.

«La Luna. La capobranco. E’ lei che comanda, e la sua autorità è assoluta, le sue decisioni indiscutibili. Quello che ha fatto Remus, iscrivermi a Hogwarts senza consultarla, è un gesto gravissimo. È stato punito per quello. Ma alla fine la Luna ha acconsentito a mandarmi qua a studiare, perciò non abbiamo dovuto lasciare il branco. Marc era quanto mai contrariato. Ha tenuto il broncio a me e Remus per una settimana. Lui la pensa come gli altri licantropi» spiegò, vedendo la faccia perplessa di Harry «Non approva il fatto che sia venuto qui, allontanandomi dalla mia razza». Fece un sorriso amareggiato. «E’ arrabbiato con Remus per aver disobbedito alla Luna. E quando non sono tornato per Natale ha smesso di scrivermi. Ma gli passerà, non mi preoccupo. Sono sicuro che come mi vedrà gli sarà già passato tutto. E probabilmente vorrà venire anche lui, quando avrà undici anni. Almeno, questo è quello che spera Remus».

«Non riesco a immaginare che esista qualcuno che non vuole studiare a Hogwarts» disse Harry.

«Nemmeno io» sorrise Philippe. «Sono in debito con Silente. Si è battuto molto perché potessi venire qui. Quando mio padre l’ha scoperto, non ne era molto felice. Ha scomodato tutte le sue conoscenze altolocate per impedirlo».

«Sembrano tutti convinti che tu sia un figlio illegittimo» asserì Harry «Com’è possibile che nessuno sappia di voi? Intendo, come ha fatto a nascondere di avere due figli?»

«Oh, scommetto che non è stato difficile» rispose Philippe, amaro. «Vedi, è tradizione fra le famiglie purosangue che i figli debuttino in società solo dopo aver compiuto sei anni. Così è più facile nascondere eventuali maghino, perché la magia si manifesta entro i sei anni. Solo pochi amici intimi sapevano della nostra esistenza, e senza dubbio li avrà messi a tacere».

Harry aprì la bocca, ma poi la richiuse. Non avrebbe saputo esprimere la rabbia che provava, a meno di lanciare un’imprecazione tale da far arrivare il ministro della magia in persona per espellerlo.

«Lo so» disse Philippe, solidale.

«Se la gente lo sapesse…»

«Starebbero dalla sua parte. Non capisci? I maghi odiano i lupi mannari. Per questo il gesto di Silente è tanto incredibile. Mi ha dato molta fiducia, e non ne ha ricavato che guai».

«Se ti riferisci a ieri sera, è stata solo colpa mia. Merlino, non so cosa mi sia preso. Ho fatto saltare in aria l’ufficio di Piton! Dovevo essere impazzito».

Philippe ridacchiò. «Sicuramente la fortuna ci odia. Se fosse successo qualsiasi altro plenilunio, non sarebbe accaduto niente».

«In che senso?»

«Generalmente prendo la pozione anti lupo dal giorno prima. In piccole dosi, sai. Ma questa volta non potevo, perché mi lascia debilitato, e questa settimana avevo gli esami. Così Piton mi ha preparato una versione più forte della pozione, da prendere poco prima della trasformazione».

«Merlino che sfiga» convenne Harry, ridendo.

Risero per un bel po’. Entrambi ne avevano disperatamente bisogno. Quando si calmarono, Philippe chiese, esitante: «Quindi… siamo apposto?»

«Sì» sorrise Harry «siamo apposto».


«Un falso?» chiese Severus, sicuro di aver capito male. Aveva passato la notte a rimediare ai disastri combinati da Montblanc, e solo ora che il marmocchio si era svegliato e stava bene – non per molto, sul quello non c’erano dubbi – era riuscito a salire nell’ufficio di Albus. Aveva domandato, con il cuore in gola e le mani fredde, cosa ne era stato della pietra. La risposta non avrebbe potuto essere più sorprendente.

«Un falso» confermò Silente, trionfante.

«Io non capisco» ammise Severus.

«Siediti Severus, siediti. Ti spiegherò tutto. Da un anno ormai avevo il sospetto che Voldemort fosse tornato in Inghilterra e che fosse sulle tracce della pietra filosofale, all’epoca custodita alla Gringott. E avevo ragione. Parlai con Nicolas e Petronella, e li convinsi a farmi spostare la pietra. Giusto in tempo, aggiungerei. Poche ore dopo che la camera era stata svuotata, Voldemort fece la sua mossa. Comprendevo il pericolo in cui ci trovavamo. Voldemort avrebbe fatto di tutto pur di prendere la pietra. Così io e Nicolas parlammo a lungo e convenimmo che il pericolo costituito dalla pietra era troppo grande. Decidemmo di distruggerla. Ma la pietra filosofale è forse l’artefatto magico più potente mai creato, per niente facile da danneggiare. Nicolas e Petronella dipendono dall’elisir, e perciò l’hanno costruita in maniera tale che possa essere distrutta solo da un lungo e complicato rituale. Sarebbero serviti mesi, e nel frattempo dovevamo impedire che Voldemort capisse quello che volevamo fare e agisse. Così pensammo a un’esca per tenerlo occupato. Prendemmo due piccioni con una fava: fargli credere che la pietra fosse qui a Hogwarts era la cosa migliore, perché era il primo posto in cui avrebbe cercato in ogni caso; inoltre avevo dei sospetti su Raptor, e in questo modo avrei potuto tenerlo d’occhio da vicino. E tutto è andato come previsto. Ieri notte, mentre Voldemort dedicava le sue energie a impadronirsi di un falso, io e Nicolas abbiamo completato il rituale. La pietra non esiste più».

«E dove l’avete tenuta, per tutto questo tempo?»

«A casa di Nicolas».

«E non avete pensato… se il Signore Oscuro avesse scoperto il vostro bluff, non avrebbe avuto difficoltà a prenderla da lì» disse Severus, irato.

«Ah, ma ero certo che Voldemort non avrebbe mai scoperto la verità. Vedi, lui sa che Nicolas e Petronella hanno bisogno dell’elisir per vivere. Ho sfruttato la sua più grande debolezza, la sua incapacità di comprendere che ci sono cose peggiori della morte, e che esistono uomini e donne infinitamente più saggi di lui che non la temono affatto».

«Potevi dirmelo» disse il pozionista, non senza astio. «Ho passato l’anno a correre dietro a Raptor…»

«E hai fatto un ottimo lavoro, Severus» replicò Silente con dolcezza. «Avevo bisogno di qualcuno che controllasse Raptor, che si assicurasse che non ci fossero incidenti. Mi dispiace solo che quello che è accaduto nei sotterranei abbia contribuito a facilitarne la fuga, ma qualcosa mi dice che Raptor non sarà più un problema. Quando Voldemort scoprirà della pietra – sempre che non lo sappia già – sarà troppo furioso per ricordarsi che Raptor gli serve, temo».

Severus sbuffò. Se il preside aveva ragione, lui non avrebbe speso nemmeno una lacrima per l’ex professore di difesa. Non poté però fare a meno di chiedersi se non ci fosse dell’altro, nelle azioni del preside. Se non avesse progettato quella messinscena anche per accertarsi della sua lealtà, ora che Potter era morto.

«Henri Montblanc è un giovanotto molto interessante, non è vero?» cambiò argomento Silente, distogliendolo dai suoi pensieri.

«E’ un vero piantagrane, anche se incredibilmente dotato» disse Piton, sforzandosi di non pensare a quanto esattamente fosse talentuoso Henri. Rettilofono.

«Davvero. Non essere troppo severo con lui, la curiosità non è un peccato in un ragazzo così giovane».

«Ha messo in pericolo la sua vita e quella di Leroy, distrutto il mio laboratorio e indirettamente agevolato la fuga di Raptor. Direi che una punizione sia il minimo».

«Ne ha avuto molte di punizioni con te, se non sbaglio» commentò il preside, gli occhi che scintillavano divertiti. «Forse togliergli qualche punto sarebbe più efficace. Cinquanta punti in meno a Serpeverde per il suo comportamento irresponsabile della scorsa notte. Mi sembra equo, non credi?»

Piton si alzò in piedi, pronto a congedarsi. «Vinceremo comunque la coppa» disse con malevola soddisfazione.

«Ah Severus, non devi mica dirlo a me. Io sono imparziale» replicò Silente, divertito.


Il banchetto di fine anno fu stupendo. La Sala Grande era arredata con stendardi verde e argento, in onore della casa vincitrice. Serpeverde si era assicurata la coppa per il settimo anno di fila, e le serpi non avrebbero potuto esserne più felici. Harry e Philippe presero posto vicino agli altri del primo anno. Nessuno aveva voglia di litigare l’ultimo giorno, e il clima da festa, che a onor del vero non toccava le altre case, li rese tutti amici, almeno per quella sera. Harry sentiva la mente sgombra come non gli capitava da settimane. Si era ricordato del sogno, infine. La pietra era un falso, e Raptor era morto. Voldemort era inoffensivo, almeno per il momento. Appena uscito dall’infermeria si era precipitato a mandare un messaggio a Lavr, memore della promessa di tenere aggiornato Veles in tempo reale, e poi aveva lasciato che il pensiero di Voldemort scivolasse dalla sua mente, lasciandolo libero di godersi la festa e i suoi ultimi giorni a Hogwarts. L’indomani sarebbero usciti i risultati degli esami, e fra due giorni sarebbe salito sul treno per fare ritorno a casa. Era stato un anno complicato, e l’ultima settimana gli aveva riservato fin troppe sorprese.

Lo sguardo gli cadde sul tavolo degli insegnanti. Piton ghignava soddisfatto, gli occhi scuri puntati sugli stendardi. La McGranitt chiacchierava con Vitious, voltandosi però di tanto in tanto a fulminare con lo sguardo il collega di pozioni. Silente era immerso in una fitta conversazione con la Sprite, ma parve sentirsi osservato, così si girò verso Harry. Gli sorrise, e alzò lievemente il calice nella sua direzione. Anche Harry sorrise. Sapeva che aveva catturato l’interesse del preside, e questo non poteva che portargli grane, ma al momento non gli importava. Nonostante quel che pensava del vecchio mago, era grazie a lui se Philippe ora stava seduto con loro. Forse aveva ragione Veles, forse Silente era colpevole quanto gli altri maghi per le discriminazioni subite dai non umani, forse avrebbe potuto fare di più; ma si era esposto, aveva lottato affinché Philippe avesse la possibilità di frequentare Hogwarts. Aveva accolto Philippe, e aveva accolto Remus Lupin, quando nessun altro l’avrebbe fatto, e questo Harry non poteva ignorarlo.

Harry distolse lo sguardo dalla tavola degli insegnanti, per osservare divertito la tristezza e la delusione delle altre case. Ricordava come se fosse trascorso solo un giorno il discorso di Piton alle matricole. State uniti, perché vi troverete a fronteggiare tutta la scuola. Non era giusto, ma era la realtà delle cose, e nonostante tutto Harry non avrebbe voluto essere in nessun altra casa. Gli sarebbe mancata Serpeverde. Gli sarebbe mancato il dormitorio, sinistro ma regale, gli sarebbero mancate le ore passate a giocare con Philippe in Sala Comune, le partite a Quidditch, persino le frecciatine scambiate con Draco.

E parlando di Malfoy…

La notte trascorsa in infermeria non era affatto passata inosservata. Come era tornato al dormitorio, Draco lo aveva sottoposto al terzo grado. Dov’era stato, cosa aveva avuto, se ora stava meglio. Se avrebbe cominciato a sparire regolarmente come Leroy.

Draco poteva essere immaturo e viziato, ma non era stupido, e il tono con cui aveva posto l’ultima domanda non gli era piaciuto per niente. Cominciava ad avere dei sospetti, e Harry sapeva che Malfoy era l’ultima persona al mondo che avrebbe mai dovuto scoprire il segreto di Philippe.

Il tavolo di grifondoro era il più silenzioso di tutti; i grifoni sembravano essere in lutto, e a ragione. Erano addirittura finiti ultimi in classifica. Harry notò che Weasley e i suoi amici, i colpevoli della situazione, sembravano cercare di passare il più inosservati possibile, senza molto successo. Ghignò divertito, scorrendo le facce mogie dei grifondoro, finché non si accorse che uno dei gemelli, impossibile dire quale, stava guardando dritto nella sua direzione. Fred, o forse era George, si portò lentamente due dita vicino agli occhi, per poi puntarle verso di lui, nel gesto universalmente noto come: “ti tengo d’occhio”. Harry distolse lo sguardo, sempre sorridendo. Decisamente, il prossimo anno si preannunciava interessante.



Lavr prese a giocherellare con il bicchiere vuoto davanti a sé, attendendo che Veles si ricomponesse. Non appena gli era arrivata la lettera di Harry, era andato a far visita al vampiro alla corte. Gli aveva mostrato la lettera. Veles l’aveva letta d’un fiato, e poi si era accasciato sulla sedia e aveva iniziato a sganasciarsi senza ritegno.

Il demone attese pazientemente, con solo un sopracciglio alzato a indicare quanto trovasse poco fine la reazione dell’amico. Finalmente, Veles parve calmarsi. Tornò a sedersi in una posizione più composta, ancora scosso da qualche risata, e asciugò con la manica le lacrime causategli dal troppo ridere.

«Oh, è fottutamente magnifico. Un falso. Un falso! Dio, pagherei per vedere la faccia di Voldemort. A parte il fatto che non ha una faccia».

«Sono lieto che tu la prenda così bene» commentò Lavr.

«Perché, come dovrei prenderla? È incredibilmente divertente, pensare che il grande Lord Oscuro abbia passato un anno a dar la caccia a un falso» celiò allegramente Veles, prendendo il calice dalle mani di Lavr e facendo cenno a uno dei servi presenti nella stanza di avvicinarsi per riempirlo.

«Come te» replicò Lavr «Non hai forse speso tempo e risorse dietro alla pietra? Non hai forse passato un anno a ossessionarti, arrivando a implorare un undicenne umano di tenerti informato sulle mosse di Raptor?».

L’espressione di Veles non cambiò, ma Lavr lo conosceva abbastanza bene da notare il leggero tremito della sua mascella. Il servo si chinò per versare del sangue nel calice. Con un gesto fulmineo, troppo veloce per l’occhio umano, Veles estrasse un paletto dalla veste, lo ficcò nel cuore dell’altro vampiro, si sollevò in piedi e in un impeto di rabbia diede un calcio alla sedia, mandandola a frantumarsi dall’altra parte della stanza, per poi rovesciare il tavolino e ogni altro costoso oggetto che gli capitasse a tiro, accompagnando ogni tonfo con un’imprecazione. Con un sorriso divertito, Lavr decise di lasciare l’amico alla sua distruzione catartica, e si smaterializzò al Palazzo.

 Note dell'autore: okay, vi chiedo un minuto del vostro tempo per leggere le note. Ci sono due punti di cui vorrei parlarvi relativi a questo capitolo :)

Punto primo: la pietra. Credo che nessuno di voi si aspettasse questo, e quindi vorrei spiegarvi il motivo per cui  l'ho fatto. La storia della pietra non mi ha mai convinta. Perchè offrire a Voldemort la possibilità di tornare e scatenare un'altra guerra su un piatto d'argento? A parte Fuffy e lo specchio, le altre protezioni erano un po' una barzelletta diciamocelo... non hanno fermato nemmeno tre undicenni, figuriamoci un mago geniale come Voldemort. E dopo che il signor oscuro per poco non è risorto, Silente si sveglia e pensa: toh! Forse dovremmo distruggere la pietra! Secondo me non regge... infatti sono portata a pensare che Silente avesse intenzione di far affrontare Harry e Voldemort. Altrimenti perchè dargli il mantello e fargli vedere lo specchio? Ma visto che in questa storia Harry non c'è, o almeno così crede Silente, dovevo trovare un altro motivo per far mettere la pietra a Hogwarts. Questa soluzione mi sembra sensata, e francamente anche divertente: non ho potuto fare a meno di flasharmi Voldemort che se ne va bello soddisfatto con una pietra made in china. Ehm. Spero che il tutto sia risultato credibile :)

Secondo punto: Questo capitolo e molto importante per me, e non vedevo l'ora di pubblicarlo. Il motivo è che finalmente viene svelata la storia di Philippe. Perchè Veles è fuori di testa, e Lavr è inutile, ma Philippe e Marc sono i miei bambini, e per questo non posso essere molto obiettiva nel giudicare quello che ho scritto. Per questo vi chiedo di dirmi voi cosa ne pensate, se sono riuscita a trasmettervi un po' dell'amore che provo per questo lupacchiotto o se invece non sono riuscita per niente a caratterizzarlo. E sempre a questo proposio: ieri sera, mentre mi apprestavo a coricarmi tutta felice perché l'indomani avrei pubblicato, è arrivata, inaspettata e non richiesta, l'ispirazione. E quando l'ispirazione arriva, non si può scacciarla per motivi futili come il fatto che sia mezzanotte passata e l'indomani bisogna svegliarsi presto per studiare. Così mi son messa di buona lena e ho scritto una spin off introspettiva: i pensieri di Remus sulla sua vita e sui lupacchiotti che si è dovuto accollare. E ora non so se aspettare a pubblicarla a quando entreranno in scena Remus e Marc (ossia al terzo anno) o se farlo adesso. Lascio la scelta a voi. Se questo capitolo vi è piaciuto e siete impazienti di saperne di più sul rapporto tra Remus e i suoi protetti fatemi un fisc

hio ;)

Alla prossima, sperando sia presto. Baci.

 

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Capitolo 18
*** Ritorno a Hogwarts ***


Harry sollevò la bacchetta d’ebano. Prese un bel respiro, eseguì un movimento rotatorio con il polso e pensò con forza Expelliarmus. Ci fu un lampo, e il pezzo di legno stretto nel pugno del manichino davanti a lui volò lontano.

«Non male.» commentò Lavr. «Mi stupisce però che non avessi ancora provato questo incantesimo. Mi sembri piuttosto interessato agli incantesimi di difesa.»

Harry non rispose. Ripose con estrema cura la bacchetta nella tasca del mantello e focalizzò la sua attenzione sul manichino, il quale – sicuramente grazie a Lavr- aveva di nuovo impugnato la finta bacchetta. Non era la prima volta quell’estate che si esercitava in questo modo. Sperimentava, cercava di comprendere il perché fosse l’unico tra i suoi compagni a usare la magia senza bacchetta. Aveva provato a eseguire senza l’ausilio della sua fedele bacchetta d’ebano incantesimi che Lavr gli aveva insegnato da piccolo, e non aveva incontrato difficoltà. Il contrario, per qualche sconosciuto, frustrante motivo, era più difficile. Anche ora, non riusciva a disarmare il manichino senza bacchetta, forse perché non riusciva a far a meno di scacciare dal sua mente quella parola. Expelliarmus.

Aveva chiesto a Lavr se conoscesse una spiegazione per questo fenomeno, ma il demone non era un grande esperto di magia umana. Aveva però acconsentito a sottoporsi a un piccolo esperimento: aveva provato a eseguire lo stesso incantesimo prima al suo solito modo, ovvero con il solo pensiero, poi con la bacchetta di Harry, e non aveva riscontrato differenze. Era anche riuscito a effettuare l’incantesimo usando una combinazione dei due metodi: senza bacchetta ma enunciando la formula, cosa che a Harry non era mai riuscita. La cosa aveva incuriosito molto Harry, mentre Lavr non si era mostrato interessato alla faccenda, né si era scomposto quando il suo protetto gli aveva parlato della sua paura che il suo grande potere fosse dovuto solo all’influenza del demone. L’indifferenza del suo tutore verso un argomento che lo riguardava e che lo tormentava tanto aveva lasciato Harry ferito. Lavr sembrava incapace di capire quanto fosse importante per lui scoprire l’origine dei suoi poteri; se erano veramente i suoi, o se non erano che un riflesso del potere del demone, e lui, Harry, non era niente di speciale.

Questi dubbi lo avevano ossessionato da quando era tornato a Palazzo. Visto che Lavr aveva liquidato le sue domande con una scrollata di spalle, aveva deciso di fare da sé. Non era una ricerca facile. Per scoprire da dove venivano i suoi poteri, dove prima cogliere l’essenza stessa della magia. Era sicuro di poter trovare delle risposte nell’immensa biblioteca del Palazzo, ma gran parte dei testi erano scritti in lingue a lui incomprensibili e, come se non bastasse, il Palazzo sembrava restio a rivelare i segreti della biblioteca. Più di una volta, Harry aveva vagato per ore nel dedalo di corridoi divisi da alti scaffali, solo per ritrovarsi all’ingresso. Era snervante. Si era persino chiesto se non fosse Lavr a mettergli i bastoni tra le ruote, ma aveva dismesso il pensiero. Non era nello stile del demone un atteggiamento tanto puerile; se non avesse voluto che Harry frugasse tra i suoi libri glielo avrebbe semplicemente detto. No, era il Palazzo che lo ostacolava, e il ragazzo aveva un’idea del perché. Il Palazzo cambiava continuamente, inesorabilmente, approfittando dell’indifferenza del suo padrone. L’unica parte che rimaneva immutata, statica, era la biblioteca. Harry aveva la sensazione che questa fosse il centro del Palazzo, non il cuore pulsante, perché era Lavr con la sua magia che lo alimentava, ma il cervello.

Sapeva di aver bisogno dell’aiuto del suo mentore se voleva avere delle risposte, ma lo seccava insistere quando l’altro gli aveva fatto capire di non essere minimamente interessato alla questione. Visto che non riusciva a trovare informazioni tra i libri, si era messo a testare il suo potere.

Ed ecco perché giorno dopo giorno si ritrovava lì, bacchetta alla mano, a provare ogni sorta di incantesimi sul manichino. Se le sue ricerche sulla magia si erano rivelate infruttuose, almeno poteva consolarsi pensando a tutti gli incantesimi che aveva imparato, molti dei quali avanzati per la sua età.

Eppure era frustrante! Possibile che nessun altro si fosse posto il problema? Perché a Hogwarts, anziché sommergerli di temi inutili, non gli spiegavano come funzionava la magia? Perché nessuno si sforzava di usare la magia senza bacchetta, quando la maggior parte delle creature magiche la padroneggiavano senza difficoltà?

Colto da un pensiero improvviso, chiese a Lavr: «Perché i vampiri non riescono a usare la magia, anche quelli che da vivi erano maghi?»

Il demone lo guardò, impenetrabile come di consueto. «Dopo qualche secolo, necessario per riacquistare un minimo di controllo sui loro impulsi, riescono nuovamente a usarla».

«Ma in maniera estremamente limitata. Persino Veles può solo Smaterializzarsi e usare il Fascino, e lui è il Signore dei vampiri».

«Non ho risposte, Harry.» disse Lavr placidamente.

«Come fai a non avere risposte?!?» esplose finalmente il ragazzo, esprimendo i pensieri che lo avevano tormentato tutta l’estate. Senza curarsi di abbassare la voce, continuò: «Tu sei un demone, puoi tutto, non c’è niente che tu non sia in grado di fare. Io mi sto dannando a imparare incantesimi, ho passato tutta l’estate cavandomi gli occhi su libri giganteschi che divenivano bianchi o sparivano con un puf non appena trovavo qualcosa di interessante. E tu, tu non puoi non saperlo. E se anche non lo sai, ti basterebbe schioccare le dita per avere tutte le risposte!». Si fermò per riprendere fiato. Si sentiva accaldato e probabilmente aveva il volto paonazzo.

Lavr non era trasalito, né aveva mutato espressione. Quando parlò, lo fece con la sua solita voce.

Piatta, priva di emozioni. Irritante.

«Credo che ti stai scontrando con un problema troppo vasto. Se vuoi ottenere delle risposte, devi fare domande più specifiche, esaminare un problema alla volta. Sei ancora molto giovane, persino per i canoni umani, e ci sono molte cose che non sai. Mi chiedi perché i vampiri non sono in grado di usare la magia come i maghi, sebbene un tempo lo fossero. Non lo so. Non mi sono mai interessato alla questione. Del resto io non sono un vampiro. Lo so,» aggiunse, vedendo che stava aprendo bocca per replicare, forse per rimettersi a urlare «non capisci, perché tu sei curioso, hai milioni di domande in testa e ti affanni alla ricerca delle risposte. Ma devi capire che io non sono così, non sono mosso dalla tua frenesia; queste domande non me le pongo. Adesso che l’hai formulata tu, potrei provare a rispondere, ma dubito che troveresti le mie ipotesi soddisfacenti, perché si baserebbero su informazioni che tu non possiedi. Ed è questo il problema. Come puoi chiederti come funziona la magia, e avvalerti dell’esempio di una razza per formulare un’ipotesi, se su di essa sai poco e niente?»

Harry rimase in silenzio, mordendosi il labbro. Una parte di lui trovava il discorso di Lavr profondamente ingiusto. Lui non era ignorante in materia di vampiri, ne sapeva più della maggior parte dei maghi, almeno stando ai discorsi che sentiva a Hogwarts. Del resto pensò risentito, per lui non ha importanza se sono il migliore del mio corso, o se conosco incantesimi del quarto e quinto anno. Non sono al suo livello, sono solo una formica. Senza rispondere, Harry lasciò la stanza.


Quella sera, Lavr si Smaterializzò alla Corte. Notò con una vaga punta di fastidio che Veles non era solo. Nella grande stanza dei ricevimenti gruppetti di vampiri si affaccendavano da una parte all’altra , bisbigliavano concitati, scoccando occhiate furtive al loro Signore. La stanza, arredata in stile antico, era occupata da un lungo tavolo dove il Signore dei vampiri era solito tenere i consigli di guerra. Veles era seduto a capotavola; un vampiro non molto alto era chinato su di lui, e gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Lavr aspettò che Veles lo congedasse, prima di avvicinarglisi.

Forse non era in grado di capire cosa passasse per la testa di Harry – in quel periodo meno che mai – ma conosceva Veles da più di un millennio, e sapeva leggerne l’espressione. Se non era inusuale vedere il Signore dei vampiri scuro in volto, l’espressione distante e riflessiva, le rughe sulla fronte aggrottata e la posa forzatamente rilassata non comparivano spesso. Solitamente, quando qualcosa lo turbava, Veles non si faceva remore a mostrarlo: il viso diventava la maschera di una belva, urlava e distruggeva qualsiasi cosa – o persona – gli si avvicinasse. In quel momento, invece, sembrava far appello a tutte le sue forze per mantenere la calma. La mano sinistra giocherellava distratta con le ciocche bionde che ricadevano sul viso, dandogli un’aria noncurante, ma Lavr non mancò di notare la mano destra che, sotto il tavolo, apriva e chiudeva il pugno, le unghie conficcate nella carne fino a farla sanguinare. Era successo qualcosa, qualcosa di molto grave.

Veles dovette accorgersi del suo sguardo, perché lasciò ricadere entrambe le mani. Obbedendo a un ordine non espresso, tutti i vampiri lasciarono la sala, lasciandoli soli.

«Oggi sembra proprio che non riuscirò ad avere un po’ di pace.» commentò Lavr, sedendosi affianco all’amico.

«Oggi sembra non esserci pace per nessuno. Anche se mi domando cosa possa mai turbare l’eterna quiete del tuo Palazzo».

«Harry».

«Ah.» fece Veles, comprensivo.

Sorprendentemente, Lavr elaborò senza essere sollecitato. «In questo periodo è particolarmente irrequieto. E’ afflitto da molte domande, e cerca disperatamente le risposte».

«E cosa vorrebbe sapere esattamente?»

«L’origine e il perché del cosmo, a quanto ho capito».

Un accenno di sorriso distese l’espressione del vampiro. «Capisco. Ambizioso, il poppante».

«Fin troppo.» convenne Lavr, con un tono rammaricato che fece ridacchiare il vampiro.

«Non ti invidio, sai. Ho idea che la tua leggendaria e seccante pazienza sarà messa a dura prova. Adesso ha dodici anni… tra poco, ti ritroverai per casa un adolescente in preda agli ormoni».

«Non credo sarà così tragica».

«Questo, vecchio mio, perché non hai idea di ciò che ti aspetta. Comunque, se vuoi passare un po’ di tempo lontano da quel buco di Palazzo, potresti darmi una mano».

«Ah, sì, ho notato un certo fermento…che è successo?»

L’espressione di Veles si rabbuiò. Si alzò in piedi e gli disse di seguirlo. Uscirono dalla sala e imboccarono il corridoio che portava ai sotterranei. Scesero, giù, sempre più giù, lungo un stretto corridoio da cui si aprivano delle celle, dove erano tenuti i prigionieri. All’interno, si intravedevano figure accasciate, attrezzi da tortura e bare, decine di bare. L’aria era impregnata dall’odore del sangue. Proseguirono il loro cammino a lungo avvolti da buio impenetrabile. Non per i loro occhi, comunque. Finalmente, Veles si fermò davanti a una cella. A differenza delle altre, questa non era chiusa da una sbarra di ferro, ma da una porta di pietra. «In queste celle, ci sono gli ospiti di cui mi voglio occupare personalmente.» spiegò Veles. Come aprì la porta, un fetore insopportabile assalì le narici di Lavr. Bastò a fargli capire che l’abitante della prigione era un essere umano. Nella stanza, oltre alla tipiche immondezze umane che fecero storcere il naso al demone, c’erano solo una bara nera e una figura vestita di stracci rannicchiata a terra, scossa da brividi e singhiozzi. Veles si avvicinò all’uomo, lo afferrò senza alcun riguardo e lo sollevò in piedi, mostrandolo al demone. Era un uomo di mezza età, alto, anche se era difficile notarlo ora che stava curvo e si reggeva a malapena in piedi. I vestiti che indossava erano talmente sporchi che era impossibile indovinarne il colore originario ed erano strappati in più punti. Un tempo dovevano essere della misura giusta, ma adesso ricadevano disarmonicamente sulla figura scheletrica.

«Basta, basta, vi prego. Non so niente, non so niente.» esclamò il prigioniero, la voce roca di uno che ha urlato troppo. La faccia era una maschera di sangue e non riusciva ad aprire gli occhi pesti.

«Lo so che non sai niente, pezzo di idiota! È per questo che ti trovi qui. Ti aiuterò a ricordare. Collaborerai, e tutto sarà finito.» disse Veles aspramente. Lo scaraventò dall’altra parte della stanza, mandandolo a cozzare contro il muro. L’uomo si accasciò a terra, senza rialzarsi.

«E’ svenuto.» constatò Veles, nonostante non fosse necessario. Sia lui che Lavr potevano sentire distintamente i battiti del cuore del prigioniero nel silenzio della stanza. «Tre mesi fa, mi è giunta voce che un rinnegato, scappato dalla corte, di nome Alexander, si trovava in Bosnia. Mandai alcuni uomini a occuparsi di lui, avevamo un grosso conto in sospeso, noi due. I miei uomini tornarono senza essere riusciti a catturarlo, e portando notizie quanto mai allarmanti. Come ti ho già detto, la situazione nell’Est sta diventando spinosa. Ci sono stati diversi raid, sono state create squadre di Cacciatori. Pare che il governo abbia promulgato una legge per obbligare i vampiri a registrarsi presso il Ministero e obbedire alle leggi dei maghi.», rise sprezzante. «Fin qui niente di nuovo, non è la prima volta che sento farneticazioni simili da parte dei maghi. Ma poi vengo a sapere che negli ultimi due anni Alexander ha collaborato con uomo di nome Andrej Kakanovic. Un Auror e un Cacciatore, nonché un eroe locale, per essersi liberato di un paio di vampiri molesti. Ovviamente, la voce di quest’insolita alleanza mi ha fatto preoccupare, soprattutto considerato che Alexander mi aveva derubato di alcuni testi dal valore incommensurabile. Libri che non possono finire nelle mani dei maghi».

«Ossia?»

Veles fece un gesto seccato con la mano. «Non è importante. Ciò che conta, è che sono andato di persona a esprimere tutto il mio disappunto ad Alexander…»

Lavr gettò uno sguardo verso la bara, dalla quale provenivano gemiti soffocati.

«… e così ho scoperto che la situazione era peggiore di quanto pensassi. Alexander ha rivelato ad Andrej alcuni tra i più importanti segreti della nostra razza, segreti che potrebbero metterci in pericolo. E come se non bastasse, ha fatto dono a questo auror, a questo sudicio ammasso di escrementi, del libro più prezioso della mia biblioteca. ». Accecato dalla rabbia, Veles prese una ciotola di acqua sporca da terra e ne gettò il contenuto sul prigioniero, facendolo rinvenire. «Ma io ancora pensavo ci fosse speranza;» continuò il vampiro, con tono sempre più alto, afferrando nuovamente il prigioniero – questa volta per i capelli – e trascinandolo ai piedi di Lavr, ignorando i suoi lamenti in lingua slava. «perché Alexander mi aveva garantito, mentre con grande piacere gli staccavo le sue infide dita a una a una, che Andrej non aveva ancora condiviso con nessuno le sue scoperte, perché è un piccolo bastardo ambizioso, e contava di usarle per diventare ministro. Allora mi precipito nuovamente in Bosnia, per chiudere una volta per tutte questa storia. E come arrivo lì, cosa trovo? Questo relitto inutile, che non ricorda nemmeno il suo nome, figuriamoci dove ha nascosto il mio libro!»

«Ha perso la memoria.» comprese Lavr.

«Non ha perso la memoria!» urlò Veles, piantandosi a pochi centimetri dal demone. «Gliel’hanno cancellata! Capisci cosa significa?»

«Dovresti mantenere la calma.» commentò Lavr, senza muoversi.

«Al diavolo!» esclamò Veles, facendo un passo indietro. «Sono passati due mesi, e gli idioti che mi circondano non hanno trovato il minimo indizio su chi possa aver Obliviato questo tizio, e io continuo a torturare un involucro vuoto, che sa solo implorare e pisciarsi addosso!»

«Arrabbiarti non servirà a niente. Quello che devi fare, è mantenere la calma e ragionare. Usciamo da qui». Prese il braccio di Veles e Smaterializzò entrambi negli appartamenti privati del vampiro.


Dal giorno in cui aveva alzato la voce con Lavr, non c'erano più stati episodi simili. Harry avvertiva un certo disagio intorno al demone, e anche una punta di risentimento, ma era sicuro che fossero sentimenti unilaterali, del resto probabilmente per il demone non era stato nulla di importante. Harry, al contrario, aveva ripensato alle parole di Lavr più volte nelle settimane successive. Ora che si era calmato, doveva ammettere che il suo tutore aveva ragione. Interruppe la sua ricerca, concentrandosi invece su quello che l'aspettava una volta a Hogwarts. Era andato a Diagon Alley a prendere tutto l'occorrente; Lavr non l'aveva accompagnato questa volta - ultimamente passava più tempo alla Corte che a Palazzo - ma lì aveva incontrato Daphne con la famiglia.

La mattina del primo settembre, Lavr lo accompagnò sino alla stazione di King Kross, affollata come di consueto. Harry si guardò intorno, per vedere se riconosceva qualcuno tra la folla di Babbani, ma era ancora presto, e poi probabilmente le famiglie dei suoi amici Serpeverde si Smaterializzavano direttamente al binario 9 e tre quarti. Quanto a Philippe, si erano sentiti via gufo quell’estate, ma era un sistema di corrispondenza abbastanza lento, soprattutto perché per leggere le lettere che gli mandava l'amico dove chiedere a Lavr di portargliele dalla loro casa di copertura di Londra. Per questo motivo, non sapeva come sarebbe arrivato l'amico al binario; probabilmente si sarebbero incontrati direttamente sul treno, ma gli sarebbe piaciuto conoscere Remus Lupin.

«Ora sarà meglio che vada.» disse, rivolto verso il demone.

Lavr annuì. Lo salutò – senza abbracciarlo – ma quando lo vide girarsi verso il binario parlò. «Eri potente anche quando ti ho conosciuto».

Harry si girò, incredulo. «Come?»

«Avevi del potenziale, una magia molto simile a quella di Merlino. E Merlino praticava magia senza bacchetta da molto prima che le nostre strade si incrociassero. Se la sua magia non era una conseguenza della mia vicinanza, nemmeno la tua lo è. Forse ti ho influenzato, ma in minima parte. Il tuo potere è tuo e tuo soltanto. Tienilo bene a mente».

Harry guardò stupefatto il demone Smaterializzarsi senza aggiungere altro, sentendosi commosso, non solo per le parole di Lavr, ma anche perché non si aspettava che questi arrivasse a comprendere così bene quello che l'affliggeva da dire le parole più giuste per rassicurarlo. Con un sorriso, si diresse verso il muro che separava i binari 9 e 10, ricordando divertito quanti problemi aveva avuto l'anno precedente a trovare il treno. Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno gli stesse prestando attenzione, e spinse il carrello contro il muro.

Immediatamente, gli giunse il rumore di centinaia di voci; davanti a lui si stagliava l'Espresso per Hogwarts, lucido e magnifico come lo ricordava. Si avvicinò al treno, cercando tra la folla Philippe, ma una voce conosciuta lo chiamò a gran voce.

«Montblanc, ehi Montblanc!»

Con un sospiro, Harry si girò, e si trovò davanti la famiglia Malfoy al completo. «Ciao, Draco.» disse, rassegnato.

«Henri, ti presento i miei genitori. Mamma, padre, vi presento Henri Montblanc. Quello di cui vi ho parlato».

«La star della squadra di Serpeverde.» commentò Lucius, mellifluo, stringendogli la mano e scrutandolo intensamente. Somigliava molto al figlio, e la sua figura emanava autorità. Sicuramente, era un uomo che intimidiva, soprattutto se avevi dodici anni; anche Draco sembrava stare sulle spine in sua presenza, ma Harry viveva con un demone onnipotente. La signora Malfoy invece era una bella donna, e sorprese Harry rivolgendogli un tiepido sorriso «Sono contenta di conoscere un amico di Draco.» disse. Nei volti di Harry e Draco affiorò una smorfia dubbiosa, ma entrambi si affrettarono a nasconderla. Lucius comunque doveva averla notata, perché ghignò leggermente. La conversazione con i Malfoy non durò a lungo. Dopo qualche raccomandazione la coppia li accompagnò al treno, e li aiutò a mettere i bagagli in un vagone. Poi i Malfoy salutarono il loro unico figlio.

Forse fu solo un'impressione, dovuta alla non eccelsa opinione che aveva di Malfoy Senior, ma Harry ebbe la sensazione che il mago fosse distratto. Mentre Narcissa abbracciava Draco, Lucius continuava a scoccare occhiate verso la piattaforma, come in cerca di qualcosa. Come fu il suo turno di salutare il figlio, gli posò una mano sulla spalla, e guardandolo dritto negli occhi sussurrò semplicemente «Mi raccomando». L'intensità con cui lo disse, la serietà con cui Draco annuì - la serietà di uno che si trova davanti a una grande responsabilità e ne è fiero - e il modo in cui Narcissa guardava i suoi due uomini diedero da pensare a Harry. Era come se in quelle due semplici parole fosse racchiuso un mondo di frasi non dette, che solo lui non era riuscito a intuire. Dopo avergli nuovamente stretto la mano, i Malfoy uscirono dal treno.

Draco sprofondò nei sedili con aria compiaciuta, che scomparve non appena vide Harry dirigersi verso la porta dello scompartimento. «Dove stai andando?» chiese.

«A cercare Philippe.»

«Non ce n'è bisogno, ti troverà lui.»

«Sì, ma...» cercò di obiettare Harry.

«Possiamo fare il viaggio insieme.» lo interruppe Draco.

Non avendo voglia di discutere, Harry si sedette vicino al finestrino, scrutando la piattaforma. Dopo una decina di minuti, la porta del vagone si aprì e Tiger e Goyle fecero per entrare, ma Malfoy li bloccò. «Andate a cercare un altro scompartimento.» ordinò perentorio.

Harry alzò un sopracciglio, ma non commentò. Passarono alcuni minuti. Gli studenti rimasti sul binario si affrettarono a salire, e il treno finalmente partì. Davanti al loro scompartimento passarono diversi studenti, nessuno dei quali provo a entrare, e alla fine Harry vide Philippe. Lo salutò dall'altra parte del vetro, ma quando si accorse di Malfoy lo guardò perplesso. Il moro scrollò le spalle.

Draco, che stava guardando fuori dal finestrino, si accorse del francese e gli fece cenno di entrare. Con aria dubbiosa, Philippe lo fece, e si sedette vicino a Harry.

Nonostante tutto, il viaggio fu piacevole. Draco si comportò in maniera stranamente impeccabile, e passato il disagio iniziale i tre parlarono dell'estate, di Quidditch, delle lezioni che gli attendevano e dell'anno precedente. Draco si ingozzò di dolci e Harry gli diede manforte, mentre Philippe li guardava un filino schifato. Dopo diverse ore, la luce fuori dal finestrino iniziò ad affievolirsi, e Harry sentì montare l'eccitazione. Stavano arrivando a Hogwarts. Solo ora si rendeva pienamente conto di quanto gli era mancata.

Finalmente, il treno si fermò. Come scesero, videro il guardiacaccia chiamare i primini, mentre loro si diressero verso le carrozze. Draco si separò da loro per andare a cercare i suoi amici, così Philippe commentò: «Non trovi anche tu che sia stato strano?»

«Molto strano.» convenne Harry. «Dovrai fare attenzione con Malfoy quest'anno».

Philippe annuì, ma poi sorrise, deciso a lasciar cadere quell'argomento.

Salirono su una delle carrozze, dove vennero raggiunti da Daphne e Theo. I due parlarono tutto il tempo, mentre i due francesi rimasero silenziosi. Harry pensava a quanto fosse strano, ritrovarsi di nuovo in mezzo al fracasso degli studenti, dopo un'estate in cui aveva lasciato raramente il Palazzo. In quei mesi l'anno passato a Hogwarts gli era sembrato un sogno lontano, e ora invece era di nuovo lì. Si chiese quali sorprese gli riservasse quell'anno. Aveva una strana sensazione, dovuta forse all'incontro con Malfoy. Del resto, era strano essere presentati all'uomo che aveva organizzato il suo rapimento.

Senza che se ne accorgesse, erano già arrivati al castello. Scese, cercando di scacciare i pensieri e concentrarsi su quello che accadeva intorno a sé. Entrò nella Sala Grande e prese posto al tavolo di Serpeverde, insieme ai suoi accompagni. Seguì lo Smistamento con poco interesse, applaudendo meccanicamente quando qualcuno veniva smistati a Serpeverde, e ascoltando con un orecchio solo i commenti che i suoi compagni facevano su ogni primino: quello è di una famiglia illustre, quello deve essere un Sanguesporco, oh cielo, un'altra Weasley!

Il banchetto fu delizioso come al solito, e come al solito quando l'ultimo dolce scomparve dalla tavola Harry si sentiva piacevolmente sazio e assonato. Il preside prese la parola, e il silenzio cadde sulla sala. Fece i soliti avvisi, presentò il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure – che fu accolto da grandi applausi, soprattutto da parte delle ragazze, e poi congedò gli studenti.

Serpeverde si diresse compatta verso i sotterranei, ma una volta giunti nella Sala Comune né Harry né Philippe si trattennero con i compagni, anche perché a breve sarebbe arrivato Piton per fare il discorso ai primini. Salirono nel loro dormitorio e si coricarono.




Eccomi di ritorno, chiedo venia per il ritardo. Questa università mi distrugge. Vi faccio tanti auguri per l'anno nuovo, nella mia lista di buoni propositi c'è anche non essere troppo cattiva con i miei  lettori e aggiornare,  spero riuscirò a mantenerlo. 

Per coloro che fossero interessati, alla fine ho deciso di pubblicare la piccola one shot che avevo scritto su Remus e i due Leroy. La trovate  qua http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2360872&i=1 


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