The End

di EmiiOsaki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Nuovo Inizio ***
Capitolo 2: *** E' solo fantasia. ***
Capitolo 3: *** Sherlock Holmes ***
Capitolo 4: *** Zammy. ***



Capitolo 1
*** Un Nuovo Inizio ***


E' il 20 Marzo ed il sole, appena sorto, cerca a fatica di farsi spazio tra le nuvole, il che non è un fatto raro nel New Jersey. Apro finalmente gli occhi ed anche se sono esausta riesco ad intravedere il telefono, che sulle note dei Linkin Park mi rompe l'anima da un pezzo. Dopo aver visto l'orario, salto giù dal letto.
 

-Cazzo Nick, è tardissimo! Rischiamo di perdere l'aereo!- Strillo con non poca fatica.
 

Nessuna risposta.

Vado in cucina e trovo un post-it sul frigo:

"Amore ci vediamo all'aeroporto, devo sbrigare una commissione"
 

Bene, quell'imbecille è andato via senza neanche svegliarmi, sarà meglio sbrigarsi. Senza neanche lavarmi i denti corro via con una ciambella in bocca, la chitarra in una mano e le sigarette nell'altra.
 

"Per viaggiare ho bisogno solo della mia chitarra e delle sigarette"

Diceva così Ren, personaggio principale del manga giapponese NANA. Il fatto è che io non fumo, non ho mai fumato e non ne trovo il bisogno, le sigarette sono per il mio ragazzo. A proposito adesso gli invio un sms:

"Tesoro, sono un po' in ritardo ma ce la faccio. Sono quasi arrivata. Ti amo, Sam❤. PS: Perchè diamine non mi hai svegliata?. "

 

-TAAAXI!- urlo a sguarciagola
 

-Signorina non strilli, sono le sei del mattino!- E sbadigliando il tassista conclude la frase.

-All'aeroporto!- dico con enfasi e dopo aver guardato l'orologio, aggiungo: -Per l'amor del cielo faccia in fretta! E' tardissimo.-
 

L'aeroporto non dista molto ma il mio aereo parte tra meno di un'ora, mi sa che sono nei guai! Oh, un messaggio di Nick. Sono davvero fortunata ad averlo nella mia vita, non so come farei senza di lui.

"Sam, tra noi è finita. Mi dispiace tanto. Ti amo e ti amerò per sempre, Nick."
 

Fisso inerme il cellulare, senza fiatare. Ogni singola parola, ogni singolo gesto potrebbe farmi capire che non sto sognando, che non mi trovo in un incubo. Vorrei solo piangere ma non ne ho il tempo, il tassista con la sua voce stridula e pungente interrompe i miei pensieri:
 

-Signorina, siamo arrivati.-
 

Non rispondo. Quelle parole mi hanno riportato alla realtà, e a questo punto sono in grado di compiere solo un gesto: gettare via l'unica prova che ho dal finestrino. Fatto.

-Signorina? Si sente bene?-
 

-Benissimo, grazie. Ecco qui i suoi soldi, tenga pure il resto.-
 

-Ma signorina sono 100 $!!!-
 

-Non importa. Non ne avrò più di bisogno.-
 

-Beh la ringrazio allora. Arrivederci.-
 

Corri Sam, corri! Manca solo mezz'ora. Dove sarà Nick? Ho bisogno di parlargli. Non può lasciarmi, non può e se è solo un altro dei suoi stupidi scherzi, giuro che questa volta me la paga.Ci siamo, quello deve essere il banco informazioni.


-Salve, l'aereo per Los Angeles?- Riesco a pronunciare nonostante il fiatone. L'uomo a cui mi rivolgo ha al massimo trent'anni, è alto, attraente, con dei lunghi capelli scuri e con degli splendidi occhi azzurri che tolgono il respiro.
 

-Mi dispiace signorina ma sta per partire.- Ecco ha appena perso tutto il suo fascino.
 

-Come sta per partire? Ed il mio biglietto? Io devo andare a Los Angeles. -
 

-Signorina, sono desolato ma non posso far nulla per aiutarla. Tuttavia per quanto riguarda il bigli..-

-Lei non capisce! Io devo salire su quell'aereo! E' una questione di vita o di morte!- E urlando queste parole, non gli faccio finire la frase.
 

-Signorina, la prego si calmi! Troveremo una soluzione.-
 

-No. Non mi calmo, io...io...Nick....no....-
 

Oddio non mi sento bene..mi gira la testa..vedo tutto annebbiato...


 


 

-Si sta svegliando! Si sta svegliando!-

Non sono più in aeroporto, o meglio non sono più dov'ero prima. Il soffitto e le pareti sono bianche, niente di più triste; qua e là c'è qualche premio e vicino alla scrivania, noto una laurea incorniciata in un grande quadro; il divano su cui sono distesa è comodo, rosso; il tappeto, grigio e molto grande, occupa gran parte del pavimento, e le piastrelle che si intravedono sono bianche e lucide, proprio come le lampade e la porta. In effetti è tutto bianco, non sarò mica morta?
 

-Signorina, come sta? Ricorda il suo nome? La sua età? Da dove viene?- Evidentemente no, lui non può essere San Pietro.
 

-Samantha Eagle, 17 anni, Trenton, New Jersey.- Rispondo senza esitazione.
 

Ad interrompere i miei splendidi sogni è un uomo non troppo giovane, basso e stranamente serio. In effetti ha un non so che di misterioso, non è di certo il ragazzo che ho visto prima. La seconda voce, invece, è di un omone tutto d'un pezzo, grasso e sulla cinquantina.
 

-Bene, i dati corrispondono. Salve io sono il commissario Gregson della polizia di Trenton.- Cavolo, ci avrei scommesso- Lei è svenuta circa mezz'ora fa e, dato che non ha un cellulare nè un'agenda con sè, il direttore ha preferito chiamare me. Chi può venire a prenderla? Sua madre magari? Suo padre?
 

-I miei genitori sono morti.-
 

Ecco lo sapevo. Perchè ogni volta che lo dico cala il silenzio? Non ho bisogno di essere compatita.
 

-M-Mi scusi...Un tutore?-
 

-Nessuno. Il mio ragazzo si prende cura di me, ma...- Non riesco a finire la frase, non riesco a farmene una ragione.

-Ad ogno modo grazie ma non ho bisogno del suo aiuto! Io voglio solo andare a Los Angeles. Ed il mio vo..-
 

-Signorina, -mi interrompe l'uomo misterioso- sono il signor. Black, direttore dell'aeroporto -ora capisco perchè ha arredato così quello che presumo sia il suo ufficio- mi dispiace ma il suo aereo è decollato e per oggi non ne partiranno altri per Los Angeles a causa di una bufera.-
 

Partito. Andato. Kaput. Non rivedrò mai più Nick, lo so. Tuttavia adesso che sono quasi al verde ho bisogno di capire cosa devo fare. Quale sarà la mia prossima mossa? Non mi sono mai arresa e di certo non lo farò adesso. Non per un ragazzo. Un ragazzo? Ma chi voglio prendere in giro... lui è il motivo stesso per cui esisto, senza di lui non sono niente. Dovrei seguirlo a Los Angeles? E a cosa gioverebbe? Lui mi ha lasciata, rischierei solo di dargli fastidio ed inoltre non sarebbe poi così semplice trovarlo tra quasi 4 milioni di persone.

Mi alzo dal divano, e misurando a larghi passi la stanza cerco di prendere una decisione. Casualmente poso lo sguardo su quel paffuto di un poliziotto e l'idea mi balena nella mente come per magia.

-MA CERTO!- E pronunciando queste parole alzo la voce talmente tanto da far cadere al signor Gregson la ciambella nel caffè.
 

-Si può sopere coso diafolo ti è soltoto in monte? Mi hoi fotto prondere uf colpo!- Grida indignato il paffuto, senza aver ancora mandato giù il boccone.
 

-Mi scusi, Gregson, ma finalmente ho capito dove devo andare! Al diavolo Nick e Los Angeles, io andrò a Londra!-
 

-Londra?- Risponde Gregson preso alla sprovvista.
 

-In effetti ci sarebbe un volo per Londra, però deve affrettarsi signorina. Parte tra poco più di un'ora.- Si intromette il direttore.
 

-Oh signor Black, lei si che mi piace. La ringrazio tantissimo e...complimenti per l'arredamento!- Proferendo queste ultime parole corro via dalla stanza, sbattendo la porta e lasciando tutti a bocca aperta.

 

Dopo aver fatto biglietto e chech-in entro finalmente in aereo. E' pieno di gente ed il mio posto, il numero 21, è vicino ad una coppia apparentemente felice, niente di più inappropriato in questo momento, fortunatamente ho io il posto vicino al finestrino, almeno potrò distrarmi. Dopo essermi messa comoda, guardo fuori e mi accorgo che stiamo già volando. E' tutto così bello e magico che quasi dimentico i miei problemi, la mia inutile vita e ripenso invece ai bei momenti, quelli indimenticabili, quelli che fan venire la pelle d'oca solo a pensarci, tutti rigorosamente americani. A proposito cara America, sono nata e cresciuta qui, ti ho amata ma adesso, come Lucia ai suoi monti, è arrivato per me il momento di dirti addio. Tra qualche ora sarò a Londra, niente più Trenton, niente più New Jersey, niente più America. So già che mi mancherai, anche se gli ultimi ricordi che ho di qui non sono poi così piacevoli: sono svenuta, ho perso l'occasione della mia vita e volo verso una città sconosciuta, ma la cosa che mi fa più paura è una ed una soltanto: Nick, l'amore della mia vita, mi ha lasciata. Io e lui eravamo una cosa sola, stavamo insieme da tre anni ma era come se fosse da sempre, non riesco a capacitarmene. In fondo perchè mai avrebbe dovuto lasciarmi? Stavamo così bene insieme, non un litigio, non un disaccordo, eravamo perfetti. E se fosse proprio la perfezione? Non penso, lui adorava questo nostro modo di fare. Non eravamo una di quelle coppiette tutte latte e miele, ma sapevamo amarci, a modo nostro ovviamente, ma sapevamo farlo. Ci sarà sicuramente qualcosa sotto.

"Il viaggio è ancora lungo, e so per certo che tutte le lacrime che ho in corpo non basteranno a saziare la rabbia che logora e affligge la mia povera anima." Con quest'ultima frase chiudo la mia lettera.

Spero di esser stata abbastanza esaustiva.
Mi manchi...tanto. Ti prego rispondimi, ho davvero bisongo di te,


 

Con amore, Sam.

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Capitolo 2
*** E' solo fantasia. ***



 

21 Marzo,

sono già da qualche ora a Londra e invece di abbandonare l'aeroporto, fisso costantemente il quadro orario degli arrivi. Conto i minuti, i secondi ed ogni qualvolta noto che un aereo proveniente dall'America sta per atterrare il mio cuore si ferma, per qualche istante non di più, ma in quegli attimi preziosi e fugaci mi sento morire e tutto il mondo intorno a me scompare. Con il cuore in gola squadro per bene tutti i passeggeri sperando di trovare tra loro Nick, ma è una vana speranza, poichè so benissimo che Nick non tornerà mai più da me. Senza di lui mi sento persa ed è difficile andare avanti. Di solito non devo preoccuparmi di niente, infatti pensa a tutto lui ma adesso...adesso sono in una città sconosciuta, sola e per di più al verde. Devo darmi una mossa o finirò sotto un ponte.  Con questi pensieri per la testa abbandono finalmente la sala d'attesa e mi reco verso l'uscita, dove intravedo un tassista sulla sessantina, che si distingue dagli altri per la sua eleganza; infatti indossa: una camicia bianca, degli elegantissimi pantaloni neri e dei mocassini, ma ciò che attira veramente l'attenzione è il suo cappello, un borsalino bianco e nero, estremamente adeguato anche se un po' fuori moda. Presenta un fisico non troppo robusto e sul suo viso sono chiaramente presenti i segni del tempo. Avvicinandomi vengo colpita dal suo sguardo magnetico e penetrante; ha dei magnifici occhi verdi e i capelli corti, che si intravedono dal cappello, sembrano un po' arruffati e ormai tutti bianchi. Tutto sommato l'uomo sembra innoquo e non credo che mi negherà qualche informazione.

 

-Buongiorno, signore posso chiederle un'informazione?- dico un po' insicura.

 

-Ma certo mademoiselle, dica pure.- Per fortuna esistono ancora dei gentiluomini, ma è sempre meglio non fidarsi.

 

-La ringrazio. Sto cercando un hotel che non sia troppo lontano dal centro. -E, dopo aver buttato un occhio sul portavolgio, aggiungo- Mi acconterei anche di un B&B.-

 

-Mmmh mi faccia pensare... ma certo, l'Experience! Se vuole posso darle un passaggio, oggi non è una buona giornata per i miei affari.- Dice sorridendo

 

-Gliene sarei infinitamente grata, però non posso pagarla, mi dispiace.-

 

-Non si preoccupi sarà un piacere poterla accompagnare. Londra è una città pericolosa ed una fanciulla bella come lei non può andare in giro tutta sola.- Non so se credere alla storia del galantuomo, ma non ho alternative perchè l'Experience dista chilometri da qui e non posso di certo raggiungerlo a piedi.

 

-Grazie ancora.- Dico un po' a malincuore.

 

-Salga pure.-

 

Salita sul taxi noto subito una foto sul cruscotto che raffigura un uomo sui trent'anni, dal portamento direi che si tratta del tassista, una donna, presumibilmente sua moglie, ed un bambino. Tutti e tre ridono, sembrano felici.

 

-Bella, eh? Quella lì è mia moglie, il bambino a destra invece è...-si interrompe per poi continuare qualche minuto dopo- ...era mio figlio.- Dichiara con la voce spezzata. Mi dà le spalle quindi non posso esserne sicura, ma credo stia piangendo. Non so che dire; tuttavia mi sono trovata più volte al suo posto, quindi penso sia meglio dirgli ciò che ho sempre voluto sentirmi dire io.

 

-Non le dirò che mi dispiace. I miei genitori sono morti ed ogni volta che lo dico, tutti cercano di compatirmi, lo odio. L'unica cosa che posso fare è rimanere in silenzio ed unirmi al suo dolore.-

 

Non risponde e il viaggio continua, posso sentire i suoi singhiozzi. Piango anch'io, in silenzio.

 

-Signorina, siamo finalmente arrivati! Ecco l'Experience.- Pronuncia dopo una buona mezz'ora. Il tono è diverso da quello di prima, è più...deciso, forte e sicuro.

 

-La ringrazio.- Asciugo le lacrime e pronuncio quest'ultime parole una volta scesa dall'auto. Non ho nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi.

 

-Ehi, si fermi!.- Urla a squarciagola.

 

-Mi dica.- aggiungo volgendomi di scatto.

 

-Scusi tanto per prima, non ripensavo all'incidente da tanto. Il mio povero cuore è al capolinea, meglio non sforzarlo ulterilmente.- Ha le lacrime agli occhi, ma sorride.

 

-Dovrei essere io a scusarmi, ho trattato la cosa dal mio punto di vista ma è evidente che non la pensiamo tutti allo stesso modo. Adesso però devo proprio andare, addio.- Ricambio il sorriso.

 

-Ci rivedremo, Zammy.-

 

-Zammy? Ehi torni subito qui.- Lo rincorro per una decina di metri ma è troppo tardi, si è dileguato.

 

Torno indietro e finalmente mi ritrovo nella hall dell' Experience. E' un posto un po' squallido, ma al momento è l'unico ch'io possa permettermi. Prenotata la camera, decido di lasciare il mio unico bagaglio lì e di avventurarmi subito in cerca di lavoro. Con quest'idea esco dall'hotel, se così si può definire, e mi dirigo verso un'edicola per comprare un giornale, in cui sicuramente ci sarà qualche annuncio di lavoro. Camminando con passo deciso mi accorgo in che razza di postaccio sono capitata, è senz'altro vicino al centro anche se in effetti sembra di essere su un altro pianeta. Cerco di non dare troppo peso alla cosa e, senza neanche rendermene conto, mi ritrovo davanti all'edicola. Preso il giornale lo spulcio da cima in fondo e ad attirare la mia attenzione è un annuncio a dir poco singolare:

"Cercasi domestica di qualsiasi età purchè sia poco attraente e molto colta. Per info contattare il Dottor. J.Watson"

La paga non è ottima ma la cosa mi incuriosisce molto, senza contare che avrò vitto e alloggio pagati, non potrei desiderare di meglio.

Bene, è deciso: signor Watson ha trovato la sua governante!

 

***

 

E' già sera e guardando fuori dalla finestra ripenso a quell'uomo e alla sua storia a dir poco toccante, così simile alla mia, anche troppo. Al momento sono sicura solo di una cosa: quell'uomo non è chi dice di essere! Solo mio padre mi chiamava "Zammy" e indubbiamente lui lo sapeva. Devo scoprire chi è e cosa diamine vuole da me. Ma, almeno per ora, credo sia meglio scacciar via questi pensieri.

 

Sai, questa città mi fa venir in mente una tua poesia:

 

"La nebbia avvolge ogni cosa, la trasforma, la rende tetra.

Alla sua vista la luce diventa tenebra e gli animi si anneriscono.

Porta via tutto, ma non la speranza in un domani migliore.

Così è anche il mio cuore, arido d'amore e ricco di sogni.

 

Inerme e ferita,

come un involucro vuoto,

viaggio da un mondo all'altro, pur sapendo che tutto ciò

è solo fantasia."

 

Non so se tu sia mai stata a Londra, ma pare proprio che queste parole siano riferite ad essa. E' talmente bella, con tutte quelle luci, la gente e...il Tamigi, vorrei tanto che tu fossi qui con me a goderti questo spettacolo. In questa città si respira tanto amore, cosa che però non fà altro che ricordarmi sempre di più Nick. E' un momento terribile per me, ma so per certo che tu non mi abbandonerai mai.

Ti prego dammene una prova, rispondimi.

 

Con amore, la tua Sam.


 

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Capitolo 3
*** Sherlock Holmes ***


22 Marzo, 
siamo ufficialmente in Primavera, anche se a giudicare dal tempo cupo e tenebroso non si direbbe, per fortuna ad illuminare questa giornata è un avvenimento importantissimo: il mio primo colloquio di lavoro. Per essere impeccabile mi sono svegliata all'alba ed ora che è quasi mezzogiorno devo solo ritirare i vestiti in lavanderia (indossavo gli stessi ormai da tre giorni a causa di quella stupida frase "Per viaggiare ho bisogno solo della mia chitarra e delle sigarette", così ho deciso di utilizzare gli ultimi risparmi per rendermi più presentabile). Tornata all'Experience mi accorgo che è già tardi, finisco di prepararmi in fretta e furia e mi inoltro tra le affollate strade di Londra. Chiedendo informazioni un po' a tutti, finalmente alle quattro in punto riesco ad arrivare a destinazione, l'indirizzo che il signor Watson mi ha indicato dovrebbe essere in fondo alla strada. Mi avvicino e ad ogni passo l'ansia aumenta sempre di più, il cuore batte forte e le labbra si seccano; il portone adesso è proprio davanti ai miei occhi e quell'enorme insegna bianca sta a testimonianza del fatto che non mi sono sbagliata: il 221B di Baker Street  sta proprio dinanzi ai miei occhi, adesso non mi resta altro da fare, prendo un bel respiro e busso. Durante quegli istanti di fremente attesa osservo con maggior cura l'abitazione e ne rimango meravigliata. L'intera struttura è molto antica ma si trova in un posto delizioso ed è essa stessa altrettanto deliziosa. Vengo talmente rapita dalla bellezza della casa da quasi non accorgermi del fatto che un'anziana ed amabile signora ha aperto la porta e mi invita ad entrare. 
 
-Salve, lei dev'essere la nuova domestica, dico bene? Io sono la signora Hudson-  Mi domanda la vecchietta dopo avermi offerto una tazza di tè e dei biscotti.
 
-Sì, buon pomeriggio signora.  La ringrazio molto e spero proprio che mi perdonerà se non accetto il tè, al momento sono abbastanza nervosa- Dico un po' impacciata. 
 
-Non preoccuparti tesoro, seguimi, il signor Watson ti starà aspettando- Saliamo le scale in silenzio e nell'aria si respira non poco imbarazzo. Finalmente arriviamo dinanzi all'entrata di un appartamento, il mio momento è arrivato, scaccio via i brutti pensieri, congedo la padrona di casa e non appena mi accingo a sfiorare il pomello, la porta si apre di colpo e mi accorgo che dei magnifici occhi azzurri mi fissano. Facendo più attenzione mi rendo conto che a starmi davanti è un uomo sulla quarantina, alto più o meno 1 e 70, di bell'aspetto e molto curato. Continuo a guardarlo senza fare il minimo movimento come se la mia vita dipendesse da questo, finchè lui sorridendo non mi invita ad entrare. Lo seguo e in un batter d'occhio mi ritrovo nel soggiorno di una casa che, se non fosse per lo smile giallo presente nel muro, formato da fori di proiettile e per un teschio posto sopra al camino, avrebbe tutte le caratteristiche di una qualunque abitazione londinese. 
 
-Restano tutti sbalorditi dallo smile e dal teschio, lo so, ma la prego si accomodi.- Dice indicando il divanetto vicino al camino.
 
-La ringrazio e mi perdoni ma sono un po' nervosa. Posso farla una domanda?.-
 
-Beh, ne ha già fatta una, perchè non un'altra?!.- Mi sorride. Credo che per ora stia filando tutto liscio.
 
-Quel teschio......insomma.......è umano?.- So che è una domanda stupida, ma se così fosse sarebbe una cosa a dir poco disgustosa.
 
Aspetta qualche minuto e poi come se nulla fosse  mi liquida con una fragorosa risata e poi continua...
 
-Ha qualche altra domanda? Benissimo adesso passiamo a cose più impor..- 
 
-Salve signorina Eagle, John stavi dicendo qualcosa?- Un uomo sbucato dal nulla interrompe la nostra conversazione, ha un atteggiamento molto arrogante, quasi insopportabile.
 
-Come..?- Il signor Watson  non ha più il tono di qualche istante fa, adesso è insicuro, tremolante e oserei dire adulatore.
 
-Come faccio a sapere chi è la nostra ospite? John mi meravigli, dopo tutto questo tempo ancora rimani meravigliato? Comunque non è stato molto difficile, hai scritto l'annuncio sul tuo blog e persino sul giornale.-
 
-Sì, ma...hai detto Eagle. Come fai a sapere che questa è la signorina Eagle?.-
 
-Al momento non ha alcuna importanza, comunque non abbiamo bisogno dei suoi servigi signorina, può andare e ci perdoni per averla fatta arrivare fin qui.- L'uomo pronuncia la frase senza neanche guardarmi ed accompagnando l'ultime parole con un gesto della mano che mi intima a togliere le tende. 
-Adesso però stai esagerando!- 
 
-Esagerando? E' una ragazzina, a cosa ci gioverebbe averla per casa? E' un inutile spreco di tempo e denaro-
 
-Sei un male..-
 
-Maleducato, insensibile, arrogante, voleva dire questo, signor Watson? In tutti i casi mi perdoni se le dico che non prendo ordini da nessuno. Sarò pure una ragazzina ma l'annuncio diceva esplicitamente "Cercasi domestica di qualsiasi età purchè sia poco attraente e molto colta". E' vero ho 17 anni ma ho studiato molto, ho fatto molte ricerche, ed ho lavorato per parecchio tempo in una biblioteca. Non sarò bella, ma colta sì. Per il resto mi ha convocata il signor Watson e se lo desidera sarà il signor Watson e lui soltanto a congedarmi, lei piuttosto si tolga dai piedi, qui i grandi hanno da fare.- Forse ho esagerato ma quel tizio..aaarg...mi fa impazzire. Che cafone!
 
-Mmh vediamo un po'.- 
 
-E' questa la sua risposta, niente di più?- Ignorandomi non ha fatto altro che aumentare ancora di più la mia ostilità nei suoi confronti e per di più continua a fissarmi con aria di sufficienza.
 
-Samantha Eagle, 17 anni, New Jersey. E' fidanzata o almeno lo era fino a poco tempo fa, è una donna di classe ma l'amore le ha fatto cambiare stile di vita, adesso è una chitarrista squattrinata, sola e in cerca di lavoro.-
 
-Ha fatto ricerche sul mio conto? Ma come si permette! Lei...lei...-
 
-Ancora non ho finito. Fin qui tutto semplice, adesso cerchiamo di addentrarci nel vivo della sua storia: dopo la morte dei suoi ha vissuto una vita tranquilla, ordinaria e noiosa presso la casa di qualche lontano parente, ma ciò non le si addiceva, lei voleva di più, voleva sentire quel brivido che sono una vita folle e disastrata può dare. Iniziò così a frequentare la periferia e girovagando da un pub all'altro incontrò il suo primo amore, un musicista fallito che si esibiva in luridi bar in cambio di una notte al chiuso. Fu subito amore, lei senza pensarci un attimo scappò di casa e andò a vivere con lui. Era tutto perfetto ma la paura non le mancava, dico bene? Le liti erano all'ordine del giorno, e presumo sia perchè, proveniendo da una famiglia abbiente come la sua, è dura abituarsi a vivere come un comune mortale. Adesso ho una sola domanda da porle: perchè si è trasferita a Londra? O meglio so che si è trasferita qui perchè ha rotto con l'amore della sua vita e voleva cambiare aria, ma perchè proprio Londra? Perchè non ritornare dai suoi parenti? Le avrebbero sicuramente offerto una vita migliore di quella che le può offrire un umile lavoretto a Londra.- Un fulmine a ciel sereno, anche facendo ricerche sul mio conto non sarebbe mai riuscito a scoprire così tanto. La cosa mi turba, mi spaventa, ma devo reagire. Lui mi ha lasciato di stucco? Benissimo, gli ricambierò il favore.
 
-Sa, me lo stavo chiedendo anch'io.- Finita la frase, gli volto le spalle e, rivolgendomi al signor Watson, aggiungo -La prego di scusarmi, ma non ho intenzione di trattenermi un minuto di più, ha il mio numero di cellulare, quando può mi chiami, fisseremo un altro appuntamento.- 
 
-S-si certo, mi scusi..io.-
 
-Non si preoccupi, lei è stato più che gentile, arrivederci.- Sono arrivata all'uscio, quando mi ricordo di un particolare e, fissando l'uomo ancora immobile nel punto in cui l'avevo liquidato, concludo con:
-E comunque ha ragione, dopo la morte dei miei avevo bisogno di provare un brivido, avevo bisogno di sentirmi viva ma non per questo visitavo i pub. All'epoca avevo 15 anni, la mia vita era un inferno, ma tutto migliorò quando conobbi il detective della polizia locale, un amico di mio zio. Amavo i gialli e ho una dote particolare per risolvere gli imbrogli, così di tanto in tanto lo aiutavo ad aprire gli occhi, non mi pagava ma almeno mi sentivo utile. Quando ho conosciuto Nick stavo lavorando per lui, mi dispiace ma la sua tesi non è del tutto corretta, la riveda. A mai più rivederci, signor Holmes.- E sbattendomi dietro la porta, scappo via. 
 
***
 
Ancora una volta la stessa storia, sono scappata. Scappata dai problemi, dalle difficoltà e dall'unica proposta di lavoro accettabile, così facendo però non ho fatto altro che peggiorare la situazione: mi sento vuota, persa e sola, dannatamente sola. Vago tra le immense strade di Londra ed è ormai sera quando noto che alla mia destra una biblioteca è ancora aperta, non perdo tempo ed entro. E' un posto davvero magico: l'odore dei libri, la luce soffusa, la gente che è ancora lì nonostante l'ora, la gente sola come me. Tutto questo mi ricorda il periodo in cui lavoravo nella biblioteca di Trenton, ho tanta nostalgia di quei tempi, di Nick, di fare la bella vita. Tutto sommato Holmes non ha poi così torto, che sono una stupida ragazzina viziata e senza futuro è ormai palese, tuttavia preferisco non pensare più a quello screanzato, meglio prendere un libro ed iniziare a leggere. Ho scelto: L'Alchimista di P. Coelho, narra la storia di un giovane pastore che, scoperto quale sia il suo sogno, decide di realizzarlo. A pensarci bene anch'io un tempo avevo un sogno, uno bello, chissà se riuscirò mai a realizzarlo; forse un giorno, lo stesso in cui riuscirò a mettere da parte l'orgoglio, ad essere più forte e a non scappare più. Sono persa tra i miei pensieri quando il cellulare inizia a squillare, destando tutti dalle loro fantasie, a quel punto la biblotecaria non ci pensa un attimo a buttarmi fuori dal suo tempio, così malgrado l'amarezza, finalmente rispondo.
 
-Si può sapere chi diavolo è quel genio che mi chiama alle 2 di notte?.- Di notte, sì. Alle due la notte è ancora giovane, non ha senso offenderla chiamandola mattino, è una cosa ridicola.
 
-Mia cara signorina, la prego si giri.- Dall'altro capo del telefono c'è una voce maschile, ho paura.
 
-Crede sia divertente? Io mi sto girando, ma non vedo proprio ness...- Non riesco a finire la frase, credo di essere emozionata, non mi sono mai sentita così bene, non riesco a definire ciò che sto provando in questo istante...no...non ci riesco proprio.
 
-Lei...non ci posso credere! Cosa vuole ancora da me?.- Fingo di essere irritata, ma in realtà non lo sono per niente e la cosa mi preoccupa.
 
-Voglio scusarmi per l'increscioso comportamento che ho avuto nei suoi confronti questo pomeriggio.-
 
Vendetta e  vittoria, credo che queste due parole possano andare bene.
 
-Lei? Un tipetto arrogante e senza scrupoli che fino a qualche ora fa portava fuori dalle loro tombe i fantasmi del mio passato, come se nulla fosse, adesso chiede perdono, a me, una perfetta sconosciuta. Scusi ma non me la bevo.-
 
-Dovrebbe, cara Zammy?.-
 
-Zammy? Dimmi subito chi diavolo sei, tu non me la conti giusta! DIMMI CHI DIAVOLO SEI O GIURO CHE TI DENUNCIO PER STUPRO.- 
 
-Ehi Zammy, non ti scaldare. Ti dirò tutto a tempo debito.-
 
-DIMMELO ORA.-
 
-Holmes.-
 
-CONOSCO GIA' IL TUO COGNOME, MA PURTROPPO NON MI BASTA.-
 
-Holmes, Sherlock Holmes, ecco chi sono.-

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Capitolo 4
*** Zammy. ***


Cognome: Holmes
Nome: Sherlock
Residenza: 221B, Baker Street
Anni: 40
Statura: 1, 83
Capelli: neri
Occhi: azzurri
Professione: consulente investigativo (Questo mestiere, in verità, forse neanche esiste, credo proprio che Sherlock abbia semplicemente dato un nome a ciò che fa. Egli infatti è più che altro l'ultima risorsa, l'ultima spiaggia di chi brancola nel buio alla ricerca di una verità occulta, nascosta, che solo una mente acuta come la sua può portare alla luce).
Segni Particolari: Estremamente vanitoso, buon violinista, ottimo lottatore, stronzo galattico.



 
 
 
Sherlock Holmes, un uomo a dir poco riservato e notevoltemente strano e lunatico, da un'intelligenza fuori dalla norma paragonabile solo alla sua superbia, non sarebbe mai diventato famoso senza l'aiuto del dottor Watson, che si è gentilmente offerto di pubblicare i casi più strani nel suo blog. In verità anche Mr. Arroganza (suona bene, no?) ha un blog. L'ho visitato qualche volta e l'ho trovato a dir poco stomachevole ed inappropriato. Ogni settimana pubblica un articolo riguardante una diversa disciplina. Sembra una cosa interessante, ma diventa disgustosa non appena si scopre che i suoi esperimenti vengono effettuati sui cadaveri. Eppure, nonostante tutto, c'è una cosa che ammiro in quest'uomo ed è la sua voglia di conoscere, di documentarsi sempre di più in relazione a tutto ciò che lo affascina o che è utile per il suo lavoro; diversamente ciò che lo annoia o che, a parer suo, è superfluo o di poco importanza viene immediatamente rimosso dalla sua memoria. A questo proposito il signor Watson mi ha raccontato di una volta in cui chiese a Sherlock  se fosse il sole a girare intorno alla terra o viceversa e quando quest’ultimo, rivelatosi completamente ignorante sull’argomento, venne a sapere la verità dei fatti si giustificò dicendo che era altamente irrilevante e che non poteva occupare la sua 'grandiosa' mente con simili 'sciocchezze'.
 
Sette mesi e questo è tutto ciò che so sul conto del mio datore di lavoro. Sette lunghi mesi sono passati dall'addio a Nick, da quella decisione presa in aeroporto senza indugio, da quel primo passo verso una nuova vita, dall'incontro con il tassista misterioso, da quell'annuncio sul giornale, da quegli occhi splendenti, da quel sorriso fugace e da quella noncuranza con cui mi mise alla porta, da quella notte passata in biblioteca, da quel cellulare, da quegli sguardi, da quelle scuse, dette fugacemente e alla buona, da quell'incontro che ha segnato una volta per tutte la mia vita e che non dimenticherò mai più. Quel dannato Sherlock Holmes mi è entrato nel cuore, non c'è che dire, eppure potrei dire anche di odiarlo. Amore e odio, che strani sentimenti! Tra i due vi è interposto un flebile filo di seta, facile da spezzare, quasi impossibile da riparare. Penso ancora a quanto sia difficile cercare di comprendere i propri sentimenti, quando un suono improvviso e assordante, proveniente dalla cucina, mi riporta alla realtà. Salto giù dal letto e...BOOOM!!! Diario, mp3, tutto a terra, ma non m'importa! Sherlock è in cucina e quello lì è capace di ogni cosa, meglio andare a controllare. Arrivata in cucina mi accorgo che nell'aria si respira uno strano odore, ma tutto sembra in ordine. Beh, tutto tranne le 'provette da piccolo chimico' di Mr. Arroganza, che, infatti, sono sparse per tutto il pavimento. Noto che solo alcune rotte...che peccato!

-Signorina Eagle, la prego metta un po' di ordine, mi dispiace ma io sto lavorando e non posso aiutarla.-
Dice il dottor Watson, entrando improvvisamente nella stanza.

-Certo dottore, non si preoc...- Non riesco a finire la frase perchè il signor Holmes, rimasto in disparte fino ad ora, mi interrompe, sempre con i suoi modi gentili...

-NON. TOCCARE. NIENTE. - Urla, scandendo bene le parole.

-Shery caro, non si preoccupi ci sento benissimo…piuttosto perchè mai non dovrei pulire?.-

-A meno che lei non voglia lasciarci le penne, le consiglio di stare alla larga da questa cucina e anche da me!.-

-Ma cosa dice?! E lei allora? Su di lei questi veleni, o quel che diavolo è, non fa effetto? Oh, dimenticavo lei è il famigerato SHERLOCK HOLMES. -

-Suvvia Signorina Eagle, non lo stuzzichi. Sappiamo tutti benissimo com'è fatto, lo ignori. -
Il dottore è sempre così gentile con me, sono sicura che se in questa casa non ci fosse lui, andrebbe tutto in rovina.


-Sherlock per l'amor del cielo cosa è capitato?. - Non dimentichiamo ovviamente la signora Hudson, un vero portento! Il suo unico difetto? E' sempre così...all'antica! Il mio scopo in questa casa e’ proprio quello di rendere meno faticosa la vita a questa povera donna, ma siamo sicuri che io ci stia riuscendo?

-Non si preoccupi, non è successo niente di grave, può tornare alla sua maglia!. – Non si può dire che io sia più simpatica di Watson, ma sicuramente batto Sherlock. Chiunque riuscirebbe ad essere meno acido di lui.
 
-Visto che non vi sono di nessun aiuto torno in camera mia.-
-Un attimo, signorina Eagle.,, vorrei informarla che io ed il signor Holmes siamo molto lieti di averla con noi, eppure dobbiamo farle una confessione e credo proprio che non le piacera’. – Il tono del signor Watson e’ piuttosto calmo, ma intravedo una punta di ironia nella sua voce. Le sue parole mi spaventano e mi incuriosiscono al tempo stesso.
-Mi dica, signor Watson!-
-E’ difficile trovare le parole giuste, non so come introdurre la questione.- Ma Shery non gli permette di finire la frase.
-Il tempo è tutto signor Watson, per cui lasci stare o a causa di certi vapori tossici moriremo tutti. Me ne occuperò io.- Detto questo si rivolge a me con fare saccente. – Dolce streghetta, durante questi mesi l’abbiamo messa alla prova, somministrandole numerosi enigmi e trappole, facendo in modo che, inconsciamente, ci rivelasse le sue capacità deduttive e di analisi. Inizialmente Watson non era d’accordo ma con il passare del tempo, mio malgrado, si accorse che avevo ragione e che pertanto valeva la pena appoggiar i miei esperimenti, dai quali è emerso che lei ha la stoffa del detective. Non è al livello del dottore e, non è necessario dirlo, nemmeno a quello del sottoscritto, tuttavia rispetto agli altri suoi amici primati se la cava piuttosto bene, per cui credo sia arrivato il momento per te di unirti ai giochi! -
 
Non posso crederci. Mi hanno usata e continuano a farlo. Come dovrei reagire? Sono al tempo stesso irritata e disgustata. Sta continuando a parlare. Continua imperterrito. E’ ora di mettere fine a questa pagliacciata:
 
-STA’ ZITTO! PROVA A DIRE UN’ALTRA PAROLA E TI DISTRUGGO QUEL BEL VISINO.- Avevo proprio bisogno di dirgliene quattro, ma adesso e’ arrivato il momento di spostare la mia attenzione verso la persona che mi ha deluso di piu’, Watson. Cerco di ricompormi e di calmarmi un po’ prima di prendere nuovamente la parola:
-Watson, non so che dirle. C’era da aspettarsi qualcosa del genere da un caso patologico come quello, ma da lei…no. Non me lo sarei mai aspettata!. Credo sia arrivato il momento di licenziarmi.-
Con l’amaro in bocca, una profonda delusione e senza un soldo in tasca mi accingo alla porta. I miei movimenti sono lenti, lascivi. Forse spero che mi trattengano ma entrambi sono allibiti, esterrefatti. E’ mai possibile che non si aspettassero una reazione del genere? Ma proprio mentre sto per girare il pomello sento una presenza gelida sulla mia mano.
 
-Non andare, Zammy!-
 
Non ci credo. E’ la seconda volta che lo sento pronunciare quella parola, ma non riesco a rispondergli. Sono lì davanti alla porta, impietrita. Non so che fare.
 
-Non ti chiederò scusa ma è arrivato il momento di dirti che non è per le tue doti culinarie, ne’ per le tue scadenti capacità in qualsiasi altro campo della vita domestica che sei qui.-
 
-P-Perché?-
 
Cos’altro avrei potuto dire?
A quel punto Sherlock, intravisto un mio momento di debolezza, toglie la mia mano dal pomello e mi conduce nella sua stanza. Watson non pare sorpreso, anzi. Come sempre l’unica a non sapere mai nulla sono io. Mi tremano le ginocchia e ho il fiato mozzo, quindi decido di farmi trascinare da quell’uomo che detesto così tanto. Noto solo adesso che il suo passo, sempre sicuro e svelto, la sua aria regale e i suoi occhi di ghiaccio cozzano con il suo carattere così particolare, così impossibile. Quale donna mai lo potrebbe amare? Non avevo mai pensato a lui come ad un normale essere umano fino ad oggi e preferirei non farlo più.
Mi provoca imbarazzo.
 
-Stai arrossendo! Tranquilla, non ho cattive intenzioni, non ancora. - Ecco, la magia è svanita ed i miei sentimenti di odo nei suoi confronti si sono nuovamente fatti strada nel bel mezzo di quello stretto corridoio londinese che mi appare immenso. Finalmente entriamo, o meglio entra. Mi lascia fuori ad aspettare, come sempre. Non mi ha mai permesso di entrare in quella che io chiamo “Bat-caverna”, nemmeno per metterla in ordine. Ne esce quasi subito con in mano una lettera. O meglio, una busta che mi pone davanti indicando il mittente.
 
“Da Irine Adler.”
 
Abbasso lo sguardo per leggere il destinatario. Ne aveva rubata una delle mie. Non era possibile.
 
“A Sherlock Holmes”
 
-Adesso sai come faccio a conoscere il tuo nomignolo e credo che a questo punto saprai anche perchè sei qui. Io e Watson, mi si stringe il cuore a dirlo, ma abbiamo bisogno di te. Non pensavo che il tuo momento sarebbe arrivato così presto ma stiamo lavorando ad un caso a dir poco impossibile e credo che tu, meglio di chiunque altro, possa aiutarci.-
 
-La verità Sam – Watson ci raggiunge ed interrompe per la prima volta nella storia dell’umanità il suo caro collega. Provo un po’ d’invidia in effetti – è che per ora a Scotland Yard è tutto tranquillo, per cui abbiamo deciso di occuparci di un caso a cui teniamo particolarmente e di cui tu sei assolutamente al centro: la scomparsa di Irine Adler. Allora sei con noi?-
 
Quei due idioti non la smettono mai di lasciarmi senza parole e tra le lacrime nere per via del mascara ed il fiato corto vorrei urlare, ma ciò che riesco a dire è solamente:
 
-Come diavolo fate voi due a conoscere mia madre?-
 
 
 

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