Unlocking Sherlock

di IronicNarwhal
(/viewuser.php?uid=381100)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** To Have Quiet ***
Capitolo 2: *** En-suite ***
Capitolo 3: *** The Progress of Things ***
Capitolo 4: *** Parapsychology of a Murder ***
Capitolo 5: *** History Repeats Itself ***



Capitolo 1
*** To Have Quiet ***


Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l'originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun'altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

 

Sommario:

Forse Anima Gemella si riferisce, di fatto, alla persona che è la chiave della tua serratura. Di tutte le tue serrature. È la tua chiave di casa, della macchina, della cassetta di sicurezza, tutte in una volta. Forse è questo il motivo per cui, finché non la incontri, sei solo una parte di te stesso. Non puoi sbloccare le tue serrature. Non puoi spegnere la scintilla, fare un passo indietro e goderti il silenzio finché, finalmente, non incontri la persona che tiene, o è, la tua Chiave.


Avvertenze: lievi imprecazioni

 

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

 

Capitolo 1: To Have Quiet

 

La birra cinese ha uno strano retrogusto. Non è sicuro gli piaccia davvero, ma continua a tracannarla perché, dopo la giornata che ha avuto, qualcosa di non alcolico semplicemente non va. Sherlock, a quanto pare, condivide il suo sentimento; continua a guardar male la bottiglia ma, come John, prende deciso un sorso dopo l’altro. Impavido allo strano sapore. Onestamente, John non aveva inquadrato Sherlock come un bevitore, in primo luogo, e di certo non un bevitore-di-birra. C’è qualcosa nella sua Anima Gemella che semplicemente urla snob ed alta società, nessuna delle quali è tipicamente associata con bevitore-di-birra.

È ancora strano, avere un viso a cui associare il titolo di Anima Gemella. Per molto tempo, la persona che vedeva nella sua mente era stata senza volto, e cambiava continuamente la sua altezza, il colore dei capelli, l’etnia. Quand’era un bambino ovviamente aveva immaginato qualcuno come suo padre. Alto, robusto, voce roca ma dalla natura gentile. A volte, inoltre, i tratti di sua madre vi si sovrapponevano; rapido all’arrabbiarsi ma ugualmente veloce a perdonare, dal carattere spumeggiante. Era solito fissare gli sguardi che i suoi genitori si scambiavano a vicenda e chiedersi se fosse così che tutte le Anime Gemelle Legate si guardavano l’un l’altro. Desiderando di avere anche lui, un giorno, qualcuno che lo guardasse in quel modo.

Quand’era un adolescente, gli ormoni presero il sopravvento, e l’immagine nella sua mente divenne qualcuno di molto simile alle celebrità che idolatrava. Cambiava quotidianamente, così non poteva davvero fare un resoconto preciso di quali fossero i suoi pensieri a quei tempi. Si ricordava di essere stato ossessionato, come tutti gli adolescenti, dall’idea del sesso, e Dio se solo avesse potuto incontrare la sua Anima Gemella prima. Tuttavia conosceva le probabilità; davvero poche Anime Gemelle si incontravano durante l’adolescenza.

Quando era nell’esercito, a volte, l’unica cosa che lo faceva andare avanti era il pensiero che da qualche parte, in Inghilterra, c’era un uomo di nome Sherlock, con il suo nome sul suo dito. Passava ora dopo ora, sulla sua branda sabbiosa, fissando il nome sul suo dito e domandandosi come sarebbe stato questo Sherlock. Alto/basso? Biondo/castano/rosso? Slanciato e magro, aggraziato ─ il corpo di un danzatore? O più come John: compatto e tozzo?

Abbastanza stranamente, non aveva mai ottenuto la combinazione di Sherlock Holmes. Alto e aggraziato, sì, ma a volte riesce a sembrare coordinato quanto un cerbiatto appena nato. In quei momenti John non sa se ridere o emettere suoni dolci. Vuole fare entrambi, non ne fa nessuno. Conoscendo Sherlock, non lo avrebbe apprezzato.

Ogni volta che lo guarda, non può far a meno di sorridere un po’. Ma, in un recesso della sua mente, c’è la sensazione che si prova dopo aver staccato un boccone tanto grosso da non riuscire a masticarlo[1]. Quel panico che ti fa brancolare nel Oddio, ormai l’ho fatto; avrò questa caramella che mi appiccica i denti insieme per il resto della mia vita. Assurdo, ma allo stesso tempo non può farne a meno perché, davvero, anche dopo trentacinque anni non si sarebbe mai aspettato di trovare qualcuno come Sherlock Holmes alla fine della sua Ricerca.

Sherlock Holmes che può dirti cose su te stesso che tu, in persona, non conoscevi. Può elencare dettagliatamente l’esistenza di un trolley rosa nonostante questo non sia nello stesso edificio in cui si trova lui. Inseguire una pista fino alla fine del mondo e quasi uccidere sé stesso per il divertimento di tutto ciò.

Forse è quello che ha fatto sì che John avesse le balle così girate [2], come avrebbe detto sua sorella. Davvero, chi avrebbe permesso ad un tassista psicopatico di convincerlo a prendere una pillola avvelenata, un giorno e mezzo dopo aver incontrato, per la prima volta, la propria Anima Gemella? In questo momento avrebbero dovuto star seduti in un bel ristorantino. Giocando al gioco del cominciare a conoscersi meglio che è sempre il primo appuntamento. Avrebbero dovuto baciarsi sulla soglia dell’uno o dell’altro, una cosa piccola e casta. Sorridere timidamente e separarsi. Incontrarsi qualche altra volta, andare a qualche altro appuntamento. Cadere nel letto insieme, fare una copiosa quantità di amore. Bisbigliarsi dolci sciocchezze. Continuare il modello per diversi mesi e poi ─ e solo poi vivere insieme.

Invece, sono in uno squallido ristorante cinese il quale, nonostante le iniziali riserve di John mentre posava lo sguardo sul posto, in realtà fa del cibo fantastico. Sono anche coinquilini ora, a quanto pare. Sembra che stiano facendo le cose nell’ordine sbagliato. Sempre di più, tuttavia, John cominciò a realizzare che non avrebbe mai potuto immaginare Sherlock fare qualsiasi cosa in modo convenzionale.

“Sai che pensi molto rumorosamente?”

Alza gli occhi dal suo piatto, che ha fissato, fin quasi a farci un buco, negli ultimi venti minuti, e si rende conto che Sherlock ha cambiato posizione. Sono in un separé d’angolo ed è piccolo come qualsiasi altra cosa nel ristorante (tranne le porzioni, quelle sono enormi), ma è isolato dalle rumorose cameriere che stanno facendo una pausa intorno al registratore di cassa. Sherlock è appoggiato alla parte di separé di John, braccia incrociate e gambe sulla panchina. John si chiede se sia permesso. Per Sherlock Holmes, probabilmente sì.

“Lo faccio?” borbotta John, appoggiando la sua birra. “Uh... Scusa.”

“No, va piuttosto bene...” Sherlock sorride, lo sguardo al suo grembo, dove sta togliendo l’etichetta dalla sua bottiglia. “È rassicurante. A volte mi domando perfino se le altre persone non pensino affatto. È bello avere la prova del contrario.”

“... Quello era un complimento?”

“Era inteso come tale.” Sherlock gli lancia un’occhiata da sotto le sue ciglia. Ridacchiano a vicenda prima di distogliere lo sguardo. C’è qualcosa d’imbarazzante già familiare in tutta questa situazione. Non è una brutta sensazione. “A cosa stavi pensando?”

John scrolla le spalle. “Molte cose. È stata una giornata impegnativa.” Lancia uno sguardo a Sherlock e borbotta, “Mi hai spaventato, sai. Pensavo che non avrei fatto in tempo.”

I picchietta graffia picchietta picchietta delle dita di Sherlock sulla bottiglia si fermano. John può vederlo inarcare le sopracciglia. “Non avevo programmato che mi seguissi. Sapevo che sarebbe stato pericoloso.”

Sbuffa. “Pericolo. È per questo che sono qui, ricordi?”

“Ci sono diversi tipi di pericolo.” Sherlock ruota la testa contro il retro del separé, appoggiando la sua guancia contro il poliestere scrostato. Alza le sopracciglia verso John, come in una scrollata di spalle, e sospira, “Stai bene? A parte i giochi di parole, hai appena ucciso un uomo, e sei stato silenzioso da quando abbiamo lasciato la scena del crimine. O è stato qualcosa che ha detto mio fratello?” Ridacchia alla sua stessa battuta. John ridacchia con lui, ma si calmano abbastanza in fretta. Sherlock torna a grattare l’etichetta e John guarda. Dita agili che sono quasi ipnotiche nei loro movimenti ripetitivi.

“Sono stato in guerra”, dice alla fine John. “Uccidere le persone era un evento quotidiano. Guardare le persone morire era un evento quotidiano.” Raggiunge il polso di Sherlock e lo stringe. “Ma non sarei rimasto a guardare la mia Anima Gemella morire dopo averla appena trovata. Neppure l’avrei lasciata correre incontro ad il Signore sa quali tipi di pericolo da sola. Voglio dire, non avresti potuto avvisarmi?”

“No” sospira Sherlock. Il tono di voce che ha usato è già troppo familiare: Tu non capisci! inframmezzato di esasperazione. John ha già capito che questa particolare stranezza di Sherlock sarà una fonte inesauribile di peggioramento. “Perché poi avresti cercato di fermarmi, e probabilmente ci saresti riuscito e poi non avrei mai saputo. Se tu mi avessi fermato, o anche se fossi venuto con me, non mi avrebbe mai detto come faceva a fargli prendere le pillole. E io ho bisogno di sapere, John. È quasi una compulsione. Non mi aspetto che tu capisca, perché perfino io non so perché faccio ciò, semplicemente lo faccio.”

“Ehi,” dice John, gentile ma fermo. “Chi ha mai detto che avrei voluto fermarti?”

Sherlock sospira, roteando gli occhi. “È la natura umana. Proteggere ciò che è tuo. È vero che ci siamo appena conosciuti, ma la scritta sulle nostre mani significa molto… non pensi?” Come lo dice, fa scivolare il suo anello verso l’alto e fissa la sua SBI. Anche John la fissa. È così strano vedere la SBI corrispondente alla propria. Ovviamente ne ha viste un sacco, è una delle conseguenze dell’essere un dottore. Alcune erano state perfino John. Mai, tuttavia, in questo colore. Mai sulla persona che sapeva essere sua.

“Se prometto di non provare a fermarti,” inizia John, raggiungendo e facendo scorrere la punta del suo dito sulla SBI di Sherlock. Le lettere spiccano in sottile rilievo contro la sua liscia pelle d’alabastro. “Mi dirai, per favore, cosa progetti di fare, la prossima volta?”

“A che scopo se non cercherai di fermarmi?”

È il turno di John di roteare gli occhi. C’è da chiedersi se Sherlock stia facendo l’ottuso di proposito.
Perché almeno poi saprò cosa stai facendo, e cosa pensi che stia per accadere. E se non puoi portarmi con te, almeno avrai qualcuno che sa dove sei, se le cose dovessero andar male. Ho dovuto contare su un GPS in un telefono per trovarti, ed era quasi troppo tardi.” Incrociando le braccia aggiunge “E quello era un rischio stupido, Sherlock. Cosa sarebbe successo se avessi avuto la pillola sbagliata? Cosa se fossero state entrambe avvelenate?”

Le pupille di Sherlock deviano bruscamente, tuttavia la sua testa è ancora adagiata pigramente sul lato, faccia a faccia con John. Si sta fingendo interessato a un papiro sul muro. John si chiede se possa effettivamente leggerlo. Non è al di là del dominio delle possibilità.

“Mi rendo conto che potrei aver… fatto un errore di calcolo.”

“Lo fai suonare come se pensassi di aver sbagliato un’equazione matematica. Saresti potuto morire.” Quando Sherlock non dice nulla, John sospira e decide che forse è un argomento di cui dovrebbero parlare in seguito. Roma non è stata costruita in un giorno, neppure Sherlock Holmes può cambiare in uno. Almeno sembra dispiaciuto.

“Proverò ad informarti delle mie intenzioni, d’ora in poi,” dice Sherlock, dopo diversi momenti di silenzio pesante. “Ma non posso fare nessuna promessa.”

John annuisce. Le promesse sarebbero meglio, ma può solo far si che Sherlock sia d’accordo con così tanto. Far promettere a Sherlock di pensare ogni volta prima di mettere sé stesso in pericolo, vorrebbe dire andare troppo oltre. Sarebbe terribilmente ipocrita nei confronti di sé stesso. Sa fin troppo bene che a volte, semplicemente non c’è tempo per pensare. A volte, prima agisci d’istinto e poi ti poni le domande. Come ex-soldato, John ha la sensazione di poterlo capire meglio di molti altri.

Si rende conto bruscamente che la sua mano è ancora su quella di Sherlock, ma non si sente incline a tirarla via. Neppure Sherlock sembra preoccuparsene; la muove solo un po’ per appoggiarla sulla propria coscia quando è stanco di tenerla alzata. Non ha nemmeno rimesso il suo anello. La sua SBI è allettante e John non può trattenersi dal toccarla. Entrambi guardano come il dito di John accarezza le lettere, ancora e ancora. Si ferma solo quando Sherlock incastra la sua mano contro quella di John. La stringe, batte una pacca sul dorso della lunga ed elegante mano di Sherlock e prende un altro sorso di birra.

“Posso vedere la tua?” domanda Sherlock dopo che John ha deglutito. Gli ci vuole un secondo per capire di cosa sta parlando.

“La mia SBI? Sì, certo.” Le SBI sono intimi collegamenti vitali tra Anime Gemelle. Non è insolito per le Anime Gemelle stare senza anelli in privato, almeno per le prime settimane, mentre iniziano a conoscersi. È un bene per loro. Incoraggia l’inclinazione del semplice raggiungersi e toccare, che alcune volte non viene naturale come ci si aspetterebbe. È qualcosa di simile ad una madre che stringe il proprio bambino appena nato contro il suo petto. Un esercizio di legame. Inoltre, Sherlock  non ha avuto molte occasioni per osservare la SBI di John, ieri pomeriggio, apparentemente a causa di un cliente. Qualcosa a proposito di una scala a pioli verde; John non ne è ancora sicuro. Non ha mai trovato il tempo per chiedere.

Togliendo il suo anello, si gira verso Sherlock. Porta la sua ex-dolorante gamba sulla panchina e la piega, con il piede sotto l’altra sua coscia. Per lo più per nascondere la sua SBI sotto il tavolo. Non è esattamente rispettabile far questo in un ristorante. Ma è presto, e non c’è nessuno intorno, eccetto le cameriere. Non ci vede alcun male.

Girato in questo modo, il suo ginocchio preme contro il fianco di Sherlock. Il calore da quel punto si irradia su e giù per la sua spina dorsale.

Sherlock districa le loro mani per appoggiare la sua in basso, sul ginocchio di John. Permette alla mano di John di rimanere sulla sua coscia, girata verso l’alto come lo è stata la sua. Le fresche dita di Sherlock toccano la pelle in rilievo della sua SBI, solleticando i suoi nervi. Anche questo sembra viaggiare in ogni sua terminazione nervosa.

“Ti deluderò,” dice Sherlock mentre traccia attentamente le lettere del suo nome. Continua velocemente, prima che John possa rispondere, “Non lo dico per essere autolesionista. È vero per tutti noi. Passiamo la nostra vita intera a cercare una persona, quindi le nostre aspettative diventeranno sproporzionate. Io, soprattutto, non sono per niente… una persona affettuosa. Non mi viene naturale. Sarà difficile abituarmi ad avere un’altra persona così completamente intrecciata con la mia vita. Io… potrei non venire mai completamente ai patti con questo.” Lo sguardo determinatamente fisso sulla SBI di John. Non incontra i suoi occhi.

“Penso che chiunque abbia queste paure, in certa misura,” dice John, tuttavia non può dire che la prudenza di Sherlock non sia ampiamente fondata. Se il maggiore degli Holmes pensa che assumere l’Anima Gemella di Sherlock per tenerlo d’occhio sia un modo per mostrare preoccupazione fraterna, non vuole sapere quanto socialmente stentato sia il resto della famiglia.

“Non sono paure,” dice Sherlock inclinando all’indietro la testa per fissare il soffitto, “sono deduzioni.”

“Mmm. Beh, io deduco che dovremo semplicemente affrontarlo un giorno alla volta. È così che queste cose vanno. Ricorda, ci siamo dentro insieme ora. Se provi a comunicare con me, sarò più che felice di restituirti il favore.” Sherlock afferra di nuovo la sua mano, e John ricambia la stretta. Si inclina in avanti, spazza via i capelli castano-ramato-corvini di Sherlock, bloccandoli di lato, e posa un bacio sulla sua tempia. È premiato con un mormorio che è quasi certo di poter classificare come felice.

Molto lentamente, Sherlock gira la testa di lato. Aggrotta le sopracciglia come cercando di risolvere un problema particolarmente difficile. John continua ad accarezzare i suoi capelli, si ferma solo quando Sherlock si inclina in avanti e chiude gli occhi.

Le labbra della sua Anima Gemella sono piene e inaspettatamente morbide. Il labbro inferiore di Sherlock si incastra perfettamente tra quelle di John; due pezzi di un puzzle che scivolano vivacemente insieme per la prima volta. John muove la sua mano verso la nuca di Sherlock, cullandola. La tiene lì anche quando si separano. Strofina il proprio naso contro quello dell’altro, le loro fronti appoggiate l’una all’altra, e deposita un altro breve, casto bacio sulle labbra di Sherlock.

“Non affettuoso, hmm?” mormora John, e Sherlock ride. Gli piace davvero quel suono, veramente.

“Sono una persona completamente diversa quando sto lavorando ad un caso, John. Penso che tu abbia visto abbastanza finora da rendertene conto. Non c’è nulla che possa fare per fermarlo. Credimi, ci ho provato.”

John non sa esattamente cosa intenda Sherlock con questo, ma immagina che non sia una storia per quella notte. Forse neanche per l’immediato futuro. Ci sono certe cose di cui semplicemente non si parla mentre le Anime Gemelle stanno ancora approfondendo la loro conoscenza, i dettagli raccapriccianti delle loro Ricerca sono uno di quelle. John ha fatto cose di cui non è orgoglioso, ovviamente. È sicuro che anche Sherlock le abbia fatte.

“Bene, ti crederò sulla parola.”

Finiscono di mangiare e lasciano il locale quando Sherlock comincia ad avere l’aria di volersi addormentare sulla spalla di John. Anche perché le tre cameriere avevano finito la pausa e cominciavano a cercare qualsiasi motivo possibile per passare dal loro tavolo, ridacchiando incessantemente. Tutte e tre erano giovani donne non-legate all’inizio dei loro vent’anni, quindi è ovvio che ridacchino accanto ad una coppia di uomini appena-legati. [3]

Il 221B è silenzioso quando tornano a casa. Non è abituato a chiamare casa questo posto, ma apparentemente ora è quello per lui. Mrs. Hudson era ovviamente andata a letto ore fa. John quasi inorridisce quando lancia uno sguardo all’orologio sulla parete e si rende conto che sono le tre passate, del mattino. Non aveva idea che fosse così tardi.

Almeno non ha nulla da fare domani.

Si assicura che Sherlock vada a letto in modo appropriato, e non che si butti semplicemente sopra le coperte. In qualche modo riesce anche a convincerlo a cambiarsi; lo guida verso il bagno con tra le braccia un pigiama in soffice cotone e rimane sulla porta per assicurarsi che non si addormenti con la maglietta infilata a metà o qualcosa del genere.

Lo Sherlock in modalità-caso, stava scoprendo John, è molto diverso dallo Sherlock normale (o è lo Sherlock in modalità-caso ad essere lo Sherlock normale e John ha semplicemente visto lo strano modo in cui l’uomo si comporta nel frattempo?) quand’è quest’ultimo, sembra essere disposto a mangiare e dormire. Tuttavia, non è del tutto una sorpresa. Quando uno si astiene dal soddisfare i bisogni a causa di certe circostanze, farà provvista dei suddetti bisogni una volta passato il momento. È una tattica usata comunemente nel esercito.

John è semplicemente felice ci siano momenti in cui Sherlock dorme e mangia.

“Beh, buonanotte,” dice John indugiando imbarazzato sulla porta della camera da letto di Sherlock. È uno strano pervertimento del classico stare-in-piedi-sulla-soglia-di-casa, giocherellare-con-le-chiavi, aspettarsi-un-bacio, il comportamento del dopo-appuntamento di uomini e donne in decenni di commedie romantiche. Sherlock lo esamina attraverso gli occhi socchiusi, per la stanchezza piuttosto che per civetteria o imbarazzo, ed annuisce.

“Mrs. Hudson avrà preparato il tuo letto,” dice, al ritmo di una persona normale, che equivale a lento per Sherlock. John si domanda se di fatto abbia dormito la notte tra il loro primo incontro e il secondo. È ancora troppo presto per contarla come la ‘notte scorsa’. Di fatto, sono bastate quarantotto ore perché si preoccupi del riposo di Sherlock.

“Pensavo non fosse una governante.”

Sherlock sbuffa piuttosto sgraziatamente. Niente a che vedere con il delicato, raffinato suono di poco prima quella sera. John ha l’impressione di aver visto qualcosa di molto dignitoso nel suo stato rozzo e, per questo, proibito. Come un paggio che vede il monarca in biancheria intima; la star di una recita senza trucco, senza costume. Uno Sherlock in questo modo è qualcosa che davvero poche persone dovevano aver mai visto. John non sa se sentirsi compiaciuto, privilegiato o imbarazzato.

“Lo negherà fino alla fine dei tempi ma, in realtà, la signora non riesce a stare in una casa sudicia, e se resta troppo tempo senza nulla da fare, diventa nervosetta. È compulsivo per lei.”

“Ti prego, non dirmi che ne hai approfittato.”

“Sono famoso per questo. Non sono nulla, se non un opportunista.”

John rotea gli occhi, ma non si disturba a sgridare Sherlock; cose come queste normalmente attraversano la testa di Sherlock senza soffermarsi, sarebbe uno sforzo inutile, in questo momento, mentre non è nemmeno coerente. Invece, John prende nota mentalmente di convincere Sherlock a fare le faccende domestiche durante un appuntamento successivo, prima di gesticolare verso il letto. “Avanti. Dentro. Sotto le lenzuola, non sopra.”

Sherlock sospira e tira indietro le coperte del suo letto, vi scivola dentro e si gira su un lato. John indugia sulla porta, assicurandosi che sia a posto, quindi spegne la luce. “Buonanotte.”

Tutto ciò che ottiene in risposta è un vago mormorio. Probabilmente già mezzo addormentato, beato lui (come direbbe sua mamma). John chiude la porta silenziosamente ed augura alla sua Anima Gemella sogni d’oro, prima di ritirarsi al piano superiore, nella propria camera da letto.

***

Scopre presto che la personalità di Sherlock ha molte sfaccettature di ‘Durante-Un-Caso’ e ‘Fra-Due-Casi’. Lo Sherlock Durante-Un-Caso può essere molto distaccato, non comunicativo ed irrispettoso. Mentre è meno probabile che lanci insulti a caso, tende anche verso un’evidente superbia. Corre via senza avvisare nessuno e, nonostante stia migliorando in questo, John continua a ritrovarsi lasciato indietro un po’ troppo spesso per i suoi gusti. A volte Sherlock lo spedisce fuori con degli incarichi quasi senza informazioni, quindi procede a sparire, lasciando John ad elaborare gli ordini Sherlockiani. A volte non riesce a venirne a capo, e rimane a chiedersi come trovare qualche idea su cosa si suppone dovesse fare. Questo non lo fa mai restare nelle grazie di Sherlock, e di solito fa di lui il soggetto degli insulti.

Lo Sherlock Fra-Due-Casi è, in qualche modo, meglio e peggio. Generalmente, collassa dopo i casi. Passa quindici o sedici ore dormendo, a volte John non lo vede per una giornata intera, poiché Sherlock si sveglia solo dopo che John è già tornato a letto. Per circa due giorni, Sherlock è quasi come una persona normale. Si siedono nelle loro poltrone e guardano la tv. Sherlock ha delle conversazioni a senso unico con le persone dei reality-show spazzatura. Discutono per lavare i piatti (John perde sempre). In confronto al suo solito comportamento, questo è normale in modo surreale.

Ma poi il periodo tra due casi si protrae troppo a lungo e Sherlock diventa irritabile. Comincia a sbattere ed insultare qualsiasi cosa si muova e anche alcune cose che non lo fanno. Nel momento peggiore, quando passano due settimane o più tra i casi, comincia a fare quanto più rumore può. Lanciando oggetti, rompendo oggetti. È in questi momenti che John esce.[4] Gironzola per l’isolato per qualche ora, lasciando Sherlock con i suoi aggeggi. Dando a sé stesso il tempo per pensare e calmarsi. Qualche volta va a prendere una birra, ma cerca di non indulgere in quell’impulso troppo spesso. Conosce fin troppo bene la tendenza dei Watson verso l’alcoolismo. Aveva preso sia suo nonno che suo zio, prima di giungere a sua sorella.

A volte, quando il periodo tra due casi si trascina troppo a lungo, sembra che Sherlock si sia trasformato permanentemente in una selvaggia ed inavvicinabile creatura. Ha l’impressione che sia sempre stato così, e la fiducia di John sbanda momentaneamente pensando Non posso gestire questa situazione, come si suppone che gestisca questo?

Sempre, sempre, si sente immediatamente in colpa. Anzi, odia sé stesso. Non cambia il fatto che Sherlock sia irritabile ed intollerabile.

Cioè, finché non torna a casa da quelle passeggiate. Dice sempre a sé stesso che andrà dritto nella sua camera, senza nemmeno lanciare uno sguardo al salotto, perché sa che Sherlock sarà seduto lì, apparendo assolutamente infelice, e questo lo farà sentire ancor di più come un bastardo.

“Mi dispiace,” bisbiglia sempre Sherlock. Diversamente da quello che si potrebbe credere, Sherlock non ha nessuna riserva a scusarsi. È ammettere di essersi sbagliato, con cui ha un problema. Per la maggior parte delle persone, sono sinonimi. Per Sherlock Holmes, sono mutualmente esclusivi in un modo che John non è ancora riuscito a capire.

“Il tuo scoppio d’ira è finito, quindi?” chiede John quando si sente particolarmente irritato. Non è al di sopra dell’essere crudele quand’è completamente incazzato.

Altre volte accetta solo le scuse e va comunque a letto, oppure si siede sulla sua poltrona affondando in un imbarazzante silenzio. Ma alcune volte, come la notte in cui Sherlock riesce a rompere una delle antiche tazze da tè  della madre di John, servono più che occhi da cucciolo e due-parole di scusa per calmarlo.

“John,”dice Sherlock, e suona in egual parte rimprovero e supplica, “sai che non posso farci niente quando mi succede. Non voglio farlo. Non è colpa mia.”

“Allora di chi cazzo è la colpa, Sherlock?” chiede John. Agita le sue braccia in modo irritato. “La mia bisnonna ha dato queste tazze a mia madre, Sherlock. Lei le ha date metà a me, e metà ad Harry. Harry ha rotto tutte le sue. Ne sono rimaste solo quattro, e il set partiva da dodici. Le mie cose hanno davvero così poco valore per te?”

“Certo che no!” abbaia Sherlock, e non ha neanche bisogno di aggiungere ‘Che domanda idiota!’ perché è molto ben sottointeso. “Io solo… È difficile! Non hai idea di come sia, John. Avere il tuo cervello che corre a un miglio al minuto costantemente e non aver nulla su cui concentrarsi. A volte mi sembra che potrei esplodere, o almeno diventare pazzo. Altre volte diventa quasi doloroso e semplicemente non posso solo star seduto ancora. Quando fa male, mi arrabbio, e quando sono arrabbiato non sono razionale!” si ferma, strofina i suoi occhi e dice, “Quando ero un bambino mi è stata diagnosticata l’Asperger.”[5]

“Oh.” È tutto ciò che riesce a dire. Si siede sul tavolino da caffè in modo da poter essere di fronte a Sherlock. Posiziona le sue ginocchia all’esterno di quelle dell’altro. “Autismo. Avrei dovuto capirlo.”

Sherlock esala rabbiosamente e lancia uno sguardo a John da sotto le ciglia, la furia nei suoi occhi. “Sindrome di Asperger è come loro l’hanno chiamato. Resto non convinto che sia realmente quello che ho. Comunque, ho diversi sintomi che combaciano. Uno di questi è… una cronica incapacità di giudicare come gli altri reagiranno alle mie azioni. Rende la socializzazione difficile, e non ci sono mai riuscito molto.”

“Ci hai mai provato?” chiede John. Sherlock abbassa lo sguardo e scuote di poco la sua testa. John prova duramente a non esasperarsi perché, beh, forse non è tutta colpa di Sherlock come pensava. Invece, raggiunge ed accarezza le guance di Sherlock, tirando su la sua testa così che i loro occhi possano incontrarsi. “Hai ragione, non posso immaginare come sia. Tutto ciò che so è che deve essere molto doloroso per te.”

“Non intendevo le cose che ho detto,” mormora Sherlock. “Ho solo… è come ho imparato a difendere me stesso.”

“Contro cosa?”

“La gente.”

John ha un’immediata visione di Sally Donovan, mentre gli dice che sarebbe stato meglio senza la sua Anima Gemella se fosse saltato fuori essere Sherlock Holmes; che l’uomo era uno psicopatico. Un mostro. Mostro è la parola che aveva usato.

“Sherlock…” esala, non esattamente sicuro di come reagire. Si chiede quanti Sally Donovan ci siano stati nella vita di Sherlock. Quanti siano stati anche peggio di Sally Donovan.

“Sminuisce l’insulto se posso rispedirglielo. Mi chiamano mostro, psicopatico, macchina. Io li chiamo adulteri, bugiardi, sgualdrine. E sanno che è vero. Fa sì che mi odino, ma almeno ho delle munizioni per quando decideranno di darmene altri.”

L’intera cosa fa quasi venir voglia a John di urlare. L’idea che qualcuno possa crescere essendo così non-amato da dover imparare a difendere sé stesso, facendo il bullo con i suoi bulli, è atroce. Sfiora i capelli di Sherlock spostandoglieli dagli occhi, via dalla sua fronte, e quasi desidera poter stare occhi-negli-occhi con il suo meraviglioso e spietato cervello. Dirgli di stare zitto per un secondo, così che Sherlock possa avere un istante di quello che non ha mai avuto prima. Quello che così tante persone prendono completamente come garantito.

Silenzio.

Le mani di Sherlock si alzano ad avvolgere quelle di John, abbassandole sul suo grembo. Lentamente, rimuove entrambi gli anelli, appoggiandoli sul tavolino da caffè, e muove le sue mani per tornare a far scivolare le loro dita insieme e stringe. Le affettuosità sono ancora rare tra loro. Una pacca sulla schiena, lo stringere una spalla è tutto quello che hanno realmente fatto. L’aria è intima. John vuole sporgersi in avanti, catturare quelle labbra rosa a forma di cuore. Sa di potere, che Sherlock molto probabilmente non reagirebbe in modo negativo, ma c’è ancora qualcosa che lo trattiene.

“Non intendevo farti arrabbiare. Sono solo… molto volubile quando divento così.” Gira la mano di John, fissando la sua SBI. Tiene una delle sue magre dita su quella di John. “Sei la prima persona che abbia mai provato a capire, a parte mio fratello e Lestrade. Capisco che è per senso del dovere, ma è comunque qualcosa. Non importa ciò che dico, non voglio che tu te ne vada. Quindi per favore, non farlo.”

Non è per senso del dovere─”

“Sì. Sì, lo è. Puoi dire onestamente che, se non fossi finito per essere la tua Anima Gemella, avresti cercato così strenuamente di tollerarmi?” gli occhi di Sherlock sono spalancati, chiedendo una contro argomentazione e aspettandosi un affermazione contemporaneamente.

Senza neanche pensare, John emette un veemente e stringe la sua presa sulle mani di Sherlock. “Siamo sulla stessa barca, Sherlock. La stessa, identica, barca. E so come ci si sente ad essere soli al mondo. Non l’ho sempre saputo, e non posso immaginare quanto solitario devi essere stato in tutti questi anni, perché io sono stato solo per pochi mesi ed ero pronto a…” la sua mascella scatta udibilmente con la velocità a cui la chiude, e guarda fisso, a occhi spalancati, Sherlock per un momento prima di mormorare, “Scusa, ho detto troppo.”

“John─”

“Il punto è,” interviene John velocemente, “ho bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di me. Quindi non vado da nessuna parte.”

Sembra che un grosso peso sia stato sollevato dalla stanza dopo quella ammissione. Gli occhi di Sherlock, che sembrano aver deciso di essere argento in quel momento, sfrecciano avanti e indietro, cercando di leggere gli occhi di John come un libro. Poi si fermano, fissando dritto verso John per dieci interi secondi. Pupille che incontrano pupille. Infine, quando John pensa di star per morire per l’attesa, sobbalza in avanti e schiaccia la sua faccia contro quella di John.

Non solo le labbra, no. Il suo naso sfrega contro la guancia di John, i loro occhi si mischiano, e le mani di Sherlock si aggrovigliano così a fondo nei suoi capelli da far male. A John, comunque, non può importare di meno. Non può immaginare che nessuno di loro sia davvero bravo in questo; nessuno lo è quando ha appena incontrato la sua Anima Gemella. Niente ha mai contato così poco per lui nella sua vita.

Si baciano ancora e ancora, con più denti di quanto John pensa sia solitamente accettabile. Sembra che Sherlock stia cercando di mangiare la sua faccia, ma comunque ne vuole ancora. Vuole avvicinarsi di più. Vuole sentire Sherlock premuto contro tutto sé stesso. Sta appena considerando di spostarsi sul grembo di Sherlock quando Sherlock fa esattamente quello su di lui. In qualche modo, le lunghe gambe di Sherlock si sono ripiegate su loro stesse così che possa sedersi su una delle cosce di John. Drappeggia le sue braccia intorno alle spalle del dottore. Un braccio di John va intorno alla vita del detective, premendo insieme i loro corpi. Dio è così caldo. Il soffice cotone del suo pigiama non è spesso abbastanza per mascherare il calore del suo corpo. John è lieto di star indossando uno dei suoi maglioni più leggeri, altrimenti potrebbe non essere in grado di sentire Sherlock; la sua forma flessuosa, i muscoli della sua schiena che si muovono.

Una parte di John è disperatamente eccitata. Una parte più grande, la maggiore, è semplicemente felice di avere Sherlock premuto contro di sé, caldo e mobile e . Onestamente, vuole solo aggrapparsi a Sherlock e non lasciarlo andare mai più. Non si era mai reso conto di quanto avesse bisogno di questo finché Sherlock non è entrato nella sua vita un mese prima e ora ogni volta che lo guarda, viene sopraffatto dall’urgenza di prenderlo tra le sue braccia, tenerlo lì.

Ora la lingua di Sherlock è nella sua bocca, e quello dovrebbe essere fastidioso ma, no. Non davvero; è molto più non fastidioso. Tutto di Sherlock è caldo e soffice, sembra, e sa di tè e limone, cioccolata e vaniglia. Mrs. Hudson doveva avergli portato del tè quel pomeriggio mentre lui faceva il suo giro. Sherlock è goloso dei suoi biscotti fatti in casa, John dovrebbe saperlo. I cibi sfornati da Mrs. Hudson sono le sole poche cose che Sherlock mangerebbe volentieri durante un caso, e John dovrà chiederle di preparare un’infornata di biscotti, quando un caso si trascinerà troppo a lungo da far diventare Sherlock pericolosamente denutrito.

Il bacio comincia a calmarsi. Sherlock muove languidamente la sua lingua in circolo intorno a quella di John. È sensuale in un modo strano. Almeno ha finalmente capito perché tutti quanti, quando era alle superiori, facevano pratica di baci con i migliori amici. (Lui non l’aveva mai fatto; sua madre lo avrebbe spellato vivo se lo avesse scoperto). Tuttavia non può davvero immaginare di farlo con chiunque altro se non Sherlock.

Sherlock si sposta e appoggia la sua fronte contro quella di John. Sorride e mormora, “Stai di nuovo pensando rumorosamente.” Preme di nuovo le sue labbra contro quelle di John, goffamente poiché è difficile baciare quando stai sorridendo. Rimane lì, il naso premuto contro la guancia di John, per una indeterminata quantità di tempo.

“La mia gamba,” mormora John alla fine. Sherlock è leggero, più leggero di quanto dovrebbe essere, ma è sulla gamba malandata, quella che ancora gli fa male nei giorni in cui il tempo è particolarmente brutto oppure se non si è mosso abbastanza quel giorno. La sua gamba reagisce allo stesso modo del cervello di Sherlock quando ha troppa poca stimolazione. Esplosiva, mal funzionante, dolore scatenante e irritabilità.

“Mmm.” Sherlock si stacca lentamente, premendo diversi lenti baci contro la bocca di John, prima di separarsi da lui. Lascia il suo sapore sulla lingua di John. “Potrei…” appoggia la sua fronte contro quella di John, premendo il suo naso contro la guancia dell’altro. “Spostarmi, o…?”

“Qui.” John si sposta sul divano, si mette comodo con la schiena accoccolata contro l’angolo tra il bracciolo ed i cuscini posteriori, e guida Sherlock giù verso la gamba buona. La gamba malandata è addormentata, grazie a Sherlock e alla mancanza di circolazione, e la sta stiracchiando davanti a sé sul divano. Il peso di Sherlock rimane sui cuscini, con una piccola parte della sua schiena appoggiata alla coscia di John.

Si mettono comodi. La testa di Sherlock sulla sua spalla, e il suo naso finisce seppellito tra le ciocche scure della sua Anima Gemella.

“Grazie.”

“Di… niente?” John non è sicuro per cosa lo stia ringraziando. Il bacio o quello che ha detto prima?

“Penso che avessi bisogno di sentirlo,” mormora Sherlock. “Ho sempre avuto questo sospetto, che una volta incontrata la mia Anima Gemella, mi avrebbe rifiutato. Sono davvero grato che tu non l’abbia fatto.”

“Sherlock.” Preme forte le sue labbra contro la tempia di Sherlock. “Lo dirò solo una volta. Quindi ascolta molto attentamente. Tu sei la mia Anima Gemella. Tu sei l’unico che mai avrò. Sono perfettamente soddisfatto di chi ho trovato alla fine della mia Ricerca. Rifiutarti sarebbe una palese manifestazione della cosa che gradisci di meno: Stupidità.” Un bacio. “Personalmente, penso di essere un uomo molto fortunato.”

“Lo sono anch’io.” Sherlock chiude i suoi occhi, premendo la fronte contro il collo di John. John si rilassa, crolla in realtà, contro il divano e chiude i suoi occhi. Una dormita suona davvero bene in quel momento, anche se sono appena le tre del pomeriggio. Dovrà alzarsi entro pochi minuti, cominciare a pensare alla cena. Ma per ora, Sherlock è caldo e assonnato contro di lui, e John non vuole disturbarlo per nessun motivo.

“John,” bisbiglia Sherlock, quasi urgentemente, quando John si è quasi addormentato. Sobbalza, cercando di riportare sé stesso alla piena coscienza.

“Cos?”

“L’hai fatto tacere,” dice Sherlock.

“Oh. Scusa.” Quindi appoggia di nuovo la testa sul divano, addormentandosi.

Solo per svegliarsi venti minuti dopo e processare quello che Sherlock ha detto. La sua Anima Gemella è addormentata, la bocca allentata e gli occhi che si muovono velocemente sotto le palpebre. Non c’è nient’altro da fare se non risistemarsi, poiché ora l’altra sua gamba si è addormentata. Lentamente, si stiracchia per la lunghezza del divano, si accoccola contro la schiena di Sherlock, tira una coperta, dallo schienale del divano, sopra di loro, e torna a dormire con il suo naso premuto contro il collo di Sherlock e la sua mano sinistra sovrapposta a quella dell’altro, il rigonfiamento del suo dito della SBI premuto contro l’inscrizione di Sherlock.


Ecco il primo capitolo del seguito di Finding John, (grazie a chi l’ha recensita/preferita/seguita/ricordata!) spero vi piaccia e di non aver fatto un altro enorme casino con la traduzione. Come sempre se avete suggerimenti/correzioni/critiche/commenti/ecc, non esitate a farmelo sapere! :)

L’autrice mi ha chiesto di dirvi che, per quanto ora la storia sia in stand-by, ha dei progetti per essa anche se potrebbero richiedere un po’ di tempo, ma che comunque ha almeno intenzione di provare ad aggiornare nuovamente. È stata molto contenta di ricevere i vostri commenti per la one-shot, vi ringrazia per averla letta e spera vi piacerà anche il seguito!

Per quando riguarda la periodicità degli aggiornamenti, spero di riuscire a caricare un capitolo ogni 2/3 settimane circa, anche se non sono certa di potervi garantire di spaccare il minuto, vi prometto che porterò a termine la traduzione, ok? *Scappa prima che decidano di tirarle addosso qualcosa di troppo pesante*

Bene, evidentemente la sintesi non è il mio forte, ora smetto di tediarvi, vi lascio solo delle Note alla Traduzione, se vi interessano:

[1] They’ve bitten for more than they can chew. È un’espressione idiomatica che equivale, grossomodo, al nostro “fare un passo più lungo della gamba”; per via della descrizione successiva che si riferisce ancora all’avere la bocca piena, non l’ho adattata, altrimenti avrei dovuto inventarmela io e non mi sembrava il caso. Comunque credo che abbia un senso anche in italiano, nonostante non sia un nostro modo di dire. Se avete suggerimenti, fatemi sapere, pls! :)

[2] […] John’s knickers al twisted up. Altra espressione idiomatica. Letteralmente vuol dire ‘[…] John aveva tutte le mutandine arrotolate’ e si usa per dire che qualcuno è arrabbiato; colloquialmente si dice ‘Don’t get your knickers in a twist’ a qualcuno di agitato o che si arrabbia facilmente, per suggerirgli di calmarsi/aver pazienza. Se viene detto a qualcuno arrabbiato per un buon motivo, potrebbe risultare offensivo. Esistono delle varianti, con parole differenti per knickers, ma che comunque indicano biancheria intima femminile, oppure twist sostituito da bunch. Non mi sono venute in menti frasi idiomatiche italiane equivalenti, così l’ho reso con ‘avere le balle girate’; anche qui, se qualcuno ha qualche idea migliore questa è un po’ troppo stiracchiata, forse mi faccia sapere! :)

[3] Newly-bonded: alterazione di newly-weds “sposini, sposi, novelli”, per assenza di un’idea migliore l’ho reso con “appena-legati”, suggerimenti? *Sbatte la testa contro ogni spigolo che le si offre a portata di mano*

[4] John will excuse himself: credo sia la formula di cortesia per quando, ad esempio, ci si alza da tavola o si lascia la conversazione con qualcuno; tradurlo letteralmente non ha senso in italiano, l’ho interpretato come un modo elegante per dire che usciva di casa, dire ‘in questi momenti John si esonera/scusa/giustifica’ non credo abbia senso. Sapete come si potrebbe rendere in italiano? A me non viene in mente. T.T

[5] Se volete approfondire l’argomento, vi rimando alla pagina wikipedia sulla sindrome di Asperger

Un’ultima cosa: qua e la ho sostituito i nomi propri di Sherlock e John quando mi sembrava ce ne fossero troppi nel giro di poche frasi e stonassero perché ripetitivi. Spero la cosa non vi dispiaccia, se ritenete che debba rimanere più fedele all’originale, fatemi sapere e mi regolerò per i prossimi capitoli. ^^

Baciotti Myreen :3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** En-suite ***


Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

Warning: leggere imprecazioni

 

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

 

Capitolo 2: En-Suite

 

John detesta davvero alzarsi nel bel mezzo della notte. Non importa quanto buona sia la ragione, lo fa sempre incazzare aprire gli occhi e rendersi conto che è un’ora assurda, come le cinque del mattino, e che fuori è ancora buio. Lo odia soprattutto quando a svegliarlo sono le sue stesse urla. Ci vuole un secondo per rendersene conto, ma la stanza ha quell’aria di silenzio pesante, angoscioso, che denota una recente cacofonia. Spera di non aver svegliato Sherlock. Sono rientrati solamente alle due, quella mattina.

Non è sicuro di cosa stava sognando. Non era un incubo sull’Afghanistan -questi li ricorda sempre e le sue coperte non sono neanche lontanamente aggrovigliate abbastanza. Di solito, gli incubi sull’Afghanistan sono molto più violenti. Si concludono con lui intrappolato nelle lenzuola e fradicio di sudore. Sfortunatamente, quello non restringe granché il campo. Avrebbe potuto essere praticamente qualsiasi cosa. Era sempre stato incline agli incubi. Passava almeno una notte a settimana nel letto dei suoi genitori, quando aveva tra i sei e gli otto anni. A sua mamma piace ancora prenderlo in giro per questo, tuttavia non così vicina alla spietatezza come Harry era solita (ancora adesso, a volte) farsi beffe di lui, per aver bagnato il letto, per la stessa ragione.

Cerca di afferrare quello che può del sogno, si ricorda il rumore -così tanto chiassoso rumore. Alcune avrebbero potuto essere urla. Anche spari. Nonostante ciò, sapeva che non era un sogno sull’Afghanistan. Non c’era sabbia bollente e dolore accecante alla sua spalla e, più importante, nessuna delle urla era sua. Non fin proprio alla fine, quando le sue stesse grida senza senso l’avevano svegliato.

Ma non riesce a ricordare né cosa stava urlando, né l’argomento del sogno stesso.

Rotolando su un lato, sblocca il suo telefono. È più tardi di quanto pensasse, più vicino alle sei che alle cinque. Ancora oscenamente presto, ma abbastanza tardi da sapere che non riuscirà a dormire ulteriormente. Almeno non prima di mezzogiorno, quando il suo corpo rifiuterà qualsiasi altra attività finché non si sdraierà sul divano e farà un sonnellino di un’ora. Prevedendo di non avere un caso tra adesso e dopo. Cosa poco probabile, vedendo come anche Sherlock ha bisogno di riposo. È stato sveglio per tre giorni di fila sul caso di Dimmock; ‘Il Banchiere Cieco’ l’aveva chiamato John nel suo blog. A meno che qualcuno manchi di informare Lestrade, il DI non chiamerà per almeno due giorni.

Trascina sé stesso fuori dal letto. Scivola giù dalle scale, scende in bagno per liberarsi. Il bagno annesso alla camera di Sherlock è l’unico dell’appartamento, a meno di contare quello che una volta era un gabinetto comune al piano di sotto, di fronte alla porta del 221A. Va bene usarlo se è proprio necessario, come quando John ha bisogno di pisciare come un cavallo da corsa e Sherlock sta facendo qualcosa di assurdo con la doccia o il lavandino o, a volte, il water stesso. Di certo, difficilmente ha voglia di andare di sotto ora.

Si assicura di essere silenzioso, tuttavia, perché è connesso alla camera di Sherlock. Per qualche ragione, i suoni viaggiano più velocemente e dieci volte più chiassosi fra le tre e le sei del mattino, che in qualsiasi altra ora del giorno.

Nonostante la porta che da’ accesso al bagno dal salotto sia leggermente socchiusa, la porta che lo connette alla camera di Sherlock non lo è. John non è molto sicuro di cosa farne, poiché Sherlock non chiude le porte molto spesso. John ne è perfettamente conscio, perché è lui quello che deve corrergli dietro, chiudendo e serrando tutte le porte che l’altro lascia aperte sul suo cammino. In realtà, in qualche modo è rassicurante sapere che lo sfacciato disprezzo di Sherlock per gli spazi personali si estenda al detective stesso. Malgrado gli altri suoi difetti, Sherlock è una delle persone meno ipocrite che conosca.

La porta chiusa da’ fastidio a John per dei motivi che non può proprio spiegare. Dopotutto, è il bagno di Sherlock, quindi riguarda ancor meno le convenzioni sociali delle porte chiuse che il detective ignora. D’altra parte, forse aveva freddo o le tubature facevano rumore. O magari è un avvertimento per John di stare alla larga, per quale che sia la ragione. John non è all’oscuro dei vari motivi per cui gli uomini vogliono della privacy, di notte, nella propria camera. Anzi, l’Unico Grande Motivo, che chiunque conosce ma caparbiamente ignora. Il pensiero fa contrarre il suo pene mentre si riabbottona i pantaloni del pigiama. Più sorpreso che altro. Non è solito pensare a Sherlock sessualmente. Non che non sia dannatamente fantastico, perché chiunque abbia gli occhi può vederlo. Semplicemente non è ancora abituato a pensare a Sherlock del tutto. Non è ancora giunto al punto di essere a proprio agio avendolo nella propria vita. Sta ancora familiarizzando, ancora provando ad adeguare il buco a forma di Sherlock nella sua vita mentre viene riempito. Ha l’impressione che in qualsiasi momento si potrebbero render conto che c’è stato un errore, che lui non è lo Sherlock di John.

Forse è ciò che lo trattiene dal seguire la relazione che si suppone dovrebbero star costruendo; tenendoli entrambi alla larga da essa, in realtà. Per la sua vita, non è capace di ricevere segnali precisi da Sherlock. Non riesce ad immaginare se le avance romantiche saranno benvenute o spazzate via. A volte deve trattenersi fisicamente dal sollevare Sherlock (e sa di esserne in grado, Sherlock è alto, ma è leggero e John è più forte di molti uomini della sua statura) e sbatterlo sul tavolo della cucina per baciarlo con foga.

Quello non è davvero un pensiero da avere mentre si trova a pochi metri dal corpo privo di coscienza della sua Anima Gemella.

Si lava le mani, quindi rimane di fronte allo specchio per un momento, fissando la sua stessa faccia assonnata e chiedendosi se dovrebbe controllare Sherlock. Una sbirciatina non può far male; metterà solo la testa dentro, vedrà che sta bene, e filerà di nuovo fuori. Sherlock non ha il sonno troppo leggero, quindi la spedizione probabilmente non lo sveglierà. Soprattutto non quando è profondamente in uno dei suoi coma da-sedici-ore post-caso.

Lentamente, e tremando a tutti gli scricchiolii del pavimento (sono incredibilmente assordanti nel pesante silenzio prima dell’alba), si muove con cautela verso la porta della camera del detective. Spera che non sia chiusa a chiave, perché se Sherlock ha chiuso e girato la chiave della porta della sua stanza, crede che questo possa trasformare la sua pigra preoccupazione in un’ansia completamente sviluppata, e  non è sicuro di come potrebbe reagire a quello. Per fortuna, tuttavia, la porta non è chiusa a chiave, e si apre senza troppe proteste o rumore.

La apre solo quanto basta per poter infilare la sua testa. Sherlock è sdraiato su un lato, dando le spalle alla porta. Ha calciato via le coltri durante il sonno, lasciando solo un piede coperto, mentre il plaid cerca di fuggire sul pavimento. Da qui John può vedere il profilo della sua spina dorsale attraverso il tessuto aderente della sua maglietta  grigia del pigiama. È veramente troppo magro. John proverebbe a farlo ingrassare, ma è troppo guardingo, con Sherlock che deduce le sue intenzioni e lo critica per questo. Se c’è una cosa per cui un dottore non può sopportare di venir criticato, è la sua capacità di preoccuparsi.

Dio, ma si congela in questa stanza. Probabilmente perché l’enorme libreria che Sherlock tiene qui dentro sta bloccando la ventola. Sherlock si sveglierà ben presto per il freddo, se John non prova a coprirlo nuovamente. Si chiede se ne valga il rischio. Sherlock potrebbe solo addormentarsi di nuovo, o svegliarsi ai movimenti di John. Uno Sherlock post-caso che non ha avuto un appropriato riposo è sinonimo di demonio o Mostro di Frankenstein.

Un visibile brivido di Sherlock prende la decisione per lui. Fa davvero freddo in modo assurdo qui dentro; Sherlock non dovrebbe stare senza coperta.

La stanza è ricoperta da tappeti, smorzano i suoni del pavimento scricchiolante. Comunque, cammina, facendo attenzione, verso il letto di Sherlock. Si ferma appena prima che le sue ginocchia entrino in contatto con il letto e permette a sé stesso di fissare per un momento lo sguardo in basso, verso la sua Anima Gemella. Sherlock appare estremamente giovane quand’è addormentato. Tutte le rughe sul suo viso, per l’accigliarsi mentre pensa e per il cipiglio che assume con le persone che non gli piacciono, sono appianate. John l’ha visto addormentato, prima d’ora, ovviamente, ma mai nella sua stanza, di notte. È bellissimo in un modo astratto e non ortodosso. John ha la sensazione del guardare ma non toccare, la nostalgia delle gite al museo di quando era alle elementari. Si stupisce della probabilità che una simile creatura ultraterrena possa essere la sua Anima Gemella.

Trattenendo il respiro, John raggiunge le lenzuola dove sono cadute e le tira su, fuori da sotto il letto. Intende solo raccoglierle, metterle sulle spalle di Sherlock e creare il minimo disturbo, quindi sgattaiolare fuori dall’altra porta -la quale è anch’essa chiusa, non può far a meno di notare- ed entrare in salotto. Preparare un po’ di tè, forse, accendere la televisione, e cercare in internet qualche offerta di lavoro.

Quel piano fallisce quando Sherlock allunga una mano ed afferra il suo polso mentre sta cercando di sistemare la coperta sopra di lui.

John tarsale. Non se lo aspettava. In qualche modo riesce a trattenere il suono meno-che-virile che cerca di sfuggirgli. Dice invece “Cristo santo!”

Sotto il suo ciuffo, gli occhi di Sherlock sono assottigliati a fessura, sospettosi. Fa sentire John imbarazzato, anche se sa di non aver fatto nulla di inappropriato.

“Cosa stavi facendo?”

“Ti stavo coprendo”, dice John velocemente, lasciando cadere la coperta dall’altra mano e cercando, al contempo, di strattonare via il suo polso dalla presa di Sherlock. Il detective lo lascia e si mette a sedere, tirando le gambe al petto e appoggiandosi contro la testata del letto. Il movimento è particolarmente sulla difensiva, e John spera che le sue azioni non siano state interpretate nel modo sbagliato.

La testa di Sherlock si inclina da un lato. “Perché?”

“Sembravi aver freddo. Perché ci sono cinque gradi in meno qui dentro che nel resto della casa, comunque?” Si volta in direzione della libreria, cercando di capire se possa muoverla. Può sentire lo sguardo truce di Sherlock su di sé. È abbastanza sicuro sia perché non vuole che John ficcanasi in giro per la sua stanza.

“Mi piace in questo modo. Perché eri qui, in primo luogo?”

“Stavo usando il gabinetto e ho deciso di controllarti.” La libreria, dopo un’ispezione ravvicinata, è troppo pesante perché possa spostarla da solo, e Sherlock di sicuro non l’avrebbe aiutato. Torna a guardare Sherlock e chiede: “Vuoi che ti compri un calorifero elettrico? Fa dannatamente freddo qui dentro e non stai ottenendo abbastanza calore dalla ventola.” Pensa che potrebbe ancora avere il suo vecchio calorifero elettrico da qualche parte, nel deposito dove ha messo ogni cosa quando è partito per il suo primo viaggio in Afghanistan. Poi però, quello richiederebbe trovare la chiave del lucchetto, e nel corso degli anni John l’ha effettivamente persa. Non c’è davvero niente di molta importanza per lui in quel deposito serrato. Solo pochi mobili. La scrivania che aveva usato all’università, così come la struttura del letto.

“Non sarà necessario. Chi ha detto che potevi entrare nella mia camera? ”

Ovviamente, Sherlock è fissato e determinato a non lasciar perdere. La pazienza di John sta scivolando via, anche se Sherlock ha tutto il diritto di essere in qualche modo infastidito per l’invasione dei suoi spazi, da parte di John, nel mezzo della notte. Le sue sopracciglia si contraggono. “Nessuno. Ma ero preoccupato, così ho guardato dentro. Volevo assicurarmi che stessi bene.”

“Perché?”

John sospira, strofinandosi le tempie. È estenuante cercare di ragionare con Sherlock, e tutto ad un tratto si sente come se potesse tornare a letto e dormire per dodici ore. “Perché... la tua porta era chiusa, ed ero preoccupato. Mi dispiace. Non sapevo ti avrebbe dato fastidio; non lo farò di nuovo”.

“Perché dovrebbe preoccuparti se chiudo la mia porta?”

“Sherlock, lascia perdere, okay?” Trascina le dita sul suo viso, distendendole per un momento e chiude gli occhi strizzandoli come se pungessero per essere stati esposti a troppa aria. Quando li apre di nuovo, Sherlock è una confusione blu-e-grigia sul letto. Si gira per iniziare a dirigersi verso il salotto. Non vuole più discutere. Dietro di sé, sente il letto scricchiolare. Pensa che Sherlock sia caduto di peso su un lato, seppellendo sé stesso nelle coperte per mettere il broncio.

Poi, “Perché dovresti sentire il bisogno di controllare qualcuno che è solo un collega per te?”

“Sherlock, ti ho detto-” gira su sé stesso, le braccia stese lungo i fianchi. Sherlock si è mosso verso il bordo del letto, i suoi piedi sul pavimento freddo. John può vedere i suoi brividi delicati da qui. Gli ci vuole un momento per processare ciò che ha detto. Assorbe lo sguardo di accusa di Sherlock e ha l’impressione di aver fatto un grosso errore. Mormora, “Cosa? ”

“È quello che hai detto a Sebastian.”

Sebastian? Sebastian Wilkes? Quando Sebastian Wilkes era entrato nella conversazione? A John la compagnia dell’uomo non era piaciuta per niente. Poco prima, quella sera, era soddisfatto nella consapevolezza che quell’uomo non avrebbe più varcato la sua soglia o attraversato ancora i suoi pensieri. Neanche dodici ore dopo, è in qualche modo il motivo per cui la sua Anima Gemella sta tremando alle sei del mattino.

“Sebastian cosa?”

“Quando ha chiesto in che relazione sei con me. Ho detto amico, tu hai detto collega in maniera ovviamente correttiva. A quanto pare non volevi che Sebastian mi scambiasse per nulla più che un partner di lavoro per te. Sebastian non è qualcuno di importante per te e non è neppure qualcuno con cui entrerai nuovamente in contatto -specialmente non se io posso impedirlo- e comunque hai sentito il bisogno di lasciargli impresso che non sono altro che una tua conoscenza professionale. Non avevi motivo di mentire a Sebastian, perciò devi pensare a me solo come ad un collega. Quindi ripeto la mia domanda: perché dovresti essere preoccupato per qualcuno che è solamente un collega? ”

È fin troppo presto per tutte queste parole, e a John serve qualche momento per processarle tutte quante. Geme quando lo fa. “Sherlock. Stai scherzando, vero? Mi devi star prendendo in giro, perché non puoi sul serio pensare che niente di ciò che ho detto a quell’essere spregevole dal sorriso compiaciuto importi un cazzo, giusto?” Per di più, non pensa davvero che John creda quello, o sì?

Il viso di Sherlock assume uno sguardo confuso e già di nuovo ribelle. Per un momento, la sua somiglianza fraterna con Mycroft aumenta. “Certo. Non c’è motivo di mentire agli sconosciuti.”

Per qualche ragione, John non può far a meno di ridacchiare. In qualche modo è una reazione da sto-ridendo-per-non-piangere. È in certo modo sollevato che il motivo dell’auto-isolamento di Sherlock sia saltato fuori essere qualcosa di così semplice e sciocco. Sembrerebbe che perfino i geni possano giungere ad alcune conclusioni molto stupide. Allo stesso tempo, lo infastidisce che Sherlock possa anche solo considerare che John si senta in quel modo. Nessuno dovrebbe mai pensare che la propria Anima Gemella non tiene a te. Lo fa sentire grande quanto una formica(1).

Si siede sul letto, di fianco a Sherlock. Può sentire la sua Anima Gemella chinarsi, ma non si muove veramente. John lo prende come un buon segno, per quanto piccolo possa essere.

“Sherlock... a volte dimentichi che non tutti si comportano secondo modelli predeterminati. Non siamo colture di batteri, non siamo schemi ammaccati. Non puoi predire come si comporterà una persona, perché ognuno è diverso. Alcuni sconosciuti, sì; non vedo il motivo per mentire ad essi. Ma quel tizio, Sherlock... semplicemente mi ha preso per il verso sbagliato. Non potevo sopportare di guardarlo in faccia, figuriamoci ascoltare ogni sorta di commento ignorante che avrebbe fatto se avesse saputo che ero la tua Anima Gemella.”

“Immagino.” Sherlock si muove ora, di nuovo contro la testata del letto. Incrocia le sue braccia e mormora, “Non vorrai che qualcuno sappia che il mostro è la tua Anima Gemella, men che meno Sebastian.”

“Sherlock, no.” Geme, sfregando di nuovo il proprio viso. “Non è quello che intendevo. Esattamente l’opposto. Voglio dire...” Per lui è difficile dirlo ad alta voce, perché sta cercando di persuadere Sherlock delle stesse insicurezze. “Lui è... voi eravate insieme all’università. È molto più vicino al tuo calibro di quel che sono io. Io solo... non volevo dare a quel coglione nessun’altra ragione per criticarmi, di quante già non ne avesse.”

Con cautela raggiunge e afferra la caviglia di Sherlock. È incredibilmente sollevato quando non tira via il suo piede.

Sherlock lo fissa, come fosse un enigma. Azzarda “Non volevi che lui giudicasse te? ” e lo dice come se il pensiero non sia mai passato per la sua mente. Conoscendo Sherlock, è molto probabile non l’abbia fatto.

“Mi hai dato un’occhiata, ultimamente? Quel tizio potrebbe doppiarmi infinite volte nell’ambito delle classi sociali(2).” Non è per essere auto-denigratori. Sa bene che la sua scelta di vestiti è al meglio sciatta, e non è per niente vicino allo schianto che è Sherlock. Non è fonte di insicurezza per lui. Piuttosto, pensa lo faccia sembrare avvicinabile, il che ha funzionato a suo favore più di una volta. No, John Watson non è un uomo insicuro. Ma non devi essere insicuro per essere terrorizzato all’idea che un qualche opprimente idiota, con uno straripante complesso di superiorità, tiri fuori tutti i tuoi difetti di fronte alla tua appena-trovata Anima Gemella.

“Penso scoprirai che ti dedico un po’ toppa attenzione,” mormora Sherlock, e John può solo vedere appena i suoi occhi -sono spuma marina ora, del verde più chiaro- da sotto le sue folte ciglia. John vuole abbracciarlo.

“Questo va bene. Ci sono giorni in cui non posso smettere di fissarti.” Sembra uscirgli senza il suo permesso. Gli occhi di Sherlock si allargano.

Per camuffare l’imbarazzante scivolone, sale poco a poco sul letto, finché non è inginocchiato sulle caviglie di Sherlock. Il detective stende le sue gambe, così John è più in prossimità delle sue ginocchia. Sherlock odora di cotone pulito. “Dipende tutto dall’orgoglio, Sherlock. C’è un motivo, se è uno dei peccati capitali. Non potevo sopportare l’idea che cercasse di confrontarci, chiedendosi come fossi finito ad avere l’Anima Legata a te.” C’è un intero gruppo di persone che crede che le Anime Gemelle dovrebbero appartenere alla stessa classe, religione, o, in casi più estremi, razza. Credono che i ricchi dovrebbero stare con i ricchi, i cristiani con i cristiani, i bianchi con i bianchi. Gli estranei ai loro stessi gruppi sociali non sono ben rispettati.

Sebastian Wilkes era sembrato uno di essi.

“Sì... Sebastian aderisce a quel... dogma...(3)” Sherlock si acciglia e circonda con le sue mani entrambe le ginocchia di John. Questi si muove finché non è sul grembo di Sherlock. “John, a me non... importa delle classi, lo sai vero?”

“Certo.” Sherlock viene da una famiglia dell’alta società, questo è sicuro, ma qualcosa dev’essere successo da allora. È ovviamente stato tagliato fuori. John non è sicuro come sia successo, tuttavia può azzardare che abbia qualcosa a che fare con le periodiche retate anti-droga di Lestrade. Il punto è che Sherlock non è più esattamente nella stessa classe in cui è nato. In quel momento, è più vicino a John che a Sebastian Wilkes.

“Quindi perché hai voluto...?”

“Te l’ho detto. Non mi andava di venir preso per i fondelli da qualche spregevole banchiere snob. Fine.”

Rimangono in silenzio per quelli che devono essere almeno dieci minuti. Sherlock guarda fisso verso di lui, dentro di lui. John cerca di rimanere immobile sotto il suo esame. Alla fine, il detective dice, “Questo è complicato. Questa è la cosa più complicata che abbia mai fatto. Non so davvero come comportarmi quando si tratta di te. Non mi sono mai sentito in questo modo per nessuno.”

“Beh, spero proprio di no,” sbuffa John. Lo intendeva scherzando. Sherlock reagisce in modo completamente opposto. Allontana lo sguardo, come se fosse stato accusato di qualcosa, John non può far a meno di chiedersi quando smetterà di far uscire gaffe dalla sua bocca. “Cosa? Cosa c’è?”

“John... probabilmente dovresti sapere...” Sherlock sembra improvvisamente molto interessato alle sue dita.

“Sebastian... all’università abbiamo avuto un po’ più di storia tra di noi che solo amici.”

“Cosa vuoi dire?” sussurra John.

“Sebastian è il suo secondo nome. Il suo primo nome... il suo nome di battesimo è John.” John ricorda vagamente la targhetta placcata in oro di Sebastian, su cui ha letto J. Sebastian Wilkes, non ci aveva davvero pensato. Ora il suo stomaco precipita da qualche parte nella zona delle ginocchia. “Io... per un po’, al mio terzo anno all’università, siamo usciti. Pensavo fosse la mia Anima Gemella. Sono stato ingenuo, non conoscevo la procedura appropriata, e non ho mai visto la sua SBI finché...”

“Oh.” John non è nemmeno più sicuro di aver ancora uno stomaco, è caduto troppo lontano. Chiede, “Avete…?”, tuttavia non è certo di voler sapere la risposta.

“No. Quasi, ma no. Alla fine l’ho obbligato a mostrarmi la sua SBI prima che facessimo sesso e, ovviamente, non è mai successo. La sua SBI era Lisa.”

Una parte di John, una parte vergognosamente larga, è assurdamente felice che Sherlock abbia avuto il suo cuore spezzato dal quel repellente Sebastian Wilkes. Una parte più piccola rimpiange che Sherlock abbia avuto quell’esperienza del tutto. L’idea dell’uomo incontrato in precedenza, che anche solo tocca la sua Anima Gemella crea in John il forte desiderio di essere violentemente malvagio. “Sherlock…”

“È ok. L’ho superato. Non avevo neanche più pensato a lui per anni finché non mi ha scritto un’e-mail.” Sherlock respira profondamente ed esala. John sa che quella non è la verità. Cose come quella feriscono un uomo. “Io sono solo… dispiaciuto.”

“No. No, non essere dispiaciuto. Non avresti potuto saperlo. Lui te l’ha lasciato credere, è-non eri-non è colpa tua.” Lo dice con fermezza, per scacciare via ogni dubbio dalla mente di Sherlock.

Gli fa male vedere Sherlock così; confuso ed incerto su come procedere. È così sicuro di sé negli altri fattori della vita. Arrogante, perfino. Mentre la parte della vita che da’ fiducia alla maggior parte delle persone, la loro relazione con la propria Anima Gemella, lo confonde e disorienta.

John non è sicuro di come si senta al riguardo. Non è sicuro di come si senta ad essere egli stesso il motivo di insicurezza nella vita di Sherlock.

“Sherlock. Non sai quanto rimpiango di non aver cercato di trovarti dieci anni fa. Il tuo nome è così unico, sarebbe stato facile trovarti. Ma continuavo a rimandare, dicendo a me stesso che non volevo rimanere incastrato così presto, e…” sospira, e solleva lo sguardo per incontrare quello sul viso di Sherlock. Non ha idea del perché abbia pensato che prolungare la sua Ricerca fosse in qualche modo intelligente. Avrebbero potuto avere così tanto tempo, se solo avesse messo il suo culo in marcia. Dipendeva, davvero, tutto da lui. Avrebbe rasentato l’impossibile, per Sherlock, trovarlo, in un mare di uomini con il suo stesso nome, anche con l’uso dei molti aiuti multimediali disponibili per facilitare la Ricerca.

“Quando ero più o meno ventenne, ho passato un piccolo periodo cercando di trovarti. Ma non sono riuscito a trovare traccia del tuo nome.”

“Non avresti potuto. Avevo solo quindici anni. Non ero ancora registrato.”

“In un certo senso me ne ero reso conto. Per questo ho smesso di provare. Non avevo modo di sapere quanto giovane fossi e, onestamente, non volevo venir coinvolto con qualcuno così giovane, anche se era la mia Anima Gemella.” Cerca di dirlo per scusarsi, ma non c’è davvero un modo gentile per dire Non volevo venir incastrato da un bambino. “Negli anni ho cominciato a pensare… Beh, quando accadrà, accadrà.”

“Sono contento che sia accaduto quando l’ha fatto.”

John annuisce e tutto diventa silenzioso. Il suo cervello non sta facendo un gran bel lavoro processando tutte le informazioni che ha raccolto nell’ultima mezz’ora, sia sull’argomento di Sebastian Wilkes che sugli stessi processi di pensiero di Sherlock. Di certo, dovrà cominciare a rendere il suo affetto più visibile. Sta dando a Sherlock tutti i segnali sbagliati. Ha bisogno di correggere i suoi errori. Ha bisogno di cambiare direzione. Decide di iniziare da ora; toglie il suo anello e mostra a Sherlock la sua SBI. Il detective si piega in avanti distrattamente-assente e preme le sue labbra sulla carne in rilievo.

“Sherlock. Lo sai che io…” è sulla punta della lingua per dire ti amo, ma quello è troppo, quello è troppo presto. È qualcosa che non è ancora a suo agio a dire, perché non è completamente sicuro che quello che prova per la sua Anima Gemella si sia già evoluto in esso. “…tengo a te. Profondamente. Giusto? ”

“Mmm.”

“Non mi vergognerò mai di te.” Potrebbe farlo imbarazzare, certo; soprattutto quando è scortese e distaccato. Ma non si è mai vergognato di aver Sherlock al proprio fianco. Mai vergognato di avere il nome di Sherlock sul suo dito. Non pensa di esserne capace. “Non importa ciò che dico, non è perché mi vergogno di te. Capito?” Al cenno del capo leggermente riluttante di Sherlock, sorride e preme le sue labbra contro la mandibola dell’altro.

Sherlock sbadiglia.

“Sei stanco. Vai a dormire.” Non aveva avuto intenzione, prima quand’era entrato, di passare quaranta minuti discutendo la loro relazione. È esausto, giustamente, e si chiede se abbia la forza di tornare su, nella sua camera. È difficile credere che un’ora fa aveva deciso di alzarsi per la giornata.

Sherlock risolve questo problema per lui. “Rimani. Per favore.”

Siccome John vuole ancora abbracciarlo, cede senza proteste o commenti, e rotola al suo fianco per prendere Sherlock tra le proprie braccia. La testa trova la sua strada sotto il mento del detective, il suo braccio intorno alla vita dell’altro. Può sentire il suo respiro caldo tra i propri capelli. Può sentire il suo aroma di cotone pulito. C’è un piacevole fremito nella sua pancia. Pensa che Sherlock potrebbe essere semi eretto per via di John che è stato sul suo grembo per così tanto tempo. Decide di ignorarlo, per ovvie ragioni. Nessuno di loro è pronto per questo, e farvi cenno sarebbe solo imbarazzante.

“Stavi sognando, poco fa,” mormora Sherlock prima che si addormentino. “Che cosa? Stavi urlando. Mi ha svegliato.”

Così è per questo che Sherlock era sveglio abbastanza da afferrare il suo polso così saldamente. Ha pensato che fosse un po’ troppo forte per la presa di una persona mezza-addormentata, anche se questa persona capiti essere Sherlock Holmes. John fa schioccare la lingua. “L’ho fatto? Scusa, amore.”

“È okay. Cosa stavi sognando?”

“Non ne sono sicuro. Niente in particolare, immagino. È stato solo un incubo. Ne faccio molti, questo lo sai. Perché?”

“Stavi urlando il mio nome.”

John resta risolutamente fermo e cerca di non sentirsi imbarazzato. Non ci riesce davvero. In teoria, sa che non ha un reale controllo su ciò che sogna, ma non rende meno mortificante essere beccato mentre fai sogni sulla tua appena-trovata Anima Gemella. Le cose sono già abbastanza strane, per il primo mese, così come sono.

“Io... uh...”

“Va bene se non ti ricordi.”

“Già, davvero non ricordo.” Sospira e si chiede perché sembri una bugia. Per la sua stessa vita, non riesce a ricordare cosa stava sognando. È strano, perché di solito gli incubi gli si attaccano. Almeno abbastanza da poterli trascrivere, il che è ciò che Ella gli aveva detto di fare per un po’, finché non si è resa conto che i suoi incubi erano tutti uguali, ed era probabilmente controproducente fargli trascrivere gli stessi quattro paragrafi tutte le notti. Sto camminando su una strada quando all’improvviso sento degli spari. Sento le voci dei miei uomini, che urlano di star giù, e sento anche delle voci in Farsi. Non riesco a capirle.
Estraggo la mia arma...

“Watson! Presto, il suo revolver!”

Quello è strano.

Quello è molto strano.

Non lo hanno mai chiamato ‘Watson’ nell’esercito. Era ‘Doc’ o ‘Capitano’ per lo più.

Non portava un revolver. Era un fucile. Un fucile legato alla sua schiena che portava con sé ovunque andasse, perché in Afghanistan non si può mai essere troppo al sicuro o al sicuro del tutto, in realtà...

Le strade sulle quali si trova non sono quelle dell’Afghanistan, sabbiose e delineate da residenze che sono più baracche che case. Si trovano per le strade di Londra in un tempo diverso, nebbioso e fosco e pieno di mistero e pericolo. Una figura elegante corre davanti a lui, a fuoco e sfocata. Può sentire il sapore di sabbia ed adrenalina, l’odore di sudore e fango ed il Tamigi. Le immagini si confondono insieme, Afghanistan e Londra. Il viso del ragazzo sanguinante che stava cercando di salvare quando gli hanno sparato, le scioccanti iridi verdi di uno sconosciuto che non sembra uno sconosciuto. Anch’egli sta sanguinando.

“Watson,” dice. La voce così familiare. “Temo che questa possa essere la nostra ultima avventura, mio caro.”

Sovrapposto, il giovane soldato. Soffocando: “Dì a mia mamma che ci ho provato.”

John Watson si sveglia di colpo, non essendosi nemmeno reso conto che stava dormendo. C’è luce fuori, è almeno mezzogiorno. Sherlock sta lottando con le lenzuola, ovviamente svegliato dai movimenti frenetici di John. Il dottore si siede, avendo bisogno di sentire l’aria fresca sul suo viso, avendo bisogno di respirare. Sherlock sta chiedendo cosa cosa e John solleva una mano per quietarlo. Una mano atterra sulla sua schiena, sfregando un po’ troppo vigorosamente per essere confortante. Ciò nonostante, John apprezza l’intenzione.

“Stai bene?” chiede Sherlock.

“Sì, starò bene. Io solo...” raggiunge e prende fra le mani il viso di Sherlock. Ha bisogno di confermare a sé stesso che Sherlock è li. È arruffato dal sonno, i suoi occhi sono confusi, ma è li, è Sherlock Holmes. È il duemila-dieci, non il millenovecento-dieci.

Lo bacia. In parte per il sollievo. In parte per riaffermare l’esistenza di Sherlock, la sua sicurezza, perché a volte quei sogni possono sembrare troppo reali. Non era neppure Sherlock di cui stava sognando di...

“John,” borbotta Sherlock contro le sue labbra, “John, fermo.”

John si tira indietro con uno scatto, cominciando a tornare in sé. Le labbra di Sherlock sono gonfie. Quando forte era stato quel bacio? Non ne sembra infastidito, è più perplesso che altro. La sua lingua sfreccia fuori, per leccare le proprie labbra livide, e chiede, “Cosa stavi sognando?”

Apre la propria bocca per rispondere, ma non ottiene nessun risultato. Cerca di trovare le parole che stava per dire, ma l’hanno abbandonato. Non riesce a ricordarle per niente, ora. Nel momento in cui ha cercato di verbalizzare il resoconto, lo ha lasciato.

Mormora, “Non lo so.”


Eccoci qui, secondo capitolo, e sono riuscita a rimanere nelle due settimane e a non sforare verso le tre… Spero di fare altrettanto anche per i successivi, il terzo è già a buon punto, mi mancano le ultime pagine e la revisione finale, quindi –stranamente, salvo incidenti vari- dovrei essere puntuale anche per il prossimo… incrociamo le dita! :)

Anche questa volta spero di non aver fatto un gran macello come mio solito e che la traduzione sia comprensibile e non stravolta.
Ho tradotto e inviato tutte le vostre recensioni all’autrice (a proposito, grazie a tutti), ma per ora non mi ha risposto, probabilmente è impegnata, non appena lo farà vi aggiornerò, non temete!

Ora smetto di vaneggiare, vi lascio delle Note alla traduzione se vi interessano:

(1) […] about an inch big: letteralmente è ‘grande quanto un pollice’ (che è circa 2,54 cm) non essendo un nostro modo di dire, né una nostra unità di misura, ho optato per “italianizzarlo”. (A voler essere pignoli, la formica media è un po’ meno lunga di un pollice, ma c’è una specie che può raggiungere i 2,9 cm, quindi più o meno ci siamo. :p )

(2) That guy could do circles around me in the class department: non sono molto sicura di aver reso la traduzione in modo corretto. Ovviamente letteralmente non suona granchè bene in italiano, quindi ho cercato di adeguarla a come l’ho interpretata io; se qualcuno la ritiene errata e ha un’opzione migliore, me lo faccia sapere per favore, grassssie (ogni correzione o altro è sempre ben accetta!) ^-^

(3) […] subscribe to that… stigma…: allora, qui ho reso stigma con ‘dogma’, perché lasciare stigma (che in italiano ha lo stesso significato) o mettere ‘marchio/macchia’ che è sinonimo di stigma in entrambe le lingue, non mi quadrava. To subscribe in senso figurato vuol dire ‘aderire’ appunto, ad una teoria, quindi credo abbia più senso dogma che stigma; ovviamente dogma è da intendere sentito come tale solo dalle persone aderenti a questa cerchia di “fondamentalisti” (se così possiamo chiamarli) e non da tutti quanti, quindi non c’è nessun riferimento a dogmi politici o religiosi a noi noti, è un dogma a sé, che rispettano e in cui credono solo questi gruppi che sono selettivi nei confronti dell’appartenenza sociale delle Anime Gemelle. Bene, voi cosa ne pensate? Ho fatto male e mi sfugge qualcosa per cui ho dato un’interpretazione sbagliata? Ditemi, ditemi! :)


Bene, questo è tutto, se volete commentare/suggerire/criticare/dire-quello-che-vi-pare, you’re wellcome!

Alla prossima, baciotti :3

Myreen

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The Progress of Things ***


Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

Avvertimenti: leggere imprecazioni.

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

Capitolo 3: The Progress of Things

 

John comincia a documentarsi su delle cose, cose di cui non si era mai disturbato di preoccuparsi prima. La sua cronologia di ricerca di Google è diventata un casino delle stesse cinque ricerche, espresse in dieci modi diversi per ognuna. Legarsi per le Anime Gemelle. Come connettersi alla tua Anima Gemella. Come far sentire la tua Anima Gemella più a proprio agio. Esercizi di intimità per Anime Gemelle.

Prevedibilmente, le ricerche non hanno tirato fuori informazioni molto utili. Non è che gli articoli non siano informativi o ben eseguiti. In ogni altra circostanza, sarebbero estremamente d’aiuto. Sfortunatamente, Sherlock Holmes non è l’uomo comune, non è l’essere umano comune e, di conseguenza, non è l’Anima Gemella comune. Suggerimenti come riservate del tempo per voi due ogni giorno non funzionano per loro poiché, a differenza della maggior parte delle appena-trovate Anime Gemelle, loro stanno vivendo insieme e lo hanno fatto fin da poche ore dopo essersi incontrati. Alcuni giorni si vedono fin troppo. Stanno già seguendo suggerimenti come state senza anelli quando siete insieme da soli, mentre consigli come mostrate alla vostra Anima Gemella quanto più affetto possibile semplicemente non sono praticabili; non con qualcuno come Sherlock.

Passa attraverso periodi di completa avversione per il contatto fisico. John non finge di sapere perché.

Un’altra costante preoccupazione, nei recessi della sua mente, sono i suoi continui problemi nel dormire. Lo preoccupano, questi sogni che non riesce a ricordare. Sherlock gli ha detto di non preoccuparsene, che probabilmente è l’adrenalina che sta sperimentando su base quotidiana. Ma John è stato in Afghanistan. L’adrenalina non è qualcosa di ignoto per lui. Non è che dormisse come un bambino quand’era in Afghanistan, ma i suoi schemi onirici erano almeno un po’ più sensati di quello che sono ora. Perfino i sogni che aveva dopo il rimpatrio e la sua ferita, prima di Sherlock, erano meno preoccupanti. Erano angoscianti, sì; tutti gli incubi lo sono sempre. Ma gli uomini al ritorno dalla guerra hanno incubi per tutto il tempo. Raramente dimenticano i sogni.

Forse è per questo che è così sconcertato. Si era aspettato di avere incubi per anni. Non si aspettava che cominciassero a diminuire, molto improvvisamente, dopo solo dei mesi. Sa che alcune persone non ricordano i sogni. Possono passare mesi senza ricordare ciò che hanno sognato. Ma passare dall’avere incubi tutte le notti, a sogni da cui si sveglia ricordandoli e prontamente dimenticandoli, è angosciante.

Nonostante le sue continue preoccupazioni, le cose sono piacevoli. Piacevoli per quanto possano esserlo con Sherlock. John non è infelice, e gli piace pensare che nemmeno il consulente lo sia. Sta comunque vivendo in tandem con qualcuno che è nuovo per lui, quindi il dottore ha fatto del suo meglio per stabilire una routine domestica prevedibile, così che Sherlock sappia cosa sta per essere fatto. Ogni mattina si sveglia e prepara tè e toast. Se deve lavorare, si fa la doccia, si mette i vestiti, e si dirige fuori dalla porta, afferrando il suo anello dalla ciotola sul bancone della cucina, mentre vi serpeggia attraverso. Se quel giorno non deve lavorare, allora ozia per l’appartamento, guardando la tv o scrivendo un post sul blog o monitorando Sherlock mentre fa questo-o-quello con qualsiasi rifiuto biologico si sia procurato dal Bart quella settimana.

A volte Sherlock salta su e dichiara che i batteri hanno bisogno di essere incubati per qualche ora, quindi si allontana, fa la doccia, e ritorna con quasi lo stesso abbigliamento, solo umido. Si rannicchia sul divano e fissa John con i suoi occhi troppo-grandi. La prima volta che l’ha fatto, John non sapeva cosa significasse. Ora si alza, si avvicina e si siede con Sherlock.

Coccole, davvero, è l’unica parola per descriverlo. John è grato per quei rari momenti.

Una mattina lavorativa, passa per la cucina, mettendosi la sua giacca, e raggiunge alla cieca la ciotola, solo per scoprire un unico anello adagiato sul fondo. Giusto per esserne certo, la fissa. È di un color ambra, un antico cristallo, che è stata nella sua famiglia fin da quando riesca a ricordare. Prima nella casa di sua nonna, contenendo le mentine sul tavolo da pranzo, e poi nell’atrio d’ingresso di casa sua ad Edinbridge, dove i suoi genitori lasciavano le chiavi una volta entrati dalla porta la sera. L’ha salvata dall’appartamento di Harry una volta tornato dall’Afghanistan, temendo che potesse romperla, e l’ha insediata sul bancone del 221B. Ora lui e Sherlock vi ripongono i propri anelli quando sono soli.

Questa mattina, il suo anello non è lì dentro. Sembra esserci solo l’ornato cimelio di famiglia di Sherlock. La sua semplice fascia argento sembra non essere da nessuna parte.

È possibile che abbia mancato la ciotola quando la notte scorsa si è tolto l’anello. Era stanco e un po’ turbato dopo un lungo turno in ambulatorio. Sherlock era stato detestabile nel modo in cui lo è quando il periodo tra due casi si protrae troppo a lungo (sono passate quasi tre settimane dal Banchiere Cieco e Sherlock sta scalando i muri per l’agitazione) e, nella sua frustrazione per la vita in generale, John potrebbe aver lanciato nella ciotola un po’ troppo forte. Potrebbe essere rimbalzato fuori e aver raggiunto il pavimento.

Si china, guardando sotto il bancone e si acciglia quando non vede nulla; nemmeno la prolifera famiglia di conigli di povere che è abbastanza sicuro fosse lì ieri, o le patatine pietrificate che è certo siano state lì da quando si è trasferito. Avrebbe dovuto saperlo; stava evitando di pensare da quanto tempo erano lì ed alludeva in modo passivo-aggressivo che Sherlock avrebbe dovuto andar la sotto e dare una pulita.

Un terribile sospetto sorge nella sua mente, e torna in salotto (uno sguardo all’orologio gli dice che non ha tempo per questo; se non se ne va ora sarà in ritardo, e non arriverà in tempo per il suo appuntamento delle dieci con Mrs. Barnstead) per rivolgersi a Sherlock, che è steso sul divano con gli occhi chiusi. “Non hai visto il mio anello, vero?”

“No,” risponde Sherlock lentamente, aprendo un occhio. Drizza il sopracciglio appartenente allo stesso occhio e aggiunge, “Avevo l’impressione che fosse nella ciotola.”

“No, l’unico ad esserci è il tuo,” sospira John. Digrigna i denti. È ufficialmente in ritardo. “Non l’hai visto? Sul pavimento, niente?”

Sherlock scuote la testa brevemente, appena un cenno per ogni lato, e dice, “Potresti chiedere a Mrs. Hudson. Stava passando l’aspirapolvere qui dentro ieri. Alla fine ha rinunciato a farlo fare a me, suppongo.” Fa un piccolo sorriso compiaciuto, probabilmente perché dove gli sforzi passivo-aggressivi di John di obbligare Sherlock a pulire hanno fallito, hanno invece funzionato su Mrs. Hudson. Non era ciò che voleva e lo fa infuriare ancora di più.

“Sherlock, non posso andare al lavoro così!” Gesticola verso la sua SBI scoperta. Il solo pensiero di lasciare l’appartamento senza anello, il nome di Sherlock esposto alla vista di tutti, lo fa imbarazzare. “Non voglio neanche andar giù da Mrs. Hudson senza un anello addosso.”

Sherlock rotea gli occhi. “Mrs. Hudson è una donna di settant’anni, John. Non le importa.”

“A me sì!”

“Oh per l’amor di...” Sherlock scatta dal divano, assicurandosi di cogliere John nel suo sguardo truce così che sappia quanto incazzato sia. Questo lo fissa di rimando e lo guarda afferrare il proprio anello dalla ciotola, infilarlo al dito e dirigersi fuori dalla porta. John passa cinque minuti girando in cerchio per il salotto senza posa, pregando che sia solo questione di aprire il sacchetto dell’aspirapolvere strappandolo e ripescare il suo anello. Non ne ha uno di riserva, non dall’Afghanistan. Se non è nel sacchetto, non riuscirà mai ad andare al lavoro. È già terribilmente tardi; non c’è modo che riesca a condensare i venti-minuti da pendolare in dieci minuti. Ancor meno se devono capire cosa fare per l’anello.

Sherlock ritorna, il viso non positivo. Si sfrega il retro del collo e dice “Mrs. Hudson dice di aver buttato il sacchetto.” Cerca di sembrare comprensivo, ma sono entrambi troppo infastiditi dall’altro perché l’espressione risulti genuina.

È sulla punta della lingua di John chiedere a Sherlock di fare un’immersione nel cassonetto insieme a lui, dietro il palazzo, quando si rende conto del perché Sherlock ha quello sguardo sul volto.

La spazzatura è stata portata via questa mattina. John ha sentito il camion quando è uscito dalla doccia. Seppellisce il suo viso fra le proprie mani e sibila, “Merda.”

“Pensi di poter indossare il mio?” chiede Sherlock, tuttavia entrambi sanno che è probabilmente impossibile. Le dita di John sono troppo grosse perché l’anello possa andargli bene sul dito della sua SBI. Non è nemmeno sicuro che sia in grado di infilarlo del tutto sul suo dito florido. Normalmente John l’avrebbe ringraziato per il tentativo. In questo momento è incazzato e non si sente per niente molto amichevole, così lo fissa in un modo che chiede Tu che ne pensi?! e grugnisce “No.”

“Beh cosa vuoi che faccia, John? Non posso mica tirar fuori un anello dal mio culo, per amor di Dio!”

“Forse se avessi passato l’aspirapolvere una volta ogni tanto, non avremmo avuto questo problema!”

“Non è colpa mia se il tuo anello non era nella ciotola──”

“Grazie a te e a questo porcile di appartamento, il mio anello potrebbe essere a metà strada per la discarica──”

“Stai reagendo in modo esagerato──”

“Esagerato?”

“Sì, esagerato!”

“Ti faccio vedere io esag──dove diavolo stai andando?” Sherlock sta marciando fuori, attraverso la scala dall’altra parte della cucina. Non risponde, e quando sparisce nella sua camera da letto, John presume rimarrà lì e si metterà a fare il difficile. Imprecando sottovoce, lancia uno sguardo all’orologio. Si rende conto che dovrà chiamare per avvisare o cancellare il suo appuntamento con Mrs. Barnstead. I pazienti tendono a diventare irritabili se cancelli gli appuntamenti, ma non gli piace l’idea di scaricare tutto questo su Sarah.

Guarda di nuovo sotto il bancone. Solleva tutti i cuscini dai mobili. Accende una torcia nel lavandino. Guarda l’orologio. 9:45. Geme sonoramente.

Non c’è niente da fare. Col tempo per arrivare in laboratorio avrà solo dieci minuti per visitare Mrs. Barnstead prima del suo prossimo appuntamento delle dieci-e-trenta. Chiama Sarah, fa le sue scuse, e supplica che qualcuno prenda il suo posto, almeno fin verso mezzogiorno. Forse per quell’ora avrà scoperto cosa fare con la sua SBI.

Sarah è comprensibilmente indignata; è stato assunto per sostituire la Dottoressa Johansson mentre è in maternità, ed ha cominciato solo la scorsa settimana. I pazienti della dottoressa sono già irritati per aver dovuto consultare un nuovo medico. Trovarsi un’altra faccia diversa davanti è ancor più seccante.

Alla fine, Sarah copre i suoi appuntamenti per la giornata. Ne ha solo cinque, grazie a Dio; due di mattina e tre nel primo pomeriggio. Più tardi, scopre che Mrs. Barnstead non si era nemmeno presentata. Qualcosa a proposito del suo bambino malato e, beh, John può capirlo, ma trova un po’ ironico che abbia dovuto cancellare il suo appuntamento dal dottore per prendersi cura di una persona ammalata.

Sherlock ritorna mentre sta chiudendo la telefonata con Sarah, portando con sé un portagioie. Il suddetto portagioie, come quello della maggior parte degli uomini, è piccolo. Alcuni uomini, come John, non hanno nemmeno un portagioie. Sempre meno uomini lo tengono ancora, non da quando la moda di avere anelli multipli, in voga intorno agli anni novanta, è morta. Sono momenti come quello che fanno desiderare a John di aver conservato almeno uno dei diversi anelli che aveva quando studiava medicina. Sfortunatamente, sono stati vittime del ridimensionamento che ha fatto prima dell’arruolamento.

“Cosa stai facendo?” domanda John. Guarda Sherlock sedersi sulla sua poltrona posizionando il portagioie sulle proprie ginocchia. Lo apre e ne tira fuori due scatole per anelli identiche. Ne apre una, guarda dentro, prende l’altra scatola e la passa a John. Questo la fissa per un momento, confuso, così come Sherlock fissa lui da sotto le sue ciglia e frangia. Alla fine, quando il consulente sembra sul punto di sbottare, apre la scatola con calma. Le sue sopracciglia si aggrottano ulteriormente quando vede cosa c’è dentro. “Questi sono...?”

“Sì,” Sherlock si alza, andando dietro la poltrona di John e guardando da sopra la sua spalla l’anello── o, meglio, anelli── nella scatola. In una scatola del genere è difficile dire che ce ne stiano, di fatto, tre. Tre anelli d’oro. Uno d’oro bianco, deve avere un alto contenuto d’argento poiché John può a malapena notare il giallo. Uno il classico oro giallo associato agli anelli da matrimonio, e il terzo uno caldo oro rosso. Si incastrano insieme in uno schema curvo, il quale, una volta composti, appare come un unico anello, un’onda di oro giallo al centro.

“Sono molto meno… vistosi di quello che sono di solito. Voglio dire, da ciò che ho visto. Non sono mai di fatto stato vicino abbastanza ad uno di essi in persona, per darne una buona occhiata. Le persone qui non li indossano più; sono caduti fuori moda all’inizio del secolo scorso.”

“Sono stati nella mia famiglia dal 1850. Erano dei bis-bis-nonni di mio padre.” Sherlock tira fuori uno degli anelli, quello in oro bianco, e ci gioca. “Sono passati attraverso  qualche modernizzazione, la più recente quando i miei genitori si sono sposati. Era usanza che uno fosse più spesso, e credo che questo,” indica il segmento d’oro centrale, “avesse incastonato un rubino piuttosto grosso. Mia madre pensava fosse troppo vistoso e lo stesso mio padre, così li hanno fatti rimuovere.”

“In qualche modo non mi sorprende che la tua famiglia abbia un set di anelli progressivi come cimelio di famiglia.” Sono costosi. Anche quando erano in voga, solo i benestanti potevano permetterseli. Tuttavia, deve ammettere, non assomigliano a nessuno degli anelli progressivi che abbia mai visto in fotografie o esposti in qualche gioielleria. Non somigliano neppure a quelli sulle mani delle donne afghane, i quali non erano così vistosi da avere una pietra preziosa, ma da avere dentellature e disegni fatti con lo stampino che non sembrano corretti finché non hanno tutti i loro componenti. Questi che Sherlock gli ha passato sono molto sottili, e non hanno nessuna sorta di strano disegno che è ovviamente incompleto senza le altre parti. “Hai detto che i tuoi genitori li indossavano?” Se è così, si chiede perché non li stiano ancora indossando.

“Sì. Ma solo per un breve periodo di tempo. Mio padre morì quando ero un bambino, e ovviamente Mamma ha cominciato ad indossare l’anello nero da vedova.”

John non lo sapeva. Automaticamente, si sente come un completo idiota. “Oh, io sono… non volevo…”

“Va bene. È morto quando ero giovane. L’ho appena conosciuto.” Fa una pausa per un momento, poi, “Conosci le loro funzioni?”

“Non davvero. Conosco la teoria dietro la loro esistenza, ma non come è realmente messa in pratica.” Sa che alcune famiglie molto religiose li usano ancora, e che sono ancora l’usanza classica in Medio Oriente, specialmente tra i Talebani. Ha sempre immaginato fosse per proteggere l’onore di una giovane donna mentre sta Cercando.

“Beh, non sono proprio sicuro di quando siano diventati popolari in Inghilterra. L’apice della loro popolarità, comunque, è stato dagli anni del regno di Giorgio III fino, come hai detto tu, all’inizio del regno di Edoardo VII (1). Perlopiù, venivano indossati da giovani donne appartenenti ai Parìa (2). Indossarli da parte degli uomini avvenne come caratteristica più tarda, forse introdotta intorno agli anni della regina Vittoria (3). In origine, erano solo per giovani donne. A quei tempi, quando una donna incontrava per la prima volta la sua Anima Gemella, doveva immediatamente render chiaro che non stava più Cercando. Comunque, come tutti sanno, c’è una grande differenza tra aver trovato la propria Anima Gemella, e cominciare a legarsi ad essa. Quindi, anelli progressivi. Il primo anello viene indossato immediatamente. Di solito erano di oro bianco o biancastro, come questo. Altre volte di oro giallo molto chiaro. La vera caratteristica è il design degli anelli. Di solito è piuttosto evidente che abbiano altri componenti. È qui che questi sono un po’ strani. Come ho detto, sono passati attraverso delle alterazioni. Non ho idea di come fossero quando i miei avi se li sono procurati.

“Indossare il primo anello significava che la relazione era nella fase del corteggiamento. Praticamente era un segnale per tutti gli altri uomini che quella donna era fuori dai giochi, ma allo stesso tempo simboleggiava che non era ancora sposata e quindi non avrebbe dovuto vedersi da sola con un uomo, nemmeno con la sua Anima Gemella. Puoi vedere il fascino che questi anelli ancora hanno su quelli molto religiosi.

“Il secondo anello funzionava come un anello di fidanzamento, e di solito avevano qualche tipo di pietra preziosa di abbellimento, come il rubino che portavano questi. Volevano dire che il matrimonio era imminente ma, di nuovo, la donna non era ancora sposata. Ovviamente, l’ultimo anello, che completa il set, rappresenta una relazione completamente realizzata. Il concetto di base è un modo per separare la Ricerca e l’essere Legati dal tempo fra i due. Penso che siamo sempre stati confusi, come società, su come rappresentare pienamente le coppie post-Ricerca o pre-Legame. Il modo in cui facciamo oggi, ha le sue complicazioni e i suoi imbarazzanti malintesi. Come quello tra te e Sarah.” John si sente sprofondare al ricordo del modo in cui ha dovuto brancolare attraverso una scusa per Sarah quando gli ha chiesto la sua SBI dopo aver sentito il suo nome. Per qualche motivo, anche se aveva dovuto rifiutare molte persone in passato, è stato molto imbarazzante farlo quando aveva già trovato la sua Anima Gemella.

“Tendiamo a riferirci a ogni coppia di Anime Gemelle che si è già trovata a vicenda come Legati, anche se si sono appena incontrati o non hanno ancora fatto la cerimonia. È un abuso del termine, comunque, e questo è avvenuto solo negli ultimi cinquant’anni o giù di lì.” Sherlock sembra riflettere per un momento, giocherellando con l’anello sulle sue dita. Alla fine dice, “Semplicemente mi piace l’idea che le persone sappiano che non stai più Cercando. Ed immagino che dato che hai perso il tuo anello…”

“Vuoi che indossi questo?” John prende l’anello dalle mani di Sherlock e lo fissa intensamente, desiderando che gli riveli i suoi segreti.

“Sarebbe… bello, sì. Ho sempre sperato che… beh, non importa. Se non vuoi, va bene. Andrò fuori oggi e ti prenderò un nuovo anello. Qual è la tua misura? Dieci? Dodici?(4)” Si stava già dirigendo verso la cucina e la camera principale, presumibilmente per farsi la doccia. John allunga una mano e riesce ad afferrare l’orlo turbinante della sua vestaglia.

“Fermo, vuoi? Non ho detto no. Speravi cosa?”

“Non è niente di importante. Vorresti indossare l’anello?”

John emette un sospiro, sapendo che non sarà in grado di ottenere una risposta diretta da Sherlock. Così è come agisce al momento. Invece, chiede, “Significherebbe molto per te, non è vero?” tuttavia ha già preso la sua decisione. Ovviamente indosserà l’anello, e gli altri due che verranno dopo quello. Non c’è motivo per non farlo, e Sherlock è ovviamente molto attaccato ad essi. Non è sicuro se sia poiché sono un cimelio di famiglia o qualcos’altro tutto insieme.

Per un momento sembra tuttavia che Sherlock stia per evitare anche questa domanda. Alla fine dice, “Sì. Lo… lo farebbe.” Respiro profondo. “Ho sempre sperato che avrei indossato questi anelli. Fin da quando mio padre è morto e li ha lasciati a me. Non sono ancora sicuro del perché lo abbia fatto, perché sono sempre passati dal padre al primogenito nella mia famiglia. Sarebbero dovuti andare a Mycroft. Ma non l’hanno fatto.” Lentamente si siede e prende l’altra scatola per anelli. “Non ho mai saputo perché. L’ho appena conosciuto. Avevo solo quattordici mesi quando è morto.”

Dall’altra scatola Sherlock estrae l’anello d’oro bianco che, per quanto possa dire John, è il clone esatto di quello che tiene fra il suo pollice ed indice. Quando lo guarda meglio, però, sembra essere più piccolo, e John si rende conto che l’anello che tiene in mano deve essere quello del padre di Sherlock.

“Hanno anche dovuto allargare l’anello quando si sono sposati, perché le mani di mio padre erano troppo grandi. Probabilmente sarà della giusta misura per te. Hai delle mani grandi.”

John se lo infila. Non è perfetto, ma ben lontano dal non andare bene. Non si sfilerà o lo disturberà, che è tutto ciò che gli interessa. Una volta che si sarà abituato, gli sembrerà di non averlo nemmeno.

“Ci vorrà un po’ per abituarsi,” osserva mentre si alza dalla sua poltrona, scatola in mano, e si dirige verso quella di Sherlock. Si siede sul bracciolo, posa la scatolina di nuovo nel portagioie e passa le sue dita tra i capelli di Sherlock. “Non ho un anello nuovo da quando sono partito per l’Afghanistan. Ma mi va bene, che è tutto ciò che conta.”

“Bene.” Sherlock si infila l’anello di sua madre, ora è il John di Sherlock suppone, e ripone la scatola per anelli accanto alla sua gemella.

Bacia la testa di Sherlock. Mormora contro i suoi capelli, “Mi dispiace di essermi arrabbiato tanto prima. Non avrei dovuto incolpare te per una cosa del genere. Era fuori dal tuo controllo. Tuttavia, non mi dispiacerebbe se ogni tanto passassi l’aspirapolvere. Non sto chiedendo molto, sai?”

“Non mi sono mai davvero preoccupato delle pulizie prima,” osserva scrollando le spalle. “Quindi non mi viene naturale.”

“È come dire che non puoi respirare perché nessuno te l’ha insegnato. Le faccende domestiche difficilmente sono qualcosa di trascendentale, Sherlock. Di sicuro un genio può arrivarci. Semplicemente devi raccogliere ciò che lasci in giro e, quando questo posto comincia a sembrare un casino, raccatti un po’ di cose e le organizzi in modo che sembrino almeno mezzo decenti. Magari passi l’aspirapolvere ogni tanto. Sai come si fa, no?”

Lo intendeva come una battuta, ma si rende velocemente conto che forse ha colpito un po’ troppo vicino alla verità quando Sherlock si schiarisce la gola e comincia a fissare, con molta intensità, un punto su una delle librerie. Alla fine borbotta, “Potrei averlo eliminato.”

No. Stai scherzando.”

“Non scherzo, John. Lo sai.”

“Oh mio Dio.” Con sua stessa sorpresa, John si ritrova a ridacchiare piuttosto che a digrignare i denti per l’irritazione, come se se lo aspettasse. Si inclina nuovamente verso il basso, bacia la mandibola di Sherlock e lo informa, “Gesù, amore, sei qualcosa di assolutamente diverso.” (5)

“Grazie. Penso.”

Non lo aveva esattamente  inteso come un complimento, ma non era inteso neanche come un insulto, così si limita a bofonchiare. Prende il portagioie e lo muove su un lato del tavolo convenientemente-posizionato. Sherlock doveva averlo spostato la notte scorsa dopo che John era andato a letto, perché non era lì ieri, per quel che ricorda. Scivola giù dal bracciolo della poltrona, sul grembo di Sherlock. Incrocia le braccia, fissa l’altro per un momento, poi dice, “Sherlock, dobbiamo parlare.”

“Dobbiamo?” chiede questo, imperturbabile, ma con un tono sottinteso di preoccupazione e scontento. Probabilmente non avendo nessuna voglia di sorbirsi un’altra tirata sulle sue abitudini e sulle sue lacune nella socializzazione. Senza dubbio è passato attraverso dozzine di esse nella sua vita. La cosa positiva è che quello non è ciò che John ha intenzione di fare.

“Sì,” sospira John. Passa un momento a riordinare i propri pensieri, fissando il quarto libro dell’Encyclopedia Britannica su una delle librerie. Sherlock ha la quindicesima edizione completa, tuttavia nessuno dei libri è sulle librerie e nessuno è in ordine. John si domanda spesso se a Sherlock semplicemente piaccia il caos, e questo è il motivo per cui insiste nel tenere il loro appartamento così in disordine. Poi si rende conto che i suoi pensieri hanno iniziato una digressione e comincia, “Ho bisogno che tu mi dica una cosa. Non sarà una domanda a cui è facile rispondere, ma ho bisogno che tu risponda onestamente, anche se pensi che non mi piacerà. Okay?”

Sherlock annuisce esitante.

“Vuoi che la tua relazione sia di tipo romantico?” La domanda è una di quelle che nessuno vuole fare, ma deve essere posta. Non è senza precedenti, per delle Anime Gemelle, essere a-romantici, desiderando solo l’amicizia e la compagnia che ne deriva. A essere onesti, John non sarebbe sorpreso se Sherlock fosse una di quelle persone.

C’è un lungo minuto di agonizzante silenzio, il consulente rigido nello star seduto e il dottore che cerca strenuamente di rimanere rilassato e neutrale. Trattenendo il respiro. Dicendo a sé stesso che non importa un modo o l’altro, finché alla fine Sherlock dice, “Sì. Lo voglio.”

John rilascia un respiro che non si era nemmeno accorto di aver trattenuto. “Okay. Questo è... questo è un bene. Uhm.” Ora la parte difficile. Come introdurre l’argomento? Come dire a Sherlock che la loro relazione non funzionerà mai con le loro attuali lacune di comunicazione? Ha vissuto con lui per tre mesi eppure, in certa misura, si sente ancora come fosse uno sconosciuto. Sa che l’amore a prima vista succede solo nei romanzi rosa. Chiunque oltre i sedici anni sa che non accade. Sarebbe comunque bello se almeno fossero rivolti nella giusta direzione.

“Abbiamo bisogno di comunicare di più.”

Non è John a parlare. Volge lo sguardo a Sherlock e annuisce stupidamente. “Sì. Buona deduzione.”

Sherlock sbuffa e dice, “Difficilmente è un mistero perché sei stato così irritabile.”

“Ah diamine ah. Suppongo sia tutta colpa mia, quindi?”

“Difficilmente.” Sherlock rotea gli occhi, come se fosse John a fare il difficile. Dice, “Sono ben consapevole dei miei stessi difetti, John. Presumerò lo stesso di te. Siamo entrambi ugualmente da biasimare. Sfortunatamente, siamo allo stesso tempo persi nel trovare un modo per sistemarli.”

“Beh... Forse dovremmo solo iniziare parlando di più.”

“Parliamo per tutto il tempo.”

“Sai cosa intendo.” Le uniche connessioni che sono riusciti a formare erano state durante due conversazioni piuttosto serie, ed entrambe erano state da post-litigio. John non è troppo sicuro di voler sapere dove si dirigerà la loro relazione, se quello schema dovesse continuare.

Spiega tutto ciò a Sherlock, il quale riflette sulle sue parole per qualche minuto. Quando il silenzio diventa troppo da sopportare per John, dice “Diamoci un appuntamento.”

Sherlock lo fissa. Fa una breve pausa, quindi sgrana gli occhi per l’incredulità. “Un cosa?”

“Un appuntamento. Sai. Due persone che si piacciono a vicenda escono e fanno qualcosa di divertente.” John sorride sfacciatamente mentre Sherlock ringhia So cos’è un appuntamento! prima di continuare, “Potremmo andare a cena, tuttavia so che non ti piace star seduto in un ristorante, eccetto che da Angelo e quel cinese... Quindi probabilmente è meglio se non facciamo questo. Regent’s Park è solo a qualche isolato di distanza. Possiamo fare un pomeriggio all’aperto laggiù. Ho la domenica di riposo. Potremmo andarci?”

“John, non penso davvero che un appuntamento risolverà qualcosa. Servirà solo a metterci in una situazione strana e sotto pressione.”

“Quindi cosa suggerisci? Nemmeno continuare in questo modo sarà d’aiuto.”

“No, ma... andrà meglio, giusto? Non gli abbiamo dedicato abbastanza tempo. Te l’ho detto che per me è difficile comunicare. Ma troverò un modo. Ci abitueremo l’uno all’altro. Prima o poi.” John riflette un momento, prima di dire “Possiamo provarci. A fare meglio. Ma noi ─intendo tu─ dobbiamo cooperare di più. E non puoi tenermi le cose nascoste. Abbiamo bisogno di conoscerci reciprocamente dentro e fuori perché questo funzioni. Una relazione si basa sulla fiducia, e non ci sono segreti tra Anime Gemelle.”

“Questo è un punto di vista iper-romantizzato, John. Perfino per te.”

Sherlock.”

“Sì, d’accordo. Ma devi essere onesto con me di rimando.”

“Non ti sto nascondendo niente.”

Sherlock lo fulmina con lo sguardo. Sbuffa oh per favore e si muove a disagio. Assume la sua faccia di sfida, comunque, finché Sherlock dice, “Stai avendo ancora quegli incubi. So che li hai. Quelli che non riesci a ricordare. Ogni volta che ti chiedo come hai dormito, dici bene. Ma so che sei preoccupato. Se non vuoi condividere i tuoi problemi con me, come si suppone possa aiutarti?”

John è sorpreso, perché è stato attento a non lasciar cogliere a Sherlock i suoi continui problemi nel dormire. D’altra parte, probabilmente il consulente li ha dedotti in qualche modo. Dice, frustrato, “Non posso parlarne, perché non so nulla di essi. Tutto ciò che so è che li sto avendo. Mi sveglio e, per pochi secondi, ricordo ogni cosa, ma, nell’istante in cui provo a trascriverli o spiegarli, se ne vanno.” Non ha fatto un sogno che ricorda per settimane. Sta davvero cominciando a preoccuparlo. Si sente come se dovesse diventar matto.

Sherlock non ha l’opportunità di rispondere, perché il suo cellulare vibra in quel momento. Lo tiene nella tasca della sua vestaglia e John può sentirlo contro la propria anca. Si alza così che il consulente possa tirarlo fuori e lo guarda rispondere. Dall’argomento della conversazione, John deduce che è Lestrade, che hanno un caso a circa dieci isolati da lì e stanno chiedendo l’assistenza di Sherlock. Quando chiude la conversazione il consulente guarda verso di lui e dice, “Era Lestrade. Due corpi al luna park. Ha detto che è successo ad un’ora imprecisata questa notte. L’unico testimone è una chiromante che si rifiuta di parlare con loro.”

“Perché hanno bisogno di te?” chiede John. “A me suona abbastanza semplice. Niente per cui debbano consultarti, comunque.”

“Pensano sia un omicidio-suicidio.”

John alza un sopracciglio. “E?” Ormai conosce la differenza tra un periodo concluso e una pausa drammatica.

“Le vittime erano una coppia Legata.”

Oh. Questo è abbastanza shoccante. Anche piuttosto strano. Non è una cosa che si sente tutti i giorni. Capisce perché Lestrade voglia l’aiuto di Sherlock per risolverlo, e chiudere in fretta il caso, per quel che conta. Gli abusi tra Anime Gemelle sono un’orrenda, per fortuna rara, evenienza che mette tutti quelli che ne sentono parlare a disagio. John non è nemmeno sicuro di voler vedere tutto ciò, ma neppure lascerà andare Sherlock da solo. Per non parlare di come potrebbe reagire alla cosa.

“C’era anche un biglietto,” osserva Sherlock mentre si dirige verso la camera da letto.

“Di chi? Dell’... omicida?” Un biglietto d’addio? È usuale che ci sia un biglietto sulla scena di un omicidio-suicidio?

“No. Della persona che ha puntato una pistola alla sua testa e l’ha costretto ad uccidere la sua Anima Gemella.” Sherlock fa capolino da dietro l’angolo con la testa, un angolo della sua bocca stranamente sollevato, e dice, “Un bel rompicapo, non è vero?” mentre John è a disagio, con lo stomaco aggrovigliato in un nodo.

 

 

 

 

 


Eccoci qui, terzo capitolo… lo so, ci ho messo più tempo che per il secondo, purtroppo i miei impegni al di la di questa fic stanno aumentando e quindi ho meno tempo per tradurre, mi dispiace. Temo che anche per il quarto capitolo dovrete aspettare un po’, almeno tre settimane temo, spero di non slittare oltre! Abbiate pazienza, ve ne prego! *corre a nascondersi nel caso ricorrano ai forconi e alle torce*

Comunque sia, ringrazio –anche a nome dell’autrice- tutti quelli che hanno recensito e chi preferisce/segue/ricorda; come sempre se volete farmi degli appunti, lasciare un parere, segnalare un errore, ecc siete i benvenuti! Ogni critica è sempre ben accetta. :) Ora vi lascio con delle Note alla Traduzione:

(1) Regno di Giorgio III: 1760-1820; Regno di Edoardo VII: 1901-1910

(2) Peerage: la parìa è l’intero corpo di onori, benefici e privilegi riconosciuti da una monarchia (come ci spiega Wikipedia); le persone che ne fanno parte sono i Pari e possono appartenere a cinque ranghi: duchi, marchesi, conti, visconti, baroni. Se volete approfondire ulteriormente vi ho messo il link… :)

(3) Regno di Vittoria: 1837-1901

(4) Le misure sono quelle USA, la 10 dovrebbe essere la nostra 22 e la 12 la nostra 27; non ho messo le misure italiane perché, essendo esse dei numeri “verbalmente più lunghi” avrebbero rallentato il discorso. È diverso dire ‘Ten? Twelve?’ da ‘Ventidue? Ventisette?’, o almeno a me sembra così. Tra l’altro (tanto per continuare con la pignoleria) credo che l’autrice avrebbe dovuto usare le misure UK (che si esprimono il lettere) per essere più verosimile. Ma comunque, come dicevo, sono cavilli e io giustamente ci ho scritto un poema come mio solito, ok, scusate, sono irrecuperabile. (p.s.: se volete qui c’è una tabella con le misure italiane, USA, UK e il diametro)

(5) You’re something else entirely: si usa colloquialmente per dire ‘sei davvero speciale’, in questo caso, visto quello che pensa John dopo, mi sembrava una frase poco fraintendibile, rispetto alla sua equivalente inglese, quindi ho optato per una traduzione più letterale ma che potesse dar luogo al dubbio ‘è un complimento? Oppure no?’, cosa che un ‘sei speciale’ non avrebbe fatto. Pareri? Siete d’accordo, contrari, astenuti? Ditemi pure! :)

Bene, ora vi lascio, alla prossima!

Myreen :3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Parapsychology of a Murder ***


Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net
Non traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.
I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

Avvertimenti: leggere imprecazioni e descrizione di una scena del crimine con due cadaveri

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

Capitolo 4: Parapsychology of a Murder

 

La scena del crimine non è, strettamente parlando, nel luna park. Piuttosto, è all’estremo margine di esso, in un’area fangosa e scarsamente trafficata di Hyde Park. Il perimetro della polizia è già stato disposto; un rettangolo di nastro giallo acceso contro il marrone neutro e il verde scuro del paesaggio. Ci sono, ovviamente, dei curiosi; c’è da aspettarselo ad ogni scena del crimine. Il luna park rimarrà chiuso fino a nuovo avviso alla luce degli omicidi, ma questo non ferma le persone dal seguire la corrente e bazzicare intorno per dare un’occhiata.

Oltre essi, il parco si allunga per circa cento metri prima di finire in strada. Non è una strada molto trafficata e ci sono davvero poche macchine in questo momento della giornata. Mentre si avvicinano, le uniche due auto che John vede sono una berlina rossa a tre volumi, la quale sfreccia via mentre si avvicinano alla scena del crimine, e un furgoncino blu, il quale, con il motore al minimo, passa molto lentamente. È molto isolato, ma essendo un parco divertimenti rende molto improbabile che l’obiettivo fosse la segretezza. Più probabilmente l’esatto opposto.

“Beh qualcuno voleva dimostrare qualcosa,” mormora Sherlock quasi nello stesso istante in cui lo pensa John. Sbatte gli occhi per un momento, sorpreso che i suoi pensieri siano usciti dalla bocca di Sherlock. D’altra parte, il consulente è praticamente un chiaroveggente, e magari John ha passato un po’ troppo tempo con lui, se stanno avendo gli stessi pensieri.

Ci sono diversi agenti di polizia di vedetta appena dentro il perimetro, che tengono la folla sotto controllo. Lestrade e Donovan li stanno aspettando al nastro.

Lestrade lo solleva per loro, e Sherlock e Donovan mettono in scena la loro tipica mostra di aggressività (un ciao, mostro da Donovan, un ghigno di risposta da Sherlock) prima che l’ispettore li accompagni ai corpi. Si radunano tutti intorno ad essi, due detective, un consulente, un dottore. Le vittime sono giovani, più giovani di John. Probabilmente anche poco più giovani di Sherlock. John sospira e schiocca la lingua, perché non è mai piacevole vedere delle persone giovani morte in un campo fangoso.

Sono un uomo e una donna, entrambi stesi su un lato, rivolti l’uno verso l’altra. Nessuno dei due è vestito come se avesse avuto l’intenzione di lasciare la casa, la notte scorsa. L’uomo indossa una vestaglia blu e dei pantaloni grigi del pigiama e la donna una camicia da notte gialla. Vestiti da notte. Niente cappotti. La donna ha una ferita d’arma da fuoco all’addome, parzialmente ostruita dalla sua stessa mano. È morta cercando di fermare il flusso di sangue. All’uomo manca un’ampia porzione del teschio, probabilmente a causa di una pistola nella bocca.

(John sa che le sue deduzioni non sono per niente vicine al calibro di Sherlock, ma gli piace pensare che vadano bene per lui, specialmente quando la maggior parte dei civili avrebbe solo visto una coppia di vittime di omicidio e via, “Oh, persone morte.” D’altra parte, John non è esattamente un civile.)

“John e Jane Doe ([1]),” li informa Lestrade. “Niente documenti su entrambi. Niente cellulari. Trovati intorno alle nove questa mattina dalla nostra non-così-amichevole vicina chiromante.” Lestrade punta il pollice dietro di sé, indicando un punto a pochi metri di distanza, dove una coppia di agenti di polizia sembra di guardia ad una giovane donna bassa e bionda, con uno sguardo torvo sul viso. Gli ufficiali sembrano molto a disagio, come se non volessero esattamente essere lì. Le danno le spalle, fissando intensamente il suolo. John si chiede perché siano tanto intimiditi da una persona così minuta.

“Qual è la sua storia?” chiede John, poiché Sherlock non sembra incline a porre quella domanda, ed è curioso. Ha smesso tempo fa di aspettare che il consulente risponda alle sue domande, o che faccia le domande che vuole porre, e semplicemente chiede lui stesso. È praticamente immune allo sguardo di affronto che Sherlock a volte gli indirizza quando prende l’iniziativa di ottenere da solo le informazioni dai detective.

“Mmm, vedi, è quello che stiamo cercando di capire.” Lestrade incrocia le braccia, si gira verso la donna, quindi si volta di nuovo. Come se qualsiasi cosa turbi tanto i poliziotti abbia effetto anche a metri di distanza. “Sappiamo che ha visto qualcosa, perché è stata lei a chiamare il 999. Ma non vuole nemmeno darci un nome, men che meno dirci cosa ha visto.”

Sherlock alza gli occhi al cielo. John può quasi sentire il suo monologo mentale mentre maledice Scotland Yard. “I vostri uomini sono letteralmente così incompetenti che non riescono a far parlare una chiromante? Ciò che un  chiromante preferisce fare è commentare, Lestrade! Non è qualcosa di trascendentale!”

“Oh! Se vuoi provarci sei il benvenuto,” ghigna Donovan. Lestrade le posa una mano sul braccio e lei si calma, ma non prima di aver emesso un enorme sospiro e aver scoccato a Sherlock uno sguardo particolarmente minaccioso da sotto le ciglia.

“Non ho detto che non stava commentando, giusto?” puntualizza Lestrade alzando un sopracciglio. Sherlock fa un suono infastidito. Infelice di venir contestato (o forse per il fallimento del suo insulto). L’ispettore continua, “È saltato fuori che è piuttosto volubile. Ha chiamato i miei uomini con ogni insulto possibile prima di rifiutarsi di dar loro qualsiasi informazione. I due agenti laggiù le stanno facendo la guardia per assicurarsi che non intralci le indagini.”

“Perché stanno lì in piedi e basta?” Chiede Sherlock. “Non dovrebbero farle pressione per ottenere informazioni? Sta intralciando le indagini anche solo rifiutandosi di dirvi quello che sa!”

“Sherlock, calmati per l’amor di Dio. Non è come se tu avessi bisogno che sia lei a dirti cosa è successo. Inoltre, lei è...” Lestrade sospira e si sfrega il retro del collo, a disagio. “I miei uomini non vogliono parlare con lei più di quanto sia necessario fare, dal momento che... beh, lei non è esattamente decente, se capisci cosa voglio dire.”

“È completamente vestita,” fa notare John, e si rende conto di quanto scialbo suoni solo quando Sherlock grugnisce di disgusto e ruota gli occhi in un piccolo semicerchio, strofinandoseli. John ha imparato a leggere gli strani impulsi e tic che ha il suo compagno, ed ha scoperto che molti di essi possono essere collegati con i vari spasmi dei bambini particolarmente iperattivi. Quello, chiunque lo riconoscerebbe come il segnale universale per ‘Non posso sopportarlo’ e, per Sherlock, la sua abilità di sopportare le situazioni è direttamente proporzionale alla stupidità delle persone con cui è in stretta prossimità.

Così John chiude la bocca e si morde l’interno della guancia, ripromettendosi di stare in silenzio finché Sherlock non sarà di umore migliore o non gli chiederà di parlare. Se non lo fa, il consulente semplicemente esploderà.

“Non sta indossando un anello,” dice Donovan, dando sia a Lestrade che a John il suo usuale sguardo di esasperazione e scontento. “Non so perché non lo indossi, è molto strano. Ma questo è il motivo per cui non vogliono parlare con lei.” Quindi si allontana, stufa o stanca di stare in compagnia di Sherlock. Probabilmente entrambe.

“Oh.” John rompe il suo stesso voto di silenzio. “Questo è... strano.” Immediatamente capisce perché Lestrade sta evitando di guardare in quella direzione.

“Francamente non potrebbe importarmene di meno. Se non ha intenzione di parlare, è inutile. Ora posso dare un’occhiata a questi corpi o no?”

“Fai come ti pare.” Lestrade indica verso i corpi, fa qualche passo indietro per dare a Sherlock la sua solita quantità di spazio vitale. John si unisce a lui sulla linea di confine, decidendo di aspettare finché il consulente non chiederà di lui. “Cosa gli ha fatto girare le balle oggi, eh?”

“Non ne sono sicuro. Era tranquillo questa mattina. Beh, per la maggior parte. Abbiamo avuto una discussione sulle faccende domestiche.” Non crede davvero che Lestrade abbia il bisogno (o la voglia) di sentire la lunga storia dell’anello buttato-e-sostituito. “Ma lo conosci, il suo umore cambia costantemente. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”

Lestrade emette un risolino. “È sempre un’avventura con un Holmes. Ti fa stare sempre all’erta, credi a me. Quattordici anni con Mycroft e letteralmente non ho idea di come faccio ad essere ancora vivo.” Ridacchia ancora, sorridendo al suolo. Calcia una roccia. “Mi obbliga a pensare. Devo usare il cervello per sapere cosa sta dicendo, il che è più di quel che posso dire per certe persone. So di doverlo sbattere al muro a volte, che ha trenta punti di QI più di me e così via. Dio sa se manda la mia pressione alle stelle. Come non ci siamo ancora uccisi l’un l’altro?”

“Forse perché... questo è ciò che fanno le Anime Gemelle,” dice John scrollando le spalle. “Si sopportano l’un l’altro. Si amano l’un l’altro a prescindere. La tua Anima Gemella è la persona che sai ti darà amore incondizionato... oltre ai genitori. Anche se Sherlock può essere...”

“Un’emerita testa di cazzo?”

“Stavo per dire fastidioso, ma anche quello funziona.” John sbuffa e Lestrade ridacchia gioiosamente, ovviamente divertito da sé stesso. “Anche se può essere... quello,  è comunque la mia Anima Gemella, e farei qualunque cosa per lui. Ho passato trentacinque anni cercandolo. Sono solo un paio di mesi e non posso immaginare la vita senza di lui.” Sta attento a tenere per sé che non è interamente sicuro che Sherlock si senta allo stesso modo.

“È successo in fretta.”

“Mmm.”

Finito coi corpi, Sherlock si alza da dove si era accucciato e si dirige nell’altra direzione. Lestrade lo chiama, ma non risponde. John decide di fare una corsa per raggiungerlo.

Sherlock sembra essere diretto verso la carrozza della chiromante. Appena John è vicino, dice “Stiamo cercando due sacchi, probabilmente di iuta. Almeno uno di essi è sporco di sangue, quindi l’assassino non li avrebbe portati con sé. Troppo incriminanti. Sono da qualche parte vicino, voleva sbarazzarsi di essi in fretta. Può averli gettati in un bidone sulla strada principale, ma è un po’ troppo ovvio e questo è intelligente; questo non è il lavoro di qualche goffo tirapiedi. Questo era la mente stessa, o almeno  suo braccio destro. Ha esperienza.”

“Quindi pensi sia nella carrozza della chiromante? Ancora un po’ ovvio, non credi?”

“Non penso che siano nella carrozza, penso siano in uno scompartimento sulla carrozza.”

John dà un’occhiata più attenta alla carrozza. È una cosa rosa su ruote bianche alte-un-metro, realizzata più per catturare lo sguardo che altro. Un largo set di gradini di legno viene fuori da essa, ci sono quattro grossi blocchi che la tengono parcheggiata. Per quel che può dire John, è una costruzione molto semplice; niente di essa che sembri poter dare un luogo per nascondere qualcosa in profondità. “Quali scompartimenti?”

Invece di rispondere, Sherlock si avvicina alla carrozza e, con il pugno, bussa su una delle sezioni alla base di essa. Ce ne sono quattro, e John pensa siano solo per decorazione finché, sotto il picchiettare di Sherlock, la placca di legno si apre a scatto, rivelando essere una porta. Il consulente solleva le sopracciglia e contrae le labbra, presentando la scoperta con un gesto plateale. “Questi scompartimenti.” Quindi gli gira intorno andando sul retro, dicendo, “Tu apri il resto da quella parte; spingi il lato sinistro e tira quello destro.”

A questo punto, John ha imparato a risparmiare le proprie domande per dopo, e semplicemente fare quello che Sherlock gli dice. Apre gli altri tre scompartimenti da quel lato, trovando diverse borse e qualche scatola, ognuna di esse ovviamente di proprietà della chiromante e nessuna di esse di iuta o intrisa di sangue.

“Quindi perché stiamo cercando queste?” domanda John mentre ripone tutto nel terzo scompartimento.

“Confermare una teoria.”

“Che è?”

“Mr. Doe non sapeva a cosa stava sparando.”

“Oh.” La risposta è automatica e John non ci sta pensando molto, occupato com’è a cercare di aprire il quarto scompartimento. Poi processa ciò che ha detto Sherlock, cosa implica, e continua, “Oh... Quello è...” Non riesce a immaginare perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere, bendare un’altra persona e mettere una pistola nella sua mano, solo per fargli premere il grilletto.

“Innovativo!” Dice Sherlock, prima di apparire da dietro la carrozza con due sacchi. Uno di essi, come previsto, è intriso di sangue. Entrambi sono ricoperti di fango. “Molto ingegnoso, anche se alla fine eseguito malamente. Non riesco a immaginare perché si sia dato tutto questo disturbo. Ci sono altri modi per evitare che le tue impronte vengano impresse su una pistola. Perché vorrebbe incastrare l’Anima Gemella della vittima per un crimine? A nessuno piace pensare che un’Anima Gemella potrebbe ucciderne un’altra; si escluderà qualsiasi cosa finché non si avrà concluso con quella. E cosa avrebbe potuto avere contro un’insegnante ebrea di scuola elementare? Qualcuno del genere è abbastanza insignificante.”

“Sherlock?”

“Cosa?” Sherlock alza lo sguardo dai sacchi, per incontrare quello di disapprovazione di John. Si morde le labbra, guarda di nuovo verso il basso e osserva, “Di nuovo un po’ fuori strada?”

“Giusto un po’, sì.”

Sherlock rilascia un sospiro, in parte di vergogna ma più che altro esasperato, e si dirige verso Lestrade. Emettendo egli stesso un sospiro da lasciamo-stare, John lo segue. Fa qualche passo di corsa per raggiungere Sherlock, e dice, “Quindi, qual è la storia? Come fai a sapere tutto questo? Spiegalo per me.” A Sherlock piace quando deve spiegare. Gli piace anche essere invitato. Si appella al suo complesso di superiorità in un modo convulso.

Questa volta non è diversa. Sherlock ghigna e si lancia immediatamente, “Mr. e Mrs. Doe sono stati prelevati dalla loro casa a un orario non precisato verso mezzanotte la scorsa notte, probabilmente con l’uso del cloroformio. I corpi sono in pieno rigor mortis il che significa che sono morti da circa otto ore──anche se questo lo avrai capito da solo, Dottore,” John fa un sorrisetto all’accenno alla sua esperienza, “il che significa che sono stati uccisi circa all’una di mattina. Presumendo che non li abbiano trattenuti per diverse ore, il che è improbabile considerando che nessuno di essi ha danni estesi, eccetto che per le loro rispettive ferite mortali, e che l’unica ragione oltre all’abuso vero e proprio è che i rapinatori avrebbero potuto trattenerli come ostaggi per un riscatto. Penso che sia abbastanza ovvio che il riscatto non è quello che stavano cercando, non credi?”

“Ovvio, sì. Cosa c’entra il luogo e tutto resto?” Gesticola verso il campo di fango da cui sono circondati, quindi verso la strada. Ancora del tutto deserta eccetto che per un furgoncino blu che sta passando. “Non porti degli ostaggi per un riscatto in una zona remota di Hyde Park e quindi gli fai puntare delle pistole l’uno contro l’altro.”

“Solo una pistola.”

“Stavo scherzando.”

Sherlock sbuffa annoiato e mormora, “Per favore non scherzarci su mentre sto cercando di pensare, John. È fastidioso.”

“Ok, bene. E per quanto riguarda il resto? È un’insegnate di scuola elementare? Ed ebrea?”

“La sua collana,” sbotta Sherlock, in quel tono che dice tutto è semplicemente così ovvio perché non riesci a vederlo? il quale non fallisce mai nell’irritare John. “Non hai visto? È una stella di David. Non aveva altre ragioni per indossarla, a meno che non si fosse resa conto di che cos’era, il che è improbabile considerando che è uno dei primi simboli religiosi facilmente riconoscibili al mondo. Il fatto che sia un’insegnante di scuola primaria è intuibile dai segni nelle pieghe delle sue unghie delle mani e dai suoi orecchini.”

Raggiungono Lestrade e si parcheggiano di fronte a lui. L’ispettore si sente confuso tanto quanto John. Il quale dice, “Cosa? Orecchini? Unghie delle mani?”

“Ci sono segni multicolori agli angoli delle sue unghie che sono ovviamente causati da un pennarello. Ci sono davvero poche professioni che richiedono pennarelli eccetto quelle che includono la prossimità con dei bambini. I suoi orecchini sono a bottone, ma giudicando dalla dimensione dei suoi buchi ai lobi, preferisce gli orecchini pendenti. O la sua professione non glieli consente, oppure non vuole che qualcuno con delle dita particolarmente piccole e desiderose di afferrare glieli strappi via dalle orecchie. La maggior parte delle scuole primarie quadra con entrambi i criteri. Gli orecchini sono anche abbastanza economici, nonostante, giudicando dalla qualità del suo anello, dallo smalto per unghie e dall’abbigliamento da notte, può certamente permettersi il lusso e non ha problemi ad indulgervi. Tuttavia, non vuole rischiare di andare al lavoro, perderli, e non essere in grado di ritrovarli perché qualcuno dei suoi studenti li ha visti come oggetti luccicanti da intascare e/o ingoiare.”

Quella strana sensazione di orgoglio e sbalordimento che sempre prende luogo nel suo petto dopo che Sherlock esplicita una serie di deduzioni appare, e John quasi inconsciamente mormora, “Straordinario.”

Sherlock sorride, compiaciuto ma forse appena un po’ timido, quindi guarda Lestrade che mostra quel tipico sguardo da Ma come diavolo? che sempre assume quando si confronta con le rapide deduzioni di Sherlock. “Abbiamo bisogno di vedere quel biglietto.”

Il biglietto, come venne fuori, capita essere una pagina di poesia, strappata via dal suo libro, accartocciata e, come li informa Lestrade mentre gliela presenta nella sua pulita e sigillata busta delle prove, è stata spinta nella bocca della vittima di sesso femminile.

Come spezzare ciò che non può essere spezzato?
Impossibile, sicuramente!

Direbbe la maggior parte.
Comunque, nulla è mai esattamente
Così solido quanto sembra.

Soprattutto nulla che dipende
Da qualcosa così delicato come un nome

Su una tela mortale.
Non pergamena o carta,
Ma carne umana.
Tre sono i modi con cui
Possiamo spezzare questi legami.
Il primo inequivocabilmente
Mera lussuria per un altro,
Ed agire in base a quella lussuria.
Un semplice peccato che può spezzare
Perfino il legame più complesso.
Il secondo e il terzo,
Entrambi dipendono dalla morte.
Uno, l’inconcepibile:
Uccidere colui che la Natura ha decretato
Tu debba tener caro.
Il secondo, più Cristiano
Quella fede risibile,
Morire al posto di un altro.
Ed impiegare tutte le tue energie terrene
Nella detta spesa.
Sprecare la tua Anima
Per la vita di un altro.
Essi saranno tutti spezzati.
Per questo sono cose fragili.
E i legami non sono incisi nella pietra,
resistente e irremovibile.
Invece nella carne,
La quale un giorno si decomporrà.

E quello che esiste in teoria,
Ombre di energia attaccate
Alle nostre calcagna, ci segue attraverso
Le nostre vite.
Molti sono stati spezzati.
E lo saranno.

Sherlock legge la pagina rapidamente e, quando ha finito, di fatto si prende il tempo di porgerla a John, prima di sparire di nuovo verso i corpi. Comunque, non prima di brontolare, “Hai detto che era un biglietto. Quello non è un biglietto,” rivolto a Lestrade.

L’ispettore si limita a roteare gli occhi e a dire, “Come altro si suppone che lo descriva? È ovviamente un messaggio di qualche tipo, se non uno direttamente del l’assassino. Avrei potuto dirti che avevamo tra le mani un poeta omicida, ma questo non avrebbe catturato la tua attenzione.”

Mentre la sua Anima Gemella sbuffa e se ne va via, John dà un’occhiata alla poesia. La legge, la sua bocca sempre più spalancata mentre prosegue. Quando ha finito, dà al foglio uno sguardo molto accigliato ed è ancora più confuso di quando ha iniziato. Come Sherlock possa aver tratto qualsiasi informazione da esso, è un mistero. Lo restituisce a Lestrade e sposta il suo sguardo sul consulente, che ora sta esaminando il marito, una delle larghe mani dell’uomo tenuta a qualche centimetro dalla sua faccia. “Quindi cosa vuol dire?”

Un cenno verso la chiromante sul confine. “Sono sicuro che ce lo dirà lei.” Si gira di nuovo verso la mano che sta fissando e sottolinea, “Graffi sulle sue nocche. Probabilmente per aver tirato un pugno a qualcuno sui denti. Autodifesa? No, non quadra. Nessun’altra ferita… escoriazioni per essere stato legato…”

Mentre Sherlock parla con sé stesso, John si gira per fissare ancora una volta la chiromante, che sembra stia lanciando loro sguardi di fuoco. Deve non aver apprezzato il loro ficcanasare tra le sue cose nella carrozza. La grande folla di curiosi che era presente quando sono arrivati si è dispersa un poco, e ci sono meno poliziotti presenti. Ora ce n’è uno solo vicino alla chiromante, probabilmente perché hanno immaginato che ora sia diventata abbastanza sottomessa. John tuttavia non ha voglia di dover parlare con lei in futuro.

Può farlo Sherlock stesso, infatti.

“Come farebbe a saperlo? L’ultima volta che ho controllato, era una chiromante, non una… esperta di poesia.” Sicuramente c’è un termine più formale per indicarlo, ma non gli viene in mente al momento. Non può neppure ricordare se ha preso il tè questa mattina. Lo ha fatto? Non si sente come se ci sia della caffeina nel suo corpo.

“Forse se tu non fossi così concentrato sulla tua astinenza da caffeina, te ne saresti già accorto.”

Sbatte gli occhi e fissa Sherlock, sorpreso che abbia dedotto quello. Comunque, è così al di là del chiedersi come Sherlock faccia ciò che fa, che non può imporre a sé stesso di preoccuparsene e, piuttosto che chiedere una spiegazione (Prove, John) si limita a sospirare e domandare, “Accorto di cosa?”

Sherlock posa a terra la mano della vittima di sesso maschile e gira intorno verso la vittima di sesso femminile. Si accuccia vicino alla sua testa ed allunga una mano afferrando l’angolo della giacca di John. Questi non riesce a capire se il movimento infantile sia più accattivante o fastidioso, ma si abbassa anche lui allo stesso livello Sherlock. “Cosa si suppone io debba guardare?”

Sherlock sospira e solleva un sopracciglio. L’espressione è un po’ differente dalla sua normale condiscendenza; quasi come se stesse dicendo Andiamo, questo lo sai. Vuole che osservi. Tutti insieme, i suoi sensi medici si raggruppano e si rende conto di cosa c’è di strano. La sua esperienza non è sui corpi senza vita, ma è stato addestrato a notare le stesse cose che osservano i medici legali. È sorpreso che non l’abbia notato prima. È passato un po’ di tempo da quando ha visto un corpo che fosse incompleto rigor mortis, ma non così tanto. Laggiù tende a non rimanere molto dei soldati quando vengono uccisi.

Quello è qualcosa a cui non vuole pensare.

Indica verso la sua bocca e sottolinea, “La sua bocca. Giusto? Deve esserlo. Il corpo è in pieno rigor; la sua bocca non dovrebbe essere aperta. I muscoli orali avrebbero dovuto essere i primi ad irrigidirsi. La sua bocca dovrebbe essere completamente chiusa.”

Il sorriso sul viso di Sherlock gli dice che ha ragione, e il caldo affetto che viene da lui è una piccola sorpresa. Le emozioni di Sherlock sono qualcosa di forte abbastanza per le altre persone da poterle sentire. Quello non è sempre una cosa positiva, ma in questo momento lo è. John guarda verso il basso e sorride al fango, assaporando la momentanea tenerezza della sua Anima Gemella.

“Corretto. Qualcuno deve aver forzato la sua mascella per aprirla dopo il rigor e tirato fuori il foglio. Lestrade dice che l’hanno trovato nella sua bocca e che era già aperta. Io credo che il foglio fosse piegato quando è stato posto per la prima volta nella sua bocca, quindi tirato fuori, letto, accartocciato, e velocemente riposizionato. Per quel che ne sappiamo, qui c’era una sola persona prima che arrivassero quelli di Scotland Yard, ed era la chiromante.” Sherlock si alza, ed ora la sta fissando. Probabilmente quello snervante e sviscerante sguardo di cui John non è mai contento di essere destinatario. “Deve sapere più di quello che ha lasciato trapelare.”

John grugnisce in accordo.

“Ho bisogno che sia tu a parlate con lei.”

Scattando in piedi da dove si era accucciato, si gira per fissare incredulo Sherlock e domanda, “Perché io?”

Occhi verdi viaggiano sulle sue forme per un momento, Sherlock solleva un sopracciglio in una espressione di tu cosa ne pensi?! prima di dire, “Beh, per prima cosa tu sei molto più avvicinabile. Secondo, non sei in uniforme o altro che possa essere scambiato per quello. Terzo, non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando siamo arrivati.”

John sbatte le palpebre. “Pensavo stesse fissando te.” Ad essere onesti, John non può biasimarla. Le proporzioni di Sherlock possono farlo apparire favoloso ad alcuni, e solo semplicemente strano ad altri. John è nel primo gruppo, ma davvero non sa cosa pensare della chiromante. In entrambi i casi, è un motivo per fissarlo.

Il sopracciglio sinistro di Sherlock scatta verso l’alto e mormora, “Davvero...” e fissa il suolo per un momento. Quindi sembra riscuotere sé stesso da qualsiasi fantasticheria in cui era entrato e dice, “Beh, ad ogni modo, ho bisogno che sia tu a parlare con lei. È il modo migliore.”

Con un piccolo sbuffo e uno sguardo fisso che spera lasci l’impressione di sei in debito con me, John gira sui tacchi e si dirige verso la chiromante. All’inizio, la donna non sembra rendersi conto che sia diretto verso lei, e quando lo fa si sposta di diversi passi indietro. John pensa che stia cercando di fuggire (e non ha idea del perché dovrebbe scappare da lui, ma non dalla polizia) ma ci ripensa, dopo aver lanciato uno sguardo al poliziotto ancora al suo fianco. John si ferma di fronte alla donna, ad una rispettosa distanza e un sorriso benevolo sul volto. Porge la sua mano. “Salve. Dottor John Watson. Ho bisogno di porle qualche domanda.”

Inarca un sopracciglio perfettamente definito. “Dottore? Perché hanno bisogno di un dottore per una scena del crimine?”

Sorride. “È una lunga storia.” Di loro propria volontà, gli occhi di John volano alla sua mano, che è incastrata tra il suo gomito e la sua vita. Non può nemmeno vedere la sua SBI, ma sapere che è lì, e sapere che è scoperta, lo rende intensamente turbato. Si domanda perché la tenga scoperta, considerando che non solo è indecente, ma irrispettoso verso la sua Anima Gemella.

La donna si rende conto del suo fissare e muove la mano ancor più sotto il braccio opposto. Dice, “Se ha un problema con questo, allora non ha bisogno di provare a dargli un occhiata. Pervertito.”

John muove i suoi occhi verso l’alto, piuttosto imbarazzato ma anche piuttosto infastidito. Lo sta criticando per essere un pervertito, però è lei quella che non indossa un anello. Non dà voce a questi pensieri. Invece la interroga, “Perché non sta indossando un anello?”

“Non mi piace indossare metallo sopra la mia SBI. Blocca la mia connessione psichica con la mia anima.”

È strano sentire qualcuno sparare informazioni come quelle così casualmente. Aggrotta le sopracciglia quando lei per un attimo guarda al di là della sua spalla, più per confusione che altro. Ci sono molte persone che credono che alcuni siano connessi con le loro anime, e che ci sia un’intera gamma di abilità psichiche che derivano da questa connessione. La maggior parte delle persone, come John, non crede realmente nella Parapsicologia dell’Anima. Non è nemmeno sicuro di credere nelle anime. È più propenso a pensare al termine Anima Gemella come arcaico più che altro; un riferimento al loro lontano passato, quando chiunque credeva nelle anime. Essere un uomo di scienza l’ha portato a prendere gli elementi dello spirito con le pinze([2]).

Comunque, non è nemmeno mai stato uno che insulta la religione delle altre persone, e non commenta, oltre a dire, “Okay. Ma ci sono delle alternative.” Essendo un dottore, ha dovuto raccomandare un sacco di alternative al metallo ai pazienti che avevano allergie. Sa che ci sono alcuni siti web che vendono anelli di perline, tenuti insieme con elastici, e altri che imitano gli anelli di metallo con la plastica che sembrano quasi identici a quelli veri.

La chiromante, comunque, scuote la testa. “No, non posso avere niente che mi impedisca di vederla o sentirla.”

“Quindi lei semplicemente... se ne va in giro con la sua SBI esposta?”

Solleva un sopracciglio. “È un problema?”

Suona proprio come Sherlock per qualche ragione, e John è sconcertato per un momento. La sua posizione è un atteggiamento di sfida, quasi come se sapesse cosa ha fatto. Come se in qualche modo fosse riuscita ad imitare un uomo che non ha mai nemmeno sentito parlare, solo per far perdere l’equilibrio a John.

Decide di ignorarlo. “Qual è il suo nome?”

Incrocia le braccia più vicine a sé stessa e lancia di nuovo uno sguardo oltre la sua spalla. John si chiede se stia aspettando qualcuno. Quando si gira di nuovo, dice, “Mary.”

John increspa le sue labbra in agitazione e mormora, “Certo.” Perché se voleva usare un nome falso, questo è il più antico della storia. La donna equivalente al suo stesso nome. Non può immaginare qualcuno così eccentrico come lei avere un nome così normale come Mary. Tuttavia, suppone non sia nata così strana. Comunque, finché non l’avrà dimostrato, continuerà a dubitare che sia il suo vero nome.

Mary si acciglia. “Sì. Certo. Ora, cosa vuole? So che il suo amico l’ha spedita qui, e che lui sta lavorando con la polizia. Non le dirò niente. Non sono obbligata.”

“Sbagliato.”

Sherlock, a quanto pare, è diventato impaziente. È apparso alla destra di John, così ora stanno completamente impedendo a Mary di vedere cosa sta succedendo davanti a lei, e dice, “Non è obbligata a dire niente verbalmente, magari, ma solo la sua presenza è abbastanza per cominciare. Ora, cosa significa questo?” Mostra il biglietto recuperato dalla bocca della vittima di sesso femminile.

Lei scuote la testa. “Non ne ho idea. Non l’ho mai visto prima.” Imperturbabile. John si ritrova ad apprezzare le sue abilità di recitazione. Neanche lontanamente buone come quelle di Sherlock, che può diventare una persona completamente diversa soltanto modificando la sua postura e cambiando la sua espressione, ma comunque buone. Meglio di quelle di John.

Sherlock rotea gli occhi. “Oh andiamo, non ci provare. Io è lei sappiamo entrambi che ha preso lei il biglietto dalla bocca della donna. Sta nascondendo le sue mani non solo perché non sta indossando un anello ma anche poiché c’è del sangue sulla punta delle sue dita per aver aperto la sua bocca. C’è anche del fango sulle sue ginocchia per essersi inginocchiata accanto al suo corpo. Lo chiedo di nuovo: cosa vuol dire questa poesia, e perché era così ansiosa di prenderla da aver dovuto rompere la mandibola ad una donna morta per recuperarla?” Quindi i suoi occhi roteano. “E perché continua a fissarci?”

“Cosa? Fissarvi?” Prova ad apparire confusa ed innocente, ma la sua recita sta scivolando. Sì, neanche lontanamente vicina al calibro di Sherlock.

Guarda velocemente oltre la sua spalla. Un battito di ciglia e te lo saresti perso.

“Me stesso e John. Perché continua a fissarci? Non ha tolto gli occhi di dosso a nessuno dei due per tutto il tempo che siamo stati qui. Eccetto quando lancia uno sguardo oltre la sua spalla per vedere se quel furgoncino blu sta passando di nuovo. Cosa c’entra quello?”

La testa di Mary si volta quasi di centottanta gradi completi quando Sherlock dice ciò. Non rimane nulla della recita che stava portando avanti solo un momento prima; ora la sua espressione è di puro terrore mentre guarda oltre la sua spalla, verso il furgoncino blu che sta svoltando oltre l’angolo. Si gira di nuovo verso di loro e dice, “Andate via. Se sanno che sto parlando con voi loro──”

Non avrà mai l’occasione di completare la frase, perché in quel momento il colpo di un’arma da fuoco riecheggia per la strada, e mette in moto l’istinto latente di John. Afferra Sherlock e lo tira giù nel fango, coprendo quanto più possibile del corpo della sua Anima Gemella con il proprio. Sherlock urla, metà per lo shock e metà per protesta, poiché l’atterraggio non è stato esattamente morbido e John non è leggero. L’urlo è coperto nella generale cacofonia di persone che si gettano al suolo e poliziotti che gridano e altre persone che strillano, per tutto il tempo che la sparatoria continua.

Sembra durare per ore, ma in realtà non può essere durata più di trenta secondi. Si ferma con il suono di una portiera d’auto che si chiude e lo stridere di gomme sull’asfalto. Al suo posto lascia un silenzio assordante. John rotola via da Sherlock e si rimette in piedi, quindi tira su il consulente accanto a sé. Controlla i danni, più veloce che può, e trova solo un graffio sulla sua guancia (probabilmente una roccia al suolo) e una copiosa quantità di fango. Più tardi, troverà qualche livido, ma quello è tutto il danno.

È incredibilmente sollevato.

Comunque, prima che possa respirare di nuovo, almeno abbastanza per dire, “Che cazzo era quello?” sente un rantolo e guarda verso il basso. Mary si sta stringendo il braccio, dove il sangue fuoriesce. Lancia una maledizione ad alta voce e si inginocchia accanto a lei, urlando, “Qualcuno chiami il 999!”






Eccoci al quarto capitolo! Sono nelle tre settimane che mi ero imposta, ma sono incredibilmente indietro con il prossimo, quindi temo che dovrete aspettare un po’ di più per quello, mi dispiace, ma in questo periodo ho davvero poco tempo libero… perdonatemi, vi prego! T.T

Grazie a tutti quelli che hanno recensito e grazie anche a chi segue/preferisce/ricorda.

Vi lascio delle Note alla Traduzione:

[1] Suppongo lo sappiate già, ma per completezza lo scrivo comunque, John Doe e Jane Doe sono i nomi che vengono attribuiti in gergo giuridico statunitense a persone di cui si vuole preservare l’identità; successivamente vennero usati anche per riferirsi a persone di cui non si conosce l’identità, come ad esempio, in questo caso, per il ritrovamento di un cadavere non identificato, oppure può essere usato anche in caso di ricovero di un paziente dopo incidente (aereo/stradale/navale/…) di cui non si conosce appunto l’identità. In Italia credo si usi Ignoto o NN (lat. Nomen Nescio), però non mi sembrava né il caso, né necessario italianizzarli, credo ormai siano entrati anche nella nostra conoscenza comune grazie a varie serie tv americane (House MD, Grey’s Anatomy, CSI, NCIS solo per citarne alcune).

[2]  Take […] with a grain of salt: è un’espressione idiomatica inglese che significa essere molto scettici nei confronti di qualcosa, deriva dall’espressione latina cum grano salis, la quale dovrebbe essere ciò che viene usato in italiano [anche se Wikipedia ne dà un altro significato in italiano qui, cioè ‘con criterio/saggezza/sale in zucca’]. Tuttavia, siccome questa espressione è di linguaggio informale in inglese, renderla col latino in italiano mi sembrava troppo aulico, quindi ho optato per un’espressione idiomatica italiana equivalente. Personalmente non ho mai usato l’espressione latina nel mio uso comune della lingua, magari sono io che sono ignorante (il che è più che probabile), però non mi sembra un’espressione di carattere colloquiale. [Inoltre, come spiega la pagina inglese di Wikipedia in proposito, la locuzione latina è tratta dalla ‘Naturalis historia’ di Plinio il Vecchio; la frase riguardava la scoperta di una ricetta per un antidoto di un veleno, uno degli ingredienti era un granello di sale. Tuttavia cum grano salis (con un granello di sale) non è ciò che Plinio aveva scritto. È stato cioè ricostruito secondo le moderne lingue europee piuttosto che secondo il latino classico. Le parole di Plinio in realtà erano addito salis grano (aggiungere un granello di sale). Siccome il latino ‘salis’ significa sia ‘sale’ che ‘saggezza’, la frase può anche essere tradotta come ‘con un granello (una piccola parte) di saggezza’; e questo ci rimanda al significato italiano dell’espressione latina. In inglese però il significato si è evoluto, da ‘prendere le cose con un po’ di saggezza’ si è esteso al ‘essere scettici verso qualcosa’, probabilmente intendendo che se si usa la testa, non si crede a qualsiasi cosa ci venga detta in modo acritico.]  
Come al solito ho scritto un poema su un’inezia, perdonatemi la tediosa spiegazione (e magari è pure completamente fuori strada!), sono senza speranza, lo so… *sob*
 

 

Come sempre se avete qualcosa da farmi notare che non vi torna ecc, non fatevi problemi, siete i benvenuti!

Alla prossima! :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** History Repeats Itself ***


Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 


Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

Capitolo 5: History Repeats Itself

 

 

 

Sherlock si agita senza posa mentre siedono nella sala d’attesa del pronto soccorso al Bart’s. Ha prudentemente posizionato John di fronte a sé stesso, una barriera tra lui e le persone malate nelle stanza. C’è davvero poco che John possa fare, tranne che dare delle pacche sul il ginocchio di Sherlock e sperare che il dottore che si occupa di Mary permetta loro di vederla presto. Tutte le infermiere hanno detto che probabilmente avrà bisogno di qualche punto, ma sono passate due ore e nessuno è venuto a cercarli.

“Hai fame?” Domanda John, cercando una qualsiasi ragione per lasciare il pronto soccorso. “Possiamo andar giù al bar. Si suppone che chiamino Lestrade quando potrà ricevere visite e lui ci avviserà. Non siamo obbligati a stare qui.”

“No, ho bisogno di parlare con lei prima della polizia. Si bloccherà se ci saranno anche loro, e non avremo mai nessuna informazione da lei.” Sherlock sospira, riaccavalla le gambe, e scivola ancor più in basso sulla sua sedia. A metà strada tra l’annoiato e l’irascibile. John dà di nuovo delle pacche al suo ginocchio e fissa lo sguardo sul corridoio che conduce alle stanze dei pazienti, come se potesse far apparire un dottore con la forza di volontà. Le cose hanno certamente rallentato rispetto ai suoi tempi.

Altri venti minuti prima che un dottore esca e si diriga verso di loro. È lo stesso con cui Sherlock ha parlato in precedenza, prima che ricoverassero Mary, informandolo che la donna era oggetto di un’indagine di polizia e che era necessario interrogarla il prima possibile, dopo essere stata curata per la ferita d’arma da fuoco e fissato i punti.

“Possiamo parlare con lei?” Chiede immediatamente Sherlock, sedendosi dritto e volgendo il suo sguardo per ‘intimidire’. John pensa che ci voglia ben più di quello perché un medico del pronto soccorso tremi sul posto, ma è Sherlock, quindi davvero tutto è possibile.

“Beh, dobbiamo curarla per un trauma cranico così come per la ferita. Probabilmente ha battuto la testa quando è caduta e non se ne è resa conto. Penso che sarete in grado di parlarle, ma potrebbe essere un po’ lenta. Sarà anche affaticata, e probabilmente un po’ confusa, quindi potreste semplicemente voler aspettare fino a domani mattina.” Quando le sopracciglia di Sherlock si accigliano, aggiunge, “Ovviamente, se dovete assolutamente parlare con lei oggi, potete. Ma ha bisogno di riposare, Mister Holmes, e alle infermiere è stato detto di cacciarvi se doveste creare fastidio o cominciare a tormentarla.”

Sherlock annuisce freddamente. Come se gli siano stati dati degli ordini e si preparasse al saluto, si gira e li esegue. O magari è la sensibilità militare di John a distorcere il solito rispetto dato a malincuore, di Sherlock, per l’autorità.

Mary è sistemata in un letto all’estremità finale del reparto emergenze, apparendo sana in tutto eccetto che per la larga fasciatura avvolta intorno al suo avambraccio e la borsa di ghiaccio che sta tenendo sulla sua testa. Qualcuno ha anche avvolto un bendaggio intorno alla base del dito della sua SBI il che, John può solo supporre, sia per il disagio delle persone che si occupano di lei. Immagina che devono essere state le infermiere, perché è difficile che un dottore del pronto soccorso sia facilmente impressionabile, abbastanza da essere a disagio per la SBI esposta di una donna.

“Siete venuti ad interrogarmi di nuovo?” Domanda Mary. Almeno le ultime ore non hanno fatto nulla per fiaccare il suo spirito.

“Qualcosa del genere.” Sherlock prende una sedia e si siede. Incrocia le sue gambe e braccia. Fissa Mary. “Inoltre penso che lei sappia perché siamo qui.”

Così cominciano una sfida di sguardi in cui John è preso nel mezzo. Questi si agita a disagio, sfregandosi le braccia e rimanendo ai piedi del letto di Mary. Aspetta che uno dei due faccia una mossa, ma sta diventando sempre più evidente che non sarebbe accaduto. Nessuno dei due vuole cedere.

“La poesia,” dice alla fine John. “Veniva da un libro. Deve sapere che libro fosse, perché a quanto pare ha dovuto tirarla fuori dalla bocca di una donna. Quindi? Cosa c’è di così importante in quella poesia? O nel libro, per quel che conta.”

Sorprendentemente, Sherlock non è infastidito che John abbia fatto la prima mossa. Invece volge un sorriso compiaciuto in direzione del dottore, quindi si volta nuovamente verso Mary con un’espressione che, se avesse avuto dieci anni, avrebbe incluso un fare la linguaccia e un canticchiare una frase di scherno. Di fatto, non è sicuro che Sherlock non l’avrebbe fatto all’età di trent’anni, se non fossero stati in pubblico.

Le sorprese non finiscono mai.

 “La pagina proviene da un libro di poesie di un poeta gotico chiamato Amos Marriet. I suoi lavori erano... molto progressisti per il suo tempo. Parlano di argomenti tabù e molto oscuri. Era abitudine bruciare i suoi libri, quindi ne sono rimaste solo poche copie.”

“Mi sta dicendo che ha dovuto togliere quella pagina dalla bocca di una donna perché è di valore?” chiede John, oltraggiato.

Mary sembra ancor più oltraggiata. “Certo che no! Non sono crudele, sa? Ho rispetto per i morti, probabilmente più di lei e di quel necrofilo della sua Anima Gemella qui presente.”

“No, John. Penso che il motivo per cui avesse così disperato bisogno di quella poesia sia poiché è lei la proprietaria del libro da cui proviene.” Inclina la sua testa di lato. “Come sa che io e John siamo Anime Gemelle?”

“Oh per favore. È ovvio.” Lancia uno sguardo tra i due. Arriccia le sue labbra e serra la mascella. “Sì, d’accordo. Quella pagina è di un mio libro. Ma non ho niente a che fare con quell’omicidio, dovete credermi. Non sono nemmeno sicura di come abbiano preso quella pagina dal mio libro senza che me ne accorgessi. Sono stati nella mia carrozza solo per cinque minuti, e i due sono stati portati via da due dei ragazzi dei biglietti.” Appare soddisfatta per un momento. Chiaramente contenta della sua argomentazione. Quindi i suoi occhi si allargano. “Voglio dire, posso spiegare.”

“Prego,” dice Sherlock, mentre John borbotta qualcosa che somiglia ad un “Sarà meglio.”

C’è un momento in cui Mary fissa entrambi prima di dire, “Ieri, due uomini sono venuti nella mia carrozza. Erano chiassosi e turbolenti, e volevano che gli venisse predetto il loro futuro. Onestamente ho pensato che fossero una coppia di studenti. Quindi è arrivata una coppia di ragazzi dei biglietti e hanno chiesto se ci fosse qualche problema, e quando hanno visto questi due rendersi insopportabili, li hanno allontanati dal luogo. Non è stato fino a più tardi che mi sono resa conto che avevano rubato quella pagina dal mio libro.”

“Perché era così preoccupata quando si è resa conto che avevano preso quella particolare pagina?” Sherlock si inclina in avanti, le punte delle dita premute tra loro. La sua tipica posizione per pensare. Avvicinandosi a risolvere il mistero.

Non sembra che Mary voglia rispondere. Guarda intorno per la stanza come se la soluzione alle sue attuali pene dovesse saltar fuori e presentarsi da sola. Non succede, ovviamente. Alla fine dice, “Perché è... beh, vi ho detto che il suo lavoro era considerato un tabù all’epoca. Lo è ancora, in realtà. Scrisse di quel genere di cose che non è mai realmente stato politicamente corretto, nemmeno ai giorni nostri.”

“Quindi, sesso e morte,” dice John. Sesso perché è considerato come qualcosa che deve rimanere tra Anime Gemelle, e morte perché ricorda alle persone della loro stessa mortalità. Non è difficile immaginare cosa intendano le persone quando dicono ‘tabù’.

“Sì.”

Dalla sua tasca, Sherlock estrae la busta delle prove contenente la pagina strappata. John è sicuro al novantanove percento che non gli sia permesso portar via la prova dalla custodia della polizia, neppure che sia legale, ma Sherlock non ha quasi mai afferrato il concetto di ‘vietato’. La porge a Mary e dice, “Di cosa parla questa poesia?”

Mary prende la busta delle prove. La fissa con la mascella chiusa e stretta, finché: “Per mancanza di un termine migliore, è una guida-come-fare-a per spezzare le Anime Legate.”

Si accigliano guardando l’uno verso l’altro, quindi verso Mary, e John dice, “Intende... separandosi?” È un concetto estraneo per i più. John ne è a conoscenza solo perché di recente sua sorella è passata attraverso a quel disastro con Clara. È una delle ragioni per cui al momento non si parlano.

“No.” Sospira Mary. Preme le sue dita sulle labbra. “È... diverso. Suppongo sia difficile da spiegare a qualcuno che non sa delle mezze-anime.”

“Cosa.” Nemmeno una domanda, più una pretesa. Casca dalla lingua di Sherlock con una sostanziosa quantità di ira e sdegno, e se fosse apparso più incredulo o disgustato, qualcosa nella sua persona avrebbe potuto spezzarsi. Accusare Sherlock di non conoscere un’informazione rilevante è in primo luogo un errore, e il fatto che quell’‘informazione rilevante’ sia apparentemente un qualche genere di ciance da chiromante lo sta probabilmente facendo uscire dai gangheri.

Sembrerebbe che Mary non sia intimidita. Rotea gli occhi e dice, “Mezze-anime. Davvero poche persone sanno che esistono... beh, eccetto coloro che le hanno, ovviamente.” Fa una pausa, aggrotta le sopracciglia e continua, “È difficile da spiegare. Le normali Anime Legate... beh, sapete come funziona. Due persone che sono destinate a stare insieme.”

“Ovviamente,” sbotta Sherlock. “Tutti noi abbiamo una Inscrizione dell’Anima Gemella, non ha bisogno di insegnarci che cosa sono.”

“Ma le mezze-anime sono qualcosa di diverso,” sbotta lei, fissando Sherlock. “Esse sono... appaiono come le normali anime legate, con una SBI... ma anziché due anime legate una all’altra, è una sola anima alla ricerca dell’altra sua metà. Meno Anime Gemelle, più... un’anima.”

“Spero lei si renda conto di quanto questo suoni assurdo,” sbotta Sherlock. “Non esistono le anime. È un termine arcaico usato dai pagani per spiegare il fenomeno dell’Inscrizione dell’Anima Gemella quando, in realtà, abbiamo probabilmente iniziato a chiamare i nostri bambini a causa dei marchi sulle nostre mani. Centinaia di anni fa, è probabile che le persone non avessero nomi. Quindi la SBI ha cominciato ad apparire sulle mani dei nostri avi, probabilmente più un tic genetico che altro, e le persone della stessa tribù cominciarono a cercare i colori che si abbinavano, quindi chiamavano i loro bambini con i marchi sulla mano del partner. A volte i bambini andavano avanti anni senza un nome, perché la loro Anima Gemella non era ancora nata. Poi la popolazione aumentò, le persone si stancarono di riferirsi ai loro neonati come ‘tu, lì’ e quindi fu inventata la storia dell’‘anima’ per spiegare il fenomeno. È semplice genetica, pura scienza. Non esiste l’anima.”

“La scienza può sbagliarsi.”

Profondamente turbato, Sherlock scivola indietro. Incrocia le sue gambe e braccia ed agita un piede. “Questo che rilevanza ha per il caso?”

Lei scuote la testa. “Non lo so.”

“Come sapeva che sarebbe stato lì?” chiede John.

“Quando ho trovato i corpi, mi... mi sono guardata intorno, prima di chiamare la polizia. Usciva leggermente dalla sua bocca...” Mary si muove a disagio. “Potete tornare più tardi? Sto cominciando a sentirmi stanca.”

Dall’altro lato del reparto, appaiono le infermiere, come se fossero state evocate ed avanzano verso Sherlock e John. Una di esse tira la tenda intorno al letto mentre un’altra posa una mano sulla spalla di Sherlock e dice, “Mi dispiace, signore. Dovete andarvene. Miss Morstan ha bisogno di riposare.”

“Morstan? Il suo cognome è Morstan?” John si acciglia guardandola, le sopracciglia aggrottate. Pensando. “Dove ho già sentito il suo nome?”

“Non ne ho idea,” dice lei. I suoi occhi, comunque, tradiscono quanto agitata sia.

Un suono da Sherlock denota divertimento, e John lo vede ridacchiare mentre si infila il cappotto. Ascolta mentre dice, “Non è di lei che hai già sentito, John. È di suo fratello.”

“Chiuda la bocca–”

“Circa otto anni fa, suo fratello, Martin Morstan faceva parte di un certo gruppo di criminali che rapiva bambini e li uccideva prima di mutilarne i corpi in modo particolarmente orrendo. Abbastanza stranamente, questi casi hanno una evidente somiglianza con il crimine odierno, in quelli erano soliti rapire i bambini in coppie, e obbligarli a uccidersi l’un l’altro.” Gli occhi di Sherlock roteano. “Quanti anni avrà avuto, Miss Morstan? Tredici? Quattordici?”

“Le ho detto di chiudere la sua cazzo di bocca!” Mary afferra la prima cosa che può–la quale capita essere una tazza piena di cubetti di ghiaccio–e la lancia verso la testa di Sherlock. La manca di lunga misura–la commozione cerebrale non rende tiratori scelti, ma il danno era fatto. Una delle infermiere trattiene Mary e l’altra caccia John e Sherlock fuori dalla porta, lanciando sguardi nervosi oltre la sua spalla mentre Mary continua ad urlare irritata.

Sono fuori dall’ospedale prima che John osi dire un’altra parola. Quando lo fa, è: “Pensi sia stata lei?”

Pensierosamente, Sherlock scuote la propria testa. “No. È troppo sofisticato per lei. Voglio dire, onestamente, c’è un motivo se fa la chiromante in un luna park. E sarebbe fatto con molta più trascuratezza se stesse solo copiando ciò che ha fatto suo fratello. Comunque, non ho nessun dubbio che questo c’entri con i crimini del 2002.”

“Avresti dovuto avere solo ventidue anni tu stesso a quel tempo,” sottolinea John. “È impressionante che tu abbia ricordato qualcosa del genere così a lungo, soprattutto considerando che deve essere accaduto mentre dovevi avere altre cose per la mente. Avresti dovuto essere all’università, giusto?”

“Tu te lo ricordi, e dovrebbe essere successo durante la tua specializzazione.”

John sbuffa. “Mi ricordo solo il nome, e solo vagamente. Tu ricordi tutti i dettagli del caso. Non hai una di quelle memorie fotografiche, o sì?”

Ridacchiando leggermente, Sherlock scuote la testa. “No, non ce l’ho. Tuttavia diversi membri della mia famiglia ce l’hanno, inclusa mia madre. Comunque, ho solo passato un bel po’ di tempo qualche anno fa lavorando su una tecnica mnemonica chiamata metodo dei loci. Include, per mancanza di un termine migliore, costruire una struttura in cui poni tutti i tuoi ricordi e tutte le informazioni che apprendi. La notizia di questa storia è apparsa mentre lo stavo costruendo, e deve essere stata inavvertitamente inclusa. Probabilmente sarebbe stata cancellata altrimenti.”

“Cosa, come... una casa?”

“Sì. Per alcuni. Per altri è solo una stanza, un luogo che ricordano da quando erano giovani. O, per altri, è più grande. Uffici, grattacieli... palazzi.”

“Palazzi? Davvero?” John fa una pausa per un momento, esaminando Sherlock mentre si avvicinano all’angolo e solleva una mano per un taxi. Si rende conto all’improvviso, “Tu hai un palazzo, vero? Un... palazzo cerebrale?”

“Palazzo Mentale.”

John fischia. “Wow. E l’hai fatto mentre eri all’università?”

“Subito dopo, in realtà.” Sherlock diventa all’improvviso silenzioso. Distante. John può quasi sentirlo fisicamente. “C’è stato un periodo di tempo durante il quale io... ero molto infelice. Ho fatto cose di cui mi rammarico molto. Mycroft suggerì di lavorare al metodo dei loci come distrazione, ma è stato... temporaneo, al massimo.” Il taxi arriva e Sherlock vi salta dentro velocemente, chiudendo si in sé stesso e tirando su il suo colletto. John si rende conto che cercare di continuare la conversazione non verrebbe gradito, e avrebbe solo portato a cominciare una discussione altrimenti.

L’ultima cosa di cui hanno bisogno è un’altra lite.

Invece si limita ad appoggiare la sua mano sulla coscia di Sherlock. Stringe. Sherlock lo guarda, lo fissa, e lentamente si apre. Il ritorno a Baker Street è tranquillo, anche se silenzioso.

Quando arrivano a casa, sono solo le tre. Sembra che sia più di un giorno da quando sono stati a casa l’ultima volta, ma in realtà sono state solo cinque ore. John si rende conto che nessuno dei due ha mangiato da colazione–beh, lui ha mangiato a colazione, ma onestamente non è sicuro per quanto riguarda Sherlock–e comincia a preparare qualcosa da mangiare. Alla fine è solo qualche avanzo di risotto di poche notti prima, ma è meglio di niente, e ce n’è più che abbastanza per tirarne fuori un secondo pasto.

Verso le cinque, arriva Lestrade. John lo aspettava –l’ispettore fa sempre in modo di fare il punto della situazione con Sherlock, anche se lui è già scappato via–e si siede dietro il suo laptop mentre il Detective Inspector e la sua Anima Gemella scambiano informazioni. A quanto pare Mary era ancora abbastanza sconvolta quando è arrivata la polizia. Hanno dovuto sedarla. Come si poteva immaginare, non era di molto aiuto in quello stato.

“Allora pensi che sia coinvolta in qualche modo?” chiede Lestrade verso la fine della conversazione, più o meno ponendo la domanda sulla stessa linea di quella di John, quando in precedenza sono usciti dall’ospedale. “Voglio dire, ovviamente non è l’assassino–sarebbe stata sciocca a lasciare tutti questi indizi portandoci direttamente a lei.”

“Non esserne così sicuro, Lestrade,” sottolinea Sherlock. Si stende sulla lunghezza del divano e tiene le sue mani giunte di fronte al viso. John ha cominciato ad associarlo a pensieri profondi e concentrazione. “Gli assassini possono diventare molto presuntuosi. Da qui la mentalità di molti di essi da ‘prendetemi prima che uccida di nuovo’. Ma in questo particolare caso, non credo che sia questo ciò che c’è in gioco. Credo, comunque, che sia coinvolta. Solo non riesco a capire come.”

Lestrade sbuffa. “Cosa, sei bloccato?”

“Non ho detto questo.” Sospira Sherlock in modo irritato e si massaggia le tempie, spostando le sue dita in un movimento circolare. “Ho solo bisogno di pensare. Roma non è stata costruita in un giorno, Lestrade.”

“Beh, ad ogni modo, sappiamo che alcune persone abbastanza pericolose la vogliono morta. Non può stare dov’era, questo è certo. Sanno dove vive e dove lavora. Avrà bisogno di essere spostata in una casa sicura, ma avremo bisogno di un qualche posto in cui possa stare finché non ne avremo una pronta per lei e non avremo stabilito quali agenti le faranno da scorta.”

Senza nemmeno alzare lo sguardo, Sherlock dice, “No.”

“Cosa?”

“No.” Ora guarda in su, occhi verdi si concentrano su Lestrade e si accigliano. “No, Lestrade. Non l’avrò sotto questo tetto. Questa è la tua prossima domanda. ‘C’è un appartamento inutilizzato in questo edificio, possiamo trasferirla lì nel frattempo?’ No.”

Lestrade geme, “Sherlock, andiamo. Questo per lei è il posto più sicuro ed è l’unica testimone di un omicidio-suicidio che potrebbe o meno avere collegamenti fino al 2002. I media sono come gli elefanti, Sherlock; non dimenticano mai. Quando l’avranno fiutato, faranno rapidamente il collegamento, e non voglio apparire come un bastardo, dicendo che abbiamo lasciato che la nostra unica testimone venisse uccisa perché non potevamo trasferirla in un programma di protezione abbastanza in fretta. Tutto quello che sto chiedendo sono quattro, cinque giorni. Una settimana al massimo.”

“Ho. Detto. No.” Come un bambino petulante, Sherlock si gira volgendosi verso lo schienale del divano.

“Potresti fare qualcosa per me per una volta nella tua vita, sai! Sono il tuo cognato dimenticato-da-Dio!”

“Hah! Buffo che pensi che questo ti qualifichi per un favore di qualche sorta.” Sherlock gira la sua testa quasi di 180 gradi solo per lanciare a Lestrade uno sguardo acido. “Non faccio favori al mio stesso fratello, men che meno alle involontarie pedine del suo inganno, e questo include te.”

Scivolando sul tappeto, Lestrade punta una mano, indice e pollice premuti insieme. Apre la bocca un paio di volte, cercando le parole. Alla fine dice, “Sai... una volta, solo una volta, sarebbe carino se tu tenessi in considerazione tutto quello che tuo fratello ed io abbiamo fatto per te, e magari fossi leggermente grato.”

“La gratitudine è per quelli dal cuore debole.”

Lestrade scuote la testa. “Ti senti quando parli?”

“Mi senti quando parlo? Ho detto no. Arrivederci, Lestrade.”

Lestrade, i pugni chiusi ai suoi fianchi, gira sui tacchi e cammina con passo pesante verso la porta. John guarda verso Sherlock, quindi verso la ritirata di Lestrade, poi di nuovo verso Sherlock prima di sospirare e prendere una decisione che sa che rimpiangerà. Si alza e ferma Lestrade sulla porta.

“È solo per pochi giorni, giusto?” dice John, incrociando le braccia. “Non voglio infliggerle Sherlock per un periodo di tempo più esteso. La donna è praticamente una lunatica. Ma se non ci sono altre opzioni, sono disposto a tollerarla per qualche giorno.”

“Solo pochi giorno,” conferma Lestrade. “Una settimana, dieci giorni al massimo. Tuttavia, di solito non serve così tanto tempo per preparare una casa sicura. Dovrebbe stare qui solo per quattro o cinque giorni, e l’appartamento sarà sotto sorveglianza ventiquattrore su ventiquattro.”

John sbuffa. “Non sono sicuro che non lo sia già. Mycroft ha ogni genere di trucchi nella sua manica.”

“No, gli ho fatto smettere di sorvegliare Baker Street quando ti ci sei trasferito. Sembrava un po’ invasivo, sai com’è. Essendo tu e Sherlock Anime Gemelle e tutto.”

Mentre è grato che Mycroft non si comporterà come un grande fratello guardone, l’idea che ci fosse la sorveglianza non gli va a genio. Dice John, “Ehi, perché Mycroft sente il bisogno di monitorare Sherlock? Voglio dire, so che è iperprotettivo, ma sono iperprotettivo con mia sorella e non mi comporto come fa lui.”

“Beh, con tutto il rispetto, John, non sono la persona a cui dovresti chiederlo. E davvero non mi sento a mio agio a rispondere a questo. Anche se Sherlock è un fastidioso cazzone, comunque non rivelerò i segreti che non vuole siano rivelati.” Posa una mano sulla spalla di John. “Non preoccuparti. Tutto a tempo debito. Grazie, comunque, per questo. Stavo cominciando a pensare che avremmo dovuto liberare una cella in prigione per lei, e non riesco ad immaginare che sarebbe andata troppo bene.”

“Già, amico. Fa solo in modo che quella casa sicura sia pronta il prima possibile.”

Lestrade annuisce, fa un piccolo saluto, ed è andato.

Quando torna nel salotto, sente il suono della porta di Sherlock che viene chiusa sbattendo. Sospira, sedendosi sul divano. Geme nelle sue mani. Sapeva che l’avrebbe rimpianto. Si chiede quanto a lungo Sherlock trascinerà questa collera.

Pensa che il peggio sia passato quando, tre ore dopo, Sherlock si porta lentamente fuori dalla sua camera e si butta prono sul divano. Sembra ancora che non voglia essere socievole, ma almeno sta degnando John della la sua presenza, e quello di solito è il primo segno di perdono con Sherlock Holmes. John si inginocchia accanto alla testa del consulente, posando le dita tra i suoi capelli, e dice, “So che sei arrabbiato, ma parliamone, ok? Comunicazione e tutto quanto.”

“Non mi piace quella donna, John,” dice Sherlock al divano. “La sua filosofia contraddice completamente la mia, è volubile, e non la voglio a meno di cento metri da me, men che meno sotto lo stesso tetto.”

“Lo so, lo so. Per me è lo stesso. Ma chiunque ha diritto alla sicurezza e, al momento, la sua è severamente compromessa. Non c’è nessuna ragione per cui non possiamo permetterle di stare qui per poche notti. Inoltre, potrebbe farti guadagnare un favore o due da Lestrade nel lungo periodo.”

“Lestrade ha smesso molto tempo fa di concedermi favori.”

“Sì, beh, forse potrebbe ripensarci.” John non è di certo disposto a lasciar cadere il suggerimento quando ne ha bisogno.

Non sembra che Sherlock si sia convinto, ancora rigido e rivolto al divano. John massaggia la sua schiena e dice, “C’è qualcos’altro che ti dà fastidio, vero?”

Senza preamboli, Sherlock gira la testa per affrontare John e dice, “La sua SBI è John.”

Sbatte le palpebre. “Cosa?”

“La sua SBI. È John. Non ho potuto fare a meno di notarla quando prima mi ha tirato quella tazza.” Posiziona di nuovo il suo viso contro i cuscini e continua, “So che è irrazionale. Ma non posso far a meno di odiarla un po’ per questo. È un’abitudine. Ho passato così tanto tempo ad essere geloso di chiunque avesse la mia stessa SBI.”

Questa è probabilmente l’ultima cosa che John si sarebbe aspettato. Era completamente preparato ad un’invettiva di Sherlock contro il codice etico e morale della donna, oppure un’invettiva sul fatto che John sia andato contro i suoi desideri e abbia concordato con Lestrade. Tuttavia può lavorare con questo. Sherlock si sta aprendo con lui e non può rovinare questa opportunità.

“Io...” John si ferma, raduna i suoi pensieri, e comincia di nuovo, “Non voglio pretendere di sapere come sia stato per te. So che il mio nome è comune, e se avessi potuto farci qualcosa al riguardo l’avrei fatto, ma... beh, è stata una decisione dei miei genitori. Non avrei potuto fare molto al riguardo, anche se mi fossi fatto chiamare con il mio secondo nome. Le SBI sono sempre il primo nome. Ma so che deve essere stata dura per te, con così tante persone con il mio nome. Continuo a dimenticare che tu ed io abbiamo avuto delle Ricerche molto diverse. La tua era il cercare un ago in un pagliaio, e io cercavo solo di trovare l’unico.” Fa una pausa, preme le sue labbra insieme. “Credo che fossi attaccato a quella mania infantile secondo cui la prima persona che avrei incontrato con il nome della mia Anima Gemella sarebbe stata mia. Suppongo di non averla mai persa perché... non ho dovuto farlo. Ma tu sì.”

“Ventiquattro,” dice Sherlock.

“Hmm?”

“Ho incontrato altri ventiquattro John prima di incontrare te.” Si gira sulla schiena, posando le mani sul suo stomaco. “La donna comune incontra una media di quattro persone con il nome della sua Anima Gemella prima che incontri la sua. L’uomo medio, approssimativamente otto.”

“Beh, io ho solo incontrato un unico Sherlock.”

Sherlock gira la testa di lato e sorride compiaciuto. “Siamo atipici.”

“Mm.” John si alza per sdraiarsi accanto a Sherlock sul divano. Non è davvero grande abbastanza per due uomini adulti stesi su esso, ma l’hanno già fatto prima e John sa come inclinare il suo corpo perché non sia attaccato in modo così precario al bordo. “Penso che l’ultima cosa di cui ti debba preoccupare è di quale sia la SBI di Mary. Non penso che sia pericolosa, necessariamente, ma... è strana. Non sono più a mio agio di te all’idea che stia qui, ma deve pur stare da qualche parte e prima riusciranno a trovarle una sistemazione temporanea, prima la sposteranno in una più permanente. Inoltre, non verrà dimessa dall’ospedale finché non sapranno che è alloggiata in sicurezza e io non vorrei che i miei colleghi dottori debbano tollerarla troppo a lungo.”

Questo fa almeno ridacchiare Sherlock, e John preme la sua fronte sotto il mento dell’altro. Bacia le sue clavicole. Poi il suo collo. Quindi il suo mento. Intende fermarsi dopo ognuno, ma non riesce proprio ad imporre a sé stesso di farlo. Si dice che si fermerà quando Sherlock glielo dirà e continua, dalle guance, al suo naso, alla sua bocca.

Sherlock ricambia il bacio, John lo prende come un buon segno e si solleva per stargli a cavalcioni sui fianchi. I loro baci sono ancora trasandati poiché se li scambiano difficilmente. Come al solito, a John non importa. È troppo distratto dal fatto che gli sia realmente permesso di toccare Sherlock così, labbra contro labbra e mani al di sotto della sua maglietta e fianchi contro fianchi.

Inguine contro inguine.

Sembra che Sherlock si renda conto di quello che sta succedendo nello stesso momento in cui lo fa lui. Passano alcuni secondi a fissarsi l’un l’altro, occhi spalancati e shoccati, pupille dilatate, finché John scende dal divano, permettendo a Sherlock sedersi, alzarsi, e lasciare la stanza.

John si risiede e seppellisce la faccia tra sue mani, maledicendo sé stesso. Lo hai fatto tu, Watson.

 

 

 

 


Eccoci! Quinto capitolo non troppo in ritardo spero!

Sono di fretta, maledetti esami, quindi niente solito fiume di parole, siete salvi! (Stranamente non ho neanche una N.d.T. da lasciarvi, vorrò mica far nevicare?)

Grazie a tutti quelli che recensiscono e anche a chi preferisce, segue, ricorda o solo legge!

Alla prossima! :3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1737814