A FAntAstic Life

di HuGmyShadoW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** _Incubi_ ***
Capitolo 2: *** _Malinconie_ ***
Capitolo 3: *** _Concerto_ ***
Capitolo 4: *** _Ipocrita e Scontro_ ***
Capitolo 5: *** _Rosso_ ***
Capitolo 6: *** _Memorie e Svolta_ ***
Capitolo 7: *** _Presentazioni_ ***
Capitolo 8: *** _Scandalo_ ***
Capitolo 9: *** _Intervista e Pugnalata_ ***
Capitolo 10: *** _Ferita e Cappuccetto Rosso_ ***
Capitolo 11: *** _Girare e Minaccia_ ***
Capitolo 12: *** _Bollicine e Panchina Fredda_ ***
Capitolo 13: *** _Notte_ ***
Capitolo 14: *** _Persiana e Confessioni_ ***
Capitolo 15: *** _Angoscia e Shopping_ ***
Capitolo 16: *** _Bacio e Biglietto_ ***
Capitolo 17: *** _Ombra e Sudore_ ***
Capitolo 18: *** _Colazione_ ***
Capitolo 19: *** _Fuori!_ ***
Capitolo 20: *** _Sogno e Realtà_ ***
Capitolo 21: *** _Thè al limone e Lettera_ ***
Capitolo 22: *** _In die Nacht_ ***
Capitolo 23: *** _Pizza e Bar_ ***
Capitolo 24: *** _Perchè?!_ ***
Capitolo 25: *** _Cadillac e Taxi_ ***
Capitolo 26: *** _A Fantastic Life_ ***
Capitolo 27: *** _Rivelazione_ ***
Capitolo 28: *** _Una Quasi Dichiarazione_ ***
Capitolo 29: *** _Patatine e Flebo_ ***
Capitolo 30: *** _Borse della spesa e Infermiera_ ***



Capitolo 1
*** _Incubi_ ***


“Tutto. Sto lasciando tutto. Eccoli lì, la mia famiglia, i miei amici, i miei ricordi, mi  aspettano , sorridenti e tranquilli, sulla soglia della mia vita. Non si scompongono nel vedermi là, a metà strada, sono sicuri che tornerò da loro. Sì, credo proprio che li ascolterò. Sto bene con loro, si trovano nella luce, al calore. Comincio a camminare verso il mio passato. Ma certo, ora li distinguo bene: ecco mamma, e anche papà; sono insieme, mi attendono a braccia aperte. Che strano, forse questa non è proprio la mia vita. Non ci penso: voglio raggiungerli, voglio riassaporare il leggero gusto di una vita normale, una vita in cui sono veramente amato, non una falsa, dorata esistenza, nella quale tutti mi desiderano perché non mi conoscono realmente… No, non è questo ciò che voglio…
Poco più in là c’è Tom, appena più piccolo di come l’avevo appena lasciato; anche lui vuole che lo raggiunga. Va bene Tom, sto arrivando. Ma perché ci metto così tanto? Siamo lontani solo pochi metri… Non riesco a capire… D’un tratto qualcosa comincia a strattonarmi un braccio. Mi giro. È Tom. Tom, proprio come lo ricordavo, l’altra parte di me, mio fratello… Un momento… Qualcosa non quadra… Guardandolo meglio capisco cosa non va. I suoi occhi sono privi della solita scintilla di vitalità: il suo sguardo è spento, vuoto, gelido. Tu non puoi essere mio fratello… Sento di dover raggiungere la luce, non mi piacciono le tenebre. Mi volto e sospiro di sollievo nel trovare tutto come l’avevo lasciato, il mio personale barlume di conforto è ancora acceso ad indicarmi la via da percorrere. Sto arrivando, mamma, papà, sono qui. Fra poco sarò con voi… Faccio mezzo passo… e mi blocco. Non riesco ad andare avanti. Ah, ora capisco, Tom mi sta ancora trattenendo per il braccio. Mi giro a guardarlo, voglio chiedergli di lasciarmi tornare a casa, ma non ne ho il tempo, perché lui, impassibile, comincia a trascinarmi nell’oscurità, lontano da tutto ciò che ho di più importante. Perché, Tom, perché?! Non eri tu quello ad essere sempre dalla mia parte, chi sapeva sempre farmi ragionare quando stavo per fare uno sbaglio? Non voglio avanzare nell’oscurità, non so dove metto i piedi… È come essere ciechi… Nonostante  cerchi di tornare indietro, i miei sforzi sono tutti vani: le tenebre mi avvolgono sempre di più…
Infine, con uno strattone più forte, riesco a liberarmi dalla presa ferrea di mio fratello, che assume una espressione attonita e ferita che bastò a fermarmi il cuore per un momento… Davvero, non ricordavo fossi così forte… Mi hai lasciato dei segni? Avvicino il braccio al viso per controllare la presenza delle rosse, incandescenti  copie delle dita di Tom, ma… non riesco a vederlo. Dov’è il mio braccio? Dove sono io? Alzo lo sguardo, angosciato  cercando quello del mio gemello, per chiedergli spiegazioni, per chiarire, ma non riesco più a vederlo: è stato inghiottito dall’oscurità anche lui.  
Non riesco a vedere nulla… Forse sono i miei occhi ad essere guasti... Guardo dappertutto, ma sia la luce che Tom sono scomparsi.  
Ora sono veramente solo…
Non ho più un passato al quale aggrapparmi e il futuro, mutevole e beffardo, continua a scivolarmi tra le dita come sabbia.
Senza rendermene conto mi ritrovo raggomitolato a terra, un insignificante granellino perso in un mare di sabbia, o meglio, una piccola vita dispersa nel nulla… Non riesco a sentire niente, nessun rumore, nessuna sensazione… Non avverto più nulla, nulla nemmeno più sotto la mia spalla. Sono appoggiato al niente…
Solo quando me ne rendo veramente conto riesco a percepire che freddo sentivo. Come ho fatto a non accorgermene prima? È insopportabile… Ho freddo… Tanto, troppo freddo…  e sono qui, nel gelido nulla, completamente solo; una piccola gemma strappata dal suo solido ramo da un vento crudele e impetuoso, che l’ha trasportata ovunque, facendole ammirare la bellezza del mondo prima di gettarla bruscamente a terra.
E io sono qui, nel glaciale vuoto, completamente solo.
Mi siedo e mi stringo le gambe al petto. Comincio a dondolare su me stesso, guardandomi ansiosamente intorno. Ho tanto freddo… L’oscurità è dappertutto, preme sui miei occhi, s’insinua nei miei vestiti, si aggrappa ai miei capelli, è soffocante… E fa male… Fa freddo… Ho tanto freddo… Dove sono? Non mi piace l’oscurità… È fredda…”

In quell’ istante, in una piccola stanza d’albergo alla periferia di una grande, sconosciuta città, Bill Kaulitz  spalancò di scatto gli occhi, urlando con quanto fiato aveva in corpo per liberare ciò che sentiva, un dolore così grande che solo le lacrime, che ormai gli rigavano copiose il dolce viso spaventato, non sarebbero bastate ad esprimere.   


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Capitolo 2
*** _Malinconie_ ***



-Ehi… Bill… Bill! È giorno, svegliati… Svegl… oh!- .
Tom, entrando nella stanza, fu non poco sorpreso dalla scena che gli si presentò davanti: suo fratello, seduto sul letto, era completamente vestito, truccato e con la chioma leonina perfettamente ritta sulla testa.  Sbigottito, guardò la radiosveglia sul comodino e poi di nuovo Bill, che gli dava le spalle, rivolto verso la finestra, e che non dava segno di averlo sentito arrivare.
-Ehi, Bill, ti senti male?! Non è da te svegliarti senza… ehm… incoraggiamento, alle 8 di mattina… Per caso qualcosa non va?-, gli chiese Tom, andando a sedersi sul letto accanto al gemello e passandogli un braccio attorno alle spalle.
Tom, suo fratello. Sembrava gli leggesse nel pensiero, pensò Bill con affetto. “Qualcosa che non va… Se rispondessi la mia intera esistenza sembrerei troppo tragico? Forse è meglio non dirti nulla, per il momento, o ti preoccuperesti troppo”.
Finalmente, Bill sfoderò il suo sorriso più rassicurante, anche se quella mattina gli sembrò più tirato del solito, e si voltò verso Tom, che lo guardava con apprensione ed un pizzico di sospetto.
-Non è niente, figurati, ho solo fatto un sogno che mi ha fatto riflettere più del solito… Ma sto bene, te lo giuro!-, insistè il ragazzo, sempre sorridendo visto che il fratello non sembrava persuaso delle sue scuse sbrigative e per niente convincenti. I secondi passarono lentamente, mentre pareva che nella stanza, invece, il tempo si fosse fermato finché… anche Tom non si sciolse in un sorriso e si alzò ridacchiando, dicendo:
-Sì, come no, tu che rifletti! Sarebbe un miracolo! Comunque scendi, abbiamo le prove per il concerto di stasera!- , e sempre sorridendo lasciò una stanza e un ragazzo seduto sul letto, con addosso una maschera e dentro un devastante senso di colpa.  



-Nooooo!!! Non ci credo!!-, urlò Gustav sbellicandosi dal ridere e scivolando sul pavimento dell’autobus privato che stava trasportando i Tokio Hotel allo stadio, nel quale si sarebbe svolto, quella sera, il loro ennesimo concerto. Sempre scosso dalle risate e incapace di parlare, prese ad indicare Georg, rosso come un peperone, che continuava a balbettare inutili -Ma smettila!! Non dovevo dirvelo...-..
-Ora basta!!!-, ruggì quest’ultimo, furioso, e con movimento fulmineo si avventò sul compagno, sempre raggomitolato sul pavimento, che cominciò a dibattersi non appena l’amico iniziò a  strofinargli le dure nocche sulla testa, in una mossa probabilmente copiata da un lottatore di wrestling : -Smettila, maledizione!! Mi fai male! Ahiaaaa!!!!-, e ancora spinte e pugni giocosi, che non potevano fare altro che rafforzare la loro amicizia.
Comodamente stravaccato su un morbido sedile azzurro, Tom ridacchiava assieme ai compagni per quel gioco tanto infantile quanto bello. D’un tratto però smise e rimase attonito: “Perché non sento la risata idiota di mio fratello? Di solito è il primo che comincia a sbellicarsi per queste situazioni dementi… Pensandoci bene, è da quando siamo saliti sul bus che non lo vedo… Ma dov’è?!” , pensò il ragazzo sporgendosi a destra e a sinistra per cercare il gemello.  “Ah, eccolo, trovato…”. Tom sospirò di sollievo nel riconoscere la bizzarra capigliatura, ma poi si accigliò: qualcosa non andava, non andava affatto. Bill amava essere al centro dell’attenzione, era l’anima della band, chi riusciva a smuovere gli amici anche quando erano contrari a fare quella certa cosa… E allora come mai adesso se ne stava tutto solo in un angolo?!
Preoccupato, Tom si alzò con un sospiro dal comodo sedile e cominciò ad avanzare verso l’ultimo posto di quell’autobus, tanto piccolo secondo i suoi criteri, che però ora cominciava ad allungarsi ad ogni passo.
“Maledizione, ma questo corridoio non finisce più?!”, pensò, arrabbiato senza sapere perché.

Finalmente, riuscì a raggiungere il fratello, disteso sui due sedili con le spalle e la testa appoggiate al finestrino, sul viso un’espressione tanto malinconica quanto bella e struggente. Nel vederlo così spento, il rasta non poté che provare una grande tristezza per il fratello. Quest’ultimo sembrava non essersi nemmeno accorto che accanto a lui c’era qualcuno, e nemmeno si mosse quando un esitante Tom lo chiamò piano, dolcemente:
-Bill, senti… ehi!! Bill!! Biiill!!!!!-.  Soltanto quando il gemello gli urlò nelle orecchie, Bill si girò lentamente e si tolse, con un’ espressione sorpresa dipinta sul suo volto angelico, le cuffiette dell’ i-Pod.
-Meno male!!! Stavo per perdere la voce!!!-, lo apostrofò bruscamente Tom.
Sembrò che il ragazzo  impiegasse un’eternità a recepire il messaggio, con le sopracciglia aggrottate e la bocca arricciata di lato. Finalmente, dopo parecchi secondi, rilassò le labbra e sgranò gli occhi, chiedendo candidamente:
-Perché, eri qui da tanto?-.
“Come si fa a non volerti bene?!”, pensò Tom divertito, e con un lungo sospiro scaraventò giù dal sedile le lunghe, magre gambe del gemello, che perse l’equilibrio e si aggrappò al finestrino imprecando, e gli si gettò accanto.  

-Allora? Cosa c’è che non va? Sii sincero, per piacere, non sopporto più di vederti ridotto così… -, disse Tom,  e  subito si sentì gli occhi pericolosamente lucidi,  mentre Bill abbassava lo sguardo e rispondeva: -Niente…-, con un tono di voce che avrebbe sciolto un cuore di marmo. Per simulare l‘azione di asciugarsi i lucciconi finse di sistemarsi il cappello… Pericolo scampato. Il fratello sembrava non essersi accorto di nulla.
Tom rimase in attesa ancora qualche secondo, finché il gemello non alzò lo sguardo, e trafiggendo il suo gli disse, mesto:
-Senti, non devi stare male per me…-. A Tom venne un colpo. Come non detto. Bill si accorgeva sempre di tutto. -… È solo un periodo in cui, bè, preferisco stare da solo… Spero tu mi capisca…Non è niente di grave, riuscirò a superarlo, tranquillo… Tutto qui…-.
“Tutto qui…” . Questo era troppo.
Tom strappò dalle mani distratte di Bill l’ i-Pod con cui aveva giocherellato fino a quel momento e guardò  il titolo della canzone che ormai si ripeteva incessantemente.
Di nuovo sentì gli occhi bruciargli, ma questa volta non se ne curò. Alzò lo sguardo umido d’affetto verso il fratello, che lo guardava, vuoto e colpevole.
-Bill, è da quando siamo partiti che ascolti sempre e solo “Rette Mich”, vero?-.
Lo sguardo del ragazzo parlava da solo. - Tu non stai bene… Se adesso non vuoi parlarne, d’accordo, non ti costringerò a sfogarti con me, però sappi che quando sarai pronto io ci sarò sempre per te…-. Bill fece un grandissimo sforzo per trattenere le lacrime, pronte a comparire  in qualsiasi momento, quel giorno.
Detto questo, Tom strinse brevemente le spalle del gemello e si alzò. Stava per andarsene quando si ricordò…
-Ah, Bill…?-.
-… Sì…?-. rispose quello, guardandolo sospettoso.
-Ehm…-. Non sapeva come cominciare. Si morse un labbro gingillandosi con il percing. -Be’… stanotte ho sentito qualcuno urlare… Mi sembrava venisse dalla tua camera… Ehm… eri… insomma, eri tu, per caso?-. Con un sospiro di sollievo ed un filo di imbarazzo, finalmente quella frase mezza balbettata uscì dalla bocca tormentata del rasta.
Gli occhi sgranati del gemello, così simili ai suoi, gli diedero da soli la risposta, ma Tom preferì sentire cosa avrebbe veramente risposto il fratello. Lentamente, l’espressione di Bill si ricompose e con un tono di voce che si sforzò di far passare come tranquillizzante replicò:
-Chi, io?! Ma và, te lo sarai sognato… E poi perché dovrei mettermi ad urlare nel cuore della notte?! Io non ho sentito nessuno…-, e abbassò subito la testa per non far scorgere la colpevolezza nel suo sguardo.
Tom annuì: -Va bene… Allora… Quando vuoi, io ci sono…-, e senza aggiungere altro se ne andò, lanciandogli un ultima, malinconica occhiata.


Bill rimase immobile a guardarsi le punte delle sue nuove scarpe firmate, aspettando qualche secondo. Poi, di scatto, alzò la testa, facendo oscillare le sommità della sua capigliatura ed esclamò: -Tom!!! Io…!!-. Quando si accorse che non c’era più nessuno accanto a lui, scosse la testa ridendo di sé, e si rimise l’ i-Pod, tornando nella stessa posizione in cui l’aveva trovato il fratello pochi minuti fa.
“Già, Tom… lui non vorrebbe vedermi ancora così…”, pensò amareggiato Bill.
In quel momento attaccò ancora una volta il ritornello di “Rette Mich”. Un timido sorriso cominciò finalmente a farsi strada sul viso malinconico del ragazzo, diventando un po’ più largo quando con un lungo dito dall’unghia smaltata di nero premette il tasto “AVANTI” e le prime note di “Monsoon” iniziarono a spandersi nella sua mente tormentata.
Chiuse i begli occhi nocciola e appoggiò di nuovo la testa al finestrino.

“…togheter will be running somewhere new
and nothing can hold me back from you,
trough the monsoon,
just me and you...

Di nuovo, un sorriso illuminò l’espressione di Bill Kaulitz, che ora un po’ più sereno mentre si lasciava andare ad un piacevole torpore, sussurrò a tutti e a nessuno: -Grazie…-.
E una lacrima, in quel momento, lui fu sicuro fosse valsa più di mille parole. 



   

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Capitolo 3
*** _Concerto_ ***



La notte… Spesso non riusciamo ad ammirarne veramente la bellezza, tanto occupati a fuggirla per rifugiarci alla luce. In realtà, se non ci fosse il buio non potremmo vedere né le stelle né la luna. Sarebbe veramente triste. Ma a volte, troppa luce può disturbare, e fare male.  È allora che si può cominciare a desiderare un posto nell’oscurità, per ritrovare la tranquillità, per riflettere… Altre volte invece si desidera di sparire. Puf! Come se non si fosse mai esistiti… E spesso i desideri hanno un’opportunità per avverarsi…


-No! No e ancora no!!! Non ci siamo affatto!!!-.
Un scarpa color pece, lucida, venne sbattuta con forza a terra, facendo tremare il terreno. Una goccia di sudore spiccò un salto nel vuoto, da una liscia, giovane fronte corrugata al duro, freddo pavimento. Spaf…  

Quel giorno Bill Kaulitz era ancora più pignolo ed esasperante del solito, il che la diceva lunga, e non riusciva a trovare l’armonia tra gli strumenti e la sua voce. Forse perché non era in armonia nemmeno con se stesso.
Quel pomeriggio i Tokio Hotel erano impegnati nelle prove per il concerto che avrebbe avuto luogo quella sera su quello stesso palco. La tensione era forte per tutti, ma non tanto quanto per il loro vocalist.
Bill cominciò a camminare avanti e indietro lungo la piattaforma semicoperta di cavi elettrici e polvere, inveendo contro gli altri componenti della band e lanciandosi indietro quasi ad ogni passo un ciuffo ribelle che gli ricadeva sugli occhi.
-Ragazzi, non ci siamo! Gustav, sei andato fuori tempo, concentrati di più; Georg, anche tu, concentrazione!!! Tom, hai stonato sul penultimo accordo, e non è di certo la prima volta che la suoniamo oggi, questa canzone, maledizione!!!-.
I ragazzi rimasero attoniti: sapevano che Bill era puntiglioso, ma questo era veramente troppo! Si lanciarono uno sguardo d’intesa, e mentre Bill si accaniva anche contro l’asta del microfono, brontolando che era troppo alta, Tom prese l’iniziativa.
Silenziosamente, si avvicinò al fratello:
-Bill, secondo me sei troppo stressato. Vuoi trovare errori anche dove non ce ne sono. Tranquillo! Stasera andrà tutto bene! Ce la siamo sempre cavata e continueremo a farcela! E poi non credo che le fans si accorgeranno se il microfono ti arriva alla fronte o alle ginocchia-. Ridacchiò. - Saranno solo impegnate a gustarsi la mia esibizione!! Chi vuoi se ne importi di una mezza checca quando possono gustarsi Tom il Magnifico?!-.
Georg e Gustav sogghignarono insieme al rasta, mentre Bill rimase serio, fulminando con lo sguardo il gemello che, spostatosi al centro del palco, suonava una chitarra immaginaria e lanciava sguardi sensuali allo spazio vuoto che di lì a poche ore avrebbe contenuto mille ragazze urlanti. Quando il ragazzo finì la sua esibizione con una scivolata al limite della piattaforma, Gustav e Georg applaudirono ridendo di gusto e finalmente anche Bill si lasciò strappare una risata dopo che il fratello, alzandosi, rischiò di cadere di sotto.
Tom si voltò a guardare il moro con un’ espressione di trionfo sul viso ed esclamò:
-Hà!!! Visto?? Ti ho fatto ridere, finalmente!! Tom ist die besten!! Grazie ragazze!!! Lo so che mi amate!!-, e schioccò grandi baci con le mani allo spazio vuoto sotto di sé. Poi si inginocchiò sporgendosi dal bordo e sussurrò con la sua solita voce calda e passionale a una ragazza immaginaria:
-Ehi, baby… Che ne dici di conoscere più approfonditamente il grande Tom? Ok? Ti vengo a prendere dopo lo spettacolo…-.
Il bassista e il batterista ormai si rotolavano per terra dalle risate, tenendosi le mani sulla pancia, e sembrarono scoppiare quando il loro chitarrista, allontanandosi ancheggiando fin troppo vistosamente e soffiando loro baci, dichiarò:
-… E questa è la tipica camminata di Bill!!-, e si voltò a guardare il fratello lanciandogli uno sguardo provocante, sempre continuando ad ancheggiare.
Oramai anche Bill si era lasciato andare e rideva di gusto insieme agli altri due rannicchiato sullo sporco pavimento. Con le lacrime agli occhi, si alzò e riuscendo a malapena a respirare, diede un  colpo con il piccolo sedere al fianco del fratello, scaraventandolo a terra, e stando al gioco lo rimproverò:
-Ma dai, sembri un vecchio manichino! Guarda e impara come si fa, incompetente!!-.
E anche lui si lanciò nella finta imitazione di se stesso che sfilava davanti alle fans, sculettando vistosamente ma usando una camminata più fluida di quella del gemello.
Dopodiché si girò, e correndo come un bambino piccolo, quasi rimbalzando, prese di slancio il microfono e cominciò a cantare con la voce in falsetto:
-Ich muss durch den monsuuuun..!! Bitte, spring niiiiiiiicht...!!-, e via all’imitazione con altre frasi tratte dalle prime canzoni che gli venivano in mente.
Mentre tutti ridevano per quel gioco cominciato per caso, Tom non poté che pensare:
“Bentornato, Bill…”, e essere felice per il restituzione del fratello, sicuro che in realtà non se ne fosse mai andato.    

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Luci, fumo, urla e attesa. Questo è il mondo dei Tokio Hotel.
In questo momento i quattro ragazzi più amati della Germania sono dietro le quinte, nei loro camerini, intenti a prepararsi per la grande serata che comincerà di lì a poco. Sentono la tensione, la loro e quella delle mille e più fans, appena più in là, distanti una vita intera.
“Ancora non riesco a credere che tutto questo sia successo proprio a noi”, pensò Bill Kaulitz intento a stirare con la piastra i suoi drittissimi capelli. Era quasi pronto, gli mancavano solo qualche ritocco e un pizzico di lacca. “Eravamo semplici ragazzi con la passione della musica in comune, abbiamo iniziato dal garage e ora ci ritroviamo qui, su un vero palco, davanti a un’infinità di gente, pronta a spettegolare su di noi non appena facciamo qualcosa di sbagliato. Le nostre foto sono ovunque…”, e si passò ancora una volta la matita attorno ai suoi grandi, innocenti occhi nocciola, “… la gente ci indica per strada, non posso più muovermi senza scorta, e sarà una vita che non rivedo più i miei genitori o i miei amici…”.  Si fermò, si appoggiò al tavolino e rimase, pensieroso, a fissare i propri ricordi, così intensi da essere quasi dolorosi.
A volte la nostalgia si presenta senza preavviso, entra senza bussare nella nostra vita cogliendoci sempre impreparati e lasciandoci spesso ad affogare nei ricordi.
Ma questo non era il momento di perdersi nelle proprie memorie, e Bill lo sapeva.
Raddrizzando la schiena, si guardò allo specchio e vide un ragazzo alto, longilineo, dagli occhi truccati e con una pettinatura bizzarra. Ma non solo. Vide sé stesso, prima, e la sua vita, com’era diventata. Allora prese una decisione.  Alzò lo sguardo e continuò a sostenere quello del proprio riflesso. Questo era il destino che lui e i suoi compagni avevano scelto, e ora dovevano continuare a viverlo.
Deciso, ormai, a dare se stesso per il pubblico, si voltò e uscì dal camerino. Quasi nello stesso instante, altre tre porte si aprirono. Eccoli, loro, ragazzi  identici, in fondo, a com’erano da bambini: spensierati, allegri e amanti della musica.
Quattro paia di occhi si fissarono gli uni negli altri. Non servivano troppe parole. Ne bastò una, che fuoriuscì senza esitazioni dalla bocca del loro leader:
-Andiamo-.

Non appena i quattro adolescenti fecero la loro comparsa di corsa sul palco, la folla impazzì: le urla erano quasi assordanti, quei quattro nomi venivano invocato, e lacrime e sudore cominciarono a confondersi fra loro.
Ognuno si posizionò: chi si mise lo strumento a tracolla, chi ci si sistemò dietro e chi ne afferrò l’asta con una mano dalle lunghe dita luccicanti per via dei tanti anelli che le ricoprivano.
Erano pronti.

Sentendosi le farfalle nello stomaco e il vuoto nella testa, Bill fece un respiro profondo. Il concerto era iniziato. La chitarra fremeva, la batteria sussultava e il basso faceva sentire la sua voce.  Bill chiuse gli occhi, aspettando la giusta entrata. Lo note scorrevano lente, una dopo l’altra, fluidamente, penetravano in lui, lo avvolgevano piano.
Riaprì gli occhi. E vide il mondo intero.
Gli piaceva la musica. Inseguiva il suo sogno, l’aveva già raggiunto, in parte. Faceva ciò che gli piaceva e che aveva sempre voluto fare. Musica. Tutto qui.
Prese fiato dischiudendo le fresche labbra carnose; aveva un riflettore puntato in faccia, non vedeva il pubblico, e forse era meglio così. Ormai il concerto era iniziato.


“Das Fenster öffnet sich nicht mehr
hier drint ist es voll von dir und mehr
und vor mir geht die letzte Kerze aus.
ich warte schon ne Ewigkeit endlich ist es jetzt soweit
da draußen ziehen die schwarzen Wolken auf... „


La prima canzone fu accolta con un applauso così fragoroso che perfino lo stadio tremò. E anche le altre  furono approvate nello stesso modo. Dopo quasi due ore, la band scivolò piano sugli ultimi accordi di “Spring Nicht“ e con un’ultima nota dichiarò concluso il concerto. Bill, stremato, brandì per l’ultima volta il microfono, ringraziò il pubblico, che nuovamente esplose, e corse fuori assieme agli altri componenti della band, tutti ansiosi di farsi una doccia e festeggiare al party organizzato per loro dopo l’esibizione.


-Eccoci!! Parcheggia pure lì, vicino al lampione…-, disse Tom, sporgendosi a sinistra e indicando un edificio in mattoni rossi, abbastanza spoglio.
-Tom, se fai così andiamo a sbatterci contro, al lampione! Levati, che non ci vedo!!-, lo rimproverò Bill, spostandogli bruscamente il braccio che gli impediva la visuale. Girò il volante, frenò e poi arrestò del tutto la macchina . Pochi secondi dopo, erano tutti fuori, Bill, Tom, Georg e Gustav, giovani, spensierati e pronti a divertirsi.
Bussarono all’unica porta, grigia, in cui era inserita un’unica maniglia nera, che venne quasi immediatamente abbassata. Un paio di occhi appena raggiunti dalle punte di lisci capelli biondi, spuntati dalla fessura della porta, fissarono i ragazzi ad uno ad uno e dopo qualche secondo, finalmente il portone venne spalancato, lasciando intravedere una stanza decisamente diversa dallo stile del resto della casa.
Andreas esclamò:- Finalmente!! Che avete dovuto fare fino ad adesso?! Un concerto?? Entrate, forza, stiamo aspettando solo voi!...-, e fece un ampio gesto con le braccia, appartenente ad un galateo ormai superato.
-Andreas!! Come va? Bella lì, fratello!-. Tom lo salutò in modo decisamente differente, sottolineando ancora una volta il suo stile “di strada”. Tutti i ragazzi rivolsero i saluti al biondino con grandi pacche sulle braccia, pugni giocosi sulle spalle, strette di mano più o meno decise.
In fondo erano ragazzi.
La stanza era un arcobaleno di colori, tutti diversi, distribuiti su palloncini, festoni e striscioni. Al centro era sistemata alla bell’e meglio su una tavola bianca, una grossa torta, così appetitosa che ai quattro venne subito l’acquolina in bocca. Intanto che Bill osservava ancora com’era sistemato il locale, Tom, meno educato, lasciò il gruppo per avventarsi immediatamente sulla prima ciotola di salatini che gli capitò sotto mano, mentre due ragazze, una bionda e una mora, sedute sul divano di pelle nera lì vicino, lo guardavano divertite. Lui, accortosene, sorrise loro, ma l’effetto di sedurre non fu proprio quello, dato che con la bocca piena, assomigliava più a un pesce-palla che a un rubacuori. Le ragazze cominciarono a ridere come matte e il rasta, approfittandosene, mandò giù il boccone e si sistemò tra di loro, stendendo le braccia sopra lo schienale e accavallando le gambe, nella posa di chi è sicuro di sé. Bill alzò gli occhi al cielo e mentre se ne andava verso i suoi amici sentì il fratello pronunciare la frase di rito della sua tecnica per affascinare le ragazze:
-Allora, bellezze, come andiamo? Vi state divertendo?-.


Sorridendo fra se, prese al volo un bicchiere dal tavolo e raggiunse Georg e Gustav. Mentre beveva ebbe la sensazione di essere osservato. Alzò lo sguardo e frugò tutta la sala, senza però scoprire chi lo stesse guardando. Facendo spallucce, si reinserì nella conversazione che aveva appena lasciato. Intanto, dall’altra parte della stanza, due occhi azzurri, freddi e taglienti come il ghiaccio, continuarono a scrutare intensamente Bill Kaulitz, pregustando già la riuscita del proprio piano personale.
 





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Capitolo 4
*** _Ipocrita e Scontro_ ***




"Presto… Devo fare presto… Lo sapevo, non ce la farò mai…”.
Una ragazza. Nella notte. Passi affrettati che si abbattono violentemente sul marciapiede.
Il suo cuore batte forte, un po’ per la corsa, un po’ per l’emozione. Correva, doveva correre, era in ritardo, maledettamente in ritardo, e lo sapeva fin troppo bene.
Guardò il biglietto che stringeva nella mano destra da più di un’ora, mentre si fermava a prendere fiato sotto un lampione, e ciò che vide stampato a quella fioca luce le diede la carica.  Continuò a correre, ancora più veloce, nonostante il dolore al fianco, a tempo col suo piccolo cuore. Poteva farcela, doveva…


-Ciao! Tu sei Bill Kaulitz, vero?-. Una frase pronunciata quasi sussurrando da delle labbra carnose luccicanti di lucidalabbra alla frutta.
Bill si voltò e fissò stupito la ragazza bionda e slanciata che gli aveva appena rivolto la parola. Era molto carina, indossava un vestito da sera nero, corto, senza spalline, ed era di poco più bassa di lui. Gli sembrava di averla già visto. Si sforzò di ricordare. Poi un lampo. Guardò oltre la spalla della biondina dritto verso l’unico divano della sala. Tom era ancora seduto lì e stava conversando con la ragazza mora. L’altra non c’era più. Distolse lo sguardo e lo rivolse nuovamente a lei, rispondendole finalmente:
-Ehm… Sì, sono io Bill… Ma tu prima non stavi con Tom?-.
-Sì, ma ora mi sembra che sia occupato con la mia amica…-, e li indicò con un gesto elegante della mano. -…mentre tu sei qui solo soletto…-.
-Veramente sto con Georg e Gustav… -, ribadì debolmente mentre i due ragazzi sorrisero e salutarono con le mani.
-Suvvia, è una festa, no? Bisogna divertirsi e conoscere persone nuove, non stare sempre con le solite.- Il sorriso si spense dai volti del bassista e del batterista.
-Vieni, ti faccio conoscere un paio di amici…-, e presolo per un braccio, la ragazza cominciò a trascinare Bill nel punto più lontano della stanza, lasciando pietrificati i suoi amici.
Immediatamente, il giovane venne coinvolto in un infinito giro di presentazioni, sommerso da nomi più o meno comuni che gli uscivano di mente subito dopo che li aveva sentiti. Dopo pochi minuti di conversazione e molti vani tentativi da parte di Bill di tornarsene dai compagni, la ragazza, che disse di chiamarsi Giusy, ricominciò a trascinarlo di qua e di là, mettendogli in mano ad ogni fermata un ennesimo bicchiere che il ragazzo, per buona educazione, finiva subito in pochi sorsi.
Ben presto, Bill si ritrovò ubriaco da tutto quel muovere in giro e dalla troppa birra. Gli girava la testa e non riusciva più a capire niente. Senza rendersene conto, si ritrovò solo in una stanza con Giusy, perforato da parte a parte da quei glaciali occhi azzurri che, anche se lui non lo sapeva, lo stavano studiando da molto prima di quella serata.


Un vicolo oscuro. Una ragazza. Ancora lei. Lo stesso biglietto ormai stropicciato e umido stretto nella stessa mano. Un senso di vuoto alla bocca dello stomaco. È sotto la luce proiettata dall’ultimo lampione prima del buio di quella angusta e angosciante stradina.
“Ormai non ho scelta, non posso più tornare indietro…”,
pensa la ragazza sentendo un ronzio nella testa e un fastidioso, freddo formicolio dietro la nuca. “Mannaggia a me e al mio stramaledetto ritardo… Va bene, andrà tutto bene… Forza…”,
Sta sudando freddo, tentenna ancora ad avviarsi verso quell’insicuro destino.
 e con un gran sospiro si tuffò nelle tenebre.


Altro tuffo, di ben diverso tipo, in una stanza dalle pareti colorate, su un vecchio divano di pelle rossa. Bill si ritrova sprofondato fra quegli antichi cuscini, completamente stranito, mentre una ragazza bionda di cui non riesce più a ricordarsi nemmeno il nome gli è sopra e si avvicina sempre di più. Senza sapere come, si ritrova delle labbra estranee che profumano di fragola premute sulle sue, mentre una mano adornata da qualche braccialetto tintinnante già gli si è infilata sotto la maglietta. Apre la bocca per chiedere spiegazioni e scopre una lingua non sua a giocare con il proprio percing. Ciuffi biondi gli ricadono sul viso truccato, non riesce più a capire niente, vuole alzarsi, ma non ce la fa, c’è qualcuno che lo tiene intrappolato tra quei soffocanti guanciali di un rosso passato. Cerca la lucidità , ma affanna nel annebbiamento. La mano sconosciuta è fredda, e continua a navigare sulla sua schiena, poi sulla sua pancia piatta, sfiora la stella e passa oltre, più in basso ancora. Quando il ragazzo si sente sfilare la cintura finalmente trova quel pizzico di ragione che gli basta per discostare quel corpo dal suo e riuscire finalmente ad alzarsi in piedi, anche se barcollando. Ha un po’ il fiatone, si sente quasi svenire. Si appoggia al tavolino lì accanto e chiede, balbettando affannosamente:
-Pe.. Perché… vuoi… mi vuoi fa… re questo…?- . Si sente la nausea, ma respira profondamente e riesce per miracolo a non vomitare.
La ragazza intanto si alza, e sistemandosi i capelli ridacchia piano fra sé, poi si rivolge al ragazzo tremante, sempre sorridendo con un velo di cinicità negli occhi azzurri:
-Proprio non riesci ad immaginarlo?! Fai uno sforzo… Tu sei il ragazzo più desiderato della Germania, grazie a quel tuo gruppo da quattro soldi… Credi che se vendessi qualche foto “piccante” di noi due assieme non farebbe scalpore?!-, e fece oscillare davanti agli occhi stupiti di Bill una macchina fotografica digitale. -In breve tempo diventerei famosa, e tu per non fare scandalo dovresti ammettere di essere insieme a me… E tutto questo non può che rientrare nei miei interessi… Potrei ricattarti e diventare ricca senza sforzo… Coronerei il mio sogno in un mese, massimo. Hai capito, ora, stupido travestito?-, esclamò la ragazza perfidamente, schernendo un atterrito Bill che si ritrovava a vivere il deja- vu più impressionante della sua vita. In un lampo, ricordò quell’incubo, la sua sensazione di vuoto, il buio ed in particolare quella coscienza:

“…non voglio una falsa, dorata esistenza, nella quale tutti mi desiderano perché non mi conoscono realmente… No, non è questo ciò che voglio… “.

Sgomentato, si ritrovò nella realtà, nella sua realtà, a vivere la sua più grande paura: essere solo, senza vero amore e attorniato da falsità.
Mentre la ragazza comincia ad avvicinarsi di nuovo a lui, ora con un lampo più malizioso negli occhi, Bill riesce ad urlare un “NO!” un po’ biascicato e ad allontanarsi, malfermo, da quel demonio travestito da angelo e da quel divano rosso spento.
Giusy rimane immobile al centro della stanza, sposta il peso su un fianco e vi si appoggia, mentre si porta la macchinetta digitale alla bocca. Sorride di un sorriso diabolico,  per metà nascosto dall’apparecchio grigio appoggiato alle labbra fruttate, ora un po’ meno lucide. Guarda la porta rimasta aperta e sussurra piano:
-Ci rivedremo, Bill Kaulitz, non ti lascio di certo scappare così…-, e se ne va, indossando il suo volto attraente e lasciando su quei cuscini sporchi di falsità la sua vera identità.  


“Non riesco a crederci… Non me lo sarei mai aspettato…”.
Bill percorreva a grandi falcate, un po’ insicuro, il tratto di strada che lo separava da un comodo letto e da una notte tormentata, molto probabilmente insonne. Ancora ubriaco, non riusciva però a non pensare a quello che era appena accaduto e a quello che sarebbe potuto succedere se non avesse trovato un po’ di lucidità. “Sarebbe stata la fine del gruppo…E sarebbe accaduto tutto per colpa mia…”, pensò con amarezza il ragazzo, mentre ancora una volta si appoggiava al muro pieno di scritte d’amore, per rimanere in piedi. “Già, amore… Che strano sentimento! Io l’ ho provato poche volte nella mia vita, e ne sono sempre rimasto deluso: ti prende, ti vizia, ti coccola, e quando ormai ne sei assuefatto, può venirgli il capriccio di lasciarti per strada, fra le cose polverose del passato che fu. Il tuo passato, ormai cenere, gettata al vento…”
Bill rimase immobile per qualche tempo, poi alzò lo sguardo al cielo e respirò profondamente l’aria fresca della notte, riuscendo a riprendersi un po’ di più, nonostante non riuscisse ancora a stare fermo in piedi. Mentre ancora assaporava quella leggera brezza rinfrescante su suo pallido viso, gli sembrò di udire un inquietante rumore di passi dietro di sé. Si bloccò. Angosciato, si guardò intorno, cercando di scorgere la presenza di ombre più scure della notte, ma vide solo la propria, proiettata dalla fioca luce del lampione a cui era appoggiato.
Abbastanza inquieto, il ragazzo decise di proseguire il più velocemente possibile, tenendo lo sguardo basso e guardandosi alle spalle di tanto in tanto. Sentendo uno schianto assordante alla sua destra si voltò di scatto, in posizione di difesa, ma spaventò solo un vecchio, grigio gatto che saettò lontano dal bidone dei rifiuti che aveva appena rovesciato.  Un po’ più sollevato, Bill si asciugò il sudore freddo che gli imperlava la fronte e con un ennesimo, profondo sospiro proseguì per quel breve, insicuro percorso di cui non era sicuro sarebbe riuscito arrivare alla fine. Il giovane accelerò ancora, quasi correva tanto lunghe erano le sue falcate lungo quel grigio e spoglio marciapiede. Poi rumori. Tonfi. E ancora passi affrettati, dietro, davanti, tutt’attorno a lui.
“Per effetto dell’eco, probabilmente…”, si disse fra sé per allentare la tensione che lo stava schiacciando. O almeno, questo era ciò che sperava ardentemente.


Poco prima. In un altro luogo, decisamente più sicuro. Un ragazzo con lunghi rasta biondicci sta tuttora conversando con una ragazza su un divano di pelle nera. Le chiacchiere sono ancora animate e leggere, ma l’attenzione del ragazzo verso la moretta non è più come prima. Il suo sguardo vaga vigile lungo tutta la sala, soffermandosi in particolare su tutte le persone alte e dai capelli neri. Quando però si accorge che nessuno di loro è chi lui sta cercando, passa oltre, più inquieto mano a mano che si avvicina al punto di partenza. Nel momento in cui constata di non aver trovato quel particolare ragazzo, si alza.
-Dove vai? Ti stavo raccontando del mio viaggio alle Hawaii!-, protesta la giovane, nel vedere che Tom non la sta più degnando di uno sguardo.
-Scusa, devo andare a vedere dov’è finito quell’idiota di mio fratello!-, risponde lui, allontanandosi velocemente. Poi si volta, sempre camminando, e si appoggia una finta cornetta del telefono, fatta dalle sue dita, tra l’orecchio sinistro e le labbra, e grida alla mora, da lontano:
-Ti chiamo dopo! Non preoccuparti!-, e dopo averle fatto l’occhiolino, continua per la sua strada, lasciando piena di speranza un’altra ragazza.
“Chissà perché faccio sempre questo effetto alle donne… Mah…”, pensò distrattamente Tom. Si fermò un attimo, e dopo aver individuati Georg e Gustav, soli, decise di raggiungerli.
-Avete visto Bill, per caso?-, chiese, cercando di apparire tranquillo ed indifferente.
-Sì, sarà in giro con Miss Simpatia, con chi altri, se no?! Starà ancora conoscendo “persone nuove”…-, rispose Gustav, acido, facendo il gesto delle virgolette con le dita.
-Miss Simpatia? E chi sarebbe?! Dai, non fatemi perdere tempo, raga!-, domandò Tom, anche lui seccato.
-Non li hai visti? È arrivata qui di punto in bianco quella tipa bionda con cui stavi e si è trascinata dietro il nostro istrice cantautore… Gli deve aver fatto fare il “Tour dei Vip”, ma poi non lo abbiamo più visto… Magari adesso ci starà provando con lui, che dici Gustav?-, raccontò Georg, chiedendo conferma al batterista, che alzò le spalle mentre dava un sorso alla sua seconda birra e borbottava: -Fatti loro…-.
Tom ripensò alle parole dell’amico: “ …quella tipa bionda con cui stavi…”. Si sforzò di ricordare cosa gli avesse raccontato durante quei pochi minuti che aveva passato con lui. Aggrottò le sopracciglia e rimase a pensare per qualche tempo, mentre i due amici continuavano ad offendere con terribili insulti la ragazza tanto antipatica. All’improvviso, un flash. Un ricordo incredibilmente nitido della conversazione avuta con lei, Giusy. E un dubbio che comincia ad attanagliargli lo stomaco e la mente. Cercò di non pensarci.
Senza nemmeno salutare, Tom cominciò a dirigersi di nuovo verso il divano, sul quale lo aspettava a braccia aperte la ragazza.
“Però, mica male la tipa…”, pensò il rasta, leccandosi il percing. “Sembra quasi una modella…”. Arrivato a metà strada, rivolse lo sguardo prima alla porta e poi di nuovo alla moretta. Insicuro, tentennante fra ciò che riteneva giusto e ciò che adorava di più.
-Al diavolo!-, esclamò ad alta voce Tom, e voltatosi, prese finalmente la sua decisione.

“Che freddo che fa… Comunque, il colmo sarebbe che adesso mi derubassero o che mi picchiassero a sangue, dopo i fatti di stasera…”, pensò Bill, per distrarsi un po’. Girò un angolo in un vicolo buio. “Dopo tutto questo, non mi stupirei nemmeno se un missile mi piovesse addoss…”, ma non riuscì nemmeno a finire la frase perché qualcosa, o qualcuno, sparatogli contro a velocità allarmante lo colpì forte all’altezza dello stomaco, togliendogli il fiato e sgombrandogli la mente, sbilanciando il suo momentaneamente precario equilibrio. Mentre cadeva a terra, schiacciato da quel corpo estraneo, di cui riconosceva solo una massa confusa di capelli scuri, non avrebbe mai potuto immaginare che quel casuale incontro, anzi, improvviso scontro, avrebbe cambiato completamente la sua vita, sconvolgendo addirittura il suo destino.






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Capitolo 5
*** _Rosso_ ***




Un dolore bruciante, paralizzante, improvviso. Rosso. Bill vedeva tutto rosso. Rosso sangue. Chiuse gli occhi e strinse fortissimo le palpebre, per cercare di scacciare quella fitta che lo stava immobilizzando. Davanti al suo campo visivo cominciarono ad apparire una miriade di puntini bianchi. Poi, quando finalmente il bruciore divenne controllabile, aprì lentamente gli occhi, vedendo letteralmente e realmente le stelle. Piccole, lontane stelle splendenti in un nero cielo di seta. Sentiva delle scosse partire dai gomiti e arrivare alla spalla per ogni piccolo spostamento, e i palmi delle mani coperti di ferite. Per un attimo non riuscì a ricordare cosa fosse successo, ma quando vide sopra di sé quella giovane dai lunghi capelli castani, la consapevolezza lo investì nello stesso modo di quella sconosciuta. Ricordò tutto: la festa, Giusy, la sbornia, la strada scura, il suo ultimo pensiero prima dello scontro e poi... quella ragazza. Abbassò lo sguardo su quel corpo inerte e gli si gelò il sangue nelle vene: non si muoveva.
“Avrà battuto la testa?! Magari è solo svenuta..”, pensò angosciato. Provò a toccarla ma poco prima che la punta delle sue gelide dita le sfiorasse i capelli, la ragazza si mosse ed alzò il capo...

Vuoto. Nella mente e nello stomaco. Ecco cosa provò Bill quando quei due grandi, puliti, sinceri occhi nocciola velati di lacrime si posarono sui suoi, dello stesso colore ma contornati di nero, stupiti e brillanti.
Ed un battito di cuore fortissimo, che quasi si arrestò quando, da quelle delicate labbra rosate, fuoriuscì in un soffio profumato quell’unica parola:
-Aiutami...-.       
Il ragazzo si paralizzò, ma stavolta non dal dolore fisico. Che cosa voleva dire? Da cosa la doveva salvare?

La risposta apparve quasi immediatamente da dietro l’angolo davanti al quale i due ragazzi si erano scontrati.
Tre. Rudi, forti, muscolosi e... pericolosi. Un piccolo gruppo di uomini li stava guardando dall’alto in basso, e sogghignavano orridamente.
La paura attraversò Bill con un brivido lungo la schiena, ancora incollata a terra. Spostò lo sguardo prima sulla ragazza che ancora lo fissava, impaurita ed implorante, e poi sui tre ceffi, che in quel momento sputarono le sigarette a terra e le pestarono con i loro grossi piedi per spegnerle. Quando li rialzarono, era rimasta solo cenere. Bill era inorridito.
In quel momento capì.
Il più grosso dei tre si fece avanti, e si chinò sui due, dicendo:
-Guarda guarda cosa abbiamo qui! La nostra cara farfallina e... che diavolo sei tu?! Ehi, ragazzi, secondo voi questo qui...-, e indicò Bill con un enorme dito color terra. -... è un maschio o una femmina? Non si capisce nemmeno!-, e inarcando la schiena, incominciò a ridere sguaiatamente, seguito a ruota dagli altri due.
La ragazza, approfittando del momento di distrazione, fece un segno con gli occhi al ragazzo atterrito, e cominciò a strisciare verso il muro. Bill fece per seguirla, quando un grosso piede, ormai familiare, calò duramente sulla mano del ragazzo. Bill urlò, lacrimando, e ritrasse le dita, alzandosi in piedi. Di nuovo, i brutti ceffi sogghignarono, ma ora avevano un lampo di cattiveria negli occhi.
Poco prima che fosse la fine, Bill considerò disperatamente:
“La prossima volta, se ci sarà, dovrò stare attento a ciò che penso!”.
Poi serrò gli occhi e alzò le mani davanti al viso per proteggersi, in un ultimo, disperato tentativo, rimpiangendo, stranamente, di non aver conosciuto meglio quella ragazza dagli occhi buoni.


Sta correndo da un pezzo ormai, ha il fiatone, è fuori allenamento. Non deve fermarsi però. O la morsa allo stomaco peggiorerebbe. Quindi, ignorando la fitta al fianco, continua ad andare avanti, inciampando ogni tanto nei jeans troppo lunghi. Attraversa grandi strade, vie minori, stradine, vicoli. Comincia a rallentare e poi si ferma sotto un lampione, lo stesso che ha sostenuto altre due persone, anche se lui non lo sa. Gli serve solo qualche secondo, rialza lo sguardo e continua a sfrecciare nella notte, passando accanto ad un grigio bidone rovesciato e a pezzi di sogni infranti.


La ragazza guardò il govane allibita:
- Ma sei pazzo?! Che fai ancora qui? Scappa, corri via! Non devi pensare a me... Vattene!- urlò, con voce un po’ roca.
“Ha ragione... Non dovrei stare qui a rischiare la vita senza un vero motivo... Dovrei andarmene... Adesso!”, pensò Bill, abbassando un po’ la guardia e rilassandoi pugni serrati. “Dovrei proprio correre via da qui...”, rifletté scrutando ad uno ad uno i tre uomini, stranamente ancora immobili.  Lanciò un’occhiata di sbieco alla debole figura rannicchiata contro il muro. Tremante. Spaventata. E indifesa.
“Sì, dovrei scappare, ma non posso...”. E una inaspettata ondata di coraggio lo pervase. Si voltò. Ma non fece nemmeno in tempo a reagire. Un pugno preciso, veloce, lo colpì forte allo zigomo, facendogli alzare la testa e ruotare completamente su sé stesso. Vide la ragazza di cui non conosceva il nome sbarrare gli occhi e portarsi le mani alla bocca per soffocare dentro di sé quell’urlo silenzioso.
Bill si portò una mano alla guancia, stupito, ma la ritrasse quasi immediatamente: bruciava, bruciava da matti.
Si voltò ancora una volta verso il suo aggressore, il capo probabilmente, che aveva ancora il pugno levato ed un sorriso diabolicamente compiaciuto inciso su quel volto, rilucente di antiche cicatrici. Alzò a sua volta le braccia, ancora incredulo di ciò che stava facendo invece di scappare lontano a gambe levate, e una raffica di pugni cominciò a colpirlo forte al suo già provato e debole stomaco. Stavolta la ragazza urlò.
Dopo i primi colpi, i successivi non gli facevano più così male, quasi non li avrebbe sentiti se non gli stessero togliendo il respiro. Non ce la faceva quasi più.
Poi, finalmente, i pugni cessarono, lasciandogli lo stomaco completamente indolenzito e privandolo di tutta la forza, perfino quella per stare in piedi. Prima che il ragazzo cadesse  a terra, fu scaraventato da un calcio contro il muro, accanto alla giovane, che si lasciò sfuggire un altro strillo.
“Non riesco più nemmeno a tenere gli occhi aperti... Mi hanno svuotato di tutto... Mi fa male da morire lo stomaco, e la guancia brucia tanto, troppo... Non riesco a credere di essermele prese per difendere questa ragazza... Non la conosco nemmeno... Eppure ho sentito di non poter scappare, non potevo lasciarla sola... Non ce l’avrei fatta... Sono uno stupido...”, pensò rassegnato Bill, incapace di capire a fondo il suo comportamento. Perché i sentimenti non hanno regole né spiegazioni.
Una mano coperta di calli gli sollevò bruscamente il viso. Il ragazzo si ritrovò a guardare da molto vicino uno degli scagnozzi del suo aggressore, che lo squadrò per bene e poi si rivolse ai compagni:
-Questo è distrutto! O questa... Boh, non ho ancora capito! L’hai davvero steso, eh, capo? Non riesce nemmeno a sollevare la testa guarda!-, e gli lasciò andare il mento. La testa del giovane ciondolò sul collo, inerte.
-Hà, visto?! Sei grande. L’ho sempre detto!-, esclamò il tipo, e raggiunto l’amico gli diede un cinque.
Un’altra mano, stavolta più piccola e ben più delicata, gli sollevò il mento, dolcemente, e per la seconda volta, quei grandi occhi nocciola osservarono preoccupati e ancora umidi il volto martoriato del ragazzo truccato.
-Oddio, guarda come ti hanno ridotto... Sei stato uno stupido, dovevi andartene quando te l’ho detto io... Mi dispiace tanto, davvero... Tanto...-, e calde lacrime addolorate scesero su quelle guance lisce, solcandole e poi cadendo sulle braccia di Bill.
E subito, anche Bill si sentì gli occhi lucidi, e senza un motivo una vampata di calore gli scaldò le guance, già arrossate dai pugni e dal freddo pungente.
“Per far tornare il sorriso a questa ragazza dagli occhi di miele farei qualunque cosa”, si sorprese a pensare il giovane. Con grandissimo sforzo, sollevò una mano tremante, e con un lungo dito dall’unghia un tempo perfetta, raccolse una lacrima prima che questa cadesse a terra. La sconosciuta fu abbastanza sorpresa da quell’intimo gesto, ma non si ritrasse. E non sorrise.
Però, come ormai si sa, tutte le cose belle hanno una fine. E quel momento era arrivato.
I tre uomini, che fino a quel momento avevano fatto casino fra di loro, si zittirono improvvisamente, ma nessuno dei due giovani se ne accorse.
Completamente avvolti dal loro piccolo mondo privato, non si resero conto, finché non fu troppo tardi, che quei brutti ceffi si erano ancora pericolosamente avvicinati.
Uno, il più basso, afferrò di scatto la mano che la ragazza teneva ancora sotto il mento di Bill e con uno strattone, la sollevò di peso e la trascinò in piedi.
Torcendole il braccio avvicinò il suo brutto muso al delicato viso di lei, contratto in una smorfia di paura e dolore, e le sussurrò, cattivo:
-Allora, farfallina, come la mettiamo? Non credo potrai sfuggirci per sempre...-.
La ragazza non rispose, ma si divincolò dalla presa del bestione. Il sorriso divertito di lui si trasformò in un ghigno diabolico.
-Forse, se la vita del tuo amichetto fosse in pericolo, cambieresti idea e ci seguiresti, no?-, e lanciò una bieca occhiata a Bill, ancora incapace di muoversi.
Prendendolo per il colletto del giubbotto di pelle nera, se lo sollevò davanti al viso e guardandolo negli occhi, mormorò:
-Quando sarai all’ altro mondo, forse riuscirò  capire che diavolo sei... Addio, bastardino!-.
Dalla tasca, l’uomo prese un coltello che luccicò minaccioso nella notte. Era deciso ad ucciderlo davvero. Le urla della ragazza disperata, trattenuta per le braccia dagli altri due ceffi, sembravano provenire da molto lontano. Bill aprì gli occhi, mentre tutto gli sembrava scorrere al rallentatore. Vide quel viso delicato bagnato di lacrime, riuscì ad osservare perfino la presenza di un piccolo neo sopra la bocca, e ancora una volta quella sera rimpianse di non averla potuta conoscere prima. Una lacrima gli attraversò il viso. In fondo però era quello che aveva desiderato solo ieri: sparire, diventare il nulla, senza più preoccupazioni né dolore. E sorrise, lasciando un ultimo affettuoso pensiero per il gemello lontano. Chiuse gli occhi. E si lasciò andare nel buio.       






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Capitolo 6
*** _Memorie e Svolta_ ***




Buio. Fresco. E ancora buio. Gli sembra di essere sospeso, di fluttuare. Sì, galleggia. Naviga fra i ricordi. Proprio come quella barchetta di carta, costruita con Tom in un giorno di pioggia, lasciata andare in un canale di scolo. Dopo che era sparita alla vista nessuno se ne era più preoccupato. In fondo, a chi importa di una semplice barchetta?
Ecco, Bill voleva essere quella elementare costruzione di carta, esistere per poi scomparire, senza lasciare una scia di dolore e rimpianto dietro di se. Non voleva lasciare tracce. Voleva essere silenzioso e veloce. Probabilmente non se ne sarebbero quasi accorti.
“Sì, ecco il mio desiderio. Chiedo solo questo: non voglio far del male a nessuno. Voglio essere dimenticato. Per favore, Dio... Solo questo...”.

Ad occhi chiusi. Estraniato dal mondo. Aspettava solo il dolore e la pace conseguente. Senza rendersene conto, stava sorridendo. Sorrideva alla morte...
Le urla, gli strilli, i rumori non avevano più significato. Ora c’erano solo lui e i suoi ricordi.

Aveva tre anni. Aiutava la mamma in cucina. Stavano preparando la cena. Mamma...
-Mamma, posso assaggiare?-. Innocente e semplice. Come ora.
-No, dobbiamo aspettare che sia cotto! E poi con il tuo “assaggio” lasci noi a bocca asciutta! E non va bene mangiare per primo, senza aspettare gli altri!-. La mamma e le sue mille ragioni incomprensibili.
-Ma Tom l’ha fatto!-, aveva detto indicando il fratello. Candido, sincero, pronto a dire sempre la verità.
Allora, Tom era arrossito e gli aveva sibilato:
-Brutto spione...-. Tom...
-È vero, Tom?-, chiedeva la mamma. I loro finti rimproveri, che donavano allegria alla casa.
-... Sì... scusa, mamma...-, rispondeva lui, con lo sguardo basso. Tom, il suo gemello. La persona che probabilmente gli mancherà di più.


Adesso aveva sei anni. Componeva le prime canzoni.
-Che stai facendo?-. Un musetto curioso che spuntava dallo schienale della sedia.
-Ah! Che paura! Smettila di apparirmi alle spalle all’improvviso!-. La loro routine. La loro vita.
-Cos’è quel foglio? Fammi vedere!!- . E la lotta, giocosa, fra di loro, per un pretesto inutile.
-Ehi, mica male, sai? Cos’è, una canzone?-, chiedeva Tom dopo aver letto il testo, seduto sopra al fratello, sconfitto, per impedirgli di muoversi.
-Sì, è una canzone, e allora? Cosa te ne frega?-, rispondeva lui tutto rosso, e si riprendeva il foglio mezzo scarabocchiato.
-Bé, non è affatto brutta! Potremo provare a fondare un gruppo, e comporne altre, e poi suonarle! Pensa che successo faremmo! E a tutte le ragazze che vorranno un autografo da me!-. Tom pensava sempre in grande.
Bill alzava gli occhi al cielo e tornava alle sue rime, felice in cuor suo del complimento indiretto del fratello.

Poi pezzi di memorie. Ricordi qua e là, sparsi lungo tutta la sua vita.

Poco dopo avevano fondato davvero un gruppo con i loro amici Georg e Gustav, i “Devilish”.
Giorni spensierati con sottofondo di musica.
Anni dopo. Erano cambiati. E con loro il gruppo. Ora erano i “Tokio Hotel”. Non suonavano più in garage, ma si esibivano su veri palchi, davanti a migliaia di persone.
Erano famosi, rilasciavano interviste, firmavano autografi, ma erano rimasti comunque amici. “Per sempre!”, giuravano. E avevano rispettato la promessa.

Ad occhi chiusi. Ma ora non più in silenzio.
Come sott’acqua, dove ogni cosa si annulla; si rimane sotto per quanto si può, trattenendo il respiro, ma dopo qualche tempo il fiato non basta più, e bisogna riemergere. Allo stesso modo, nuotare tra i ricordi troppo a lungo può diventare insostenibile, e bisogna risalire.
Una superficie piatta si infrange. SPLASH... Un respiro profondo. Uno ancora più profondo. Aria, di nuovo.
E con il respiro, tornano anche i rumori. Di nuovo parte del mondo.

Un sibilo, minaccioso, e la tipica risonanza del metallo.
Bill non aprì gli occhi. Sarebbe stato tropo triste. Aspettava , serenamente, quella fredda lama assetata del suo sangue.
Ancora rumore, troppo. Urla di incoraggiamento e strilli di disperazione che si sovrapponevano in una orribile cantilena. Canti di cicale, ignare di tutto. E passi affrettati, ansimanti, come quel lontano respiro, preoccupati di arrivare troppo tardi.
Rifugiatosi dietro il buio delle sue palpebre chiuse, Bill sentì una voce diversa, profonda, che non riconobbe subito, urlare fortissimo:
-NOOO!!!-.
Poi quasi un ruggito di rabbia. STUMP. STUMP. SOCK. Rumori di lotta, forse. E all’improvviso, la presa ferrea di quella grossa mano chiusa sul suo colletto che veniva a mancare.
Le sue ginocchia cedettero e Bill crollò a terra, sorpreso, ma ancora terrorizzato ad aprire gli occhi.
E ancora urla, gemiti di dolore, imprecazioni che salivano come fumo al cielo pulito e lì si disperdevano. Passi di corsa che si allontanavano. Poi silenzio. E una luce.
“Finalmente... È finita...”, pensò Bill, sollevato, e perse definitivamente i sensi.


Schiaffi leggeri sul suo viso gonfio e rosso. No, non era ancora finita.
Non voleva aprire gli occhi. Gli andava bene così. Rimanere dov'era, sospeso fra vita e morte, disposto ad aspettare pur di far cessare tutto quel dolore. Voleva lasciarsi andare.
Ma quella voce roca, implorante, colma di dolcezza, gli fece immediatamente cambiare idea.
-Bill... Bill... oddio, svegliati! ... mio Dio, Bill... Bill, ti prego...-. Una voce rotta dal pianto. Una voce familiare. Quella voce. L’unica che aveva avuto paura di lasciare veramente.
Bill spalancò gli occhi, anche se con un po’ di fatica. Era disteso su quello stesso, duro marciapiede, accecato da quell’ identica, debole luce di quel medesimo, malinconico lampione. Stesso cielo, e stesse stelle.

Il barlume venne eclissato da una sagoma che portava un cappellino bianco. Lunghi capelli rasta, biondicci, vennero bruscamente gettati alle spalle di una t-shirt di quattro taglie più grande da una mano lunga e sottile, piena di calli. Tom. Suo fratello, con gli occhi gonfi di lacrime, che dalla preoccupazione si stava martoriando il labbro inferiore, chino su di lui. L’angoscia sul suo volto mutò in sorpresa, poi in sollievo ed infine in gioia nel giro di pochissimi secondi.
Quando Tom finalmente si rese conto che il gemello era vivo, che aveva aperto gli occhi,  che stava quasi bene, si aprì in un enorme sorriso ed esclamò:-Biiill!!! Sei vivo!!!- con tutta la forza che  possedeva. Sorprendentemente, abbracciò di slancio, e con forza, la magra figura del ragazzo disteso a terra, togliendogli tutto il poco fiato che aveva appena recuperato.
Bill gli soffiò all’orecchio, con voce strozzata:
-T- Tom! Uffff...M- mi man-ca il resp- iro, Tom...!-.
Il rasta lo lasciò subito, sempre sorridendo, e si asciugò una piccola lacrima fuggitiva dall’angolo dell’occhio. Non aveva parole. Aveva appena compreso veramente quanto prezioso fosse il dono di avere un fratello. E di non averlo perso.
Bill lasciò di nuovo la testa sul marciapiede, e respirò a fondo. Era ancora intontito, ma scorse comunque con la coda dell’occhio un’altra figura, molto più piccola e magra di Tom.

Girò lentamente la testa e sorrise alla ragazza appoggiata al muro, in piedi, che si mangiava nervosamente le unghie. Anche lei sorrise, e gli si avvicinò piano. Si accovacciò accanto al viso del ragazzo. Aveva asciugato le lacrime, ed ora i suoi occhi risplendevano. Alla luce del lampione, Bill si accorse che il loro colore non era marrone. Erano dorati. Di miele, dolcissimi, colavano dentro di lui e lo riscaldavano, sanavano le sue ferite. E gli fecero all'istante dimenticare quella brutta avventura.

-Tom... Aiutami a tirarmi su... Andiamo in albergo, per piacere...-, sussurrò il moro al fratello, il quale obbedì immediatamente. Non appena fu in piedi, Bill si accorse di quanto male gli facesse lo stomaco, tutto indolenzito, e anche il viso non era in condizioni migliori. Non vedeva l’ora di avere davanti uno specchio, e allo stesso tempo era terrorizzato di scoprire in che stato fosse la sua faccia. Mentre si appoggiava al gemello, scorse la ragazza sconosciuta  cominciare ad avviarsi, mesta, nella direzione opposta alla loro. Si girò di scatto, sbilanciando il fratello, che si lasciò sfuggire un’imprecazione, e si sistemò meglio il braccio del moro intorno alle spalle, e le urlò:
-Aspetta!-. Più che esclamarlo, lo disse a mezza voce, ma la giovane lo sentì, e si girò, stupita.

-Non credo sia una buona idea per te andartene in giro per queste strade, stanotte... Vieni con noi, starai in albergo...-.
Non poteva certo lasciarla andare così... Doveva conoscerla meglio. Lo sentiva.
La ragazza tentennò un po’, spostando il peso da un piede all’altro, indecisa:
-Ma... ecco... non saprei...-.
Anche Tom insisté:
-Ma sì, almeno per questa notte è meglio che stai al sicuro. Forza, andiamo!-.
Dopo qualche secondo di riflessioni, la ragazza acconsentì:
-Va bene... Se non disturbo...-, e si fece avanti timida, senza sorridere ancora.
Volenterosa, si passò anche lei un braccio di Bill sulle spalle, che sentì un brivido, e cominciò ad incamminarsi lentamente verso quella incerta nottata, in silenzio, guardando fissa la strada.   







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Capitolo 7
*** _Presentazioni_ ***




-Dov’ è che ti fa male? Qui?-.
-Ahiaaa!!! Sì!-.
La ragazza dagli occhi ambrati si accigliò e fece scivolare via la mano dalla guancia del ragazzo. Un grosso cerotto bianco spiccava e quasi brillava alla penombra della camera d’albergo numero 327, sulla guancia di Bill. Alla debole luce dell’abat-jour arancione, i due ragazzi si fissarono negli occhi per un periodo di tempo interminabile, lei senza abbassare lo sguardo, fiera, lui imbarazzato, pronto alla resa. Bill ebbe un lungo brivido lungo la schiena che lo scosse da capo a piedi. Non ce la fece più. Con un sospiro, abbassò gli occhi, mettendo fine a quella gara all’ultima occhiata.
Per simulare la sua resa, il ragazzo si mise a studiare con interesse le bende che gli rivestivano le braccia, ammettendo in cuor suo che, effettivamente, erano sistemate a regola d’arte. Ciò lo impressionò non poco.

-Ehm... Senti... Come... come mai eri in giro per quelle strade a quest’ora? Non credo tu frequenta spesso quei postacci, no?-, chiese Bill fingendo indifferenza. Il ricordo di poche ore prima lo metteva a disagio, quindi cominciò ad avviarsi discretamente verso il bagno. Iniziò a  spogliarsi, lasciando la porta socchiusa.
Per rispetto della sua privacy, la ragazza gli rispose dall’altra stanza, a voce abbastanza alta perché lui la sentisse.
Mentre Bill si levava con cautela, per non danneggiare i cerotti e le garze, la corta maglietta nera attillata e la appoggiava al bordo della vasca, la giovane cominciò a raccontargli la sua storia:
-Vedi, i miei genitori hanno origini italiane, ma io ho sempre amato la Germania dei miei nonni. Perciò, qualche anno fa, mi sono trasferita stabilmente qui, da certi miei zii, che però, ogni anno verso questo periodo, si prendono un mese di vacanza, e vanno all’estero. Io allora ne approfitto per trascorrere un po’ di tempo con la mia famiglia,in Italia. Sono partiti questa sera, e io stavo appunto correndo a prendere l’ultimo treno, e dato che ero in ritardo, come al solito...-. Bill sorrise fra se e se. -... ho preso una scorciatoia, dove ho incontrato alcune mie... ehm... vecchie conoscenze... non starò qui a spiegarti la storia, comunque sappi solo che avevamo ancora un po’ di rancore nei nostri confronti... -. E liquidò così l’argomento, cercando di far passare inosservata quella piccola confessione, inutilmente. Bill, attento a non perdersi una parola, si ripromise di chiederle maggiori dettagli, più avanti. Cominciò a togliersi i jeans, riflettendo, ma quando si piegò, sussultò, e portandosi una mano allo stomaco, dovette raddrizzarsi, inspirando rumorosamente. La ragazza si zittì e poi chiese, premurosa:
-Tutto bene?-.
-Sì, sì, tutto a posto... Continua pure, non preoccuparti... -, rispose il moro, tornando a respirare regolarmente. Con molta più cura, lasciò cadere a terra i pantaloni, cintura compresa, e si fissò allo specchio, studiando ogni livido.
“Ho paura che mi ci vorrà un po’ prima che tutti i segni spariscano...”, rimuginò tristemente.
La ragazza, tranquillizzata, continuò:
-... Non volendo incontrare di nuovo quelle persone, ho preferito andarmene, ma mi hanno visto, e poi tu sei spuntato dal nulla e... è successo quello che è successo.  Mi dispiace davvero per come ti hanno ridotto... -. All’ improvviso le ferite non sembrarono più tanto inutili al giovane. – Ora, c’è solo un piccolo problema... Quando ti ho detto “l’ultimo treno”, era vero in tutti i sensi: non ce ne saranno più per una settimana almeno, o forse due... C’è lo sciopero di tutti i trasporti. Non che mi dispiaccia rimanere in Germania, anzi...È solo che i miei zii non mi hanno lasciato il doppio delle chiavi di casa, quindi non ho  un posto dove andare... -. Un sorriso si allargò sul volto di Bill. -... Voi siete stati molto gentili, vi ringrazio davvero dell’ ospitalità, però domani mattina me ne andrò e cercherò subito un lavoro con cui permettermi di pagarmi un albergo o una pensione...-. Il sorriso si spense all’istante. A quell’ultima frase, il ragazzo sgranò gli occhi e di scatto spalancò la porta, urlando:
-Cosa?!?!-.
La ragazza fece un salto dallo spavento e poi arrossì lievemente, girandosi di schiena, nell’osservare che Bill indossava solo un paio di boxer neri attillati.
Lui non se ne curò e continuò a insistere con foga:
-Non vedo il motivo per cui tu te ne debba andare! Noi non abbiamo alcun problema, possiamo tranquillamente ospitarti qui per tutto il tempo necessario! Ti prego, non andare...-.
Bill si pentì immediatamente di aver detto ad alta voce tutti i suoi pensieri, e si morse il labbro inferiore, temendo di aver detto una frase di troppo. La ragazza rimase immobile per qualche secondo, poi si girò lentamente, senza più vergogna sul suo volto rosato. Le brillavano gli occhi, le labbra erano leggermente dischiuse in un ombra di sorriso. Sembrava stesse trattenendo il fiato. Poi espirò lentamente e sussurrò, guardando a terra, di nuovo seria:
-Bé, se insisti tanto... D’accordo... Ora, se non ti dispiace, vorrei davvero andare a dormire. Sai, sono molto stanca...-.
Bill rimase attonito. Che freddezza. Ricompose la sua espressione, e tornando gentile, le cedette galantemente il suo letto. Recuperò una coperta e un cuscino e fece per avviarsi verso la porta, quando si bloccò e voltandosi le disse:
-A proposito, non ci siamo ancora presentati... Io... Io sono Bill, molto piacere!-, e le tese la mano. Lei rispose, composta:
-Lo so, il Grande Bill, il cantante dei Tokio Hotel... Ti ho visto qualche volta in video... Comunque io sono Jade, Jay per gli amici... Piacere...-, e strinse con la sua piccola mano quella più grande di lui. Un altro brivido. Non ci si sarebbe mai abituato.
-Jade... Bel nome... Allora... Buonanotte...-, disse lui, impacciato e sorpreso che lei lo conoscesse già. Con un ultimo cenno, si avviò verso la porta, lasciando la ragazza alla sua intimità e al suo senso di colpa nascosto per non aver detto tutta la verità a quel ragazzo dagli occhi truccati.


Notte. Finalmente, il momento per lasciar riposare il corpo e la mente, abbandonando i pensieri e le paure. Notte agitata questa, di un piccolo corpo che si gira e si rigira sotto le coperte, incapace di trovare la pace per il letto nuovo e la tempesta fuori dalla finestra. Con un sospiro, Jade si tirò a sedere, cercando di sistemarsi i suoi lucidi, castani capelli arruffati. Non era ancora riuscita a chiudere occhio, le immagini di quella sera continuavano a ripresentarlesi davanti come in un film non appena provava a rilassarsi e a sgombrare la mente. Che paura aveva avuto. Il temporale non accennava a diminuire, per di più. Con un sospiro, lanciò via le coperte e scese dal letto. Scalza, aprì piano la porta della camera da letto e percorse in punta di piedi il corridoio. Poi, sempre facendo attenzione a non fare rumore, socchiuse lentamente un'altra porta, quella del salottino.

Con i piedi penzoloni, un braccio a terra e un’espressione beata sul viso, Bill Kaulitz stava dormendo della grossa disteso sul piccolo divano. Jade allargò un po’ di più la fessura dell’ entrata e avanzò piano nella stanza ammassata di cianfrusaglie. Scavalcò agilmente un paio di scatole di cosmetici e due bottiglie vuote di lacca, e spostando con la mano alcune riviste, si sedette sul pavimento accanto al ragazzo. Osservò a lungo il suo bel viso, e si azzardò addirittura a spostare dagli occhi alcuni ciuffi che ricadevano sulle sue stanche palpebre abbassate. Ripensò a tutta la giornata, e per un attimo fu felice di aver fatto tardi e di non essere riuscita a prendere  il treno. Sorrise. E si accoccolò per bene sulla moquette. Chiuse gli occhi, e senza più pensieri, si addormentò serena.


Mattina. Luce. Incredibilmente, quel giorno Bill si svegliò assai presto. Aprì gli occhi e se li strofinò con una mano, che passò subito sulla guancia, ancora infiammata. Non capiva cosa avesse potuto svegliarlo. Si girò su un fianco, pronto a riaddormentarsi, quando la scorse. Una piccola figura, vestita con un pigiama azzurro, riposava ai suoi piedi. Sorpreso, il ragazzo si chinò per controllare che non fosse una sua allucinazione. No, respirava piano, regolarmente, non poteva essere uno scherzo della sua mente: non aveva così tanta fantasia. Ricordando i tuoni di quella notte, capì perché forse la ragazza si fosse rifugiata lì. E sorrise. La dolcezza riempì i suoi occhi nocciola quando si abbassò ancora di più e accarezzò piano i capelli di Jade. Lentamente, con delicatezza. Dopo qualche secondo, ritirò subito la mano, temendo che si svegliasse. No, la giovane dormiva ancora. La osservò ancora per qualche minuto, poi, sempre lasciandosi illuminare il viso da un sorriso, si tirò le coperte fino al mento e giratosi sulla schiena, prese a fissare il soffitto perso nei suoi pensieri, finché il sonno non lo rapì di nuovo. E chiuse gli occhi, sereno, pregustando quella nuova, imprevedibile giornata.     








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Capitolo 8
*** _Scandalo_ ***




Mattina. Ora di colazione.
Colazione rumorosa, chiassosa, spontanea, allegra, divertente, serena. Colazione per tutti. Come una famiglia. E ormai era questo che quei quattro ragazzi erano diventati gli uni per gli altri.

-Ma... E Bill dov’è finito?-, domandò Gustav cominciando a riempirsi il piatto di brioches e pane integrale.
-Boh, io non l’ho più visto da ieri... A proposito Tom, ma cos’ è successo ieri notte? È vero che il nostro vocalist è stato coinvolto in una rissa?-, chiese curioso Georg, mentre si versava del succo di frutta. Impegnato a sentire la risposta, non si accorse che il liquido stava rapidamente raggiungendo il bordo del bicchiere, dal quale poco dopo traboccò spargendosi sulla tovaglia immacolata, macchiandola di arancione. Il bassista imprecò e dopo aversi guardato intorno circospetto coprì la chiazza  con il piatto vuoto della torta al cioccolato. Poi, sorridendo innocentemente, si rivolse nuovamente al chitarrista, mettendogli sotto il naso un microfono invisibile, nel tentativo di assomigliare ad un giornalista.
-Ed è vero che c’era di mezzo una ragazza? Tu l’hai vista? È carina? Ed è rimasta a dormire qui, vero?-, e si girò nell’inutile speranza di scorgere dietro di se la nuova arrivata.
-Oddio, ma mi lasci respirare?! Mi sembri tanto “Ragazza In”, o quelle obbrobriose riviste per ragazze... -, disse Tom alzando gli occhi al cielo, e spinse via il pugno chiuso del ragazzo, mandandolo a sbattere sul tavolo. Georg, si lasciò sfuggire un breve gemito, e poi cominciò a massaggiarsi le nocche arrossate, soffiandoci sopra, e lanciando occhiatacce all’amico.
Tom sospirò, e rispose, annoiato:
-Allora... Sì, la rissa, o meglio,‘ Bill-usato-come-punching-ball ’, è scoppiata a causa di una ragazza. Sì, l’ho vista anch’io, mi ha anche aiutato a trascinare in albergo quella checca dopo che era stata massacrata di botte. Non sono riuscito ad osservarla bene, ma sì, mi pareva fosse molto carina. E per finire, sì, è rimasta a dormire qui: Bill le ha ceduto la camera da letto della sua stanza...-.
Georg e Gustav si lanciarono un’occhiata d’intesa, e poi guardarono Tom sollevando le sopracciglia e facendo un mezzo sorrisetto, per fargli intuire qualcosa di malizioso.
I tre rimasero a fissarsi per qualche secondo, immobili, dopodiché il rasta scoppiò in una risata così forte che fece voltare un cameriere di passaggio lasciandolo allibito, e con le lacrime agli occhi esclamò:
-Ma chi,Bill?? Ma per piacere! Figuriamoci se lui è il tipo... Ricordatevi, ragazzi, che il solo e unico “SexGott”sono io!-, e si indicò fiero con entrambe le mani, sfoderando un sorrisone a trentadue denti. Anche gli altri due ragazzi cominciarono a ridere, prendendo in giro il loro chitarrista,  e prima che scoppiasse una battaglia all’ultima tartina, Tom guardò velocemente l’ora, e alzandosi in piedi, annunciò:
- È ora che vada a svegliare Bill... È tardi, dovrà ancora preparasi... Scusatemi un momento...-, e si allontanò baldanzoso dal tavolo, ammiccando e facendo schioccare la lingua, sensuale, in direzione dei due amici, che risero ancora più forte.


Tom cominciò a salire quasi saltellando le scale percorse da un tappeto rosso un po’ stinto, canticchiando il ritornello di “Reden” a bassa voce. Arrivò davanti alla porta di legno scuro. Stanza 327.
“Sarebbe stato il colmo se ci avessero dato la camera 483...”, pensò divertito.
Cominciò a bussare piano alla porta, chiamando:
-Bill... Forza, sono le 9 e alle 11 abbiamo un’intervista... Dai, alzati...-.
Non ricevendo risposta, sospirò, e con un po’ di difficoltà tirò fuori dalla larghissima tasca il doppio delle chiavi e lo infilò nella serratura. Girò la maniglia.
-Guarda che se non scendi non ti lasciamo neanche un... oh!-, e rimase immobile sulla soglia, le braccia penzoloni lungo i fianchi, lo sguardo fisso e stupito.
Sul divano, con un braccio che toccava terra e la testa rovesciata all’indietro, dormiva tranquillo suo fratello. Addosso aveva solo dei boxer neri, ed era a pancia in su. Sul pavimento, seminascosta da una coperta gettata via nel sonno, una testa di lisci capelli castani molto arruffati faceva capolino dalle pieghe della lana. Nella stanza il disordine era ancora più caotico del solito, il che la diceva lunga. Era tutto troppo strano per trattarsi di una coincidenza.

Nel trovarsi davanti quella situazione, Tom sentì, all’altezza dello stomaco, una fitta. Acuta, penetrante, lacerante. Si accorse inoltre di star digrignando i denti e stringendo convulsamente i pugni. Cercò di calmarsi, ma evidentemente non ci riuscì pienamente, perché urlo: -BILL!!!!- molto più forte di quanto in realtà volesse.
Il moro sobbalzò, tirandosi a sedere bruscamente. Troppo bruscamente. Perse l’equilibrio, e non trovando niente a cui aggrapparsi, cadde a terra, addosso alla ragazza.
Nei secondi successivi fu tutto un susseguirsi di -Ahia!- , -Scusami!-, e perfino di -Quello è il mio braccio!-.
Quando finalmente la situazione si calmò e i due ragazzi furono in piedi, ancora assonnati, Bill rosso di vergogna, Jade massaggiandosi la spalla, Tom, a braccia conserte, chiese, gelido:
-Allora? Mi spiegate che avete fatto?-
Le esclamazioni dei due ragazzi riempirono l’intera stanza finché il rasta non urlò, spazientito:
-Uno alla volta, insomma!!!-.
Jade prese immediatamente la parola, e sbraitò:
-Ma cosa credi, che io vada sempre con il primo che capita?! Guarda, mio caro che non sono affatto quel tipo di persona!-.
-È vero! Ti giuro che non è successo niente! Stai fraintendendo tutto!-, rincarò Bill, ancora color pomodoro da capo a piedi. - Jay deve essersi addormentata lì perché...-, ma non seppe come continuare, così si voltò verso la ragazza chiedendo suggerimenti con lo sguardo.
-... Perché avevo paura del temporale!-, mentì lei, svelta. - Non hai sentito che tuoni? Ero davvero terrorizzata...-.
-Sì, è andata proprio così!-, confermo sollevato il ragazzo. I due rimasero in silenzio, aspettando.
Tom ancora li squadrava dall’alto in basso con sospetto, forse in cerca del dettaglio che li avrebbe smascherati. La ragazza a sua volta lo osservava,sospettosa, e dopo qualche secondo, fece un passo avanti, e sussurrò a pochi centimetri dal viso del bel rasta:
-E perché poi a te dovrebbe importare tanto? Sei geloso, forse?-, chiese, maliziosa.
Una vampata di rosso colorò le guance del giovane, che arretrando, rispose:
-Io? Geloso?! Te lo sogni! E a me non importa nulla di quello che fate... Cioè, io... Ecco, non... Be’, scendete, la colazione è pronta...-, e sempre balbettando, Tom uscì dalla stanza, chiedendosi il motivo della sua reazione esagerata.
“Io... geloso?! Mai...”, pensò, e si avviò, assorto, giù dalle scale.

Dall’altra parte del muro. Non appena la porta si chiuse, la ragazza si rivolse a Bill, sorridendo luminosa, e cinguettò:
-Credi che abbiamo esagerato?-.
Ma il ragazzo non la stava ascoltando. La guardava a bocca aperta.

Sorriso. Il suo primo sorriso. Naturale, pieno, spontaneo, sereno, contagioso. Era proprio come se lo sarebbe aspettato. Si accorse di stare sorridendo anche lui, di riflesso. La ragazza tornò a farsi seria e lo guardò perplessa:
-Cosa c’è? Ho qualcosa che non va?-, e cercò di lisciarsi i capelli.
-No, no, figurati... Forza, vestiamoci e andiamo a fare una buona colazione!-, rispose Bill allegro, e sempre ridendo a fior di labbra, si diresse, felice, verso il bagno, convinto più che mai che quella sarebbe stata la giornata più bella della sua vita.


*********************


Ore 10.30. La band è pronta a partire. Ormai mancano solo due persone:loro.
-Bill! Maledizione! Lui e la sua dannata mania del make-up!-, sbraitò Tom tirando un calcio alla prima valigia che gli capitò sotto tiro. Si trattenne a stento dall’ululare dal dolore all’alluce, poi furioso, si sistemò bruscamente il cappello e si avviò zoppicando verso le scale. Arrivato davanti alla porta, si preparò a tempestarla di pugni, quando questa si aprì e degli occhi dorati spuntarono tra lo stipite e la maniglia. Gelidi. Inespressivi. O quasi. Un leggero velo di rabbia traspirava dalle iridi ambrate. Tom capì che quello sguardo era pronto solo per lui. Qualcosa si rivoltò nel suo stomaco, e il suo cuore fece una capriola. Perché??

Jade, nel vederlo con il pugno ancora alzato, pronto a bussare, esclamò, allargando un po’ di più la fessura della porta e raddrizzandosi in tutta la sua altezza:
-Ma insomma, che siamo, sul ‘Grande Fratello’ ?? Prima arrivi all’alba e ci butti giù dal letto, nel vero senso della parola! Poi non ci lasci neanche vestire che sopraggiungi subito a sfondarci la porta! Dì la verità, tu non sei un chitarrista, sei un TOMminator!!!-.
Tom rimase immobile per qualche secondo, serio, ma dopo poco non ce la fece più e scoppiò fragorosamente a ridere, tenendosi perfino la pancia. Jade era esterrefatta:
-Ma... come... Io ti faccio una sfuriata e tu ti metti a ridere come un deficiente?? Secondo me sei tutto scemo...-.
All’improvviso, una vampa di gas tossico, vagamente simile a lacca, si sprigionò dal bagno in fondo alla stanza, arrivando fino al rasta che storse il naso, disgustato.
Jade si voltò a parlare piano con la persona appena uscita da lì. Poi si girò nuovamente verso Tom, e sospirando, disse:
-Ecco, visto? Ci siamo...-.
E spalancò la porta, svelando un personaggio alto, slanciato, con una strana acconciatura e vestiti molto dark. Alcuni anelli tintinnarono. Una manica di pelle nera venne lisciata da una mano dalle unghie dipinte di nero e bianco. Dei dolci occhi nocciola truccati di nero, socchiusi, si aprirono.
-Siamo pronti!-, annunciò allegramente Bill Kaulitz.   


Nella hall, tra valigie abbandonate e fattorini frettolosi, due ragazzi dall’aria annoiata ancora aspettavano, impazienti, nascondendosi dietro occhiali da sole scuri. Un chiacchiericcio cominciò a provenire dalle scale. Alzarono lo sguardo speranzosi, e si lasciarono sfuggire un -Ooooh...!- di meraviglia. Tre giovani scendevano agilmente gli scalini, ma la loro attenzione si soffermò su una sola persona: lei.
Bill, arrivato all’ingresso, allargò le braccia e chiese, guardandosi e fraintendendo gli sguardi d’ammirazione dei compagni:
-Ma allora è vero che oggi sono uno schianto, eh?-.
Georg e Gustav lo ignorarono,  e passandogli accanto, andarono immediatamente a stringere la mano alla ragazza. Il moretto, ignorato, rimase immobile, finto offeso.

-Piacere, io sono Gustav, il batterista della band, ma credo tu mi conosca già... Tom mi ha già raccontato di te e Bill, ovviamente, e sai, sono rimasto molto sorpreso di...-. Il biondino si proruppe in un’ infinita cascata di parole, che venne fortunatamente interrotta da uno spintone ben assestato.
Georg, sorridendo, ne prese subito il posto, e fece un goffo baciamano a Jade, scioccata, e le disse:
-Enchantè, mademoiselle! Io mi chiamo Georg, sono il bassista! Lieto di conoscerti, cara..-.
-Ah, sì, giusto! Ehm... Io sono Jade... È un piacere anche per me conoscervi, anche se non sono sicura questo non sia un sogno...-, si presentò imbarazzata la ragazza.
-No, no, tutto vero...-, le sussurrò caldo Tom, sorridendo meravigliosamente e passandole molto vicino. Troppo vicino, tanto che quasi la sfiorò. Jade ebbe un brivido.
 -Bene, ora che sono finite le presentazioni, partiamo?-. chiese Bill sereno. Oggi niente avrebbe potuto intaccare la sua allegria.
-Dobbiamo ancora aspettare quel bradipo di Andreas! Non è ancora arrivato...-,
 disse Gustav, sedendosi su una valigia.
-E poi vi lamentate di me... Facevo in tempo a stirarmi meglio i capelli...-, borbottò il cantante tirandosi davanti agli occhi una rittissima ciocca bruna meschata di bianco.

In quel momento le porte si spalancarono. Tutti si voltarono a guardare. Andreas arrivò correndo affannato. Si fermò davanti ai cinque, cercando di recuperare il fiato, mentre tutti lo salutavano allegri:
-Ehi, bello, dov’eri finito?-.
-Finalmente sei arrivato! Ma potevi prendertela comoda, eh!-.
Il biondino interruppe con un cenno della mano tutte le esclamazioni e sollevò davanti agli occhi stupefatti dei ragazzi una rivista.
Bill diventò di ghiaccio e prese con mano tremante il giornaletto di gossip. Inorridito, si riconobbe immediatamente sopra un titolone in rosso:
“SCANDALO PER BILL. COSA CI STA NASCONDENDO IL CANTANTE DEI TOKIO HOTEL?”.
Una foto ingrandita e leggermente sgranata occupava l’intera copertina: lui, di profilo, ad occhi chiusi, mentre baciava passionalmente una bella ragazza bionda. Nonostante il primissimo piano, lo sfondo era ancora leggermente visibile. Era rosso. Quel rosso, spento, consumato. Quella stanza, a quella festa. Solo due giorni prima.
Osservò la ragazza immortalata e la rabbia lo pervase: era lei, Giusy.
“Ma quando l’ha scattata? Vabbé che ero ubriaco, però è stata brava a non farsi notare...”, pensò sbalordito il ragazzo.
Andreas, ripresosi dalla corsa, gli sbraitò contro:
-Allora?! Che cavolo ti è passato per quella testaccia?! Chi era quella? E quando è successo? Non potevi fartela con un’altra? Ti rendi conto di quello che potrebbe succedere se continuasse a vendere queste foto?-, e lasciò cadere la mano aperta sulla rivista scandalistica.
-Sì, lo so... Me l’ha detto lei...-, mormorò sconfortato Bill.
Cinque paia di occhi curiosi ed esterrefatti si fissarono su di lui. Il ragazzo cominciò a raccontare, ancora furioso:
-Avete presente la festa del dopo concerto dell’altro ieri? Quando per un po’ sono sparito e poi... ehm...- , e guardò la brunetta accanto a lui, -... ho incontrato Jay? Be’, quella STR... epitosa abbindolatrice mi ha fatto bere come una spugna e poi ha tentato di... ecco...-.
-Sì, abbiamo capito... Ma non c’è riuscita, giusto?-, chiese Andreas, ansioso.            
-No, sono riuscito a respingerla prima, per fortuna... Ed è stata proprio lei a confessarmi il suo piano... Lo faceva per interesse, blaterava di voler diventare ricca, famosa, o che so io... Non mi ricordo molto bene, ero confuso...  È stato lì che mi ha scattato la fotografia, ma è stata molto brava, non me ne sono davvero accorto...-, concluse il cantante, demoralizzato.
-Per forza è stata così agile... È il suo lavoro...-, borbottò a sorpresa Tom. L’attenzione verté all’istante sul chitarrista.
-Sì, in quei pochi minuti che ho passato con lei, mi ha raccontato di essere una giornalista che si occupa di questo genere di gossip e scandali... Ho paura che siamo nei casini...-, spiegò cupo il rasta. Poi si ammutolì. Il silenzio era assordante.
-Forse è meglio non presentarsi all’intervista...-, suggerì mogio Gustav, tenendosi la testa tra le mani, sempre accomodato su una valigia.
Mormorii di assenso percorsero il gruppo sconfortato.
-E invece no! Ci andremo, e anche di corsa, visto che siamo in ritardo!-, esclamò sicuro Bill.
Gli amici lo guardarono perplessi.
-Dobbiamo andarci! Se non ci presentiamo daremo loro solo altri pretesti su cui scrivere, si inventeranno ancora storie, anche su di voi!-, insistè il moretto. Tutti ci pensarono su un attimo.
Poi Tom ruggì, convinto:
-Hai ragione, dannazione! Che stiamo aspettando ancora qui, l’autobus?! Forza, alla limousine!-, e si avviò di corsa fuori dall’albergo.
Anche gli altri approvarono, decisi, e corsero all’esterno.
Rimasero nell’ingresso solo Bill e Jade.
Quest’ultima, mentre cominciava a raggiungere gli altri, strinse brevemente il braccio al ragazzo, che rabbrividì, e gli sussurrò piano, sorridendo:
-Facciamo vedere chi siamo...!-.
Bill sorrise a sua volta, e annunciò allegramente:
-È proprio ora di farla pagare cara a quella STR... ega!-
E ridendo spensierato, corse fuori.





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Capitolo 9
*** _Intervista e Pugnalata_ ***




Nella limousine si stava tutt’altro che stretti. Eppure, il gruppo dei quattro ragazzi, ormai diventati cinque, si stringeva gli uni agli altri, in cerca di inconsapevole sicurezza, forse. La tensione era quasi palpabile. Georg si attorcigliava nervosamente i capelli con le dita, Gustav si fissava i piedi, immobile, con sguardo assente, Tom giocherellava distrattamente a turno con ilo cappello e con il percing, Bill si osservava criticamente le unghie della mano destra e Jade guardava assorta il paesaggio sfilare fuori dal finestrino.
Era una giornata soleggiata, serena. Da passare in giardino, magari, all’aria aperta. Ma non era certo questo il programma della band.
Andreas si schiarì nervosamente la voce e si rivolse alla ragazza:
-Allora, ti chiami Jade, giusto?-.
-Jay...-, corresse meccanicamente Bill. Lei lo guardò, accigliata, lui si strinse nelle spalle e riprese a rimirarsi le mani.
-Sì, Jay, giusto... E così sei ospite per qualche tempo dai Tokio Hotel... Non  sai quante ragazze vorrebbero avere questa fortuna!-, disse il biondo allegramente.
-Già, me lo immagino...-, rispose distratta Jade, lanciando un’occhiata di sbieco al ragazzo truccato che sedeva alla sua sinistra. Arrossì lievemente e distolse svelta lo sguardo. Di nuovo silenzio. Pesante, teso, soffocante.
Anche Andreas si concentrò sul paesaggio, e dopo poco, annunciò:
-Eccoci, siamo arrivati!-.
Un impercettibile sospiro attraversò i ragazzi come un’onda, che, in attesa di affrontare la belva, affilarono le spade. Pronti.
I sei scesero velocemente dalla limousine scura , guardandosi attorno nervosamente e calcandosi bene in testa cappelli e cappucci, cercando di non dare nell’occhio. Inutilmente. La solita folla di ragazzine invasate li stava aspettando. Quando li scorsero, iniziarono ad urlare e a sventolare i cartelloni in aria.
“Oche...”, pensò Bill, sorridendo fra sé.
Si sentì chiamare e, involontariamente, si voltò. Le fan stavano invocando il suo nome piangendo, indicavano i cartelli, furiose. Il moro, sorpreso, rallentò per leggere le frasi disperate:
CI HAI TRADITO! TI ODIAMO!”, “PERCHE’ L’HAI FATTO? CREDEVO IN TE!”, e anche “HAI UCCISO I MIEI SOGNI E LA MIA VOGLIA DI VIVERE!”.
Bill rimase a bocca aperta, esterrefatto. Che aveva combinato per farsi odiare tanto? Alcune ragazze agitavano anche una rivista. Quella. Il ragazzo si rabbuiò all’istante.
“Ah, già, quell’articolo... Maledizione...! Ma ora abbiamo la possibilità di negare tutto, smentirò la notizia e tutto tornerà come prima!”, si disse, fiducioso, stringendosi di più nel corto giubbotto nero. Accelerò, affiancando Jade, un po’ impaurita, e cominciò a sospingerla delicatamente. Quasi correndo tra le due file di ragazze arrabbiate, Bill si sentiva come un condannato al patibolo. E in fondo, avrebbe forse preferito il cappio a ciò che lo aspettava fra poco.    


Lo studio non è tanto grande, poco affollato e un po’ pacchiano. Ne hanno visti di peggiori. Ma quello che avverrà lì non lo avevano ancora provato.
Il presentatore, un uomo basso e robusto, sulla quarantina, probabilmente, con una calvizie incipiente, stringe frettoloso la mano a Bill e gli fa segno di accomodarsi sul divanetto bianco là davanti. Il ragazzo e il resto della band obbediscono, cercando di dimostrarsi disinvolti e rilassati.
Quando sperano non guardi si lanciano sguardi preoccupati, rimestando la loro memoria per ricordare cosa rispondere alla domanda fatidica.

Una sigla ritmata, piena di effetti sonori elettronici, una zoomata sul presentatore, sorridente come non mai, e milioni di piccoli cuori dal battito accelerato, sparsi in tutto il mondo in attesa di vedere i loro idoli incorniciati dagli schermi.
Un respiro profondo. Ci siamo.
Finalmente la musica cessò e l’uomo si voltò verso i quattro ragazzi, ignaro di altre due persone dietro le quinte, in ansia, e si rivolse al vocalist della band, che ormai sudava freddo.
-Allora, Bill, come stai?-.
-Molto bene, grazie!-.
-Ho saputo che tu e la tua band avete scritto una nuova canzone, giusto?-.
-Sì, “1000 meere”... Sembra stia avendo molto successo, come le altre, d’altronde!-, disse sorridendo dolcemente il ragazzo. In tutto il mondo, migliaia di ragazze trattennero il respiro.
-Già, già... Ora, non per metterti subito sotto pressione, ma...-. Anche Bill trattenne il fiato. C’eravamo quasi. -... Vedi, su questa rivista...- , e la mostrò per bene alle telecamere. Sempre quella. -... C’è questo insolito articolo, che ha scatenato la mia curiosità...-. Tanti giri di parole senza mai arrivarne ad una fine. -... Penso che tutti ormai ci stiamo chiedendo... È vero?-, concluse con enfasi.
Un respiro profondo. Inspirazione. Espirazione. Coraggio.
-Sinceramente... No. Non è mai successo nulla di tutto ciò! Probabilmente è un fotomontaggio, creato da un anti per creare confusione inutile... O da chiunque voleva provare a diventare famoso... No, comunque, è falso... Fans, potete stare tranquille! Sono ancora qui solo per voi!!-, esclamò Bill con un sorriso sensuale rivolto alle telecamere. Le migliaia di ragazze strillarono.     
-Davvero? Eppure sembra reale... Non è che in realtà ci nascondi qualcosa? Una relazione segreta con questa ragazza? Com’ è il tuo panorama sentimentale?-, domandò a raffica l’uomo. Bill cominciava veramente ad odiarlo.
-Bè... io non...-, borbottò guardandosi attorno in cerca di aiuto. Il suo sguardo incrociò quello penetrante e magnetico di una ragazza dietro le quinte. La sua voce si perse.  Il suo cuore fece una capriola all’indietro, disconnettendo un attimo il cervello. Rimase a fissarla intensamente per molto tempo. Avrebbe voluto rimanere così per sempre, dolcemente imprigionato dai riflessi dorati degli occhi di quella ragazza, Jade. Ma il mondo non aspettava. Il presentatore si schiarì sonoramente la voce, e cercando il suo smagliante sorriso, ripeté, a voce più alta, la domanda:
-Ehm-ehm!!! Dicevamo, ci sono novità in campo amoroso?-. Tom gli diede una gomitata. Bill si risvegliò da quel delicato sogno ad occhi aperti e piombò nuovamente nella spietata,  fredda realtà. Gli amici lo guardavano interrogativi.
-Ehmm... Ah, sì, giusto... No, in questo momento non c’è proprio nessuna che mi interessi... Ogni tanto mi piace stare con qualche fan, ma non è mai niente di serio... -, disse il ragazzo, ricomponendosi, fingendo disinteresse.

Un colpo al cuore, come una pugnalata. Mille coltelli le trafissero il petto. Un dolore lancinante.
Spalancò gli occhi, prima sorpresa, poi ferita, e li riabbassò poco dopo, colmi di lacrime. Quante illusioni, troppe. E il prezzo da pagare ora le sembrò davvero troppo alto. Non era giusto.
Una minuscola goccia di acqua salata le scivolò sul viso pallido e liscio, tracciando un solco bagnato. Si sentiva divisa a metà.
Ma non voleva andarsene, doveva resistere... Strinse i pugni e asciugando le lacrime, ma non il sangue del suo povero cuore ferito, rimase.    

-D’accordo, grazie infinite Bill... Tom, abbiamo saputo che tu hai un certo vizio, in fatto di ragazze... Vuoi dirci qualcosa?-, chiese il presentatore al gemello del cantante. Bill sospirò, silenziosamente, di sollievo, e guardò con occhi dolci Jade dietro le quinte, quasi per scusarsi della bugia appena detta.
Quando lo sguardo nocciola di lui si posò su quello ambrato di lei, la ragazza ebbe un sussulto, e, per paura di non riuscire a trattenersi, scappò via, proprio mentre Tom rispondeva strafottente:
-Bè, se qualcuna di loro mi chiama “TOMminator” tanto un brutto vizio non dev’essere, no?-.
Ignorando tutto e tutti, Bill sentì il ghiaccio penetrargli nelle vene. La disperazione lo raggiunse e in un momento lo avvolse, crudele. Incapace di concentrarsi sull’intervista, rispose in modo assente alle domande che lo tartassarono durante la mezz’ora successiva. Tanto, il peggio era passato. La loro carriera era momentaneamente salva.
Ma forse non l’anima di due di loro.     

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Se nessuno commenterà più credo che smetterò di postarla qui, questa storia.... se non piace, scrivetemelo apertamente, cercherò di migliorare... Grazie...







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Capitolo 10
*** _Ferita e Cappuccetto Rosso_ ***




Si dice che la speranza sia l’ultima a morire...
Ma quando tutto quello che abbiamo, le nostre certezze, le nostre volontà, i nostri desideri, ci vengono tolti, anche questo sentimento non può che soccombere.
Semplicemente, viene schiacciato dal vuoto, e come un palloncino, viene fatto scoppiare.
E se il vuoto che viene lasciato è subito occupato dalla disperazione, esistere può diventare quasi insopportabile...

Nel bagno dello studio televisivo molte porte sono chiuse. Serrate, sbarrate, nascondono ciò che non vogliono mostrare.
Una sola è spalancata, aperta con forza, dimenticata schiusa, ma non per distrazione.
Jade è appoggiata al lavandino, con il respiro affannato dall’interminabile ricerca di quel sicuro rifugio. Il viso è bagnato di lacrime e sudore, acqua salata che brucia, lasciando invisibili tracce incandescenti.
Gocce temerarie si raccolgono sotto il piccolo mento tremante per spiccare il loro ultimo salto nel vuoto.
Il rumore che fanno toccando violentemente la ceramica bianca appare un tremendo fragore alle orecchie della ragazza disperata.
Stringendo forte il bordo del lavabo, la giovane rimase immobile alcuni minuti a vivere il suo dolore.
Con poche parole, quasi buttatele contro a caso, le sue aspettative, le sue sicurezze, le sue dolci illusioni erano state cancellate, spazzate via in un sol colpo.
Un taglio netto della sua anima, forse per questo più doloroso.
Quando riuscì a calmarsi un po’, Jade alzò lo sguardo arrossato e vide il suo riflesso.
Lo specchio, crudele ed indifferente, le rimandava la sua immagine, svuotata, annullata
d’ogni emozione se non di quella del dolore.
Vide i suoi occhi colmi di lacrime, le guance rosse dal tanto sfregarle, i capelli in disordine, buttati all’indietro con noncuranza. E la furia la pervase.
In quel momento odiò sé stessa, cos’era diventata cosa non aveva potuto fare per evitare tutto questo, e poi quell’incontro fatale, e quella band tanto gentile con cui aveva subito fatto amicizia. E ancora di più odiò quel ragazzo dagli occhi nocciola che si era subito accorta di amare.
Accecata dalla rabbia e decisa di voler spazzare via sé stessa, diede un pugno al suo riflesso.
Dritto in mezzo agli occhi.
Scaglie taglienti, però, per vendetta, le tornarono contro. Per difendersi, alzò una mano, e subito si piegò dal dolore: piccole schegge affilate erano disseminate lungo tutto il braccio, e minuscole goccioline di sangue fuoriuscivano dagli impercettibili taglietti.
Trattenne a stento un’imprecazione solo mordendosi forte il labbro inferiore, ma immediatamente smise, per non procurarsi altre ferite.
Nel panico, girò per tutta la piccola stanza nella disperata ricerca di un qualcosa che potesse medicarla.
Con le lacrime agli occhi dal batticuore, decise di mettere il braccio sfregiato sotto l’acqua. All’inizio le sembrò una buona idea, e sospirò di sollievo, ma poco dopo si ricredette subito: il forte getto, invece di levare le schegge, le spingeva ancora più in fondo.
Disperata e ancora furiosa con sé stessa, chiuse bruscamente l’acqua.
“Almeno per un po’ avevano smesso di sanguinare...”, pensò, sarcastica, incapace di trovare realmente lati positivi in tutta quella faccenda.
-Jaaaaaaayyyyy!!! Dove sei? Sei quiiiii????-, urlava qualcuno.
Il cuore di Jade fece un balzo: avrebbe riconosciuto quella voce in mezzo  a mille.
Volle nascondersi, per non farsi trovare in quello stato, di nuovo fragile, debole, bisognosa del continuo aiuto di tutti.
Fece per scappare a nascondersi in un’altra stanza del bagno, quando un’altra idea, più cattiva, che non le apparteneva, le passò per la mente.
“No, voglio che veda che sto male! Spero proprio che così si senta in colpa...”, pensò, cinica.
La voce si avvicinava sempre di più:
-Jaaaaayyyy!!! Su, fatti vedere! Giuro che non sono il lupo cattivo, non ti mangio! Jaaaayy... Oh, trovata!-, disse allegro Bill, spuntando con la testa leonina dalla porta.
La ragazza era di schiena. Lui cominciò ad avvicinarsi, dicendo:
-Ma che fai, giochi a nascondino? Dai, che adesso abbiamo la pausa pranzo e poi torniamo tutti a casa... Sai, si è tutto sistemato, non credo dobbiamo più temere quella...-. E si interruppe, vedendo il sangue sul pavimento e sul lavandino.
Pochi passi lo separavano da lei. I suoi occhi terrorizzati seguirono una goccia scarlatta che dal braccio di Jade, stretto contro il suo petto, cadeva a terra.
Immobilizzato per qualche momento, si rifiutava di credere a quello che aveva appena visto.
Poi la ragione prese il posto dell’irrazionalità, e Bill si ritrovò a tenere per le spalle la piccola figura dagli occhi diventati incredibilmente scuri, più dei suoi, e a scuoterla con forza, chiedendo angosciato:
-Cos’è successo? Ti sei fatta male? Come?! Oddio, e adesso che faccio?-, sbraitò lasciandole le braccia e mettendosi le mani nei capelli, che tolse subito per non rovinarsi l’acconciatura.
La ragazza barcollò e si dovette appoggiare al muro per non cadere. Le girava la testa, un po’ per la perdita di sangue, un po’ per essere stata così vicina alla persona più importante per lei. Aveva anche il respiro affannato. Disse, sorridendo per cercare di far sembrare una cosa da nulla la grave lesione che si era appena procurata:
-Dai, non è nulla... Sono solo un paio di taglietti...-.
-Ma come hai fatto a farteli? Non credo siano apparsi da soli, no?!-, domandò Bill, isterico.
Jade dovette pensarci su. Non poteva certo dirgli che cosa lui le aveva fatto, come l’aveva ridotta. No, non era una persona così tanto meschina... S’inventò la prima buona scusa che le venne in mente:
-Ecco... Ero... ero dovuta correre in bagno, non mi sentivo tanto bene, e così, per lavarmi il viso, devo essere scivolata, perché probabilmente il pavimento era bagnato, sai, e... c’era già un pezzo di specchio rotto, qui nell’angolo, io ci devo essere strusciata sopra. E così...  ecco qua, tagli nuovi di zecca e uno specchio infranto... Mi toccheranno sette anni di guai? Spero proprio di no!-, spiegò quasi non prendendo mai fiato. Sospirò e voltò il viso dall’altra parte: non era brava a dire bugie.
Bill rimase in silenzio alcuni istanti, poi disse solo: -Ah...-, e senza aggiungere altro corse fuori.
Jade era incredula: come poteva lasciarla lì, ferita, e lui andarsene tranquillamente a pranzo?
La rabbia minacciò di sopraffarla di nuovo, ma stavolta riuscì a contenerla in un angolo remoto del suo piccolo cuore spezzato.
Contrariamente a ciò che credeva, si sbagliava.
Neanche due minuti dopo, un trafelato Bill tornò, con una vera e propria cassetta del pronto soccorso tra le braccia.
Jade sgranò gli occhi, e gli chiese stupita:
-Dove hai trovato quella roba?-.
-L’ho chiesta…-, rispose semplicemente il ragazzo senza fiato. Si teneva una mano sul fianco e si appoggiava alle ginocchia.
Dopo poco, si rialzò e prese la mano sana della ragazza. Senza una parola, la condusse nella stanza principale, che, notò solo allora la giovane, adibiva una piccola panchina, appoggiata al muro opposto alla porta.
Si sedettero, e sempre in silenzio, Bill cominciò a rimestare nella scatola bianca. Tirò fuori un paio di pinzette, e delicatamente, iniziò a rimuovere i pezzetti di vetro dal braccio tagliato di Jade. Sembrava lavorasse con noncuranza, ma la ragazza si accorse invece, commossa, che dalla concentrazione e dal timore di farle del male, la mano dalle unghie impeccabili, tremava.
Ogni traccia di odio, cinismo e voglia di ferirlo in qualunque modo scivolò lentamente da lei, come se pioggia le avesse lavato la coscienza e il cuore.
Si sorprese ad osservare nei dettagli quel delicato viso perfetto, e si rese conto di tante piccole cose che nelle foto o nei video non apparivano.
Per esempio, la forma del naso, dritto e fiero, la figura aggraziata e piena delle labbra rosate, il neo sul piccolo mento.
Ma soprattutto gli occhi, accesi, vivi, di un nocciola talmente intenso che le faceva quasi girare la testa.
Concentrata su di lui, Jade non si rese conto di avere il braccio ricoperto da candide bende finché Bill non ne strinse il nodo ed esclamò sorridendo soddisfatto:
-Ecco fatto!-. E le regalò un sorriso compiaciuto e di sollievo che illuminava l’intera stanza.
Jade ne rimase incantata, e solo quando lui la guardò negli occhi si riscosse da quel sogno ad occhi aperti, imbarazzata.
Sospirò, fingendo di controllarsi la fasciatura, e ricordò quando, solo pochi giorni fa, proprio lei aveva medicato il ragazzo, dopo che era stato quasi ammazzato di botte. Solo per salvare lei.
Sollevò lo sguardo: i segni sul suo viso non erano ancora spariti, e anche se si intravedevano appena sotto l’abbondante dose di fondotinta, immaginò facessero ancora male.
Riprese a guardarsi le braccia, e sussurrò piano:
-Grazie...-.
Non ricevette risposta, ma una pallida mano coperta d’anelli le sollevò dolcemente il viso.
Un altro flash. “Anche questo è già successo...”, pensò Jade sbalordita.
Bill non la stava guardando, la osservava, scrutava la sua anima, frugava nella sua mente.
La ragazza non riuscì più a distogliere lo sguardo: difficile ignorare quegli occhini ipnotici e magnetici. Si avvicinò di più al volto truccato e lo stesso fece lui al suo: ormai, era perso, totalmente schiavo dello sguardo, di nuovo ambrato, di quella delicata ragazza.
Incatenati l’uno negli occhi dell’altra, i due ragazzi stavano inconsciamente mano  a mano annullando le distanze.
I loro respiri si rincorrevano, si intrecciavano, si cercavano.
Alla distanza di un battito di ciglia, Jade improvvisamente si accorse di ciò che stava facendo, e spaventata, si allontanò, mormorando dispiaciuta:
-Bill... Io non...-.
Ma lui, scuotendo la testa, le appoggiò due dita sulle labbra. Entrambi furono attraversati da un brivido.
Sussurrando a sua volta, Bill le disse, caldo e rassicurante:
-Ssshhh... Non c’è niente da dire...-, e sorrise stupendamente.
“Non è valido...”, pensò Jade, accorgendosi di sorridere a sua volta.
“Non è giusto...”, e intanto si era di nuovo avvicinata troppo. “Ha barato...”.

Nella tana del lupo. Ma lei non era Cappuccetto Rosso, non correva il rischio di essere divorata... Giusto?!
Le labbra dei due ragazzi, dischiuse, affamate le une delle altre, erano ancora separate solo dalla forza di volontà di Jade: saltare o no? Buttarsi o no?
In questo caso valeva la canzone “Spring Nicht”?
Il respiro profumato di Bill le accarezzò delicato ed invitante la pelle.
“Al diavolo tutte le canzoni del mondo...”, pensò la giovane la giovane, nuovamente priva di qualunque pensiero.
Aveva scelto.
Di nuovo, sorrise, e mosse sicura il primo passo nella grotta oscura, andando verso l’ignoto lupo dagli occhi dolci.   





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Capitolo 11
*** _Girare e Minaccia_ ***



Due sorrisi. Due sguardi. Due piccoli cuori che battono fortissimo.
Bill e Jade erano ancora seduti sulla panchina nel bagno dello studio televisivo. Ancora si fissavano negli occhi, ancora le loro labbra si cercavano. E ancora lei non sapeva se ascoltare il proprio cuore o la propria mente.
Una parte della propria anima le urlava di svegliarsi, che probabilmente quello che le stava accadendo era solo un sogno; un’altra le consigliava caldamente di approfittare di quell’occasione, di farsi avanti, di esprimere i propri sentimenti; un’altra ancora, le sussurrava sconsolata di tirarsi indietro: lui era una star, e lei... non era nessuno, diceva che non avrebbe mai funzionato.
E proprio a quest’ultima credeva Jade, realista come al solito. Eppure... Voleva anche lasciarsi tentare dalla sensuale vocina che le diceva di buttarsi, essendo in fondo, anche un’inguaribile romantica.
Bill alzò lentamente una mano e le accarezzò piano i capelli, come aveva già fatto quella mattina all’insaputa della ragazza. Il cuore della giovane minacciò di scoppiare.
L’opzione sogno era dunque scartata. Quel tocco delicato e gentile non poteva essere una sua invenzione!
Fissò negli occhi nocciola il ragazzo, incapace di prendere una decisione.
Probabilmente Bill vide una sfumatura scoraggiata nello sguardo della ragazza, perché abbassò la mano e le sussurrò, amareggiato:
-Non mi aspettavo facessi nulla per me... Non devi per forza compiacermi... Ho capito, tranquilla...-, e fece per alzarsi, lo sguardo vuoto e sconsolato.
Inconsciamente, Jade fu presa dall’angoscia di perderlo, di non poterlo più rivedere, e d’istinto afferrò la manica di pelle del giubbotto del ragazzo esclamando ansiosa:
-Bill!!! No, io...-. La voce le morì in gola.
Bill si girò a guardarla negli occhi, facendo trasparire dal suo sguardo una così evidente speranza che la ragazza trovò molta difficoltà a ricordarsi di respirare, figurarsi farsi tornare in mente le belle parole che aveva appena pensato per trattenerlo con sé.
Il ragazzo truccato si risedette, e prendendole le mani, chiese, quasi euforico:
-Sì, Jay?-.
Jade, guardandolo negli occhi, non poté non paragonarlo ad un bambino, un bimbo entusiasta dei suoi nuovi regali sotto l’albero di Natale. E lei non voleva affatto deludere quel piccino... Per un suo sorriso avrebbe fatto qualsiasi cosa...
Così, di nuovo in silenzio, due visi che si avvicinano piano, felici, due sguardi, due sorrisi...

E all’improvviso, una porta che sbatte rumorosamente. E la persona meno desiderata in quella stanza in quel preciso momento.
Tom entrò facendo casino, come suo solito, ed esclamò:
-Ah, Bill, finalmente! Ti ho cercato dappertutto!! Dobbiamo... Oh! Ho... ho interrotto qualcosa?-, chiese abbassando il tono e alzando le mani a mo’ di protezione.
Inutilmente. I due ragazzi, che quando avevano sentito urlare avevano fatto un salto dallo spavento e si erano bruscamente allontanati l’uno dall’altra, ora stavano incenerendo il rasta con sguardi infuocati.
Il chitarrista ebbe un brivido, e per un attimo avrebbe voluto non essersi offerto volontario per chiamare i due membri mancanti all’appello. Avrebbe voluto, almeno, aver aspettato ancora qualche minuto, o almeno aver bussato prima di spalancare la porta.     
Ma più di tutto rimpianse di essere stato lui ad assistere a quella scena.

Un groppo alla gola costrinse il rasta a deglutire più volte.
Sentendosi un peso nello stomaco, Tom riuscì comunque a dire con voce roca:

-Ehm... Do-dobbiamo andare... Bill, stiamo aspettando tutti te, e Andreas devi dirti una cosa...-.
Il moro, sentendosi chiamare, balzò subito in piedi, e con un’ultima indecifrabile occhiata a Jade, svanì oltre la soglia.
Tom, prontamente spostatosi per non essere travolto al passaggio del fratello, si riappoggiò nuovamente allo stipite della porta, rabbuiato in viso.
Erano rimasti solo loro. Entrambi persi nei loro pensieri, avevano tutt’e due qualcosa di cui rammaricarsi.
Ma il mondo non aspetta.
Quasi avendo sentito un richiamo lontano, i due ragazzi sollevarono contemporaneamente la testa, riscuotendosi dalle reciproche preoccupazioni.
Ambedue sospirarono, e mentre finalmente si alzavano, statue non più di marmo, si guardarono negli occhi, indossando il travestimento di qualcosa che non erano.
-Andiamo...-, mormorò piano Jade tentando di passare per l’angusto spazio tra il muro e il corpo del ragazzo, di nuovo sorridente e sfrontato, senza sfiorare né l’uno né l’altro.
Ma quest’ultimo, arrogantemente, allungò un braccio a toccare l’atro stipite, e lo piazzò esattamente davanti al naso della ragazza, che sobbalzò.
Un ghigno furbetto gli attraversò il volto, e quando Jade, irritata, tentò di passare al di sotto del suo magro braccio teso, uno strano scintillio scivolò negli occhi spenti del rasta.
Mentre la ragazza si chinava, irritata, priva della voglia di discutere, con un rapido movimento il ragazzo la prese alla vita, e ignorandone gli strilli a metà tra il divertito e il preoccupato, la sollevò di peso avvolgendola tra le sue braccia ferree, e ridendo, girò su sé stesso più volte, finché non cominciarono a muoversi anche le pareti.
Sempre ridendo di gusto, smise roteare, e barcollò un po’, mentre Jade esclamava:
-Oddio, Tom! Tu sei completamente matto! Adesso mi verrà da vomitare!-. Cercava di sembrare arrabbiata, ma la sua bocca non poteva fare a meno di sorridere.
Finalmente, il pazzo chitarrista, appoggiò delicatamente a terra la ragazza, ma invece di lasciarla andare, venne rapito da un istinto incontrollabile, e anzi, strinse ancora di più l’abbraccio attorno al magro corpo di lei.

Abbassò la testa e si perse tra i suoi capelli. Inspirò profondamente, inebriandosi di quel profumo tanto attraente quanto pericoloso.
Ancora affamato, si ubriacò di lei, chinando ancora di più il viso, sfiorando con il naso e la bocca il suo esile, morbido collo, smarrendosi lungo l’elegante clavicola aromatica, verso la sua spalla rotonda, sotto al suo piccolo mento, per tornare ogni volta al punto di partenza.
Totalmente immerso in lei, nella sua pelle, non si rese conto delle proteste di Jade finché questa quasi non gli urlò nelle orecchie e gli assestò una gomitata nello stomaco.
Preso in contropiede, Tom si riscosse bruscamente, tornando alla realtà, da quel suo intimo mondo incantato, e immediatamente lasciò la presa.
La ragazza si voltò verso di lui, furente, rossa in viso, con le lacrime agli occhi, una mano sul collo, nel punto in cui le sensuali labbra di uno dei ragazzi più desiderati della Germania l’avevano accarezzata.

A schiena dritta, Jade lo fissò un istante in quei profondi, dispiaciuti occhi nocciola, e mentre una piccola lacrima cominciava a scivolarle sulla guancia liscia, gli rivolse un’ultima occhiata disgustata e corse via.
Tom, le braccia penzoloni, dritte lungo i fianchi, rimase diversi minuti a fissare una porta chiusa, solo in quella fresca stanza vuota.
Sicuramente, oltre al rammarico, ora il rimorso di scuse non dette pesava molto più di qualunque altra cosa. E come una gigantesca mano, lo stava schiacciando.

Diversa stanza, diversa casa, stessa città.
Il ghiaccio, mezzo sciolto, tintinnò nel bicchiere di champagne, che venne subito afferrato da una pallida mano con le unghie laccate di rosso.
I diversi braccialetti scintillanti che adornavano due bianche, magre braccia, luccicarono all’ultimo, morente raggio di sole.
Una bocca dalle labbra piene, rosate, ricoperte di brillante lucidalabbra alla frutta, sorseggiò piano il liquido frizzante. Freddo, al punto giusto.
Due lunghe gambe, poggiate su cuscini di raso rossi, si stiracchiarono, pigre.
La Tv, accesa, era sintonizzata sul canale 17, quello sul mondo della musica.
Dallo schermo, quattro giovanissimi ragazzi stavano rilasciando un’intervista, sorridenti e rilassati.
Degli occhi azzurri, tanto intensi, immediatamente aguzzarono lo sguardo.
La bella ragazza si sistemò meglio sul divano candido, e appoggiandosi al braccio piegato sotto di sé, si avvicinò un po’ di più all’apparecchio elettronico.
Sorrise, diabolica, sentendo la risposta del ragazzo truccato, il cantante, riguardo una domanda personale su una certa rivista.
Quando le telecamere zoomarono sulla copertina di questa, la ragazza ridacchiò piano, e prima di alzarsi e di lanciare lontano il telecomando, spense la televisione.
Il bel giovane scomparve.
Si stirò piano, portando le braccia in alto e poi piegandole dietro la testa. La maglietta corta, sollevandosi, scoprì il percing argentato che occhieggiava timido dall’ombelico sodo.
La ragazza mosse la testa, scuotendo i lunghi capelli biondi, e afferrò la cornetta di un telefono cordless lì vicino. Si lanciò sulla poltrona là accanto e compose veloce un numero.


-Pronto...?-, rispose circospetto Bill. Non riconosceva il numero che appariva lampeggiando sul display del suo cellulare ultimo modello.
-Ciao Bill! Come va?-, cinguettò una voce argentina.
Bill, disteso sul letto della sua camera d’albergo si mise piano a sedere, ora più seccato che preoccupato.
-Ma... Chi parla? Come hai fatto ad avere questo numero?-, chiese aggrottando le sopracciglia.
-Oh, ho i miei contatti... Ma non credo dovrai preoccuparti di questo, ora... Ci vediamo al parco in periferia fra un’ora, d’accordo? Dovrei discutere un po’ con te...-.
Ora Bill era veramente furioso.
-E se non dovessi venire?-, chiese ghignando, sfidando quell’interlocutrice misteriosa tanto arrogante.
Un momento di silenzio dall’altra parte. Poi, una voce, fredda, dura, che il ragazzo stentò a riconoscere come la stessa di prima:
-Allora potrebbe succedere qualcosa ai tuoi amici, o... alla tua ragazza... Al parco fra un’ora.-, concluse la voce, spietata.
Bill era attonito ed angosciato:
-Cosa?! Come... come fai tu a sapere di Jade?! ... Pronto? Pronto!-.
Silenzio. Aveva riattaccato.
Improvvisamente, un brivido freddo corse lungo la schiena del ragazzo: aveva capito.
Forse aveva riconosciuto la persona a cui apparteneva la voce dalla doppia personalità e dalle mille sfumature. E sapere di chi si trattava non l’aiutava affatto.

Strinse forte tra le mani il cellulare, e serrando gli occhi, rifletté a lungo.
Dopo qualche minuto, sollevò lo sguardo, negli occhi la presa coscienza di aver scelto. E alzandosi, guardò il cielo macchiato di rosso, preparandosi alla seconda svolta più importante della sua vita.


La ragazza spinse allegramente il tasto di chiusura della chiamata e ripose la cornetta. La fissò per un attimo e poi cominciò a ridere, abbracciandosi da sola.
Sempre ridacchiando, corse nella sua stanza e aprì l’armadio fischiettando. Felice, come ad un primo appuntamento.
Si ravviò i capelli biondo platino, e dopo aver tolto dalla gruccia un vestito elegante, se lo appoggiò addosso e osservò l’effetto allo specchio.
Giusy fissò con occhi di ghiaccio quelli identici del suo riflesso.
Due Giusy.
Buona e cattiva. Gentile e spietata. Doppi personalità.
Scelse l’abito che avrebbe indossato all’incontro stabilito fra un’ora con quello strano ragazzo truccato appena visto alla Tv, e saltellò in bagno per truccarsi.
Un raggio di sole, rosso, colpì lo specchio, che lo rifletté a sua volta, illuminando il telefono portatile scuro, appoggiato sul tavolino accanto alla poltrona.
Sul piccolo schermo, ancora visibile il numero dell’ultima chiamata effettuata.
Quell’unica telefonata sarebbe bastata a sconvolgere ben più di una vita?


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Danke a tutte! ^^ Sì, avete ragione, io continuerò a scrivere questa storia Perchè mi piace, perchè mi fa emozionare e perchè così mi sento più... completa!
E se poi la legge qualcuno, sono ancora più contenta! ^_^

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Capitolo 12
*** _Bollicine e Panchina Fredda_ ***




Bolle. Tante, tante bolle. Colorate, trasparenti, dai mille riflessi arcobaleno; ma anche fragili, delicate, fin troppo facili da rompere...

Totalmente immersa nella vasca da bagno di ceramica bianca, fredda e scivolosa, Jade pensava. Era chiusa nel bagno della camera di Bill, che ormai era diventata la sua, da quasi un’ora.
Al ritorno dallo studio televisivo, dopo quella interminabile giornata, aveva chiaramente annunciato al ragazzo che non ci sarebbe stata per nessuno durante, almeno, le due ore successive. Poi, aveva chiuso la porta a chiave, aveva riempito frettolosamente la vasca, versato mezza bottiglia di bagnoschiuma e dopo essersi spogliata in fretta, gettando a terra i vestiti, vi si era infilata lesta lesta.
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo per il contatto con l’acqua calda, si era lasciata sprofondare fino al mento, e osservando rilassata il delicato paesaggio di schiuma bianca, aveva chiuso gli occhi.
Rifletteva, e rifletté a lungo, quel giorno: su come stava cambiando la sua vita, sui genitori e gli amici lontano, e su quelli appena trovati. E soprattutto, meditò sui fatti accaduti quel giorno.
Ricordò particolarmente bene quegli occhi nocciola, talmente vicini che aveva avuto paura di caderci dentro,  e quel profumo, il suo, tanto dolce e attraente.
Jade, immersa fino al naso, sorrise involontariamente, e subito sollevò la testa per sputare l’acqua saponata che le era finita in bocca.
Di nuovo, il suo viso scomparve per metà oltre la piatta superficie, inframmezzata da piccole isole di sapone, naufraghe. Le bolle stavano scomparendo.
Chiuse nuovamente gli occhi per riacciuffare l’emozione di quell’infinito gioco di sguardi con quel ragazzo tanto carino e gentile; ma all’improvviso, la sensazione di quel forte abbraccio che le aveva tolto il respiro e la morbidezza di quelle labbra di velluto che le avevano accarezzato il collo, scacciò tutte le altre.
No, questo voleva dimenticarlo, scacciarlo per sempre dalla sua testa confusa. Doveva, o a quel pensiero si sarebbe tormentata da qui all’eternità...
Ma la sua mente, indifferente alla sua forza di volontà, continuava a ripresentare davanti ai suoi occhi serrati quelli così dolci, più scuri, e dispiaciuti, di quel particolare ragazzo coi rasta, dopo che lei, Jade, se n’era andata, senza nemmeno chiedere spiegazioni, senza ascoltare le sue scuse.
La ragazza aprì gli occhi. Quasi tutte le bolle erano sparite. Solo una, piccola e forse per questo più resistente , continuava a veleggiarle silenziosa tra le lunghe gambe.
Jade si levò a sedere, e delicatamente prese la semplice costruzione di sapone tra le mani bagnate.
“Cosa devo fare adesso? Come mi devo comportare?”, pensava disperatamente la ragazza sconsolata, forse sperando che tra le sue mani ci fosse una sfera di cristallo.
Ma riflessi da quella rotonda superficie Jade vide solo i suoi occhi, grandi e preoccupati. E prima che la bolla scoppiasse, la ragazza intuì cosa doveva fare.
POP! Tra le sue mani insaponate, più nulla.

TOC! TOC!
Un leggero bussare alla porta  del bagno fece sobbalzare Jade.
All’inizio, la giovane pensò fosse stato il rumore dello scoppio della bolla, e si guardò spaventata e confusa le mani. Quando i colpi divennero più insistenti, finalmente capì. La ragazza uscì svelta dalla vasca, togliendone il tappo, e rabbrividì prima di cominciare a d asciugarsi alla bell’e meglio. Dato che le pacche contro la porta non smettevano, anzi, aumentavano, urlò irritata:
-Un attimo, insomma!-.
Si avvolse in un asciugamano bianco che le arrivava a stento alle ginocchia, e dopo essersi velocemente frizionata le punte dei capelli, che lasciò cadere sulle spalle, aprì la porta esclamando:
-Scusa, Bill, ero ancora... Cosa ci fai tu qui?!-.
Sulla soglia, in evidente imbarazzo, Tom si tormentava il piercing, le mani in tasca, appoggiato al muro.
Non appena la vide, si schiarì la voce e rimase a fissarla per un periodo di tempo decisamente  troppo lungo.
Lei incrociò le braccia sul petto, e chiese, forse in modo troppo sgarbato:
-E allora? Che sei venuto a fare?-.
Tom sorrise, il percing appena visibile alla luce dell’abat-jour arancione della stanza, e rispose, malizioso, facendo un cenno con il capo rivolto all’asciugamano di Jade:
-Ero venuto a scusarmi per oggi pomeriggio, ma non so se riuscirò a non ripetere lo stesso errore dopo questa accoglienza!-.
Jade arrossì, ed esclamò:
-Se ti dà tanto fastidio, aspetta qua un attimo, che mi cambio!-. E impacciata, marciò nuovamente in bagno, chiudendo la porta in tempo per sentire che il ragazzo diceva:
-E chi ha detto che mi dispiaceva?!-.
Un accenno di sorriso le attraversò un attimo il viso, ma subito lo scacciò, concentrandosi a raccogliere i vestiti da terra. Iniziò ad indossare la biancheria pulita.
Si fermò, lanciando un’occhiata alla porta. Ci pensò un attimo, poi la chiuse nuovamente a chiave.


Poco dopo, neanche dieci minuti più tardi. Jade era pronta, completamente vestita, i capelli ancora un po’ umidi e ribelli. Se li ravviò, portandoli poi dietro le orecchie, e guardandosi un’ultima volta allo specchio, totalmente scontenta del suo aspetto, corse ad aprire la porta. Girò la chiave, abbassò la maniglia esclamando: -Eccomi!-, e... finì catapultata tra due forti, solide braccia.
Sollevò lo sguardo, ancora preda della sorpresa, e osservò il bel viso di Tom a pochi centimetri dal suo.
Il ragazzo rise, e poi le sussurrò all’orecchio, caldo:
-Ehi, ma allora dillo che non vedi l’ora di cadermi fra le braccia...-.
Jade si scostò bruscamente da lui con una spinta, e voltandogli le spalle, rossa in viso, sbraitò:
-Sono solo inciampata, pezzo d’idiota!-.
Abbassò lo sguardo, imbarazzata, e si accorse che proprio davanti alla porta, in mezzo al passaggio, erano appoggiate un paio di scarpe. Nere, forti, enormi. Da uomo.
La giovane si voltò nuovamente verso il ragazzo, senza parole dall’indignazione .
Lo vide tentare di trattenere una risata .
Il rasta si sollevò con una mano l’orlo dei larghissimi jeans, e alzò un piede, avvolto solo da spessi calzini scuri.
Mosse sfacciatamente le dita e poi si mise a guardare Jade con un sorriso furbetto stampato in faccia.

La ragazza rimase attonita per qualche secondo, a bocca aperta.
Poi esplose:
-Brutto...!!!Era tutto un trucco, vero? Avevi preparato ogni cosa, eh?!-, e cominciò a tempestare di pugni il chitarrista sullo stomaco, sulle spalle, sul viso.
Tom rideva, tentando di ripararsi con le braccia come poteva da quel vero e proprio diluvio di rabbia, finché non decise di farla finita e strinse dolcemente ma con decisione i polsi della ragazza furiosa, tenendola ferma a distanza di sicurezza.
Jade si divincolò ancora un poco, poi si arrese, e sbuffò forte dalla bocca come una bambina imbronciata, girandosi da un’altra parte.
Il rasta rise piano, dolcemente, e si posò i piccoli pugni serrati di lei, ancora bloccati da grandi, morbide manette, sul petto.
La giovane si voltò di scatto, e strappando immediatamente le mani da quelle di Tom, alzò le braccia al cielo, e arretrando, urlò:
-Ma insomma! Non riesci proprio a stare un po’ per conto tuo? Perché devi sempre cercare il contatto con un’altra persona?!-, chiese, quasi la schiena al muro.
All'istante, Tom coprì la poca distanza che lo separava dall’imbarazzata ragazza con due lunghi passi, e disse, finto pensieroso:
-Uhmm, fammi pensare...-, e con mossa fulminea le toccò il sedere. -... Infanzia difficile?-, disse sorridendo sfacciato.
Stavolta Jade fu più veloce, e mentre lui ritraeva la mano, pronto a difendersi, lei gli mollò uno schiaffo deciso alla guancia, che subito si colorò di rosso acceso.
-Così impari, brutto maniaco!-, esclamò ghignando.
Tom, che si era subito portato una mano allo zigomo per massaggiarselo, la abbassò, e l’identico lampo giocoso e allo stesso tempo da predatore di quel pomeriggio gli si accese nello sguardo. Jade ebbe un evidente brivido.


Il ragazzo sorrise, scoprendo i denti bianchissimi, e cominciò ad avvicinarsi alla moretta dagli occhi leggermente spaventati in modo circospetto, quasi felino.
All’improvviso, si agguattò in un angolo, come un leone pronto a balzare, e lanciando un finto ruggito, per gioco, saltò addosso alla ragazza leggermente impaurita, che strillò dall’eccitazione, e insieme, caddero sul letto, ridendo.
Tom si sollevò sulle braccia e osservò Jade, rannicchiata sotto di lui, quella stupenda adolescente che stava stravolgendo la sua vita e quella di tutti, in fondo. La vide ridere, tenendosi la pancia, quasi piangendo, e gli sembrò la cosa più bella che avesse mai visto.

Ma quasi subito, quell’insolita dolcezza, in lui, vene sostituita dal desiderio, un desiderio incontenibile, irrefrenabile, di farla diventare sua. Una voglia ancora maggiore di quella che si era scatenata in lui quel giorno. Si leccò il percing, famelico. Il suo istinto si stava risvegliando. All’improvviso, però, l’immagine ormai stampata a fuoco nella sua memoria, di lei che fuggiva lontano da lui, terrorizzata, traumatizzata da quell’improvviso peso della passione che l’aveva assalito, lo fermò. Una voce molto simile a quella del fratello gli consigliò di non fare quello che il suo corpo e la sua mente volevano, o se ne sarebbe davvero pentito.
“Sì... Devo resistere...”, pensò il ragazzo stringendo forte la coperta tra le dita.
In quel momento, con un sospiro, Jade smise finalmente di ridere e cominciò ad osservare attentamente il ragazzo che la sormontava. Tom stava digrignando i denti e quasi stracciando la coperta per riuscire a resistere agli istinti che minacciavano di sopraffarlo.
Fece per alzarsi, sicuro di non riuscire più a mantenere il controllo se fosse rimasto in quella posizione, quando Jade sussurrò piano, prendendolo alla sprovvista:
-Sei diverso, stasera...-.
Il ragazzo si voltò a guardarla stupito, e ne rimase incantato.

La flebile luminosità della lampada accarezzava dolcemente i lineamenti delicati del viso di lei, dipingendoli di arancio e accendendo di oro i suoi occhi magnetici. Luce e ombra giocavano fra le sue sopracciglia aggrottate, la sua bocca seria e terribilmente attraente, i suoi capelli lucidi, finalmente asciutti, sparsi sulla coperta candida.
-Co... cosa vuoi dire?-, chiese Tom riscuotendosi da quella visione ad occhi aperti.
Quella stessa visione che ora lo guardava incredula di aver davvero detto ad alta voce un pensiero così emotivo.
-Niente, niente, lascia perdere... Ti chiedo scusa, ma quando sono con te mi lascio sempre sfuggire tutto, ogni mio pensiero... Sarà perché sei una persona speciale per me, vicino a te mi sento al sicuro...-, mormorò Jade, scostandosi piano dal ragazzo, in preda a un batticuore talmente intenso che egli ebbe paura di avere un infarto.
La ragazza si alzò dal letto e andò alla finestra, rimanendo per un po’ ad osservare senza vedere le luminarie della città. Appoggiò una mano sul vetro freddo e si voltò a guardare decisa Tom, ancora seduto sul morbido materasso, immobile dalla sorpresa.
-Credo di potertelo dire, so che di te mi posso fidare...-. Sospirò a lungo, abbassando per un attimo lo guardia. Fissò negli occhi nocciola e carichi il ragazzo di cui tanto si fidava. Prese tempo, poi finalmente, quasi liberandosi di un peso, gli annunciò, trafiggendolo da parte a parte con uno sguardo di puro miele:
-Ormai credo di esserne pienamente consapevole... Vedi, a me... a me piace tuo fratello Bill...-.

****************************

Parco in periferia. Panchina più a nord, la più isolata.
È ormai buio, i lampioni sono tutti accesi.
Bill è seduto su quella panchetta verde spento da quasi una mezz’ora ormai.
Sta aspettando una persona in particolare, anche se in realtà spera che questa non arrivi mai.
“Maledizione, che freddo... Non mi sento più i piedi...”, pensò soffiandosi sulle mani e sfregandosele prima di rimetterle in tasca, infreddolito. “Forse ha deciso di non venire... magari era tutto uno scherzo... Già, non può che essere stato un dannato tranello di qualche anti... È stato preciso, però, a trovare il numero e tutto... Dovrò cambiarlo, di nuovo! Bè, ormai è inutile stare qui ad aspettare invano... Meglio che torni a casa, non vedo l’ora di farmi un bel bagno caldo...”.
E così, rincuorato da quell’allettante prospettiva, il ragazzo si alzò, stringendosi di più nel suo solito giubbotto di pelle nera, e sbattendo un po’ le scarpe a terra, cominciò a d avviarsi lungo il vialetto che portava all’uscita del parco.

Altri passi. Decisi, calmi, eppure inquietanti.
Un’ombra si parò davanti a Bill, che immediatamente si fermò ed alzò la guardia, pronto a difendersi, memore delle brutte esperienze passate.
Un profumo dolce, fin troppo, forse, si sprigionava da quella figura avvolta dall’ombra.
Un profumo familiare.
Bill abbassò le mani sollevate davanti allo stomaco, e aguzzò la vista.
La figura continuò ad avanzare, lentamente, per fermarsi sotto la luce biancastra di un lampione che donava meravigliosi riflessi ai suoi capelli.
Bill sgranò gli occhi:
-Tu??-.
La ragazza sorrise. I suoi denti brillarono nell’oscurità. Con un gesto un po’ brusco ma totalmente rilassato, si lanciò una lunga ciocca bionda alle spalle, e appoggiandosi su un fianco, prese un accendino e bruciò la punta della sigaretta che aveva in bocca, miracolosamente estratta da chissà dove.
Il leggero chiarore illuminò due paia di occhi azzurri socchiusi.
Giusy espirò verso l’alto il grigio, dannoso fumo, e sempre sorridendo, chiese, delicata e pericolosa:
-Come va, Bill?-.  

________________________________________________________________________________________________________________________

"Cosa succederà adesso all'appuntamento? Riuscirà Bill a tornare a casa sano e salvo? Quali sono i veri sentimenti di Tom? Come si comporterà Jade con Bill ora che ha accettato il suo amore? E perchè il prezzo dei tortellini continua ad aumentare?!

La risposta a questa e ad altre PRESSANTI domande......... Prossimamente, su questa Fan Fiction! ^_^"




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Capitolo 13
*** _Notte_ ***




-Come va, Bill?-.
Due labbra luccicanti alla fragola, capaci di gelare con un unico soffio il mondo intero.
Bill rimase pietrificato, immobile, nell’ombra.
Il lampione biancastro proiettava riflessi argentati sui capelli della ragazza, abbaglianti, accecavano il giovane cantante a pochi passi da lei.
Dopo qualche secondo in silenzio, Bill riuscì a riprendere l’uso della bocca spalancata, chiudendola e balbettando:
-Co... cosa vuoi da me?-, chiese, arretrando di un passo, di nuovo in posizione di difesa.
Giusy sorrise e nuovamente inspirò forte da quel sottile involto di carta e foglie proibite, espirando subito dopo verso l’alto, soffocando il cielo e le stelle.
Ritornò ad osservare, impassibile, il ragazzo truccato davanti a sé.
Poi, non più dolce ragazzina gentile, disse lentamente, fredda e spietata:
-Voglio diventare famosa... E voglio dei soldi... Tanti soldi...!-.
-Perché?-, chiese Bill, una nota isterica nella voce di velluto.
Giusy si voltò di fianco, muovendo qualche passo fuori dal sentiero a mala pena visibile, verso l’erba ghiacciata.
I suoi tacchi affondarono scricchiolando in quel mare verde paralizzato, mentre lei, con il viso rivolto al cielo dava un altro tiro a quella momentanea, fasulla felicità.
Prese la sigaretta consumata tra due dita, sempre a naso in su, dedicandosi a quelle spente,  fredde stelle, e lasciando cadere tra fili d’erba innocenti quella gioia peccaminosa, disse, pacata, al cielo nero e vuoto:
-Vedi, Bill, a questo mondo, per essere qualcuno, rispettato e acclamato come te, non avendo doti particolari, bisogna diventarlo, un “qualcuno”. E per divenirlo, serve la fama, la quale può essere raggiunta solo attraverso l’uso dei soldi... È un circolo vizioso, ormai...-.
fece una pausa, alzò un piede e pestò con violenza la cicca, spegnendo anche l’ultimo filo di fumo che si srotolava, morente, verso l’alto, come una mano implorante in cerca d’aiuto, spezzata per sempre.
Si voltò di sbieco verso il ragazzo, inorridito, e osservandolo intensamente, sussurrò dolcemente:
-Se non si emerge dalla massa, si viene semplicemente schiacciati...-.

Con orrore, Bill levò lentamente lo sguardo dall’elegante scarpa scintillante, e deglutendo, chiese:
-Perché hai scelto di rovinare la vita proprio a me?-.
Giusy rise, di una risata argentina che fece accapponare la pelle al ragazzo, e tornando sul sentiero, si fermò nuovamente a pochi metri da lui:
-Rovinato? Veramente siamo solo all’inizio... E chiedevi perché proprio a te? Oh, piccola scelta personale... La tua vita m’incuriosiva, è stato divertente frugare nel tuo passato... e nel tuo presente... Sì, so di Jade, la ragazzina che ora vive con te...-, annunciò la ragazza sorridendo della sorpresa di Bill. -... E se vuoi che la sua vita continui... in tutti i sensi... con te... Ti, diciamo, consiglio caldamente di consegnarmi questa cifra...-, e si sporse in avanti per consegnare ad un diffidente e preoccupato Bill un foglietto piegato in quattro.
Il ragazzo lo dispiegò, e sgranando gli occhi, esclamò:
-Cinquantamila...!? Ma... ma...-.
-Pensaci... Ti aspetto domani, qui, stessa ora... Con una risposta, spero, e magari ciò che desidero... Accontentami, e farai un favore anche ai tuoi amici ed alle persone a cui tieni di più... -, lo interruppe lei, facendo per andarsene. Si voltò, e cominciò a camminare spedita lungo lo stretto sentiero di terra. Si bloccò. Si rigirò verso il giovane:
-Ricorda, Bill Kaulitz, io non minaccio mai a vuoto, e mantengo sempre le mie promesse...  Non provare ad informare la polizia, o qualche malaugurato incidente potrebbe succedere a qualche tuo stretto conoscente... A domani...-.
E con un ultimo, inquietante, penetrante sguardo, si inabissò nell’oscurità. Rumore di passi che si allontanano. Poi silenzio.
Se n’era andata. Così com’era arrivata.

Bill rimase a fissare per diversi minuti l’oscurità sempre più fitta, incapace di accettare la conversazione appena avvenuta.
Poi, si accasciò, sfinito e svuotato dall’ansia sulla panchina.
Si prese la testa fra le mani, sfregandosi disperato il viso, incurante della matita che si spandeva fino al mento.
“Che cosa faccio, adesso? Come mi devo comportare?”, pensava sconfortato, ignaro di non essere stato l’unico, quel giorno, ad essersi posto le stesse domande.


Stanza numero 327. Un letto intatto. Una finestra leggermente appannata. E una sorpresa talmente grande da fuoriuscire dalla porta.

Jade osservava Tom. Tom scrutava Jade. Lei in cerca di una qualunque reazione, lui tentando di capire se quello che gli aveva appena detto fosse vero.
Passarono diversi minuti, troppi, in silenzio, rincorrendo parole, frasi sconnesse, prive di qualunque senso.
“Davvero? Be’, sono felice per te...”, “No, non riesco a crederci!”, “Ma perché lui e non me?!”, “Scusami, non riesco ad essere contento di questo...”, “Non lo capisci che così mi uccidi?”.
Parole, tante, infinite, forse, come il dolore di Tom. Un dolore che, tuttavia, non conosceva parole per essere spiegato. E un dolore che però, poteva essere compreso solo con ogni parola del mondo.   
E così, rimasero ancora in silenzio, finché Tom, senza dire nulla, si alzò e, con grande sorpresa della ragazza, la strinse in un forte abbraccio.
Sperava di riuscire a trasmetterle un po’ delle innumerevoli emozioni che gli si agitavano nel cuore, farle conoscere la sua sorpresa, la sua gioia, il suo dolore. Avvolse ancora di più le sue braccia attorno al piccolo, magro corpo di Jade, che sorpresa e imbarazzata, protestò senza convinzione:  
-Tom, insomma..!-.
Il ragazzo allentò un po’ la presa, e senza staccarsi da lei, dolcemente, le sussurrò all’orecchio solamente:
-Brava...-. Una lacrima minacciò di spuntargli dall’angolo dell’occhio sinistro, ma riuscì a reprimere l’improvvisa manifestazione tangibile dei suoi sentimenti.
E lasciandola lì, senza parole, dagli occhi un po’ lucidi e il viso rosso, le diede solo una piccola, semplice, diretta carezza sulla testa. Sorrise, vuoto, e le fece un ultimo cenno di saluto, uscendo da una stanza ma lasciandoci dentro, chiusi a chiave, i suoi sogni, le sue speranze ed  il suo cuore.


Notte. Notte tranquilla, notte rilassata. Notte di sogni.

Georg e Gustav, dormivano tranquilli, a pancia in giù, rapiti entrambi da Morfeo e trasportati verso il loro magnifico, fantastico mondo personale, ignari di ogni cosa accaduta quel giorno. Lo stesso facevano le innumerevoli fan dei Tokio Hotel, quella sera, abbracciando magari una foto dei loro idoli, ascoltandone, anche durante il sonno, le toccanti canzoni, immaginando, fantasticando, desiderando di averli accanto in carne ed ossa, di poterli toccare, abbracciare, baciare. Di poter occupare un posto nella loro vita.
Sogni irrealizzabili, fasulli, inutili illusioni, ma così dolci, dolci, consolanti fantasie.

Stessa notte. Notte agitata, notte tormentata. Notte di incubi e di occhi spalancati.

Era sveglio, Bill Kaulitz, non lontanamente preoccupato dal prossimo concerto della band, ma assillato da ben più importanti problemi. Steso a pancia in su, ragionava.
Cosa avrebbe fatto? Cosa riteneva giusto?
Cedere ad un subdolo ricatto per spegnere una sete di fama e ricchezza? Ignorare la richiesta rivolgendosi alla polizia e mettendo in pericolo la vita della sua famiglia, dei suoi amici e... sì, anche di un’altra esistenza, che ora tormentava l’infinita notte burrascosa del ragazzo...
Oppure scappare? Ma per cosa, poi? Per rimandare un fato ormai inevitabile?
Ad occhi aperti, Bill rifletteva. Notte insonne, di preoccupazioni e angosce.
Era sveglio, Tom Kaulitz, agitato da una risposta tanto inattesa quanto sconcertante. Sul viso rigato da inspiegabili lacrime, solo il dolore vi si soffermava.
Incapace di fornirsi una spiegazione per quello spasimo al petto, proprio lì, a sinistra, il ragazzo pensava.
Cos’era che lo colpiva così tanto, nel sapere della nascita di una amore altrui?
Perché questa notizia, che avrebbe dovuto farlo felice, lo faceva invece soffrire così tanto?
Guardando assente il soffitto, si ritrovò a ricostruire minuziosamente il viso della ragazza che stava sconvolgendo la sua anima, quella ragazza dagli occhi ambrati, dai capelli odorosi, dalle movenze delicate e dal sorriso genuino.
Sorrise, pensando a quanto la trovasse buffa. E fragile.
Aggrottò le sopracciglia al ricordo del loro primo incontro, e una nuova fitta gli tolse il respiro.
Si rigirò su un fianco, mentre una nuova lacrima solcava la sua guancia liscia e raggiungeva timorosa il suo percing al labbro. La scacciò via, sfregandosi la bocca con la mano.
Un’ idea si stava formando nella sua mente devastata, un concetto talmente semplice che si sorprese a non averlo concepito prima. E ciò nonostante, così assurdo, così inspiegabile, e così inaccettabile che provò a lavarlo via assieme alla piccola, insignificante goccia salata precedentemente allontanata dal suo viso.
Ma una consapevolezza è ben più resistente da sradicare, soprattutto se ormai si è insinuata in noi molto profondamente, piantandoci nella mente radici difficili da estirpare.
E questo, Tom lo sapeva. Notte interminabile, di ore passate a fissare il soffitto. Notte di tormento e di sogni infranti.

Era sveglia, Jade. Raggomitolata su un fianco, sotto la calda coperta, guardava distante la finestra rigata da scure lacrime di pioggia. Osservava, pensierosa, i rami spogli degli alberi agitarsi, tremando e scuotendosi, schiaffeggiati dal vento violento, e inconsciamente si strinse di più le gambe al petto.
Che doveva fare? Confessare subito il suo sentimento appena nato, fragile, inesperto, non ancora capace di muovere le ali? No, questo no. Non poteva esporlo a questo rischio, uccellino da poco venuto al mondo.
Inoltre, aveva paura di non essere all’altezza di sostenere l’amore, se corrisposto, dal ragazzo dagli occhi nocciola, tanto gentile e premuroso.
Si immaginò con lui, a braccetto, e vide le migliaia di fan deluse e furibonde. Immaginò con rimpianto il tempo speso con lei e trascurato per la musica.
No, non poteva permetterlo. Il gruppo doveva essere il suo primo e unico pensiero, anche se questo poteva farla soffrire.
E se invece non dovesse per forza andare così? Doveva parlarne con qualcuno.
Nella sua mente si formò quasi automaticamente l’immagine di quel pazzo, scatenato chitarrista coi rasta, che la stava mano a mano conquistando con la sua unicità, la sua simpatia e la sua sicurezza.
Sì, poteva, o meglio, doveva parlarne con Tom.
Lui non l’avrebbe mai tradita, l’avrebbe protetta, e consigliata, e rassicurata. Come  un fratello maggiore. Un fratello che non aveva mai avuto.
Leggermente tranquillizzata, Jade chiuse gli occhi, senza però riuscire ad addormentarsi, troppo agitata al pensiero del domani per poter concentrarsi sul presente.

Notte lunga, troppo lunga, passata a contare i secondi in attesa di un momento che sembra non arrivare più.

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ANTICIPAZIONE: Nel prossimo capitolo >> Le Confessioni di Bill e Jade e I Veri Sentimenti di Tom... ^_^





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Capitolo 14
*** _Persiana e Confessioni_ ***




E improvvisamente, mattina.
Jade venne risvegliata dolcemente da un luminoso raggio di sole, che la colpì diretto al viso. Si sfregò gli occhi, riuscendo infine a socchiuderli, e rimase, ancora intontita a fissare il soffitto.
Quella notte, dopo interminabili ore insonni, era riuscita ad addormentarsi, ma solo verso mattina.
Provò a richiudere gli occhi, stanca, ma dopo qualche minuto al buio e in silenzio, capì che il sonno non sarebbe più arrivato.
Con un sospiro, gettò via le coperte e si alzò, trascinandosi in bagno. Dopo essersi lavata per bene, ritornò in camera e aprì l’armadio.
Infastidita, afferrò l’unica gruccia occupata lì appesa, ed indossò i soli vestiti che possedeva in quel momento.
“Mai più spedire prima le valigie, a casa!”, pensò, cercando di fissarselo nella mente.
Mentre tornava davanti allo specchio, completamente vestita, per cercare di rendere presentabili i suoi capelli, si ricordò di qualcosa...
Frugò in ogni tasca dei jeans, e nell’ultima, sentendo finalmente l’agognato fruscio della carta sulle dita, sospirò, sorridendo.
E fischiettando, andò a svegliare Bill.
Arrivò quasi saltellando nel piccolo salottino ingombro di cianfrusaglie, e come ogni mattina, trovò il ragazzo ancora saporitamente addormentato, con un braccio sul viso ed uno abbandonato a terra.
Come al solito, la coperta era sul pavimento, ed il giovane indossava solo dei boxer neri, ma ormai Jade ci aveva fatto l’abitudine.
Sorrise teneramente, e cominciò a chiamare piano: -Bill... Bill... Forza, devi svegliarti...-, dirigendosi contemporaneamente verso le finestre chiuse.
Alzò lentamente una persiana, continuando a sussurrare quel dolcissimo nome.
Il sole, impetuoso, entrò improvvisamente nella stanza chiusa, riscaldandola e donandole nuova luce.
Bill sembrò non accorgersi dell’arrivo della sua sveglia personale, gli occhi coperti da un braccio, ma le sue sopracciglia si piegarono, e dalla sua bocca contratta uscì un mugolio di disapprovazione. Si rigirò su un fianco.
Jade ridacchiò piano, e cominciò a sollevare piano e con attenzione la seconda persiana. Impegnata, però, ad ammirare la porzione del viso del ragazzo visibile da dietro lo schienale del divanetto, lasciò inconsciamente la presa sulla corda che stava tirando, e l’ imposta, libera, sui lasciò ricadere sul davanzale.
Un rumore impressionante, come uno sparo.
E forse era proprio di questo che Bill aveva pensato si trattasse, perché aprì di scatto gli occhi, e per la premura di alzarsi immediatamente, rotolò e cadde rovinosamente a terra.
Il brusco contatto con il pavimento gli tolse il fiato, ma con la forza che aveva appena recuperato grazie alle ore appena trascorse di sonno beato, riuscì a sollevarsi in piedi.
Un solo pensiero gli aveva attraversato la mente: “Giusy!”.

Si guardò intorno, spaventato, e scorse con gi occhi ancora insonnoliti, jade accanto alla finestra che lo fissava con una mano sulla bocca.
Si diresse all'istante verso di lei:
-Jay! Co-cosa è successo? Stai bene, vero?-, domandò ansioso, afferrandola per le spalle.
La ragazza ebbe un batticuore fortissimo al contatto con lui, ma rimase intimorita della sua reazione esagerata :
-Certo che sto bene... Mi dispiace averti svegliato così bruscamente, mi... mi era scivolata la persiana...-, rispose piano, per giustificarsi.
Bill, in difficoltà perfino ad aprire completamente gli occhi,  ripeté ottusamente, osservando gli occhi ambrati e spalancati della ragazza:
-... La... persiana...?-.
Jade annuì.
Dopo qualche secondo, il giovane capì, finalmente, e lasciò subito la presa dalle braccia di Jade, imbarazzata, che però continuò ad avvertire il contatto prepotente delle dita del ragazzo sulla sua pelle.
Sentì molto caldo, dal viso al collo, e si voltò per non far vedere dal giovane, ancora scioccato, di essere arrossita.
Quando le sue guance riuscirono a raffreddarsi, riprendendo un colore normale, si rigirò, trovando Bill già vestito, non ancora truccato, pronto ad andare a fare colazione.
Jade sorrise, e chiese innocentemente, avviandosi verso la porta:
-Senti... Oggi non avete impegni, tu e la band, vero?-.
-No, perché?-, domandò candidamente Bill, fissando curioso la ragazza.


-Vuoi andae a fae fopping?-, chiese Tom, a bocca piena.
I Tokio Hotel erano tutti riuniti a fare colazione, nella sala da pranzo dell’albergo. Tutti si erano avventati con entusiasmo sulle brioche fragranti e sui biscotti, tranne Jade, che non aveva ancora toccato cibo.
La ragazza rispose:
-Be’, sì... Non vedete come sono messa?-, disse, indicandosi.
-Piuttosto bene, mi pare...-, sussurrò il chitarrista con un sorrisetto malizioso, mentre fissava ostinatamente il petto della ragazza.
-... Diventi ogni giorno peggio, eh, Tom?-, replicò in un sibilo Jade.
-Solo per te, baby!-, esclamò lui, stiracchiandosi e servendosi poi un po’ di succo di frutta.
-Comunque, sembro una barbona!-, proseguì la ragazza con un’ultima occhiataccia al rasta, finto tonto. –Non posso vivere con un solo paio di jeans ed una maglietta... E finché non mi farò rispedire indietro le valigie... Stamattina ho trovato i soldi che avevo portato con me per il viaggio, credo possano bastare per almeno tre completi nuovi...-, continuò a bassa voce Jade, riflettendo su prezzi e sconti incomprensibili ad occhi maschili.
-Quindi, mi chiedevo se qualcuno di voi-, e guardò Bill. -... non mi potrebbe accompagnare al negozio più vicino, questo pomeriggio, dato che non conosco bene la zona... Non vi costringerò certo a rimanere con me fra camerini e montagne di gonne, potrete andarvene subito dopo avermi indicato la porta!-, assicurò frettolosamente Jade in risposta all’espressione terrorizzata di tre dei ragazzi.
A questa soluzione, la band tirò un sospiro di sollievo, annuendo fra di loro, e la ragazza finalmente, cominciò a servirsi di frutta e biscotti.
Bill, però, abbassò la brioche che stava portando alla bocca e le chiese, leggermente ansioso:
-E poi? Come tornerai in albergo?-.
Jade lo guardò accigliata:
-A piedi, ovviamente! Non sarò lontana chilometri! Anche se sarò sola non credo che  un maniaco omicida mi aspetti dietro un angolo, no?-, disse lei, ridendo leggermente.

La forchetta scivolò dalla mano di Bill e piombò rimbalzando, in un fragoroso tintinnio, sul piatto di ceramica.
Quattro paia di occhi si puntarono sul ragazzo, che si era alzato inconsciamente in piedi e fissava terrorizzato la ragazza seduta al suo fianco.
Le sue mani tremavano.
Nitida, nella sua mente, come stampata sui suoi occhi spalancati, l’immagine ghignante del viso di Giusy .
E chiara come se lei gli stesse sussurrando all’orecchio, Bill udiva l’eco di quelle terribili parole: “... Ricorda, Bill Kaulitz, io non minaccio mai a vuoto...”.
Una paura strisciante, fredda, appiccicosa, gli si era ormai insinuata dentro,  e lo stava letteralmente controllando.
Solo quando, finalmente, Jade sussurrò piano, guardandolo angosciata: -B...Bill...?!-, il ragazzo parve risvegliarsi.
Si risedette piano, in silenzio, e rimase a fissare il suo bicchiere per diversi secondi.
Il tempo, a quel tavolo di giovani, sembrava essersi fermato.
All’improvviso, Bill alzò la testa ed esclamò, rivolto alla ragazza, che sobbalzò:
-Vengo io con te, oggi pomeriggio!-.   


******************************

Mattina, appena dopo colazione.
Camera 329. Stanza di Tom.

-Senti, mi dispiace dover condividere con te il peso che sento io, dentro, ma non posso fare altrimenti, o esploderei!-, confessò la ragazza.
-Tranquilla... Mi fa piacere aiutarti...-, mentì il rasta.
Jade e Tom erano seduti sul letto, entrambi rivolti nella stessa direzione, ognuno lontano l’uno dall’altro, tutti e due così vicini...
-Forza, sputa il rospo...-, sussurrò caldo il ragazzo, conficcandosi sempre di più nel petto ad ogni parola una fredda spada di dolore.
La giovane sospirò profondamente, e poi saltò:
-Be’, vedi... Come ti ho già detto, a me... piace... Bill...-, e mentre pronunciava quel nome le sue guance si colorarono di rosso. Nonostante la fitta al cuore, Tom sorrise. -... però... ecco... ho paura di non interessargli, da questo punto di vista... E...-.
La ragazza venne interrotta dal tocco leggero di una mano gelata sul suo viso bollente.
Tom le aveva delicatamente voltato il volto e ora la stava guardando negli occhi , cercando ancora una volta, inutilmente, di farle comprendere i suoi contrastanti sentimenti.
-Non dire così...-, mormorò dolcemente a pochi centimetri dalla bocca di lei. -... Io non credo affatto che a lui tu sia indifferente... Direi che, anzi, più volte, ha dimostrato il suo affetto per te...-.
La morbida pelle incandescente della giovane gli scivolò improvvisamente via dalle dita.
Jade si alzò di scatto, andò alla finestra e appoggiò la fronte al vetro mormorando tristemente:
-Affetto, non amore...-.

Altro spasimo doloroso al petto. Tom si portò inconsciamente una mano sul cuore, e serrando gli occhi, strinse, fino a far tremare le dita, la stoffa della larga maglietta.
La ragazza, di schiena, ancora appoggiata contro la fredda finestra, rimase immobile persa nei suoi pensieri per qualche minuto, poi, all'improvviso, sentì due robuste, fredde braccia avvolgerle le spalle da dietro ed un magro corpo, così simile e così diverso a quello di un’altra persona, stringerla forte a sé.
Avvertì due dita spostarle i capelli dietro le orecchie, e una voce estremamente sensuale sussurrarle:
-Non credo sia esattamente così...-.
il respiro profumato di Tom le faceva il solletico sul collo, dandole i brividi, e il suo tono confortante, delicato, rassicurante, le fece spuntare le lacrime agli occhi.
-... Pensa a tutti quei piccoli gesti che ha fatto per te, in questi giorni...-.

E subito, davanti agli occhi sgranati della ragazza, le immagini del tempo trascorso con quel giovane truccato cominciarono a scorrerle nella mente: il loro primo “incontro”, il modo in cui lui l’aveva protetta, a costo della sua vita, la sua determinazione nel volerla continuare ad ospitare con sé, la leggerezza di una carezza appena accennata, la sua premura quando si era fatta male e... quella volontà di poter avere le sue labbra, solo il giorno prima, in quel bagno trasformatosi in castello solo per il loro arrivo.
Lacrime salate, addolcite d’amore, cominciarono a scorrerle sul viso.
Jade abbassò la testa, e, bagnandolo di speranza, strinse con le mani tremanti l’avambraccio di quel ragazzo che ora la stava abbracciando ancora più forte, lui, unico martire di una vita ingiusta.
E fra dolore e speranza, un’unica frase:
-Ti ringrazio...-.


Stanza 329. camera di Tom, poco tempo dopo.
Un leggero bussare, timido, alla porta.
Il ragazzo seduto sul letto alzò lo sguardo umido, e cercando di asciugarsi alla bell’e meglio le guance, si alzò ed andò ad aprire.
Sulla soglia, perso nei suoi pensieri, suo fratello.
Il rasta spalancò la porta e tornò subito a sedersi sul materasso, di schiena, rivolto alla finestra.
-Cosa vuoi?-, chiese rudemente.
-Tom... Non so se questo sia un brutto momento, ma ti prego di ascoltarmi, ora... Devo assolutamente parlarne con qualcuno, dirlo a te... Ascoltami...-, supplicò il moro, chiudendo la porta.
-Perché dovrei? E se avessi di meglio da fare?-, domandò freddamente Tom, stizzito.
-Perché è importante... almeno per me... e perché se mi tengo ancora tutto dentro... esploderò, prima o poi!-.
Il rasta diventò una statua, immobile. Attimi interminabili di silenzio.
Il chitarrista, tormentandosi le mani, si rabbuiò.
-...Si tratta di Jade, vero?-.
Bill rimase attonito.
-Be’, sì, ma tu come lo sai?-, chiese cautamente, accigliato.
Tom rimase ancora in silenzio.
Poi, cominciando a guardarsi i piedi, sbottò, rivolto al muro:
-Avanti, che devi dirmi?-.
Il cantante fu abbastanza sorpreso dalla reazione estremamente seccata del fratello, ma fece spallucce, e si sedette piano, cautamente, accanto al gemello, guardando fuori dalla finestra chiusa.
Un sorriso, un po’ amaro, si tese sul suo pallido volto, sollevato verso l’alto, quasi in cerca dell’ispirazione.
Sospirò profondamente, e anche lui saltò.
-Allora... Be’, Jade è... una ragazza fantastica... è carina, gentile, premurosa, sensibile, generosa... Penso tu te ne sia accorto, ormai...-. Il sorriso si allargò sul bianco viso del ragazzo, che cominciò a sua volta a fissarsi le scarpe.
-... All’inizio è stata abbastanza fredda con me,  e non ne ho ancora capito il motivo, ma pian piano si è sciolta, è diventata simpatica, spiritosa, dolce, bellissima... Insomma, io... Quando... quando la vedo... è come se la guardassi per la prima volta... E quando anche solo la sfioro... Io... Io sento caldo...  e mi vengono i brividi... e...-.
Bill si interruppe.
Tom si era voltato a fissarlo, e  lo stava trafiggendo con una vera e propria occhiata di odio.
Se fosse stata una pugnalata quella che stava attraversando il cuore di Bill forse avrebbe fatto meno male...
Senza saperlo, Bill aveva precisamente descritto le stesse sensazioni che provava il gemello quando si trovava con Jade, e questo il ragazzo non poteva sopportarlo.
Poco a poco, l’espressione del rasta cominciò a cambiare, trasformandosi in breve in stupore, forse perché incredulo della sua reazione.
Cercò allora di rimediare.
Tom si sciolse in un sorriso, e cominciò a dare nervose pacche sulla schiena al fratello, esclamando:
-Caspita! Davvero? Ah, sei proprio un caso disperato, amico!-. E rise, forse un po’ forzatamente, strappando un risolino anche a Bill, che pensò di essersi sbagliato...
Probabilmente, era stato solo uno scherzo della sua mente lo sguardo carico di rabbia e disgusto che aveva scorto nel fratello...

Tom smise di ridere, e tornando quasi serio, disse a mezza voce:
-Sei fregato, fratello... Sei innamorato perso, ormai...-, e mentre lo diceva, venne scosso da uno spasimo allo stomaco e al petto.
Le guance di Bill si macchiarono di rosso, mentre, balbettando, chiedeva al gemello:
-D-dici sul serio? E allora... cosa dovrei fare adesso?-.
Il rasta lo fissò dritto negli occhi, cercando di ignorare il vuoto che percepiva all’altezza dell’ombelico, e poggiando una mano sulla spalla del fratello, mormorò:
-... Quello che dice il tuo cuore...-.
Bill sorrise, e guardando con affetto il fratello, lo strinse in un forte abbraccio, che in quel momento era molto di più di una prova d’affetto.
Gli occhi di Tom si riempirono di lacrime, e anche lui contraccambiò più forte che poté la stretta del gemello.
E ancora una volta, tra speranza e dolore, un’unica parola:
-Grazie...-.  





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Capitolo 15
*** _Angoscia e Shopping_ ***




Un abbraccio sincero, pulito, fraterno. Sì, questa è esattamente la parola giusta: fratelli.
Bill e Tom, l’uno nelle braccia dell’altro, si sentivano più che mai uniti. E in quel momento, erano più che mai divisi.
Due destini attraversavano le loro vite, due fati diversi, di cui nessuno dei due ragazzi sapeva ancora le volubili intenzioni.
Tom strinse forte gli occhi, forse per scacciare indietro le lacrime, forse per allontanarsi, anche se per poco, dalla crudele realtà.
Lentamente, insieme, i due gemelli si sciolsero da quel forte abbraccio, entrambi con gli occhi lucidi.
Due tipi di lacrime, completamente differenti.
Odio e Amore. Speranza e Sconforto. E Dolcezza. E Commozione.
Ora separati, i due giovani rimasero a fissarsi per diversi secondi, poi Bill sorrise, e disse piano:
-Che farei senza di te?-.
-Ti prenderesti sicuramente un cane come mascotte del gruppo...-, ribattè a mezza voce Tom, con un sarcastico sorriso stiracchiato stampato sul viso.
Una breve, leggera risata silenziosa attraversò per un momento la stanza e i due ragazzi.
Poi, Bill si alzò. Tom rimase seduto dov’era, non si mosse di un centimetro, non seguì nemmeno con lo sguardo il gemello. Teneva lo sguardo basso e vuoto, e un sorriso amaro sul volto. Aspettò di sentire la porta aprirsi, e poi chiudersi subito dopo, ma ciò non avvenne. Il ragazzo alzò la testa e si voltò, sorpreso. Suo fratello, con una mano sulla maniglia, lo stava osservando intensamente, la testa leggermente reclinata di lato, l’espressione seria e concentrata.
-... Che c’è?!-, chiese Tom, stupito e stranamente a disagio.
Bill ebbe un leggero sussulto alla voce del gemello, poi scosse la testa e sorrise, leggero, dicendo:
-No, niente, scusa... Mi ero incantato... È meglio che vada a prepararmi, fra poco devo uscire...-.
Solitamente, Tom avrebbe fatto una battuta alla risposta del fratello, ma in quel momento non si sentiva per niente in vena di risate, così rimase in silenzio e si rivoltò verso il muro.
Bill, capì, e fece per andarsene, quando il rasta, però, inaspettatamente anche per sé stesso, si alzò di scatto, esclamando:
-Bill, aspetta...!-.
Ma per la fretta di seguire il gemello, la gamba del chitarrista urtò violentemente contro le valigie ai piedi del letto, rovesciandole a terra con gran fracasso.
-Ahia!!!-.
Bill sobbalzò,  e mettendosi in posizione di difesa, fece saettare lo sguardo per tutta la stanza, terrorizzato.
Tom si immobilizzò. Lasciò lentamente il ginocchio ferito che stringeva al petto, e la sua espressione di dolore scivolò piano in stupore, e poi in preoccupazione.
Zoppicando leggermente, il rasta si avvicinò in silenzio a Bill, che teneva la testa bassa e si mordeva il labbro inferiore.
Quando gli fu a pochi centimetri, Tom si chinò a guardare il volto in ombra del fratello: il moretto aveva le sopracciglia aggrottate, e negli occhi una sfumatura di cieco terrore e di un terribile segreto inconfessato.      
Il chitarrista sospirò piano, preda di una morsa allo stomaco per il comportamento anomalo del gemello, poi gli posò una mano sulla spalla, e cercando di incrociare lo sguardo nocciola e terrorizzato di Bill, sussurrò, dolce e amaro:
-... Non mi hai raccontato proprio tutto, vero?-.

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-Cosa??!! Tu se coinvolto in una situazione simile e non volevi dirmi nulla?? Ma come ti viene in mente di tenere per tu un segreto simile?! Dobbiamo telefonare alla polizia...!!-, esclamò rabbioso Tom, alzandosi per raggiungere il telefono più vicino.
Bill gli aveva dovuto raccontare tutta la storia di Giusy, anche se avrebbe voluto farne volentieri a meno. A quelle parole, si ricordò quelle spietate, fredde, terribili di quella ragazza bionda: “Non provare ad informare la polizia, o qualche malaugurato incidente potrebbe succedere a qualche tuo stretto conoscente...”.
Il panico lo prese, la paura lo immobilizzò per un momento, mentre sudore freddo gli scivolava in una lenta agonia lungo la schiena.
Bill scattò in piedi all’istante, e afferrò quasi disperatamente il braccio del gemello già proteso verso la lontana cornetta, strillando istericamente:
-Nooo!!! Ti prego, non farlo!!!-.
Tom si voltò, e vide l’angoscia in quei caldi occhi brillanti, ora spenti e privi di luce. E capì di avere la stessa espressione, com’era inevitabile.
Il rasta si risedette lentamente, e solo quando il ragazzo fu ben sistemato sul letto candido, Bill lasciò andare il braccio del fratello.
Tom si osservò la pelle dell’avambraccio, coperta di segni rossi, poi alzò gli occhi a fissare il fratello, con uno sguardo così triste e dispiaciuto che si sarebbe detto fosse stato lui, e non Bill, a far del male a qualcuno. Lasciò cadere il braccio sul letto, poi sospirò, e voltandosi anche con il corpo verso il gemello, mormorò dolcemente, preoccupato:
-Bill, ma non capisci che se non informiamo la polizia quella... ehm, megera... continuerà a sfruttarti a suo piacimento, ogni volta che le verrà il capriccio di terrorizzare qualcuno? Non puoi andare avanti così... Guardati, mangi pochissimo, sei pallido, sempre nervoso, e spaventato... Sei diventato il fantasma di te stesso... Non sei più il Bill spensierato, spiritoso, testardo e affettuoso, che conoscevo io... Non sei più tu...-, concluse in un soffio disperato Tom, constatando la sorpresa e la commozione, e  il dispiacere sul viso del fratello. Bill fissò con occhi colmi di lacrime quel ragazzo, tanto duro, rozzo, forte all’esterno quanto tenero, e affettuoso, e dolce all’interno.
-Tom... Io ho paura...-, mormorò debolmente il moretto, abbassando lo sguardo gonfio di lacrime.
-Non devi averne! Non ti succederà niente di niente! Ci siamo io, e Gustav, Georg, e Saki..-, esclamò con foga il rasta, contando sulle dita.
-... Ho paura per voi...-, concluse monocorde Bill levando gli occhi lucidi su quelli sgranati del fratello, che si sentì la voce morire in gola.
-Sì, ho tanta, tanta paura per voi... Per te, per Gustav, per Georg... E anche per la mamma, e il papà... E per Jade...-, disse con voce incrinata il ragazzo, sconsolato.
-Io... Noi dobbiamo tenerla d’occhio, non posso permettere che le succeda nulla, capisci?!-, continuò sempre più istericamente Bill, prendendosi la testa tra le mani, incurante della su capigliatura impeccabile, una volta tanto. -Per questo stasera non ho potuto lasciarla andare da sola a fare spese! O stasera... stasera...-.
Bill lasciò lentamente la presa sulla nuca, e si voltò a guardare, completamente nel panico Tom.
-È stasera! Tom, è stasera che ho l’incontro con Giusy! O mio dio, no, non posso... no, no,no...-, prese a sbraitare il moretto, alzandosi e cominciando a camminare nervosamente per la stanza, muovendo forsennatamente le braccia.
-Cosa?! Stasera?! E perché non me l’hai detto prima??-, urlò Tom, alzandosi in piedi a sua volta.
-Perché anch’io me ne sono ricordato solo ora, pezzo d’idiota!!!-, strillò Bill di rimando.
Un silenzio teso, preoccupato invadeva la stanza, e vi abitò ancora per qualche nervoso minuto di angosciose passeggiate in tondo e mute sorprese, finché la voce bassa e sicura di Tom non lo mandò in mille pezzi:
-... Ci vado io...-.
Bill si immobilizzò al centro della camera. Si voltò lentamente verso il fratello, che teneva le mani in tasca e aveva nello sguardo la decisione e la sicurezza.
-Cos’hai detto...?!-, chiese Bill, sgranando gli occhi, a bocca spalancata.
-Ho detto che vado io all’incontro con Giusy...-, ripeté strafottente Tom.
-Ma... ma...!-, tentò di protestare il moretto.
Tom ridacchiò piano, poi levò uno sguardo freddo, eppure rassicurante, trapassando la mente e il corpo del gemello sbalordito, e avvicinandosi al ragazzo, dichiarò, caldo:
-Stai tranquillo, fratellino... Adesso ci pensa lo zio Tom...-.

************************
Luci colorate rischiarano ed illuminano la città, quasi a voler donare ad ognuno dello splendente, meraviglioso calore.
-Bill! Perché non entriamo qui?-, chiese Jade quasi saltellando, esagitata.
Bill non rispose, perso nei suoi cupi pensieri:
“Chissà se Tom ha già incontrato Giusy... Chissà se sta bene... Chissà...”.
Lui e la ragazza erano in centro città, pronti a darsi allo shopping sfrenato. Il moretto tentava di non farsi notare, indossando occhiali da sole, portando la tuta e calcandosi bene sulla testa un cappellino nero. Finora il travestimento sembrava funzionare.
-Ehi!! Bill! Ci sei?!-, chiamò jade passando più volte la mano davanti al viso assente del ragazzo, che si riscosse con un sussulto, e tentando di sorridere, mentì:
-...Sì, sì, certo... Scusami, mi ero incantato...-.
-Se lo dici tu... Comunque, che ne dici di questo negozio? Mi pare ci siano delle magliettine molto carine! Entriamo?-, domandò nuovamente euforica la brunetta, rimbalzando qua e là in mezzo alla folla, tentando di scrutare all’interno del negozio.
-Okay... Allora, entriamo...-, convenne Bill, distratto, spingendo subito la porta e avventurandosi fra montagne di gonne e camerini infiniti come labirinti.


-Bill! Guarda se non è un amore questa!-, esclamò Jade, quasi danzando davanti allo specchio mentre si appoggiava un maglioncino azzurro chiaro sul petto.
Bill le si avvicinò circospetto, mettendosi un dito davanti alle labbra:
-Ssshh... Cosa urli? Va bene che c’è poca gente, ma non voglio correre il rischio che qualcuno mi riconosca...-, le sussurrò vicinissimo al suo volto.
Jade arrossì, mentre il suo piccolo cuore cominciava a batterle fortissimo contro le costole, e si allontanò, sbottando:
-Oh, insomma! Ci siamo solo noi qua dentro! E non sei un ricercato dell’FBI, mi pare!-, voltandosi di schiena per nascondere il colore delle sue guance al ragazzo.
I due giovani rimasero per qualche tempo in silenzio, poi Jade si voltò, e chiese dolcemente a Bill:
-...Sei stanco? Vuoi tornare in albergo?-.
Lui rimase sorpreso di questa domanda, e si affrettò a rispondere, alzando le mani come per arrendersi:
-No, no, figurati! Finché non sei a posto tu io ti aspetto...! Anzi, forse dovrei comprare qualcosa anch’io...-, rifletté a mezza voce, cominciando ad osservare con interesse i tanti jeans in esposizione.
Jade ridacchiò, rassicurata, e continuò la sua interminabile ricerca a quel particolare e introvabile capo d’abbigliamento.

-Grazie e arrivederci!-, cinguettò la ragazza rivolta alla cassiera, intenta a finire di contare le banconote che la giovane le aveva appena consegnato. Bill, alla fine, non aveva acquistato nulla.
Jade cominciò ad avviarsi verso l’uscita del negozio, tra le braccia almeno dieci buste, e stava per aprire, con molta fatica, la porta a vetrate, quando una mano sottile, esile, eppure forte, raggiunse la maniglia prima di lei, e l’abbasso, spingendola, permettendo al vento invernale di entrare nella stanza.
Jade serrò gli occhi, per proteggerli dalla fredda folata. Quando li socchiuse, vide Bill davanti a sé, una mano sulla maniglia nera e un’altra puntata verso la strada:
-Dopo di lei, madame!-, enunciò elegantemente, con un mezzo inchino in direzione della ragazza, sorpresa da tanta gentilezza e cavalleria.
-...G-grazie... -, balbettò confusa, affrettandosi ad imboccare la via del marciapiede affollato. Anche Bill salutò la commessa, e poi raggiunse subito Jade, che l’aveva aspettato poco più avanti.  
-Fiuuu... Fare shopping è davvero stancante...-, esclamò ridacchiando il ragazzo, mettendosi subito le mani nelle tasche del giubbotto.
-Io mi sono divertita...-, ribattè la ragazza sbuffando, sporgendo la testa di lato per riuscire a vedere il marciapiede oltre la montagna di borse.
Bill la osservò qualche secondo, poi senza dire una parola, le prese dalla braccia la metà delle sporte, caricandosele per bene.
Jade, improvvisamente liberata dall’ostruzione della sua visuale si voltò perplessa verso il ragazzo, che fissava la strada senza battere ciglio, serio in volto. La ragazza volle ribattere, ma non trovò le parole, quindi abbassò la testa, e concentrandosi solo sui suoi passi, proseguì in silenzio.
Il viaggio verso l’albergo sembrò relativamente lungo, e quando la coppia arrivò in prossimità dell’hotel, Jade sospirò di sollievo: le braccia cominciavano a dolerle per la scomoda posa prolungata. Bill chiese subito la chiave alla reception, e sempre senza una parola, i due si avviarono lungo le ripide scale, fino alla loro camera, la 327.
Bill aprì frettolosamente la porta, e appena entrato, si levò il giubbotto, gettandolo su una sedia lì accanto, posò le borse, accese l’abat-jour arancione sul comodino e si gettò letteralmente su letto a pancia in su, sospirando:
-Aaaah... Albergo dolce albergo... Finalmente, non vedevo l’ora di tornare in camera, sono distrutto...-, e sorridendo chiuse gli occhi, rilassandosi.
Jade nel frattempo si levò con più cura la giacca, poggiandola dove quella del ragazzo, e posando a terra le borse a sua volta, si sedette su letto, sbuffando, per poi stendersi a braccia aperte, stanca.
Quando la sua mano toccò accidentalmente quella di Bill, immediatamente la giovane la ritrasse, e se la strinse al petto, in preda ad un batticuore incontrollabile, mormorando un flebile:
-Scusa...-.
Bill non rispose, e diversi minuti passarono lentamente così, in silenzio, in imbarazzo, in tensione, in ansia...
Poi Bill si rizzò lentamente a sedere, spezzando quell’innaturale staticità, e osservò con attenzione il viso leggermente rosso della ragazza, allungata sul copriletto candido.
Lei lo osservò a sua volta, chiedendogli debolmente:
-...Che c’è?-.
Bill non rispose neanche a questa domanda, così Jade si mise a sua volta a sedere, aggrottando le sopracciglia, pronta a domandare il perché del suo comportamento. Mossa sbagliata. Ora i loro visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, le loro labbra dischiuse quasi alla stessa altezza. I pensieri le si annebbiarono, si distorsero, si assottigliarono, fino a sparire del tutto dalla mente di Jade. Ora non esisteva più un letto, una stanza, un albergo, o un mondo. Ora c’erano solo lei e Bill.
E abbracciati dalla calda luce della lampada sul comodino, spiati dalla finestra da divertite, brillanti stelle, entrambi saltarono, in un tiepido, profumato respiro, attraverso l’invisibile  muro di cartapesta che li separava.
Senza una ragione, né un come. Due vite, due cuori, due labbra.
Semplicemente così. Loro e il loro amore, niente di più e niente di meno.  

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Ebbene sì, gente! Tom ha deciso di andare all'incontro con Giusy... Che cosa succederà? La vita del bel rastino sarà ANCORA in pericolo?
E Jade e Bill? Riusciranno a chiarirsi o resteranno delle zone d'ombra nel loro innocente e puro rapporto?
Tutto ciò.... Nel prossimo capitolo!   ^_____^
        


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Capitolo 16
*** _Bacio e Biglietto_ ***




La stanza d’albergo è abbastanza fredda. Cosa assolutamente normale, in inverno, essendo  in Germania ed in presenza di riscaldamento scarso. Eppure, non potrebbe sembrare più calda e accogliente, in questo momento.
Due ragazzi sono seduti su un letto immacolato. Le loro mani si cercano, desiderose, e quando finalmente si trovano, soddisfatte, cominciano ad accarezzarsi, intrecciarsi, nascondersi dispettose fra i capelli dell’altro, per poi ritrovarsi, piccole dita capricciose.
I loro visi sono diventati una cosa sola, un tutt’uno con il naso, gli occhi, la fronte dell’altro, un mix di pelle e tiepido respiro.
E le loro labbra... Affamate, dopo tanto tempo appagate, desiderose del respiro, della lingua, della vita dell’altro... Si rincorrono, si cercano, si trovano, si mordono, lottano, giocano... E poi di nuovo si perdono, e si rincorrono, e si ritrovano, e tutto ricomincia, in un interminabile gioco di sensualità.
Bill e Jade ora non sono più due sconosciuti, sono molto più due amici, ma non ancora due amanti.
Lentamente, ancora uniti, i due giovani si stesero sul letto candido, pronto ad accogliere la loro passione. I loro corpi si intrecciarono, si mescolarono, uniti, divisi, poi ancora uniti, in una vorticosa danza di desiderio e sentimento.
Le dita di Jade ancora vagavano sul viso dall’incredibile perfezione di Bill, il quale prese a far scivolare più in basso le mani bollenti, un po’ timoroso, un po’ audace.
I suoi palmi incandescenti si spinsero fin sotto la maglietta di Jade, cominciando a navigare lungo la sua schiena, attraverso le sue scapole, per poi arrivare ad accarezzarle la morbida pancia piatta. E lì si fermò, timoroso. Aprì piano un occhio, e scorse il viso della ragazza proprio lì, sotto al suo. Le sue palpebre erano serrate, e nonostante lei lo stesse baciando con trasporto e decisione, Bill notò che le sue mani e il suo respiro un po’ tremavano. Per paura, per timore dello sconosciuto, o solo per immaturità di fronte a quella nuova, meravigliosa esperienza.
Fra sé e sé, il ragazzo capì, e sorrise, dolce, mentre, lentamente, cominciava a ritornare con la mano al viso, ora più rilassato, di Jade.
Lei non era ancora pronta per sostenere fino in fondo la pura passione, e questo Bill l’aveva compreso, e rispettato. Non aveva fretta, non più. Ora che finalmente la situazione si era chiarita, i sentimenti erano stati svelati, la verità messa a nudo, il giovane cantante poteva, e sapeva di dover aspettare.  
In un unico dolcissimo momento, infine, i due innamorati dischiusero piano le labbra, e lentamente, si separarono.
Jade sospirò, teneva gli occhi basso e tracciava piccoli cerchi immaginari nella stoffa, imbarazzata. Bill la osservava, quasi incredulo di aver avuto la possibilità di accarezzare, abbracciare, baciare, quell’angelo che gli sedeva accanto. Il suo personale angelo custode.
Dopo qualche secondo, Jade non resistette più, e alzò piano lo sguardo, incrociando quello magnetico e penetrante del ragazzo. Gli occhi della giovane brillavano, la sua pelle era piacevolmente arrossata sulle guance e le sue labbra non poterono ben presto trattenersi ancora dall’aprirsi in un tenero sorriso. Era bellissima.
“No, è più che bellissima... È stupenda, è meravigliosa... Ed è qui per me...”, pensò felice Bill.
E di nuovo, senza una parola, le loro labbra che si cercano, che si rincorrono, che si trovano, che si mordono, affamate d’amore, di appagante desiderio, e perché no? anche di un po’ di follia, addolcita da quel gusto di freschezza, e di piccoli piaceri, che donano sapore ad ogni cosa.


********************--------------------***

Parco. Zona nord della periferia. Poco prima.
Tom era quasi arrivato. Aveva preferito arrivare a piedi, da solo, al luogo dell’appuntamento. Si era travestito, nascondendo i rasta sotto un cappuccio ben calcato in testa, indossando abiti leggermente più aderenti e cercando di confondersi il più possibile con l’ombra. Ogni tanto, quando per strada incrociava una ragazza bionda, si sorprendeva a fissarla con timore, sospirando poi di sollievo quando questa gli passava accanto, scomparendo alla sua vista.
Arrivò all’inizio del sentiero del parco, si fermò, e prima di avventurarvicisi, diede un’occhiata all’orologio: le 20.05. Era in ritardo.
Nascose di nuovo la mano infreddolita nella tasca del lungo giubbotto e proseguì a lunghe falcate, con decisione.
Lungo la stretta stradina deserta, Tom preferiva tenersi lontano dalle fronde ombrose degli alberi, e rimanere il più possibile sotto la luce diretta dei lampioni, già tutti accesi.
All’improvviso, dopo una curva a gomito, eccola. La panchina più isolata, quella a nord. Che oggi non è vuota.
Comodamente seduta su di essa, infatti, una bella ragazza bionda si limava le unghie con noncuranza. Teneva le lunghe gambe accavallate e sembrava non prestare attenzione al giovane che le si avvicinava circospetto.
Tom fece per aprire bocca, quando una voce acuta, argentina, e allo stesso tempo calda e profonda, lo immobilizzò:
-Ben arrivato, Tom Kaulitz. Sei in ritardo...-.
Il ragazzo inizialmente si guardò intorno, spaventato, poi riconobbe la donna davanti a lui come la fonte di provenienza di quell’inquietante affermazione, e si rilassò un po’: almeno il “nemico” gli era di fronte, e si trovava già allo scoperto.
Tom si schiarì nervosamente la gola, poi domandò, acquistando sicurezza man mano che parlava:
-Sei tu Giusy?-.
-Sì, sono io...-, rispose tranquillamente la ragazza alzandosi leggera in piedi ed incrociando le braccia sul petto. Poi, dopo aver squadrato dall’alto in basso il giovane, tese una mano in avanti. Tom fece un passo indietro. Lei affilò lo sguardo, e poi chiese, dolce e pericolosa:
-Mi hai portato la somma di denaro che avevo chiesto a tuo fratello?-.
-No...-.
Giusy ritrasse lentamente il braccio, stringendo quasi subito la mano a pugno. I suoi occhi si ridussero a due fessure azzurre, in contrasto con la sua bocca, che invece si aprì in un sorriso ancora più ampio.
-...No?! E come mai questo ritardo? Le mie istruzioni sono state abbastanza chiare, mi sembra...-, domandò a mezza voce, sempre più dolcemente.
Tom rabbrividì visibilmente. Quella donna era veramente una macchina...!
Il ragazzo si schiarì nuovamente la voce, temendo che questa gli potesse venire a mancare, ed esclamò, un po’insicuro:
-Be’... Q-quei soldi non li avrai mai! Non abbiamo intenzione di cedere a questo tuo stupido ricatto! E le tue insulse minacce non ci fanno paura...! Perciò... Puoi pure continuare ad aspettare la fama in eterno, per quanto mi riguarda, ma da noi non avrai niente di niente!!-, concluse sempre più deciso Tom, sostenendo coraggiosamente lo sguardo di puro fuoco della ragazza.
Lei lo fissò, immobile e fredda, ancora per qualche eterno secondo. Poi sorrise ancora, accendendosi una sigaretta, senza mai abbassare lo sguardo gelido da quello impavido di Tom, convinto di aver vinto la guerra.
Giusy ripose l’accendino nella tasca dell’elegante giacca, aspirò ed espirò lentamente, poi affermò, usando il suo tono di miele:
-... Quindi... non avete alcuna intenzione di soddisfare la mia richiesta, dico bene?-.
-Già... Né ora, né mai... Per cui, puoi pure girare al largo, bella!-, ribattè strafottente Tom, meno raffinato, preparandosi ad andarsene.
-...Tu sai cosa significa questo, non è vero? Da ora in poi non sarete più sotto la mia clemente protezione... Da oggi in poi, tu, tuo fratello, quegli altri due sfigati, la bambina e ogni persona alla quale volete bene non sarà più al sicuro... E quando succederà... qualcosa... non potrete biasimarmi per non avervi avvisato...-, concluse sempre più minacciosa la ragazza.
Tom ebbe un brivido, ma replicò, disgustato:
-Sei proprio una persona spregevole... Ma noi non abbiamo paura delle tue minacce! Tu non potrai fare niente, niente! quando la polizia verrà ad arrestarti! Ed allora, sarai tu a non potermi biasimare per non averti avvisata!-, esclamò con foga il chitarrista, ghignando. Poi le voltò le spalle, dopo averle borbottato un ultimo: -Non farti più vedere..-, e si incamminò baldanzoso lungo il sentiero battuto, dirigendosi all’albergo.
Mentre stava quasi per raggiungere la curva che gli avrebbe finalmente celato alla vista quella ragazza, Giusy, da lontano, esclamò argentina, come se nulla fosse:
-Layla ti saluta!!!-.
Tom si bloccò. Poi si voltò lentamente, chiedendo stupito:
-...Chi?!-.
-Layla! La ragazza bruna, quella della festa! Le sei piaciuto un mondo, vuole che la richiami!-, disse la donna, avvicinandosi, sorridendo divertita.
Tom era sbalordito, e non replicò, anche per il fatto, forse, che non riusciva a ricordarsi chi fosse la ragazza. Finalmente, quando ormai Giusy gli era a pochi passi, riuscì a richiamare alla memoria quel viso tanto cercato.
“Ma sì, Layla! La modella! Quella del viaggio alle Hawaii!”.   
Alzò la testa verso la ragazza, che lo osservava con le mani dietro la schiena, ostentando sul pallido viso un sorriso divertito.
-Che vuole da me?-, chiese in modo forse troppo sgarbato Tom.
-Vuole che la richiami! Avevi promesso di farlo no?-, rispose in un cinguettio Giusy, sempre tenendo le mani nascoste.
-Be’, non mi ha dato il suo numer...!-, replicò sfacciatamente il giovane, ma non riuscì nemmeno a finire la frase che si ritrovò sotto al naso un biglietto colorato.
Giusy gli stava porgendo quello che aveva tenuto nascosto fino a quel momento: il numero di cellulare di Layla.
-Lo sapevo che non ce l’avevi...!-, sussurrò leziosamente raddrizzandosi e stringendosi nelle spalle, soddisfatta, dopo che Tom le aveva bruscamente strappato di mano il foglietto.
-GRRRrazie...!!-, disse a denti stretti il giovane, ficcandosi in tasca il suo prossimo impegno.
Fissò per qualche secondo il viso all’apparenza innocente ed incantevole della donna sorridente, poi chiese sottovoce, guardandola di sotto in su, accigliato:
-...Lei... non è... d’accordo con te, vero?!-.
Giusy si mise a ridere. Fu scossa da silenziosi sussulti per addirittura qualche minuto, osservata da uno sbalordito e preoccupato Tom, finché non riuscì finalmente a calmarsi.
Si asciugò gli occhi lucidi, sospirò, e mentre si voltava per andarsene, sussurrò con un inquietante sorriso:
-...Ma figurati...-.
Tom sentì il ghiaccio penetrargli nelle vene a quella risposta, e si strinse ancora di più nel lungo cappotto.
-Solo un’ ultima cosa...-, disse Giusy, fermandosi e girandosi di nuovo verso il chitarrista.
-Voglio mettere in chiaro questo: da stasera, l’indomani, per voi, non dovrà più essere considerato come una cosa così tanto scontata... O finirete per rimandare ad un futuro inesistente qualcosa di molto importante... E non voglio che veniate a lamentarvi con me, dopo! A presto, allora...-. E dopo quest’ultimo, inquietante, purtroppo sicuro arrivederci, Giusy si voltò e riprese ad allontanarsi, i suoi capelli biondi un bagliore sempre più indistinto nelle tenebre, finché anch’essa non venne del tutto inghiottita dall’oscurità.

Tom rimase in silenzio, a bocca aperta. Non aveva più saputo ribattere. Di scatto, si girò e prese a camminare a lunghe falcate in direzione del probabilmente non più così sicuro albergo, ignaro dell’amara sorpresa che vi avrebbe trovato.
Nella mano destra, rifugiatasi nella tasca del giaccone, stringeva convulsamente il piccolo bigliettino colorato. E intanto non poteva fare a meno di pensare alle ultime parole di Giusy.
All’improvviso, si fermò di botto sotto un lampione, facendo deviare un’anziana coppia che gli borbottò qualcosa, stizzita. Tirò fuori il foglietto azzurro acceso, e lesse alla forte luce biancastra quei piccoli dieci numeri, riportati in un’elegante, pulita grafia.
Poi alzò lo sguardo preoccupato alle stelle, indeciso sul da farsi.
Quel biglietto tutto spiegazzato sarebbe stata una promessa o una condanna a morte?              



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Capitolo 17
*** _Ombra e Sudore_ ***




“È successo davvero...”.
Jade era stesa a pancia in su sul letto, ancora vestita. Accarezzò con le dita distratte la coperta candida, toccando i disegni astratti di quelle stesse lenzuola che solo poche ore prima si erano scaldate di un bacio da troppo tempo desiderato.
“Qui... Proprio dove sono io adesso... È successo veramente...”, ricordò ancora una volta la ragazza fissando immobile il soffitto, persa nei suoi pensieri.
Si drizzò lentamente a sedere, stringendosi le gambe al petto. Osservò la finestra, ancora buia, mentre al contrario, la luce della lampada sul comodino (“Quella stessa lampada!!”) le illuminava debolmente il viso delicato.
“Io... e Bill Kaulitz...”, rifletté ancora Jade, cercando di accettare la realtà. Quel nome cominciò a ripetersi nella sua mente:
“Bill Kaulitz... Bill Kaulitz... Bill Kaulitz...”.
Le morbide guance della ragazza presero ad avere una sfumatura scarlatta, stavolta non per merito della abat-jour arancione. La giovane si trattenne a stento dall’urlare, e si buttò immediatamente sui soffici cuscini, affondando il viso e nascondendovi uno strillo.
Rimase lì, nel buio e al fresco per qualche minuto, poi fece piano capolino dalla stoffa candida, in cerca di aria fresca. Respirò profondamente, e riappoggiò il volto accaldato al guanciale tiepido. In poco tempo, si ritrovò a fissare di sbieco la porta della stanza da letto.
“A solo due porte di distanza c’è lui... Mi basterebbe aprire questa, attraversare il corridoio, abbassare la maniglia dell’entrata del salottino e...”.
Nella sua mente si formò quasi automaticamente un’immagine, che Jade si scoprì ad arricchire di particolari e dettagli addirittura insignificanti quella dolce scena. Dopo un po’ però, quando la ragazza ebbe finito di ricostruire minuziosamente il viso angelico di Bill, un caldo rossore le iniziò di nuovo a salire lento dal collo fino ai capelli, interrompendo ogni sua logica.
Jade mugolò e immerse di nuovo la faccia fra i morbidi guanciali.


“Non ci credo... Non può essere vero...”.
Bill era allungato (per quanto possibile prima di avere il colpo della strega) sul divanetto del salotto, a pancia in giù e con le braccia in avanti che sporgevano ciondolanti dal bracciolo.
Teneva il mento appoggiato al bianco cuscino che da poco aveva prelevato dalla sua camera da letto, e manteneva lo sguardo fisso sulla porta chiusa, perso nel vuoto.
Osservando le molteplici venature del legno, ripensava e rimuginava sui fatti accaduti qualche ora prima, a solo un corridoio di distanza.

Si era appena fatto la doccia, aveva asciugato e piastrato quasi maniacalmente i suoi morbidi capelli scuri e si era spogliato, facendo decisamente più attenzione del solito ai suoi gesti consuetudinari, arrivando perfino a piegare con cura maglie e jeans e a preparare gli abiti per il giorno dopo.
Dopodiché, si era gettato sul divano, portandosi però quasi immediatamente una mano allo stomaco e sbuffando forte: non era ancora guarito dalle ferite inflittegli qualche giorno prima dai suoi tre aggressori.
“Se li incontro di nuovo, devo ricordarmi di andare a denunciarli...”, prese mentalmente nota Bill. Ci pensò su un po’. “... Con Saki...”, concluse.
Soffermandosi anche solo su queste inutili constatazioni e tentando di rimanerci aggrappato il più a lungo possibile, aveva trascorso quasi un’ora girandosi e rigirandosi, incapace di trovare pace.
Stanco, quando ormai le sue difese e le sue palpebre avevano cominciato ad abbassarsi, eccolo: il pensiero tanto temuto e tanto agognato attraversò in un lampo la sua mente spossata, indisturbato, e lì vi si stabilì, come un chiodo fisso.

E così, eccolo: Bill Kaulitz, disteso ma non rilassato, osservatore silenzioso delle sue più meravigliose e recenti memorie.
Rimase quasi un’ora a fissare quella porta senza occhi e senza orecchie, troppo stanco per andare ad aprirla, ma non così spossato da addormentarsi.
All’improvviso, qualcuno bussò:
-TOC TOC!-.
Bill si tirò in piedi all’istante, sentendosi il cuore gonfio e i piedi di piombo. Si avvicinò, un po’ insicuro.
-TOC TOC!!!-.
Chiunque stesse dall’altra parte (e il ragazzo un’idea ce l’aveva...) era veramente insistente.
Infine si decise. Allungò una mano appena tremante, deglutendo, e afferrò il freddo metallo della maniglia. Trattenne il respiro, poi l’abbassò e la spinse lentamente...

Un lampo colorato gli passo accanto, lasciandolo interdetto, e qualcosa di molto simile ad una specie di coda a ciuffi lo frustò leggermente sul viso.
Bill, stupito, rimase immobile con una mano sulla maniglia, fissando con una leggera apprensione l’oscurità nella quale era sparita la cosa.
Dall’ombra, una voce concitata, familiare, che però non riuscì a riconoscere perché ansimante, gli sibilò:
-Chiudi la porta!-.
Il ragazzo obbedì, sforzandosi di penetrare con lo sguardo la fitta cortina di buio al centro della stanza.
Dopo che la serratura ebbe scattato, lasciò cadere il braccio penzoloni lungo i fianchi, e stringendo i grandi occhi nocciola a fessura, continuò a fissare l’oscurità impenetrabile, dalla quale provenivano gli ansiti di un individuo che prendeva fiato.
Si cominciò ad avvicinare lentamente, con la bocca un po’aperta, pronto ad urlare in caso di necessità.
Quando fu accanto al divano, poco prima del cono d’ombra, si fermò. Tese una mano in avanti, cercando di toccare qualcosa che potesse rivelargli chi, o cosa, fosse la creatura che era entrata come se niente fosse nella sua stanza.
Improvvisamente, qualcosa di pesante gli calò sulla spalla.
Bill sussultò violentemente. Ebbe un tuffo al cuore, che per un momento arrestò i battiti, e indietreggiò, terrorizzato, incapace di emettere alcun suono, ma la sua gamba urtò il bracciolo del divanetto. Il ragazzo perse l’equilibrio e cadde all’indietro, mordendosi accidentalmente la lingua, senza però staccare lo sguardo dalla scura figura che avanzava minacciosa e forse letale verso di lui.       
Chiuse gli occhi.

I secondi passarono... Il giovane attese, ma nulla successe.
Infine, una voce, stavolta facilmente riconoscibile, lo chiamò:
-Ehi!-.
Bill riaprì piano un occhio, poi li spalancò tutti e due: Tom, finalmente illuminato dalla fioca luce della luna, lo stava fissando dall’alto in basso, sbalordito, con le mani sui fianchi, in attesa di una risposta.
Il moretto era quasi più esterrefatto di lui:
-...E-eri tu?!-, domandò incredulo, raddrizzandosi e accomodandosi più composto.
Il rasta gli si sedette subito accanto, sbuffando, e ancora un po’affannato, abbandonò la testa sullo schienale chiudendo gli occhi per un po’.
Riprese fiato qualche secondo, poi si voltò a guardare Bill con un’espressione incredula sul volto sudato, rilucente nel pallido bagliore proveniente dalle finestre:
-Certo che ero io! Chi pensavi che fosse?!-, e riabbandonò il capo contro il divano.
Bill mosse per un po’ la lingua dolorante, ignorando la domanda retorica di suo fratello. Il suo percing argentato brillò come una minuscola lucciola nella stanza in quasi totale penombra. Poi il giovane chiese al fratello, che si stava infine riprendendo:
-Ma che hai fatto? Come mai sei tornato così tardi? Ti è successo qualcosa?-, assumendo un tono di voce mano a mano sempre più acuto.
Tom appoggiò i gomito allo schienale e asciugandosi il viso disse a mezza voce, lo sguardo assorto fisso sul soffitto:
-Tu non hai idea di quanto diligente sia Saki...-.
-...Lo so... E questo che c’entra?! Eri andato al parco da solo, giusto?-.
-Appunto! Saki ha visto che uscivo dall’albergo senza guardia del corpo e mi ha inseguito per mezza città! Ho dovuto fare il giro del globo per seminarlo! Meno male che mi aveva perso di vista prima che arrivassi all’incontro con Giusy, se no finiva male... Per lei...-, affermò con un ghigno il chitarrista.
-Ah, giusto, com’è andata? Si è arrabbiata? E adesso?! Cosa farà? Manderà un killer a...?-.
Tom lo interruppe prontamente:
-Lo vuoi sapere o preferisci continuare a farti i film da solo?!-.
Bill tacque all’istante.
-Oh, finalmente! Be’...-. E Tom si lanciò nella più dettagliata possibile descrizione dell’incontro con la diabolica donna dai capelli dorati.
L’espressione di Bill continuava a mutare con il ritmo e le cadenze del racconto: ansiosa, sorpresa, preoccupata, sollevata, poi di nuovo angosciata, e ancora sollevata.
Tom raccontò tutto, dall’arrivo al parco, alla conversazione con Giusy, al suo congedo, il deciso: -Non farti più vedere...-, mentre si avviava all’uscita.                    
Quando però arrivò a questo punto, si fermò. Abbassò gli occhi e si morse il labbro inferiore: non era sicuro di voler informare il fratello dell’invito di Giusy a chiamare un’altra possibile preoccupazione. Mentre rifletteva, fece scivolare inconsciamente una mano nella larghissima tasca dei jeans. Le sue dita sudate si strinsero sul bigliettino colorato. Decise di mantenere per sé quella piccola, fondamentale informazione, almeno per il momento. Sospirò, tornando a guardare il volto di Bill, in evidente attesa, e concluse:
-E questo è tutto... Non credo troppo da preoccuparsi per quella balorda... Se solo prova ad avvicinarsi alla porta d’ingresso dell’hotel si ritroverà immediatamente con il muso a terra, almeno due chilometri più indietro, gentilmente sospinta e accompagnata da un bel calcio in...!!-.
-Sì, lo so, per noi non c’è problema, siamo più che al sicuro, probabilmente...-, esclamò Bill, interrompendo una volta per tutte le ipotetiche pianificazioni di distruzione di Tom. -...Ma... e se Giusy se la prendesse con la nostra famiglia? I nostri amici? O...-, e il moretto lanciò una breve occhiata alla porta. -... Con quelli di Jade?-.
Il rasta rimase in silenzio. Bill aveva ragione. Lui aveva sempre ragione.
Finalmente Tom, fissando negli occhi il fratello, sussurrò:
-Non possiamo fare nulla... Dobbiamo solo pregare di essere noi e noi soltanto nelle sue mire...-.
-Ma Giusy ha detto che...!!-.
-... E avere speranza, oltre a tanta, tanta fortuna...-, mormorò deciso il rasta, un po’ meno sicuro, però, verso la fine della frase, mettendo fine a quella discussione che avrebbe portato solo dubbi ed angosce.
I due gemelli rimasero diversi minuti in silenzio, a fissare il tappeto in direzioni, entrambi ad occhi bassi, persi nei loro pensieri.
All’improvviso, Bill si illuminò in volto, e mentre un timido sorriso cominciava ad allargarsi sulle sue guance piacevolmente rosate, alzò lo sguardo scintillante verso il gemello e annunciò con voce tremolante dall’emozione:
-Tom... Anch’io dovrei dirti una cosa...-.

-Davvero? Non ci credo!! E quando è successo?-, domandò euforico il chitarrista, sporgendosi verso il moretto sorridente.
-Be’... Subito dopo che siamo tornati dallo shopping... Circa all’ora dell’incontro con la ‘balorda’...-, rispose Bill con la luce negli occhi e nel viso; adesso niente avrebbe più potuto intaccare il suo buonumore. Nemmeno Giusy.
-Wow... Quindi lei c’è stata, no?-.
-Sì! È davvero meraviglioso! È una svolta, un nuovo inizio, uno stupendo...!!-.
-Certo certo... Te la sei fatta?-.
-...Tom! Vergognati! Ma ti pare che già al primo bacio...?!-.
-Appunto! Meglio agire subito, no? Metti che poi lei si stufi di te!-, ribattè il rasta, malizioso.
Bill non replicò, imbronciato, incrociò le braccia sul petto magro, e sporgendo in fuori le labbra, si infossò ancora di più nel  divano. Tom sorrise, e si alzò, stiracchiandosi rumorosamente. Aprì la porta e fece per tornarsene in camera, quando, appena prima che fosse fuori, la voce del fratello lo raggiunse, bassa ed indispettita:
-Non è ancora pronta... Io comunque ci ho provato, è lei che non ha voluto...-.
Tom ridacchiò piano, e con un quasi impercettibile: -Notte...-, uscì, e fece scattare definitivamente la serratura.


Stanza 329. Tom entrò, si levò frettolosamente maglia, jeans, fascia e cappello, rimanendo in boxer, e si gettò sul letto senza disfarlo, con ancora una risata sulle labbra.
Rimase così a pensare a suo fratello e a Jade svariati minuti, poi il sorriso scivolò lentamente via dal suo viso, sostituito dalla sorpresa: era felice. Era felice per loro. Non era dispiaciuto, deluso, affranto o sconsolato. Era... contento.
Si tirò a sedere: forse era un punto di svolta anche per lui. Forse si stava dimenticando di lei, nonostante il suo viso popolasse ancora i suoi sogni.
Sollevato da un enorme peso, un altro sorriso si aprì sulle sue labbra, illuminando la stanza semibuia.
Tom fissò l’orologio sul comodino: le sei meno dieci. Aveva fatto proprio tardi. Ma d’altronde, quel giorno era un altro giorno vuoto, lo avrebbe sicuramente passato a dormire fino alle due. Parlando con Bill non si era quasi accorto di com’era volato il tempo, era rimasto da lui quasi due ore.
Il ragazzo si passò le mani sugli occhi, stanco, quando un’idea lo bloccò.
Rimase a fissare i suoi jeans, gettati alla bell’e meglio su una sedia, per qualche minuto, poi si alzò e vi frugò nelle tasche finché non riuscì a trovarlo. Lo strinse tra le dita, leggermente tremanti dall’eccitazione, poi si buttò di nuovo sul letto, a pancia in giù.
Prese il telefono, e alla flebile luce del mattino appena iniziato, digitò sulla tastiera dieci piccoli numeri, portando poi subito la cornetta all’orecchio.
Attese, e nel frattempo si mise a giocherellare con il foglietto, quasi illeggibile dopo tante torture.
Forse Tom sperava quasi che il numero non fosse corretto, che l’apparecchio non squillasse, o che semplicemente gli buttassero giù la linea dopo essersi presentato.
Ovviamente, il numero era esatto, e lo squillo del telefono lo fece sobbalzare, risuonando nella sua mente:
-TUUUUT... TUUUUT...-.     

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ANTICIPAZIONI: Nei prossimi capitoli vedremo le prodezze ginniche del nostro Tomi alle prese con una guardia del corpo, un albero e un davanzale... XD
Inoltre, ci saranno sdolcinatezze a non finire fra Bill e Jade, e... forse una nuova minaccia minerà l'armonia di questo momento?
Tutto, nei prossimi capitoli!!!!!!!!!!! ^ - ^




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Capitolo 18
*** _Colazione_ ***



[AVVISO: questo capitolo è un po' lunghino, ma abbiate pazienza.... DANKE! ^_^]

-Tuuuut... Tuuut...-.
-...-.
-Tuuut... CLICK! Pronto?-.
-...! Ehm... Layla?-.
-Sì, sono io. Chi parla?-.
-Sono Tom...-.
-Tom Kaulitz?!-.
-Sì... Ho avuto il tuo numero, avevo promesso di richiamarti, dopo la festa, no?-.
-Davvero? Oddio, non ci credo!-.
-Già... Senti, che ne dici di... ehm... uscire con me, stasera?-.
-...-.
-...Pronto?-.
-...Io... con te...?!-.
-Be’, sì, perché no? Usciamo, mangiamo qualcosa, andiamo al cinema, se vuoi...-.
-Stasera? Ma... ma...-.
-Non puoi? Spostiamo tutto alla prossima volta, se vuoi...-.
-No, no, no! È che... va bene... Quando...?-.
-Alle otto davanti all’albergo un po’ in periferia, quello a quattro stelle...-.
-Sì, so qual è...-.
-Bene, ti aspetto fuori, allora...-.
-Certo...-.
-Be’... A dopo...-.
-...Sì... Ciao...-.

E così, Tom, premette il pulsante di fine chiamata con un dito, tremante dalla tensione, ancora incredulo, e sbalordito, di ciò che aveva appena fatto. Posò la cornetta sul comodino, senza rimetterla a posto. La fissò un momento, poi, da seduto, si gettò con la schiena sul letto, a braccia aperte, rabbrividendo appena al contatto con il copriletto ghiacciato contro la sua pelle nuda. I rasta, ancora raccolti in una coda alta, si sparsero disordinatamente sulla coperta candida, dando l’impressione che raggi luminosi riposassero attorno al viso stanco di Tom.
“Ho fatto la cosa giusta?”, pensò sbadigliando rumorosamente e cercando con la mano il bordo del lenzuolo. Trovatolo, se lo portò fino al mento, e si girò su un fianco.
La luce rossastra della radiosveglia accese i suoi occhi socchiusi, lontani, osservatori imparziali della propria mente.
“È la scelta esatta quella di far entrare nella mia vita una ragazza sconosciuta che forse può avere a che fare con un nostro nemico?”, rifletté passandosi una mano sulle palpebre. Il chiarore proveniente dalle finestre, che annunciava l’imminente inizio di un nuovo giorno, lo infastidiva, ma Tom era troppo stanco per alzarsi ed andare ad abbassare le tapparelle. Si voltò dall’altra parte, verso la porta, e si portò un braccio sul viso. Un altro sbadiglio lo scosse tutto.
Nel buio, un’altra assillante domanda:
“Sarà la svolta che tanto aspetto o si tratterà solo di un’ennesima, dolorosa illusione?”.
E finalmente senza più pensieri, con la mente sgombra e libera dalle catene del dubbio, spezzate dall’entrata nel mondo dei sogni, il ragazzo si addormentò, mentre il mattino, grigio e  malinconico, portava aria di novità e profumo d’amore.  

-----------___________------------------

Poco lontano, tempo dopo. Due porte che si aprono, due occhi che si fissano.
Jade dischiuse piano la porta, socchiudendola appena e scivolando agilmente nella stretta fessura. Trattenne immediatamente la maniglia, per paura che questa le tornasse indietro sbattendo, e attentamente, fece scattare la serratura.
Si girò, pronta ad andarsene dalla stanza senza rumore, quando...
Sobbalzò, e per poco non si lasciò sfuggire un urlo.
Bill le era apparso davanti all’improvviso, anch’esso spaventato, con le mani in avanti, come a proteggersi. Probabilmente, aveva avuto la stessa idea della ragazza, di andarsene in silenzio. Non era truccato, e i lunghi capelli neri, perfettamente dritti, forse un po’ scompigliati, gli ricadevano morbidi sulle spalle. Jade lasciò scendere lentamente le mani dalla bocca, mentre il rumore del battito del suo cuore, che non accennava affatto a diminuire la frequenza, le risuonava nella testa. Anche Bill abbassò le difese, e insieme, i due ragazzi esclamarono:
-Bill?!-.
-Jade?!-.
-...Come mai già in piedi? Ti solito non ti svegli prima delle tre, e non ti si riesce a smuovere neanche con le cannonate!-.
-Non riuscivo più a dormire... E tu?-.
-No, neanch’io...-.
-...-.
Il silenzio si protendeva tra di loro come una barriera invisibile , allontanando grazie alle loro insicurezze i due giovani ragazzi.
Finalmente, dopo una manciata di interminabili secondi, Jade si schiarì silenziosamente la voce e balbettando, mentre le guance le si coloravano ancora di rosso, disse:
-Ehm... Che... che ne dici di andare a fa-fare colazione?-.
-Sicuro! Andiamo!-, replicò allegramente Bill, e i due iniziarono ad avviarsi. -Ho una fame! Non credo che saremo solo noi a scomodare i camerieri: Gustav a quest’ora è già in piedi, lavato, stirato e vestito, e quasi sicuramente avrà buttato giù dal letto anche Georg! Parlavano di andare a fare trekking insieme, stamattina... Secondo me Georg aveva acconsentito solo per far stare zitto Gustav...-, sussurrò in finto modo cospiratorio alla ragazza mentre infilava la chiave nella serratura dell’entrata.
Le chiacchiere leggere e piacevoli di Bill spezzarono l’innaturale tensione che si era creata, e fecero aprire ad un sorriso la bocca della ragazza, che già s’immaginava la divertente scenetta: un Gustav in pantaloncini corti, biondo e sudato, che trascinava di corsa lungo un ripido pendio, magari sotto al sole cocente, un imbronciato Georg. Jade si divertì anche ad aggiungere un pizzico di surrealismo alla scena, inserendo pure una corda, legata in vita a Georg e a Gustav, che quest’ultimo strattonava continuamente per impedire all’amico di scappare a gambe levate da quella tortura.
La ragazza, completamente immersa nelle sue fantasie, si lasciò andare ad una risatina, che ben presto si trasformò in un singulto silenzioso continuo, alternato ad aspirazioni prolungate quando anche Bill iniziò a ridere come un matto.
Il momento di ilarità distrusse completamente qualunque muro eretto fra loro, e fece avvicinare, anche letteralmente, i due giovani ormai in lacrime dalle troppe risate.

Infine, Bill e Jade riuscirono a calmarsi, e mentre si raddrizzavano, tenendosi una mano sullo stomaco, dolorante dai continui sussulti, i loro sguardi si incrociarono. Di nuovo, scoccò la scintilla, e in un battito di ciglia, le loro anime si fusero, diventarono un unico spirito ed un unico cuore.
Incatenati l’uno negli occhi dell’altra, i loro visi cominciarono ad avvicinarsi, forse in cerca di altre labbra da cogliere, prendere, invitanti come dolci frutti proibiti; o forse, solo per provare a cadere nelle iridi infinite dell’altro, che si spalancavano loro davanti, come interminabili pozzi di seduzione e piacere.
I loro nasi quasi si toccavano, i loro respiri, mano a mano sempre più irregolari, diventarono un unico tiepido soffio di vita.
Jade, con lo sguardo, cercava di trasmettere a Bill tutta l’intensità, tutto l’amore, tutto il desiderio che provava, ma che non era ancora capace a gestire, appunto perché troppo profondo. Provò a scusarsi, senza parlare, della sua insicurezza, della sua dolce immaturità... Ma una sfumatura di tenerezza negli occhi nocciola che la attiravano come calamite le fece scordare ogni cosa. Non pensava più a niente, non voleva più riemergere, voleva rimanere in quel mondo incantato per l’eternità. Sorrise, e anche lui. Chiusero gli occhi, lasciando spazio solo alle loro labbra, frementi, affamate, timide, audaci, vive.
La ragazza poteva quasi sentirne già il sapore, vanigliato, di miele. Proprio come lui, Bill.
Troppo invitanti. Ma anche eccessivamente peccaminose?
“Ma chi se ne frega... Andrei anche all’inferno pur di averlo con me...”, pensò Jade.
Infine, le loro labbra socchiuse, rosee e pulite, si trovarono, si morsero per gioco, per finta o per desiderio, si incastrarono, si sciolsero, si intrecciarono, si ingoiarono, e poi si premettero candidamente le une sulle altre più volte, cercando un po’ di purezza prima di riprendere la lotta contro la passione.
E mentre la felicità di Jade raggiungeva l’apice, davanti agli occhi le balenò l’immagine di una mela, rossa, lucente, invitante, e di una mano che la coglieva dal verde ramo cui era appesa; ramo fatto di dure scaglie, rilucenti alla luce del sole, e di una lingua biforcuta che si agitava minacciosa, assaggiando l’aria intrisa di mielato profumo alla vaniglia.

______________

Bill e Jade cominciarono ad avviarsi lungo le scale. Su entrambi, un sorriso radioso riusciva ad illuminare ogni cosa, rendendola più bella e più invitante che mai, che si trattasse di un colorato mazzo di fiori bagnato dalla debole luce del sole o che fosse un semplicissimo soprammobile banalmente appoggiato su un anonimo tavolino.
Su entrambi, l’odore dell’altro risaltava alle loro narici come il più seducente profumo della terra.
D’improvviso, quando ormai erano quasi arrivati nell’arioso sala da pranzo, semi-deserta, Bill gettò un’occhiata di sbieco a Jade, e poi le prese di scatto la mano.
La ragazza sussultò, sorpresa, e si voltò di scatto a guardare il giovane, che ora teneva lo sguardo fisso davanti a se, impassibile.
Con la coda dell’occhio sbirciò le due mani intrecciate, una esile, sottile ed elegante, semplice, l’altra ugualmente delicata e fine ma dalle unghie smaltate di bianco e nero.
Arrossì,  e tornando anche lei a fissare i propri passi, aumentò la stretta, ricevendo subito l’incoraggiante risposta di altre dita, legate alle sue. I due sorrisi, se possibile, si allargarono ancora di più.
Bill e jade arrivarono lentamente al loro tavolo, non sorprendendosi di trovarlo già parzialmente occupato: Gustav e Georg erano lì, il primo sveglio e pimpante, il secondo assonnato e contrariato. Entrambi avevano davanti i piatti pieni, ma solo uno di loro sembrava possedere abbastanza entusiasmo per apprezzare davvero la crostata fragrante e l’ottima spremuta.
I due innamorati, con le mani ancora intrecciate, fieri de loro amore, si sedettero al tavolo, vicini, guardandosi negli occhi, e salutarono distrattamente i compagni, che, impegnati a sbriciolare per bene la torta, risposero con grugniti concentrati.
Georg, in difficoltà anche solo a distinguere il proprio bicchiere dal barattolo dello zucchero, non si accorse di nulla, ma Gustav, attento, non si lasciò sfuggire gli sguardi sdolcinati e i sorrisi di miele.
Esibì un sorrisetto, poi domandò:
-Ehi, ma che è successo?-.
Georg alzò la testa, tentando di mettere a fuoco chi aveva davanti.
Bill lanciò un’occhiata a Jade, che sorrise divertita e un po’imbarazzata, e mentre posava sul tavolo, apposta in bella vista, le loro mani allacciate, trillò in risposta:
-Perché? Che intendi dire? Trovi ci sia qualcosa di diverso?-.
Anche il bassista, grazie alla sua incredibile perspicacia, si era finalmente reso conto della situazione, e lui e Gustav ormai spostavano lo sguardo dal viso esterrefatto e leggermente disgustato dell’amico ai sorrisi dei due giovani, tanto che sembrava stessero seguendo le finali di un0accanita partita a ping-pong.
Così, passarono diversi secondi, senza che niente turbasse quello strano equilibrio.
I due innamorati avevano sguardi solo per loro, e avevano ripreso a fissarsi, sognati, apparentemente dimentichi di Georg e Gustav.
Poi, quell’armonia si ruppe. Bill si voltò a guadare gli amici con un’ espressione di totale serenità e soddisfazione, nello sguardo, però, una vaghezza veramente ebete.
Georg e Gustav non riuscirono più a trattenersi:
-Mppppfffff!!! Ahahahahahahaha!!!-.
Anche Jade a quel punto si girò, indignata, mentre i due ragazzi ridevano come ossessi delle loro espressioni da pesci lessi, battendo i pugni sul tavolo e, in questo modo, rischiando di rovesciare la caraffa di succo di frutta.   
Un sorrisetto forzato fece appena in tempo a spuntare sui visi dei due giovani perplessi quando, infine, il batterista ed il chitarrista inspirarono profondamente e ritrovarono la calma.
-E quindi... Adesso state insieme?-, domandò Georg asciugandosi gli occhi.
Jade arrossì fino alla punta dei capelli e abbassò lo sguardo, invece Bill rispose, sicuro e contento:
-Certo! Non si era capito?-, e ridacchiando, sollevò la sua mano, irremovibilmente intrecciata a quella della ragazza imbarazzata.
E all’istante, i due innamorati furono tempestati da una marea di domande, alcune inutili, altre provocanti, altre ancora completamente insensate, del tipo:
-Bill, adesso ti taglierai tutti i capelli per lei?-.
All’improvviso, Gustav gettò un’occhiata all’orologio argentato che aveva al polso e sussultò, alzandosi in piedi all’istante:
-Georg! Siamo in ritardo pazzesco per il trekking! Dobbiamo muoverci subito, o non riusciremo mai a completare il programma!-, e il biondo batterista sfrecciò fuori dalla sala da pranzo. Georg invece si accomodò meglio sulla sedia, e stiracchiandosi disse:
-Appunto... Che fretta c’è?-, e sorrise ai due ragazzi, che ricambiarono divertiti.
Neanche due minuti dopo, Gustav tornò di gran carriera, con due zaini strapieni sulle spalle, uno per braccio, e un paio di comodi pantaloncini bianchi corti al posto dei soliti jeans. Quando vide il batterista ancora al suo posto, intento a chiacchierare tranquillamente con Bill e Jade, la sua espressione si contrasse, e ruggì con forza inaspettata:
-GEORG!!-.
Il ragazzo dai capelli piastrati sobbalzò violentemente, e vedendo l’amico, torreggiante sopra di lui, che sembrava emanare una minacciosa aura di furia omicida, scattò su all’istante e borbottando uno -Scusate...-, raggiunse subito Gustav, ora più calmo, e i due trotterellarono insieme verso la porta, soffermandovisi solo per dare un ultimo cenno di saluto ai due ragazzi.
Bill e Jade abbassarono le mani e si guardarono ancora negli occhi per interminabili istanti, poi Jade sussurrò maliziosamente al ragazzo:
-Che ne dici di tornare in camera?-.

Ovviamente, non appena i due si adagiarono su letto, si addormentarono immediatamente. Vicini, che quasi le loro fronti si toccavano, respiravano piano, sereni, mentre il loro fiato si mischiava in un unico soffio di vita.
E dalla stanchezza non erano riusciti nemmeno ad augurarsi "Sogni d'oro".


Molto tempo dopo. Sera.
Tom aprì di scatto gli occhi e si ritrovò a fissare la radiosveglia.
Non appena riuscì a mettere a fuoco i piccoli numeri di luce rossa aggrottò le sopracciglia e si rizzò a sedere con un lamento, strofinandosi le palpebre. Ricontrollò con più attenzione l’orologio: lo prese e se lo avvicinò al viso. Poi scattò in piedi imprecando:
-Merda! Sono già le sette e mezza! L’appuntamento! Ma come fa ad essere già così tardi?! Maledizione!-, e si avviò di corsa, sbadigliando e rabbrividendo, recuperando al suo passaggio jeans e maglia.
Ne uscì un quarto d’ora dopo, già lavato e vestito. Poi corse alla sua valigia ed iniziò a rovistarvi dentro forsennatamente, gettando all’aria montagne di cappelli colorati.
Alle otto, Tom era ancora immerso tra berretti e fasce variopinte.
Alle otto ed un quarto, finalmente, era pronto: alla fine, aveva optato per una sobria fascia nera su un cappello blu acceso, intonato alla felpa extra-large.

Uscì difilato dalla sua stanza, prendendo con se solo il portafogli con all’interno il minimo indispensabile, e si avviò di corsa giù per le scale, rischiando, per la fretta, di rompersi l’osso del collo. Era a metà quando si bloccò e tornò frettolosamente indietro. Arrivò davanti alla porta della camera del fratello e vi bussò energicamente. Non ricevendo risposta, provò ad abbassare la maniglia, e constatando che non era chiusa a chiave, vi si scaraventò dentro esclamando:
-Bill! Devo...!-.
Ma quando entrò nella stanza da letto, il fiato gli si spezzò in gola, allo stesso modo di qualcosa nel petto: vide i due ragazzi tranquillamente addormentati, quasi abbracciati, sulle loro labbra vicine un lieve sorriso.
Gli mancò la voce ed il cuore per svegliarli, così, avvertendo la familiare fitta allo stomaco alla vista di Jade con Bill, tirò fuori un foglio ed una penna, e lentamente, scrisse loro un breve messaggio.
Quando finì, posò il tutto sul tavolino accanto al letto, e con un’ultima occhiata di rammarico al fratello ed una carezza ai capelli della ragazza, uscì dalla stanza, sentendo un po’ meno l’entusiasmo e l’ansia per l’incontro con l’ignoto destino a cui stava andando incontro.

Fuori. Fuori dall’albergo, fuori dalla sua vita, fuori dalla sua mente, e dalla sua anima. Ma non fuori dal suo cuore.
Tom sospirò profondamente alle stelle, creando piccole nuvolette di vapore che si disperdevano verso l’alto subito dopo che erano state prodotte.
Forse quello che provava non era affatto scomparso come quel vapore. Forse si era semplicemente nascosto, agguattato nell’ombra in attesa del momento giusto per colpirlo, per fargli più male. Quando sarebbe stato davvero troppo tardi. E come un gatto, imprevedibile e traditore, l’aveva rassicurato e coccolato prima di sferrargli il colpo finale.
La ferita al cuore di Tom pulsava e sanguinava senza che niente potesse assorbirne il nero dolore che colava dalle ripetute trafitture.
Fuori da quell’albergo, dalla stanza nella quale era stato ucciso, il ragazzo sembrava non esistere. Se ne stava lì, con le mani in tasca, a fissare chissà cosa, come un semplice elemento di contorno durante uno spettacolo per bambini. Sì, ecco, lui era il classico “albero”, adesso.
Aspettava, giovane vita immutata, ma forse poteva essere lì da un’eternità.
Guardava con aria assente le persone che gli passavano accanto, indifferenti, mentre quella che lui attendeva ancora non arrivava. Tanto per dare un segno di vita, assicurare agli altri che era ancora vivo alzò un braccio e guardò l’orologio.
Le lancette si muovevano lente, troppo lente, in un’infinita agonia di attesa.

All’improvviso, una figura si distinse dalla brulicante massa informe che lo circondava, e cominciò ad avanzare verso di lui.
Tom si riscosse. Non capiva perché quell’uomo vestito di nero l’avesse risvegliata dalla sua dolorosa ipnosi, se non forse, pensò, per il fatto che era enorme ed emanava un che di minaccioso.
L’istinto di sopravvivenza del ragazzo era ormai all’erta.
Pensò di evitarlo, di tornare al suo caldo, sicuro albergo, pochi passi più indietro, ma quando ormai il pensiero gli arrivò al cervello, fu troppo tardi.
L’uomo gli si parò davanti, il volto nascosto dall’ombra, e senza parlare, gli posò una pesante mano sulla spalla. Tom rabbrividì, e istintivamente se la scrollò di dosso, arretrando.
L’imponente figura cominciò ad avanzare.
Tom ormai era terrorizzato: che voleva da lui.
L’uomo alzò di nuovo la mano, nella quale luccicava qualcosa di argenteo e sinistro.
Tom era paralizzato dalla paura. Prima che fosse troppo tardi, riuscì solo ad urlare:
-Chi sei? Che cosa vuoi?-.
Poi, la figura gli puntò contro la cosa argentata.
E Tom poté solo chiudere  gli occhi.                   

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Nel prossimo capitolo: Chi è l'imponente figura che minaccia il nostro Tomi? E cosa gli sta puntando addosso? Layla arriverà in tempo?
E Jade e Bill riusciranno più a svegliarsi?! (-____-)''
Arrivederci al numero 19! (^_^)
P.S. Le recensioni sono sempre gradite!!! XD

      


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Capitolo 19
*** _Fuori!_ ***



[NOTA: A mio avviso, questo sarà un capitolo un po'... idiota... Ma è importante per la trama, quindi... ENJOY IT! ^_^)


Attesa. Ancora attesa. Snervante, angosciosa, infinita attesa. Un unico interminabile momento e uno che invece non arriva più...
Tom aspettava. Ad occhi chiusi si chiedeva se fosse già troppo tardi. Ma non era possibile, il profumo della sera gli riempiva ancora invitante le narici, i rumori della strada lo assordavano, e i piedi se li sentiva tuttora ancorati al pavimento! Rimase così, leggermente rannicchiato indietro, con le mani davanti al viso, per diversi secondi, ma considerando infine che niente stava accadendo, socchiuse piano un occhio e abbassò le dita. Davanti alla sua pupilla una specie di piccolo tunnel scuro sembrava fissarlo. Il ragazzo era veramente sbalordito. Spalancò entrambi gli occhi nocciola, che gli diedero subito una buffa aria da strabico quando si concentrarono sull’oggetto misterioso che non somigliava ad una pistola, come invece aveva creduto Tom fino a poco tempo fa, puntata a pochissimi centimetri dal suo naso.
Tom ancora non riusciva a capire che cosa fosse in realtà quella “roba” argentea. Alzò lo sguardo e quello che vide lo fece immediatamente arretrare, impallidendo.
Un uomo enorme, chinato in avanti, il volto contratto in una folle espressione omicida lo guardava furioso. Il ragazzo si ritrovò decisamente inclinato all’indietro per allontanarsi il più possibile dall’energumeno, stretto nelle spalle, cercando di farsi il più piccolo possibile.

Poi, con un sorriso a trentadue denti, assolutamente forzato, Tom alzò piano una mano, timoroso, e muovendo le dita in segno di saluto, cinguettò:
-... Ciaaaaaao, Saaaaakiiii!!!-.
Saki, in risposta, ruggì:
-Ah, adesso fai il ruffiano, eh?! Non ti sei preoccupato di farmi girare mezza città, ieri, eh?! Ma me la pagherai! Io ti... ti...!-.
-Ehm...-. Tom, sempre esibendo quel sorriso finto e stirato, sollevò il braccio per chiedere la parola come un bimbo delle elementari. -Posso ricordarti che tu, in teoria, almeno mi pare, dovresti proteggermi, invece che cercare di polverizzarmi con quelle occhiate di fuoco o di farmi venire un infarto puntandomi addosso una... una...-. Tom sgranò gli occhi, spalancando assurdamente la bocca. Aveva finalmente riconosciuto l’ignoto oggetto che tremava nella manona dell’energumeno traboccante d’ira.
-... Con una teiera?!? Ma che cappero ci fai con una teiera in mano, in giro per la città a terrorizzare la gente?!-.
Saki sembrò arrossire nell’ombra, e mentre finalmente allontanava la teiera argentata dal naso del ragazzo, distolse lo sguardo e borbottò pianissimo al marciapiede:
-... Ho l’hobby dell’antiquariato, va bene?-.
Tom rimase a fissarlo con la bocca aperta del tutto e gli occhi sgranati, tanto che pareva che quest’ultimi gli stessero per schizzare fuori dalle orbite da un momento all’altro e che la mascella gli fosse in procinto di staccarsi. Poi esclamò, con una vocetta resa acuta dall’incredulità:
-Cosa?!-.
-Mi hai sentito!!-, sbraitò Saki, non riuscendo a nascondere del tutto nell’oscurità la sua faccia color ciliegia.
La faccia di Tom sembrava quella di un clown. Nei secondi che seguirono, la sua espressione continuò a cambiare: da assolutamente incredula, a divertita, a ‘mi-sto-sforzando-di-non-riderti-in-faccia’, poi di nuovo composta, e stupita, e poi il giro ricominciava.
Infine Saki, seccato, prese in mano la situazione, e mettendo fine a quella assurda lotta interiore, domandò minaccioso:
-Ma tu che caspita ci fai qua fuori da solo, eh?-.
Tom di ricompose all’istante, e improvviso come una secchiata di acqua gelida, il ricordo dell’appuntamento lo investì.
Guardò di sbieco l’omaccione, che intuite le sue intenzioni, era già pronto a riacciuffarlo nel caso avesse provato a scappare. Aveva in mente di rispondere con strafottenza alla domanda della sue guardia del corpo, ma alla vista di Saki che si scrocchiava lentamente e minacciosamente le dita (aveva finalmente riposto nella tasca la teiera), cambiò idea. Deglutì, e decise di prenderlo con le buone.

Tirò fuori da un lontano, polveroso passato lo sguardo più dolce e supplicante che riuscì a trovare. Sbatté più volte le lunghe ciglia e, ricordando il modo di fare del fratello, fece sporgere leggermente il labbro inferiore, in fuori. In quella precisa situazione e in quel preciso momento, lui, proprio lui, Tom Kaulitz, lo si sarebbe potuto confondere facilmente col gemello (specie quando chiedeva una nuova scatola di orsetti gommosi), se non fosse stato privo di trucco e con i rasta.
Giunse anche le mani, come nell’atto di pregare, quasi si inginocchiò a terra (ma evitò per non sporcarsi i jeans) e con una vocina tutta zucchero, cinguettò:
-Ti prego Saki... Sakuccio mio! Ti chiedo una sola serata, una! di libertà, senza il tuo pignolo ed efficientissimo occhio vigile puntato addosso per tutto il tempo! Ti prometto che starò lontano dai guai, non mi ubriacherò, non fumerò nessun tipo di cannoni, non prenderò botte da nessuno! Devo incontrare una ragazza... E questa potrebbe essere la svolta più importante di tutta la mia vita!-. Pausa enfatica. - Non desideri anche tu, forse, la mia felicità?!-.
E con questa frase disgustosamente teatrale e evidentemente falsa, Tom Kaulitz terminò il suo breve spettacolino, concludendo inoltre, per un maggiore incentivo, con la comparsa di una lacrimuccia dall’angolo dell’occhio, e attese.
Saki pareva persuaso: i suoi occhi sembravano lucidi, il suo mento forse tremava dalla commozione, e la sua espressione appariva quasi addolcita. Tom, sicuro di essersi conquistato la sua vittoria, decise di sferrare il colpo finale. Mostrò un timido sorriso e sussurrò:
-Allora? Posso... posso andare?-.

Saki sospirò, senza distogliere lo sguardo da lui. Poi un sorriso si allargò sul suo volto, e stringendo gli occhi a fessura, affermò a sua volta nel modo più dolce possibile:
-... No...-. E rimase ad osservare il ragazzo, malevolo.
Tom restò anch'esso immobile nelle medesima posa da suora davanti alla statua della Madonna, poi, le sue sopracciglia si aggrottarono lentamente e la sua bocca assunse la forma di una ‘o’ perfetta. Ogni traccia di amabilità era svanita:
-Che cosa?!?-.
Senza abbandonare il suo perfido sorriso, Saki avanzò lentamente,  prendendo per il colletto il ragazzo scalciante, che si rizzò immediatamente in piedi per non finire soffocato, e prese a trascinarlo verso l’albergo, sordo alle sue proteste:
-No!! Tu non puoi...! Sono maggiorenne!! Non hai il diritto di...!! SAKIII!!!-.
E subito dopo, le porte a vetri dell’hotel si chiusero.


Pochi minuti dopo, un piano più su.
Tom aprì con attenzione la porta della sua stanza. Lasciandola schiusa appena lo spazio per farci passare la testa, si guardò attorno con circospezione, cercando di imitare l’atteggiamento degli agenti segreti.
Il corridoio era vuoto. Un sorriso si allargò sul suo volto mentre scivolava nel pianerottolo e chiudeva con estrema attenzione la porta, tirando fuori la lingua dalla concentrazione.
Si guardò ancora  intorno, attento, e per un momento desiderò di essersi portato i suoi Rayban: ormai gli mancavano solo quelli e il giubbotto scuro per diventare come 007!
Una breve, arrogante risata lo scosse per un momento, mentre correva verso la libertà, appena dietro l’angolo e dopo una insignificante rampa di scale. Si trattenne a stento dall’urlare la sua vittoria, ed esclamò solo a mezza voce:
-Arrivederci, caro fesso di una guardia del corpo!-.
Era quasi arrivato.    
“Manca poco... Solo un angolo alla libertà...! Ecco, adesso pochi passi... Ci sono!!!”.
Il ragazzo stava ancora gustandosi il tanto agognato profumo di vita che lo attendeva, quando...
Un qualcosa di grosso e pesante fermò la sua folle e scatenata corsa:
-Ahia!!!-.
Tom alzò lo sguardo lucido, massaggiandosi il naso dolorante, e i suoi occhi incontrarono quelli più scuri del suo bodyguard.
Sul viso di Saki non c’era nemmeno l’ombra di un sorriso, stavolta. Neanche di uno finto.
Tom rimase paralizzato dalla sorpresa, poi l’ira della sconfitta lo prese, e...

Sbatté con rabbia un piede a terra, vinto, e agitando le braccia, mugolò un disperato:
-Eddai!!!-.
Di nuovo, senza dire una parola, Saki lo afferrò per il cappuccio della felpa, e lo prese a strattonare verso la sua stanza, per la seconda volta in neanche un quarto d’ora.
Tom, imbronciato, incrociò le braccia sul petto, serrandole come una morsa, e completamente restio a collaborare, fece cedere di proposito le ginocchia, e si lasciò crollare a terra. L’uomo, indifferente, quasi non se ne accorse, e continuò a trascinare, anche se praticamente steso a terra, il giovane, sollevando dietro di lui nuvolette di polvere ad ogni passo.
Arrivarono davanti alla lucida porta di legno scura, la numero 329, che in quel momento, a Tom sembrò più il macabro coperchio di una bara. Saki la spalancò, e senza troppi complimenti, vi gettò bruscamente dentro il chitarrista, che atterrò con il sedere e passò diverso tempo a massaggiarselo, fra gemiti di dolore e imprecazioni.
Prima di uscire, il bodyguard, livido, puntò contro il naso ancora offeso di Tom un dito di colori e dimensioni simili ad un grosso wurstel, e cupo, minacciò:
-Prova un’altra volta a mettere un solo piede fuori da questa porta e ti taglierò i fondi alimentari per un periodo di tempo indeterminato!-.
Con un ultimo inquietante sguardo di avvertimento, uscì, chiuse la porta a chiave e marciò giù con passi pesanti che risuonarono per tutto l’albergo.
Tom, furioso, rimase seduto a terra a fissare le venature del semplice e impossibile da sfondare pezzo di legno, che chiudendosi, aveva chiuso fuori anche ogni speranza del ragazzo di uscire.
Si alzò, scrollandosi di dosso la polvere dai pantaloni. Poi si erse in tutta la sua altezza, prese fiato e...
-Blaaaaaah!!! Và a quel paese!-... fece una linguaccia alla porta chiusa, e anche un gesto ben poco pulito, a dir la verità. Poi, soddisfatto, si sistemò il cappello, finitogli un po’ di traverso, e si trascinò nella sua camera da letto.
Si gettò a sedere sul materasso, e sostenendosi la testa con entrambe le mani, sbuffò, sentendosi più che mai un topo in trappola.
Pensò, pensò, pensò...
Ad un certo punto, il suo sguardo frustato cadde sulla finestra dalle tapparelle ancora mezze alzate da quella mattina. Un lampo gli si accese negli occhi sconsolati. Si alzò di scatto, corse alla finestra, la aprì e sollevò completamente le persiane che arrestarono con un clangore sordo contro il muro. Poi si sporse fuori sul davanzale, e voltò la testa a destra e a sinistra, rischiando di cadere di sotto più volte.
Fece dei brevi calcoli mentali, assaggiò la direzione del vento, osservò il marciapiede non troppo affollato sotto di lui e provò a misurare la distanza tra lui e un albero che cresceva proprio vicino alla finestra. Si ritrasse, e guardando le stelle occhieggianti, sorrise, furbetto:
-Saki ha detto... porta, giusto?-.

-Uuuff!! Ma guarda te cosa mi tocca fare! A che mai sarà capitato di fare tutta ‘sta fatica per uscire dalla propria stanza?!-.
Tom era attaccato al davanzale della sua stanza. Fuori, però. I suoi piedi penzolavano nel vuoto, distanti un po’ di più dei “due metri scarsi” da terra, al contrario di quello che aveva supposto il ragazzo. I suoi calcoli, evidentemente, non erano stati proprio così precisi...
Il ragazzo guardò in giù, sperando che nessuno si accorgesse della sua presenza. Le dita cominciavano a fargli male dallo sforzo di rimanere aggrappato al freddo marmo, e iniziava a perderne la sensibilità. Si voltò a destra, cercando con lo sguardo il ramo che a cui avrebbe potuto aggrapparsi. Lo trovò. Robusto, verde, forte e... lontano! Ma di più a portata di mano non ce n’erano, e il tempo stringeva. La sua presa cominciò a scivolare dal davanzale. Non poteva più aspettare. Tirò su le gambe, e appoggiandosi al muro, si diede la spinta, lasciò le mani e saltò...
Tom chiuse gli occhi, “ringraziando” mentalmente Saki per averlo costretto a quei numeri da circo. Passarono diversi secondi, sospesi fra il terrore di essere caduto e il sollievo di essere arrivato. Sollevò piano una palpebra, poi l’altra e... sorrise! Le sue braccia erano saldamente avvolte attorno al ramo dell’albero, e i suoi piedi intrecciati al tronco.
Tom cominciò a ridere come un matto, adesso indifferente alle occhiate di stupore della gente che, passando, guardava incredula quell’inusuale ragazzo-scimmia agitare il pugno verso una finestra aperta e urlare:
-Alla faccia tua! Ah ah ah! Tom ce l’ha fatta ancora una volta! E adesso prendimi se ci riesci!!-, esclamò scivolando agilmente a terra il giovane. Arrivato sano e salvo sul marciapiede, tutto intero soprattutto, si scrollò frettolosamente di dosso polvere e foglie. Guardò subito l’ora, ansioso, e sussultò: era in ritardo di un’ora per l’appuntamento con Layla!
Fece il giro dell’hotel, dato che la sua camera si affacciava sul retro dell’albergo, e arrivò affannato davanti all’entrata principale, di nuovo.
Stavolta si guardò bene intorno, nel caso Saki fosse stato ancora nei paraggi. Sospirò di sollievo non vedendo nessuna sagoma grossa e minacciosa tra i pochi ancora in giro in quella zona della città,  e si dedicò subito alla ricerca della ragazza.
Scrutò per bene, alla luce fioca dei lampioni qualunque donna che fosse alta, magra e scura di capelli, ma per quanto ricordasse lui, nessuna corrispondeva alla giovane che gli aveva raccontato di un viaggio alle Hawaii, tanto tempo fa, quasi una vita prima.
Aspettò altri cinque minti, poi, scoraggiato, si diresse verso l’albergo, seccato di tutta quella perdita di tempo e fatica.

All’improvviso, dei singhiozzi sommessi attirarono la sua attenzione. Tom si bloccò nell’atto di aprire le porte e tese le orecchie, curioso.
I gemiti sembravano provenire da dietro l’angolo. Tom rimase immobile, indeciso, ma visto che i singulti cominciarono ad aumentare di frequenza ed intensità, decise di andare a vedere. Si avviò lentamente verso l’unico cantuccio nell’ombra, vicino ad un enorme albero frondoso. Con il cuore che gli pulsava nelle orecchie, scostò un ramo basso che gli copriva la visuale, e trasalì. Una figura, rannicchiata, piangeva sommessamente e disperatamente. Alla luce, quasi inesistente, della luna e delle stelle attraverso i diversi rami, osservò solo che la ragazza indossava un corto vestito blu e aveva un elaborata acconciatura che le raccoglieva i capelli in cima alla testa. Tom aguzzò di più lo sguardo, desideroso di conoscere chi fosse quella giovane.
All’improvviso, un argenteo raggio lunare filtrò attraverso il fitto baldacchino di rami e foglie, e colpì la figura, donando riflessi perlacei ai suoi lunghi capelli castani e facendo rilucere nell’ombra i variegati braccialetti che adornavano le sue lunghe, pallide braccia.
A Tom si gelò il sangue nelle vene. Trattenne il respiro, sbalordito, e mormorò con un filo di voce, scioccato:
-... Layla?!-.

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ANTICIPAZIONI: Nel prossimo capitolo: "Il sogno di Bill" ^_^


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Capitolo 20
*** _Sogno e Realtà_ ***




-Uhmmm... Mmmgnoooo... Uhmm uhmmmm...-.
Bill si agitava nel sonno. Il suo cuore batteva all’impazzata. Le sue dita stringevano convulsamente la coperta. Sudore freddo gli imperlava la fronte, corrugata. Dietro le sue palpebre serrate, solo buio e paura. Le sue gambe si muovono quasi ritmicamente, scattando in avanti per poi rilassarsi, e di nuovo scalciavano, una dopo l’altra, in una folle, affannosa corsa.
Sì, ecco. Sta correndo...

*----'Corre, scivola, cade, si rialza e continua a correre, senza però muoversi da quello stesso punto, desideroso di raggiungere una meta inesistente. È solo, al freddo, e niente attorno, sotto sopra, accanto a lui cambia.
C’è solo una flebile luce, lontana e irraggiungibile, che occhieggia nella sua direzione, invitante più che mai. Sembra proprio lì, vicina, a portata di mano, ma sia Bill che il bagliore pulsante sanno che si tratta solo di un’illusione.
Bill comincia a rallentare, sfinito, e poi si ferma per riprendere fiato, per calmarsi e riflettere, o forse per arrendersi di fronte ad una evidente realtà. Sconfitto, praticamente annientato, si siede per terra... Se così si può chiamare una “lastra” di buio, orizzontale e dura. Ansima, e si tiene una mano sulla milza, dolorante.

All’improvviso, insospettato quanto concreto, un accecante lampo biondo attraversa il suo campo visivo. Bill solleva la testa da terra, sorpreso, e comincia a guardarsi attorno. Con la coda dell’occhio riesce infine a scorgere il guizzo: verso l’oscurità. Di nuovo, lontano dalla luce.
Quasi senza rendersene conto, si ritrova in piedi, e prima che perfino lui riesca ad accettarlo, si mette ad inseguire quella specie di fiamma saettante, che ora è qua, ora è là. Destra, sinistra, su, giù, Bill corre, ma non capisce più nulla, sta perdendo l’orientamento... O forse non l’ha mai avuto, in quell’inquietante luogo del suo subconscio...
Nonostante una parte di lui si renda conto di trovarsi in un sogno, l’altra porzione di sé, più ampia e decisa, non vuole demordere e svegliarsi, non ancora: desidera capire di che cosa si tratti quella rassicurante manifestazione di vita dopo tanta oscurità e solitudine.
Sfiancato, dopo interminabili attimi di corsa incessante, dilatati in anni da una assurda concezione del tempo, si ferma ancora, non riesce più a proseguire. Inciampa nei propri piedi, si lascia scivolare a terra appoggiando il viso sudato al suolo, e rimane steso a quel nero niente, che non è né caldo né freddo, né vivo né morto.
Chiude gli occhi, respirando affannosamente, o almeno crede, non può dirlo con certezza... Anche se le sue palpebre si abbassano, nulla cambia: nero prima, nero per sempre...

Di nuovo un guizzo colorato. Bill solleva la testa di scatto, nuovamente attivo e attento, senza più una traccia di stanchezza, svanita al miracoloso contatto con il terreno. Quella strana fiamma lo attrae con forza incredibile. Con un po’ di fatica, si alza in piedi, ancora leggermente intontito e malfermo. Si volta.
Da una parte la luce, lontana, sempre lì, irraggiungibile, accende di stelle i suoi occhi e fa splendere i suoi lineamenti.
Si gira ancora. Dall’altra parte, l’oscurità, soffoca il suo sguardo e il suo respiro, come una coperta troppo pesante, e sembra lo anneghi nell’ombra. Della fiamma nessuna traccia.
Deluso, Bill abbassa le braccia, già protese in avanti verso il barlume dorato appena intravisto e già scomparso, e la lascia penzoloni e cascanti, lasciandosi prendere dalla delusione, sicuro di essere rimasto solo una volta per tutte. Di nuovo.
E ancora, un senso di vuoto lo pervade e annulla ogni suo pensiero.
Indeciso se rimanere dov’è o proseguire, fissa con aria assente l’impenetrabile cortina di buio, lo sguardo sbarrato e spento. Sospira, fa per avviarsi tra le braccia di quell’eterna notte, vinto al suo destino, quando, improvvisamente, un trillo, una melodia lontana, argentina e squillante, come un dolce coro di angeli, arriva fino alle orecchie piene d’oscurità del ragazzo, che si rianima all’istante. Resta immobile, concentrandosi, ed eccolo di nuovo, più vicino. Bill sorride e ancora riprende a voltarsi, contorcersi, dimenarsi nell’ombra, nuovamente vivo, soprattutto non più solo.
La melodia, a poco a poco, comincia a trasformarsi in un canto sommesso, sempre più vicino, incredibilmente attraente ed evidentemente pericoloso.
Bill si blocca e si raddrizza piano. Forse ha capito. D’altronde, questo è il suo sogno. O meglio, il suo incubo...

Si gira, lentamente stavolta, verso la luce, ed eccola.
Stagliata finemente contro il bagliore indistinto, una magra figura, quasi eterea tanto è aggraziata inizia ad avvicinarsi lentamente, come canticchiando fra sé e sé.
Il ragazzo, prima euforico per la sua scoperta, diventa subito ansioso, e poi addirittura spaventato. La figura è più distinta, ora. E subito, a Bill si gela il sangue nelle vene: ha riconosciuto la canzone, finalmente. E anche la donna dal viso d’angelo. Rimane impietrito dalla paura mentre il cuore, contrario, gli rimbomba nelle orecchie, come una tamburo d’avvertimento.
Lei. Giusy, i fiammeggianti capelli, sciolti, ribelli, gonfiati da una brezza apparsa dal nulla, si trova a pochi passi da lui. È a piedi nudi, e indossa un leggero vestito bianco. Ma la cosa che ovviamente colpisce di più è che sul suo viso in controluce un sorriso risalta come la fiamma di una candela nella tempesta.
Avanza ancora, inesorabile, sempre cantando dolcemente, e solo quando i suoi occhi di diamante si fissano in quelli di Bill, nocciola e spaventati, si ferma.
Un odore di putrefazione, di morte, invade il naso del ragazzo quando lei si sporge in avanti, tanto da sfiorarlo.
E mentre le ultime parole di “Spring Nicht” gli vengono alitate addosso da quell’anima dannata, lo vede: un coltello dall’elsa dorata, lucente, argentato, minaccioso, stretto nella mano destra della donna. E Bill capisce.
“...Dann spring ich für Dich...”.
Un sorriso. Uno scintillio. E un’ultima nota che risuona vibrante nel buio.
Giusy leva il coltello, e senza una parola, guardandolo negli occhi, lo infilza veloce e precisa, sorridente, nello stomaco del ragazzo.

Bill non chiude gli occhi. Non ce la fa. Sente solo un dolore lancinante alla pancia, il sangue che gli sale alla gola e un profumo dolcissimo che gli arriva alle narici, stordendolo.
Tiene lo sguardo fisso davanti a sé, vitreo e vuoto, mentre capelli biondi gli solleticano il collo. Giusy si appoggia piano al suo petto, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, e decisa, spinge ancora più a fondo la lama nella carne del ragazzo.
Ancora sangue. Gli arriva in bocca, amaro, e gli invade le vie respiratorie. Giusy ride piano, poi si stacca lentamente dal corpo di Bill, che si accascia immediatamente a terra, privo di forze, tenendosi una mano sul petto. Poi, con un lampo biondo, la ragazza svanisce nel buio.
Bill tossisce, e macchie rosse colorano con schizzi irregolari il nero piatto e monotono.
Il dolore, acuto e freddo, proprio lì, dentro di lui, aumenta, mentre il gelo comincia ad invadergli il corpo, immobilizzandogli gli arti. Bill si stende a terra sui un fianco, sussultando e tremando, intanto che liquido rosso continua a colargli da un angolo della bocca. È solo. non piange, però. Non ci riesce. È tutto inutile, ormai. Lui è solo.
Chiude gli occhi. E nel buio rimane...

Improvvisamente, nulla. Non più dolore, non più freddo. Non più nemmeno il niente. solo un senso di leggerezza allo stomaco e qualcosa di pesante sulle gambe.
Bill apre di scatto gli occhi. È ancora tutto buio, ma la luce stavolta è più vicina. Solleva la testa. Se la sente quasi priva di peso. Il suo viso è pulito, e sulla lingua ogni sapore sgradevole si è dissolto. Incredulo, sorride, e si tocca con mani tremanti il petto, lo stomaco, i fianchi: niente di niente, nessun coltello, nessuna ferita. Niente sangue, né dolore. Dall’euforia, Bill fa per alzarsi e mettersi a correre verso la luce che, stavolta ne è sicuro, riuscirà a raggiungere, ma un qualcosa sulle gambe lo tiene fermo a terra. Ancora ridendo a fior di labbra, il ragazzo abbassa lo sguardo.
Il sorriso gli scivola lentamente dalla bocca, sostituito da una smorfia d’orrore.

Stesa a terra, con la testa appoggiata su di lui, i capelli in disordine, Jade è lì. Sussulta, trema, singhiozza quasi, mentre dalle sue labbra fredde del sangue continua ad uscire ininterrottamente. Respira piano, troppo piano, e con fatica, e le se sue dita scattano continuamente, chiudendosi a pugno, graffiando la pelle delicata, cercando di afferrare l’aria.
Bill, preda di un fastidioso ronzio nelle orecchie, tremando a sua volta, afferra lentamente e con estrema delicatezza le mani sussultanti della ragazza, che solleva lo sguardo dorato, umido e spento. Le sue labbra si aprono e chiudono, socchiuse. Sembra che voglia dire qualcosa, ma il sangue, il dolore o chissà che altro glielo impediscono.
Bill, mentre due calde lacrime gli scivolano decise sulla guancia, prende il viso gelato di Jade fra le sue forti mani e rimane ad osservarla, incredulo, confuso, incapace di proferir parola.
Un luccichio attira improvvisamente la sua attenzione. Bill abbassa lo sguardo e... Per lo spavento lascia quasi la presa sul volto della ragazza. Lì, conficcata profondamente nel suo morbido stomaco, la lama di un coltello dall’elsa dorata occhieggia nella sua direzione.
Il ragazzo trattiene il respiro, immobilizzato, mentre si sporge in avanti, e tocca sconvolto l’impugnatura insanguinata. Jade sobbalza, e stringe i denti, in preda ad un dolore più forte di lei. Bill ritrae subito la mano, terrorizzato. La ragazza annaspa, e solo con grande sforzo riesce a sollevare una mano e aggrapparsi tremando alla maglietta sporca di sangue del giovane, che si china all’istante sul volto stravolto di lei.
I loro visi vicini sono entrambi bagnati di lacrime.
Bill non trova la voce nemmeno per rassicurare Jade e sé stesso, ma lei sì.
Mentre già gli occhi le si rovesciano all’indietro, bianchi e vuoti, trova comunque la forza di fissare il suo sguardo dorato e vuoto su quello incredulo del ragazzo.
Gorgogliando quando ancora liquido rosso le colora le labbra, mormora:
“Bill... Bill...”.
E ancora lacrime, e un urlo disperato che squarcia il silenzio opprimente mentre una mano priva di vita scivola a terra e tutto cade nell’oblio...'----*


-Bill! Bill!!!-.

Qualcuno lo sta chiamando... Ma che importanza ha adesso? Non ha più niente, è solo, e tutto è vuoto... No, deve rispondere, deve...
Bill improvvisamente si risvegliò, aprì di scatto gli occhi, inondati da amare lacrime salate, e si drizzò all’istante a sedere, inspirando rumorosamente, riempiendosi i polmoni di aria fresca e pulita, finalmente.
Luce. Questa fu la prima cosa che notò il ragazzo sconvolto.
Poi un tavolino, finestre, uno specchio, un letto, coperte e... lei.
In ginocchio sul materasso, di fianco a lui. Ansiosa, preoccupata, spaventata, ma viva. Sana e salva. E soprattutto, ancora insieme a lui.
-Ti ho sentito muovere parecchio e poi forse hai urlato... Cosa è successo?-, disse a mezza voce la ragazza.
Bill si girò a fissarla, e non appena si rese conto di non stare sognando, sorrise, e mentre piccole gocce trasparenti ricominciavano a solcargli il viso, si voltò e abbracciò di slancio la giovane, facendole morire le parole in gola.
-Sei viva... Sei qui... Sei qui...-, continuava a sussurrare.
Jade, confusa, ricambiò quella stretta tanto forte che le toglieva il respiro, e boccheggiò all’orecchio bagnato di lacrime del ragazzo singhiozzante:
-Ce-certo che sono qui! Bill, non è successo nulla!-.
Bill si staccò piano, e Jade, guardandolo con uno sguardo carico e rassicurante fisso negli occhi terrorizzati del giovane, gli prese il viso tra le mani, spazzando via le lacrime con gesti circolari del pollice, e mormorò:
-...Solo un sogno,Bill! È stato solo un brutto sogno...-.

E mentre la pioggia cominciava a picchiettare sul vetro delle finestre, come a voler lavare via tutto il dolore di un sogno forse premonitore, in quella stanza d’albergo, il suono di dolci baci e di tranquillizzanti carezze risuonava come campane in festa, facendosi largo a forza nel rumore di confessioni tenute nascoste.

Poco lontano invece, appena un piano più giù, sotto un cielo plumbeo e arrabbiato, due figure dai contorni avvolti dalla fitta pioggia si fissavano, una incapace di fornire spiegazioni, l’altra di ascoltarle.

E ancora, strepito di risposte non dette, che rumoreggiano e rimbombano come tuoni, in realtà si rivelano avere un dolce profumo di boccioli in primavera, che portano una brezza di un nuovo, imprevedibile inizio.  

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Questo capitolo è stato abbastanza malinconico (diciamo pure triste, và!), però spero vi sia piaciuto lo stesso... Se lasciaste qualche commentino piccino-picciò mi fareste decisamente felice! ^_^
Ringrazio le fedelissime, ovvero chi mi fa trovare una recensioncina a quasi ogni capitolo, e anche chi solo legge... DANKE!
Arrivederci al prossimo chappy, che vedrà come protagonisti Tom e Layla... >>> Possibile materiale "scottante", ma non troppo, o questa fic non sarebbe "verde"...XD Auf Wiedersehen!!!

P.S. Ho imparato come fare le scritte colorate! XD  Woooooooow!!!



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Capitolo 21
*** _Thè al limone e Lettera_ ***




Tom, una mano appoggiata al tronco dell’albero e l’altra floscia e cascante lungo il fianco, era a dir poco sbalordito.
La scoperta della ragazza che avrebbe dovuto portare a cena un’ora prima, in lacrime e sconvolta, l’aveva scioccato. Perciò, dopo vari secondi di tensione, riuscì solo a balbettare un flebile:
-... Layla?! Sei tu? Cos’è successo?!-.
Layla sussultò, spaventata da quella voce, e sollevò la testa in direzione del ragazzo, trafiggendolo da parte a parte con uno sguardo azzurro cielo umido, triste e bellissimo.
Una nuvola veleggiò lenta e silenziosa in quel mare nero, e la pallida luce lunare bagnò di nuovo quei due piccoli corpi.
Azzurro e nocciola. Nocciola in azzurro. Cielo nella terra. E terra nel mare.
I due giovani continuarono a fissarsi negli occhi per attimi interminabili, durante i quali domande e risposte si scontrarono con scintille nel vuoto tra loro.
Un’altra nuvola venne soffiata di nuovo davanti alla luna.
Buio.
Nell’oscurità, Tom riuscì a scorgere i contorni più scuri della ragazza che si muoveva, si alzava frettolosamente, si sfregava il viso e gli scivolava accanto.
Durante il suo breve spostamento, Tom riuscì quasi a percepire il fantasma di  due fredde labbra sulla guancia, e l’ombra di uno - Scusami...- mormorato all’orecchio.
E poi, un profumo di violetta e di ruscello cristallino e puro, forse, quando una massa scura di capelli gli frustarono delicatamente il viso.
Per la sorpresa, Tom non riusciva a muoversi. L’immagine degli occhi puri e incredibilmente profondi della ragazza inondati di lacrime, nei quali aleggiava il riflesso dei suoi, nocciola e confusi, bagnati da un argenteo raggio di luna, popolava ancora la sua mente. Era come ipnotizzato. Fissava il buio lì in basso, a neanche un metro da lui, dove appena prima il caldo corpo della ragazza giaceva, scosso dai singhiozzi.

E improvvisamente, qualcosa scattò. Alla recente figura di quella giovane dagli occhi di cielo prese il posto il ricordo di quasi due ore fa: un’altra ragazza, stavolta dallo sguardo d’oro, che dormiva serena accanto a suo fratello. Serena. Tranquilla. Ormai non aveva più bisogno di lui...
E oltre a quelle, tante, tante altre immagini: lei che sorrideva, lei che muoveva i capelli, lei che metteva il broncio, lei che gli parlava. E lei che parlava con suo fratello, che gli sorrideva, che faceva finta di arrabbiarsi... mentre lui era stato messo in disparte.
E ancora... Quel suo modo di fare, spontaneo e allegro, deciso e testardo, sensibile e generoso.
E infine, quella volta...
Un bagno di uno studio televisivo, loro due soli, e sorprendenti carezze non più nascoste.
Tom sentì una fitta allo stomaco: aveva riportato alla mente il suo ricordo più doloroso.
Lei, sempre lei. Così fresca, profumata, sorridente, diventata di colpo una debole creatura spaventata, terrorizzata dal peso del suo amore...
Lei in lacrime, rossa in viso dalla vergogna, tremante dalla rabbia, che scappava via lontano da lui...
Tom si riscosse, e vide nella realtà il riflesso di quella situazione. Non poteva permetterlo...

Senza pensarci, senza ragionarci, senza rifletterci, si voltò di scatto, riuscendo ad intravedere tra il buio della notte e la luce dei lampioni un’indistinta macchia blu e un alone nero, confuso, che ondeggiava durante la corsa, appena più avanti.
Quasi staccato dal proprio corpo, Tom si vide cominciare a correre a sua volta, raggiungere senza fatica la ragazza coi tacchi, fermarla, trattenerla per una braccio, e perdersi nuovamente in quel blu mare.
E scoprire il colore delle sue guance, la morbidezza della sua bocca, la pienezza delle sue labbra...
Improvvisamente, come un fantasma, rientrò in possesso del proprio corpo e della propria mente, e si rese finalmente conto di ciò che aveva fatto.
Layla ora non piangeva più, ma ancora non era serena.
Silenzio. Tom stringeva tra le sue ancora le mani congelate della ragazza, che fissava terra imbarazzata.
Poi, dalla bocca del ragazzo uscì in un sussurro una delle poche frasi che ci si sarebbe aspettati di sentire in quel momento:
-... Che ne dici se ordiniamo una pizza?-.
Layla, infatti, alzò la testa e sgranò gli occhi, sorpresa, poi riabbassò lo sguardo ancora un po’ bagnato e annuì al marciapiede.
Tom sorrise gentilmente, e mettendole una mano dietro la schiena, cominciò a sospingerla nel modo più delicato possibile dentro l’albergo, dritto nella camera 329.


-Stai comoda? Ti serve qualcos’altro?-.
Tom passò davanti al divano della sua stanza con in braccio una coperta ed un cuscino, che subito scaricò con davvero poca grazia per terra.
Avvolta strettamente in un’altra coperta, e con in mano una tazza di tè bollente, Layla fece segno di no con la testa. Da tanto le battevano i denti, non riusciva nemmeno a parlare.
Tom la osservò qualche secondo mentre lei beveva, poi si voltò e sparì nell’altra stanza.
Tornò neanche due minuti dopo con in mano a sua volta una bella tazza di tè fumante.
Spostò con un calcio il cuscino sul pavimento, facendolo rotolare sotto il tavolino, e afferrando con una mano la coperta sul tappeto, se la avvolse tutt’intorno, rabbrividendo piacevolmente.
-Davvero efficiente questo servizio in camera, non trovi? Meno male che non hanno fatto storie per darci il doppione della chiave della stanza, se no sai che casino!-, disse ridacchiando, poi si sistemò meglio la coperta, guardando avanti a sé.
La ragazza lo fissò a sua volta mentre Tom assaggiava la bevanda e allontanava la tazza, disgustato, e chiese titubante:
-Non... non vuoi chiedermi perché stavo così male?-.
Tom si sporse sul tavolino e cominciò a mettere tonnellate di zucchero nel tè, rendendolo più dolce di una mela caramellata. Senza guardarla, impegnato com’era, le rispose ridacchiando:
-Detto così sembra che ti fossi preparata apposta a fare tutte quelle scene...!-.
Layla sussultò.
-... ma non ci credo...-, continuò Tom, immergendo per l’undicesima volta il cucchiaino pieno nella tazza. Si raddrizzò e cominciò a mescolare, guardando la ragazza, un mezzo sorriso stampato sulle labbra:
-... Credo invece che se tu avessi voluto dirmi cosa ti era successo non saresti scappata via dopo avermi visto, no?-.
Layla arrossì e abbassò lo sguardo.
-In effetti... Non mi sono comportata proprio bene... Ero davvero sconvolta... Il fatto è che...-.
Si voltò. Il viso di Tom era decisamente troppo vicino al suo. Il suo alito zuccherato la stordiva. Si girò, tornando a fissare le pieghe sulla coperta, rossa in viso.
-...Comunque... Grazie... per tutto...-.
Tom sorrise:
-Non c’è di che! Stavi davvero congelando là fuori, senza uno straccio di giacca! Se te ne fossi rimasta seduta ancora un po’ sull’erba ghiacciata il tuo bel sederino si sarebbe trasformato in un blocco di ghiaccio, e sarebbe stato un veeero peccaaato!!-, scherzò il ragazzo, annuendo convinto.
Finalmente, anche Layla sorrise, e nella stanza in penombra sembrò accendersi una luce. Tornò seria, abbassando per l’ennesima volta il capo, e la luce si spense.
Anche Tom lasciò che il suo sorriso si spegnesse lentamente, ma rimase a fissare con un’intensità quasi dolorosa il volto dai lineamenti decisi della ragazza.
Lei, sentendosi osservata, si girò, e per la seconda volta, il bel viso di Tom, decisamente vicino, la immobilizzò. Stavolta, però, lei non si sottrasse.
E può sembrare incredibile, ma per la seconda volta i due sguardi divennero uno.

Negli occhi di mare di lei, una nave maestosa e forte vi navigava, intrepida durante le tempeste, ed estremamente dolce nella bonaccia.
Negli occhi nocciola di lui, il cielo, terso e pulito, vi riposava sereno, non lontanamente sporcato da nuvole o bugie...
I visi dei due ragazzi cominciarono ad avvicinarsi, gli occhi socchiusi, le guance rosate, nessuna traccia di tremito di freddo o paura.
Layla chiuse gli occhi, Tom allungò le mani.
Layla dischiuse le labbra, Tom mosse le dita tiepide verso l’alto, sotto il vestito di lei.
Layla rabbrividì, e sorrise. Aprì gli occhi e mordendosi il labbro inferiore, mise le sue mani sul collo di Tom, e lo attirò a sé, spinta, decisa. Il genere di ragazza che piaceva a lui, insomma.
Tom sorrise a sua volta, e senza più pensarci fece sue quelle labbra rosate di ciliegia, profumate.
Ben presto, i baci casti e timidi si fecero più spinti, più passionali, più desiderosi di quelli e forse di qualcos’altro in più.
Tom non resisteva più. Fascia, cappello e maglia finirono a terra, insieme a due coperte ormai inutili.
Il ragazzo intrecciò le dita nei capelli della giovane, sciogliendo l’elaborata acconciatura ormai floscia e disordinata. Una pioggia di minuscole forcine e legacci per capelli cadde il tavolino, i cuscini, la coperta.
Lei ricominciò a baciarlo, sempre più avidamente. Dov’era finita adesso la piccola ragazza timida e spaventata?
Tom si staccò dalla sua bocca, le aprì il vestito, e cominciò ad accarezzarla sul collo, sulla spalla, sul seno sulla pancia con le sue labbra di fuoco.
Poi si fermò. Aprì gli occhi, e torturandosi il piercing dall’impazienza e dall’eccitazione, sorrise, e in una mossa, si fece scivolare via i jeans.
Nella sua mente, impressa e in rilievo per sempre, l’immagine di due caldi e stupendi occhi ambrati dagli incantevoli riflessi d’oro.
 
***

In un’altra stanza, Jade si svegliò di colpo e rabbrividendo, cominciò a sfregarsi le braccia.
Bill, che dormiva saporitamente con la testa appoggiata al petto della ragazza, si ridestò a sua volta con uno sbadiglio, alzò il capo, assonnato, e strizzando gli occhi per mettere a fuoco la ragazza, domandò con voce impastata:
-Che succede? Ti senti male?-.
Jade si voltò a guardarlo accigliata, e mormorò:
-No, no... Mi dispiace di averti svegliato, ma mi sono corsi lungo la schiena dei brividi freddi...-.
Rabbrividì ancora, e abbassò le braccia. Bill le prese le mani, le baciò delicatamente e se le portò al petto, incrociandole. Ci pensò su un attimo, poi sorrise e sussurrò:
-Forse sono io a dovermi scusare... Ti devo aver nominato nel sonno, per quello che ti sono venuti i brividi! Giuro che non ti penso più!-, ridacchiò piano.
Anche Jade rise nella penombra e mormorò uno -Scemo...-.
Bill alzò la testa e rimase a guardare negli occhi ancora un po’ assonnati la ragazza.
Un sorriso si aprì sui loro visi mentre Jade si chinava a baciarlo, chiaramente invitata dal moretto che sporgeva insistentemente ed esageratamente le labbra in fuori, verso di lei.
Quei piccoli baci, dolci ed intensi, che di tanto in tanto si scambiavano i due innamorati erano la loro più grande felicità, ed erano più che contenti così, nonostante in Bill esistesse ancora, sopito e paziente, però, il desiderio.
Ad occhi chiusi, incollati per le labbra, i due ragazzi cominciarono a rotolare lentamente verso il bordo del letto.
Sopra e sotto iniziarono a mischiarsi, confondersi e annullarsi del tutto, infine.

Sotto. Jade, sormontata da Bill che la abbracciava per i fianchi sperava solo che quel momento di pura estasi non finisse più.
Sopra. Bill, delicatamente avvolto dalle lunghe braccia di Jade, era decisamente in Paradiso. Aprì piano un occhio e allungò una mano per spegnere la lampada sul comodino, ma le sue dita avvertirono qualcosa di diverso del freddo, liscio interruttore.
Sgranò entrambi gli occhi, e si staccò da Jade, che rimase assurdamente immobile, la testa protesa in avanti, le labbra ancora in fuori.
-Ehi, ma io non avevo finito!-, protestò capricciosa, gonfiando le guance come un piccolo criceto.
Bill la ignorò, e accigliato, prese il foglio che sul comodino di legno spiccava come neve.
Avvicinò la carta alla lampada, e dopo aver letto il breve messaggio scritto con un grafia decisamente familiare, sbarrò gli occhi e balzò in piedi all’istante.
Jade era interdetta:
-Ma cos’hai? Che succede?!-, esclamò confusa mettendosi in ginocchio sul letto.
Bill le sfrecciò accanto andando in bagno, sempre con il foglietto spiegazzato stretto nella mano, e tornò due minuti dopo completamente vestito.
Jade si era anch’essa alzata in piedi, e guardava atterrita i comportamenti meccanici e frenetici del ragazzo.
Quando quest’ultimo tentò di guadagnare la porta, però, finalmente si mosse, e si aggrappò di slancio al suo braccio, chiedendo ansiosa:
-Bill!! Mi vuoi dire che succede?!-.
Bill rimase immobile qualche secondo, lo sguardo fisso davanti a sé, respirando affannosamente. Poi si voltò a guardare la ragazza, furioso, e urlò:
-Tom è un grandissimo idiota!!-.
E liberandosi bruscamente dalla presa della ragazza, abbassò con forza la maniglia e sparì quasi immediatamente, inghiottito dal buio del corridoio deserto.
Jade, sconvolta, non poté fare altro che fissare una porta che tornava, sbattendo, e il pigro volteggiare di un pezzo di carta.
Alla debole luce arancione dell’abat-jour, lettere ancora lucide d’inchiostro luccicarono invitanti:

“Caro Bill,
non ho voluto svegliarti prima, dormivi così bene...
Volevo solo avvisarti che ho preso una decisione che probabilmente non condividerai: sono andato ad un appuntamento con Layla, l’amica di Giusy.
Non so cosa comporterà questo incontro, voglio solo dirti che è stata tutta una mia idea, e che ciò che potrà accadere non mi importerà, anche se sarà colpa mia...
Non cercarmi, mi farò vivo io...
Siate felice tu e Jade.
Tom.
 
 
________________________________________________________________________________________________________________________

Eh sì, il nostro Tomi potrebbe averla combinata grossa! Ma i suoi guai non finiranno certamente qui! Anzi, forse proprio a causa della sua scelta avventata potrebbero moltiplicarsi... Eppure dovrebbe aver imparato a non fidarsi degli sconosciuti!

E con la "saspens" che vi ho lasciato, vi dico "Auf Wiedersehen" al prossimo chappy! ^_^

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Capitolo 22
*** _In die Nacht_ ***



Ancora, correva. Gli sembrava di non aver fatto altro per tutta la vita. Neanche tre metri lo speravano dal suo obbiettivo, ma a lui sembravano tre chilometri. Il corridoio è buio, ha paura di inciampare.
Corre.
Eccola, proprio lì, a sinistra, ce l’ha quasi fatta.
Può scorgere la maniglia, poi il legno, ogni singola venatura e un po’ più in alto il numero.
Stanza 329.
Bill trattenne il fiato, alzò il pugno tremante e... *****

Improvvisamente, Tom si fermò. Aveva il fiato corto e si sentiva lo stomaco vuoto e contratto contemporaneamente. Non era per fame, e lui lo sapeva.
Sospirò, sentendosi un senso di nausea in gola, e si scostò dalla ragazza, mettendosi a sedere, il viso nascosto.
Lei si tirò su, aggrottò le sopracciglia, oscurando per un attimo il blu cielo, e chiese dolcemente:
-Tom, cosa c’è che non va?-.
Tom, con solo i boxer addosso, era seduto con la schiena curva e la testa bassa. Neanche lui sapeva cosa non andava. In effetti, era veramente allarmante che proprio lui, il SexGott avesse difficoltà ad andare a letto con una ragazza. Una delle tante... Oppure no?
Layla, senza nemmeno tentare di coprirsi il petto nudo, ogni pudore svanito insieme al freddo che provava poco fa, gli scivolò piano accanto, e posò una mano sulla spalla del ragazzo.
-Tom...-.
Il giovane si scostò il più delicatamente che poté dalla leggera stretta sul suo braccio, si alzò in piedi, un po’ insicuro, e annunciò in un borbottio indistinto qualcosa del tipo: -Ho bisogno di un bagno...-. Detto questo, arrancò verso la porta, sicuro di dover andare a vomitare da un momento all’altro, e vi si chiuse dentro.
Poco dopo l’acqua cominciò a scorrere, soffocando qualsiasi rumore provenisse dall’interno.   

Layla sbuffò e si stese sul divano, abbandonando la testa sullo schienale, pensando a quello che aveva fatto e a quello che per poco non aveva finito.
Rimase così, riflettendo, diversi minuti, poi si alzò, e tanto per fare qualcosa,iniziò a mettere in ordine la stanza, raccogliendo coperte e vestiti sparsi a terra.
Passò davanti alla finestra, e decise di mettersi comunque qualcosa addosso, nel caso qualcuno avesse spiato dentro: improbabile, ma non impossibile.
Così, senza esitazione, afferrò l’enorme felpa di Tom e se la infilò. Era talmente lunga che quasi le arrivava alle caviglie. Ridacchiò, e ricominciò la sua maniacale pulizia.
All’improvviso, un sordo bussare alla porta la fece immediatamente raddrizzare da sotto il tavolino, dove cercava di ripescare un cucchiaino finito decisamente in fondo.
Si alzò lentamente in piedi, attenta. L’acqua smise di scorrere.
Mordendosi il labbro inferiore, attese, e  il bussare ricominciò più forte.
Layla, attenta, mollò tutto sul divano e si avvicinò circospetta alla porta, tentando di fare meno rumore possibile.
Arrivò davanti al lucido legno, ed esitò. Alzò una mano, indecisa se girare o no la chiave, quando...
-Tom! Tom!! Ci sei? Tom!!!-.

STUMP!
La voce di Bill le aveva fatto fare un salto all’indietro dallo spavento, e la sua gamba nuda aveva urtato un basso tavolino, facendolo per poco cadere a terra.
Silenzio.
Layla era immobile, le dita ancora strette al legno del tavolo che aveva miracolosamente recuperato prima che questo cadesse. L’aveva forse sentita?
Lasciò con attenzione la presa, assicurandosi che il mobile fosse di nuovo stabile, e si avvicinò di nuovo in punta di piedi alla porta, appoggiandovi un orecchio.
Un concitato parlottare, leggermente isterico, proveniente dall’altra parte la fece sorridere.
Dopo qualche secondo, le voci si allontanarono, insieme al rumore di due paia di passi sulla moquette.
La ragazza si scostò, e ridacchiando divertita, ricominciò a dedicarsi alle sue “pulizie di primavera” decisamente fuori stagione.
Una voce, dal bagno stavolta, però, la interruppe di nuovo. Un po’ soffocata dal pesante legno, Tom urlò:
-Layla?! Hanno bussato?-.
La ragazza scorse qualcosa sul pavimento, scivolata chissà quando sotto la porta. Gli fluttuò accanto con grazia,  prendendo il messaggio di Bill tra due dita, lo lesse con un sorriso crudele stampato in viso. Poi, cercando di rendere la sua voce il più candida e sincera possibile, strillò in risposta alla porta del bagno:
-No, no, ti devi essere sbagliato! Non è venuto nessuno...-, e passò davanti ad una finestra aperta, nascondendo in una tasca della felpa il biglietto accartocciato.

 
-----------------------------------------------------------*

Poco prima.
Tom si sedette sulla vasca, mentre il forte getto d’acqua rimbombava e rimbalzava sulle bianche pareti del bagno, facendo scoppiare di dolore la testa del ragazzo.
Ansimava, e si teneva una mano sulla fronte sudata.

‘Per la prima volta nella sua vita non ne aveva avuto il coraggio. Lui, Tom Kaulitz, si era tirato indietro nel mezzo del suo gioco preferito... perché?!’

Si teneva la testa fra le mani e ancora reprimeva la voglia di vomitare.
Stava male, molto male.

‘Era impossibile che il suo rifiuto, per quanto inaccettabile alla sua mente confusa, si fosse trasformato in un così acuto dolore fisico...’

Non ce la fece più. Cadde in ginocchio, tremante, e vomitò nel water. Sperò solo che il fragore dell’acqua coprisse il rumore dei suoi conati.

‘No, probabilmente solo la rinuncia non riusciva a spiegare il motivo del suo malessere... Cos’era, allora?!’

Tom mise a tacere a forza quella vocina nella sua mente.
Si rialzò, pallido come un cencio, e si asciugò la bocca, scosso da incontrollabili brividi di freddo. Si aggrappò alla vasca e si risedette sullo scivoloso, bianco bordo.
L’acqua era quasi arrivata al limite, fra poco avrebbe strabordato...
Allungò un braccio tremante, e tentoni riuscì a trovare l’interruttore.
Il getto si interruppe. Silenzio.
Alzò la testa. Le pareti oscillavano e la lampada sul soffitto ballava la sua folle danza.
Chiuse gli occhi respirando a fondo. Adesso si sentiva un po’ meglio, la nausea era passata, sostituita da un forte senso di stordimento.
Si alzò in piedi, tenendosi al termosifone, e continuò a respirare forte e profondamente per qualche tempo ancora.
Dato che non gli veniva più da vomitare, si spogliò definitivamente, e aggrappandosi saldamente al bordo per non mettere alla prova il suo fragile equilibrio, si immerse nell’acqua saponata.
Con un sospiro, si distese, lasciando fuori solo la testa, e chiuse gli occhi.
Cominciava a rilassarsi, infine.
“Sì, forse è per questo... Ero troppo teso...  Adesso devo solo rilassarmi... rilassarmi... lasciarmi andare...”, pensò Tom scivolando in un gradevole, momentaneo oblio.

All’improvviso, però, un sordo bussare e delle urla in lontananza lo ridestarono da quel piacevole dormiveglia.
Il ragazzo alzò la testa, forse troppo bruscamente, perché ricominciò a girare e dovette tenersela stretta tra le mani insaponate per non perderla.
Si drizzò a sedere stringendo i denti per rimanere il più lucido possibile, e tese le orecchie, mettendosi in ascolto: nulla. Gli era sembrato di udire il suo nome...
Aspettò qualche secondo, poi, accigliato, urlò all’altra stanza:
-Layla?! Hanno bussato?-.
Attese. Poi, un po’ soffocata, la delicata, argentina voce della ragazza gli strillò di rimando:
-No, no, ti devi essere sbagliato! Non è venuto nessuno...-.
Tranquillizzato, Tom riappoggiò lentamente la testa e chiuse ancora gli occhi.
I rasta, raccolti nella sua solita coda alta, gli davano fastidio. Allungò una mano e sciolse piano il legaccio, lanciandolo lontano.
I dread ricaddero come innocui serpenti facendo un rumore sordo sulla candida ceramica.
Il ragazzo se li sistemò meglio dietro la nuca, poi scivolò ancora più a fondo nell’acqua saponata, e serrò le palpebre contro la forte luce che gli feriva gli occhi.
Un sospiro, lungo, prolungato. Aria dentro. Pausa. Aria fuori. Calma.
“... solo rilassarmi... lasciarmi andare... rilassarmi... rilassarmi...”.    
E cullato dolcemente da quell’innaturale senso di spossatezza e nausea, Tom si addormentò, il viso sereno delicatamente accarezzato da acqua calda e ipocrisia.


***** Bill colpì con il pugno chiuso la porta di legno.
TOC TOC!
Nessuna risposta.
Riprovò, un po’ più deciso.
TOC TOC!!!
Ancora nulla.
Forse Tom faceva solo finta di non sentire...
Prese fiato e urlò:
-Tom! Tom!! Ci sei? Tom!!!-.
Appoggiò un orecchio alla porta, tentando di percepire attraverso l’impenetrabile legno un movimento, un sussurrio, un qualcosa che potesse tradire la presenza di qualcuno, lì dentro.
Poi, un rumore, soffocato ma chiaro. Qualcosa che urta contro un mobile. Bill tese ancora di più le orecchie. Non aveva sentito lo schianto a terra. Evidentemente l’oggetto era stato trattenuto.
Si scostò, e alzò di nuovo il pugno, pronto a bussare fino allo sfinimento, quando...
-Bill!!-.
Il ragazzo si voltò, e si ritrovò davanti Jade, arrivata di corsa, i capelli ancora un po’ spettinati, completamente vestita e assolutamente confusa.
-Bill! Cosa succede? Perché sei scappato via così?-.
Bill si guardò evasivamente attorno, in cerca di un suggerimento nei muti quadri e nelle immutabili pareti. Non trovò niente, così dovette voltarsi di nuovo verso la ragazza, che teneva le mani sui fianchi ed un’aria indispettita sul volto.
Bill prese e fiato, e parlando il più piano possibile, cominciò:
-Senti Jade...-. La ragazza dovette avvicinarsi per capirlo. -Tom... non so se lo è già, ma probabilmente finirà nei guai molto presto! Dobbiamo trovarlo prima che questo accada... Ti prego, non mi guardare così, ti dirò tutto dopo!-, supplicò Bill vedendo che Jade, testarda, stava per ribattere. - Adesso andiamo! ... Per favore!!-, aggiunse vedendo che la ragazza non si muoveva.
Lei sospirò, e disse, rassegnata:
-Vado a prenderti la giacca...-.
Bill sorrise, grato, e prima che i jeans scuri di Jade sparissero oltre la porta ancora aperta della loro stanza, le chiese a mezza voce, da lontano:
-Prendimi anche una penna e un foglio, per favore!-.
La mano della ragazza si agitò dietro di lei per far intendere che aveva capito.

Tornò due minuti dopo con tutto il necessario.
Passò il giubbotto di pelle a Bill e lei si infilò il suo più anonimo piumino. Poi tirò fuori dalla tasca un biglietto e una penna; passò anche quelli al ragazzo.
Bill la ringraziò, poi si mise sotto la debole luce di una lampada di cortesia e, mettendosi la lingua fra i denti per la concentrazione, scrisse in una scrittura un po’ tremolante il suo messaggio per il gemello, quando questo sarebbe tornato.
Poi, con cautela, lo infilò lesto sotto la porta, attento a non farlo scivolare troppo in là.
Si raddrizzò, sbatté un po’ le mani l’una contro l’altra per liberarsi dalla polvere ed esclamò:
-Ecco fatto! Ora usciamo...-.
E prendendo la mano della ragazza, cominciò a correre lungo il corridoio deserto, alla ricerca di un fratello e di un forte, incontenibile senso di colpa.

Fuori, all’aria aperta.
Bill e Jade arrivarono di corsa sul marciapiede deserto davanti all’hotel.
Rimasero qualche minuto a riprendere fiato, poi Jade domandò, ansimando:
-... E adesso? Dove andiamo a cercarlo?-.
Bill si voltò, con il respiro affannoso, e un lieve pizzicore di avvertimento gli salì alla nuca quando guardò verso l’alto, verso le finestre del primo piano.
-...Bill?-.
Il ragazzo scacciò in fretta quella sgradevole sensazione, e si voltò, cominciando a camminare lungo il marciapiede vuoto.
Jade gli corse dietro.
- Sai già dove potrebbe essere Tom?-.
Bill, continuando a camminare, si girò verso di lei, e con un sorriso amaro teso sul suo pallido volto, sussurrò solo:
-Non ne ho la minima idea...-.
E riprese ad avanzare nella notte, seguito dalla magra figura di Jade.

“In die Nacht”... Sì, stava inoltrandosi nella notte... e adesso era proprio da solo...   
 
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Che vi avevo detto?! Tom, il casinista n° 1, è nei guai... Grossi, ENORMI guai... Riusciranno Bill e Jade a tirarlo fuori da quella viscida e soffocante spirale di sotterfugi e bugie nella quale si è attorcigliato?
Per saperlo... leggete il prossimo capitolo!!! *Me è abbastanza sadica...*
Auf Wiedersehen, popolo! ^^

 

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Capitolo 23
*** _Pizza e Bar_ ***



Nel dormiveglia qualunque pensiero si annulla. Preoccupazioni? Dubbi? Paure? Tutto scompare in un delicato oblio. Il perfetto equilibrio...

Tom riemerse sputacchiante e senza fiato, aggrappandosi tentoni alla vasca, spruzzando acqua saponata tutt’intorno. Si rizzò a sedere, respirando avidamente l’aria fresca che da un bel po’ si era inconsciamente negato, e passandosi una mano sugli occhi per tornare a vedere, sbatté le palpebre, ansimando.
Si guardò intorno. Era nello stesso, freddo bagno che l’aveva accolto qualche minuto fa, e si trovava nella medesima vasca candida, accarezzato allo stomaco da acqua ormai tiepida.  
Chiuse gli occhi, intontito, e realizzò l’accaduto: si era addormentato, e probabilmente era sprofondato sotto il livello dell’acqua, rimanendo in involontaria apnea per chissà quanto, finché non aveva, evidentemente, più resisto, e si era risvegliato bruscamente.
Se non si fosse ridestato, in poco tempo sarebbe morto annegato...
Tom rimase ad ingoiare aria finché i suoi polmoni non furono pieni e riuscì a smettere di ansimare; dopodiché si alzò, un po’ insicuro sulle gambe, e dopo essersi frettolosamente asciugato, si avvolse un asciugamano bianco alla vita.
Aprì la porta e rimase un momento interdetto sulla soglia: il contrasto fra la luce accecante della stanza precedente e la semioscurità del salotto lo costrinsero a sbattere le palpebre più volte finché il suo sguardo non si fu abituato.
Poi, la vide. Lei.
Le gambe e le braccia quasi sfolgoranti nell’oscurità e il luccichio dei suoi occhi chiari gli tolsero il fiato. Lo aspettava, seducente e predatrice, indossando ancora la sua larga felpa. La visione delle labbra morbide incurvate in un seducente sorriso lo eccitava, ma quella notte non era quella giusta per lui.
Tom si sfregò mesto il collo, e guardando con aria di supplica Layla, dichiarò:
-Scusa piccola, stasera non è aria...-.
Layla sgranò gli occhi, sbalordita, poi si alzò in piedi, irritata, e sbottò:
-Come ‘non è aria’?! Non puoi trattarmi così! Ho aspettato che tu finissi il tuo maledetto bagno, ho preparato e pulito la stanza-, e indicò tutt’attorno. Tom si accorse solo allora delle tante candele rosse su ogni mobile. -... e tu mi dici solo ‘...’!-.
-Senti, bella, non te l’ho mica chiesto io!!-, la interruppe Tom, scocciato, lanciandole uno sguardo di puro fuoco che la paralizzò. La testa gli faceva un male cane, e nelle orecchie sentiva un ronzio più che fastidioso.
Lei si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo umido. Tom capì di essere stato troppo sgarbato. Tentò di rimediare in qualche modo:
-Senti... Vuoi...? Ti accompagno a casa...-.
Layla annuì, seria, e senza una parola, cominciò a mettere tutto in ordine.
Tom iniziò invece a rivestirsi silenziosamente, e quando rimase a torso nudo, si voltò e sussurrò:
-Ti spiace?-, tendendo una mano alla ragazza con un cenno alla sua felpa.
Lei, con uno sguardo duro come marmo, si spogliò e gliela lanciò, furibonda. Tom non si risparmiò di certo uno sguardo al suo bel sedere.
Quando tutto fu in ordine, Tom si avvicinò alla porta e girò la chiave, aprendola. Uscì fuori nel corridoio deserto con Layla al seguito, imbronciata, e per poco non si scontrò con un ragazzo alto e un po’ cicciotto, con un lungo naso adunco che lo faceva vagamente assomigliare ad un corvo, il viso costellato di lentiggini e brufoli.  
-Ups!-, esclamò quando per poco un giovane coi rasta non lo investì. Dedicò un ampio sguardo di approvazione alla brunetta dietro di lui, e solo quando la coppia lo ebbe superato, si riscosse. Trafficò un po’, poi tirò fuori da un’enorme tasca degli immensi jeans un foglietto tutto spiegazzato, e chiese con una vocetta acuta:
-Scusate, siete della camera 329?-.
Tom si voltò, scocciato, e alzando un sopracciglio, ribattè, indicando la porta dalla quale era appena uscito:
-Dì, ma sai leggere?-.
Il ragazzo arrossì violentemente dopo che si accorse del vistoso numero stampato su una targhetta dorata, ma si riprese quasi subito:
-Scu-scusatemi... Siete voi che avete ordinato due pizze? “Salamino piccante” e “Delicata”, mi pare...-, balbettò controllando ancora il foglietto unto, tenendo contemporaneamente due pizze in bilico su una mano, comparse forse magicamente.
Tom ricordò dell’ordinazione fatta per telefono poco prima, guardò in tralice Layla, che pareva aver rammentato la stessa cosa, e sorrise:
-No, mi spiace, devi aver sbagliato camera... Prova a quella affianco!-, indicò Tom ghignando, e presa per mano Layla, corsero fuori, lasciando perplesso il ragazzo-corvo, che diligentemente, si avviò a bussare alla stanza seguente, terrorista degli innocenti sogni altrui.

I due ragazzi, tenendosi per mano, sbucarono fuori ancora ridendo dello scherzo giocato al povero fattorino e l’aria fredda della notte li investì improvvisa, senza chiedere il permesso.
Tom rivolse un sorriso luminoso alle stelle, e un altro ancora più grande alla ragazza che gli stava a fianco. Si guardarono negli occhi qualche secondo, finché un’altra folata di vento non li cominciò a sospingere delicatamente verso l’albergo, invitante. Tom si schiarì la voce, in imbarazzo, e senza lasciarle la mano, prese ad accompagnare Layla al garage dell’hotel.
Tirò fuori il telecomando dalla tasca, sollevò la saracinesca ed eccola lì, il suo vero amore.
-Ciao, tesoro mio!-, flautò Tom lasciando immediatamente la presa sulla ragazza, e si fiondò a dare pacchette affettuose al cofano lustro della sua Cadillac.
Layla sorrise incrociando le braccia sul petto, e quando finalmente le effusioni amorose di Tom cessarono, si avviò a prendere posto sull’ampio sedile anteriore dell’auto.
Chiuse la portiera facendola sbattere.
-Attenta! Non essere così brusca con Cilla!-, la rimproverò il ragazzo mettendo in moto. La macchina fece le fusa, obbediente, e accese i suoi grandi occhi per illuminare la via da percorrere.
Layla sbuffò forte dal naso e trattenendosi dal ridergli in faccia, domandò a Tom in un ghigno:
-Cilla? Le hai anche dato un nome?!-.
-Ma certo! Hai mai provato a chiamare un cane solo “cane”? E un gatto solo “gatto”?-.
-Sempre-.
-Be’, ci potrebbero essere mille gatti che accorrerebbero quando tu li chiami così! E invece il mio tesoro si deve distinguere dalle altre macchine!-, illustrò pomposamente battendo i pollici su volante.
Layla era seriamente combattuta tra lo scoppiare a ridere e al rimanere ammutolita per non prendere troppo in giro il ragazzo. Scelse un compromesso:
-E perché proprio “Cilla”? Non dà l’idea di... una salsa piccante?-.
-Guarda che quello è il chilly! E comunque Cilla è il diminutivo di Cadillac, no?-.
Layla lo guardò di sottecchi, il viso illuminato a tratti dalle luci soffuse dei lampioni, e borbottò soltanto uno: -Se lo dici tu...-.
I minuti passarono in silenzio, tranquilli, senza bisogno di troppe domande o di assordanti risposte. All’improvviso la voce profonda di Tom ruppe la bolla di pace, e chiese:
-A proposito, non ti ho ancora chiesto dove abiti...-.
-Avevi mai intenzione di farmela questa piccola domanda?-, lo schernì Layla, ricevendo in risposta una linguaccia.
-Be’, a questo incrocio giri a destra, poi vai dritto una centinaia di metri e infine giri a sinistra...-.
-È vicino a quel pub, no?-.
Layla annuì. Tom annuì, ricordando quante volte ci era passato, per quel piccolo bar, a quante facce conosceva. E soprattutto, a quanti corpi...
Ovviamente non espresse ad alta voce i suoi pensieri, e continuò a guidare, sciolto e rilassato, giocando un po’ con il freno e l’acceleratore. Nonostante la sua espressione fosse serena, alla luce dei fanali delle altre auto uno strato di sudore freddo sulla fronte riluceva e un dolore incentrato alle tempie, invisibile, gli perforava però il cranio.

-Bill, fermati un momento!-, esclamò ansimando Jade.
Bill rallentò, e rimase ad aspettare la ragazza piegata mentre cercava di riprendere fiato. Tornò lentamente sui propri passi, e con un po’ di fiatone si chinò a sussurrare a Jade:
-Tutto bene?-.
Lei si raddrizzò, e respirando affannosamente, disse:
-Bill, tutto questo non ha senso! Tuo fratello potrebbe essere dovunque! Lui ha la macchina e noi siamo appiedati! Che possibilità abbiamo di trovarlo?-, domandò allargando le braccia, come a comprendere l’intera Germania.
-Non è colpa mia se non ho la patente!-, ribattè Bill incrociando le braccia sul magro petto.
-Di certo non è colpa mia se ti sei fatto bocciare all’esame!-, sibilò velenosa Jade di rimando.
L’aria gelida di Dicembre spazzava la strada e divideva come un coltello i due ragazzi. Il marciapiede buio illuminato fiocamente dalle luci dei pochi negozi ancora aperti era costellato di inquietanti ombre: normali oggetti di vita quotidiana, lì, parevano prendere vita sotto forma di serpenti, mostri e quant’altro.   
Bill sospirò, e in un mormorio disse:
-Non serve a niente litigare... Dobbiamo trovare Tom-, e presale la mano, ricominciò a tirare con impetuosità Jade fra ombre e paure. Lei, però, si ribellò: impuntò i piedi a terra e facendo il broncio, esclamò:
-Io non vado più da nessuno parte se tu non mi dici che diamine sta succedendo!-.
Bill sospirò di nuovo, e voltandosi lentamente verso la ragazza, sembrava molto più vecchio di quello che era.
-Senti, Jade, adesso non c’è tempo... Ti spiegherò tutto più...-.
-No, io voglio saperlo adesso! Sono stufa di correre di notte di ristorante, in bar, in bettole di ogni genere per... qualcosa che non so e che forse non mi interessa!-.
Bill sgranò gli occhi lasciando cadere la propria mano lungo il fianco:
-Non ti importa di Tom? Se sta bene o è in pericolo di vita per te è la stessa cosa?!-.
Jade si morse il labbro inferiore, ferita, e abbassando lo sguardo mormorò ad una lattina vuota ai suoi piedi:
-...No, certo che no...-.
-E allora devi fidarti di me!-, la incitò Bill, a metà tra l’esasperato e il supplicante.
Jade alzò lo sguardo dispiaciuto sulla mano che il ragazzo le tendeva, ed esitò.
-Jade...-. Lo sguardo dorato si fissò su quello nocciola. -Tu ti fidi di me?-.
Jade trattenne il respiro, e mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, sussurrò:
-...Sì...-.
Due mani si strinsero nuovamente, le dita insensibili per il freddo di nuovo miracolosamente calde. Jade si asciugò gli occhi, e con un sorriso, riprese a marciare dietro a Bill nella notte.
-Un’ultima tappa, poi torneremo in albergo e proveremo in qualche altro modo...-, urlò Bill scivolando fra bidoni della spazzatura e ombre inconsistenti. In quel momento più che in qualunque altro, rimpianse di non aver pensato a portare con sé il cellulare.
-Dove intendi andare?-, strillò Jade contro il vento che le riempiva la bocca e le faceva lacrimare ancora gli occhi.
La voce di Bill, portata dalle potenti folate, le arrivò forte e chiara alle orecchie, come se le fosse accanto, e non davanti:
-Un pub, poco più avanti. Tom ci ha passato molte delle sue serate... Non resta che incrociare le dita...-.

-Grazie mille, Tom-, disse con un sorriso Layla slacciandosi la cintura di sicurezza. Tom girò la chiave e l’auto si spense.
-E di che?-, mentì lui, mentre una fitta più forte alla testa lo stordiva per un momento. Si stropicciò distrattamente la fronte, e aspettò sorridente che Layla scendesse dall’auto per tornare finalmente alla pace della sua stanza, solo. Lei però lo fissò negli occhi, e con un lampo stuzzicante nello sguardo domandò, euforica:
-Perché prima di andare non ci facciamo una birra? Il pub è qui vicino...-, e lo indicò con un pollice dall’unghia smaltata di nero. La cosa lo tentava, ma...
-No, Layla. Sono stanco, e poi devo guidare...-.
Ma lei lo stava già liberando dalla sicura morsa della cinghia e lo strattonava impaziente:
-E dai, Tomi! Un bicchiere solo! Guarda che non è bastato accompagnarmi a casa per farmi dimenticare di come mi hai trattata!-, supplicò Layla giocando con il suo irresistibile sguardo bagnato. Tom sospirò, e fra gli enormi sorrisi della ragazza, sbottò, contrariato:
-Va bene... ma solo una!-. Layla quasi non lo sentì perché era corsa fuori (sbattendo la portiera) e gli bussava sul vetro del finestrino per incitarlo a scendere.
Tom spalancò lo sportello scaraventandosi sul duro marciapiede, e atterrito, sbraitò:
-No, Cilla!-.  
Layla rise, e impedendogli di controllare i “danni” lo trascinò verso la porta scrostata di un bar dall’aria squallida.
Spinse la porta, e stringendogli il braccio, spuntarono in un locale dall’aria trasandata, e per questo, speciale.
La coppia si diresse senza indugio al bancone semivuoto, e sedendosi su uno scassato sgabello girevole, Layla chiamò allegramente il barista:
-Mi scusi... salve, vorrei un vodka alla pesca!-.
-Avevi detto birra!-, le sibilò all’orecchio Tom, accigliato.
-Sì, ma perché non approfittarne?-, rispose lei, divertita.
Tom, tuttavia, ordinò solo la sua birra.
All’improvviso, una voce argentina, acuta, gli perforò i timpani:
-Ehi, ma guarda chi si vede!-.
Tom per poco non si strozzò con la sua bibita, e quando ne riemerse, sputacchiante, quasi gli prese un infarto: Giusy, i capelli biondi raccolti sulla testa lo fissava sorridente.
-T-tu qui?!-, tossì il ragazzo.
-Sì, Tomi! È un bar pubblico, sai!-, lo derise lei.
-Ciao Giusy!-, strillò Layla sopra il fragore della musica, e la testa di Tom, che si trovava nel mezzo tra le due donne, chiese pietà.
Giusy ricambiò il saluto e si sistemò su un traballante sgabello, iniziando a parlare fitto fitto con l’amica, Tom che assisteva impotente.

Mentre sorseggiava la sua birra, la porta si spalancò. Tom si voltò, annoiato, e un altro infarto minacciò di colpirlo. Stagliato contro il nero velluto della notte, Bill, suo fratello, e Jade, osservavano il locale da cima a fondo. Cercavano qualcuno. Cercavano lui.
I due ragazzi entrarono, chiudendosi la porta alle spalle, e si avviarono verso il bancone, mezzi nascosti da un branco di bassi tavolini. Tom non riuscì a voltarsi. In un momento, quasi come in un sogno, gli occhi nocciola di Bill si fissarono sui suoi. Bill si immobilizzò. Jade anche.
In quel momento anche Giusy si girò, puntando lo sguardo curioso sulla coppia appena entrata.
Bill, ormai a pochi passi da loro, impallidì.
Poi, accadde tutto come al rallentatore.
Bill corse in avanti, l’espressione vuota e risoluta,  e levò una mano. Vicino, sempre più vicino. Tom ne distinse il neo sotto al labbro, e poi...
SCIAF!
Lo schiaffo potente risuonò in tutto il locale. Sorpresa e paura si mischiarono. E il tempo parve fermarsi.



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Capitolo 24
*** _Perchè?!_ ***




La guancia bruciava. Le dita erano in fiamme. E nessuno se ne preoccupava.
Tom aveva la testa voltata di lato. Bill la mano levata.
Il locale era stranamente silenzioso.
Era perché la musica assordante aveva smesso improvvisamente di suonare?
No, non solo... Era per la tensione che si era creata, che dilatò tempo e suoni...
Lentamente, molto lentamente, Tom trovò la forza di girarsi.
L’impronta di fuoco delle dita di Bill sulla sua guancia sembravano pulsare come fossero vive.
Tom avvertiva il respiro affannoso del fratello poco più in là, sopra la sua spalla, ma non riuscì a sollevare lo sguardo.
Tremando, si portò invece una mano alla guancia, sorpreso quasi di sentirla ardere sotto i polpastrelli sudaticci.
-Tom...-.
Il suo nome, scivolato in un soffio, come per caso, da quelle labbra livide lo ferì più di una spada.
Timidamente, Tom alzò finalmente gli occhi, e all’istante se ne pentì.
Bill era lì, in piedi, davanti a lui. Le braccia tese lungo i fianchi, sulle spalle, i capelli che gli ricadevano, dolcemente, morbidi e setosi.
Dalla sua bocca, ora rilassata, non sembrava trasparire alcuna emozione, ma dai suoi occhi sì.
Le sue iridi nocciola erano enormemente dispiaciute, e deluse. Ed era questo che faceva più male...
-Tom...-, ripeté Bill, dolce e amaro allo stesso tempo.
Il rasta non riuscì a rispondere.
-Tom... Sei un idiota!!-.
Ora era la rabbia ad aver preso il sopravvento sulle mille emozioni che agitavano nel cuore di Bill.
-Si può sapere che... diavolo... ti è passato per quella zucca vuota che ti ritrovi al posto della testa?! Come hai potuto uscire con... LEI!-, e indicò Layla, che davanti al suo dito inquisitore sembrò farsi piccola piccola. –Dopo tutto ciò che QUELLA...-. Stavolta fu Giusy, che, impassibile, continuò a sorseggiare il suo drink, a venir accusata dall’indice minaccioso del ragazzo. -... dopo... dopo tutto quello che ci ha fatto passare!! Pensavo che la nostra salute ti stesse a cuore quanto la tua!-, urlò Bill fuori di sé.
Cadde il silenzio, inappropriato in quel momento, quanto pesante.
Tom fissava con un’insolita concentrazione il pavimento polveroso... Che altro poteva fare?
Rispondere a tono a suo fratello? No, o sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale...
Ammettere di avere torto, torto e ancora torto? Mai!! Piuttosto la bomba nucleare!
E allora, che fare?!

Improvvisamente, Tom vide i piedi di Bill farsi avanti, uno dopo l’altro, e sussultò, cercando di reprimere il fortissimo istinto di darsela a gambe.
Una mano pallida e fredda, un po’ brusca, ma comunque gentile, gli sollevò il viso.
Gli occhi di Bill, duri, irremovibili, eppure pronti a perdonare, si fissano su quelli velati di Tom, alla stessa altezza.
-...Non ho ragione?-, sussurrò dolcemente il moretto.
Tom sentì le lacrime premere contro gli angoli dei suoi occhi alla ricerca della libertà, quindi si scostò il più delicatamente possibile dalla mano del fratello e si alzò in piedi, un po’ barcollante. Nel locale, ora esistevano solo loro due.
-Bill... Io...-, cominciò con voce rotta. Vide un timido sorriso d’incoraggiamento spuntare sul viso del fratello. Poi, tutto cominciò a girare vorticosamente, e il sorriso si tramutò in una smorfia.
Tom si aggrappò al bancone, la testa spaccata in due da una fitta di dolore quasi insopportabile che gli maciullava le tempie.
Scivolò, il legno che sfregava contro la sua guancia, e le sue ginocchia urtarono il duro pavimento. Gli girava la testa, e sentiva le braccia cedergli.
Un paio di mani lo afferrarono e lo trascinarono goffamente in piedi.
Un bianco viso preoccupato fluttuava davanti al suo limitato campo visivo. E poi un altro, un altro, un altro e ancora un altro. Diventavano uno, poi cento, poi ancora uno...
Il suo nome, lontano, svolazzava pigramente nella sue testa annebbiata:
-Tom?! Tom... Tom... Tom... Tom...-
Il ragazzo si afferrò la fronte, sussultando, e rischiò di cadere ancora a terra. Due paia di solide braccia, o forse più, chi poteva dirlo? lo afferrarono appena in tempo, lo sostennero di peso, e faticosamente, lo fecero sedere su uno sgabello.
Ombre volavano davanti agli occhi di Tom, che prese ad agitare forsennatamente le mani davanti al pallido viso sudato, come per scacciarle, incapace di dire alcunché.
Poi, luci come fuochi d’artificio, e girandole colorate, e fiamme, e scacchi bianchi e neri esplosero nella sua mente.
Tom rantolò, un rivolo di bava che gli colava dall’angolo della bocca, si strinse convulsamente la testa fra la mani, quasi a volerla spremere per far uscire tutto, e lasciarci il vuoto, la pace...
Un conato di vomito lo assalì, e finalmente, si afflosciò inerte sul bancone.  

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Bill era terrorizzato. Aveva osservato con crescente angoscia le terribili contorsioni del fratello, in preda a chissà quale dolore, e ora, Tom era lì , afflosciato e immobile come una vecchia bambola di pezza su quel maledetto bancone.
I suoi occhi ansiosi avevano fissato impotenti la sofferenza interiore del gemello, le sue mani tremanti non avevano potuto fare altro che sostenerlo prima che cadesse a terra, ignare che Tom era già sprofondato molto in basso, lungo un oscuro pozzo d’incoscienza da cui era difficile uscire.
Che cosa gli era successo? Quando era successo? E soprattutto, perché?!
Tutte domande che non salirono mai alle labbra di Bill, spazzate via come gocce di pioggia, o forse lacrime, da una richiesta ben più pressante e irrazionale:
-Che cosa gli hai fatto?-, ruggì il ragazzo, sconvolto, ad una altrettanto orripilata Layla.
In preda alla follia, prese fra le braccia il corpo esangue di Tom e prese ad agitarglielo davanti al viso: la testa del rasta ciondolava, e le braccia sbatacchiavano di qua e di là, impazzite.
-Che gli hai dato? Veleno? Droga? RISPONDIMI!!-.
Layla era aggrappata con tutte le sue forze al legno scheggiato del bancone, quasi volesse sbriciolarlo, e il suo colorito aveva varie sfumature che variavano da un grigio a un verde pallido. Dalle sue labbra serrate non uscì un suono.
Bill era fuori di sé: continuava ad agitare davanti agli occhi sbarrati della ragazza il fratello, docile come una marionetta, finché Jade, che fino a quel momento era rimasta da parte, in silenzio, con le mani premute sulla bocca, non prese in mano la situazione.
Corse avanti, e strappò il fantoccio-Tom dalle mani tremanti di Bill. Si avvicinò al moretto e gli prese con decisione il viso sfuggente tra le mani.
-Bill... Bill... guardami... guardami!-, supplicò con forza aumentando la stretta.
Gli occhi nocciola del ragazzo si fissarono sui suoi, e lei si sforzò di fargli mantenere il contatto, trasmettendogli tutta la forza e l’intensità possibile.
-Bill, ascoltami! Dobbiamo portare Tom all’ospedale... ora... no, Bill, guardami!-, esclamò con forza, poiché Bill, a quel nome, aveva di nuovo cercato con gli occhi il fratello. Si voltò ancora, riluttante.
-Sì, dobbiamo portarlo all’ospedale più vicino… Non è nulla di grave, presto tuo fratello guarirà... ma mi serve il tuo aiuto…-, proseguì in un sussurro Jade.
L’ambra mielata delle sue iridi pareva aver ipnotizzato il ragazzo, ancora ansante di rabbia, che ora pendeva dalle sue labbra.
-Dobbiamo prendere la macchina di... cioè, la sua macchina... So che non hai superaro l’esame della patente, ma devi provare comunque a guidare… No, no tranquillo, andrà tutto bene!-, esclamò supplicante, perché stavolta Bill aveva tentato di sottrarsi alla sua stretta, terrorizzato. Ristabilì il contatto.
-Devi provarci, anzi, devi riuscirci, per il suo bene! Ma per avere almeno una piccola possibilità di farcela, devi calmarti... Fai un respiro profondo...-, mormorò dolcemente Jade.
Bill la fissò per un momento, vacuo, poi chiuse gli occhi e inspirò intensamente.
-Sì, esatto, bravo... Un altro…-, sussurrò la ragazza sorridendo.
Bill espirò, poi inspirò, ancora più a lungo.
Jade fece scivolare lentamente via le mani dalle guance arrossate del ragazzo, lasciandogli prima una dolce carezza, e Bill parve rilassarsi completamente.
Riaprì gli occhi, e lanciò un’occhiata di gratitudine a Jade prima di affilare lo sguardo mentre si rivolgeva alle due ragazze sedute al bancone:
-Ora non ho tempo, ma la prossima volta che ci rivedremo faremo i conti... So che siete state voi, e me la pagherete!-, sibilò minaccioso a Layla e Giusy. –Andiamo…-, mormorò invece a Jade mentre si caricava sulle spalle il corpo inerme e ciondolante di Tom.
Quando furono ormai alla porta, Layla, ancora di quel malsano colore grigiastro, si alzò barcollante, e cominciò a seguirli frettolosamente.
Bill si voltò, e la paralizzò in mezzo alla stanza con un’occhiata di fuoco:
-Tu non vieni con noi... Hai già fatto abbastanza...-, esclamò con una spaventosa voce roca. Detto questo, aprì la porta e, insieme a Jade, scomparve nel nero vellutato di un cielo senza stelle.
Layla, lo sguardo vitreo, rimase a fissare la porta aperta per interminabili secondi, poi, malferma sulle gambe, arretrò lentamente, e tornò a sedersi sullo sgangherato sgabello girevole che aveva occupato fino a poco prima, accanto a Giusy.
Quest’ultima stava finendo di sorseggiare pigramente il suo drink, indifferente e tranquilla.
Layla schiuse finalmente le labbra, e si voltò tremante verso l’amica. Il suo sguardo azzurro era bagnato di lacrime e rimorso.
Un mormorio indistinto scivolò fra le sue labbra secche e prive di vita:
-...Perché?!-.

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Hola gente! Scusate il ritardo, ma non ho potuto postare prima...
Non ho altro da dire se non che spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che... vorrei commentaste! xD
Alla prossima! ^^

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Capitolo 25
*** _Cadillac e Taxi_ ***




Bill sbuffava e ansimava. Si era appena reso conto del peso effettivo di Tom, che non era esattamente “leggero”!
Le gambe e le braccia gli tremavano, oppresse dal corpo inerme del fratello, mentre il suo fiato si condensava in regolari nuvolette di vapore, che immediatamente si perdevano in quel nero cielo di velluto.
Sorretto solo dagli incitamenti di Jade e dall’affetto per Tom, andava avanti.
Il cammino verso l’enorme auto scura parcheggiata sull’altro lato della strada, poco più avanti, pareva non finire mai.
-Forza Bill, manca poco, resisti!-, esclamava con foga Jade, che lo aspettava già con una mano sulla portiera lucente.
Bill si fermò un momento a riprendere fiato, si risistemò meglio sulle spalle il corpo di Tom, che fece sbatacchiare qua e là le braccia, poi inspirò profondamente e riprese la sua marcia.
Infine, la sagoma mastodontica della Cadillac gli si parò davanti, e Bill rese mentalmente grazie a chiunque ci fosse lassù.
-Jade, puoi prendere tu le chiavi? Sono un pochino incasinato…-, chiese Bill, ironico, voltandosi in modo che la ragazza potesse frugare nelle tasche di Tom.
E così Jade fece.
Arrossendo leggermente nell’ombra, prese ad esplorare con le mani delicate le infinite tasche di Tom, trovando infine le chiavi dell’automobile.
La Cadillac fece le frecce due volte quando Jade schiacciò il tasto di apertura, poi si chetò, immobile e mansueta come uno smisurato cane con le ruote.
La ragazza aprì la portiera posteriore sinistra a Bill, che scaricò con uno sbuffo il fratello sul sedile, gli legò la cintura di sicurezza e richiuse lo sportello con uno schianto secco.
Batté le mani l’una contro l’altra, poi, evitando di guardare la ragazza che senza una parola gli porse le chiavi, prese lo slancio e montò al posto del guidatore.
Un momento dopo, Jade era al suo fianco. Si mise velocemente la cintura, poi si girò a guardare Bill. Il ragazzo aveva tutti i muscoli tesi e lo sguardo sbarrato e fisso davanti a sé; le sue nocche erano bianche da tanto forte stringeva il volante. Pareva aver perso la consapevolezza di un corpo e di una lingua.
Jade gli posò una mano sulla guancia, facendogli voltare la testa rigida.
-Devi farlo…-, mormorò con decisione guardando intensamente i begli occhi spaventati del ragazzo.
Bill sospirò, a fondo, batté più volte le dita sul volante tentando di prendere tempo, e infine infilò la chiave nell’apposita fessura.
VRUUMMM!
La Cadillac sembrò risvegliarsi di soprassalto e iniziare a fare le fusa, attendendo di ricominciare ad ingoiare la strada.
Tremando dalla tensione, Bill inserì la marcia e premette con prudenza l’acceleratore. L’auto schizzò in avanti. Poi frenò.
Bill, pallido come un lenzuolo e con la fronte ricoperta di fredde goccioline di sudore, era disperatamente aggrappato al freno a mano.
Si voltò a guardare Jade, disperato, ed esclamò:
-Non posso farlo! Non ci riesco, non ce la faccio! Non ho superato l’esame, non posso guidare! È illegale, per di più!-, strillò istericamente agitando le braccia.
Jade sospirò, affranta, e chiuse gli occhi.
Rimase immobile nella medesima posizione svariati minuti, sembrava si fosse addormentata.
Improvvisamente, sollevò la testa e parlando lentamente, annunciò:
-Guido io, allora…-.

-Egh! S- scu-u-sa la do-do-domanda… Qua-qua-qua…-.
-Non fare la papera!-.
-J-Jade… Ma qua-quanti anni hai?!-.
La ragazza non rispose subito. Con la lingua fra i denti, schivò agilmente un’auto un po’ troppo giudiziosa, il cui proprietario si attaccò immediatamente al clacson, e continuando a percorrere la strada a zig-zag, quasi fosse ubriaca, fece una curva a gomito che per poco non li fece andare addosso a un lampione solitario. Bill trattenne a stento uno strillo, ma niente accadde.
La Cadillac si rimise semplicemente in carreggiata con qualche scossone, e il marciapiede riprese a scorrere tranquillamente accanto a loro.
Gettandosi una ciocca ribelle dietro la testa e senza staccare lo sguardo dalla strada, Jade finalmente rispose:
-Ho sedici anni, quasi diciassette a Marzo…-, annunciò tranquillamente.
Bill, abbarbicato al sedile e alla maniglia sopra la portiera, impallidì incredibilmente in fretta.
-Se-se-sedici?! E come fai a saper guidare?!-, chiese flebilmente, stupito.
-Oh, mamma lo fa centinaia di volte… Ho copiato da lei...-, ribattè Jade ridacchiando leggermente.
Attaccandosi alla sola forza di volontà, Bill riuscì a non svenire, e finalmente, la bianca e squadrata sagoma dell’ospedale si parò in contrasto con il cielo di pece.
Il parcheggio era semivuoto.
Jade si fermò con un testacoda impressionante occupando tre parcheggi, e lasciando l’auto incurantemente di traverso, ritirò le chiavi e scese con un balzo dall’auto.
Dopo aver chiuso la portiera, alzò le braccia in alto, stiracchiandosi, ed esclamò:
-Fiuuu… Che tesa che ero! Avevo proprio paura di non farcela! Per fortuna è andato tutto bene, non è vero Bill? …Bill?!-, chiamò guardandosi attorno.
In quel momento, Bill apparve, sconvolto e barcollante, da dietro la Cadillac, appoggiandosi a qualunque cosa gli capitasse sottomano.
Arrivò davanti a Jade e si sedette pesantemente a terra, mettendo la testa tra le ginocchia e continuando a ripetere ossessivamente: -Mai… mai… mai più… mai…-.
Jade gli si accovacciò accanto, premurosa, e circondandogli le spalle con un braccio, domandò:
-Bill? Ma ti senti bene? Posso fare qualcosa?-.  
-Sì…-. La voce roca e acuta di Bill arrivò soffocata ma ugualmente perentoria.
Sollevò la testa asciugandosi il sudore dalla fronte, e fissando negli occhi la ragazza, continuò:
-Per il ritorno, chiamiamo un taxi!-.

I due ragazzi erano stati ricevuti immediatamente. Il nome “Kaulitz” apriva ogni porta.
Un medico molto anziano, dall’aria austera e fragile, arrivò quasi veleggiando da loro.
Il suo corrucciato sguardo azzurro aveva scrutato con attenzione prima Jade, leggermente in soggezione nonostante la minuta corporatura dell’ometto, e poi Bill, che si era subito affrettato a raccontare l’accaduto. Infine, si era rivolto a Tom, provvidenzialmente adagiato su un divanetto nella sala d’attesa da una diligente infermiera: le ginocchia di Bill non avrebbero retto ancora per molto!
Con un cenno al dottore di passaggio, il medico aveva fatto stendere il corpo inerme del rasta su un lettino, che aveva spinto con un’insolita energia nella stanzetta dalla quale se n’era venuto, senza mai dire una parola.
Capendo di dover aspettare, i due ragazzi si sedettero sul divanetto, ora vuoto, e chi con la testa fra le mani, chi con le gambe e le braccia incrociate, aspettavano.
Diversi pensieri affollavano la mente di Bill: cosa era successo al suo Tomi? Come? Perché proprio a lui? E chi era stato? Sempre se di avvelenamento si trattava… In questo caso ce l’aveva un’idea in proposito… E se invece fossero state cause naturali? Una malattia o chissà altro? No, no, impossibile… Sicuramente, avvelenamento…
In quel momento, la porta immacolata si aprì ancora, sbatacchiando e spandendo nell’aria un forte odore di alcool. Bill e Jade storsero il naso.
Il piccolo medico arrivò, sempre fluttuando, davanti ai due ragazzi, che per buona educazione si alzarono, e l’ometto dovette inclinare indietro la testolina dai soffici capelli cotonati.
Si tolse un paio di guanti di gomma, e parlando con una vocetta acuta e raschiante, annunciò:
-Bene, signori... Il vostro amico è stato drogato-.
Bill scoccò un’occhiata da ‘te l’avevo detto’ a Jade, che scrollò solo le spalle e gli fece cenno di tacere.
-Gli è stata somministrata una droga con una specie di “effetto ritardato”, che aveva il compito di stordirlo e addormentarlo durante uno specifico momento. Dobbiamo agire con una lavanda gastrica, ripuliremo ogni traccia della sostanza, ma il signor…-, e controllò velocemente una cartella clinica. -…Kaulitz, dovrà rimanere nostro ospite per qualche giorno…Si rimetterà…Andate a casa, ora-, aggiunse in risposta alla muta domanda che galleggiava nell’aria.
Un unico sospiro di sollievo percorse i due ragazzi, che, non appena lo scocciato dottore scomparve dietro un angolo, si abbracciarono a vicenda.
Bill, fra le braccia rassicuranti di Jade, chiuse gli occhi, immaginando di tornare piccolo, e mormorò fra i capelli odorosi di lei:
-È un sollievo sapere che sta bene… Sai, per un attimo ho avuto paura di perderlo…-.
Di rimando, Jade accarezzo teneramente la testa di Bill, e gli sussurrò dolcemente all’orecchio:
-Non è successo niente… Tomi sta bene, fra pochi giorni potrà perfino tornare a casa… Va tutto bene…-.
Ed entrambi si staccarono, un sorriso di speranza che illuminava i loro volti stanchi.
Mano nella mano, uscirono, promettendo mentalmente a Tom di tornare l’indomani. Bill si asciugò una lacrima.

Arrivarono al parcheggio, e rinfrancati, respirarono l’aria fredda e pulita della notte.
La Cadillac li aspettava, mansueta, a fanali spenti e innocua, ma Bill prese velocemente per il braccio Jade e la trascinò dalla parte opposta, verso un telefono pubblico.
Si frugò nella tasca ed estrasse con un sorriso qualche monetina.
Le infilò nella fessura e compose velocemente un numero.
-Hallo? Ehm, sarebbe possibile mandarci un taxi all’ospedale… sì, quello…fra dieci minuti? Molto bene! Danke!-, e chiuse la chiamata.
-Fra dieci minuti vengono a prenderci!-, annunciò con un sorriso a Jade.
-Lo so, ho sentito…-, ribattè acidamente lei.
-Cosa c’è?-, chiese Bill, stupito del suo atteggiamento.
Jade sbuffò, e sbottò:
-Se non ti piace come guido basta dirlo!-.





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Capitolo 26
*** _A Fantastic Life_ ***



Due fari apparvero improvvisamente davanti a loro, incendiando la notte. Si muovevano velocemente, bagnando di luce i contorni di alberi e case e strade.
Erano vicini, sempre più vicini...
Bill e Jade si voltarono velocemente, e sgranarono gli occhi.
Poi, lo stridio di una brusca frenata e un tonfo raccapricciante gelarono le stelle.

-Ehi, fai più attenzione!-.
Il tassista si tolse la sigaretta di bocca e scocciato, esalò lentamente il fumo fuori dal finestrino, in faccia al ragazzo, che tossì e si allontanò velocemente.
-Scusa, ragazzino...-, gracchiò con una brutta voce sgraziata l’uomo. Era piccolo e tarchiato, sulla quarantina probabilmente, con due piccoli occhi da topo incastonati in un immenso viso color terra, mal rasato e coperto di cicatrici.
Il taxi al quale era al volante non era messo meglio: dal tubo di scappamento uscivano strani clangori, e il colore giallo si stava tutto scrostando.
Non era affatto il massimo, però...

Bill girava incredulo attorno all’auto che il tassista aveva appena tamponato non avendo frenato in tempo, e non riusciva a smettere di tormentarsi le mani.
Passava e ripassava davanti al fuoristrada nero, incapace anche solo di sfiorare l’evidente ammaccatura, che spiccava sul parafango posteriore come un’orribile deformazione.
Ogni tanto si passava le mani fra i capelli, e subito le lasciava cadere facendole oscillare con rabbia. Ripeteva ossessivamente:
-Tom mi ucciderà! Tom mi ucciderà! Tom...-.
La povera Cadillac, rassegnata, sembrava fissarlo con disperazione.
Nel frattempo, Jade confabulava animatamente con il tassista-attentatore, il quale, infine, fece un brusco cenno con la testa per farle intendere che aveva capito. Subito dopo, il motore di quella sgangherata caffettiera gialla si avviava, fra rombi e sputacchi.
Jade, con il sorriso, sul volto, si voltò:
-Bill! Vieni, torniamo in albergo!-, chiamò vivacemente, ma quello non si mosse, e continuò a fissare in modo assente, le spalle curve e le gambe larghe, la recente malformazione della povera Cilla.
-...Bill?-, invitò il più dolcemente possibile la ragazza, avvicinandosi con circospezione.
Un mugolio uscì dalle labbra contratte del ragazzo. Jade avanzò ancora, e finalmente poté vedere l’espressione del moretto: Bill aveva gli occhi sbarrati, e il suo mento tremava. Sembrava stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Jade, confusa, abbassò lo sguardo sul paraurti dell’auto, e finalmente capì.
-Oh!...-, disse soltanto.
La muta Cadillac sembrò sospirare.
La ragazza alzò di nuovo il viso a guardare quello così delicato e allo stesso tempo forte del cantante. Sorrise dolcemente. Che tenerezza le faceva, quando si dimostrava così sensibile...
Lo abbracciò di slancio, insinuandosi subito nel suo giubbotto, arrivando a quel petto dall’apparenza così fragile che si alzava e si abbassava ritmicamente. Chiuse gli occhi, respirando quel profumo che non aveva niente di artificiale.
Avrebbe potuto addormentarsi, così, solo cullata dal suo respiro...

Finalmente, Bill parve reagire a quel tenero contatto, e abbassò il volto, sorpreso. Jade non gli diede il tempo di dire nulla, perché si levò in punta di piedi, e sorridendo, gli schioccò un bacio a stampo sulle labbra. Sciolse l’abbraccio, gli prese la mano, e ridacchiando cominciò a strattonarlo verso il taxi, che, a motore acceso, li aspettava nel parcheggio di quell’ospedale.
-Sai, non ti credevo così melodrammatico! Fai sempre tante scene...-, esclamò d’un tratto Jade, sorniona, mentre apriva la portiera.
-Che cosa?! Io non faccio nessuna scena! Quando Tom sarà di nuovo in sesto, stai sicura che mobiliterà l’esercito per trovare chi gli ha graffiato la vernice!-, ribattè Bill sistemandosi sul largo sedile anteriore.  
Le portiere si chiusero all’unisono, e lo schiocco che fece la serratura risuonò per tutto il parcheggio.
-All’albergo in periferia, allora?-, domandò sgarbatamente il tassista, osservandoli dallo specchietto retrovisore.
Jade e Bill annuirono, e un momento dopo, l’uomo ingranava la marcia e partiva a razzo nella notte.
-Ma... E della Cadillac, che ne facciamo?-, chiese sottovoce il ragazzo.
-La recuperiamo domani, con Georg... La porterà a casa lui, e poi potremo occuparci del danno...-, rispose saggiamente lei.
Preoccupato, però, Bill rimase a spenzolarsi dal finestrino aperto finché l’auto sgangherata non si lasciò alle spalle il bianco, squadrato ospedale.
“A domani, Tomi...”, pensò il moretto rimettendosi seduto composto con un lungo sospiro.
Per tutto il viaggio, rimase a fissare il vuoto davanti a sé, lasciando che il vento, che fischiava addosso al taxi, gli animasse i capelli e gli accarezzasse il viso.
Arrivarono sani e salvi (incredibilmente!) all’albergo, e dopo essere scesi dall’auto, alzando lo sguardo all’insegna luminosa dell’hotel, provarono una sorta d’affetto per quel luogo, come per un vecchio amico, quasi...
Pagarono il tassista, che intascò i solidi senza una parola, e partì subito sgommando, lasciandosi dietro solo una scia di smog puzzolente.

Jade e Bill rimasero a fissare per qualche secondo con sguardo vitreo la strada che si srotolava silenziosamente davanti a loro. Infine, si voltarono l’uno verso l’altra, e senza un parola, si presero per mano e spinsero con decisone le porte a vetri.
Passando per la reception, Bill afferrò le chiavi della loro stanza e se le mise in tasca. I due piani di scale non erano mai stati così lunghi e faticosi!
Davanti alla porta, Bill sciolse per un momento le dita da quelle di Jade e si mise a trafficare con i jeans. Infine, da una tasca tirò fuori una chiave con un pesante numero d’ottone attaccato: 327.
La infilò deciso nella serratura. Girò. La sfilò, abbassò la maniglia ed entrò.
La stanza era ancora illuminata dalla solita abat-jour, dimenticata accesa molte ore prima.
Fuori dalla finestra la notte ancora regnava, padrona del mondo, ma già qualche pennellata di blu più chiaro si intravedeva all’orizzonte.
Bill si buttò a faccia in giù sul letto con un sonoro sbuffo, senza nemmeno avere la forza di spogliarsi: era davvero stanco. Rimase così, il viso affondato nel morbido piumone, finché Jade non ebbe finito di cambiarsi ed indossò la tuta azzurra che usava come pigiama.
Quando la ragazza si sedette sul letto, accanto a lui, alzò la testa strizzando gli occhi alla luce diretta della lampada, e sussurrò lamentosamente.
-Perché quando tutto sembra andare bene, quando la tua vita è perfetta così com’è... Boom! Tutto ti esplode addosso, e ti ritrovi con un fratello all’ospedale, una macchina mezza distrutta, stress a palate e bugie e inganni ovunque?!-.
I suoi enormi occhi nocciola si erano fatti lucidi.
Jade, accigliata, si stese accanto a lui, e con il caldo arancione della luce che le ombrava il volto, mormorò dolcemente:
-... Perché è la vita... Che nonostante tutto, nonostante tutto il male, tutto il dolore e le angosce, può sempre tornare ad essere unica e meravigliosa... A volte basta poco...-, e alzò una mano ad accarezzare dolcemente il viso di Bill, che si rilassò e si distese. -... una vita fantastica...-.
Bill abbassò piano le palpebre, quasi concentrandosi mentre le prendeva la mano e la baciava. E quando riaprì gli occhi un sorriso era tornato ad accendergli lo sguardo, di nuovo vivo, sempre il suo, dopo tante avversità affrontate in silenzio e a testa alta.
Ricambiò la carezza, e osservando con intensità il volto del suo angelo custode, bisbigliò solo:
-Sì... Fin quando avrò te al mio fianco...-.
Jade sorrise di un sorriso così bello, così reale, che tutto il suo corpo, non solo il suo viso, e la stanza, parvero illuminarsi.
Stesa sulla candida coperta, rotolò verso Bill. Abbracciò il suo magro torace e cominciò a baciarlo piano, misuratamente, ma con un’intensità mai avuta. E desiderio. E tenerezza. E felicità.
E amore.
I due corpi iniziarono ad accarezzarsi dolcemente, sempre più audaci, e ben presto, i due ragazzi si accorsero con meraviglia che tuta, jeans e maglietta non servivano più, e li gettarono lontano, sul pavimento.
Ma non andarono oltre. Perché nonostante il momento ideale, nonostante i loro cuori battessero talmente forte da assordarli, nonostante il desiderio di entrambi, sapevano che il loro “attimo magico” avrebbe dovuto essere ancora più speciale, ancora più perfetto...
Avrebbero aspettato. D’altronde, avevano una vita intera, davanti.

Le coccole, le carezze e i teneri bisbigli... I due ragazzi andarono avanti così per un periodo infinito e bellissimo, fatto di baci al sapore di menta e vaniglia l’una fra le braccia dell’altro, e di una pace, una serenità che nessuno dei due sapeva di poter provare.
Ora come prima, erano solo questi piccoli e semplici prove d’amore che nutrivano il rapporto di Bill e Jade. E a nessuno dei due serviva altro...
L’alba avanzava. Il cielo, ora, era di un bel colore turchese pallido, i primi uccellini cominciarono a cantare, e l’orizzonte era color dell’oro.
All’improvviso, nel dormiveglia, Bill spalancò gli occhi, completamente sveglio, e si alzò bruscamente a sedere sbalzando di lato Jade, che protestò con un: -Ehi!-.
La ragazza si sfregò gli occhi, e nonostante non ce ne fosse gran che bisogno, accese la lampada. Immediatamente due mani forti la afferrarono per le spalle.
Bill era nel panico e respirava affannosamente:
-David non sa nulla di Tom! E nemmeno gli altri!-.
-Glielo dirai domattina! ... cioè fra poco! Sono quasi le sette...-, disse confusa, gettando un’occhiata alla radiosveglia. -... adesso mettiti giù e dormi ancora qualche altra ora...-, mugolò assonnata cercando con la mano la coperta.
-No, no, no! Fra qualche ora sarà già troppo tardi!-, esclamò istericamente Bill.
-Ma perché?!-, chiese con una nota esasperata nella voce la ragazza.
Bill spalancò gli occhioni, che alla luce arancione dell’abat-jour sembrarono ancora più grandi e spaventati. Deglutì, ma la voce gli uscì comunque un po’ roca:
-... Perché fra qualche ora, come dici tu, abbiamo un servizio fotografico e un’intervista con il più importante magazine di gossip della Germania!-.  


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Capitolo 27
*** _Rivelazione_ ***


[Scusate il ritardo! ^///^]


-CHE COOOOSAA?!-.
L’urlo di rabbia di David fu così potente che fece tremare i quadri della hall.
Investito completamente dalla sua furia, Bill sembrò farsi piccolo piccolo.
Né Jade né gli altri componenti della band sapevano che fare, e si mantenevano a debita distanza, lontano dall’occhio del ciclone.
-E quando pensavi di dirmelo? Davanti ai giornalisti?!-, continuò a sbraitare come un ossesso l’uomo, sputacchiando saliva dappertutto. Bill osservava con crescente preoccupazione la vena sul collo del suo manager pulsare sempre di più.
-David... Calmati...-, disse con scarsa convinzione il ragazzo indicando la sua gola.
Il colorito rosato dell’uomo si fece pomodoro intenso in pochi istanti. Sembrava dovesse implodere da un momento all’altro.
-Calmarmi? Calmarmi?! Ma io ti... ti...!-, ruggì quello aprendo e chiudendo le mani contratte davanti agli occhi terrorizzati di Bill.
Infine, respirò a fondo, serrando ferocemente le palpebre e concentrandosi, come gli insegnavano sempre alle sue lezioni di yoga. Poco a poco riprese il suo vero colore rosato, e riaprì gli occhi, un po’ meno pervaso da tentazioni omicide.
-Allora...-, iniziò massaggiandosi stancamente le tempie. – Vuoi raccontarmi per bene, e da capo, per piacere, come è successo tutto questo enorme casino?-, domandò nervosamente il manager.
Bill, sentendosi chiamato in causa, si gettò un’occhiata furtiva intorno, soffermandosi su Georg e Gustav, entrambi ansiosi di sapere cosa fosse successo, e su Jade, che lo esortava con lo sguardo.
Sospirò, e grattandosi mestamente la nuca, raccontò loro tutto.

Dapprima, David era attento ed interessato, ma mano a mano che il resoconto delle ultime ore procedeva, prese ancora ad avere una sfumatura violetta in viso.
-... E questo è tutto.-, terminò infine Bill, sospirando di sollievo.
Aveva solo accennato all’incontro con la loro peggior nemica in quel locale, preferendo sorvolare per il momento, e aveva invece cercato di rendere più dettagliate possibili le informazioni sulla pronta guarigione di Tom. Inoltre, aveva giustificato l’avvelenamento dicendo che, forse, Tom aveva ingerito qualcosa di avariato al bar.
Nella hall ora non volava una mosca.
Tutti osservavano David, ansiosi di sapere come avrebbe reagito stavolta.
-Hai detto che in pochi giorni Tom sarà di nuovo in forma, giusto?-.
Preso alla sprovvista dall’inaspettata e relativamente tranquilla domanda, Bill sussultò, e annuì.
David riprese a massaggiarsi velocemente le tempie e la fronte, riflettendo...
Infine, parlò:
-Be’, poteva andarvi molto peggio...-.
Bill era sbalordito: niente ramanzina?
-... uscire di notte, da soli, senza Saki, non è stato molto maturo, da parte vostra. Mi aspettavo un comportamento più adulto da voi due-.
Come non detto. Eccola.
Bill trattenne a stento uno sbadiglio, smettendo di prestare attenzione alle parole di rimprovero di David, che predicò per altri buoni dieci minuti. Poi, una frase colpì in modo precisamente vivido la sua attenzione:
-... e quindi, per punizione, tu e tuo fratello rimarrete chiusi in albergo per una settimana!-.
Bill trasalì, di nuovo vigile e arrabbiato.
-Come?!-.
-Mi hai sentito benissimo!-.
-Ma...! ma...!-.
-Niente “ma” balbettati, Bill. Stavolta non funzioneranno-.
Bill incrociò le braccia sul petto facendo la sua adorabile faccia imbronciata.
-Non lo trovo giusto! Io ho solo cercato di riportare in albergo Tom! E’ lui che se n’è andato!-.
David sogghignò.
-Sì, ma tu, invece di chiamare Saki, gli sei andato dietro come uno stupido! Perciò, doppia punizione!-.
L’espressione di Bill oscillava tra lo sconvolto e il pesantemente offeso.
Senza lasciargli il tempo di ribattere, però, il suo manager ordinò:
-Vai immediatamente a farti i capelli, le unghie, quello che vuoi! Devi essere ancora più perfetto per l’intervista! E muoviti, hai solo un’ora, non millenni!-.
-Jawhol, meinen Führer...-, mugugnò tristemente Bill, avviandosi a testa bassa su per le scale. Si bloccò improvvisamente a metà e si voltò.
-Ma cosa diremo ai giornalisti? Dell’assenza di Tom, intendo...-.
David sospirò, irritato:
-Credi che non ci abbia pensato? Ci inventeremo qualcosa, no? Che so... Che per esempio ha un leggero raffreddore e non può farsi le foto, e si vergogna ad apparire in pubblico!-.
Il manager schioccò le dita e sorrise.
-Sono un genio!-.
Bill digrignò i denti ma non ribattè, e riprese a salire tristemente le scale.

-Giuro, uno di questi giorni lo uccido nel sonno!-.
Jade alzò gli occhi al cielo.
-Bill, per l’amor del cielo, non dire cretinate...-.
Il ragazzo si voltò verso di lei strizzando fra le braccia in una morsa mortale un cuscino.  
-No, Jade, sono serio! Non so cosa potrei fargli! Io... io...!-.
Soffocò un ruggito di rabbia premendosi il viso contro il morbido guanciale.
Jade si alzò con un sospiro dal davanzale sul quale era comodamente appollaiata, e si avvicinò al ragazzo.
-Bill...-, cominciò con un tono dannatamente ragionevole. Quello lasciò cadere le braccia con un gemito, e piagnucolò:
-Ti prego, non ricominciare con le tue prediche! Ne ho già avute abbastanza per oggi!-.
La ragazza assunse un’espressione dispiaciuta:
-Lo so, ma devi capire che...-.
In un lampo, gli strappò il cuscino di mano, e se lo nascose furbescamente dietro la schiena.
-... che a volte sei lento come un bradipo stecchito!-, strillò ridacchiando.
Bill, che si era accorto solo in quel momento del sorriso mattacchione che attraversava il volto della ragazza, rimase paralizzato dalla sorpresa.
-Ehi!
-, esclamò dopo qualche secondo, lasciandosi andare al gioco, stuzzicato più che evidentemente da Jade, che gli agitava il cuscino davanti al naso.
Ridacchiò, e assumendo un’aria da “sono-l’uomo-nero” prese a rincorrere per tutta la stanza la ragazza, che strillava e sgusciava da tutte le parti ogni volta che lui le si avvicinava.
-Roaaarr! Fermati che ti mangio!-, ruggì per gioco.
La ragazza si fermò di botto, accigliata.
“E’ già successo...”, riuscì solo a pensare prima di essere brutalmente scaraventata sul letto da Bill.
-Ah, ah, ah! Ho vinto!-, ridacchiò allegramente quello dandole un tenero bacio sul naso.
Lei non si mosse. Il sorriso scivolò via dal viso di Bill.
-Che c’è che non va?-.
Jade sussultò, scacciando l’inopportuno flashback che stava vivendo, e ritrovandosi ad osservare con dolorosa attenzione i lineamenti perfetti di Bill, sopra di lei, si trattenne a stento dal dirgli “Sei diverso stasera...”.  
No, no! Di nuovo, no!
Riacciuffò il suo sorriso, pulito e senza segreti, e tentò di nuovo di scivolare via tra le braccia fragili del ragazzo, il quale dimenticò l’ombra che per un momento aveva abitato negli occhi di Jade, e riacciuffò senza problemi la sua piccola isola di salvezza.
Ridendo, la afferrò per la vita e la ributtò sotto di lui, rimbalzando. Lei si ribellò e si contorse come un serpente per sfuggire da quella dolce prigione.
Inutilmente.
I loro occhi si incontrarono. I loro corpi fremettero.
Lei era sua.
Bill chiuse gli occhi, e tremando dal desiderio, cominciò a darle piccoli baci e morsichi, sulle guance, sul collo, sulle labbra. Jade abbassò lentamente le palpebre, lasciandosi piano trasportare da quel ritmo che non le metteva fretta, che la cullava dolcemente e la portava alla soglia del paradiso. Poi, riaprendo i suoi occhi d’ambra, si morse sensualmente le labbra e portò le braccia dietro la testa di Bill, che prese a baciarla con più passione e fervore di prima. Jade si affrettò a rispondere, giocando abilmente con il piercing sulla lingua del ragazzo. Quello sorrise, e staccandosi un momento, rotolò di lato, permettendo che fosse Jade, ora, a sormontarlo. Lui la teneva in alto per i fianchi, e la guardava con un misto di orgoglio ed eccitazione: era la sua bimba, il suo piccolo, dolce tesoro; eppure era anche il suo più bruciante desiderio, e la sua passione più nascosta.
Difficile in quel momento tenere le due Jade nella sua mente separate.
Un momento gli veniva voglia di cullarla teneramente fra le sue braccia, e un momento dopo sentiva il bisogno impellente di farla diventare sua.
Non sapeva se questo era vero amore, ma certamente ci andava vicino.

Jade, ignara di tutto, sorrideva, incapace di trattenere la sua felicità. E voleva anche piangere, perché ancora non aveva raccontato a Bill di quello che era successo tempo fa, proprio su quel letto.
Quella folle sera l’aveva notato.
Aveva notato la luce dietro gli occhi di quel ragazzo che, dopo essersi presentato alla sua porta e aver ridacchiato perché si trovava in asciugamano, l’aveva spinta su quel letto e l’aveva guardata come nessun altro, proprio su quelle lenzuola.
L’aveva osservata, studiata in ogni particolare del suo viso, prestando attenzione anche alle più piccole caratteristiche, come il suo neo sopra la bocca, le sue lunghe ciglia e la morbidezza delle sue guance.
Aggrottò le sopracciglia, rispondendo meccanicamente al bacio di Bill.
Ora che ci pensava... Perché?! Non trovava una risposta.

-Bill Kaulitz, mi spieghi che cosa stai facendo?-.
L’urlo traboccante d’ira di David fece sobbalzare i due ragazzi.
-David!-, strillarono in coro.
Immediatamente Jade si districò da Bill e balzò in piedi, rossa di vergogna.
L’uomo fece finta di non aver visto niente.
-Hai venti minuti per finire di prepararti! Non ho mandato la tua amichetta perché tu ti trastullassi con lei, ma perché ti aiutasse col trucco!-.
Jade annuì, imbarazzata.
David lanciò a Bill un’ultima sospettosa occhiata, poi si chiuse silenziosamente la porta alle spalle.
Non appena fu sicuro che il manager se ne fosse effettivamente andato, Bill ghignò, e rivolgendosi a Jade, propose maliziosamente:
-Che dici, ricominciamo da dove eravamo rimasti?-.
Ma la ragazza non rispose. Con una mano sulla bocca e lo sguardo sbarrato, aveva finalmente avuto la rivelazione che tanto aveva ricercato.  
Tom si era innamorato di lei.


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Capitolo 28
*** _Una Quasi Dichiarazione_ ***




La donna alzò i pungenti occhi d’acciaio dal suo blocco per appunti e li fissò in quelli di Bill. Il ragazzo deglutì sentendo un brivido freddo corrergli lungo la schiena.
-Bill...-.
Il giovane, impassibile, attese, i pugni serrati appoggiati alle ginocchia.
-Allora... Vuoi parlarmi del rapporto con i tuoi fans?-.
Bill si rilassò un poco. Sorrise e partì in quarta, seguendo il solito copione.
-Be’, per me i fans sono tutto! D’altronde, se non ci fossero loro, noi non saremmo mai arrivati fin qui. Mi piace sapere che in tutto il mondo ci sono ragazzi e ragazze che riescono a superare dei brutti momenti grazie proprio alle nostre canzoni...-.
Bla, bla, bla. Sempre le solite domande, sempre le solite risposte.
Ma la gente non si stufava mai di leggere continuamente le medesime cose? Forse a loro interessavano solo i poster... Di certo, quelle interviste avevano un alto positivo: potevi stare attento solo il minimo indispensabile e per il resto andare a memoria.
Nella sua mente, Bill aveva una sorta di schema: tipo di musica, fans, rapporto con i compagni, rapporto con Tom, fans, gossip, canzoni, fans, tour. Ovviamente, l’ordine poteva cambiare.
Quando terminò il suo solito eterno sermone su quanto l’amore dei fans fosse importante, su quanto il loro sostegno fosse indispensabile e altre citazioni del genere, la palla passò a Georg.
La giornalista, una donna sulla trentina dallo sguardo di ferro, si sistemò dietro le spalle i lunghi capelli biondo cenere, e con il suo modo di fare acuto e penetrante, si rivolse al bassista.  
-Dunque, Georg... Come mai ti piace cambiare in continuazione basso durante i concerti?-.
Bill chiuse gli occhi e si rilassò contro lo schienale rigido della poltroncina. Automaticamente, il suo cervello si disconnesse.
Il tempo passò molto lentamente fra domande più o meno particolari e momenti di totale apatia. Infine, la giornalista si alzò lisciandosi la gonna e tese loro la mano.
-Siete stati molto gentili, grazie mille! A presto!-.
Bill sorrise forzatamente e strinse con delicatezza quella mano morbida e un po’ rude, lasciandola subito.
-Grazie a lei. Arrivederci-.
Si voltò e fece per uscire, quando la voce petulante della donna lo paralizzò.
-Un momento Bill, per favore!-.
Il ragazzo, temendo il peggio, si voltò. E ancora una volta, ebbe la sensazione di essere trafitto da quegli occhi di freddo acciaio.
-Potrebbe farmi un autografo? Sa, per mia figlia...-. La donna sorrise, non riuscendo a contagiare di quel sorriso anche i suoi occhi. –Non sa quanto sia stata felice che io facessi un’intervista ai Tokio Hotel!-.
Sentendo come un peso scivolargli lentamente via dal petto, Bill si aprì in un sorriso a sua volta e mormorò:
-Certo...-.
E finalmente, poté lasciarsi alle spalle tutto quel grigio e gli occhi d’acciaio di quella donna, che meno freddi del ferro non erano.

Jade era seduta tranquillamente su un divanetto nella sala d’attesa di quel trafficato giornale. Sfogliava svogliatamente qualche volantino, capitato per caso sul tavolo dalle solide gambe tozze lì accanto. Non appena vide arrivare i tre ragazzi e il manager, si illuminò in viso. Posò la rivista e corse incontro a Bill.
-Allora? Come è andata? Ha chiesto di Tom?-.
-No, per fortuna si è accontentata del momentaneo e leggerissimo raffreddore. Ero teso da morire!-, raccontò lagnoso il ragazzo.
Jade gli schioccò un bacio a stampo e carezzandogli dolcemente la guancia, mormorò:
-Povero il mio Bibi...-.
-Ragazzi!!!-.
I due si voltarono. David li stava squadrando con gli occhi fuori dalle orbite.
-Che caspita state facendo?-, sibilò furiosamente.
Bill sollevò ironicamente un sopracciglio.
-Che, non si vede?-. Si rivolse a Jade. –Mi sa che dovremo impegnarci di più, non rendiamo abbastanza!-.
Lei ridacchiò, un po’ in imbarazzo mentre le labbra protese di Bill si avvicinavano di nuovo alle sue. Una mano si interpose fra i due giovani visi, subito seguita dal corpo del manager, che spinse via Bill.  
-Risparmiate le smancerie per dopo. Non vi ricordate dove siamo?-, soffiò.
Jade si guardò intorno, realizzando solo in quel momento di trovarsi nel cuore della redazione di un giornale di gossip, affollato di giornalisti frettolosi assetati di scoop.
-Ops...-, mormorò.
-Esatto! Sappi che se io ti permetto di frequentare questo bel giovanotto qui...-, bisbigliò strattonando Bill per una delle sue tante collane. -... è solo perché mi ha assicurato che possiamo fidarci di te. Continui a seguirli nelle interviste, nei concerti, nelle premiazioni perché abbiamo detto a tutti che sei la sua nuova aiuto-truccatrice, e tale devi rimanere! Se ti metti a sbaciucchiarlo in pubblico la gente potrebbe pensare che in realtà non sia proprio così, no?-.
Jade chinò il capo.
-Sì... Scusa David...-.
Finalmente soddisfatto, il manager lasciò la presa sulla collana di Bill, che prese a tossire.
-Da-vid...-, boccheggiò massaggiandosi il collo. –Non essere così duro con lei. Sono io che ho voluto bac...-.
-Ssshh!!!-.
Bill, accigliato, abbassò la voce, continuando imperterrito.
-Sono io che ho voluto baciarla, e non puoi farmene una colpa!-.
David lo guardò storto per un po’, poi sospirò e si massaggiò stancamente le tempie.
-Bill, ti prego non ho voglia di litigare...-.
-Ma...-.
-Adesso andiamo a mangiare un boccone, poi passiamo a trovare tuo fratello, che per il suo bene spero si sia svegliato-.
Detto questo, il manager si avviò risolutamente verso la porta, salutando fin troppo amichevolmente chiunque fosse a tiro di una pacca sulla spalla.
-Ma...!!!-.
-Non ti sentooo!-.
Bill sbuffò forte incrociando le braccia al petto, tornando per un attimo un bimbo di cinque anni. Si trattenne a stento dallo sbattere i piedi per terra.
Senza una parola, Jade lo sorpassò e prese ad incamminarsi verso l’uscita.
Il moretto, stupito, la raggiunse e la fece voltare.
-Ehi... Non te la sarai presa per quello che ha detto quel gorilla di David? Lo sai che ha la delicatezza di un elefante con le scarpe da calcio su un campo di bicchieri di vetro!-.
Jade sollevò il viso. I suoi occhi erano lucidi.
-No, ha ragione lui. Io non sono nessuno, e nessuno devo rimanere. Forse non dovevi difendermi da quei tre, quella notte, non ti avrei complicato tanto la vita...-.
Le lacrime infine trovarono la via della libertà e presero a scorrere sul morbido viso della ragazza.
Bill, colpito profondamente la prese per mano e con un’espressione neutra sul volto, la condusse gentilmente dietro una grossa pianta. Lì, si inginocchiò, mentre il suo viso si fece di nuovo incredulo.  
-Che stai dicendo? Tu non mi hai affatto complicato la vita, anzi! L’hai resa meravigliosa, fantastica! L’hai migliorata incredibilmente, a tutti noi! Accanto a te io mi sento di nuovo vivo, importante, e non nel senso “lavorativo”. Con te, posso smettere di essere il ledere dei Tokio Hotel. Con te, posso essere solo Bill. Il testardo, impulsivo, logorroico Bill che è veramente il mio “io”. In qualche modo, credo tu mi completi-. Sorrise dolcemente, accarezzandole le spalle tremanti. – Sono quasi sicuro che tu sia la mia parte ragionevole, una metà che ho perso da molto tempo, e che ora ho ritrovato-.
Anche gli occhi nocciola del ragazzo si riempirono di lacrime. Deglutendo, Bill le prese piano le esili mani e le strinse forte.
-Jade...-.
Al suo nome, la ragazza sussultò da tanto era stata rapita dal discorso pieno di dolcezza di Bill.
-Be’... mi sento uno stupido in questo momento, perché sto per dirti qualcosa di cui non sono sicuro nemmeno io...-.
Ormai Jade respirava affannosamente, e nelle orecchie sentiva il rombare del sangue che fluiva rapido.
Prendendo tempo, Bill si mordicchiò nervosamente le labbra. La tensione era quasi palpabile, nell’aria fra di loro.
-Insomma... non l’ho mai detto ad una ragazza, ma... è difficile da spiegare...-.
Anche Jade si inginocchiò davanti a lui, e con gli occhi umidi di gioia stavolta, prese a tormentarsi le dita delle mani.
-Oooh, basta!-, esclamò impaziente Bill. Si avvicinò e prese fra le sue mani tremanti il viso rosato della ragazza. Con gli occhi cercò di trasmettere tutta l’intensità delle emozioni che gli si agitavano nel petto.  
-È da pochissimo che ti frequento, eppure sento di conoscerti già, come in una mia vita passata... E capisco di non poter fare a meno di te nemmeno in questa vita...-.
Chiuse gli occhi, e con le labbra che sfioravano quelle tremanti della ragazza, sussurrò:
-Jade... Io... io credo di...-.   

-KAULITZ!-.
Bill si allontanò di scatto e si alzò barcollando in piedi.
David, le mani sui fianchi e un’espressione omicida dipinta sul suo volto, scrutava come un falco l’intera stanzetta d’attesa poco frequentata. Non appena il suo sguardo incontrò quello furioso del ragazzo, prese a fare gesti concitati e minacciosi, strillando:
-Se non sei qui davanti a me in cinque secondi e non cominci a muovere quel culetto sodo che ti ritrovi verso la porta, butterò nel cesso la tua preziosa lacca e la tua adorata matita! Ti avverto!-.  
Bill digrignò i denti, stingendo in una morsa mortale i pugni. Si voltò verso la pianta. Dietro di essa, Jade tentava di trattenersi dallo scoppiare a ridere, le mani premute sulla bocca e lo sguardo fintamente indifferente altrove.
Bill sospirò e sorridendo dolcemente come per scusarsi, le tese una mano, a cui lei si appoggiò per alzarsi leggiadramente in piedi.
Nascondendo le loro mani intrecciate dietro la schiena, trotterellarono ubbidientemente verso il loro isterico manager/gorilla.

 

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Capitolo 29
*** _Patatine e Flebo_ ***



-E su!-.
-No!-.
-Ti prego!-.
-Nooo!-.
-Daaai!-.
-Per la centesima volta, no!-.
-Che ti costa?-.
-Bill, è una questione di principio, no!-.
-Vorresti dire che non lo faresti nemmeno per me?-.
Bill giunse le mani a preghiera e sbatté teneramente le ciglia. Era adorabile! Jade alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Sapeva di stare per arrendersi da un momento all’altro.
-Per favore...-.
La moretta digrignò i denti. No, il labbro tremolante no! A quello non poteva resistere!
-E va bene...-, sbuffò scocciata.
Il ragazzo si mise praticamente a saltellare come un folletto irlandese per tutto il fast food e dopo averle dato un lieve bacio sulla guancia trotterellò soddisfatto al tavolo con gli altri Tokio Hotel. Jade rimase a fissarlo trucemente, poi afferrò un vassoio e si mise in coda ad una cassa. Un tabellone colorato raffigurava chiaramente tutti i tipi di hamburger presenti nel ristorante, e dietro un lungo bancone, una cassiera si affannava con panini e bibite e patatine fritte. Che lavoraccio! Servire clienti tutto il giorno, spesso di fretta e scorbutici, sudare sopra una friggitrice, vedere passarsi davanti tutto quel cibo, rimanendo poco a poco disgustata da tutto... Inclinò la testa di lato, riflettendo. No, lei non si vedeva proprio a...
-Buh!-.
Per poco la ragazza non fece volare via il vassoio.
-Bill! Porca... Mi hai fatto prendere un colpo! Che ci fai qua? Vai al tuo posto con gli altri, su!-, lo sgridò Jade con ancora il cuore in gola.
Bill tratteneva a stento le risate dietro una mano premuta sulla bocca e fissava in un modo così buffo sotto gli occhiali scuri la povera ragazza che alla fine perfino lei sorrise. Tornando serio, le si avvicinò.
-Mi sono dimenticato di dirti di chiedere anche il peluche! Ce n’è sempre uno nelle patatine, non vorrei facessero i furbi! Glielo chiedi, per piacere?-.
-Bill, è già tanto che tu mi faccia ordinare il menu per bimbi al tuo posto, non mettere a prova la mia pazienza, ok?-, sussurrò furiosamente la ragazza. Commise l’errore di voltarsi e quel dolce sguardo nocciola le liquefece la mente in un nanosecondo. Incatenandola a quel caramello ipnotico, lui appoggiò una guancia alla sua spalla rotonda, abbracciandola da dietro, e cominciò a morderle sensualmente la pelle più tenera sul collo. Jade chiuse gli occhi, rabbrividendo.
-Bill... C’è un mucchio di gente...-.
-Chiedi anche il peluche, va bene? Un piccolo... tenero... peluche... per me...-.  
La voglia della ragazza di saltargli addosso era incontenibile, ma miracolosamente riuscì a scuotere debolmente la testa e nascondersi il più possibile dietro un grosso signore prima di lei in coda.
Bill rise piano dietro il suo orecchio, facendola andare praticamente in estasi.
-Io dico che glielo chiederai...-.
-No...-.
-Vedremo...-.
-No, no...-.
All’improvviso, il sussurro caldo di Bill le carezzò l’orecchio.
-Attenta, non distrarti...-.
Quel tocco delicato le venne improvvisamente a mancare e Jade si risvegliò di soprassalto da quel dolce limbo. Era arrivata alla cassa, e la ragazza dietro il bancone la guardava con gli occhi fuori dalle orbite. Immediatamente, diventò color peperone, intonata perfettamente col vassoio che le tremava in mano.
Dietro di lei, più lontano, una risata familiare. Jade si voltò e fissò con odio Bill seduto placidamente al tavolo che la salutava con la manina, un’aureola di plastica in testa.
-Desidera...?-, chiese la cassiera un po’ titubante, trascinandola alla realtà.
-Ehm...-. La ragazza esitava. Poi, il ghigno di Bill nella sua mente le diede improvvisamente coraggio. Deglutì. –Vorrei... il menu per bambini, grazie-.
La donna dietro il bancone la guardò, chiedendosi se la stesse prendendo in giro o no. Alla fine scrollò le spalle e cominciò a trafficare con pane e carne.
Jade sospirò. Era andata.
La cassiera le porse un sacchettino.   
-C’è anche il giocattolo dentro, vero?-, domandò.
-S-sì, certo...-, rispose la donna, sempre più sbalordita. – Sono 5.20 euro...-.
La ragazza pagò velocemente.
-Grazie e arrivederci!-, salutò allontanandosi. La donna fece appena in tempo ad agitare flebilmente una mano che subito un uomo in giacca e cravatta, chiaramente di fretta, le si parò davanti con la sua prepotente ordinazione.

-Ce ne hai messo, eh?-.
Jade si sedette in malo modo al tavolo e con le orecchie fumanti lanciò al ragazzo al suo fianco il vassoio, rischiando di farlo cadere.  
-Non dire niente, non so cosa potrei farti...-, disse a denti stretti cominciando a scartare il suo panino vegetariano.
Bill sghignazzò mettendosi in bocca una patatina oliata e fumante.
-Addirittura? Devo aver paura? Senti, facciamo così, avvertimi un po’ prima, fammi uno squillo, così mi preparo, ok?-.
Jade gli tirò un pizzicotto sul braccio.
-Ahia!-.
-Oh, scusa! Dovevo avvertirti anche di questo? Mi sembravi pronto...-.
-Vuoi la guerra?-.
E inevitabilmente scoppiò una battaglia all’ultimo ketchup. Pezzi di patatine e semi di sesamo volavano da tutte le parti, centrando la testa pelata di un signore sulla sinistra o il bicchiere pieno di una ragazza troppo truccata dietro di loro.
E in mezzo a tutto quel salato, spiccavano come neve su un foglio nero quei piccoli dolci baci rappacificatori di scuse e rivincita.

*

“Che palle...”.
Tom era adagiato rigidamente su un bitorzoluto cuscino bianco a braccia incrociate. Il suo sguardo vagava prigioniero oltre la finestra chiusa. Seguendo con gli occhi una nuvoletta passare spensierata si grattò il braccio: la flebo gli dava incredibilmente fastidio.
Si era svegliato quella notte, solo e in un luogo sconosciuto, ed era andato a vomitare anche l’anima. Si sentiva di merda, debole e affamato. I dottori però gli avevano assolutamente proibito di ingerire alcunché, e così lui se ne stava con lo stomaco brontolante ad aspettare... Ma aspettare cosa? Suo fratello e gli altri non si erano fatti vedere per tutto il giorno, non gli erano nemmeno rimasti accanto durante la notte. In realtà, Tom sapeva che il mattino dopo avevano un’intervista, ma se non avesse dato la colpa a qualcuno si sarebbe messo ad urlare per la frustrazione. Abbandonò la testa e chiuse gli occhi. Odiava quel posto. Le pareti bianche, i lamenti in ogni stanza, quell’odore di alcol impregnato in tutto gli davano la nausea. Non poteva uscire, doveva farsi sempre un miliardo di controlli, non poteva mangiare... Eh no, adesso basta!
Il fiero leone nel suo petto ruggì e diede una zampata al suo orgoglio.
Gettò lontano le coperte e atterrò sul pavimento ghiacciato. Si strappò con rabbia la flebo dalla carne e marciò nel piccolo bagno collegato alla sua stanza trascinandosi dietro i jeans e la maglia. In pochi minuti si cambiò. Ormai, non sarebbe più tornato indietro.

Il corridoio era deserto. Tom diede una rapida occhiata a destra e a sinistra, poi uscì e si chiuse la porta cigolante alle spalle. Probabilmente era la pausa pranzo. Il più silenzioso possibile, sfrecciò fra stanza chiuse e aperte, vuote o piene, ostentando un’indifferenza quasi reale, salutando qualche vecchia signora intenta a fare la calza e calcandosi il cappello in testa quando vedeva qualche lembo di camice bianco.
Ecco l’uscita, ecco la sua libertà. Tom era attento, vigile. Era tutto troppo facile, troppo semplice. Eppure, le porte a vetri si separarono placidamente al suo passaggio e nessuno lo afferrò per le braccia tentando di riportarlo in quel carcere al disinfettante.
L’ampio parcheggio gli si aprì davanti. Bene, tutto quello che gli serviva era un mezzo. Prese a girare fra tutte quelle auto allineate, vecchie e nuove, che popolavano quella strana metropoli di metallo.
All’improvviso, una macchina dal muso familiare, parcheggiata di traverso su tre spazi, attirò la sua attenzione. Trattenne il respiro.
-Cillaaa!-.
Se avesse potuto, l’auto avrebbe fatto i fanali e scodinzolata alla vista del suo padrone.
Il ragazzo barcollò verso la parte anteriore della sua amata e le diede delle pacchette affettuose sul cofano lustro.
-Amore mio! Che coincidenza! Che ci fai qua?-.
Un flash. Nella sua semi-incoscienza ricordava di aver sentito il morbido dondolio di sedili profumanti di nuovo sotto di lui, prima di arrivare in ospedale. E così lo avevano portato là con la sua Cilla... Un pensiero lo colpì forte come un pestone sull’alluce. Si frugò freneticamente in tutte le tasche. No, non c’erano.
-Scheisse!-.
Gli avevano fottuto le chiavi. E adesso come se ne tornava in albergo?
Per la rabbia prese a girare attorno all’auto, meditando e strofinandosi la piccola ferita sul braccio dovuta alla flebo. Il suo sguardo precipitò sul parafango posteriore. Qualcosa cadde e si ruppe dentro di lui. Una scheggia gli si conficcò in gola, non riusciva più a parlare.
-L-la... m-mia ma-a-acchina...-.
Con un dito tremante sfiorò l’ammaccatura più che evidente che deturpava la sua creatura.
-Cosa ti hanno fatto...-.
Ricacciò indietro le lacrime e strinse i pugni. Una vena prese a pulsare sul suo collo.
Accecato dalla furia, alzò le braccia verso il cielo e prese a sbraitare:
-Bill, maledetto bastardo, ovunque tu sia, giuro che non appena torneremo a casa brucerò il tuo fottuto beautycase e le tue dannate matite! È una promessaaaa!-.
Un’altra nuvoletta veleggiò sopra il tetto dell’ospedale, scandalizzata da quel giovane coi rasta, in quel parcheggio. Ben presto lo sorpassò, cancellandolo automaticamente dai suoi candidi pensieri. Si rivolse al sole, invece, assaporandone il frizzante calore.
Era una bella, tranquilla giornata di Dicembre.


    

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Capitolo 30
*** _Borse della spesa e Infermiera_ ***


[//[CAPITOLO 30]\\]

L’auto anonimamente scura correva veloce lungo le vie ancora affollate di una Berlino da cartolina, inondata del sole pomeridiano e percorsa da gente carica di pacchi natalizi. Con il viso spiaccicato contro il finestrino, Jade osservava quel pigro viavai di sconosciuti indaffarati, serena e stranamente rilassata come non lo era da giorni.
-Cosa c’è di così interessante fuori da quel finestrino?-, domandò Georg da dietro la testa di Bill. La ragazza non distolse né lo sguardo né la mano dal vetro.
-Niente, mi piace guardare la gente-, rispose semplicemente.
Semaforo rosso. L’auto rallentò fino a fermarsi, dando così il tempo alla moretta di osservare con attenzione una signora sulla cinquantina avvolta in un cappotto rosso tentare di trascinare sulle strisce pedonali un bimbo recalcitrante e nello stesso tempo di non far spargere per strada il contenuto di una borsa di plastica. Jade ammirava come quella sconosciuta si affannasse tanto, lì in mezzo alla strada, riuscendo però a mantenere una grazia particolare. Osservava con meraviglia quel suo speciale scostarsi i capelli biondi dal viso, un unico, armonico gesto, quella camminata affettata, quel sistemarsi la borsa su una spalla...
Una carezza calda sul viso la fece sussultare. La signora ormai era finita fuori dalla sua visuale, così, sorridendo, si voltò rifugiandosi volentieri nel protettivo abbraccio di Bill.
-Cosa c’è?-, le chiese lui scostandole i capelli dalla fronte per baciargliela. In un primo momento, Jade non seppe cosa rispondere, e preferì rimanere in silenzio a godersi quei pochi momenti che poteva passare fra le braccia del suo angelo custode. Non sapeva dire cosa l’avesse colpita tanto in quella signora. Era bella, sì, di quel tipo di bellezza modesta ma che salta all’occhio, che ti costringe a voltarti quando ti passa accanto per convincerti che era reale, ma non era stata la bellezza la prima cosa che aveva notato...
-Potrò mai diventare un’adulta come quella signora?-, mormorò prima di rifletterci.
Appoggiata al petto tranquillo di Bill, Jade lo sentì allungare il collo per capire di chi stessi parlando, e quando si rilasso di nuovo sotto di lei, capì che anche lui l’aveva vista così come l’aveva analizzata lei. Difatti, Bill le prese il viso tra le mani e la fissò negli occhi così intensamente da stordirla.
-Non devi nemmeno domandarlo. Certo che diventerai così, se intendevi dire bella, forte, determinata e dolce. Come lo sei adesso. Ma perché chiedi?-.
Jade abbassò lo sguardo.
-Mi chiedevo... se sarei mai stata alla tua altezza, un giorno. Se avrei mai potuto meritarti-.
Verde. La macchina nera come la notte che incombeva sulla città sfrecciò in avanti, silenziosa e padrona della strada. La donna e il suo bambino, ormai al sicuro dall’altro lato della strada, preda dell’onda delle folla, scomparvero completamente alla vista e alla memoria, lasciando però dietro di loro una traccia ben marcata e pulsante.
Bill sgranò gli occhi inarcando così tanto le sopracciglia che la fronte gli si increspò in tante adorabili pieghe.
-Meritarmi? Ma che stai dicendo?-.
-Non è la prima volta che ti faccio questo discorso. Sai che è così, si vede-.
-Cosa dovrebbe vedersi? Jay, per piacere, non tirare fuori argomentazioni assurde!-.
-Non sono assurde, è la verità! Bill, tu sei una star di fama internazionale, sei bello, sei famoso, idolatrato e desideratissimo. Accanto a te, io cosa sembro? Una ragazzina sciatta e banale! C’è troppo squilibrio fra di noi, non posso non sentirmi in colpa per la fortuna che mi è toccata-.
-Fortuna? Fortuna?! Vorresti forse dire che se mi fossi imbattuto in un’altra ragazza, quella notte, mi sarei... affezionato a lei allo stesso modo?-.
Ormai i due stavano urlando, rendendo praticamente insopportabile la vita nell’abitacolo.
-Ragazzi, ragazzi, per piacere!-, tuonò Saki dal posto guida.
-Sì, insomma, ci state massacrando i timpani! Aspettate ad essere in albergo per litigare-, urlò David voltandosi a fissare malamente Jade. -Perché non vi sbaciucchiate un po’ per far la pace? Almeno sarà un rumore più sopportabile degli strilli isterici-, sbuffò tornando a fissare la strada. I due ragazza sembrarono non aver sentito nessuna protesta perché entrambi continuavano a guardarsi gelidamente negli occhi, avvolti dalla bolla del loro mondo.  
-Sì, Bill, ne sono certa-, rispose Jade in un tono così basso che nemmeno Georg seduto accanto a loro poté udire.

Il cielo cominciava a dipingersi d’arancio e il sole ad allungare le ombre di auto, edifici e sei persone a piedi, chiaramente dirette verso l’entrata principale dell’ospedale. Anche visti di lontano si poteva intuire che quattro di loro erano ragazzi e gli altri due uomini avviati da un pezzo verso la mezza età. Avvicinandosi ancora un po’, forse si potevano addirittura notare nel dettaglio gli stili differenti di ognuno, dai più casual al decisamente eccentrico di quella specie di porcospino dark. Ma anche arrivando loro vicinissimi, forse non si sarebbe potuto notare un piccolo ma decisivo particolare: la rigidezza nelle posture dell’unica ragazza e del giovane più alto e magro, insolitamente contratte nello sforzo di non guardarsi e di resistere ad intrecciare la mano a quella dell’altro.
Non appena le porte a vetri si separarono automaticamente, Bill scrutò la sala grande ben areata alla ricerca della reception che, una volta individuata, gli si presentò davanti come un lungo bancone candido che percorreva la maggior parte della sala d’ingresso e si curvava dolcemente come a voler occupare più spazio possibile.
-Bill...-, ammonì a mezza voce David afferrando la manica della giacca del giovane per impedirgli di scappare via subito.
-Voglio solo vedere mio fratello!-, ribattè il ragazzo lanciando un’occhiata penetrante al manager dietro gli occhiali scuri. L’uomo lo lasciò andare mormorando –Non fare sciocchezze...-, ma troppo piano perché Bill lo sentisse.
-Salve!-, esordì subito il cantante piazzandosi davanti alla prima infermiera che trovò. Quella, una bionda tinta intenta a sistemare chissà quali carte, alzò lo sguardo di un verde acquoso, facendo una radiografia completa al ragazzo, e in particolare soffermandosi sul giubbotto di pelle, sui braccialetti e le collane borchiate.
-Desidera?-, chiese con un tono tutto miele, cambiando improvvisamente atteggiamento. Bill non badò affatto alle occhiate languide che la donne gli lanciava attorcigliandosi una ciocca bionda su un dito, anzi, forse ne era un po’ infastidito.
-Devo vedere mio fratello, Tom Kaulitz, ha diciotto anni. È stato portato qui ieri sera, sul tardi, non so in che stanza si trovi. Gli devono aver fatto una lavanda gastrica..-, snocciolò velocemente sentendo l’impazienza sfrigolargli le mani mentre seguiva con attenzione le mosse lente, troppo lente dell’infermiera. Una mano gli si posò sulla spalla ad intimargli la calma e lui sussultò, voltandosi. Era Saki. Neanche si era reso conto che gli altri lo avevano raggiunto. Finalmente, dopo un tempo infinito che l’infermiera passò a scorrere meccanicamente file al computer, questa si avvicinò allo schermo, illuminandosi.
-Tom Kaulitz hai detto? Sì, eccolo qua, stanza 247. Vai fino in fondo al corridoio, a sinistra trovi una doppia porta, attraversala e...-.
-Grazie mille!-, esclamò Bill senza lasciarle il tempo di finire la frase, prese per mano Jade e corse via, seguito a ruota dagli altri quattro.
L’infermiera, profondamente offesa, scosse la testa e ritornò in fretta alle sue carte, imprecando contro quello strano ragazzo.

Un corridoio, un altro, un altro ancora, e porte, stanze, dottori tutti uguali. Come faceva a sapere se stava davvero andando nella direzione giusta?, si chiese Bill facendo cadere di mano a una dottoressa una cartella clinica. Non si fermò a chiedere scusa e aumentò il ritmo delle falcate per allontanarsi dagli ingiuri che la donna ancora gli mandava due angoli più indietro. Numeri anonimi e stanchi gli sfioravano appena la visuale mentre la sua percezione del mondo esterno alla sua mente si concentrava unicamente sul rumore dei propri passi.
-Bill! Fermati!-.
Uno strattone al braccio e un viso preoccupato piuttosto familiare entrato a forza nel suo campo visivo.
-Jade?-, esclamò confuso. Sbatté gli occhi e il torpore che gli aveva addormentato i sensi parve essere risucchiato da un aspirapolvere gigante. I rumori e gli odori tornarono più forti che mai, così come la sensazione di calore della mano di Jade nella sua. La lasciò, allontanandosi con disinvoltura qualche passo più in là.
-Hai saltato una porta. Dobbiamo andare per di là-, spiegò lei per nulla stupita del gesto, accennando col pollice a un’altra doppia entrata identica alle altre tre che avevamo appena oltrepassato.
-Eh?-, domandò stupidamente sbattendo gli occhi.
-La porta. Hai sbagliato strada. Di là-, spiegò Jade con pazienza infinita accompagnando le sue parole con eloquenti gesti della mano.
-Ah, giusto... Ma come fai a saperlo?-, chiese Bill rinvenendo da quello strano torpore.
-Be’, andando avanti i numeri continuano dal 300, mentre appena prima della porta si fermano al 230. È di là-.
-Andiamo allora-, disse il ragazzo ritrovando tutta la grinta di poche ore prima.
Si diresse alla porta e la spalancò, e solo allora si accorse che Jade non l’aveva seguito.
-Ehi? Non vieni?-, chiese dolcemente tornando sui propri passi. La ragazza era in piedi, le braccia incrociate, un sorriso amaro sul volto e la postura rigida.
-Sono di troppo. È una cosa fra di voi, no?-.
-Non dire scemenze!-. Bill sbuffò. – Senti, voglio che tu mi accompagni da lui, chiaro? Gli vuoi bene, e gli farebbe piacere sapere che sei venuta a trovarlo-.
Jade scosse la testa.
-E a te, farebbe piacere che ci fossi anch’io?-.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, Saki, David, Gustav e Georg comparvero da dietro l’angolo, sudati e senza fiato.
-Che bisogno c’era di correre tanto?-, si lamentò il manager con una mano sul fianco. Non sentendo nessuna risposta alzò gli occhi e gemette vedendo Bill e Jade che si squadravano in cagnesco senza dire una parola.
-Di nuovo?! Ragazzi, i vostri problemi non potete risolverli in un altro momento?-, brontolò l’uomo.
-Scusaci David, ci mettiamo un secondo. Lasciateci soli cinque minuti-, replicò con freddezza il cantante senza staccare gli occhi da quelli ambrati della ragazza.
Con sbuffi e un’espressione di enorme sofferenza dipinta sul volto, i quattro si allontanarono verso un distributore di merendine strascicando i piedi.
-Non c’era bisogno di...-, cominciò Jade, ma Bill non le diede la possibilità di finire.
-Chi sono io?-, chiese serio. La ragazza lo fissò, indecisa se pensare a uno scherzo o a un vero e proprio squilibrio mentale.
-Ehm... Bill Kaulitz?-, rispose, propendendo per lo squilibrio.
-Esatto. E che cosa faccio?-, continuò lui.
-Senti, se hai una crisi d’identità...-.
-Rispondi alla domanda, per favore-.
Jade sbuffò.
-Fai il cantante in una band-.
-Precisamente. Ho girato il mondo, mi sono imbattuto in centinaia, migliaia di ragazze, alcune le ho conosciute, altre lo ho solo viste di lontano. Credi davvero che avrei incontrati grandi difficoltà a farmene una o due a sera come mio fratello? No, affatto. Sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua. A un mio schiocco di dita avrebbero potuto essere tutte ai miei piedi...-.
Jade scosse la testa, disgustata e ferita, e si voltò per andarsene via, lontano da quelle parole così taglienti.
-Se devi vantarti del tuo fascino e del tuo potere, vai a farlo con le troie che ti sei portato a letto, perché io non ho intenzione di stare a sentire una sola parola in più su...-.
Una mano le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi.
-... Ma non l’ho fatto! Io non le volevo. Io aspettavo quella giusta. Te-.
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
-Non riesco a crederti... Non posso...-, sussurrò debolmente divincolandosi per liberarsi da quella stretta ferrea che la costringeva a guardare in faccia la realtà.
-Jade... Guardami... Davvero credi che ti mentirei?-, le chiese Bill con voce ferma.
E lei lo guardò. Guardò la sua bocca piegata in un sorriso comprensivo senza incertezze, avvertì il suo respiro caldo e regolare sulla pelle, e si perse ancora una volta entro i suoi occhi di cioccolato fondente, così limpidi e supplicanti. No, lui non le mentiva, lui non le avrebbe mai mentito. Glielo disse.
-Ti credo-.
Si abbracciarono, lì, in mezzo alla corsia irrealmente pulita dell’ospedale, fra gli sguardi più o meno inteneriti dei medici di passaggio. E mentre Jade veniva tramortita dal profumo di Bill, un profumo che da troppo non aveva il privilegio di assaporare, capì quanto le era mancato, e quanto ormai quel ragazzo così diverso fosse penetrato a fondo nel suo cuore.
I due si lasciarono andare con cautela, con dolcezza, ben attenti a non interrompere il contatto, e dimentichi degli amici lasciati alla macchinetta delle merendine, attraversarono insieme, con un sorriso la doppia porta.

Il corridoio era anonimo, spoglio e odorante di alcol come tutti gli altri. L’unica differenza era che non una persona lo percorreva, e dalle stanze chiuse non proveniva un suono.
Bill e Jade, col cuore in gola, contavano insieme a voce alta le porte che scorrevano accanto a loro.
-233... 234... 235... 236... Ci siamo quasi, fra poco rivedremo Tom... 240... 241...-.
Erano quasi arrivati quando l’entrata in fondo al corridoio si spalancò e una bella infermiera bionda avanzò nel corridoio ticchettando con i tacchi e sospingendo un carrello. Bill non ci fece molto caso finché non si fermò proprio davanti alla stanza 247, a pochi passi da loro, e allora si ritrovò a osservarla mentre dal carrello pescava una siringa colma di chissà quale liquido. I capelli biondi e lucenti le scendevano in graziosi boccoli che ondeggiavano mentre armeggiava con la serratura, e il viso pallido era acceso da una boccuccia colorata di un rosso vivo e pesante, mentre da sotto in su, un paio di occhi azzurro ghiaccio fissavano criticamente la siringa in controluce.
-Prego...-, disse con gentilezza Jade, cedendo il passo alla donna
Un brivido freddo scese per la schiena di Bill e lo immobilizzò, gli occhi sgranati e il fiato corto.
“No, non può essere lei... Non qui... No...”, pensava, ormai nel panico.
Prima di entrare, l’infermiera lanciò uno sguardo penetrante al ragazzo, uno sguardo freddo e ammaliante che ben conosceva.
Ormai non aveva più dubbi...
La donna spinse la porta ed entrò.
-Faccio in un momento-, cantilenò quella con una voce sorprendentemente acuta e roca.
... quella era Giusy.
La serratura scattò e il cuore di Bill saltò un battito.
Non avrebbe permesso a quel demonio di intromettersi di nuovo nella sua vita, no, non più!
Riprese il controllo del proprio corpo incredibilmente in fretta, fece bruscamente da parte Jade e si lanciò sulla maniglia come se fosse la sua ultima speranza. La porta si spalancò fin troppo facilmente, tanto che Bill perse l’equilibrio e per poco non rovinò a terra. Si rialzò, tremante, confuso, spaventato, riuscendo a biascicare un “No!” stentato e inutile. Poi, il tempo parve fermarsi.
La scena che si presentò davanti ai suoi occhi fu questa: l’infermiera accanto al letto con le mani sulla bocca e un’espressione sconcertata, la siringa ancora piena abbandonata sul pavimento e una camicia da ospedale abbandonata su una sedia.
Ora che la guardava bene, pensò Bill, nonostante l’impressionante somiglianza, la donna chiaramente non era Giusy. Gli occhi erano più piccoli, il mento più pronunciato e le sopracciglia più sottili. Sospirò. Un problema in meno. Anche se, a dir la verità, se n’era appena aggiunto un altro.
Il letto di Tom era vuoto, e del ragazzo non c’era traccia.

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