It's not over 'til you're underground.

di GreenNightmare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Waste another year flies by. ***
Capitolo 2: *** Brat. ***
Capitolo 3: *** Best Thing in Town. ***
Capitolo 4: *** Welcome to Paradise. ***
Capitolo 5: *** Worry Rock. ***
Capitolo 6: *** Take me to the tracks at Christie Road. ***
Capitolo 7: *** Green Day. ***
Capitolo 8: *** On the Wagon. ***
Capitolo 9: *** Chump ***
Capitolo 10: *** Who wrote Holden Caulfield? ***
Capitolo 11: *** Church on Sunday. ***
Capitolo 12: *** Insomniac. ***
Capitolo 13: *** Awesome as Fuck. ***
Capitolo 14: *** Don't wanna fall in love. ***
Capitolo 15: *** Tattoos of memories and dead skin on trial. ***
Capitolo 16: *** Jesus of Suburbia. ***
Capitolo 17: *** If someone can hear me slap some sense into me. ***
Capitolo 18: *** Brain Stew. ***
Capitolo 19: *** Warning. ***
Capitolo 20: *** No one ever said that life was fair now. ***
Capitolo 21: *** Know Your Enemy. ***
Capitolo 22: *** 409 in your coffeemaker. ***
Capitolo 23: *** And I think it's alright that I do what I like, cause that's the way I wanna live. ***
Capitolo 24: *** Disappearing Boy. ***
Capitolo 25: *** Last Night on Earth. ***
Capitolo 26: *** Nice Guys Finish Last. ***
Capitolo 27: *** Caution, police line, you better not cross. ***
Capitolo 28: *** Take Back. ***
Capitolo 29: *** Longview. ***
Capitolo 30: *** Do you feel washed up like piss going down the drain? ***
Capitolo 31: *** Jackass. ***
Capitolo 32: *** Like a liar looking for forgiveness from a stone. ***
Capitolo 33: *** Words I Might Have Ate. ***
Capitolo 34: *** Everyone is so full of shit! ***
Capitolo 35: *** Restless Heart Syndrome. ***
Capitolo 36: *** Road to Acceptance. ***
Capitolo 37: *** A fire burns today, of blasphemy and genocide! ***
Capitolo 38: *** Deadbeat Holiday. ***
Capitolo 39: *** Paper Lanterns. ***
Capitolo 40: *** Gotta get away, or my brains will explode. ***
Capitolo 41: *** Don't Leave Me! ***
Capitolo 42: *** AVVISO. ***
Capitolo 43: *** No pride. ***
Capitolo 44: *** Welcome to Paradise. ***
Capitolo 45: *** Let yourself go. ***
Capitolo 46: *** I know I am crazy, and a bit lazy. ***
Capitolo 47: *** I think I'm losing what's left on my mind. ***
Capitolo 48: *** Like my father's come to pass, seven years have gone so fast. ***
Capitolo 49: *** Home, we're coming home again. ***
Capitolo 50: *** Tell me the story of your life. ***
Capitolo 51: *** Left me here alone, when I should have stayed home. ***



Capitolo 1
*** Waste another year flies by. ***


PRIMA PARTE

WHERE’S YOUR UNDYING LOVE?

 
01.01.2011. Primo Gennaio Duemilaundici.

Uhm, in teoria dovrei fare, come ogni Primo Gennaio, il riassunto dell’anno appena trascorso, con le date più importanti, gli eventi che mi hanno cambiata, colpita, ferita e tutto quanto. Ma, sinceramente, non ne ho per niente voglia.
Non ho la minima intenzione di fare i soliti Buoni Propositi che non manterrò. Non è tra i miei programmi diventare la Figlia Ideale, Studentessa Modello, La Più Popolare Della Scuola eccetera.

Perché scrivo questo diario, non c’è una ragione. Probabilmente perché voglio lasciare una traccia di me quando sarò vecchia, o quando morirò. O quando, semplicemente, cambierò.
Beh, cosa dovrei dire di me? Ciao, mi chiamo Sallie Sander e sono una ragazza totalmente insignificante.  Vivo con mia madre e il suo fidanzato (che è ok, credo) e il loro figlioletto, il mio fratellastro cioè. Ha meno di un anno e si chiama John. Ma per me è Johnny. Johnny come Rotten. Vivo a Rodeo, uno stupido paese inutile a nord della California, dove OGNI SINGOLO ABITANTE, dal più piccolo bambino al vecchio che beve birra al pub, si vanta con i quasi inesistenti turisti che capitano qui (di passaggio, ovviamente, chi verrebbe in vacanza a Rodeo?), insomma, qui TUTTI sanno e sono orgogliosi che due famose rock star siano nate qui. E ogni volta che qualcuno me lo racconta sorridendo, mi verrebbe da gridare: MA CHISSENE FREGA?!?
Insomma, il fatto che un certo Billy Qualcosa e Mike Drint dei Green Day siano nati qui non mi manda in brodo di giuggiole come tutti gli altri. Ho sentito qualcosa dei Green Day, ovviamente, come potrebbe essere il contrario visto il posto in cui vivo?, ma non mi piacciono. Sono COMMERCIALI. Niente a confronto della Musica che amo io. Rolling Stones, David Bowie, Sex Pistols, Ramones, Alice Cooper, Clash, Metallica, Iron Maiden, Guns’n Roses. Chissene frega di  due sfigati nati qui? Ma non importa.

La mia vita è abbastanza insignificante. Mio padre è morto circa sette anni fa, avevo nove anni. Un incidente: guidava ubriaco e si è spiaccicato contro un tir. Era SEMPRE ubriaco. Ma, nonostante questo, gli volevo abbastanza bene, anche se non c’era quasi mai. Ma i miei erano separati già da cinque anni e io ero cresciuta sentendo mia madre dire che papà era un’inutile ubriacone, senza neanche un lavoro e che non sapeva fare il padre. Comunque io gli volevo abbastanza bene. Quando era lucido era fantastico. Mi portava al parco, o al McDonald quando aveva i soldi, e scherzava sempre, e aveva un bel sorriso, e mi ha insegnato lui a disegnare. Quando era lucido. Forse sarebbe stato anche un buon padre, se la vita non gli si fosse messa contro. Forse. Non posso saperlo.

Non sono la tipica adolescente abbandonata a sé stessa, anche se vorrei tanto esserlo. Mia madre si assicura sempre che io sia felice e tiene molto al mio rendimento scolastico. Ma non mi importa. So che sembra mostruoso dirlo, ma non è di una madre, o di un padre che ho bisogno.

Sono una persona abbastanza solitaria, ho pochi amici, quasi tutti maschi. Non riesco a rapportarmi con le mie coetanee, non so bene il perché. Credo che sia perché a me della moda, delle discoteche e dell’amore non me ne frega assolutamente niente, perciò non ho argomenti in comune con loro. Con i ragazzi è diverso. Certo, sono una frana alla play station e non aprirei mai un numero di Play Boy, però per il resto sono ok. Almeno i miei (pochi) amici: non sono fissati per lo sport e questo è un bene, e uno di loro, Joe, suona anche la chitarra. Joe è il mio migliore amico, più o meno. Cioè è quello a cui racconto tutto ed è l’unico che sa della morte di mio padre. I miei amici non fanno tutti parte dello stesso gruppo: ci sono Joe e Larry che sono amici tra loro, però loro non conoscono Laurie (la mia unica amica femmina) che a sua volta non conosce Steve e Leo. E non ho la minima intenzione di presentarli tutti: penso che si scannerebbero a vicenda.

Vado a scuola alla John Sweet High, indovina?, la stessa di quelle due “rockstar”. Anche qui, ovviamente, tutti se ne vantano.  Tranne me e Laurie, che è in classe con me. E’ così che ci siamo conosciute. Comunque, la scuola è ok, credo. Si sta abbastanza bene. Ci sono i soliti gruppi: le cheerleader, gli sportivi, gli sfigati, i punk, gli skater e i secchioni. Io non appartengo a nessun gruppo. Meno male direi. Non le sopporto quelle maledette cricche.

Io, Sallie, sono… beh, normale. Bassa. Magrolina. Non ho un colore di capelli “definito”, nel senso che mi tingo in continuazione. Sono stata bionda, mora, persino fucsia. In questo momento ho i capelli color mogano. Volevo tingerli rosso fiamma ma il colore non è venuto come avrei voluto. Pazienza. Ho gli occhi marroni e, come Laurie, porto gli occhiali. Adoro i vestiti comodi, i jeans e le felpe XXL, e le scarpe da skater.  Non ho subito ferite d’amore, anzi, non mi sono mai innamorata, e ne sono felice: odio le melensaggini. Potrei metterlo come proposito del 2011: non innamorarsi, per nessun motivo.

In verità ho solo un proposito per il 2011: SUONARE LA BATTERIA. La musica è l’unico destino che vedo per me. Mi terrorizza l’idea di un destino “normale”, di diventare una persona “seria”, magari moglie e madre, o chissà quale manager di chissà quale maledetta azienda. Meglio morire. Sul serio. Se immagino il mio futuro, posso vedere solo me che suono il Rock in una band con Joe e altri due volti ignoti. Magari convinco Laurie a cantare o a suonare il basso, ah-ah.

La Musica. L’unica mia compagna per la vita. L’unica cosa in grado si capirmi. Il Rock, l’unica cosa che abbia un senso nella mia maledetta vita. Il Rock è l’unica via. Non c’è altra scelta. Non è neanche una scelta. E’ come una specie di obbligo. Un obbligo autoimposto ancora prima di deciderlo razionalmente. Una -volevo scrivere passione, ma è la parola sbagliata- un qualcosa, radicato troppo profondamente in me per poterlo descrivere. Il Rock è vita.
Ora vado, ho scritto anche troppo e John piange.

Sallie 

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Capitolo 2
*** Brat. ***


10 Gennaio.
Oggi è ricominciata la scuola. Non so, forse sono stupida io, ma ogni volta che si ritorna dalle vacanze natalizie o estive, mi aspetto sempre di trovare i miei compagni diversi, cambiati, forse più maturi, comunque cresciuti rispetto a quando li ho lasciati. E invece anche quest’anno sono rimasta delusa. Lo so, io sono l’ultima che deve parlare.

L’inizio della scuola non è stato molto incoraggiante.
Ero già entrata in classe in ritardo per colpa di Joe, che avevo incontrato per strada e quindi ci eravamo messi a chiacchierare. Lui non aveva intenzione di andare a scuola, figurarsi. Era lì a cazzeggiare con lo skate, con l’aria di non avere un problema al mondo. Vorrei essere anch’io come lui.
Nel senso che a volte vorrei fregarmene anch’io di tutto e di tutti e fare quello che voglio. Bruciare un giorno no e due si, scappare di casa almeno una volta al mese, mandare apertamente affanculo le autorità.

Joe è la persona più libera che conosca ma, allo stesso tempo, più prigioniero di sé stesso che mai.
La sua ribellione è solo una fuga. Una fuga da tutto: da un mondo che sembra non essere fatto per lui, da una prigione continua e senza sbarre. Ma nessuno, tranne me e Larry, lo capisce.

E comunque, sono arrivata in ritardo. Se solo Joe non mi avesse fermata, forse ora non sarei nei guai, ma ormai è inutile fare queste considerazioni- anche perché la colpa non è di Joe, ma mia e della mia dannata lingua lunga.

Il fatto è che sono arrivata e davanti all’edificio 2 –quello dove c’era il corso di biologia- e proprio lì davanti c’era Rebecca Howlen che parlava con una sua amica. E, passandole accanto, non ho potuto fare a meno di mormorare: - troia -. E lei ovviamente mi ha sentita.
Ok, lo so che lei non ha mai fatto niente a me direttamente, e che la colpa è solo di Steve che ci si è messo insieme, ma non è veramente colpa sua. Era praticamente accecato dall’amore o quel che era.

Comunque, Steve, dopo mesi che ci provava, ci si era messo insieme a quella troia. Io lo avevo avvertito di stare attento. Che quella è veramente un’imbecille senza cervello e senza scrupoli. Ovviamente, a cosa è servito? A niente. Infatti, lei cosa ha fatto? Ha raccontato a mezza scuola –ma che dico mezza, a tutta la scuola- che Steve è gay, che lei ci ha provato a farci sesso ma insomma lui non era proprio interessato all’articolo donna. O ragazza, o quello che è.

Ovviamente non è vero, solo che lei si diverte a sputtanare la gente senza un motivo. E poi anche se fosse gay, cosa gliene fregherebbe agli altri? Ma la gente del liceo non ragiona così. L’hanno pestato a sangue. Quindi direi di avere avuto un ottimo motivo per sibilare quel troia, anche se non avevo intenzione di farmi sentire. Sono una vigliacca. Lo so.
Beh, comunque lei mi ha sentito e con quel suo fare da troietta con la sua odiosissima vocina acuta fa: -Qualche problema?- Ok. A questo punto non potevo più tirarmi indietro e ho fatto:
-Sì. Il mio problema sei tu.-
-Senti ciccina, è meglio che moderi i toni con me, altrimenti ti gonfio tanto da farti diventare la faccia rossa come i tuoi capelli- Mi minacciava di picchiarmi! Non ho potuto fare a meno di sorridere.
–Vorrei solo che ci provassi- ho risposto.
–Senti, è inutile che fai tanto la figa con me, perché ti conviene allontanarti capito?-
A quel punto le sono proprio scoppiata a ridere in faccia. Era una scena totalmente ridicola. E lei stava passando ancora di più per un’imbecille, con tutte quelle mossette e le parole studiate apposta.
E poi le ho detto, ancora ridendo:
-Senti. So che non sembra, ma mi sto letteralmente cagando addosso dalla paura. Ti prego, non aggredirmi!-
Non le è piaciuto. Odia essere presa per il culo in questo modo. Forse prima non mi avrebbe menato, ma ora l’avrebbe fatto glielo si leggeva negli occhi. O perlomeno ci avrebbe provato. E infatti ci ha provato. Mi è saltata addosso, ma si vede che non è molto pratica di risse, infatti il suo modo per “gonfiarmi” è stato tirarmi i capelli. Questo era il suo massimo! Le ho tirato un pugno in faccia, ma sfortunatamente la prof è uscita proprio in quel momento, così mi ha gridato dietro un casino mentre Rebecca piagnucolava strofinandosi l’occhio.
Poi la nonna premurosa mi ha mandata dal preside.

Ormai frequento più lui di tutti i miei amici.
E il simpaticone si finge anche stupito:
- Sallie, cosa ci fai qui? Di nuovo? Pensavo avessimo risolto ogni problema.- E già quando qualcuno mi dice qualcosa del genere mi incazzo sul serio.
- Non abbiamo risolto un bel niente invece.- ho sbottato sedendomi sulla sedia di fronte a lui e incrociando le braccia come una bambina capricciosa. Almeno mi rimaneva la soddisfazione di aver fatto un occhio nero a quella stronzetta.

Per fortuna, visto che lo vado a trovare si e no una volta al mese, il preside mi conosce e ha molta pazienza con me.
–Allora, cosa è successo?-
-Niente di che. Ho fatto a botte con Rebecca Howlen.- Allora lui ha sospirato, uno di quei sospironi che tira a volte il fidanzato di mia madre quando Johnny piange alle tre del mattino, e mi ha chiesto:
-E perché l’avresti fatto?- A quel punto io mi sono rotta e ho cominciato a gridargli contro. Di solito non faccio queste cose, ma non ne potevo più di quelle frasi di circostanza.
– Lo sa benissimo il perché, però quegli stronzi che hanno pestato Steve fuori da scuola il mese scorso a quanto pare NON SONO FINITI DA LEI O SBAGLIO? E sa perché Steve ha due occhi neri che sembra un panda? PERCHE’ QUELLA TROIA E’ ANDATA IN GIRO A DIRE CHE ERA GAY!!!!!!!! Questo è il problema nella sua dannata scuola, non io che difendo un mio amico, ma quei fottuti stronzi che PICCHIANO LA GENTE CHE SECONDO LORO E’ GAY!-

A quel punto mi ero alzata in piedi e quasi tremavo, ma mi ero resa conto della scenata e mi sono data una calmata.
Il preside ha sospirato di nuovo e mi ha detto di sedermi. Poi ha cominciato a raccontarmi la solita storia che a scuola ci sono ragazzi problematici, che la violenza non è il modo giusto di risolvere le cose, che certo, avrebbe parlato anche a loro, ma a questo punto non stavo più ascoltando.Quasi piangevo dalla rabbia.

Alla fine mi ha lasciata andare dicendo che se sarebbe ricapitato un’altra volta mi avrebbe sospesa. Come se si aspettasse che di punto in bianco non mi avrebbero più mandata da lui. Ho borbottato un “certo, certo” e sono uscita. Volevo sbattermi la porta alle spalle ma non ho avuto il coraggio. Sono una codarda.

Beh, per oggi direi che è tutto. Ho scritto anche troppo.

Sallie

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Capitolo 3
*** Best Thing in Town. ***


13 Gennaio
Sono stanca morta ma ti devo assolutamente raccontare quello che mi è successo!

Come al solito è nato tutto da Joe. Ovviamente.

Oggi ero a casa che cazzeggiavo annoiata e ascoltavo musica, le solite cose insomma. A un certo punto qualcuno ha bussato alla porta, ho aperto ed era Joe.

Appena l’ho visto mi è preso un colpo. “Che cazzo hai fatto alla testa?!” sono state le mie prime parole. E poi: “Ti sei lavato i capelli con il formaggio fuso per caso?”. Signore e signori, Mr Joe Marshall si è tinto i capelli di giallo. Attenzione, non biondo. Giallo canarino.

“Buongiorno anche a te Sal” ha sbottato “anch’io sono felice di vederti”.  E’ entrato e si è spaparanzato sul divano cominciando a fare zapping, mentre io lo osservavo con le mani sui fianchi.

“Sei venuto per qualche motivo in particolare o hai solo voglia di scroccare cibo e TV come al solito?” gli ho chiesto piuttosto acidamente.

“Mmm, entrambi i motivi credo”.
Mi sono seduta accanto a lui, cercando di non guardargli i capelli: erano orribili.

“Ho un piano grandioso” ha aggiunto poi mentre già si stava dirigendo verso il frigo.

“Questo piano grandioso include tingersi i capelli color pannocchia? Perché se si tratta di questo la risposta è no.”
La sua testa gialla è spuntata dalla cucina “Davvero non ti piace la mia tinta?”

“No. La tua testa sembra un piatto di pasta allo zafferano”. Joe ha ridacchiato scrollando la testa. “No, comunque non si tratta di questo” ha detto frugando nel frigo. Poi, dopo aver tirato fuori un hot dog avanzato da ieri sera, è tornato a sedersi e, tra un morso e l’altro, si è deciso a spiegarmi il suo Piano Grandioso. Che, ho dovuto riconoscere, effettivamente era proprio grandioso.

“Sai cosa succede stasera, vero?” Ho fatto una smorfia. E come no. Come non potevo saperlo? Il concerto degli NOFX. Io, Joe e Larry ne parlavamo da settimane. Eravamo eccitatissimi alla sola idea, peccato che il concerto fosse a Berkeley e i nostri genitori non avessero alcuna voglia di accompagnarci.   

Comunque, Joe ha sorriso alla mia smorfia. “Mi sono informato un po’ in giro” ha detto sorridendo furbescamente “e ho scoperto che il concerto si terrà in un locale malmesso, una vecchia topaia in pratica. E per entrare non si paga neanche il biglietto. Quindi abbiamo ancora una possibilità di andarci!”

“Si, molto bello Joe” ho risposto scetticamente “ma rimane il problema principale, e cioè: come diavolo arriviamo a Berkeley?”
E qui ha sorriso ancora. “Ho un amico che può darci un passaggio. Lui ha la macchina e deve andare a Berkeley oggi!”

Beh, questa sì che era una NOTIZIA BOMBA!

Sono scoppiata a ridere e abbiamo improvvisato un balletto nel salotto. Io adoro Joe Marshall!

“A che ora andiamo?”

“Verso le sette. Cioè tra due ore. Mia madre non mi lascerà mai ma ovviamente non le ho detto nulla… Crederà che andrò a cazzeggiare per Rodeo come sempre. E i tuoi?”
Anche Joe è cresciuto senza un padre. Per lui però è stato diverso: suo padre se n’è andato di casa quando Joe aveva due anni e da allora non si è più visto.

“Non dirò niente a mia madre, non voglio correre il rischio che mi dica di no, perché mi chiuderebbe in casa: sa che ci andrei in ogni caso.”

“Ok, perfetto. Sicura di non volerti tingere i capelli?”

“Se si parla ancora di quella roba schifosa che hai in testa, mai!”
Due ore più tardi siamo andati in Balboa Street, dove ci aspettava il famoso amico di Joe:  una specie di punk con una cresta azzurra che sfidava i limiti della gravità.

“Pronti ragazzi?”

“Certo” ha risposto Joe. “Come hai detto che si chiamava il posto?”

“Gilman street. Andava fortissimo negli anni Ottanta, ma ormai è in decadenza. E’ lì che hanno esordito i Rancid e i Green Day.”

Ho sbuffato. Ancora Green Day?! Basta!

“Gilman street? Mai sentito” ha osservato allegramente Joe sedendosi accanto a me sul sedile posteriore.

 


Ok, questo capitolo è palloso e troppo lungo. Grazie mille a chi mi segue e recensisce:). Ce la sto mettendo tutta, ma so di essere piuttosto mediocre. Spero comunque che piaccia. 
 
  

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Capitolo 4
*** Welcome to Paradise. ***


Una volta in macchina, mi è venuto in mente un altro dettaglio.
“E Larry?” ho chiesto a Joe, che però ha scosso la testa.

“Non viene. E’ chiuso in casa… Sua madre ha deciso di fare la madre proprio stasera e lo ha praticamente costretto a passare tutta la giornata con lei.”

“Come come come? Sua madre?” ero sbalordita, la madre di Larry non passerebbe del tempo con i suoi figli neanche sotto tortura. Preferiva uscire con litri di profumo e pochi vestiti addosso, e stare fuori tutta la notte. Ogni tanto si riportava a casa un uomo, che resisteva due settimane e poi scompariva. Spesso dopo aver rubato tutti i pochi soldi che avevano in casa.

“Già… Una volta all’anno si sente in colpa per essere una puttana egoista e passa tutta la giornata con lui, facendolo sentire ancora peggio.”

“Merda” non sapevo che altro dire. Mi dispiaceva un sacco per Larry. Lui probabilmente era quello messo peggio in famiglia, dopo Steve.

“Già”
 
Dopo un’oretta circa siamo arrivati a questo Gilman street: è davvero una topaia in decadenza, ma, non so, mi piaceva.

Entrare lì dentro è stato come essere catapultati indietro nel tempo:  lì si respirava l’aria di un’altra epoca, il luogo non sembrava cambiato dagli anni Ottanta, quando mi avevano detto che era stato fondato.
Come se il tempo lì dentro non fosse trascorso… Era il posto perfetto per me, nata nel momento sbagliato. Negli anni sbagliati.

Quando siamo arrivati era già quasi pieno di gente, praticamente tutti punk con creste colorate, catene ovunque, piercing, tatuaggi e magliette stracciate di band che neanche conosco.
Dentro, il Gilman è pieno di graffiti e scritte fatte da quei punk, poster di band e volantini, e poi un minuscolo palco dove si esibiscono le band.

Stranamente, lì non si può ne bere ne drogarsi (il contrario di quello che mi sarei aspettata da un ritrovo punk).  C’è un odore strano, sudore misto a piscio. Forse a dirlo sembra rivoltante dirlo, ma quell’odore mi piaceva. Gli dava un non so che di autentico, in qualche modo.

Io e Joe ci siamo fatti allegramente fatti largo tra la folla, eccitati al massimo!

“Ci credi?! Gli NOFX su questo palco!” No, non ci potevo credere. Era troppo bello per essere vero!

Ad un certo punto, sul muro di fronte a me, una scritta a caratteri cubitali ha attirato la mia attenzione. Mi sono avvicinata, certa di aver letto male.

BILLIE JOE DEVE MORIRE

“Hey, Joe!” ho chiamato. Lui mi ha raggiunta in un attimo e gli ho indicato la scritta.

Ha fatto un’espressione buffa, a metà tra il divertito e l’irritato.

“Ma Billie Joe Armstrong non era il cantante dei Green Day?” ho chiesto, cadendo dalle nuvole.

Joe ha sbuffato. “Certo che si, Sal. Benvenuta sulla terra.”

“Ma… Io sapevo che avevano esordito qui! Perché hanno scritto una cosa del genere?”

Ok, i Green Day non mi fanno per niente impazzire, ma mi sembrava una cosa incredibilmente cattiva da scrivere sul muro del locale dove loro stesso hanno cominciato a suonare, un locale dove tra l’altro si predica la non violenza. Cos’era tutta questa ipocrisia?

Joe mi ha guardato compassionevole. “Certe volte sei proprio ingenua, Sallie” mi ha detto scuotendo la testa.

“Perché?” gli ho chiesto stupita. Ancora non capivo che diavolo ci facesse quella scritta lì.
“Prontooo Sallie! Questo è un locale punk. E il punk ha uno stile di vita underground, ovvero rifiuta le major. Così quando i Green Day hanno firmato un contratto con una major li hanno rinnegati. Gli hanno dato praticamente dei venduti.”

Che cosa meschina. Si, forse i Green Day sono commerciali, ma rinnegarli addirittura solo perché avevano scelto una strada diversa da tutte quelle altre band, solo perchè volevano guadagnarsi da vivere suonando… Mica se l’aspettavano di diventare miliardari, no?

Hei, aspetta, io che difendo quei palloni gonfiati dei Green Day? Lasciamo perdere, per favore!

Comunque non riuscivo a staccare gli occhi da quella scritta.

BILLIE JOE DEVE MORIRE.

Che razza di bastardi.
 
Comunque, dopo circa dieci minuti è cominciato il concerto, ed è stato meraviglioso! Gli NOFX sono stati come sempre inimitabili. Hanno suonato tutte le mie canzoni preferite: linoleum, don’t call me white, dinosaurus will die, the separation of Church and skate, idiots are talking over, eccetera.

Era incredibile, io e Joe abbiamo pogato come matti, non so neanche descrivere quella sensazione… Quella sensazione di essere tornati indietro nel tempo, di appartenere ad un’altra epoca, proprio come il Gilman. 

Quella sensazione di libertà, ma non solo, la sensazione di… non so, di fratellanza che si sentiva. Eravamo tutti lì, accomunati dall’amore per quella musica meravigliosa e non c’era niente al mondo che potesse valere quel momento…

Siamo usciti alle undici. Entrambi avevamo le guance rosse dal caldo  e gli occhi che brillavano.

“Ed dovrebbe essere qui a momenti” ha detto riferendosi allo sciroccato che ci aveva accompagnati lì.

Ma mezz’ora dopo non si era ancora fatto vedere.

Il Gilman si svuotava man mano e noi non avevamo idea di cosa fare! Joe ha provato a chiamarlo al cellulare un sacco di volte ma c’era la segreteria. Che cazzo di fine aveva fatto?

“Sarà andato a ubriacarsi in qualche buco” ha detto Joe sconsolato dopo l’ ennesima chiamata senza risposta.

“Cosa?! E ora?!” ho chiesto ormai in preda al panico. Merda! Joe ovviamente invece ha mantenuto la sua solita calma serafica. Non si spaventa mai davanti a niente (idiota).

“Scusate” ho sentito una voce che ci chiamava. Mi sono voltata e ho visto un uomo sui quaranta che sembrava travestito da ragazzino- un punk come tutti gli altri frequentatori abituali del Gilman.

“Si?!” ho sbottato isterica. Ci mancava solo il tizio a romperci le palle adesso!

“Ho sentito che siete rimasti senza passaggio per tornare a casa e, se volete, io e la mia band potremmo darvi un passaggio in furgone…”

“Davvero? Grazie!” ho esclamato allo stesso tempo stupita e riconoscente. Joe si è limitato a fare un sorriso a trentadue denti.

Poco dopo eravamo in un furgone puzzolente insieme al tipo e ad altri due all’incirca della stessa età.

“Noi siamo i Road Dog. Lui, quello magro a sinistra è Sean, cantante e chitarrista, quello moro a destra è Andrew, bassista , e io sono John, batterista” si è presentato dandoci delle rapide occhiate dallo specchietto retrovisore.

“Piacere, io sono Sallie e lui è Joe” ho risposto.

“Dove avete detto che abitate?”

“Rodeo. Sai come raggiungerla?”

John è scoppiato a ridere.
“Ragazzina, io a Rodeo ho passato metà della mia vita”

“Davvero? E come mai?” ha chiesto Joe incuriosito.

A quella domanda il batterista ha cambiato tono, e da scherzoso è diventato più serio.
“Per via della mia prima band… Venivano tutti e due da Rodeo.”

“E come mai vi siete sciolti?” Ero davvero curiosa di sentire la storia di una band dal vero.

“Non ci siamo sciolti, me ne sono andato io. Forse una delle più grandi cazzate della mia vita.”

“E perché?!” abbiamo domandato io e Joe in coro.

“Beh, dopo qualche anno che me ne sono andato loro sono diventati piuttosto famosi. Credo che li conosciate anche voi… Avete presente i Green Day?”

Ok, ora basta Green Day! E’ una persecuzione allora!

“Si, si” ho sbuffato “Vuoi dire che eri il loro primo batterista?”
“Esatto.” Dopo questo si è chiuso in un silenzio corrucciato, mentre gli altri membri dei Road Dog si scambiavano sguardi eloquenti.

Che sfiga quel John! Doveva sentirsi come uno che butta nel cesso il biglietto della lotteria per poi accorgersi che era quello vincente.

E comunque quei cavolo di Green Day mi perseguitano ovunque!

 



Come sempre grazie un miliardo a chi segue e recensisce questa storia. Sì, questo capitolo fa decisamente schifo, ma i prossimi diventeranno più interessanti lo prometto.:) 

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Capitolo 5
*** Worry Rock. ***


Concludo rapidamente dicendoti che alla fine John ci ha accompagnati a Rodeo, solo che Joe ha avuto il solito problema che non può entrare di nascosto a casa.  

Se ne dimentica ogni volta che esce di casa la sera senza permesso. Lui abita al secondo piano sopra una bottega di alimentari. Ergo: l’unico ingresso è la porta, almeno finchè non diventerà Spiderman e potrà arrampicarsi sul muro del palazzo per infilarsi nella finestra della sua camera.

Così l’ho invitato da me, ma lui stranamente ha rifiutato dicendo che c’era un posto nuovo dove poteva andare a dormire che aveva scoperto stamattina.

“Un posto nuovo? Di cosa stai parlando?”

“C’è che stamattina mentre vagavo con lo skate ho visto una cosa incredibile, non so neanche come descrivertela… E’ una specie di rifugio, con delle brandine e poster di rock band attaccati ovunque…”

“Aspetta.” L’ho interrotto. “Vuoi dirmi che è una specie di ‘pensione’ per ragazzi senza casa? Non credevo ce ne fosse una a Rodeo.”

“No, non è una pensione! E’ più, non so, una… tana. Si trova in periferia, è all’aperto ma coperto da un porticato. Senti, non so davvero come descriverti quel posto, facciamo che domani mattina mi raggiungi, okay?”

“Joe, domani mattina, anzi, direi tra poche ore visto che ormai è l’una del mattino, abbiamo scuola. E non sarebbe male se anche tu ci onorassi della tua presenza, ogni tanto.”

Lui ha sorriso furbescamente. “Sal, è inutile che mi sgridi, sai che non lo farò. Piuttosto, a te non farebbe male saltare qualche giorno di scuola, di tanto in tanto.”

“Per favore, Joe. Cerca di essere serio. Vuoi davvero passare qui a Rodeo i prossimi dieci anni? Perchè succederà così se continuerai ad essere bocciato.”

“Sallie, l’anno prossimo compio diciotto anni. Mollerò la scuola.”

“E dove vuoi andare, con in mano solo la prima superiore?” Ok, sembravo decisamente sua madre, ma sono davvero preoccupata per lui.  Noi ci meritiamo un futuro. Lui se lo merita, anche se non lo vuole.

Ha sorriso di nuovo.“Ora è inutile rifare questo discorso. Sal, per un giorno non morirai… Dammi ascolto per una volta!”

Ho sospirato. Quanto tempo era che non bruciavo? Saranno almeno tre mesi. Aveva ragione Joe, per un giorno non sarei morta. “D’accordo. Solo per domani però.”

“Allora domani mattina vieni a vedere il rifugio.”

“Ok. Dov’è?”

“Hai presente Christie Road?”
 
 

E questo per oggi è tutto. Joe mi ha indicato dov’è  questa Christie Road e domani lo raggiungerò per vedere questa “meraviglia”. Beh, devo ammettere che sono un po’ curiosa. Un po’. A domani.

Sallie 

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Capitolo 6
*** Take me to the tracks at Christie Road. ***


14 gennaio

Oh mio dio, non riesco neanche a credere a quello che è successo oggi. E’ incredibile, un sogno o forse un incubo. Non saprei, ma senti qua!

Stamattina come promesso a Joe non sono andata a scuola ma mi sono incamminata verso la periferia alla ricerca di questa famosa Christie Road.

La periferia è ancora più triste del centro di Rodeo. Solo strade mal asfaltate circondate da muri polverosi e pieni di graffiti e case in decadenza, con la vernice che si scrosta dalle pareti e le tegole del tetto spostate.

Per strada non c’era nessuno, erano tutti a scuola o al lavoro. Così mi sono incamminata fischiettando stonata una canzone dei Ramones.
Ad un certo punto ho svoltato l’angolo e mi sono trovata in Christie Road.

Ed era incredibile.

E’… Non lo so, ha ragione Joe.  Una specie di rifugio.
In origine dovrebbe essere un parcheggio coperto per le macchine, ma è stato progressivamente abbandonato fino a diventare un semplice porticato vuoto e trascurato.
I ragazzi di Rodeo, però, se ne sono impossessati e l’hanno decorato con poster di rock band, radioline singhiozzanti, vecchie poltrone sbrindellate e brandine raccattate dalla vicina discarica, e poi un angolo in cui c’erano casse di birra in bilico una sopra l’altra.

Joe era seduto a gambe incrociate su una di quelle vecchie brandine e mi guardava sorridendo. Non c’era nessun altro nel rifugio, ma immaginavo che nel pomeriggio doveva essere pieno.

“Allora, Sal, che ne pensi? Visto che ne valeva la pena?”

Mi sono seduta accanto a lui, ancora a bocca aperta.

“Joe, è… è incredibile”

“Lo so. Voglio proprio vedere chi ci viene. Ha l’aria di essere un rifugio punk.”ha detto indicandomi i poster alle pareti: poster di Ramones, Rancid, Sex Pistols, Green Day, NOFX, Third Eye Blind, Clash e altri gruppi di questo genere.

“Penso che mi trasferirò qui” ho esclamato ridendo.

Dopo qualche minuto ho cominciato a sentire qualche altra voce oltre a quella mia e di Joe.  Non voci di ragazzi, ma di adulti. E si avvicinavano. Uno ha detto:

“Che effetto ti fa essere di nuovo qui, eh Mikey?”

“Che cazzo di effetto vuoi che mi faccia. Mi sto pisciando addosso dall’emozione.”

“Anch’io, se penso a tutte le canne che mi sono fatto qui…” ha detto una terza voce in tono sognante.

“Tré, tu le canne te le sei fatte dappertutto. In qualunque luogo, in qualunque momento, in qualunque situazione. Ricordi il funerale della zia di Mike?” ha detto la prima voce.

“Indimenticabile” ha risposto la terza voce.

In quel momento sul campo visivo mio e di Joe sono comparsi tre uomini sulla quarantina.

Il primo era molto basso e scuro di capelli, e aveva due grandi occhi verdi. Portava una maglietta bianca bucherellata e un paio di vecchi jeans.

Il secondo, alto, biondo ossigenato dagli occhi azzurri e due basette che sfidavano la gravità universale, portava un paio di jeans tagliati al ginocchio e una T-shirt sdrucita.

Il terzo aveva un’aria totalmente sciroccata. Gli occhi a palla azzurri erano spalancati e gli conferivano un’aria inquietante. Aveva una cresta rossa.

Tutti e tre avevano l’espressione di chi è appena tornato a casa dopo molto tempo.

Io e Joe ci siamo guardati. Non potevo crederci.

Cioè, solo poche ore prima avevamo incontrato il loro ex batterista, e ora…

Sapevano chi erano quei tre. Lo sapevo anche se non mi piacevano. Lo sapevo perché ero abituata a vedere la loro foto ovunque a Rodeo.

Erano i Green Day. 

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Capitolo 7
*** Green Day. ***


“Cazzo, c’è qualcuno!” ha esclamato il rosso vedendoci. Io e Joe ci siamo scambiati uno sguardo allo stesso tempo sorpreso e divertito.

“Lo sapevo che Christie Road era ancora viva” ha detto il biondo ossigenato con un sorriso guardandoci compiaciuto.

“Era ovvio che fosse ancora viva, piccolo gallo ritardato” ha ribattuto il primo.

“Hey, hey, hey” li ha interrotti Joe con l’aria di non capirci più niente “Voi siete i Green Day.”
Il suo tono mi ha fatto scoppiare a ridere, sembrava quasi li stesse accusando.

“Esatto, siamo noi” ha esclamato il crestato in un falso tono pomposo lisciandosi la giacca. Aveva un ghigno anormale perennemente stampato in faccia.
“E cos’ha la tua amica da ridere?” ha aggiunto poi, visto che non accennavo a smettere.
Più che altro la mia era una reazione al nervoso che mi aveva procurato la comparsa di quei tre: tra tutte le rock star che potevo incontrare, proprio loro mi dovevano capitare?!

“Sal?” Joe mi ha guardata alzando un sopracciglio: nemmeno lui aveva capito la causa di quel mio scoppio di ilarità. Ho smesso alzando gli occhi al cielo. Alzo gli occhi al cielo a tutto spiano, io. Joe mi dice sempre che se continuerò a farlo prima o poi gli occhi mi si incastreranno in quella posizione e per guardare la gente negli occhi mi toccherà imparare a fare la contorsionista.  Ha un pessimo senso dell’umorismo, Joe.

Comunque. E’ saltato in piedi come una molla e ha stretto le mani dei tre tutto emozionato:
“Io sono Joe Marshall, vi seguo da quando avevo dieci anni, accidenti, non credevo che vi avrei mai incontrati!”
Ho alzato di nuovo gli occhi al cielo, ma ho deciso di non odiarli a priori solo perché mi perseguitano ovunque e perché la loro musica mi sta sulle palle.
In fondo non è colpa loro se tutte le mie coetanee mi hanno fracassato il cervello con quella cavolo di 21 guns. Così ho parlato anch’io dalla mia postazione su quella brandina sfasciata:

“E io sono Sallie. Sallie Sander. Piacere.”

Il più alto, Mike, ha sorriso.
“Piacere di conoscervi, Joe e Sallie. Io sono Mike, il nano alla mia sinistra è Billie Joe e quella sottospecie di caricatura di Beavis con la cresta è Tré Cool” Strano, si sono presentati anche se Joe aveva già detto di conoscerli. Non davano per scontato che fossi una loro fan. Meglio.

Il più basso, Billie Joe, non aveva ancora parlato. Si limitava a guardarsi intorno estasiato, come chi torna a casa dopo tanto tempo. E infatti era proprio così.
“Guarda, Mike! La radio di Eggplant…”

“…La radio di Maria, la poltrona di Deb, si, lo sappiamo Bill” ha sbuffato Tré roteando gli occhi. Poi si è rivolto a noi: “Dice le stesse cose ogni volta che torniamo qui” ha sogghignato.

Anche Mike, ora sfiorava i vecchi poster ingialliti dal tempo con la nostalgia che gli brillava negli occhi azzurri.
“Questo dei Ramones lo avevo appeso io… Incredibile, sono passati vent’anni e c’è ancora”

“Questo è nuovo” ha osservato Billie Joe indicando un altro poster, che invece raffigurava i System of a Down.

“Mi piacciono i System” ha gracchiato Tré Cool balzellando qua e là. “E voi? Venite spesso qui?”

“No, questa è la prima volta” ho risposto un po’ disorientata. Nessuno di quei tizi sembrava  stupito che non fossimo a scuola.

“Allora tu non hai idea di come sia qui di solito!” ha esclamato Billie Joe voltandosi, gli occhi verdi che brillavano. Ha degli occhi meravigliosi, bisogna dargliene atto.

“Hem… No” ho risposto io dubbiosa. Il cantante ha sorriso.

“Vedrai. Se Christie Road è ancora come me la ricordo, non vi deluderà. E’ un posto magico. Non delude mai nessuno.”

“Ma perché, com’è di solito Christie Road?” ha chiesto Joe tutto interessato.

“Quando eravamo ragazzi, venivamo qua con i nostri amici” ha cominciato a spiegare Mike, mentre Tré continuava a correre da un muro all’altro del parcheggio “Eravamo tutti punk, naturalmente. Mettevamo la musica ad altissimo volume e bevevamo, fumavamo, facevamo di tutto. Qui abbiamo preso le prime sbronze, abbiamo fumato i primi spinelli, qui è dove abbiamo baciato le nostre prime ragazze...”

“Io ho fatto sesso per la prima volta proprio su quella brandina” ha ridacchiato Tré indicando il posto dov’ero seduta. Mi sono alzata disgustata, nonostante fossero passati più di vent’anni, scatenando le risate dei tre. La risata di Mike è epica, come le sue basette: inimitabile.

“…Comunque, qui ci si divertiva. Ci siamo tornati altre due volte, nel 2003 e nel 2008, e a quanto pare è ancora così” ha concluso Billie Joe cercando intanto di tenere d’occhio un sovreccitato Tré Cool, che si era sdraiato sulla sua vecchia brandina e imitava i versi di un orgasmo.

“Aaaah, si… Vai così, baby!”
Ho cercato di ignorarlo e mi sono rivolta a Joe, che si guardava attorno affascinato.
“Dovremmo portarci Larry, e poi tutti gli altri” ho detto, e il mio biondo migliore amico era d’accordo con me.

“Non sarebbe una cattiva idea far conoscere questo posto anche a Joey…” ha riflettuto ad alta voce Billie Joe.

“Chi è Joey?” ho chiesto. Lui ha sorriso:

“Il mio figlio maggiore, dovrebbe avere all’incirca la tua età…”

“Certo che ci dobbiamo portare Joey!” Ha esclamato Tré Cool con quella sua vocina stridula “E anche Ramona, naturalmente. E poi Estelle Desirée.”

“Come no, e magari anche Ryan già che siamo” ha ridacchiato Mike e anche gli altri due sono scoppiati a ridere, mentre io e Joe ci guardavamo confusi.

“Comunque” ha detto Billie Joe “Voi due, perché non venite a un nostro concerto stasera? Sarà a Berkeley…  Non so se sapete dov’è…”

“Lo sappiamo” abbiamo esclamato io e Joe in coro.

“Perfetto!” ha gridato Tré saltellando da me e Joe a Mike e Billie. “Allora verrete con noi… Sul nostro pullman e tutto… E potrete stare dietro le quinte! Che ve ne pare?” Ci ha guardati sorridendo con quei suoi occhi azzurri da bambino.

“D’accordo!” ha esclamato subito Joe. Io l’ho guardato male, ma come potevo deludere quegli occhi azzurri pieni di fiducia? Così andrò anch’io. Anche se l’idea di andare, stasera, a un concerto dei Green Day , non mi entusiasma per niente. Ma comunque.
Ti racconterò, ad ogni modo.

Sallie
 

 


Ok, so che sono un po’ in ritardo con questo capitolo… Ma ogni volta che provavo a scriverlo non veniva mai come lo volevo io! Questa è la versione finale, non è perfetta ma spero che piaccia. Grazie mille come sempre a chi segue e recensisce e a chi ha messo questa storia tra le preferite. 

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Capitolo 8
*** On the Wagon. ***


15 Gennaio

Ok, lo confesso. E’ un caso raro che io metta da parte tutto il mio orgoglio eccetera per dire ciò che penso davvero quindi sturati bene le orecchie.
E questo ordine non è diretto a te, che sei un semplice mucchio di pagine bianche rilegate da una banalissima copertina rossa, ma a Joe, Larry, Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool, tutti insieme.
 Ok. Respirone. Ebbene si, I GREEN DAY NON SONO AFFATTO MALE, anzi… Argh!!!
 
Dopo anni di solido odio è impossibile per me ammettere di essermi sbagliata! Odio avere torto! Eppure si, riconosco che avevo torto marcio quando criticavo quei tre. Sono BRAVI. Non hai idea dello sforzo che ho fatto per scrivere quella parola. Praticamente la mia mano si ribellava al pensiero. Ma lo sono, davvero.

Ammetto che prima li criticavo ma non avevo sentito che le canzoni più famose: 21 guns, Boulevard of Broken Dreams, American Idiot, Basket Case, Good Riddance [time of your life]. Ieri sera è stato… Oh dio, indimenticabile. 

Davvero ci sanno fare sul palco quei tre. Billie Joe si è scatenato come un pazzo, correva da una parte all’altra, poi Tré che continuava a fare facce dementi mentre suonava e Mike tutto concentrato sul suo basso che saltava come un matto. La folla era impazzita!

 La parte più bella è quando, durante una canzone che mi pare si chiamasse “King for a Day” (o qualcosa del genere), Billie Joe e Tré si sono travestiti da donna e Mike indossava dei fantastici occhiali rosa a forma di cuore. La canzone parlava di un travestito.       

E poi la canzone Longview, che descrive nel dettaglio la vita di Joe (ahahaha), e Last of the American Girls, che parlava esattamente di ciò che vorrei essere io, e Jesus of Suburbia, che sembra una proiezione dei miei pensieri, e poi Maria che mi ricorda troppo Laurie, e poi naturalmente Christie Road, che non era nel programma del concerto ma che alla fine i Green Day hanno inserito per noi che l’abbiamo appena scoperta.

Non ricordo tutte le canzoni, ma ricordo che mi sono emozionata, che erano belle, che le suonavano con passione… Che cretina che ero, a criticarli solo sulla base di un paio di canzoni.
E’ vero, sono commerciali. Ma anche i Sex Pistols, i Ramones, i Queen eccetera lo erano. Anche David Bowie, che considero alla stregua di un dio, lo è.

Oltre a Billie Joe, Mike e Tré c’erano altri musicisti di supporto sul palco, che avevamo conosciuto poco prima: Jason (White), Jason (Freese), e Jeff.
Jason W mi fa morire dal ridere. Ha la faccia tonda da bambino e mi fa pensare a Joe quando era piccolo, che prima gridava parolacce poi si nascondeva dietro agli alberi.  All’inizio sembrava molto timido, parlava poco, era unicamente concentrato sulla sua chitarra.

E’ incredibile il rapporto tra lui e il suo strumento: è Amore, quello vero, quello “per sempre”, ma è l’unico amore che non mi fa paura.

Dopo il concerto, però, erano tutti così gasati che ci siamo scolati tipo trentacinque birre in otto, lì nel loro pullman privato. E allora non c’era più nessuna timidezza, da parte di nessuno.

Io dopo tre birre ero fuori: non reggo un cazzo d’alcol, e Joe lo sa bene, ma non mi ha fermato: scommetto che non vedeva l’ora di vedermi ubriaca.

Gli altri erano già ubriachi d’euforia per il concerto, quindi è bastato poco per far precipitare la situazione: ricordo vagamente Billie Joe che correva con uno slippino leopardato blu, Jason F che suonava il sax a casaccio e che rideva quando non riusciva a soffiare abbastanza forte, Mike che strimpellava un’appassionata serenata a Tré che a sua volta faceva la lap dance con una parrucca bionda da donna (cosa ci faccia poi un palo nel pullman privato dei Green Day, è un’incognita a cui probabilmente non troverò mai risposta).
 Joe stava danzando uno strano pogo a due con Jason W e io andavo in giro ad abbracciare tutti ridacchiando. Almeno credo.

Ciò che ricordo bene però è la strada proprio dietro al pullman e io inginocchiata davanti a una pozza di vomito che sboccavo come una posseduta mentre Joe mi dava dei colpetti sulla schiena credendo di aiutarmi, cercando di non ridere. Gli ho mostrato il dito medio e lui ha sghignazzato ancora più forte.

In quel momento, proprio mentre sputavo le ultime gocce di vomito, ho sentito la porta del pullman che si apriva e una voce femminile che gridava: “Che DIAVOLO sta succedendo qui?!”
Sembrava la voce di mia madre quando ha il coraggio di entrare in camera mia. Ho sentito Billie Joe dire con voce sottile: “Hem, niente Adie. Festino post-concerto. Sai com’è.”

Adie? E poi Tré Cool è intervenuto con quella sua vocina da castrato a metà (Mike mi ha raccontato tutto della storia dell’unica palla di Tré):
“Ehi, Ad! Vuoi unirti a noi? Porta anche Joey e Jake, si divertiranno!”

Ho sentito la donna ridere: una risata fragorosa, a cui si è unita prima quella a singhiozzo di Billie Joe e poi quella sensazionale di Mike, e infine i ghigni di Tré. Ma chi era quella ragazza?
Mi sono asciugata la bocca e io e Joe siamo tornati dentro il pullman.

La scena che mi si è presentata agli occhi era alquanto singolare.

Tré Cool era ancora aggrappato al palo al centro della stanza, con addosso una parrucca storta e un paio di occhiali finti da donna. Mike era seduto sul divano con il basso in grembo e sembrava ci stesse pomiciando (con il basso?!). I due Jason e Jeff se ne stavano in un angolo a osservare divertiti Billie Joe, ancora con lo slippino leopardato blu e un boa fucsia avvolto al petto magro e pallido, che ridacchiava guardando con aria colpevole una donna robusta di bassa statura, con una gran massa di capelli neri arruffati, il viso dolce e gli occhi neri che brillavano.
Aveva degli splendidi tatuaggi neri sulle braccia, tra cui uno sulla spalla che diceva Billie Joe, contornato da ghirigori. La donna si è voltata verso di noi con un sorriso gentile:

“Voi dovete essere i ragazzi di Christie Road… Billie Joe mi aveva accennato a voi oggi pomeriggio prima del concerto” 

io e Joe abbiamo sorriso a nostra volta un po’ confusi. Billie Joe si è passato una mano nei capelli neri e lucidi:

“Hei, Sallie, va un po’ meglio ora?”

“Decisamente” ho sentenziato massaggiandomi lo stomaco.

“Sallie, Joe, vi presento mia moglie, Adrienne. Adie, questi sono Sallie e Joe. I ragazzi di Christie Road.” Adrienne ci ha baciati sulle guance sempre sorridendo con dolcezza.

“Molto piacere”

Billie Joe le si è avvicinato e l’ha baciata sulla fronte.

 “ti aspetto dopo in camerino” ha ridacchiato e anche lei ha riso.

“Ragazzi, volete un passaggio a casa?”

“Si, grazie” abbiamo esclamato io e Joe in coro.

Ho guardato l’orologio. Erano le due e mezza. Mia madre mi avrebbe squartato con le sue unghie. Joe invece era tranquillo. Al solito, era uscito di nascosto, e aveva di nuovo deciso di dormire a Christie Road.
Sua madre non era preoccupata che lui fosse sparito per due giorni interi da casa. Joe fa sempre così e lei ha imparato a cominciare a innervosirsi solo dopo una settimana.

Così i Green Day ci hanno riaccompagnati a casa. Siamo arrivati a Rodeo alle tre e mezza e ora sono le cinque meno un quarto del mattino e io sono distrutta. Perciò vado a dormire. Buonanotte.
 

Sallie 

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Capitolo 9
*** Chump ***


15 Gennaio, sera
 
Ok, non ci capisco più niente. Cioè. Da quando ho conosciuto quei tre, ovvero da poco più di ventiquattro ore, mi sembra di essere caduta in uno strano vortice, quanto c’è di più simile a un sogno ad occhi aperti, una specie di realtà parallela.
 
Allora. Oggi stavo uscendo da scuola insieme a Joe che finalmente era tornato dopo una settimana di assenze. Braaavo ragazzo.  Lo so che l’ha fatto solo per me e che probabilmente la settimana prossima ricomincerà a bruciare, però sono lo stesso contenta che sia tornato a scuola.
Io non voglio che lui finisca come tutti i patetici abitanti di Rodeo, a ubriacarsi in un bar lanciando occhiate sbavanti alle ragazzine. Voglio che scappiamo da questo posto. Vorrei che lui capisca che, anche se siamo nati qui, niente ci costringe a restarci. Che abbiamo una vita, la vita vera, da vivere fuori da queste quattro case decadenti.
 
Comunque. Eravamo lì, tranquilli, a ridere, quando sono andata a sbattere contro un idiota che non guardava dove andava, e sono caduta per terra. Dritta in una fottuta pozzanghera.
 
“Ma vaffanculo!” ho esclamato, alzando trucemente lo sguardo verso un tizio con i capelli tinti di giallo acceso (poteva essere il fratello di Joe, puah) che teneva al guinzaglio un grosso cane bavoso e pieno di rughe (non ho idea di quale fosse la razza, ma chissene frega?!).
 Io odio i cani. Specialmente quelli che ti leccano tutta la faccia con quella lingua enorme tutta appiccicosa e piena di saliva. Inutile dirlo, è proprio quello che si è messo a fare quello stupido coso.
 
Li sentivo ridere tutti li sopra, compreso il Nuovo Fratello di Joe, che ha detto:
“Hey! Gli piaci!”
 
Mi sono levata quel maledetto cane di dosso e mi sono rimessa in piedi ringhiando. Joe e il ragazzo sogghignavano guardandomi e io li avrei volentieri strozzati, sennonché in quel momento ho notato Billie Joe accanto al tizio col cane. Il cantante ci ha sorriso:
 
“’Giorno, Sal e Joe! Vedo che avete conosciuto una delle soddisfazioni più grandi della mia vita” dopodiché si è accovacciato davanti al cane e ha cominciato a dire con una vocina idiota:
“Ma chi è questo bel cagnone? Eeeeh? Chi è? Saluta papino, Cleo! Si, anch’io ti voglio tanto bene!” e ha cominciato a fargli le pernacchie sulle orecchie, mentre quel coso disgustoso lo leccava ovunque. Ma ti pare normale?!
 
L’ho guardato interdetta per circa cinque secondi, prima che lui rialzasse lo sguardo e dicesse (fortunatamente con voce normale):
“Ah, e quello è mio figlio Joseph.”
Il ragazzo ha sospirato. “Joey, papà. Non Joseph.”
 Ecco da chi quel ragazzino aveva ereditato la capacità di farsi così male la tinta.
 
“Hey. Io sono Sallie” ho detto tendendogli la mano per stringerla. Lui ci ha battuto un pugno contro. Decisamente quello era il nuovo fratello di Joe.
 
“Sì, ho sentito parlare di te” ha ghignato Joey “Tu sei quella che si è sballata con tre birre!”
 
Ok. Io odio ufficialmente Joseph Marciano Armstrong.
 
“E tu con quanto alcol ti sballi?” ho domandato pungente “un po’ di Bacardi?”
Il tinto ha ridacchiato con un’aria odiosa da strafottente. Giuro che lo avrei ucciso!
“Se vuoi stasera lo vediamo, con quanto alcol vado fuori”
 
Billie Joe intanto sorrideva sereno accarezzando quell’orrido cane, come se ogni padre volesse sentire il proprio figlio dire che si sarebbe ubriacato quella sera.
 
“Comunque, io sono Joe” ha detto precipitosamente il mio amico prima che potessi sputare ancora veleno, come sicuramente avrei fatto di lì a tre secondi.
 “Hey, ciao Joe” ha detto Joey, e si sono battuti i pugni mentre io mi massaggiavo la base del naso a occhi chiusi, cercando di reprimere i miei istinti. Sono dannatamente acida, se proprio vuoi saperlo. E mi devo trattenere molto per non sparare malignità su chiunque ogni cinque secondi.
 
“Bene, e dopo tutte queste presentazioni, andiamo a mangiare a uno dei migliori ristoranti di Rodeo” ha esclamato Billie Joe con un sorriso (tieni conto che quando scrivo quello che dice lui ometto tutti gli “y’know” che ci mette in mezzo perché, Cristo santo, non fa altro che ripeterlo ogni due secondi!).
 
“E cioè? Lo Straw Hat Pizza sulla Parker Avenue? ” ha domandato Joe ironico.
“Esattamente! C’era anche quando io ero ragazzo, e non avete idea di quanti ricordi…” ha detto con uno sguardo velato, per poi riprendersi esattamente tre secondi dopo: “andiamo! Tré e Mike ci aspettano lì, e credo che abbiano portato anche Ramona ed Estelle Desirée, sapete, le loro figlie.”
 
Così siamo montati sulla loro auto tutta scassata, Joey davanti con in braccio Cleo, e dietro io e Joe.
Mentre parcheggiava davanti allo Straw Hat, ho sentito Billie Joe, Joe e Joey (pronunciarli è uno stramaledetto scioglilingua) ridacchiare. Ho alzato anch’io lo sguardo e, atterrita, mi sono accorta di una figura che saltellava sul tetto dell’edificio. Dopo un paio di secondi di totale sbigottimento, mi sono resa conto che quella figura era Tré Cool.
 
“Ma…M-ma…” sono riuscita a balbettare incredula. A parte tutto, come diavolo aveva fatto a salire lassù?
Joey ha ridacchiato vedendo la mia espressione.
“Mi sa che ti devi abituare a Tré, lui fa sempre questo genere di cose”  ha detto con un gran sorriso.
 
Ho sentito un’altra risata, però femminile, provenire dalla mia destra. Mi sono voltata e ho visto una ragazza piuttosto carina dai lunghi capelli castani che teneva per mano un bambino di circa dieci anni. Anche senza averli mai visti prima, ho capito subito che erano i figli di Tré: sono entrambi identici a lui.
 
“Ciao, io sono Ramona e lui è mio fratello Frankito” si è presentata sorridendoci. Il bambino si è staccato dalla sua presa ed è corso sotto il tetto della pizzeria, gridando: “Anch’io voglio salire, papy!” mentre Tré cantava a gran voce una canzone che parlava di sadomasochismo, e faceva più o meno così:
 
Cause I love feelin' dirty!
And I love feelin' cheap!
And I love it when you hurt me,
So drive those staples deep !
Yee-hah!


In quel momento abbiamo sentito una portiera sbattere: era Mike, solo, che rideva come un matto alla vista di Tré che danzava allegramente sul tetto. Nessuno pareva rendersi conto che rischiava di spezzarsi l’osso del collo, ma tant’è…
 
Per farlo scendere, Ramona ha dovuto guidare la macchina di Tré, una jeep enorme, fin sotto il ristorante: il batterista è saltato sul tetto della macchina e poi è sceso da lì con un sorriso a trentadue denti. “Hey, Piccolo Tré, quando torni a casa voglio che canti questa canzone alla mamma!” ha esclamato gioviale a suo figlio.
 
Ok, i Green Day non sono esattamente gente normale…
 
Siamo entrati nella pizzeria. La cameriera, una teenager con una gomma in bocca e lunghi capelli neri, ci ha indicato annoiata l’unico tavolo libero senza dire una parola. Ho notato Joe ridacchiare mentre alzavo gli occhi al cielo.
 
E la sai un’altra cosa sui Green Day? Tré sarà forse il più grasso, ma Mike è senza dubbio quello che mangia di più. In meno di mezz’ora si è fatto fuori due Buffalo Chicken Pizza Giganti emmezzo, fermandosi solo per prendere lunghi sorsi di birra e per commentare le idiozie di Tré o i racconti di Billie Joe.
 
Il cantante intanto ci raccontava aneddoti sulla loro vita, come il loro primo incontro con Tré, mentre faceva l’autostop (“Vaffanculo, stavo cercando di scappare di casa e mi ero portato dietro solo i tamburi e in più pioveva da matti” ha sbottato Tré. “E perché eri scappato?” ha chiesto Joe incuriosito. “Non so. Forse perché mio padre aveva finito i nachos” ha detto Tré stringendosi nelle spalle), o i loro concerti al Gilman (“amico, penso di essere stato l’unico uomo sulla terra ad essere riuscito ad ubriacarsi al Gilman, e per ubriacato, intendo che ho fatto cose che neanche da sobrio potrei immaginare” ha commentato Tré), o ancora quando hanno scatenato una battaglia di fango a Woodstock nel 1994 (“Mike non ha mai saputo che ho convinto io quell’uomo della security a prenderlo a pugni”, mi ha sussurrato Tré).
 
Alla fine, ci hanno accompagnati a casa. Ramona mi è molto simpatica, infatti ci siamo scambiate il numero di cellulare. Cioè, è davvero forte.
Non è sballata come suo padre, e non mi pare neanche che sia punk, ma non è neanche una di quelle ragazze “hihihi ke figo Orlando Bloom andiamo in disko domani?”. Mentre io, lei, Joe e Joey eravamo fuori dalla pizzeria mi ha guardata dritta negli occhi e mi ha fatto:
 
“Tu immagina di dover vivere una serata come questa ogni sera della tua vita e dimmi se non andresti fuori di testa! Guarda Joey ad esempio: a forza di vivere con Armstrong e company, si è completamente spappolato il cervello. Certo, non che ne abbia sempre avuto molto…”
 
Abbiamo guardato lui, che stava annusando il sedere a Cleo mentre Cleo lo annusava a lui, ci siamo guardate tra noi e siamo scoppiate a ridere, mentre da dentro si sentiva Tré che cantava di nuovo Dominated Love Slave. Chissà, magari la presento gli altri miei amici.
 
Ora vado. Credo che li rivedrò anche domani… Intanto, buonanotte
 
Sallie

 
 
 
Ok, in questo capitolo non succede niente di particolare a parte che compare il mio amatissimo Joey!!! Scherzo, comunque ci tenevo a descrivere una “giornata tipo” con i Green Day e, beh, spero di esserci riuscita. Volevo specificare che la Straw Hat Pizza della Parker Avenue di Rodeo esiste davvero, per chi voglia controllare c’è anche il sito con tutte le foto:D Volevo rendere la storia più realistica possibile… spero che il capitolo vi piaccia! U.U
 
Grazie mille a
Harleen Quinzel, littlediana, JulieJoke, mimi96, Ram92 e RainWashMe che hanno recensito i precedenti capitoli:)Grazie, grazie di cuore!!!
 
PS: non riuscivo a trovare UNA canzone che si adattasse al capitolo, così il titolo è messo un po’ a caso. Facciamo finta che sia riferito al comportamento squilibrato di Tré u.u 

G

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Capitolo 10
*** Who wrote Holden Caulfield? ***


22 Gennaio
 
Sabato scorso sono andata con Joe, Ramona e Joey a Christie Road. C’era anche Estelle Desirée, la figlia di Mike.Lei è… Beh, è una ribelle. E’ più piccola di me, Joe e Joey di un paio d’anni, ma sembra più grande: gli occhi azzurri truccati di nero, un piccolo teschio tatuato nell’incavo del polso sinistro, un piercing al sopracciglio, i capelli tinti di nero (credo che in realtà sarebbe bionda).
 
Lei e Ramona mi stanno simpatiche perché, beh, non sono le tipiche figlie viziate delle star: non ci potevo credere quando Estelle mi ha detto di ricevere una paghetta di dieci dollari a settimana! Sono ragazze normali, per quanto possa essere normale una ragazza cresciuta con un padre famosissimo, amato da milioni di fan, sempre in tour per il mondo.
E io che pensavo che le figlie delle star fossero tutte non solo ultra viziate, ma anche odiose e snob. Poi ho conosciuto Ramona, che sfoggia jeans comprati a cinque dollari al mercatino dell’usato, Estelle Desirée, che è scappata di casa almeno una decina di volte per le continue liti con i suoi genitori, e poi c’è Joey, che sfodera con orgoglio una taglio di capelli e una tinta del tutto casalinghi, perché non sopporta parrucchieri e “tutta quell’altra gente là”, come dice lui.
Joey è strano. E' una di quelle persone che un momento prima sono adorabili e un attimo dopo le vorresti uccidere a coltellate.
 
Quando io e Joe siamo arrivati, lui era già lì che si fumava una sigaretta.
“Hey, ciao rossa” ha detto con un sorrisetto difficilmente interpretabile.
 
“Ciao,TestaGialla ”ho risposto. Joe ha ridacchiato. A volte sembra quasi un bambino, Joe, tuttavia so di essere l’unica a vederlo così. Per tutti gli altri, lui non è altro che l’Affascinante, Solitario, Carismatico Joe Marshall. Le altre ragazze impazziscono per lui, i ragazzi gli leccano il culo o gli stanno alla larga. Solo io e Larry lo conosciamo davvero.
 
“Hei, Joey. A posto?”
 
“Non c’è male. In questo periodo sto provando un sacco con la band, anzi, se domenica prossima volete venire, ci esibiamo al Gilman” ha detto “verranno anche Ramona ed Estelle”.
 
“Si parla già di noi?” ho sentito una voce femminile profonda, ma allo stesso tempo quasi graffiante. Mi sono voltata e ho visto Estelle Desirée e Ramona. Estelle aveva una minigonna scozzese rossa e una magliettona dei Ramones taglia XXL; Ramona, un paio di jeans tutti strappati e una maglietta rossa con sopra una felpa nera e il cappuccio tirato sulla testa.
 
“Hey, Mona. Ciao, NuovaFidanzataDiMax.”
 
Estelle Desirée ha sbuffato.
“Come hai fatto a saperlo così presto?”
 
“Le voci corrono” ha risposto Joey con l’aria di uno che sa come va il mondo. “Adesso ho capito perché non sei venuta allo Straw Hat ieri. Avevi qualcosa di più… Come dire… Divertente da fare, o sbaglio?”
 
“Sta’ zitto, Joey, o ti tiro una scarpa in testa”
 
Ramona ha riso. “Max è il bassista e cantante principale degli Emily’s Army, la band di Joey” mi ha spiegato.
 
“Cosa suoni?” ho chiesto.
 
“Batteria” ha risposto sorridendo. Gli si sono illuminati gli occhi mentre lo diceva. E probabilmente anche a me.
 
“Wow… E’ lo strumento che vorrei suonare io”
 
Un altro sorrisetto astuto.
“Se vuoi posso insegnarti” mi ha detto.
 
Ti giuro, mi è esploso il cuore! Sogno di suonare quello strumento da quando avevo dodici anni!
Così, beh, prendo lezioni di batteria da Joey Armstrong. Il mio unico proposito per quest’anno si sta avverando, finalmente potrò formare una band con Joe!
 
 
Così, oggi ho avuto la mia prima lezione, a casa di Joey a Berkeley.
Ad aprirmi la porta è stata Adrienne: “Sallie! Che bello vederti” ha detto con il suo sorriso dolce.
 
Si poteva sentire in lontananza lo strimpellio di una chitarra acustica e Billie Joe che provava a canticchiare una melodia indefinita.
“Sta provando a comporre, per questo non viene a salutare.” mi ha detto lei notando il mio sguardo incuriosito. “Il momento della composizione è sacro per lui, soprattutto da quando…” si è interrotta, probabilmente perdendosi nei suoi pensieri. “Su, entra” ha aggiunto con un sorriso. Così ho fatto un passo avanti.
 
La casa di Billie Joe è così… strana. Non è una villa enorme come credevo, ma una villetta circondata da un piccolo giardino incolto. L’interno è pieno di oggetti strani, non subito riconoscibili: scaffali un po’ polverosi pieni di foto, vinili, vecchi quaderni e qualche libro. Il divano è rosso, un po’ sfasciato, pieno di cuscini di colori e materiali diversi. Hanno un enorme televisore al plasma e un tavolino basso di legno vecchio. Sul tavolino c’era un libro dall’aria vecchissima e consunta, con la copertina staccata per metà e tutte le pagine ingiallite ridotte a un’unica orecchia. Ho dato un’occhiata al titolo, era Il Giovane Holden di J.D. Salinger, il mio libro preferito. Appoggiate alle pareti c’erano un paio di chitarre elettriche scordate.
 
“Hem…” ho bofonchiato, senza sapere bene cosa dire. Adrienne ha sorriso.
“Joey è fuori con degli amici, ma dovrebbe tornare tra poco. Vuoi qualcosa da bere?” mi ha condotta in cucina.
“Scusa il disordine, ma il fatto è che io odio cucinare, e Billie Joe lo stesso, così faccio sempre un disastro, e nessuno ha mai voglia di rimettere a posto” mi ha versato una coca.
“Tranquilla, casa mia è molto peggio”
 
In quel momento è entrato Joey sbattendo la porta. Ha fatto un rutto clamoroso e ha gridato:
“Màààà sono a casa! Sallie è già qui?” è entrato in cucina dove mi ha visto seduta al tavolo.
 
“Ah, eccoti qui, rossa” ha detto con un sorriso ironico. Gli ho fatto un cenno con la testa.
“TestaGialla”
 
Joey ha ridacchiato e si è messo a frugare nel frigo, da cui ha tirato fuori una lattina di birra, alla quale poi si è attaccato. Dopo un altro rutto (Adrienne ha scosso la testa esasperata, immagino che vivere con Joey e Billie Joe non dev’essere facile) mi ha detto:
“Allora, vieni? Devo o non devo darti lezioni?”
“Eccomi” ho risposto. L’ho seguito in camera sua. E’ molto grande, anche lì c’è una chitarra appoggiata al muro e poi uno stereo enorme di ultima generazione, e pile e pile di cd e anche vecchi vinili. Sul lato sinistro, LA BATTERIA. Sulla grancassa c’era la scritta “Emily’s Army” fatta a pennarello.
 
Mi ha dato un paio di bacchette e mi ha spiegato come sedermi, e poi ha cominciato a insegnarmi le cose base, e a dirmi come muovere i piedi e come tenere il ritmo, poi mi ha lasciato improvvisare, correggendo di tanto in tanto presa o avvertendomi quando il perdevo il ritmo.
 
E’ stato incredibile il momento in cui ho preso in mano le bacchette. Mi ha attraversato una specie di scossa. Mi sono sentita come un’amante che ritrova l’amato tornato dalla guerra. Come un monco a cui finalmente, dopo tanti anni, viene applicata una protesi e può finalmente muovere le dita. Come un artista che per la prima volta impugna una matita.
 
Alla fine della mia improvvisazione, però, Joey non era esattamente convinto: “Si, beh… Abbiamo molto su cui lavorare. Ma dopotutto era solo la prima volta.” L’ho guardato male e lui ha ridacchiato.
 
“Beh, che ti aspettavi? Volevi che ti dicessi che sei il nuovo Phil Collins?”
“Potresti essere un po’ più incoraggiante, almeno” ho ribattuto.
“Non volevo dirti balle. Faceva davvero schifo”
“Allora fammi sentire come si suona, Grande Artista”
 
Ha sorriso ironico, mi ha strappato di mano le bacchette e si è messo a suonare. In effetti è davvero bravo. L’ho ascoltato incantata mentre colpiva i piatti e i tamburi con un’energia incredibile che non pensavo che avesse. Ho sentito un brivido lungo la schiena.
 
Quando siamo usciti c’era Billie Joe in salotto immerso nella lettura del Giovane Holden.
“Hei, Sal!”
 
“Hei, Billie. Dov’è Adrienne?”
 
“E’ andata a prendere Jake a basket”
 
“Ah, peccato, volevo salutarla. Come va la composizione?”
 
Si è un po’ oscurato in volto.
 
“Ho qualche problema, non mi viene l’ispirazione. Per questo sto rileggendo questo libro, forse per la milionesima volta”
 
Il Giovane Holden? Come mai proprio quello?”
 
“Beh, vedi, rileggendolo mi fa tornare in mente quando l’ho letto la prima volta. Avevo vent’anni, e io, Mike e Tré stavamo lavorando a Kerplunk!, il secondo album dei Green Day ma il nostro primo insieme. Praticamente vivevamo su un furgone e andavamo avanti a birra e musica. E questi ricordi mi ispirano. La mia canzone preferita di Kerplunk! è ispirata a questo libro… Comunque, come va con la batteria?”
 
Joey ha ghignato “più o meno come Tré va con la chitarra”. Gli ho tirato una gomitata, e Billie Joe ha riso.
Ho alzato gli occhi al cielo. “Va bè, grazie mille, ora devo andare. Ciao Bill. Salutami Adrienne. Ci si vede, TestaGialla.”
 
Joey mi ha aperto la porta con un altro ghigno.
“A domani, rossa” 



Ok, sono in un ritardo mostruoso. Non sembra, ma questo capitolo è stato piuttosto complicato perchè ho parecchie idee che mi frullano per la testa, ma metterle giù è un bel problema D: Comunque, alla fine ce l'ho fatta:D. Grazie tremiliardi a tutti coloro che hanno recensito e messo questa storia tra le preferite o le seguite. Siete fantastici. Non merito quei complimenti, siete davvero meravigliosi :3

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Capitolo 11
*** Church on Sunday. ***


25 gennaio.
 
Ciao stupido e inutile taccuino, voglio raccontarmi cos’è successo domenica sera. Non raccontarti: tu non sei una persona, come potrebbe importartene? Ciò che scrivo conta solo per me.
Ah, le mie riflessioni filosofiche post-sbronza.  
 
Domenica a Gilman Street a sentire gli Emily’s Army, la band di Joey. Eravamo io, Estelle Desirée, Ramona, Joe e Larry, che veniva al Gilman per la prima volta. Non vedeva l’ora di vederlo, io e Joe gliene avevamo parlato in continuazione, e ovviamente non è rimasto deluso.
 
Com’è che aveva detto Billie Joe?
Christie Road non delude mai nessuno”. E credo proprio che sia così anche per Gilman Street.             
 
A volte provo a immaginarmi la loro vita quando ancora non erano famosi, quando abitavano ancora a Berkeley e si esibivano al Gilman, quando andavano a Christie Road quasi tutte le sere, e le sbronze a base di birra erano all’ordine del giorno. Doveva essere simile alla nostra, in un certo senso. Billie Joe ha detto che ripensare a quel periodo lo ispira.
 
Mi chiedo se sia stato un bene o un male che le cose per loro siano cambiate. Voglio dire, non è che ora sono diventati un mucchio di vecchi noiosi che se ne stanno a giocare a briscola in un ospizio, anzi tutt’altro. Però certamente ora è diverso. Molti gli si sono rivoltati contro. La gente (io per prima, fino a qualche settimana fa) è subito pronta ad accusarli di essersi venduti. La gente giudica senza sapere.
La gente è fatta apposta per rovinarti tutto.
 
In ogni caso, io non voglio crescere.
Ho paura. Paura di lasciarmi tutto questo alle spalle. Paura di vivere di questi ricordi. Paura di cambiare.
 
Ecco, ho di nuovo perso il filo del discorso. Maledetta vena filosofica post-sbronza!
 
Comunque. Gilman Street. Larry. Ero arrivata qui. Ah, si: si è tinto i capelli anche lui, indovina il colore? Fucsia! Io adoro quel ragazzo!
 
Siamo arrivati nel bel mezzo di un’esibizione di non so che band punk-anarcoide-incazzata col mondo eccetera, e ci siamo fatti largo tra la folla in delirio lanciata in un frenetico pogo, armati di lattine di soda pop e snack al cioccolato.
 
Niente droga, niente alcool: l’unica caratteristica del Gilman che Joe detesta con tutto il cuore.  E anche Larry, ora che ne è al corrente.
 
Joey e i suoi amici erano dietro le quinte a prepararsi, ma avevano detto che avrebbero fatto un salto a salutarci prima del concerto, così ci guardavamo intorno alla ricerca dei capelli biondo schifo del batterista. A un certo punto abbiamo sentito Estelle gridare “MAAAX!!!”,  e pochi secondi dopo era lì davanti a noi abbracciata a un tipo biondo (naturale) in modo non proprio… Educato.
 
Dietro di loro c’erano un ragazzo biondo con i capelli lunghi e una maglietta dei Ramones, un altro biondino (tutti biondi in quella band?!) e Joey.
 
“Hei, ragazzi” ci ha sorriso “Questi due sono Cole e Travis, ma chiamatelo pure T-bag. E il tipo che ancora un po’ e si scopa Estelle qui in mezzo a un branco di punk sudati che pogano è Max.”
Max ci ha fatto un cenno di saluto senza interrompere la sua occupazione. Cole, quello con i capelli lunghi, ha scosso la testa esasperato.
 “Beh, noi ora dobbiamo scappare” ha fatto l’altro, Travis, ovvero T-bag (che razza di soprannome è?) “Tra poco tocca a noi. Max?”
Il ragazzo si è staccato da Estelle. “Ci sono.” Ha sussurrato qualcosa all’orecchio della sua ragazza e lei ha ridacchiato.
 
Devo aver fatto una faccia veramente disgustata (lo sai che sono più acida di uno yogurt), perché Joey è scoppiato a ridere guardandomi. L’ho fulminato con un’occhiataccia e lui ha fatto il suo solito sorrisetto beffardo, senza smettere di fissarmi senza dire una parola, finchè i suoi amici non l’hanno chiamato: “Chakka! Sbrigati!”
“Arrivo” ha detto Joey, e con un ultima occhiataccia nella mia direzione, ci ha salutati e se n’è andato.
 
Dopo un po’, è iniziato il concerto! Cole è la voce e chitarra principale, T-bag è la chitarra secondaria, Max è il bassista e Joey, ovviamente, è alla batteria. Sono… Beh, sono dei gran fighi! Mi piacciono un sacco. Adoro la canzone You’re not superior to me. Forse sono un po’ traballanti, ma, cavolo, sono bravissimi. Non fanno i machi o cose del genere dandosi delle arie da “grandi punk”, e di certo non accennano minimamente al fatto di essere così vicini a Billie Joe e i Green Day. Sono diversi, una cosa completamente diversa.
 
Se devo pensare al mondo del punk, penso a loro. Niente nichilismo e nessun “il mondo fa schifo, vaffanculo tutti”. Solo musica, qualche tiro a una canna ogni tanto, e qualche sana sbronza. Loro per me sono molto più punk del gruppo che li aveva preceduti, che strillava al mondo quanto Obama gli facesse schifo, e quanto i repubblicani gli facessero schifo, e quanto la guerra gli facesse schifo, e quanto la pace gli facesse schifo, e quanto la religione e l’ateismo e l’alcool e l’astemia gli facessero schifo. Gli faceva schifo tutto. Quante cazzate.
 
Dopo il concerto, abbiamo raggiunto noi gli altri dietro le quinte, ovvero una stanzetta dalle pareti grigie e ammuffite in cui erano ammucchiati gli strumenti degli Emily’s Army, oltre che gli Emily’s Army in persona.
Abbiamo fatto festa lì dentro. Joe si era impossessato della chitarra di Cole e Larry del basso di Max, Joey si era rimesso alla batteria e ogni tanto me la lasciava provare.
Ovviamente, sentendomi suonare, tutti sono scoppiati a ridere e hanno cominciato a ululare, così io ho preso Joe a bacchettate sulla testa e ha dovuto fermarmi Joey gridando che quelle bacchette erano sacre e che se proprio volevo spaccare la testa a Joe mi avrebbe recuperato una mazza da baseball lì nei dintorni, e cose del genere.
 
“Ci manca solo l’alcol” ha detto Larry tutto corrucciato a un certo punto. Ramona ha sorriso.
“Quando sei cresciuta insieme a Tré Cool, tutto è possibile…”
E ha tirato fuori dalla borsa più bottiglie di quanto potessi immaginare. Ce ne saranno state almeno venticinque!
 
Ha distribuito una birra a ognuno.
Abbiamo esclamato tutti in coro “alla salute!” e ci siamo attaccati alle bottiglie. Chi si staccava prima perdeva. T-bag ha perso, io l’ho mollata dopo di lui e poi Ramona. Hanno vinto a pari merito Larry e Cole, che l’hanno finita praticamente in un solo sorso.
 
Oltre alla birra c’erano tre bottiglie di vodka, due alla pesca e una alla fragola. Il mio ultimo ricordo è di me che mi attacco a quella alla fragola e che litigo con Joey per non fargliela assaggiare, ma ho visioni sfocate di poghi sfrenati in mezzo alla stanza, chitarre elettriche usate un po’ da tutti, Estelle e Max in un angolo a fare chissà cosa, Joe che vomita in un altro angolo, canti a tutto volume, un volto adulto sfocato e poi l’asfalto ruvido e bagnato e io che ci vomito sopra e una risata fragorosa, stupenda.  Poi buio fino al mattino dopo. 



Eccomi con un nuovo capitolo! Mi sa che mi è tornata l'ispirazione u.u Spero che vi piaccia, io sono abbastanza soddisfatta. Grazie come sempre a tutti quelli che recensiscono e seguono questa storia.

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Capitolo 12
*** Insomniac. ***


Mi sono svegliata il mattino dopo e la prima cosa che ho visto erano due enormi occhi scuri che mi fissavano. Ho tirato un urlo, che Joey soffocato immediatamente mettendomi una mano sulla bocca.
 
“Shhh!”
“Mppppffff!”
“Ok, se prometti di non urlare di tolgo la mano, ok? Prometti?”
“Mpfff”
“Mi fido.”
 
Ha tolto la mano.
 
“Joey, CHE DIAMMPFFFF?!”
“Ti avevo detto di non urlare!” ha sibilato tenendomi la mano premuta sulla bocca.
“Mmmmm!” ho cercato di esclamare, indignata. Non mi mollava neanche se gli leccavo la mano (di solito con Joe questo metodo funziona sempre).
 
Ha tolto di nuovo la mano.
 
“Si può sapere che diavolo succede?!” ho sibilato indignata.
“Niente di grave, semplicemente ieri sera ho potuto constatare con quanto poco alcool vai fuori.” Ha detto lui con un sorriso. Lo avrei strozzato, ma avevo questioni ben più importanti da risolvere nella mia mente annebbiata.
 
“Mi sono ubriacata?”
Joey ha ridacchiato.
“Ancora un goccio d’alcool e andavi in coma etilico”
“Aspetta, ieri sera… Eravamo… Al Gilman, giusto?”
“Esatto.”
“E poi?”
 
Mi ha guardata confuso, corrugando le sopracciglia.
 
“E poi cosa?”
“Cosa è successo dopo!” ho sbuffato impaziente.
“Ho chiamato papà, ci ha aiutati a trasportarvi. Anche Joe, Larry e Cole stavano piuttosto male. Così Estelle si è portata a casa Joe, e T-bag si è preso Larry. A me invece sei toccata tu, piccola rossa insopportabile.” Ha fatto un sorriso beffardo. “Non potevate tornare a Rodeo in quelle condizioni.”
 
Mi sono guardata intorno. Quella era la camera di Joey, la riconoscevo. Ho corrugato le sopracciglia.
“Quindi ho dormito qui?”
“Un applauso a Miss Velocità 2011!”
“E tu dove hai dormito, scusa?”
 
In quella camera c’era solo un letto, e io c’ero sdraiata sopra.
“Ti sembra che io abbia potuto dormire stanotte, con tutti i versi che facevi nel sonno?!”
“Versi?” ho domandato, sconvolta.
“Anche parole e interi discorsi, a volte” ha ridacchiato Joey “eri molto divertente…”
“Tu avresti passato tutta la notte a spiarmi mentre dormo?!?” ho soffiato, il tono mi era salito di due ottave. Joey mi ha di nuovo tappato la bocca.
“Shhh, ti ho detto di fare piano, sono solo le cinque!  Comunque si. Non avevo altro da fare, non avevo sonno e in ogni modo facevi troppo chiasso”
Ho sbuffato dalle narici, visto che non potevo farlo dalla bocca. Joey ha ridacchiato e ha tolto la mano.
 
“Questo è un colpo basso, Armstrong” ho borbottato. Una persona che ti fissa mentre dormi è come quando qualcuno ti guarda dritto negli occhi: due cose che non sono mai riuscita a sopportare.
“Si può sapere perché diavolo ti da così fastidio?”
“Questi sono affari miei” ho ribattuto piccata. Joey ha alzato gli occhi al cielo e mi ha tirato addosso un cuscino.
“Finirai per farmi impazzire, stupida rossa.” Ha sbottato, e io ho sorriso malignamente.
“E’ il mio obiettivo.”
 
In quel momento abbiamo sentito uno strimpellio di chitarra proveniente dall’altra parte della casa.
“Ecco. Brava. Sembra che tu abbia svegliato Armstrong Senior” ha sospirato Armstrong Junior, alzando di nuovo gli occhi al cielo.
“Sembra proprio di sì” ho riso, restituendogli la cuscinata.
 
In quel momento la porta della camera di Joey si è aperta ed è entrato un bambino di circa dodici anni, capelli lunghi e neri, gli occhi neri di Adrienne, e un tenero pigiama azzurro.
“Jo, vai a dire a papà di piantarla!” ha sbottato con la voce impastata dal sonno e gli occhi stropicciati.
Joey ha alzato gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
“E cosa ti costa andare tu?”
“A me non mi ascolta, lo sai… E lei chi è?” ha esclamato stupito guardandomi con gli occhi spalancati.
“Una barbona che abbiamo raccolto stanotte per strada, ci faceva pietà” ha ghignato Joey. Gli ho mollato una gomitata nelle costole mozzandogli il fiato.
“Ciao, sono Sallie, un’amica Joey e di tuo papà, e tu chi sei?”
“Io sono Jakob.”
“Jakob Danger” ha specificato Joey con un ghigno maligno, tenendosi ancora una mano sulle costole.
“Che colpa ne ho io se nostro padre è un idiota?” ha sospirato Jakob. “Comunque, vai a dirgli di smettere. Sto cercando di dormire, cazzo!”
“Hei, Jake, niente parolacce!”
Jakob gli ha lanciato uno sguardo a metà tra l’assassino e l’incredulo e se n’è andato sbattendo la porta.
“E fai piano!” ha sbottato Joey in un soffio. Poi mi ha guardata ridacchiando. “Maledetti fratellini minori…”
“E’ simpatico” ho osservato, guardando la porta chiusa.          
“Si, come un cactus nel… Lasciamo perdere. Vieni, ti porto nella sala delle chitarre Armstrong. E’ un grande onore, perciò siine degna.” Ha detto roteando gli occhi ironicamente, e io ho ridacchiato.
 
 
Ha aperto una porta bianca e siamo entrati in una stanza enorme, coperta di poster, di scaffali che reggevano svariati premi musicali e tutti i vinili, CD ed EP dei Green Day, da Slappy a 21st Century Breakdown. Ma soprattutto, in quella stanza c’erano chitarre ovunque, di tutti i tipi, acustiche ed elettriche, di tutti i colori, forme e dimensioni. Joe in una stanza del genere credo che impazzirebbe. Sul serio.
In centro a tutte quelle chitarre c’era Billie Joe seduto su una sedia, con Blue, la sua prima chitarra, sotto braccio, che strimpellava quella che sembrava l’introduzione di Viva la Gloria!.
 
“Hey, pa’” ha detto Joey entrando.
Billie Joe ha alzato lo sguardo e ha fatto un sorrisetto.
“Buongiorno, ragazzi… Sallie… Tutto bene?” ha sogghignato.
“Benissimo, grazie” ho risposto alzando gli occhi al cielo.
“Niente giramenti? Niente mal di testa?”
“No, niente.”
“Strano” ha osservato, corrugando le sopracciglia.
“Si, certo, stranissimo quanto volete” ha sbuffato Joey. “Papà, Jakob chiede se puoi evitare di fare tutto questo rumore alle cinque del mattino, sai com’è, c’è perfino chi dorme a quest’ora.”
 
Ho fatto uno strano sbuffo cercando di reprimere una risata.
 
“Cosa?” ha detto Billie Joe. Aveva un’aria totalmente smarrita.
“Papà. Non ti sembra un po’ presto per suonare?”
Ha fatto un sorriso smagliante.
“In effetti. Sallie, vuoi sentire una nuova canzone inedita? Solo questa e poi smetto.”
“Mi piacerebbe” ho detto con un sorriso, sedendomi di fronte a lui a gambe incrociate.
“Bene. Questa me l’ha ispirata Adrienne una sera che…” si è interrotto, e Joey ha fatto finta di vomitare dietro di me. “Comunque, questa si chiama Cigarettes and Valentines. Ascolta.”
 
Ha cominciato a suonare quella canzone che forse parlava d’amore e forse no, che era malinconica ma piena di energia, che mi prese fin dalle prime note.
 
So come away with me tonight
With cigarettes and Valentines…
Cigarettes and Valentines!
 
“E’ fantastica, Billie Joe!” esclamai entusiasta quando finì.
“Lo so” ridacchiò Billie Joe. “Beh, Sallie, credo che io, Tré e Mike ti porteremo con noi, oggi. Ci potrai essere molto utile.”
“Utile per cosa?” ho chiesto con un velo di preoccupazione.
Billie Joe ha fatto un sorriso misterioso.
“Vedrai, vedrai…” 

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Capitolo 13
*** Awesome as Fuck. ***


Sono rimasta lì a Berkeley per  tutta la mattina. Ad un certo punto mia madre mi ha chiamata sul cellulare, terrorizzata e allo stesso tempo incazzata nera perché non sapeva più dove fossi finita dalla sera prima. Ho tentato di rassicurarla dicendole che ero rimasta a dormire da Joe e che ero tornata a Berkeley dopo la scuola (ah, si, la scuola, certo) , ma mi sa che non ci ha creduto tanto. Così ho finto di non sentirla più al cellulare e le ho sbattuto il telefono in faccia, sotto lo sguardo divertito (e un po’ preoccupato, nel caso di Adrienne) della famiglia Armstrong.
 
“Uhm, Sallie, sei sicura di non dover tornare a casa…?” ha chiesto Billie Joe, dubbioso.
“Non far finta di essere una persona responsabile, non ci crede nessuno” ho ridacchiato. “Comunque, non avevi una sorpresa per me?”
“Ah, già.” Ha detto. “Dobbiamo aspettare Tré.”
“Questa cosa coinvolge anche Tré? Oddio, sono già preoccupata.”
 
Dopo qualche minuto abbiamo sentito uno stridio di gomme sull’asfalto e un gran fracasso, come di qualcosa che si schianta contro un grosso pezzo di ferro. Siamo corsi fuori e abbiamo visto la macchina di Tré, piantata in mezzo a un ammasso di ferraglia accartocciato che una volta doveva essere la porta del garage di casa Armstrong. Sul vialetto, ancora le impronte delle gomme. Tré Cool è uscito senza scomporsi dall’auto, dando a malapena un’occhiata al disastro appena combinato. Si è semplicemente tolto una ciambella mezza mangiata di tasca e ha cominciato a mangiucchiarla con calma assoluta, leccandosi le dita macchiate di glassa sciolta.
 
“Ma vaffanculo Tré! Che cazzo hai fatto?” ha strillato Adrienne, gli occhi fuori dalle orbite.
Billie Joe si è limitato a scuotere la testa mormorando “fottuto coglione”.
Io, Joey e Jakob, invece, stavamo letteralmente morendo dal ridere. Tré ha dato un altro morso vorace alla sua ciambella.
“Calmi, che potrete comprarne altre trentamila di quelle porte del cazzo! Potete comprarvi un’intera fabbrica di quelle cazzo di porte! Potete comprarvi il paese dove le costruiscono!”
Adrienne ha alzato gli occhi al cielo.
“Lasciamo perdere” ha mugugnato Billie Joe. “Sallie, sali in macchina di Tré. Venite anche voi, ragazzi?”
“Che palle, papà. L’abbiamo già visto trecento volte.” Ha sbuffato Jake.
“Io ora devo uscire con Mona, Cole, Travis e gli altri” ha detto Joey “Sal, andiamo a Christie Road. Dopo ci raggiungi là?”
“D’accordo.”
“Va bene, allora andiamo!” ha esclamato Tré, dirigendosi allegramente verso il posto di guida, ma Billie Joe gli si è parato davanti.
“No.” Ha detto soltanto, e il suo tono era estremamente minaccioso.
 
 
Poco dopo, Billie Joe ha frenato davanti a un basso edificio grigio squadrato. Mike ci aspettava là davanti. Una volta scesi dalla macchina, li ho seguiti all’interno dell’edificio, incuriosita.
Dentro era pieno di corridoi bui su cui si affacciavano una moltitudine di porte bianche. Ne abbiamo superate un bel po’ prima di aprirne una. Siamo entrati in una grande stanza bianca e luminosa, piena zeppa di computer e televisioni e di ragazzi che ci lavoravano. Sui vari schermi scorrevano le immagini di quello che sembrava un concerto dei Green Day.
 
“Salve, ragazzi” ha esclamato Mike.
Gli uomini, saranno stati una decina, hanno fatto vari cenni di saluto.
“Sallie, ti presento Mark” mi ha detto Billie Joe, portandomi davanti a un uomo in canottiera con i capelli lunghi legati in una coda e le grosse braccia piene di tatuaggi. “Lui è il regista capo, qui”
Non capivo di cosa stesse parlando, ma strinsi comunque l’enorme mano di quel tipo.
“Piacere”
“Ciao tesoro” ha mugugnato lui, ritornando immediatamente con gli occhi allo schermo del computer. “questo stronzo non vuole funzionare, cazzo!”
“Vedi, Sal” ha cominciato a spiegarmi Mike. “Questa è la sala di regia del nostro prossimo live album, che uscirà questo marzo… Dobbiamo ancora decidere come chiamarlo.”
“Non ci vuole niente di troppo scontato, ma il titolo deve sottolineare la gran figata che è stato il nostro ultimo tour, la sua grandezza, insomma.” Ha aggiunto Billie Joe.
“E io, in tutto questo, a cosa vi servo?”
“Ti piacerebbe aiutarci a scegliere le tracce da mettere nel cd e un titolo adatto?”
“Cazzo si!!!” ho esclamato entusiasta.
 
 
Così, dopo un paio d’ore di lavoro, risate, grandi incazzature (da parte di Mark), imprevisti causati da Tré Cool (si è fatto prendere a schiaffi da un paio di signorine, niente di strano) e innumerevoli lattine di birra, siamo giunti a un’ottima traccia per il cd. Il titolo però non ci veniva. Ho promesso di pensarci intensamente. Dopodiché, Billie Joe mi ha accompagnata a Rodeo, a Christie Road.
Lì c’erano gli Emily’s Army, Joe, Larry, Ramona ed Estelle Desirée. 
“Hey, ragazzi!”
“Ciao, Sal!”
“Allora, ti è piaciuta la ‘sorpresona’?” ha esclamato Joey ironicamente.
“Si, tantissimo.” Ho risposto in tono di sfida, guardandolo storto.
“Immagino sia stata un’esperienza da sogno… Quasi paragonabile ad avere un unicorno rosa tutto tuo!”
“Non fa ridere.” Ho scosso la testa esasperata.
“Sei insopportabile, Joey” ha osservato Ramona.
“Davvero” ha convenuto Estelle.
“Come siamo suscettibili… Scommetto che è stato meraviglioso.” Ha detto Joey con uno sbadiglio.
“Certo.” Ho risposto seria. “Quasi come una bella scopata.”
“Mmm. Meraviglioso come scopare.” Ha detto Joe “avrei voluto esserci, caz…”
“Zitto!” ho esclamato, e tutti mi hanno guardata come se fossi pazza. “Cos’hai appena detto?”
“Che avrei voluto esserci anch’io” ha detto Joe, perplesso.
“No. Prima.”
“Che sarebbe stato meraviglioso come scopare?” ha detto Joe, ancora  confuso.
“Meraviglioso come scopare. Joe. Lo sai che sei un fottuto genio?” ho esclamato abbracciandolo. 

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Capitolo 14
*** Don't wanna fall in love. ***


13 Febbraio

Eccomi di nuovo dopo due settimane di silenzio, scusami tanto altra Me. In verità in queste ultime due settimane non è successo niente di interessante, a parte che ai Green Day il titolo che io e Joe abbiamo trovato per il loro nuovo live album, Awesome As F**k, è piaciuto da matti! In effetti è assolutamente perfetto, si adatta benissimo a loro. Ne vado troppo orgogliosa.
 
La vera novità è che ieri, a Christie Road, Joey, Estelle e Ramona hanno comunicato a me e Joe che tra quattro giorni sarà il compleanno di Billie Joe e che pensavano, insieme a Tré, Mike, Adrienne e gli altri, di fargli una festa a sorpresa: la cosa non sarà così semplice visto che Bill, essendo un nano estremamente megalomane, non permetterà a nessuno di fingere di essersi dimenticato del suo compleanno o di avere altri impegni per giovedì sera.
 
Poco dopo sono arrivati anche Tré e Mike, così ci siamo divisi i compiti: Estelle, Ramona e Adrienne si occuperanno delle cibarie e delle bevande (io e Joe prevediamo fiumi di birra, UAU!), Tré, Mike e Jason W degli invitati, io, Joe e Joey delle decorazioni del locale. Avevamo solo cinque giorni, quindi naturalmente la caccia al posto perfetto si è aperta subito ieri.
Joe aveva il suggerito il Gilman, ma io e Joey, a malincuore, abbiamo bocciato la proposta: troppa gente incalcata tutta insieme, e poi non mi sembra il caso di ricordargli quel dannato Billie Joe must die anche il giorno del suo compleanno. Così abbiamo deciso di fare un giro di ricognizione a Berkeley.
 
Abbiamo passato a Berkeley tutto il dannato pomeriggio, girando per strade e stradine, entrando in qualunque bettola che potesse anche lontanamente assomigliare a un locale dove si potesse organizzare la festa, siamo passati per grandi birrerie, bar, perfino discoteche (voglio dire, discoteche. Eravamo schifosamente disperati!), ma zero assoluto. Non c’era nessun posto che potesse neanche avvicinarsi allo spirito che dovrebbe avere una festa del genere. Incredibile, vero? Dopotutto a Berkeley c’è una comunità punk piuttosto consistente.
 
Oggi pomeriggio, nonostante la pioggia battente, io e Joey (Joe aveva accompagnato Larry a far riparare il suo skate a Tormey) ci siamo trovati a Christie Road a spremerci il cervello su dove poter fare quella stramaledetta festa.
 
“Freight and Salvage Coffee House?”
“Che tristezza”
“Triple Rock Brewery?”
“Troppi dannatissimi turisti”
“Peet’s?”
“Una caffetteria? Ma lo conosci tuo padre, o no?”
 
C’è stato qualche minuto di silenzio. Ho cominciato a camminare avanti e indietro mordicchiandomi il labbro inferiore. Avevo completamente esaurito le idee.
 
“La vuoi smettere di fare così? Mi stai urtando il sistema nervoso” ha sbottato Joey. Ho preso a camminare più veloce di prima, senza neanche degnarlo di una risposta. Adoro fare irritare le persone. Joey è saltato in piedi e mi ha bloccato tenendomi per i polsi. L’ho guardato male, sbuffando.
 
“Che diavolo c’è?!”
“Aspetta. Credo che mi stia venendo un’idea grandiosa.”
Mi sono liberata dalla sua presa e ho incrociato le braccia, guardandolo incuriosita. Joey aveva le sopracciglia corrugate in un’espressione d’ intensa concentrazione. Poi ha sorriso.
 
“Mi è venuta l’idea grandiosa.”
“Ovvero?” ho fatto io, alzando un sopracciglio scettica.
“Papà, Mike e Tré, all’inizio degli anni 90, vivevano nel seminterrato di una grande casa a Berkeley. E’ lo stesso posto dove più tardi hanno registrato il video di Longview. Sarebbe fico organizzarlo li!”
“Lì?! In una casa privata?!” Joey è come Larry: ha sempre idee fantastiche, ma poi metterle in pratica è sempre un problema.
“Basterà affittarlo per una sera” ha risposto Joey, sorridendo furbescamente “una delle cose migliori di essere il figlio di una rock star famosa in tutto il mondo è che si dispone di una carta di credito illimitata.”
 
L’idea cominciava a piacermi. Anzi, era decisamente fantastica. Geniale!
“Cazzo, Joey! Ma allora dopotutto servi a qualcosa!”
Ci siamo scambiati un cinque, poi mi ha presa per un polso:
“Sbrighiamoci, dobbiamo andare a Berkeley!”
 
Così, sotto il diluvio universale, siamo corsi alla prima fermata dell’autobus di Rodeo. Ovviamente, nessuno dei due aveva dietro un dannatissimo ombrello, così ci siamo inzuppati tutti, ma non ci importava più di tanto, anzi, giocavamo a schizzarci l’un l’altro saltando nelle pozzanghere e prendendo la pioggia in bocca e poi spruzzandocela in faccia.
Alla fine ero così fradicia che tremavo, avevo brividi che mi attraversavano tutto il corpo, ma quello stupido autobus non ne voleva sapere di arrivare (gli autobus a Rodeo già normalmente sono in ritardo, figurati quando piove).
 
“Appena arriviamo a Berkeley passiamo per casa mia a prenderti qualcosa” ha detto Joey, guardandomi rabbrividire con un sopracciglio alzato.
“Non ho freddo!”
“Vai a cagare, stai tremando!”
 
Finalmente quel maledetto mezzo pubblico è arrivato (naturalmente schizzandoci tutti, di modo che Joey ha dovuto tapparmi la bocca per farmi smettere di gridare parolacce all’autista).
L’autobus era vuoto, così io e Joey ci siamo seduti accanto, nei posti in fondo.
 
“Va meglio ora?”
Ho appoggiato le mani al bocchettone dell’aria calda. Ogni tanto quel coso si inceppava, ma faceva quel che poteva contro il freddo pungente che cercava in tutti i modi di penetrare da fuori.
“Si,dai”
“Hai ancora freddo?”
“No” ho risposto, battendo involontariamente i denti.
Ha ridacchiato.
“Sul serio, non ho freddo” ho replicato al suo sogghigno, guardandolo storto. Le gocce d’acqua continuavano a correre sui finestrini.
“Tieni, non vorrei che morissi” ha ghignato lui levandosi il chiodo. Sotto aveva una felpa nera dall’aria caldissima. Non come la mia, che aveva l’aria di essere sul punto di disfarsi se avesse preso ancora un po’ d’acqua.
 “Grazie” ho mormorato indossandolo. Lui mi ha osservata sogghignando.
“Di niente, Rossa”
Ho risposto con una smorfia.
 
Beh, almeno ora si che andava meglio. Mi sono stretta nel giubbotto, con un altro brivido, lui continuava a guardarmi, non capivo perché, così l’ho fissato anch’io, incuriosita.
E poi, beh, non saprei descriverti bene cos’è successo, è accaduto tutto così in fretta, come se fosse esploso un lampo, ma fuori non c’era niente se non la solita pioggia battente che ingrigiva tutto il cielo.
 
Mi ha guardata per un attimo negli occhi, come nessuno, mai, aveva fatto, intensamente, come se cercasse di leggermi nel pensiero, di scrutarmi dentro. Stranamente, stavolta, la cosa non mi ha irritato perché anch’io per un istante mi sono persa nei suoi, scuri, senza pensare a niente, e ho sentito, ho sentito…  Non so, qualcosa, dentro, per un attimo, oddio, non voglio essere melensa, per piacere, no! Mi sono sentita come se dentro di me fosse passato un vortice di anarchia, una guerra, si, era come una guerra antica, che con la forza di mille spade mi ha infilzato lo stomaco e fatto cedere le gambe, e mi ha troncato il fiato.
Joey mi si è avvicinato, ha messo una mano tra i miei capelli, continuando a indagare dentro i miei occhi, finchè, in quel momento, mi sono come risvegliata, mi è tornata la lucidità.
Che diavolo sto facendo?
Ho voltato la testa dall’altra parte, fissando la pioggia fuori dal finestrino. Ho respirato a fondo, cercando di far scomparire in quel modo le sensazioni di poco prima, senza girarmi nuovamente verso Joey, che non ha detto una parola. Per fortuna mi sono fermata appena in tempo. Che cazzo sarebbe successo se…?
Andiamo, per favore, me l’ero ripromesso appena un mese e dodici giorni fa, non voglio innamorarmi.
 
Io e Joey non abbiamo spiccicato parola fino a casa sua. Lì mi ha prestato un giubbotto di Adrienne, che era fuori con Billie Joe e Jake, così gli ho restituito il suo, senza guardarlo in faccia. Anche il percorso, sempre sotto la pioggia, fino al 2243 di Ashby Street, dove si trovava la grande casa vittoriana in rovina, è stato silenzioso. Si sentiva solo lo sciaguattare dei nostri anfibi nelle pozzanghere e il rumore del viavai delle macchine su e giù per le strade. Tenevo lo sguardo fisso a terra, sui miei anfibi neri consumati, per paura di incrociare il suo.
Finalmente siamo arrivati a destinazione. Ho suonato il campanello, ed è venuto ad aprirci un ragazzo di circa vent’anni, in tuta, con i capelli biondicci sparati ovunque.
 
“E voi chi diavolo siete?” Ha esclamato, completamente disorientato.
Gli ho chiesto di farci entrare e io e Joey, un po’ per uno e senza ancora riuscire a guardarci, gli abbiamo spiegato che avremmo voluto affittare il suo seminterrato per giovedì sera per la festa di Billie Joe. Il ragazzo, da confuso è divenuto prima interessato, poi entusiasta.
 
“Delle famose rock star nel mio seminterrato? Diavolo si!” Ha esclamato, l’aria sognante, probabilmente pensando a quante ragazze avrebbe potuto portare nel suo seminterrato raccontando loro che i Green Day ci avevano fatto una festa.
 
Ci ha portati a vederlo: non era molto grande, ma neppure minuscolo, e poi Mike e Tré avevano pensato ad una festa per pochi intimi, per cui non ci sarebbero stati problemi di spazio; scambiandoci qualche fugace commento, io e Joey ci siamo messi d’accordo per addobbarlo come i muri di Christie Road, proprio come lo era vent’anni fa. Dovremo andare domani e io ho già paura, perché, anche al ritorno, non ci siamo scambiati che qualche parola. Per fortuna domani ci sarà anche Joe. Comunque, Joey mi ha accompagnata alla fermata dell’autobus e mi ha detto, evitando accuratamente il mio sguardo:
 
“Beh, io vado a casa. Il giubbotto puoi tenerlo quanto vuoi, non c’è problema… Ci vediamo”
“Si… Ci vediamo” anch’io ho fatto di tutto per sfuggire ai suoi occhi, ma l’ho guardato allontanarsi nella pioggia, e ho sentito di nuovo quella spada, quella maledetta spada, trafiggermi lo stomaco con più rabbia e più violenza di prima, facendomi molto, molto più male, odio dover ammettere una cosa del genere, voglio, devo fare in modo che non si ripeta mai più.
Non voglio innamorarmi, per niente al mondo.         
   
 
Sallie 
 

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Capitolo 15
*** Tattoos of memories and dead skin on trial. ***


14 febbraio
 
Caro Diario,
Hahahaha ci sei cascato in verità tra me e Joey non c’è stato proprio niente di strano andiamo, per favore, Joey? Era OVVIO che stessi scherzando
                                   
Ok, no, non funziona mentire a me stessa.
Torniamo alla realtà dei fatti.
 
Che ironia, oggi è il 14 febbraio. La festa dei fiorai e dei cioccolatieri. Devo dire che non avevo molta voglia di tornare a Berkeley con Joey, infatti mi sono chiusa in camera senza rispondere ne ai messaggi ne alle continue chiamate di Joe, finchè lui non mi è venuto a prendere e mi ha trovata seduta in mezzo al pavimento in  camera mia a strapparmi le pellicine e ascoltare Poison a tutto volume. Patetica, patetica, schifosamente patetica.
 
“Che diavolo stai facendo? Perché non rispondi al cellulare?!” ha gridato Joe entrando in camera mia come un razzo con la sua tipica delicatezza Joeiana.
Ho buttato l’mp3 in un angolo e l’ho guardato storto, incrociando le braccia senza rispondergli come una bambina capricciosa.
Appena si è accorto della mia espressione, si è seduto sul bordo del letto, sospirando:
“Ok. Che è successo?”
“Niente.”
“Ok, allora alza quel culo e usciamo, Joey ci aspetta da un quarto d’ora a Christie Road”
“Andate voi due”
“Quindi è successo qualcosa, tu di solito adori questo genere di cose!”
“No!”
Mi ha fissato negli occhi socchiudendo i suoi con aria minacciosa, ma io ovviamente ho evitato il suo sguardo.
“C’entra Joey.”
Non era una domanda.
“No!!!” ho strillato. Joe mi ha guardato stranito.
 Sono saltata in piedi e mi sono messa a girare in tondo come un’ossessa, continuando con la mia crisi di nervi.
 “Sono solo io, una deficiente e imbecille totale che a quanto pare è ancora troppo stupida e debole per controllare i suoi stupidissimi istinti!!!”
Joe mi guardava con la bocca spalancata.
“Che diavolo…” ha mugugnato, confuso, e con un sospiro mi sono seduta accanto a lui e gli ho raccontato tutta la storia.
 
“Fammi capire, tu senti che se avresti continuato avresti finito per… Diciamo… affezionarti troppo, fino ad arrivare addirittura a…”
“Esatto!” ho sbottato. “E io non voglio – ripeto, non voglio che questo accada.”
“E perché, esattamente?”
“Per i tuoi stessi motivi” ho sbuffato “Lo sai, io non riesco a stare con un ragazzo per più di due settimane, per quanto possa tenere a lui. Va a finire che mi sento soffocata, o che mi rompo le palle, e io non voglio che questo succeda con Joey, perché ci tengo a lui come amico.” Ho sottolineato con accuratezza le ultime due parole.
“E poi…” ha continuato Joe.
“E poi cosa?”
“Sal, lo sappiamo entrambi che non è solo questo, ma che è solo una questione di orgoglio, essere innamorati rende deboli, e vulnerabili, e né tu né io vogliamo che questo ci accada.”
Aveva centrato il discorso.  Siamo uguali, io e Joe, per questo ci capiamo perfettamente a vicenda.
“Esatto.”
“La conosci già la soluzione, vero?”
“Dimmela tu.”
“Dimentica quello che è successo ieri. Come se non fosse mai successo. Domenica 13 febbraio non è mai esistita” ha sentenziato Joe, alzando platealmente le braccia.
“Si, capisco quello che vuoi dire. Ma sarà facile solo se si comporterà anche lui così.”
Joe ha fatto un sorriso. “Vedrai che, vedendoti che farai finta di niente, anche lui seguirà il tuo esempio. Sarà come se non fosse mai successo niente, e tu in breve ti scorderai di lui.”
Mi sono mordicchiata il labbro, pensierosa. “Hai ragione, Joe” ho detto alla fine.
“Tranquilla, ci penserò io a procurarti una distrazione…”
 
Così siamo andati a Christie Road. Joey era li, con un mucchio di fogli arrotolati sotto il braccio: poster, foto, e altre cose. L’ho salutato come se niente fosse, e lui, dopo un attimo di costernazione, mi ha risposto con uguale noncuranza. Joe mi ha fatto segno col pollice in su di nascosto.
Così, chiacchierando normalmente come se niente fosse, abbiamo preso il traballante autobus per Berkeley, sotto un cielo sempre più cupo, e ci siamo ripresentati a casa del ventenne fattone. Stavolta era tutto contento di vederci.  Insieme a lui c’erano un altro paio di ragazzi svitati che mangiavano patatine stravaccati sul divano, fumando quella che sembrava una canna.
 
“Hey, ragazzi! Allora, ho fatto un paio di calcoli e, per affittare casa mia tutta la notte, dovrete darmi, uhm, duecento dollari” ci ha fatto, con un sorriso enorme.
Joey ha sfoderato un sorriso strafottente, e gli ha detto: “d’accordo, ma te li daremo tutti alla fine della festa.” E sotto voce, rivolto a noi: “non ho intenzione di pagare l’lsd di sto fattone con la festa di papà”
Io e Joe abbiamo riso sotto i baffi. Eric, il nostro stravagante amico, si è sgonfiato un po’, ma si è arreso.
 
“Possiamo?” ho chiesto con un sorriso smagliante.
“Conoscete la strada.”
 
Siamo andati nel seminterrato e abbiamo ricoperto le pareti con quei vecchi poster e foto, e abbiamo reso l’ambiente identici a com’era diciassette anni fa, nel video di Longview. E, alla fine, l’effetto era proprio quello di trovarsi indietro nel tempo, a prima che noi nascessimo.
Fantastico.
 
Siamo andati a fare un giro a Berkeley. Eravamo lì a ciondolare da Peet’s, quando a un certo punto Joey è saltato su all’improvviso:
 
“E se mi facessi un tatuaggio?”
“Cosa?!” Ho esclamato, sbalordita.
“Conosco un tizio qui a Berkeley che ne fa, e poi lo conosco e mi farebbe lo sconto. E’ un po’ che ci penso…”
“Ok, dai, fattelo!” ha esclamato Joe battendogli il pugno.
“E cosa vorresti tatuarti, sentiamo?” gli ho chiesto, scettica, curiosa e affascinata nello stesso momento.
Mi ha sorriso. “Vedrai”
“Anzi” ha aggiunto poi “Fatevene uno anche voi, sarebbe fico! Ve lo regalo io cazzo!”
“Ci sto!” ha esclamato Joe.
“Oh porca puttana” ho mormorato scuotendo la testa.
“Dai, Sal” ha detto Joe. “Hai paura per caso?”
“Già, la piccola, dolce, Sallie ha paura di un aghetto” mi ha preso in giro Joey con un sorrisetto.
Mi sono alzata in piedi di scatto.
 
“Ok, ragazzi, andiamo a farci fare questo fottuto tatuaggio!”  


Eccomi qui! Ok, questo capitolo non è venuto proprio bene, l'ho scritto di getto mentre ero in ritardo per andare da una mia amica, lo so, dovrei fare meno in fretta perchè sennò rovino tutto, ma volevo assolutamente pubblicarne uno nuovo per oggi. Grazie mille a voi che seguite e recensite, siete fantastici!

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Capitolo 16
*** Jesus of Suburbia. ***


Siamo andati in una villetta come tante, gialla, circondata da un giardinetto ben curato con tanto di albero con l’altalena che pendeva giù da un ramo. Mi sono guardata attorno stupita, non sembrava esattamente il posto dove qualcuno potesse fare dei tatuaggi.
 
Joey ha suonato il campanello ed è venuta ad aprirci una bambina sui sei anni, con i capelli lunghi, lisci e castani e due occhioni azzurri spalancati.
“Ciao, Amy” ha fatto Joey “Alex è in casa?”
La bambina è diventata color porpora e ha annuito, per poi fuggire via in corridoio.
“Entrate” ha detto Armstrong facendoci passare.
 
Il salotto era pulito e in ordine, le pareti tinte di colori chiari. Una grande foto di famiglia sovrastava il tavolo nella sala da pranzo, in cui si vedevano un uomo piuttosto stempiato e una bella donna dai capelli castani tenuti fermi da un cerchietto laccato bianco, che teneva in braccio una bambina di circa un anno vestita interamente di pizzi rosa, mentre un altro bambino, sui dieci anni, lentiggini, occhioni azzurri e folti capelli castani che andavano in tutte le direzioni, abbracciava il padre con un sorriso sdentato. La tipica famiglia felice. Una cosa, tra parentesi, che non ho mai vissuto, anche togliendo l’aggettivo “felice”. L’unico ricordo che ho dei miei genitori quando vivevamo tutti insieme è mio padre che torna a casa a notte fonda, ubriaco, e grida come un matto dando della puttana a mia madre mentre io, dalla mia cameretta, mi tappo le orecchie con le mani. Una scena patetica, un altro cliché, proprio come quello della foto che stavo guardando in quel momento, seppur opposti. Sempre stereotipi erano: la famiglia disagiata e quella felice. Ma sto divagando troppo.
 
Joey ha guidato me e Joe attraverso il corridoio che profumava di non so che detergente per i pavimenti, finché non si è fermato davanti a una porta come tutte le altre, ha bussato e siamo entrati. Ed è stato come quando all’improvviso vieni catapultato in un buco nero o in un mondo parallelo: come quando Alice è precipitata nella tana del coniglio, versione punk.
 
Le pareti erano coperte di poster: dei Sex Pistols, dei Ramones, dei Clash, dei Green Day, di Jim Morrison, dei Red Hot Chili Peppers, uno di Malcom X davanti al letto. Gli spazi vuoti erano occupati da scritte fatte a pennarello: citazioni di canzoni oppure di personaggi famosi. Il letto era in disordine, coperto di vestiti stropicciati, tra cui ho intravisto due magliette dei Sex Pistols. Buttati per terra in mezzo al pavimento, un paio di anfibi neri rovinati. Sulla scrivania c’era una pila di libri incredibilmente alta, principalmente romanzi horror, ma anche “classici” come Il Giovane Holden, Alta Fedeltà, Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Una chitarra elettrica coperta di adesivi in un angolo e delle bacchette autografate da Tré sulla scrivania, accanto ai libri.
Poi il mio sguardo si è spostato dalla camera al suo proprietario, sdraiato sul letto sfatto, un sedicenne che non assomigliava per niente al bambino sorridente della foto nel salotto, di cui erano rimasti solo gli occhi color ghiaccio, ma con un’espressione diversa, dura, consapevole, e piuttosto scazzata. I folti capelli castani erano scomparsi, sostituiti da una cortissima rasatura quasi indubbiamente casalinga, portava una maglietta sudicia dei Ramones e un paio di jeans pieni di strappi ovunque e aveva l’aria di uno che vuole essere solo lasciato in pace, senza troppe rotture di coglioni. Stava fumando una sigaretta, una Lucky Strike Nera.
 
“Hey, Joey” ha detto alzandosi in piedi e battendo il pugno contro quello del biondo.
“Vecchio” ha detto semplicemente Joey.
“Chi sono questi due tizi?”
“Questi sono i miei amici Sallie e Joe, vengono da Rodeo”
“Ciao, Sallie, ciao, Joe, piacere”
Ci siamo battuti i pugni.
“Allora, cosa vi porta da queste parti, nella tana dei serpenti?”
“Volevamo chiederti se avresti tempo di farci un tatuaggio. Uno ciascuno. Ti andrebbe, eh, Alex?”
“Certamente.” Senza altre domande, ha tirato fuori dall’armadio una scatola di vetro che conteneva una macchinetta, che ha appoggiato sul letto. Dentro un’altra scatola dello stesso tipo c’erano un sacco di aghi, tutti in piedi infilati in degli spazietti appositi. Alex ci ha fatto cenno di seguirlo e ci ha condotti in un grande bagno coperto di piastrelle azzurre, poi si è messo a trafficare con gli aghi e la macchinetta, rassicurandoci dicendo che era tutto sterilizzato.
Intanto, io e Joe chiacchieravamo del tatuaggio che volevamo farci: volevamo farcene uno uguale, qualcosa di significativo. Alla fine, abbiamo deciso.
 
“Chi vuole essere il primo?” ci ha chiesto sorridendo Alex, e io, visto che odio le attese, mi sono avvicinata alla macchinetta con un sorrisetto. Alex mi ha detto di sedermi sul cesso, si è fatto spiegare cosa volevo, e ha fatto partire la macchinetta.
 
Non faceva male, almeno non quanto immaginavo, era più una sensazione di calore, credo, un caldo costantemente vibrante. Dopo un po’, una volta abituatami a questa sensazione, era quasi piacevole.
 
Circa tre ore dopo tutti e tre avevamo il nostro tatuaggio: io una J sulla nocca della mano sinistra, Joe una S nello stesso punto, e Joey (indovina! Cosa poteva farsi, Joey, ovviamente?!) la scritta “FUCK” dietro il collo.
Ho ghignato un sacco, e ogni volta che lo facevo lui si voltava dandomi le spalle in modo da farmi leggere la scritta. Che persona assolutamente… come dire… Inutile, cazzo!
 
Alla fine erano centoventi dollari, che Joey ha tirato fuori senza problemi.
Ah, i vantaggi di essere figli di Billie Joe Armstrong. A proposito di Billie Joe: devo pensare a un fottuto regalo, cazzo!
 
Dopo, siamo tornati a Rodeo, a Christie Road, portandoci dietro anche Alex. Serata di profondo cazzeggiamento.
 
Joey è solo un amico e tra noi non c’è niente.
 

 
 
 
Hey! Nuovo capitolo:D Ci tenevo a precisare che Alex, il “tatuatore”, a cui è anche dedicato il titolo del capitolo, è ispirato al protagonista di un libro che sto leggendo, il Vecchio Alex di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, di Enrico Brizzi, che consiglio a tutti voiJUn miliardo di grazie a voi che recensite ogni volta, e che avete inserito la storia tra le seguite e le preferite. Siete troppi per citarvi tutti, ma voi sapete chi siete, perciò grazie, grazie davvero!
  

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Capitolo 17
*** If someone can hear me slap some sense into me. ***


18/02/11

Oh mio dio, ho una confusione assurda in testa, dev’essere per quello che è successo ieri.
Allora, cominciamo dall’inizio.
Come già ti ho accennato, sarebbe stato troppo sospetto se avessimo tutti finto di avere altri impegni proprio giovedì sera, e infatti eravamo arrivati a mercoledì che ancora non sapevamo che diavolo inventarci per condurlo alla festa senza farglielo capire. Eravamo tutti insieme –io, Joe, Joey, Estelle, Ramona, Mike e Tré- a Christie Road a grattarci la testa, senza riuscire a trovare una soluzione, quando Tré è saltato in piedi all’improvviso, rischiando di sfondare la Brandina della Perdita della Verginità, come l’ha chiamata lui, emettendo gioiosi gridolini soddisfatti.
“Ho un’idea fantastica! Sono un fottuto genio, cazzo!”
“Sarebbe?” Ha chiesto Mike, preoccupato.
“Sorpresa!”
Mi sono alzata e l’ho guardato dritto negli occhi.
“Frank Edwin Wright III, il tuo piano comprende per caso omicidi, falsificazioni di documenti o di denaro, furti, dirottamento di mezzi pubblici o altri reati che potrebbero condurci alla prigione?”
Tré Cool ha riflettuto per qualche minuto.
“Furti, furti, furti…” mormorava tra sé e sé. “Dunque. Potrebbe servirci… Mmm… Automobili…”
L’ho fulminato con lo sguardo, a braccia incrociate, chiedendomi che diavolo stesse macchinando quel cervello malato.
Alla fine il suo sguardo si è illuminato.
“Ho una buona notizia per te, Sal. Non sarà necessario rubare niente!”
“Altri reati?” ho chiesto, sospettosa.
“Zero.” Ha risposto con un sorriso “Sarà tutto pulito, Sal, non devi preoccuparti della prigione, anzi, sarà molto divertente”
L’ho guardato alzando un sopracciglio, e Tré ha fatto un ghigno, senza darmi altri indizi.
“Avrò bisogno del tuo aiuto, spilungone, e anche del tuo, Ad” ha detto poi rivolto a Mike e Adie, e i tre si sono allontanati confabulando.
Joey mi ha lanciato un’occhiata di sbieco e io mi sono stretta nelle spalle, ignorando, come sempre, il blocco alla gola che mi colpisce quando Joey mi guarda a quel modo. Sono un’idiota, perché devo lasciarmi prendere così da un qualunque cretino con i capelli tinti?
 
Il giorno dopo, cioè ieri sera, eravamo tutti a Berkeley, a casa di Billie Joe, fingendo di festeggiare il suo compleanno. Adrienne l’aveva convinto dell’importanza di un compleanno “intimo”, con solo gli amici più stretti e la famiglia. Mancavano solo Mike e Tré. A un certo punto il Blackberry di Billie Joe è squillato, ed è sembrato a tutti un presagio di imminente sfortuna.
“Tré!! Dove cazz… Cosa?!”
Sentivamo la voce agitata di Tré in sottofondo, ma parlava così veloce che non riuscivamo a distinguerne le parole.
“Parla più piano, Tré, che cazzo è successo?”
E’ sbiancato, e noi non sapevamo più se si trattasse della recita che dovevano mettere su i tre o se fosse davvero un’emergenza.
“A-arriviamo s-subito”
Una lacrima gli è rotolata sulla guancia destra.
“Mike. Ha avuto un altro attacco di panico che è sfociato in un infarto. E’ grave.”
Adrienne si è portata una mano alla bocca, le lacrime agli occhi, mentre io, Joe, e Joey ci scambiavamo degli sguardi spaventati.
“Dov’è adesso?”
“All’ospedale, a San Francisco”
“Andiamo.”
“Veniamo anche noi” ha detto Joey, deciso. Ho annuito.
Io intanto gridavo nella mia testa, fa che sia solo il diversivo di Tré, fa che sia solo il diversivo di Tré… Quella scena era troppo reale per essere finta.
“Guido io” ha detto Adie, con voce decisa. Billie Joe ha annuito, e si è seduto sul sedile anteriore, mentre io e gli altri prendevamo posto sui sedili posteriori. Era disperato, teneva la testa tra le mani, accecato dalle lacrime, e ogni tanto mormorava “cazzo… cazzo… cazzo…” come un automa.
Adie si è girata verso di noi, scuotendo la testa, e la sua espressione spaventata ci ha confermato che non era una farsa. Era tutto vero.
Io e Joe ci siamo scambiati uno sguardo atterrito. Mi ha abbracciata stretta, non piangevo, non piango mai, ma sentivo un groppo alla gola così diverso da quello che mi aveva procurato Joey il giorno prima, ma tra le braccia dal mio migliore amico mi sono sentita protetta e al sicuro come quando da piccola andavo a dormire nel letto di mio padre dopo aver fatto un incubo.
Joey teneva la testa appoggiata al finestrino, senza dire una parola, e ogni tanto si voltava di scatto verso di noi a guardarmi, avrei voluto stringergli la mano e fargli coraggio, ma non sapevo più se potevo farlo, dopo quello che era successo domenica scorsa.
Dopo mezz’ora circa, l’auto si è fermata. Noi tenevamo tutti gli occhi bassi mentre Billie Joe non aveva neanche la forza di tirarsi su e uscire. Adrienne è scesa, ha aperto la sua portiera e l’ha baciato, con forza, forse per infondergli coraggio. Aggrappandosi a quel bacio, anche Billie Joe è sceso dall’auto, tenendosi stretta a lei. Allora anche noi abbiamo alzato lo sguardo e poco ci mancava che scoppiassi a ridere per la felicità e il sollievo.
Era tutta una recita.
Ci trovavamo davanti alla casa in Ashby Street.
Adrienne doveva aver girato a vuoto per un sacco di tempo, approfittando della disperazione di Billie Joe.
Avevano voluto tenerci all’oscuro fino alla fine, per non rischiare di svelare il loro piano!
 
Ho abbracciato Joe ancora più forte, e li ho guardati in faccia, lui e Joey, e vedevo dipinta sul loro volto la stessa espressione che sentivo dover avere io: felicità mista a un enorme sollievo.
Abbiamo poi sentito Billie Joe esclamare “ma che cazzo ci facciamo qui, Adie?!?”, e una porta che si apriva e poi delle urla… Dovevano essere gli invitati.
Siamo scesi dalla macchina e siamo entrati nella vecchia villa vittoriana fatiscente.
Risate, facce, urla, poi altre risate, le parolacce di Billie Joe.
“Andatevene affanculo, brutti stronzi, sul serio! Andate a farvi fottere e che non vi rincontri mai più!” strepitava abbracciato a Mike e Tré, che ridevano come matti alle lacrime del loro frontman.
 
Poi, una volta calmatosi il festeggiato, la festa è potuta cominciare! Io e Joe non conoscevamo tre quarti degli invitati, anche se Billie Joe ce li ha presentati uno a uno, quasi tutti amici di vecchia data, gente del Gilman.
 
Quando mi ha presentato Tim Armstrong dei Rancid ho rischiato l’infarto.
 
Quando lo abbiamo portato nello scantinato, arredato come diciassette anni fa, non ha detto una parola, si è limitato ad abbracciarci stretti.
“Grazie” ha mormorato soltanto.
 
Adie e Ramona hanno portato la torta, bianca, con i colori del musical di American Idiot, a forma di dito medio, con la scritta Happy Fuckin Birthday Billie Joe!.
Fantastica cazzo!
Dopo esserci ingozzati di torta, io, Joe, Joey, Ramona ed Estelle (Jake, Frankito e Ruby Mae, i figli più piccoli dei tre, non c’erano a causa della presenza assai cospicua di alcool) ci siamo diretto all’angolo degli alcolici.
 
Fiumi e fiumi di birra, come previsto.
Il resto dei ricordi è annebbiato, almeno un certo lasso di tempo. Ricordo la musica rock a volume altissimo,  Joe che a un certo punto si mette a suonare la chitarra, Billie Joe ubriaco che canta una versione scatenata e decisamente pornografica di King for a Day, Tré che girovaga per la casa con indosso un tutù da ballerina trovato chissà dove.
E poi, a un certo punto, non so perché, sono entrata in uno stanzino buio, e ho trovato Joey, lì da solo, che trafficava con qualcosa che non ho notato subito.
“Scusa, esco” ho detto, e mi sono alzata barcollando, visto che praticamente non mi reggevo in piedi.
“No, rimani” mi ha fatto Joey, prendendomi per il polso e guardandomi intensamente.
L’ho guardato anch’io, indecisa per qualche istante. Poi mi sono arresa. 

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Capitolo 18
*** Brain Stew. ***


Forse, da qualche parte nei meandri del mio cervello, c’era una coscienza che mi strillava di allontanarmi immediatamente da quel posto, ma ero confusa, lo sguardo appannato, e tutto si muoveva più lentamente. Soprattutto il mio cervello.  
Mi sono lasciata a cadere di peso accanto a lui e, con qualche difficoltà, ho messo la testa tra le ginocchia respirando piano. Mi sentivo malissimo.

“Hey, tutto ok?” mi ha chiesto con aria preoccupata.
Ho alzato lentamente lo sguardo.
“Credo di aver bevuto un po’ troppo”, ho biascicato, continuando a sbagliare le parole e a confonderle. Joey ha ridacchiato.
“Ma va?”

Ho appoggiato la testa sulla sua spalla, senza pensarci, e ho chiuso gli occhi, il mio stomaco implorava pietà. Sempre ridacchiando, Joey mi ha accarezzato la testa. Poi si è concentrato sulla cosa a cui stava trafficando prima che io entrassi: una canna. Se l’è accesa e ha respirato a fondo il fumo grigio con aria beata.

“Vuoi un po’?” mi ha chiesto con un sorriso furbo.
“Aaaarghhh.” Uno strano verso che lui ha interpretato come un sì. Mi ha passato la canna. L’ho osservata per bene per almeno un minuto, lenta e curiosa insieme. Non ne avevo mai provata una, nonostante Joe me l’avesse offerto più di una volta, e in quel momento la mia coscienza si era dileguata, abbandonandomi a me stessa e ai miei istinti. Ho fatto un tiro.
“Mmm, buona” ho detto con voce strascicata. Il mondo attorno a me si è fatto ancora più confuso. Ho fatto altri due tiri, uno di seguito all’altro. I colori d’un tratto erano più intensi e brillanti, e la testa mi girava più di quanto avesse mai fatto. Ho ripassato lo spinello a Joey, che ne ha fumato un altro po’. La testa ha cominciato a ciondolargli, finchè non l’ha appoggiata sulla mia, ancora posata sulla sua spalla.
“Hey, perché c’è un pollo che ti danza sulla testa?” gli ho chiesto, facendo un altro tiro. Le forme che si allungavano e si deformavano a loro piacimento.
Joey ha ridacchiato.
“Ah… Un pollo… Un pollo… Un pollo…” Non smetteva più di ripeterlo, sembrava incantato.

Nel tentativo di girarmi per acchiappare quel maledetto pollo che starnazzava trapanandomi le orecchie, mi sono praticamente aggrappata a Joey, i nostri volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, ma non ci ho fatto caso, il mio cervello annebbiato era totalmente concentrato sul volatile che ballava come un pazzo sulla sua testa bionda. Ho tentato di prenderlo per il collo con entrambe le mani, ma queste si sono toccate afferrando solo l’aria, e ho perso per un attimo l’equilibrio, facendo cadere Joey all’indietro e crollando sopra di lui. Eravamo sdraiati sul pavimento, io sopra di lui, e lo guardavo negli occhi, stupita e alquanto confusa. Il pollo si era dileguato, ma il rumore non cessava, e la mia testa pulsava da morire, e strane macchie colorate incorporee vorticavano attorno al mio campo visivo. Ho ridacchiato godendomi quello spettacolo, e anche lui ha sorriso.
La testa mi faceva malissimo, così ho di nuovo chiuso gli occhi e l’ho abbandonata sul suo petto, senza farmi alcuna domanda, senza formulare alcun pensiero. Volevo solo che il dolore pulsante sparisse.
 
Quando ho riaperto gli occhi, non sapevo se erano passati due minuti oppure due giorni. Ero sdraiata sul pavimento freddo, e Joey era sdraiato in fronte a me, e non capivo se dormiva o teneva semplicemente gli occhi chiusi. Ho fatto in tempo a voltarmi di scatto che ho vomitato l’anima, sporcandomi tutta.

“Porca puttana” ho esclamato ad alta voce, tra un conato e l’altro.
Joey si è tirato su, spaventato e assonnato.
“Sal…? Ma che cazzo…?”
Una volta certa di aver finito mi sono pulita la bocca con la manica della felpa.
“Oh merda” ho commentato, contemplando il disastro che avevo combinato. Ci siamo alzati. Il dolore alla testa e allo stomaco erano spariti, stavo bene, ero lucida. Troppo. Ho cominciato a punirmi mentalmente per ciò che avevo combinato –mi ero appena drogata, e per di più chiusa in uno stanzino insieme a Joey-, ma poi altri pensieri mi hanno distratta.

Per quanto tempo ero sparita? Da fuori proveniva ancora il rumore della musica a tutto volume, perciò la festa non era ancora finita. Qualcuno si era accorto che io e Joey ci eravamo rinchiusi nello stanzino? Se sì, che cosa avrebbero pensato? E, soprattutto avrebbero avuto ragione? Avevo fatto qualcosa che non ricordavo? Che diavolo avevamo fatto, io e Joey, una volta chiusi gli occhi? Possibile che avessimo semplicemente dormito?

La sua voce ha interrotto i miei pensieri contorti.
“Mi sa che qui dobbiamo pulire”
“Già” ho convenuto, aggrottando le sopracciglia. “Beh, tu non sei obbligato, è una cosa che ho combinato da sola, quindi puoi tornare alla festa.”
“In parte è colpa mia” ha ghignato “Se non ti avessi offerto quella canna, forse non avresti vomitato… Anche se eri bella ubriaca, devo ammetterlo”
Ho fatto una smorfia.
“Che ore sono?”
“L’una e un quarto, circa”
“Beh, relativamente presto… Puoi andare a cercare qualcosa per pulire? Non ho intenzione di uscire di qui con addosso questa felpa” ho detto, indicando l’enorme chiazza di vomito sui miei indumenti.
“Vado”

L’ho aspettato qualche minuto, pensando intensamente a cosa fare. Dovevo stargli alla larga, ma stargli vicina mi viene così… dannatamente naturale.
Che dannato casino.
Da una parte il mio smisurato orgoglio, il mio voler essere libera, dall’altra la continua voglia di essere sempre accanto a lui, di ridere con lui, di cantare, suonare, ubriacarmi con lui…

E’ rientrato poco dopo, interrompendo i miei pensieri. Aveva in mano quattro o cinque stracci per pulire. L’ho guardato aggrottando le sopracciglia.
“Non sono proprio riuscito a trovare un mocio” si è giustificato, alzando le braccia. Ho emesso uno strano verso, a metà tra uno sbuffo e una risata, e ho cominciato a darmi da fare per pulire quella schifezza. Alla fine, dieci minuti dopo, avevamo rimosso tutto il vomito, o almeno la maggior parte. Ho sbuffato, abbassando lo sguardo sulla mia bellissima felpa dei Ramones, ormai irrimediabilmente rovinata.
“E ora che cazzo faccio?”
“Io comincerei col toglierla…”
“Certo, e rimango in reggiseno” ho sbuffato.
“Come, non hai niente sotto?”
“No!”
Con uno sguardo esasperato nella mia direzione, si è sfilato la sua e me l’ha lanciata. Sotto indossava una maglietta rossa.
“Prendi questa, intanto” mi ha detto “Ma non azzardarti a credere che te la stia regalando”
“Tranquillo” ho risposto. “Solo per questa sera…”
E’ rimasto lì a fissarmi a braccia incrociate per mezzo minuto, finchè non ha capito:
“Ah, scusa! Devo uscire?”
“Sarebbe carino da parte tua” Ho ribattuto acidamente.
Ha scosso la testa ridacchiando, ed è uscito dallo stanzino, lasciandomi sola. Mi sono sfilata la mia felpa, che puzzava in modo indicibile, e l’ho gettata in un angolo, e mi sono messa quella nera di Joey. Mi andava enorme, ma sono abituata agli indumenti extra large. Mia madre ha sempre avuto l’abitudine di comprarmeli così , fin da quando ero piccola, perché potessi crescerci dentro, dimodochè poi non ci saremmo trovati pochi mesi dopo con un altro capo di abbigliamento da comprare.
Comunque. Ho infilato la felpa di Joey e, senza che lo volessi, il suo odore mi ha avvolto. Dio.
“Sarà più difficile del previsto” ho mormorato tra me e me. Certo, sarà difficile, ma io sono forte, e so tenere a bada i miei stupidi ormoni. Me l’ero promesso.
 
Una volta uscita di lì, la mia felpa prudentemente tenuta con due dita per il cappuccio, ho trovato Joey lì fuori ad aspettarmi, le braccia incrociate e un sorrisetto sul volto.
“Ce ne hai messo di tempo!”
“Solo lo stretto necessario per riuscire a capire da che parte si infila la felpa di un elefante” ho ribattuto piccata, arrotolandomi le maniche. Lui ha riso.
A quel punto abbiamo trovato Joe, gli occhi verdi sbarrati e cinque o sei cappellini uno sopra l’altro sulla sua testa.
“Dove eravate finiti voi due?! Vi cerco da un’ora!”
Mi ha lanciato un’occhiata dubbiosa. Era sbronzo, certo, ma non abbastanza da non rendersi conto che eravamo spariti un’ora intera, e che io portavo la felpa di Joey.
“Ti spiego più tardi” ho borbottato “Aiutami a trovare un sacchetto dove mettere la mia felpa.”
“D’accordo” ha replicato, lanciando un’occhiata di fuoco a Joey. A volte è geloso quasi quanto un fratello maggiore. Ho sorriso tra me.
“Stai bene con quei…” li ho contati “Sei cappelli in testa”ho detto con un sorriso.
“Certo, Sal” ha bofonchiato lui, lanciandomi un’occhiata di traverso.
 
Anche stanotte sono rimasta a dormire dagli Armstrong, ma stavolta sul divano di casa. Ovviamente stamattina non sono andata a scuola. Sto saltando un po’ troppi giorni ultimamente. Beh, ultimamente è tutto diverso.
I Green Day mi stanno incasinando la vita, ma non credo che sia una cosa negativa.


Sallie

 

 

  

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Capitolo 19
*** Warning. ***


25/02/11

Eccomi di nuovo dopo quasi una settimana. Non si può dire che la mia nuova vita sia monotona, ma non c’erano novità abbastanza importanti per cui potessi scriverti fino a oggi, a parte che continuo a prendere lezioni private da Joey e ogni volta, da quella domenica 13 febbraio e dopo quello che è successo al compleanno di Billie Joe, sono così imbarazzata da riuscire a malapena a concentrarmi sui movimenti. Non mi sembra di migliorare per niente, anzi, credo di stare peggiorando di lezione in lezione.
 
Non riesco a stare sola con Joey, sono un’idiota, lo so. Questa… Questa cosa mi sta impedendo di realizzare il mio sogno di suonare la batteria, e dovevo fermarla, in qualche modo.
 
Così, ieri, a Christie Road, Joe si è presentato con la sua idea di “soluzione”.
 
“Ciao, Sal, lui è il mio amico Matt” mi ha detto con un sorriso da un orecchio all’altro, indicando un tizio accanto a lui, un ragazzetto insignificante. “Matt, lei è Sallie”
 
Questo ragazzo, capelli castani e gli occhi nocciola (chiari,
così diversi da quelli scuri di Joey, ok, devo smetterla di fare paragoni!), mi si è avvicinato, troppo, sorridendo.“Piacere, Sallie…”
Ho lanciato un’occhiataccia a Joe e lui mi ha rifilato uno sguardo innocente. Ho sospirato.
“Ciao, Matt”
 
Dopodiché, senza alcuno scrupolo, ho preso Joe per mano e l’ho trascinato lontano, lasciando Matt lì da solo come un idiota.
“Che diavolo hai in mente?!” ho sibilato.
“Te l’avevo detto che ti avrei trovato una distrazione” mi ha sussurrato il mio migliore amico, con l’aria più soddisfatta del mondo. “Creo che lui ti vada dietro, visto che, nonostante ci conosciamo solo di vista non fa altro che chiedermi di te, quindi…”
“Quindi cosa?! Credi che per distrarmi da una cosa del genere basti un Matt qualunque? Qui non c’è bisogno di una semplice distrazione, Joe, io necessito di una terapia d’urto.”
Joe ha ridacchiato.
“Appunto. Chiodo scaccia chiodo.”
“Joe, ti giuro che se non sparisce entro trenta secondi io…”
“E dai, Sal, dagli almeno una possibilità” ha sbuffato Joe.
Gli ho lanciato un’occhiata feroce. Non avrebbe funzionato, lo sapevo.
 
Continuavo a paragonare Matt a Joey e la cosa non mi piaceva per niente. Dopo un po' mi sono stancata di quella buffonata e l’ho praticamente cacciato via.
 
Oggi ho preso il primo autobus per Berkeley e sono corsa dritta a casa di Tré, l’unico che in quel momento poteva darmi il consiglio giusto. Sapevo già che Mike mi avrebbe consigliato di seguire il cuore e non ho intenzione di dire a Billie Joe di essermi, diciamo... interessata a suo figlio, così Tré era la persona giusta. Sapevo che lui non avrebbe fatto tante storie.
 
La casa di Tré è incredibile.
E’ una villa enorme appena fuori Berkeley, con tanto di piscina dotata di trampolini, e, come quella di Billie Joe, è piena di oggetti, ma diversi da quelli che si possono trovare in casa Armstrong: una confusione incredibile di poster, bacchette per batterie, giocattoli, l’albero di Natale ancora addobbato in un angolo, vestiti, trofei, cd e vinili, orologi rotti, fumetti e altro ancora.
 
Quando ho suonato al citofono è partita una musichetta che ho riconosciuto come una versione Trécooliana di Blue Suede Shoes. Poi il mastodontico cancello si è aperto e sono entrata nel parco guardandomi intorno stupita.
Tré mi è venuto incontro saltellando. Indossava un paio di pantaloni arancioni a pois bianchi da pagliaccio e una giacca elegante nera con tanto di cravatta. Ai piedi, le solite All Star rosse.
 
“Hey, Sal! Se cerchi Ramona mi spiace, ma è uscita” ha gracchiato.
“Veramente volevo vedere te” ho risposto con un sorriso.
“Entra, allora” mi ha condotta all’interno della villa, in cucina. Lì ha aperto un mastodontico frigorifero (lì dentro è tutto di dimensioni esagerate) pieno di roba, da far invidia a un supermercato. In tutta la mia vita non avevo mai visto tanto cibo tutto insieme. “Posso offrirti qualcosa?”
Ho indicato il bicchiere che aveva in mano.
“Cosa stai bevendo?”
“Ah, questa è la mia bibita speciale, dalla mia ricetta segretissima! Te ne faccio subito un bicchiere!”
E ha cominciato a prendere dal frigo qualunque cosa e ficcarlo in un grosso frullatore. Mentre correva da una mensola all’altra, ha cominciato a parlare:
“Allora, Sal, di cosa hai bisogno?”
“Ho un piccolo problema”
“Dimmi, io sono nato per risolvere i piccoli problemi!”
“Riguarda Joey” Non sapevo come continuare e lui mi ha fatto un cenno come per dire vai avanti.
“Ultimamente, quando sono con lui sento delle cose che… Che non dovrei provare. Io vorrei che lui per me fosse solo un amico, niente di più, ma mi succedono delle cose quando sono sola con lui, e vorrei impedire che succedessero, ma non riesco a farlo, e allora tutto il mio autocontrollo rischia di crollare ed è una cosa che non voglio assolutamente, mi capisci? Solo che non so come fare a togliermelo dalla testa.”
Tré si è voltato verso di me.
“E perché vorresti togliertelo dalla testa?”
“Tré, io non voglio innamorarmi, è la cosa peggiore che mi possa capitare, l’amore rende deboli e stupidi, e non voglio che mi succeda. In più se ci mettessimo insieme poi ovviamente dopo un po’ finiremo per lasciarci,e ciò incasinerebbe tutto, la nostra amicizia e la sua con Joe, eccetera.”
 
Si è seduto di fronte a me con aria assorta e mi ha porto il beverone.
“Assaggia, assaggia, è buono” mi ha detto incoraggiante, e solo in quel momento mi è venuto in mente l’avvertimento che mi aveva fatto Billie Joe qualche settimana prima: Qualunque cosa succeda, non assaggiare maiqualcosa proveniente da casa Wright. Mai.
Ho deglutito e ho bevuto un sorso, che ho sputato sul tavolo un secondo dopo:
“Ma che schifo Tré!!! Che diavolo c’è qui dentro?!”
“Pomodori, cetriolini, formaggio, pesche, banane, carne macinata, cioccolato bianco, omogeneizzato, una fetta di cocomero e peperoncini sott’olio, tutto frullato” ha elencato contando sulle dita.
Ho trattenuto un conato.
“Comunque, torniamo al tuo problema… La tecnica del chiodo scaccia chiodo l’hai già provata?”
“Lasciamo perdere”
“Mmm, vediamo… Sai qual è la tecnica migliore per non farsi più piacere qualcuno? Tu sei come me. Non fare quella faccia, lo sai. Cioè, magari tu sei un pochino più razionale, diciamo, e magari un pelo meno folle, ma tu come me cerchi la novità, e poi sei sempre colpita dalle cose straordinarie, che ti sembrano più grandi di te. Quindi la soluzione è ovvia.”
“Cioè?”
“Devi far apparire Joey ai tuoi occhi come qualcosa di piccolo, noioso e terribilmente ordinario. In pratica, insignificante.”
“E come posso fare?”
 
Ha sorriso. Un sorriso inquietante.
“Tu domani vieni con me.”
 
Ok, ho paura, ma Tré sa il fatto suo. Vedremo cosa succederà domani.
 

                                                                                                                        Sallie
 


Eccomi di ritorno!!! Qui Sallie è nel pieno della sua lotta interiore in cui non sa se dare ascolto al cervello e al suo smisuratissimo orgoglio o alle sue nuove sensazioni, e Tré ha un piano per farla rinsavire. Il piano si compirà nel prossimo capitolo, quindi, se volete sapere cosa ha escogitato la folle mente di Tré Cool, continuate a leggere! :) Mille mila grazie a tutti voi che seguite e avete recensito, siete gentilissimi:D Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 20
*** No one ever said that life was fair now. ***


27 Febbraio 2011

 
Oddio. Sono incazzata nera, per dirla con un eufemismo. Vorrei distruggere tutto, e non tornare più a casa.
Ecco cos’è successo.
Ti ricordi dello strano “piano” di Tré di cui ti avevo parlato? Quello per togliermi Joey dalla testa?
 
Ieri sono andata a casa Wright per scoprire di cosa si trattava. Mi ha accolto Ramona, con un sorriso enorme. Ho esitato un istante. Certo, Ramona mi sta piuttosto simpatica, ed è anche molto intelligente e sono sicura che è anche comprensiva, ma non volevo che sapesse così presto del mio… Problema. Ma per fortuna lei ha detto:
“Non ho idea di cosa stia tramando mio padre, ma mi ha detto che devo farti una specie di restyling. Devo fidarmi?”
Ho aggrottato le sopracciglia, più confusa che mai.
Restyling? Che diavolo significa?”
“Oh, beh, credo semplicemente che voglia che io ti tinga e ti tagli i capelli e poi che andiamo a comprarci qualche vestito nuovo” ha fatto lei stringendosi nelle spalle. “Mi ha dato questa” ha aggiunto poi mostrando una lucida carta di credito dorata nuova fiammante.
“Ma che… Che…”
Non capivo cosa centrasse tutta quella storia con il piano di Tré. Poi ho sentito la sua voce provenire da chissà quale stanza:
“Tranquilla, Sallie! Questa è solo la prima fase!”
Mi sono passata una mano nei capelli, ancora più preoccupata di prima. Non capivo che diavolo avesse in mente quello psicopatico.
Ramona mi ha guardata più confusa che mai.
“Prima fase?” mi ha chiesto, incuriosita. Era evidente che suo padre non le aveva raccontato niente. Ho mentalmente ringraziato Tré.
“Lascia perdere”
“Ok. Andiamo?”
“Ehm… Va bene.”
 
L’ho seguita per le innumerevoli scale e corridoi, finchè non siamo entrate in un bagno enorme, il pavimento di marmo verde, le pareti azzurre, una vasca che più che altro sembrava una piccola piscina e uno specchio per elefanti. Ramona mi ha fatto accomodare davanti a quest’ultimo.
“Allora, che capelli vuoi?”
“In che senso, che capelli voglio?”
“Qui abbiamo tinte di tutti i tipi. Le usiamo sia io che papà. Ti consiglio di approfittarne…”
 
 
Dopo due ore piene di risate, confidenze, e sudore (da parte di Ramona), ho guardato allo specchio i miei nuovi capelli… Azzurri, viola sulle punte, alcuni ciuffi sul verde. Ramona è una vera artista.
“Wow, Ram…”
“Lo so. Lo so. Sei fantastica.”
“Tu lo sei! Hai mai pensato di farti pagare?”
“Questa è una proposta più che sensata. Avanti, sgancia” scherzò. “Beh, direi che, visto il risultato, ne è valsa la pena, nonostante tutta la fatica. Non stavi ferma un attimo.”
“Non sono in grado di stare ferma più di dieci minuti…”
“Ho visto! Vuoi che ti faccia un piercing?”
“Sei capace di farne?”
“Certo. Questo” e ha indicato l’anello che aveva al naso “me lo sono fatto in casa. E ho fatto anche tutti quelli di Estelle.”
“Uhm… D’accordo.”
Ha preso un ago di dimensioni preoccupanti e un asciugamano che non presagivano nulla di buono.
“Ora cerca di stare ferma…”
Mi ha ficcato l’ago appena sotto il labbro, dove sapeva che lo volevo.
“AAAAAAAAAAH!!!!!!”
“Ferma!”
Mi ha tamponato il labbro con l’asciugamano e mi ha dato un anellino da infilare nel mio nuovo buco. “Il dolore passerà nel giro di qualche ora”
“Mi hai bucato il labbro!”
“Certo, è quello che mi hai chiesto di fare! Ora andiamo, c’è un posto che ti farà impazzire!”
 
 
Abbiamo preso due bici dal garage e siamo corse in Parker Street.
“Ecco, questo è il posto più figo del mondo” ha detto Ramona, con un sorriso enorme.
“Un vecchio 7-11?” ho domandato, guardando scettica il supermercato dall’insegna scolorita che cadeva a pezzi.
“No, non il 7-11! Vieni” Mi ha presa per un braccio e mi ha trascinata sul retro del supermercato, un parcheggio desolato pieno di mozziconi di sigarette e bottiglie di birra rotte. “Guarda” ha detto, e mi ha indicato una piccola bottega lì di fronte, dall’aria ancora più abbandonata del supermercato. L’insegna neanche si leggeva, e la vetrina sporca era tenuta insieme dal nastro isolante. Ramona mi ha fatto un sorriso incoraggiante.
 
“Dai, entriamo!” ha spinto la porta, che sembrava piuttosto pesante, e… Beh, mi è sembrato di essere catapultata in un altro mondo: più o meno la stessa sensazione che ho avuto quando sono finita per la prima volta a Christie Road.
 
L’interno era piccolo e soffocante, l’aria puzzava di tabacco e alcool. La bottega consisteva in una stanza minuscola, ma piena di roba. Le pareti scolorite erano coperte di poster, e appese c’erano anche cinture, collane e braccialetti borchiati e altri accessori del genere. Vicino all’ingresso c’era un cestino pieno di magliette e pantaloni gettati alla rinfusa. Di fronte a noi, una vecchia punk con i capelli bianchi lunghi fino alla schiena e una maglietta sgualcita dei Rancid stava dietro al bancone.
 
“Ciao, Annie” ha detto Ramona “Questa è Sallie, una mia amica”
La vecchia mi ha fatto un sorriso allo stesso tempo avvizzito e pieno di energia.
“Bei capelli!”
“Grazie, anche i suoi” ho risposto, sorridendo anch’io.
“Ti dispiace se diamo un’occhiata?”
“Fate pure con comodo” ha detto Annie appoggiandosi al bancone, e ha cominciato a fissarmi con i suoi penetranti occhi azzurri. Mi sono voltate di schiena e ho cominciato a frugare nel cestello con Ramona. Non mi piace essere guardata in quel modo.
 
Era pieno di roba fighissima. Non solo magliette di band o cose del genere, ma c’era di tutto, nello stile che piace a me. Abbiamo comprato un sacco di roba: magliette, vecchi jeans usati pieni di strappi, minigonne nere o scozzesi con le toppe, un chiodo per me e uno per lei, una cintura borchiata per me, una collana col simbolo della pace per lei. A un certo punto mi ha tirato addosso un corpetto nero lucido e scollatissimo con un teschio sul davanti.
“Su, provatelo!”
“Cosa? Non ci penso nemmeno!”
“Eddai, cosa ti costa? Ti starà benissimo!”
“Stai scherzando?”
“Provatelo, non ti costa niente!”
“Per cosa, poi? Non ho intenzione di andare in giro vestita come una battona…”
“Sallie Jane Sander, non avrai mica paura?”
L’ho fissata con gli occhi ridotti a fessura e le ho strappato di mano il corpetto. Lo so che sono delle sfide stupide, ma con me funzionano sempre, e Ramona ormai lo sa.
L’ho provato in un angolo, e ovviamente Ramona appena mi ha vista ha cominciato a supplicarmi di comprarlo. Alla fine mi ha convinto, dopotutto non mi stava male. Però… Cioè, mi piace questo genere di vestiti. Ma non riesco a immaginarli addosso a me. Quando l’ho detto a Ramona, lei ha alzato gli occhi al cielo:
“Sarebbe ora che ti vestissi un pelo più femminile, Sal.” L’ho guardata male.
Avremo comprato più roba di quanto quella vecchia ne abbia mai venduta in tutta la sua vita. Era sbalordita. Alla fine, però, sono stata contenta di uscire. Non sopportavo più quegli occhi che mi fissavano.
 
“Ma che aveva quella tizia?” ho chiesto a Ramona, mentre eravamo in precario equilibrio sulle nostre bici. I nostri sacchetti pieni ci facevano traballare non poco.
“Tu non ci crederai, ma da giovane era una psicologa” mi ha gridato Ramona da sopra la sua spalla, parecchi metri più avanti. “Fa sempre così quando incontra qualcuno che le sembra interessante da analizzare…”
“Vuoi dire che scateno le voglie degli psicologi in pensione? Stai dicendo che è evidente che sono pazza?”
“Direi di sì, che è abbastanza evidente.” Ha ridacchiato.
“Ah, fantastico. Beh, magari potrei davvero farmi analizzare... Potrei averne bisogno…”
 
Arrivate a casa, Tré ci aspettava in cucina, sorseggiando la sua personalissima –bleah!- bevanda energetica. E aveva anche un’aria piuttosto soddisfatta.
“Hey, Sal, sei uno schianto!”
“Grazie, Tré” ho risposto sorridendo.
“Com’è andata la fase 1?”
“Bene, anche se non ho capito cosa c’entra tutto questo con…” ho mimato il nome di Joey con le labbra. Anche se Ramona era momentaneamente in bagn0, non mi andava comunque pronunciare il suo nome ad alta voce.
“Lo so. Aspetta la fase 2, che avverrà, diciamo… Domani sera, al Gilman!”
“Tré, questo piano per caso implica anche una fase 3?”
“Certamente.”
Ho rinunciato a chiedergli di cosa si trattasse. Con Tré bisogna fare quello che ti si dice senza fare domande, prendere o lasciare. Bisogna lasciarsi guidare dalla sua follia.
 
Sono tornata a casa la sera con i jeans “nuovi”, la mia solita maglietta dei NOFX e il mio chiodo, tutti gli altri vestiti nuovi ficcati in una borsa enorme che mi aveva prestato Ramona. Appena entrata, ho sentito un urlo. Mia madre.
 
“Sallie!!! Che diavolo hai combinato ai capelli? E che cazzo hai in faccia?!” Teneva Johnny in braccio e con l’altra mano fumava una sigaretta, che ha spento sul tavolo mancando il posacenere di parecchi centimetri.
“Un piercing. Un normalissimo piercing. Come quelli che ti sei fatta tu, di nascosto dal nonno, alla mia età.”
“E guarda, adesso, mi è rimasta ancora la cicatrice! Non riesci a pensare che ti farà infezione? Chi te l’ha fatto? Chi ti ha conciato i capelli in quel modo? E con quali soldi hai pagato tutta quella roba?” ha indicato la borsa con una mano che tremava.
“E’ un regalo!” ho sbottato. “Di Tré. E i capelli e l’orecchino sono opera di sua figlia Ramona, che è mia amica.”
“Questo Tré. Questi Green Day.” Ha detto mia madre con un respiro profondo. “Quanti anni hanno?”
“Trentanove.”
“E perché dei trentanovenni dovrebbero frequentare una sedicenne?”
Oh, no. Lo pensava davvero?
“Mamma, non posso credere a quello che stai dicendo! Ti rendi conto di che cazzo stai sparando?!”
“Signorina, non usare quel tono con me…”
“E perché non dovrei?” ho gridato. “Chi ti da il diritto di venire da me a giudicare le uniche persone che in questo momento mi stann0 aiutando?”
Johnny è scoppiato a piangere.
“Ah, sarebbero le uniche persone che ti aiutano? E chi è che ti da’ da mangiare, forse i tuoi preziosi Green Day?!”
“Che cazzo di discorso è?”
“Oggi è arrivata una telefonata dal preside.”
Merda.
“Dillo subito che è per la scuola, allora, e lascia fuori il resto!”
“Pessimi voti in tutte le materie. Troppe assenze. Di cui io non sapevo niente! Che diavolo ti sta succedendo? Da quando marini la scuola?”
“Credi che mi farò dare lezioni di come ci si comporta a scuola da una che non ha nemmeno il diploma?”
“Smettila di rivolgerti così a me! E’ colpa di quel Joe, quel cretino che se ne va in giro con i capelli tinti che ti sta traviando! Sai cosa fa sua madre, di lavoro?”
Certo che lo sapevo. Joe mi aveva raccontato di tutte quelle volte che si era trovato uomini sconosciuti in casa, di tutte quelle sere in cui aveva visto sua madre uscire vestita in quel modo, e non l’aveva rivista fino al mattino seguente. Ho cominciato a gridare sul serio.
“Non provare a nominare Joe, tu non sai niente, niente di niente, quindi smettila di sputare sentenze senza sapere di cosa stai parlando!”
“Quindi non è vero che è un drogato, che è stato espulso da tre scuole, che sua madre è una puttana e che lui va in giro a ubriacarsi con dei soggetti pessimi quanto lui?”
Era tutto vero, dalla prima all’ultima parola.
“No, non è vero! Sei tu che devi andare in giro a spettegolare con quelle altre deficienti delle tue amiche perché siete tutte delle patetiche casalinghe frustrate, e fate PENA!!!”
Mi ha mollato uno schiaffo. Johnny continuava a piangere. L’ho guardata schifata.
“Complimenti. Continua così, e vedrai come finirà bene la tua famiglia… Distruggerai anche questa, proprio come avete fatto tu e papà dieci anni fa.”
 
Sono corsa in camera mia, ho afferrato te, ti ho ficcato nella borsa di Ramona, e sono uscita di nuovo, sbattendomi la porta alle spalle. E sono corsa a Christie Road. Tempo di buttarmi sulla mia solita poltrona, e sono scoppiata a piangere. Mi mancava papà. Mi manca papà. Volevo solo tornare bambina e stringermi a lui, tornare ai tempi in cui lui ancora non beveva una bottiglia al giorno e i miei stavano ancora insieme, ed eravamo felici. Ma quei giorni sono così lontani che sto cominciando a dimenticarli.
 
Stanotte ho dormito a Christie Road. Era l’unico rifugio, l’unico luogo dove mi sentissi a casa.
Christie Road, it’s home.  


Sallie
 

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Capitolo 21
*** Know Your Enemy. ***


27 Febbraio 2011, sera

 
Credo di aver combinato un casino, tanto per cambiare. Ma ti racconterò tutto dall’inizio.
 
Dopo aver passato la notte a Christie Road gelando tra tutti quei dannati spifferi e dopo aver ignorato le 46 chiamate da parte di mia madre, ho cominciato a sentirmi sempre più da schifo per come mi ero comportata. La rabbia era momentaneamente svanita, e cominciava a farsi spazio il senso di colpa, sentivo una specie di morsa allo stomaco. Tutto sommato era normale che mia madre, dopo aver sentito tutte quelle voce su Joe senza conoscerlo di persona, fosse preoccupata per me. Dopotutto era mia madre.
Alla fine, mi sono decisa a tornare a casa per l’ora di pranzo. Non volevo farla preoccupare troppo e poi avevo fame. Sono entrata con le mie chiavi, senza suonare il campanello, mentre mia madre cucinava le uova. La sentivo tirare su col naso.
“Mamma” ho detto, facendo il mio ingresso in cucina. “Sono a casa.”
Si è voltata e mi ha guardata per un istante con gli occhi gonfi e rossi. Poi, con uno scatto, ha preso la prima cosa che le è capitata sotto mano –un posacenere di ceramica rubato all’Hotel dove mamma e papà avevano fatto il loro “viaggio di nozze”, a Berkeley-  e me l’ha lanciato addosso. Ho fatto appena in tempo ad abbassarmi e quello si è schiantato contro la parete dietro di me.
 
“Che cazzo ti prende, eh?!” ho ruggito. Senso di colpa e disponibilità a far pace spariti.
“Si può sapere dov’eri finita?! Ti ho chiamato tutta la notte, Steve è andato a cercarti ovunque per Rodeo e tu eri scomparsa! Ti rendi conto di che spavento mi hai fatto prendere? Potevano averti uccisa, o rapita, o peggio! Ma tu sei troppo egoista per preoccuparti della tua famiglia!!!”
“Beh, sono viva invece!! E se non ci hai fatto caso, hai rischiato di ammazzarmi tu con quel coso!!”
“Rispondi alla mia domanda! Dove sei stata tutta la notte?!”
Mi sono morsa le labbra.
“Questi sono affari miei”
“Si da il caso che io sia tua madre, e tutto ciò che ti riguarda, riguarda anche me!”
“E questa frase da dove l’hai tirata fuori, dall’Oprah Winfrey Show?”
“Sallie Jane Sander, ora mi dici immediatamente dove sei stata tutta la notte, o te ne pentirai.” Ha fatto lei, con una calma inquietante, prendendo un grosso respiro. Ho sospirato.
“A casa di Laurie” ho mentito disinvolta addentando una mela. Non mi andava di spiegarle tutta la faccenda di Christie Road e poi a lei non sarebbe andato giù.
 “A casa di Laurie. Benissimo. Adesso chiamerò sua madre per sapere se è la verità.”
“Fa’ quello che ti pare.” Le ho risposto, stringendomi nelle spalle. Nella mia mente non si era formato un vero e proprio piano, e certamente mia madre si sarebbe infuriata quando avrebbe scoperto che le avevo detto una balla… Ma io non avevo certo intenzione di rimanere sotto tiro fino a quel momento. Mi sono alzata di nuovo, dirigendomi verso la porta.
“Dove stai andando?!”
“Esco”
“E dove vai?”
“Fuori” ho risposto, sbattendomi la porta alle spalle.
 
 
Perfetto. Via da quella casa di pazzi. Sono passata a casa di Joe e insieme siamo andati a prendere l’autobus per Berkeley: il Gilman ci aspettava. Strada facendo, ho raccontato a Joey di Tré e del suo incomprensibile “piano”. Neanche Joe ci capiva niente.
“Tré Cool ha una logica contorta” ha detto saggiamente. “Non ti resta che seguirla senza fare domande.”
 
Arrivati al Gilman, Tré, Ramona, Billie Joe, Joey, Mike, Estelle e Max ci aspettavano fuori. Ovviamente, ci sono state le solite frecciatine di Joey sul mio nuovo colore di capelli.
“Sal, che palle! Adesso dovrò inventarmi un nuovo soprannome!”
“Mi dispiace, spero che il tuo cervello possa riuscire a fare del lavoro extra, TestaGialla!”
 
Prima che potessimo continuare il nostro scambio di battutine acide, Tré mi ha presa un attimo in disparte.
“Quando hanno scoperto dove stavo andando hanno voluto venire ad ogni costo… Ehm…” Mi ha detto accennando con la testa agli altri.
“Non c’è problema, piuttosto, mi spiegheresti cosa diavolo hai in mente?”
“Ok, allora, ti spiego a cosa ho pensato! Bene: innanzitutto, modificando qualcosa del tuo aspetto fisico” ha indicato col mento i miei capelli e i miei vestiti nuovi “Ho in qualche modo aumentato la tua fiducia in te stessa. So che ne avevi già a non finire, ma la fase 1 si collega alla fase 2, che avrà luogo stasera: vedrai un sacco di band fantastiche. Ciò che ho in mente, è di cancellare ciò di Joey che più ti affascina: una di queste cose è sicuramente il fatto che suona in una band, ma conoscendo i vari membri di queste band, capirai che Joey in confronto non è niente! In più, la fase 2 a sua volta si collegherà con la fase 3, che sarà un’altra sorpresa!”
L’ho guardato con gli occhi e la bocca spalancati. Non avevo capito una sola parola. Aveva ragione Joe, dovevo attenermi al piano senza fare domande e pregare che funzionasse, o mi si sarebbe fuso il cervello. Ho annuito lentamente, e siamo tornati al gruppo.
 
“Cosa avete in mente, voi due?” Ci ha chiesto Billie Joe guardandoci sospettoso. Intanto, Max, Joe e Joey parlavano di quanto i Dead, dopo la morte di Jerry Garcia, non potessero più essere gli stessi, Estelle litigava con suo padre a proposito di un nuovo piercing all’ombelico, e Ramona chiacchierava con un punk dai capelli blu che non avevo mai visto.
 
Ho fatto a Billie quello che speravo fosse un sorriso innocente prima che Ramona mi tirasse via, rischiando di strapparmi il braccio.
“Sallie, lui è Jack, suonerà stasera.”
Lui ha sorriso.
“Suono la chitarra e canto nei Decent Criminal… Se volete venire a qualche altro nostro concerto, suoneremo anche a San Francisco, il 9 di marzo…”
“Beh, vediamo come suonerete stasera, poi potremmo pensarci” ho risposto con un sorrisetto.
“Non vi deluderemo, stanne certa!”
 
“Ancora a farsi pubblicità, Kelly?” La voce di Joey ci ha fatto voltare; il biondo batterista guardava verso di noi con un’espressione sarcastica e le braccia incrociate. Anche Max si è voltato e ha fatto un sorrisetto.
“E tu sei ancora qui, Armstrong? Non vi hanno ancora buttati fuori? Ah, scusa. Dimenticavo che è paparino che paga per farvi avere quei due concertini all’anno.”
Io e Ramona guardavamo sbalordite Jack e Joey scambiarsi sguardi truci .
“Che diavolo…” ho mormorato, ma Ramona, vedendo l’espressione torva di Joey, mi ha spinto dentro il locale. “Non intromettiamoci nelle loro bambinate, per favore…”
“Sapevi che, a quanto pare, quei due si detestano?”
Ramona ha scosso la testa. “No, non lo sapevo. Joey mi aveva accennato qualcosa a proposito di una band rivale, ma non mi aveva detto quale fosse. Sarà un bel casino adesso assistere a un loro concerto, con Joey e Max”
 
Intanto il Gilman cominciava a riempirsi di gente e dopo qualche minuto la prima band ha preso a sistemare i propri strumenti sul palco. Tra loro c’era Jack, che accordava la chitarra. L’ho salutato con un sorriso e un cenno della mano. Ramona mi ha guardato con due occhi grandi così.
“Hai intenzione di essere comunque sua amica, nonostante la rivalità con gli Emily’s Army?”
Mi sono stretta nelle spalle. “L’hai detto tu, i loro affari non ci riguardano.”
 
E’ stata una serata fantastica. Io, Joe, Ramona ed Estelle abbiamo pogato tutto il tempo in mezzo a tutti quei punk sudati ed esaltati. I Decent Criminal erano piuttosto bravi, anche se, devo ammettere, non quanto gli Emily’s Army. Ma, come gli Emily’s Army, quella band, quelle canzoni, ti trasmettevano un senso di libertà incredibile, una grande voglia di vivere e di ridere di tutto. I piccoli problemi –i litigi con mia madre, il mio strano rapporto con Joey, le mie preoccupazioni per Joe– si perdevano e sembravano sparire in tutto quel rumore, in quel mare di accordi e sudore e corpi che saltavano e si lanciavano l’uno sull’altro, senza una logica, senza alcuna razionalità, senza pensarci troppo. Ti lasciavi andare, era come una sbronza senz’alcool, ti buttavi e basta. Una cosa che non sono mai riuscita a fare nella vita, con nessuno, e che lì, in quel micro mondo creato dal Gilman, mi riusciva benissimo. Gridare fino a sgolarsi, saltare in mezzo a dei perfetti sconosciuti, ridere senza alcun motivo, alzare le braccia al cielo: cose che avrei potuto fare solo al 924 di Gilman Street.
Avevo finto di non accorgermi che Joey e Max, scoperto chi suonava, non erano neanche entrati.
 
Finito di suonare i Decent Criminal, io, Joe e Ramona siamo andate a scolarci qualche lattina di Soda Pop, mentre Estelle era uscita alla ricerca del suo ragazzo. Billie Joe, Mike e Tré, intanto, avevano passato tutto il tempo a chiacchierare con degli amici. Eravamo lì a buttarci addosso litri di bibite analcoliche e sgranocchiare noccioline, quando ho sentito qualcuno che mi bussava alla spalla. Mi sono voltata: era Jack, che sorrideva.
“Allora, piaciuto il concerto?”
“Bah… Passabile” ho ridacchiato. Jack, capendo che scherzavo, mi ha tirato addosso una manciata di noccioline.
“Se vuoi, ti presento gli altri membri della band”
Ho guardato prima Ramona, poi Joe che mi guardava con gli occhi spalancati. Ho sorriso.
“D’accordo.”
Mi ha portata nella stanza dietro le quinte dove io, Joe, Larry e gli altri ci eravamo ubriacati qualche settimana fa. Stavolta però era occupata solamente da due ragazzi, oltre a me e Jack: il batterista, Rick, e la bassista, Tania. Tania, a dir la verità, era piuttosto inquietante: i capelli biondo sporco erano lunghi fino alla vita, aveva due grandi occhi verdi un po’ sporgenti, portava vestiti militari e aveva un dilatatore enorme all’orecchio destro. Non parlava molto.
Rick, invece, era molto simpatico, aveva la faccia coperta di lentiggini e i capelli tinti di verde acido. Anche lui aveva vari piercing un po’ ovunque.
Dopo avermi presentato il resto della sua band, Jack mi ha chiesto:
“Ti va di andare a farci un giro?”
Mi sono morsa le labbra, esitante, ma poi ho risposto: “D’accordo. Dove andiamo?”
Jack mi ha sorriso. “Vieni e lo scoprirai”
Mi ha preso per mano e mi ha guardata un attimo con i suoi grandi occhi azzurri, e per un attimo ho sentito una fitta al petto pensando a quelli scuri di Joey. Ho fatto un sorrisetto. Dopo tutto era quello che volevo, no? Tré aveva avuto ragione sulla sua “fase 2”.
“Andiamo allora”
Siamo usciti tenendoci per mano.
 
“Allora, Sallie, dove ti piacerebbe andare?”
“Sei tu quello che mi ha chiesto di uscire, dovresti decidere tu dove portarmi” ho risposto ironicamente, e lui ha riso.
“Non ci sono molti bei posti a Berkeley”
“Non hai un rifugio? Un luogo che, anche se sembra insignificante o brutto, per te ha un significato?” gli ho chiesto, curiosa.
Ha riso di nuovo.
“D’accordo. Sì, però non è davvero niente d’interessante. Ma con gli amici di solito ci troviamo nel parcheggio dietro il 7-11, hai presente, quello in Parker Street”
“Davvero? Ci sono stata ieri. Allora sono tue tutte quelle bottiglie di birra rotte che abbiamo visto” ho scherzato.
“Beh, magari non tutte, ma la maggior parte…”
“Allora sei proprio un vero punk!”
“Certo! Ma di quelli cattivi!”
“Dovrò stare attenta, quindi…”
“Naaah, dopotutto tu non corri molti rischi”  
 
Abbiamo continuato a scherzare in quel modo finchè non siamo entrati al supermercato.
Ma, una volta svoltato nel reparto delle birre, ho sussultato vedendo una figura ben nota dai capelli tinti di biondo e il solito berretto verde degli Yankees che litigava con Max.
Quando ci ha visti, Joey ha spalancato gli occhi, sembrava esterrefatto, mentre Max diceva:
“Kelly, non credo che tu abbia il permesso di stare qua, non è un posto per bambini questo…”
La voce di Joey l’ha interrotto.
“Sallie, vieni un attimo?”
L’ho guardato titubante. Poi ho guardato Jack. Ci tenevamo ancora per mano.
“Si, arrivo”
Ho seguito Joey nel parcheggio sul retro. Nessuno dei due diceva una parola e io mi sentivo tesa, nervosa, senza capire il perché. Non stavo facendo niente di male! O no?
Joey si è voltato verso di me con gli occhi che fiammeggiavano.
“Che cazzo stai facendo, eh?!”
Non l’avevo mai sentito urlare così. Non gli avrei permesso di trattarmi così.
“Che problemi hai?!” ho gridato a mia volta.
“Voglio sapere cosa ci fai qui con lui!”
“Mi ha chiesto di uscire e siamo venuti qui, c’è qualche problema?!”
“Ma non capisci che vuole solo usarti? Per lui sei solo uno strumento da usare contro di noi!”
“Si può sapere che ti prende? Joey, ti ricordo che non siamo in una stupida guerra tra gang degli anni Cinquanta, e che tu e la tua band non siete al centro dell’universo!”
Ha fatto una risata amara.
“Sallie, ti avverto per il tuo bene: non uscire con Jack Kelly”
“Io posso uscire con chi mi pare, senza dar conto a nessuno!”
Joey ha tirato un respiro profondo, cercando evidentemente di placarsi. Si è massaggiato la base del naso, proprio quando faccio io per calmarmi quando sono estremamente nervosa.
“Sai una cosa?” ha replicato, con un tono calmissimo. “Hai ragione. Tu puoi fare quello che vuoi. Esci pure con chi ti pare. Ma poi non venire a piangere da me, dopo.”
Si è voltato e se n’è andato, lasciandomi sola in quel parcheggio vuoto e desolato.

 
Sallie
    

Salve, eccomi tornata con un nuovo capitolo!! Lo so, è un po’ lungo, ma spero che vi abbia soddisfatto e che vi sia piaciuto…

Ah, parallelamente a “It’s not over ‘til you’re underground”,sto scrivendo una Missing Moment intitolata “The other side of the story”, ovvero metterò qualche episodio raccontato dal punto di vista di Joey, quindi, se volete dare un’occhiata, è tutta lì u.u
Grazie mille per chi mi segue e recensisce!    

  

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Capitolo 22
*** 409 in your coffeemaker. ***


28 Febbraio, sera

 
Non voglio, non ho alcuna intenzione di sentirmi in colpa per quello che è successo ieri. Non è giusto. Non ho fatto niente di male. Se Jack e Joey si odiano sono affari loro. Ho scelto di cominciare a uscire con Jack proprio per togliermi dalla testa questa storia assurda di Joey. Perché con Joey rischierei di innamorarmi, mentre in Jack riesco a vedere solo un passatempo, un divertimento. Non m’importa niente di nessuno dei due. Eppure non riesco a togliermelo dalla testa. Era furioso. Lo odio. Lo amo. Non voglio rivederlo mai più. Lo odio, lo odio davvero. Non ha il diritto di farmi sentire così.
Messaggio. E’ Jack. Mi chiede di uscire tra poco. Ho intenzione di farlo, e vaffanculo Joey.
 
L’una del mattino
Sono appena tornata di soppiatto a casa, dopo aver passato tutta la serata con Jack, che è venuto a Rodeo per vedermi. Mi è venuto a prendere sotto casa alle otto. Mia madre non voleva lasciarmi uscire, e infatti sono praticamente fuggita sbattendomi la porta alle spalle mentre lei mi gridava che non voleva che frequentassi ‘depravati’, come definisce lei tutti i ragazzi con i capelli tinti e i piercing (Jack ne ha uno al sopracciglio e uno al labbro, come me). Lui mi ha sorriso vedendomi:
“Hai avuto dei problemi a uscire?”
“Niente di grave”
“Litighi spesso con tua madre?”
“Praticamente tutti i giorni. Non ci sopportiamo più.” Ho detto, stringendomi nelle spalle.
“Anche io e mia madre litigavamo sempre. Lei era ossessiva, quasi morbosa… E infatti, l’anno scorso me ne sono andato. Adesso vivo da solo con Rick e Tania.”
“Davvero?” ero stupefatta. “E come fate con i soldi e tutto il resto?”
“Beh, in realtà abitiamo in un appartamento abusivo e viviamo con quello che riusciamo a raccattare qua e là con i vari lavori di tutti, ma ci piace vivere così. Non siamo molto più poveri di prima.”
“Wow… Dev’essere proprio fantastico, vivere con i tuoi amici, senza genitori che ti controllano.”
 
Intanto eravamo arrivati a uno dei tanti pub di Rodeo. Ci siamo seduti e abbiamo ordinato due birre. Abbiamo parlato tutta la sera. Di tutto: di musica, di scuola, di tinture per capelli, di guai combinati, di sbronze, di feste. Andavamo d’accordo su tutto. In realtà era lui a darmi ragione qualunque cosa dicessi. La cosa ha iniziato a innervosirmi.
“Armstrong si è molto incazzato quando ci ha visti insieme?” mi ha chiesto a un tratto, di punto in bianco. Mi sono stretta nelle spalle.
“Non capisco cosa gli abbia preso.”
Ha fatto un sorrisetto.
“Magari gli piaci ed è geloso. Non ci sarebbe da stupirsi, sei molto carina…”
Sono arrossita, più per l’allusione alla gelosia di Joey che per il complimento.
“Non credo. E’ che Joey a volte non ragiona. Ed è testardo, molto più di quanto un normale essere umano possa ragionevolmente sopportare.” Mi sono accorta di una nota di malinconia della mia voce, e ho cambiato argomento.
 
Usciti dal pub siamo andati a fare un giro. Non che Rodeo fosse così grande da camminare a lungo, ma comunque. Dopo qualche minuto di silenzio, in uno dei tanti vicoli bui in cui stavamo girovagando, mi ha baciata. E mentre mi baciava contro quel muro crepato e io cercavo di fermare le sue mani che andavano ovunque, con la mente sono tornata a Joey, a quel pomeriggio di pioggia, al calore dell’autobus e del suo chiodo, alla sua mano tra i miei capelli, e mi sono maledetta tra me e me. Stavo baciando quel semi-sconosciuto in un vicoletto puzzolente di Rodeo proprio per scordare quel pomeriggio. Così ho ricambiato il bacio, stringendomi a lui, e ripetendomi mentalmente che era quello che volevo. Ed è così. E’ quello che voglio: scordarmi di Joey e di tutta questa storia, e non innamorarmi mai, per nessun  motivo al mondo.


 

29 Febbraio

 
E’ successo un casino. Cazzo.
Oggi non mi andava di starmene in classe. Non riuscivo a seguire, ero troppo persa nei miei pensieri senza un filo conduttore. Così ho chiesto di andare in bagno e lì mi sono accesa una sigaretta e mi sono messa a pensare ai fatti miei. Stavo fumando tranquillamente guardando distrattamente fuori dalla finestra quando è entrata in bagno Rebecca Howlen. Ti avevo già parlato di lei, ricordi? La stronzetta con cui ho fatto a botte il mese scorso. La tipica cheerleader bionda ossigenata che ti guarda dall’alto in basso. Mi ha fatto un sorrisetto affilato. Il suo occhio nero era del tutto sparito, e sono certa che è solo per questo che mi si è avvicinata.
 
“Sander, è vietato fumare nei locali della scuola. Ne sei consapevole?”
Le ho soffiato il fumo in faccia, sprezzante.
“E tu sei consapevole che di quello che dici tu non me ne frega un cazzo?”
“Potrei fare rapporto al preside se non ti comporti bene”
“Fa’ rapporto a chi ti pare, stronza, basta che mi stai alla larga.”
Stavolta non ha osato minacciare di picchiarmi, ma con un altro sorriso maligno si è allontanata. Io ho rimosso immediatamente il pensiero di lei dalla testa. Ero agitata per l’appuntamento con Jack. Finchè, a un tratto, la voce perentoria del preside non è rimbombata nelle pareti della scuola attraverso gli altoparlanti.
 
“Sallie Jane Sander è pregata di recarsi immediatamente in presidenza, grazie.”
Ho spento la sigaretta contro il muro maledicendo Rebecca Howlen e la sua lingua lunga buona solo a baciare chiunque porti i pantaloni. Farsi beccare dal preside a fumare nei bagni non è poi così grave, ma basta a farti beccare tre pomeriggi consecutivi in detenzione. Una bella scocciatura.
 
Mi sono diretta svogliatamente dal preside, sono entrata senza neanche bussare mormorando un “ ‘giorno” e mi sono lasciata cadere sulla solita sedia a braccia incrociate. Il preside non aveva la solita aria bonacciona, anzi sembrava piuttosto adirato.
“Sander, lo sai che con te ho portato sempre pazienza. Data la tua situazione famigliare ho  cercato di essere comprensivo. Lo sai. Le risse, le rispostacce ai professori, i votacci, le assenze ingiustificate, per non parlare di quella volta che hai scalato il tetto dell’edificio con il signor Marshall, e in tutto hai ricevuto solo qualche pomeriggio di detenzione e una sospensione. Chiunque altro, lo sai, avrebbe avuto punizioni molto più consistenti. Ma con te sono stato paziente, confidando che sei una ragazza intelligente e che le tue erano solo sbruffonate, che era il solo modo di sfogare tutta la rabbia che sono sicuro provi. Ma ora sono giunto al limite. Non ho più intenzione di portare pazienza.” Mi ha guardato minaccioso mentre io ricambiavo lo sguardo, sbigottita. Com’era possibile tutto quel sermone per una semplice sigaretta? Ha sospirato profondamente e ha ripreso il discorso.
“Io non tollero che tu manchi di rispetto a questo modo alle regole non solo della tua scuola ma della società in cui vivi, ma prima di tutto a te stessa in questo modo. Soprattutto non tollero che della droga venga introdotta in questo istituto e che i miei alunni ne facciano uso.”
L’ho guardato allibita. Droga? Ma di che andava farneticando?
“Rebecca Howlen mi ha riferito di averti vista mentre fumavi uno spinello in bagno. Ora, tu sai che la droga qui è severamente proibita…”
L’ho interrotto, furiosa e stupefatta.
“Era solo una sigaretta! Non si trattava che di una banalissima sigaretta!”
Il preside mi ha guardato con aria grave.
“Vorrei poterti credere, Sander, ma visti i tuoi precedenti…”
“Visti i miei precedenti non vorrà credere alla verità ma alle balle riferite da una stronzetta qualunque. Ho capito.”
“Sander, io non posso certo ignorare tutto quello che hai combinato qui a scuola e non solo. Mi è giunta voce che esci con persone poco raccomandabili. Quei Green Day e i loro figli…”
“Cosa c’entra adesso qui la mia vita privata? Lei non può giudicare quello che faccio e con chi quando non sono qui!”
“Ma so che molto spesso, quando eri assente qui, eri in compagnia di queste persone. E io mi sento in dovere di avvertirti, Sallie, che quella è gente depravata, drogata, che insegna valori sbagliati, e in quanto alla loro ‘musica’, se così possiamo chiamarla, è la lingua di Satana, che cerca di corrompere la tua giovane mente…”
LA LINGUA DI SATANA?” ho sbottato irata. “MA DOVE VIVE, NEL MEDIOEVO?!
“Non si tratta di vivere o no nel Medioevo, si tratta di educare i giovani con valori sani e forti.”
“Valori ‘sani e forti’? Ma per favore. Lei è solo un altro di quei patetici conservatori che guardano solo ai propri pregiudizi perché hanno troppa paura di conoscere la verità.” Ho sputato, furiosa.
“Signorina Sander, non ti permetto di parlarmi in questo tono!”
“Allora giudichi quello che le spetta di giudicare e non si permetta più di intromettersi nei miei affari privati!”
“Giusto. Torniamo al nocciolo della questione. Come già ti ho accennato, non posso ignorare i tuoi precedenti e nemmeno le voci che girano sul tuo conto.” Volevo interromperlo di nuovo, furiosa, ma ha alzato una mano per fermarmi. “Lasciami finire. Io non accetto della droga nella mia scuola. E’ una cosa che non riesco a tollerare. Sei espulsa.”
Sono rimasta impietrita sulla sedia.
“Cosa?”
“Non mi lasci altra scelta.”
“Non era uno spinello, cazzo! Era solo una fottutissima sigaretta!!!”
“Dammi una ragione per cui dovrei credere a te, che hai una condotta pessima, dei voti molto bassi e per più frequenti persone che, lo sanno tutti, fanno uso regolare di droghe, invece che a Rebecca Howlen, la cui media e condotta sono sempre state impeccabili.”
“Perché è la verità!”
“Vorrei crederti, davvero.”
“E’ tutto quello che ha da dire? Ha intenzione di espellermi sulla sola base di un pettegolezzo? Mi va benissimo. Almeno ho capito che razza di scuola frequento. Sono felice che l’abbia fatto. Adesso potete andarvene tutti quanti all’inferno.”
Mi sono alzata e sono uscita sbattendomi la porta alle spalle, ho attraversato i corridoi e poi il cortile a passo di marcia e mi sono trovata per strada, a respirare l’aria pesante della periferia. Mi sembrava di avere un macigno nello stomaco.

Espulsa. Espulsa per una colpa che non ho commesso. Espulsa solo perché quella troietta di Rebecca Howlen aveva voluto vendicarsi per il pugno in faccia. Che diavolo avrei detto a mia madre? Sapevo che non mi avrebbe mai creduto.
Espulsa.
Ho preso a vagabondare per Rodeo, furiosa e frustrata. Perché deve essere sempre così? Perché devo essere sempre additata e trattata come una pazza emarginata furiosa solo perché non sono uguale a tutti gli altri, perché io non mi sono fatta fregare da questa società? Come fa Joe a sopportarlo? Come fanno Billie Joe, Mike e Trè?
Avevo bisogno di parlare con Billie Joe. Stavo troppo male. Mi sentivo uno schifo, mi sentivo in colpa per non essere uguale a tutti gli altri. Lui era l’unico che potesse capire. Ho spento il cellulare perché sicuramente di lì a cinque minuti sarebbero iniziate le chiamate da parte di mia madre, e non ero dell’umore giusto per litigare con lei, e sono salita sul primo autobus per Berkeley. Arrivata davanti alla villetta di Billie Joe, ho suonato il campanello, ma non rispondeva nessuno. Qualcuno doveva pur essere in casa. Joey e Jakob erano sicuramente a scuola, ma Billie e Adrienne dovevano esserci! Mi sono attaccata al campanello, spazientita.
Un minuto dopo la porta si è aperta e mi sono trovata davanti la faccia incazzata di Joey.
Ci siamo guardati per qualche secondo, entrambi sbalorditi, poi ci siamo detti in coro:
“Che cazzo ci fai tu qui?”
Dopodiché Joey, con un ultimo sguardo disgustato nella mia direzione, mi ha chiuso la porta in faccia. Dopo circa cinque secondi di dolorosa lotta interiore, mi sono riattaccata al campanello. Quando Joey ha riaperto la porta, sembrava più furioso che mai.
“Che diavolo vuoi? Non dovresti essere a scuola?”
“Sono stata espulsa.”
“Buon per te.”
“E tu? Non dovresti esserci anche tu?”
“Quello che faccio non ti riguarda. Allora, si può sapere che cazzo ci fai qui?”
“Volevo parlare con Billie Joe.”
Il suo sguardo si è affilato.
“Beh, mi dispiace, ma Billie Joe non è in casa. Arrivederci.”
Ha fatto per chiudere la porta, ma io l’ho bloccato.
“Si può sapere perché diavolo fai così?!” ho gridato, esasperata. “Cosa ti ho fatto?!”
“Se non ti ricordi abbiamo litigato. Ciao, Sallie.” E ha chiuso la porta. Sono rimasta lì impalata per circa cinque minuti. Poi, dopo aver mormorato un ‘vaffanculo’, me ne sono andata. Non avevo la minima intenzione di tornare a casa finchè tutte le acque non si fossero calmate, così ho deciso di andare da Mike.
 
Lui ha ascoltato la mia storia, titubante, almeno finchè non sono arrivata alla parte dell’espulsione. Allora si è alzato in piedi e ha cominciato a gridare.
“Ma io non posso crederci! E’ uno scandalo, cazzo! Vecchio stronzo di merda!”
Girava in tondo per il salotto alzando le braccia coperte di tatuaggi e facendo gestacci al nulla.
“Sono senza parole. E quell’altra troietta. Una tua parola e ti trovo qualcuno che le disfi quella faccia da angioletto del cazzo che ha.”
“Non ce n’è bisogno, Mike” ho risposto lugubre. “Se mai qualcuno le disferà la faccia, spero di essere io…”
Si è riseduto accanto a me sul divano.
“Cazzo. Cazzo. Cazzo. Senti, capisco che adesso tua madre ti darà addosso, quindi io e Britt ti ospiteremo per tutto il tempo che ritieni necessario. Ma prima o poi dovrai parlare con lei.”
“Lo farò quando le sarà sbollita la rabbia. Grazie, Mike.”
“Non devi ringraziarmi, figurati.”
 
Quindi ora sono a casa Prithard con Mike, Britt, Estelle Desirée e gli altri suoi due figli, Brixton (di tre anni) e Ryan Rubi Mae, di appena qualche mese. Quindi questa casa è un bel casino, ma mi piace. Ryan piange a qualunque ora del giorno e della notte, Brixton grida e salta in giro per casa con i suoi giocattoli, ed Estelle è in continuo litigio con suo padre. In mezzo a tutto questo rumore mi viene difficile pensare troppo, e questo è un bene.
 

Sallie 

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Capitolo 23
*** And I think it's alright that I do what I like, cause that's the way I wanna live. ***


Salve a tutti! Non so se avete notato che nell’ultimo capitolo ho fatto un piccolo errore con le date, infatti ho scritto “29 Febbraio” senza ricordarmi che Febbraio di giorni ne ha 28 e la storia è ambientata proprio in questo anno, il 2011, che non è stato bisestile. Chiedo scusa per la svista e vi auguro buona lettura!

3 Marzo, sera

 
Sono passati tre giorni dalla mia espulsione dalla John Swett High School di Rodeo e ancora non ho visto né sentito mia madre. Sono una vigliacca, lo so, ma a mia discolpa posso dire che ha così poca fiducia in me che non crederà mai che quella che stavo fumando era una sigaretta e non uno spinello. E se si mettesse a pensare che mi drogo per me sarebbe la fine. Mi squarterebbe membro a membro. Mi sfilerebbe la colonna vertebrale e ci suonerebbe le 4 Stagioni di Vivaldi. Quindi il mio cellulare rimane spento e io continuo a rifugiarmi a casa di Mike, che con me si sta comportando da vero angelo.
 
Due giorni fa è venuto Billie Joe, solo, e abbiamo parlato a lungo. Mi ha lasciata sfogare per circa tre quarti d’ora ed ha ascoltato attentamente tutta la mia frustrazione e il mio rancore, finchè alla fine non sono scoppiata a piangere.
“Adesso come farò, Billie? Il mio futuro è praticamente rovinato! La gente lo verrà a sapere, e nessuno mi darà un lavoro dignitoso sapendo che sono stata espulsa al secondo anno per uso di droghe, nessuno mi crederà e io rimarrò per sempre in questo buco schifoso!”
Billie Joe si è passato una mano nei capelli.
“Credi davvero che questo incidente possa rovinarti il futuro?”
“Nessuno mi darà mai un lavoro dignitoso dopo una cosa del genere! Già era improbabile che io avessi un futuro, adesso sarà praticamente impossibile!”
“Sallie, tu hai tutta la vita davanti. Avrai mille occasioni per rimediare. Ma cosa intendi per ‘lavoro dignitoso’? Avevi già pensato a cosa volevi essere da grande?”
“No, non ne ho idea, ma volevo trovare un lavoro che non mi facesse rimanere una morta di fame costretta a passare ogni estate a pulire cessi per il resto della mia vita! Perché, se non lo sai, è da quando avevo dodici anni che ogni estate faccio un lavoro del genere per aiutare mia madre e il suo fidanzato a pagare l’affitto!”
“Perciò, la tua idea di ‘buon futuro’ è semplicemente quella di fare un lavoro che ti permetta di guadagnare molto?”
“Più o meno è così. Non ne posso più di essere povera.”
“Cristo. Ben fatto scuole americane. Il lavaggio del cervello è perfettamente riuscito.”
“Il lavaggio del cervello? Ma di che stai parlando?”
“Sallie, tu sei una ragazza intelligente, quindi ascoltami e cerca di capire quello che voglio dirti. Credi davvero che la definizione di ‘futuro’ sia quella che mi hai appena detto? Non credi che nella vita l’importante sia essere felici?”
“Ma certo che è importante.”
“E pensi davvero che il denaro influenzi così tanto la felicità? Magari può dare un aiutino, ma non è il fattore principale. Ti faccio un esempio. All’inizio, io, Mike e Tré, anzi, io, Mike e Al non avevamo idea di quello che saremmo diventati. Se qualcuno mi avesse detto: ‘Amico, lo sai che i Green Day diventeranno una delle band punk più importanti del mondo e tu sarai un fottuto miliardario?’, probabilmente lo avrei preso a calci nello stomaco pensando che mi prendesse per il culo. Ma io e Mike avevamo un sogno e volevamo realizzarlo, a costo di deludere tutti, a costo di dover vivere in un fottuto buco senza docce per il resto della nostra vita. Ma Al non era pronto a quel passo, ha scelto l’altra strada, quella ‘giusta’, secondo i nostri genitori e gli insegnanti. Ha lasciato la band e si è iscritto al college nella speranza di fare un ‘lavoro dignitoso’, come hai detto tu. Probabilmente per qualche anno c’è anche riuscito, avrà fatto il cazzo di ingegnere da qualche cazzo di parte. Ma tu l’hai incontrato il mese scorso e lo sai com’è finito. Ha una patetica band di quarantenni depressi come lui, che nella vita si sono ritrovati infelici e insoddisfatti perché la società gli aveva ficcato in testa che per essere felici bastava essere ricchi e lasciare che le proprie passioni e i propri sogni diventassero semplicemente hobby. In America è così. Fortunatamente lui se n’è reso conto qualche anno fa, ha lasciato il lavoro di ingegnere ed è andato a riparare biciclette. E’ sempre stata una sua passione. Capisci quello che voglio dirti? Vuoi diventare davvero una di quelle manager insoddisfatte e impasticcate solo per non essere più povera?”
 
Sono rimasta in silenzio, colpita dall’intensità del discorso di Billie Joe. Avevo mal di testa per il troppo piangere e gli occhi rossi e gonfi. Lui si è alzato.
“Adesso devo andare. Ma, per favore, rifletti su quanto ti ho detto. Non voglio che anche tu e Joe vi facciate imprigionare dagli schemi di questa società di merda. Non adeguatevi mai. Fate quello che volete. Siate sempre voi stessi. Questo è il mio consiglio.”
Anche io mi sono alzata e l’ho abbracciato d’impulso.
 
 
Stasera sono di nuovo uscita con Jack. Con lui mi diverto e non penso a niente. Non gli ho nemmeno raccontato dell’espulsione. Lui pensa che io sia a casa di Mike solo per un banale litigio con mia madre. Abbiamo pomiciato praticamente tutto il tempo, senza parlare molto. Per fortuna non si è mai accorto che avevo la testa da un’altra parte, si è limitato ad irritarsi parecchio quando lo bloccavo mentre provava a toccarmi troppo. Per poco non abbiamo litigato. Ma sai che m’importa. Alla fine me ne sono andata, non ne potevo più.
Più riflettevo su quello che mi aveva detto Billie Joe, più capivo che aveva maledettamente ragione. Volevo starmene in pace.
 
Quando sono tornata a casa di Mike, Estelle era ancora fuori con Max. Io mi sono lasciata cadere sul divano accanto al bassista, che cercava di calmare Ryan, che piangeva come una pazza da almeno mezz’ora. La vista di quell’uomo con i capelli ossigenati e i bicipiti coperti di tatuaggi che cullava così dolcemente la sua bambina neonata mi ha riempito di tenerezza, e non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa sarà Ryan da grande. Sarà una ribelle come Estelle e suo padre? O una ragazza timida, dolce e studiosa? Sarà una prigioniera della società? Riuscirà a farsi largo in questo mondo così di merda?
La voce di Mike ha interrotto i miei pensieri.
 
“Mentre eri fuori è passato Joey.”
“Ah, si?” ho fatto, cercando di sembrare indifferente.
“Sì. Cercava te. Mi è sembrato piuttosto preoccupato.” Mi ha scrutato con i suoi occhi così azzurri e io non ho potuto fare a meno di voltarmi. Joey si era preoccupato per me. Dopo avermi trattata da cani senza motivo, è venuto a cercarmi. Forse gli dispiaceva. Forse aveva parlato con suo padre che gli aveva riferito quanto ero sconvolta. Non lo sapevo. Sapevo, e so, solo di essere ancora arrabbiata con lui, e so di dovergli stare alla larga. Così ho dato la buonanotte a Mike e sono andata a letto senza commentare, ma ho il cuore in tumulto.
 

Sallie

  

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Capitolo 24
*** Disappearing Boy. ***


4 Marzo, pomeriggio

 
Ho la testa che mi scoppia. Non ne posso più, sul serio. Credo di stare impazzendo.
Stamattina ho finalmente deciso che era ora di parlare con mia madre, visto che non aveva più mie notizie da circa cinque giorni. In effetti era strano che non avesse già chiamato la polizia. O che non avesse capito dov’ero.
Così sono tornata a Rodeo. Ho aperto la porta di casa con le mie chiavi, aspettandomi di vedere mia madre seduta in lacrime sul divano e Al, il suo fidanzato, a cercare di consolarla, o qualcosa del genere.
Di certo non mi aspettavo di vederla dare da mangiare a Johnny canticchiando allegramente.
Quando sono entrata in casa, ha alzato lo sguardo un attimo. Appena mi ha riconosciuta, gli occhi le si sono ridotti ad una fessura e le guance sono diventate color fuoco. Ormai so che, quando le succede così, è segno che vorrebbe uccidere qualcuno. In questo caso, me.
 
“Ciao, mamma” sono riuscita semplicemente a dire, con una sensazione molto vicina al senso di colpa che mi attanagliava lo stomaco.
Lei non ha spiccato parola per circa dieci secondi. Probabilmente cercava di calmare il brutale istinto omicida che la stava assalendo nei miei confronti.
Poi, dopo aver inspirato profondamente, mi ha detto con calma assoluta:
 
“E tu che cosa ci fai qui?”
L’ho guardata esterrefatta.
“Che significa? Sono tornata a casa.”
“Che coincidenza. Avevo appena deciso di affittare la tua camera, visto che ormai questa non è più casa tua.”
“Ma’, aspetta, calma, non puoi fare una cosa del genere!”
A quel punto, senza nemmeno stare ad ascoltarmi, è scoppiata.
“AH, SI?! NON POSSO?! CINQUE GIORNI FA MI HA CHIAMATO IL PRESIDE DELLA TUA SCUOLA DICENDOMI CHE TI AVEVANO SCOPERTA A FUMARE UNO SPINELLO E CHE ERI STATA ESPULSA, TU SPARISCI PER CINQUE FOTTUTI GIORNI E IO NON HO IL DIRITTO DI BUTTARTI FUORI DA CASA MIA?!”
“Ma’, quello che ti hanno detto è completamente falso!!”
“DAMMI SOLO UNA RAGIONE PER CUI DOVREI CREDERTI, PICCOLA BUGIARDA INGRATA CHE NON SEI ALTRO! SE HAI INTENZIONE DI FARTI TRAVIARE DA QUEI FARABUTTI DEI GREEN DAY FALLO PURE, MA FUORI DA CASA MIA!”
“NON MI STA TRAVIANDO NESSUNO! ERA SOLO UNA SIGARETTA, SOLO CHE QUEL PEZZO DI MERDA NON VEDEVA L’ORA DI BUTTARMI FUORI!”
“Tornerai quando avrò deciso di crederti. Fuori di qui. Non ho intenzione di vederti in questa casa un minuto di più. E ringrazia dio che non ti abbia spezzato le gambe.”
 
Furiosa, ho riempito un borsone con la mia roba e sono uscita sbattendomi la porta alle spalle. Quando Mike mi ha vista tornare, per di più armata di valigia, per poco non c’è rimasto secco. Con lui c’erano anche Billie Joe e Tré.
 
“Sallie?” ha esclamato Mike quando sono entrata. “Ma… Che è successo?”
Ho raccontato loro quanto era appena successo, traboccante d’ira. I tre mi hanno ascoltato attoniti. Solo una volta calmata mi sono accorta dell’espressione inspiegabilmente grave sui loro volti. Li ho guardati uno per uno, preoccupata.
“Che succede?”
Billie Joe ha fatto un gesto con la mano, come per dire niente d’importante. Ma la sua espressione sembrava dire tutto il contrario. Ho sentito l’agitazione crescere in me.
“Avanti, ditemi cos’è successo. Perché è sicuramente successo qualcosa.”
“Tranquilla, davvero non è successo niente…”
Ho battuto una mano sul tavolo con forza.
“Billie Joe, porca puttana, dimmi cosa cazzo è successo!!”
Billie Joe si è morso il labbro inferiore, le rughe intorno agli occhi si erano fatte più evidenti.
“Joey è sparito.”
 
Ho sentito in un istante tutta l’aria sparirmi dai polmoni e le viscere farsi di piombo. Mi sono lasciata cadere sulla sedia più vicina, cercando di placare il respiro che si era fatto tutt’a un tratto irregolare.
Dopo qualche secondo di panico totale, sono però riuscita a darmi una calmata e a parlare:
“Come sarebbe a dire, è sparito? Mike mi ha detto di averlo visto ieri sera… Era venuto qui…” Le parole mi sono morte in gola. Ieri sera stava cercando me. E se fosse stata colpa mia?
Billie Joe ha preso un bel respiro.
“Non abbiamo più sue notizie da quel momento. Il cellulare è staccato, e nessuno l’ha visto. Oggi non era a scuola. Abbiamo provato a chiedere a Ramona, a Travis, a Max, a Cole, a Estelle e a tutti gli altri suoi amici, ma nessuno ha idea di dove sia. Non è mai successo che sparisse così all’improvviso, senza dir niente ai suoi amici. Certo, qualche fuga in passato l’aveva fatta, ma era sempre andato a casa di qualche amico, e il cellulare era sempre rintracciabile. Ora no, e noi non abbiamo idea di dove diavolo sia…”
 
Le orecchie hanno cominciato a fischiarmi.
“E cosa ci facciamo ancora qui?! Dobbiamo andare a cercarlo subito!” Ho esclamato balzando in piedi. Non capivo cosa ci facessero lì seduti.
“Aspetta, Sallie. Mike ci ha detto che ieri sera, quando è stato visto per l’ultima volta, stava cercando te. Tu sei sicura di non averlo visto? Non sai dove potrebbe essere?”
Ho scosso la testa, sconfortata. Non avevo proprio idea. Sentivo solo il senso di colpa che mi divorava dall’interno. Alla fine ci siamo tutti divisi e siamo andati a cercare Joey.
 
Mentre correvo come una pazza gridando il suo nome e ricevendo come unica risposta il silenzio, cercavo di capire il perché della sua improvvisa sparizione. Era davvero colpa mia? Forse era perché Mike gli aveva detto che ero uscita con Jack? Ma eravamo davvero arrivati a quel punto? Come diavolo avevamo fatto a finire in quella situazione? Mentre correvo a perdifiato per le strade di Berkeley, ero assillata da questi interrogativi senza risposta. Perché avevamo dovuto incasinare tutto così? Ripensavo a quando, solo un mese fa, era tutto più semplice, quando di lui non avevo visto oltre la tinta casalinga e l’ironia demenziale, quando ci ritrovavamo quasi ogni pomeriggio a scherzare a Christie Road…
E’ stato come un lampo. Tutto a un tratto ho capito dove si trovava Joey. Era ovvio. Non poteva che trovarsi lì: nel rifugio senza tempo di tutti i ragazzi disperati in fuga dalla propria vita.
Christie Road.
 
Senza dir niente a nessuno, sono saltata sul primo autobus per Rodeo e sono corsa nel vecchio parcheggio abbandonato.
E infatti era lì, sulla poltrona che di solito occupo io, e beveva tranquillamente una birra.
Furiosa, approfittando del fatto che era troppo distratto dall’iPod e dalla sua birra per accorgersi di me, sono corsa fino a trovarmi davanti a lui. Ha avuto a malapena il tempo di alzare lo sguardo e di rendersi conto di me, che gli ho mollato un ceffone in piena faccia con tutte le forze che avevo, facendogli cadere la lattina di birra che ha sparso tutto il suo contenuto per il pavimento.
Joey è scattato in piedi e mi ha afferrato per i polsi.
“SALLIE, CHE CAZZO TI PRENDE?”
Ho cercato di liberarmi ma la sua morsa era ferrea. Poi l’ho guardato bene in faccia e sono trasalita: aveva un occhio nero.
“Lasciami! Che cazzo prende a te, vorrai dire! Come hai potuto sparire così?! Hai idea di quanto fossimo…”
“Non dire ‘preoccupati’.” Mi ha interrotto, con più calma di quanto mi aspettassi. “Se ci tieni alla mia salute mentale non usare quella parola. O almeno non usare la prima persona plurale.”
“Che intendi dire?” ho sbottato, voltandomi dall’altra parte. Ancora non mi lasciava i polsi, e i nostri volti erano vicinissimi.
“Questo! Non mi guardi neanche in faccia, Sallie! Cosa te ne frega a te se sparisco anche per un mese? A te non deve importare!”
“Stai dicendo un mucchio di stronzate” ho bisbigliato guardandolo negli occhi per la prima volta. C’era solo tormento in quegli occhi.
“Ah, sì?” ha mormorato lui, continuando a fissarmi.
“Che ti sei fatto all’occhio?”
Come attraversato da una scossa, mi ha lasciato i polsi con tanta violenza che ho perso l’equilibrio e sono caduta a terra.
“Non deve interessarti, te l’ho detto. Non sono affari tuoi.”
“E invece, dannazione…” ho ringhiato massaggiandomi i polsi.
Rialzandomi, ho notato che le sue braccia erano coperte di graffi e lividi.
Eravamo a pochissimi centimetri di distanza, e nella sua espressione c’erano solo rancore, e, forse, odio.
“Vattene a casa, Sallie. E’ meglio così, fidati.”
“No.”
“Si può sapere cosa vuoi da me?!”
“E io posso sapere perché mi odi così?”
“Non fare la vittima, è proprio perché non ti odio che voglio che tu mi stia alla larga!”
Ho capito cosa intendeva dire e, per quanto quelle parole mi avessero ferita, ho dovuto ammettere che erano giuste, che aveva ragione. Se non posso, anzi, se non voglio dargli quello che lui vorrebbe da me, devo stargli alla larga. Ho inspirato profondamente.
“D-d’accordo.” Ho detto, e mio malgrado la voce mi tremava. “Ti prometto… Ti prometto che ti starò alla larga… Se tu torni a casa. Billie Joe, Adrienne, Ramona… Sono tutti preoccupati. Torna, ti prego. Fallo per loro.”
Mi ha guardata a lungo prima di annuire. Poi mi ha voltato le spalle e se n’è andato.
“Ci vediamo, Sallie.” Ha detto duro, prima di scomparire alla mia vista.
Le gambe mi tremavano e avrei solo voluto prendermi a pugni, perché è tutta colpa mia e della mia fottuta paura.
 

Sallie

 
 
  

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Capitolo 25
*** Last Night on Earth. ***


5 Marzo, mattina

 
Sono a casa di Billie Joe, e sto cercando di fare mente locale sui miei ricordi ingarbugliati e i miei pensieri confusi. L’unico modo per mettere a posto tutto quanto è scrivere qui, cercando di riconoscere i miei errori e i miei difetti che mi hanno portata a questo punto.
 
Ieri sera ero da sola in casa Pritchard poiché, subito il ritrovamento del Ragazzo Scomparso, i Green Day al completo con le rispettive mogli e i figli minori erano andati a New York per non so quali interviste e presentazioni per il nuovo live album, Awesome as F**k, e saranno di ritorno solo domani. Con grande irritazione di sua figlia, Mike ha insistito per portarsi dietro anche Estelle, giustificandosi così: ‘non che non mi fidi di te, Sal… Vedi, il problema è che non mi fido di lasciare mia figlia a casa da sola per tre giorni, e se è in compagnia di un’amica può essere anche peggio… Comunque ti lascio le chiavi, ok?  Fa’ pure come se fossi a casa tua.’
 
Così, ero da sola a casa di Mike a bere una lattina di birra dopo l’altra e a fingere guardare un film deprimente mentre in realtà i miei pensieri ruotavano tutti attorno a quel pomeriggio a Christie Road e alla faccia ferita e furiosa di Joey, quando mi è arrivato un messaggio. Jack.
Tra mezz’ora al 7-11.
Non avevo molta voglia di vederlo, ma sentivo il bisogno urgente di distrarmi, non volevo pensare troppo o avrei finito per odiarmi per quello che sto facendo passare a Joey, e a me stessa, tutto a causa della mia vigliaccheria.
 
Così mi sono cambiata svogliatamente, ho messo una minigonna di jeans con la toppa dei NOFX sulla tasca dietro, e, tanto per provare, il corpetto nero e lucido che avevo comprato con Ramona quella che sembrava una vita fa. Sugli occhi, il solito pesante trucco nero e ai piedi, i miei anfibi. Mi sono guardata allo specchio e ho fatto un sorriso pieno di tensione, prima di afferrare la mia tracolla nera dei Pistols e fuggire da quell’immagine che insieme mi spaventava e mi eccitava.
 
Jack era come sempre appoggiato al muro pieno di graffiti del parcheggio sul retro, e fumava una sigaretta. Quando mi sono avvicinata, senza neanche salutarmi, ha preso a baciarmi con forza tenendomi stretta contro quel muro.
“Stai benissimo stasera… E’ per un’occasione speciale?” mi ha mormorato dopo qualche minuto, tra un bacio e l’altro. Io ho voltato la testa.
“Mi stai soffocando!”
Jack è scoppiato a ridere e ha ripreso a baciarmi più prepotentemente di prima e io l’ho ricambiato, un po’ intontita per tutte le birre di prima, mentre lui metteva le mani dappertutto. Con una ha cominciato ad armeggiare con la cerniera della mia gonna. Allora mi sono staccata.
“Che stai facendo?” ho sbottato infastidita, anche sapevo benissimo cosa voleva fare.
Mi ha guardata con un sorrisetto divertito:
“Cosa credi che stia facendo?” ha ribattuto, per poi riprendere a baciarmi e a cercare di tirarmi giù la cerniera della gonna. Allora gli bloccato le mani.
“Aspetta un attimo.”
Jack mi ha lanciato uno sguardo infastidito e cominciato a baciarmi sul collo, senza mollare la presa, mormorando: “Devi fidarti di me…”. Poi ha ricominciato a spogliarmi, e allora a niente sono valsi i miei tentativi di fermarlo, le mie preghiere e i miei ordini di smetterla, finchè non sono riuscita a spingerlo via, facendolo sbattere contro il muro.
Allora si è infuriato.

“Cosa credevi di fare, eh?!” ha ruggito, per poi spingermi contro il muro, bloccandomi con tutto il peso, non riuscivo a muovermi e il mio grido di spavento mi è morto in gola mentre le prime lacrime di paura hanno cominciato a colarmi sulle guance.
“Lasciami!” sono riuscita a gridare infine, il cuore in gola. “Mi fai male!”
“Sta’ zitta!” Uno schiaffo. Doloroso.
Il suo sguardo era furioso, da folle.
“Mollami, ho detto!” Un altro schiaffo, poi si è tolto e mi ha spinta per terra.
“Su, vattene, vattene dal tuo Joey, puttana che non sei altro! Vai a farti consolare da quel coglione!”
Tentavo di rialzarmi, con le gambe che tremavano, e in quel momento ho capito.
“S-sei stato tu… Tu l’hai picchiato!” ho gridato, furiosa almeno quanto lui. Jack ha fatto un ghigno, ha sputato per terra e se n’è andato, lasciandomi lì per terra in quel parcheggio vuoto e buio.

Senza neanche rialzarmi, sono scoppiata a piangere, la testa sulle ginocchia. Piangevo come una bambina, singhiozzando e tirando su col naso, finchè non mi è venuto un gran mal di testa. Non riuscivo neanche a pensare di tornare nella casa vuota di Mike, per la prima volta in vita mia sentivo di aver bisogno d’aiuto. Ho preso il mio cellulare con la mano che tremava e ho provato a chiamare Ramona.

Virgin, informazione gratuita: il telefono da lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile…
“Vaffanculo” ho mormorato con un fil di voce. Ma certo, era mezzanotte passata. A quell’ora chi mi avrebbe risposto? Sono andata in preda al panico. Sapevo chi dovevo chiamare ma sapevo anche che non mi avrebbe mai risposto. Gli avevo promesso che gli sarei stata lontana e lui non poteva immaginare quanto avessi bisogno di lui, in quel momento. Ho premuto il tasto di chiamata.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette squilli. Sentivo l’agitazione crescere dentro di me, finchè non ho sentito la sua voce, dura e fredda, dire:
“Che cosa vuoi?”
“Joey, ti prego, vienimi a prendere” ho detto in un soffio, cercando di trattenere altre lacrime che, mio malgrado stavano sgorgando. “Lo so che te l’avevo promesso, ma ti supplico, portami via di qui…”
“Sallie, cosa è successo?!” la sua voce si è fatta tutt’a un tratto tesa e allarmata.
Ho scosso la testa, sfinita, ricordandomi solo dopo che non poteva vedermi, così mi sono limitata a ripetere:
“Vienimi a prendere, ti prego”
“Dove sei?”
“Nel parcheggio del 7-11.”
Joey ha fatto una lunga pausa.
“Eri lì con Kelly.” Ha mormorato infine.
“Sì” ho singhiozzato.
L’ho sentito inspirare profondamente.
“Arrivo. Non muoverti di lì.”
Ha chiuso la comunicazione e io ho cercato di rimanere calma.
 
Joey mi ha trovata rannicchiata sul marciapiede circa dieci minuti dopo, il volto nascosto tra le braccia e le ginocchia che ancora tremavano.
“Sallie?”
Ho alzato lo sguardo e l’ho visto trasalire al mio aspetto pietoso.
“Scusa… Te l’avevo promesso…” ho mormorato debolmente. “Voglio andare a casa.”
Joey mi ha presa  delicatamente per un braccio per farmi alzare.
“Sì. Andiamo a casa.”
 
A casa sua non c’era nessuno. Mi ha fatto sdraiare sul suo letto, mentre lui è rimasto in piedi a guardarmi. Io ero sfinita. Non avevo più neanche la forza di piangere.
Joey mi ha fissata a lungo, le mie lacrime ormai secche, il trucco sbavato, i miei vestiti, i miei capelli arruffati.
“Cosa ti ha fatto?” Non riusciva a contenere la rabbia. L’ho spiato attraverso le palpebre socchiuse: teneva i pugni chiusi e tremava.
“Sallie. Ti ha trattata male?”
Ho annuito appena, gli occhi chiusi, troppo stanca per parlare. Ho sentito uno schianto, come di qualcosa che si rompe, e le imprecazioni furiose di Joey, e non sono riuscita a trattenere un sorriso. Sfogare la rabbia rompendo oggetti innocenti… Tipico di Joey. Poi l’ho sentito sedersi sul letto accanto a me.
“Per stanotte rimani qui. E stai certa che quella testa di cazzo di Kelly la pagherà, qualunque cosa ti abbia fatto.” Ho riaperto gli occhi per sbirciare la sua espressione: era furiosa, le labbra piegate in una smorfia amara.
Mi sono rigirata nel letto, ero scomodissima.
“Joey?”
“Si?”
“Mi presti qualcosa per dormire?”
“Certo.”
L’ho visto frugare in un cassetto, dal quale ha tirato fuori una maglietta rossa di molte taglie più grandi della mia. Me l’ha passata senza una parola, e io, non avendo nemmeno la forza di alzarmi in piedi, mi sono girata verso il muro per cambiarmi. L’ho sentito trattenere il respiro mentre mi slacciavo il corpetto e mi sfilavo la gonna, ma ero troppo stanca, troppo debole e ancora troppo spaventata per chiedergli di andarsene. Mi sono infilata la sua maglietta, che mi arrivava praticamente alle ginocchia, e mi sono lasciata cadere sul suo letto.
“Joey?” ho mormorato di nuovo.
“Si?”
“Tu dove dormi?”
“Non credo che stanotte riuscirò a dormire, a dirti la verità.”
“Non è giusto. Devi dormire…”
“Sta’ tranquilla. Casomai dormirò domani mattina. Non ho intenzione di lasciare questa stanza.”
“Tu credi che io sia pazza?”
Una pausa.
“Sì, credo di sì.”
“E vuoi tenermi sotto controllo.” Ho fatto una risatina; sapevo che la mia voce si udiva appena. Anche lui ha ridacchiato.
“Può darsi. Ora dormi.”
Ho sorriso.
“Joey?” L’ho chiamato dopo un altro po’.
“Si?”
“Grazie” ho mormorato in un soffio, e mi sono addormentata.
 
Mi sono svegliata stamattina molto presto e all’inizio non ho capito dove mi trovavo. C’era un poster di Dee Dee Ramone, strafottente nella sua giacca di pelle e i jeans attillati, sulla parete di fronte a me, e una batteria in un angolo. Poi ho visto Joey: dormiva, seduto a gambe incrociate sul pavimento e la testa appoggiata al letto, a pochi centimetri dal mio viso. Tutti i ricordi di ieri sera mi sono crollati addosso come una valanga, togliendomi il fiato per un momento. Ho sentito il senso di colpa attanagliarmi lo stomaco mentre osservavo il volto sereno e addormentato accanto a me.
E’ venuto a raccattarmi dalla strada nel bel mezzo della notte, si è preso un pugno a causa mia, e si è addormentato seduto sul pavimento solo per starmi vicino, e io ancora non sono in grado di comprendere e accettare i sentimenti che mi legano a lui.
Mi sono messa a sedere e poi pian piano, cercando di non svegliarlo, mi sono alzata. Volevo stenderlo sul suo letto, ma non avevo idea di come fare senza svegliarlo. Così gli ho bussato sulla spalla.
“Joey?” ho sussurrato, e lui ha grugnito. “Mettiti a letto, sei seduto per terra.”
Lui ha spalancato gli occhi e mi ha guardata confuso per qualche istante.
“Sallie! Che ore sono? Cosa ci fai già sveglia?”
“Joey, vai pure a letto. E’ presto, sono appena le sette.”
Ha sospirato e si è buttato sul letto. Senza neanche aprire gli occhi, ha sussurrato:
“Non tornare a casa di Mike. Rimani qui. Ti ospiteremo noi quanto vorrai.” Mi ha stretto la mano.
“Joey, io…”
“Dimentica quello che ti ho detto ieri. Davvero. Sono stato un coglione.”
“Ora dormi”. Ho ricambiato la stretta e gli ho accarezzato un braccio mentre lui si riaddormentava.
Sono rimasta almeno due ore in quella posizione, pensando a quanto mi odiavo.
Ancora adesso, continuo a odiarmi: perché è così difficile per me? Perché non riesco ad ammettere che per me Joey è più di un amico? Perché devo combinare questi casini? Perché ho così  tanta paura di lasciarmi andare?
Ancora, non trovo una risposta.
 

Sallie 

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Capitolo 26
*** Nice Guys Finish Last. ***


6 marzo

 
Oh santissimo Cristo.
Ok, nelle ultime ventiquattro ore sono successe parecchie cose, che devo assolutamente scrivere qui prima di dimenticarmele tutte.
Ora ti racconto.
 
Ieri mattina, una volta sveglia del tutto, osservando Joey dormire tranquillamente, beh… Mi sono sentita morire. Sul serio. Per tutto: per la vergogna, per la rabbia, per l’imbarazzo di essermi fatta trovare da lui in quelle condizioni, per non aver saputo difendermi da sola come da sempre sono abituata a fare, per lo schifo e la nausea al ricordo di ciò che era successo la sera prima. Avrei voluto prendere a testate il muro. Mi sono sentita una vera idiota. Una cosa era, ed è certa: gliela farò pagare a Jack Kelly, dovessi anche metterci dieci fottuti anni. Non la passerà liscia.
Approfittando del fatto che ero praticamente sola, sono andata a farmi una doccia per lavarmi via tutto quello schifo che mi sentivo addosso. Mi sentivo sporca e stupida come mai prima. Ma poi, pensandoci sotto il getto d’acqua calda, ho deciso che non era il caso di piangersi troppo addosso: ciò che era fatto era fatto, no? Non avrebbe avuto senso rimuginarci ancora sopra. Anzi, pensavo, quello che ci voleva era una bella festa, di quelle che durano tutta la notte, di quelle in cui si suona, si beve, si fa casino e ci si sente più vivi che mai.
 
Così sono tornata in camera di Joey e ho provato a svegliarlo. Inutile dire che mi ci è voluta la mano di dio, ma alla fine ci sono riuscita.  
Così gli ho spiegato la mia idea della festa. Lui sembrava stupito. Non tanto per la festa in sé, ma per il fatto che mi ero ripresa così in fretta. Evidentemente si aspettava che rimanessi traumatizzata a vita o roba del genere. Gliel’ho spiegato, e lui è scoppiato a ridere.
“Che c’è da ridere?”
“C’è che sei incredibile.”
Santo cielo.
 
Così, abbiamo cominciato a organizzare la festa. Abbiamo invitato metà del suo liceo, compresi ovviamente gli Emily’s Army e Ramona (Estelle era via con i Green Day, che non sarebbero tornati fino al giorno dopo), e poi Joe e Larry.
Non vedo tutti gli altri miei amici della Swett High da quando sono stata espulsa, nessuno di loro mi ha più chiamato o si è fatto vivo da allora. Inutile dire che non capisco cosa sia successo, ma cerco di non pensarci.
 
Era strano essere da sola in quella casa con Joey. Mi sono trovata a fingere più di quanto avrei voluto: a fingere che non mi piacesse, a fingere di non trovare surreale quella situazione, a fingere di essere perfettamente a mio agio, a fingere di non sentire una morsa orribile allo stomaco ogni volta che mi guardava in quel modo, ogni volta che per sbaglio di mi sfiorava. Caso raro, comunque. Come per un patto implicito, ognuno era attentissimo a non toccare l’altro.
Verso le sei, sono arrivati anche Travis, Cole, Max e Ramona. Gli Emily’s Army si sono ovviamente messi subito a suonare, mentre io e Ramona ce ne stavamo tranquillamente sedute sul divano a chiacchierare un po’. In realtà, ho avuto come l’impressione che cercasse di scrutarmi, di capire qualcosa. Ma forse è stata solo una sensazione. Comunque ho sentito un bel po’ di sollievo quando gli altri hanno cominciato ad arrivare.
 
La casa era già mezza piena di gente a me sconosciuta quando sono arrivati Joe e Larry, a cui ho raccontato tutti gli eventi del giorno precedente. Larry era orripilato, e Joe era… Beh, era incazzato nero.
“Vuoi dirmi che quel fottuto bastardo ha provato a fare sesso con te e poi ti ha picchiato quando ti sei rifiutata?!” ha esclamato, furente, sovrastando per un attimo la voce di Travis che cantava una cover di Blood, Sex And Booze.
“Shhh!” Ho esclamato, anche se in realtà non ci avevano sentito in molti. L’alcool proveniente dalle dispense Armstrong stava già cominciando a girare, gli Emily’s Army si stavano scatenando nel salotto di casa, la gente ballava, rideva, urlava.
Adolescenti, punk soprattutto. Ragazze con le calze strappate, ragazzi con le magliette dei Sex Pistols, chiodi buttati in un angolo, centinaia di anfibi che si muovevano, borchie, acconciature casalinghe, bottiglie di birra, ragazzi che saltavano, che bevevano, che fumavano, e molte di quelle non sembravano sigarette. Per l’occasione, avevo riciclato i vestiti della sera prima, ma tanto in mezzo a tutta quella gente il mio corpetto troppo scollato non si notava così tanto.
“Senti, Joe, dimentichiamo tutto per stasera, ok?”
“Come pensi che io possa dimenticarmi…”
“Così” Ho sbottato, porgendo a lui e Larry una bottiglia di birra e prendendone un’altra per me.
“All’alcool”
“E al non pensare a niente” ha aggiunto Larry.
“E al momento in cui spaccherò la testa a Kelly” ha completato Joe.
Abbiamo brindato e ci siamo attaccati a quelle bottiglie da due soldi.
 
Ballavamo, bevevamo, saltavamo e scoppiavamo a ridere per cazzate. Mi attaccavo a tutte quelle bottiglie per non pensare, e l’alcool mi annebbiava i pensieri e rendeva tutto più divertente. Dopo un po’ gli Emily’s Army hanno smesso di suonare,e hanno messo su i cd. Ho visto Joey farsi largo tra la bolgia, e mi sono allontanata di soppiatto.
Mi ero impossessata della chitarra di Cole e io, Larry, Joe e un gruppetto di compagni di scuola di Joey di cui non ricordo nemmeno i nomi, ci stavamo divertendo a suonarla a casaccio. Tra loro c’era una ragazza bionda, top scollato, minigonna di jeans, l’unica di cui ricordi il nome: Mary Jane. Poco dopo, era attaccata a Joe, che si staccava da lei solo per bere un altro sorso di birra.
La festa diveniva di minuto in minuto più frenetica. I divani erano occupati da ragazzi, ragazze che baciavano ragazze, ragazzi che saltavano e mangiavano patatine e sottaceti scaduti. I Green Day ci urlavano nelle orecchie le note di Jesus of Suburbia.
E io mi lasciavo andare in mezzo a tutta questa vita, vacillando, azzerando i pensieri e ogni paura. E mi sentivo ogni minuto più viva.
 
Insieme a Larry e altri due ragazzi abbiamo trovato due bottiglie di rhum, e abbiamo cominciato a scolarcelo, seduti sul pavimento del salotto.
“Allora, tu sei la ragazza di Armstrong?” Mi ha fatto uno dei due, un ragazzo con la cresta nera.
Ho ridacchiato. “No, affatto” ho detto con un singhiozzo.
“Ma che cazzo dici, lei è la ragazza di Kelly!” ha esclamato l’altro, accendendosi una sigaretta appena rollata che puntualmente gli ho rubato di mano.
“Ex ragazza, vorrai dire” ha precisato Larry.
“Insomma, ti dai da fare, eh?” ha detto il secondo con un sorrisetto. Aveva i capelli castano scuro, con un taglio decisamente casalingo, più corto in certe parti con alcuni ciuffi troppo lunghi che gli ricadevano sulla fronte.
“Diciamo che non voglio impegni” Ho risposto, dando un altro tiro a quella sigaretta. Il mio campo visivo era cosparso di macchie colorate e la testa mi girava.
“Buona, questa sigaretta” ho detto poi.
Larry e gli altri due sono scoppiati a ridere.
“Beh, che c’è da ridere?”
“E’ una canna, Sal” ha esclamato Larry tra le risate.
“Oh” sono riuscita a dire. La situazione, in effetti, era estremamente divertente. Ho fatto un altro tiro prima di scoppiare a ridere a mia volta. “Adesso potresti espellermi, brutto pezzo di stronzo!” Ho esclamato, pensando al preside Clapman. E giù altre risate e altro rhum. E poi, non so come, eccomi lì, attaccata al ragazzo con i capelli castani che mi baciava con forza. L’ho spinto via e mi sono alzata in piedi barcollando.
 
Poco lontano c’erano Joey e Travis che ballavano con due ragazze. sono andata da loro, e, come se niente fosse, ho cominciato a ballare con Joey, che teneva una bottiglia in mano. La ragazza con cui stava ballando prima, una mora insignificante, mi ha lanciato uno sguardo assassino e se n’è andata. Io ho ridacchiato. Johnny Rotten mi strillava nelle orecchie quanto voleva l’anarchia nel Regno Unito.
Joey mi ha sorriso.
“Allora, puffa?”
“Hai mai fatto caso che anarchy e U.K. fanno rima?” Gli chiesto e ho fatto per rubargli la bottiglia, a cui però lui si è attaccato, per poi fissarmi.
“E tu hai i capelli azzurri.”
“E non è una parrucca.” Ho ribattuto, senza capire bene quello che stavamo dicendo.
“Neanche io. E io sono biondo” si è toccato i capelli, come per testare che il colore dei capelli fosse rimasto uguale.
“Tu però hai un cappello verde” ho osservato. “Hai mai pensato di fare l’attore porno?” ho aggiunto poi. Lui mi ha guardato stupito.
“Perché dovrei?”
“Perché hai i capelli gialli. E suoni la batteria.”
“Ti piace questa?” ha detto, accennando allo stereo, che ora stava trasmettendo una canzone dei Green Day.
“Che cos’è?”
“Boh, però mi sembri tu.”
“Io sto tenendo il cuore di qualcuno come una bomba a mano? Cos’è una bomba a mano?”
“Boh. Tu sai ballare?”
“No, però so pulire i cessi.”
“Allora balliamo.”
“Pensavo che stavamo già ballando.”
“E invece stiamo bevendo.”
“Ma stiamo anche ballando.”
“O l’una o l’altra.”
“Beviamo, allora.”
Mi sono seduta per terra e Joey si è lasciato scivolare accanto a me, poi mi ha fatto bere dalla sua bottiglia, tenendola in mano. Solo che poi non l’ha più spostata e mi sono quasi soffocata. La cosa mi è apparsa così divertente che sono scoppiata ridere mentre bevevo, sbrodolandomi tutta.
 
Poi, da quel momento ricordo poco. O meglio, è tutto confuso. Qualcuno ha messo su i Rancid, credo, così ci siamo alzati in piedi e abbiamo cominciato a pogare. Ci siamo persi di vista, e io mi sono ritrovata a ballare in mezzo a gente sconosciuta, ma ovviamente neanche ci facevo caso. Era tutto estremamente spassoso. Tutti ridevano, non so se di me e del mio pogo imbranato e traballante o semplicemente perché, come me, trovavano ogni cosa tremendamente buffa.
A un certo punto, non so come, mi sono ritrovata a baciare il castano di prima. Stavolta non l’ho spinto via, non ci capivo più niente. Avevo un terribile mal di stomaco e voglia di vomitare, e ridevo perché pensavo che gli avrei vomitato in bocca da un momento all’altro.
Dopo un po’, annoiata, mi sono staccata da quella monotona occupazione per andare a cercare Joey e una sigaretta. Non ho trovato nessuno dei due, ma in compenso sono riuscita ad ottenere un altro spinello già mezzo fumato. Mi sono fatta largo barcollando per tutto il salotto, calpestando la gente seduta/sdraiata per terra e le bottiglie abbandonate (rischiando così di scivolare e rompermi l’osso del collo), inciampando nei gradini della scala e nei tappeti. Poi ho cominciato ad aprire una a una tutte le porte delle camere da letto, disturbando le coppiette che cercavano un po’ di intimità, finchè non sono entrata in camera di Joey. E lì, effettivamente, l’ho trovato, che pomiciava sul suo letto con una rossa mai vista prima. E io ci ho visto rosso. E non a causa dei capelli della tipa.
In un attimo di follia, ho afferrato la prima cosa che mi è capitata sottomano – un libro – e l’ho lanciato in testa alla ragazza. Solo che ho colpito Joey. Beh, almeno avevo preso qualcuno. Lui ha alzato la testa, rintronato dal colpo e dall’alcool, e mi ha guardato per un attimo, e io l’ho guardato con due occhi che probabilmente dovevano essere da folle, dilatati dall’alcool e dalla canna di prima.
“Oh, merda. Aspetta un attimo, Stella.” Si è alzato e ha buttato la ragazza giù dal letto mentre io uscivo di corsa dalla stanza. Ma ovviamente ero stroncata, e non sono riuscita ad andare molto lontano. Joey mi ha trovata su un gradino a metà scala che mi tenevo lo stomaco, nauseata. Si è seduto accanto a me.
 
“Non voglio che baci le altre ragazze” ho biascicato, confondendo le parole.
Lui è rimasto in silenzio un bel po’, probabilmente nel tentativo di formare una frase che avesse senso.
“Neanch’io voglio che tu baci gli altri ragazzi” ha detto infine.
Mi ha preso il mento e mi ha fatta voltare. Non so perché, avevo le lacrime agli occhi. Mi ha lasciato il viso e mi ha preso le mani fra le sue, guardandomi intensamente. Il mio stomaco ribolliva.
Ho fatto in tempo a voltarmi dall’altra parte che ho vomitato l’anima. Non riuscivo a smettere. A un certo punto ho pensato che sarei morta soffocata. Ho sentito Joey sibilare a qualcuno: “Matt, cazzo, vai a prendere una bacinella!” e poi due mani mi hanno spostato i capelli dal viso mentre vomitavo. Poco dopo qualcuno mi ha ficcato una bacinella sotto la bocca, così ho smesso di imbrattare le scale di Billie Joe. Joey continuava a tenermi i capelli.
“Grazie” ho mormorato quando ho finito, pulendomi la bocca. “Scusa, ho sporcato tutto.”
“Non è niente. Tutto bene?”
“Ora sì. Joey, io…”
Un rumore ha interrotto il monologo che mi stavo confusamente preparando a pronunciare.
Una sirena.
Una sirena?!
Proprio così, una sirena. Una sirena della polizia.
 
Un minuto dopo, i poliziotti hanno fatto irruzione in casa.
Come in un film, la musica si è interrotta di colpo.
“Allora, che succede qui, eh?”
L’agente si è fatto largo tra i ragazzi divenuti di colpo silenziosi che lo guardavano confusi.
“Chi è il padrone di casa? C’è qualcuno di sobrio, qui?”
Io e Joey ci siamo alzati in piedi. “Stai qui!” mi ha sibilato lui, ma non gli ho dato ascolto e l’ho seguito al piano di sotto, dove c’era il poliziotto.
“Sono io” ha fatto, alzando una mano.
“Allora? I vicini mi hanno chiamato per il troppo rumore, entro e vedo un mucchio di minorenni ubriachi? Che storia è questa, Armstrong?”
“E’ stata una mia idea, è colpa mia” sono intervenuta. L’agente mi ha lanciato un’occhiata disgustata. In effetti la visione di una ragazza con i capelli azzurri unticci e i vestiti provocanti sporchi di vomito doveva andare ben oltre il suo limite di sopportazione.
“Non dia retta a mia… A mia sorella, agente” ha ribattuto Joey. “Ha bevuto troppo, non sa quello che dice. Ho organizzato tutto io.”
“Vaffanculo, Joey!” Ho sbottato.
Il poliziotto ha interrotto la nostra patetica lite.
“Non mi interessa chi ha avuto l’idea e di chi è la colpa. Dove sono i vostri genitori?”
“A New York” ha risposto Joey, con aria immensamente depressa.
“Quando torneranno, ditegli pure che dovranno pagare una multa di cinquecento dollari per schiamazzi notturni e per aver lasciato che dei minorenni bevessero alcool. Per stavolta non vi condurrò tutti in questura… Ma solo perché siete dei ragazzini. Che non succeda più. Avanti, tutti fuori!” Ha esclamato poi, con un’altra occhiata nauseata nei confronti della gente che aveva assistito ammutolita alla scena. Uno a uno, si sono alzati tutti e si sono diretti verso la porta.
 
Quando la casa è rimasta vuota, il poliziotto, con un ultimo sguardo schifato nella nostra direzione, è uscito senza salutare. Dovevamo apparirgli come dei depravati figli di Satana, ne convengo. Per poco non gli sono scoppiata a ridere in faccia.
 
Una volta rimasti soli io e Joey, senza dire una parola, ci siamo messi a riordinare la casa. La sbronza mi era in gran parte passata, ma avevo un mal di testa terribile. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse accartocciata e ficcata in un tubo di metallo del diametro di quindici centimetri.
Mentre ero impegnata a buttare le bottiglie in un grande sacco nero, Joey è comparso in salotto con un altro sacco pieno.
“Senti, Sallie…” Ha detto, schiarendosi la gola.
Mi sono raddrizzata e l’ho guardato.
“Niente. Il piano di sopra è fatto.”
Sapevo che non era questo quello che voleva dirmi, ma sono stata contenta che non l’abbia detto.
 

Sallie



 

Eccomi con un nuovo capitolo! U.U Volevo solo dirvi che (forse qualcuno di voi l'avrà notato) ho deciso di dividere la storia in più parti. Questa è ancora la prima parte e si intitola "Where's your undiyng love?". Grazie mille a voi che leggete e commentate sempre:3 
 

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Capitolo 27
*** Caution, police line, you better not cross. ***


10 Marzo

 
Devo assolutamente scrivere quello che sta succedendo in questi giorni, e in particolare quello che abbiamo fatto oggi, perché questa ce la ricorderemo per sempre, anzi, scommetto che quando saremo vecchi e sdentati sorrideremo e i nostri occhi mezzi sepolti tra le rughe brilleranno mentre uno di noi dirà: “Vi ricordate quel pomeriggio di marzo, nel 2011?”
 
Insomma, vado subito al sodo. Anzi, prima devo raccontarti cosa è successo in casa Armstrong dopo la famosa sera della festa.
Quando Billie Joe, Adrienne e Jakob sono arrivati a casa non c’ero, perché ero andata a casa di Mike a prendere il borsone che avevo lasciato lì due giorni prima e ad avvisarlo che Joey mi aveva invitato a stare da loro finchè non avrei fatto pace con mia madre.
Quando sono arrivata, Joey era seduto sul divano e Adrienne e Billie Joe se ne stavano in piedi davanti a lui a braccia incrociate, e sembravano furiosi. La porta era aperta, così sono entrata senza che i due se ne accorgessero. Joey si è limitato a farmi l’occhiolino mentre lo guardavo basita.
“… Lasciarti solo a casa per tre giorni che tu ci fai denunciare dai vicini e fai arrivare i poliziotti in casa?!” Stava gridando Adrienne. “Ma che diavolo ti salta in testa? Sei un completo irresponsabile!”
“Ehm, Adrienne” ho cercato di dire, ma nessuno mi ha sentito.
“Aspetta, Adie” L’ha interrotta Billie Joe. “Solo una cosa.” Ha guardato il figlio con espressione minacciosa. “Hai fatto sesso con qualcuno nel nostro letto?”
Adrienne ha sbuffato, mentre Joey esclamava: “Certo che no, papà!”
“Sul tavolo in cucina?”
“No!!”
“Sul pianoforte?”
“Papà!”
A questo punto mi sono schiarita la voce, interrompendo l’imbarazzante interrogatorio di Billie Joe. Joey mi ha guardato riconoscente, mentre Adrienne e Billie si voltavano verso di me.
“Sallie! Non ti avevamo sentita entrare!” Adrienne mi è venuta incontro e mi ha abbracciata, facendomi sentire un lieve senso di colpa.
Billie Joe si è scompigliato i capelli, e, dopo aver lanciato un’occhiata al figlio, ha fatto un gran sorriso. “Joey ci ha detto che saresti venuta. Ti sei avvicinata al pianoforte ultimamente?”
Joey si è nascosto il volto tra le mani, esasperato e imbarazzato.
“Papà!!!”
Ho sorriso, cercando di nascondere l’imbarazzo. “Ciao, Billie. Ciao, Adie. Tranquilli, nessuno ha toccato il pianoforte… Comunque, non dovete prendervela con Joey, l’idea della festa è stata solo mia. Scusatemi. Non immaginavo che sarebbe andata così.” Ho detto tutto ad un fiato prima che Joey potesse interrompermi. Ho sbirciato la sua espressione: era a metà tra l’ammirato e il contrariato.
Billie Joe si è stretto nelle spalle. “Oh, be’, non è tanto la multa o la polizia che mi preoccupa, ma…”
“Billie!” Ha sibilato Adrienne. Lui si è voltato a guardarla, confuso.
“Che c’è?”
“C’è tuo figlio, qui! Non potresti cercare di fare il genitore responsabile, una volta tanto?”
Io e Joey abbiamo soffocato una risata.
“Adie, capita almeno una volta nella vita di dare una festa che viene interrotta dalla polizia. Questo non è particolarmente grave, la cosa grave è che a queste feste si fa sesso su posti che sarebbe meglio non toccare, come il mio pianoforte!”
Joey ha scosso la testa, arrossendo furiosamente.
“Ha tradito la nostra fiducia!” Ha ribattuto Adrienne, indicando Joey col mento.
“Beh, si…” Ha convenuto Billie Joe dubbioso. In realtà ho avuto la netta impressione che lui fosse orgoglioso di suo figlio per quello che aveva fatto, credo che per lui significhi che Joey sta portando avanti la tradizione della ribellione, o qualcosa del genere. Ma non poteva certo dirlo in quel momento.
“E invece no” sono intervenuta. “Perché è stata tutta una mia idea, e quindi la colpa è tutta mia.”
“Ecco, vedi?” ha detto Billie Joe alla moglie con un sorriso. “Tutto risolto.”
 
Alla fine ad Adrienne è sbollita la rabbia, e casa Armstrong in questi giorni è più agitata che mai. Infatti, tutte le mattine, mentre Joey e Jakob sono a scuola e Adrienne al lavoro, vengono Mike e Tre, e i Green Day passano ore e ore a suonare come pazzi nella sala delle prove, una stanza insonorizzata che si trova in cantina e in cui c’è la batteria che Tre solitamente usa durante le prove. Io assisto sempre, e non posso fare a meno di sorridere guardandoli. Billie Joe scrive canzoni nuove in continuazione, e i tre sembrano più ispirati e pieni di energia che mai. Spesso continuano a suonare per tutto il giorno, fino a tarda sera.
 
Bene, sono arrivata ad oggi. Questo pomeriggio, infatti, c’era un caldo terribile, insolito per i primi di marzo, e io, Joe, Larry e Joey non avevamo voglia di starcene in casa.
Siamo andati a fare un giro per Berkeley, ma la calura era insopportabile. Volevamo bere qualcosa, ma nessuno di noi aveva soldi con sé. Così abbiamo escogitato un piano per rubare delle birre al 7-11: le avremmo tolte dal cartone d’imballaggio e io le avrei infilate nella borsa, mentre gli altri avrebbero controllato che nessuno ci vedesse.
Solo che, beh, non ha funzionato molto.
Infatti, mentre ci dirigevamo verso l’uscita, ci ha raggiunti un sorvegliante decrepito.
“Svuota la borsa, ragazzina” mi ha detto corrugando le sopracciglia con aria torva. Altri guai con la polizia! Non ci voleva.
Io e gli altri ci siamo scambiati un’occhiata eloquente.
“Scappate!” Ho strillato, e siamo corsi fuori. Il vecchietto, però, ci ha inseguiti. Così abbiamo corso a perdifiato per un paio d’isolati, ridendo come pazzi, mentre la guardia rimaneva sempre più indietro, finchè non abbiamo svoltato un angolo ed è sparita alla vista.
Abbiamo corso ancora un po’, fino ad arrivare al molo di Berkeley, per poi lasciarci cadere su una banchina, senza fiato per la corsa e per il gran ridere.
Mi sono sdraiata per terra, respirando a fondo.
“Uh! Per un pelo”
“Ma come diavolo ha fatto a beccarci?” ha chiesto Larry. “Dalla parte del corridoio che dovevo tenere d’occhio io non c’era nessuno!”
“Neanche dalla mia, ne sono certo! Ero attentissimo!” Ha esclamato Joe.
Joey è arrossito un po’, prima di dire: “Forse era dalla mia parte… Credo di essermi distratto.”
“E cosa ti ha distratto, esattamente?” Gli ha chiesto Joe con un sorrisetto furbo. Joey è arrossito ancora di più, ma non ha risposto. Io mi sono voltata dall’altra parte, imbarazzata.
“Lasciamo perdere” è intervenuto Larry, salvandoci dall’impaccio. “Tanto ormai è andata. Sallie?!”
Mi sono tirata su di scatto. “Che c’è?”
“Come ‘che c’è’? Abbiamo fatto tutta questa corsa per cosa, secondo te?”
L’ho guardato smarrita per qualche istante. “Oh, certo! Le birre.”
Ho visto Joe lanciare prima un’occhiata a me, poi a Joey, e infine al cielo. Mi sono messa a frugare nella tracolla nera per non far vedere che stavo arrossendo.
“Ecco.” Ho distribuito le bottiglie, una ciascuno.
“Alla vecchia guardia di prima!” Ha esclamato Larry in tono solenne.
Abbiamo brindato e vi ci siamo attaccati.
 
Poco dopo, ce ne stavamo tranquillamente seduti sul ciglio del pontile, con i piedi che sfioravano l’acqua. Guardavamo l’orizzonte e i raggi del sole luccicare sull’acqua sudicia del porto. Faceva un caldo pazzesco.
“Buttiamoci” ha fatto Larry all’improvviso, guardandoci con quella sua luce negli occhi che compare ogni volta che gli viene un’idea folle.
“Cosa?!” Ha esclamato Joey corrugando le sopracciglia.
“Mi hai sentito. Buttiamoci! Fa un caldo terribile, ho voglia di fare un bagno.”
“Nelle acque del porto?” Ho replicato scettica alzando un sopracciglio.
“E dove sennò? Andiamo!”
“Ci sto” ha sorriso Joe.
“Ok, dai!” Joey mi ha guardata con aria di sfida: “Non avrai mica paura?”
“Credevo di averti già dimostrato che non ho paura di niente” ho sibilato, e mi sono alzata per prima. “Forza, su! Buttiamoci!”
Joe è saltato in piedi e si è sfilato la maglietta e i pantaloni, dopodiché ha preso la rincorsa e si è tuffato a bomba, bagnandoci tutti. Quando è riemerso, aveva i capelli pieni di alghe.
“Bleah! Che schifo! Forza, buttatevi!”
Sono scoppiata a ridere, e mi sono tuffata insieme a Larry.
L’acqua non era particolarmente fredda, ma sembrava viscida, quasi oleosa, a causa di tutti i rifiuti che le barche scaricano in quel posto. Inoltre, c’erano macchie di fango e alghe che galleggiavano in superficie, su cui volavano dei moscerini. C’era una puzza indicibile di fogna.
Sono riemersa sputacchiando.
“Quest’acqua è un cesso!” Ho esclamato. Accanto a me, ho visto riemergere Joey, che aveva un’espressione disgustata.
“Bella idea, tuffarvi tutti quanti vestiti” ha riso Joe, prendendo un po’ d’acqua in bocca e sputandocela in faccia.
“Ma che schifo, Joe!” ho esclamato ridendo.
Larry si è tolto la maglietta fradicia e ha preso a frustarlo con quella.
“Ah, si? Beccatevi questa, brutti bastardi!” Ha gridato Joe, e ha cominciato a schizzarci tutti con quell’acqua melmosa e schifosa. Io e Joey gli siamo saltati addosso cercando di affogarlo, ma Joe ci ha tirati su giù sott’acqua con lui, in un intreccio di gambe, braccia e volti. Siamo riemersi sputando. Ho sentito qualcuno prendermi per le gambe e trascinarmi di nuovo sott’acqua: Larry.
Ci ho messo un po’ per tornare in superficie, ed ero mezza accecata dall’acqua e dal sale. “Brutto stronzo!” Ho gridato, aggrappandomi a un braccio ignoto. Ho sentito altre risate e il braccio cingermi la vita.
“E’ inutile che gridi, Joe e Larry hanno iniziato una gara di nuoto e ormai non ti sentono più” ha ridacchiato Joey. Ho aperto faticosamente gli occhi e mi sono voltata verso di lui. Mi sono liberata dal suo abbraccio sogghignando. “Tipico, quei due trovano sempre un’occasione per fare gare…”
“Sallie, hai delle alghe nei capelli” ha esclamato allegramente e si è allungato per togliermele. Ho sentito dei brividi sulla nuca che non avevano niente a che fare con quelle alghe schifose. *
Ci siamo guardati per qualche istante di imbarazzante silenzio, interrotto per fortuna dagli strilli di Joe e Larry che erano tornati indietro.
“Fottiti, Joe! Ci sono arrivato prima io a quella dannata boa!”
“Continua a parlare, Larry!”
In quel momento abbiamo sentito delle voci provenienti dal pontile. Qualche secondo dopo, abbiamo visto un vigilante dall’aria sbalordita sporgersi verso di noi.
“Hey, voi! E’ vietato tuffarsi nelle acque del molo!”
Era la seconda volta oggi che un vigilante voleva fermarci.
“E allora vienici a prendere!” Gli ha gridato Larry in risposta, facendo alcune bracciate all’indietro.
Io, Joe e Joey siamo scoppiati a ridere.
Nessuno può vietarci di fare quello che vogliamo, e affanculo tutte quelle guardie e i loro dannati cartelli rossi che cercano di fermarci.
I loro divieti se li possono ficcare dove non splende.
 
“Salite immediatamente o chiamo la polizia!”
“Dannazione!” Ha esclamato Joey. “Nella vostra vita non sapete far altro che chiamare la polizia, voialtri? Cristo!”
Ci siamo scambiati un’occhiata eloquente. Non avevamo voglia di venire ripresi dalla polizia per la seconda volta in una settimana. Adrienne avrebbe dato fuori di matto.
Così  siamo risaliti sul pontile. Eravamo fradici e sporchi, e ci siamo scossi apposta per bagnare la guardia, che si è allontanata di qualche passo.
“E’ vietato stare qui, andatevene immediatamente a casa!”
Questa, poi, doveva essersela inventata, ma abbiamo pensato che per il momento era meglio togliersi dai piedi e andare altrove. Così siamo tornati a casa di Joey.
“Santo Cielo!” Ha esclamato Adrienne quando ci ha visti tornare. “Ma dove diavolo siete stati?!”
“A fare un bagnetto” ha ghignato Joey.
Adrienne ha alzato gli occhi al cielo. “Non voglio sapere niente!”
 
Quando abbiamo a raccontato a Billie Joe della nostra piccola avventura nel molo, ha ridacchiato deliziato.
“Ragazzi” ha fatto scuotendo la testa “Farvi beccare due volte nello stesso giorno! Siete dei principianti. Io e Tre possiamo insegnarvi qualche trucchetto, o prima o poi vi arresteranno.”
Ho visto Joey scuotere la testa esasperato.
 
Comunque, tra meno di una settimana sarà il compleanno di Joey. Non so se ha intenzione di fare qualcosa, ma devo sbrigarmi a cercare un dannatissimo regalo. E questo è un bel problema, visto che sono sempre stata un disastro con i regali. E per di più non ho un soldo. Oh santo cielo. Chissà se Joey si accontenterà di un semplice “buon compleanno”?
Vado, Adrienne ci chiama per la cena.
 
 

Sallie

 
* Qui ho citato un breve passo di Harry Potter E Il Principe Mezzosangue, la scena della mattina di Natale in cui Ginny toglie un verme dai capelli di Harry. Forse si può chiamare plagio, ma mi piaceva troppo questa scena per non metterla :3 

*Spazio Autrice*
Hemm... Salve:3 Non sono proprio riuscita a sintetizzare questo capitolo, che forse è venuto un po' lunghetto. Beh, spero comunque che vi piaccia. Mi raccomando, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie millemila ai diciassette che hanno messo questa storia tra le preferite e ai diciotto che l'hanno messa tra le seguite. Siete meravigliosi, tutti, dal primo all'ultimo. Grazie in particolare a InNeverlandWithU, Sociopath_, e Harleen Quinzel che leggono e recensiscono regolarmente. Grazie, grazie, grazie mille:3

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Capitolo 28
*** Take Back. ***


17 Marzo 2011

 
Eccomi qui dopo un’altra settimana. Non puoi neanche immaginare cos’è successo ieri.
Ieri è stato il compleanno di Joey, come ti avevo accennato l’altro giorno. Ed è stata la migliore festa che ci potesse essere. E credo che anche per lui sia stato il miglior compleanno di sempre. Diciamo che si è tolto non poche soddisfazioni.
Praticamente, ieri io, Adrienne e Billie ci siamo svegliati alle cinque per fargli una sorpresa prima che andasse a scuola. Erano venuti anche Joe, Ramona, Estelle e il resto degli Emily’s Army, così ci siamo messi a guarnirgli una torta fantastica che Ramona aveva preparato la sera prima. Alle sette in punto siamo piombati in camera sua con la torta con quindici candeline e una girandolina di Natale (la sedicesima non siamo proprio riusciti a trovarla) e delle lattine di coca, cantando Tanti Auguri A Te ognuno con tempi diversi. Billie Joe la cantava a ritmo di American Idiot, io e Joe avevamo scelto una specie di lenta marcia funebre e Cole, che aveva afferrato una delle tante chitarre sparse per il salotto, ne stava suonando una versione decisamente punk.
L’effetto complessivo, effettivamente, non dev’essere stato molto gradevole, infatti le prime parole di Joey quando si è svegliato sono state: “D’accordo, è il mio cazzo di compleanno, ma piantatela di fare tutto questo chiasso o vi ficco quella cazzo di torta su per il culo!”.
Amabile come sempre.
“Joey, piantala di dire volgarità o te la ficco io la torta su per il culo!” Lo ha rimproverato Adrienne.
“Ma che cazzo, è una torta e ci ho messo tutta ieri sera per farla, perché dovrebbe finire su per il culo di qualcuno?” Si è lamentata a gran voce Ramona.
“Ok, ricominciamo daccapo!” Ho strillato, prima che la situazione potesse degenerare. “Buon compleanno, Joey” Ho fatto, e gli ho lanciato addosso il mio regalo, colpendolo in fronte.
“Ahia! Cazzo, Sallie!”
“Ops! Scusa, Jo, non volevo colpirti!”
“Joseph, piantala di dire parolacce!”
“Ma che cazzo, mamma!”
“Già, Adrienne, lascialo in pace almeno il giorno del suo compleanno!”
“Ah, è così che educhi tuo figlio?! Vuoi che finisca anche lui diciassette volte in prigione per turpiloquio e atti osceni in luogo pubblico?”
“Beh, sarebbe fico” Ha fatto imprudentemente Billie Joe. Ho visto il fumo uscire dalle orecchie di Adrienne prima che Joey li interrompesse:
“Hey, vi ricordo che oggi è il mio compleanno. Dovrei essere io quello al centro dell’attenzione!”
“Sì, scusa, Joey” Sua madre si è ripresa e si è seduta ai piedi del suo letto mentre Joey scartava impaziente il mio regalo: un album di ricordi fatto praticamente a mano e decorato in copertina con i simboli delle sue band preferite e una batteria stilizzata, già riempito nelle prime pagine di foto scattate in questi mesi, frasi di canzoni, disegni e cose del genere.
“Hey, Sal! E’ fantastico!”
“Roba da niente” ho fatto agitando una mano con leggerezza.
Ci avevo messo una notte intera per decidere che diavolo regalargli e poi due interi pomeriggi a casa di Ramona, per un totale di qualcosa come dodici ore, per mettere insieme tutto, portandoci entrambe sull’orlo di una crisi di nervi.
Ramona mi ha lanciato un’occhiataccia.
Dopo che Joey ha scartato tutti i regali e dopo aver tutti mangiato una fetta di torta, Billie Joe ha insistito per accompagnarlo personalmente in macchina, e tutti abbiamo capito perché: voleva dargli la sua prima lezione di guida. Joey non sembrava tanto entusiasta all’idea di passare così tanto tempo da solo con suo padre.
Ma comunque. La mattinata è passata veloce, come al solito ho fatto tutte le pulizie nonostante Adrienne mi abbia minacciato più di una volta di buttarmi fuori di casa se avessi alzato un solo dito (mi sento troppo in colpa a stare da loro senza fare niente), dopodiché sono andata con Billie Joe a prendere Joey a scuola. Mentre lo aspettavamo appoggiati alle portiere della sua vecchia Ford, Billie Joe ha cercato di intavolare una specie di discorso. Imbarazzante. Davvero molto, molto, imbarazzante. La conversazione si è svolta più o meno così:
BJ: “Joey ti vuole molto bene.”
IO: “Eeeeeeh…”
BJ: “Non credo di averlo mai visto affezionarsi così a una ragazza, per dirti la verità.”
IO: “Eeeeeeh…” 
BJ: “Dico sul serio.”
IO [pensando che era ora di smetterla con gli “eeeeeeh” e di passare a una battuta più consistente]: “Uh-uh.”
BJ: “Anche tu gli vuoi bene, no?”
IO: “Uh-uh.”
BJ: “E poi, ormai Joey non è più un ragazzino. Ormai è un uomo. Penso che dovrebbe pensare seriamente al suo futuro.”
IO [cercando una scappatoia da quell’argomento di conversazione]: “Sì, è un ottimo batterista.”
BJ: “Già. Certo. Ma non intendevo solo questo, Sallie.”
IO: “Uh-uh.”
BJ: “Pensavo più, non so, che io avevo diciotto anni quando ho incontrato Adrienne. Joey ne ha sedici. Non cambia poi molto.”
IO: “Mmm, già.”
BJ: “Sai cosa penso? Penso che voi due insieme sareste una coppia perfetta, Sallie.”
IO [dopo essermi strozzata con la mia stessa saliva e aver tossito all’incirca per un quarto d’ora]: “Ehm…”
BJ: “Non sei d’accordo?”
IO: “Cioè, veramente io…”
BJ: “Cioè, io non mi aspetto che voi vi sposiate o roba del genere. Assolutamente no. Almeno, non subito, capisci? Siete giovani e dovete fare le vostre esperienze e bla bla bla… Ma, voglio dire, penso che insieme voi due sareste perfetti. Che ne pensi, eh, Sal?”
IO [avvistando Joey da lontano e cominciando a sbracciarmi come una pazza per sfuggire a quella conversazione da incubo]: “Hey, Jo!!! Siamo qui!!!”
 
Fortunatamente, Billie Joe non ha più cercato di riprendere il discorso. Mi ha… Come dire… Terrorizzata? Sì, può darsi. Se mi piace Joey? Beh, credo che a questo punto non posso più mentire a me stessa e sì, mi piace un sacco. Se avevo mai pensato a un eventuale futuro con lui? No, per niente, e non ho intenzione di farlo. Ho sedici anni! Ho paura di legarmi a un ragazzo per più di due settimane e poi spunta fuori Billie Joe a parlarmi di matrimonio? Ma che diavolo succede a tutti quanti? Cristo!
 
Ritornando al filo del discorso, il pomeriggio lo abbiamo passato a casa Armstrong insieme con gli Emily’s Army e tutti gli altri, a suonare e cazzeggiare.
La sera, quando tutti ormai erano tornati a casa, Joey mi ha fisicamente impedito di mettermi a tavola con la famiglia.
“Dobbiamo fare una cosa! E’ ancora il mio compleanno, e voglio festeggiare come diavolo voglio!”
“Fammi capire, vuoi farmi morire di fame solo per festeggiare degnamente il tuo compleanno?”
“Sta’ zitta e riempi questa cazzo di borsa”
Mi ha lanciato addosso una tracolla nera.
“E con cosa dovrei riempirla, di grazia?”
“Tutto il cibo e la roba da bere che vuoi.”
“Si può sapere cos’hai in mente?”
“Cazzo, Sallie, non puoi semplicementefidarti senza fare tutte queste domande? A proposito, Joe è già tornato a Rodeo?”
“No, ha detto che si fermava a cena a casa di Travis.”
“Perfetto.”
Ero sul punto di fare un’altra domanda, ma ho lasciato perdere perché sapevo che mi avrebbe seriamente picchiata.
Dopo aver riempito la borsa con ogni sorta di schifezze, Joey mi ha afferrato la mano e mi ha praticamente trascinata fuori casa, correndo come un pazzo.
“Potrei sapere dove stiamo andando così di fretta?”
“A casa di Travis” mi ha risposto lui. Ho alzato gli occhi al cielo.
Solo che, mentre correvamo per le strade di Berkeley, siamo incappati in un piccolo, come dire… Imprevisto.
Jack Kelly ci veniva incontro dalla direzione opposta.
L’ho visto prima io. Mi sono bloccata di colpo, esclamando un meraviglioso “oh, porca puttana” e cercando una soluzione per fare in modo che Joey non lo vedesse. Avevo la sensazione che se quei due si fossero incontrati, sarebbe finita male. Cioè, non fraintendermi, anche io non vedevo l’ora di spaccare il muso a Kelly. Ma preferivo che Joey non venisse coinvolto. Dato che già una volta si è beccato un bel pugno in un occhio da quello stronzo.
Beh, troppo tardi.
Joey si è fermato e ha lasciato cadere la tracolla per terra. “Quello non è quel porco di Kelly?!” ha esclamato, scrocchiandosi le dita. L’ho preso per un braccio per fermarlo.
“No, macché, non è lui, dai andiamo via…”
“Sallie, mollami, perché io adesso lo uccido e non vorrei che ti facessi male.”
“Jo, parliamoci seriamente, quello ti ammazza!”
“Non se sono io ad ammazzare lui” ha ringhiato. Poi ha scrollato il braccio per liberarsi dalla mia presa. In quel momento Kelly ci ha riconosciuti e ha fatto un sorriso bastardo.
“Ancora in giro, Armstrong? Cos’è quella faccia, Sallie ti ha raccontato quanto ci siamo divertiti l’altra sera? Cioè, dev’essere frustrante per te non essere arrivato neanche al bacio con una puttanella simi…”
 Non ha fatto neanche in tempo a finire la frase. Joey gli è letteralmente saltato addosso. Sono rimasta  a fissarli per un attimo, indecisa, poi mi sono precipitata a dargli manforte. Sentivo pugni e calci volare dappertutto, io l’ho centrato con un destro ma poi Kelly mi ha mollato un calcio nello stomaco che mi ha mozzato il fiato per qualche istante, dopodiché mi si è presentata questa visione: Joey era seduto a cavalcioni su Jack che lo prendeva a pugni.
“Stanne-fuori-Sallie!” Ha ringhiato, sottolineando ogni parola con un pugno, mentre l’altro non poteva far altro che gridare e scalciare.
“Col cazzo! Questo è più affar mio che tuo, Joey!”
“Stanne fuori e basta!”
“Lasciami, stronzo!!! Lasciami o ti ammazzo!” Questo era Jack.
“Fa male, eh, essere dalla parte di chi le prende, vero, pezzo di merda?!” Ha gridato Joey. Pugno. Labbro spaccato.
“Ti brucia soltanto che lei abbia scelto me!” Bum. Un altro pugno dritto nello stomaco. Fiato mozzato.
“Ti spacco la testa” ha sibilato Joey.
“Alzati, Joey!” Ho gridato.
“No!”
“Levati e basta!” L’ho spinto via con tutte le mie forze, e Joey è rotolato giù dal corpo di Jack, che si teneva una mano sullo stomaco per non vomitare. Mi sono accucciata di fronte a lui, in modo da guardarlo dritto in faccia. Poi gli ho tirato un pugno dritto nel naso.
“Questo è per avermi picchiata.” Mi sono alzata e gli ho tirato un calcio che l’ha fatto rotolare sull’asfalto. “E questo è per il ‘puttanella’, pezzo di stronzo.” Ho sibilato ancora. Jack ha cominciato a vomitare in mezzo alla strada. Perdeva sangue dal naso e dalla bocca e aveva entrambi gli occhi neri.
Joey mi guardava a metà tra l’ammirato e il contrariato.
“Andiamo, Jo, non vale la pena di perdere altro tempo con questo qui.” Ho sibilato, disgustata, così ci siamo allontanati in silenzio, lasciandolo lì a vomitare.
Eravamo entrambi in imbarazzo. Inoltre, Joey mi aveva spaventata. Per questo gli avevo detto di togliersi da sopra Kelly. Aveva gli occhi spiritati e sembrava pronto ad ammazzarlo. Non avevo mai visto questo suo lato così violento.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, ha parlato lui per primo:
“Non so cosa mi abbia preso” ha mormorato.
“Se lo meritava.” Ho risposto.
“E’ che… Tu non ti sei vista quella sera, quando ti sono venuto a prendere nel parcheggio. Facevi paura, Sal. Quella visione mi ha perseguitato in questi giorni, e quando me lo sono trovato davanti… Non so, non sono riuscito a trattenermi. Avrei potuto ammazzarlo, Sal, e l’avrei fatto con gioia.” Mi ha guardata dritta negli occhi.
“Joey, nessuno meglio di me può capirti, davvero. Quanto a violenza, sono la persona più istintiva del mondo. Non credere di avermi… Che so, spaventata o roba del genere.”
“Ma ti ho spaventata. Mi sono spaventato da solo. E poi ho visto la tua faccia.”
“E’ solo che non me lo sarei mai aspettato da te, punto. Non devi chiedermi scusa di niente.”
“Beh, sinceramente non mi dispiace per niente di averlo picchiato. Anzi, è stata una bella soddisfazione. Se lo meritava. Solo, beh, credo che tu abbia fatto bene a spingermi via a un certo punto.”
Ho ridacchiato, dandogli una gomitata. “Ci si prende gusto a menare Kelly, vero?”
Ha alzato gli occhi al cielo. “Non immagini quanto.”
Ho sospirato sorridendo, e gli ho passato un braccio intorno alla vita.
“Sai, forse Kelly aveva ragione” ha mormorato lui dopo un po’ con aria cupa.
“Si, ci stavo pensando anch’io. Ha ragione, forse sono davvero una cazzo di puttanella.”
Mi ha lanciato un’occhiata severa. “Non dire stronzate, o prendo a pugni anche te. No, dicevo… Forse aveva ragione dicendo che la verità era che mi bruciava che tu avessi scelto lui.”
Ho taciuto, imbarazzata. Joey si è fermato e mi ha fatto voltare, guardandomi dritta negli occhi. Ha fatto per parlare, quando una voce l’ha interrotto.
“Joey?! Sallie?! Che cazzo ci fate qui?!”
Era Travis che ci chiamava da una finestra. Eravamo arrivati a casa sua.
Anche Joe si è affacciato: “Hey, ragazzi!”
Io e Joey abbiamo sospirato, ma il mio era un sospiro di sollievo. Lui ha sorriso.
“Beh, ora arriva la sorpresa. Rimarrete tutti quanti a bocca aperta, ve l’assicuro.”

 
 
Hey, eccomi tornata dopo una luuuuunga pausa… Perdonatemi D:
Questa giornata è divisa in due altrimenti risultava troppo, davvero troppo lunga!
Spero che il capitolo vi piaccia :3 Che ne pensate del discorso sconclusionato di Biggei? E della vendetta di Joey? Fatemi sapere u.u
Ah, si: ho scoperto solo oggi che in realtà Joey è nato il 28 Febbraio (che data di nascita stra figa!) perciò, insomma, la realtà risulta leggermente modificata per ignoranza dell’autrice. Vabbuono, la pianto di annoiarvi con il mio blablabla insensato e vi saluti, Meravigliosi e Pazienti lettori. Vi amo tutti, siete dei gran fighi u.u 

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Capitolo 29
*** Longview. ***


“Joey, si può sapere dove diavolo ci stai portando?” Ho sbuffato all’incirca mezz’ora dopo. Ero affaticata, sudata e sporca di terra e polvere, in più avevo i polsi coperti di graffi rossi e brucianti a causa della rissa con Jack, e ancora non capivo dove stessimo andando; ci limitavamo a seguire Joey attraverso le strade più periferiche di Berkeley, finché non siamo usciti dai confini della città.
Anche se non potevo vederlo in faccia, potrei giurare che stava alzando gli occhi al cielo.
“Siamo quasi arrivati, Sal!” Mi ha risposto spazientito, dopodiché ha preso ad arrampicarsi sulle colline che dominano il paesaggio appena fuori Berkeley.
L’abbiamo seguito più perplessi che mai. Finalmente, una decina di minuti dopo, si è fermato. Si guardava intorno con aria soddisfatta, e gli occhi gli brillavano. Ci trovavamo sulla collina più alta di tutte, e da lì riuscivamo a vedere buona parte della città sotto di noi.
“Stanotte dormiamo qui” Ha esclamato con un sorriso.
“Cosa?!” Ha fatto Travis, confuso.
Io e Joe lo guardavamo con gli occhi fuori dalle orbite.
“Ragazzi, non sapete cosa succede oggi? L’evento di cui parlano tutti i giornali e che tutti attendiamo da settimane, anzi mesi, per non dire anni?”
Mi sono schiaffata una mano sulla fronte.
“Cazzo! E’ vero! La pioggia di meteoriti!”
Gli altri tre mi hanno guardata confusi.
“La che…?”
“Non ti riferivi a questo, Joey? Ci sarà una pioggia di meteoriti stasera, che sarà visibile da alcuni punti isolati come queste colline… Ma… Non stavi parlando di questo?” Ho aggrottato le sopracciglia, guardandolo smarrita.
“No” Ha risposto lui stringendosi nelle spalle. “Io intendevo il festival rock che ci sarà stasera a Berkeley e di cui, purtroppo, non sono riuscito a reperire i biglietti! Ci sarà un mucchio di gente fantastica, sapete, tipo Serj Tankian e gli Avenged Sevenfold e un sacco di altre band. Solo che, come Travis sicuramente ricorderà, l’ultima volta che ho provato a imbucarmi a un concerto senza biglietto me la sono vista parecchio brutta, così mi è venuta quest’idea.” Ha fatto un ampio sorriso. “Da qui magari non riusciremo a vedere ogni singolo tatuaggio di Synyster Gates, ma vi assicuro che l’acustica è ottima!”.
Gli sono saltata addosso, abbracciandolo entusiasta. “Joey, sei un cazzo di genio!”.
“Schiaffamelo, Jo!” Ha esclamato Joe, battendogli il cinque e poi dandogli una pacca sulla schiena.
Travis, invece, se ne stava immobile, fissando Joey con espressione contrariata.
“Che hai, Travis?”
“Mi chiedevo solo… Questa è un’idea geniale, come hai fatto a pensarci tu e non io?”
“Appunto perché è un’idea geniale” Ha ribattuto Joey, piccato.
Appunto!” Ha insistito Travis. “Non riesco a capacitarmene, non…”
“Si, Travis, abbiamo capito” Ho ridacchiato dandogli una pacca sulla schiena.
Abbiamo steso i teli sulla collina e ci siamo seduti, poi abbiamo tirato fuori le patatine, i pop corn, la cioccolata e i sottaceti. Intanto, potevamo vedere come l’atmosfera giù in città si stava scaldando: sentivamo le urla dei fan e i primi accordi di chitarra.
Abbiamo assistito a tutto il concerto, e ogni tanto potevamo intravedere una meteorite attraversare il cielo proprio sopra le nostre teste.
In quel momento, l’unica cosa che contava era essere lì, stretta tra le braccia di Joe, a strillare parole incomprensibili e mangiare schifezze sotto un cielo incredibilmente stellato, ed era facile dimenticarsi di mia madre, della scuola, di Jack Kelly, del disastro della mia vita. Perché l’unico punto fermo della mia vita era lì, e mi stringeva a sé: Joe, il mio migliore amico, mio fratello, il mio eterno compagno di vita.
La mia famiglia era stata sempre costantemente in totale subbuglio, la scuola e la società sembravano sbattersene altamente di me, perché per loro non sono altro che un numero, un robot che può essere facilmente rimpiazzato, sapevo che probabilmente non avrei mai avuto un futuro dignitoso, ma almeno una cosa era sicura: Joe. Lui, ci sarà sempre, ne sono certa. Mentre pensavo queste cose, ho spiato Joey da sotto le ciglia, chiedendomi se anche lui, come i miei vecchi amici della Swett High, come mio padre, come mia madre, mi abbandonerà. Se tutto questo finirà, se il sentimento che mi lega a lui svanirà, se anche lui si dissolverà come in un sogno…
E se anche i Green Day spariranno.
Perché i Green Day mi hanno cambiato la vita.
Non sto parlando come una delle migliaia di fan “o-mio-dio-da-quando-li-conosco-la-mia-vita-è-cambiata-21 guns-è-troppo-commovente-Billie Joe-ti-amo”, ma di qualcos’altro.
Da quando quei tre dementi, accompagnati dai rispettivi figli, sono entrati nella mia vita, è come se mio padre fosse stato finalmente rimpiazzato, e non solo da una persona, ma addirittura da tre. Certo, loro non potranno mai sostituirlo. Ma ora quei tre pazzi sono diventati il mio punto di riferimento, il mio faro. Loro mi capiscono, mi sostengono, mi rispettano in quanto persona, non come mia madre che sembra sempre convinta che io sia una stupida adolescente con pensieri e problemi uguali a quelli di mille altre ragazze, un clone, uno stereotipo.
Ma ho paura che anche loro, come tutto nella mia vita, possano scomparire come una bolla di sapone.
Ho paura che i Green Day, e tutto ciò che si sono portati dietro –stabilità, felicità, amore- un giorno saranno solo un ricordo. Questo pensiero mi terrorizza, sul serio.
 
Ci siamo addormentati uno accanto all’altro, su quella collina lontana da tutto e da tutti ma allo stesso tempo così vicina alla città. Potevo ancora sentire le urla di Serj Tankian provenire dal festival, e mi sentivo in pace col mondo, stesa lì, la mia mano stretta a quella di Joey.
 

 
Ok, questo è veramente tutto ciò che sono riuscita a fare… E’ un po’ corto, e non succede niente di particolare, lo so, ma questo è davvero un periodo no. Problemi con la scuola, problemi con gli amici, problemi col mio ex, e poi, soprattutto, problemi con l’ispirazione, che sembra avermi abbandonata del tutto. D: Boh, spero di ricominciare a scrivere presto e magari con più calma, più rilassata. Comunque prometto di non abbandonarla questa fic, perché mi ci sono troppo affezionata u.u Alla prossima!  

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Capitolo 30
*** Do you feel washed up like piss going down the drain? ***


5 Aprile 2011

 
Santo cielo, ho dimenticato di scriverti per un po’, e adesso ci sono un mucchio di novità arretrate!
Sono tornata a scuola. Proprio così. Cioè, non alla mia vecchia scuola. Ora frequento la Pinole High School, la stessa di Joey.
Tutto è partito un paio di settimane fa, o anche prima; io e Joey nel pomeriggio eravamo usciti con Joe, Larry e gli altri e stavamo tornando a casa, ma entrando dal cancelletto abbiamo sentito delle urla provenire dall’interno della casa. Joey mi ha fatto segno di tacere, così ci siamo avvicinati di soppiatto alla porta d’ingresso e ci siamo messi a sbirciare dal vetro.
La scena che mi si è presentata davanti mi ha lasciata agghiacciata.
Mia madre si trovava nel salotto di casa di Billie Joe; con i suoi capelli arruffati e tinti di biondo, la matita nera sbavata sotto gli occhi e la sua vecchia tuta sembrava l’apoteosi dello stereotipo della madre di periferia con dei figli avuti troppo presto, un fidanzato un po’ stronzo e senza nemmeno un soldo. Per un attimo mi sono sentita sprofondare, soprattutto mentre vedevo che la persona contro cui urlava era Billie Joe.

“Non so chi tu ti creda di essere e non mi importa niente se sei una fottuta rock star, io educherò mia figlia come riterrò giusto!!!”
“Se educarla come ritiene giusto significa farle passare più guai di quanti ne abbia già passati per una colpa che non ha commesso, allora non glielo permetterò!”
“Ma come osi?! Come ti permetti di dire che conosci mia figlia meglio di me?!”
“Perché lui, a differenza di te, mi da’ ascolto e mi crede, mamma!”, sono esplosa spalancando la porta. Mia madre e Billie Joe mi hanno guardato allibiti per qualche istante. Poi Billie Joe si è schiarito la gola passandosi una mano tra i capelli nerissimi, e ha detto:
“Ehi, Sal, è, ehm, arrivata tua madre. E’ venuta a prenderti. Stavamo giusto, ehm, discutendo su quello che pensiamo sia meglio per te…”
“Scusami, Billie Joe, ma credo di sapere da sola quello che è meglio per me, grazie.” Ho risposto, e lui ha fatto un gran sorriso, come se quella fosse stata la risposta che si aspettava e che sperava di sentire.
“Invece no che non lo sai! Per questo sono venuta a prenderti.”, si è intromessa mia madre, guardandomi con due occhioni così. Evidentemente si sentiva in colpa per avermi buttata in mezzo alla strada come un cane randagio, ma io ero ancora arrabbiata con lei. A quanto avevo sentito dal loro litigio, ancora non mi credeva.
“Quando incomincerai a credere in me, allora potrai dire di sapere cos’è bene per me”, ho ribattuto, furente. Ritto in piedi accanto a me, Joey se ne stava ammutolito, e non riuscivo a capire a cosa pensava.
“Questo non è importante ora”, ha detto mia madre, cogliendomi di sorpresa e sospirando. “Dobbiamo iscriverti ad un’altra scuola. Hai perso fin troppi giorni.”
“Potresti venire alla Pinole”, ha esclamato Joey entusiasta, aprendo bocca per la prima volta. L’idea è andata bene a tutti, così, dopo varie faccende burocratiche lunghe una vita, mia madre è riuscita a iscrivermi alla Pinole; e oggi è stato il mio primo giorno di scuola.

Beh, è stato un incubo.
Sapevo già perfettamente cosa aspettarmi, ma è stato orribile lo stesso.

Quando sono arrivata, il cortile era pieno di gente. Ragazzi e ragazze di ogni tipo, che mi lanciavano occhiatacce o semplicemente mi ignoravano. Un paio di bionde ossigenate che ridacchiavano tenendosi una mano davanti alla bocca e gettandomi occhiatine, qualche giocatore di football che mi guardava disgustato, un gruppo di secchioni che quando gli sono passata accanto mi hanno fatto immediatamente spazio, e che dall’espressione sembravano spaventati. Ok, forse non avevo scelto il look più adatto per il primo giorno di scuola: dalla mia cuffia di lana nera spuntavano i miei capelli ormai di un azzurro molto sbiadito, addosso avevo un paio di jeans stracciati e aggiustati alla meglio con la cucitrice (mia madre odia rammendare così mi sono dovuta arrangiare), la mia cintura borchiata e una magliettona degli Slayer con sopra il mio solito chiodo nero che puzza in modo impressionante di tabacco. Avevo i miei soliti doppi strati di matita nera sugli occhi, e in più la settimana scorsa ho aggiunto un piercing al naso a quello che avevo già al labbro inferiore. Tutto sommato, devo ammettere che non avevo un’aria molto rassicurante.

Volevo cercare Joey, ma non lo trovavo, così ho deciso di andare in segreteria a prendere il mio orario; la segretaria, dopo avermelo consegnato e dopo avermi squadrato da dietro i suoi occhialoni tondi con le lenti spesse come fondi di bottiglia, mi ha messa “caldamente al corrente” che in quella scuola era vietato l’uso delle droghe nel modo più assoluto.
Perfetto.
Non le ho neanche risposto, sono semplicemente uscita sbattendomi la porta alle spalle. In quel momento è risuonato il trillo nasale della campanella e mi sono affrettata a raggiungere il primo edificio: matematica, con un certo professor Mason.
Beh, sono sopravvissuta. Mi sono imbucata da sola nell’ultima fila e ho passato la lezione a fissare fisso davanti a me con le braccia incrociate; il professore, fortunatamente, non mi ha nemmeno considerata, ma i miei compagni di corso non facevano altro che voltarsi verso di me facendo risolini e scambiandosi occhiatine. Mmm, simpatici. Il genere di persone che avrei voluto avere come amici.

Ovviamente, suonata la pausa pranzo, c’è stato il solito cliché del litigio col mio nuovo armadietto. Quel dannato ordigno non voleva saperne di aprirsi, e ho finito per arrendermi alla violenza e prenderlo semplicemente a pugni, sperando di compiere un miracolo che però non si avverò. Un comportamento non molto maturo, lo ammetto, ma ero terribilmente nervosa. Non ero ancora riuscita a trovare Joey e in più quegli altri montati della Pinole non facevano altro che lanciarmi occhiatine di scherno. A un certo punto, è comparso un gruppo di ragazzi alle mie spalle che mi guardavano minacciosi.
“Avete qualche problema?”, ho sbuffato, scocciata.
Quello che a occhio nudo sembrava il più grosso e il più stupido di tutti mi si è fatto più vicino.
“Tu sei la nuova?” Il suo alito sapeva di cipolle e aglio. Ho trattenuto un conato.
“E’ importante?”
“Devi darmi i soldi del tuo pranzo. E’ la procedura di questa scuola.”
Ho sbattuto per terra la cartella, capendo come girava.
“Ah, si? Che strano, quando mi sono iscritta qui non era scritto da nessuna parte del piano studi.”
Il ciccione mi ha guardato inebetito, probabilmente non aveva nemmeno capito quello che avevo appena detto. Ho cercato di scansarmi, ma mi ha bloccato con un braccio grosso come un prosciutto.
“Ehi, quanta irruenza”, ho detto, in un penoso tentativo di ironizzare quella situazione di merda. Speravo che spuntasse Joey da qualche parte, ma probabilmente nemmeno lui avrebbe avuto qualche speranza contro quei cinque energumeni.
Il resto te lo risparmio. Basti dire che oggi non ho pranzato, e che quando, alla fine della pausa, finalmente ho trovato Joey, Max, Travis e Cole in cortile avevo i capelli fradici e parecchi lividi sul braccio e dietro il collo.
“Sal! Dov’eri finita?! Ehi, aspetta, perché hai i capelli tutti bagnati?”
“Procedura di accoglienza per nuovi studenti” ho mugugnato.
Joey ha fatto una strana smorfia, a metà tra il preoccupato e il tentativo di trattenere una risata.
“Ti hanno ficcato la testa nel gabinetto?”
Ho annuito, indicando la mia borsa. “E mi hanno anche rubato i soldi del pranzo.”
“Benvenuta alla Pinole Valley High” ha dichiarato Max in tono solenne, dandomi una pacca sulla spalla. “Tranquilla, ci siamo passati tutti.”
Gli altri hanno ridacchiato, mentre io mi accendevo una sigaretta imbronciata. Tornato serio, Joey ha detto: “Devono trattarsi di Brian Ridley e la sua banda. Sono sempre loro che riservano alle persone questo genere di trattamento. Hanno diciassette anni e frequentano ancora il secondo anno.”
“Erano più grossi delle guardie del corpo di tuo padre.”
“Allora erano sicuramente loro.”
“Domani fila direttamente in mensa senza fermarti in corridoio. Ti riserveremo un posto al nostro solito tavolo.”
Ho annuito, riconoscente. “D’accordo.”
 
Il resto della giornata è passato lentissimamente. Gli insegnanti non sono né più né meno bravi di quelli di Rodeo, e le materie sono sempre le stesse. Per niente interessanti. La gente però è molto peggio. Un branco di idioti infilati in un mucchio di completini firmati. Roba che potrei vomitare quando li vedo. Mi manca Joe, mi mancano le ore passate a cazzeggiare o a combinare casini. Beh, almeno qui c’è Joey, anche se abbiamo solo un’ora in comune, quella di inglese. Posso sopravvivere. Credo.
 

Sallie 

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Capitolo 31
*** Jackass. ***


10 Aprile

 
Indovina chi ha avuto la splendida idea di farsi licenziare? Hai detto forse mia madre? Ma tu guarda, risposta esatta, hai vinto un milione di dollari. I proprietari della tavola calda dove lavorava come cameriera hanno scoperto che rubava i soldi dalla cassa. Complimenti. Un premio all’idiozia.
E’ esattamente quello che le ho detto questo pomeriggio al ritorno da scuola, quando mi ha comunicato la novità. Ne è scaturito un prevedibilissimo litigio, naturalmente, in cui non abbiamo fatto altro che rinfacciarci gli errori reciproci e soprattutto in cui le ho fatto gentilmente notare il fatto che lei si comporta da madre responsabile e matura esattamente quanto uno stura cessi. L’ovvia conclusione è stata: bene, visto che sono una madre così pessima trovati un lavoro, vattene di qui e mantieniti da sola. Volevo ricordare che sono tornata a casa esattamente due settimane fa.
Quando le ho fatto notare anche questo, si è data una calmata, ma a me l’idea di trovarmi un lavoro è rimasta. Insomma, potrebbe essermi utile, con la madre inaffidabile che mi ritrovo. Devo davvero cominciare ad essere più autonoma.  
 
Così me ne sono andata a Christie Road, dove avevo appuntamento con Joe e Larry. Mentre ero per strada, sentivo una puzza incredibile di bruciato provenire dal parcheggio. Che diavolo stavano combinando, quei due?
Svoltato l’angolo, ho ricevuto la risposta: stavano dando fuoco a qualcosa di non esattamente identificabile, che dava però uno strano odore oltre che uno strano colore al falò. Le fiamme erano arancio rossastre, ma avevano strani riflessi azzurro-verdi. La puzza era nauseante, e così l’espressione beatamente soddisfatta di Joe e Larry, che se ne stavano seduti lì davanti a fissare il fuoco inebetiti, passandosi l’un l’altro quello che sembrava un grosso spinello.
Alla vista di quella scena, sono stata seriamente indecisa tra ridere, picchiarli, o unirmi a loro, ma alla fine ho scelto la terza opzione. Mi sono seduta a gambe incrociate accanto a Larry.
 
“Allora?” gli ho chiesto. “Che succede?”
Larry si è voltato verso di me con un sorriso beato. I suoi occhi, normalmente azzurro chiaro, erano di un rosso così evidente che avrebbe attirato meno l’attenzione se fosse andato in giro con un cartello con su scritto: “Ehi! Qui si fuma erba!”.
“Ciao, Sal.” Ha biascicato. “Che si dice, eh?”
“Solito. Mi devo trovare un lavoro. Mia madre è stata appena licenziata.”
“Oh”, ha sospirato lui, lasciandosi cadere per terra e sbattendo sonoramente la testa. Non se n’è nemmeno accorto, naturalmente. “Sembra bello.”
Joe, intanto, si è voltato verso di me.
“Vuoi un tiro, Sal?” Ha fatto porgendomi lo spinello, che ho fissato indecisa per qualche istante, prima di fare spallucce e accettare.
Ho fatto un lungo tiro, mentre Joe, ridacchiando e impappinandosi con le parole, mi raccontava che lui e Larry erano appena tornati da Berkeley, dove avevano rubato da un negozio un mucchio di cd di Justin Bieber, Lady Gaga e altra gente di quel genere, i quali costituivano ora il combustibile del nostro falò.
“Dovevi esserci, Sal. Oh, è stato divertente, mooolto divertente. Avevamo nascosto tutti i cd sotto la camicia, no? E allora, non usciamo con totale nonchalance dal negozio, come se fosse niente? E poi, scusa, vedi se non mi cadono due o tre cd dalla camicia? E allora, io ero tipo, ‘Larry, corri, coglione!’, e abbiamo corso per un milione di chilometri, e le guardie dietro, fino alla fermata dell’autobus, e lì abbiamo avuto un culo pazzesco, perché si stavano chiudendo le porte dell’autobus, no? E ci siamo saltati dentro appena in tempo, no? E non li abbiamo lasciati lì come coglioni, mentre l’autobus si allontanava e quelli ci gridavano dietro di tutto? E non ci erano rimasti dei cd bastardi nonostante la corsa? Così siamo venuti qui.” Ha ridacchiato, e un rivolo di saliva gli è colato lungo il mento. “E allora, Larry fa, ehi, amico, proviamo a dargli fuoco. E io, d’accordo, cazzo, e poi Larry mi tira fuori tutta questa bamba…”
Intanto i contorni delle cose cominciavano a deformarsi davanti ai miei occhi.
“Ehi, Sal, hai gli occhi rossi, ah-ah” ha fatto Larry con il suo sorriso ebete.
“Anche tu” Ho ribattuto, facendo l’ennesimo tiro, quando Joe mi ha strappato la canna dalle mani:
“Ehi, non provare a finirla tutta, donna!”
“Joe, bisogna alimentare un po’ il fuoco” ha osservato Larry. “Passami un altro My World.”
“Questo è l’ultimo.” L’ha avvertito Joe porgendogli una custodia quadrata. Larry ne ha estratto il cd e il libretto delle fotografie, ha strillato un “ci vediamo all’inferno, fottutissima checca!” e ha lanciato entrambi tra le fiamme che in pochi istanti si sono rianimate.
 
Quando però il fuoco era ormai morto, mi sono ripresa:
“Ragazzi, ho una fame da paura.
“Anch’io. Credo che morirò. Sono in una chimica pazzesca.” Ha aggiunto Joe.
“Voglio qualcosa di dolce!!!” Ho strillato. “Qui e ora!!!”
“Ho solo quattro parole parole da dire” qui Larry ha fatto una pausa ad effetto, guardandoci negli occhi uno per uno: “Dr. Sweetness, Rodeo Avenue.”Si riferiva al negozio di dolci che si trova a un paio di traverse da Christie Road.
Ci siamo guardati negli occhi un istante. Poi siamo saltati in piedi tutti e tre simultaneamente, ululando e fischiando come belve affamate e inferocite, e siamo corsi a rotta di collo verso Rodeo Avenue, alla volta della bottega di Dr. Sweetness.
Si tratta di una stanza minuscola, poco più grande della mia camera, e quindi più o meno delle dimensioni di un pacchetto di sigarette, tutto decorato a righe rosse e bianche. L’insegna, invece, è dipinta a caratteri in rilievo di colori fluorescenti e recita la scritta “Dr. Sweetness, il mago dei dolci.”
A vederla da vicino fa male agli occhi.
Il Dottor Sweetness, il cosiddetto “mago dei dolci”, non si tratta altro che di un uomo grasso e completamente senza collo, che tenta di mascherare la sua calvizie indossando cappelli a cilindro di ogni tipo dai colori eccentrici, convinto che il modo migliore per attirare i bambini nel suo negozio sia appiccicarsi un paio di finti baffoni a manubrio neri sopra il labbro superiore. Io, Joe e Larry lo conosciamo da quando abbiamo messo su i denti da latte e sappiamo che in realtà il suo vero nome è Ed, è divorziato da quindici anni, ha una figlia adulta che si chiama Clare con cui non parla da dieci anni, e soffre –non è poi così sorprendente, pensando al suo mestiere- di diabete; lui invece conosce i problemi familiari, scolastici e (circa) psicologici di ognuno di noi, così non si è per niente stupito vedendoci precipitarci a rotta di collo verso il suo negozio, gli occhi rossi e dilatati e la bava alla bocca come cani rabbiosi. Si è semplicemente tolto gli occhialini a lenti bifocali spruzzati di cacao per poi pulirseli sulla maglietta e tirare un gran sospiro quando Larry –il più veloce di noi tre- ha spalancato la porta ululando. Un minuto dopo, l’abbiamo raggiunto anche io e Joe – e Larry stava già ciucciando soddisfatto quella che sembrava una lunghissima striscia di zucchero dei colori dell’arcobaleno.
“Ciao, Ed!!!” Ho strillato a pieni polmoni, probabilmente assordandolo all’orecchio sinistro.
“Vogliamo dei dolci!!!” Ha aggiunto Joe, mettendogli perciò fuori uso anche quello destro.
“Chissà come mai, l’avevo indovinato.” Ha osservato lui sarcastico, fissandoci con un’espressione al tempo stesso severa e divertita. “Cosa posso servirvi, ragazzi?”
“Mutande al cocco! Mutande al cocco!” Ha cominciato a strepitare Joe, accompagnando le strida con un balletto. “Mutande al cocco, oh, si! Mutande gialle, verdi, azzurre, mutande di ogni tipo!”
“Mi dispiace, quelle le trovi solo nei sex shop.”
“Io voglio dei marshmellows! Sempre e solo marshmellows!” Sono intervenuta io allora, mettendomi a saltellare. “Marshmellows! Oh, si! Marshmellows ovunque, marshmellows a catinelle! Tutti rosa e gommosi! Marshmellows rosa, baby, rosa fluorescente!”
“Certo.” Ha detto Ed asciutto, cominciando a mettere una palettata di caramelle in un sacchetto. “Così s’intonano ai tuoi occhi.”
 
Dopo esserci strafatti di dolci, ci siamo un po’ ripresi. Così Joe e Larry hanno deciso di accompagnarmi a cercare un lavoro. Mi hanno accompagnata all’unico, minuscolo centro commerciale di Rodeo, che contiene solo un McDonald’s, un negozio di vestiti, una libreria e un negozio di  videogiochi. Perciò, non lo si può definire esattamente un centro commerciale.
Più una scatola di cemento quadrato delle dimensioni di una scatola di fiammiferi, più utile a farci skate sui gradini che a farci la spesa.
Joe voleva mandarmi da McDonald’s, ma io gli ho detto che mi rifiutavo di lavorare per una società che contribuiva alla deforestazione dell’Amazzonia e che sfruttava i suoi dipendenti e che per di più fa gli hamburger con gli scarti di animali. Lui ha alzato gli occhi al cielo dicendo che avevo visto troppe volte Fast Food Nation, ma io sapevo di cosa parlavo, e poi lui insisteva che andassi lì solo perché voleva uno sconto sugli Happy Meal.
Così ho provato alla volta della libreria. Dietro il bancone c’era una tizia con un maglione a collo alto nonostante fosse Aprile, i capelli unti pettinati con la riga in mezzo che le cadevano ai lati del viso come due tendine, la fronte e il mento punteggiati dall’acne e due occhiali tondi enormi, spessi e marroni. Sembrava la caricatura di se stessa.
Quando le ho chiesto se potevo lavorare lì come commessa, mi ha guardata con un’espressione che sembrava allo stesso tempo impaurita e sprezzante, poi ha risposto che le commesse di una libreria dovevano come minimo saper leggere.
“Cosa intendi dire?” Ha chiesto Larry, stupito. “Sallie sa leggere. Legge un sacco.”
Io però sapevo cosa aveva voluto intendere quella sottospecie di baby sitter da sit-com.
“Beh, se saper leggere implica il ridursi come un criceto brufoloso a cui hanno fatto una doccia d’olio sono felice di essere analfabeta, stronza” Ho sbottato, sottolineando il concetto mostrandole il dito medio mentre uscivo.
E fuori due.
Rimanevano il negozio di vestiti e quello di videogames.
“Mi dispiace” ha detto cinque minuti dopo il proprietario del negozio di videogames scuotendo la testa alla mia candida dichiarazione di totale ignoranza in materia. “Ma devi almeno saper distinguere un video game e un gioco per la play station, se vuoi lavorare qui.”
Così siamo andati al negozio di vestiti. Non era esattamente il mio genere di vestiti che vendeva, ma ero decisa a fare almeno un tentativo di piacere alla proprietaria, così, quando mi ha chiesto “perché vuoi lavorare in un negozio di moda?”, io ho sfoggiato un falsissimo sorriso a trentadue denti e ho risposto con voce squillante: “Ma perché adoro la moda, naturalmente.”
Lei ha dato un’occhiata ai miei jeans stracciati e alla mia vecchia camicia da boscaiolo palesemente di seconda mano e mi ha intimato in tono secco di andarmene immediatamente.
 
Così, non ho ancora un lavoro. Quando sono tornata a casa, mia madre era di pessimo umore e continuava a passare l’aspirapolvere sempre nello stesso punto senza badare né a Johnny che piangeva come un pazzo, né a me che le urlavo di piantarla di sprecare corrente elettrica o ci avrebbero di nuovo lasciati tutti al buio. Le solite cose, insomma.
 Vado. Sono stanca morta e domani devo anche andare da Joey per le lezioni di batteria. Sto migliorando, sai. Ora quando suono non scateno più risate isteriche, e Joey dice che ora che le basi ci sono potrebbe anche insegnarmi qualche canzone. Non vedo l’ora.
 

Sallie 

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Capitolo 32
*** Like a liar looking for forgiveness from a stone. ***


15 Aprile

 
Giornata schifosa, seriamente schifosa.
Voglio dire, inizialmente era cominciata piuttosto bene. A svegliarmi, infatti, non sono state le familiari parole malinconiche iniziali di Letterbomb, ma le strida isteriche di mia madre.
“Depravato, figlio di papà, drogato, figlio di un altro drogato, famiglia di degenerati…”
Ho aperto gli occhi mezza rintronata e le prime cose che ho visto sono stati i pantaloni di una tuta grigia che camminavano avanti e indietro proprio di fronte a me. Ho alzato lo sguardo, e mi sono resa conto che quelle gambe appartenevano a mia madre. Si aggirava per la mia stanza fumando una sigaretta e intanto strillava. Quando si è accorta che ero sveglia, si è finalmente fermata e mi ha fissato qualche istante con aria acida.
“Che diavolo…” Ho bofonchiato, ma lei mi ha interrotta.
“C’è il tuo amico qui sotto che strombazza da un quarto d’ora. Alzati e digli di piantarla, prima che mi venga un esaurimento.”

Ho sorvolato sul fatto che lei l’esaurimento ce l’ha già da un bel po’ di tempo, e mi sono alzata, incuriosita. Non pensavo che Joe avesse già preso la patente, non mi aveva detto niente. Mi sono sporta dalla finestra e, parcheggiata davanti casa nostra, ho visto un’auto dall’aria familiare. L’autista ha suonato un’altra volta il clacson e poi ha sporto la testa bionda fuori dal finestrino, salutandomi con una mano e sorridendo da un orecchio all’altro. Non era Joe. Era Joey. Il cuore mi ha fatto uno strano balzo in petto.
“Joey!!” Ho gridato, scoppiando a ridere. “Ma che diavolo ci fai qui?!”
“Scendi, Sallie! Stamattina niente autobus, servizio taxi privato!”
“Arrivo!”
Sono rientrata in camera e ho cominciato a frugare nel mio armadio come una furia, mentre mia madre mi guardava acida. Mentre entravo saltellando nel mio unico paio di jeans integro, mia madre ha detto:
“Non mi piace. Lo sai.”
“Non mi interessa che non ti piaccia. Lo sai.”
“C’è qualcosa tra voi due?” Mi ha chiesto con la sua aria da giudice del Tribunale dell’Inquisizione.
“Questi sono affari miei.” Ho ribattuto, afferrando al volo la mia maglietta dei Ramones e infilandomela mentre con le dita cercavo di lisciarmi i capelli. Non era facile, sono diventati della consistenza della paglia. Non ho badato alle risposte irritate di mia madre e
mi sono data una sciacquata veloce, mi sono pettinata alla velocità della luce e poi mi sono precipitata giù. Joey era ancora lì, nella vecchia auto di Billie Joe, e sorrideva.
“Allora, che te ne pare?” Mi ha chiesto mentre armeggiavo con la cintura.
 “E’ fantastico, Jo. Non sapevo che avessi preso la patente!” Ho esclamato entusiasta.
“L’altro ieri. Volevo farti una sorpresa.”
“Beh, ci sei riuscito.” Mi sono sistemata meglio sul sedile di pelle, che emanava l’odore familiare di tabacco e cane. Joey ha acceso lo stereo e sono partite le note iniziali di Rebel Rebel di David Bowie. L’ho guardato esterrefatta.
“Come fai a sapere che adoro questa canzone?” Gli ho chiesto.
Lui si è limitato a stringersi nelle spalle: “Immaginavo.”
Ho chiuso gli occhi, lasciando cadere la testa sul sedile. “E’ perfetta. Mi fa pensare che stiamo intraprendendo un viaggio lunghissimo senza meta, e invece stiamo solo andando a scuola.”
Joey ha ridacchiato porgendomi un pacchetto di Winston. Ho sfilato una sigaretta dal pacchetto e me la sono accesa, godendomi il fumo insieme al sole e all’aria che filtravano dal finestrino.

Qualche minuto dopo Joey, mentre sfrecciavamo a tutta velocità verso Berkeley, ha ripreso la parola:
“Sallie, io in realtà volevo dirti una cosa.”
Mi sono portata la sigaretta alla bocca e ho fatto un lungo tiro. Ecco. Era arrivato il momento e io forse avevo deciso. Ci avevo pensato un sacco, negli ultimi tempi, ed ero giunta alla conclusione che dovevo piantarla con la mia stupidissima paura dei legami. Ero pronta.
“Cosa devi dirmi?” Gli ho chiesto, cauta, visto che non continuava.
Joey ha sospirato. Eravamo arrivati e stava facendo manovra nel parcheggio della scuola. Ho intravisto da lontano Max, Estelle, e una ragazza mora che non avevo mai visto.
“Esco con una.” Ha detto infine Joey, così velocemente che quasi non ne distinguevo le parole. Ho sentito il fumo andarmi di traverso e ho cominciato a tossire come una matta. La risposta di Joey non era quella che mi aspettavo. Anzi, era l’ultima che mi sarei aspettata. Quando sono riemersa, con gli occhi lacrimanti (ma, accidenti, è normale dopo un attacco di tosse canina o quello che era), sono riuscita solo ad esalare: “Chi?”
Lui non distoglieva lo sguardo dalla scuola davanti a sé.
“Susan Rogers, è del primo anno.”
Una quattordicenne. Una dannatissima quattordicenne.
“Ah.” Non ce l’avevo presente, e le ho augurato, per il suo bene, di rimanere una sconosciuta per sempre.
 “E’… E’ una grandissima fan degli Emily’s Army. Una delle poche persone che compra le nostre magliette. E poi è spontanea, e sincera, e allegra.” Ha sorriso e anch’io ho tentato di sorridere, ma mi è uscita più una smorfia molto simile a quella che facevo da bambina quando mi portavano a fare il vaccino.
In quel momento ho sentito un colpo e mi sono voltata così in fretta da farmi male al collo. La stessa morettina che avevo intravisto prima insieme a Max ed Estelle ora aveva la faccia semi spiaccicata contro il finestrino dell’auto di Joey. Sorrideva e faceva ciao con la mano. Anche Joey ha sorriso. “E’ lei”, ha detto solo, e io ho annuito.
Un coltello da macellaio. Oppure una motosega, in stile “Non aprite quella porta”.
Siamo scesi dall’auto e lei gli è saltata in braccio, mentre io emettevo involontariamente dei versi strozzati. Ho provato a dirigermi verso l’aula di matematica senza farmi vedere, ma ovviamente Joey mi ha chiamata.
“Sallie, dove scappi? Voglio presentarti Susie.”
Susie. Susie. Che nome da battona.
Ho alzato gli occhi al cielo e mi sono voltata verso di loro. C’erano anche Max, Estelle e Ramona, oltre ovviamente a Susie. Che è più alta di me ed è magrissima, con i capelli nerissimi e lunghi fino alla schiena, lisci come la seta e la carnagione bronzea e perfetta. Ho fatto un sorriso, o meglio, ho mostrato i denti in un tentativo di sorriso che assomigliava più a un ringhio.
“Sallie, lei è Susan. Susan, questa è Sallie.”
Lei mi ha teso la mano. Il suo sorriso, contrariamente al mio, sembrava vero. Anzi, tutto in lei sembrava sorridere. Pareva sinceramente entusiasta.
“Sono così contenta di conoscerti! Joey mi ha parlato un sacco di te!”
“Invece io ho sentito parlare di te per la prima volta esattamente trenta secondi fa.” Ho risposto io acidamente, ancora con quella smorfia stampata in faccia. Non riuscivo a fare un’espressione normale. Ramona mi ha lanciato un’occhiata ammonitrice dalle spalle di Susan.
Joey ha passato un braccio attorno alla vita della sua ragazza e lei ha esclamato:
“Sai, Sallie, è un po’ grazie a te se ci siamo conosciuti, perché io ti avevo notata a scuola e vado matta per la tua tinta, e Joey mi ha sentito che ne parlavo con una mia amica, e ha capito che parlavamo di te. E così abbiamo cominciato a chiacchierare, siamo diventati amici, e poi da cosa nasce cosa e…” Ha stampato un bacio sulle labbra di Joey.
Io avevo ancora quello stupido ringhio congelato in faccia. Ho mostrato i denti in un sorriso ancora più ipocrita e falso.
“Oh, sono così felice per voi. Ora credo che andrò a vomitare.”
Mi sono voltata e mi sono diretta a grandi passi verso l’aula di matematica, cercando di trattenere la furia omicida che si stava impossessando di me.
Staccarle la testa. Strapparle i capelli uno a uno…
“Ehi, Sallie? Sallie!” Ho riconosciuto la voce di Ramona ma ho continuato a camminare senza voltarmi. Lei camminava accanto a me.
“Senti, so che sei piuttosto infuriata…”
Mi sono fermata e, cercando di controllare le espressioni facciali, ho detto:
“Chi, io? E perché dovrei?”
Ramona ha alzato gli occhi al cielo.
“Non fare la finta tonta! Per Joey e Susan.”
“Sono adorabili insieme, vero?” Ho detto con una strana voce stridula, quasi in falsetto, mentre ricominciavo a camminare.
“Sallie, credimi se ti dico che tra loro non durerà. Joey non è stupido come sembra, fidati.”
Non le ho risposto, mi sono limitata a entrare in classe e sedermi al mio banco, incrociando le braccia. Ramona si è chinata sul banco in modo da guardarmi negli occhi.
“Ehi, Sallie. Giuro che se a Joey piace davvero Susie mi rapo a zero.”
Per fortuna il professor Mason mi ha risparmiato la pena di rispondere, entrando in quel momento ed esclamando:
“Signorina Wright, cosa ci fa lei qui? Vada subito nella sua classe!”
Ramona mi ha lanciato un’altra occhiata penetrante, dopodiché si è alzata e se n’è andata.

Il resto della giornata è stato una pena. Più si affievoliva lo shock, più sentivo montare la rabbia e la gelosia. Il culmine è stato quando, a pranzo, Susan si è seduta accanto a Joey al nostro tavolo e quei due hanno passato tutta la pausa pranzo a scambiarsi moine e occhiate melense. Io non ho detto una parola, mi limitavo ad aggredire il mio sformato di patate come se mi avesse fatto un torto personale. Alla fine era tutto maciullato e non ne avevo assaggiato nemmeno una briciola. Non avevo fame. Mi sono alzata in anticipo e mi sono chiusa in bagno, sbattendomi la porta alle spalle così violentemente che una ragazzina del primo anno che si stava ripassando il lucidalabbra ha fatto un balzo.
Grazie al cielo, dopo due ore è arrivata la fine delle lezioni. Sono corsa fuori come una furia, in modo da evitare di incontrare Joey o Susan e fingere un altro di quegli orribili sorrisi.
Naturalmente, non ho avuto fortuna.
“Sal! Ehi, Sal!” Ho sentito Joey che mi chiamava.
Mi sono fermata e ho chiuso gli occhi, inspirando a fondo. Joey intanto mi ha raggiunto.
“Dove vai? Ti accompagno a casa io, no?”
Mi sono morsa praticamente a sangue il labbro inferiore.
“No, grazie, Mister Armstrong, prendo l’autobus.”
“Non fare la stupida. Ti accompagno.”
“Invece di accompagnare me a casa, non dovresti pensare a cercare la tua pseudo fidanzata?”
C’è stato un lunghissimo istante di silenzio, poi ho sentito che qualcuno mi scuoteva per le spalle. Ho aperto gli occhi e ho visto che Joey era davanti a me e mi guardava con occhi penetranti.
“E’ tutto il giorno che sei strana. Si può sapere che diavolo hai?”
“Niente.” Ho risposto asciutta, e ho provato a liberarmi dalla sua presa, senza riuscirci. “Lasciami.”
“No, non ti lascio finché non mi dici cos’hai.”
“Non sono affari tuoi.”
“Si invece.”
“Ah, davvero? E da quando?”
Mi ha fissata dritto negli occhi senza rispondere. Io ho scosso la testa, disgustata e furiosa.
“Tornatene dalla tua fidanzatina e lasciami in pace.” Ho detto infine, e mi sono liberata dalla sua presa.
“Allora è questo il problema? E’ Susan?!” Mi ha urlato lui, mentre camminavo dandogli le spalle.
Mi sono girata verso di lui, sentendo di nuovo la rabbia che s’impossessava di me.
 “Sei così pieno di te che riesci a pensare solo che io sia gelosa! Beh, mi dispiace deluderti ma non è così!” Ho strillato, furiosa.
Tutto il cortile si è girato a guardarci, ma io non ci ho badato. Le guance di Joey sono diventate rosse di rabbia.
“E tu sei così egocentrica da credere che tutto il mondo giri attorno a te, e che puoi trattarmi come una pezza da piedi e io comunque ci sarò sempre per te!”
Colpita in pieno. Aveva ragione e lo sapevo, ma non potevo ammetterlo.
“Sai una cosa? Non ti ho mai chiesto niente, non ti ho mai promesso niente, e tu sei rimasto spontaneamente! Eri liberissimo di troncare i rapporti con me quando volevi, e non l’hai mai fatto!”
“Beh, lo sto facendo ora!” Ha risposto lui, facendomi gelare il sangue. “Visto che a me non frega un cazzo di te, e che la cosa a quanto pare è reciproca, è meglio se sparisci!”
L’ho guardato, stringendo gli occhi a fessura.
“Vaffanculo, Joseph.” Ho sibilato. Gli ho dato uno spintone e mi sono fatta largo tra la folla che si era riunita attorno a noi dirigendomi verso spalti del campo da football. Ero troppo infuriata per tornare a casa, e poi volevo rimanere sola.

Sono rimasta lì tutto il pomeriggio, a guardare i giocatori di football correre di qua e di la incitati da quelle dannate cheerleader bionde e anoressiche e ascoltando il metal più crudo che avessi nell’mp3. Non ero in vena di Green Day: la voce di Billie Joe mi faceva ricordare tutti i momenti passati assieme a Joey. A cui, di me, non gliene frega più un cazzo. Perché? Perché sono stata un’idiota. Mi piaceva e io gli piacevo, e ho mandato tutto all’aria per via della mia fottutissima paura. E ora che lui sta con un’altra, ovviamente, mi rode. E io mi odio perché lui ora mi odia. Sono un’imbecille.
Vorrei parlarne con Billie Joe, ma non posso. Ho bisogno di sapere quello che ne pensa lui, ma non ho intenzione di raccontargli quello che provo per suo figlio. Forse dovrei parlare con Mike o Tré.

Sto malissimo. Non faccio altro che pensare a quei due e ai loro sguardi complici, ai loro baci, e poi mi viene in mente che se non avessi avuto paura ora ci sarei io al posto di Susan. E so che lei non conoscerà mai Joey come lo conosco io, ne sono certa. Non vivrà quello che abbiamo vissuto io e lui, tutte le cose che ci sono capitate: le birre rubate, il tuffo nel molo, le sbronze tutti insieme, il suo compleanno passato sulle colline di Berkeley ascoltando un concerto metal sotto una pioggia di meteoriti, quella sera in cui mi è venuto a prendere al 7-11 nel bel mezzo della notte, la rissa con Kelly, la sua fuga da casa e la lite che ne è conseguita, la mia fuga da casa e il periodo che ho passato ospite a casa sua, le nostre lezioni di batteria. Quella ragazzina non c’entra niente con tutto questo, non c’entrerà mai niente, eppure è come se mi stesse rubando tutti quei momenti, come se ora tutti questi ricordi appartenessero a lei. E io invece rimango qui, sola come una stupida con la mia musica, perché non ho avuto il coraggio di ammettere a me stessa i sentimenti che provo per Joey.
 

Sallie 

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Capitolo 33
*** Words I Might Have Ate. ***


 20 aprile

 
Sono in paranoia, chiusa nella mia camera mentre ascolto Awesome As F**k a palla, e ripenso a questi ultimi giorni, mentre East Jesus Nowhere, la canzone più rabbiosa, mi colpisce dritta al cuore e al cervello con la forza di un cannone.
(La voce registrata di Billie Joe che urla non è nemmeno lontanamente bella rispetto a quella che usa per parlare nella vita quotidiana, ma tutte quelle fan urlanti non possono saperlo giusto)
 
Dopo ciò che è successo venerdì scorso, ho passato tutto il week end fuori con Joe e Larry, bevendo e facendo casino per le strade di Rodeo. Il venerdì sera ci siamo devastati, mentre il sabato l’abbiamo passato più o meno in coma, e la sera siamo stati piuttosto tranquilli, ad ascoltare musica punk piena di rabbia e distruzione e fumando erba. Abbiamo parlato tanto.
Anche Joe si è trovato la ragazza, sai. Guarda caso, della stessa scuola mia e di Joey. Mary. L’aveva conosciuta alla festa di Joey, si sono rincontrati qualche giorno a Rodeo per caso ed è sbocciato l’amore. A lui, di lei, non importa niente, ma a quanto pare lei è persa. Joe è il più grande bastardo che una ragazza possa incontrare, giuro.
Ad ogni modo, non è per raccontarti del mio week end scazzato che scrivo.
No, l’importante è quello che è successo dopo, nei tre giorni seguenti.
Anzi, più precisamente, oggi.
 
Oggi infatti ho cominciato a lavorare allo Starbucks di Berkeley, sulla Solano Avenue.  Alla fine mi hanno accettata solo lì, probabilmente perché a quelli lì non importa niente se sei uno scout nerd, un punk o il rappresentante d’istituto della tua scuola finché fai bene ciò che ti ordinano di fare, ovvero pulire i tavoli e le macchinette del caffè e passare il mocio a fine giornata; e poi, pulire i cessi di Starbucks mi era sembrato un ottimo modo per distinguermi da tutte le mie coetanee che considerano prendere il caffè lì come uno status symbol, un po’ come indossare vestiti di marca o dare l’esame per entrare in un’università della Ivy League tipo Yale.
Perciò, oggi subito dopo scuola ero lì, col mio grembiule verde nuovo di zecca, a  passare lo straccio sul bancone. Henry, il capo, avrà cinquant’anni ma ne dimostra settantasette, è grasso e senza collo, e se ne sta sempre nel magazzino sul retro a bere caffè, a controllare i bilanci, e a scaccolarsi con disinvoltura fingendo di grattarsi una narice. Ha un paio di occhialini piccoli e quadrati perennemente spruzzati di caffè e una camicia a scacchi dell’antiguerra macchiata di quella che sembrava panna.
“Oh, aspetta che se ne accorga”, mi ha sussurrato Andy, una ragazza dark diciassettenne, con un sogghigno. “E’ uno spettacolo quando cerca di guardarsi il petto e non ci riesce per colpa degli strati di doppio mento.”
Oltre ad Andy, con noi ci sono altri due ragazzi: Duncan, un diciottenne imbronciato e pieno di capelli ricci privo di qualunque pazienza o senso di sopportazione verso il prossimo (è spettacolare il modo in cui si rivolge ai clienti, infatti Henry cerca sempre di tenerlo impegnato in attività che non lo facciano entrare in contatto con le persone), e Tim, un tizio simile a un topo della mia stessa età con un ghigno sarcastico perennemente stampato in faccia. Henry ha deciso che “non sono ancora pronta” a fare i caffè perché, come dice lui, “è un compito che richiede troppa responsabilità per consentirti di farlo immediatamente. Ti servirà esperienza e duro lavoro.”
Mentre mi diceva questo, ho notato Andy alle sue spalle che cercava di trattenersi dallo scoppiare a ridere. Pensavo che fosse per le parole solenni e incredibilmente stupide di Henry, ma più tardi mi ha spiegato perché: “Se la prossima volta ti metti una minigonna” ha detto, a metà tra il disgustato e il divertito “e ti lasci palpare il culo, vedi come ti lascia l’onore di preparare i caffè. Ecco perché io mi limito a prendere le ordinazioni e a servire ai tavoli.”
Ero inorridita, ma come Andy mi divertivo un sacco all’idea che Henry potesse pensare che una ragazza si sarebbe fatta palpare da lui pur di “fare carriera” all’interno di Starbucks.
 
Verso la fine della giornata, però, uno strano rumore di gridolini sovreccitati mi ha distratto dai sandwich che stavo preparando sul retro con amore e dedizione. Incuriosita, sono andata al bancone, e lì ho visto Andy che scuoteva la testa mentre guardava disgustata quella che sembrava un’orgia di ragazze impazzite ed eccitate. “Tutti le volte la stessa storia” ha sbuffato Andy. “Reagiscono sempre così, come se fosse chissà quale evento incontrare Billie Joe Armstrong & family in un fottuto Starbucks. Dannate ragazzine.”
Ho trattenuto il fiato rumorosamente, e, mettendomi in punta di piedi, sono riuscita a scorgere i dreadlocks neri di Adrienne e l’espressione scocciata e allo stesso tempo entusiasta di Billie Joe. Solo che, accanto a lui, c’era un’altrettanto familiare chioma bionda.
“Merda!” ho esclamato, senza riuscire a trattenermi.
“Non dirmi che anche tu sei una fan esaltata dei Green Day” ha fatto Andy. “Ehi, ma guarda… Billie Joe ti sta salutando! Lo conosci?”
“E’ una lunga storia” ho borbottato. “Senti, io vado a finire quei sandwich, ok?” ho aggiunto dopo, e, senza darle il tempo di rispondere, mi sono rifondata nel cucinotto sul retro, cercando di riprendere fiato.
Ovviamente, non avevo detto a nessuno tranne Larry e Joe che mi serviva un lavoro. Con Joey non parlavo, e avevo paura che se l’avessi detto a Billie Joe, Mike e Tré, loro avrebbero cercato di prestarci del denaro finché mia madre non avesse trovato un altro lavoro, e noi non lo meritiamo per niente. E poi, volevo farcela da sola.
Ho cercato di darmi una calmata. Magari, Billie Joe non mi aveva proprio riconosciuto… Poteva aver pensato di essersi sbagliato, no? Di aver confuso una qualunque cameriera di Starbucks con Sallie Sander, ragazzina punk di Rodeo. Sì, certo. Perché a Berkeley ci sono un sacco di ragazze con i capelli azzurri e i piercing al labbro e al naso, vero?
Infatti, dieci secondi dopo è entrata Andy.
“Sallie, c’è Billie Joe Armstrong che chiede espressamente di te. Ha detto, uh, che vuole…” Ha tirato fuori il block notes per le ordinazioni e l’ha sfogliato un po’. “ah, si: ‘parlare con quella cameriera con i capelli azzurri incredibilmente carina’. Stupido maniaco, e c’è anche sua moglie davanti. Quella è una famiglia di sbarellati, credimi.” Mi ha fissata qualche istante. “Devo mandarlo a quel paese da parte tua o pensi di poterlo fare tu?”
Ho fatto una risatina. “E’ tutto a posto, Andy, tranquilla. Credo che andrò a sentire cosa vuole.” Alla fine ero contenta di rivedere Billie Joe e Adrienne, anche se il vero problema era Joey… Ho fatto un respiro profondo e sono uscita dal cucinotto. La massa di fan adoranti si era diradata, anche se notavo le occhiate che le ragazze continuavano a lanciare in direzione di Billie Joe… E Joey. Mi sono sentita dapprima montare dalla gelosia, e successivamente incredibilmente stupida. Mi sono avvicinata al tavolo di Billie con un sorriso che speravo sembrasse il più sincero possibile.
“Ehi, ragazzi. Come va?”
“Ciao, Sallie.” Il sorriso di Adrienne era molto dolce, quasi materno. Jakob ha mormorato un “ ‘ao, Sal”, senza alzare gli occhi dal suo videogioco, mentre Joey fissava ostinatamente il tavolo a braccia incrociate, accigliato. Anche Billie Joe aveva le braccia incrociate, e mi ha guardato con le sopracciglia aggrottate.
“Cioè, spiegami, non ti si vede da giorni e mi risbuchi all’improvviso con un grembiule da cameriera da Starbucks? S0no proprio deluso.” Fingeva di essere arrabbiato, ma si vedeva che in realtà era solo molto stupito. Mi sono stretta nelle spalle.
“Questa è la vita.”
“Che cazzo di risposta”, ha fatto Billie, stavolta con un sorriso. “Davvero, spiegami la storia di questo lavoro.”
“Lo sai. Problemi, sempre problemi con i soldi… Mia madre è stata licenziata e io ho deciso che non voglio più dipendere da lei.”
Contrariamente alle mie aspettative, Billie Joe ha sorriso. “Beh, hai ragione. Mi sembra un’ottima idea. Però è da almeno una settimana che non ti sento fracassare la batteria in casa nostra!”
Ho visto Joey alzare lo sguardo per un secondo e lanciarmi un’occhiata fulminea, per poi ritornare a fissare il tavolo. A quanto pareva, Billie Joe non sapeva niente del nostro litigio, e io non ero intenzionata a dirglielo. Mi sono di nuovo stretta nelle spalle.
“Tra la scuola e il lavoro… Non è che mi rimanga più tanto tempo libero ormai.”
Billie Joe mi ha fissato con gli occhi grandi come dischi. “Ma suonare la batteria è il tuo sogno da sempre, Sal! Non me l’avevi detto tu?”
Ho abbassato gli occhi. “Si, è il mio sogno, ma…”
“Ok, non voglio sentire scuse. A che ora stacchi oggi?”
“Alle cinque.”
“Bene. Appena finisci vieni da noi. Mangiamo una pizza, beviamo una birra, e suoni un po’ con noi. Che te ne pare?”
Joey mi ha lanciato un’altra occhiata.
“Veramente, io...”
“Dai, Sal, non fare la guastafeste. Ci vediamo alle cinque e dieci da noi, ok?”
Ho sospirato, scuotendo la testa con un piccolo sorriso. Non c’è mai niente da fare con Billie, una volta che si mette in testa una cosa parte per la tangente e tu non puoi fare altro che assecondarlo. “D’accordo” ho risposto. “Da voi alle cinque. Ora vado a finire quei maledetti tramezzini, o finirò licenziata il mio primo giorno di lavoro. Ci vediamo più tardi.”
Sono tornata alle mie occupazioni che ero in iperventilazione. Come diavolo avrei potuto affrontare una serata insieme agli Armstrong senza far capire a Billie Joe che io e Joey eravamo ai ferri corti? E soprattutto, come sopportare un’intera serata in compagnia di Joey?
 
A casa Armstrong questa sera c’erano anche Mike e Tré. Li ho salutati con entusiasmo, era tanto che non vedevo anche loro. Mentre abbracciavo Tré, lui mi ha sussurrato in tono da cospiratore: “E allora, come va col tuo… Piccolo problema?”
Mi sono stretta nelle spalle, scuotendo la testa. “Di male in peggio, come ci si poteva aspettare.”
Lui ha fatto un sorriso comprensivo, sembrava stesse per dire qualcosa quando Cleo, il dannatissimo cane bavoso degli Armstrong, mi ha assalita leccandomi tutta la faccia.
Alla fine è stata una bella serata. Abbiamo mangiato delle pizze assurde (quella di Tré era la migliore: prosciutto, salsiccia, olive, pancetta, cipolla, peperoni e patatine fritte. Epico), bevuto birra, riso di un eventuale triangolo Billie Joe-Mike-Adrienne, preso in giro Billie Joe per la sua straordinaria bassezza, e poi suonato tutti insieme. Solo che sentivo che le risate mi si congelavano sul volto ogni volta che guardavo nella direzione di Joey. Inoltre, sebbene entrambi ridessimo, chiacchierassimo (anche se non tra noi) e suonassimo, credo che Billie Joe si sia accorto che c’è qualcosa che non va. Non faceva altro che voltare la testa di scatto, guardando prima me e poi suo figlio, aggrottando le sopracciglia; sembrava piuttosto confuso.
Alla fine, sulle undici e mezza, si è alzato in piedi e ha proclamato con uno sbadiglio falsissimo:
“Beh, ora credo che andrò a dormire. Sono davvero stanchissimo, mi dispiace Sal, ma non posso accompagnarti io a casa o mi addormenterei sul volante. Vuoi pensarci tu, Joey?” Ha chiesto con una falsa aria innocente che non ha convinto nessuno, porgendo le chiavi dell’auto al figlio. Joey le ha fissate accigliate per qualche istante, evidentemente combattuto tra la voglia di guidare e il disprezzo che provava per me, ma alla fine le ha afferrate bruscamente.
“Ok. Andiamo.”

Si è avviato verso la porta senza uno sguardo nella mia direzione. Io ho salutato tutti in fretta e sono corsa fuori, nella fresca aria notturna. Joey era già in macchina e stava avviando il motore. Ho fatto un sospiro profondo e sono salita sul posto del passeggero sbattendo forte la portiera. Ho cominciato ad armeggiare con la cintura di sicurezza, ma quella dannata cosa era incastrata. Tipico di Billie Joe, essere miliardario e possedere una macchina praticamente distrutta.
“Devi tirarla con più forza”, ha detto Joey asciutto, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
“Grazie”, ho ribattuto nello stesso tono, e ho dato uno scossone così potente che la cintura mi è rimasta in mano.
“ ‘Fanculo”, ho borbottato.
In macchina c’era il silenzio più totale, l’atmosfera era gelida. Innervosita, mi sono accesa una sigaretta.
“Non puoi fumare in macchina”, ha detto Joey sempre con quel tono secco.
“Ah si?” ho ribattuto, sarcastica. “E da quando esiste questa regola, da oggi?”
“Da ieri.”
“Fammi indovinare, alla tua Susie non piace che fumi?”
Lui ha mostrato i denti in una smorfia troppo rabbiosa per essere chiamata sorriso.
“Si direbbe quasi che tu sia gelosa, sai Sallie?” Ha detto, la voce arrochita dall’ira.
“Fammi il piacere” ho ribattuto. “Quella è la ragazza che ti meriti.”
“E con questo cosa vorresti dire?”
“Che sei così stupido, banale e patetico che potevi metterti solo con una ragazza del genere.”
L’ho visto stringere il volante così forte che le nocche gli sono diventate bianche.
“Ah, si? Beh, sai che c’è? Vaffanculo, Sallie.”
“Vacci tu e restaci.”
Ha dato un pugno al volante.
“Sei così fottutamente immatura che non vale neanche la pena di litigare con te!”
“Ah si? E allora se sei così superiore perché stai urlando?”
“Perché mi dai sui nervi!”
“E’ una delle caratteristiche salienti di noi immaturi. Diamo i nervi agli altri immaturi.”
“Senti, che diavolo vuoi tu da me? Me lo spieghi, una volta per tutte?”
Ho fatto un lungo tiro dalla mia sigaretta. “Sai qual è il problema? Il problema è che tu sei così dannatamente cieco che non ti accorgi delle cose neanche quando ce le hai davanti!”
Ormai eravamo nei pressi di casa mia.
“Fermati qui” gli ho ordinato. “Voglio scendere.”
Lui si è fermato, ma ha bloccato tutte le sicure.
“No, ora non ti lascio scendere finchè non mi spieghi cosa volevi dire con quella frase.”
“Quale frase? Fammi scendere!”
“Quella che hai appena detto, che sono così dannatamente cieco che non mi accorgo delle cose neanche quando ce le ho davanti! Di cosa non mi sarei accorto, eh, Sallie?”
Ho incominciato a prendere a pugni la portiera. “Cazzo! Fammi scendere subito!”
“Di cosa non mi sono accorto?!” Ha urlato lui, sovrastando la mia voce e afferrandomi per un polso in modo da farmi voltare.
Sentivo le lacrime di umiliazione e di rabbia pronte a debordare. L’ho guardato negli occhi, furiosa e frustrata, e non so dove sono riuscita a trovare la voce per mormorare:
“Sei così dannatamente cieco… Che non ti sei accorto che io non ti ho rifiutato perché non mi piacevi, anzi.”
Un improvviso silenzio ha seguito le mie parole. Un silenzio rumoroso.
Joey ha chiuso gli occhi e ha cominciato a pizzicarsi la base del naso, inspirando profondamente.
“Cosa significa”, ha detto e il suo tono, anche se calmo, vibrava per via di tutta l’emozione repressa. “Cosa significa… Che non mi hai rifiutato perché non ti piacevo?”
Ho deglutito, ho spento la sigaretta nel posacenere con cura, per prendere tempo, e poi ho proseguito senza guardarlo negli occhi:
“Quello che ho detto. Mi sono comportata così… Solo perché mi piacevi troppo, e mi è venuta una caga bestiale.”
Joey è rimasto ancora in silenzio. Teneva lo sguardo dritto davanti a sé, e ogni tanto contraeva la mascella. Avevo la gola secca, e continuavo a intrecciarmi le dita, fissandomi i lacci delle scarpe.
Dopo un tempo che mi è sembrato infinito, Joey ha fatto un lungo sospiro, mi ha guardata con aria gelida e ha ribattuto:
“Beh, mi dispiace, troppo tardi, Sallie. Spero che questa esperienza ti serva a non cagarti addosso la prossima volta.”
Ha sbloccato le sicure, mentre sentivo che tutto l’ossigeno che avevo in corpo mi abbandonava. Ho deglutito e sono uscita dalla macchina.
“Che cazzo di frase di merda.” Sono riuscita a sibilare prima di sbattermi la portiera alle spalle. Un battito di ciglia, e l’auto di Billie Joe ha ingranato la retromarcia e si è allontanata sgommando. Pochi attimi dopo, era scomparsa nella notte.
Fortunatamente, Joey era ripartito così in fretta che non aveva fatto in tempo a vedere le lacrime che ora mi colavano sul viso e che per la prima volta, non solo non riuscivo a fermare, ma non volevo fermare.

Sallie 

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Capitolo 34
*** Everyone is so full of shit! ***


Quando il giorno ritornerà
vedrò il mio volto riflesso
in frammenti di vetro
ascolterò il suono che batte lontano
che arriva dal cuore,
il futuro nasconde il passato dentro di me.

Il futuro da un nome agli sbagli di sempre
e quando non esistono li crea
aggredisce il tempo che cambierà per chi?

Il tempo che splende e ci insegue ancora
E queste voci che consumano

in fretta la mia vita


mi lasciano solo al centro
fra un passato che non conosco piu'un passato che rivive in ogni istante
e il futuro che si nasconde di fronte a me...


Colpisci il passato al cuore
le illusioni di sempre,
colpisci il passato al cuore
le illusioni di sempre
abbatti il futuro
se non ti appartiene,
distruggi il futuro
distruggi il futuro
distruggi il futuro...

 

[Libra – Diaframma]
 

25 Aprile

Ho deciso di diventare vegetariana. Così, perché non avevo niente da fare. Ma credo che farò un’eccezione per gli hot dog. E per i cheeseburger.
Oggi ha piovuto di nuovo. Non si vede per niente che è primavera. Sono tre giorni consecutivi che l’acqua non fa altro che rovesciarsi a secchiate sulle strade e non si vede altro che questo cielo plumbeo che sembra l’eterno presagio di un temporale che non arriverà mai.
Sono cinque giorni che non vado a scuola. Non so cosa racconterò ai professori, e non mi interessa nemmeno. Possono morire tutti. Possono andarsene tutti a fare in culo.
Non m’importa.
Vorrei solo svanire.
 
Queste ultime mattinate le ho passate tutte a casa di Tré. Ora che Joey
Insomma, mi da’ lezioni di batteria. Mi sta insegnando un sacco di cose. Suoniamo un sacco. Oggi è venuto anche Joe con la sua chitarra, e abbiamo provato a suonare una canzone che ha scritto lui. Broken son. Una canzone potente, rabbiosa, in cui Joe finalmente urla contro tutto ciò che lo imprigiona, tutta la merda che lo sta divorando pian piano. Che ci sta divorando. Quella canzone contiene sedici anni di ingiustizie, di debolezze, di rabbia repressa e ribellione. A Tré è piaciuta. Un sacco. Ha detto che dovremmo farla sentire anche a Billie Joe e Mike, e che se continuiamo così presto potremo esibirci al Gilman!
Non vedo l’ora di suonare lì. Ora che anche Larry ha imparato a destreggiarsi un po’ col suo basso e io ho assimilato i rudimenti della batteria, siamo pronti per spaccare i culi a tutti. Formeremo una band, suoneremo insieme, comporremo canzoni e fracasseremo tutto. Visto che io non possiedo una batteria mia, Tré ha detto che possiamo fare le prove a casa sua, con la sua batteria! E’ un uomo fantastico!
Mentre ero da Tré, non ho parlato molto con Ramona. Anzi, a dire il vero lei non ha parlato molto con me. Mi stava alla larga, sembrava arrabbiata. Forse è davvero arrabbiata con me, per quello che è successo con
Dopotutto è la sua migliore amica
Comunque, credo che domani proveremo tutti insieme a casa di Tré. Joe sta provando a scrivere un’altra canzone.
 

27 Aprile

Stessa merda, giorno diverso.
Oggi sono tornata a scuola, e, come mi aspettavo, è stato un macello.
Forse è stata colpa mia. Forse un po’ di tutti. Forse è stata colpa del mio stupido cuore che credevo di non avere, e che ora mi fa anche troppo male. Sono un’idiota.
Comunque. La mattina è andata bene, perché, essendo arrivata in ritardo, sono riuscita ad evitare loro
Ma non sono riuscita a evitarli in corridoio, durante il cambio dell’ora. C’erano tutti. Ramona, Estelle, Max, Cole, Travis, e ovviamente lui e Susan.
Nessuno di loro mi ha salutato, né degnata di uno sguardo. Come se non esistessi, come se fossi trasparente come l’aria.
Fantastico. Ora tutti mi odiano.
Quando li ho visti lì tutti insieme, a ridere e scherzare tra loro fingendo di non avermi mai conosciuta, di non aver suonato, parlato, bevuto e infranto la legge con me, mi sono sentita male. Ho avvertito un crampo allo stomaco, e un dolore fortissimo al petto. Come se non fossi mai esistita. Come se non avessimo trascorso tutti insieme ogni fottuto giorno degli ultimi quattro mesi, come se non avessi vissuto per un periodo a casa sua
Come se lui non mi avesse trascinata via in lacrime da un parcheggio vuoto nel bel mezzo della notte, come se io non l’avessi trovato a Christie Road dopo che era fuggito di casa e non l’avessi convinto a tornare.
Tutto. Hanno cancellato tutto.
Mi odiano tutti per come mi sono comportata con lui.
E hanno fottutamente ragione.
Mi sentivo così male che non sono andata in mensa durante la pausa pranzo. Invece sono corsa in giardino a fumare una sigaretta. Proprio davanti a me, nel parcheggio degli studenti, c’era la sua auto. Avevo una voglia terribile di prenderla a calci, di distruggerla a sprangate. Meglio ancora, volevo prendere a sprangate lui. Per una specie di legge del contrappasso, suppongo. Lui mi ha spezzato il cuore, e ora io volevo spezzargli la spina dorsale.
Invece, mi sono limitata a fare una scritta sull’asfalto con un pennarello nero:
Colpisci il passato al cuore, le illusioni di sempre. Abbatti il futuro, se non ti appartiene. Distruggi il futuro…” *
Un verso della canzone di Joe. Sotto, ho disegnato una grande A cerchiata.
In quel momento ho sentito la campanella squillare, ma non sono tornata in classe. Ho lanciato un ultimo sguardo alla scuola e poi, con lo stomaco ancora sottosopra, mi sono allontanata di soppiatto.
 
Oggi, prima di andare al lavoro, prove a casa di Tré con Joe e Larry. Loro non sanno esattamente cosa è successo, ma si sono resi conto che qualcosa è successo. Ma non insistono per parlarne. Sanno che quando arriverà il momento, sarò io a fare il primo passo e a raccontar loro tutto. Fortunatamente, oggi Ramona non era in casa. Vederla, dopo quello che (non) era successo a scuola, mi avrebbe fatto ammattire.
Comunque, le prove vanno bene. Abbiamo fatto alcune cover dei Green Day e dei Rancid, e poi abbiamo suonato la canzone di Joe. Più la proviamo, più mi piace.
Il problema è stato dopo, quando dalla finestra ho visto un’auto familiare parcheggiare di fronte a casa di Tré. Sono praticamente andata in apnea, finché l’autista non è sceso dalla macchina e non ho visto che non era altri che Billie Joe. Certo, mi agitava anche vedere solo lui, ma meno, se capisci ciò che voglio dire.
E’ entrato nella sala prove tenendo in mano una birra e accompagnato da Tré:
“Ragazzi” ha detto spalancando la porta con un sorriso da un orecchio all’altro. “Questa palla di lardo mi riferisce che siete fenomenali.”
Anch’io ho fatto un sorriso, forse il mio primo vero sorriso da mercoledì scorso.
“Ciao, Billie.”
Lui ha ricambiato con un saluto militare, poi si è seduto su un bongo rovesciato.
“E allora, ragazzi” ha fatto “come va? Siete davvero fenomenali o Palla di Lardo mi ha detto una cazzata?”
“Mi sa che Tré ti ha detto una cazzata”, ha riso Larry. “Siamo delle mezze seghe, più o meno.”
Io e Joe abbiamo annuito concordi.
“Perché non mi fate sentire qualcosa?” Ha risposto Billie Joe, dopo aver buttato giù un lungo sorso di birra.
Abbiamo suonato con tutta l’energia che possedevamo, e pian piano, con i consigli di Billie Joe e Tré, siamo migliorati molto. E’ stata una prova pazzesca, questa.
“Frankie non diceva una cazzata”, ha sentenziato Billie con aria soddisfatta al termine della nostra performance. “Ottimo. Davvero ottimo.” Si è alzato in piedi. “Sallie, potresti venire in cucina un attimo? Vorrei parlarti in privato.”
Mi sono alzata da dietro i tamburi, col cuore pesante che non lasciava presagire nulla di buono, e l’ho seguito in cucina.
Lui ha aperto un’altra birra, me l’ha offerta ed è rimasto in silenzio per circa due minuti, lanciandomi di tanto in tante occhiate preoccupate, che io fingevo di non notare. Non ho detto niente, sperando che lasciasse perdere e abbandonasse il discorso. Invece, non c’è stato niente da fare.
“Insomma”, ha fatto lui, dopo essersi schiarito a lungo la voce. Si vedeva lontano un miglio che cercava di fare l’indifferente quando non lo era affatto. “Sallie, sai perché ti ho chiesto di parlare in privato?”
Ho scosso la testa, fingendomi concentrata sull’etichetta della bottiglia. Cercavo di deglutire, ma avevo la gola secca.
“Io… Insomma, io volevo parlarti di Joey.”
Ho alzato lo sguardo, cercando di imporre al mio volto un’espressione stupita e, più che possibile, indifferente.
“Ah, si?” ho fatto con voce acuta. “E perché mai?”
Billie Joe mi ha lanciato un’altra occhiata preoccupata.
“Non fare finta di niente. Che succede?”
“Assolutamente nulla. Cosa dovrebbe succedere?”
“Sallie, credi che non mi sia accorto che gli è successo qualcosa? Non fa altro che suonare tutto il giorno, oppure esce con quella ragazza…”
Ho sentito le viscere contorcersi come serpenti, e ho dovuto farmi forza per pronunciare la risposta che gli ho dato:
“E’ innamorato, Billie. Non c’è niente di cui preoccuparsi. E’ normale…”
Billie Joe ha sbattuto la bottiglia sul tavolo.
“Sallie, non prendermi in giro per favore! Una persona quando è innamorata è felice. E lui sembra tutto tranne che quello.”
“A me è sembrato molto felice” ho provato a ribattere con un filo di voce, ma lui non mi ha dato retta.
“Non voglio mettermi in mezzo a quello che succede tra te e mio figlio, ma conosco lui e, dopo tutto questo tempo, posso dire di conoscere anche te. Non so cosa sia successo tra voi, ma ciò non rende felice nessuno dei due. Credo che dobbiate assolutamente parlarvi, tu e Joey.”
A quel nome, le gambe mi sono diventate della consistenza della gelatina.
“Sarebbe un errore”, ho sussurrato, la voce roca a causa della gola secca.
“Io non credo che lo sia, invece” ha ribattuto lui. Sembrava agitato. “E poi, fare errori e sempre meglio che non fare assolutamente niente.”
Ho fissato il pavimento arrossendo. Non volevo parlare né di Joey né con Joey. In realtà, desideravo soltanto trovarmi il più distante possibile da lui, in modo da non doverlo vedere mai più.
Billie Joe mi ha posato una mano sulla spalla. Ho alzato lo sguardo, e ho visto che mi guardava con aria affettuosa, quasi… Paterna.
“Ora vado.” Ha detto. “Ma ti prego, pensa a ciò che ti ho detto, Sallie. Stammi bene” Mi ha stretta in un abbraccio, poi mi ha dato una pacca sulla testa. “Salutami gli altri.” Si è voltato ed è uscito da casa di Tré, lasciandomi lì da sola, con il mio mal di stomaco, i miei sensi di colpa e la testa che mi girava. Poco dopo, dopo aver salutato gli altri, me ne sono andata anch’io.
 
Ti saluto ora. Al pensiero di come farò a sopravvivere domani mi viene un crampo al cervello, ma ti prometto che riuscirò a stare meglio. Prima o poi.
 

Sallie
 

 
* Questa in realtà è una citazione di Libra, dei Diaframma, la canzone che è scritta per intero all'inizio del capitolo:). L’ho inserita perché quello è proprio il tipo di canzone che potrebbe scrivere Joe (se non l’avete mai sentita ascoltatevi assolutamente la versione live, non ve ne pentirete) e perché era la frase perfetta per descrivere lo stato d’animo di Sallie al momento. Fatemi sapere cosa ne pensate, non solo della canzone ma di tutto il capitolo!:)  

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Capitolo 35
*** Restless Heart Syndrome. ***


4 Maggio

Finalmente è tornato il caldo. Non ne potevo più di tutta quella stramaledettissima pioggia.
Ok, ci sono un bel po’ di cose che devo raccontarti.
 
Oggi è stata davvero una giornata pazzesca. Ho la testa che mi scoppia.
Sono arrivata al lavoro correndo come una matta, dato che il professore di studi sociali, il signor Hardwick, mi ha dato un’ora di detenzione perché non ho fatto i compiti per l’ennesima volta e in più quando mi ha chiesto il motivo gli ho risposto male. In realtà, gli avevo detto semplicemente che avevo di meglio da fare nella mia vita che i suoi stupidissimi compiti, ma a quanto pare i professori se la prendono un macello se gli dici una cosa del genere. Credo che pensino che la loro materia sia la cosa più dannatamente importante di questo pianeta, o qualcosa del genere. Ad ogni modo, era vero che avevo avuto di meglio da fare che svolgere i suoi compiti: mi dovevo distrarre dal pensiero di Joey. E questa mi pare una scusa accettabile, no? Professore, ho passato tutti questi ultimi giorni buttandomi anima e corpo nel mio lavoro di cameriera e provando tutto il tempo con la mia band ancora senza nome, nel tentativo di pensare meno possibile al ragazzo di cui sono fottutamente innamorata e che, come un’idiota, mi sono lasciata sfuggire. Ma non potevo dirglielo, questo. Così mi sono limitata a quella frase che l’ha irritato parecchio, beccandomi una stupidissima detenzione che mi ha fatto arrivare al lavoro con un quarto d’ora di ritardo, rischiando seriamente il licenziamento. Infatti Henry, il capo, al mio arrivo era piuttosto irritato, ma credo che la minigonna di jeans che indossavo sotto il grembiule verde gli abbia risollevato il morale. Andy aveva ragione, è proprio un maniaco. Ha passato praticamente tutto il pomeriggio a guardarmi il culo e le gambe, ti sembra possibile? Giuro che domani andrò al lavoro con i pantaloni della tuta e gli occhiali, e vediamo se lo fa di nuovo. Accidenti.
“Giuro che se Henry mi guarda un’altra volta in quel modo lo sgozzo”, ho sbottato in un momento di tranquillità. Andy, che era intenta a pulire una caffettiera, è scoppiata a ridere.
“Dolcezza, quella gonna è molto sexy. Prendine atto.” Ha fatto Tim, comparendomi alle spalle all’improvviso.
“Non ti ci mettere anche tu, per favore! Non ne posso più” Ho sbuffato.
“Sono serio. Fossi in te avrei paura di andare in un vicolo deserto con quella minigonna, la sera.”
La mia mente è stata attraversata per un istante dalla visione di un parcheggio buio e di un ragazzo con i capelli blu che cercava di tenermi ferma schiacciandomi contro un muro. Ho deglutito pensando a chi mi aveva salvato da quella situazione.
“Lasciaci in pace, Tim. Perché devi sempre infastidire la gente?” Ha sbottato Andy.
“Vuoi sposarmi? Giuro che diventerò il tuo folle e sensuale schiavo d’amore.”
Andy ha rivolto gli occhi al cielo e gli ha lanciato uno straccio. “Comincia col pulire il tavolo sette, allora”, ha sbuffato. Io ho ridacchiato e Tim ci ha rivolto il dito medio mentre si allontanava camminando all’indietro.
Andy ha sbattuto per un attimo le palpebre colorate di nero.
“Non riesco a capire se è un idiota o se mi piace”, ha detto come se nulla fosse.
“Entrambe le cose, forse?” ho suggerito. “Vieni a fare pausa sigaretta?”
“Non posso lasciare il bancone vuoto. E comunque no, credo che sia semplicemente un idiota.”
Ho tirato fuori le sigarette dalla tasca del grembiule. “Pensaci e poi quando torno mi farai sapere.”

Sono uscita e mi sono accesa la mia Lucky Strike mentre osservavo il cielo azzurro di Berkeley con il suo sole sfolgorante. Credo che stessi pensando all’estate quasi imminente, o qualcosa del genere. Scrutavo la gente che vedevo passare, cercando di immaginare la loro vita, ma non ci riuscivo. Era tutta gente comune, non riuscivi a capire niente su di loro semplicemente osservandoli. E io non ho mai avuto molta fantasia.
In mezzo a tutte quelle persone che passavano, gli uni indifferenti agli altri, ho intravisto una sagoma diversa e familiare avvicinarsi. Ho tirato forte dalla mia sigaretta, mentre vedevo Joey dirigersi proprio verso lo Starbucks. Era da solo, per una volta. Niente Emily’s Army, niente Ramona e nemmeno niente Susie, che è l’unica in quel gruppo che mi saluta quando mi incrocia a scuola. E sembra sempre entusiasta, tra l’altro. L’ho vista proprio stamattina, indossava una maglietta gialla degli Emily’s Army. E’ praticamente la loro grupie o qualcosa del genere.
Comunque, ho visto Joey avvicinarsi. Indossava un paio di jeans tagliati al ginocchio e una maglietta dei Rancid, i capelli biondo platino come al solito, e l’espressione allo stesso tempo incazzata e pensierosa.
Si è fermato proprio di fronte a me, e ci siamo guardati per qualche istante senza che nessuno dei due dicesse niente. Poi lui, senza nemmeno un “ciao” preliminare, ha sbottato:
“Stasera si festeggia il compleanno di Mike al Gilman. Mio padre mi ha detto di invitarti, ma sappi che non sei gradita. Ciao.”
Senza aggiungere altro ha fatto per allontanarsi, ma io l’ho afferrato per la maglietta.
“Aspetta!”
Si è voltato, gettandomi un’occhiata scocciata e colma di disprezzo. Ho preso un bel respiro.
“Io verrò stasera.”
Joey ha ridotto gli occhi a due fessure. “Tu non c’entri niente con questo mondo.” Ha sibilato.
Ho sentito una fitta al cuore. Era chiaro che aveva pronunciato queste parole espressamente per ferirmi, ma erano vere. Io non facevo parte di quel mondo, io non c’entravo niente con loro. Ero solo una ragazzina che Billie, Mike e Tré avevano trovato a Christie Road per caso. Ciononostante, ho sentito il bisogno di difendermi.
“Tuo padre mi vuole bene”, ho ribattuto. Lui mi ha sussultato.
“E ti è importato sempre e solo di questo, vero?” ha replicato, sprezzante.
“Cosa vuoi dire?”
“Non prendermi per il culo, Sallie. Credi che non sappia perché mi hai detto tutte quelle balle sul fatto che volevi stare con me ma avevi paura, o perché ti sei avvicinata così tanto agli Emily’s Army?”
“Stai dicendo che l’ho fatto solo per interesse, solo per avvicinarmi ai famosi Green Day forse?” Ho sentito montarmi la rabbia. Joey non aveva capito niente, niente di me. Lui non ha risposto, si è limitato a lanciarmi un’occhiata che sembrava dire: mi pare ovvio.
“Avanti, dillo”, ho continuato, “dì quello che pensi! Pensi che sia così disperata, da approfittarmi delle persone solo per avvicinarmi a un gruppo famoso? Mi credi davvero così messa male? Beh, ne sono felice.”
Tremavo di rabbia, ora.
“Ne sei felice?” Il tono di Joey era quanto mai stupito.
“Certo. Almeno mi rendo finalmente conto di non aver perso assolutamente niente quando mi hai detto quelle cose, il mese scorso.”
I suoi occhi sono diventati ancora più sottili. “Bene. Sono contento per te.”
“Vattene, devo andare a lavorare.”
“Ho intenzione di rimanere quanto tempo voglio.”
“Bene. Fa’ quello che ti pare.”
Gli ho voltato le spalle e sono rientrata nello Starbucks senza voltarmi indietro. Le sue parole mi rimbombavano in testa e graffiavano tanto da farmi sanguinare. Sentendo che ero sull’orlo delle lacrime, mi sono precipitata nel magazzino senza dire una parola, ignorando l’occhiata ammonitrice di Henry.
Lì c’era solo Duncan che affettava un grosso prosciutto, e non si è nemmeno voltato quando sono entrata. Mi sono appoggiata alla porta, senza riuscire a reprimere un singhiozzo.
Sempre senza alzare lo sguardo dal suo lavoro, Duncan ha borbottato:
“Sempre quel ragazzo, eh?”
L’ho guardato stupita, smettendo per un attimo di singhiozzare. Duncan se ne sta tutto il tempo chiuso nel magazzino a passare il mocio o a preparare panini, e in queste ultime due settimane non avevamo mai parlato molto. Certamente non gli avevo raccontato di Joey; non ne avevo parlato a nessuno di loro. Ma allora come faceva a sapere tutto?
“E tu come fai a saperlo?” gli ho chiesto, vergognandomi come una ladra del tremolio nella mia voce.
Duncan sembrava avermi letto nel pensiero: “Non è necessario che tu racconti ogni cosa per capire. Basta saper osservare. Ho visto la tua reazione quando hai visto gli Armstrong qui, il tuo primo giorno di lavoro.”
Visto che non dicevo niente, ha continuato. “Ho capito che li conosci di persona. E’ vero, no? Li conosci.”
Ho annuito inerme.
“E un paio di volte quell’Armstrong, Joey è venuto qui con la sua ragazza, e tu hai sempre evitato di salutarlo e di avvicinarti a lui. Non serviva altro per capire come stanno le cose.”
“Cosa sei, una specie di psicologo?” gli ho chiesto asciugandomi le lacrime.
“No” ha sorriso per la prima volta “solo un bravo osservatore.” Mi ha porto un fazzoletto di carta: “tieni, hai tutto il mascara sbavato.”
“Grazie”, ho mormorato, fissando il pavimento.
“Allora, cos’è lui per te? Sei pazza di lui, vero?”
L’ho guardato confusa. Era seduto sul tavolo, ora, e mi scrutava con i suoi occhi nocciola che riuscivo a malapena a intravedere sotto i ricci. Sembrava sinceramente incuriosito, ma io non riuscivo a capire da cosa derivasse tutto quell’interesse nei miei confronti.
“Ti è mai capitato di odiare te stesso con tutte le tue forze?” gli ho chiesto, sconfortata.
Lui ha fatto un sorriso amaro. “Benvenuta nel mio mondo, raggio di sole. Io non faccio altro che odiarmi tutto il tempo.”
“Ah, si? E perché?”
Duncan si è stretto nelle spalle. “Sai, la sensazione di essere troppo sbagliato per questo mondo. Sicuramente l’hai provata anche tu.”
“In effetti, si.”
“Per anni mi sono odiato perché incolpavo me stesso della mia solitudine. Poi ho capito che non è colpa mia, semplicemente sono fatto così- la verità è che non mi piace molto la gente, e io non piaccio molto a loro, credo. Così ho preso atto di essere sbagliato, ma nel modo giusto.”
Ho fatto un tentativo di sorriso. “Io non credo di essere sbagliata nel modo giusto. Sono sbagliata e basta, punto.”
“Se fosse così, lui non sarebbe così fottutamente innamorato di te.”
Ho scosso la testa, sorridendo amara. “Lui non è per niente innamorato di me. Forse, lo era. Ma io non sono il tipo di ragazza di cui si rimane innamorati a lungo.”
Duncan ha fatto un sorrisetto: “Fidati di me. Te l’ho detto, no, che sono un bravo osservatore?”
“Duncan, Joey mi odia.” Ho cercato di farlo ragionare, ma lui continuava a fare quel suo sorrisetto di chi la sa lunga, e ho preferito lasciar perdere. Non avevo più voglia nemmeno di irritarmi. Però, dopo la chiacchierata con Duncan, ero ancora più decisa ad andare al compleanno di Mike.

Così, alle otto e mezza ero a Gilman Street. Ero in ritardo, e ne ero consapevole, ma mi ci era voluto un bel po’ di training autogeno per convincermi a presentarmi. Continuavano a venirmi in mente le parole sprezzanti di Joey.
Sono entrata di nascosto, come una ladra. Ho visto Billie Joe e Adrienne pogare insieme a Tré in mezzo alla folla, e poi ho visto Mike sul palco, che faceva una sfida di basso con un musicista punk che non avevo mai visto prima. In un angolo, c’erano Joey, Ramona, Estelle Desirée, gli Emily’s Army e ovviamente Susan, a ingozzarsi di snack al cioccolato e Seven Up.
All’improvviso, le parole pronunciate da Joey quel pomeriggio mi sono crollate addosso come durante un terremoto. Cosa ci facevo io lì? La risposta era solo perché Billie Joe aveva detto di invitarmi, e probabilmente l’aveva fatto solo per cortesia. Io non facevo parte di quella famiglia, non ero parte di loro. Ero solo una stupida e squallida ragazzina a cui, per chissà quale motivo, Billie Joe, Mike e Tré si erano affezionati. Ma lì, in quel momento, non c’entravo assolutamente niente con quelle persone.
Stavo giusto per andarmene, quando ho sentito qualcuno chiamarmi:
“Sal! Ehi, Sal!”
Mi sono voltata e ho visto Billie Joe che mi salutava con un sorriso a trentadue denti, i capelli corvini scompigliati e appiccicaticci di sudore. Il mio misero cenno in risposta non deve averlo convinto, infatti si è fatto largo nella calca e mi ha raggiunto.
“Stai andando da qualche parte?”
“Io… Io…”
Mi sono guardata attorno, cercando una via di fuga da qualche parte. Non ce n’erano. Ho deglutito.
“Volevo solo… Salutarvi. Ora credo che andrò a casa. Magari fai tu gli auguri a Mike da parte mia.”
“Cosa? Ma se scommetto che sei appena arrivata! Rimani almeno per il brindisi, stasera il Gilman in via del tutto speciale farà un’eccezione alla regola del niente alcool!”
“No, davvero, devo andare. Mi ha fatto piacere vedervi.” Ho fatto un sorriso, la mia ultima frase era sincera. “Ciao, Billie, magari ci si vede.”
“D’accordo… Ciao, Sal. Ci vediamo, eh?”
“Senza dubbio.” Mi sono allontanata verso l’uscita. Arrivata alla porta, mi sono voltata indietro e ho visto Billie Joe che si dirigeva con passo deciso verso suo figlio e i suoi amici. Mi sono nascosta dietro la schiena di un energumeno che puzzava di birra e sudore in una maniera impressionante per osservare meglio la scena; i due ora sembravano litigare furiosamente. Billie Joe continuava a indicare la porta col braccio, e Joey scuoteva la testa a braccia incrociate; sembravano entrambi piuttosto arrabbiati. A quel punto, me ne sono andata.

L’aria fresca mi ha fatto bene, dentro il Gilman non si respirava. Mi sono seduta su una panchina poco distante da lì, abbracciandomi le ginocchia e guardando fisso davanti a me, mentre pensavo al pasticcio che avevo combinato. Non solo avevo litigato con Joey e ora lui mi odiava, ma ora lo avevo fatto litigare anche con suo padre, con il quale i rapporti erano già tesi. Mi stavo comportando da idiota a farmi vedere ancora in giro, dovevo sparire per sempre dalla loro vita.
Mi giusto immersa in questi pensieri deprimenti quando ho sentito una voce allo stesso tempo roca e graffiante vicinissimo a me:
“Secondo me dorme ad occhi aperti. Non è possibile che non si sia accorta di noi, siamo qui da un quarto d’ora.”
“Smettila, Estelle.”
Ho alzato gli occhi e ho visto Ramona ed Estelle Desirée in piedi proprio accanto a me.
Ramona si è messa a ridere. “Si è risvegliata, visto?”
“Ramona… Estelle…” mi sono alzata in piedi, accigliata. “Che diavolo ci fate qui, si può sapere?”
Estelle ha dato una gomitata all’amica. “Te l’avevo detto che non sarebbe stata felice di vederci” ha sussurrato.
Ramona ha fatto un’espressione corrucciata. “Sallie, mi dispiace un sacco per il nostro comportamento degli ultimi giorni. Giuro che quando ti incontravo a scuola, e vedevo come ci guardavi, mi sentivo una merda. Per non parlare di quando venivi a casa mia a provare con Joe e Larry. Giuro, Sal, che nessuna di noi due voleva… E’ stato Joey a proibirci di parlare con te. Credo che volesse tagliare tutti i ponti con te, per questo non voleva che ci parlassimo più… Sal, non sai quanto mi dispiace!”
Le ho guardate entrambe a braccia incrociate, e ho sentito investirmi un fiotto di rabbia velenosa:
“E ci avete messo così tanto a capire che Joey non deve decidere della vostra vita?”
Ramona ha sospirato, ma prima che potesse parlare, Estelle si è intromessa.
“Nemmeno Cole, Travis e Max ce l’hanno con te… Beh, Max in realtà un po’ si, ci ho provato a fargli capire come stanno le cose ma è testardo come un mulo. Ma comunque, Sallie… L’ho detto a Ramona che non ci avresti perdonate tanto facilmente, e hai tutte le ragioni per essere incazzata con noi. Posso solo dirti che mi dispiace, che ci dispiace, e ci siamo comportate da vere idiote a ubbidire a quello che diceva Joey. Vorremmo tanto riparare in qualche modo.”
Le ho guardate negli occhi, una a una, e poi ho detto lentamente:
“Joey oggi mi ha detto che non c’entro niente col vostro mondo, con la vostra famiglia. All’inizio ci sono rimasta male, ma sapete che c’è? Ha ragione. Forse è meglio che me ne vada e sparisca per sempre dalle vostre vite.”
“Non dire stronzate, Sal” ha ribattuto Ramona nervosamente. “Sei nostra amica, ti vogliamo bene. Mio padre ti vuole bene. Zio Bill e Zio Mike ti vogliono bene, e sono sicura che anche Joey ricomincerà a volerti bene, prima o poi. Non ha alcun senso quello che dici. E Joey… Joey è solo molto, molto arrabbiato. Aspetta un altro po’, fagli sbollire la rabbia, e vedrai che potrete essere amici come prima.”
Ho sorriso sinceramente per la prima volta nella serata e le ho abbracciate.
“Mi siete mancate, ragazze.”
“Anche tu ci sei mancata.”
I loro occhi brillavano, e forse anche i miei.
“Allora, vuoi rientrare?” Mi ha chiesto Ramona.
Ho lanciato un’occhiata al Gilman, da cui proveniva tutta quella musica e si poteva percepire una chiara atmosfera di festa. Poi ho pensato e Joey e Susan che non facevano altro che tenersi per mano e pomiciare. Ho sentito una stretta al cuore.
“Non… Non me la sento molto.”
Estelle mi ha guardata dritta negli occhi e ha annuito, mentre Ramona ha mormorato:
“Capisco”.
“Ditemi una cosa, ragazze” ho aggiunto, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera e il peso che sentivo al cuore. “Com’è Susan?”
Ramona ha alzato gli occhi al cielo. “E’ insopportabile, Sal. E’ la tipica preadolescente sovreccitata. Adora tutto quello che facciamo, ci segue come un dannato cagnolino o che so io. E poi, da quando ha sentito suonare Joey e gli altri, non fa altro che parlare degli Emily’s Army, di quanto siano fighi gli Emily’s Army, di quanto sia fantastica la musica degli Emily’s Army… E’ una vera palla al piede. Non vedo l’ora che Joey la pianti con questa farsa e la molli. Si vede lontano un miglio che non c’entrano niente l’uno con l’altra.”
Ho fatto un sorrisetto, segretamente soddisfatta.

Quando finalmente sono tornata a casa, mezz’ora dopo, un po’ del peso che sentivo al petto si era alleviato. E’ bello sapere che Ramona, Estelle e gli altri non ce l’hanno con me… Non vedo l’ora che finisca tutta questa storia, di dimenticare Joey e tornare ad essere amici come prima.
Sono ventidue giorni ormai che sento una dannatissima stretta al cuore ogni volta che lo incrocio per il corridoio a scuola, ogni volta che mi trovo nella sua stessa classe a inglese, ogni volta che prendo in mano le bacchette o mi trovo a girare per quelle strade polverose di Berkeley che noi abbiamo attraversato in lungo e in largo. Sono ventidue fottuti giorni che non ci parliamo, e a me sembra un’eternità. Mi manca immensamente, e non posso farci niente.
 

Sallie 

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Capitolo 36
*** Road to Acceptance. ***


10 Maggio, le otto di sera

 
Una volta ho letto da qualche parte che quando muore qualcuno, le persone che amavano questa persona attraversano tre fasi: una di non-accettazione, una di accettazione e una di superamento del lutto.
O qualcosa del genere, comunque.
Credo che oggi sia successo qualcosa che mi ha fatto superare la fase di non-accettazione, in cui non riuscivo a capacitarmi della mia lite con Joey e in cui mi sentivo più o meno come uno straccio strizzato. Ma dopo gli eventi di oggi, qualcosa in me è cambiato. Forse si può chiamare rassegnazione, più che accettazione. Ma la cosa importante è che non mi sento più uno schifo. Mi sento di nuovo forte, e in grado di fare ciò che voglio e soprattutto di scordarmi per sempre di Joey.
E questo credo che sia soprattutto merito di Alex.
Forse non ti ricordi di lui, te ne ho parlato solo una volta, molto tempo fa. E’ il ragazzo che fa tatuaggi, quello che mi ha tatuato quella J sull’indice, il simbolo del legame che mi unisce a Joe, e che oggi mi ha fatto il mio secondo tatuaggio. Ma procediamo con ordine.
In questi ultimi giorni, le prove con Joe e Larry sono andate estremamente bene, anche grazie ai consigli di Billie Joe, Mike e Tré. Inoltre, abbiamo anche finalmente deciso il nome del nostro gruppo: noi siamo i Mystery. E Mystery è anche il titolo della seconda canzone di Joe. Una canzone veloce, potente e delicata al tempo stesso. Una canzone che ha scritto un giorno che era completamente fatto, e infatti il testo è un guazzabuglio di parole e riflessioni senza alcun senso logico apparente. Mi piace.
Così, ieri Ramona è arrivata a casa tutta trafelata e con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Da quando abbiamo fatto pace assiste a tutte le nostre prove, a volte anche con Estelle, ed è entusiasta del gruppo. Credo che Joey non sia molto contento di questo ma, d’altronde, se non gli va bene sono solo affari suoi. Non mi interessa quello che pensa.
“Ragazzi, ho una sorpresa per voi!” Ha esclamato ieri sera entrando di colpo nella sala prove dove io, Joe e Larry stavamo facendo alcuni sound check insieme a Tré.
Joe ha alzato un sopracciglio, incuriosito.
“Cioè?”
Ramona ha fatto un sorriso se possibile ancora più grande.
“Vi ho appena iscritti nella lista delle band che domani sera si esibiranno a Gilman Street! Ne ho parlato anche con papà e zio Billie Joe, e secondo loro siete pronti. Al Gilman non vedono l’ora di sentirvi!”
Sono rimasta immobile, a bocca spalancata, con una bacchetta ancora a mezz’aria. Anche Joe è rimasto pietrificato dal terrore, e Larry ha emesso un verso strozzato, mentre Ramona e suo padre si sono battuti il cinque con l’aria di chi ci aveva appena fatto il regalo più bello della nostra vita.
“Voi… Cosa?” Sono riuscita a esalare dopo quello che mi è sembrato un tempo infinito.
Il sorriso di Ramona si è un po’ sbiadito: “Non… Non siete contenti?”
Avevo la gola secca, e sono riuscita solo a balbettare un misero “io… che diavolo… Gilman Street?”
Tré invece è balzato in piedi. “Ovvio che siete contenti! Come potreste non esserlo?”
“Domani?” ha farfugliato Larry, il volto bianco come un lenzuolo. Era visibilmente atterrito.
“Domani” ha annuito Ramona. Incominciava a preoccuparsi. Io ero ancora con la bacchetta a mezz’aria e Joe non aveva ancora spiccicato parola.
“Ehi?” gli ha chiesto infatti, avvicinandosi a lui. “Joe, tutto bene?”
“Domani” ha biascicato lui. “Domani dovremo esibirci a Gilman Street. E l’abbiamo saputo solo stasera. Domani.”
Si è lasciato cadere per terra, le mani affondate nella sua folta chioma bionda.
“Domani”, ha continuato a sussurrare per un bel po’.
“Ragazzi, vi state comportando come se fosse morto qualcuno! Dovrebbe essere una bella notizia! O no?” ha lanciato un’occhiata dubbiosa a suo padre, che ha ridacchiato. “Lascia stare, Mona” ha detto, lanciandoci un’occhiata divertita. “Quei tre sono solo molto nervosi. In effetti, credo che avremmo dovuto avvertirli prima.” Ha saltellato come se niente fosse fino alla mia batteria, e mi ha dato un colpetto sulla spalla. Io finalmente mi sono decisa ad abbassare la bacchetta e il braccio mi è ricaduto lungo il fianco come un pezzo di carne morta.
“Allegra, Sal! Ce la farete. Siete perfettamente in grado di mettere su una scaletta ed eseguirla domani sera al Gilman. Inoltre domani è martedì, quindi non ci sarà nemmeno troppa gente. Sarà una figata pazzesca!”
Ho deglutito. Poi gli ho lanciato la bacchetta in testa.
“Ahia! Che diavolo ti prende, Sal?!”
“Tu. Sei. Fuori di testa.” Ho esalato, il respiro affannoso. Ero sconvolta. Come avremmo potuto esibirci al Gilman con un solo giorno di preavviso? Dopo due sole settimane che suoniamo insieme? Sarebbe stato un suicidio!
Joe si è finalmente alzato in piedi scuotendo la testa. “Siamo fottuti, ragazzi. Questa è la fine dei Mystery. La nostra carriera si è tragicamente conclusa ancor prima di iniziare. Siamo un fottuto aborto.” Ha annunciato in tono melodrammatico, mentre Larry guardava Tré con gli occhi spalancati.
“Non esagerare, Joe” ha cercato di calmarlo Ramona, che ora sembrava seriamente preoccupata.
Ho deglutito di nuovo, cercando di calmare il battito forsennato del mio cuore, e, con estrema calma, ho chiesto a Joe:
“Joe, quante canzoni abbiamo pronte in modo da poterle eseguire domani sera?”
Lui si è voltato verso di me, guardandomi con due occhi da folle.
“Vuoi davvero farlo, Sal? Sei andata fuori di testa per caso?”
Ho annuito. “Credo di si. Ma dato che siamo in ballo, balliamo.”
“Brava Sal, così ti voglio!” Ha esclamato Tré alzando una mano per darmi un cinque, che io non ho ricambiato.
A quel punto anche Larry e Joe si erano più o meno risvegliati, così ci siamo messi a fare una scaletta per questa sera. Alla fine, le canzoni che suoneremo saranno queste:
 
Broken Boy e Mystery, le nostre canzoni
Longview, She e Nice Guys Finish Last dei Green Day
Blitzkrieg Bop e I Wanna Be Sedated dei Ramones
No Feelings dei Sex Pistols
 
Il concerto è tra sole due ore, e a me viene da vomitare per l’agitazione. Ma ora ti devo raccontare quello che mi è successo oggi.
Dopo scuola stavo andando al lavoro come al solito, quando mi ha chiamata Henry e ha detto che non c’era bisogno di me al bar. Così mi sono ritrovata con un mucchio di tempo libero senza sapere bene come usarlo. Sarei potuta andare da Tré a ripassare le mie parti di batteria, ma non me la sentivo molto. Sapevo che in questo modo avrei sentito ancor più la tensione. Così ho incominciato ad aggirarmi per Berkeley senza meta, in compagnia del mio mp3. E, camminando, sono finita nel quartiere residenziale.
Quel posto è completamente diverso da Rodeo. Sembra tutto un altro mondo, invece sono distanti pochi chilometri.
Le case sono tutte splendide villette a schiera tinteggiate di colori chiari, ognuna con un giardino sul davanti e uno sul retro; nessuna di quelle case ha le pareti scrostate o i giornali alle finestre al posto delle tende, lì i giardini sono tutti curati, non come quelli che vedi a Rodeo, pieni di erbacce e vecchi oggetti in disuso come stivali di gomma, carrozzine e altre cianfrusaglie. A volte nei vialetti si potevano vedere le auto parcheggiate: macchine che io sono abituata a vedere nei giornali patinati, non certo nella vita reale. Le auto che vedi parcheggiate a Rodeo sono per la maggior parte camion, oppure vecchie carcasse sverniciate piene di botte e con i finestrini crepati.
Le poche persone che ho incontrato in quel quartiere erano tutte ben vestite, gli uomini non ti lanciavano occhiate languide rollandosi le sigarette e nessuno di loro aveva l’aria di chi ti avrebbe aggredito appena fosse stato buio.
Perciò, mi sono davvero stupita a un certo punto di vedere un ragazzo con una maglietta lercia dei NOFX,i capelli rapati quasi a zero, e con vari piercing in faccia, oltre che a due o tre tatuaggi sulle braccia. Uno di questi rappresentava quello che sembrava un teschio in decomposizione. Portava un paio di jeans sdruciti che lasciavano intravedere le ginocchia graffiate, e un paio di scarpe da ginnastica semi distrutte. Si stava rollando una sigaretta, seduto sui gradini all’ingresso di una villetta apparentemente come tutte le altre.
L’ho riconosciuto dopo qualche secondo: era Alex, il ragazzo dei tatuaggi che Joey mi aveva presentato qualche mese fa. Non pensavo nemmeno che mi avrebbe riconosciuta, invece mi ha fatto un cenno con la mano e ha anche fatto una specie di sorriso, così sono andata a sedermi accanto a lui.
“Ehi. Tu sei Sallie, vero? Quella che si è fatta il tatuaggio insieme a Joey.”
Ho annuito. “Come va?”
Lui ha finito con calma di rollarsi la sigaretta, ha leccato il filtro con cura, dopodiché se l’è accesa e ha fatto un lungo tiro.
“Medio.” Ha risposto alla fine.
“Cioè nulla di esaltante.”
“Esatto. Tu?”
Mi sono stretta nelle spalle. “Stasera ho il mio primo concerto , e mi sto cagando addosso. Ma a parte questo… Beh, no, sarebbe uno schifo lo stesso.”
Abbiamo riso entrambi.
“Il tuo primo concerto?” Mi ha chiesto poi. “Cosa suoni?”
“Batteria.”
“Come Joey.”
“Già, mi ha insegnato lui.” Ho cercato di mantenere un tono neutrale, ma devo aver fatto un’espressione strana, perché Alex mi ha lanciato un’occhiata incuriosita.
“Da quant’è che conosci Joey?”
“Circa cinque mesi. Più o meno.”
“E come l’hai conosciuto?”
Mi sono mordicchiata un labbro fissando dritta davanti a me.
“Beh, in verità l’ho conosciuto attraverso… Suo padre. Ho conosciuto Billie Joe per caso, e lui mi ha presentato Joey.”
“Sei amica di Billie Joe?”
Ho sorriso. “Anche se ci conosciamo da poco tempo è come se fosse un padre, per me. Almeno, io lo considero tale. Io non ho un padre da quando avevo nove anni, sai, e poi ho conosciuto Billie, Mike e Tré… Tu non sai quanto quei tre mi siano stati vicini negli ultimi tempi. Se non li avessi mai conosciuti, la mia vita ora sarebbe completamente diversa. Io sarei diversa.”
Alex mi ha fissata a lungo, così a lungo che sembrava volesse scavarmi dentro; ho abbassato gli occhi, imbarazzata.
“I Green Day.” Ha detto solo.
“I Green Day.” Ho sospirato. “Mi hanno insegnato tutto.”
“Tutto cosa?”
Ho fatto un sorriso pensando a Billie, Mike e Tré.
“Mi hanno insegnato a pensare con la mia testa, mi hanno insegnato a essere sempre me stessa e a seguire i miei sogni, per quanto difficile possa sembrare all’inizio. Mi hanno insegnato a credere in me stessa, a non vergognarmi di dire chi sono e da dove provengo, mi hanno insegnato a mettere il cuore in tutto quello che faccio, e a non avere paura delle novità, perché queste fanno parte della vita.” Ma questa cosa l’ho capita troppo tardi, non sono riuscita a trattenermi dal pensare amaramente.
Alex ha sorriso. “Sembra che ti abbiano davvero cambiato la vita.”
“Già. Magari un giorno ci allontaneremo, ci perderemo di vista… Ma io sono certa che non li dimenticherò mai. E anche se magari un giorno prenderemo strade diverse, loro faranno sempre parte di me. Mi saranno sempre vicini con la loro musica.”
“Vorrei tanto aver incontrato anch’io qualcuno così. Qualcuno come un genitore, intendo, che ti insegni qualcosa.”
“I tuoi genitori non…?”
“Sono vivi, se mi chiedi questo. Cioè, biologicamente parlando, sono vivi. Ma in realtà sono zombie. Sono morti e ancora non lo sanno. Sono fottutamente intrappolati nella rete di stronzate che la società ha creato per impedirci di pensare, e siccome ci stanno comodi, non vogliono ammettere che sono prigionieri, che alla fine verranno divorati. E’ facile ubbidire, è facile farsi dire dagli altri cosa pensare.”
Ho annuito concorde. La pensavo esattamente come lui.
“E come hai fatto a capire che il mondo non è come te lo mostravano i tuoi genitori?”
Alex ha sorriso ricordando quel momento: “La primissima volta avevo sette anni, e ancora non potevo capirlo, ma quel giorno qualcosa mi disse che c’era qualcosa di diverso in me, qualcosa che mi distingueva dai miei genitori. Eravamo al centro commerciale, e io mi ero perso. Alla fine sono uscito nel parcheggio e ho visto un ragazzo punk seduto sul marciapiede. Aveva una cresta verde, me lo ricordo ancora, e il chiodo nero pieno di borchie e catene. Stava fumando una sigaretta. Quando ha visto che piangevo, mi ha detto:
‘Ehi, perché piangi, ragazzino?’, e io gli ho risposto: ‘perché ho perso la mia mamma.’ Allora lui si è alzato in piedi e ha buttato la sigaretta per terra. Allora mi sembrava un gigante, ma ora mi rendo conto che non doveva avere più di sedici o diciassette anni. Mi ha preso per mano e ha detto: ‘Andiamo a cercare la tua mamma.’ Mi stava portando dentro il centro commerciale, ma sulle porte abbiamo incontrato mia madre, che si è messa a gridare come un’indemoniata, a dirgli di lasciarmi immediatamente, di stare lontano da noi o avrebbe chiamato la polizia. Lui non ha detto una parola, e quando ho provato io a spiegare a mia madre che quel ragazzo voleva solo riportarmi da lei, lei mi ha strappato dalla mano dello sconosciuto, mi ha preso in braccio e ha detto che non dovevo avvicinarmi alle persone come lui perché erano dei drogati pericolosi. Dovevi vedere la sua reazione quando ho detto che mi piaceva la sua cresta” ha riso “era sconvolta, giuro. Mi ha fatto promettere che io mai e poi mai mi sarei conciato così. E io avevo solo sette anni.
La seconda volta è stata due anni fa, quando avevo quindici anni, ed è stato perché ho letto un libro che mi ha cambiato la vita: 1984, di George Orwell. Da quel giorno, da studente attento e ragazzino ultra passivo sono diventato questo. Ho deciso che le cose sarebbero cambiate, così mi sono trasformato da scout a punk. E’ mia madre è passata da chiamarmi ‘il suo piccolo ometto responsabile’ a ‘quel disgraziato che non combinerà mai niente nella vita.’ Se adesso mi perdessi al centro commerciale, probabilmente non se ne accorgerebbe neanche.” Ha fatto una risata amara.
Ho sospirato. “Allora puoi capire quanto sia frustrante quando la gente ti instaura i sensi di colpa perché non sei uguale a loro. Ti fanno credere di essere sbagliato, che ci sia qualcosa che non va in te.”
Alex ha guardato il cielo per un attimo, poi ha riabbassato gli occhi verso di me.
“sai che c’è? Non c’è niente che non vada in te, o in me. Ci sono un sacco di cose che non vanno nel mondo in cui viviamo.”
“Siamo sbagliati nel modo giusto”, ho sorriso, pensando alle parole di Duncan.
“Esatto. Ed è una cosa di cui essere orgogliosi.”
“Sai cosa fa paura? Ho paura che da adulta, ripensando a questo, dirò che erano solo i pensieri di un’adolescente arrabbiata col mondo. Tutti gli adulti sono così, tranne Billie Joe, Mike e Tré. Nessuno prende sul serio le nostre parole, e fa schifo dover essere guardata con aria di superiorità da una testa di cazzo che si crede migliore di me solo perché è adulto e poi non sa neanche tirarsi su la patta dei pantaloni da solo.”
“Se hai paura di dimenticarti chi sei, c’è un solo modo per ricordartelo per sempre.”
“E cioè?” Gli ho chiesto, curiosa.
Lui si è stretto nelle spalle con un sorriso. “Non ti ricordi cosa faccio io?”
 
Un’ora dopo, sono uscita da casa di Alex con un cerotto all’altezza del cuore sotto cui bruciava la mia pelle ora decorata in modo permanente dal simbolo che racchiude tutto ciò che sono, tutto ciò che sono diventata e che vorrei essere: il cuore-bomba a mano di American Idiot.
“Te lo regalo io”, ha detto Alex, “Te lo meriti. Era da un sacco di tempo che non avevo una conversazione decente con qualcuno.”
“D’accordo, ma per sdebitarmi come minimo voglio offrirti da bere.” Ho ribattuto, e non ammettevo repliche. Così lui ha accettato e siamo andati in un pub imbucato nella periferia di Berkeley.
Lì ci siamo seduti a un tavolaccio di legno tutto scheggiato e traballante, e abbiamo ordinato due birre. Lui ha alzato il bicchiere.
“Alla diversità” ha detto solennemente.
“E all’essere sbagliati, ma nel modo giusto” ho aggiunto io, e abbiamo mandato giù quella roba in un sorso.
 
Circa un paio d’ore dopo, siamo usciti dal bar barcollando e ridendo come matti. Ci aggrappavamo l’uno all’altro e non facevamo altro che cadere. Poco prima, al pub, avevamo incontrato un amico di Alex, che si era offerto di condividere con noi lo spinello che si era appena rollato. Così ora eravamo fatti di erba, birra e vino rosso da due soldi (ne avevo comprato un paio di bottiglie quando ormai ero già ubriaca).
“Aspetta”, ho biascicato qualche minuto più tardi, appendendomi al corrimano delle scale del municipio. “Che ore sono?”
Lui ha guardato l’orologio per un tempo infinito.
“Le nove e mezza” ha detto alla fine.
“Cosa?! Le nove e mezza?! Joe mi ucciderà!” Ho cercato di rialzarmi, ma sono scivolata di nuovo per terra e sono scoppiata a ridere.
“A che ora dovevate trovarvi?”
“Alle sei al Milgan.  Volevo dire, al Gilman.”
Alex ha ridacchiato. “Andiamo al Gilman!”
“Ma ormai è tardi!!”
Lui si è stretto nelle spalle. “Magari lo trovi” ha detto ridendo, come se fosse stata la battuta più divertente del mondo.
Così ci siamo diretti al Gilman, più fuori che mai. A un certo punto, però, lui ha tirato Joey in mezzo al discorso demenziale che stavamo facendo.
“Ehi. Hai presente Joey?”
“Credo di si… Si! Joey! E’ quello stronzo pezzo di merda bastardo!”
Alex ha riso tanto che la saliva gli è andata di traverso e ha cominciato a tossire.
“Da quanto tempo state insieme?” Mi ha chiesto poi.
Io l’ho guardato confusa.
 “Non stiamo insieme.” Ho replicato lentamente alla fine.
“Ma io mi ricordavo che stavate insieme.”
“No”, ho scosso la testa. “Non mi pare.”
“Amici con benefici?”
“Neanche” ho risposto. “Non ricordo alcun tipo di beneficio.”
“Ma allora perché è uno strooooonzo?” Ha chiesto, allungando la parola mentre cercava di aggrapparsi all’insegna del 7-11 e cadeva.
“Perché sta con una battona di nome Susan!” Ho esclamato, agitando i pugni e colpendomi per sbaglio. “Ahi!”
Alex mi ha guardato aggrottando le sopracciglia, confuso, poi ha scosso la testa.
“Non capisco”, ha detto lentamente.
“Lui è mio” ho tentato di spiegargli, ma non riuscivo a scandire bene le parole. “E io sono solo sua, e lui lo sa e lo fa apposta perché è cattivo. Quando gliel’ho detto che ero sua lui ha detto che era troppo tardi.”
“Uh” ha fatto Alex annuendo. “Che grandissimo stronzo.”
“Si, ma sai una cosa? Prima ci stavo male, ora non m’importa più. Può andarsene all’inferno!” Ho gridato ridendo.
In quel momento, ho sentito una voce che non apparteneva ad Alex pronunciare il mio nome.
“Sallie? Che diavolo stai facendo?”
Mi sono voltata e ho visto Joe. Io e Alex eravamo arrivati al Gilman. Accanto a Joe, seduto su quello che una volta doveva essere un cartello indicatore, c’era Larry con il suo basso tra le braccia. E’ scoppiato a ridere vedendomi:
“Uh, Joe, ora si che siamo fottuti! A quanto pare la nostra batterista è ubriaca.”
“Cosa?!” Ha esclamato Joe mettendosi le mani tra i capelli tinti di verde marcio appositamente per l’occasione. “Merda, merda, merda! Sallie, come diavolo ti è venuto in mente di ubriacarti proprio oggi?”
“Non sono ubriaca”, ho borbottato per poi essere presa da una fitta allo stomaco e finire chinata a vomitare sulle scarpe di Joe, il quale ha sfoderato un originalissimo repertorio di imprecazioni mentre Alex e Larry ridacchiavano.
Quando mi sono rialzata, gli ho chiesto confusamente: "com'è andato il concerto?"
Joe mi ha guardata, arrabbiato e allo stesso tempo divertito: "non c'è ancora stato il concerto. Sono solo le sei."
Ho indicato Alex scoppiando a ridere. "Credo che tu abbia sbagliato a leggere l'orologio, prima!" Ho esclamato allegramente. Ci siamo battuti un cinque, mancandoci.
“Meglio se la portate dentro” ha detto poi Alex, ancora allegro. “Se la fate riposare un po’ e le date dell’acqua potrà riprendersi in tempo per il concerto.”
“Hai ragione”, ha detto Joe, così siamo tutti entrati nella sala sul retro del Gilman, dove c’era la batteria che avrei suonato. Io mi sono ripresa da poco e ho appena annotato su dei fogli trovati qui tutto quello che è appena successo, ma ora che si avvicina il momento del concerto il volume delle imprecazioni di Joe sta raggiungendo un livello così alto che non riesco più a concentrarmi per scrivere. Veramente sono nervosa anch’io. Lì sul palco sta già suonando qualcuno, e da qui posso sentire la gente cantare, pogare e fare casino, e tra loro ci sono anche Alex, Ramona, Estelle, Billie Joe, Mike e Tré. Per la prima volta, stasera mi troverò dall’altro lato del moshpit. Al solo pensiero potrei vomitare di nuovo.
Oh merda, Joe mi chiama perché tra dieci minuti tocca a noi. Vado.
Credo che morirò da un momento all’altro.
 

Sallie 

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Capitolo 37
*** A fire burns today, of blasphemy and genocide! ***


12 Maggio

Ok, ti devo assolutamente raccontare cos’è successo poi l’altra sera al concerto. E’ stato davvero allucinante, ti dico solo questo. Un concerto, come dire... Scoppiettante.
Ma cominciamo dall'inizio.
Non credo di riuscire a descrivere la sensazione che ho provato salendo sul palco. Una specie di morsa allo stomaco e un brivido lungo la schiena che mi ha provocato pelle d’oca per tutto il corpo.
C’era poca gente, come previsto, ma abbastanza da farmi perdere la testa. Abbastanza da farmi venire voglia di fuggire il più lontano possibile da lì, buttarmi a letto e nascondere la testa sotto una vecchia coperta, comunque. Tutti quei punk che per questi mesi ho considerato amici, fratelli, compagni di pogo… Ora erano solo una massa indistinta di piercing, tatuaggi e capelli colorati che avrebbe potuto sbatterci fuori dal Gilman a calci in culo in un secondo. Fortunatamente, in tutta quella massa del terrore, ho finalmente intravisto i volti raggianti di Billie Joe, Mike, Tré, Ramona ed Estelle. E quello di Joey. Per un attimo mi sono chiesta cosa diavolo ci faceva lì, ma ero troppo concentrata a trattenere il vomito per preoccuparmi di lui.
 Ho guardato Joe, che si stava sistemando la chitarra a tracolla al centro del palco, e Larry, alla sua sinistra, che sfoggiava un sorriso teso e stringeva nervosamente il manico del suo basso. Non me n’ero mai resa conto prima, ma insieme formavamo un ben strano terzetto: Joe alto e smilzo, con i capelli verde alga morta e i vestiti logori, Larry, più basso e muscoloso e con i capelli ricci color rosa cicca, e infine io, piccola, sottile, quasi invisibile se non fosse per i miei capelli azzurri lunghi fino alle spalle e la mia maglietta nera con la scritta “Nobody knows I’m a lesbian” che attirerebbe l’attenzione anche in una piazza gremita. Risultavamo strani perfino per gli standard di Gilman Street.
“Ehi, Gilman Street!” Ha gridato Joe al microfono con un grosso sorriso. L’agitazione sembrava scomparsa. Era tornato nel suo elemento. “Come va stasera?” I pochi presenti hanno urlato qualcosa di incomprensibile. “Noi siamo i Mystery”, ha aggiunto poi Joe, e mi ha lanciato uno sguardo. E allora anch’io ho sentito tutto il nervosismo accumulato quella sera sparire e sciogliersi all’improvviso. Era il nostro momento, il mio momento. Ho sorriso a Joe e ho battuto le bacchette sopra la testa per dare il tempo, e poi sono partiti gli accordi iniziali di Mystery, una delle nostre canzoni.
Da quel momento in poi è stato come vivere in un sogno.
Non pensavo più al palco, ai punk  che pogavano sotto di noi, a Joey, ai Green Day. No, la mia mente era totalmente assorbita nei movimenti, nella musica che stavamo generando.
Abbiamo suonato Mystery, Longview e I Wanna Be Sedated alla grande. Ma proprio alla grande. Non avevamo mai suonato così bene, credo.
Le cose hanno cominciato ad andare storte durante Blitzkrieg Bop.
Prima di tutto, è andata via la luce per una decina di secondi. Black out totale. Credo di essere andata nel panico più assoluto, ma fortunatamente poi l’elettricità è ritornata, ma c’era qualcosa che non andava negli amplificatori. Ogni tanto facevano un rumore strano. Ma siamo riusciti ad andare avanti fino alla metà di No Feelings, quando la luce è andata via di nuovo, stavolta per molto più tempo. Si è creato un attimo di silenzio, interrotto però dal mio “Oh, merda, di nuovo!”, che ha scatenato una serie di grida, di imprecazioni urlate, risate e suoni di vetri infranti. C’era un chiasso incredibile, ti assicuro. E poi ho sentito un mucchio di rumori vicino a me e ho capito che quel branco di svitati erano saliti sul palco! Dannati punk fuori di testa! In quel momento è tornata la luce, e la prima cosa che ho visto è stata Joe che, con la sua faccia da indemoniato di quando ha un’idea, si è avvicinato al microfono e ha gridato: “Va bene Gilman Street, scateniamo l’inferno in questo dannato buco!”.
I punk, sia quelli sul palco sia i pochi rimasti nel moshpit, hanno gridato la loro approvazione e si è scatenato un pogo frenetico, mentre noi a malapena sentivamo quello che suonavamo. Larry è stato buttato a terra un paio di volte, credo, perché a un certo punto non sentivo più il basso, mentre io e Joe ci stavamo esaltando sempre di più. Io battevo ai piatti come una dannata, sbagliando molto spesso i tempi eccetera (lo ammetto), e Joe saltava qui e là con la sua maledettissima chitarra e strillando come un pazzo. Larry era più controllato, credo. Era concentrato unicamente sul suo strumento.
Il problema è che io continuavo a sentire quello strano crepitio. Ma non mi sono resa conto di niente, neanche che le urla si sono intensificate e ha cominciato a esserci un fuggi fuggi generale, finché un ragazzino di appena quattordici anni con i capelli violetti di nome Joshua non ha afferrato il microfono e ha gridato: “Attenti, brucia!!”
Mi sono voltata e ho visto quel dannatissimo amplificatore che andava in fiamme proprio sotto il mio naso! Quella trentina di persone che ancora non si era accorta di niente è saltata su come morsa da una tarantola e si è precipitata giù dal palco, cadendo uno addosso all’altro. Sul palco siamo rimasti io, Joe, Larry, Joshua, Lana, una donna sulla trentina dai capelli fucsia, e naturalmente Ramona, Estelle, Billie Joe e Mike che cercavano di sedare l’incendio imminente, e Tré, che invece saltellava da una parte all’altra eccitato e divertito.
Mentre cercavo una cosa qualunque per spegnere le fiamme, che ormai stavano bruciando tutto l’amplificatore (gli altri, da sotto il palco, non facevano altro che passarmi cose inutili se non dannose, come birra o assi di legno), ho sentito una stretta alla mano. Ho alzato gli occhi e ho visto Joey che mi fissava con i suoi occhi grandi e scuri, e si mordeva un labbro mentre mi stringeva la mano così forte da farmi quasi male.
“Ti devo parlare!” Ha urlato, cercando di sovrastare il caos che regnava lì dentro.
Ho accennato alle fiamme che ormai divoravano il palco e che avevano obbligato anche Joe e tutti gli altri a scendere e cercare i soccorsi. “Ti sembra il momento adatto?!” Ho gridato, esasperata. Un tizio grande e grosso, con un cobra tatuato sulla pelata, mi ha quasi investito ma Joey è riuscito a salvarmi all’ultimo secondo, tirandomi verso di lui. Mi sono stretta a lui per un istante, ringraziando il cielo che quell’elefante non mi avesse trasformato in una marmellata azzurrina e dal pessimo sapore.
“Vieni!” Ha urlato Joey, e, sempre tenendomi per mano, mi ha trascinata fuori dal locale, dove la gente ormai si stava ammassando. Da lontano potevo vedere le luci della sirena dei pompieri che si avvicinava a tutta velocità.
C’era ancora parecchio caos, ma finalmente mi sono resa conto di cosa stavo facendo. Ho tirato via la mia mano da quella di Joey e ho incrociato le braccia.
“Mi dispiace!” Ha urlato lui allora, sovrastando tutto quel dannato rumore.
“Cosa?!” Ero incredula, e ho sentito per qualche istante il sapore della bile in bocca.
“Mi dispiace!!!” Ha gridato ancora più forte. “Ho lasciato Susan, se questo può farti piacere!”
Gli ho mollato una sberla, fortissima. E deve solo che ringraziarmi se non gli ho rotto il collo seduta stante.
“Sei un idiota, Joey! Un idiota e un fottutissimo stronzo!!” Ho urlato, in preda alla rabbia. Mi aveva maltrattata, umiliata, ignorata per settimane e ora aveva il coraggio di presentarsi davanti a me a sbandierarmi quel “mi dispiace”, come se in questo modo potesse sistemare tutto? Avevo seriamente voglia di ucciderlo.
“Sallie, che diavolo hai?! Ti ho detto che mi dispiace!”
Gli ho mollato un’altra sberla.
“Io ti odio!!!” Ho urlato, e, senza aspettare che mi rispondesse, mi sono voltata e sono corsa via. Ha cercato di corrermi dietro, ma in quel momento sono arrivati il camion dei pompieri insieme alla polizia e all’ambulanza, e credo che mi abbia persa di vista mentre mi nascondevo tra la folla.
Stupido, stupido, stupidissimo Joey. Mi ero appena ripresa, e lui deve sempre
complicare tutto. Lo detesto, dannazione.
Alla fine, fortunatamente, non ci sono stati feriti gravi a parte Joshua, che si è beccato una bella scottatura sul braccio. E il Gilman è rimasto in piedi, è da rifare solo il maledettissimo palco. Nessuno sa come sia potuto accadere, anche se Joe mi ha confessato che durante il primo black out molto probabilmente ha versato della SevenUp sull’amplificatore. Non credo che possa essere stata questa la causa dell’incendio, però, e gliel’ho detto. Forse i suoi amplificatori facevano schifo e basta. Dopotutto li aveva rubati a un vecchio di Rodeo che li teneva in garage da una novantina d’anni. Ad ogni modo, credo che non lo sapremo mai.
 
Insomma, il nostro primo concerto è stato un vero e proprio disastro, almeno così credevo, finché non ho sentito i commenti di alcuni punk dopo che la polizia eccetera se n’era andata. Beh, erano entusiasti! Dicevano che una serata così movimentata al Gilman non si vedeva da anni e non vedevano l’ora che suonassimo di nuovo. Evidentemente si aspettano una nuova catastrofe non appena ci esibiremo. Dimenticavo che i punk adorano le catastrofi e più succedono guai, più si entusiasmano. La verità è che siamo una comunità di svalvolati figli di puttana. E la cosa mi piace ogni giorno di più.
 

Sallie 

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Capitolo 38
*** Deadbeat Holiday. ***


 Sabato 21 Maggio 2011

Comincio subito col farti apprendere la splendida notizia che IERI E’ FINITA LA SCUOLA!
Oh, si, mi si prospetta una lunga e beata estate. Beh, in realtà forse non poi così beata dato il casino che sta tirando giù mia madre a causa di quello che ho combinato. Ora ti racconto per bene, a partire dal primo concerto dei Mystery, dall’incendio al Gilman e da Joey.
Il giorno dopo, a scuola non si parlava d’altro. La notizia del locale punk andato in fiamme era giunta perfino alle orecchie più delicate di coloro che col Gilman non hanno niente a che fare. Sai chi intendo: atleti, cheerleaders e roba varia. Volevano farne anche un articolo per il giornalino, ma questo avrebbe dovuto includere una mia intervista e io mi sono rifiutata categoricamente. Così si sono limitati a pubblicare i commenti di qualche punk della scuola frequentatore del Gilman tra cui Jack Kelly (ti ricordi di lui? Quel pezzo di merda!) che ha affermato tra l’altro che il nostro gruppo faceva cagare. Da notare il fatto che lui il giorno del nostro concerto non c’era neanche.
Ad ogni modo, la cosa più importante è che ora ero io a evitare Joey. Non volevo parlarci, ero davvero troppo irritata per il suo comportamento idiota. Era stato un vero cretino! Ogni volta che per sbaglio lo incrociavo avevo una gran voglia di prenderlo per il collo. E per di più, ovunque mi girassi, vedevo la sua Susie con l’occhio lucido, che doveva avermi scambiato per la sua migliore amica o qualcosa del genere, perché continuava a fermarmi in corridoio per parlarmi di Joey. E ieri è stato il colpo di grazia.
“Tu lo conosci bene” diceva con voce lamentosa “Forse tu sai perché mi ha lasciata così all’improvviso… Devo aver sbagliato qualcosa… Ma giuro che io l’ho sempre amato!”
A quel punto le sono palesemente scoppiata a ridere in faccia e le ho detto: “Perché non vai a raccontarlo a qualcuno a cui interessa?”
Lei però non capiva l’antifona e insisteva: “Credevo fosse una storia seria… Sono sicura che lui provava le stesse cose per me… L’avevamo anche fatto!”
A quel punto mi sono strozzata con la mia stessa saliva e ho emesso un verso agonizzante.
“Fatto… Fatto cosa, esattamente, Susan?”
“Ma lo sai… Abbiamo fatto sesso!”
Ho sentito il cuore fermarsi e tutte le mie funzioni vitali andare a puttane per qualche fatale istante. Ho guardato bene Susan, il suo fisico praticamente perfetto, i suoi capelli morbidi e castani. Quando mi sono più o meno ripresa, le ho chiesto:
“Bene, Rogers, concentrati e ripetimelo ancora. Tu e Joey avete… Avete copulato?” 
Susan mi ha guardata confusa per qualche istante:
“No, niente di tutte queste cose orribili! Abbiamo solo fatto sesso!”
“Aaaaaaargh!” Esasperata, ho sbattuto la testa contro il mio armadietto ringhiando, procurandomi così anche un bernoccolo di proporzioni epiche.
“Vattene, Rogers” Ho sbottato dopo, inspirando a fondo. “Smettila di starmi intorno, fammi respirare.”
 
“Che hai, Sal?” Mi ha chiesto Ramona sedendosi di fronte a me a pranzo, e io mi sono resa conto che erano dieci minuti che fissavo il muro davanti a me con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente aperta, cincischiando con quella sottospecie di sformato che ci avevano servito a pranzo.
“Niente” ho deglutito. Sentivo letteralmente i miei neuroni deliranti che pogavano come impazziti nel mio cervello, schiantandosi l’uno contro l’altro e generando una gran confusione.
“Sei preoccupata per stasera?” Ha sogghignato Ramona e io l’ho guardata confusa.
“Perché? Cosa succede stasera?”
Lei mi ha guardata con un’espressione a metà tra l’esasperato e il compassionevole:
“A volte vivi davvero fuori dal mondo… Sal, il ballo di fine anno, ricordi?!”
Ho fatto un salto sulla sedia, inorridita.
“Lo fate anche qui?!”
Estelle, seduta accanto a lei, ha alzato gli occhi al cielo sbuffando.
“Sallie, lo fanno in tutti i dannati licei americani!”
“Speravo fosse un vizio della sola John Sweet High” ho mugugnato, riprendendo a cincischiare col mio pseudo-pranzo.
“Quindi non è per il ballo che sei preoccupata…” Ha cercato di riprendere il discorso Ramona.
“E perché dovrei? Tanto non ci vengo” l’ho interrotta facendo spallucce.
Ramona ha scosso la testa, esasperata, mentre Estelle ha fatto una smorfia:
“No, Sal, ci devi venire! Contavo proprio su di te!”
“E allora mi sa che resterai delusa.”
“Sei una guastafeste, Sal.” Ha borbottato Estelle, mentre Ramona ridacchiava tra sé.
 
Finalmente, alla fine è suonata l’ultima campanella. Io, Ramona ed Estelle, chiacchierando sui nostri progetti estivi, siamo andate a vedere i quadri che avevano esposto in bacheca all’ingresso; Ramona avrà debito formativo in francese, Estelle in matematica e biologia, mentre io non ne avrò nessuno, per la semplice ragione che hanno deciso di bocciarmi.
Ok, sinceramente me l’aspettavo. Sono arrivata a più di metà anno dopo essere stata espulsa dalla mia vecchia scuola, e tra il lavoro e tutte queste cose che mi sono capitate ultimamente i miei voti sono calati più che mai. Alla fine ero sufficiente sono in inglese e francese. Ma non nego che è stato comunque un brutto colpo. Anzi, bruttissimo. E’ stato il peggiore fallimento della mia vita.
Ma né i casini con Joseph né la bocciatura sono riuscite ad abbassarmi il morale e soprattutto le aspettative per l’estate: io, Joe e Larry abbiamo un mucchio di progetti: una vacanza insieme (non sappiamo ancora bene dove), concerti (sia assistervi che farne), fare un week end a San Francisco, tingerci i capelli dei colori più malati, dare feste in continuazione, e, hanno aggiunto Joe e Larry, scopare come conigli.
(Beh, diciamo che Joe non ha problemi da questo punto di vista. Ho conosciuto la sua ragazza, Mary, e diciamo che… Non da’ proprio l’idea di essere una timorata di Dio che passa le giornate a filare la lana in un convento. Per niente. E’ la tipica “ragazza che piace a Joe”: bionda, occhi azzurri, look provocante, un fisico da paura, naturalmente zozza, e non esattamente una cima. Cioè, con questo non voglio nemmeno dire che è un’idiota, il problema è che sembra completamente accecata dal suo amore verso Joe o cose del genere. Joe mi ha detto che è possessiva ai limiti del morboso. E’ gelosa anche di me, ah ah.)
Ad ogni modo. Di cosa stavo parlando? Ah, si, l’estate. Insomma, abbiamo un bel po’ di piani. Ne stavo discutendo con Ramona ed Estelle fuori da scuola, dopo aver visto i quadri e essere stata adeguatamente consolata, quando ho visto Joey avvicinarsi a noi. Si è tagliato i capelli, e ora non ha più quella tinta orribile, fortunatamente. Comunque, è venuto da noi e, dopo aver salutato Ramona ed Estelle, mi ha presa in disparte.
“Vorrei parlarti, se non ti dispiace.”
Ho sbuffato. Questa storia cominciava a prolungarsi troppo, ma allo stesso tempo ero ancora troppo arrabbiata con lui per lasciar perdere.
Ho incrociato le braccia al petto.
“Bene. Parliamo.” Ho detto, e mi sono resa conto anch’io che il mio tono era puro veleno.
Joey si è passato una mano tra i capelli ormai troppo corti, e si è schiarito la voce:
“Sal, lo so che noi due non ci parliamo, anche se a dire la verità mi sono anche già scordato il motivo… In realtà, vorrei solo farmi perdonare per come ti ho trattata negli ultimi tempi, perché mi rendo conto di essere stato un vero stronzo e un rincoglionito totale. Insomma…” Ha deglutito “Ti andrebbe di venire al ballo con me, stasera?”
La sorpresa è stata così grande da prendere il posto della rabbia. L’ho guardato allibita.
“Joey, mi stai davvero invitando al ballo di fine anno? Tu? Me? Io e te? A uno stupido ballo?” Non riuscivo a connettere. Io e Joey siamo le ultime persone che potresti vedere a un evento di quel genere, ed entrambi ne siamo perfettamente consapevoli.
Lui ha sorriso. Mi ero dimenticata di come fosse luminoso il suo sorriso.
“Si, beh. Ho pensato che sarebbe stato divertente, prenderci un po’ gioco di quei ragazzini che aspettano il ballo come se fosse l’evento più importante della loro vita, così… Non è necessario restarci, se non vuoi. Potremmo anche andarcene a berci una birra da qualche parte, o al Gilman…” Mi ha guardata speranzoso.
“Quindi mi stai chiedendo di uscire.” Ho dedotto io, guardandolo con un sopracciglio alzato. Lui si è stretto nelle spalle:
“Se ti piace pensarla così.”
Mi sono morsa un labbro e l’ho scrutato per qualche istante. Lui sorrideva sereno.
“Ci… Ci devo pensare.” Ho borbottato infine. Joey ha fatto una strana smorfia.
“Se non vuoi venire, ti capisco… Ma ti conviene allontanarti in fretta. Il grande capo non sarà d’accordo.”
“Il grande capo?” Gli ho chiesto, confusa.
In quel momento si è sentito uno stridio di freni e ho visto una macchina dall’aria familiare parcheggiare di traverso in mezzo agli studenti, rischiando di investirne una decina, e facendo slittare le ruote posteriori.
Joey mi ha guardata con l’aria di chi sta per essere torturato a morte.
“Troppo tardi”ha bisbigliato, sempre con quella smorfia da martire stampata in faccia.
Billie Joe ha fatto la sua maestosa comparsa nel parcheggio degli studenti, distribuendo grandi sorrisi ai teenager che lo guardavano come paralizzati e facendosi largo tra la calca, evidentemente cercando noi.
Joey mi ha presa per un polso e mi ha trascinata via. Ci siamo accucciati dietro una Volvo blu. Ero esterrefatta.
“Mi spieghi cosa c’entra tuo padre con tutto questo?”
Joey ha sospirato.
“Ha scoperto che avevo intenzione di invitarti al ballo, e ne è stato incredibilmente entusiasta. Tra l’altro è strano, visto che ha sempre odiato i balli e cose del genere. Ha detto che ci sarebbe venuto a prendere dopo scuola e che saresti dovuta venire a casa nel pomeriggio. Ho provato a oppormi, ma sai com’è fatto lui.”
Ho scosso la testa, non sapevo se ero più irritata, esasperata o divertita dalle follie di Billie Joe.
In quel momento la Volvo blu è partita, lasciandoci allo scoperto. Quando abbiamo fatto per allontanarci, Billie Joe ci ha adocchiato e si è diretto verso di noi con un ampio sorriso.
“Ciao, Sal” Ha esclamato dandomi una pacca sulla spalla. “Allora, tutto ok per stasera?”
“V-veramente, io…” Ho provato a dire, ma lui non mi stava ascoltando.
“Dobbiamo sbrigarci. Abbiamo delle cose da fare, ci troviamo tutti insieme a casa Armstrong, e non ho idea del perché, ma Adrienne vuole assolutamente vederti. Credo voglia dirti qualcosa, boh, non ha detto niente neppure a me.”
“Papà! Papà! Zitto” L’ha interrotto Joey. “Non credo che Sallie…”
L’ho zittito scuotendo la testa con un sorriso. “Lascia perdere.”
Lui si è illuminato: “Questo significa che verrai al ballo con me?” ha sussurrato perché suo padre non ci sentisse.
Ho annuito. “Ma non ti ho ancora perdonato” ho precisato “lo faccio solo per non dare una delusione a Billie.”
Joey ha sorriso: “Certo, certo.”
 
Una volta a casa Armstrong, Adrienne ci ha accolti con un largo sorriso.
“Sallie! E’ un sacco che non ti vedo! Ti ho vista suonare al concerto l’altra sera, ma con tutti quegli imprevisti non sono riuscita a salutarti…” Ha ridacchiato.
“Quali imprevisti? Intendi quando abbiamo appiccato fuoco al Gilman?” Ho ridacchiato io di rimando, e lei ha annuito sorridendo, con un sospiro.
“Avete ridato un po’ di vita a quella vecchia topaia decadente. Volete una birra, ragazzi?”
Applausi generali dal pubblico.
Due birre, una fetta di torta al cioccolato, e svariate gare di rutti dopo (vinte tutte da Billie, non c’è assolutamente storia), Adrienne mi ha presa per mano:
“Vieni, Sal, accompagnami un attimo di la’.”
L’ho accompagnata di la’, ovvero nella camera da letto di lei e Billie, al piano di sopra.
Si è seduta sprofondando nell’enorme letto matrimoniale.
“Allora, Sal, stasera tu e Joey andrete al ballo, giusto?”
Mi sono stretta nelle spalle. “Questi sarebbero i piani.”
Adie ha fatto un largo sorriso, i suoi occhi brillavano. “Sai, ne sono davvero felice. Soprattutto perché avrò l’occasione di vedere mio figlio con indosso un vero smoking. Queste sono cose che capitano solo una volta nella vita e che vale la pena vedere. Comunque, hai già pensato a un vestito?”
Mi sono di nuovo stretta nelle spalle. “In realtà, no.” Ho risposto. “Pensavo di trovare qualcosa in quel negozietto dietro al 7-11, sai, quello vintage.”
Adie si è alzata e ha aperto l’enorme armadio, per poi cominciare a frugarci dentro.
“beh, è una buona notizia che ti piaccia il vintage” ha detto, mentre era ancora immersa per metà nel mucchio disordinato di jeans, giacche, cinture borchiate, cappelli strani e pantaloni di pelle. Da quel mucchio, ha tirato fuori un vestito e me l’ha dispiegato davanti per farmelo vedere bene. Era viola, senza spalline; il top era aderente, decorato con pizzo nero sulla scollatura, mentre la gonna era abbastanza ampia, corta sopra il ginocchio. Sono rimasta a bocca aperta. Di solito non sono il tipo da andare in visibilio per vestiti o cose così, ma quello era… Diverso. Era mozzafiato.
“Ti piace?”
“E’ stupendo, Adie!”
“Voglio che lo indossi tu, stasera. Ti starebbe magnificamente.”
La mia bocca si è spalancata ancora di più.
“Sul serio?”
“Certo! E se vuoi ti presto anche un paio di scarpe.”
Le sono saltata al collo. “Oddio, grazie! Sei una persona meravigliosa!”
 
Adrienne mi ha rapita per il resto del pomeriggio. E’ stato un po’ come partecipare a quei programmi in cui ti rinnovano da capo a piedi: mi ha truccata, vestita e sistemato i capelli. Credo che in realtà lo facesse non solo per me, ma anche per se stessa: finalmente aveva la figlia femmina che aveva tanto desiderato su cui sfogare i suoi istinti di donna. Mi ha trattata come una bambola per tutta la giornata.
Alla fine, alle sette e mezza, ero pronta.
Quando mi ha fatto guardare allo specchio, non potevo crederci: non potevo essere io… Ma allo stesso tempo ero io. Il vestito era elegante, ma al contempo del mio stile, e vi avevamo aggiunto una cintura nera borchiata per renderlo ancora più aggressivo. Le decolleté nere che mi aveva prestato, anche se un po’ troppo alte, mi piacevano da morire. Abbinate al vestito e alle scarpe, un paio di calze a rete su cui all’inizio nutrivo qualche dubbio, ma di cui alla fine mi ero innamorata.
I miei capelli azzurri (freschi di tinta nuova, naturalmente), invece, che sono cresciuti ormai fino a metà schiena, erano raccolti in un alto chignon che lasciava cadere solo qualche ciocca acconciata con l’arricciacapelli.
Il trucco era molto simile a quello che porto di solito: matita nera molto decisa e tanto mascara, con l’aggiunta di un fondotinta chiarissimo che si adattava perfettamente alla mia pelle bianca, e un lucidalabbra viola sbrilluccicante.
La mia imprecazione, nel vedermi così, non è stata esattamente elegante. Adrienne ha ridacchiato.
“Allora, ti piace?”
“Cazzo. Adie, tu sei una fottutissima maga! Ma come hai fatto?!”
Si è stretta nelle spalle. “Anni di esperienza. E meno male che ieri ho fatto riadattare il vestito, sei così magra… Ti sta benissimo.”
Ho distolto lo sguardo dallo specchio, imbarazzata. “Grazie.”
 
In quel momento, ho sentito delle voci concitate provenire dal piano inferiore.
“Billie, tu sai cosa succede al ballo di fine anno, no?! Lo sai perfettamente! Quel Max, non mi piace la sua faccia…”
“Calmo, Mike. Prenditi una birra e sta’ tranquillo.”
“Ma è ancora una bambina, non dovrebbe nemmeno andarci al ballo, è solo del primo anno! E quel tizio è anche più grande, chissà cosa vorrà da lei..”
Sono scesa di sotto ridacchiando. A quanto pare, Mike aveva fatto la conoscenza ufficiale di Max.
“E sta’ un po’ zitto, Dirnt” ho sentito una voce acuta gracchiare. A quanto pareva c’era anche Tré. “Credi che io sia preoccupato per la mia Ramona? No! Quindi, Mike…” si è interrotto vedendomi: “Wow, Sal. Sei uno splendore!”
“Grazie, Tré” ho replicato alzando gli occhi al cielo. “Ciao, Mike.”
“Ciao, Sal. Per una volta il monopalla ritardato ha ragione, stai davvero benissimo.”
Billie Joe ha fatto un sorriso compiaciuto. “Sei pronta, quindi, Sal? Perfetto! Joey è fuori in giardino che ti aspetta. Ci vediamo, eh?”
“Ciao, Billie. Ciao a tutti. E grazie” Ho aggiunto sinceramente, con un sorriso.
Dopodiché ho aperto la porta e sono uscita nel giardino buio.
 

 
 

OK, OK, LO SO.
Sono in un ritardo orribile. Faccio schifo. Mi dispiace tantotantotanto! Il prossimo arriverà presto, lo prometto, parola di scout!
Intanto, fatemi sapere cosa pensate di questo! (Please non riempitemi di insulti per aver fatto andare Sallie al ballo di fine anno con un vestito elegante, ci saranno delle sorprese e l’indole della ragazza non si smentirà, ve lo assicuro:D )
Al prossimo capitolo! (che arriverà presto. Prestissimo)
GreenNightmare 

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Capitolo 39
*** Paper Lanterns. ***





Joey era girato di spalle, appoggiato alla macchina. Da quanto riuscivo a intravedere, indossava un paio di pantaloni neri e una giacca dello stesso colore. Joey così… Elegante?! Vedendo lui così ero più shoccata che vedendo me.
Sentendomi chiudere la porta alle spalle, si è voltato e mi ha fissata per qualche secondo, i suoi occhi marrone scuro spalancati.
“Ma… Ma… Come cazzo sei vestita?!” Ha strillato, indicando il mio abito viola, apparentemente sconvolto. Ho alzato gli occhi al cielo, sentendo che avevo già voglia di picchiarlo. E la serata non era ancora cominciata. Molto bene.
“Ti sei guardato allo specchio per caso, stupido pinguino ritardato?” Ho sibilato lanciandogli un’occhiataccia.
Lui si è avvicinato a me a grandi falcate e, prima che potessi difendermi, mi ha presa per le spalle e ha cominciato a scuotermi.
“Chi sei tu? E cosa ne hai fatto di Sallie Sander?!”
“Mollami immediatamente, idiota!”, ho sbottato, liberandomi dalla sua presa con una doppia chiave articolare che l’ha inchiodato a terra e fatto gemere di dolore. Senza mollarlo, mi sono avvicinata al suo orecchio.
“Ascoltami bene, Armstrong. Se sono qui, è principalmente per fare un favore a tuo padre, oltre che a sentire le quattro stronzate che hai da dirmi prima di romperti la scodella del punch in testa e andarmene a ubriacarmi a Berkeley per cazzi miei, d’accordo? Quindi cerca di non farmi innervosire fin da subito!”
L’ho lasciato andare e lui si è rialzato massaggiandosi il braccio.
“Tu sei una pazza scatenata, appena finirà questa serata ti farò rinchiudere!”
Senza nemmeno rispondergli, sono entrata in macchina e mi sono accesa una sigaretta. Lui è entrato dall’altro lato e mi ha subito lanciato un’occhiata di disapprovazione.
“Non si tengono i piedi sul cruscotto.”
Gli ho lanciato un’occhiata micidiale, ancora senza dire una parola. Lui ha bestemmiato a bassa voce.
“Porca troia, Sal, giuro che se facciamo un incidente e ti spappoli gli occhi sulle ginocchia me ne sbatto il cazzo e ti lascio agonizzare da sola in mezzo alla strada!”
“Se la tua esistenza avesse una faccia la prenderei a pugni” mi sono limitata a ribattere in tono monocorde. “Ora metti in moto questa cazzo di macchina e andiamo a questo cazzo di ballo.”
 
Il resto del viaggio lo abbiamo trascorso in un silenzio assoluto, finché non abbiamo parcheggiato davanti a scuola. Ho strabuzzato gli occhi, sconvolta. La palestra era interamente coperta di luci peggio che a Natale e festoni di carta colorata tipo arcobaleni, e un grande cartello in lettere sgargianti e piene di glitter annunciava: “Benvenuti al ballo di fine anno della Pinole Valley High!!!
“E’ un incubo”, ho mormorato, guardando allucinata quello spettacolo orripilante. Ma c’era anche di peggio: la massa di lobotomizzati che si dirigevano, eccitati ed eleganti, all’entrata. Ragazze combinate peggio che a un matrimonio, ragazzi più ingessati di Joe quando si spiaccica contro il muro con lo skate, ragazze truccate come dei travestiti, con abiti lunghi che avevo visto solo in qualche cartone animato della Disney. E, inquadrati nel mucchio, una mezza dozzina di persone che con quel flusso di asessuati non c’entravano niente: Max, in jeans scuri e camicia, mano per mano con Estelle, che indossava un abito nero sopra le ginocchia con la scollatura in pizzo e sfoggiava il suo solito trucco nero e pesante; Cole e Ramona, lui in smoking nero, lei con un abito blu corto che le stava benissimo e i capelli come sempre sciolti sulle spalle; e poi Travis e Alicia, una ragazza bionda piuttosto carina che seguiva il corso di spagnolo con me, con un lungo abito verde.
 “Ehi!!” Ha esclamato Estelle, sbracciandosi. “Siamo qui!”
Ci siamo diretti verso di loro ancora senza parlare: la tensione era così evidente che perfino Estelle è sembrata imbarazzata mentre commentava ironicamente i festoni di carta e le decorazioni stile anni ’80.
Siamo entrati insieme nella palestra. Dentro era anche peggio: la peggior disco music degli anni ’80 e ’90 mista a quei pagliacci che vanno tanto di moda ora: Pitbull, Jennifer Lopez, Lady Gaga, Ke$ha e chi più ne ha più ne metta. E in più le decorazioni erano ancora più sgargianti di quelle che si trovavano all’esterno, tanto che gli occhi quasi mi lacrimavano. Ero così disgustata che mi sono subito lanciata sul tavolo delle cibarie, al solito senza dire niente. Joey mi ha seguita con aria contrariata.
“Non capisco perché hai accettato di venire se avevi intenzione di fare la drogata asociale per tutta la serata” ha detto senza tanti giri di parole.
“Non capisco perché mi hai invitata se sapevi benissimo che avrei fatto la drogata asociale per tutta la serata” ho ribattuto freddamente, ingozzandomi di tramezzini.
“A questo punto non lo so nemmeno io.”
“Perfetto allora. Vattene.”
Joey si è voltato e ha fatto per allontanarsi, ma dopo qualche passo si è fermato ed è tornato indietro.
“No, in realtà so perfettamente perché l’ho fatto. Perché volevo chiarire una volta per tutte, e darci un’altra possibilità. Ma come al solito tu devi rovinare tutto.”
“Sei tu quello che ha rovinato tutto” ho sibilato, piena di rabbia.
“A cosa diavolo ti riferisci, si può sapere?”
“La quindicenne esaltata chi se l’è scopata, tu o io?”
Joey è ammutolito e mi ha conficcata con uno sguardo carico d’odio.
“Te la sei scopata, e pochi giorni dopo l’hai mollata per tornare da me” ho continuato, stringendo così forte il mio bicchiere di plastica da romperlo. “Non riesco nemmeno a capire quale delle due è il ripiego dell’altra ormai.”
Joey mi ha afferrato la mano che reggeva il bicchiere, distruggendolo così completamente.
“Lo sai perfettamente chi era il ripiego, come sai perfettamente chi è la ragazza che non riesco a togliermi dalla testa da quasi cinque mesi.”
Mi sono liberata dalla sua stretta scuotendo la testa.
“Sei davvero uno stronzo incredibile”
“Può darsi, ma tu non sei da meno.”
“Io non ho approfittato di nessuno, tantomeno di una preadolescente idiota!”
“No, tu hai fatto peggio, sei stata così stupida da farti usare da un coglione montato che non riesce nemmeno a pulirsi il culo da solo!”
“Senti, Joey, posso sapere cosa vuoi da me?!” Ho esclamato, esasperata, facendo voltare un paio di coppiette felici che volteggiavano nei paraggi.
“Forse hai ragione tu. Sono stato un coglione a pensare che potesse funzionare. Ti porto le mie scuse per averti fatto perdere tempo stasera e per tutte le stronzate che ho fatto negli ultimi mesi. Ciao, Sallie.”
E, detto questo, ha girato i tacchi ed è scomparso definitivamente nella folla.
“Vaffanculo” ho borbottato, riempiendomi di nuovo il bicchiere di una stupida bibita analcolica. “E ‘fanculo anche questo ballo”, ho concluso, bevendo la mia coca cola zero tutta in un sorso.
“N-non hai un a-a-accompagnatore?”
Mi sono voltata. Dietro di me c’era Alan Krauterkraft, un tizio timido e molto brufoloso del mio stesso corso di biologia, che mi sorrideva un po’ storto, rosso come un peperone. Credo di essere stata la prima ragazza a cui ha rivolto direttamente la parola in vita sua.
“Ce l’avevo, ma se n’è andato.” Gli ho risposto stringendomi nelle spalle e ricominciando a riempirmi il piatto. Lui si è messo accanto a me.
“A-a-anche io s-sono senza a-a-a-ccompagnatrice” ha balbettato, più rosso che mai.
“Che coincidenza incredibile.” Ho ribattuto, annoiata. “Un panino alla nutella?”
Ora sembrava che volesse davvero sprofondare nel linoleum della palestra. “S-sono a-a-allergico alle nocciole.”
“Ah” ho annuito, addentando il panino. Avevo la bocca così piena che masticavo a bocca aperta. “Feffere faffero offifile.”
“Ehm, scusa?” ha mormorato lui, confuso. Ho ingoiato il boccone enorme che stavo masticando.
“Ho detto, dev’essere davvero orribile. Non poter mangiare nutella, dico.”
“A-a-abbastanza. T-tu n-non sei a-a-allergica a niente?”
“Solo all’intera gamma delle emozioni umane.” Mi sono appoggiata al tavolo sorseggiando la mia bibita, mentre Alan mi guardava confuso, senza capire quello che intendevo.
“S-s-enti, S-sallie… T-ti va di b-b-b-ballare?” L’ultima parola l’ha balbettata così tanto che l’ho capita solo andando a logica. Sebbene ammirassi Alan per quello slancio di coraggio leonino che l’aveva spinto a un tentativo di provarci finalmente con un essere di sesso femminile, non mi sentivo in vena.
“Non mi sento in vena” gli ho risposto. “Scusa. Devo andare a suicidarmi.”
“Ah.” La sua faccia delusa mi ha colpita al cuore. Forse, quello che tra noi aveva più voglia di suicidarsi era lui. All’improvviso, ho sentito un’enorme pena per quel mezzo ebreo secchione e brufoloso.
“Senti”, gli ho detto, sapendo già che me ne sarei pentita. “Perché non vieni con me?”
Lui ha alzato gli occhi, inarcando il monosopracciglio.
“A-a suicidarti?” Mi ha chiesto. Non sembrava terrorizzato dalla richiesta. Si prospettava una personalità interessante, anche se deprimente.
“No. Non a suicidarti. A bere una birra. Lontano da questo posto di stronzi morti.”
Ha strabuzzato gli occhi, forse perché era la prima volta che sentiva appellare la scuola in quel modo, forse perché era la prima volta che gli si prospettava di fare una scelta così azzardata.
“N-non so” ha farfugliato “M-m-mia madre mi v-viene a p-p-p-prendere alle undici.” Era evidentemente attratto dall’idea (ne sono certa, sarebbe stata per lui la prima volta che beveva alcol), ma allo stesso tempo il pensiero di fare qualcosa di così insolito per lui lo terrorizzava a morte. Ho guardato l’orologio.
“Sono le otto e mezza. Saremo di nuovo qui entro due ore, promesso. E ora muovi quel culo e ringraziami.”
“E d-di cosa?”
“Del fatto che ho deciso di fare un atto di carità. Voglio toglierti fuori dalla merda in cui vivi.”
 
 
Circa un’ora dopo, in Alan Krauterkraft non c’era più alcuna traccia di balbuzie. Barcollava per la strada cantando ad alta voce una canzone volgare che non avrei mai pensato che conoscesse, e io lo reggevo per un braccio. Erano bastate due birre per ridurlo in quello stato. La cosa mi aveva depresso ancora più di quanto già non fossi, ma a parte questo Alan non era male. Una volta estratto dal suo contesto sociale e ubriacato a dovere, si dimostrava piuttosto interessante, come avevo previsto.
Ormai eravamo nei pressi della scuola, ma ridotto com’era non poteva certo rientrare al ballo.
“Ok Alan, mettiti su questo marciapiede. Pesi come uno strafottuto elefante.”
Lui si è lasciato cadere pesantemente sull’asfalto, farfugliando parole senza senso, gli occhiali storti sul naso sudato e lo sguardo liquido.
“Grazie per stasera, Sal” ha detto con voce strascicata. Mi sono seduta accanto a lui.
“Di niente.” Ho risposto, stringendomi nelle spalle. “Quando vuoi.”
“Lo sai che non mi ero mai ubriacato fino ad ora?” Nel parlare gesticolava così tanto che ha perso l’equilibrio, finendo sdraiato per terra.
“Non mi dire?”
“Io sono un povero sfigato. Non ho mai nemmeno baciato una ragazza.”
“Capita.”
Lui si è tirato su di scatto e mi ha guardata per qualche istante con gli occhi socchiusi e la faccia storta.
“Potrei baciare te.”
“Cosa? Sei impazzito?!” Ho esclamato, sconcertata.
“Eddai, Sal, tra amici. Solo per vedere che effetto fa baciare una ragazza.”
“Sei ubriaco, non te lo ricorderesti. E poi no, grazie.”
Lui mi ha guardata allo stesso tempo rassegnato e deluso. Dato l’alcol che aveva ingerito avrebbe anche potuto ammazzarsi.
“D’accordo, Krauterkraft” mi sono arresa “Ma sappilo, solo perché mi fai pena.”
Il suo volto si è illuminato completamente, e non era un bello spettacolo, fidati.
“Sbrighiamoci però!” Ho sospirato, rassegnata.
Lui si è avvicinato e mi ha dato un leggero bacio a stampo sulle labbra, mordendo leggermente quello superiore.
“Sallie?”
Mi sono scostata dal volto brufoloso di Alan e mi sono voltata. Joey mi fissava, pietrificato, con un’espressione allo stesso tempo sgomenta e disgustata.
“Merda” ho mormorato tra me, e mi sono alzata di scatto per fronteggiarlo. “Che diavolo ci fai tu qui?”
“Non ti vedevo più da nessuna parte e ti sono venuto a cercare. Ho sentito la tua voce, e seguendola ho visto…” Ha accennato col mento ad Alan, che ora se ne stava sdraiato di nuovo per terra cantando una canzone irlandese su una deliziosa pescivendola. Joey sembrava ancora sconvolto. Ho incrociato le braccia.
“Tanto perché tu lo sappia, l’ho baciato solo per pietà e perché è molto, molto ubriaco, anche se quello che faccio non ti riguarda. Allora, cosa vuoi da me? Perché mi cercavi?”
“Quindi sarei io quello che si approfitta dell’ingenuità altrui, eh?”
“Un bacio a stampo è ben diverso da una scopata. Non hai risposto alla mia domanda.”
Joey ha sospirato, massaggiandosi la base del naso. Sembrava esasperato.
“Sal, ti ricordi quello che ti ho detto prima? Che tra noi non avrebbe mai potuto funzionare?”
Ho annuito.
“Ecco, ho pensato, che solo perché non siamo fatti per stare insieme, non vuol dire che dobbiamo odiarci per forza. Potremmo anche solo… Che so, essere amici. Come una volta.”
La sua frase mi ha fatto un male pazzesco e allo stesso tempo mi ha fatta illuminare. Certo, non eravamo fatti per stare insieme, gli eventi degli ultimi mesi lo avevano dimostrato… Ma questo non significava che non potessimo continuare a frequentarci. Essere amici. Ho fatto un sorriso, un po’ dolente forse, ma il primo vero sorriso che gli rivolgo da settimane. Lui mi ha teso la mano.
“Amici, allora?”
Ho atteso qualche secondo prima di stringerla, e quella stretta mi ha ferita e sollevata insieme.
“Amici. E ora” ho detto, sciogliendo la stretta, “aiutami a far rinsavire questo coso. Credo che questa fosse la sua prima birra o qualcosa del genere.”
Joey ha ridacchiato chinandosi su Alan, che ora mormorava qualcosa a proposito delle invasioni aliene. “Però promette bene” ha osservato “secondo me sarebbe un punk niente male.”
“E’ quello che pensavo anch’io.”
Joey mi ha sorriso, e ho sentito che finalmente tutti i pezzi erano tornati al loro posto.
 
 
Quando sono tornata a casa, verso l’una, però, non era tutto così rose e fiori. Sentivo mia madre urlare attraverso le nostre pareti sottili di compensato da casa dei poveri. Ancora prima di attraversare il vialetto, ho capito che stava litigando di brutto con Steve, il suo fidanzato. Ultimamente non facevano altro che litigare, ma stavolta la cosa sembrava seria. Mentre aprivo il cancello ho visto Steve spalancare la porta d’ingresso e urlare qualcosa del tipo: “Sei una troia e una pazza scatenata, al diavolo!”. Io sono rimasta paralizzata, con una mano ancora sul piccolo cancello arrugginito. Quando mi ha vista, Steve ha fatto un mezzo sorriso, si è avvicinato e con una mano mi ha dato una piccola pacca sui capelli. Con l’altra reggeva una valigia di cuoio.
“Che cazzo fai?!” Gli ho chiesto, sconvolta. “Non puoi lasciarla così!”
“Sal…” L’ormai ex fidanzato di mia madre ha sospirato, lasciando cadere le spalle. Sembrava più grigio e invecchiato che mai. “Ci sono cose che non puoi capire. Problemi.”
“Capisco benissimo invece” ho risposto a denti stretti. “Capisco che se te ne vai sei un lurido stronzo che se ne sbatte il cazzo di suo figlio.” Da dentro casa sentivo Johnny piangere.
La faccia di Steve si è raggrinzita ancora di più, e sembrava stesse per dire qualcosa quando è comparsa mia madre, i capelli biondi scompigliati e gli occhi fuori dalle orbite e tutti rossi per le vene scoppiate, urlando: “Non ti azzardare a toccare mia figlia! Non ti azzardare a parlarle!”
Steve ha scosso la testa con rabbia, ha mormorato un “ci vediamo, Sal”, ed è salito in macchina. Pochi secondi dopo era già scomparso, mentre io e mia madre fissavamo il punto verso cui si era allontanato. Quando è sparito del tutto, mi sono voltata verso di lei. Si stava accendendo una sigaretta.
“Che cazzo è successo, si può sapere?!” Ho gridato. Lei mi ha fissato con i suoi occhi furiosi.
“Vai a letto e non fare domande.”
“Eh no, cazzo! Non sono più una ragazzina, e questa cosa riguarda anche me!”
“Non credevo che ti riguardasse più qualcosa della nostra famiglia” ha sibilato mia madre con cattiveria. “Credevo che ormai la tua famiglia fosse quella gente ricca che frequenti ora.”
E detto questo, si è voltata senza più dire una parola ed è entrata in casa lasciandomi sola nel nostro giardino incolto, a urlare in silenzio.
 

Sallie 
 

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Capitolo 40
*** Gotta get away, or my brains will explode. ***


Fioi [=ragazzi nel mio dialetto :D] volevo solo dirvi che ora ho i capelli tutti blu come Sallie :3 (ok non interessa a nessuno ma vabbé) Seriamente, credo di starmi trasformando in lei… Sono stata anche segata D: Ad ogni modo…. Si, visto che non siete qui per la mia incasinatissima vita ma per quella di Miss Sander, procedo col racconto.
Adioooosssss <3
 
P.S. Scusate se non rispondo alle vostre recensioni D: sono una pigra di merda, lo so. Colgo l’occasione per ringraziarvi tutti. Siete fighi. Vi amuzzo <3 (ok, NO.) Ora la pianto di sparare cagate e passo direttamente al capitolo :3
 

28 Maggio

 
Che settimana incasinata. Non ho avuto il tempo di scriverti nemmeno un attimo.
Tutto è cominciato domenica mattina, quando ho svegliato mia madre alle sette in punto gridando come un’ossessa. Non avevo dormito tutta la notte, pensando a quello che ne sarebbe stato di noi se tutto avesse continuato così, e alla fine sono esplosa. Sono entrata in camera sua come un tornado, distruggendo tutto quello che trovavo, lanciando oggetti a caso e gridando cose come: “alzati immediatamente! Muovi quel culo o sarò io a fartelo muovere!”.
Mia madre si è tirata su e mi ha guardato a metà tra il rintronato e il furioso. Aveva gli occhi rossi, l’aria di chi ha passato la notte a piangere. Ma non mi ha fatto pena. Ero furiosa con lei.
“Che diavolo vuoi tu?!” Mi ha chiesto, fissandomi trucemente.
“Volevo solo farti sapere che non ho la minima intenzione di mantenere questa famiglia da sola. Quindi ti conviene alzare quel culo e trovarti un lavoro, o chiamo i servizi sociali.” Tremavo di rabbia, e le lanciavo occhiate infuocate. Lei è balzata in piedi.
“Sei impazzita?! Che diavolo ti prende?”
“Dato che non faccio più parte di questa famiglia –me l’hai detto tu ieri, con queste precise parole- non ho la minima intenzione di dare il mio stipendio a te, solo perché tu non hai voglia di fare un cazzo!”
Mia madre mi ha tirato una sberla.
“Non ti permettere di parlarmi così!”
Io, allora, l’ho spintonata: “E tu non ti permettere di mettermi le mani addosso! Non me ne frega un cazzo del perché tu e Steve vi siete lasciati, non me ne frega un cazzo dello squallore della tua vita, so solo che se mio fratello ci deve passare di mezzo io chiamo i servizi sociali!”
“Tu non chiami nessuno, hai capito?!” Ha strillato allora lei, strappandomi il cellulare di mano. Era inutile provare col telefono di casa. Ci hanno tolto la linea una vita fa.
“Non voglio che anche lui viva in questa merda di casa, senza un padre e con una madre come te!” L’ho accusata, furibonda.
“Perché, che madre sarei?! Ti ho sempre dato tutto, Sallie, ma ovvio che ora che frequenti quella gente non ti sembra abbastanza…”
“Non tirare in mezzo loro!” L’ho interrotta. “Se tu guardassi i tuoi errori, invece di ficcare il naso sempre e solo nelle vite degli altri, allora forse la tua vita sarebbe un po’ meno squallida!”
A questo punto mia madre era livida.
“Bene” ha detto, furiosa. “Se questa casa ti fa tanto schifo, vattene! Non come l’altra volta, però! Vattene per sempre!”
“Non aspettavo altro” ho sibilato, e sono corsa in camera mia. Ho afferrato un borsone e ho cominciando a riempirlo a casaccio con tutte le cose che trovavo. Mezz’ora dopo, uscivo di casa sbattendomi la porta alle spalle, mentre mia madre se ne stava in cucina – non mi aveva più detto una parola da quando mi ero fiondata in camera mia.
 
Mi sono diretta come una furia a Christie Road, sicura che vi avrei incontrato Joe. E infatti, sdraiati sulla brandina di Tré, lui con i capelli verdi e arruffati, lei con solo una maglietta di qualche taglia più grande addosso, c’erano Joe e la sua ragazza, Mary Jane, profondamente addormentati. Li ho osservati per qualche istante, indecisa se provare disgusto o tenerezza. Mary Jane, lunghi capelli biondi e trucco pesante sbavato, era accoccolata sul fianco di Joe, che dormiva a pancia in giù, la faccia sprofondata nel cuscino. Da quanto mi aveva raccontato Larry, la ragazza pareva profondamente innamorata di Joe. E anche morbosamente gelosa. Non era una cima, o almeno così mi raccontavano.  Ho sospirato. Non ero dell’umore adatto per un dolce risveglio; anzi, ero ancora furiosa per via di mia madre. Così ho optato per rovesciargli una lattina di birra in faccia.
“Ma che diav… Porca troia!” Joe si è tirato su, svegliando anche Mary Jane.
“Ma che succede, Joe?” ha chiesto lei, confusa.
“Sallie? Che accidenti ci fai qui? Cosa cazzo stai facendo, si può sapere?”
“Ti sto solo svegliando” ho risposto in tono innocente.
“E ti pare che devi svegliarmi così! Sprecando una birra in questo modo! Tu sei pazza! Dammi quella che avanza, almeno. Sarà una buona colazione.”
“Devi ospitarmi a casa tua.” Ho detto, dopo qualche istante di esitazione.
“Cosa?!” ha esclamato Mary Jane, ma nessuno le ha dato retta.
“E perché dovrei farlo?” Mi ha chiesto Joe, guardandomi di sottecchi mentre sorseggiava la sua birra.
“Sarebbe per poco tempo. Finché non trovo un’altra sistemazione. Mia madre mi ha buttata di nuovo fuori di casa. Stavolta sul serio.”
Joe mi ha guardata male, dopodiché ha fatto un movimento col braccio come per indicare lo spazio intorno a sé:
“Hai Christie Road a tua intera disposizione, bambina. Cosa vieni a chiedere a me a fare?”
“Non ho intenzione di vivere in un parcheggio abbandonato!” Ho esclamato, fremendo. “E se viene qualche italiano puzzolente e mi stupra?”
Joe ha fatto una smorfia. “Hai ragione. Mi sa che mi toccherà ospitarti, baby. Puoi scegliere. O dormi sul pavimento, o nel mio letto.”
“Cosa????!” Ha urlato Mary Jane, finalmente attirando l’attenzione del suo ragazzo, che si è girato verso di lei.
“Ehi, hai qualche problema, piccola?”
“Vuoi fare dormire lei… Con te!” Ha esclamato tremante di rabbia. Si è alzata in piedi di scatto, liberandosi delle lenzuola. Mi sono resa conto che la t-shirt che indossava era di Joe, gliel’avevo regalata io per il compleanno l’anno prima. Ho storto il naso.
“Non ho mai detto niente del genere” ha ribattuto Joe, serafico. “Ho solo detto che ha possibilità di scelta.”
Mary Jane l’ha fulminato con un’occhiataccia, ma io mi sono affrettata a calmare le acque.
“Ehi, tranquilla Jane. Credo di preferire il pavimento a questo tizio puzzolente.”
Mary Jane.” Mi ha corretta lei. “E il mio ragazzo non puzza. Te lo posso assicurare.”
“Oh, non puzza adesso” ho ribattuto, annuendo con l’aria di chi la sa lunga. “Ma aspetta la prossima volta che si vomiterà addosso. Il che probabilmente non accadrà più tardi di stasera, se lo conosco bene.”
“Ehi, Sal, si può sapere perché sei così stronza?” Ha protestato Joe, annusandosi un’ascella e facendo una smorfia disgustata. Ho alzato gli occhi al cielo.
“Ma Joe, dovresti essere fiero di puzzare” ho sogghignato, sarcastica. “La puzza è roba da veri punk.”
“Anche la tinta fatta a caso” ha ribattuto lui, accennando alla mia testa. Ho ridacchiato.
“Vogliamo parlare della tua?”
“Almeno io non vado ai balli di fine anno.”
“E questo cosa c’entra. E poi, tu come fai a saperlo?”
“Io so tutto. Ah, a proposito, mi dicono che non sono stato l’unico a essere stato segato, quest’anno.”
Ho alzato di nuovo gli occhi al cielo. “Fottiti, Joe.”
Mary Jane si è riaccocolata accanto a Joe, mi lui l’ha scacciata con un movimento brusco. “E non starmi sempre addosso, mi togli il fiato. Anzi, sarebbe meglio se tu andassi a casa.”, ha sbuffato.
“Scusa” ha mormorato lei. Dopodiché si è alzata e ha cominciato a raccogliere i suoi vestiti sparsi per il pavimento. Alla fine, dopo essersi rivestita e aver ridato la maglietta a Joey, se n’è andata mestamente, salutandoci appena e con gli occhi bassi. L’ho guardata allontanarsi con espressione disgustata, dopodiché mi sono rivolta a Joe.
“Ma è praticamente la tua schiava!” Ho esclamato, sconvolta. Lui si è sdraiato incrociando le braccia sotto la testa, con aria soddisfatta.
“Che ci vuoi fare. Le ragazze mi amano. E’ un talento naturale.”
“E con quante altre  fortunate l’hai tradita, finora?”
“Quattro o cinque. Non so. Comunque non molte. Questa mi piace anche abbastanza. Mary Jane.” Ha ridacchiato. “E’ lo stesso nome con cui i Green Day chiamano la marijuana. Forse è per questo che mi piace tanto.”
“A proposito dei Green Day” l’ho interrotto. “Notizie di Billie Joe e gli altri?”
Joe mi ha guardata qualche istante, mordendosi il labbro. “No. Non credo.” Ha detto infine. “Piuttosto, una novità riguardo Joey, Max e gli altri. Non so se te l’hanno detto, ma stanno per girare il loro primo video!”
“Cosa?” Ho esclamato, gasatissima. “Un video? Che bellezza! Quale canzone?” Conoscevo a memoria tutte le canzoni dell’album che gli Emily’s Army avevano intenzione di far uscire di lì a poco, Don’t Be A Dick.
“Sembra che sia Broadcast This. Sabato cominciano a girarlo e dopo saranno anche intervistati da non so che emittente televisiva. Mi hanno invitato a vederli. Ti va di venire?”
“Certo che mi va!” Ho esclamato, entusiasta. Ora che avevo fatto pace con Joey, non vedevo l’ora di vedere nuovamente gli Emily’s Army in azione.
 
Così, dopo una settimana di pessime dormite, litigi, pranzi e cene preparati a casaccio, e nessuna reazione da parte della madre di Joe vedendomi girare per casa sua -a parte un “oh, ciao, Sal. Ti fermerai molto?”-, oggi siamo andati nei pressi dello skate park di Berkeley, dove sarebbe stato girato parte del videoclip di Broadcast This. La prima persona che abbiamo incontrato è stata un nano con i capelli tinti di nero che schizzava da una parte all’altra, in uno stato di totale sovreccitazione. Appena ci ha visti, si è precipitato verso di noi, parlando velocissimo.
“Ehi, Sal, Joe! Che bello vedervi qui. Oh, è davvero meraviglioso. Che ne pensate? Io sono eccitatissimo! Questa band farà strada, me lo sento! Sono così orgoglioso di Joey, alla sua età io, Mike e Tré non eravamo mica a questo punto. Avevamo a malapena fatto un album. A proposito, avete visto Mike? Bisogna tenerlo lontano da Max, o potrebbe rovinare il video. Ha rischiato di aggredirlo, la sera del ballo. Sì, è un po’ fuori anche lui. Ad ogni modo, sono davvero orgoglioso. Stanno compiendo un sacco di passi importanti, uno dopo l’altro. Se penso che solo tra pochi giorni… Ehi Mike!” Ha gridato, intravedendo il suo migliore amico in lontananza. “Scusate, ragazzi. Ci rivediamo tra poco, eh?” Ed è sparito in mezzo agli operai che si aggiravano tra cavi e telecamere.
“Tra pochi giorni… cosa?” Ho chiesto a Joe, dubbiosa, ma lui si è stretto nelle spalle. In quel momento è venuto Joey a salutarci insieme a Cole, Travis e Max.
“Joe! Sal! Già qui? Dov’è Larry?”
“Ciao ragazzi” ho sorriso battendogli un pugno come saluto. “Larry è a Tacoma con sua madre, credo. Vi saluta.”
“D’accordo. Ramona ed Estelle dovrebbero essere già qui.” Cole ha fatto un largo sorriso. “Sarà fantastico. Non vedo l’ora.”
“Che tipo di video avete intenzione di girare?” Ha chiesto Joe, incuriosito.
Travis si è stretto nelle spalle. Si era tagliato i capelli, che prima gli arrivavano alle spalle. Stava bene. “Qualcosa di semplice” Ha risposto. “Vorremmo alternare riprese di noi che suoniamo qui, proprio tra quelle due case” ha indicato un vicolo poco distante, pieno di telecamere e altri aggeggi “e altre di noi che suoniamo in studio di registrazione.”
“Fico”, ho commentato.
“Ragazzi!” Ho sentito una voce che chiamava. “Tra due minuti si comincia!”
“Bene, ci si vede tra poco” ha detto Max. “Intanto godetevi lo spettacolo.”
 
E infatti è stato un vero spettacolo. Non avevo mai visto girare un videoclip, prima. A un certo punto sono arrivate anche Ramona ed Estelle, e ci siamo divertiti un sacco a commentare i ragazzi che suonavano davanti alle telecamere, cercando di distrarli in tutti i modi facendo andare il regista su tutte le furie.
E’ stato un bel pomeriggio. La giornata si è conclusa con la solita birra rubata al supermercato, sdraiati sul molo di Berkeley, anche se stavolta non ci siamo tuffati. Uno dei tanti pomeriggi tra amici, eppure… Eppure c’era un’atmosfera strana nell’aria. Come di addio. Non so. Gli altri si comportavano in modo strano, Max ed Estelle non si staccavano più, non facevano altro che guardarsi negli occhi con l’aria disperatamente innamorata di chi si sta per lasciare. Anche Ramona si comportava così. Cole e Travis non facevano altro che telefonare e organizzare feste per i prossimi giorni, e Joey… Beh, Joey continuava a lanciarmi strane occhiate. Sembrava preoccupato, quasi. Ho cercato di non farci caso, di comportarmi normalmente come al solito, ma ho sentito lo stomaco attorcigliarsi. C’era odore di cambiamento, di svolta, nell’aria.
Quando però ho provato a parlarne con Joe, sull’autobus per Rodeo, lui si è messo a ridere. “Eddai, Sal. Stai diventando paranoica.” Ma ha pronunciato queste parole in uno strano tono. Non so. Credo di essere impazzita. Forse sto diventando davvero paranoica.
 

Sallie

 
 
Ok, in questo capitolo non succede un cavolo di niente di importante ma è comunque abbastanza importante (si, non so scrivere. Lo so.) in quanto fa da premessa al PROSSIMO capitolo, che invece si rivelerà fondamentale! Quindi se volete scoprire cosa succede dovrete continuate a leggere, muahahahaha (questo era un tentativo di risata malvagia). E non preoccupatevi, non ci metterò mille anni come al solito a postarlo in quanto ce l’ho già pronto da circa sei mesi, quindi dovrete aspettare solo qualche giorno (il tempo di revisionarlo) :D siate felici! *silenzio di tomba*
Mi dileguo. Spero di riuscire a rispondere alle vostre recensioni. Baci <3

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Capitolo 41
*** Don't Leave Me! ***


4 Giugno

 
Ok, non riesco a capire se sono più felice, disperata o incazzata, ma il fatto che Joey riesca a farmi provare ottomila sentimenti tutti insieme non è per niente una novità.
Oggi dopo il lavoro sono andata a Christie Road, Joe e Larry mi aspettavano lì. Mentre arrivavo, ho visto Mary Jane, la ragazza di Joe, allontanarsi dal rifugio con le lacrime agli occhi; ho provato a farle un cenno di saluto, ma mi ha lanciato uno sguardo pieno di rancore. Oh santo cielo…
Sono entrata a Christie Road e ho visto Joe e Larry in piedi, con un’aria insolitamente grave: non stavano nemmeno bevendo, non facevano altro che fissare me e poi il pavimento, torcendosi le mani. Mi hanno fatto ridere, sembravano due bambini colti con le mani nella marmellata.
“Hey, ragazzi” Ho esclamato allegramente, lasciandomi cadere sulla mia poltrona e aprendomi una lattina di birra.
“Ciao, Sal” Ha fatto Larry, con un tono di voce immensamente depresso.
“Hey.” Li ho guardati, cominciando a insospettirmi. “Che succede? Perché avete quelle facce? C’entra Mary Jane?”
Joe ha fatto un gesto come per scacciare una mosca molesta. “Ma va’” ha detto “Mary Jane è solo gelosa, non ha fatto niente di grave”
“Gelosa di chi?” Ho chiesto, stupita.
“Ma di te, è ovvio” Mi ha risposto Joe. Sembrava indifferente.
“Di me? E perché dovrebbe?”
“Innanzitutto perché tu vivi in casa con il suo ragazzo. E poi, Joe poco fa le ha detto di togliersi dalle scatole, perché doveva parlarti. Avresti dovuto esserci! Ha fatto una scenata incredibile, un sacco di lacrime e discorsi sulla fiducia reciproca, sul vero amore, sulla necessità di essere fedeli…” Ha ghignato Larry, in un inaspettato sprazzo di allegria. Anch’io ho ridacchiato, per poi ripensare alle sue parole.
“Le hai detto che dovevi parlarmi?” Ho chiesto a Joe, un po’ incuriosita e un po’ preoccupata. La sua espressione non prometteva nulla di buono. Si è schiarito la voce e ha guardato Larry come per chiedergli aiuto, ma lui ha detto:
“Sei solo, amico. Te l’avevo detto che era meglio aspettare che se ne andasse…”
Non capendo cosa Larry volesse dire, mi sono rivolta a Joe.
“Avanti, che succede?”
Il mio migliore amico ha sospirato e ha sparato tutto ad un fiato: “Prometti che, qualunque cosa ti dirò, non ci aggredirai, non romperai niente e non assalirai nessuno?”
Incominciavo a spazientirmi.
“Joe, ti conviene dirmi immediatamente cosa succede, o io…”
“Prima prometti!”
“D’accordo, prometto tutto quello che vuoi! Ora dimmi che succede!”
“Ecco… Riguarda Joey.” Per poco non mi sono strozzata con il sorso di birra che stavo bevendo.
“Joey?”
Joey no. Qualunque cosa ma non Joey. Non ne potevo più di tutti i problemi che avevamo avuto, non ne volevo altri.
“Lui… Ecco, lui, insieme a Travis, Cole e Max, insomma… Gli Emily’s Army partono.”
 
Mi sono immobilizzata.
“Che significa ‘partono’? Dove vanno?”
“Beh… Ora che sta uscendo il loro primo EP, hanno deciso di partire per un tour di tre mesi in tutta l’America per promuoverlo” ha detto Joe in fretta, lanciandomi occhiate preoccupate. “Andranno su un furgone, guiderà il padre di Travis”
“E quando l’hanno deciso, di grazia?”
“Beh, da circa un mese” ha detto Joe facendosi piccolo piccolo.
“Ah. Non capisco perché non mi abbia detto niente, ma immagino che stasera me lo spieghe…”
Ho visto Joe scuotere la testa, con un’espressione impaurita e colpevole. “Sal, partono tra tipo mezz’ora.”
L’ho guardato incredula per un istante. Poi, il panico. E poi, la collera. Che non sono riuscita a mascherare. Ovviamente.
“Cosa?! E me lo dite ora?! MA COS’AVETE AL POSTO DEL CERVELLO? PERCHE’ DIAVOLO NESSUNO MI HA DETTO NIENTE?! E QUELLA TESTA DI CAZZO, CHE COS’HA IN TESTA?! PERCHE’ ME L’AVETE TENUTO NASCOSTO?!
Ho lanciato la lattina contro il muro, macchiando la faccia di Tré che mi sorrideva sardonica da un enorme poster.
“Sal…”
“Niente Sal, Larry. Se non vuoi che ti fracassi quella testa fucsia seduta stante, prendi immediatamente la macchina di tua madre e portami a Berkeley.” Il tono non mi è uscito duro come avrei voluto. Ero implorante, e loro se ne rendevano conto.
“Sal, sei sicura che…”
Ho ringhiato.
“Corro.”
“Vengo anch’io” ha detto Joe, di certo terrorizzato di rimanere solo con me in un momento come quello.
Mi sono buttata sulla mia poltrona, cercando in tutti i modi di non pensare. Non riuscivo a capire perché Joey avesse fatto una cosa del genere. Eravamo tornati piuttosto in buoni rapporti, no? Non capivo, non capivo, non capivo.
Pochi minuti dopo, mi sono vista davanti la vecchia auto della mamma di Larry. Sono saltata sul sedile del passeggero imprecando. Larry ha premuto l’acceleratore e siamo sgommati verso Berkeley, mentre Joe continuava a chiedermi scusa per non avermelo detto prima. Io mi massaggiavo le tempie ad occhi chiusi, imprecando a bassa voce senza rispondergli.
 
Finalmente, Larry ha parcheggiato davanti alla villetta di Billie Joe.
L’aria era densa di addii. Le famiglie di Travis, Cole e Max e poi Billie Joe, Adrienne, Mike, Tré, Ramona, Estelle Desirée e Jakob erano tutti in cortile e salutavano i vari membri degli Emily’s Army baciandoli sulle guance e abbracciandoli. Tré e quello che doveva essere il padre di Travis stavano caricando la batteria sul furgone mentre Joey abbracciava suo padre. Sono scesa sbattendo la portiera e all’improvviso mi sono sentita a disagio, quasi fuori posto. Ero andata lì con l’intenzione di fare una scenata a Joey, ma all’improvviso non me la sono sentita di rovinare quell’intensa atmosfera famigliare; mi sono sentita un’intrusa. Volevo rientrare in auto e ripartire immediatamente, quando Joey si è voltato e mi ha visto. La sua espressione si è incupita e io non ce l’ho più fatta. Ho mormorato “Andiamo, dai” a Larry e Joe e sono salita in macchina senza dar loro una spiegazione.
Mentre aspettavo che anche loro rientrassero in macchina, ho sentito un colpo sul finestrino accanto a me. Mi sono voltata, allibita, e ho visto Joey che mi guardava con un’espressione strana: un misto di rassegnazione e rabbia, forse. Poi si è allontanato e ho sentito una strana sensazione, a metà tra l’ira e il sollievo. Avrei voluto inseguirlo e lanciargli un sasso in testa, avrei voluto piangere, forse, ma non sono riuscita a fare nessuna delle due cose. Provavo solo rabbia e impotenza.
Ho sentito la portiera del posto accanto al mio spalancarsi e Larry sedersi accanto a me, e, senza girarmi, ho detto con voce piatta: “Andiamo, Larry, noi non c’entriamo niente con questo posto.”
La portiera si è chiusa.
“A me sembra invece che tu c’entri tutto con questo posto.”
Mi sono voltata. Joey stava mettendo in moto la macchina, mentre, davanti a noi, la sua famiglia ci guardava stupita. Solo Billie Joe sorrideva. Mi ha fatto un cenno di saluto con la mano prima che Joey uscisse dal parcheggio e dirigesse la macchina verso la Telegraph.
“Joey, che stai facendo?!” ho esclamato, il cuore mi batteva a ritmo irregolare. La sua espressione dura non si scioglieva. Mi ha lanciato uno sguardo di sottecchi.
“Non lo so” ha bisbigliato.
La macchina correva a tutta velocità per le strade di Berkeley.
“Joey, torna a casa immediatamente!”
Non ha risposto, non ha frenato, non ha cambiato espressione, non ha detto una parola. Alla fine mi sono decisa a rimanere zitta mentre il paesaggio scorreva dai finestrini. Alla fine Joey ha parcheggiato in uno spiazzo vuoto e si è voltato verso di me.
“Dovrei essere io quella arrabbiata.” Gli ho detto freddamente. Lui ha sollevato le sopracciglia.
“Io non sono arrabbiato con te. Sto cercando di esserlo… Ma non riesco a non essere felice.” Ha detto, con un sorriso amaro.
Ho inspirato a fondo e l’ho fissato negli occhi.
“Perché non me l’hai detto?” L’ho accusato, e tremavo di rabbia.
Lui ha abbassato lo sguardo.
“Perché sono un codardo.”
“Cosa?”
“Sono un coglione, Sal. Non ti ho detto niente, perché… Perché avevo paura di vedere la tua espressione quando l’avresti saputo, avevo paura della tua reazione, ma nel frattempo avevo anche paura che tu non reagissi in alcun modo. Che non t’importasse… Perciò ho preferito non dirti che partivo, così non avrei mai saputo come avresti reagito.”
Ha sospirato, abbassando lo sguardo.
“Questa è una cosa totalmente da idioti, Joey.”
Mi ha guardata di nuovo con un sorriso sconsolato.
“Già. Sono un cretino.”
Ho annuito.
“Ma Joey, come potevi pensare che non mi sarebbe importato? Che sarei stata indifferente, dopo tutto quello che è successo?”
“Che non è successo, vorrai dire” mi ha corretta con un sorrisetto.
“Sia come sia, che non è successo. Certo che mi importa. Certo che non voglio che tu parta. E il fatto che tu non me l’abbia detto… Be’, fidati se ti dico che mi sto trattenendo dal non ucciderti, in questo preciso istante.”
Abbiamo sorriso entrambi. All’improvviso, i gesti nascosti, le parole non dette, sono diventati troppi.
“Joey, so che mi sono comportata in modo un po’… strano, negli ultimi tempi. Anzi, dire che mi sono comportata in modo strano è un eufemismo. Sono stata una stronza, me ne rendo conto… Ti ho trattato di merda, e non sai quanto mi dispiace. E…” Ho deglutito. “Non sai quanto mi piacerebbe tornare indietro nel tempo, e sistemare tutto.”
“Non si può tornare indietro. Possiamo cambiare le cose solo adesso, se lo vogliamo.” ha bisbigliato lui.
“Non possiamo cambiare niente, Joey. E’ troppo tardi, capisci? Tu adesso partirai e non ci vedremo per mesi… E hai idea di quanto soffriremo entrambi, se…”
“Stai facendo un ragionamento assolutamente insensato, te ne rendi conto?” Ha esclamato Joey.
Ho fatto per ribattere, ma mi ha interrotto. “Ascolta, Sallie. Io… non ho intenzione di stare qui a supplicarti di stare con me, se non te la senti.  Amici come prima, se per te è meglio.”
Ho annuito. “Sì. Forse è meglio. Amici come prima.”
Mi ha teso la mano e io gliel’ho stretta, ma quando lui ha fatto per lasciare la mia, ho intrecciato le mie dita alle sue, tenendo così le nostre mani allacciate.
“Sallie…” ha sussurrato, guardandomi dritta negli occhi. Sapevo cosa stava pensando in quel momento, glielo leggevo nello sguardo.
“Non lo dire, ti prego. Ti supplico, non dirlo.” L’ho interrotto guardandolo implorante.
Joey ha sospirato e ha sciolto le dita dalla mia presa, per poi prendermi il viso tra le mani e avvicinarlo al suo.
“Perché devi rendere tutto così difficile?”
Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Ho deglutito, mordendomi un labbro. L’istinto mi urlava di lasciar perdere tutto e abbandonarmi ai miei sentimenti, ma la ragione mi ordinava di soffocarli, quei sentimenti. Continuava a ricordarmi quanto avrei sofferto dopo che Joey fosse partito.
“Mi sembrava che avessi detto ‘amici come prima’ ” ho mormorato, alzando finalmente lo sguardo. Lui ha sospirato, senza però lasciarmi andare. I nostri visi erano vicinissimi, ma quella prossimità non riusciva a infastidirmi; anzi, sentivo il bisogno di colmare quei pochi centimetri di distanza che erano rimasti tra noi.
“E’ più difficile di quanto pensassi” Ha bisbigliato piano, la sua bocca a un centimetro dalla mia.
“’Fanculo”, ho sbottato, e un secondo dopo le mie labbra cercavano le sue. E’ stato un bacio rabbioso e famelico, pieno di cose non dette, di paure, di sentimenti bui nascosti in fondo all’anima. Un bacio lungo e potente, intenso. Le sue mani, dal mio viso sono scese lungo il mio corpo, mi accarezzava, mi stringeva a sé con una forza che non avevo mai sentito in lui. E io… Io ero avida di lui. Mi aggrappavo alla sua maglietta con tutte le mie deboli forze, come se in questo modo niente avrebbe potuto separarmi da lui. Le sue braccia mi tenevano stretta a lui con una bramosia che mi faceva quasi male, che mi feriva.
Eravamo affamati. Affamati di noi.
Quando ci siamo separati, ansimavamo entrambi. Ma la pausa è durata poco; non sono riuscita a trattenermi dal baciarlo ancora, cento e cento volte; e ancora, lui, non faceva altro che baciarmi le labbra, il mento, il collo, ovunque; e io non riuscivo a fermarmi… Non volevo fermarlo.
“Non è giusto”, ho bisbigliato alla fine contro il suo petto, ancora tra le sue braccia.
“Sallie.” Sentendolo pronunciare il mio nome, ho alzato lo sguardo su di lui. Era la continuazione del discorso di prima. “Sallie, io sono fottutamente…”
“Anch’io.” L’ho interrotto prima che potesse concludere la frase. “Ti amo anche io.” Stentavo a credere di aver pronunciato, finalmente, quelle parole, eppure ho sentito una scossa rendendomi conto che erano vere.
Joey ha riso e ha alzato il mio viso per baciarmi di nuovo.
“Siamo due idioti”, ha mormorato. “Dovevamo arrivarci solo adesso?”
“’Fanculo. E ora che cazzo facciamo?”
Joey ha sospirato e si è stretto nelle spalle. “Vediamo come va.”
“Ma tu sarai in tour” ho ribattuto. “Sarai solo, circondato da ragazze e tentazioni del genere!”
“Credo che tu abbia una visione un po’ romanzata dei tour” ha detto Joey. “La triste realtà sarà che ci troveremo io, Cole, Max e Travis in un furgone stretto e puzzolente, e non faremo altro che dormire e cazzeggiare tra un concerto e l’altro.”
Ho incrociato le braccia con aria di sfida. “Io non credo che sarà così. Non hai messo in conto le feste post concerto e tutto l’alcol che girerà.”
“Ah, ah. Hai paura che possa fare qualche cazzata da ubriaco?”
Mi sono stretta nelle spalle. “Visto quelle che fai da sobrio, ho semplicemente paura della proporzione.”
Lui ha riso amaramente scuotendo la testa.
“Sallie, ci ho messo quasi quattro mesi per riuscire ad averti. Credi davvero che del misero alcol riuscirebbe a farmi dimenticare di te?”
 
Arrivati a casa Armstrong, un quarto d’ora più tardi, abbiamo visto il resto degli Emily’s Army salutare i propri genitori, mentre Billie Joe e Adrienne discutevano animatamente. Billie Joe sorrideva, sembrava cercare di rassicurare sua moglie. Jakob era lì vicino tutto concentrato sul suo BlackBerry, mentre Mike, Tré, Ramona, Estelle, Joe e Larry  se ne stavano in un angolo del cortile a chiacchierare. Avevamo deciso, di comune accordo, di non dire niente agli altri, almeno per ora; aspetteremo che Joey torni dal tour.
Vedendoci scendere ridendo e scherzando, Joe ha fatto una strana espressione, come di sollievo: probabilmente era sicuro che ci saremmo scannati a vicenda.
Sono andata subito da Joe e Larry, che mi hanno lanciato un’occhiata come per dire: “Beh? Che è successo?”. Fortunatamente in quel momento è arrivato Joey, che ha abbracciato Mike, Tré, Ramona, Estelle, Joe e Larry. Dopo aver lasciato quest’ultimo mi ha guardata per un istante, esitando. Ho scosso la testa alzando gli occhi al cielo e l’ho stretto a me. Anche lui mi ha tenuta forte e mi ha spostato una ciocca di capelli dal viso.
“Mi mancherai, piccola puffa azzurra.”
“Anche tu mi mancherai, TestaGialla” ho mormorato contro la sua spalla, e in quel momento avrei dato non so cosa per non lasciarlo più, per partire con loro. Ma, a un colpetto di tosse di Max, ho sciolto a malincuore l’abbraccio.
“Joey, uhm, noi saremmo pronti” ha detto il bassista, guardandoci dubbioso.
“Sì, certo” ha risposto, e mi ha dato una pacca sulla testa. “Riguardati” ha ghignato. Ho alzato nuovamente gli occhi al cielo e ho fatto una smorfia. Ti pare che un ragazzo normale ti porta via in macchina per parlare, ti chiede di rimanere solo amici, ti bacia, ti dice che ti ama, vi abbracciate, e poi alla fine, prima di partire per un tour lungo tre mesi ti dice “riguardati”? Cristo!
Ho abbracciato Travis, Max e Cole, e dopo tutti i saluti, i quattro, insieme al padre di Travis, sono saliti sul furgone, continuando a sorriderci. Adrienne salutava i ragazzi con le lacrime agli occhi e anche Ramona aveva gli occhi lucidi. Io ho sentito le viscere contorcersi mentre si chiudevano le portiere del furgone e gli Emily’s Army sparivano alla vista. Un attimo dopo, il furgone era già in moto e pochi minuti dopo era sparito dietro un angolo. Ho sentito Billie Joe sospirare.
“Beh, credo che sentirò la mancanza di quel piccolo rompiscatole.” Ha detto, e Adrienne l’ha baciato dolcemente. Io non ho potuto fare a meno di guardarli, soprattutto lei. Chissà come erano riusciti a trovare un compromesso tra la musica di Billie Joe e il loro amore, che mai come in quel momento mi è parso così forte e duraturo, più di ogni altra cosa al mondo. Ho sorriso malinconicamente e ho detto a Joe: “Andiamo a casa.”
“D’accordo” continuava a fissarmi dubbioso, come se non sapesse cosa pensare.
“Sapete cosa ci vuole?” Ha detto Larry, una volta rientrati in macchina. “Una bella festa a casa mia, come ai vecchi tempi! Una cosuccia privata, solo noi tre. Che ne dite, eh?”
Ho sorriso a Larry, che guidava fischiettando allegramente.
“Come no, dobbiamo assolutamente!” Ho esclamato.
In quel momento non importava che Joey se ne fosse andato, che non l’avrei visto per mesi, e che forse al suo ritorno non sarebbe più stato lo stesso. Come diceva la canzone che Larry aveva messo a tutto volume durante il viaggio di ritorno a Rodeo,
non è finita finchè non sei sotto terra, non è finita finchè non è troppo tardi.
 

Sallie

 

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Capitolo 42
*** AVVISO. ***


Ciao ragazzi

Lo so che dall'ultimo capitolo sono passati migliaia di anni, ma vi assicuro che non è stato per mia volontà. Ho dei problemi al computer eccetera e questo non mi permette di aggiornare. 
Questo per dirvi che la storia non è finita, anzi, questo ultimo capitolo segnava solo la fine della prima parte, intitolata "Where's your undying love?".
Appena potrò inizierò la seconda parte, che si intitolerà "It's not over 'til you're underground". 
Grazie del grandissimo (e immeritato) sostegno. 
Siete meravigliosi, le vostre recensioni mi scaldano la giornata <3 

GreenNightmare

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Capitolo 43
*** No pride. ***


Ce l'ho fatta! Alla fine, nonostante i grandi dei dell'Olimpo fossero tutti contro di me, sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo! *verso di soddisfazione*
Spero che vi piaccia. Qui inizia la seconda parte, "It's not over 'til you're underground", in cui verrà introdotto anche un nuovo personaggio mooooolto importante.... Beh, insomma, buona lettura e grazie a chi leggerà e recensirà :3 




SECONDA PARTE
 
IT’S NOT OVER ‘TIL YOU’RE UNDERGROUND

 

 

5 Giugno

 
Ok, novità all’orizzonte. Senti qua.
Stamattina a svegliarmi non sono stati gli ormai familiari grugniti di Joe, o le sue scorreggie, o lui che imprecava nel sonno, o quello che è. A svegliarmi è stato una fottutissima lampada a quattrocento milioni di watt, o almeno così credevo. In realtà, quando, del tutto rincoglionita e con un mal di testa da paura, ho aperto gli occhi, è stato il sole ad accecarmi completamente, facendomi imprecare tanto da sembrare uno dei tanti scaricatori di porto tatuati e sudati di Berkeley. A posto. Non avevo la più pallida idea di dove mi trovavo, sapevo solo che la superficie su cui ero sdraiata era dura e scomoda, e mi stava martoriando la mia povera schiena. Così mi sono decisa a riaprire cautamente gli occhi e a guardarmi intorno, ma la testa mi girava così tanto che vedevo tutto sfocato. E mi faceva anche male dappertutto: la testa, le braccia, le gambe. Come se qualcuno mi avesse compressa e infilata in una pacchetto di sigarette o qualcosa del genere. Sentivo scricchiolare tutte le giunture delle ossa.
Comunque, dopo qualche istante, o forse qualche minuto di smarrimento totale, ho capito dove mi trovavo: naturalmente, a Christie Road. Sentivo l’odore della discarica poco lontana invadermi le narici e lo stridio dei gabbiani, ma ciò che mi ha mandata in confusione è stato il fatto che, pur essendo a Christie Road, non mi trovavo su una delle comode brandine sistemate sotto il portico del vecchio parcheggio. No, mi trovavo –me ne sono resa conto in quel momento- semiriversa sul marciapiede, con la maglia (e probabilmente i capelli e la faccia, ma dovevo ancora controllare) piena di schitti di gabbiano. Al che una semplice questione ha fatto spontaneamente capolino nella mia mente ancora alquanto confusa.
“ Porca puttana, ma che diavolo ci faccio qui?!” Ho gridato all’aria con la voce ancora impastata di sonno e qualunque cosa fosse entrata nel mio organismo la sera prima, cioè ieri sera. In risposta ho avuto solo il rumore dei versi dei gabbiani, così mi sono seduta su bordo del marciapiede, tenendomi la testa fra le mani, cercando di ricordare cosa fosse successo.
Joey se n’era andato. Ecco una cosa concreta, un dato di fatto: Joey se n’era andato, ne ero assolutamente certa. Questa prima conclusione mi ha causato una fitta allo stomaco, facendomi venire voglia di vomitare.
Seconda cosa: Larry aveva rubato dell’alcol da qualche parte. Anche di questo ero assolutamente certa. Quattro o cinque bottiglie di vodka, se non erro. Non avevo la più pallida idea di dove le avesse prese, ma ero sicura di averlo visto arrivare a casa trionfante, stringendo il tesoro tra le braccia. Il che mi ha portata direttamente alla terza conclusione: la sera prima, ieri sera, ci trovavamo a casa di Larry. Sua madre era via per non so cosa. Credo fosse in vacanza per qualche giorno in un motel schifoso con l’ennesimo fidanzato, o almeno questo è quello che ci ha detto Larry.
Quarta cosa: di questo non ero assolutamente certa, almeno non al cento per cento, ma almeno all’ottantacinque si. Dovevamo aver fumato. E per “fumato”, non intendo sigarette. Anzi, avevo anche ricordi piuttosto confusi di un bong sul tappeto del salotto di Larry, sistemato per bene in mezzo a noi tre. Se non ricordavo male, doveva appartenere a Joe.
Perfetto. Ero riuscita a ricostruire parte della serata precedente. Ma quello che mi irritava di più era il fatto che non avessi ancora la più pallida idea del perché mi fossi svegliata su un marciapiede coperta dalla testa ai piedi di merda di uccello e quelle che sembravano tutte le mie ossa ridotte in briciole!
Ho provato a guardare il cellulare almeno per avere una vaga idea di che ora fosse, ma naturalmente era scarico. Stupido inutile aggeggio.
Così, tra grugniti e sforzi inimmaginabili, mi sono tirata in piedi e, barcollando, sono entrata nel vecchio parcheggio; lì mi sono schiantata su una di quelle vecchie brandine traballanti, e lì sono rimasta, a pancia in giù, in una specie di stato di trans, a pensare che ero ricoperta di merda, che Joey se n’era andato, e che mancava ancora solo un anno e mezzo alla fine del mondo e che quindi, in un modo o nell’altro, saremmo stati fottuti tutti.
 
Non so quanto tempo dopo –potevano essere passati pochi secondi come tre ore, per quanto ne sapevo- ho sentito un rumore di passi strascicati e dei grugniti, come di qualcuno che tirava su dal naso in continuazione, così ho capito subito, anche senza guardare, che si trattava di Joe.
“Bella Jo’” ho biascicato quando ho sentito che era abbastanza vicino. Joe ha sogghignato.
“Sei ancora viva, Sal?”
“No.”
Joe ha ghignato di nuovo. Praticamente è l’unico tipo di risata che è in grado di fare. Ho sentito il materasso che si abbassava e ho capito che Joe si era seduto ai piedi della brandina.
“Hai almeno la più pallida idea di cosa è successo ieri sera?”
Mi sono rigirata sul mio letto improvvisato, in modo da riuscire a guardarlo, e sia lui che io abbiamo sobbalzato. Aveva un aspetto orribile, pieno di lividi, con un occhio nero e due occhiaie profondissime e i capelli verdi ormai quasi marroni da quanto erano sporchi.
“Che cazzo hai fatto alla faccia?!” Ho gridato, mentre lui esclamava:
“Ma che merda è quella che hai in faccia, Sal?! Spero che sia schitto, perché l’alternativa mi preoccuperebbe anche di più”
“Quale alternativa?” Gli ho chiesto, confusa.
“Lascia perdere, te lo spiego quando diventi grande” ha ridacchiato lui.
“Vaffanculo, Joe. E comunque si, è merda di uccello, dato che mi sono svegliata semisdraiata su quel fottuto marciapiede. Quindi, a meno che un barbone non si sia eccitato alla vista di una ragazza anoressica con i capelli blu collassata in mezzo alla strada sì, propendo per la soluzione merda di gabbiano.”
Stavolta Joe ha proprio sghignazzato, quel maledetto bastardo. Evidentemente l’immagine di un barbone eccitato alla mia vista lo divertiva un sacco. Ho aspettato che finisse, impaziente.
“Allora, Joe, mi vuoi spiegare che diavolo è successo e soprattutto cosa ci faccio qui?”
“Joey se n’è andato, tu eri leggermente distrutta, quindi abbiamo pensato che un po’ d’alcol ti tirasse su.”
“Ma non mi dire, fin qui c’ero arrivata anche da sola. Voglio dire, cos’è successo dopo?”
“Non so bene, perché me l’ha raccontato Larry. A proposito, c’è una novità che riguarda Larry, dopo ricordami di dirtela. Comunque, sembra che eravamo tutti e tre così strafatti che siamo usciti un po’ a festeggiare. E nel bel mezzo del nostro festeggiamento abbiamo incontrato Kelly.”
“Kelly? Vuoi dire Jack Kelly? E che accidenti ci faceva qui a Rodeo?”
“Non chiederlo a me. Era con gli altri di quella sua band di merda. Comunque, a quanto pare, lui ha nominati Joey, non so bene cos’abbia detto, così ovviamente tu gli sei saltata addosso. Io da vero coglione sono corso ad aiutarti, così naturalmente le abbiamo prese in due, dato che né io né te eravamo in grado di reggerci in piedi. Credo che sia stata la ragazza, la sua bassista, a dividerci.”
“Tania.”
“E chi se ne sbatte di come si chiama. Comunque, almeno tu non ti sei disfatta la faccia, a quanto pare.” Ha continuato, indicandosi il labbro inferiore grande quanto un salsicciotto. “Ad ogni modo, credo che a un certo punto ci siamo persi di vista e basta. Eravamo tutti e tre strafatti, no? Credo che tu sia venuta qui e basta.” Ha concluso scrollando le spalle.
Mi sono lasciata  cadere di schiena sulla brandina, stravolta da tutte quelle informazioni. Jack Kelly… Era ancora in giro, quel maledetto stronzo. E poi Joey che se n’era andato. Noi tre a ubriacarci a casa di Larry…
“A proposito, che novità c’è riguardo Larry?” Gli ho chiesto tanto per distrarmi, anche se in realtà non mi interessava. Volevo solo togliermi il volto di Joey dalla testa.
Joe però ha sogghignato scuotendo la testa senza rispondere, stimolando la mia curiosità.
“Joe?”
“Stamattina, appena sveglio, sono andata a casa sua. E indovina cos’ho trovato.”
Ho aggrottato le sopracciglia. Cosa mai si poteva trovare a casa di Larry?
“Pastiglie di ecstasy?” Ho tirato a indovinare.
“No. Non la indovinerai. Una persona. Di cui nessuno di noi aveva mai sentito parlare.”
Ho rizzato le orecchie, sinceramente interessata.
“Una persona? E chi?”
“Una cugina! Una cugina inglese. Coi denti marci e tutto. Credo si chiami Marcy, o Francis, o qualcosa così. Una battona di prima categoria.”
“Stop stop stop stop stop!” Ho esclamato. “Da quando Larry ha una cugina inglese? O comunque dei parenti che non siano sua madre e suo padre?”
“E’ quello che mi sono chiesto anch’io. Ma a quanto pare ha questa zia inglese, e sembra anche che sia abbastanza ricca. E’ la sorella di sua madre, ma le due hanno litigato un mucchio di tempo fa, tipo dieci anni fa. E, all’improvviso, la figlia dell’inglese è capitata qui, dopo dieci anni che lei e Larry non si vedevano. Sembra sia scappata di casa o roba del genere.”
“Wow.” Larry, con tutto che ci conoscevamo da una vita, non mi aveva mai parlato di una cugina inglese. La cosa mi ha sbalestrato un po’. Credevo di conoscerlo come le mie tasche, e invece non sapevo nemmeno chi fosse la sua famiglia.
“Lo so”, ha detto Joe, leggendomi nel pensiero. “Fa un po’ strano.”
“Eccome se fa strano”, ho ribattuto. “Lei com’è?”
“Come tutti gli inglesi. Capelli rossi, denti marci.” Ha detto Joe in fretta con una scrollata di spalle.
L’ho guardato bene. C’era qualcosa di più che non voleva dirmi.
“L’hai conosciuta?”
“Ci ho fatto due chiacchiere non proprio piacevoli. E’ strana forte, la tipa. E anche un po’ stronza, se è per questo. Te l’ho detto, una battona di prima categoria.”
Qualcosa nel tono di Joe continuava a non convincermi, ma ho deciso di lasciar perdere. Lui si è fatto più vicino: aveva capito che i miei pensieri avevano preso una direzione diversa, e aveva anche capito quale fosse la direzione. Mi ha passato un braccio intorno alle spalle.
“Stai su, Sal. Ci siamo noi.”
Ho annuito senza parlare.
“Vedrai che tornerà presto. Ne sono sicuro.”
Ho annuito ancora. “Ieri pomeriggio ci siamo baciati.”
“Davvero?” Ha esclamato, ma, per come ha pronunciato quel ‘davvero?’, ho capito che non era per niente stupito. “E ora… Insomma, siete…?”
“Insieme? Non lo so. Boh. Non avrei nemmeno dovuto dirti quello che è successo. Ci eravamo accordati così, di aspettare cosa sarebbe successo una volta tornato da tour. Però mi sembrava brutto non dirtelo.”
Joe ha sogghignato. “Immagino. La mia vita sarebbe stata una merda se non mi avessi dato questa preziosa informazione.”
“Fottiti, Joe!” Ho ululato, saltandogli addosso e tentando di strozzarlo, ma ovviamente lui mi ha fatto cadere a terra con una sola mossa.
“Arrenditi, Sal. Non vincerai mai contro di me.”
“’Fanculo. Andiamo a casa, così almeno mi lavo la faccia da questa merda.”
“Magari stanotte rincontreremo il barbone” ha sospirato Joe in tono sognante.
“Vaffanculo!”
“Sei proprio una sfigata!”
“Senti chi parla!”
 
Abbiamo continuato così per un po’. Stavo bene, benissimo in realtà. Quasi non sembrava che Joey se ne fosse andato. Ma sapevo che era questione di tempo, molto poco tempo, prima che la sua mancanza tornasse a farsi sentire. Ma, per ora, mi voglio godere questa felicità: stare con Joe e Larry, suonare, ubriacarmi ogni tanto, conoscere questa Marcy, o Francis, ciondolare per Rodeo, prendere per il culo il mio datore di lavoro, vedermi con Billie Joe e gli altri, ridere con Adrienne, rubare qualcosa nei negozi con Ramona, insomma, vivere la mia vita. E poi, si vedrà.
 
Sallie

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Capitolo 44
*** Welcome to Paradise. ***


Ebbene si, ce l'ho fatta!! 
Dopo più di un mese, ce l'ho fatta!
Ammetto che, dopo tutto quello che è successo all'iDay, non me la sono sentita molto di continuare a scrivere, ma poi me ne sono sbattuta e ho pensato che non riesco a stare senza scrivere questa fic, così eccomi qui:D 
Confessione vergognosa: non ho ancora comprato !Uno!. Eh si. Lo so. Prometto che ce la farò, dai.
Comunque la scuola è inziata e io sto andando con la mia seconda terza superiore, vai .___. che palle! 
Ah, si: mi sono tagliata i capelli come Skrillex, e per di più nella parte lunga sono tuuuuuuutti rosa:3 yeeeee!
Ora la pianto di rompere le balle e vi lascio alla storia.:D
Fatemi sapere cosa ne pensate!




14 giugno 2011

 
Indovina, ci sono novità, ma come al solito non avevo voglia di scriverle nel momento in cui sono accadute, per cui ti racconto tutto ora.
Innanzitutto, ho conosciuto la cugina di Larry, che non si chiama né Marcis, né Francis. Si chiama Nancy e ha diciassette anni. Joe è proprio un cretino, a volte. Senza contare che da come me l’aveva descritta me l’ero immaginata come una sottospecie di mostro con i denti di Billie Joe, i capelli di Tré e il senso dell’umorismo di Mike. Ovvero una cosa assolutamente spaventosa. Invece non è così. E’ carina, anche se in un modo tutto suo. Ha i capelli rossi fiammanti di tinta corti alle spalle, due piercing (uno al sopracciglio e uno al naso), il volto pallido e smagrito ed è alta; ha l’aria di una che è stata gravemente sottopeso per anni, e che è ingrassata molto in poco tempo.
E’ decisamente una bellezza strana, del tutto particolare. E anche il carattere sembra rispecchiare il suo aspetto fisico. E’ strana, e lunatica. Anche più di me. Il più delle volte però è scontrosa. Poi magari cinque minuti dopo diventa la persona più adorabile del mondo. Inoltre, basta un nulla per farla scattare e, nonostante l’aspetto fisico, sembra una straight edge: non beve alcool, non fuma nulla di più di un paio di sigarette al giorno: spinelli, neanche a parlarne. Scatta appena si nomina la droga, e questo basta a farmi pensare che ci sia una qualche brutta storia alle sue spalle.
Non vuole dire a nessuno di noi, nemmeno a Larry, il motivo reale per cui è venuta qui da Londra. Quando lui glielo chiede, si limita a rispondergli con un sorriso triste: “non farmi domande e io non ti dirò bugie, cuginetto.” E’ scappata, questo sì, senza alcun dubbio. Ma nessuno di noi sa perché e da cosa, o da chi.
Larry mi ha raccontato che l’ultima volta che l’ha vista, dieci anni fa, era una ragazzina completamente diversa. Era una bambina insopportabile, la tipica ragazzina viziata e capricciosa. La sua famiglia era molto ricca. Avevano una specie di mega villa appena fuori Londra, con la piscina e tutto. Vedendola, non da’ l’aria di una che ha passato tutta la sua vita in una villa con piscina, fidati. Sembra più una che ha sempre vissuto in uno squallido appartamento di periferia a due stanze, con le pareti macchiate d’umidità e l’elettricità che se ne andava in continuazione perché non venivano pagate le bollette. Un po’ come casa mia.
 
Ad ogni modo, negli ultimi giorni ho dormito quasi sempre a Christie Road. Era meglio così. Joe non è una persona molto ospitale, nemmeno con me. Però stamattina c’è stato un piccolo inconveniente: mi ha chiamata mia madre.
Io soffrivo ancora dei postumi della sbornia di ieri sera (stiamo facendo festa tutte le sere ormai che è estate, e la cosa si sta rivelando devastante), e quando il cellulare è squillato –tra l’altro trapanandomi le orecchie- non ho fatto caso al nome che compariva sullo schermo.
“Pronto?” Ho biascicato. Avevo la gola secchissima.
“Sallie?! Dove sei?! Si può sapere dove sei stata tutto questo tempo?! Torna immediatamente a casa o chiamo la polizia!”
Ho riconosciuto a malapena la voce di mia madre, e quello che mi ha detto –anzi, più che altro urlato- mi ha così spiazzata che lì per lì non ho saputo cosa ribattere. Voglio dire, mi ha buttata fuori di casa ben due settimane fa e da allora non si è fatta più vedere né sentire, e ora si faceva sentire così all’improvviso? Non ci capivo niente. Solo dopo ho pensato che è probabile che l’abbia fatto perché avrà scoperto che, se non si occupa di sua figlia minorenne, rischia di beccarsi una denuncia. Comunque, è impossibile che l’abbia fatto perché si sente in colpa. Mia madre non si sente mai in colpa.
Ad ogni modo, le ho sbattuto il telefono in faccia senza nemmeno risponderle e poi l’ho proprio spento in modo che non potesse più contattarmi. Se c’è una cosa di cui sono certa al cento per cento è proprio questa: non voglio tornare a casa di mia madre. Così ho trascorso l’intera mattinata a pensare a una soluzione.

Nel pomeriggio (tra l’altro il mio pranzo è consistito in una misera lattina di birra calda trovata lì a Christie Road: non avevo affatto voglia di camminare fino a un bar o a un Seven-Eleven per mangiare) è arrivato Larry, i suoi ricci rosa cicca erano visibili da lontano, sfolgoranti nella luce di giugno. Si è lasciato sprofondare in una vecchia poltrona distrutta sospirando profondamente, con l’aria di chi regge sulle spalle il peso dell’intero mondo.
“Ciao, Sal.”
“Che succede, Lar? Problemi?”
Mi ha guardata dritta negli occhi con la sua migliore espressione da uomo vissuto:
“La vita mi devasta.”
“Cosa è successo? Ti sei rasato i peli pubici per la prima volta?”
Mi ha guardata malissimo.
“Non provare a scherzarci su. E’ stato traumatico… Ma comunque no, non è solo quello.”
Finalmente, mi sono resa conto che era serio. Sembrava davvero distrutto. Mi sono accorta improvvisamente che Nancy non era con lui.
“Ehi, Larry, che succede? E dov’è Nancy?”
“Sal, hai una sigaretta? Sono abbastanza nervoso.”
“Magari. Sono completamente a secco.”
Larry ha bestemmiato.
“Comunque” ha continuato, gli occhi che mandavano scintille. “E’ mia madre. Me ne voglio andare, sul serio. Anzi, non è solo mia madre, sono tutti e due. Quello stronzo di mio padre si fa la bella vita a San Francisco, a Los Angeles, dove cazzo è ora… Ci manda quei centoventi dollari al mese, ed è a posto così. Se ne sbatte, probabilmente non si ricorda più nemmeno di avere un figlio. E mia madre. L’altro ieri notte aveva portato a casa un altro uomo, dopo essere scomparsa per tre giorni di fila. E lui stamattina è sparito, insieme a tutti i soldi che avevamo in casa e alla collana di nonna.”
Ha tirato un pugno al bracciolo della poltrona e mi ha fissata dritta negli occhi. Io non sapevo bene cosa dire.
“Io me ne vado da quella casa, Sal” ha scandito lentamente. Sembrava davvero determinato. “Stavolta me ne vado davvero. Mia madre è una drogata alcolizzata di merda e io non voglio avere più niente a che fare con lei.”
“Hai detto drogata, Larry?”
Lui ha sputato per terra a pochi centimetri dal suo piede. “Non ho voglia di parlarne. Cambiamo argomento, ti va?”
“D’accordo. Comunque potremmo andarcene insieme. Credo che mia madre mi stia cercando, e se rimango qui prima o poi mi troverà. Perciò devo trovare una soluzione. Ad ogni modo, dov’è Nancy?”
“Ha detto che ci raggiungeva dopo. Quando sono uscito stava vomitando l’anima. Credo abbia un virus o roba del genere. Negli ultimi tre giorni non fa altro che sboccare.”
“Avrà l’influenza.”
“Comunque sono preoccupato anche per lei. Per essere scappata da Londra fino a qui deve averla combinata davvero grossa. Lei non vuole dirmi niente, ne degli zii né di ciò che è successo, ma a questo punto mi aspetto di tutto. Comunque, hai sentito Joe?”
“Stanotte, quando è tornato a casa. Ultimamente mi sembra un po’ depresso, sai?”
“L’ho notato anch’io. Chissà cosa cazzo ha anche lui.”
“Siamo parecchio incasinati, eh?”
“Non me ne parlare. Ci potrebbero girare un fottuto documentario sulle nostre vite. Del tipo: “il terzo mondo esiste ancora negli Stati Uniti.”
Ho ridacchiato, ma era una risata triste. Larry aveva ragione. E anch’io, come Joe, ultimamente sono stata molto giù.
Non ci posso fare niente, mi manca. Mi manca da morire. Mi mancano i suoi occhi, il suo modo di ridere e di prendermi in giro. Mi manca la sua capacità di farsi amare da tutti, la sua espressione concentrata e piena di gioia mentre suona la batteria. Mi manca cazzeggiare con lui per le strade di Berkeley, con una birra in una mano e uno spinello nell’altra. Mi mancano i nostri discorsi pseudo filosofici, e i nostri litigi. Mi manca ciò che sarebbe potuto accadere, e invece è rimasto inesploso, come quei petardi che trovi per strada dopo capodanno e se li sfiori ti scoppiano in faccia.
 
 
Circa un’ora dopo abbiamo visto Joe avvicinarsi. Anche lui sembrava molto scazzato. Intanto, alle soglie di Christie Road si era avvicinato un gruppetto di quattordicenni brufolosi con le felpe cinguettanti da scuole medie e l’apparecchio ai denti. Gente la cui cultura musicale non andava oltre Justin Bieber e Miley Cyrus. Continuavano a lanciarci strane occhiate e a sussurrare eccitati tra solo, come se fossimo una strana e rara specie appartenente alla fauna locale. Cosa cazzo ci facessero lì, era un mistero insondabile per me e Larry.
Comunque, quando hanno visto Joe avvicinarsi, quei mostri preadolescenziali si sono tirati una gomitata, e lo guardavano camminare con un misto di sfida e timore reverenziale. Uno di loro gli si è avvicinato e gli ha detto qualcosa, e Joe gli ha risposto con aria scoglionata. Dopodiché, prima che io o Larry potessimo renderci conto di quello che succedeva, Joe ha tirato al ragazzino un pugno dritto sul muso, stendendolo, mentre gli altri appartenenti al gruppetto lo guardavano atterriti e ammirati. Joe ha detto qualcosa al ragazzino per terra, che si teneva le mani premute sul naso insanguinato, dopodiché ha gridato “buh!” agli altri quattro preadolescenti, dotato della sua migliore espressione da pazzo drogato, e quelli sono scappati via di corsa. E’ stata una scena davvero fantastica.
Dopodiché, è venuto verso di noi e si è lasciato cadere sull’unica poltrona libera, mentre Larry gli porgeva una birra:
“Allora, ti dai da fare con i quattordicenni adesso?” Ha ridacchiato quest’ultimo.
“’Fanculo”, ha borbottato Joe, bevendo un lungo sorso.
“Ti abbiamo visto da qui. Sembravi un vero punk ribelle. Da paura. La mia libido ha raggiunto vette vertiginose.” Ho commentato sarcastica. Joe mi ha guardata storto.
“Avevano insultato mia madre” ha ribattuto cupo accendendosi una sigaretta. Naturalmente io e Larry abbiamo immediatamente teso la mano per scroccargliene una a testa.
“Siete proprio degli accattoni di merda, voi due.”
“E tu sei la persona più tirchia che abbia mai avuto la sventura di incontrare in questa vita di merda. Passami Incesto.” Ha replicato Larry tendendo la mano verso l’accendino rosso di Joe, che gliel’ha passato alzando gli occhi al cielo.
“Seriamente, Joe. Se dovessi picchiare tutti quelli che insultano tua madre, non avresti più il tempo di fare altro. Incesto.” Ho commentato io, allungando la mano verso Larry che mi ha passato l’accendino. Mi sono finalmente accesa la Lucky e ho tirato una boccata profonda, godendomela tutta.
“Questi mi stavano particolarmente sul cazzo” Stava ribattendo Joe. “Solo perché mia madre è” ha deglutito “una puttana, non vuol dire che possono prendersi gioco di me. E comunque, a proposito di puttane, dov’è tua cugina, Larry?”
Non ho potuto fare a meno di sorridere tra me e me, mentre Larry squadrava l’amico con disapprovazione. Joe non perde occasione per insultare Nancy, e lei certamente non si faceva pregare per ricambiarlo. Eppure, conoscendo Joe, sento c’è una sorta di attrazione tra quei due. Anche se non ho ancora capito se positiva o negativa.
“A vomitare da qualche parte, presumo” ha risposto infine Larry a denti stretti. Non gli piace quando Joe insulta sua cugina. Joe ha alzato la testa di scatto:
“Come, a vomitare?”
“Credo che non si senta bene. Deve avere l’influenza o roba del genere, perché sono tre giorni che sbocca di continuo. Comunque” ha sospirato, e ha fatto un bel tiro dalla sua sigaretta “Sto pensando di andarmene di casa. Ne parlavo proprio adesso con Sallie.”
Joe è rimasto di stucco.
“Andartene di casa?”
Larry l’ha fissato con i suoi occhi scuri e tristi da cucciolo abbandonato.
“Cosa ti aspettavi? Sai bene com’è vivere con mia madre, te ne ho parlato un mucchio di volte. E’ una merda, ecco com’è. E poi oggi…” Ha inspirato forte dal naso, cercando di calmare tutto il nervoso che evidentemente gli era salito su. “Oggi ho trovato certe pastiglie nella sua borsa. Ecstasy, credo, ma non ne sono sicuro. Lo sospettavo da tempo, ma… Joe. Mia madre è solo una stronza impasticcata di quindici anni in più di me che pensa di più a come farsi fottere dagli uomini e a spendere tutti i pochi soldi che abbiamo che a prendersi cura di suo figlio e uscire dal mare di merda in cui siamo sepolti.”
Larry ha alzato lo sguardo verso me e Joe, ed entrambi sapevamo che non stava invocando pietà né tantomeno comprensione, con quelle parole. Stava soltanto esponendo la situazione; una situazione che era diventata insostenibile.
“Così, insomma, me ne vado. Anzi, ce ne andiamo, io e Nancy. Credo che ce ne andremo a occupare una di quelle villette abbandonate appena fuori città stasera stessa.”
“E io andrò con loro” sono intervenuta, guardando Joe dritto negli occhi. Lui sapeva a cosa stavo pensando: Joey, mia madre e tutto il resto. “Dopo tutto quello che è successo… Dopo che Steve ha piantato mia madre, e lei mi ha buttata fuori di casa, e si mette a cercarmi dopo due settimane…” Mi sono morsa il labbro. Non era quella la ragione principale. Non era quella. La ragione era Joey. La ragione è che voglio scappare da qualunque cosa mi parli di lui, perché i ricordi fanno troppo male. “…La mia vita è un inferno, ora come ora.”
Joe mi ha guardato a lungo. Conosceva una per una le mie frasi sottintese. Sapeva che stavo pensando a Joey, sapeva cosa lo stavo implorando silenziosamente di fare. Conosceva perfettamente la mia richiesta implicita. Ha finito in un solo sorso il resto della sua birra calda per poi accartocciare la lattina e buttarla per terra.
“Siete proprio degli stronzi, voi due.” Ha sputato fuori, e io e Larry ci siamo scambiati un sorrisetto. “Due fottuti stronzi. Lo so cosa state pensando. So cos’avete intenzione di fare. Vengo anch’io, è ovvio. Datemi solo il tempo di organizzarmi un attimo.” Ha mollato un rutto spaziale mentre io e Larry ci battevamo il pugno, soddisfatti.
“Dio” ha ripreso “Toccherà andare a fare rifornimenti, giusto? Cibo, roba da bere, sigarette, e roba del genere. Dio” Ha sbuffato, alzando gli occhi al cielo, e si è alzato in piedi.
“D’accordo” ha detto. “Vado a casa a prendere della roba da mangiare eccetera. Tu, Larry, rintraccia tua cugina. E tu, Sallie, il compito più importante: scegli la casa, controlli il suo stato e poi ci avvisi con un sms dov’è e cosa serve nello specifico. D’accordo? Cristo.”
“Allora, ci vediamo tra due ore?” Ho proposto.
“D’accordo. Tra due ore alla casa che scegli tu.” E si è allontanato con la sua andatura barcollante.
“D’accordo, Sal. Ci vediamo tra poco” ha detto Larry, e anche noi due ci siamo divisi.
Sono andata a gironzolare lì dalle parti della discarica vicino a Christie Road. C’erano un sacco di case che non capivi se erano abbandonate o abitate da gente troppo povera per prendersene cura. I giardini erano incolti, i muri scrostati, e non c’erano tende alle finestre ma il più delle volte solo vecchi giornali. Parcheggiati nei vialetti c’erano camion col telaio stracciato, auto sicuramente rubate e vecchie carcasse che forse non avevano più nemmeno il permesso di circolare. E’ la periferia più estrema, quella povertà che fa da sempre parte delle nostre vite e di cui i borghesi hanno solo sentito parlare come in una specie di fumetto. Quella vita misera che i Green Day conoscono così bene, e che Billie Joe è riuscito a tenere lontana da Joey e Jakob. E a Joey sembra non importare, Joey non ha paura di abbandonare gli agi, la bambagia in cui è sempre cresciuto per venirmi a prendere nella merda da cui provengo. Non ha paura che le fauci della miseria inghiottano anche lui.
Ho sentito una fitta al petto pensando a Joey. Mi mancava. Mi manca. Ho bisogno di lui.
 
Alla fine, sono riuscita a trovare questa villetta ormai in disuso da anni in cui mi trovo ora. E’ tra la casa di una famiglia di messicani e quella di un vecchio ottantenne che spia in continuazione dalla finestra. E’ stato facile entrare, mi è bastata una forcina. Ho fatto un giro di ricognizione: due stanze, un bagno, salotto e cucina, e qualche topo qua e là. Le uniche stanze che recano una vaga traccia di arredamento sono la cucina e il bagno, mentre in tutto il resto della casa ci sono un salotto, un materasso sfondato e un tavolinetto basso mangiato dalle terme con sopra una televisione vecchissima in bianco e nero.
Molto pittoresco.
Vado. Sta arrivando qualcuno. Credo sia Joe. Ti aggiornerò al più presto.
 
Sallie

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Capitolo 45
*** Let yourself go. ***


17 giugno 2011

 
Bonjour! Devo raccontarti di questi ultimi giorni.
Parto dicendoti che nella casa nuova ci siamo sistemati di merda, poiché ci sono solo un divano semidistrutto e puzzolente e un materasso privo di molle per quattro persone. Per cui, io e Nancy dormiamo sul materasso e Joe e Larry sul divano. Li sentiamo litigare ogni notte per lo spazio. Joe è più alto di Larry, ma quest’ultimo è molto più muscoloso. Così finisce sempre con Larry spaparanzato sul divano che russa beatamente e Joe rannicchiato per terra in stile cucciolo addomesticato.
Io e Nancy, invece, ci troviamo abbastanza bene, almeno per ora. Sta ancora male, vomita spesso. Ma non ne vuole sapere di farsi vedere da un medico. In questi ultimi giorni ci siamo avvicinate molto. Io le ho raccontato di Joey e lei mi ha parlato molto della sua famiglia, del fatto che i suoi avevano divorziato quando aveva undici anni e che poi subito dopo sua madre si è risposata con uno stronzo che le picchiava entrambe. Mi ha raccontato che non vede suo padre da cinque anni, e a lui sembra non importare nulla. Mi ha raccontato che a dodici anni la scambiavano già per una sedicenne e lei ne approfittava per entrare nei locali e bere senza che le chiedessero la carta di identità; che aveva sempre frequentato compagnie di ragazzi molto più grandi di lei, e alcuni di essi avevano provato a toccarla quando era a malapena una bambina; che ha perso la verginità a soli tredici anni, con un ragazzo di ventuno che è morto poche settimane dopo per soffocamento da vomito; che nella sua vita aveva provato molte droghe, ma che l’ha fatta finita per sempre. Per molti versi ha avuto una vita molto più dura della nostra, che comunque non abbiamo mai vissuto nella bambagia. Così nemmeno io ho avuto problemi a raccontarle di mio padre, di mia madre, di mio fratello John che ha quattordici anni in meno di me, di Steve e la scuola e poi naturalmente di Joey e di suo padre, di Mike, Tré, Ramona ed Estelle, degli Emily’s Army, dei Mystery.
Nancy perciò va molto d’accordo con me e Larry, mentre con Joe molto meno. In realtà, più che andare d’accordo quei due si sopportano. Il primo giorno hanno fatto un litigata incredibile perché lei ha sboccato in salotto e lui le ha dato della drogata imbecille e le ha gridato di andarsene immediatamente. Siamo dovuti intervenire io e Larry, ed è finita che Joe si è beccato un occhio nero e da quel momento non ha rivolto la parola a nessuno per due giorni. Se ne è stato lì sul divano tutto il tempo, immusonito, a strimpellare la chitarra e improvvisare assoli, finché io Larry non gli abbiamo detto di piantarla e di uscire un po’. Così noi abbiamo fatto pace, ma Joe e Nancy continuano a mantenere rapporti glaciali. Non capisco nemmeno perché si detestino così tanto.
Probabilmente perché sono entrambi due stronzi, come ha ipotizzato Larry ieri sera.
 
Comunque, ieri pomeriggio io, Joe, Larry e Nancy siamo andati a trovare Billie Joe. Era da troppo tempo che non lo vedevo e volevo sapere come stava. Così abbiamo preso l’autobus e siamo andati a Berkeley, nella sua villetta disordinata. Ci ha aperto proprio lui, un gran sorriso stampato in volto e l’espressione luminosa.
“Sallie! Stavo giusto pensando a te. Entra! Ciao, Joe, Larry! Come va? E chi è la vostra amica?” Sembrava di ottimo umore e non ha tardato a spiegarci il perché:
“Sono in piena fase creativa. In questo periodo sto scrivendo un sacco di canzoni nuove… E vorrei il vostro parere, naturalmente. Volete un po’ di torta? E’ avanzata dal compleanno Steve, il fratello di Adrienne.”
“Il famoso skater?!” Gli ha chiesto Joe, meravigliato.
“Certo. Adrienne non ve l’ha mai detto?” Ha risposto Billie in tono leggero.
Lo trovavo davvero bene. I capelli neri e corvini erano più lunghi del solito, sparati in tutte le direzioni, e gli occhi verdi erano grandi e pieni di luce. Doveva essere l’effetto dell’ispirazione.
“Comunque piacere, Billie Joe” ha aggiunto poi, stringendo la mano Nancy.
“Nancy”, si è presentata lei, con una tranquillità e una naturalezza tale che pareva fosse abituata a conoscere rock star di fama mondiale praticamente tutti i giorni “Sono la cugina di Larry.”
“Uhm” Billie Joe l’ha squadrata qualche istante. “Inglese, eh?”
“Eh, già.”
“Bel posto, la Gran Bretagna. Alcuni dei concerti più belli della mia vita li ho fatti là. E non mi riferisco ad arene di ventimila persone, quanto al lontano 1992. Quelli si che erano bei tempi…” Aveva un’aria sognante mentre ricordava gli antichi tempi di gloria. “Comunque” si è ripreso “Gli anni che ci aspettano ora si stanno promettendo altrettanto fenomenali. E tutto grazie a voi, ragazzi” Ci ha lanciato un sorriso aperto e felice.
“Noi?! E cosa c’entriamo noi?” Gli ho chiesto, spiazzata. Joe e Larry sembravano altrettanto confusi.
“Ragazzi, se ho ritrovato l’ispirazione penso sia tutto per merito vostro. E di questo vi devo ringraziare.”
“Noi? Ma noi non abbiamo fatto niente…”
“Ragazzi, io non ci credevo più nella mia musica. Dopo il fallimento di 21st Century Breakdown –sì, lo ammetto, è stato davvero un fallimento- pensavo che non sarei mai più riuscito a ricreare la magia di American Idiot. Poi ho conosciuto voi, e voi tre mi ricordate tanto me, Mike e Tré alla vostra età. Al era già diverso, lui era più concentrato sulla sua carriera e sul suo futuro. Io, Mike e Tré invece vivevamo alla deriva, senza sapere dove andare o dove diavolo saremmo finiti. Avevamo solo la nostra musica e le nostre speranze.
E guardando voi, le vostre vite, la vostra rabbia -e sto parlando soprattutto di te, Sallie, perché negli ultimi mesi ho conosciuto soprattutto te-, ho capito che ciò che dovevo fare non era ricalcare ciò che era stato American Idiot. Ciò di cui il mondo aveva bisogno, ciò di cui io, Mike e Tré avevamo bisogno, era qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.” Mentre parlava aveva imbracciato Blue, la sua amata chitarra. “Sentite qua” ha aggiunto poi “Questa me l’avete ispirata voi.”
E’ partito con degli accordi duri e veloci che mi hanno ricordato subito Insomniac, il quarto album dei Green Day, il secondo uscito su major.
 
Shut your mouth ’cause you’re talking too much
And I don’t give a fuck anyway
You always seem to be stepping in shit

And all you really do is complain…
 
Muoveva la testa a ritmo, mentre suonava. La sua era una canzone piena di energia, di rabbia sprezzante per il mondo che ci circonda, ma anche di speranza, e io mi sono ritrovata subito in quelle parole, in quella melodia.
 
Let yourself go, let yourself go, let yourself go…
 
Il ritornello era semplice eppure travolgente, e io e gli altri ci siamo guardati sorridendo complici: quella era la nostra musica, e nulla avrebbe potuto esprimere meglio come ci sentivamo.
La canzone è durata poco, a malapena quattro minuti. Quando è finita, Billie Joe ci ha fissati, lo sguardo carico di aspettative. Ma non ha fatto in tempo a chiederci cosa ne pensavamo che Joe e Larry hanno cominciato a fischiare ed applaudire, mentre io esclamavo: “Porca puttana, Bill, questa canzone è davvero fottutamente figa, cazzo!!”
Nancy ha scosso la testa: “Cristo. E’ stupenda.”
“Finalmente nella tua vita dici qualcosa di sensato, bambolina” Ha commentato Joe nella sua direzione.
“Ehi, Joe, perché non mi fai un fottuto piacere per una volta e non ti tappi quella cazzo di bocca?” Ha ribattuto lei fulminandolo con lo sguardo. Odia quando Joe la chiama “bambolina”, e lui lo sa, perciò naturalmente non fa altro che rivolgersi a lei in questo modo per farla innervosire. Tipico comportamento alla Joe.
“Sono contento che vi sia piaciuta” Ha detto Billie Joe alzandosi in piedi. “Birra per festeggiare?”
Ci siamo lanciati in urla e versi di apprezzamento. Tutti tranne Nancy, che ovviamente non ne ha assaggiato nemmeno un goccio e poco dopo si è dovuta assentare per correre in bagno. Allora mi è scattata una lampadina, ma per il momento ho deciso di non parlarne con nessuno, nemmeno con lei, e tantomeno con Joe e Larry, e non lo farò nemmeno con te. Voglio prima vedere se riesco a confermare i miei sospetti.
Comunque, siamo rimasti ancora un bel po’ da Billie, e abbiamo suonato tutti insieme e poi siamo andati a cazzeggiare a casa di Tré, così abbiamo anche potuto rivedere Ramona.
 
Vado a dormire ora, anche se probabilmente il russare di Larry mi terrà sveglia ancora un pezzo. Buonanotte
 

Sallie

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Capitolo 46
*** I know I am crazy, and a bit lazy. ***


23 Giugno 2011

 
Questi ultimi giorni sono stati di intense prove, dato che ci eravamo messi d’accordo con Tim, il gestore del Gilman, che stasera avremmo dato un altro concerto. All’inizio Tim era piuttosto riluttante dato ciò che è successo l’ultima volta, ma, visto l’enorme (e inaspettato) consenso di quel pubblico di punk svitati ed emarginati che abbiamo ricevuto, non poteva non farci suonare. Così, alla fine, si è dovuto arrendere.
“Ok, ragazzi”, ha sospirato passandosi una mano tra i capelli tinti di verde  (ha 45 anni) “Potete suonare. Ma se prende fuoco un altro amplificatore, vi prendo tutti e tre a calci nel sedere da qui fino a San Francisco. Non sto scherzando.”
Così, lavoro permettendo, ho passato tutti i pomeriggi e le serate possibili con Joe e Larry a casa di Tré, ancora adibita a sala prove. La maggior parte delle volte è venuta anche Nancy, e ha detto  che le piacciamo molto come gruppo. Lei frequentava una comunità di punk molto simile alla nostra, quando stava a Londra. Solo che la musica che facevano era molto più cupa e arrabbiata, e la gente era molto meno solare. Aveva conosciuto diciassettenni capaci di spararti a sangue freddo un colpo nella tempia, ragazzine che avevano ucciso altre ragazze per gelosia, ragazzi che a quindici, sedici anni morivano a causa dell’eroina.
“Che teste di cazzo” ha commentato Joe “Bisogna essere veramente rincoglioniti per prendere droghe pesanti. Io sto bene, con le mie canne e un po’ di valium ogni tanto. Voi inglesi siete proprio una razza sporca.”
Nancy non gli ha nemmeno risposto, e più tardi, mentre eravamo solo noi tre, Larry l’ha rimbeccato:
“Joe, la vuoi piantare di insultarla?! Giuro che se la chiami un’altra volta inglese di merda, drogata, grassona del cazzo o roba del genere smonto il basso e te lo ficco su per il culo pezzo per pezzo!”
“Meno male che ha le corde lisce, allora” ha sogghignato Joe, ma Larry non è parso per niente divertito.
“Ma la ascolti quando parla? Ti rendi conto di che cazzo di vita di merda ha passato, quella ragazza? Non c’è bisogno che gliela complichi anche tu. Porca di quella puttana. Cristo, mi sembra di parlare con un fottuto bambino dell’asilo. E per fortuna che ultimamente vomita di meno, anche se ancora non capisco che cazzo abbia. Ma non so se hai la più pallida idea di quello che ha passato. Io no. Sallie, forse. Comunque non è stata certo una bella vita. E che cazzo. Lasciala in pace, porco d…”
Era seriamente infuriato. Larry non è come me. Quando io mi incazzo, strepito, urlo e distruggo le cose. Larry no. Mantiene un tono basso, e ti guarda fisso negli occhi, ma la faccia cambia colore. Diventa tutta rossa. E dice molte più parolacce di quanto ne direbbe normalmente. Ora, la sua faccia era decisamente purpurea, e Joe se n’è accorto.
“D’accordo, d’accordo, scusa Larry. Non lo farò più.”
“Non è a me che devi chiedere scusa” ha borbottato lui, ma si capiva che si era calmato. Dopodiché, Joe è stato molto più attento a come si rivolgeva a Nancy. Almeno davanti a noi.
Comunque.
Oggi, mentre ero al lavoro, mi è squillato il telefono. Ho tirato giù il cielo, dato che Henry è severissimo riguardo i cellulari e ha licenziato più di un dipendente perché l’aveva lasciato acceso durante il turno di lavoro. Ho guardato lo schermo verdognolo tutto crepato: Joey. Ho detto ad Andy di coprirmi un attimo e mi sono precipitata fuori.
“Pronto?” Ho esclamato ansimante, appena fuori dalla vista di Henry e dal raggio d’udito di orecchie indiscrete.
“Sallie!” Ha detto la voce allegra di Joey. Era così tanto tempo che non la sentivo, che mi è quasi venuto un colpo, mi sono sentita rinata e sbriciolata dalla nostalgia nello stesso momento.
“Ehi, Joey”  ho risposto, cercando di mantenere un tono normale, ma proprio non ce la facevo. Avevo il cuore in gola che batteva più veloce di Mike Portnoy alla batteria. “Come va?”
“Oh, Sal, dovresti esserci, è fantastico. Manchi solo tu. Siamo stati un po’ dappertutto, a Tacoma, a Concord, a Vallejo, a Fairfield, e ora siamo a Santa Rosa! Credo che al ritorno passeremo anche per San Francisco. Abbiamo suonato ovunque, è stato fantastico, e abbiamo stampato e venduto ben ventitré dischi e anche un sacco di magliette e altri gadget autoprodotti! E’ fighissima la vita in tour, ti giuro. Alcol a camionate, e il padre di Travis non ci dice un bel niente, anzi beve con noi, e non hai idea di quanto ci stiamo imbottendo di panini!” ‘Panini’ è il nostro nome in codice da usare al telefono quando parliamo di marijuana. “Davvero, Sal, vorrei che ci fossi. Tra l’altro scusa se non ti ho chiamato prima, ma mio padre ha pensato di farmi una ricarica solo adesso, e i soldi che ho con me li voglio risparmiare il più possibile. Tu come va?”
“Un sacco di novità anche qui. Anzitutto, una mattina, così all’improvviso, si è presentata qui una cugina di Larry direttamente dall’Inghilterra. A quanto pare è scappata, ma non sappiamo perché. Una cosa malata. E poi abbiamo deciso di scappare tutti di casa, e ora viviamo tutti insieme.”
“Wow! E dove vivete ora?”
“In un posto.” Mai dire al telefono che vivi in una casa abusivamente, specialmente se vivi in America. “E stasera suoniamo di nuovo al Gilman!”
“Giura!” Ha esclamato Joey. “Darete fuoco a qualcos’altro?”
“Magari. Tim ha promesso di prenderci a calci nel sedere nel caso succedesse.”
“Ahia. Cazzo, vorrei esserci. Anzi, mi è venuta un’idea. Al prossimo tour venite con noi e ci fate da band di apertura.”
Ho sorriso. “Sarebbe fico.”
“Eccome.”
C’è stato qualche secondo di silenzio imbarazzato. Nessuno di noi sembrava avere il coraggio di accennare a quanto era successo l’ultima volta che ci eravamo visti. Alla fine, ho vinto l’imbarazzo e gli ho fatto la domanda che mi prudeva da quasi venti giorni:
“Hai… Hai conosciuto qualcuno, li?”
Joey ha fatto una specie di risata che era anche un sospiro.
“Chissà perché, mi aspettavo questa domanda. No, tranquilla. Non ho conosciuto nessuna ragazza.”
Ho vinto del tutto la mia ultima goccia di orgoglio rimasta. “Vaffanculo, Joey. Mi manchi da morire. Vorrei che tornassi subito.”
“Anche tu mi manchi tantissimo. Senza di te…”
A quel punto ho visto attraverso la vetrina l’espressione minacciosa di Henry che scrutava per il negozio in cerca di me. “Scusa, Joey, devo scappare, sono al lavoro. Ci sentiamo, ok?”
“D’accordo.” Sembrava rassegnato e divertito allo stesso tempo.
“Allora ciao. Ci sentiamo.”
“Sì. Ciao.”
Chiusa la chiamata, mi sentivo come se mi si fosse alleviato un peso sullo stomaco. Ero molto rilassata e mi sentivo decisamente bene. Mi aveva fatto bene sentire la sua voce, sapere come stava.
 
Una volta a casa, ho trovato Larry seduto per terra intento a ripassare maniacalmente le parti di basso di Longview. Sembrava piuttosto agitato. Devo ammettere che anch’io cominciavo a sentirmi innervosita. Nancy era sdraiata sul divano che leggeva un libro dalla copertina rovinata di cui ho sbirciato il titolo: Cime Tempestose. Sembrava completamente immersa nella lettura. Mi sono guardata intorno alla ricerca di Joe, ma di lui non c’era alcuna traccia.
“Dov’è Joe?”
“In biblioteca” ha risposto Nancy, senza distogliere gli occhi dal libro. Sono rimasta a bocca aperta.
“Dove, scusa?”Le ho chiesto. Forse avevo sentito male. Nancy ha alzato la testa e mi ha guardata con le sopracciglia aggrottate.
“In biblioteca, perché?”
“Joe non va in biblioteca” Ho replicato, confusa. “Sei proprio sicura?”
“Certo che sono sicura.” E’ tornata con gli occhi al suo libro. Solo in quel momento allora ho notato che aveva il marchio della biblioteca di Rodeo. C’era qualcosa che non andava in quella faccenda. Nancy e Joe che vanno insieme da qualche parte?
“Siete andati tutti e tre in biblioteca? A fare cosa?”
“Io non ci sono andato” ha ribattuto Larry dal suo angolo sul pavimento. “Ero fuori dall’ora di pranzo, sono appena rientrato.”
“E allora che siete andati a fare voi due in biblioteca?”
“Da quel che ho capito Joe doveva fare delle ricerche. Ma perché? E’ proibito andare i biblioteca, adesso?”
Delle ricerche? Joe? Tutto questo mi sembrava piuttosto strano.
“No, no” ho risposto. “Ma tra quanto torna? Alle otto ci viene a prendere Tré col furgone. Dev’essere pronto per quell’ora.”
“Tranquilla. Gli ho scritto un messaggio.” Ha detto Larry.
“D’accordo, allora” sono andata in cucina e mi sono armata di Nutella e cucchiaino. Nervosismo pre concerto.
 
 
Il concerto, tra l’altro, è andato benissimo. Ok, abbiamo fatto tutti parecchi errori, ma abbiamo spaccato, e abbiamo addirittura fatto il bis, e abbiamo inserito in scaletta anche Ace of Spades dei Motorhead! Ora mi sto imparando un bel po’ di canzoni dei NOFX e voglio anche imparare qualcosa dei Pantera, anche se forse sono a un livello troppo alto per me. Comunque. Erano tutti entusiasti. C’erano anche Alex e ovviamente Mary Jane, dato che dopo essersi lasciati per l’ennesima volta, lei e Joe si sono rimessi insieme. Non capisco perché Joe continui a perdere tempo con lei. Ok, è bella, è disponibile e lo adora, ma secondo me non ne vale la pena. E’ appiccicosa, stupida e mediocre,e oltre alla bellezza non ha nulla che la renda migliore o comunque diversa dal resto delle altre ragazze di tutto il mondo. Joe merita molto, molto meglio. E’ comunque quella tizia continua ad essere gelosa di me e adesso che l’ha vista, anche di Nancy: proprio le ultime due persone al mondo di cui potrebbe essere gelosa. Cristo, quanto non la sopporto. Non la sopporta nessuno, tra noi, tanto meno Joe.
Ma ti devo ancora dare la notizia più incredibile, riferitami da Alex subito dopo il concerto: suo padre è poliziotto, e gli ha riferito che a quanto pare le foto mie di Larry compaiono sulla bacheca della stazione di polizia di Rodeo. Le nostre madri hanno denunciato la nostra scomparsa e a quanto pare la polizia ci sta cercando ovunque, e domani i media locali parleranno di noi! Ti rendi conto?! E’ pura fortuna che non ci abbiano ancora trovato, dovremo fare molta attenzione d’ora in poi. Siamo ufficialmente ricercati! FICO!
 

Sallie
 

PAOOOOO! :D Eccomi con un nuovo capitolo! Scusate i vari ritardi, ma tra la scuola e impegni vari ogni volta scrivere un nuovo capitolo è un'impresa! (senza parlare dell'ispirazione, che è una vera e propria puttana <3 ) 
Comunque, ho scritto una Missing Moment di It's not over 'til you're underground,si intitola "
Dimenticare tutto. Solo di questo ho bisogno", il P.O.V. è sempre di Sallie e mi piacerebbe che la leggiate e mi facciate sapere cosa ne pensate :) 
Ho detto tutto, mi pare! 
Spero che vi sia piaciuto il capitolo
GreenNightmare

 

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Capitolo 47
*** I think I'm losing what's left on my mind. ***


 
25 Giugno 2011
 
Qui sono alti e bassi, continui alti e bassi. Da un lato, sto pagando per la mia libertà. Ed essere fuggiti di casa, e per di più essere ricercati dalla polizia mentre ci nascondiamo qui a fumare un sacco di erba, a bere e suonare tutto il giorno, è fottutamente fico ed eccitante. Dall’altro lato, però, sento che presto impazzirò. Non sono quasi mai lucida, ho perennemente il cervello in pappa a causa dell’hashish o dell’alcol, o di entrambi. Sento che qui sta succedendo qualcosa di strano, che qualcosa sta cambiando, ma non riesco a connettere i fatti. C’è una strana atmosfera, qui. Come se ci tenessimo tutti per mano, pronti a lanciarci nel salto pazzesco che ci farà sprofondare nella merda totale.
Stamattina mi sono svegliata invocando senza volerlo il nome di Joey. La sua assenza, il vuoto che mi ha lasciato, mi pulsavano nel petto. Mi sono appallottolata su me stessa, tentando con tutte le mie forze si sedare quell’orribile sensazione di nostalgia, quel buco nero in mezzo al petto. Mi sono accorta che Nancy era sveglia e mi guardava preoccupata.
‘Cavolo’, ho pensato. ‘Bella figura del cavolo. Vaffanculo anche a te, Joey.’
 Avevo gli occhi lucidi e mi girava tutta la testa per via dell’enorme quantità d’alcol che ho ingerito ieri sera. Dovevo avere un’aria totalmente sfatta, con le occhiaie profonde e le rughe premature che mi stanno spuntando sulla fronte, e i capelli stopposi della consistenza della paglia color celeste sbiadito.
“Tutto bene?” Mi ha chiesto Nancy scrutandomi con un’espressione non solo preoccupata, ma che sembrava quasi compassionevole.
“Mai stata meglio”, ho grugnito alzandomi, e mi sono accesa subito una sigaretta. Ormai, fumo come una dannata. Due o tre pacchetti di Lucky Strike al giorno, in media.
“E’ per quel ragazzo, vero? Quello che è partito.”
Ho alzato le spalle. Non mi andava granché di parlarne. Parlare di Joey ormai mi da’ la nausea. Sto dando la nausea a me stessa, ti rendi conto? Non mi sopporto più. Non reggo più questa dannata vocina interiore che mi parla ininterrottamente, e non solo di Joey, ma non fa altro che ricordarmi che sono una specie di mezza alcolizzata che vive in una casa occupata abusivamente, e che se non mi piegherò prima o poi mi spezzerò. A volte vorrei urlare contro, dirle di tacere. Ma allora saprei che sono diventata davvero pazza.
Comunque. Dicevo di Nancy.
“Ormai lo sento così lontano che sembra quasi un prodotto della mia immaginazione.” Ho biascicato senza sapere nemmeno io bene cosa stavo dicendo. Sentivo la testa pesante. Sono tre o quattro giorni che continuo a sentire la testa maledettamente pesante.
Nancy ha fatto un sorriso triste.
“E’ normale che ti manchi. Si vede lontano un chilometro che sei innamorata di lui.”
“E tu che ne sai? Ti sei mai sentita così?”
Non volevo essere scostante. In realtà ero curiosa, ma non volevo darlo a vedere.
Nancy si è distesa sul materasso e ha guardato il soffitto.
“Una volta.”
“E cos’è successo?” Dal mio tono di voce trapelava la mia curiosità. Non ero in grado di trattenerla.
Nancy ha sospirato e si è accesa anche lei una Lucky. La sua espressione era lontana.
“Si chiamava Nick, e io… Boh, credo che fossi innamorata di lui, anche se era uno stronzo, mi trattava di merda, mi picchiava, mi tradiva, mi urlava dietro di tutto eccetera. Ma non gliene faccio una colpa. Era solo un povero stronzo, un eroinomane. La colpa è stata mia, a lasciarmi fregare così da lui. Non alzavo mai la testa. Non avevo mai il coraggio di ribellarmi alle sue stronzate, perché ero pazza di lui, sai, e avevo una paura matta di perderlo… Ma non c’è stato bisogno che mi ribellassi. D’un giorno all’altro è sparito lui da solo, così all’improvviso. All’inizio avevo pensato che fosse morto. Che si fosse sparato il buco finale, o qualcosa di simile. Era due mesi fa. Lui ha ventidue anni, cinque in più di me. Alla fine ho scoperto che non era morto. Era finito in prigione durante una retata. Allora ho rubato un sacco di soldi ai miei genitori per pagare la cauzione e farlo uscire. Fortunatamente non mi hanno fatto tante storie, a quelli bastava avere i soldi… Ma poi lui mi ha mollata. Quella sera stessa. Mi ha pestata a sangue, mi ha rubato tutti i soldi che avevo con me e se n’è andato. Bastardo… Quando mi ha mollata, però, non sono stata male, anzi, è stato come rinascere. Oddio, non è proprio così, non prendermi per una troia stronza a cui non gliene frega un cazzo del ragazzo con cui è stata per tre anni, ma… E’ durata poco. Nick mi aveva reso la vita impossibile. Mi ha rovinato la vita.”
Ha emesso una gran nuvola di fumo sbuffando.
“Cazzo.” Non ho saputo dire altro. Nancy ha sorriso:
“Sono sicura che Joey è pazzo di te e non vi succederà tutto questo. Ciò che ha rovinato ancora di più Nick è stata la droga. L’ero l’ha sbarellato del tutto. E’ andato completamente fuori di testa. Poteva arrivare a uccidere per una dose. Di certo è arrivato a rubare, a pestare a sangue la gente, a minacciare ragazzini. Era completamente dipendente dall’ero. Era un cadavere ambulante, era alto un metro e settantacinque e pesava quarantotto chili. Faceva venire i brividi quando lo vedevi per la prima volta. Ma io ero persa di quello stronzo. Ancora adesso non lo odio. Mi fa solo pena, lui e la vita di merda che sta facendo. Almeno, quel poco che gliene resta. Io davvero non ho avuto la forza di stargli accanto fino alla fine. Mi ha fatto troppo male perché io possa mai perdonarlo.”
Ero orripilata. La storia di Nancy mi aveva letteralmente sconvolta. Non riuscivo a guardarla negli occhi.
“Cazzo…” Solo questo riuscivo a dire.
“Tu e Joey siete diversi. Beh, ok, Joey non lo conosco, ma Larry me ne ha parlato e… Non sembra un idiota, credo. Tutto quello che devi fare è avere pazienza, e aspettare. So che sembrano solo parole e che tra il dire e il fare eccetera… Ma è davvero, davvero l’unica cosa da fare.”
Ho sorriso. “Grazie.”
“Di niente.”
 
La conversazione con Nancy mi è rimasta impressa per tutto il resto della giornata. Non ho fatto altro che fumare erba con Larry e Joe per l’intero pomeriggio, finché Joe si è alzato stiracchiandosi e dicendo che usciva e andava a fare un giro in biblioteca. Nancy l’ha seguito. Di nuovo. Ma che ci troveranno nella biblioteca, quei due? E poi, non si odiavano? Boh, sai cosa? Non mi interessa nemmeno. Sono troppo annebbiata.
Quando Joe e Nancy sono usciti, ero così sballata che ho mandato affanculo il mio turno da Starbucks e sono crollata sul divano con Larry, a fare zapping col telecomando, fatti di erba e sherry.
A un certo punto, cambiando canale per l’ennesima volta, abbiamo visto una cosa pazzescamente figa: sul TG locale in quel momento comparivano le nostre foto!
“… Sallie Sander e Larry Robins, entrambi di quindici anni, di Rodeo. Dopo una settimana di ricerche, la polizia non è ancora riuscita a trovarli. Secondo gli inquirenti, le due sparizioni potrebbero essere collegate. Quasi certo è che si tratta di una fuga. Inoltre, sembra che tre famose rock star del luogo, i Green Day, siano coinvolte nella sparizione dei due ragazzi.”
“Alza il volume!!!” Ho gridato come una pazza, e mi sono impossessata immediatamente del telecomando mentre sullo schermo compariva il volto di Billie Joe che diceva:
“Non ho la più pallida idea di dove si trovino Larry e Sallie. Ma se fossero scappati, viste le condizioni in cui vivono, non potrei biasimarli. I veri colpevoli sono le loro famiglie.”
“Lei pensa che possa c’entrare una sorta di fuga romantica?”
“Certo che no” ho risposto Billie Joe, evidentemente indignato. “Vedete, in questo momento Sallie è impegnata con mio figlio Joey, attualmente in tour con il suo gruppo. No, no, no. Lo escludo vivamente.”
“Lei pensa dunque che Sallie al momento possa trovarsi con suo figlio Joey?”
“Non credo proprio. Lo saprei, se quei due fossero insieme, diamine!”
Sullo schermo è ricomparsa la faccia dello speaker:
“Per ora è tutto, da Berkeley TV. Rimanete sintonizzati su questo canale per ulteriori notizie. Grazie e buona serata.”
 
Per qualche minuto, io e Larry siamo rimasti muti sul divano, completamente attoniti. Entrambi fissavamo lo schermo illuminato senza capirci più niente. Poi abbiamo cominciato entrambi a farfugliare nello stesso momento.
“Ma che cazzo…”
“Billie Joe?”
“Assurdo, fottutamente pazzesco…”
“Billie Joe?”
“Non ci credo!”
“Billie Joe?!?!”
Ci siamo fissati negli occhi per un tempo interminabile. La sua faccia sconvolta rifletteva la mia. E dire che Alex mi aveva avvertita, l’altra sera. Ma era comunque tutto incredibile. Eravamo arrivati al punto di non ritorno.
“Beh, Larry.” Sono riuscita a dire, interrompendo finalmente quei lunghi minuti di silenzio attonito.
“Beh, Larry. A quanto pare, siamo ufficialmente ricercati dalla polizia.”
Sta diventando tutto così assurdo che non capisco più se è un sogno, un incubo o la mia realtà.
 
Sallie

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Capitolo 48
*** Like my father's come to pass, seven years have gone so fast. ***


28 giugno 2011

 
Qui non succede nulla di nuovo. Non abbiamo notizie dal mondo esterno, dato che abbiamo spento i nostri cellulari ancora giorni fa per via di tutte le chiamate da parte delle nostre madri e altri numeri sconosciuti che cercavano di rintracciarci. Le uniche vie di comunicazione che abbiamo col mondo reale sono Joe e Nancy, che ancora si ostinano a voler uscire tutti i giorni e ad andare –almeno così dicono, ma io ancora non ci credo- in biblioteca. Dicono che loro non sono ricercati e perciò sono liberi di uscire quando vogliono. Perché secondo loro nessuno sa che sono le due persone più vicine a me e Larry e la polizia ci metterà un attimo a prenderli e a farsi dire dove siamo nascosti, no? Idioti.
Questa storia dello starsene qui rintanati mi sta soffocando sempre di più. Mi sembra di essere dannatamente Anna Frank. All’inizio è nata solo come bravata, un’idea così tanto per fare qualcosa di diverso, ma ora ci siamo resi conto che è fondamentale che non ci scoprano. A quanto pare, occupare una casa abusivamente è un reato grave. Ce ne siamo resi conto l’altro giorno, guardando il telegiornale: hanno scovato una famiglia di abusivi dalle parti di San Francisco, e i poliziotti per poco non li ammazzavano di botte. Che schifo le forze dell’ordine.
Quando non sono fatta, passo le ore a camminare avanti e indietro per il salotto come un leone in gabbia. Sto cominciando a pensare che la luce del sole mi accecherà, quando lascerò questo posto di merda. L’aria qui è sempre più stantia e le pareti sembrano restringersi, e noi non abbiamo altro da fare se non sdraiarci sul divano, a fumare erba e ingozzarci di valium per far passare il tempo, innaffiandolo con un po’ di whisky che, dannazione, sta per finire. Sento la dannata mancanza di un marciapiede, di una sigaretta all’aria aperta, di vedere un po’ di gente. Qui non posso nemmeno suonare. La mia mente sta andando a puttane, passo le giornate sul divano senza né la voglia né la forza di far niente, fumando una sigaretta dopo l’altra, mandando giù tutta quella merda, sto seduta guardando sempre la stessa macchia nel muro di fronte a me. Mi sto decomponendo, io e Larry ci stiamo decomponendo, puzziamo di merda. Scatto per ogni minima cosa, qualunque cazzata è in grado di farmi sbroccare. Come stamattina, all’ennesimo litigio tra Joe e Nancy. Non so nemmeno per cosa fosse. So solo che Nancy urlava a Joe che era un vigliacco e non aveva il coraggio per fare qualcosa. E Joe le rispondeva che lei non sapeva un cazzo e doveva solo chiudere quella cazzo di bocca se non voleva ritrovarsi di nuovo su una strada. Cose del genere, insomma. Io avevo un mal di testa pazzesco. Le tempie mi pulsavano tantissimo e quei due non facevano altro che urlare, così li ho minacciati di starsene zitti con un dannato coltello arrugginito che ho trovato in cucina. Beh, sono stati zitti.
Comunque, in tutto questo annebbiamento, in questo annichilimento delle emozioni, c’è qualcosa di diverso. E finalmente mi sono resa conto cos’è. E’ Joe.
E’ strano, è diverso in questi ultimi giorni. E’ come se fosse euforico e depresso allo stesso momento. E’ più attivo, non è più il Joe nichilista e senza speranze che conosco così bene. Sembra più ottimista. E’ come se fosse successo qualcosa di cui non mi sono accorta, come se si fosse risvegliato e fosse uscito dal bunker emotivo in cui si era rifugiato anni fa. Parla sempre più spesso di suo padre, il padre che se n’è andato quando aveva appena due anni. Eppure, nello stesso momento, sento che prova le mie stesse emozioni: questa sensazione di prigionia, questo sentirsi rinchiusi in una gabbia sempre più stretta. Lo sta provando anche lui. E anche lui è vicino al punto di rottura. Forse anche più di me.
 
Sallie
 

29 giugno 2011

 
Stamattina mi sono svegliata presto e l’aria era più pesante e soffocante che mai. Nancy dormiva della grossa, così sono andata di la’, e ho visto che anche Larry era sveglio. Mi sono accesa una sigaretta e ne ho accesa una anche a lui. Ma non era la nicotina ciò di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di respirare, non di mozzarmi il fiato.
“Che ne dici di uscire un po’?” Ho fatto a Larry, che mi guardava con l’espressione di chi è sotto anestesia totale. “Tanto, sono solo le cinque e mezzo. Chi vuoi che ci sia in giro a quest’ora? Al massimo le quarantenni rifatte che fanno Jogging.”
Larry si è stretto nelle spalle e ha detto “aspetta un attimo”. Si è rollato una canna e si è calcato in testa il cappello da baseball di Joe. “I capelli sono troppo riconoscibili”, mi ha spiegato, e io ho annuito. Capivo cosa intendeva, così ho preso una felpa di Nancy che, anche se era davvero troppo pesante, almeno aveva il cappuccio. Per precauzione ho anche rubato a Joe i suoi occhiali da sole. Mi sentivo una star, devo dirlo. Dopodiché io e Larry siamo usciti.
La prima boccata d’aria dopo quasi una settimana di prigionia è impagabile. L’aria era ancora fresca ed era appena l’alba, il cielo era colorato di arancione. Mi sono sentita come rinascere, al punto che non avevo quasi più bisogno dell’hashish di Larry per sballarmi. Mi bastava l’aria aperta. Ma poi l’abbiamo fumato lo stesso.
A un certo punto non sapevamo più dove andare. Era ovvio che non saremmo potuti andare a Christie Road, era il primo posto dove chiunque sano di mente ci avrebbe cercato. Così abbiamo vagato un po’ senza meta lungo le strade polverose di Rodeo, finché non ci siamo trovati appena fuori dal paese, sulla strada verso Tacoma. Lungo la strada, c’era il cimitero.
Erano anni che non ci andavo. Dopo il funerale, mi ero sempre rifiutata di andare a trovare mio padre. Mi infastidisce il fatto che un corpo venga chiuso, anzi serrato in una pesante e stretta cassa di legno. Mi da’ una certa idea di claustrofobia. Per questo non vado matta per i cimiteri.
Questa volta, però, ho sentito come una specie di attrazione fortissima. Per una volta, volevo vedere la tomba di mio padre, portargli dei fiori, parlargli, magari. Ho guardato Larry, e mi sono accorta che lui mi stava già guardando da un pezzo. Mi aveva letto nel pensiero.
“Vuoi entrare?” mi ha chiesto.
Ho annuito. Avevo la gola secca e ormai non mi fidavo più nemmeno delle mie stesse parole.
Il cancello in ferro battuto era aperto, anche se il camposanto era deserto. Non si vedeva una sola figura in giro, nemmeno quella del custode. Io e Larry ci siamo avviati lungo il sentiero che attraversa il prato coperto di lapidi con precisione quasi millimetrica. Era come un campo in cui, al posto dei fiori, crescevano lapidi e croci e statue di marmo rappresentanti angeli dalle ali spalancate e gli occhi rivolti al cielo. Si respirava una certa aria di pace. In giro, tra una tomba e l’altra, ho raccolto qualche fiore, e alla fine avevo composto un mazzo coloratissimo.
Mi ci è voluto un po’ per trovare la lapide con la foto di papà, ma alla fine l’ho intravista, incastrata tra due croci semplici. Sul marmo bianco, a parte il nome, la data di nascita e quella di morte, non comparivano altre scritte particolari. La foto era di almeno quindici anni prima della sua morte.

David Sander, 22 novembre 1970 – 10 settembre 2004

Ho quasi del tutto rimosso dalla memoria quel dieci settembre. Come tutti i ricordi più sconvolgenti, più traumatici della mia vita. Ho solo qualche flash. La voce di mia madre al telefono, la cornetta che cade e sbatte per terra. Urla. Lo stridio delle gomme della macchina di mia madre, l’odore pungente, pieno di morte dell’obitorio. Non ricordo di aver pianto, forse non mi rendevo nemmeno conto di quello che succedeva, forse mia madre non aveva nemmeno voluto spiegarmi, come al solito. Le lacrime erano arrivate dopo, durante la notte. Sentivo mia mamma singhiozzare dalla sua stanza e affondavo la faccia nel cuscino per non farle sentire che anch’io piangevo. La verità è che mia madre non ha mai smesso di amare mio padre, nemmeno dopo la separazione. Nemmeno quando mi parlava di lui dicendomi quelle cose orribili, che beveva e la picchiava. Nemmeno dopo che lui è morto, lei l’ha mai dimenticato.
Ho sentito le lacrime lottare per uscire. Mio padre era lì, sotto due metri di terra, e non avrei potuto dirgli niente. Lui non avrebbe mai potuto dirmi niente, era inconsapevole perfino del fatto che sua figlia fosse lì, a pochi metri di distanza dal suo corpo. Dalle sue ossa.
Le lacrime hanno cominciato a scendere. Ma a che serviva ormai trattenerle? Ho sentito il braccio di Larry circondarmi una spalla. Non poteva capire, non poteva dire niente, ma lui, silenziosamente, c’era. Ho pensato a Joey, a quanto mi mancava, a quanto avrei voluto che fosse stato con me in quel momento, e sono scese altre lacrime, ho cominciato a singhiozzare sulla spalla di Larry che mi abbracciava. Avrei voluto urlare contro il cielo, contro Dio, contro chiunque fosse il responsabile di quello che mi era accaduto, chiunque mi avesse portato via mio padre senza che io avessi il tempo di conoscerlo, di parlargli, di ridere, piangere e crescere con lui.
“Andiamo via” ho detto infine dopo qualche minuto, tirando su col naso. “Andiamo via.”
Non riuscivo più a stare lì. Non riesco più a stare da nessuna parte.
 
Durante la strada per tornare a casa mi sono data una calmata. Abbiamo fumato un po’ dello spinello che era avanzato prima e ci siamo fermati allo skate park che a quell’ora, alle otto del mattino, era deserto. Io e Larry abbiamo parlato a lungo, di noi, delle nostre famiglie, del nostro futuro. Un futuro di cui non sappiamo che farci. Dopodiché siamo tornati a casa, dato che la città cominciava a svegliarsi e la gente a uscire di casa. Nascosti dai nostri cappelli e cappucci, siamo tornati alla casa abbandonata, che ora non sembrava più così una trappola come mi era parsa fino a qualche ora prima. Ero quasi di buon umore, e anche Larry sembrava piuttosto allegro. Quella boccata d’aria ci aveva fatto bene.
Solo che, quando Larry ha aperto la porta e siamo entrati, ci siamo trovati davanti a uno spettacolo, per così dire… Inaspettato. Oddio, inaspettato è un eufemismo. Direi piuttosto sconvolgente. Raccapricciante. E potrei continuare con un'infinità di aggettivi.
Sul divano in salotto, infatti, nudi, profondamente addormentati e coperti appena da un plaid troppo corto, c’erano Joe e Nancy.
“Ma che diavolo…” Ho urlato, mentre nello stesso momento Larry gridava: “Nancy!” I due si sono svegliati di soprassalto e hanno urlato anche loro. Nancy si è coperta subito col plaid, mentre Joe ha cominciato a cercare freneticamente i suoi boxer dal mucchio di vestiti che erano a terra.
“Che cazzo fate?!” Ho urlato, mentre Nancy diceva:
“Non è come sembra!”
Joe, che intanto aveva recuperato le mutande, l’ha guardata malissimo. Poi si è rivolto a noi:
“Beh, c’è qualche problema?”
“Joe, ti ho appena visto nudo, se credi che questo non mi causerà qualche problema…”
“Ma quanto sei spiritosa!”
“Non è come sembra” ha mormorato ancora Nancy debolmente.
“Quindi voi due non avete appena fatto sesso su quel divano?” Le ha chiesto Larry, storcendo il naso alle parole “su quel divano”. Nancy ha sospirato e si è arresa:
“D’accordo, ma possiamo spiegarvi tutto!”
“Cosa c’è da spiegare?! Abbiamo fatto sesso, è un reato forse?” E’ intervenuto Joe.
“Si, e poi non credo di voler sapere i dettagli” Ho aggiunto. “Solo, rivestitevi in fretta, vi prego.”
 
Perciò, la domanda è: quei due stanno insieme? Non stanno insieme? Perché hanno fatto sesso? Cosa fanno in realtà quando dicono di andare in biblioteca? E soprattutto perché in questo esatto istante stanno di nuovo litigando?
Ok, credo che impazzirò. Non ci capisco più un cazzo!

Sallie 

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Capitolo 49
*** Home, we're coming home again. ***


2 luglio 2011

Ti scrivo dal letto della mia camera della mia vecchia casa in Mahoney Street. Sì, è come pensi tu.
Ci hanno trovati.
E’ successo ieri mattina. Dormivamo tutti, io e Larry sui materassi, Nancy e Joe sul divano, come quando li abbiamo trovati l’altro giorno. Non ci hanno ancora voluto spiegare niente.
“E’ per il semplice motivo che neanch’io ci capisco più un cazzo, Sal” ha tentato di spiegarsi Joe stringendosi nelle spalle, con espressione allo stesso tempo euforica e affranta.
“E cosa intendi fare con Mary Jane?” Gli chiesto alzando un sopracciglio, anche se naturalmente preferisco mille volte Nancy a quella sottospecie di cheerleader drogata e priva di personalità.
“Mary Jane chi?” ha ridacchiato Joe cercando di assumere un atteggiamento normale, fallendo miseramente. Aveva uno sguardo allucinato, da folle. L’ho guardato come per dire ‘ma che cazzo…?’ e lui ha capito, più o meno, perché ha continuato: “Sal, non so niente, sul serio. So solo che con Mary Jane ci sono stato mille anni e di lei mi è sempre e solo interessato che si depilasse per bene, che ingoiasse o che portasse reggiseni facilmente sganciabili. E poi arriva questa tizia coi capelli rossi e l’accento inglese, e tutt’a un tratto mi interessa chi è lei, la sua cazzo di vita, la sua personalità e tutte quelle merdate alla Nicholas Sparks. Capisci in che casino mi trovo? Devo capirci qualcosa io prima di parlarne con qualcuno.” Ho alzato gli occhi al cielo. “E non alzare gli occhi al cielo” ha gridato Joe mentre mi allontanavo. “Si tratta di un guaio serio!”
Stupido, stupido Joe. E ha avuto anche la faccia tosta di dirmi che non è come penso io e che quei due andavano davvero in biblioteca, il pomeriggio. Va bene, Joe, si, ci credo. D’accordo.
Comunque. Stavo parlando dei bastardi, prima che mi perdessi con la storia di Joe e tutto quanto. Era ieri mattina, e come avevo già detto stavamo tutti dormendo. A un certo punto uno schianto pazzesco ci ha svegliati tutti di soprassalto. Ho sentito delle grida arrivare dal salotto, c’erano voci adulte che non conoscevamo, il rumore secco del legno marcio che si spezzava e le parolacce di Joe. Io e Larry ci siamo scambiati uno sguardo spaventato e siamo saltati in piedi e siamo corsi di la’, lui in boxer e io solo con una maglietta e un paio di mutande.
Davanti ci si è parata una scena da film, anzi da canzone punk tipo Clash o Sex Pistols.
Due poliziotti avevano sfondato la porta e adesso stavano pestando Joe con un manganello. Nancy urlava, e Joe cercava di difendersi, strepitando. Perdeva sangue dal naso e aveva già un occhio nero.  Credo che io, Larry e Nancy siamo scattati nello stesso istante e gli siamo saltati addosso, parandoci davanti a Joe e buttandoci con tutto il nostro peso contro i due poliziotti, che sono caduti per terra imprecando. Nella mischia di calci, urla e pugni, ho sentito che venivo colpita da una gomitata e il labbro che si spaccava. Quei due poliziotti erano abbastanza grossi e armati, ma noi eravamo in quattro e abbiamo tutti una discreta (più che discreta, nel caso di Joe) esperienza in risse. A un certo punto quei due si sono trovati disarmati, con Nancy e Larry che avevano i loro manganelli e io e Joe che li tenevamo bloccati a terra.
“Levati, puttana!” Ha gridato il più grosso dei due, spingendomi via. Ho sbattuto la schiena per terra facendomi un male cane e Joe ha caricato un pugno.
“Come l’hai chiamata, tu brutto figlio di…”
“Joe, fermati!!” Ho urlato. “E’ un poliziotto, cazzo!!!”
“Non me ne frega un cazzo!” Ha strillato Joe. Era livido. “Ti ha chiamato puttana!”
Ma approfittando del momento di distrazione, l’altro poliziotto si è alzato, l’ha preso per la collottola e l’ha spinto via, mandandolo a sbattere contro una parete.
“Voi avete commesso un reato federale a occupare una casa in disuso, ragazzini, quindi vi conviene stare fermi e non fare stronzate” Ci ha avvertiti mentre l’altro si rialzava.
“Ehi, Bry” ha detto quello grosso “Ma quei due, non sono i ragazzini scomparsi due settimane fa? Larry Robins e Sallie Sander. I due sedicenni spariti.”
“Cazzo, Han, mi sa che hai ragione” ha fatto l’altro, scrutandoci attentamente. A Joe è scappata una risatina.
“Han” ha ridacchiato “Han Solo, capitano della Millennium Falcon, pronto per una nuova missione. E quell’altro chi è, Chewbacca?”
Nancy l’ha fulminato con un’occhiataccia, ma a quanto pare ormai Joe era proprio fuori. Io e Larry ci siamo scambiati una rapida occhiata: l’avevamo fumata tutta, la roba? Era rimasta qualche traccia? Sicuramente non visibile. Forse con un esame più approfondito avrebbero trovato i filtri di cartone e le cartine lunghe, ma a quanto pare quei due non erano interessati a un esame più approfondito. Volevano solo rompere le palle e gongolare un po’ a spese nostre, era chiaro. Due coglioni.
“Ti conviene stare zitto, ragazzino, perché a quanto pare siete in guai veramente grossi” ha detto Chewbacca, cioè, Bry. “Ora ci seguite tutti e quattro senza fare storie, d’accordo?”
“E le nostre cose?” Ha chiesto Joe. Proprio non ce la faceva a tacere. Nancy gli ha tirato un calcio negli stinchi che gli ha mozzato il fiato.
“Le vostre cose vanno a farsi fottere, d’accordo?” Ha ridacchiato quell’altro, Han. Imbecille.
Abbiamo seguito i due poliziotti sulle auto nere e bianche, senza dire una parola. Inutile dire che stavamo pensando tutti e quattro la stessa cosa. Eravamo nella merda fino al collo.
Nancy era la più preoccupata. Aveva paura che scoprissero chi fosse e la rispedissero dritta a casa, è chiaro. Io pregavo solo che non ci facessero analisi del sangue o cose del genere.
Mentre eravamo in macchina, ho sentito Han (che ovviamente guidava) che parlava via radio alla centrale:
“Abbiamo trovato gli abusivi. Tra loro c’erano i due minorenni scomparsi, Robins e Sander. Avvisate le famiglie. Sì.” Al pensiero di mia madre che strillava in tuta da ginnastica e con i capelli tagliati storti nel bel mezzo della centrale di polizia mi sono sentita prima avvampare, poi mi è venuto da ridere. Forse stavo impazzendo anch’io come Joe. Larry mi ha guardata proprio come si guardano i pazzi.
Finalmente siamo arrivati al grande edificio di mattoni davanti al quale svettava, quasi minacciosa, la bandiera americana. Han e Chewbacca per poco non si inchinavano passandoci davanti. Li ho visti chiaramente mettersi la mano destra sul cuore. Ero disgustata, e ho pensato alla faccia che avrebbe fatto Billie vedendoli, o ai commenti al vetriolo di Mike e Tré.
In centrale era pieno di poliziotti, ma nessun parente. Tipico. La madre di Joe avrà pensato che non era sua responsabilità andarlo a prendere, la madre di Larry si sarà venduta il cellulare per comprarsi le amfetamine e mia madre, come poi ho scoperto, era troppo occupata prima a mettersi l’henné nei capelli e poi a preparare i muffin per controllare le chiamate sul cellulare. Tipico.
Han e Chewbacca volevano chiuderci in una prigione con le sbarre e tutto come quelle che si vedono nei film, ma lo sceriffo è stato molto gentile con noi. Ha rimproverato Yogi e Bubu per averci trattati così di merda, e quando ha scoperto che ci hanno picchiati con tanto di manganello si è incazzato così tanto che le sue urla si sentivano per tutta la centrale.
“Avete picchiato dei ragazzini perché si erano nascosti in una casa abbandonata?! Questa è la volta buona che vi licenzio, imbecilli!!!”
Poi ci ha offerto delle ciambelle e ci ha spiegato, molto pacatamente, che quello che avevamo commesso era comunque un reato e che avrebbero dovuto schedarci, anche se essendo noi quattro tutti minorenni era probabile che non ci sarebbero state conseguenze gravi. Alla parola ‘schedare’, Nancy è quasi svenuta. Anche se poi se l’è cavata abbastanza bene, non credo che abbiano annusato qualcosa. Solo, ci hanno preso le impronte digitali, ci hanno fatto le foto e tutto. Poi hanno insistito che Joe e Nancy, che erano abbastanza malridotti, si facessero vedere dal medico che lavorava lì. Ci hanno messo un sacco di tempo, qualcosa come due ore, tipo. Quando sono usciti dallo studio del medico, erano entrambi bianchi come lenzuoli. Nancy sembrava solo preoccupata, ma Joe era prossimo allo svenimento.
“Che succede? Vi hanno fatto le analisi del sangue?” Gli ho sussurrato,vedendolo così sconvolto.
Joe ha scosso la testa. “Solo a Nancy” ha detto con un bisbiglio roco. Sembrava la voce del diavolo nell’Esorcista.
“E allora?” Ho detto allegramente “Nancy a malapena fuma; non possono aver trovato niente!”
Joe ha annuito e si è lasciato sprofondare nella sedia di plastica, e non ha più aperto bocca per il resto della giornata. A sera, quando è arrivata sua madre a prenderlo, era ancora sconvolto. Aveva gli occhi fuori dalle orbite. Neanche Nancy aveva più parlato per il resto della giornata. Era rimasta tutto il tempo immobile, a fissare Joe come in tralice.
Mia madre è arrivata prima di quella di Larry, così li ho dovuti lasciare lì, lui e Nancy. Come previsto, stava strepitando come una matta. Dopo aver firmato con mano tremante i documenti per il rilascio, mi ha trascinata fuori tenendomi per la maglietta. Una volta per strada, prima è scoppiata a piangere, poi mi ha mollato una sberla, poi mi ha chiesto scusa e mi ha abbracciata. Io sono rimasta immobile, senza dire niente. Mi interessava solo una cosa:
“L’hai trovato un lavoro?”
Lei ha annuito, continuando a singhiozzare. “Mi hanno assunta come cameriera da Vito’s. Passo la serata a portare pizze disgustose dagli ingredienti di pessima qualità, ma almeno abbiamo di nuovo il telefono.” Ho scosso la testa e l’ho abbracciata. Stupida, irresponsabile, imprevedibile mamma.
In macchina ho dovuto guidare io perché lei era ancora troppo fuori, commettendo così un altro reato subito dopo essere uscite dalla centrale di polizia, dato che non ho la patente. In auto con noi, sul seggiolino legato al sedile posteriore, c’era Johnny che sorrideva. Appena mi ha vista è scoppiato a ridere e si è messo a battere le mani:
Tally! Tally!”
“E Steve si è più rifatto vivo?” Ho chiesto a mia madre appena si è ripresa.
“Qualche giorno fa ha chiamato. Ha saputo della tua scomparsa ed era preoccupato per te. Ci stiamo riappacificando, diciamo.”
“Non perdonarlo troppo in fretta, mi raccomando” ho ridacchiato. Intanto eravamo arrivate. Devo dire che è stato bello, per una volta, tornare a casa. Strano, ma bello. E finalmente potevo farmi una doccia come si deve. Ero ancora in mutande e maglietta da quella mattina. Solo a Larry avevano dato un paio di pantaloni della tuta e una maglietta con cui coprirsi.
“Ti preparo le patatine che ti piacciono tanto, d’accordo?”
“Dovrei fuggire più spesso, se questo è il trattamento che mi riservi quando torno a casa” ho scherzato, dirigendomi verso il bagno. Avevo l’assoluto bisogno di una doccia.
E’ strana, quest’atmosfera di…  calore familiare. Io e mia madre non andavamo così d’accordo da anni. Ma va bene così. Sto bene. Più tardi vado da Billie Joe. E Joey mi ha chiamata poco fa, mentre scrivevo.
Va tutto bene.
 
Sallie

 
 
 
 
Oggi la storia compie 2 anni! Non so se è perché io sono lenta ad aggiornare o perché sta diventando esageratamente lunga, ma vabbè. Voglio ringraziare TUTTI voi che l’avete seguita per tutto questo tempo, e anche quelli che l’hanno scoperta dopo; le 53 persone che l’hanno inserita tra le preferite, le 16 che l’hanno messa tra le ricordate, e le 55 che l’hanno messa tra le seguite; tutti voi fan che leggete ogni capitolo e soprattutto voi che recensite e mi fate sapere sempre cosa ne pensate, in particolare SheBringsTheLiberation, adri99, LastOfTheItalianGirls, Harleen Quinzel, _Lolita, ocean_, Equinox e AxeL175, ma anche tutti gli altri! Siete meravigliosi, grazie di tutto il sostegno che date a me e Sallie:3  
GreenNightmare
 

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Capitolo 50
*** Tell me the story of your life. ***


4 luglio
 
Ok, a quanto pare qui a Rodeo non si può vivere un momento tranquilli che salta fuori qualcosa. Succedono più cose in questo fottuto buco di culo che nell’Upper East Side a New York.
Stavolta la novità riguarda Larry.
Sembra si sia trasferito a San Francisco. Da suo padre. Il suo dannato padre che odia!
E’ andata così: l’altro giorno la polizia non è riuscita a rintracciare Sarah, la madre di Larry, così hanno chiamato suo padre, Robert, o, come lo abbiamo sempre chiamato io e Joe, “il buon vecchio Bobby Rob”. Sempre meglio di Robert Robins, no? Ad ogni modo lui, incredibilmente, ha deciso di fare il padre responsabile ed è andato a prendere suo figlio alla maledetta questura dove lui e Nancy stavano marcendo già da ore. E, a quanto pare, ha deciso di portarsi suo figlio con sé a San Francisco. Immediatamente. Senza nemmeno dargli il tempo di salutarci o di farsi le valige. Sono partiti e basta. O almeno questo è quello che ci ha raccontato ieri Nancy. Non ha seguito suo cugino, non so perché ha deciso di restare. Cioè, in realtà credo di saperlo il perché. Anche se né ieri né oggi quei due non solo non sono rivolti la parola, ma non si guardavano in faccia. Joe soprattutto sembrava evitasse lo sguardo di Nancy, e non l’ha degnata di una minima attenzione per tutto il tempo che abbiamo passato tutti e tre insieme a Christie Road, ovvero tutto il dannato pomeriggio. Mah, quei due non li capirò mai, ma sai che c’è? Ho già rinunciato da un pezzo a capirli. Che accidenti m’importa di quello che combinano quei due? Hanno entrambi diciassette anni (va be’ Joe li compie a novembre e Nancy a dicembre, ma non c’entra). Sono entrambi abbastanza grandi da cavarsela da soli nei loro dannati litigi. Quindi sono io la minorata che ci si arrovella pure sopra. Bene! Andiamo avanti.
La mia preoccupazione più pressante, piuttosto, è Larry. Voglio dire, ha sempre detestato suo padre, quel padre che non ha mai dimostrato alcun interesse verso il suo unico figlio, che si era rifatto senza rimorsi una vita a San Francisco dimenticandosi della sua vecchia famiglia.
“Quando l’ha visto sulla soglia della questura, è diventato bianco come un lenzuolo” ci ha raccontato Nancy. “E’ rimasto zitto per tutto il tempo in cui Robert ha firmato le carte necessarie per il nostro rilascio, ma poi, nel parcheggio, ha dato di matto. Ha gridato come un indemoniato ‘che cazzo ci fai tu qui? Nessuno ti ha chiesto di venire! Non ho bisogno di te!’. Robert è rimasto freddissimo e gli ha risposto solo che non gli pareva di essere stato inutile quando l’ha tirato fuori dai pasticci e poi ha aggiunto, sempre con quel tono gelido da far venire i brividi: ‘A quanto pare stai seguendo le orme di tua madre. Dovevo immaginarmelo quando ti ho lasciato qui in questo buco con lei. Ma se Sarah è irrecuperabile, con te si può ancora rimediare. Sali in macchina. Adesso tu vieni con me a San Francisco.’ Dovevate vedere Larry. Ci siamo rimasti entrambi secchi per un momento. Poi lui ha cominciato a urlare sul serio, è tipo impazzito e l’ha aggredito, gli ha mollato un cazzotto dritto sul muso che l’ha quasi steso, al vecchio Robert. Peccato che così lui si sia incazzato ancora di più, così ha afferrato Larry per un braccio e l’ha sbattuto in macchina. E poi è sembrato ricordarsi solo in quel momento che c’ero anch’io, ma non credo che ritenesse così necessario salvarmi come per Larry. Mi ha guardata come si guarda una persona con una qualche orrenda malattia genetica, tutto disgustato e pietoso, e mi ha chiesto se avevo intenzione di seguirli. E io…” Si è morsa il labbro e ha chiuso gli occhi per un secondo, evidentemente assediata dai sensi di colpa nei confronti di suo cugino. “Io gli ho detto che restavo. Ho lasciato Larry da solo, l’ho abbandonato, dopo tutto quello che ha fatto per me.”
Ha sospirato, e anch’io. Sapevo come si sentiva; immaginavo se un giorno mi sarei trovata a dover scegliere tra Larry o Joe e Joey, e ho chiuso gli occhi e, per non pensarci, le ho chiesto maggiori informazioni.
“E tu? Dove hai dormito stanotte? E poi, che fine ha fatto la madre di Larry?”
“Io… Io ho dormito qui, a Christie Road.” Ho aggrottato le sopracciglia, stupita e confusa, ero convinta che fosse andata da Joe, il quale si è accorto della mia perplessità e ha distolto lo sguardo, concentrandosi sulle sue unghie smangiucchiate per un tempo esageratamente lungo. “E poi stamattina sono andata a casa di Larry” ha continuato Nancy “C’era sua madre, non sembrava proprio lucidissima ma era ancora con noi, diciamo… Quando le ho detto cos’era successo, prima ha pianto un po’, poi ha detto che forse quella era la cosa migliore, per Larry. Andarsene via da qui, intendo.”
Sono rimasta in silenzio, a pensare. Odiavo il buon vecchio Bobby Rob per essersi portato via Larry, ma forse Sarah, sua madre, aveva ragione. Rodeo uccide, soffoca, è malsana. Rodeo inghiotte.
Se vuoi sopravvivere, se non vuoi diventare un relitto umano come tutti quelli che abitano qui, devi fuggire prima o poi. Rodeo è una nullità, una macchia sulla piantina della California, invisibile alle geometrie del mondo, eppure ti scava l’anima, ti riduce in cenere. E’ una nullità in grado di annientare ogni tuo sogno.
Joe, invece, era perso in altri tipi di pensieri.
“Che padri di merda, eh?” Ha detto a un certo punto interrompendo il silenzio teso che si era formato tra noi. “Tutti quanti noi. Abbiamo avuto tutti dei padri di merda. Il vecchio Bobby che se ne sbatte per dieci anni e poi ricompare all’improvviso pretendendo di salvare Larry. Il tuo, Sal, il buon vecchio David, alcolizzato che si schianta contro un maledetto tir quando avevi nove anni. E il mio, il Signor Sconosciuto, fuggito di casa ancor prima che nascessi. Mai vista nemmeno una sua dannata fotografia, perché mia madre le ha bruciate tutte.” Ha sbuffato, mentre Nancy, a queste sue parole, ha alzato gli occhi di scatto e ha preso a fissarlo intensamente. Joe però evitava il suo sguardo; guardava il soffitto, i vecchi poster ingialliti dal tempo, le nostre poltrone scricchiolanti, ovunque tranne che nella direzione della ragazza.
“Che ci vuoi fare, Jo. E’ la nostra vita. Non nego che sia una vita di merda, ma è pur sempre la nostra vita.”
Joe si è alzato, ha preso tre birre dalla nostra riserva e ce ne ha data una ciascuna.
“Propongo di brindare” ha detto in tono solenne, alzando la sua lattina.
“E a che cosa, di preciso?” Gli ho chiesto, confusa. Joe si è stretto nelle spalle.
“Boh. A una nuova vita, magari.”
“Quanto ottimismo, amico.” Non capivo esattamente cosa intendesse dire con “nuova vita”, ma ho brindato comunque insieme a Nancy e Joe. Ovviamente, Nancy si è limitata a far scontrare la sua lattina contro le nostre, senza assaggiare un goccio del suo contenuto. L’ho bevuta io per lei (non che mi sia pesato).
Cos’ha Joe? E’ così cupo e allo stesso tempo così ottimista, ogni tanto lo vedo che sprofonda nei suoi pensieri e non ne riemerge più. Non so se spaventarmi o cosa. Alterna momenti di euforia ad altri in cui sembra avvilito e taciturno. E’ depressione, questa? O sono io che sono paranoica? O sono solo stonata…
 
13 Luglio
Questi ultimi giorni sono passati tutti uguali, uno dietro l’altro, in un misto tra una profonda euforia e una profonda tristezza.
Oggi, però c’è stato il cambiamento, lo shock, l’esplosione.
Mi sento inebetita. Non ci capisco più niente, o forse ci capisco troppo.
Stamattina, dopo aver chiamato Larry per quella che forse era la trentaduesima volta in due giorni e senza aver ricevuto alcuna risposta (è da quando se n’è andato, quasi due settimane fa, che non si fa più sentire. E’ completamente scomparso) ho deciso di andare a Christie Road da Nancy, che non so (anzi, non sapevo) perché, dorme ancora lì.
Così, camminavo tranquillamente per le stradine polverose di Rodeo fischiettando stonata una vecchia canzone dei Pogues, quando, una volta nei pressi di Christie Road, ho sentito delle voci provenire proprio dal rifugio. Anzi, più che delle voci erano delle vere e proprie urla. Mi sono fermata di colpo, ascoltando attentamente.
“Avresti almeno potuto dirmelo, cazzo!” Era la voce di Joe. Sembrava furioso. C’era un motivo plausibile per cui dovesse esserlo? Negli ultimi giorni mi era sembrato come al solito, esaltato ma distante. Col cuore a mille, mi sono avvicinata di più al parcheggio, senza farmi vedere. Non mi ha affatto stupito sentire che la voce che ribatteva sprezzante apparteneva a Nancy.
“Avrebbe cambiato qualcosa? Dimmelo in faccia. Dimmi se averlo saputo prima avrebbe cambiato quello che provi per me.”
“Non è quello il discorso. Non è lì il problema! Quanti altri segreti hai, Nancy? Quante cose mi stai tenendo nascoste?”
“Ma che cazzate stai dicendo?!” Ha esclamato Nancy. Era piena di rabbia, ma era evidente che cercava di difendersi. “Qual è il tuo problema esattamente, Joe?”
“Quando pensavi di dirmelo?!” Ha urlato Joe. Sembrava esasperato. “Quando saresti sembrata una mongolfiera? Oppure avresti continuato a raccontare cazzate in giro anche allora? Cosa avresti detto, che era colpa della ritenzione idrica? O forse avevi un altro piano in mente?”
“Arriva al punto, Joe! Dì quello che pensi, avanti!”
Non dirlo, non dirlo ho pensato io disperatamente.
“Quello che penso” Ha urlato Joe in risposta “Quello che penso è che tu avessi intenzione di aspettare abbastanza tempo per farmi credere che fosse mio!”
L’ha detto. Stupido, idiota di un Joe.
Alle sue parole sono seguiti una decina di secondi di silenzio. Il cuore mi batteva come un tamburo. Poi, due rumori in rapida successione, uno quasi impercettibile e uno che invece è vibrato nell’aria del mattino: uno sputo e uno schiaffo.
“Che cazzo credi di fare?!” Ha ruggito Joe, ma Nancy urlava più di lui ormai:
“Non ti azzardare a picchiarmi! Non ti azzardare a toccarmi, hai capito?!”
Nancy doveva avergli sputato in faccia e Joe aveva reagito. Ho scosso la testa, incredula. Fremevo. Non avevo mai sentito Joe così. Era fuori di sé.
“Bene! Allora vattene! Tornatene a Londra, torna a fare la troia e a farti di eroina con i tuoi amichetti del cazzo!”
“Vaffanculo!!!” La voce di Nancy era rotta, ormai prossima alle lacrime.
“Sparisci dalla mia vita!!!”
Il tono di Nancy si è fatto d’improvviso più basso e calmo; si poteva sentire il disprezzo che trapelava da ogni singola parola:
“Perfetto. Se è questo che vuoi, se è questo che pensi di me, non credo che abbiamo altro da dirci. Vattene.”
Un istante di silenzio lungo un’eternità, poi ho sentito i passi di Joe che si avvicinavano, ma non ce l’ho fatta a spostarmi di lì –ero paralizzata, il peso di quelle rivelazioni mi aveva inchiodato a terra. Ho visto Joe svoltare l’angolo. Quando si è trovato di fronte a me e mi ha vista, si è immobilizzato a sua volta, guardandomi in un silenzio stupefatto. Il suo sguardo era vacuo, allucinato.
 
 
Un’ora e mezza dopo, io e Joe ci trovavamo sulle colline appena fuori Berkeley, a guardare dall’alto il formicolio della vita di città, le auto che si rincorrevano lungo le strade, le persone che si precipitavano da un posto all’altro. Tutti a correre dietro qualcuno o qualcosa, tutti di fretta, tesi verso il proprio scopo. Ce ne stavamo seduti sull’erba fresca, in silenzio. Nessuno dei due aveva ancora quasi spiccato parola.
Io pensavo mille cose insieme. Pensavo che Nancy aveva combinato proprio un bel casino, e Joe ci era scivolato proprio in mezzo. Pensavo che Larry era sparito e che in quel momento avevamo tutti un terribile bisogno di lui, perché solo lui avrebbe saputo chiarire le cose. Pensavo che non ne potevo più e soprattutto pensavo a quanto mi mancava Joey.
“Siamo noi, noi siamo, siamo noi, noi siamo, l’attesa…” Ha mormorato Joe ad un certo punto.
“Cosa c’entrano i Green Day adesso?” Gli ho chiesto, riconoscendo la citazione.
“Non so Sal, è che sono così… Stanco, di tutto. Di questa dannata città, delle persone, di mia madre, di Nancy, della mia stessa fottutissima faccia. Vorrei potermi strappare via il corpo e lanciarlo lontano, farlo marcire in un angolo. Mi sento intrappolato, Sal, non solo in questo fottuto buco, in questa vita, ma nelle mie stesse maledette ossa.”
Si è lasciato cadere con la testa sul prato e io non potevo far altro che pensare che sapevo quello che provava, ma che in quel momento andava tutto bene così: la rugiada verde dell’erba, i raggi dorati del sole a scaldarci il viso, quel cielo terso e infinito. Sarei voluta rimanere così per sempre, a crogiolarmi sotto quel sole, a contare i mille riflessi che rilucevano sui miei capelli turchesi. Joe però era troppo irrequieto. Si è alzato di nuovo di scatto.
“Tu sai di cosa parlo vero? Non ne puoi più nemmeno tu.”
“Stai pensando di andartene, Joe? Vuoi fuggire?”
“Voglio solo capire chi cazzo sono.”
“Stronzate. E’ la storia di Nancy ad averti scombussolato.”
“Io non sono scombussolato” Ha esclamato Joe, ma si torceva le mani, e camminava avanti e indietro; non riusciva a stare fermo un attimo.
“Lo vedo” ho ribattuto pungente.
“Non è mio il bambino. Sono affari suoi.”
“Ti stai comportando da irresponsabile.”
A quel punto, è esploso nuovamente.
“Irresponsabile verso chi, verso cosa? Una ragazza che mi ha mentito fin dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti? Una che è incinta e non sa nemmeno di chi, che conosco a malapena da un mese e pretende che io faccia da padre a suo figlio?” Gesticolava come un pazzo, gli occhi rossi e lucidi di rabbia. Si è riseduto con un sospiro. Non era che Nancy era incinta: la fiducia tradita, l’inganno… Era stato questo a ferire Joe, tanto che urlava e strepitava più di quanto avesse mai fatto, almeno con me.
“Sai cosa andavamo a fare in biblioteca? Cercavamo insieme informazioni su mio padre, tramite internet e vecchi registri. Lei mi aiutava. Si chiama Sean Marshall, e adesso vive a Washington City, anche se è nato in California e ha origini irlandesi. Ha quarantatré anni, è sposato, ha una figlia di dieci anni e un cane. Non chiedermi come ci siamo riusciti. Ha fatto tutto lei.”
Ansimava, come se si fosse tolto un grosso peso.
“E cosa vuoi fare?” Gli ho chiesto.
“Non lo so.” Ha mormorato Joe. “Non lo so.”
Siamo rimasti a lungo seduti in silenzio, a guardare il vuoto sotto di noi. Alla fine mi sono alzata.
“Vieni?”
“No… Resto qui ancora un po’.”
“Come vuoi.” Mi sono voltata. “Ci vediamo domani?”
“Si” ha risposto lui con un sussurro. “A domani.”
“A domani, Joe.”
 
Joe. L’ho sempre considerato un punto fermo nella mia vita, uno scoglio a cui aggrapparmi. E ora sento che anche lui, l’ultimo appiglio che mi era rimasto, mi si sta pian piano sgretolando sotto le dita.

Sallie



OOOOOK, mi sento ufficialmente una merda. Tre mesi, per un fottuto capitolo. Scusatemi:'(  GIURO che non ci metterò mai più così tanto, tra studio e mancanza d'ispirazione non mi sono fatta più sentire ma prometto che d'ora in poi sarò più regolare!
Grazie a tutti i fan vecchi e nuovi:') 
GreenNightmare

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Capitolo 51
*** Left me here alone, when I should have stayed home. ***


Lo so, lo so, avevo promesso che sarei stata più puntuale, ma questi ultimi due mesi sono stati di fuoco a scuola, e penso che tutti quelli che frequentano o abbiano frequentato le superiori lo sappiano almeno quanto me. Mi dispiace! 
Con l'estate, sarò sicuramente più puntuale -nonostante i corsi di recupero, i progetti folli, la patente e le altre mille cose che voglio fare- .Ho già scritto il capitolo 52 che molto probabilmente pubblicherò la settimana prossima, quindi non odiatemi, vi prego :3
Spero vi piaccia questo capitolo, io ci ho messo tutto il mio cuoricino :3
GreenNightmare





14 luglio 2011

Joe è scappato.
Fuggito, scomparso, sparito, perduto, andato.
Scappato.
Mi aveva avvertita. E io non gli ho dato ascolto. Non credevo dicesse sul serio. Non lo ritenevo possibile: Joe, l’unica cosa che mi era rimasta qui…
Scappato.
Il suo addio, un biglietto lasciato a Christie Road probabilmente stanotte, mentre Nancy dormiva:
Non cercatemi. Non so quando tornerò. Mi spiace, Sal. Davvero.
Ho riconosciuto la sua calligrafia, la sua scrittura spezzata e incerta.
Sono rimasta immobile un quarto d’ora buono con quel foglietto di merda in mano, cercando dicapire; ma cos’altro c’era da capire? Niente. Semplicemente, se n’è andato anche Joe. Come papà, come Steve, come Larry. Come Joey. Ma io credevo che almeno lui non mi avrebbe mai abbandonata.
Non è la prima volta che Joe prende e se ne va, certo; quante fughe ha fatto, quante fughe abbiamo fatto, insieme? Ma eravamo sempre stati complici in quelle che alla fine erano solo bravate senza senso, prive di significato. Nessuna di quelle cazzate aveva mai avuto la nota definitiva e solitaria di questa. Mi ha abbandonata.
“Continuare a fuggire non ti salverà, Joe!” Ho gridato all’aria stantia e silenziosa del primo mattino, appallottolando rabbiosa quel maledetto biglietto, e ho sentito le mie parole perdersi nell’eco che rimbalzava tra i muri di Christie Road.
“E’ andato a cercare suo padre.”
Mi ero quasi dimenticata della presenza sileziosa di Nancy, in piedi proprio accanto a me. Mi sono voltata verso di lei e ho visto che mi scrutava con i suoi occhi scuri e penetranti.
“Tu ne sai qualcosa?” Le ho chiesto, sventolando gli addii stropicciati di Joe. Lei non si è scomposta nonostante il mio tono aggressivo:
“Stava cercando informazioni su suo padre da un pezzo. E ora che le ha trovate, non è difficile immaginare dove sia andato.”
Mi sono appoggiata al muro e lì mi sono lasciata scivolare fino a sedermi per terra. Ero così stanca, e non avevo più parole.
“Hai intenzione di seguirlo?” Le ho chiesto, tanto per dire qualcosa.
“Lui ha detto di non cercarlo. Se mi avesse voluta con lui, lo saprei.”
Aveva gli occhi segnati da cerchi profondi, violacei, ed era pallida. Continuava a mordersi il labbro inferiore.
“Devo trovare un posto dove dormire” ha detto improvvisamente, dopo altri minuti di intenso silenzio.
“Come?” Le ho chiesto, cadendo dalle nuvole. Non avevo la più pallida idea di cosa diavolo parlasse.
“Non ho chiuso occhio, queste notti, e so che Joe veniva qui mentre credeva che dormissi, a controllare che non mi succedesse nulla di male. Per questo non ho mai avuto problemi a dormire qui da sola, anche se Joe naturalmente non sapeva che io sapevo. Ma ora non voglio più stare qui.”
“Oh.”
Non sapevo cosa dire. Era così ovvio, cazzo; dopotutto, non era normale che una ragazza dormisse tutte le notti in un vecchio parcheggio abbandonato, e mi sono chiesta, con una certa vergogna, come mai non ci avevo pensato io stessa al fatto che quello potesse essere un luogo pericoloso per una ragazza sola e indifesa.
“Vedrai che ti troveremo un’altra sistemazione.”
Mi sentivo annebbiata, fuori dal mondo. Era come se fosse morto qualcuno; come quando era morto mio padre. Il silenzio e la lucidità di Nancy mi facevano sentire ancora più sola. C’era un sole fortissimo, che picchiava come non mai sulle nostre teste, eppure avevo freddo; tanto, tanto freddo.
Non c’è fuoco che possa scaldarti quando hai freddo dentro.
 

*

 
Poco più di un’ora dopo, io e Nancy ci trovavamo a uno dei tanti Speedy Pizza di Berkeley, appoggiate al bancone in attesa delle nostre pizze al salamino con salsa ultra piccante (ottima colazione quando un amico ti abbandona improvvisamente, ti rimette in sesto) in compagnia di Billie Joe, Mike e Tré. Tutti e quattro ascoltavano il nostro racconto, esterrefatti, mentre il ragazzino brufoloso alla cassa origliava di nascosto e arrossiva ogni volta che lo guardavo.
“Ti ospiterò io, Nancy” Ha detto subito Mike quando abbiamo finito di parlare; ho sempre pensato che lui provasse un affetto tutto particolare per la ragazza, credo per via della sua storia, perché forse gli ricorda le condizioni in cui ha vissuto lui in gioventù, anche più dure di quelle in cui ha vissuto Billie, mille volte peggiori in confronto all’infanzia di Tré.
“Estelle è in vacanza con Ramona” ha continuato. “Potrai prendere la sua stanza.”
D’un tratto ho sentito una fitta di senso di colpa mentre Nancy ringraziava Mike per la sua generosità; pensavo a Estelle e Ramona. Da quando Joey è partito, ci siamo completamente perse. Forse è per via di tutte queste cose che sono successe, tutta questa serie di storie; o forse è perché io sono fatta così da sempre, lascio andare le persone, le amicizie, i ricordi, finché questi non spariscono in una nuvola di fumo. A parte Joey.
Joey non l’ho mai dimenticato, non l’ho mai lasciato andare, nemmeno per un secondo.
“… Vicino a Crescent City, a nord, sai, Sal?”
“Eh?” La voce di Tré mi ha risvegliata di colpo dai miei pensieri cupi, ma lui evidentemente mi aveva letto nel pensiero:
“Dicevo che stamattina Billie ha sentito Joey, e pare che ora siano nei dintorni di Crescent City, a nord della California.”
“Ah si?”
“Si. Una figata. Si staranno divertendo come pazzi, eh Bill? Io me lo ricordo, il nostro primo tour. Sempre sbronzi. Sempre a distruggere le cose e suonare, eh Billie? Quanti casini. Ci ho perso la mia verginità, in quel tour. Aida, si chiamava. Aveva venticinque anni più di me. Era italiana, vero, Billie? Indimenticabile. A volte me la sogno ancora.”
“Ma non avevi perso la verginità su una vecchia brandina di Christie Road?” Gli ho chiesto, confusa.
“Si raccontano molte leggende a proposito della verginità di Tré Cool” si è inserito Billie Joe con un sorrisetto sarcastico. “La mia preferita è quella secondo cui tanto tempo fa, quando aveva ancora la palla destra, in una mattina di primavera Tré si sia sdraiato in un campo fiorito e si sia fatto impollinare dalle api.”
“Me lo ricordo, quel giorno. Un giorno perfetto.” ha sorriso Tré con aria folle. Io, Nancy e gli altri ci siamo stretti nelle spalle scuotendo la testa. Siamo ormai rassegnati alle quotidiane idiozie di Tré.
“Comunque” ha ripreso Billie Joe “Sembra davvero che il tour stia andando magnificamente. Dovrebbero arrivare a Portland –” Si è interrotto con l’arrivo delle nostre pizze. Tré ha tirato un urlo di gioia davanti alla sua: peperoni, salsiccia, pancetta, patatine, zucchine, wurstel e formaggio. Era una sua invenzione che aveva letteralmente sbigottito il tizio brufoloso alla cassa, che l’aveva guardato come si guardano i pazzi.
Ci siamo seduti su una panchina in un parco poco distante con le nostre pizze, e Billie Joe ha ripreso il discorso.
“Dicevo, dovrebbero essere a Portland il dieci o l’undici agosto e lì staranno una settimana circa prima di ripartire per Berkeley, anche se lungo il viaggio di ritorno si fermeranno ancora per fare concerti. Dovrebbero essere qui per i primi di settembre.”
Ho deglutito. Settembre?
Non so se ce la farò ad aspettare così a lungo, mi sono detta disperatamente.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, Billie Joe mi ha porto qualcosa; sembrava un volantino.
Sopra, c’erano stampate tutte le date che gli Emily’s Army terranno quest’estate con i relativi luoghi, compresi i nomi dei locali.
“In caso possa servirti” ha detto solo.
 
Cosa ci faccio ancora qui?
Ci sto pensando, maledizione. Ci sto pensando.
 
Sallie

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