Past lives di Rainie (/viewuser.php?uid=109701)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. [ Die Young ] ***
Capitolo 2: *** 03. [ Old flames can’t hold a candle to you ] ***
Capitolo 3: *** 02. [ Last Goodbye ] ***
Capitolo 4: *** 04. [ The Harold Song ] ***
Capitolo 5: *** 05. [ Past Lives ] ***
Capitolo 1 *** 01. [ Die Young ] ***
Così,
in questo modo.
Le
possibilità erano solo due: o l’avevano
già previsto, o l’avevano previsto
senza saperlo. Fatto stava che ora erano solo un groviglio di corpi e
lenzuola,
respiri, abbracci e baci passionali; erano tutto, stringevano
tutto, ma al contempo sapevano bene che non valevano
niente alla fine.
Si
stavano divorando l’un l’altra, questo era certo.
Poi,
quando tutto era finito e la notte fonda stava facendo scendere sui
loro occhi
il velo del sonno, Elizabeta parlò. La sua voce non era
rotta, ma aggressiva,
rauca, ed infine lievemente assonnata. Gli parlò con un tono
schietto, come
sempre, mentre la nuda pelle del suo corpo era ancora premuta contro
quella
dell’albino.
«Non
mi
sei mai piaciuto», gli aveva detto. «Eri un
moccioso senza palle quando ci
siamo conosciuti, ed eri anche incredibilmente cretino. Non che tu sia
cambiato
più di tanto, in questi anni.»
L’altro
trattenne un riso. «Disse quella che veniva presa in giro
perché giocava con i maschi»
le rinfacciò Gilbert. La sentì sbuffare, un
soffio sul suo petto, «Non me ne
importava più di tanto».
Poi
lei
alzò il viso per penetrare il suo sguardo scarlatto, mentre
la pioggia fuori
dalla finestra non permetteva alla luna di illuminare quella stanza,
dove entrambi
avevano condiviso un’infanzia di odio reciproco ed insulti da
adolescenti. E
lei ripeté: «Non mi sei mai piaciuto. Ti odiavo
con tutto il cuore.»
Restarono
in silenzio per un po’, e Gilbert si chiese cosa Elizabeta
avesse in mente. “È sempre
stata strana di suo, non dovrei preoccuparmi”, aveva pensato.
La risposta alla
sua domanda arrivò presto però, quando lei
continuò a parlare: «Strano, il
fatto che ora stia cercando in tutti i modi di preservare questo
momento, vero?
Sono patetica.»
«No,
non lo sei» le rispose lui, affondando il viso nei suoi
capelli castani. Avevano
un lieve odore di sapone. Gilbert pensò che non si era mai
trovato né sentito
tanto vicino alla ragazza. «E tu sei un gran
idiota», la sentì sospirare. Non le
diede torto.
Così
avevano deciso di passare il resto della notte a parlare e sussurrarsi
ricordi,
solo per il fatto che non avevano più altro tempo da perdere
in dormite, perché
poi lui se ne sarebbe andato e lei non avrebbe più dovuto
aspettarlo. E tutto
ciò era sciocco ed incoerente, un desiderio innocentemente
utopistico.
«Senti,»
lo chiamò lei, «se un giorno mi perdessi di nuovo,
tu verresti a cercarmi, vero?»
Non le piaceva quell’atmosfera, era tutto troppo sdolcinato e
malinconico; lei
odiava cose del genere, ma sapeva anche che nemmeno lui le sopportava.
Era una
situazione alla pari, e Elizabeta aveva bisogno di un appiglio.
Così
lui le rispose come lei desiderava. «D’accordo,
verrò a cercarti», e la strinse
a sé ancora di più. Si stampò in mente
quella sensazione – era uno stupido
capriccio infantile, lo sapeva, tuttavia non poteva farne a meno. Era
stanco e
la desiderava.
«Ti
cercherò e ti troverò» finì
di dire, e la sentì biascicare versi di
approvazione.
[ 497 parole. ]
N/A: Non
chiedetemi cos’è questa
flash, non lo so neppure io, perché mi è venuta
in mente studiando Dante, e tra
Dante, PruHun e Kesha c’è poco in comune.
Mi
scuso in anticipo se le prossime storie saranno confuse, ma credo che
sia un
buon modo per descrivere il rapporto di loro due in questa piccolissima
AU.
Cosa starà succedendo a Gilbert? Sinceramente, non lo so
neppure io. /laughs
Spero
di aggiornare tra una settimana. Ho un sacco di ispirazione,
ultimamente, e il
fandom di Hetalia mi sta prendendo molto c:
Rainie
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Capitolo 2 *** 03. [ Old flames can’t hold a candle to you ] ***
Certe
volte, a Gilbert capitava di ripensare a quanto la vita di anni fa gli
mancasse.
Il
periodo dell’adolescenza era passato tra tentativi
di attirare l’attenzione delle
persone e un gran desiderio di libertà, era uno sforzo di
godersi la vita il
più possibile, prima che la suddetta libertà gli
fosse tolta appena l’avrebbe
acquistata, entrando nel mondo degli adulti.
Così,
quando si diplomò dalla scuola superiore e i suoi compagni
di corso decisero di
festeggiare con un falò sulla spiaggia, fu più
che lieto di partecipare. Fu
felice di correre giù, verso il vasto mare, con la sabbia
sotto i piedi e il
sapore dell’alcool in bocca.
Più
tardi, con il tramontare del sole e l’imbrunire del cielo di
inizio estate, si
stampò bene in mente la risata di Elizabeta e le sue iridi
verdi in cui la luce
cremisi della serata si rifletteva. Non l’aveva mai vista
tanto contenta di qualcosa,
mentre gli schizzava l’acqua del mare addosso e cercava di
fargli perdere
l’equilibrio perché scivolasse e cadesse nel mare,
come se non fossero già
abbastanza inzuppati entrambi.
«Dimmi,
Gilbert, cos’hai intenzione di fare, ora?» gli
aveva chiesto poi, quando
entrambi risalirono in spiaggia e si accasciarono sulla sabbia, mentre
le voci
degli altri diplomati erano sussurri dispersi nel vento, lontani, un
flebile
ricordo in un angolo della mente. Entrambi, fino ad allora, avevano
fissato la
volta celeste cosparsa di stelle, più brillanti che mai, ma
poi l’albino voltò
la testa verso la compagna e così fece lei. «Su,
dimmi, non mordo mica» lo
esortò di nuovo Elizabeta.
Gilbert,
per quanto si fosse lasciato andare con le bevande alcoliche, poteva
benissimo
percepire quel lieve intorpidimento nella sua voce: difatti, non gli
avrebbe
mai posto quella domanda in uno stato più sobrio. Era sicuro
che aveva troppa
paura.
«Non
lo
so,» disse in un mormorio biascicato, «ma se vuoi
posso accontentarti in
qualcosa. Qualunque cosa.»
Lei
rise. «Andiamo, sai che se ti chiedessi di regalarmi dei
fiori in pubblico non
lo faresti mai», sorrise. «Non è nel tuo
stile.»
«Oh,
certamente, vediamo se ora ne sono capace», ghignò
Gilbert, e lo avrebbe fatto
se l’altra non lo avesse preso per un braccio e forzato a
sdraiarsi di nuovo
accanto a lei. Gli mormorò che era un gran sciocco, e lui
non fece altro che
grugnire in protesta.
Poi,
quando il silenzio calò su di loro, Elizabeta
sussurrò: «Mi piacciono un sacco
i non ti scordar di me, lo sai?» Ancora una volta, lui la
guardò, ma senza
essere ricambiato.
«Credevo
i tuoi fiori preferiti fossero i tulipani.»
«Anche
quelli», si affrettò a dire la bruna,
«ma ora mi piacciono anche i non ti
scordar di me, tutto qui. È solo che non credo che
incontrerò qualcun altro
tanto particolare quanto te. Non voglio scordarti e non voglio che ti
scordi di
me.»
Gilbert
si strinse di più a lei dopo quell’ultima
confessione. Decise che non ne
avrebbe mai parlato con lei quando fosse stata sobria –
sarebbe stato troppo
imbarazzante, troppo intimo. E non era
nel suo stile.
«Allora
facciamo così,» propose, «facciamo che
un giorno ti regalerò una macchina piena
di tulipani e di non ti scordar di me, ti va? Facciamo che te lo
prometto, e se
non mantenessi la promessa, potrai sfogare la tua rabbia su di me per
quanto
vorrai.» Poi ci ripensò: «Te li
regalerò davanti ad un sacco di persone, sei
contenta?»
L’ultima
cosa che sentì prima che i loro coetanei li trovassero, fu
la lieta risata
della ragazza accanto a lui. Mai altro suono fu più
rassicurante.
[
594
parole. ]
N/A:
Perdonatemi il fatto che ho sforato di un centinaio di parole il limite
della
flashfic, ma c’erano troppe cose da dire e non riuscivo
proprio a diminuirle.
“Old
flames can’t hold a candle to you” non è
scritta da Kesha e né è lei
l’interprete
originale, bensì la madre è l’autrice,
che la scrisse per Dolly Parton, se non
erro.
Bleh,
sono un po’ di fretta, quindi le note sono più
corte del solito. Perdonate gli
eventuali errori nella storia, dal momento che aggiorno un giorno prima
e non
ho avuto tempo di rivedere meglio la fanfic in questi ultimi giorni.
Alla
prossima settimana! Rainie.
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Capitolo 3 *** 02. [ Last Goodbye ] ***
Dall’inizio
della sua amicizia (o inimicizia, dipendeva dai punti di vista) con
Gilbert,
l’unica volta in cui Elizabeta ricordava di essere stata
grata ad averlo
accanto fu quella gita scolastica in prima media.
Ricordava
i profumi di quella città sconosciuta, la linea
dell’orizzonte che terminava
con i profili irregolari delle montagne lontane e il sole caldo che
batteva
sull’asfalto grigio; ricordava quanto si stesse annoiando ed
il fatto che perse
di vista i suoi compagni di classe.
Quando
se ne accorse, si chiese come avesse fatto ad allontanarsi dal gruppo
scolaresco, tuttavia non aveva avuto paura; dopotutto, era sempre stata
una
bambina calcolatrice e dal sangue freddo, e inizialmente non fu per
niente turbata.
Si
sentì davvero ansiosa solo quando, mezz’ora
più tardi, avendo cercato in lungo
e in largo i propri compagni, realizzò che era pur sempre
una ragazzina, e che come
tale non riusciva ancora a gestire le proprie emozioni e paure. Non
voleva di
certo mettersi a piangere, eppure più il nervosismo
cresceva, più lei non
sapeva cosa fare, e più il panico si prendeva gioco dei suoi
sensi.
E
invece Gilbert la ritrovò, proprio quando lei non ci aveva
più sperato. «Era
una palla stare con loro», le aveva detto, con le mani nelle
tasche ed lo sguardo
(che aveva l’intenzione di essere) diffidente. Lei lo aveva
guardato con perplessità,
per poi tirargli un calcio negli stinchi – «Sei
impazzita?!» – per nascondere
un imbarazzato sorriso e sollievo. «Quanto sei
idiota», gli disse, incrociando
le braccia al petto in un atteggiamento fiero ed orgoglioso. Gilbert,
invece,
fece una smorfia di dolore.
Così
camminarono
per le strade, corsero ridendo ed incuranti del resto, in un infantile
anonimato, con le vie ed i negozi come unici testimoni. Mangiarono del
gelato
mentre il vento scompigliava i loro capelli, prendendosi in giro
l’un l’altra
per quanto ridicoli sembravano, e bisticciarono come al loro solito
fino a
quando non furono ritrovati dai loro maestri terrorizzati e si subirono
il
terzo grado.
Anche
a
distanza di anni, Elizabeta riusciva a rievocare quel giorno in modo
vivido,
come i colori di un vivace Van Gogh. Era un ricordo inchiostrato nella
sua
mente, che aveva girato e rigirato nella sua testa milioni di volte in
sogni e
cambiamenti successivi, assaporando intanto il dolce gusto di una
innocenza passata,
tuttavia mai più ritrovata in seguito. Quella stessa memoria
l’aveva accompagnata
sino a lì, nel punto in cui il sole sarebbe presto sorto su
quell’assonnata
città alle 4 del mattino.
Gilbert
aveva deposto un bacio sui suoi capelli, e lei si strinse ancora di
più al suo
corpo. Sorrise ad entrambi il ricordo ed il calore emanato
dall’altro,
ripensando con divertimento a come, anni fa, aveva repulso
l’idea di
abbracciare l’albino, scivolare le dita tra
l’argenteo delle sue ciocche
ribelli e perdersi nel mare del suo odore familiare.
Infine
sospirò, e chiuse gli occhi arrendendosi al passato ormai
lontano.
[ 481 parole. ]
N/A:
Avrei voluto aggiornare
lunedì, ma non avevo immaginato che in questi tre giorni
precedenti non avrei
avuto nemmeno la possibilità di avvicinarmi al mio computer
/: Chiedo venia.
Non
sono mai stata una grande fan di Kesha, a dirla tutta, ma ci sono state
alcune
canzoni che mi hanno colpita particolarmente, ed ho deciso di scriverci
qualcosa. Non sono sicura di aver colto l’atmosfera di Last
Goodbye
completamente in questa flash, ma spero sia abbastanza!
Ci
vediamo settimana prossima, sperando di essere puntuale, questa volta.
Rainie.
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Capitolo 4 *** 04. [ The Harold Song ] ***
Ci
fu
quella volta, durante gli anni delle superiori, in cui Elizabeta era
entrata
come una furia in casa Beilschmidt ed aveva tirato un pugno in faccia a
Gilbert.
«Quindi
te ne ritorni in Germania a farti uccidere, eh?» lo aveva
accusato, mentre il
fratello dell’albino, Ludwig, tentava di tenere ferma la
ragazza e di
rilassarla. L’altro sentiva
la mascella
pungergli di dolore, mentre lasciava che lei gli sputasse addosso tutto
quello
che voleva, i suoi insulti, le sue opinioni. Sentiva il resto del mondo
–
troppo futile – scivolargli via dalle mani, e nella sua mente
rigiravano solo
quelle parole: se ne ritornava in Germania a farsi uccidere.
Quando
si fu calmata e si sedette per terra ad osservarlo in silenzio, Ludwig
cercò il
consenso nello sguardo del fratello e se ne andò, lasciando
i due a fissarsi
l’un l’altra. Non spiccarono parola per qualche
momento, fino a quando Gilbert
non si alzò, e, avvicinandolesi, le tese la mano –
«Non mi toccare», gli sibilò
– dicendole: «Ti va di fare una
passeggiata?»
Alla
fine accettò. Il sole, tramontato ormai da ore, aveva
lasciato posto alla luna,
che proiettava una flebile luce sull’asfalto, supportata dai
vari lampioni
della strada. Per la durata del tragitto i due non si scambiarono
parola, e
Gilbert trovò il parco dove erano soliti a giocare da
bambini il luogo adatto
per avere una conversazione. Le altalene cigolarono sotto il loro peso,
e per
la prima volta dopo tanti minuti di tensione, si guardarono.
«Per
rispondere alla tua domanda,» cominciò
l’albino, «non vado lì a farmi uccidere,
per tua informazione.»
Lei
roteò gli occhi. «Gilbert, hai ancora un sacco di
tempo e speranza, decidere di
andare lì e donare gli organi già adesso
è un autentico suicidio», sospirò
esasperata Elizabeta. «So che ti sembrerò egoista,
ma perlomeno abbi la decenza
di rimanere qua, a fare le operazioni.»
«Sai
che lì ci sono tutti i miei parenti» disse lui, e
l’altra non rispose, mentre
si guardava le scarpe. La serata di inizio primavera mandava brividi di
freddo lungo
le spine dorsali di entrambi, e quel momento non aveva alcun bisogno di
essere
peggiorato di più.
Così
Elizabeta parlò di nuovo: «Quando parti,
quindi?»
«Dopo
il diploma,» rispose lui, «forse rimarrò
qui per ancora qualche anno.» Sentì i
muscoli del cuore contrarsi in una triste stretta, quello stesso cuore
che
forse un giorno non gli sarebbe più appartenuto e che non
avrebbe più sentito
ciò che stava sentendo ora. Un desiderio irrealizzabile.
Esitazione.
Poi,
quando sentì la mano della ragazza sulla guancia ed
incrociò il suo sguardo
smeraldino, volle non aver mai fatto una simile decisione.
«Scusa per prima,»
gli disse, «ti ho fatto male?»
Lui
rispose che non era niente, e alla luce della luna la guardò
avvolgere le
braccia attorno al proprio collo in un caldo abbraccio.
Ricambiò il gesto.
«È
solo
che ci conosciamo da tanto tempo. Mi sembra davvero triste una
situazione del
genere», gli aveva mormorato nell’orecchio. Lui
annuì, chiudendo gli occhi.
«Già.
È
davvero triste.»
[ 500 parole. ]
N/A:
Forse ho esagerato un po’ con
la storia della donazione degli organi, ma l’angst
è sacro, quindi va bene così
(?).
Francamente,
non ho tanto da dire su questa flash. Ma mi piace un sacco la canzone.
È stata
la prima di Kesha che mi è piaciuta veramente, e quindi ho
davvero voluto
inserirla in questa raccolta. A proposito, l’ho proprio
scoperta grazie ad un
AMV sulla PruHun uwu Già che ci sono, me ne vado a vedere un
paio.
Il
prossimo capitolo sarà l’ultimo.
Rainie.
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Capitolo 5 *** 05. [ Past Lives ] ***
Si
erano
incontrati a sei anni, quando, sulla via di casa, Elizabeta
trovò quel bambino
dagli assurdi capelli argentati della sua stessa classe intento ad
osservare la
coda di una lucertola. Lui non le volle credere quando gli disse che le
lucertole potevano farla ricrescere dopo che l’hanno perduta.
Anni
più tardi, quando accompagnò quello stesso
bambino, ormai diventato un giovane
ventiduenne, in aeroporto, vide una lucertola a prendere pigramente il
sole sul
rovente asfalto del parcheggio, e le venne in mente
quell’episodio. Pensò che
fosse veramente un’ironia, dato che quel giorno sarebbe stato
l’ultimo in cui
l’avrebbe visto.
Lui
la
ringraziò per avergli tenuto compagnia la notte precedente
mentre la stringeva
in un abbraccio, e lei rispose che non era niente, che non le era
dispiaciuto
affatto. Elizabeta inspirò a fondo l’odore
dell’acqua di colonia di Gilbert,
che in quel momento indossava la sua giacca in pelle preferita, ed
espirò
buttando fuori tutte le sue emozioni, le memorie,ed il
passato. Prima di separarsi, Gilbert le
chiese di passare a casa del fratello per consegnargli le chiavi del
suo
appartamento, e lei accettò. Poi lo guardò
salutarla con la mano, per poi
sparire nella moltitudine delle persone. E anche lei si
voltò verso l’uscita.
Sul
tragitto di ritorno, Elizabeta era lieta di sapere che si stava
già abituando a
non avere la voce irritante dell’albino e la sua presenza
accanto a lei. Guardò
fuori dal finestrino dell’autobus la città
scorrere via davanti ai suoi occhi,
così come ogni ricordo stava ammucchiandosi negli angoli
della sua mente, tutti
impregnati del dolce pensiero di due decenni di vita vissuti bene e
felicemente.
Successivamente,
quando arrivò finalmente al palazzo dove abitava Ludwig, fu
accolta da una
piccola sorpresa, e sentì i momenti passati bruciarle negli
occhi e nel cuore
ancora una volta. Quando l’aveva preparato? Come aveva fatto?
Perché se lo
ricordava ancora? Domande su domande si impilavano nella mente, mentre
con
fatica e col respiro corto strascicò i piedi avvicinandosi
all’auto, color blu
di Prussia – la sua firma – sbirciando nei
finestrini, attraverso le quali si
potevano intravedere tulipani rossi e non ti scordar di me ricoprire
l’interno
dell’auto, come se fossero sbocciati naturalmente dai sedili.
Le
persone smisero di fotografare quell’insolito spettacolo,
quando Elizabeta
districò un biglietto dal tergicristallo e lesse nella mente,
“Per Eliza. Ti avevo promesso
un’auto piena di fiori, così non ti scorderai
sicuramente di me. Chiedi a
Ludwig le chiavi. Poi, se per caso scoprissi chi, eventualmente, ha il
mio
cuore trapiantato in lui, picchialo e digli di noi. Così
forse ti amerà lui al
mio posto. Da Gil”.
Quando
finì, pensò che fosse uno stupido a
credere che le cose avrebbero
funzionato davvero in quel modo. Quando entrò nel palazzo e
chiese spiegazioni
a Ludwig, quello si limitò a scuotere la testa, dicendole
che sapeva come il
fratello era fatto.
Più
tardi, si sedette al posto del guidatore e chiuse gli occhi, facendo
rivivere
la sabbia sotto i suoi piedi, il mare color ambra alla luce del
tramonto
davanti a lei, e la
voce roca di Gilbert
nelle orecchie. Aveva il cuore in mano, ed aveva paura di buttarlo via.
Così,
finalmente, rilasciò le lacrime, e giurò che, se
vi fosse stata un’altra vita,
non l’avrebbe lasciato andare. Non in quella.
Accese
il motore, e, sebbene fosse insicura della meta, cominciò a
guidare nel
tentativo di scappare dai ricordi, per poi accorgersi di ritornare
sempre sul
punto in cui quella lucertola aveva perso la coda.
[ 577 parole. ]
N/A:
E con questo capitolo si
conclude la raccolta, mi scuso per aver superato il limite delle 500
parole
ancora una volta. Ma ho aggiornato un giorno prima.
La
storia è questa: Gilbert ha contratto una malattia da
bambino, una di quelle
che non lo fanno vivere più di trent’anni,
così decide di diventare un donatore
di organi verso i venti anni (purtroppo, non sono esperta di medicina;
ho fatto
delle ricerche e sembra che alcune malattie celebrali possano
permettere al
malato di donare i propri organi da vivente. Dal momento che la fonte
è
internet, non posso essere del tutto sicura che le informazioni siano
corrette). Elizabeta lo viene a sapere, e dopo l’episodio del
capitolo 4 ha
paura di menzionare il fatto di nuovo. Per un po’ di anni
successivi al loro
diploma, fanno finta che non ci sia niente fra di loro, ma quando
arriva la
partenza di Gil per la Germania, non riuscirono a trattenersi, e poi
sapete
cosa succede. In ordine cronologico, quindi, i capitoli sarebbero: 2,
4, 3, 1,
5.
Ancora
una volta, ho come la sensazione che la canzone non si addica alla
flash. Ma avevo
deciso dall’inizio che questa avrebbe accompagnato
l’ultimo capitolo, quindi va
bene così.
Grazie
per aver seguito questa raccolta e per le recensioni! Spero di poter
finire di
scrivere la prossima long fiction su Hetalia presto e farvi sapere
ancora di
me, per vostra sfortuna! :D
Rainie.
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