A FAntAstic Life di HuGmyShadoW (/viewuser.php?uid=38035)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** _Incubi_ ***
Capitolo 2: *** _Malinconie_ ***
Capitolo 3: *** _Concerto_ ***
Capitolo 4: *** _Ipocrita e Scontro_ ***
Capitolo 5: *** _Rosso_ ***
Capitolo 6: *** _Memorie e Svolta_ ***
Capitolo 7: *** _Presentazioni_ ***
Capitolo 8: *** _Scandalo_ ***
Capitolo 9: *** _Intervista e Pugnalata_ ***
Capitolo 10: *** _Ferita e Cappuccetto Rosso_ ***
Capitolo 11: *** _Girare e Minaccia_ ***
Capitolo 12: *** _Bollicine e Panchina Fredda_ ***
Capitolo 13: *** _Notte_ ***
Capitolo 14: *** _Persiana e Confessioni_ ***
Capitolo 15: *** _Angoscia e Shopping_ ***
Capitolo 16: *** _Bacio e Biglietto_ ***
Capitolo 17: *** _Ombra e Sudore_ ***
Capitolo 18: *** _Colazione_ ***
Capitolo 19: *** _Fuori!_ ***
Capitolo 20: *** _Sogno e Realtà_ ***
Capitolo 21: *** _Thè al limone e Lettera_ ***
Capitolo 22: *** _In die Nacht_ ***
Capitolo 23: *** _Pizza e Bar_ ***
Capitolo 24: *** _Perchè?!_ ***
Capitolo 25: *** _Cadillac e Taxi_ ***
Capitolo 26: *** _A Fantastic Life_ ***
Capitolo 27: *** _Rivelazione_ ***
Capitolo 28: *** _Una Quasi Dichiarazione_ ***
Capitolo 29: *** _Patatine e Flebo_ ***
Capitolo 30: *** _Borse della spesa e Infermiera_ ***
Capitolo 1 *** _Incubi_ ***
“Tutto. Sto
lasciando tutto. Eccoli lì, la mia famiglia, i miei amici, i
miei ricordi, mi aspettano , sorridenti e tranquilli, sulla
soglia della mia vita. Non si scompongono nel vedermi là, a
metà strada, sono sicuri che tornerò da loro.
Sì, credo proprio che li ascolterò. Sto bene con
loro, si trovano nella luce, al calore. Comincio a camminare verso il
mio passato. Ma certo, ora li distinguo bene: ecco mamma, e anche
papà; sono insieme, mi attendono a braccia aperte. Che
strano, forse questa non è proprio la mia vita. Non ci
penso: voglio raggiungerli, voglio riassaporare il leggero gusto di una
vita normale, una vita in cui sono veramente amato, non una falsa,
dorata esistenza, nella quale tutti mi desiderano perché non
mi conoscono realmente… No, non è questo
ciò che voglio…
Poco più in
là c’è Tom, appena più
piccolo di come l’avevo appena lasciato; anche lui vuole che
lo raggiunga. Va bene Tom, sto arrivando. Ma perché ci metto
così tanto? Siamo lontani solo pochi metri… Non
riesco a capire… D’un tratto qualcosa comincia a
strattonarmi un braccio. Mi giro. È Tom. Tom, proprio come
lo ricordavo, l’altra parte di me, mio fratello…
Un momento… Qualcosa non quadra… Guardandolo
meglio capisco cosa non va. I suoi occhi sono privi della solita
scintilla di vitalità: il suo sguardo è spento,
vuoto, gelido. Tu non puoi essere mio fratello… Sento di
dover raggiungere la luce, non mi piacciono le tenebre. Mi volto e
sospiro di sollievo nel trovare tutto come l’avevo lasciato,
il mio personale barlume di conforto è ancora acceso ad
indicarmi la via da percorrere. Sto arrivando, mamma, papà,
sono qui. Fra poco sarò con voi… Faccio mezzo
passo… e mi blocco. Non riesco ad andare avanti. Ah, ora
capisco, Tom mi sta ancora trattenendo per il braccio. Mi giro a
guardarlo, voglio chiedergli di lasciarmi tornare a casa, ma non ne ho
il tempo, perché lui, impassibile, comincia a trascinarmi
nell’oscurità, lontano da tutto ciò che
ho di più importante. Perché, Tom,
perché?! Non eri tu quello ad essere sempre dalla mia parte,
chi sapeva sempre farmi ragionare quando stavo per fare uno sbaglio?
Non voglio avanzare nell’oscurità, non so dove
metto i piedi… È come essere ciechi…
Nonostante cerchi di tornare indietro, i miei sforzi sono
tutti vani: le tenebre mi avvolgono sempre di
più…
Infine, con uno
strattone più forte, riesco a liberarmi dalla presa ferrea
di mio fratello, che assume una espressione attonita e ferita che
bastò a fermarmi il cuore per un momento…
Davvero, non ricordavo fossi così forte… Mi hai
lasciato dei segni? Avvicino il braccio al viso per controllare la
presenza delle rosse, incandescenti copie delle dita di Tom,
ma… non riesco a vederlo. Dov’è il mio
braccio? Dove sono io? Alzo lo sguardo, angosciato cercando
quello del mio gemello, per chiedergli spiegazioni, per chiarire, ma
non riesco più a vederlo: è stato inghiottito
dall’oscurità anche lui.
Non riesco a vedere
nulla… Forse sono i miei occhi ad essere guasti... Guardo
dappertutto, ma sia la luce che Tom sono scomparsi.
Ora sono veramente
solo…
Non ho più un
passato al quale aggrapparmi e il futuro, mutevole e beffardo, continua
a scivolarmi tra le dita come sabbia.
Senza rendermene conto
mi ritrovo raggomitolato a terra, un insignificante granellino perso in
un mare di sabbia, o meglio, una piccola vita dispersa nel
nulla… Non riesco a sentire niente, nessun rumore, nessuna
sensazione… Non avverto più nulla, nulla nemmeno
più sotto la mia spalla. Sono appoggiato al
niente…
Solo quando me ne rendo
veramente conto riesco a percepire che freddo sentivo. Come ho fatto a
non accorgermene prima? È insopportabile… Ho
freddo… Tanto, troppo freddo… e sono
qui, nel gelido nulla, completamente solo; una piccola gemma strappata
dal suo solido ramo da un vento crudele e impetuoso, che l’ha
trasportata ovunque, facendole ammirare la bellezza del mondo prima di
gettarla bruscamente a terra.
E io sono qui, nel
glaciale vuoto, completamente solo.
Mi siedo e mi stringo le
gambe al petto. Comincio a dondolare su me stesso, guardandomi
ansiosamente intorno. Ho tanto freddo…
L’oscurità è dappertutto, preme sui
miei occhi, s’insinua nei miei vestiti, si aggrappa ai miei
capelli, è soffocante… E fa male… Fa
freddo… Ho tanto freddo… Dove sono? Non mi piace
l’oscurità… È
fredda…”
In quell’ istante, in una piccola stanza d’albergo
alla periferia di una grande, sconosciuta città, Bill
Kaulitz spalancò di scatto gli occhi, urlando con
quanto fiato aveva in corpo per liberare ciò che sentiva, un
dolore così grande che solo le lacrime, che ormai gli
rigavano copiose il dolce viso spaventato, non sarebbero bastate ad
esprimere.
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Capitolo 2 *** _Malinconie_ ***
-Ehi…
Bill… Bill! È giorno, svegliati…
Svegl… oh!- .
Tom, entrando nella stanza, fu non poco sorpreso dalla scena che gli si
presentò davanti: suo fratello, seduto sul letto, era
completamente vestito, truccato e con la chioma leonina perfettamente
ritta sulla testa. Sbigottito, guardò la
radiosveglia sul comodino e poi di nuovo Bill, che gli dava le spalle,
rivolto verso la finestra, e che non dava segno di averlo sentito
arrivare.
-Ehi, Bill, ti senti
male?! Non è da te svegliarti senza…
ehm… incoraggiamento, alle 8 di mattina… Per caso
qualcosa non va?-, gli chiese Tom, andando a sedersi sul
letto accanto al gemello e passandogli un braccio attorno alle spalle.
Tom, suo fratello. Sembrava gli leggesse nel pensiero, pensò
Bill con affetto. “Qualcosa
che non va… Se rispondessi la mia intera esistenza sembrerei
troppo tragico? Forse è meglio non dirti nulla, per il
momento, o ti preoccuperesti troppo”.
Finalmente, Bill sfoderò il suo sorriso più
rassicurante, anche se quella mattina gli sembrò
più tirato del solito, e si voltò verso Tom, che
lo guardava con apprensione ed un pizzico di sospetto.
-Non è niente,
figurati, ho solo fatto un sogno che mi ha fatto riflettere
più del solito… Ma sto bene, te lo giuro!-,
insistè il ragazzo, sempre sorridendo visto che il fratello
non sembrava persuaso delle sue scuse sbrigative e per niente
convincenti. I secondi passarono lentamente, mentre pareva che nella
stanza, invece, il tempo si fosse fermato finché…
anche Tom non si sciolse in un sorriso e si alzò
ridacchiando, dicendo:
-Sì, come no,
tu che rifletti! Sarebbe un miracolo! Comunque scendi, abbiamo le prove
per il concerto di stasera!- , e sempre sorridendo
lasciò una stanza e un ragazzo seduto sul letto, con addosso
una maschera e dentro un devastante senso di colpa.
-Nooooo!!! Non ci credo!!-,
urlò Gustav sbellicandosi dal ridere e scivolando sul
pavimento dell’autobus privato che stava trasportando i Tokio
Hotel allo stadio, nel quale si sarebbe svolto, quella sera, il loro
ennesimo concerto. Sempre scosso dalle risate e incapace di parlare,
prese ad indicare Georg, rosso come un peperone, che continuava a
balbettare inutili -Ma
smettila!! Non dovevo dirvelo...-..
-Ora basta!!!-,
ruggì quest’ultimo, furioso, e con movimento
fulmineo si avventò sul compagno, sempre raggomitolato sul
pavimento, che cominciò a dibattersi non appena
l’amico iniziò a strofinargli le dure
nocche sulla testa, in una mossa probabilmente copiata da un lottatore
di wrestling : -Smettila,
maledizione!! Mi fai male! Ahiaaaa!!!!-, e ancora spinte e
pugni giocosi, che non potevano fare altro che rafforzare la loro
amicizia.
Comodamente stravaccato su un morbido sedile azzurro, Tom ridacchiava
assieme ai compagni per quel gioco tanto infantile quanto bello.
D’un tratto però smise e rimase attonito: “Perché non
sento la risata idiota di mio fratello? Di solito è il primo
che comincia a sbellicarsi per queste situazioni dementi…
Pensandoci bene, è da quando siamo saliti sul bus che non lo
vedo… Ma dov’è?!”
, pensò il ragazzo sporgendosi a destra e a sinistra per
cercare il gemello. “Ah,
eccolo, trovato…”. Tom
sospirò di sollievo nel riconoscere la bizzarra
capigliatura, ma poi si accigliò: qualcosa non andava, non
andava affatto. Bill amava essere al centro dell’attenzione,
era l’anima della band, chi riusciva a smuovere gli amici
anche quando erano contrari a fare quella certa cosa… E
allora come mai adesso se ne stava tutto solo in un angolo?!
Preoccupato, Tom si alzò con un sospiro dal comodo sedile e
cominciò ad avanzare verso l’ultimo posto di
quell’autobus, tanto piccolo secondo i suoi criteri, che
però ora cominciava ad allungarsi ad ogni passo.
“Maledizione,
ma questo corridoio non finisce più?!”,
pensò, arrabbiato senza sapere perché.
Finalmente, riuscì a raggiungere il fratello, disteso sui
due sedili con le spalle e la testa appoggiate al finestrino, sul viso
un’espressione tanto malinconica quanto bella e struggente.
Nel vederlo così spento, il rasta non poté che
provare una grande tristezza per il fratello. Quest’ultimo
sembrava non essersi nemmeno accorto che accanto a lui c’era
qualcuno, e nemmeno si mosse quando un esitante Tom lo
chiamò piano, dolcemente:
-Bill, senti…
ehi!! Bill!! Biiill!!!!!-. Soltanto quando il
gemello gli urlò nelle orecchie, Bill si girò
lentamente e si tolse, con un’ espressione sorpresa dipinta
sul suo volto angelico, le cuffiette dell’ i-Pod.
-Meno male!!! Stavo per
perdere la voce!!!-, lo apostrofò bruscamente
Tom.
Sembrò che il ragazzo impiegasse
un’eternità a recepire il messaggio, con le
sopracciglia aggrottate e la bocca arricciata di lato. Finalmente, dopo
parecchi secondi, rilassò le labbra e sgranò gli
occhi, chiedendo candidamente:
-Perché, eri
qui da tanto?-.
“Come si fa a
non volerti bene?!”, pensò Tom
divertito, e con un lungo sospiro scaraventò giù
dal sedile le lunghe, magre gambe del gemello, che perse
l’equilibrio e si aggrappò al finestrino
imprecando, e gli si gettò accanto.
-Allora? Cosa
c’è che non va? Sii sincero, per piacere, non
sopporto più di vederti ridotto così… -,
disse Tom, e subito si sentì gli occhi
pericolosamente lucidi, mentre Bill abbassava lo sguardo e
rispondeva: -Niente…-,
con un tono di voce che avrebbe sciolto un cuore di marmo. Per simulare
l‘azione di asciugarsi i lucciconi finse di sistemarsi il
cappello… Pericolo scampato. Il fratello sembrava non
essersi accorto di nulla.
Tom rimase in attesa ancora qualche secondo, finché il
gemello non alzò lo sguardo, e trafiggendo il suo gli disse,
mesto:
-Senti, non devi stare
male per me…-. A Tom venne un colpo. Come non
detto. Bill si accorgeva sempre di tutto. -… È solo un
periodo in cui, bè, preferisco stare da solo…
Spero tu mi capisca…Non è niente di grave,
riuscirò a superarlo, tranquillo… Tutto
qui…-.
“Tutto
qui…” . Questo era troppo.
Tom strappò dalle mani distratte di Bill l’ i-Pod
con cui aveva giocherellato fino a quel momento e
guardò il titolo della canzone che ormai si
ripeteva incessantemente.
Di nuovo sentì gli occhi bruciargli, ma questa volta non se
ne curò. Alzò lo sguardo umido
d’affetto verso il fratello, che lo guardava, vuoto e
colpevole.
-Bill, è da
quando siamo partiti che ascolti sempre e solo “Rette
Mich”, vero?-.
Lo sguardo del ragazzo parlava da solo. - Tu non stai bene… Se
adesso non vuoi parlarne, d’accordo, non ti
costringerò a sfogarti con me, però sappi che
quando sarai pronto io ci sarò sempre per te…-.
Bill fece un grandissimo sforzo per trattenere le lacrime, pronte a
comparire in qualsiasi momento, quel giorno.
Detto questo, Tom strinse brevemente le spalle del gemello e si
alzò. Stava per andarsene quando si
ricordò…
-Ah, Bill…?-.
-…
Sì…?-. rispose quello, guardandolo
sospettoso.
-Ehm…-.
Non sapeva come cominciare. Si morse un labbro gingillandosi con il
percing. -Be’…
stanotte ho sentito qualcuno urlare… Mi sembrava venisse
dalla tua camera… Ehm… eri… insomma,
eri tu, per caso?-. Con un sospiro di sollievo ed un filo
di imbarazzo, finalmente quella frase mezza balbettata uscì
dalla bocca tormentata del rasta.
Gli occhi sgranati del gemello, così simili ai suoi, gli
diedero da soli la risposta, ma Tom preferì sentire cosa
avrebbe veramente risposto il fratello. Lentamente,
l’espressione di Bill si ricompose e con un tono di voce che
si sforzò di far passare come tranquillizzante
replicò:
-Chi, io?! Ma
và, te lo sarai sognato… E poi perché
dovrei mettermi ad urlare nel cuore della notte?! Io non ho sentito
nessuno…-, e abbassò subito la testa
per non far scorgere la colpevolezza nel suo sguardo.
Tom annuì: -Va
bene… Allora… Quando vuoi, io ci sono…-,
e senza aggiungere altro se ne andò, lanciandogli un ultima,
malinconica occhiata.
Bill rimase immobile a guardarsi le punte delle sue nuove scarpe
firmate, aspettando qualche secondo. Poi, di scatto, alzò la
testa, facendo oscillare le sommità della sua capigliatura
ed esclamò: -Tom!!!
Io…!!-. Quando si accorse che non
c’era più nessuno accanto a lui, scosse la testa
ridendo di sé, e si rimise l’ i-Pod, tornando
nella stessa posizione in cui l’aveva trovato il fratello
pochi minuti fa.
“Già,
Tom… lui non vorrebbe vedermi ancora
così…”, pensò
amareggiato Bill.
In quel momento attaccò ancora una volta il ritornello di
“Rette Mich”. Un timido sorriso cominciò
finalmente a farsi strada sul viso malinconico del ragazzo, diventando
un po’ più largo quando con un lungo dito
dall’unghia smaltata di nero premette il tasto
“AVANTI” e le prime note di
“Monsoon” iniziarono a spandersi nella sua mente
tormentata.
Chiuse i begli occhi nocciola e appoggiò di nuovo la testa
al finestrino.
“…togheter
will be running somewhere new
and nothing can hold me
back from you,
trough the monsoon,
just me and you...”
Di nuovo, un sorriso illuminò l’espressione di
Bill Kaulitz, che ora un po’ più sereno mentre si
lasciava andare ad un piacevole torpore, sussurrò a tutti e
a nessuno:
-Grazie…-.
E una lacrima, in quel momento, lui fu sicuro fosse valsa
più di mille parole.
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Capitolo 3 *** _Concerto_ ***
La notte… Spesso non riusciamo ad ammirarne veramente la
bellezza, tanto occupati a fuggirla per rifugiarci alla luce. In
realtà, se non ci fosse il buio non potremmo vedere
né le stelle né la luna. Sarebbe veramente
triste. Ma a volte, troppa luce può disturbare, e fare
male. È allora che si può cominciare a
desiderare un posto nell’oscurità, per ritrovare
la tranquillità, per riflettere… Altre volte
invece si desidera di sparire. Puf! Come se non si fosse mai
esistiti… E spesso i desideri hanno
un’opportunità per avverarsi…
-No! No e ancora no!!!
Non ci siamo affatto!!!-.
Un scarpa color pece, lucida, venne sbattuta con forza a terra, facendo
tremare il terreno. Una goccia di sudore spiccò un salto nel
vuoto, da una liscia, giovane fronte corrugata al duro, freddo
pavimento. Spaf…
Quel giorno Bill Kaulitz era ancora più pignolo ed
esasperante del solito, il che la diceva lunga, e non riusciva a
trovare l’armonia tra gli strumenti e la sua voce. Forse
perché non era in armonia nemmeno con se stesso.
Quel pomeriggio i Tokio Hotel erano impegnati nelle prove per il
concerto che avrebbe avuto luogo quella sera su quello stesso palco. La
tensione era forte per tutti, ma non tanto quanto per il loro vocalist.
Bill cominciò a camminare avanti e indietro lungo la
piattaforma semicoperta di cavi elettrici e polvere, inveendo contro
gli altri componenti della band e lanciandosi indietro quasi ad ogni
passo un ciuffo ribelle che gli ricadeva sugli occhi.
-Ragazzi, non ci siamo!
Gustav, sei andato fuori tempo, concentrati di più; Georg,
anche tu, concentrazione!!! Tom, hai stonato sul penultimo accordo, e
non è di certo la prima volta che la suoniamo oggi, questa
canzone, maledizione!!!-.
I ragazzi rimasero attoniti: sapevano che Bill era puntiglioso, ma
questo era veramente troppo! Si lanciarono uno sguardo
d’intesa, e mentre Bill si accaniva anche contro
l’asta del microfono, brontolando che era troppo alta, Tom
prese l’iniziativa.
Silenziosamente, si avvicinò al fratello:
-Bill, secondo me sei
troppo stressato. Vuoi trovare errori anche dove non ce ne sono.
Tranquillo! Stasera andrà tutto bene! Ce la siamo sempre
cavata e continueremo a farcela! E poi non credo che le fans si
accorgeranno se il microfono ti arriva alla fronte o alle ginocchia-.
Ridacchiò. -
Saranno solo impegnate a gustarsi la mia esibizione!! Chi vuoi se ne
importi di una mezza checca quando possono gustarsi Tom il Magnifico?!-.
Georg e Gustav sogghignarono insieme al rasta, mentre Bill rimase
serio, fulminando con lo sguardo il gemello che, spostatosi al centro
del palco, suonava una chitarra immaginaria e lanciava sguardi sensuali
allo spazio vuoto che di lì a poche ore avrebbe contenuto
mille ragazze urlanti. Quando il ragazzo finì la sua
esibizione con una scivolata al limite della piattaforma, Gustav e
Georg applaudirono ridendo di gusto e finalmente anche Bill si
lasciò strappare una risata dopo che il fratello, alzandosi,
rischiò di cadere di sotto.
Tom si voltò a guardare il moro con un’
espressione di trionfo sul viso ed esclamò:
-Hà!!! Visto??
Ti ho fatto ridere, finalmente!! Tom ist die besten!! Grazie ragazze!!!
Lo so che mi amate!!-, e schioccò grandi baci
con le mani allo spazio vuoto sotto di sé. Poi si
inginocchiò sporgendosi dal bordo e sussurrò con
la sua solita voce calda e passionale a una ragazza immaginaria:
-Ehi, baby…
Che ne dici di conoscere più approfonditamente il grande
Tom? Ok? Ti vengo a prendere dopo lo spettacolo…-.
Il bassista e il batterista ormai si rotolavano per terra dalle risate,
tenendosi le mani sulla pancia, e sembrarono scoppiare quando il loro
chitarrista, allontanandosi ancheggiando fin troppo vistosamente e
soffiando loro baci, dichiarò:
-… E questa
è la tipica camminata di Bill!!-, e si
voltò a guardare il fratello lanciandogli uno sguardo
provocante, sempre continuando ad ancheggiare.
Oramai anche Bill si era lasciato andare e rideva di gusto insieme agli
altri due rannicchiato sullo sporco pavimento. Con le lacrime agli
occhi, si alzò e riuscendo a malapena a respirare, diede
un colpo con il piccolo sedere al fianco del fratello,
scaraventandolo a terra, e stando al gioco lo rimproverò:
-Ma dai, sembri un
vecchio manichino! Guarda e impara come si fa, incompetente!!-.
E anche lui si lanciò nella finta imitazione di se stesso
che sfilava davanti alle fans, sculettando vistosamente ma usando una
camminata più fluida di quella del gemello.
Dopodiché si girò, e correndo come un bambino
piccolo, quasi rimbalzando, prese di slancio il microfono e
cominciò a cantare con la voce in falsetto:
-Ich muss durch den
monsuuuun..!! Bitte, spring niiiiiiiicht...!!-, e via
all’imitazione con altre frasi tratte dalle prime canzoni che
gli venivano in mente.
Mentre tutti ridevano per quel gioco cominciato per caso, Tom non
poté che pensare:
“Bentornato,
Bill…”, e essere felice per il
restituzione del fratello, sicuro che in realtà non se ne
fosse mai andato.
-------------------------------------
Luci, fumo, urla e attesa. Questo è il mondo dei Tokio
Hotel.
In questo momento i quattro ragazzi più amati della Germania
sono dietro le quinte, nei loro camerini, intenti a prepararsi per la
grande serata che comincerà di lì a poco. Sentono
la tensione, la loro e quella delle mille e più fans, appena
più in là, distanti una vita intera.
“Ancora non
riesco a credere che tutto questo sia successo proprio a noi”,
pensò Bill Kaulitz intento a stirare con la piastra i suoi
drittissimi capelli. Era quasi pronto, gli mancavano solo qualche
ritocco e un pizzico di lacca.
“Eravamo semplici ragazzi con la passione della musica in
comune, abbiamo iniziato dal garage e ora ci ritroviamo qui, su un vero
palco, davanti a un’infinità di gente, pronta a
spettegolare su di noi non appena facciamo qualcosa di sbagliato. Le
nostre foto sono ovunque…”, e si
passò ancora una volta la matita attorno ai suoi grandi,
innocenti occhi nocciola, “… la gente ci indica
per strada, non posso più muovermi senza scorta, e
sarà una vita che non rivedo più i miei genitori
o i miei amici…”. Si
fermò, si appoggiò al tavolino e rimase,
pensieroso, a fissare i propri ricordi, così intensi da
essere quasi dolorosi.
A volte la nostalgia si presenta senza preavviso, entra senza bussare
nella nostra vita cogliendoci sempre impreparati e lasciandoci spesso
ad affogare nei ricordi.
Ma questo non era il momento di perdersi nelle proprie memorie, e Bill
lo sapeva.
Raddrizzando la schiena, si guardò allo specchio e vide un
ragazzo alto, longilineo, dagli occhi truccati e con una pettinatura
bizzarra. Ma non solo. Vide sé stesso, prima, e la sua vita,
com’era diventata. Allora prese una decisione.
Alzò lo sguardo e continuò a sostenere quello del
proprio riflesso. Questo era il destino che lui e i suoi compagni
avevano scelto, e ora dovevano continuare a viverlo.
Deciso, ormai, a dare se stesso per il pubblico, si voltò e
uscì dal camerino. Quasi nello stesso instante, altre tre
porte si aprirono. Eccoli, loro, ragazzi identici, in fondo,
a com’erano da bambini: spensierati, allegri e amanti della
musica.
Quattro paia di occhi si fissarono gli uni negli altri. Non servivano
troppe parole. Ne bastò una, che fuoriuscì senza
esitazioni dalla bocca del loro leader:
-Andiamo-.
Non appena i quattro adolescenti fecero la loro comparsa di corsa sul
palco, la folla impazzì: le urla erano quasi assordanti,
quei quattro nomi venivano invocato, e lacrime e sudore cominciarono a
confondersi fra loro.
Ognuno si posizionò: chi si mise lo strumento a tracolla,
chi ci si sistemò dietro e chi ne afferrò
l’asta con una mano dalle lunghe dita luccicanti per via dei
tanti anelli che le ricoprivano.
Erano pronti.
Sentendosi le farfalle nello stomaco e il vuoto nella testa, Bill fece
un respiro profondo. Il concerto era iniziato. La chitarra fremeva, la
batteria sussultava e il basso faceva sentire la sua voce.
Bill chiuse gli occhi, aspettando la giusta entrata. Lo note scorrevano
lente, una dopo l’altra, fluidamente, penetravano in lui, lo
avvolgevano piano.
Riaprì gli occhi. E vide il mondo intero.
Gli piaceva la musica. Inseguiva il suo sogno, l’aveva
già raggiunto, in parte. Faceva ciò che gli
piaceva e che aveva sempre voluto fare. Musica. Tutto qui.
Prese fiato dischiudendo le fresche labbra carnose; aveva un riflettore
puntato in faccia, non vedeva il pubblico, e forse era meglio
così. Ormai il concerto era iniziato.
“Das Fenster
öffnet sich nicht mehr
hier drint ist es voll
von dir und mehr
und vor mir geht die
letzte Kerze aus.
ich warte schon ne
Ewigkeit endlich ist es jetzt soweit
da draußen
ziehen die schwarzen Wolken auf... „
La prima canzone fu accolta con un applauso così fragoroso
che perfino lo stadio tremò. E anche le altre
furono approvate nello stesso modo. Dopo quasi due ore, la band
scivolò piano sugli ultimi accordi di “Spring
Nicht“ e con un’ultima nota dichiarò
concluso il concerto. Bill, stremato, brandì per
l’ultima volta il microfono, ringraziò il
pubblico, che nuovamente esplose, e corse fuori assieme agli altri
componenti della band, tutti ansiosi di farsi una doccia e festeggiare
al party organizzato per loro dopo l’esibizione.
-Eccoci!! Parcheggia pure
lì, vicino al lampione…-, disse Tom,
sporgendosi a sinistra e indicando un edificio in mattoni rossi,
abbastanza spoglio.
-Tom, se fai
così andiamo a sbatterci contro, al lampione! Levati, che
non ci vedo!!-, lo rimproverò Bill,
spostandogli bruscamente il braccio che gli impediva la visuale.
Girò il volante, frenò e poi arrestò
del tutto la macchina . Pochi secondi dopo, erano tutti fuori,
Bill, Tom, Georg e Gustav, giovani, spensierati e pronti a divertirsi.
Bussarono all’unica porta, grigia, in cui era inserita
un’unica maniglia nera, che venne quasi immediatamente
abbassata. Un paio di occhi appena raggiunti dalle punte di lisci
capelli biondi, spuntati dalla fessura della porta, fissarono i ragazzi
ad uno ad uno e dopo qualche secondo, finalmente il portone venne
spalancato, lasciando intravedere una stanza decisamente diversa dallo
stile del resto della casa.
Andreas esclamò:-
Finalmente!! Che avete dovuto fare fino ad adesso?! Un concerto??
Entrate, forza, stiamo aspettando solo voi!...-, e fece un
ampio gesto con le braccia, appartenente ad un galateo ormai superato.
-Andreas!! Come va? Bella
lì, fratello!-. Tom lo salutò in
modo decisamente differente, sottolineando ancora una volta il suo
stile “di strada”. Tutti i ragazzi rivolsero i
saluti al biondino con grandi pacche sulle braccia, pugni giocosi sulle
spalle, strette di mano più o meno decise.
In fondo erano ragazzi.
La stanza era un arcobaleno di colori, tutti diversi, distribuiti su
palloncini, festoni e striscioni. Al centro era sistemata alla
bell’e meglio su una tavola bianca, una grossa torta,
così appetitosa che ai quattro venne subito
l’acquolina in bocca. Intanto che Bill osservava ancora
com’era sistemato il locale, Tom, meno educato,
lasciò il gruppo per avventarsi immediatamente sulla prima
ciotola di salatini che gli capitò sotto mano, mentre due
ragazze, una bionda e una mora, sedute sul divano di pelle nera
lì vicino, lo guardavano divertite. Lui, accortosene,
sorrise loro, ma l’effetto di sedurre non fu proprio quello,
dato che con la bocca piena, assomigliava più a un
pesce-palla che a un rubacuori. Le ragazze cominciarono a ridere come
matte e il rasta, approfittandosene, mandò giù il
boccone e si sistemò tra di loro, stendendo le braccia sopra
lo schienale e accavallando le gambe, nella posa di chi è
sicuro di sé. Bill alzò gli occhi al cielo e
mentre se ne andava verso i suoi amici sentì il fratello
pronunciare la frase di rito della sua tecnica per affascinare le
ragazze:
-Allora, bellezze, come
andiamo? Vi state divertendo?-.
Sorridendo fra se, prese al volo un bicchiere dal tavolo e raggiunse
Georg e Gustav. Mentre beveva ebbe la sensazione di essere osservato.
Alzò lo sguardo e frugò tutta la sala, senza
però scoprire chi lo stesse guardando. Facendo spallucce, si
reinserì nella conversazione che aveva appena lasciato.
Intanto, dall’altra parte della stanza, due occhi azzurri,
freddi e taglienti come il ghiaccio, continuarono a scrutare
intensamente Bill Kaulitz, pregustando già la riuscita del
proprio piano personale.
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Capitolo 4 *** _Ipocrita e Scontro_ ***
"Presto… Devo
fare presto… Lo sapevo, non ce la farò
mai…”.
Una ragazza. Nella notte. Passi affrettati che si abbattono
violentemente sul marciapiede.
Il suo cuore batte forte, un po’ per la corsa, un
po’ per l’emozione. Correva, doveva correre, era in
ritardo, maledettamente in ritardo, e lo sapeva fin troppo bene.
Guardò il biglietto che stringeva nella mano destra da
più di un’ora, mentre si fermava a prendere fiato
sotto un lampione, e ciò che vide stampato a quella fioca
luce le diede la carica. Continuò a correre,
ancora più veloce, nonostante il dolore al fianco, a tempo
col suo piccolo cuore. Poteva farcela, doveva…
-Ciao! Tu sei Bill
Kaulitz, vero?-. Una frase pronunciata quasi sussurrando
da delle labbra carnose luccicanti di lucidalabbra alla frutta.
Bill si voltò e fissò stupito la ragazza bionda e
slanciata che gli aveva appena rivolto la parola. Era molto carina,
indossava un vestito da sera nero, corto, senza spalline, ed era di
poco più bassa di lui. Gli sembrava di averla già
visto. Si sforzò di ricordare. Poi un lampo.
Guardò oltre la spalla della biondina dritto verso
l’unico divano della sala. Tom era ancora seduto
lì e stava conversando con la ragazza mora.
L’altra non c’era più. Distolse lo
sguardo e lo rivolse nuovamente a lei, rispondendole finalmente:
-Ehm…
Sì, sono io Bill… Ma tu prima non stavi con Tom?-.
-Sì, ma ora mi
sembra che sia occupato con la mia amica…-, e
li indicò con un gesto elegante della mano. -…mentre tu sei qui
solo soletto…-.
-Veramente sto con Georg
e Gustav… -, ribadì debolmente
mentre i due ragazzi sorrisero e salutarono con le mani.
-Suvvia, è una
festa, no? Bisogna divertirsi e conoscere persone nuove, non stare
sempre con le solite.- Il sorriso si spense dai volti del
bassista e del batterista.
-Vieni, ti faccio
conoscere un paio di amici…-, e presolo per un
braccio, la ragazza cominciò a trascinare Bill nel punto
più lontano della stanza, lasciando pietrificati i suoi
amici.
Immediatamente, il giovane venne coinvolto in un infinito giro di
presentazioni, sommerso da nomi più o meno comuni che gli
uscivano di mente subito dopo che li aveva sentiti. Dopo pochi minuti
di conversazione e molti vani tentativi da parte di Bill di tornarsene
dai compagni, la ragazza, che disse di chiamarsi Giusy,
ricominciò a trascinarlo di qua e di là,
mettendogli in mano ad ogni fermata un ennesimo bicchiere che il
ragazzo, per buona educazione, finiva subito in pochi sorsi.
Ben presto, Bill si ritrovò ubriaco da tutto quel muovere in
giro e dalla troppa birra. Gli girava la testa e non riusciva
più a capire niente. Senza rendersene conto, si
ritrovò solo in una stanza con Giusy, perforato da parte a
parte da quei glaciali occhi azzurri che, anche se lui non lo sapeva,
lo stavano studiando da molto prima di quella serata.
Un vicolo oscuro. Una ragazza. Ancora lei. Lo stesso biglietto ormai
stropicciato e umido stretto nella stessa mano. Un senso di vuoto alla
bocca dello stomaco. È sotto la luce proiettata
dall’ultimo lampione prima del buio di quella angusta e
angosciante stradina.
“Ormai non ho scelta, non posso più
tornare indietro…”, pensa la ragazza
sentendo un ronzio nella testa e
un fastidioso, freddo formicolio dietro la nuca. “Mannaggia a me e al
mio stramaledetto ritardo… Va bene, andrà tutto
bene… Forza…”,
Sta sudando freddo, tentenna ancora ad avviarsi verso
quell’insicuro destino.
e
con un gran sospiro si tuffò nelle tenebre.
Altro tuffo, di ben diverso tipo, in una stanza dalle pareti colorate,
su un vecchio divano di pelle rossa. Bill si ritrova sprofondato fra
quegli antichi cuscini, completamente stranito, mentre una ragazza
bionda di cui non riesce più a ricordarsi nemmeno il nome
gli è sopra e si avvicina sempre di più. Senza
sapere come, si ritrova delle labbra estranee che profumano di fragola
premute sulle sue, mentre una mano adornata da qualche braccialetto
tintinnante già gli si è infilata sotto la
maglietta. Apre la bocca per chiedere spiegazioni e scopre una lingua
non sua a giocare con il proprio percing. Ciuffi biondi gli ricadono
sul viso truccato, non riesce più a capire niente, vuole
alzarsi, ma non ce la fa, c’è qualcuno che lo
tiene intrappolato tra quei soffocanti guanciali di un rosso passato.
Cerca la lucidità , ma affanna nel annebbiamento. La mano
sconosciuta è fredda, e continua a navigare sulla sua
schiena, poi sulla sua pancia piatta, sfiora la stella e passa oltre,
più in basso ancora. Quando il ragazzo si sente sfilare la
cintura finalmente trova quel pizzico di ragione che gli basta per
discostare quel corpo dal suo e riuscire finalmente ad alzarsi in
piedi, anche se barcollando. Ha un po’ il fiatone, si sente
quasi svenire. Si appoggia al tavolino lì accanto e chiede,
balbettando affannosamente:
-Pe..
Perché… vuoi… mi vuoi fa…
re questo…?- . Si sente la nausea, ma respira
profondamente e riesce per miracolo a non vomitare.
La ragazza intanto si alza, e sistemandosi i capelli ridacchia piano
fra sé, poi si rivolge al ragazzo tremante, sempre
sorridendo con un velo di cinicità negli occhi azzurri:
-Proprio non riesci ad
immaginarlo?! Fai uno sforzo… Tu sei il ragazzo
più desiderato della Germania, grazie a quel tuo gruppo da
quattro soldi… Credi che se vendessi qualche foto
“piccante” di noi due assieme non farebbe
scalpore?!-, e fece oscillare davanti agli occhi stupiti
di Bill una macchina fotografica digitale. -In breve tempo diventerei
famosa, e tu per non fare scandalo dovresti ammettere di essere insieme
a me… E tutto questo non può che rientrare nei
miei interessi… Potrei ricattarti e diventare ricca senza
sforzo… Coronerei il mio sogno in un mese, massimo. Hai
capito, ora, stupido travestito?-, esclamò la
ragazza perfidamente, schernendo un atterrito Bill che si ritrovava a
vivere il deja- vu più impressionante della sua vita. In un
lampo, ricordò quell’incubo, la sua sensazione di
vuoto, il buio ed in particolare quella coscienza:
“…non
voglio una falsa, dorata esistenza, nella quale tutti mi desiderano
perché non mi conoscono realmente… No, non
è questo ciò che voglio… “.
Sgomentato, si ritrovò nella realtà, nella sua
realtà, a vivere la sua più grande paura: essere
solo, senza vero amore e attorniato da falsità.
Mentre la ragazza comincia ad avvicinarsi di nuovo a lui, ora con un
lampo più malizioso negli occhi, Bill riesce ad urlare un “NO!”
un po’ biascicato e ad allontanarsi, malfermo, da quel
demonio travestito da angelo e da quel divano rosso spento.
Giusy rimane immobile al centro della stanza, sposta il peso su un
fianco e vi si appoggia, mentre si porta la macchinetta digitale alla
bocca. Sorride di un sorriso diabolico, per metà
nascosto dall’apparecchio grigio appoggiato alle labbra
fruttate, ora un po’ meno lucide. Guarda la porta rimasta
aperta e sussurra piano:
-Ci rivedremo, Bill
Kaulitz, non ti lascio di certo scappare così…-,
e se ne va, indossando il suo volto attraente e lasciando su quei
cuscini sporchi di falsità la sua vera identità.
“Non riesco a
crederci… Non me lo sarei mai
aspettato…”.
Bill percorreva a grandi falcate, un po’ insicuro, il tratto
di strada che lo separava da un comodo letto e da una notte tormentata,
molto probabilmente insonne. Ancora ubriaco, non riusciva
però a non pensare a quello che era appena accaduto e a
quello che sarebbe potuto succedere se non avesse trovato un
po’ di lucidità.
“Sarebbe stata la fine del gruppo…E sarebbe
accaduto tutto per colpa mia…”,
pensò con amarezza il ragazzo, mentre ancora una volta si
appoggiava al muro pieno di scritte d’amore, per rimanere in
piedi.
“Già, amore… Che strano sentimento! Io
l’ ho provato poche volte nella mia vita, e ne sono sempre
rimasto deluso: ti prende, ti vizia, ti coccola, e quando ormai ne sei
assuefatto, può venirgli il capriccio di lasciarti per
strada, fra le cose polverose del passato che fu. Il tuo passato, ormai
cenere, gettata al vento…”
Bill rimase immobile per qualche tempo, poi alzò lo sguardo
al cielo e respirò profondamente l’aria fresca
della notte, riuscendo a riprendersi un po’ di
più, nonostante non riuscisse ancora a stare fermo in piedi.
Mentre ancora assaporava quella leggera brezza rinfrescante su suo
pallido viso, gli sembrò di udire un inquietante rumore di
passi dietro di sé. Si bloccò. Angosciato, si
guardò intorno, cercando di scorgere la presenza di ombre
più scure della notte, ma vide solo la propria, proiettata
dalla fioca luce del lampione a cui era appoggiato.
Abbastanza inquieto, il ragazzo decise di proseguire il più
velocemente possibile, tenendo lo sguardo basso e guardandosi alle
spalle di tanto in tanto. Sentendo uno schianto assordante alla sua
destra si voltò di scatto, in posizione di difesa, ma
spaventò solo un vecchio, grigio gatto che saettò
lontano dal bidone dei rifiuti che aveva appena rovesciato.
Un po’ più sollevato, Bill si asciugò
il sudore freddo che gli imperlava la fronte e con un ennesimo,
profondo sospiro proseguì per quel breve, insicuro percorso
di cui non era sicuro sarebbe riuscito arrivare alla fine. Il giovane
accelerò ancora, quasi correva tanto lunghe erano le sue
falcate lungo quel grigio e spoglio marciapiede. Poi rumori. Tonfi. E
ancora passi affrettati, dietro, davanti, tutt’attorno a lui.
“Per effetto
dell’eco, probabilmente…”,
si disse fra sé per allentare la tensione che lo stava
schiacciando. O almeno, questo era ciò che sperava
ardentemente.
Poco prima. In un altro luogo, decisamente più sicuro. Un
ragazzo con lunghi rasta biondicci sta tuttora conversando con una
ragazza su un divano di pelle nera. Le chiacchiere sono ancora animate
e leggere, ma l’attenzione del ragazzo verso la moretta non
è più come prima. Il suo sguardo vaga vigile
lungo tutta la sala, soffermandosi in particolare su tutte le persone
alte e dai capelli neri. Quando però si accorge che nessuno
di loro è chi lui sta cercando, passa oltre, più
inquieto mano a mano che si avvicina al punto di partenza. Nel momento
in cui constata di non aver trovato quel particolare ragazzo, si alza.
-Dove vai? Ti stavo
raccontando del mio viaggio alle Hawaii!-, protesta la
giovane, nel vedere che Tom non la sta più degnando di uno
sguardo.
-Scusa, devo andare a
vedere dov’è finito quell’idiota di mio
fratello!-, risponde lui, allontanandosi velocemente. Poi
si volta, sempre camminando, e si appoggia una finta cornetta del
telefono, fatta dalle sue dita, tra l’orecchio sinistro e le
labbra, e grida alla mora, da lontano:
-Ti chiamo dopo! Non
preoccuparti!-, e dopo averle fatto
l’occhiolino, continua per la sua strada, lasciando piena di
speranza un’altra ragazza.
“Chissà
perché faccio sempre questo effetto alle donne…
Mah…”, pensò
distrattamente Tom. Si fermò un attimo, e dopo aver
individuati Georg e Gustav, soli, decise di raggiungerli.
-Avete visto Bill, per
caso?-, chiese, cercando di apparire tranquillo ed
indifferente.
-Sì,
sarà in giro con Miss Simpatia, con chi altri, se no?!
Starà ancora conoscendo “persone
nuove”…-, rispose Gustav, acido,
facendo il gesto delle virgolette con le dita.
-Miss Simpatia? E chi
sarebbe?! Dai, non fatemi perdere tempo, raga!-,
domandò Tom, anche lui seccato.
-Non li hai visti?
È arrivata qui di punto in bianco quella tipa bionda con cui
stavi e si è trascinata dietro il nostro istrice
cantautore… Gli deve aver fatto fare il “Tour dei
Vip”, ma poi non lo abbiamo più visto…
Magari adesso ci starà provando con lui, che dici Gustav?-,
raccontò Georg, chiedendo conferma al batterista, che
alzò le spalle mentre dava un sorso alla sua seconda birra e
borbottava: -Fatti
loro…-.
Tom ripensò alle parole dell’amico:
“ …quella tipa bionda con cui
stavi…”. Si sforzò di
ricordare cosa gli avesse raccontato durante quei pochi minuti che
aveva passato con lui. Aggrottò le sopracciglia e rimase a
pensare per qualche tempo, mentre i due amici continuavano ad offendere
con terribili insulti la ragazza tanto antipatica.
All’improvviso, un flash. Un ricordo incredibilmente nitido
della conversazione avuta con lei, Giusy. E un dubbio che comincia ad
attanagliargli lo stomaco e la mente. Cercò di non pensarci.
Senza nemmeno salutare, Tom cominciò a dirigersi di nuovo
verso il divano, sul quale lo aspettava a braccia aperte la ragazza.
“Però,
mica male la tipa…”, pensò
il rasta, leccandosi il percing. “Sembra
quasi una modella…”. Arrivato a
metà strada, rivolse lo sguardo prima alla porta e poi di
nuovo alla moretta. Insicuro, tentennante fra ciò che
riteneva giusto e ciò che adorava di più.
-Al diavolo!-,
esclamò ad alta voce Tom, e voltatosi, prese finalmente la
sua decisione.
“Che freddo che
fa… Comunque, il colmo sarebbe che adesso mi derubassero o
che mi picchiassero a sangue, dopo i fatti di
stasera…”, pensò Bill, per
distrarsi un po’. Girò un angolo in un vicolo
buio. “Dopo
tutto questo, non mi stupirei nemmeno se un missile mi piovesse
addoss…”, ma non riuscì
nemmeno a finire la frase perché qualcosa, o qualcuno,
sparatogli contro a velocità allarmante lo colpì
forte all’altezza dello stomaco, togliendogli il fiato e
sgombrandogli la mente, sbilanciando il suo momentaneamente precario
equilibrio. Mentre cadeva a terra, schiacciato da quel corpo estraneo,
di cui riconosceva solo una massa confusa di capelli scuri, non avrebbe
mai potuto immaginare che quel casuale incontro, anzi, improvviso
scontro, avrebbe cambiato completamente la sua vita, sconvolgendo
addirittura il suo destino.
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Capitolo 5 *** _Rosso_ ***
Un dolore bruciante, paralizzante, improvviso. Rosso. Bill vedeva tutto
rosso. Rosso sangue. Chiuse gli occhi e strinse fortissimo le palpebre,
per cercare di scacciare quella fitta che lo stava immobilizzando.
Davanti al suo campo visivo cominciarono ad apparire una miriade di
puntini bianchi. Poi, quando finalmente il bruciore divenne
controllabile, aprì lentamente gli occhi, vedendo
letteralmente e realmente le stelle. Piccole, lontane stelle splendenti
in un nero cielo di seta. Sentiva delle scosse partire dai gomiti e
arrivare alla spalla per ogni piccolo spostamento, e i palmi delle mani
coperti di ferite. Per un attimo non riuscì a ricordare cosa
fosse successo, ma quando vide sopra di sé quella giovane
dai lunghi capelli castani, la consapevolezza lo investì
nello stesso modo di quella sconosciuta. Ricordò tutto: la
festa, Giusy, la sbornia, la strada scura, il suo ultimo pensiero prima
dello scontro e poi... quella ragazza. Abbassò lo sguardo su
quel corpo inerte e gli si gelò il sangue nelle vene: non si
muoveva.
“Avrà
battuto la testa?! Magari è solo svenuta..”,
pensò angosciato. Provò a toccarla ma poco prima
che la punta delle sue gelide dita le sfiorasse i capelli, la ragazza
si mosse ed alzò il capo...
Vuoto. Nella mente e nello stomaco. Ecco cosa provò Bill
quando quei due grandi, puliti, sinceri occhi nocciola velati di
lacrime si posarono sui suoi, dello stesso colore ma contornati di
nero, stupiti e brillanti.
Ed un battito di cuore fortissimo, che quasi si arrestò
quando, da quelle delicate labbra rosate, fuoriuscì in un
soffio profumato quell’unica parola:
-Aiutami...-.
Il ragazzo si paralizzò, ma stavolta non dal dolore fisico.
Che cosa voleva dire? Da cosa la doveva salvare?
La risposta apparve quasi immediatamente da dietro l’angolo
davanti al quale i due ragazzi si erano scontrati.
Tre. Rudi, forti, muscolosi e... pericolosi. Un piccolo gruppo di
uomini li stava guardando dall’alto in basso, e sogghignavano
orridamente.
La paura attraversò Bill con un brivido lungo la schiena,
ancora incollata a terra. Spostò lo sguardo prima sulla
ragazza che ancora lo fissava, impaurita ed implorante, e poi sui tre
ceffi, che in quel momento sputarono le sigarette a terra e le
pestarono con i loro grossi piedi per spegnerle. Quando li rialzarono,
era rimasta solo cenere. Bill era inorridito.
In quel momento capì.
Il più grosso dei tre si fece avanti, e si chinò
sui due, dicendo:
-Guarda guarda cosa
abbiamo qui! La nostra cara farfallina e... che diavolo sei tu?! Ehi,
ragazzi, secondo voi questo qui...-, e indicò
Bill con un enorme dito color terra.
-... è un maschio o una femmina? Non si capisce nemmeno!-,
e inarcando la schiena, incominciò a ridere sguaiatamente,
seguito a ruota dagli altri due.
La ragazza, approfittando del momento di distrazione, fece un segno con
gli occhi al ragazzo atterrito, e cominciò a strisciare
verso il muro. Bill fece per seguirla, quando un grosso piede, ormai
familiare, calò duramente sulla mano del ragazzo. Bill
urlò, lacrimando, e ritrasse le dita, alzandosi in piedi. Di
nuovo, i brutti ceffi sogghignarono, ma ora avevano un lampo di
cattiveria negli occhi.
Poco prima che fosse la fine, Bill considerò disperatamente:
“La prossima
volta, se ci sarà, dovrò stare attento a
ciò che penso!”.
Poi serrò gli occhi e alzò le mani davanti al
viso per proteggersi, in un ultimo, disperato tentativo, rimpiangendo,
stranamente, di non aver conosciuto meglio quella ragazza dagli occhi
buoni.
Sta correndo da un pezzo ormai, ha il fiatone, è fuori
allenamento. Non deve fermarsi però. O la morsa allo stomaco
peggiorerebbe. Quindi, ignorando la fitta al fianco, continua ad andare
avanti, inciampando ogni tanto nei jeans troppo lunghi. Attraversa
grandi strade, vie minori, stradine, vicoli. Comincia a rallentare e
poi si ferma sotto un lampione, lo stesso che ha sostenuto altre due
persone, anche se lui non lo sa. Gli serve solo qualche secondo, rialza
lo sguardo e continua a sfrecciare nella notte, passando accanto ad un
grigio bidone rovesciato e a pezzi di sogni infranti.
La ragazza guardò il govane allibita:
- Ma sei pazzo?! Che fai
ancora qui? Scappa, corri via! Non devi pensare a me... Vattene!-
urlò, con voce un po’ roca.
“Ha ragione...
Non dovrei stare qui a rischiare la vita senza un vero motivo... Dovrei
andarmene... Adesso!”, pensò Bill,
abbassando un po’ la guardia e rilassandoi pugni serrati. “Dovrei proprio
correre via da qui...”, rifletté
scrutando ad uno ad uno i tre uomini, stranamente ancora
immobili. Lanciò un’occhiata di sbieco
alla debole figura rannicchiata contro il muro. Tremante. Spaventata. E
indifesa.
“Sì,
dovrei scappare, ma non posso...”. E una
inaspettata ondata di coraggio lo pervase. Si voltò. Ma non
fece nemmeno in tempo a reagire. Un pugno preciso, veloce, lo
colpì forte allo zigomo, facendogli alzare la testa e
ruotare completamente su sé stesso. Vide la ragazza di cui
non conosceva il nome sbarrare gli occhi e portarsi le mani alla bocca
per soffocare dentro di sé quell’urlo silenzioso.
Bill si portò una mano alla guancia, stupito, ma la ritrasse
quasi immediatamente: bruciava, bruciava da matti.
Si voltò ancora una volta verso il suo aggressore, il capo
probabilmente, che aveva ancora il pugno levato ed un sorriso
diabolicamente compiaciuto inciso su quel volto, rilucente di antiche
cicatrici. Alzò a sua volta le braccia, ancora incredulo di
ciò che stava facendo invece di scappare lontano a gambe
levate, e una raffica di pugni cominciò a colpirlo forte al
suo già provato e debole stomaco. Stavolta la ragazza
urlò.
Dopo i primi colpi, i successivi non gli facevano più
così male, quasi non li avrebbe sentiti se non gli stessero
togliendo il respiro. Non ce la faceva quasi più.
Poi, finalmente, i pugni cessarono, lasciandogli lo stomaco
completamente indolenzito e privandolo di tutta la forza, perfino
quella per stare in piedi. Prima che il ragazzo cadesse a
terra, fu scaraventato da un calcio contro il muro, accanto alla
giovane, che si lasciò sfuggire un altro strillo.
“Non riesco
più nemmeno a tenere gli occhi aperti... Mi hanno svuotato
di tutto... Mi fa male da morire lo stomaco, e la guancia brucia tanto,
troppo... Non riesco a credere di essermele prese per difendere questa
ragazza... Non la conosco nemmeno... Eppure ho sentito di non poter
scappare, non potevo lasciarla sola... Non ce l’avrei
fatta... Sono uno stupido...”, pensò
rassegnato Bill, incapace di capire a fondo il suo comportamento.
Perché i sentimenti non hanno regole né
spiegazioni.
Una mano coperta di calli gli sollevò bruscamente il viso.
Il ragazzo si ritrovò a guardare da molto vicino uno degli
scagnozzi del suo aggressore, che lo squadrò per bene e poi
si rivolse ai compagni:
-Questo è
distrutto! O questa... Boh, non ho ancora capito! L’hai
davvero steso, eh, capo? Non riesce nemmeno a sollevare la testa
guarda!-, e gli lasciò andare il mento. La
testa del giovane ciondolò sul collo, inerte.
-Hà, visto?!
Sei grande. L’ho sempre detto!-,
esclamò il tipo, e raggiunto l’amico gli diede un
cinque.
Un’altra mano, stavolta più piccola e ben
più delicata, gli sollevò il mento, dolcemente, e
per la seconda volta, quei grandi occhi nocciola osservarono
preoccupati e ancora umidi il volto martoriato del ragazzo truccato.
-Oddio, guarda come ti
hanno ridotto... Sei stato uno stupido, dovevi andartene quando te
l’ho detto io... Mi dispiace tanto, davvero... Tanto...-,
e calde lacrime addolorate scesero su quelle guance lisce, solcandole e
poi cadendo sulle braccia di Bill.
E subito, anche Bill si sentì gli occhi lucidi, e senza un
motivo una vampata di calore gli scaldò le guance,
già arrossate dai pugni e dal freddo pungente.
“Per far
tornare il sorriso a questa ragazza dagli occhi di miele farei
qualunque cosa”, si sorprese a pensare il
giovane. Con grandissimo sforzo, sollevò una mano tremante,
e con un lungo dito dall’unghia un tempo perfetta, raccolse
una lacrima prima che questa cadesse a terra. La sconosciuta fu
abbastanza sorpresa da quell’intimo gesto, ma non si
ritrasse. E non sorrise.
Però, come ormai si sa, tutte le cose belle hanno una fine.
E quel momento era arrivato.
I tre uomini, che fino a quel momento avevano fatto casino fra di loro,
si zittirono improvvisamente, ma nessuno dei due giovani se ne accorse.
Completamente avvolti dal loro piccolo mondo privato, non si resero
conto, finché non fu troppo tardi, che quei brutti ceffi si
erano ancora pericolosamente avvicinati.
Uno, il più basso, afferrò di scatto la mano che
la ragazza teneva ancora sotto il mento di Bill e con uno strattone, la
sollevò di peso e la trascinò in piedi.
Torcendole il braccio avvicinò il suo brutto muso al
delicato viso di lei, contratto in una smorfia di paura e dolore, e le
sussurrò, cattivo:
-Allora, farfallina, come
la mettiamo? Non credo potrai sfuggirci per sempre...-.
La ragazza non rispose, ma si divincolò dalla presa del
bestione. Il sorriso divertito di lui si trasformò in un
ghigno diabolico.
-Forse, se la vita del
tuo amichetto fosse in pericolo, cambieresti idea e ci seguiresti, no?-,
e lanciò una bieca occhiata a Bill, ancora incapace di
muoversi.
Prendendolo per il colletto del giubbotto di pelle nera, se lo
sollevò davanti al viso e guardandolo negli occhi,
mormorò:
-Quando sarai
all’ altro mondo, forse riuscirò capire
che diavolo sei... Addio, bastardino!-.
Dalla tasca, l’uomo prese un coltello che luccicò
minaccioso nella notte. Era deciso ad ucciderlo davvero. Le urla della
ragazza disperata, trattenuta per le braccia dagli altri due ceffi,
sembravano provenire da molto lontano. Bill aprì gli occhi,
mentre tutto gli sembrava scorrere al rallentatore. Vide quel viso
delicato bagnato di lacrime, riuscì ad osservare perfino la
presenza di un piccolo neo sopra la bocca, e ancora una volta quella
sera rimpianse di non averla potuta conoscere prima. Una lacrima gli
attraversò il viso. In fondo però era quello che
aveva desiderato solo ieri: sparire, diventare il nulla, senza
più preoccupazioni né dolore. E sorrise,
lasciando un ultimo affettuoso pensiero per il gemello lontano. Chiuse
gli occhi. E si lasciò andare nel buio.
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Capitolo 6 *** _Memorie e Svolta_ ***
Buio. Fresco. E ancora buio. Gli sembra di essere sospeso, di
fluttuare. Sì, galleggia. Naviga fra i ricordi. Proprio come
quella barchetta di carta, costruita con Tom in un giorno di pioggia,
lasciata andare in un canale di scolo. Dopo che era sparita alla vista
nessuno se ne era più preoccupato. In fondo, a chi importa
di una semplice barchetta?
Ecco, Bill voleva essere quella elementare costruzione di carta,
esistere per poi scomparire, senza lasciare una scia di dolore e
rimpianto dietro di se. Non voleva lasciare tracce. Voleva essere
silenzioso e veloce. Probabilmente non se ne sarebbero quasi accorti.
“Sì,
ecco il mio desiderio. Chiedo solo questo: non voglio far del male a
nessuno. Voglio essere dimenticato. Per favore, Dio... Solo
questo...”.
Ad occhi chiusi. Estraniato dal mondo. Aspettava solo il dolore e la
pace conseguente. Senza rendersene conto, stava sorridendo. Sorrideva
alla morte...
Le urla, gli strilli, i rumori non avevano più significato.
Ora c’erano solo lui e i suoi ricordi.
Aveva tre anni. Aiutava la mamma in cucina. Stavano preparando la cena.
Mamma...
-Mamma, posso
assaggiare?-. Innocente e semplice. Come ora.
-No, dobbiamo aspettare
che sia cotto! E poi con il tuo “assaggio” lasci
noi a bocca asciutta! E non va bene mangiare per primo, senza aspettare
gli altri!-. La mamma e le sue mille ragioni
incomprensibili.
-Ma Tom l’ha
fatto!-, aveva detto indicando il fratello. Candido,
sincero, pronto a dire sempre la verità.
Allora, Tom era arrossito e gli aveva sibilato:
-Brutto spione...-.
Tom...
-È vero, Tom?-,
chiedeva la mamma. I loro finti rimproveri, che donavano allegria alla
casa.
-... Sì...
scusa, mamma...-, rispondeva lui, con lo sguardo basso.
Tom, il suo gemello. La persona che probabilmente gli
mancherà di più.
Adesso aveva sei anni. Componeva le prime canzoni.
-Che stai facendo?-.
Un musetto curioso che spuntava dallo schienale della sedia.
-Ah! Che paura! Smettila
di apparirmi alle spalle all’improvviso!-. La
loro routine. La loro vita.
-Cos’è
quel foglio? Fammi vedere!!- . E la lotta, giocosa, fra di
loro, per un pretesto inutile.
-Ehi, mica male, sai?
Cos’è, una canzone?-, chiedeva Tom
dopo aver letto il testo, seduto sopra al fratello, sconfitto, per
impedirgli di muoversi.
-Sì,
è una canzone, e allora? Cosa te ne frega?-,
rispondeva lui tutto rosso, e si riprendeva il foglio mezzo
scarabocchiato.
-Bé, non
è affatto brutta! Potremo provare a fondare un gruppo, e
comporne altre, e poi suonarle! Pensa che successo faremmo! E a tutte
le ragazze che vorranno un autografo da me!-. Tom pensava
sempre in grande.
Bill alzava gli occhi al cielo e tornava alle sue rime, felice in cuor
suo del complimento indiretto del fratello.
Poi pezzi di memorie. Ricordi qua e là, sparsi lungo tutta
la sua vita.
Poco dopo avevano fondato davvero un gruppo con i loro amici Georg e
Gustav, i “Devilish”.
Giorni spensierati con sottofondo di musica.
Anni dopo. Erano cambiati. E con loro il gruppo. Ora erano i
“Tokio Hotel”. Non suonavano più in
garage, ma si esibivano su veri palchi, davanti a migliaia di persone.
Erano famosi, rilasciavano interviste, firmavano autografi, ma erano
rimasti comunque amici. “Per
sempre!”, giuravano. E avevano rispettato la
promessa.
Ad occhi chiusi. Ma ora non più in silenzio.
Come sott’acqua, dove ogni cosa si annulla; si rimane sotto
per quanto si può, trattenendo il respiro, ma dopo qualche
tempo il fiato non basta più, e bisogna riemergere. Allo
stesso modo, nuotare tra i ricordi troppo a lungo può
diventare insostenibile, e bisogna risalire.
Una superficie piatta si infrange. SPLASH... Un respiro profondo. Uno
ancora più profondo. Aria, di nuovo.
E con il respiro, tornano anche i rumori. Di nuovo parte del mondo.
Un sibilo, minaccioso, e la tipica risonanza del metallo.
Bill non aprì gli occhi. Sarebbe stato tropo triste.
Aspettava , serenamente, quella fredda lama assetata del suo sangue.
Ancora rumore, troppo. Urla di incoraggiamento e strilli di
disperazione che si sovrapponevano in una orribile cantilena. Canti di
cicale, ignare di tutto. E passi affrettati, ansimanti, come quel
lontano respiro, preoccupati di arrivare troppo tardi.
Rifugiatosi dietro il buio delle sue palpebre chiuse, Bill
sentì una voce diversa, profonda, che non riconobbe subito,
urlare fortissimo:
-NOOO!!!-.
Poi quasi un ruggito di rabbia. STUMP. STUMP. SOCK. Rumori di lotta,
forse. E all’improvviso, la presa ferrea di quella grossa
mano chiusa sul suo colletto che veniva a mancare.
Le sue ginocchia cedettero e Bill crollò a terra, sorpreso,
ma ancora terrorizzato ad aprire gli occhi.
E ancora urla, gemiti di dolore, imprecazioni che salivano come fumo al
cielo pulito e lì si disperdevano. Passi di corsa che si
allontanavano. Poi silenzio. E una luce.
“Finalmente...
È finita...”, pensò Bill,
sollevato, e perse definitivamente i sensi.
Schiaffi leggeri sul suo viso gonfio e rosso. No, non era ancora
finita.
Non voleva aprire gli occhi. Gli andava bene così. Rimanere
dov'era, sospeso fra vita e morte, disposto ad aspettare pur di far
cessare tutto quel dolore. Voleva lasciarsi andare.
Ma quella voce roca, implorante, colma di dolcezza, gli fece
immediatamente cambiare idea.
-Bill... Bill... oddio,
svegliati! ... mio Dio, Bill... Bill, ti prego...-. Una
voce rotta dal pianto. Una voce familiare. Quella voce.
L’unica che aveva avuto paura di lasciare veramente.
Bill spalancò gli occhi, anche se con un po’ di
fatica. Era disteso su quello stesso, duro marciapiede, accecato da
quell’ identica, debole luce di quel medesimo, malinconico
lampione. Stesso cielo, e stesse stelle.
Il barlume venne eclissato da una sagoma che portava un cappellino
bianco. Lunghi capelli rasta, biondicci, vennero bruscamente gettati
alle spalle di una t-shirt di quattro taglie più grande da
una mano lunga e sottile, piena di calli. Tom. Suo fratello, con gli
occhi gonfi di lacrime, che dalla preoccupazione si stava martoriando
il labbro inferiore, chino su di lui. L’angoscia sul suo
volto mutò in sorpresa, poi in sollievo ed infine in gioia
nel giro di pochissimi secondi.
Quando Tom finalmente si rese conto che il gemello era vivo, che aveva
aperto gli occhi, che stava quasi bene, si aprì in
un enorme sorriso ed esclamò:-Biiill!!! Sei vivo!!!-
con tutta la forza che possedeva. Sorprendentemente,
abbracciò di slancio, e con forza, la magra figura del
ragazzo disteso a terra, togliendogli tutto il poco fiato che aveva
appena recuperato.
Bill gli soffiò all’orecchio, con voce strozzata:
-T- Tom! Uffff...M- mi
man-ca il resp- iro, Tom...!-.
Il rasta lo lasciò subito, sempre sorridendo, e si
asciugò una piccola lacrima fuggitiva dall’angolo
dell’occhio. Non aveva parole. Aveva appena compreso
veramente quanto prezioso fosse il dono di avere un fratello. E di non
averlo perso.
Bill lasciò di nuovo la testa sul marciapiede, e
respirò a fondo. Era ancora intontito, ma scorse comunque
con la coda dell’occhio un’altra figura, molto
più piccola e magra di Tom.
Girò lentamente la testa e sorrise alla ragazza appoggiata
al muro, in piedi, che si mangiava nervosamente le unghie. Anche lei
sorrise, e gli si avvicinò piano. Si accovacciò
accanto al viso del ragazzo. Aveva asciugato le lacrime, ed ora i suoi
occhi risplendevano. Alla luce del lampione, Bill si accorse che il
loro colore non era marrone. Erano dorati. Di miele, dolcissimi,
colavano dentro di lui e lo riscaldavano, sanavano le sue ferite. E gli
fecero all'istante dimenticare quella brutta avventura.
-Tom... Aiutami a tirarmi
su... Andiamo in albergo, per piacere...-,
sussurrò il moro al fratello, il quale obbedì
immediatamente. Non appena fu in piedi, Bill si accorse di quanto male
gli facesse lo stomaco, tutto indolenzito, e anche il viso non era in
condizioni migliori. Non vedeva l’ora di avere davanti uno
specchio, e allo stesso tempo era terrorizzato di scoprire in che stato
fosse la sua faccia. Mentre si appoggiava al gemello, scorse la ragazza
sconosciuta cominciare ad avviarsi, mesta, nella direzione
opposta alla loro. Si girò di scatto, sbilanciando il
fratello, che si lasciò sfuggire un’imprecazione,
e si sistemò meglio il braccio del moro intorno alle spalle,
e le urlò:
-Aspetta!-.
Più che esclamarlo, lo disse a mezza voce, ma la giovane lo
sentì, e si girò, stupita.
-Non credo sia una buona
idea per te andartene in giro per queste strade, stanotte... Vieni con
noi, starai in albergo...-.
Non poteva certo lasciarla andare così... Doveva conoscerla
meglio. Lo sentiva.
La ragazza tentennò un po’, spostando il peso da
un piede all’altro, indecisa:
-Ma... ecco... non
saprei...-.
Anche Tom insisté:
-Ma sì, almeno
per questa notte è meglio che stai al sicuro. Forza,
andiamo!-.
Dopo qualche secondo di riflessioni, la ragazza acconsentì:
-Va bene... Se non
disturbo...-, e si fece avanti timida, senza sorridere
ancora.
Volenterosa, si passò anche lei un braccio di Bill sulle
spalle, che sentì un brivido, e cominciò ad
incamminarsi lentamente verso quella incerta nottata, in silenzio,
guardando fissa la strada.
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Capitolo 7 *** _Presentazioni_ ***
-Dov’
è che ti fa male? Qui?-.
-Ahiaaa!!!
Sì!-.
La ragazza dagli occhi ambrati si accigliò e fece scivolare
via la mano dalla guancia del ragazzo. Un grosso cerotto bianco
spiccava e quasi brillava alla penombra della camera
d’albergo numero 327, sulla guancia di Bill. Alla debole luce
dell’abat-jour arancione, i due ragazzi si fissarono negli
occhi per un periodo di tempo interminabile, lei senza abbassare lo
sguardo, fiera, lui imbarazzato, pronto alla resa. Bill ebbe un lungo
brivido lungo la schiena che lo scosse da capo a piedi. Non ce la fece
più. Con un sospiro, abbassò gli occhi, mettendo
fine a quella gara all’ultima occhiata.
Per simulare la sua resa, il ragazzo si mise a studiare con interesse
le bende che gli rivestivano le braccia, ammettendo in cuor suo che,
effettivamente, erano sistemate a regola d’arte.
Ciò lo impressionò non poco.
-Ehm... Senti... Come...
come mai eri in giro per quelle strade a quest’ora? Non credo
tu frequenta spesso quei postacci, no?-, chiese Bill
fingendo indifferenza. Il ricordo di poche ore prima lo metteva a
disagio, quindi cominciò ad avviarsi discretamente verso il
bagno. Iniziò a spogliarsi, lasciando la porta
socchiusa.
Per rispetto della sua privacy, la ragazza gli rispose
dall’altra stanza, a voce abbastanza alta perché
lui la sentisse.
Mentre Bill si levava con cautela, per non danneggiare i cerotti e le
garze, la corta maglietta nera attillata e la appoggiava al bordo della
vasca, la giovane cominciò a raccontargli la sua storia:
-Vedi, i miei genitori
hanno origini italiane, ma io ho sempre amato la Germania dei miei
nonni. Perciò, qualche anno fa, mi sono trasferita
stabilmente qui, da certi miei zii, che però, ogni anno
verso questo periodo, si prendono un mese di vacanza, e vanno
all’estero. Io allora ne approfitto per trascorrere un
po’ di tempo con la mia famiglia,in Italia. Sono partiti
questa sera, e io stavo appunto correndo a prendere l’ultimo
treno, e dato che ero in ritardo, come al solito...-. Bill
sorrise fra se e se. -...
ho preso una scorciatoia, dove ho incontrato alcune mie... ehm...
vecchie conoscenze... non starò qui a spiegarti la storia,
comunque sappi solo che avevamo ancora un po’ di rancore nei
nostri confronti... -. E liquidò
così l’argomento, cercando di far passare
inosservata quella piccola confessione, inutilmente. Bill, attento a
non perdersi una parola, si ripromise di chiederle maggiori dettagli,
più avanti. Cominciò a togliersi i jeans,
riflettendo, ma quando si piegò, sussultò, e
portandosi una mano allo stomaco, dovette raddrizzarsi, inspirando
rumorosamente. La ragazza si zittì e poi chiese, premurosa:
-Tutto bene?-.
-Sì,
sì, tutto a posto... Continua pure, non preoccuparti... -,
rispose il moro, tornando a respirare regolarmente. Con molta
più cura, lasciò cadere a terra i pantaloni,
cintura compresa, e si fissò allo specchio, studiando ogni
livido.
“Ho paura che
mi ci vorrà un po’ prima che tutti i segni
spariscano...”, rimuginò tristemente.
La ragazza, tranquillizzata, continuò:
-... Non volendo
incontrare di nuovo quelle persone, ho preferito andarmene, ma mi hanno
visto, e poi tu sei spuntato dal nulla e... è successo
quello che è successo. Mi dispiace davvero per
come ti hanno ridotto... -. All’ improvviso le
ferite non sembrarono più tanto inutili al giovane. – Ora,
c’è solo un piccolo problema... Quando ti ho detto
“l’ultimo treno”, era vero in tutti i
sensi: non ce ne saranno più per una settimana almeno, o
forse due... C’è lo sciopero di tutti i trasporti.
Non che mi dispiaccia rimanere in Germania, anzi...È solo
che i miei zii non mi hanno lasciato il doppio delle chiavi di casa,
quindi non ho un posto dove andare... -. Un
sorriso si allargò sul volto di Bill. -... Voi siete stati molto
gentili, vi ringrazio davvero dell’ ospitalità,
però domani mattina me ne andrò e
cercherò subito un lavoro con cui permettermi di pagarmi un
albergo o una pensione...-. Il sorriso si spense
all’istante. A quell’ultima frase, il ragazzo
sgranò gli occhi e di scatto spalancò la porta,
urlando:
-Cosa?!?!-.
La ragazza fece un salto dallo spavento e poi arrossì
lievemente, girandosi di schiena, nell’osservare che Bill
indossava solo un paio di boxer neri attillati.
Lui non se ne curò e continuò a insistere con
foga:
-Non vedo il motivo per
cui tu te ne debba andare! Noi non abbiamo alcun problema, possiamo
tranquillamente ospitarti qui per tutto il tempo necessario! Ti prego,
non andare...-.
Bill si pentì immediatamente di aver detto ad alta voce
tutti i suoi pensieri, e si morse il labbro inferiore, temendo di aver
detto una frase di troppo. La ragazza rimase immobile per qualche
secondo, poi si girò lentamente, senza più
vergogna sul suo volto rosato. Le brillavano gli occhi, le labbra erano
leggermente dischiuse in un ombra di sorriso. Sembrava stesse
trattenendo il fiato. Poi espirò lentamente e
sussurrò, guardando a terra, di nuovo seria:
-Bé, se
insisti tanto... D’accordo... Ora, se non ti dispiace, vorrei
davvero andare a dormire. Sai, sono molto stanca...-.
Bill rimase attonito. Che freddezza. Ricompose la sua espressione, e
tornando gentile, le cedette galantemente il suo letto.
Recuperò una coperta e un cuscino e fece per avviarsi verso
la porta, quando si bloccò e voltandosi le disse:
-A proposito, non ci
siamo ancora presentati... Io... Io sono Bill, molto piacere!-,
e le tese la mano. Lei rispose, composta:
-Lo so, il Grande Bill,
il cantante dei Tokio Hotel... Ti ho visto qualche volta in video...
Comunque io sono Jade, Jay per gli amici... Piacere...-, e
strinse con la sua piccola mano quella più grande di lui. Un
altro brivido. Non ci si sarebbe mai abituato.
-Jade... Bel nome...
Allora... Buonanotte...-, disse lui, impacciato e sorpreso
che lei lo conoscesse già. Con un ultimo cenno, si
avviò verso la porta, lasciando la ragazza alla sua
intimità e al suo senso di colpa nascosto per non aver detto
tutta la verità a quel ragazzo dagli occhi truccati.
Notte. Finalmente, il momento per lasciar riposare il corpo e la mente,
abbandonando i pensieri e le paure. Notte agitata questa, di un piccolo
corpo che si gira e si rigira sotto le coperte, incapace di trovare la
pace per il letto nuovo e la tempesta fuori dalla finestra. Con un
sospiro, Jade si tirò a sedere, cercando di sistemarsi i
suoi lucidi, castani capelli arruffati. Non era ancora riuscita a
chiudere occhio, le immagini di quella sera continuavano a
ripresentarlesi davanti come in un film non appena provava a rilassarsi
e a sgombrare la mente. Che paura aveva avuto. Il temporale non
accennava a diminuire, per di più. Con un sospiro,
lanciò via le coperte e scese dal letto. Scalza,
aprì piano la porta della camera da letto e percorse in
punta di piedi il corridoio. Poi, sempre facendo attenzione a non fare
rumore, socchiuse lentamente un'altra porta, quella del salottino.
Con i piedi penzoloni, un braccio a terra e un’espressione
beata sul viso, Bill Kaulitz stava dormendo della grossa disteso sul
piccolo divano. Jade allargò un po’ di
più la fessura dell’ entrata e avanzò
piano nella stanza ammassata di cianfrusaglie. Scavalcò
agilmente un paio di scatole di cosmetici e due bottiglie vuote di
lacca, e spostando con la mano alcune riviste, si sedette sul pavimento
accanto al ragazzo. Osservò a lungo il suo bel viso, e si
azzardò addirittura a spostare dagli occhi alcuni ciuffi che
ricadevano sulle sue stanche palpebre abbassate. Ripensò a
tutta la giornata, e per un attimo fu felice di aver fatto tardi e di
non essere riuscita a prendere il treno. Sorrise. E si
accoccolò per bene sulla moquette. Chiuse gli occhi, e senza
più pensieri, si addormentò serena.
Mattina. Luce. Incredibilmente, quel giorno Bill si svegliò
assai presto. Aprì gli occhi e se li strofinò con
una mano, che passò subito sulla guancia, ancora infiammata.
Non capiva cosa avesse potuto svegliarlo. Si girò su un
fianco, pronto a riaddormentarsi, quando la scorse. Una piccola figura,
vestita con un pigiama azzurro, riposava ai suoi piedi. Sorpreso, il
ragazzo si chinò per controllare che non fosse una sua
allucinazione. No, respirava piano, regolarmente, non poteva essere uno
scherzo della sua mente: non aveva così tanta fantasia.
Ricordando i tuoni di quella notte, capì perché
forse la ragazza si fosse rifugiata lì. E sorrise. La
dolcezza riempì i suoi occhi nocciola quando si
abbassò ancora di più e accarezzò
piano i capelli di Jade. Lentamente, con delicatezza. Dopo qualche
secondo, ritirò subito la mano, temendo che si svegliasse.
No, la giovane dormiva ancora. La osservò ancora per qualche
minuto, poi, sempre lasciandosi illuminare il viso da un sorriso, si
tirò le coperte fino al mento e giratosi sulla schiena,
prese a fissare il soffitto perso nei suoi pensieri, finché
il sonno non lo rapì di nuovo. E chiuse gli occhi, sereno,
pregustando quella nuova, imprevedibile
giornata.
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Capitolo 8 *** _Scandalo_ ***
Mattina. Ora di colazione.
Colazione rumorosa, chiassosa, spontanea, allegra, divertente, serena.
Colazione per tutti. Come una famiglia. E ormai era questo che quei
quattro ragazzi erano diventati gli uni per gli altri.
-Ma... E Bill
dov’è finito?-, domandò
Gustav cominciando a riempirsi il piatto di brioches e pane integrale.
-Boh, io non
l’ho più visto da ieri... A proposito Tom, ma
cos’ è successo ieri notte? È vero che
il nostro vocalist è stato coinvolto in una rissa?-,
chiese curioso Georg, mentre si versava del succo di frutta. Impegnato
a sentire la risposta, non si accorse che il liquido stava rapidamente
raggiungendo il bordo del bicchiere, dal quale poco dopo
traboccò spargendosi sulla tovaglia immacolata, macchiandola
di arancione. Il bassista imprecò e dopo aversi guardato
intorno circospetto coprì la chiazza con il piatto
vuoto della torta al cioccolato. Poi, sorridendo innocentemente, si
rivolse nuovamente al chitarrista, mettendogli sotto il naso un
microfono invisibile, nel tentativo di assomigliare ad un giornalista.
-Ed è vero che
c’era di mezzo una ragazza? Tu l’hai vista?
È carina? Ed è rimasta a dormire qui, vero?-,
e si girò nell’inutile speranza di scorgere dietro
di se la nuova arrivata.
-Oddio, ma mi lasci
respirare?! Mi sembri tanto “Ragazza In”, o quelle
obbrobriose riviste per ragazze... -, disse Tom alzando
gli occhi al cielo, e spinse via il pugno chiuso del ragazzo,
mandandolo a sbattere sul tavolo. Georg, si lasciò sfuggire
un breve gemito, e poi cominciò a massaggiarsi le nocche
arrossate, soffiandoci sopra, e lanciando occhiatacce
all’amico.
Tom sospirò, e rispose, annoiato:
-Allora... Sì,
la rissa, o meglio,‘ Bill-usato-come-punching-ball
’, è scoppiata a causa di una ragazza.
Sì, l’ho vista anch’io, mi ha anche
aiutato a trascinare in albergo quella checca dopo che era stata
massacrata di botte. Non sono riuscito ad osservarla bene, ma
sì, mi pareva fosse molto carina. E per finire,
sì, è rimasta a dormire qui: Bill le ha ceduto la
camera da letto della sua stanza...-.
Georg e Gustav si lanciarono un’occhiata d’intesa,
e poi guardarono Tom sollevando le sopracciglia e facendo un mezzo
sorrisetto, per fargli intuire qualcosa di malizioso.
I tre rimasero a fissarsi per qualche secondo, immobili,
dopodiché il rasta scoppiò in una risata
così forte che fece voltare un cameriere di passaggio
lasciandolo allibito, e con le lacrime agli occhi esclamò:
-Ma chi,Bill?? Ma per
piacere! Figuriamoci se lui è il tipo... Ricordatevi,
ragazzi, che il solo e unico “SexGott”sono io!-, e
si indicò fiero con entrambe le mani, sfoderando un
sorrisone a trentadue denti. Anche gli altri due ragazzi cominciarono a
ridere, prendendo in giro il loro chitarrista, e prima che
scoppiasse una battaglia all’ultima tartina, Tom
guardò velocemente l’ora, e alzandosi in piedi,
annunciò:
- È ora che
vada a svegliare Bill... È tardi, dovrà ancora
preparasi... Scusatemi un momento...-, e si
allontanò baldanzoso dal tavolo, ammiccando e facendo
schioccare la lingua, sensuale, in direzione dei due amici, che risero
ancora più forte.
Tom cominciò a salire quasi saltellando le scale percorse da
un tappeto rosso un po’ stinto, canticchiando il ritornello
di “Reden” a bassa voce. Arrivò davanti
alla porta di legno scuro. Stanza 327.
“Sarebbe stato
il colmo se ci avessero dato la camera 483...”,
pensò divertito.
Cominciò a bussare piano alla porta, chiamando:
-Bill... Forza, sono le 9
e alle 11 abbiamo un’intervista... Dai, alzati...-.
Non ricevendo risposta, sospirò, e con un po’ di
difficoltà tirò fuori dalla larghissima tasca il
doppio delle chiavi e lo infilò nella serratura.
Girò la maniglia.
-Guarda che se non scendi
non ti lasciamo neanche un... oh!-, e rimase immobile
sulla soglia, le braccia penzoloni lungo i fianchi, lo sguardo fisso e
stupito.
Sul divano, con un braccio che toccava terra e la testa rovesciata
all’indietro, dormiva tranquillo suo fratello. Addosso aveva
solo dei boxer neri, ed era a pancia in su. Sul pavimento, seminascosta
da una coperta gettata via nel sonno, una testa di lisci capelli
castani molto arruffati faceva capolino dalle pieghe della lana. Nella
stanza il disordine era ancora più caotico del solito, il
che la diceva lunga. Era tutto troppo strano per trattarsi di una
coincidenza.
Nel trovarsi davanti quella situazione, Tom sentì,
all’altezza dello stomaco, una fitta. Acuta, penetrante,
lacerante. Si accorse inoltre di star digrignando i denti e stringendo
convulsamente i pugni. Cercò di calmarsi, ma evidentemente
non ci riuscì pienamente, perché urlo: -BILL!!!!- molto
più forte di quanto in realtà volesse.
Il moro sobbalzò, tirandosi a sedere bruscamente. Troppo
bruscamente. Perse l’equilibrio, e non trovando niente a cui
aggrapparsi, cadde a terra, addosso alla ragazza.
Nei secondi successivi fu tutto un susseguirsi di -Ahia!- , -Scusami!-,
e perfino di -Quello
è il mio braccio!-.
Quando finalmente la situazione si calmò e i due ragazzi
furono in piedi, ancora assonnati, Bill rosso di vergogna, Jade
massaggiandosi la spalla, Tom, a braccia conserte, chiese, gelido:
-Allora? Mi spiegate che
avete fatto?-
Le esclamazioni dei due ragazzi riempirono l’intera stanza
finché il rasta non urlò, spazientito:
-Uno alla volta,
insomma!!!-.
Jade prese immediatamente la parola, e sbraitò:
-Ma cosa credi, che io
vada sempre con il primo che capita?! Guarda, mio caro che non sono
affatto quel tipo di persona!-.
-È vero! Ti
giuro che non è successo niente! Stai fraintendendo tutto!-,
rincarò Bill, ancora color pomodoro da capo a piedi. - Jay deve essersi addormentata
lì perché...-, ma non seppe come
continuare, così si voltò verso la ragazza
chiedendo suggerimenti con lo sguardo.
-... Perché
avevo paura del temporale!-, mentì lei, svelta. - Non hai sentito che tuoni? Ero
davvero terrorizzata...-.
-Sì,
è andata proprio così!-, confermo
sollevato il ragazzo. I due rimasero in silenzio, aspettando.
Tom ancora li squadrava dall’alto in basso con sospetto,
forse in cerca del dettaglio che li avrebbe smascherati. La ragazza a
sua volta lo osservava,sospettosa, e dopo qualche secondo, fece un
passo avanti, e sussurrò a pochi centimetri dal viso del bel
rasta:
-E perché poi
a te dovrebbe importare tanto? Sei geloso, forse?-,
chiese, maliziosa.
Una vampata di rosso colorò le guance del giovane, che
arretrando, rispose:
-Io? Geloso?! Te lo
sogni! E a me non importa nulla di quello che fate... Cioè,
io... Ecco, non... Be’, scendete, la colazione è
pronta...-, e sempre balbettando, Tom uscì
dalla stanza, chiedendosi il motivo della sua reazione esagerata.
“Io...
geloso?! Mai...”, pensò, e si
avviò, assorto, giù dalle scale.
Dall’altra parte del muro. Non appena la porta si chiuse, la
ragazza si rivolse a Bill, sorridendo luminosa, e cinguettò:
-Credi che abbiamo
esagerato?-.
Ma il ragazzo non la stava ascoltando. La guardava a bocca aperta.
Sorriso. Il suo primo sorriso. Naturale, pieno, spontaneo, sereno,
contagioso. Era proprio come se lo sarebbe aspettato. Si accorse di
stare sorridendo anche lui, di riflesso. La ragazza tornò a
farsi seria e lo guardò perplessa:
-Cosa
c’è? Ho qualcosa che non va?-, e
cercò di lisciarsi i capelli.
-No, no, figurati...
Forza, vestiamoci e andiamo a fare una buona colazione!-,
rispose Bill allegro, e sempre ridendo a fior di labbra, si diresse,
felice, verso il bagno, convinto più che mai che quella
sarebbe stata la giornata più bella della sua vita.
*********************
Ore 10.30. La band è pronta a partire. Ormai mancano solo
due persone:loro.
-Bill! Maledizione! Lui e
la sua dannata mania del make-up!-, sbraitò Tom
tirando un calcio alla prima valigia che gli capitò sotto
tiro. Si trattenne a stento dall’ululare dal dolore
all’alluce, poi furioso, si sistemò bruscamente il
cappello e si avviò zoppicando verso le scale. Arrivato
davanti alla porta, si preparò a tempestarla di pugni,
quando questa si aprì e degli occhi dorati spuntarono tra lo
stipite e la maniglia. Gelidi. Inespressivi. O quasi. Un leggero velo
di rabbia traspirava dalle iridi ambrate. Tom capì che
quello sguardo era pronto solo per lui. Qualcosa si rivoltò
nel suo stomaco, e il suo cuore fece una capriola. Perché??
Jade, nel vederlo con il pugno ancora alzato, pronto a bussare,
esclamò, allargando un po’ di più la
fessura della porta e raddrizzandosi in tutta la sua altezza:
-Ma insomma, che siamo,
sul ‘Grande Fratello’ ?? Prima arrivi
all’alba e ci butti giù dal letto, nel vero senso
della parola! Poi non ci lasci neanche vestire che sopraggiungi subito
a sfondarci la porta! Dì la verità, tu non sei un
chitarrista, sei un TOMminator!!!-.
Tom rimase immobile per qualche secondo, serio, ma dopo poco non ce la
fece più e scoppiò fragorosamente a ridere,
tenendosi perfino la pancia. Jade era esterrefatta:
-Ma... come... Io ti
faccio una sfuriata e tu ti metti a ridere come un deficiente?? Secondo
me sei tutto scemo...-.
All’improvviso, una vampa di gas tossico, vagamente simile a
lacca, si sprigionò dal bagno in fondo alla stanza,
arrivando fino al rasta che storse il naso, disgustato.
Jade si voltò a parlare piano con la persona appena uscita
da lì. Poi si girò nuovamente verso Tom, e
sospirando, disse:
-Ecco, visto? Ci siamo...-.
E spalancò la porta, svelando un personaggio alto,
slanciato, con una strana acconciatura e vestiti molto dark. Alcuni
anelli tintinnarono. Una manica di pelle nera venne lisciata da una
mano dalle unghie dipinte di nero e bianco. Dei dolci occhi nocciola
truccati di nero, socchiusi, si aprirono.
-Siamo pronti!-,
annunciò allegramente Bill Kaulitz.
Nella hall, tra valigie abbandonate e fattorini frettolosi, due ragazzi
dall’aria annoiata ancora aspettavano, impazienti,
nascondendosi dietro occhiali da sole scuri. Un chiacchiericcio
cominciò a provenire dalle scale. Alzarono lo sguardo
speranzosi, e si lasciarono sfuggire un -Ooooh...!- di meraviglia. Tre
giovani scendevano agilmente gli scalini, ma la loro attenzione si
soffermò su una sola persona: lei.
Bill, arrivato all’ingresso, allargò le braccia e
chiese, guardandosi e fraintendendo gli sguardi d’ammirazione
dei compagni:
-Ma allora è
vero che oggi sono uno schianto, eh?-.
Georg e Gustav lo ignorarono, e passandogli accanto, andarono
immediatamente a stringere la mano alla ragazza. Il moretto, ignorato,
rimase immobile, finto offeso.
-Piacere, io sono Gustav,
il batterista della band, ma credo tu mi conosca già... Tom
mi ha già raccontato di te e Bill, ovviamente, e sai, sono
rimasto molto sorpreso di...-. Il biondino si proruppe in
un’ infinita cascata di parole, che venne fortunatamente
interrotta da uno spintone ben assestato.
Georg, sorridendo, ne prese subito il posto, e fece un goffo baciamano
a Jade, scioccata, e le disse:
-Enchantè,
mademoiselle! Io mi chiamo Georg, sono il bassista! Lieto di
conoscerti, cara..-.
-Ah, sì,
giusto! Ehm... Io sono Jade... È un piacere anche per me
conoscervi, anche se non sono sicura questo non sia un sogno...-,
si presentò imbarazzata la ragazza.
-No, no, tutto vero...-,
le sussurrò caldo Tom, sorridendo meravigliosamente e
passandole molto vicino. Troppo vicino, tanto che quasi la
sfiorò. Jade ebbe un brivido.
-Bene, ora che
sono finite le
presentazioni, partiamo?-. chiese Bill sereno. Oggi niente
avrebbe
potuto intaccare la sua allegria.
-Dobbiamo ancora
aspettare quel bradipo di Andreas! Non è ancora arrivato...-,
disse
Gustav, sedendosi su una valigia.
-E poi vi lamentate di
me... Facevo in tempo a stirarmi meglio i capelli...-,
borbottò il cantante tirandosi davanti agli occhi una
rittissima ciocca bruna meschata di bianco.
In quel momento le porte si spalancarono. Tutti si voltarono a
guardare. Andreas arrivò correndo affannato. Si
fermò davanti ai cinque, cercando di recuperare il fiato,
mentre tutti lo salutavano allegri:
-Ehi, bello,
dov’eri finito?-.
-Finalmente sei arrivato!
Ma potevi prendertela comoda, eh!-.
Il biondino interruppe con un cenno della mano tutte le esclamazioni e
sollevò davanti agli occhi stupefatti dei ragazzi una
rivista.
Bill diventò di ghiaccio e prese con mano tremante il
giornaletto di gossip. Inorridito, si riconobbe immediatamente sopra un
titolone in rosso:
“SCANDALO
PER BILL. COSA CI STA NASCONDENDO IL CANTANTE DEI TOKIO
HOTEL?”.
Una foto ingrandita e leggermente sgranata occupava l’intera
copertina: lui, di profilo, ad occhi chiusi, mentre baciava
passionalmente una bella ragazza bionda. Nonostante il primissimo
piano, lo sfondo era ancora leggermente visibile. Era rosso. Quel
rosso, spento, consumato. Quella stanza, a quella festa. Solo due
giorni prima.
Osservò la ragazza immortalata e la rabbia lo pervase: era
lei, Giusy.
“Ma quando
l’ha scattata? Vabbé che ero ubriaco,
però è stata brava a non farsi
notare...”, pensò sbalordito il
ragazzo.
Andreas, ripresosi dalla corsa, gli sbraitò contro:
-Allora?! Che cavolo ti
è passato per quella testaccia?! Chi era quella? E quando
è successo? Non potevi fartela con un’altra? Ti
rendi conto di quello che potrebbe succedere se continuasse a vendere
queste foto?-, e lasciò cadere la mano aperta
sulla rivista scandalistica.
-Sì, lo so...
Me l’ha detto lei...-, mormorò
sconfortato Bill.
Cinque paia di occhi curiosi ed esterrefatti si fissarono su di lui. Il
ragazzo cominciò a raccontare, ancora furioso:
-Avete presente la festa
del dopo concerto dell’altro ieri? Quando per un
po’ sono sparito e poi... ehm...- , e
guardò la brunetta accanto a lui, -... ho incontrato Jay?
Be’, quella STR... epitosa abbindolatrice mi ha fatto bere
come una spugna e poi ha tentato di... ecco...-.
-Sì, abbiamo
capito... Ma non c’è riuscita, giusto?-,
chiese Andreas,
ansioso.
-No, sono riuscito a
respingerla prima, per fortuna... Ed è stata proprio lei a
confessarmi il suo piano... Lo faceva per interesse, blaterava di voler
diventare ricca, famosa, o che so io... Non mi ricordo molto bene, ero
confuso... È stato lì che mi ha
scattato la fotografia, ma è stata molto brava, non me ne
sono davvero accorto...-, concluse il cantante,
demoralizzato.
-Per forza è
stata così agile... È il suo lavoro...-,
borbottò a sorpresa Tom. L’attenzione
verté all’istante sul chitarrista.
-Sì, in quei
pochi minuti che ho passato con lei, mi ha raccontato di essere una
giornalista che si occupa di questo genere di gossip e scandali... Ho
paura che siamo nei casini...-, spiegò cupo il
rasta. Poi si ammutolì. Il silenzio era assordante.
-Forse è
meglio non presentarsi all’intervista...-,
suggerì mogio Gustav, tenendosi la testa tra le mani, sempre
accomodato su una valigia.
Mormorii di assenso percorsero il gruppo sconfortato.
-E invece no! Ci andremo,
e anche di corsa, visto che siamo in ritardo!-,
esclamò sicuro Bill.
Gli amici lo guardarono perplessi.
-Dobbiamo andarci! Se non
ci presentiamo daremo loro solo altri pretesti su cui scrivere, si
inventeranno ancora storie, anche su di voi!-,
insistè il moretto. Tutti ci pensarono su un attimo.
Poi Tom ruggì, convinto:
-Hai ragione, dannazione!
Che stiamo aspettando ancora qui, l’autobus?! Forza, alla
limousine!-, e si avviò di corsa fuori
dall’albergo.
Anche gli altri approvarono, decisi, e corsero all’esterno.
Rimasero nell’ingresso solo Bill e Jade.
Quest’ultima, mentre cominciava a raggiungere gli altri,
strinse brevemente il braccio al ragazzo, che rabbrividì, e
gli sussurrò piano, sorridendo:
-Facciamo vedere chi
siamo...!-.
Bill sorrise a sua volta, e annunciò allegramente:
-È proprio ora
di farla pagare cara a quella STR... ega!-
E ridendo spensierato, corse fuori.
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Capitolo 9 *** _Intervista e Pugnalata_ ***
Nella limousine si stava tutt’altro che stretti. Eppure, il
gruppo dei quattro ragazzi, ormai diventati cinque, si stringeva gli
uni agli altri, in cerca di inconsapevole sicurezza, forse. La tensione
era quasi palpabile. Georg si attorcigliava nervosamente i capelli con
le dita, Gustav si fissava i piedi, immobile, con sguardo assente, Tom
giocherellava distrattamente a turno con ilo cappello e con il percing,
Bill si osservava criticamente le unghie della mano destra e Jade
guardava assorta il paesaggio sfilare fuori dal finestrino.
Era una giornata soleggiata, serena. Da passare in giardino, magari,
all’aria aperta. Ma non era certo questo il programma della
band.
Andreas si schiarì nervosamente la voce e si rivolse alla
ragazza:
-Allora, ti chiami Jade,
giusto?-.
-Jay...-,
corresse meccanicamente Bill. Lei lo guardò, accigliata, lui
si strinse nelle spalle e riprese a rimirarsi le mani.
-Sì, Jay,
giusto... E così sei ospite per qualche tempo dai Tokio
Hotel... Non sai quante ragazze vorrebbero avere questa
fortuna!-, disse il biondo allegramente.
-Già, me lo
immagino...-, rispose distratta Jade, lanciando
un’occhiata di sbieco al ragazzo truccato che sedeva alla sua
sinistra. Arrossì lievemente e distolse svelta lo sguardo.
Di nuovo silenzio. Pesante, teso, soffocante.
Anche Andreas si concentrò sul paesaggio, e dopo poco,
annunciò:
-Eccoci, siamo
arrivati!-.
Un impercettibile sospiro attraversò i ragazzi come
un’onda, che, in attesa di affrontare la belva, affilarono le
spade. Pronti.
I sei scesero velocemente dalla limousine scura , guardandosi attorno
nervosamente e calcandosi bene in testa cappelli e cappucci, cercando
di non dare nell’occhio. Inutilmente. La solita folla di
ragazzine invasate li stava aspettando. Quando li scorsero, iniziarono
ad urlare e a sventolare i cartelloni in aria.
“Oche...”,
pensò Bill, sorridendo fra sé.
Si sentì chiamare e, involontariamente, si voltò.
Le fan stavano invocando il suo nome piangendo, indicavano i cartelli,
furiose. Il moro, sorpreso, rallentò per leggere le frasi
disperate:
“CI
HAI TRADITO! TI ODIAMO!”, “PERCHE’
L’HAI FATTO? CREDEVO IN TE!”, e anche
“HAI
UCCISO I MIEI SOGNI E LA MIA VOGLIA DI VIVERE!”.
Bill rimase a bocca aperta, esterrefatto. Che aveva combinato per farsi
odiare tanto? Alcune ragazze agitavano anche una rivista. Quella. Il
ragazzo si rabbuiò all’istante.
“Ah,
già, quell’articolo... Maledizione...! Ma ora
abbiamo la possibilità di negare tutto, smentirò
la notizia e tutto tornerà come prima!”,
si disse, fiducioso, stringendosi di più nel corto giubbotto
nero. Accelerò, affiancando Jade, un po’
impaurita, e cominciò a sospingerla delicatamente. Quasi
correndo tra le due file di ragazze arrabbiate, Bill si sentiva come un
condannato al patibolo. E in fondo, avrebbe forse preferito il cappio a
ciò che lo aspettava fra poco.
Lo studio non è tanto grande, poco affollato e un
po’ pacchiano. Ne hanno visti di peggiori. Ma quello che
avverrà lì non lo avevano ancora provato.
Il presentatore, un uomo basso e robusto, sulla quarantina,
probabilmente, con una calvizie incipiente, stringe frettoloso la mano
a Bill e gli fa segno di accomodarsi sul divanetto bianco là
davanti. Il ragazzo e il resto della band obbediscono, cercando di
dimostrarsi disinvolti e rilassati.
Quando sperano non guardi si lanciano sguardi preoccupati, rimestando
la loro memoria per ricordare cosa rispondere alla domanda fatidica.
Una sigla ritmata, piena di effetti sonori elettronici, una zoomata sul
presentatore, sorridente come non mai, e milioni di piccoli cuori dal
battito accelerato, sparsi in tutto il mondo in attesa di vedere i loro
idoli incorniciati dagli schermi.
Un respiro profondo. Ci siamo.
Finalmente la musica cessò e l’uomo si
voltò verso i quattro ragazzi, ignaro di altre due persone
dietro le quinte, in ansia, e si rivolse al vocalist della band, che
ormai sudava freddo.
-Allora, Bill, come
stai?-.
-Molto bene, grazie!-.
-Ho saputo che tu e la
tua band avete scritto una nuova canzone, giusto?-.
-Sì,
“1000 meere”... Sembra stia avendo molto successo,
come le altre, d’altronde!-, disse sorridendo
dolcemente il ragazzo. In tutto il mondo, migliaia di ragazze
trattennero il respiro.
-Già,
già... Ora, non per metterti subito sotto pressione, ma...-.
Anche Bill trattenne il fiato. C’eravamo quasi. -... Vedi, su questa rivista...- ,
e la mostrò per bene alle telecamere. Sempre quella. -... C’è
questo insolito articolo, che ha scatenato la mia
curiosità...-. Tanti giri di parole senza mai
arrivarne ad una fine. -...
Penso che tutti ormai ci stiamo chiedendo... È vero?-,
concluse con enfasi.
Un respiro profondo. Inspirazione. Espirazione. Coraggio.
-Sinceramente... No. Non
è mai successo nulla di tutto ciò! Probabilmente
è un fotomontaggio, creato da un anti per creare confusione
inutile... O da chiunque voleva provare a diventare famoso... No,
comunque, è falso... Fans, potete stare tranquille! Sono
ancora qui solo per voi!!-, esclamò Bill con un
sorriso sensuale rivolto alle telecamere. Le migliaia di ragazze
strillarono.
-Davvero? Eppure sembra
reale... Non è che in realtà ci nascondi
qualcosa? Una relazione segreta con questa ragazza? Com’
è il tuo panorama sentimentale?-,
domandò a raffica l’uomo. Bill cominciava
veramente ad odiarlo.
-Bè... io
non...-, borbottò guardandosi attorno in cerca
di aiuto. Il suo sguardo incrociò quello penetrante e
magnetico di una ragazza dietro le quinte. La sua voce si
perse. Il suo cuore fece una capriola all’indietro,
disconnettendo un attimo il cervello. Rimase a fissarla intensamente
per molto tempo. Avrebbe voluto rimanere così per sempre,
dolcemente imprigionato dai riflessi dorati degli occhi di quella
ragazza, Jade. Ma il mondo non aspettava. Il presentatore si
schiarì sonoramente la voce, e cercando il suo smagliante
sorriso, ripeté, a voce più alta, la domanda:
-Ehm-ehm!!! Dicevamo, ci
sono novità in campo amoroso?-. Tom gli diede
una gomitata. Bill si risvegliò da quel delicato sogno ad
occhi aperti e piombò nuovamente nella spietata,
fredda realtà. Gli amici lo guardavano interrogativi.
-Ehmm... Ah,
sì, giusto... No, in questo momento non
c’è proprio nessuna che mi interessi... Ogni tanto
mi piace stare con qualche fan, ma non è mai niente di
serio... -, disse il ragazzo, ricomponendosi, fingendo
disinteresse.
Un colpo al cuore, come una pugnalata. Mille coltelli le trafissero il
petto. Un dolore lancinante.
Spalancò gli occhi, prima sorpresa, poi ferita, e li
riabbassò poco dopo, colmi di lacrime. Quante illusioni,
troppe. E il prezzo da pagare ora le sembrò davvero troppo
alto. Non era giusto.
Una minuscola goccia di acqua salata le scivolò sul viso
pallido e liscio, tracciando un solco bagnato. Si sentiva divisa a
metà.
Ma non voleva andarsene, doveva resistere... Strinse i pugni e
asciugando le lacrime, ma non il sangue del suo povero cuore ferito,
rimase.
-D’accordo,
grazie infinite Bill... Tom, abbiamo saputo che tu hai un certo vizio,
in fatto di ragazze... Vuoi dirci qualcosa?-, chiese il
presentatore al gemello del cantante. Bill sospirò,
silenziosamente, di sollievo, e guardò con occhi dolci Jade
dietro le quinte, quasi per scusarsi della bugia appena detta.
Quando lo sguardo nocciola di lui si posò su quello ambrato
di lei, la ragazza ebbe un sussulto, e, per paura di non riuscire a
trattenersi, scappò via, proprio mentre Tom rispondeva
strafottente:
-Bè, se
qualcuna di loro mi chiama “TOMminator” tanto un
brutto vizio non dev’essere, no?-.
Ignorando tutto e tutti, Bill sentì il ghiaccio penetrargli
nelle vene. La disperazione lo raggiunse e in un momento lo avvolse,
crudele. Incapace di concentrarsi sull’intervista, rispose in
modo assente alle domande che lo tartassarono durante la
mezz’ora successiva. Tanto, il peggio era passato. La loro
carriera era momentaneamente salva.
Ma forse non l’anima di due di
loro.
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Se nessuno commenterà più credo che
smetterò di postarla qui, questa storia.... se non piace,
scrivetemelo apertamente, cercherò di migliorare... Grazie...
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Capitolo 10 *** _Ferita e Cappuccetto Rosso_ ***
Si dice che la speranza sia l’ultima a morire...
Ma quando tutto quello che abbiamo, le nostre certezze, le nostre
volontà, i nostri desideri, ci vengono tolti, anche questo
sentimento non può che soccombere.
Semplicemente, viene schiacciato dal vuoto, e come un palloncino, viene
fatto scoppiare.
E se il vuoto che viene lasciato è subito occupato dalla
disperazione, esistere può diventare quasi insopportabile...
Nel bagno dello studio televisivo molte porte sono chiuse. Serrate,
sbarrate, nascondono ciò che non vogliono mostrare.
Una sola è spalancata, aperta con forza, dimenticata
schiusa, ma non per distrazione.
Jade è appoggiata al lavandino, con il respiro affannato
dall’interminabile ricerca di quel sicuro rifugio. Il viso
è bagnato di lacrime e sudore, acqua salata che brucia,
lasciando invisibili tracce incandescenti.
Gocce temerarie si raccolgono sotto il piccolo mento tremante per
spiccare il loro ultimo salto nel vuoto.
Il rumore che fanno toccando violentemente la ceramica bianca appare un
tremendo fragore alle orecchie della ragazza disperata.
Stringendo forte il bordo del lavabo, la giovane rimase immobile alcuni
minuti a vivere il suo dolore.
Con poche parole, quasi buttatele contro a caso, le sue aspettative, le
sue sicurezze, le sue dolci illusioni erano state cancellate, spazzate
via in un sol colpo.
Un taglio netto della sua anima, forse per questo più
doloroso.
Quando riuscì a calmarsi un po’, Jade
alzò lo sguardo arrossato e vide il suo riflesso.
Lo specchio, crudele ed indifferente, le rimandava la sua immagine,
svuotata, annullata
d’ogni emozione se non di quella del dolore.
Vide i suoi occhi colmi di lacrime, le guance rosse dal tanto
sfregarle, i capelli in disordine, buttati all’indietro con
noncuranza. E la furia la pervase.
In quel momento odiò sé stessa, cos’era
diventata cosa non aveva potuto fare per evitare tutto questo, e poi
quell’incontro fatale, e quella band tanto gentile con cui
aveva subito fatto amicizia. E ancora di più odiò
quel ragazzo dagli occhi nocciola che si era subito accorta di amare.
Accecata dalla rabbia e decisa di voler spazzare via sé
stessa, diede un pugno al suo riflesso.
Dritto in mezzo agli occhi.
Scaglie taglienti, però, per vendetta, le tornarono contro.
Per difendersi, alzò una mano, e subito si piegò
dal dolore: piccole schegge affilate erano disseminate lungo tutto il
braccio, e minuscole goccioline di sangue fuoriuscivano dagli
impercettibili taglietti.
Trattenne a stento un’imprecazione solo mordendosi forte il
labbro inferiore, ma immediatamente smise, per non procurarsi altre
ferite.
Nel panico, girò per tutta la piccola stanza nella disperata
ricerca di un qualcosa che potesse medicarla.
Con le lacrime agli occhi dal batticuore, decise di mettere il braccio
sfregiato sotto l’acqua. All’inizio le
sembrò una buona idea, e sospirò di sollievo, ma
poco dopo si ricredette subito: il forte getto, invece di levare le
schegge, le spingeva ancora più in fondo.
Disperata e ancora furiosa con sé stessa, chiuse bruscamente
l’acqua.
“Almeno per un
po’ avevano smesso di sanguinare...”,
pensò, sarcastica, incapace di trovare realmente lati
positivi in tutta quella faccenda.
-Jaaaaaaayyyyy!!! Dove
sei? Sei quiiiii????-, urlava qualcuno.
Il cuore di Jade fece un balzo: avrebbe riconosciuto quella voce in
mezzo a mille.
Volle nascondersi, per non farsi trovare in quello stato, di nuovo
fragile, debole, bisognosa del continuo aiuto di tutti.
Fece per scappare a nascondersi in un’altra stanza del bagno,
quando un’altra idea, più cattiva, che non le
apparteneva, le passò per la mente.
“No, voglio
che veda che sto male! Spero proprio che così si senta in
colpa...”, pensò, cinica.
La voce si avvicinava sempre di più:
-Jaaaaayyyy!!! Su, fatti
vedere! Giuro che non sono il lupo cattivo, non ti mangio! Jaaaayy...
Oh, trovata!-, disse allegro Bill, spuntando con la testa
leonina dalla porta.
La ragazza era di schiena. Lui cominciò ad avvicinarsi,
dicendo:
-Ma che fai, giochi a
nascondino? Dai, che adesso abbiamo la pausa pranzo e poi torniamo
tutti a casa... Sai, si è tutto sistemato, non credo
dobbiamo più temere quella...-. E si
interruppe, vedendo il sangue sul pavimento e sul lavandino.
Pochi passi lo separavano da lei. I suoi occhi terrorizzati seguirono
una goccia scarlatta che dal braccio di Jade, stretto contro il suo
petto, cadeva a terra.
Immobilizzato per qualche momento, si rifiutava di credere a quello che
aveva appena visto.
Poi la ragione prese il posto dell’irrazionalità,
e Bill si ritrovò a tenere per le spalle la piccola figura
dagli occhi diventati incredibilmente scuri, più dei suoi, e
a scuoterla con forza, chiedendo angosciato:
-Cos’è
successo? Ti sei fatta male? Come?! Oddio, e adesso che faccio?-,
sbraitò lasciandole le braccia e mettendosi le mani nei
capelli, che tolse subito per non rovinarsi l’acconciatura.
La ragazza barcollò e si dovette appoggiare al muro per non
cadere. Le girava la testa, un po’ per la perdita di sangue,
un po’ per essere stata così vicina alla persona
più importante per lei. Aveva anche il respiro affannato.
Disse, sorridendo per cercare di far sembrare una cosa da nulla la
grave lesione che si era appena procurata:
-Dai, non è
nulla... Sono solo un paio di taglietti...-.
-Ma come hai fatto a
farteli? Non credo siano apparsi da soli, no?!-,
domandò Bill, isterico.
Jade dovette pensarci su. Non poteva certo dirgli che cosa lui le aveva
fatto, come l’aveva ridotta. No, non era una persona
così tanto meschina... S’inventò la
prima buona scusa che le venne in mente:
-Ecco... Ero... ero
dovuta correre in bagno, non mi sentivo tanto bene, e così,
per lavarmi il viso, devo essere scivolata, perché
probabilmente il pavimento era bagnato, sai, e... c’era
già un pezzo di specchio rotto, qui nell’angolo,
io ci devo essere strusciata sopra. E così... ecco
qua, tagli nuovi di zecca e uno specchio infranto... Mi toccheranno
sette anni di guai? Spero proprio di no!-,
spiegò quasi non prendendo mai fiato. Sospirò e
voltò il viso dall’altra parte: non era brava a
dire bugie.
Bill rimase in silenzio alcuni istanti, poi disse solo: -Ah...-, e senza
aggiungere altro corse fuori.
Jade era incredula: come poteva lasciarla lì, ferita, e lui
andarsene tranquillamente a pranzo?
La rabbia minacciò di sopraffarla di nuovo, ma stavolta
riuscì a contenerla in un angolo remoto del suo piccolo
cuore spezzato.
Contrariamente a ciò che credeva, si sbagliava.
Neanche due minuti dopo, un trafelato Bill tornò, con una
vera e propria cassetta del pronto soccorso tra le braccia.
Jade sgranò gli occhi, e gli chiese stupita:
-Dove hai trovato quella
roba?-.
-L’ho
chiesta…-, rispose semplicemente il ragazzo
senza fiato. Si teneva una mano sul fianco e si appoggiava alle
ginocchia.
Dopo poco, si rialzò e prese la mano sana della ragazza.
Senza una parola, la condusse nella stanza principale, che,
notò solo allora la giovane, adibiva una piccola panchina,
appoggiata al muro opposto alla porta.
Si sedettero, e sempre in silenzio, Bill cominciò a
rimestare nella scatola bianca. Tirò fuori un paio di
pinzette, e delicatamente, iniziò a rimuovere i pezzetti di
vetro dal braccio tagliato di Jade. Sembrava lavorasse con noncuranza,
ma la ragazza si accorse invece, commossa, che dalla concentrazione e
dal timore di farle del male, la mano dalle unghie impeccabili,
tremava.
Ogni traccia di odio, cinismo e voglia di ferirlo in qualunque modo
scivolò lentamente da lei, come se pioggia le avesse lavato
la coscienza e il cuore.
Si sorprese ad osservare nei dettagli quel delicato viso perfetto, e si
rese conto di tante piccole cose che nelle foto o nei video non
apparivano.
Per esempio, la forma del naso, dritto e fiero, la figura aggraziata e
piena delle labbra rosate, il neo sul piccolo mento.
Ma soprattutto gli occhi, accesi, vivi, di un nocciola talmente intenso
che le faceva quasi girare la testa.
Concentrata su di lui, Jade non si rese conto di avere il braccio
ricoperto da candide bende finché Bill non ne strinse il
nodo ed esclamò sorridendo soddisfatto:
-Ecco fatto!-.
E le regalò un sorriso compiaciuto e di sollievo che
illuminava l’intera stanza.
Jade ne rimase incantata, e solo quando lui la guardò negli
occhi si riscosse da quel sogno ad occhi aperti, imbarazzata.
Sospirò, fingendo di controllarsi la fasciatura, e
ricordò quando, solo pochi giorni fa, proprio lei aveva
medicato il ragazzo, dopo che era stato quasi ammazzato di botte. Solo
per salvare lei.
Sollevò lo sguardo: i segni sul suo viso non erano ancora
spariti, e anche se si intravedevano appena sotto
l’abbondante dose di fondotinta, immaginò
facessero ancora male.
Riprese a guardarsi le braccia, e sussurrò piano:
-Grazie...-.
Non ricevette risposta, ma una pallida mano coperta d’anelli
le sollevò dolcemente il viso.
Un altro flash. “Anche
questo è già successo...”,
pensò Jade sbalordita.
Bill non la stava guardando, la osservava, scrutava la sua anima,
frugava nella sua mente.
La ragazza non riuscì più a distogliere lo
sguardo: difficile ignorare quegli occhini ipnotici e magnetici. Si
avvicinò di più al volto truccato e lo stesso
fece lui al suo: ormai, era perso, totalmente schiavo dello sguardo, di
nuovo ambrato, di quella delicata ragazza.
Incatenati l’uno negli occhi dell’altra, i due
ragazzi stavano inconsciamente mano a mano annullando le
distanze.
I loro respiri si rincorrevano, si intrecciavano, si cercavano.
Alla distanza di un battito di ciglia, Jade improvvisamente si accorse
di ciò che stava facendo, e spaventata, si
allontanò, mormorando dispiaciuta:
-Bill... Io non...-.
Ma lui, scuotendo la testa, le appoggiò due dita sulle
labbra. Entrambi furono attraversati da un brivido.
Sussurrando a sua volta, Bill le disse, caldo e rassicurante:
-Ssshhh... Non
c’è niente da dire...-, e sorrise
stupendamente.
“Non
è valido...”, pensò Jade,
accorgendosi di sorridere a sua volta.
“Non
è giusto...”, e intanto si era di
nuovo avvicinata troppo. “Ha
barato...”.
Nella tana del lupo. Ma lei non era Cappuccetto Rosso, non correva il
rischio di essere divorata... Giusto?!
Le labbra dei due ragazzi, dischiuse, affamate le une delle altre,
erano ancora separate solo dalla forza di volontà di Jade:
saltare o no? Buttarsi o no?
In questo caso valeva la canzone “Spring Nicht”?
Il respiro profumato di Bill le accarezzò delicato ed
invitante la pelle.
“Al diavolo
tutte le canzoni del mondo...”, pensò
la giovane la giovane, nuovamente priva di qualunque pensiero.
Aveva scelto.
Di nuovo, sorrise, e mosse sicura il primo passo nella grotta oscura, andando
verso l’ignoto lupo dagli occhi dolci.
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Capitolo 11 *** _Girare e Minaccia_ ***
Due sorrisi. Due sguardi. Due piccoli cuori che battono fortissimo.
Bill e Jade erano ancora seduti sulla panchina nel bagno dello studio
televisivo. Ancora si fissavano negli occhi, ancora le loro labbra si
cercavano. E ancora lei non sapeva se ascoltare il proprio cuore o la
propria mente.
Una parte della propria anima le urlava di svegliarsi, che
probabilmente quello che le stava accadendo era solo un sogno;
un’altra le consigliava caldamente di approfittare di
quell’occasione, di farsi avanti, di esprimere i propri
sentimenti; un’altra ancora, le sussurrava sconsolata di
tirarsi indietro: lui era una star, e lei... non era nessuno, diceva
che non avrebbe mai funzionato.
E proprio a quest’ultima credeva Jade, realista come al
solito. Eppure... Voleva anche lasciarsi tentare dalla sensuale vocina
che le diceva di buttarsi, essendo in fondo, anche
un’inguaribile romantica.
Bill alzò lentamente una mano e le accarezzò
piano i capelli, come aveva già fatto quella mattina
all’insaputa della ragazza. Il cuore della giovane
minacciò di scoppiare.
L’opzione sogno era dunque scartata. Quel tocco delicato e
gentile non poteva essere una sua invenzione!
Fissò negli occhi nocciola il ragazzo, incapace di prendere
una decisione.
Probabilmente Bill vide una sfumatura scoraggiata nello sguardo della
ragazza, perché abbassò la mano e le
sussurrò, amareggiato:
-Non mi aspettavo facessi
nulla per me... Non devi per forza compiacermi... Ho capito,
tranquilla...-, e fece per alzarsi, lo sguardo vuoto e
sconsolato.
Inconsciamente, Jade fu presa dall’angoscia di perderlo, di
non poterlo più rivedere, e d’istinto
afferrò la manica di pelle del giubbotto del ragazzo
esclamando ansiosa:
-Bill!!! No, io...-.
La voce le morì in gola.
Bill si girò a guardarla negli occhi, facendo trasparire dal
suo sguardo una così evidente speranza che la ragazza
trovò molta difficoltà a ricordarsi di respirare,
figurarsi farsi tornare in mente le belle parole che aveva appena
pensato per trattenerlo con sé.
Il ragazzo truccato si risedette, e prendendole le mani, chiese, quasi
euforico:
-Sì, Jay?-.
Jade, guardandolo negli occhi, non poté non paragonarlo ad
un bambino, un bimbo entusiasta dei suoi nuovi regali sotto
l’albero di Natale. E lei non voleva affatto deludere quel
piccino... Per un suo sorriso avrebbe fatto qualsiasi cosa...
Così, di nuovo in silenzio, due visi che si avvicinano
piano, felici, due sguardi, due sorrisi...
E all’improvviso, una porta che sbatte rumorosamente. E la
persona meno desiderata in quella stanza in quel preciso momento.
Tom entrò facendo casino, come suo solito, ed
esclamò:
-Ah, Bill, finalmente! Ti
ho cercato dappertutto!! Dobbiamo... Oh! Ho... ho interrotto qualcosa?-,
chiese abbassando il tono e alzando le mani a mo’ di
protezione.
Inutilmente. I due ragazzi, che quando avevano sentito urlare avevano
fatto un salto dallo spavento e si erano bruscamente allontanati
l’uno dall’altra, ora stavano incenerendo il rasta
con sguardi infuocati.
Il chitarrista ebbe un brivido, e per un attimo avrebbe voluto non
essersi offerto volontario per chiamare i due membri mancanti
all’appello. Avrebbe voluto, almeno, aver aspettato ancora
qualche minuto, o almeno aver bussato prima di spalancare la
porta.
Ma più di tutto rimpianse di essere stato lui ad assistere a
quella scena.
Un groppo alla gola costrinse il rasta a deglutire più
volte.
Sentendosi un peso nello stomaco, Tom riuscì comunque a dire
con voce roca:
-Ehm... Do-dobbiamo
andare... Bill, stiamo aspettando tutti te, e Andreas devi dirti una
cosa...-.
Il moro, sentendosi chiamare, balzò subito in piedi, e con
un’ultima indecifrabile occhiata a Jade, svanì
oltre la soglia.
Tom, prontamente spostatosi per non essere travolto al passaggio del
fratello, si riappoggiò nuovamente allo stipite della porta,
rabbuiato in viso.
Erano rimasti solo loro. Entrambi persi nei loro pensieri, avevano
tutt’e due qualcosa di cui rammaricarsi.
Ma il mondo non aspetta.
Quasi avendo sentito un richiamo lontano, i due ragazzi sollevarono
contemporaneamente la testa, riscuotendosi dalle reciproche
preoccupazioni.
Ambedue sospirarono, e mentre finalmente si alzavano, statue non
più di marmo, si guardarono negli occhi, indossando il
travestimento di qualcosa che non erano.
-Andiamo...-,
mormorò piano Jade tentando di passare per
l’angusto spazio tra il muro e il corpo del ragazzo, di nuovo
sorridente e sfrontato, senza sfiorare né l’uno
né l’altro.
Ma quest’ultimo, arrogantemente, allungò un
braccio a toccare l’atro stipite, e lo piazzò
esattamente davanti al naso della ragazza, che sobbalzò.
Un ghigno furbetto gli attraversò il volto, e quando Jade,
irritata, tentò di passare al di sotto del suo magro braccio
teso, uno strano scintillio scivolò negli occhi spenti del
rasta.
Mentre la ragazza si chinava, irritata, priva della voglia di
discutere, con un rapido movimento il ragazzo la prese alla vita, e
ignorandone gli strilli a metà tra il divertito e il
preoccupato, la sollevò di peso avvolgendola tra le sue
braccia ferree, e ridendo, girò su sé stesso
più volte, finché non cominciarono a muoversi
anche le pareti.
Sempre ridendo di gusto, smise roteare, e barcollò un
po’, mentre Jade esclamava:
-Oddio, Tom! Tu sei
completamente matto! Adesso mi verrà da vomitare!-.
Cercava di sembrare arrabbiata, ma la sua bocca non poteva fare a meno
di sorridere.
Finalmente, il pazzo chitarrista, appoggiò delicatamente a
terra la ragazza, ma invece di lasciarla andare, venne rapito da un
istinto incontrollabile, e anzi, strinse ancora di più
l’abbraccio attorno al magro corpo di lei.
Abbassò la testa e si perse tra i suoi capelli.
Inspirò profondamente, inebriandosi di quel profumo tanto
attraente quanto pericoloso.
Ancora affamato, si ubriacò di lei, chinando ancora di
più il viso, sfiorando con il naso e la bocca il suo esile,
morbido collo, smarrendosi lungo l’elegante clavicola
aromatica, verso la sua spalla rotonda, sotto al suo piccolo mento, per
tornare ogni volta al punto di partenza.
Totalmente immerso in lei, nella sua pelle, non si rese conto delle
proteste di Jade finché questa quasi non gli urlò
nelle orecchie e gli assestò una gomitata nello stomaco.
Preso in contropiede, Tom si riscosse bruscamente, tornando alla
realtà, da quel suo intimo mondo incantato, e immediatamente
lasciò la presa.
La ragazza si voltò verso di lui, furente, rossa in viso,
con le lacrime agli occhi, una mano sul collo, nel punto in cui le
sensuali labbra di uno dei ragazzi più desiderati della
Germania l’avevano accarezzata.
A schiena dritta, Jade lo fissò un istante in quei profondi,
dispiaciuti occhi nocciola, e mentre una piccola lacrima cominciava a
scivolarle sulla guancia liscia, gli rivolse un’ultima
occhiata disgustata e corse via.
Tom, le braccia penzoloni, dritte lungo i fianchi, rimase diversi
minuti a fissare una porta chiusa, solo in quella fresca stanza vuota.
Sicuramente, oltre al rammarico, ora il rimorso di scuse non dette
pesava molto più di qualunque altra cosa. E come una
gigantesca mano, lo stava schiacciando.
Diversa stanza, diversa casa, stessa città.
Il ghiaccio, mezzo sciolto, tintinnò nel bicchiere di
champagne, che venne subito afferrato da una pallida mano con le unghie
laccate di rosso.
I diversi braccialetti scintillanti che adornavano due bianche, magre
braccia, luccicarono all’ultimo, morente raggio di sole.
Una bocca dalle labbra piene, rosate, ricoperte di brillante
lucidalabbra alla frutta, sorseggiò piano il liquido
frizzante. Freddo, al punto giusto.
Due lunghe gambe, poggiate su cuscini di raso rossi, si stiracchiarono,
pigre.
La Tv, accesa, era sintonizzata sul canale 17, quello sul mondo della
musica.
Dallo schermo, quattro giovanissimi ragazzi stavano rilasciando
un’intervista, sorridenti e rilassati.
Degli occhi azzurri, tanto intensi, immediatamente aguzzarono lo
sguardo.
La bella ragazza si sistemò meglio sul divano candido, e
appoggiandosi al braccio piegato sotto di sé, si
avvicinò un po’ di più
all’apparecchio elettronico.
Sorrise, diabolica, sentendo la risposta del ragazzo truccato, il
cantante, riguardo una domanda personale su una certa rivista.
Quando le telecamere zoomarono sulla copertina di questa, la ragazza
ridacchiò piano, e prima di alzarsi e di lanciare lontano il
telecomando, spense la televisione.
Il bel giovane scomparve.
Si stirò piano, portando le braccia in alto e poi piegandole
dietro la testa. La maglietta corta, sollevandosi, scoprì il
percing argentato che occhieggiava timido dall’ombelico sodo.
La ragazza mosse la testa, scuotendo i lunghi capelli biondi, e
afferrò la cornetta di un telefono cordless lì
vicino. Si lanciò sulla poltrona là accanto e
compose veloce un numero.
-Pronto...?-,
rispose circospetto Bill. Non riconosceva il numero che appariva
lampeggiando sul display del suo cellulare ultimo modello.
-Ciao Bill! Come va?-,
cinguettò una voce argentina.
Bill, disteso sul letto della sua camera d’albergo si mise
piano a sedere, ora più seccato che preoccupato.
-Ma... Chi parla? Come
hai fatto ad avere questo numero?-, chiese aggrottando le
sopracciglia.
-Oh, ho i miei
contatti... Ma non credo dovrai preoccuparti di questo, ora... Ci
vediamo al parco in periferia fra un’ora,
d’accordo? Dovrei discutere un po’ con te...-.
Ora Bill era veramente furioso.
-E se non dovessi
venire?-, chiese ghignando, sfidando
quell’interlocutrice misteriosa tanto arrogante.
Un momento di silenzio dall’altra parte. Poi, una voce,
fredda, dura, che il ragazzo stentò a riconoscere come la
stessa di prima:
-Allora potrebbe
succedere qualcosa ai tuoi amici, o... alla tua ragazza... Al parco fra
un’ora.-, concluse la voce, spietata.
Bill era attonito ed angosciato:
-Cosa?! Come... come fai
tu a sapere di Jade?! ... Pronto? Pronto!-.
Silenzio. Aveva riattaccato.
Improvvisamente, un brivido freddo corse lungo la schiena del ragazzo:
aveva capito.
Forse aveva riconosciuto la persona a cui apparteneva la voce dalla
doppia personalità e dalle mille sfumature. E sapere di chi
si trattava non l’aiutava affatto.
Strinse forte tra le mani il cellulare, e serrando gli occhi,
rifletté a lungo.
Dopo qualche minuto, sollevò lo sguardo, negli occhi la
presa coscienza di aver scelto. E alzandosi, guardò il cielo
macchiato di rosso, preparandosi alla seconda svolta più
importante della sua vita.
La ragazza spinse allegramente il tasto di chiusura della chiamata e
ripose la cornetta. La fissò per un attimo e poi
cominciò a ridere, abbracciandosi da sola.
Sempre ridacchiando, corse nella sua stanza e aprì
l’armadio fischiettando. Felice, come ad un primo
appuntamento.
Si ravviò i capelli biondo platino, e dopo aver tolto dalla
gruccia un vestito elegante, se lo appoggiò addosso e
osservò l’effetto allo specchio.
Giusy fissò con occhi di ghiaccio quelli identici del suo
riflesso.
Due Giusy.
Buona e cattiva. Gentile e spietata. Doppi personalità.
Scelse l’abito che avrebbe indossato all’incontro
stabilito fra un’ora con quello strano ragazzo truccato
appena visto alla Tv, e saltellò in bagno per truccarsi.
Un raggio di sole, rosso, colpì lo specchio, che lo
rifletté a sua volta, illuminando il telefono portatile
scuro, appoggiato sul tavolino accanto alla poltrona.
Sul piccolo schermo, ancora visibile il numero dell’ultima
chiamata effettuata.
Quell’unica telefonata sarebbe bastata a sconvolgere ben
più di una vita?
_____________________________________________________________________________________________________________________
Danke
a tutte! ^^ Sì, avete ragione, io continuerò a
scrivere questa storia Perchè mi piace, perchè mi
fa emozionare e perchè così mi sento
più... completa!
E
se poi la legge qualcuno, sono ancora più contenta! ^_^
|
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Capitolo 12 *** _Bollicine e Panchina Fredda_ ***
Bolle. Tante, tante bolle. Colorate, trasparenti, dai mille riflessi
arcobaleno; ma anche fragili, delicate, fin troppo facili da rompere...
Totalmente immersa nella vasca da bagno di ceramica bianca, fredda e
scivolosa, Jade pensava. Era chiusa nel bagno della camera di Bill, che
ormai era diventata la sua, da quasi un’ora.
Al ritorno dallo studio televisivo, dopo quella interminabile giornata,
aveva chiaramente annunciato al ragazzo che non ci sarebbe stata per
nessuno durante, almeno, le due ore successive. Poi, aveva chiuso la
porta a chiave, aveva riempito frettolosamente la vasca, versato mezza
bottiglia di bagnoschiuma e dopo essersi spogliata in fretta, gettando
a terra i vestiti, vi si era infilata lesta lesta.
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo per il contatto con
l’acqua calda, si era lasciata sprofondare fino al mento, e
osservando rilassata il delicato paesaggio di schiuma bianca, aveva
chiuso gli occhi.
Rifletteva, e rifletté a lungo, quel giorno: su come stava
cambiando la sua vita, sui genitori e gli amici lontano, e su quelli
appena trovati. E soprattutto, meditò sui fatti accaduti
quel giorno.
Ricordò particolarmente bene quegli occhi nocciola, talmente
vicini che aveva avuto paura di caderci dentro, e quel
profumo, il suo, tanto dolce e attraente.
Jade, immersa fino al naso, sorrise involontariamente, e subito
sollevò la testa per sputare l’acqua saponata che
le era finita in bocca.
Di nuovo, il suo viso scomparve per metà oltre la piatta
superficie, inframmezzata da piccole isole di sapone, naufraghe. Le
bolle stavano scomparendo.
Chiuse nuovamente gli occhi per riacciuffare l’emozione di
quell’infinito gioco di sguardi con quel ragazzo tanto carino
e gentile; ma all’improvviso, la sensazione di quel forte
abbraccio che le aveva tolto il respiro e la morbidezza di quelle
labbra di velluto che le avevano accarezzato il collo,
scacciò tutte le altre.
No, questo voleva dimenticarlo, scacciarlo per sempre dalla sua testa
confusa. Doveva, o a quel pensiero si sarebbe tormentata da qui
all’eternità...
Ma la sua mente, indifferente alla sua forza di volontà,
continuava a ripresentare davanti ai suoi occhi serrati quelli
così dolci, più scuri, e dispiaciuti, di quel
particolare ragazzo coi rasta, dopo che lei, Jade, se n’era
andata, senza nemmeno chiedere spiegazioni, senza ascoltare le sue
scuse.
La ragazza aprì gli occhi. Quasi tutte le bolle erano
sparite. Solo una, piccola e forse per questo più resistente
, continuava a veleggiarle silenziosa tra le lunghe gambe.
Jade si levò a sedere, e delicatamente prese la semplice
costruzione di sapone tra le mani bagnate.
“Cosa devo
fare adesso? Come mi devo comportare?”, pensava
disperatamente la ragazza sconsolata, forse sperando che tra le sue
mani ci fosse una sfera di cristallo.
Ma riflessi da quella rotonda superficie Jade vide solo i suoi occhi,
grandi e preoccupati. E prima che la bolla scoppiasse, la ragazza
intuì cosa doveva fare.
POP! Tra le sue mani insaponate, più nulla.
TOC! TOC!
Un leggero bussare alla porta del bagno fece sobbalzare Jade.
All’inizio, la giovane pensò fosse stato il rumore
dello scoppio della bolla, e si guardò spaventata e confusa
le mani. Quando i colpi divennero più insistenti, finalmente
capì. La ragazza uscì svelta dalla vasca,
togliendone il tappo, e rabbrividì prima di cominciare a d
asciugarsi alla bell’e meglio. Dato che le pacche contro la
porta non smettevano, anzi, aumentavano, urlò irritata:
-Un attimo, insomma!-.
Si avvolse in un asciugamano bianco che le arrivava a stento alle
ginocchia, e dopo essersi velocemente frizionata le punte dei capelli,
che lasciò cadere sulle spalle, aprì la porta
esclamando:
-Scusa, Bill, ero
ancora... Cosa ci fai tu qui?!-.
Sulla soglia, in evidente imbarazzo, Tom si tormentava il piercing, le
mani in tasca, appoggiato al muro.
Non appena la vide, si schiarì la voce e rimase a fissarla
per un periodo di tempo decisamente troppo lungo.
Lei incrociò le braccia sul petto, e chiese, forse in modo
troppo sgarbato:
-E allora? Che sei venuto
a fare?-.
Tom sorrise, il percing appena visibile alla luce
dell’abat-jour arancione della stanza, e rispose, malizioso,
facendo un cenno con il capo rivolto all’asciugamano di Jade:
-Ero venuto a scusarmi
per oggi pomeriggio, ma non so se riuscirò a non ripetere lo
stesso errore dopo questa accoglienza!-.
Jade arrossì, ed esclamò:
-Se ti dà
tanto fastidio, aspetta qua un attimo, che mi cambio!-. E
impacciata, marciò nuovamente in bagno, chiudendo la porta
in tempo per sentire che il ragazzo diceva:
-E chi ha detto che mi
dispiaceva?!-.
Un accenno di sorriso le attraversò un attimo il viso, ma
subito lo scacciò, concentrandosi a raccogliere i vestiti da
terra. Iniziò ad indossare la biancheria pulita.
Si fermò, lanciando un’occhiata alla porta. Ci
pensò un attimo, poi la chiuse nuovamente a chiave.
Poco dopo, neanche dieci minuti più tardi. Jade era pronta,
completamente vestita, i capelli ancora un po’ umidi e
ribelli. Se li ravviò, portandoli poi dietro le orecchie, e
guardandosi un’ultima volta allo specchio, totalmente
scontenta del suo aspetto, corse ad aprire la porta. Girò la
chiave, abbassò la maniglia esclamando: -Eccomi!-, e...
finì catapultata tra due forti, solide braccia.
Sollevò lo sguardo, ancora preda della sorpresa, e
osservò il bel viso di Tom a pochi centimetri dal suo.
Il ragazzo rise, e poi le sussurrò all’orecchio,
caldo:
-Ehi, ma allora dillo che
non vedi l’ora di cadermi fra le braccia...-.
Jade si scostò bruscamente da lui con una spinta, e
voltandogli le spalle, rossa in viso, sbraitò:
-Sono solo inciampata,
pezzo d’idiota!-.
Abbassò lo sguardo, imbarazzata, e si accorse che proprio
davanti alla porta, in mezzo al passaggio, erano appoggiate un paio di
scarpe. Nere, forti, enormi. Da uomo.
La giovane si voltò nuovamente verso il ragazzo, senza
parole dall’indignazione .
Lo vide tentare di trattenere una risata .
Il rasta si sollevò con una mano l’orlo dei
larghissimi jeans, e alzò un piede, avvolto solo da spessi
calzini scuri.
Mosse sfacciatamente le dita e poi si mise a guardare Jade con un
sorriso furbetto stampato in faccia.
La ragazza rimase attonita per qualche secondo, a bocca aperta.
Poi esplose:
-Brutto...!!!Era tutto un
trucco, vero? Avevi preparato ogni cosa, eh?!-, e
cominciò a tempestare di pugni il chitarrista sullo stomaco,
sulle spalle, sul viso.
Tom rideva, tentando di ripararsi con le braccia come poteva da quel
vero e proprio diluvio di rabbia, finché non decise di farla
finita e strinse dolcemente ma con decisione i polsi della ragazza
furiosa, tenendola ferma a distanza di sicurezza.
Jade si divincolò ancora un poco, poi si arrese, e
sbuffò forte dalla bocca come una bambina imbronciata,
girandosi da un’altra parte.
Il rasta rise piano, dolcemente, e si posò i piccoli pugni
serrati di lei, ancora bloccati da grandi, morbide manette, sul petto.
La giovane si voltò di scatto, e strappando immediatamente
le mani da quelle di Tom, alzò le braccia al cielo, e
arretrando, urlò:
-Ma insomma! Non riesci
proprio a stare un po’ per conto tuo? Perché devi
sempre cercare il contatto con un’altra persona?!-,
chiese, quasi la schiena al muro.
All'istante, Tom coprì la poca distanza che lo separava
dall’imbarazzata ragazza con due lunghi passi, e disse, finto
pensieroso:
-Uhmm, fammi pensare...-,
e con mossa fulminea le toccò il sedere. -... Infanzia difficile?-,
disse sorridendo sfacciato.
Stavolta Jade fu più veloce, e mentre lui ritraeva la mano,
pronto a difendersi, lei gli mollò uno schiaffo deciso alla
guancia, che subito si colorò di rosso acceso.
-Così impari,
brutto maniaco!-, esclamò ghignando.
Tom, che si era subito portato una mano allo zigomo per massaggiarselo,
la abbassò, e l’identico lampo giocoso e allo
stesso tempo da predatore di quel pomeriggio gli si accese nello
sguardo. Jade ebbe un evidente brivido.
Il ragazzo sorrise, scoprendo i denti bianchissimi, e
cominciò ad avvicinarsi alla moretta dagli occhi leggermente
spaventati in modo circospetto, quasi felino.
All’improvviso, si agguattò in un angolo, come un
leone pronto a balzare, e lanciando un finto ruggito, per gioco,
saltò addosso alla ragazza leggermente impaurita, che
strillò dall’eccitazione, e insieme, caddero sul
letto, ridendo.
Tom si sollevò sulle braccia e osservò Jade,
rannicchiata sotto di lui, quella stupenda adolescente che stava
stravolgendo la sua vita e quella di tutti, in fondo. La vide ridere,
tenendosi la pancia, quasi piangendo, e gli sembrò la cosa
più bella che avesse mai visto.
Ma quasi subito, quell’insolita dolcezza, in lui, vene
sostituita dal desiderio, un desiderio incontenibile, irrefrenabile, di
farla diventare sua. Una voglia ancora maggiore di quella che si era
scatenata in lui quel giorno. Si leccò il percing, famelico.
Il suo istinto si stava risvegliando. All’improvviso,
però, l’immagine ormai stampata a fuoco nella sua
memoria, di lei che fuggiva lontano da lui, terrorizzata, traumatizzata
da quell’improvviso peso della passione che l’aveva
assalito, lo fermò. Una voce molto simile a quella del
fratello gli consigliò di non fare quello che il suo corpo e
la sua mente volevano, o se ne sarebbe davvero pentito.
“Sì...
Devo resistere...”, pensò il ragazzo
stringendo forte la coperta tra le dita.
In quel momento, con un sospiro, Jade smise finalmente di ridere e
cominciò ad osservare attentamente il ragazzo che la
sormontava. Tom stava digrignando i denti e quasi stracciando la
coperta per riuscire a resistere agli istinti che minacciavano di
sopraffarlo.
Fece per alzarsi, sicuro di non riuscire più a mantenere il
controllo se fosse rimasto in quella posizione, quando Jade
sussurrò piano, prendendolo alla sprovvista:
-Sei diverso, stasera...-.
Il ragazzo si voltò a guardarla stupito, e ne rimase
incantato.
La flebile luminosità della lampada accarezzava dolcemente i
lineamenti delicati del viso di lei, dipingendoli di arancio e
accendendo di oro i suoi occhi magnetici. Luce e ombra giocavano fra le
sue sopracciglia aggrottate, la sua bocca seria e terribilmente
attraente, i suoi capelli lucidi, finalmente asciutti, sparsi sulla
coperta candida.
-Co... cosa vuoi dire?-,
chiese Tom riscuotendosi da quella visione ad occhi aperti.
Quella stessa visione che ora lo guardava incredula di aver davvero
detto ad alta voce un pensiero così emotivo.
-Niente, niente, lascia
perdere... Ti chiedo scusa, ma quando sono con te mi lascio sempre
sfuggire tutto, ogni mio pensiero... Sarà perché
sei una persona speciale per me, vicino a te mi sento al sicuro...-,
mormorò Jade, scostandosi piano dal ragazzo, in preda a un
batticuore talmente intenso che egli ebbe paura di avere un infarto.
La ragazza si alzò dal letto e andò alla
finestra, rimanendo per un po’ ad osservare senza vedere le
luminarie della città. Appoggiò una mano sul
vetro freddo e si voltò a guardare decisa Tom, ancora seduto
sul morbido materasso, immobile dalla sorpresa.
-Credo di potertelo dire,
so che di te mi posso fidare...-. Sospirò a
lungo, abbassando per un attimo lo guardia. Fissò negli
occhi nocciola e carichi il ragazzo di cui tanto si fidava. Prese
tempo, poi finalmente, quasi liberandosi di un peso, gli
annunciò, trafiggendolo da parte a parte con uno sguardo di
puro miele:
-Ormai credo di esserne
pienamente consapevole... Vedi, a me... a me piace tuo fratello
Bill...-.
****************************
Parco in periferia. Panchina più a nord, la più
isolata.
È ormai buio, i lampioni sono tutti accesi.
Bill è seduto su quella panchetta verde spento da quasi una
mezz’ora ormai.
Sta aspettando una persona in particolare, anche se in
realtà spera che questa non arrivi mai.
“Maledizione,
che freddo... Non mi sento più i piedi...”,
pensò soffiandosi sulle mani e sfregandosele prima di
rimetterle in tasca, infreddolito. “Forse
ha deciso di non venire... magari era tutto uno scherzo...
Già, non può che essere stato un dannato tranello
di qualche anti... È stato preciso, però, a
trovare il numero e tutto... Dovrò cambiarlo, di nuovo!
Bè, ormai è inutile stare qui ad aspettare
invano... Meglio che torni a casa, non vedo l’ora di farmi un
bel bagno caldo...”.
E così, rincuorato da quell’allettante
prospettiva, il ragazzo si alzò, stringendosi di
più nel suo solito giubbotto di pelle nera, e sbattendo un
po’ le scarpe a terra, cominciò a d avviarsi lungo
il vialetto che portava all’uscita del parco.
Altri passi. Decisi, calmi, eppure inquietanti.
Un’ombra si parò davanti a Bill, che
immediatamente si fermò ed alzò la guardia,
pronto a difendersi, memore delle brutte esperienze passate.
Un profumo dolce, fin troppo, forse, si sprigionava da quella figura
avvolta dall’ombra.
Un profumo familiare.
Bill abbassò le mani sollevate davanti allo stomaco, e
aguzzò la vista.
La figura continuò ad avanzare, lentamente, per fermarsi
sotto la luce biancastra di un lampione che donava meravigliosi
riflessi ai suoi capelli.
Bill sgranò gli occhi:
-Tu??-.
La ragazza sorrise. I suoi denti brillarono
nell’oscurità. Con un gesto un po’
brusco ma totalmente rilassato, si lanciò una lunga ciocca
bionda alle spalle, e appoggiandosi su un fianco, prese un accendino e
bruciò la punta della sigaretta che aveva in bocca,
miracolosamente estratta da chissà dove.
Il leggero chiarore illuminò due paia di occhi azzurri
socchiusi.
Giusy espirò verso l’alto il grigio, dannoso fumo,
e sempre sorridendo, chiese, delicata e pericolosa:
-Come va, Bill?-.
________________________________________________________________________________________________________________________
"Cosa
succederà adesso all'appuntamento? Riuscirà Bill
a tornare a casa sano e salvo? Quali sono i veri sentimenti di Tom?
Come si comporterà Jade con Bill ora che ha accettato il suo
amore? E
perchè il prezzo dei tortellini continua ad aumentare?!
La risposta
a questa e ad altre PRESSANTI domande......... Prossimamente, su questa
Fan Fiction! ^_^"
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Capitolo 13 *** _Notte_ ***
-Come va, Bill?-.
Due labbra luccicanti alla fragola, capaci di gelare con un unico
soffio il mondo intero.
Bill rimase pietrificato, immobile, nell’ombra.
Il lampione biancastro proiettava riflessi argentati sui capelli della
ragazza, abbaglianti, accecavano il giovane cantante a pochi passi da
lei.
Dopo qualche secondo in silenzio, Bill riuscì a riprendere
l’uso della bocca spalancata, chiudendola e balbettando:
-Co... cosa vuoi da me?-,
chiese, arretrando di un passo, di nuovo in posizione di difesa.
Giusy sorrise e nuovamente inspirò forte da quel sottile
involto di carta e foglie proibite, espirando subito dopo verso
l’alto, soffocando il cielo e le stelle.
Ritornò ad osservare, impassibile, il ragazzo truccato
davanti a sé.
Poi, non più dolce ragazzina gentile, disse lentamente,
fredda e spietata:
-Voglio diventare
famosa... E voglio dei soldi... Tanti soldi...!-.
-Perché?-,
chiese Bill, una nota isterica nella voce di velluto.
Giusy si voltò di fianco, muovendo qualche passo fuori dal
sentiero a mala pena visibile, verso l’erba ghiacciata.
I suoi tacchi affondarono scricchiolando in quel mare verde
paralizzato, mentre lei, con il viso rivolto al cielo dava un altro
tiro a quella momentanea, fasulla felicità.
Prese la sigaretta consumata tra due dita, sempre a naso in su,
dedicandosi a quelle spente, fredde stelle, e lasciando
cadere tra fili d’erba innocenti quella gioia peccaminosa,
disse, pacata, al cielo nero e vuoto:
-Vedi, Bill, a questo
mondo, per essere qualcuno, rispettato e acclamato come te, non avendo
doti particolari, bisogna diventarlo, un
“qualcuno”. E per divenirlo, serve la fama, la
quale può essere raggiunta solo attraverso l’uso
dei soldi... È un circolo vizioso, ormai...-.
fece una pausa, alzò un piede e pestò con
violenza la cicca, spegnendo anche l’ultimo filo di fumo che
si srotolava, morente, verso l’alto, come una mano implorante
in cerca d’aiuto, spezzata per sempre.
Si voltò di sbieco verso il ragazzo, inorridito, e
osservandolo intensamente, sussurrò dolcemente:
-Se non si emerge dalla
massa, si viene semplicemente schiacciati...-.
Con orrore, Bill levò lentamente lo sguardo
dall’elegante scarpa scintillante, e deglutendo, chiese:
-Perché hai
scelto di rovinare la vita proprio a me?-.
Giusy rise, di una risata argentina che fece accapponare la pelle al
ragazzo, e tornando sul sentiero, si fermò nuovamente a
pochi metri da lui:
-Rovinato? Veramente
siamo solo all’inizio... E chiedevi perché proprio
a te? Oh, piccola scelta personale... La tua vita
m’incuriosiva, è stato divertente frugare nel tuo
passato... e nel tuo presente... Sì, so di Jade, la
ragazzina che ora vive con te...-, annunciò la
ragazza sorridendo della sorpresa di Bill. -... E se vuoi che la sua
vita continui... in tutti i sensi... con te... Ti, diciamo, consiglio
caldamente di consegnarmi questa cifra...-, e si sporse in avanti per
consegnare ad un diffidente e preoccupato Bill un foglietto piegato in
quattro.
Il ragazzo lo dispiegò, e sgranando gli occhi,
esclamò:
-Cinquantamila...!? Ma...
ma...-.
-Pensaci... Ti aspetto
domani, qui, stessa ora... Con una risposta, spero, e magari
ciò che desidero... Accontentami, e farai un favore anche ai
tuoi amici ed alle persone a cui tieni di più... -,
lo interruppe lei, facendo per andarsene. Si voltò, e
cominciò a camminare spedita lungo lo stretto sentiero di
terra. Si bloccò. Si rigirò verso il giovane:
-Ricorda, Bill Kaulitz,
io non minaccio mai a vuoto, e mantengo sempre le mie
promesse... Non provare ad informare la polizia, o qualche
malaugurato incidente potrebbe succedere a qualche tuo stretto
conoscente... A domani...-.
E con un ultimo, inquietante, penetrante sguardo, si
inabissò nell’oscurità. Rumore di passi
che si allontanano. Poi silenzio.
Se n’era andata. Così com’era arrivata.
Bill rimase a fissare per diversi minuti
l’oscurità sempre più fitta, incapace
di accettare la conversazione appena avvenuta.
Poi, si accasciò, sfinito e svuotato dall’ansia
sulla panchina.
Si prese la testa fra le mani, sfregandosi disperato il viso, incurante
della matita che si spandeva fino al mento.
“Che cosa
faccio, adesso? Come mi devo comportare?”,
pensava sconfortato, ignaro di non essere stato l’unico, quel
giorno, ad essersi posto le stesse domande.
Stanza numero 327. Un letto intatto. Una finestra leggermente
appannata. E una sorpresa talmente grande da fuoriuscire dalla porta.
Jade osservava Tom. Tom scrutava Jade. Lei in cerca di una qualunque
reazione, lui tentando di capire se quello che gli aveva appena detto
fosse vero.
Passarono diversi minuti, troppi, in silenzio, rincorrendo parole,
frasi sconnesse, prive di qualunque senso.
“Davvero?
Be’, sono felice per te...”, “No, non
riesco a crederci!”, “Ma perché lui e
non me?!”, “Scusami, non riesco ad essere contento
di questo...”, “Non lo capisci che così
mi uccidi?”.
Parole, tante, infinite, forse, come il dolore di Tom. Un dolore che,
tuttavia, non conosceva parole per essere spiegato. E un dolore che
però, poteva essere compreso solo con ogni parola del
mondo.
E così, rimasero ancora in silenzio, finché Tom,
senza dire nulla, si alzò e, con grande sorpresa della
ragazza, la strinse in un forte abbraccio.
Sperava di riuscire a trasmetterle un po’ delle innumerevoli
emozioni che gli si agitavano nel cuore, farle conoscere la sua
sorpresa, la sua gioia, il suo dolore. Avvolse ancora di più
le sue braccia attorno al piccolo, magro corpo di Jade, che sorpresa e
imbarazzata, protestò senza convinzione:
-Tom, insomma..!-.
Il ragazzo allentò un po’ la presa, e senza
staccarsi da lei, dolcemente, le sussurrò
all’orecchio solamente:
-Brava...-.
Una lacrima minacciò di spuntargli dall’angolo
dell’occhio sinistro, ma riuscì a reprimere
l’improvvisa manifestazione tangibile dei suoi sentimenti.
E lasciandola lì, senza parole, dagli occhi un po’
lucidi e il viso rosso, le diede solo una piccola, semplice, diretta
carezza sulla testa. Sorrise, vuoto, e le fece un ultimo cenno di
saluto, uscendo da una stanza ma lasciandoci dentro, chiusi a chiave, i
suoi sogni, le sue speranze ed il suo cuore.
Notte. Notte tranquilla, notte rilassata. Notte di sogni.
Georg e Gustav, dormivano tranquilli, a pancia in giù,
rapiti entrambi da Morfeo e trasportati verso il loro magnifico,
fantastico mondo personale, ignari di ogni cosa accaduta quel giorno.
Lo stesso facevano le innumerevoli fan dei Tokio Hotel, quella sera,
abbracciando magari una foto dei loro idoli, ascoltandone, anche
durante il sonno, le toccanti canzoni, immaginando, fantasticando,
desiderando di averli accanto in carne ed ossa, di poterli toccare,
abbracciare, baciare. Di poter occupare un posto nella loro vita.
Sogni irrealizzabili, fasulli, inutili illusioni, ma così
dolci, dolci, consolanti fantasie.
Stessa notte. Notte agitata, notte tormentata. Notte di incubi e di
occhi spalancati.
Era sveglio, Bill Kaulitz, non lontanamente preoccupato dal prossimo
concerto della band, ma assillato da ben più importanti
problemi. Steso a pancia in su, ragionava.
Cosa avrebbe fatto? Cosa riteneva giusto?
Cedere ad un subdolo ricatto per spegnere una sete di fama e ricchezza?
Ignorare la richiesta rivolgendosi alla polizia e mettendo in pericolo
la vita della sua famiglia, dei suoi amici e... sì, anche di
un’altra esistenza, che ora tormentava l’infinita
notte burrascosa del ragazzo...
Oppure scappare? Ma per cosa, poi? Per rimandare un fato ormai
inevitabile?
Ad occhi aperti, Bill rifletteva. Notte insonne, di preoccupazioni e
angosce.
Era sveglio, Tom Kaulitz, agitato da una risposta tanto inattesa quanto
sconcertante. Sul viso rigato da inspiegabili lacrime, solo il dolore
vi si soffermava.
Incapace di fornirsi una spiegazione per quello spasimo al petto,
proprio lì, a sinistra, il ragazzo pensava.
Cos’era che lo colpiva così tanto, nel sapere
della nascita di una amore altrui?
Perché questa notizia, che avrebbe dovuto farlo felice, lo
faceva invece soffrire così tanto?
Guardando assente il soffitto, si ritrovò a ricostruire
minuziosamente il viso della ragazza che stava sconvolgendo la sua
anima, quella ragazza dagli occhi ambrati, dai capelli odorosi, dalle
movenze delicate e dal sorriso genuino.
Sorrise, pensando a quanto la trovasse buffa. E fragile.
Aggrottò le sopracciglia al ricordo del loro primo incontro,
e una nuova fitta gli tolse il respiro.
Si rigirò su un fianco, mentre una nuova lacrima solcava la
sua guancia liscia e raggiungeva timorosa il suo percing al labbro. La
scacciò via, sfregandosi la bocca con la mano.
Un’ idea si stava formando nella sua mente devastata, un
concetto talmente semplice che si sorprese a non averlo concepito
prima. E ciò nonostante, così assurdo,
così inspiegabile, e così inaccettabile che
provò a lavarlo via assieme alla piccola, insignificante
goccia salata precedentemente allontanata dal suo viso.
Ma una consapevolezza è ben più resistente da
sradicare, soprattutto se ormai si è insinuata in noi molto
profondamente, piantandoci nella mente radici difficili da estirpare.
E questo, Tom lo sapeva. Notte interminabile, di ore passate a fissare
il soffitto. Notte di tormento e di sogni infranti.
Era sveglia, Jade. Raggomitolata su un fianco, sotto la calda coperta,
guardava distante la finestra rigata da scure lacrime di pioggia.
Osservava, pensierosa, i rami spogli degli alberi agitarsi, tremando e
scuotendosi, schiaffeggiati dal vento violento, e inconsciamente si
strinse di più le gambe al petto.
Che doveva fare? Confessare subito il suo sentimento appena nato,
fragile, inesperto, non ancora capace di muovere le ali? No, questo no.
Non poteva esporlo a questo rischio, uccellino da poco venuto al mondo.
Inoltre, aveva paura di non essere all’altezza di sostenere
l’amore, se corrisposto, dal ragazzo dagli occhi nocciola,
tanto gentile e premuroso.
Si immaginò con lui, a braccetto, e vide le migliaia di fan
deluse e furibonde. Immaginò con rimpianto il tempo speso
con lei e trascurato per la musica.
No, non poteva permetterlo. Il gruppo doveva essere il suo primo e
unico pensiero, anche se questo poteva farla soffrire.
E se invece non dovesse per forza andare così? Doveva
parlarne con qualcuno.
Nella sua mente si formò quasi automaticamente
l’immagine di quel pazzo, scatenato chitarrista coi rasta,
che la stava mano a mano conquistando con la sua unicità, la
sua simpatia e la sua sicurezza.
Sì, poteva, o meglio, doveva parlarne con Tom.
Lui non l’avrebbe mai tradita, l’avrebbe protetta,
e consigliata, e rassicurata. Come un fratello maggiore. Un
fratello che non aveva mai avuto.
Leggermente tranquillizzata, Jade chiuse gli occhi, senza
però riuscire ad addormentarsi, troppo agitata al pensiero
del domani per poter concentrarsi sul presente.
Notte lunga, troppo lunga, passata a contare i secondi in attesa di un
momento che sembra non arrivare più.
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ANTICIPAZIONE: Nel prossimo capitolo >> Le Confessioni di
Bill e Jade e I Veri Sentimenti di Tom... ^_^
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Capitolo 14 *** _Persiana e Confessioni_ ***
E improvvisamente, mattina.
Jade venne risvegliata dolcemente da un luminoso raggio di sole, che la
colpì diretto al viso. Si sfregò gli occhi,
riuscendo infine a socchiuderli, e rimase, ancora intontita a fissare
il soffitto.
Quella notte, dopo interminabili ore insonni, era riuscita ad
addormentarsi, ma solo verso mattina.
Provò a richiudere gli occhi, stanca, ma dopo qualche minuto
al buio e in silenzio, capì che il sonno non sarebbe
più arrivato.
Con un sospiro, gettò via le coperte e si alzò,
trascinandosi in bagno. Dopo essersi lavata per bene,
ritornò in camera e aprì l’armadio.
Infastidita, afferrò l’unica gruccia occupata
lì appesa, ed indossò i soli vestiti che
possedeva in quel momento.
“Mai
più spedire prima le valigie, a casa!”,
pensò, cercando di fissarselo nella mente.
Mentre tornava davanti allo specchio, completamente vestita, per
cercare di rendere presentabili i suoi capelli, si ricordò
di qualcosa...
Frugò in ogni tasca dei jeans, e nell’ultima,
sentendo finalmente l’agognato fruscio della carta sulle
dita, sospirò, sorridendo.
E fischiettando, andò a svegliare Bill.
Arrivò quasi saltellando nel piccolo salottino ingombro di
cianfrusaglie, e come ogni mattina, trovò il ragazzo ancora
saporitamente addormentato, con un braccio sul viso ed uno abbandonato
a terra.
Come al solito, la coperta era sul pavimento, ed il giovane indossava
solo dei boxer neri, ma ormai Jade ci aveva fatto l’abitudine.
Sorrise teneramente, e cominciò a chiamare piano: -Bill... Bill... Forza, devi
svegliarti...-, dirigendosi contemporaneamente verso le
finestre chiuse.
Alzò lentamente una persiana, continuando a sussurrare quel
dolcissimo nome.
Il sole, impetuoso, entrò improvvisamente nella stanza
chiusa, riscaldandola e donandole nuova luce.
Bill sembrò non accorgersi dell’arrivo della sua
sveglia personale, gli occhi coperti da un braccio, ma le sue
sopracciglia si piegarono, e dalla sua bocca contratta uscì
un mugolio di disapprovazione. Si rigirò su un fianco.
Jade ridacchiò piano, e cominciò a sollevare
piano e con attenzione la seconda persiana. Impegnata, però,
ad ammirare la porzione del viso del ragazzo visibile da dietro lo
schienale del divanetto, lasciò inconsciamente la presa
sulla corda che stava tirando, e l’ imposta, libera, sui
lasciò ricadere sul davanzale.
Un rumore impressionante, come uno sparo.
E forse era proprio di questo che Bill aveva pensato si trattasse,
perché aprì di scatto gli occhi, e per la premura
di alzarsi immediatamente, rotolò e cadde rovinosamente a
terra.
Il brusco contatto con il pavimento gli tolse il fiato, ma con la forza
che aveva appena recuperato grazie alle ore appena trascorse di sonno
beato, riuscì a sollevarsi in piedi.
Un solo pensiero gli aveva attraversato la mente: “Giusy!”.
Si guardò intorno, spaventato, e scorse con gi occhi ancora
insonnoliti, jade accanto alla finestra che lo fissava con una mano
sulla bocca.
Si diresse all'istante verso di lei:
-Jay! Co-cosa
è successo? Stai bene, vero?-,
domandò ansioso, afferrandola per le spalle.
La ragazza ebbe un batticuore fortissimo al contatto con lui, ma rimase
intimorita della sua reazione esagerata :
-Certo che sto bene... Mi
dispiace averti svegliato così bruscamente, mi... mi era
scivolata la persiana...-, rispose piano, per
giustificarsi.
Bill, in difficoltà perfino ad aprire completamente gli
occhi, ripeté ottusamente, osservando gli occhi
ambrati e spalancati della ragazza:
-... La... persiana...?-.
Jade annuì.
Dopo qualche secondo, il giovane capì, finalmente, e
lasciò subito la presa dalle braccia di Jade, imbarazzata,
che però continuò ad avvertire il contatto
prepotente delle dita del ragazzo sulla sua pelle.
Sentì molto caldo, dal viso al collo, e si voltò
per non far vedere dal giovane, ancora scioccato, di essere arrossita.
Quando le sue guance riuscirono a raffreddarsi, riprendendo un colore
normale, si rigirò, trovando Bill già vestito,
non ancora truccato, pronto ad andare a fare colazione.
Jade sorrise, e chiese innocentemente, avviandosi verso la porta:
-Senti... Oggi non avete
impegni, tu e la band, vero?-.
-No, perché?-,
domandò candidamente Bill, fissando curioso la ragazza.
-Vuoi andae a fae
fopping?-, chiese Tom, a bocca piena.
I Tokio Hotel erano tutti riuniti a fare colazione, nella sala da
pranzo dell’albergo. Tutti si erano avventati con entusiasmo
sulle brioche fragranti e sui biscotti, tranne Jade, che non aveva
ancora toccato cibo.
La ragazza rispose:
-Be’,
sì... Non vedete come sono messa?-, disse,
indicandosi.
-Piuttosto bene, mi
pare...-, sussurrò il chitarrista con un
sorrisetto malizioso, mentre fissava ostinatamente il petto della
ragazza.
-... Diventi ogni giorno
peggio, eh, Tom?-, replicò in un sibilo Jade.
-Solo per te, baby!-,
esclamò lui, stiracchiandosi e servendosi poi un
po’ di succo di frutta.
-Comunque, sembro una
barbona!-, proseguì la ragazza con
un’ultima occhiataccia al rasta, finto tonto. –Non posso vivere con
un solo paio di jeans ed una maglietta... E finché non mi
farò rispedire indietro le valigie... Stamattina ho trovato
i soldi che avevo portato con me per il viaggio, credo possano bastare
per almeno tre completi nuovi...-, continuò a
bassa voce Jade, riflettendo su prezzi e sconti incomprensibili ad
occhi maschili.
-Quindi, mi chiedevo se
qualcuno di voi-, e guardò Bill. -... non mi potrebbe accompagnare
al negozio più vicino, questo pomeriggio, dato che non
conosco bene la zona... Non vi costringerò certo a rimanere
con me fra camerini e montagne di gonne, potrete andarvene subito dopo
avermi indicato la porta!-, assicurò
frettolosamente Jade in risposta all’espressione terrorizzata
di tre dei ragazzi.
A questa soluzione, la band tirò un sospiro di sollievo,
annuendo fra di loro, e la ragazza finalmente, cominciò a
servirsi di frutta e biscotti.
Bill, però, abbassò la brioche che stava portando
alla bocca e le chiese, leggermente ansioso:
-E poi? Come tornerai in
albergo?-.
Jade lo guardò accigliata:
-A piedi, ovviamente! Non
sarò lontana chilometri! Anche se sarò sola non
credo che un maniaco omicida mi aspetti dietro un angolo, no?-,
disse lei, ridendo leggermente.
La forchetta scivolò dalla mano di Bill e piombò
rimbalzando, in un fragoroso tintinnio, sul piatto di ceramica.
Quattro paia di occhi si puntarono sul ragazzo, che si era alzato
inconsciamente in piedi e fissava terrorizzato la ragazza seduta al suo
fianco.
Le sue mani tremavano.
Nitida, nella sua mente, come stampata sui suoi occhi spalancati,
l’immagine ghignante del viso di Giusy .
E chiara come se lei gli stesse sussurrando all’orecchio,
Bill udiva l’eco di quelle terribili parole: “... Ricorda, Bill
Kaulitz, io non minaccio mai a vuoto...”.
Una paura strisciante, fredda, appiccicosa, gli si era ormai insinuata
dentro, e lo stava letteralmente controllando.
Solo quando, finalmente, Jade sussurrò piano, guardandolo
angosciata: -B...Bill...?!-,
il ragazzo parve risvegliarsi.
Si risedette piano, in silenzio, e rimase a fissare il suo bicchiere
per diversi secondi.
Il tempo, a quel tavolo di giovani, sembrava essersi fermato.
All’improvviso, Bill alzò la testa ed
esclamò, rivolto alla ragazza, che sobbalzò:
-Vengo io con te, oggi
pomeriggio!-.
******************************
Mattina, appena dopo colazione.
Camera 329. Stanza di Tom.
-Senti, mi dispiace dover
condividere con te il peso che sento io, dentro, ma non posso fare
altrimenti, o esploderei!-, confessò la
ragazza.
-Tranquilla... Mi fa
piacere aiutarti...-, mentì il rasta.
Jade e Tom erano seduti sul letto, entrambi rivolti nella stessa
direzione, ognuno lontano l’uno dall’altro, tutti e
due così vicini...
-Forza, sputa il rospo...-,
sussurrò caldo il ragazzo, conficcandosi sempre di
più nel petto ad ogni parola una fredda spada di dolore.
La giovane sospirò profondamente, e poi saltò:
-Be’, vedi...
Come ti ho già detto, a me... piace... Bill...-,
e mentre pronunciava quel nome le sue guance si colorarono di rosso.
Nonostante la fitta al cuore, Tom sorrise. -... però... ecco...
ho paura di non interessargli, da questo punto di vista... E...-.
La ragazza venne interrotta dal tocco leggero di una mano gelata sul
suo viso bollente.
Tom le aveva delicatamente voltato il volto e ora la stava guardando
negli occhi , cercando ancora una volta, inutilmente, di farle
comprendere i suoi contrastanti sentimenti.
-Non dire
così...-, mormorò dolcemente a pochi
centimetri dalla bocca di lei. -...
Io non credo affatto che a lui tu sia indifferente... Direi che, anzi,
più volte, ha dimostrato il suo affetto per te...-.
La morbida pelle incandescente della giovane gli scivolò
improvvisamente via dalle dita.
Jade si alzò di scatto, andò alla finestra e
appoggiò la fronte al vetro mormorando tristemente:
-Affetto, non amore...-.
Altro spasimo doloroso al petto. Tom si portò inconsciamente
una mano sul cuore, e serrando gli occhi, strinse, fino a far tremare
le dita, la stoffa della larga maglietta.
La ragazza, di schiena, ancora appoggiata contro la fredda finestra,
rimase immobile persa nei suoi pensieri per qualche minuto, poi,
all'improvviso, sentì due robuste, fredde braccia avvolgerle
le spalle da dietro ed un magro corpo, così simile e
così diverso a quello di un’altra persona,
stringerla forte a sé.
Avvertì due dita spostarle i capelli dietro le orecchie, e
una voce estremamente sensuale sussurrarle:
-Non credo sia
esattamente così...-.
il respiro profumato di Tom le faceva il solletico sul collo, dandole i
brividi, e il suo tono confortante, delicato, rassicurante, le fece
spuntare le lacrime agli occhi.
-... Pensa a tutti quei
piccoli gesti che ha fatto per te, in questi giorni...-.
E subito, davanti agli occhi sgranati della ragazza, le immagini del
tempo trascorso con quel giovane truccato cominciarono a scorrerle
nella mente: il loro primo “incontro”, il modo in
cui lui l’aveva protetta, a costo della sua vita, la sua
determinazione nel volerla continuare ad ospitare con sé, la
leggerezza di una carezza appena accennata, la sua premura quando si
era fatta male e... quella volontà di poter avere le sue
labbra, solo il giorno prima, in quel bagno trasformatosi in castello
solo per il loro arrivo.
Lacrime salate, addolcite d’amore, cominciarono a scorrerle
sul viso.
Jade abbassò la testa, e, bagnandolo di speranza, strinse
con le mani tremanti l’avambraccio di quel ragazzo che ora la
stava abbracciando ancora più forte, lui, unico martire di
una vita ingiusta.
E fra dolore e speranza, un’unica frase:
-Ti ringrazio...-.
Stanza 329. camera di Tom, poco tempo dopo.
Un leggero bussare, timido, alla porta.
Il ragazzo seduto sul letto alzò lo sguardo umido, e
cercando di asciugarsi alla bell’e meglio le guance, si
alzò ed andò ad aprire.
Sulla soglia, perso nei suoi pensieri, suo fratello.
Il rasta spalancò la porta e tornò subito a
sedersi sul materasso, di schiena, rivolto alla finestra.
-Cosa vuoi?-,
chiese rudemente.
-Tom... Non so se questo
sia un brutto momento, ma ti prego di ascoltarmi, ora... Devo
assolutamente parlarne con qualcuno, dirlo a te... Ascoltami...-,
supplicò il moro, chiudendo la porta.
-Perché
dovrei? E se avessi di meglio da fare?-,
domandò freddamente Tom, stizzito.
-Perché
è importante... almeno per me... e perché se mi
tengo ancora tutto dentro... esploderò, prima o poi!-.
Il rasta diventò una statua, immobile. Attimi interminabili
di silenzio.
Il chitarrista, tormentandosi le mani, si rabbuiò.
-...Si tratta di Jade,
vero?-.
Bill rimase attonito.
-Be’,
sì, ma tu come lo sai?-, chiese cautamente,
accigliato.
Tom rimase ancora in silenzio.
Poi, cominciando a guardarsi i piedi, sbottò, rivolto al
muro:
-Avanti, che devi dirmi?-.
Il cantante fu abbastanza sorpreso dalla reazione estremamente seccata
del fratello, ma fece spallucce, e si sedette piano, cautamente,
accanto al gemello, guardando fuori dalla finestra chiusa.
Un sorriso, un po’ amaro, si tese sul suo pallido volto,
sollevato verso l’alto, quasi in cerca
dell’ispirazione.
Sospirò profondamente, e anche lui saltò.
-Allora... Be’,
Jade è... una ragazza fantastica... è carina,
gentile, premurosa, sensibile, generosa... Penso tu te ne sia accorto,
ormai...-. Il sorriso si allargò sul bianco
viso del ragazzo, che cominciò a sua volta a fissarsi le
scarpe.
-... All’inizio
è stata abbastanza fredda con me, e non ne ho
ancora capito il motivo, ma pian piano si è sciolta,
è diventata simpatica, spiritosa, dolce, bellissima...
Insomma, io... Quando... quando la vedo... è come se la
guardassi per la prima volta... E quando anche solo la sfioro... Io...
Io sento caldo... e mi vengono i brividi... e...-.
Bill si interruppe.
Tom si era voltato a fissarlo, e lo stava trafiggendo con una
vera e propria occhiata di odio.
Se fosse stata una pugnalata quella che stava attraversando il cuore di
Bill forse avrebbe fatto meno male...
Senza saperlo, Bill aveva precisamente descritto le stesse sensazioni
che provava il gemello quando si trovava con Jade, e questo il ragazzo
non poteva sopportarlo.
Poco a poco, l’espressione del rasta cominciò a
cambiare, trasformandosi in breve in stupore, forse perché
incredulo della sua reazione.
Cercò allora di rimediare.
Tom si sciolse in un sorriso, e cominciò a dare nervose
pacche sulla schiena al fratello, esclamando:
-Caspita! Davvero? Ah,
sei proprio un caso disperato, amico!-. E rise, forse un
po’ forzatamente, strappando un risolino anche a Bill, che
pensò di essersi sbagliato...
Probabilmente, era stato solo uno scherzo della sua mente lo sguardo
carico di rabbia e disgusto che aveva scorto nel fratello...
Tom smise di ridere, e tornando quasi serio, disse a mezza voce:
-Sei fregato, fratello...
Sei innamorato perso, ormai...-, e mentre lo diceva, venne
scosso da uno spasimo allo stomaco e al petto.
Le guance di Bill si macchiarono di rosso, mentre, balbettando,
chiedeva al gemello:
-D-dici sul serio? E
allora... cosa dovrei fare adesso?-.
Il rasta lo fissò dritto negli occhi, cercando di ignorare
il vuoto che percepiva all’altezza dell’ombelico, e
poggiando una mano sulla spalla del fratello, mormorò:
-... Quello che dice il
tuo cuore...-.
Bill sorrise, e guardando con affetto il fratello, lo strinse in un
forte abbraccio, che in quel momento era molto di più di una
prova d’affetto.
Gli occhi di Tom si riempirono di lacrime, e anche lui
contraccambiò più forte che poté la
stretta del gemello.
E ancora una volta, tra speranza e dolore, un’unica parola:
-Grazie...-.
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Capitolo 15 *** _Angoscia e Shopping_ ***
Un abbraccio sincero, pulito, fraterno. Sì, questa
è esattamente la parola giusta: fratelli.
Bill e Tom, l’uno nelle braccia dell’altro, si
sentivano più che mai uniti. E in quel momento, erano
più che mai divisi.
Due destini attraversavano le loro vite, due fati diversi, di cui
nessuno dei due ragazzi sapeva ancora le volubili intenzioni.
Tom strinse forte gli occhi, forse per scacciare indietro le lacrime,
forse per allontanarsi, anche se per poco, dalla crudele
realtà.
Lentamente, insieme, i due gemelli si sciolsero da quel forte
abbraccio, entrambi con gli occhi lucidi.
Due tipi di lacrime, completamente differenti.
Odio e Amore. Speranza e Sconforto. E Dolcezza. E Commozione.
Ora separati, i due giovani rimasero a fissarsi per diversi secondi,
poi Bill sorrise, e disse piano:
-Che farei senza di te?-.
-Ti prenderesti
sicuramente un cane come mascotte del gruppo...-,
ribattè a mezza voce Tom, con un sarcastico sorriso
stiracchiato stampato sul viso.
Una breve, leggera risata silenziosa attraversò per un
momento la stanza e i due ragazzi.
Poi, Bill si alzò. Tom rimase seduto dov’era, non
si mosse di un centimetro, non seguì nemmeno con lo sguardo
il gemello. Teneva lo sguardo basso e vuoto, e un sorriso amaro sul
volto. Aspettò di sentire la porta aprirsi, e poi chiudersi
subito dopo, ma ciò non avvenne. Il ragazzo alzò
la testa e si voltò, sorpreso. Suo fratello, con una mano
sulla maniglia, lo stava osservando intensamente, la testa leggermente
reclinata di lato, l’espressione seria e concentrata.
-... Che
c’è?!-, chiese Tom, stupito e
stranamente a disagio.
Bill ebbe un leggero sussulto alla voce del gemello, poi scosse la
testa e sorrise, leggero, dicendo:
-No, niente, scusa... Mi
ero incantato... È meglio che vada a prepararmi, fra poco
devo uscire...-.
Solitamente, Tom avrebbe fatto una battuta alla risposta del fratello,
ma in quel momento non si sentiva per niente in vena di risate,
così rimase in silenzio e si rivoltò verso il
muro.
Bill, capì, e fece per andarsene, quando il rasta,
però, inaspettatamente anche per sé stesso, si
alzò di scatto, esclamando:
-Bill, aspetta...!-.
Ma per la fretta di seguire il gemello, la gamba del chitarrista
urtò violentemente contro le valigie ai piedi del letto,
rovesciandole a terra con gran fracasso.
-Ahia!!!-.
Bill sobbalzò, e mettendosi in posizione di
difesa, fece saettare lo sguardo per tutta la stanza, terrorizzato.
Tom si immobilizzò. Lasciò lentamente il
ginocchio ferito che stringeva al petto, e la sua espressione di dolore
scivolò piano in stupore, e poi in preoccupazione.
Zoppicando leggermente, il rasta si avvicinò in silenzio a
Bill, che teneva la testa bassa e si mordeva il labbro inferiore.
Quando gli fu a pochi centimetri, Tom si chinò a guardare il
volto in ombra del fratello: il moretto aveva le sopracciglia
aggrottate, e negli occhi una sfumatura di cieco terrore e di un
terribile segreto inconfessato.
Il chitarrista sospirò piano, preda di una morsa allo
stomaco per il comportamento anomalo del gemello, poi gli
posò una mano sulla spalla, e cercando di incrociare lo
sguardo nocciola e terrorizzato di Bill, sussurrò, dolce e
amaro:
-... Non mi hai
raccontato proprio tutto, vero?-.
----------------------------------
-Cosa??!! Tu se coinvolto
in una situazione simile e non volevi dirmi nulla?? Ma come ti viene in
mente di tenere per tu un segreto simile?! Dobbiamo telefonare alla
polizia...!!-, esclamò rabbioso Tom, alzandosi
per raggiungere il telefono più vicino.
Bill gli aveva dovuto raccontare tutta la storia di Giusy, anche se
avrebbe voluto farne volentieri a meno. A quelle parole, si
ricordò quelle spietate, fredde, terribili di quella ragazza
bionda: “Non
provare ad informare la polizia, o qualche malaugurato incidente
potrebbe succedere a qualche tuo stretto conoscente...”.
Il panico lo prese, la paura lo immobilizzò per un momento,
mentre sudore freddo gli scivolava in una lenta agonia lungo la
schiena.
Bill scattò in piedi all’istante, e
afferrò quasi disperatamente il braccio del gemello
già proteso verso la lontana cornetta, strillando
istericamente:
-Nooo!!! Ti prego, non
farlo!!!-.
Tom si voltò, e vide l’angoscia in quei caldi
occhi brillanti, ora spenti e privi di luce. E capì di avere
la stessa espressione, com’era inevitabile.
Il rasta si risedette lentamente, e solo quando il ragazzo fu ben
sistemato sul letto candido, Bill lasciò andare il braccio
del fratello.
Tom si osservò la pelle dell’avambraccio, coperta
di segni rossi, poi alzò gli occhi a fissare il fratello,
con uno sguardo così triste e dispiaciuto che si sarebbe
detto fosse stato lui, e non Bill, a far del male a qualcuno.
Lasciò cadere il braccio sul letto, poi sospirò,
e voltandosi anche con il corpo verso il gemello, mormorò
dolcemente, preoccupato:
-Bill, ma non capisci che
se non informiamo la polizia quella... ehm, megera...
continuerà a sfruttarti a suo piacimento, ogni volta che le
verrà il capriccio di terrorizzare qualcuno? Non puoi andare
avanti così... Guardati, mangi pochissimo, sei pallido,
sempre nervoso, e spaventato... Sei diventato il fantasma di te
stesso... Non sei più il Bill spensierato, spiritoso,
testardo e affettuoso, che conoscevo io... Non sei più
tu...-, concluse in un soffio disperato Tom, constatando
la sorpresa e la commozione, e il dispiacere sul viso del
fratello. Bill fissò con occhi colmi di lacrime quel
ragazzo, tanto duro, rozzo, forte all’esterno quanto tenero,
e affettuoso, e dolce all’interno.
-Tom... Io ho paura...-,
mormorò debolmente il moretto, abbassando lo sguardo gonfio
di lacrime.
-Non devi averne! Non ti
succederà niente di niente! Ci siamo io, e Gustav, Georg, e
Saki..-, esclamò con foga il rasta, contando
sulle dita.
-... Ho paura per
voi...-, concluse monocorde Bill levando gli occhi lucidi
su quelli sgranati del fratello, che si sentì la voce morire
in gola.
-Sì, ho tanta,
tanta paura per voi... Per te, per Gustav, per Georg... E anche per la
mamma, e il papà... E per Jade...-, disse con
voce incrinata il ragazzo, sconsolato.
-Io... Noi dobbiamo
tenerla d’occhio, non posso permettere che le succeda nulla,
capisci?!-, continuò sempre più
istericamente Bill, prendendosi la testa tra le mani, incurante della
su capigliatura impeccabile, una volta tanto. -Per questo stasera non ho potuto
lasciarla andare da sola a fare spese! O stasera... stasera...-.
Bill lasciò lentamente la presa sulla nuca, e si
voltò a guardare, completamente nel panico Tom.
-È stasera!
Tom, è stasera che ho l’incontro con Giusy! O mio
dio, no, non posso... no, no,no...-, prese a sbraitare il
moretto, alzandosi e cominciando a camminare nervosamente per la
stanza, muovendo forsennatamente le braccia.
-Cosa?! Stasera?! E
perché non me l’hai detto prima??-,
urlò Tom, alzandosi in piedi a sua volta.
-Perché
anch’io me ne sono ricordato solo ora, pezzo
d’idiota!!!-, strillò Bill di
rimando.
Un silenzio teso, preoccupato invadeva la stanza, e vi abitò
ancora per qualche nervoso minuto di angosciose passeggiate in tondo e
mute sorprese, finché la voce bassa e sicura di Tom non lo
mandò in mille pezzi:
-... Ci vado io...-.
Bill si immobilizzò al centro della camera. Si
voltò lentamente verso il fratello, che teneva le mani in
tasca e aveva nello sguardo la decisione e la sicurezza.
-Cos’hai
detto...?!-, chiese Bill, sgranando gli occhi, a bocca
spalancata.
-Ho detto che vado io
all’incontro con Giusy...-, ripeté
strafottente Tom.
-Ma... ma...!-,
tentò di protestare il moretto.
Tom ridacchiò piano, poi levò uno sguardo freddo,
eppure rassicurante, trapassando la mente e il corpo del gemello
sbalordito, e avvicinandosi al ragazzo, dichiarò, caldo:
-Stai tranquillo,
fratellino... Adesso ci pensa lo zio Tom...-.
************************
Luci colorate rischiarano ed illuminano la città, quasi a
voler donare ad ognuno dello splendente, meraviglioso calore.
-Bill! Perché
non entriamo qui?-, chiese Jade quasi saltellando,
esagitata.
Bill non rispose, perso nei suoi cupi pensieri:
“Chissà
se Tom ha già incontrato Giusy... Chissà se sta
bene... Chissà...”.
Lui e la ragazza erano in centro città, pronti a darsi allo
shopping sfrenato. Il moretto tentava di non farsi notare, indossando
occhiali da sole, portando la tuta e calcandosi bene sulla testa un
cappellino nero. Finora il travestimento sembrava funzionare.
-Ehi!! Bill! Ci sei?!-,
chiamò jade passando più volte la mano davanti al
viso assente del ragazzo, che si riscosse con un sussulto, e tentando
di sorridere, mentì:
-...Sì,
sì, certo... Scusami, mi ero incantato...-.
-Se lo dici tu...
Comunque, che ne dici di questo negozio? Mi pare ci siano delle
magliettine molto carine! Entriamo?-, domandò
nuovamente euforica la brunetta, rimbalzando qua e là in
mezzo alla folla, tentando di scrutare all’interno del
negozio.
-Okay... Allora,
entriamo...-, convenne Bill, distratto, spingendo subito
la porta e avventurandosi fra montagne di gonne e camerini infiniti
come labirinti.
-Bill! Guarda se non
è un amore questa!-, esclamò Jade,
quasi danzando davanti allo specchio mentre si appoggiava un
maglioncino azzurro chiaro sul petto.
Bill le si avvicinò circospetto, mettendosi un dito davanti
alle labbra:
-Ssshh... Cosa urli? Va
bene che c’è poca gente, ma non voglio correre il
rischio che qualcuno mi riconosca...-, le
sussurrò vicinissimo al suo volto.
Jade arrossì, mentre il suo piccolo cuore cominciava a
batterle fortissimo contro le costole, e si allontanò,
sbottando:
-Oh, insomma! Ci siamo
solo noi qua dentro! E non sei un ricercato dell’FBI, mi
pare!-, voltandosi di schiena per nascondere il colore
delle sue guance al ragazzo.
I due giovani rimasero per qualche tempo in silenzio, poi Jade si
voltò, e chiese dolcemente a Bill:
-...Sei stanco? Vuoi
tornare in albergo?-.
Lui rimase sorpreso di questa domanda, e si affrettò a
rispondere, alzando le mani come per arrendersi:
-No, no, figurati!
Finché non sei a posto tu io ti aspetto...! Anzi, forse
dovrei comprare qualcosa anch’io...-,
rifletté a mezza voce, cominciando ad osservare con
interesse i tanti jeans in esposizione.
Jade ridacchiò, rassicurata, e continuò la sua
interminabile ricerca a quel particolare e introvabile capo
d’abbigliamento.
-Grazie e arrivederci!-,
cinguettò la ragazza rivolta alla cassiera, intenta a finire
di contare le banconote che la giovane le aveva appena consegnato.
Bill, alla fine, non aveva acquistato nulla.
Jade cominciò ad avviarsi verso l’uscita del
negozio, tra le braccia almeno dieci buste, e stava per aprire, con
molta fatica, la porta a vetrate, quando una mano sottile, esile,
eppure forte, raggiunse la maniglia prima di lei, e
l’abbasso, spingendola, permettendo al vento invernale di
entrare nella stanza.
Jade serrò gli occhi, per proteggerli dalla fredda folata.
Quando li socchiuse, vide Bill davanti a sé, una mano sulla
maniglia nera e un’altra puntata verso la strada:
-Dopo di lei, madame!-,
enunciò elegantemente, con un mezzo inchino in direzione
della ragazza, sorpresa da tanta gentilezza e cavalleria.
-...G-grazie... -,
balbettò confusa, affrettandosi ad imboccare la via del
marciapiede affollato. Anche Bill salutò la commessa, e poi
raggiunse subito Jade, che l’aveva aspettato poco
più avanti.
-Fiuuu... Fare shopping
è davvero stancante...-, esclamò
ridacchiando il ragazzo, mettendosi subito le mani nelle tasche del
giubbotto.
-Io mi sono divertita...-,
ribattè la ragazza sbuffando, sporgendo la testa di lato per
riuscire a vedere il marciapiede oltre la montagna di borse.
Bill la osservò qualche secondo, poi senza dire una parola,
le prese dalla braccia la metà delle sporte, caricandosele
per bene.
Jade, improvvisamente liberata dall’ostruzione della sua
visuale si voltò perplessa verso il ragazzo, che fissava la
strada senza battere ciglio, serio in volto. La ragazza volle
ribattere, ma non trovò le parole, quindi abbassò
la testa, e concentrandosi solo sui suoi passi, proseguì in
silenzio.
Il viaggio verso l’albergo sembrò relativamente
lungo, e quando la coppia arrivò in prossimità
dell’hotel, Jade sospirò di sollievo: le braccia
cominciavano a dolerle per la scomoda posa prolungata. Bill chiese
subito la chiave alla reception, e sempre senza una parola, i due si
avviarono lungo le ripide scale, fino alla loro camera, la 327.
Bill aprì frettolosamente la porta, e appena entrato, si
levò il giubbotto, gettandolo su una sedia lì
accanto, posò le borse, accese l’abat-jour
arancione sul comodino e si gettò letteralmente su letto a
pancia in su, sospirando:
-Aaaah... Albergo dolce
albergo... Finalmente, non vedevo l’ora di tornare in camera,
sono distrutto...-, e sorridendo chiuse gli occhi,
rilassandosi.
Jade nel frattempo si levò con più cura la
giacca, poggiandola dove quella del ragazzo, e posando a terra le borse
a sua volta, si sedette su letto, sbuffando, per poi stendersi a
braccia aperte, stanca.
Quando la sua mano toccò accidentalmente quella di Bill,
immediatamente la giovane la ritrasse, e se la strinse al petto, in
preda ad un batticuore incontrollabile, mormorando un flebile:
-Scusa...-.
Bill non rispose, e diversi minuti passarono lentamente
così, in silenzio, in imbarazzo, in tensione, in ansia...
Poi Bill si rizzò lentamente a sedere, spezzando
quell’innaturale staticità, e osservò
con attenzione il viso leggermente rosso della ragazza, allungata sul
copriletto candido.
Lei lo osservò a sua volta, chiedendogli debolmente:
-...Che
c’è?-.
Bill non rispose neanche a questa domanda, così Jade si mise
a sua volta a sedere, aggrottando le sopracciglia, pronta a domandare
il perché del suo comportamento. Mossa sbagliata. Ora i loro
visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, le
loro labbra dischiuse quasi alla stessa altezza. I pensieri le si
annebbiarono, si distorsero, si assottigliarono, fino a sparire del
tutto dalla mente di Jade. Ora non esisteva più un letto,
una stanza, un albergo, o un mondo. Ora c’erano solo lei e
Bill.
E abbracciati dalla calda luce della lampada sul comodino, spiati dalla
finestra da divertite, brillanti stelle, entrambi saltarono, in un
tiepido, profumato respiro, attraverso l’invisibile
muro di cartapesta che li separava.
Senza una ragione, né un come. Due vite, due cuori, due
labbra.
Semplicemente così. Loro e il loro amore, niente di
più e niente di meno.
________________________________________________________________________________________________________________________
Ebbene sì, gente! Tom ha deciso di andare all'incontro con
Giusy... Che cosa succederà? La vita del bel rastino
sarà
ANCORA in pericolo?
E Jade e Bill? Riusciranno a chiarirsi o resteranno delle zone d'ombra
nel loro innocente e puro rapporto?
Tutto ciò.... Nel
prossimo capitolo! ^_____^
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Capitolo 16 *** _Bacio e Biglietto_ ***
La stanza d’albergo è abbastanza fredda. Cosa
assolutamente normale, in inverno, essendo in Germania ed in
presenza di riscaldamento scarso. Eppure, non potrebbe sembrare
più calda e accogliente, in questo momento.
Due ragazzi sono seduti su un letto immacolato. Le loro mani si
cercano, desiderose, e quando finalmente si trovano, soddisfatte,
cominciano ad accarezzarsi, intrecciarsi, nascondersi dispettose fra i
capelli dell’altro, per poi ritrovarsi, piccole dita
capricciose.
I loro visi sono diventati una cosa sola, un tutt’uno con il
naso, gli occhi, la fronte dell’altro, un mix di pelle e
tiepido respiro.
E le loro labbra... Affamate, dopo tanto tempo appagate, desiderose del
respiro, della lingua, della vita dell’altro... Si
rincorrono, si cercano, si trovano, si mordono, lottano, giocano... E
poi di nuovo si perdono, e si rincorrono, e si ritrovano, e tutto
ricomincia, in un interminabile gioco di sensualità.
Bill e Jade ora non sono più due sconosciuti, sono molto
più due amici, ma non ancora due amanti.
Lentamente, ancora uniti, i due giovani si stesero sul letto candido,
pronto ad accogliere la loro passione. I loro corpi si intrecciarono,
si mescolarono, uniti, divisi, poi ancora uniti, in una vorticosa danza
di desiderio e sentimento.
Le dita di Jade ancora vagavano sul viso dall’incredibile
perfezione di Bill, il quale prese a far scivolare più in
basso le mani bollenti, un po’ timoroso, un po’
audace.
I suoi palmi incandescenti si spinsero fin sotto la maglietta di Jade,
cominciando a navigare lungo la sua schiena, attraverso le sue scapole,
per poi arrivare ad accarezzarle la morbida pancia piatta. E
lì si fermò, timoroso. Aprì piano un
occhio, e scorse il viso della ragazza proprio lì, sotto al
suo. Le sue palpebre erano serrate, e nonostante lei lo stesse baciando
con trasporto e decisione, Bill notò che le sue mani e il
suo respiro un po’ tremavano. Per paura, per timore dello
sconosciuto, o solo per immaturità di fronte a quella nuova,
meravigliosa esperienza.
Fra sé e sé, il ragazzo capì, e
sorrise, dolce, mentre, lentamente, cominciava a ritornare con la mano
al viso, ora più rilassato, di Jade.
Lei non era ancora pronta per sostenere fino in fondo la pura passione,
e questo Bill l’aveva compreso, e rispettato. Non aveva
fretta, non più. Ora che finalmente la situazione si era
chiarita, i sentimenti erano stati svelati, la verità messa
a nudo, il giovane cantante poteva, e sapeva di dover aspettare.
In un unico dolcissimo momento, infine, i due innamorati dischiusero
piano le labbra, e lentamente, si separarono.
Jade sospirò, teneva gli occhi basso e tracciava piccoli
cerchi immaginari nella stoffa, imbarazzata. Bill la osservava, quasi
incredulo di aver avuto la possibilità di accarezzare,
abbracciare, baciare, quell’angelo che gli sedeva accanto. Il
suo personale angelo custode.
Dopo qualche secondo, Jade non resistette più, e
alzò piano lo sguardo, incrociando quello magnetico e
penetrante del ragazzo. Gli occhi della giovane brillavano, la sua
pelle era piacevolmente arrossata sulle guance e le sue labbra non
poterono ben presto trattenersi ancora dall’aprirsi in un
tenero sorriso. Era bellissima.
“No,
è più che bellissima... È stupenda,
è meravigliosa... Ed è qui per me...”,
pensò felice Bill.
E di nuovo, senza una parola, le loro labbra che si cercano, che si
rincorrono, che si trovano, che si mordono, affamate d’amore,
di appagante desiderio, e perché no? anche di un
po’ di follia, addolcita da quel gusto di freschezza, e di
piccoli piaceri, che donano sapore ad ogni cosa.
********************--------------------***
Parco. Zona nord della periferia. Poco prima.
Tom era quasi arrivato. Aveva preferito arrivare a piedi, da solo, al
luogo dell’appuntamento. Si era travestito, nascondendo i
rasta sotto un cappuccio ben calcato in testa, indossando abiti
leggermente più aderenti e cercando di confondersi il
più possibile con l’ombra. Ogni tanto, quando per
strada incrociava una ragazza bionda, si sorprendeva a fissarla con
timore, sospirando poi di sollievo quando questa gli passava accanto,
scomparendo alla sua vista.
Arrivò all’inizio del sentiero del parco, si
fermò, e prima di avventurarvicisi, diede
un’occhiata all’orologio: le 20.05. Era in ritardo.
Nascose di nuovo la mano infreddolita nella tasca del lungo giubbotto e
proseguì a lunghe falcate, con decisione.
Lungo la stretta stradina deserta, Tom preferiva tenersi lontano dalle
fronde ombrose degli alberi, e rimanere il più possibile
sotto la luce diretta dei lampioni, già tutti accesi.
All’improvviso, dopo una curva a gomito, eccola. La panchina
più isolata, quella a nord. Che oggi non è vuota.
Comodamente seduta su di essa, infatti, una bella ragazza bionda si
limava le unghie con noncuranza. Teneva le lunghe gambe accavallate e
sembrava non prestare attenzione al giovane che le si avvicinava
circospetto.
Tom fece per aprire bocca, quando una voce acuta, argentina, e allo
stesso tempo calda e profonda, lo immobilizzò:
-Ben arrivato, Tom
Kaulitz. Sei in ritardo...-.
Il ragazzo inizialmente si guardò intorno, spaventato, poi
riconobbe la donna davanti a lui come la fonte di provenienza di
quell’inquietante affermazione, e si rilassò un
po’: almeno il “nemico” gli era di
fronte, e si trovava già allo scoperto.
Tom si schiarì nervosamente la gola, poi domandò,
acquistando sicurezza man mano che parlava:
-Sei tu Giusy?-.
-Sì, sono
io...-, rispose tranquillamente la ragazza alzandosi
leggera in piedi ed incrociando le braccia sul petto. Poi, dopo aver
squadrato dall’alto in basso il giovane, tese una mano in
avanti. Tom fece un passo indietro. Lei affilò lo sguardo, e
poi chiese, dolce e pericolosa:
-Mi hai portato la somma
di denaro che avevo chiesto a tuo fratello?-.
-No...-.
Giusy ritrasse lentamente il braccio, stringendo quasi subito la mano a
pugno. I suoi occhi si ridussero a due fessure azzurre, in contrasto
con la sua bocca, che invece si aprì in un sorriso ancora
più ampio.
-...No?! E come mai
questo ritardo? Le mie istruzioni sono state abbastanza chiare, mi
sembra...-, domandò a mezza voce, sempre
più dolcemente.
Tom rabbrividì visibilmente. Quella donna era veramente una
macchina...!
Il ragazzo si schiarì nuovamente la voce, temendo che questa
gli potesse venire a mancare, ed esclamò, un
po’insicuro:
-Be’... Q-quei
soldi non li avrai mai! Non abbiamo intenzione di cedere a questo tuo
stupido ricatto! E le tue insulse minacce non ci fanno paura...!
Perciò... Puoi pure continuare ad aspettare la fama in
eterno, per quanto mi riguarda, ma da noi non avrai niente di niente!!-,
concluse sempre più deciso Tom, sostenendo coraggiosamente
lo sguardo di puro fuoco della ragazza.
Lei lo fissò, immobile e fredda, ancora per qualche eterno
secondo. Poi sorrise ancora, accendendosi una sigaretta, senza mai
abbassare lo sguardo gelido da quello impavido di Tom, convinto di aver
vinto la guerra.
Giusy ripose l’accendino nella tasca dell’elegante
giacca, aspirò ed espirò lentamente, poi
affermò, usando il suo tono di miele:
-... Quindi... non avete
alcuna intenzione di soddisfare la mia richiesta, dico bene?-.
-Già...
Né ora, né mai... Per cui, puoi pure girare al
largo, bella!-, ribattè strafottente Tom, meno raffinato,
preparandosi ad andarsene.
-...Tu sai cosa significa
questo, non è vero? Da ora in poi non sarete più
sotto la mia clemente protezione... Da oggi in poi, tu, tuo fratello,
quegli altri due sfigati, la bambina e ogni persona alla quale volete
bene non sarà più al sicuro... E quando
succederà... qualcosa... non potrete biasimarmi per non
avervi avvisato...-, concluse sempre più
minacciosa la ragazza.
Tom ebbe un brivido, ma replicò, disgustato:
-Sei proprio una persona
spregevole... Ma noi non abbiamo paura delle tue minacce! Tu non potrai
fare niente, niente! quando la polizia verrà ad arrestarti!
Ed allora, sarai tu a non potermi biasimare per non averti avvisata!-,
esclamò con foga il chitarrista, ghignando. Poi le
voltò le spalle, dopo averle borbottato un ultimo: -Non
farti più vedere..-, e si incamminò baldanzoso
lungo il sentiero battuto, dirigendosi all’albergo.
Mentre stava quasi per raggiungere la curva che gli avrebbe finalmente
celato alla vista quella ragazza, Giusy, da lontano, esclamò
argentina, come se nulla fosse:
-Layla ti saluta!!!-.
Tom si bloccò. Poi si voltò lentamente, chiedendo
stupito:
-...Chi?!-.
-Layla! La ragazza bruna,
quella della festa! Le sei piaciuto un mondo, vuole che la richiami!-,
disse la donna, avvicinandosi, sorridendo divertita.
Tom era sbalordito, e non replicò, anche per il fatto,
forse, che non riusciva a ricordarsi chi fosse la ragazza. Finalmente,
quando ormai Giusy gli era a pochi passi, riuscì a
richiamare alla memoria quel viso tanto cercato.
“Ma
sì, Layla! La modella! Quella del viaggio alle
Hawaii!”.
Alzò la testa verso la ragazza, che lo osservava con le mani
dietro la schiena, ostentando sul pallido viso un sorriso divertito.
-Che vuole da me?-,
chiese in modo forse troppo sgarbato Tom.
-Vuole che la richiami!
Avevi promesso di farlo no?-, rispose in un cinguettio
Giusy, sempre tenendo le mani nascoste.
-Be’, non mi ha
dato il suo numer...!-, replicò sfacciatamente
il giovane, ma non riuscì nemmeno a finire la frase che si
ritrovò sotto al naso un biglietto colorato.
Giusy gli stava porgendo quello che aveva tenuto nascosto fino a quel
momento: il numero di cellulare di Layla.
-Lo sapevo che non ce
l’avevi...!-, sussurrò leziosamente
raddrizzandosi e stringendosi nelle spalle, soddisfatta, dopo che Tom
le aveva bruscamente strappato di mano il foglietto.
-GRRRrazie...!!-,
disse a denti stretti il giovane, ficcandosi in tasca il suo prossimo
impegno.
Fissò per qualche secondo il viso all’apparenza
innocente ed incantevole della donna sorridente, poi chiese sottovoce,
guardandola di sotto in su, accigliato:
-...Lei... non
è... d’accordo con te, vero?!-.
Giusy si mise a ridere. Fu scossa da silenziosi sussulti per
addirittura qualche minuto, osservata da uno sbalordito e preoccupato
Tom, finché non riuscì finalmente a calmarsi.
Si asciugò gli occhi lucidi, sospirò, e mentre si
voltava per andarsene, sussurrò con un inquietante sorriso:
-...Ma figurati...-.
Tom sentì il ghiaccio penetrargli nelle vene a quella
risposta, e si strinse ancora di più nel lungo cappotto.
-Solo un’
ultima cosa...-, disse Giusy, fermandosi e girandosi di
nuovo verso il chitarrista.
-Voglio mettere in chiaro
questo: da stasera, l’indomani, per voi, non dovrà
più essere considerato come una cosa così tanto
scontata... O finirete per rimandare ad un futuro inesistente qualcosa
di molto importante... E non voglio che veniate a lamentarvi con me,
dopo! A presto, allora...-. E dopo quest’ultimo,
inquietante, purtroppo sicuro arrivederci, Giusy si voltò e
riprese ad allontanarsi, i suoi capelli biondi un bagliore sempre
più indistinto nelle tenebre, finché
anch’essa non venne del tutto inghiottita
dall’oscurità.
Tom rimase in silenzio, a bocca aperta. Non aveva più saputo
ribattere. Di scatto, si girò e prese a camminare a lunghe
falcate in direzione del probabilmente non più
così sicuro albergo, ignaro dell’amara sorpresa
che vi avrebbe trovato.
Nella mano destra, rifugiatasi nella tasca del giaccone, stringeva
convulsamente il piccolo bigliettino colorato. E intanto non poteva
fare a meno di pensare alle ultime parole di Giusy.
All’improvviso, si fermò di botto sotto un
lampione, facendo deviare un’anziana coppia che gli
borbottò qualcosa, stizzita. Tirò fuori il
foglietto azzurro acceso, e lesse alla forte luce biancastra quei
piccoli dieci numeri, riportati in un’elegante, pulita
grafia.
Poi alzò lo sguardo preoccupato alle stelle, indeciso sul da
farsi.
Quel biglietto tutto spiegazzato sarebbe stata una promessa o una
condanna a
morte?
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Capitolo 17 *** _Ombra e Sudore_ ***
“È
successo davvero...”.
Jade era stesa a pancia in su sul letto, ancora vestita.
Accarezzò con le dita distratte la coperta candida, toccando
i disegni astratti di quelle stesse lenzuola che solo poche ore prima
si erano scaldate di un bacio da troppo tempo desiderato.
“Qui...
Proprio dove sono io adesso... È successo
veramente...”, ricordò ancora una
volta la ragazza fissando immobile il soffitto, persa nei suoi pensieri.
Si drizzò lentamente a sedere, stringendosi le gambe al
petto. Osservò la finestra, ancora buia, mentre al
contrario, la luce della lampada sul comodino (“Quella stessa
lampada!!”) le illuminava debolmente il viso
delicato.
“Io... e Bill
Kaulitz...”, rifletté ancora Jade,
cercando di accettare la realtà. Quel nome
cominciò a ripetersi nella sua mente:
“Bill
Kaulitz... Bill Kaulitz... Bill Kaulitz...”.
Le morbide guance della ragazza presero ad avere una sfumatura
scarlatta, stavolta non per merito della abat-jour arancione. La
giovane si trattenne a stento dall’urlare, e si
buttò immediatamente sui soffici cuscini, affondando il viso
e nascondendovi uno strillo.
Rimase lì, nel buio e al fresco per qualche minuto, poi fece
piano capolino dalla stoffa candida, in cerca di aria fresca.
Respirò profondamente, e riappoggiò il volto
accaldato al guanciale tiepido. In poco tempo, si ritrovò a
fissare di sbieco la porta della stanza da letto.
“A solo due
porte di distanza c’è lui... Mi basterebbe aprire
questa, attraversare il corridoio, abbassare la maniglia
dell’entrata del salottino e...”.
Nella sua mente si formò quasi automaticamente
un’immagine, che Jade si scoprì ad arricchire di
particolari e dettagli addirittura insignificanti quella dolce scena.
Dopo un po’ però, quando la ragazza ebbe finito di
ricostruire minuziosamente il viso angelico di Bill, un caldo rossore
le iniziò di nuovo a salire lento dal collo fino ai capelli,
interrompendo ogni sua logica.
Jade mugolò e immerse di nuovo la faccia fra i morbidi
guanciali.
“Non ci
credo... Non può essere vero...”.
Bill era allungato (per quanto possibile prima di avere il colpo della
strega) sul divanetto del salotto, a pancia in giù e con le
braccia in avanti che sporgevano ciondolanti dal bracciolo.
Teneva il mento appoggiato al bianco cuscino che da poco aveva
prelevato dalla sua camera da letto, e manteneva lo sguardo fisso sulla
porta chiusa, perso nel vuoto.
Osservando le molteplici venature del legno, ripensava e rimuginava sui
fatti accaduti qualche ora prima, a solo un corridoio di distanza.
Si era appena fatto la doccia, aveva asciugato e piastrato quasi
maniacalmente i suoi morbidi capelli scuri e si era spogliato, facendo
decisamente più attenzione del solito ai suoi gesti
consuetudinari, arrivando perfino a piegare con cura maglie e jeans e a
preparare gli abiti per il giorno dopo.
Dopodiché, si era gettato sul divano, portandosi
però quasi immediatamente una mano allo stomaco e sbuffando
forte: non era ancora guarito dalle ferite inflittegli qualche giorno
prima dai suoi tre aggressori.
“Se li
incontro di nuovo, devo ricordarmi di andare a denunciarli...”,
prese mentalmente nota Bill. Ci pensò su un po’. “... Con
Saki...”, concluse.
Soffermandosi anche solo su queste inutili constatazioni e tentando di
rimanerci aggrappato il più a lungo possibile, aveva
trascorso quasi un’ora girandosi e rigirandosi, incapace di
trovare pace.
Stanco, quando ormai le sue difese e le sue palpebre avevano cominciato
ad abbassarsi, eccolo: il pensiero tanto temuto e tanto agognato
attraversò in un lampo la sua mente spossata, indisturbato,
e lì vi si stabilì, come un chiodo fisso.
E così, eccolo: Bill Kaulitz, disteso ma non rilassato,
osservatore silenzioso delle sue più meravigliose e recenti
memorie.
Rimase quasi un’ora a fissare quella porta senza occhi e
senza orecchie, troppo stanco per andare ad aprirla, ma non
così spossato da addormentarsi.
All’improvviso, qualcuno bussò:
-TOC TOC!-.
Bill si tirò in piedi all’istante, sentendosi il
cuore gonfio e i piedi di piombo. Si avvicinò, un
po’ insicuro.
-TOC TOC!!!-.
Chiunque stesse dall’altra parte (e il ragazzo
un’idea ce l’aveva...) era veramente insistente.
Infine si decise. Allungò una mano appena tremante,
deglutendo, e afferrò il freddo metallo della maniglia.
Trattenne il respiro, poi l’abbassò e la spinse
lentamente...
Un lampo colorato gli passo accanto, lasciandolo interdetto, e qualcosa
di molto simile ad una specie di coda a ciuffi lo frustò
leggermente sul viso.
Bill, stupito, rimase immobile con una mano sulla maniglia, fissando
con una leggera apprensione l’oscurità nella quale
era sparita la cosa.
Dall’ombra, una voce concitata, familiare, che
però non riuscì a riconoscere perché
ansimante, gli sibilò:
-Chiudi la porta!-.
Il ragazzo obbedì, sforzandosi di penetrare con lo sguardo
la fitta cortina di buio al centro della stanza.
Dopo che la serratura ebbe scattato, lasciò cadere il
braccio penzoloni lungo i fianchi, e stringendo i grandi occhi nocciola
a fessura, continuò a fissare
l’oscurità impenetrabile, dalla quale provenivano
gli ansiti di un individuo che prendeva fiato.
Si cominciò ad avvicinare lentamente, con la bocca un
po’aperta, pronto ad urlare in caso di necessità.
Quando fu accanto al divano, poco prima del cono d’ombra, si
fermò. Tese una mano in avanti, cercando di toccare qualcosa
che potesse rivelargli chi, o cosa, fosse la creatura che era entrata
come se niente fosse nella sua stanza.
Improvvisamente, qualcosa di pesante gli calò sulla spalla.
Bill sussultò violentemente. Ebbe un tuffo al cuore, che per
un momento arrestò i battiti, e indietreggiò,
terrorizzato, incapace di emettere alcun suono, ma la sua gamba
urtò il bracciolo del divanetto. Il ragazzo perse
l’equilibrio e cadde all’indietro, mordendosi
accidentalmente la lingua, senza però staccare lo sguardo
dalla scura figura che avanzava minacciosa e forse letale verso di
lui.
Chiuse gli occhi.
I secondi passarono... Il giovane attese, ma nulla successe.
Infine, una voce, stavolta facilmente riconoscibile, lo
chiamò:
-Ehi!-.
Bill riaprì piano un occhio, poi li spalancò
tutti e due: Tom, finalmente illuminato dalla fioca luce della luna, lo
stava fissando dall’alto in basso, sbalordito, con le mani
sui fianchi, in attesa di una risposta.
Il moretto era quasi più esterrefatto di lui:
-...E-eri tu?!-,
domandò incredulo, raddrizzandosi e accomodandosi
più composto.
Il rasta gli si sedette subito accanto, sbuffando, e ancora un
po’affannato, abbandonò la testa sullo schienale
chiudendo gli occhi per un po’.
Riprese fiato qualche secondo, poi si voltò a guardare Bill
con un’espressione incredula sul volto sudato, rilucente nel
pallido bagliore proveniente dalle finestre:
-Certo che ero io! Chi
pensavi che fosse?!-, e riabbandonò il capo
contro il divano.
Bill mosse per un po’ la lingua dolorante, ignorando la
domanda retorica di suo fratello. Il suo percing argentato
brillò come una minuscola lucciola nella stanza in quasi
totale penombra. Poi il giovane chiese al fratello, che si stava infine
riprendendo:
-Ma che hai fatto? Come
mai sei tornato così tardi? Ti è successo
qualcosa?-, assumendo un tono di voce mano a mano sempre
più acuto.
Tom appoggiò i gomito allo schienale e asciugandosi il viso
disse a mezza voce, lo sguardo assorto fisso sul soffitto:
-Tu non hai idea di
quanto diligente sia Saki...-.
-...Lo so... E questo che
c’entra?! Eri andato al parco da solo, giusto?-.
-Appunto! Saki ha visto
che uscivo dall’albergo senza guardia del corpo e mi ha
inseguito per mezza città! Ho dovuto fare il giro del globo
per seminarlo! Meno male che mi aveva perso di vista prima che
arrivassi all’incontro con Giusy, se no finiva male... Per
lei...-, affermò con un ghigno il chitarrista.
-Ah, giusto,
com’è andata? Si è arrabbiata? E
adesso?! Cosa farà? Manderà un killer a...?-.
Tom lo interruppe prontamente:
-Lo vuoi sapere o
preferisci continuare a farti i film da solo?!-.
Bill tacque all’istante.
-Oh, finalmente!
Be’...-. E Tom si lanciò nella
più dettagliata possibile descrizione
dell’incontro con la diabolica donna dai capelli dorati.
L’espressione di Bill continuava a mutare con il ritmo e le
cadenze del racconto: ansiosa, sorpresa, preoccupata, sollevata, poi di
nuovo angosciata, e ancora sollevata.
Tom raccontò tutto, dall’arrivo al parco, alla
conversazione con Giusy, al suo congedo, il deciso: -Non farti più
vedere...-, mentre si avviava
all’uscita.
Quando però arrivò a questo punto, si
fermò. Abbassò gli occhi e si morse il labbro
inferiore: non era sicuro di voler informare il fratello
dell’invito di Giusy a chiamare un’altra possibile
preoccupazione. Mentre rifletteva, fece scivolare inconsciamente una
mano nella larghissima tasca dei jeans. Le sue dita sudate si strinsero
sul bigliettino colorato. Decise di mantenere per sé quella
piccola, fondamentale informazione, almeno per il momento.
Sospirò, tornando a guardare il volto di Bill, in evidente
attesa, e concluse:
-E questo è
tutto... Non credo troppo da preoccuparsi per quella balorda... Se solo
prova ad avvicinarsi alla porta d’ingresso
dell’hotel si ritroverà immediatamente con il muso
a terra, almeno due chilometri più indietro, gentilmente
sospinta e accompagnata da un bel calcio in...!!-.
-Sì, lo so,
per noi non c’è problema, siamo più che
al sicuro, probabilmente...-, esclamò Bill,
interrompendo una volta per tutte le ipotetiche pianificazioni di
distruzione di Tom. -...Ma...
e se Giusy se la prendesse con la nostra famiglia? I nostri amici? O...-,
e il moretto lanciò una breve occhiata alla porta. -... Con quelli di Jade?-.
Il rasta rimase in silenzio. Bill aveva ragione. Lui aveva sempre
ragione.
Finalmente Tom, fissando negli occhi il fratello, sussurrò:
-Non possiamo fare
nulla... Dobbiamo solo pregare di essere noi e noi soltanto nelle sue
mire...-.
-Ma Giusy ha detto
che...!!-.
-... E avere speranza,
oltre a tanta, tanta fortuna...-, mormorò
deciso il rasta, un po’ meno sicuro, però, verso
la fine della frase, mettendo fine a quella discussione che avrebbe
portato solo dubbi ed angosce.
I due gemelli rimasero diversi minuti in silenzio, a fissare il tappeto
in direzioni, entrambi ad occhi bassi, persi nei loro pensieri.
All’improvviso, Bill si illuminò in volto, e
mentre un timido sorriso cominciava ad allargarsi sulle sue guance
piacevolmente rosate, alzò lo sguardo scintillante verso il
gemello e annunciò con voce tremolante
dall’emozione:
-Tom... Anch’io
dovrei dirti una cosa...-.
-Davvero? Non ci credo!!
E quando è successo?-, domandò
euforico il chitarrista, sporgendosi verso il moretto sorridente.
-Be’... Subito
dopo che siamo tornati dallo shopping... Circa all’ora
dell’incontro con la ‘balorda’...-,
rispose Bill con la luce negli occhi e nel viso; adesso niente avrebbe
più potuto intaccare il suo buonumore. Nemmeno Giusy.
-Wow... Quindi lei
c’è stata, no?-.
-Sì!
È davvero meraviglioso! È una svolta, un nuovo
inizio, uno stupendo...!!-.
-Certo certo... Te la sei
fatta?-.
-...Tom! Vergognati! Ma
ti pare che già al primo bacio...?!-.
-Appunto! Meglio agire
subito, no? Metti che poi lei si stufi di te!-,
ribattè il rasta, malizioso.
Bill non replicò, imbronciato, incrociò le
braccia sul petto magro, e sporgendo in fuori le labbra, si
infossò ancora di più nel divano. Tom
sorrise, e si alzò, stiracchiandosi rumorosamente.
Aprì la porta e fece per tornarsene in camera, quando,
appena prima che fosse fuori, la voce del fratello lo raggiunse, bassa
ed indispettita:
-Non è ancora
pronta... Io comunque ci ho provato, è lei che non ha
voluto...-.
Tom ridacchiò piano, e con un quasi impercettibile: -Notte...-,
uscì, e fece scattare definitivamente la serratura.
Stanza 329. Tom entrò, si levò frettolosamente
maglia, jeans, fascia e cappello, rimanendo in boxer, e si
gettò sul letto senza disfarlo, con ancora una risata sulle
labbra.
Rimase così a pensare a suo fratello e a Jade svariati
minuti, poi il sorriso scivolò lentamente via dal suo viso,
sostituito dalla sorpresa: era felice. Era felice per loro. Non era
dispiaciuto, deluso, affranto o sconsolato. Era... contento.
Si tirò a sedere: forse era un punto di svolta anche per
lui. Forse si stava dimenticando di lei, nonostante il suo viso
popolasse ancora i suoi sogni.
Sollevato da un enorme peso, un altro sorriso si aprì sulle
sue labbra, illuminando la stanza semibuia.
Tom fissò l’orologio sul comodino: le sei meno
dieci. Aveva fatto proprio tardi. Ma d’altronde, quel giorno
era un altro giorno vuoto, lo avrebbe sicuramente passato a dormire
fino alle due. Parlando con Bill non si era quasi accorto di
com’era volato il tempo, era rimasto da lui quasi due ore.
Il ragazzo si passò le mani sugli occhi, stanco, quando
un’idea lo bloccò.
Rimase a fissare i suoi jeans, gettati alla bell’e meglio su
una sedia, per qualche minuto, poi si alzò e vi
frugò nelle tasche finché non riuscì a
trovarlo. Lo strinse tra le dita, leggermente tremanti
dall’eccitazione, poi si buttò di nuovo sul letto,
a pancia in giù.
Prese il telefono, e alla flebile luce del mattino appena iniziato,
digitò sulla tastiera dieci piccoli numeri, portando poi
subito la cornetta all’orecchio.
Attese, e nel frattempo si mise a giocherellare con il foglietto, quasi
illeggibile dopo tante torture.
Forse Tom sperava quasi che il numero non fosse corretto, che
l’apparecchio non squillasse, o che semplicemente gli
buttassero giù la linea dopo essersi presentato.
Ovviamente, il numero era esatto, e lo squillo del telefono lo fece
sobbalzare, risuonando nella sua mente:
-TUUUUT...
TUUUUT...-.
________________________________________________________________________________________________________________________
ANTICIPAZIONI:
Nei prossimi capitoli vedremo le prodezze ginniche del nostro Tomi alle
prese con una guardia del corpo, un albero e un davanzale... XD
Inoltre, ci saranno sdolcinatezze a non finire fra Bill e Jade, e...
forse una nuova minaccia minerà l'armonia di questo momento?
Tutto,
nei prossimi capitoli!!!!!!!!!!! ^ - ^
|
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Capitolo 18 *** _Colazione_ ***
[AVVISO: questo capitolo è un po' lunghino, ma abbiate
pazienza.... DANKE! ^_^]
-Tuuuut... Tuuut...-.
-...-.
-Tuuut... CLICK! Pronto?-.
-...! Ehm... Layla?-.
-Sì, sono io.
Chi parla?-.
-Sono Tom...-.
-Tom Kaulitz?!-.
-Sì... Ho
avuto il tuo numero, avevo promesso di richiamarti, dopo la festa, no?-.
-Davvero? Oddio, non ci
credo!-.
-Già... Senti,
che ne dici di... ehm... uscire con me, stasera?-.
-...-.
-...Pronto?-.
-...Io... con te...?!-.
-Be’,
sì, perché no? Usciamo, mangiamo qualcosa,
andiamo al cinema, se vuoi...-.
-Stasera? Ma... ma...-.
-Non puoi? Spostiamo
tutto alla prossima volta, se vuoi...-.
-No, no, no! È
che... va bene... Quando...?-.
-Alle otto davanti
all’albergo un po’ in periferia, quello a quattro
stelle...-.
-Sì, so qual
è...-.
-Bene, ti aspetto fuori,
allora...-.
-Certo...-.
-Be’... A
dopo...-.
-...Sì...
Ciao...-.
E così, Tom, premette il pulsante di fine chiamata con un
dito, tremante dalla tensione, ancora incredulo, e sbalordito, di
ciò che aveva appena fatto. Posò la cornetta sul
comodino, senza rimetterla a posto. La fissò un momento,
poi, da seduto, si gettò con la schiena sul letto, a braccia
aperte, rabbrividendo appena al contatto con il copriletto ghiacciato
contro la sua pelle nuda. I rasta, ancora raccolti in una coda alta, si
sparsero disordinatamente sulla coperta candida, dando
l’impressione che raggi luminosi riposassero attorno al viso
stanco di Tom.
“Ho fatto la
cosa giusta?”, pensò sbadigliando
rumorosamente e cercando con la mano il bordo del lenzuolo. Trovatolo,
se lo portò fino al mento, e si girò su un
fianco.
La luce rossastra della radiosveglia accese i suoi occhi socchiusi,
lontani, osservatori imparziali della propria mente.
“È
la scelta esatta quella di far entrare nella mia vita una ragazza
sconosciuta che forse può avere a che fare con un nostro
nemico?”, rifletté passandosi una
mano sulle palpebre. Il chiarore proveniente dalle finestre, che
annunciava l’imminente inizio di un nuovo giorno, lo
infastidiva, ma Tom era troppo stanco per alzarsi ed andare ad
abbassare le tapparelle. Si voltò dall’altra
parte, verso la porta, e si portò un braccio sul viso. Un
altro sbadiglio lo scosse tutto.
Nel buio, un’altra assillante domanda:
“Sarà
la svolta che tanto aspetto o si tratterà solo di
un’ennesima, dolorosa illusione?”.
E finalmente senza più pensieri, con la mente sgombra e
libera dalle catene del dubbio, spezzate dall’entrata nel
mondo dei sogni, il ragazzo si addormentò, mentre il
mattino, grigio e malinconico, portava aria di
novità e profumo d’amore.
-----------___________------------------
Poco lontano, tempo dopo. Due porte che si aprono, due occhi che si
fissano.
Jade dischiuse piano la porta, socchiudendola appena e scivolando
agilmente nella stretta fessura. Trattenne immediatamente la maniglia,
per paura che questa le tornasse indietro sbattendo, e attentamente,
fece scattare la serratura.
Si girò, pronta ad andarsene dalla stanza senza rumore,
quando...
Sobbalzò, e per poco non si lasciò sfuggire un
urlo.
Bill le era apparso davanti all’improvviso,
anch’esso spaventato, con le mani in avanti, come a
proteggersi. Probabilmente, aveva avuto la stessa idea della ragazza,
di andarsene in silenzio. Non era truccato, e i lunghi capelli neri,
perfettamente dritti, forse un po’ scompigliati, gli
ricadevano morbidi sulle spalle. Jade lasciò scendere
lentamente le mani dalla bocca, mentre il rumore del battito del suo
cuore, che non accennava affatto a diminuire la frequenza, le risuonava
nella testa. Anche Bill abbassò le difese, e insieme, i due
ragazzi esclamarono:
-Bill?!-.
-Jade?!-.
-...Come mai
già in piedi? Ti solito non ti svegli prima delle tre, e non
ti si riesce a smuovere neanche con le cannonate!-.
-Non riuscivo
più a dormire... E tu?-.
-No,
neanch’io...-.
-...-.
Il silenzio si protendeva tra di loro come una barriera invisibile ,
allontanando grazie alle loro insicurezze i due giovani ragazzi.
Finalmente, dopo una manciata di interminabili secondi, Jade si
schiarì silenziosamente la voce e balbettando, mentre le
guance le si coloravano ancora di rosso, disse:
-Ehm... Che... che ne
dici di andare a fa-fare colazione?-.
-Sicuro! Andiamo!-,
replicò allegramente Bill, e i due iniziarono ad avviarsi. -Ho una fame! Non credo che
saremo solo noi a scomodare i camerieri: Gustav a quest’ora
è già in piedi, lavato, stirato e vestito, e
quasi sicuramente avrà buttato giù dal letto
anche Georg! Parlavano di andare a fare trekking insieme, stamattina...
Secondo me Georg aveva acconsentito solo per far stare zitto Gustav...-,
sussurrò in finto modo cospiratorio alla ragazza mentre
infilava la chiave nella serratura dell’entrata.
Le chiacchiere leggere e piacevoli di Bill spezzarono
l’innaturale tensione che si era creata, e fecero aprire ad
un sorriso la bocca della ragazza, che già
s’immaginava la divertente scenetta: un Gustav in
pantaloncini corti, biondo e sudato, che trascinava di corsa lungo un
ripido pendio, magari sotto al sole cocente, un imbronciato Georg. Jade
si divertì anche ad aggiungere un pizzico di surrealismo
alla scena, inserendo pure una corda, legata in vita a Georg e a
Gustav, che quest’ultimo strattonava continuamente per
impedire all’amico di scappare a gambe levate da quella
tortura.
La ragazza, completamente immersa nelle sue fantasie, si
lasciò andare ad una risatina, che ben presto si
trasformò in un singulto silenzioso continuo, alternato ad
aspirazioni prolungate quando anche Bill iniziò a ridere
come un matto.
Il momento di ilarità distrusse completamente qualunque muro
eretto fra loro, e fece avvicinare, anche letteralmente, i due giovani
ormai in lacrime dalle troppe risate.
Infine, Bill e Jade riuscirono a calmarsi, e mentre si raddrizzavano,
tenendosi una mano sullo stomaco, dolorante dai continui sussulti, i
loro sguardi si incrociarono. Di nuovo, scoccò la scintilla,
e in un battito di ciglia, le loro anime si fusero, diventarono un
unico spirito ed un unico cuore.
Incatenati l’uno negli occhi dell’altra, i loro
visi cominciarono ad avvicinarsi, forse in cerca di altre labbra da
cogliere, prendere, invitanti come dolci frutti proibiti; o forse, solo
per provare a cadere nelle iridi infinite dell’altro, che si
spalancavano loro davanti, come interminabili pozzi di seduzione e
piacere.
I loro nasi quasi si toccavano, i loro respiri, mano a mano sempre
più irregolari, diventarono un unico tiepido soffio di vita.
Jade, con lo sguardo, cercava di trasmettere a Bill tutta
l’intensità, tutto l’amore, tutto il
desiderio che provava, ma che non era ancora capace a gestire, appunto
perché troppo profondo. Provò a scusarsi, senza
parlare, della sua insicurezza, della sua dolce
immaturità... Ma una sfumatura di tenerezza negli occhi
nocciola che la attiravano come calamite le fece scordare ogni cosa.
Non pensava più a niente, non voleva più
riemergere, voleva rimanere in quel mondo incantato per
l’eternità. Sorrise, e anche lui. Chiusero gli
occhi, lasciando spazio solo alle loro labbra, frementi, affamate,
timide, audaci, vive.
La ragazza poteva quasi sentirne già il sapore, vanigliato,
di miele. Proprio come lui, Bill.
Troppo invitanti. Ma anche eccessivamente peccaminose?
“Ma chi se ne
frega... Andrei anche all’inferno pur di averlo con
me...”, pensò Jade.
Infine, le loro labbra socchiuse, rosee e pulite, si trovarono, si
morsero per gioco, per finta o per desiderio, si incastrarono, si
sciolsero, si intrecciarono, si ingoiarono, e poi si premettero
candidamente le une sulle altre più volte, cercando un
po’ di purezza prima di riprendere la lotta contro la
passione.
E mentre la felicità di Jade raggiungeva l’apice,
davanti agli occhi le balenò l’immagine di una
mela, rossa, lucente, invitante, e di una mano che la coglieva dal
verde ramo cui era appesa; ramo fatto di dure scaglie, rilucenti alla
luce del sole, e di una lingua biforcuta che si agitava minacciosa,
assaggiando l’aria intrisa di mielato profumo alla vaniglia.
______________
Bill e Jade cominciarono ad avviarsi lungo le scale. Su entrambi, un
sorriso radioso riusciva ad illuminare ogni cosa, rendendola
più bella e più invitante che mai, che si
trattasse di un colorato mazzo di fiori bagnato dalla debole luce del
sole o che fosse un semplicissimo soprammobile banalmente appoggiato su
un anonimo tavolino.
Su entrambi, l’odore dell’altro risaltava alle loro
narici come il più seducente profumo della terra.
D’improvviso, quando ormai erano quasi arrivati
nell’arioso sala da pranzo, semi-deserta, Bill
gettò un’occhiata di sbieco a Jade, e poi le prese
di scatto la mano.
La ragazza sussultò, sorpresa, e si voltò di
scatto a guardare il giovane, che ora teneva lo sguardo fisso davanti a
se, impassibile.
Con la coda dell’occhio sbirciò le due mani
intrecciate, una esile, sottile ed elegante, semplice,
l’altra ugualmente delicata e fine ma dalle unghie smaltate
di bianco e nero.
Arrossì, e tornando anche lei a fissare i propri
passi, aumentò la stretta, ricevendo subito
l’incoraggiante risposta di altre dita, legate alle sue. I
due sorrisi, se possibile, si allargarono ancora di più.
Bill e jade arrivarono lentamente al loro tavolo, non sorprendendosi di
trovarlo già parzialmente occupato: Gustav e Georg erano
lì, il primo sveglio e pimpante, il secondo assonnato e
contrariato. Entrambi avevano davanti i piatti pieni, ma solo uno di
loro sembrava possedere abbastanza entusiasmo per apprezzare davvero la
crostata fragrante e l’ottima spremuta.
I due innamorati, con le mani ancora intrecciate, fieri de loro amore,
si sedettero al tavolo, vicini, guardandosi negli occhi, e salutarono
distrattamente i compagni, che, impegnati a sbriciolare per bene la
torta, risposero con grugniti concentrati.
Georg, in difficoltà anche solo a distinguere il proprio
bicchiere dal barattolo dello zucchero, non si accorse di nulla, ma
Gustav, attento, non si lasciò sfuggire gli sguardi
sdolcinati e i sorrisi di miele.
Esibì un sorrisetto, poi domandò:
-Ehi, ma che è
successo?-.
Georg alzò la testa, tentando di mettere a fuoco chi aveva
davanti.
Bill lanciò un’occhiata a Jade, che sorrise
divertita e un po’imbarazzata, e mentre posava sul tavolo,
apposta in bella vista, le loro mani allacciate, trillò in
risposta:
-Perché? Che
intendi dire? Trovi ci sia qualcosa di diverso?-.
Anche il bassista, grazie alla sua incredibile perspicacia, si era
finalmente reso conto della situazione, e lui e Gustav ormai spostavano
lo sguardo dal viso esterrefatto e leggermente disgustato
dell’amico ai sorrisi dei due giovani, tanto che sembrava
stessero seguendo le finali di un0accanita partita a ping-pong.
Così, passarono diversi secondi, senza che niente turbasse
quello strano equilibrio.
I due innamorati avevano sguardi solo per loro, e avevano ripreso a
fissarsi, sognati, apparentemente dimentichi di Georg e Gustav.
Poi, quell’armonia si ruppe. Bill si voltò a
guadare gli amici con un’ espressione di totale
serenità e soddisfazione, nello sguardo, però,
una vaghezza veramente ebete.
Georg e Gustav non riuscirono più a trattenersi:
-Mppppfffff!!!
Ahahahahahahaha!!!-.
Anche Jade a quel punto si girò, indignata, mentre i due
ragazzi ridevano come ossessi delle loro espressioni da pesci lessi,
battendo i pugni sul tavolo e, in questo modo, rischiando di rovesciare
la caraffa di succo di frutta.
Un sorrisetto forzato fece appena in tempo a spuntare sui visi dei due
giovani perplessi quando, infine, il batterista ed il chitarrista
inspirarono profondamente e ritrovarono la calma.
-E quindi... Adesso state
insieme?-, domandò Georg asciugandosi gli
occhi.
Jade arrossì fino alla punta dei capelli e
abbassò lo sguardo, invece Bill rispose, sicuro e contento:
-Certo! Non si era capito?-,
e ridacchiando, sollevò la sua mano, irremovibilmente
intrecciata a quella della ragazza imbarazzata.
E all’istante, i due innamorati furono tempestati da una
marea di domande, alcune inutili, altre provocanti, altre ancora
completamente insensate, del tipo:
-Bill, adesso ti
taglierai tutti i capelli per lei?-.
All’improvviso, Gustav gettò un’occhiata
all’orologio argentato che aveva al polso e
sussultò, alzandosi in piedi all’istante:
-Georg! Siamo in ritardo
pazzesco per il trekking! Dobbiamo muoverci subito, o non riusciremo
mai a completare il programma!-, e il biondo batterista
sfrecciò fuori dalla sala da pranzo. Georg invece si
accomodò meglio sulla sedia, e stiracchiandosi disse:
-Appunto... Che fretta
c’è?-, e sorrise ai due ragazzi, che
ricambiarono divertiti.
Neanche due minuti dopo, Gustav tornò di gran carriera, con
due zaini strapieni sulle spalle, uno per braccio, e un paio di comodi
pantaloncini bianchi corti al posto dei soliti jeans. Quando vide il
batterista ancora al suo posto, intento a chiacchierare tranquillamente
con Bill e Jade, la sua espressione si contrasse, e ruggì
con forza inaspettata:
-GEORG!!-.
Il ragazzo dai capelli piastrati sobbalzò violentemente, e
vedendo l’amico, torreggiante sopra di lui, che sembrava
emanare una minacciosa aura di furia omicida, scattò su
all’istante e borbottando uno -Scusate...-,
raggiunse subito Gustav, ora più calmo, e i due
trotterellarono insieme verso la porta, soffermandovisi solo per dare
un ultimo cenno di saluto ai due ragazzi.
Bill e Jade abbassarono le mani e si guardarono ancora negli occhi per
interminabili istanti, poi Jade sussurrò maliziosamente al
ragazzo:
-Che ne dici di tornare
in camera?-.
Ovviamente, non appena i due si adagiarono su letto, si addormentarono
immediatamente. Vicini, che quasi le loro fronti si toccavano,
respiravano piano, sereni, mentre il loro fiato si mischiava in un
unico soffio di vita.
E dalla stanchezza non erano riusciti nemmeno ad augurarsi "Sogni
d'oro".
Molto tempo dopo. Sera.
Tom aprì di scatto gli occhi e si ritrovò a
fissare la radiosveglia.
Non appena riuscì a mettere a fuoco i piccoli numeri di luce
rossa aggrottò le sopracciglia e si rizzò a
sedere con un lamento, strofinandosi le palpebre.
Ricontrollò con più attenzione
l’orologio: lo prese e se lo avvicinò al viso. Poi
scattò in piedi imprecando:
-Merda! Sono
già le sette e mezza! L’appuntamento! Ma come fa
ad essere già così tardi?! Maledizione!-,
e si avviò di corsa, sbadigliando e rabbrividendo,
recuperando al suo passaggio jeans e maglia.
Ne uscì un quarto d’ora dopo, già
lavato e vestito. Poi corse alla sua valigia ed iniziò a
rovistarvi dentro forsennatamente, gettando all’aria montagne
di cappelli colorati.
Alle otto, Tom era ancora immerso tra berretti e fasce variopinte.
Alle otto ed un quarto, finalmente, era pronto: alla fine, aveva optato
per una sobria fascia nera su un cappello blu acceso, intonato alla
felpa extra-large.
Uscì difilato dalla sua stanza, prendendo con se solo il
portafogli con all’interno il minimo indispensabile, e si
avviò di corsa giù per le scale, rischiando, per
la fretta, di rompersi l’osso del collo. Era a
metà quando si bloccò e tornò
frettolosamente indietro. Arrivò davanti alla porta della
camera del fratello e vi bussò energicamente. Non ricevendo
risposta, provò ad abbassare la maniglia, e constatando che
non era chiusa a chiave, vi si scaraventò dentro esclamando:
-Bill! Devo...!-.
Ma quando entrò nella stanza da letto, il fiato gli si
spezzò in gola, allo stesso modo di qualcosa nel petto: vide
i due ragazzi tranquillamente addormentati, quasi abbracciati, sulle
loro labbra vicine un lieve sorriso.
Gli mancò la voce ed il cuore per svegliarli,
così, avvertendo la familiare fitta allo stomaco alla vista
di Jade con Bill, tirò fuori un foglio ed una penna, e
lentamente, scrisse loro un breve messaggio.
Quando finì, posò il tutto sul tavolino accanto
al letto, e con un’ultima occhiata di rammarico al fratello
ed una carezza ai capelli della ragazza, uscì dalla stanza,
sentendo un po’ meno l’entusiasmo e
l’ansia per l’incontro con l’ignoto
destino a cui stava andando incontro.
Fuori. Fuori dall’albergo, fuori dalla sua vita, fuori dalla
sua mente, e dalla sua anima. Ma non fuori dal suo cuore.
Tom sospirò profondamente alle stelle, creando piccole
nuvolette di vapore che si disperdevano verso l’alto subito
dopo che erano state prodotte.
Forse quello che provava non era affatto scomparso come quel vapore.
Forse si era semplicemente nascosto, agguattato nell’ombra in
attesa del momento giusto per colpirlo, per fargli più male.
Quando sarebbe stato davvero troppo tardi. E come un gatto,
imprevedibile e traditore, l’aveva rassicurato e coccolato
prima di sferrargli il colpo finale.
La ferita al cuore di Tom pulsava e sanguinava senza che niente potesse
assorbirne il nero dolore che colava dalle ripetute trafitture.
Fuori da quell’albergo, dalla stanza nella quale era stato
ucciso, il ragazzo sembrava non esistere. Se ne stava lì,
con le mani in tasca, a fissare chissà cosa, come un
semplice elemento di contorno durante uno spettacolo per bambini.
Sì, ecco, lui era il classico “albero”,
adesso.
Aspettava, giovane vita immutata, ma forse poteva essere lì
da un’eternità.
Guardava con aria assente le persone che gli passavano accanto,
indifferenti, mentre quella che lui attendeva ancora non arrivava.
Tanto per dare un segno di vita, assicurare agli altri che era ancora
vivo alzò un braccio e guardò
l’orologio.
Le lancette si muovevano lente, troppo lente, in un’infinita
agonia di attesa.
All’improvviso, una figura si distinse dalla brulicante massa
informe che lo circondava, e cominciò ad avanzare verso di
lui.
Tom si riscosse. Non capiva perché quell’uomo
vestito di nero l’avesse risvegliata dalla sua dolorosa
ipnosi, se non forse, pensò, per il fatto che era enorme ed
emanava un che di minaccioso.
L’istinto di sopravvivenza del ragazzo era ormai
all’erta.
Pensò di evitarlo, di tornare al suo caldo, sicuro albergo,
pochi passi più indietro, ma quando ormai il pensiero gli
arrivò al cervello, fu troppo tardi.
L’uomo gli si parò davanti, il volto nascosto
dall’ombra, e senza parlare, gli posò una pesante
mano sulla spalla. Tom rabbrividì, e istintivamente se la
scrollò di dosso, arretrando.
L’imponente figura cominciò ad avanzare.
Tom ormai era terrorizzato: che voleva da lui.
L’uomo alzò di nuovo la mano, nella quale
luccicava qualcosa di argenteo e sinistro.
Tom era paralizzato dalla paura. Prima che fosse troppo tardi,
riuscì solo ad urlare:
-Chi sei? Che cosa vuoi?-.
Poi, la figura gli puntò contro la cosa argentata.
E Tom poté solo chiudere gli
occhi.
________________________________________________________________________________________________________________________
Nel
prossimo capitolo: Chi è l'imponente figura che
minaccia il nostro Tomi? E cosa gli sta puntando addosso? Layla
arriverà in tempo?
E Jade e Bill riusciranno più a svegliarsi?! (-____-)''
Arrivederci al numero 19! (^_^)
P.S. Le recensioni sono sempre gradite!!! XD
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Capitolo 19 *** _Fuori!_ ***
[NOTA:
A mio avviso, questo sarà un capitolo un po'... idiota... Ma
è importante per la trama, quindi... ENJOY IT! ^_^)
Attesa. Ancora attesa. Snervante, angosciosa, infinita attesa. Un unico
interminabile momento e uno che invece non arriva più...
Tom aspettava. Ad occhi chiusi si chiedeva se fosse già
troppo tardi. Ma non era possibile, il profumo della sera gli riempiva
ancora invitante le narici, i rumori della strada lo assordavano, e i
piedi se li sentiva tuttora ancorati al pavimento! Rimase
così, leggermente rannicchiato indietro, con le mani davanti
al viso, per diversi secondi, ma considerando infine che niente stava
accadendo, socchiuse piano un occhio e abbassò le dita.
Davanti alla sua pupilla una specie di piccolo tunnel scuro sembrava
fissarlo. Il ragazzo era veramente sbalordito. Spalancò
entrambi gli occhi nocciola, che gli diedero subito una buffa aria da
strabico quando si concentrarono sull’oggetto misterioso che
non somigliava ad una pistola, come invece aveva creduto Tom fino a
poco tempo fa, puntata a pochissimi centimetri dal suo naso.
Tom ancora non riusciva a capire che cosa fosse in realtà
quella “roba” argentea. Alzò lo sguardo
e quello che vide lo fece immediatamente arretrare, impallidendo.
Un uomo enorme, chinato in avanti, il volto contratto in una folle
espressione omicida lo guardava furioso. Il ragazzo si
ritrovò decisamente inclinato all’indietro per
allontanarsi il più possibile dall’energumeno,
stretto nelle spalle, cercando di farsi il più piccolo
possibile.
Poi, con un sorriso a trentadue denti, assolutamente forzato, Tom
alzò piano una mano, timoroso, e muovendo le dita in segno
di saluto, cinguettò:
-... Ciaaaaaao,
Saaaaakiiii!!!-.
Saki, in risposta, ruggì:
-Ah, adesso fai il
ruffiano, eh?! Non ti sei preoccupato di farmi girare mezza
città, ieri, eh?! Ma me la pagherai! Io ti... ti...!-.
-Ehm...-.
Tom, sempre esibendo quel sorriso finto e stirato, sollevò
il braccio per chiedere la parola come un bimbo delle elementari. -Posso ricordarti che tu, in
teoria, almeno mi pare, dovresti proteggermi, invece che cercare di
polverizzarmi con quelle occhiate di fuoco o di farmi venire un infarto
puntandomi addosso una... una...-. Tom sgranò
gli occhi, spalancando assurdamente la bocca. Aveva finalmente
riconosciuto l’ignoto oggetto che tremava nella manona
dell’energumeno traboccante d’ira.
-... Con una teiera?!? Ma
che cappero ci fai con una teiera in mano, in giro per la
città a terrorizzare la gente?!-.
Saki sembrò arrossire nell’ombra, e mentre
finalmente allontanava la teiera argentata dal naso del ragazzo,
distolse lo sguardo e borbottò pianissimo al marciapiede:
-... Ho l’hobby
dell’antiquariato, va bene?-.
Tom rimase a fissarlo con la bocca aperta del tutto e gli occhi
sgranati, tanto che pareva che quest’ultimi gli stessero per
schizzare fuori dalle orbite da un momento all’altro e che la
mascella gli fosse in procinto di staccarsi. Poi esclamò,
con una vocetta resa acuta dall’incredulità:
-Cosa?!-.
-Mi hai sentito!!-,
sbraitò Saki, non riuscendo a nascondere del tutto
nell’oscurità la sua faccia color ciliegia.
La faccia di Tom sembrava quella di un clown. Nei secondi che
seguirono, la sua espressione continuò a cambiare: da
assolutamente incredula, a divertita, a
‘mi-sto-sforzando-di-non-riderti-in-faccia’, poi di
nuovo composta, e stupita, e poi il giro ricominciava.
Infine Saki, seccato, prese in mano la situazione, e mettendo fine a
quella assurda lotta interiore, domandò minaccioso:
-Ma tu che caspita ci fai
qua fuori da solo, eh?-.
Tom di ricompose all’istante, e improvviso come una secchiata
di acqua gelida, il ricordo dell’appuntamento lo
investì.
Guardò di sbieco l’omaccione, che intuite le sue
intenzioni, era già pronto a riacciuffarlo nel caso avesse
provato a scappare. Aveva in mente di rispondere con strafottenza alla
domanda della sue guardia del corpo, ma alla vista di Saki che si
scrocchiava lentamente e minacciosamente le dita (aveva finalmente
riposto nella tasca la teiera), cambiò idea.
Deglutì, e decise di prenderlo con le buone.
Tirò fuori da un lontano, polveroso passato lo sguardo
più dolce e supplicante che riuscì a trovare.
Sbatté più volte le lunghe ciglia e, ricordando
il modo di fare del fratello, fece sporgere leggermente il labbro
inferiore, in fuori. In quella precisa situazione e in quel preciso
momento, lui, proprio lui, Tom Kaulitz, lo si sarebbe potuto confondere
facilmente col gemello (specie quando chiedeva una nuova scatola di
orsetti gommosi), se non fosse stato privo di trucco e con i rasta.
Giunse anche le mani, come nell’atto di pregare, quasi si
inginocchiò a terra (ma evitò per non sporcarsi i
jeans) e con una vocina tutta zucchero, cinguettò:
-Ti prego Saki...
Sakuccio mio! Ti chiedo una sola serata, una! di libertà,
senza il tuo pignolo ed efficientissimo occhio vigile puntato addosso
per tutto il tempo! Ti prometto che starò lontano dai guai,
non mi ubriacherò, non fumerò nessun tipo di
cannoni, non prenderò botte da nessuno! Devo incontrare una
ragazza... E questa potrebbe essere la svolta più importante
di tutta la mia vita!-. Pausa enfatica. - Non desideri anche tu, forse,
la mia felicità?!-.
E con questa frase disgustosamente teatrale e evidentemente falsa, Tom
Kaulitz terminò il suo breve spettacolino, concludendo
inoltre, per un maggiore incentivo, con la comparsa di una lacrimuccia
dall’angolo dell’occhio, e attese.
Saki pareva persuaso: i suoi occhi sembravano lucidi, il suo mento
forse tremava dalla commozione, e la sua espressione appariva quasi
addolcita. Tom, sicuro di essersi conquistato la sua vittoria, decise
di sferrare il colpo finale. Mostrò un timido sorriso e
sussurrò:
-Allora? Posso... posso
andare?-.
Saki sospirò, senza distogliere lo sguardo da lui. Poi un
sorriso si allargò sul suo volto, e stringendo gli occhi a
fessura, affermò a sua volta nel modo più dolce
possibile:
-... No...-.
E rimase ad osservare il ragazzo, malevolo.
Tom restò anch'esso immobile nelle medesima posa da suora
davanti alla statua della Madonna, poi, le sue sopracciglia si
aggrottarono lentamente e la sua bocca assunse la forma di una
‘o’ perfetta. Ogni traccia di amabilità
era svanita:
-Che cosa?!?-.
Senza abbandonare il suo perfido sorriso, Saki avanzò
lentamente, prendendo per il colletto il ragazzo scalciante,
che si rizzò immediatamente in piedi per non finire
soffocato, e prese a trascinarlo verso l’albergo, sordo alle
sue proteste:
-No!! Tu non puoi...!
Sono maggiorenne!! Non hai il diritto di...!! SAKIII!!!-.
E subito dopo, le porte a vetri dell’hotel si chiusero.
Pochi minuti dopo, un piano più su.
Tom aprì con attenzione la porta della sua stanza.
Lasciandola schiusa appena lo spazio per farci passare la testa, si
guardò attorno con circospezione, cercando di imitare
l’atteggiamento degli agenti segreti.
Il corridoio era vuoto. Un sorriso si allargò sul suo volto
mentre scivolava nel pianerottolo e chiudeva con estrema attenzione la
porta, tirando fuori la lingua dalla concentrazione.
Si guardò ancora intorno, attento, e per un
momento desiderò di essersi portato i suoi Rayban: ormai gli
mancavano solo quelli e il giubbotto scuro per diventare come 007!
Una breve, arrogante risata lo scosse per un momento, mentre correva
verso la libertà, appena dietro l’angolo e dopo
una insignificante rampa di scale. Si trattenne a stento
dall’urlare la sua vittoria, ed esclamò solo a
mezza voce:
-Arrivederci, caro fesso
di una guardia del corpo!-.
Era quasi arrivato.
“Manca poco...
Solo un angolo alla libertà...! Ecco, adesso pochi passi...
Ci sono!!!”.
Il ragazzo stava ancora gustandosi il tanto agognato profumo di vita
che lo attendeva, quando...
Un qualcosa di grosso e pesante fermò la sua folle e
scatenata corsa:
-Ahia!!!-.
Tom alzò lo sguardo lucido, massaggiandosi il naso
dolorante, e i suoi occhi incontrarono quelli più scuri del
suo bodyguard.
Sul viso di Saki non c’era nemmeno l’ombra di un
sorriso, stavolta. Neanche di uno finto.
Tom rimase paralizzato dalla sorpresa, poi l’ira della
sconfitta lo prese, e...
Sbatté con rabbia un piede a terra, vinto, e agitando le
braccia, mugolò un disperato:
-Eddai!!!-.
Di nuovo, senza dire una parola, Saki lo afferrò per il
cappuccio della felpa, e lo prese a strattonare verso la sua stanza,
per la seconda volta in neanche un quarto d’ora.
Tom, imbronciato, incrociò le braccia sul petto, serrandole
come una morsa, e completamente restio a collaborare, fece cedere di
proposito le ginocchia, e si lasciò crollare a terra.
L’uomo, indifferente, quasi non se ne accorse, e
continuò a trascinare, anche se praticamente steso a terra,
il giovane, sollevando dietro di lui nuvolette di polvere ad ogni
passo.
Arrivarono davanti alla lucida porta di legno scura, la numero 329, che
in quel momento, a Tom sembrò più il macabro
coperchio di una bara. Saki la spalancò, e senza troppi
complimenti, vi gettò bruscamente dentro il chitarrista, che
atterrò con il sedere e passò diverso tempo a
massaggiarselo, fra gemiti di dolore e imprecazioni.
Prima di uscire, il bodyguard, livido, puntò contro il naso
ancora offeso di Tom un dito di colori e dimensioni simili ad un grosso
wurstel, e cupo, minacciò:
-Prova un’altra
volta a mettere un solo piede fuori da questa porta e ti
taglierò i fondi alimentari per un periodo di tempo
indeterminato!-.
Con un ultimo inquietante sguardo di avvertimento, uscì,
chiuse la porta a chiave e marciò giù con passi
pesanti che risuonarono per tutto l’albergo.
Tom, furioso, rimase seduto a terra a fissare le venature del semplice
e impossibile da sfondare pezzo di legno, che chiudendosi, aveva chiuso
fuori anche ogni speranza del ragazzo di uscire.
Si alzò, scrollandosi di dosso la polvere dai pantaloni. Poi
si erse in tutta la sua altezza, prese fiato e...
-Blaaaaaah!!!
Và a quel paese!-... fece una linguaccia alla
porta chiusa, e anche un gesto ben poco pulito, a dir la
verità. Poi, soddisfatto, si sistemò il cappello,
finitogli un po’ di traverso, e si trascinò nella
sua camera da letto.
Si gettò a sedere sul materasso, e sostenendosi la testa con
entrambe le mani, sbuffò, sentendosi più che mai
un topo in trappola.
Pensò, pensò, pensò...
Ad un certo punto, il suo sguardo frustato cadde sulla finestra dalle
tapparelle ancora mezze alzate da quella mattina. Un lampo gli si
accese negli occhi sconsolati. Si alzò di scatto, corse alla
finestra, la aprì e sollevò completamente le
persiane che arrestarono con un clangore sordo contro il muro. Poi si
sporse fuori sul davanzale, e voltò la testa a destra e a
sinistra, rischiando di cadere di sotto più volte.
Fece dei brevi calcoli mentali, assaggiò la direzione del
vento, osservò il marciapiede non troppo affollato sotto di
lui e provò a misurare la distanza tra lui e un albero che
cresceva proprio vicino alla finestra. Si ritrasse, e guardando le
stelle occhieggianti, sorrise, furbetto:
-Saki ha detto... porta,
giusto?-.
-Uuuff!! Ma guarda te
cosa mi tocca fare! A che mai sarà capitato di fare tutta
‘sta fatica per uscire dalla propria stanza?!-.
Tom era attaccato al davanzale della sua stanza. Fuori,
però. I suoi piedi penzolavano nel vuoto, distanti un
po’ di più dei “due metri
scarsi” da terra, al contrario di quello che aveva supposto
il ragazzo. I suoi calcoli, evidentemente, non erano stati proprio
così precisi...
Il ragazzo guardò in giù, sperando che nessuno si
accorgesse della sua presenza. Le dita cominciavano a fargli male dallo
sforzo di rimanere aggrappato al freddo marmo, e iniziava a perderne la
sensibilità. Si voltò a destra, cercando con lo
sguardo il ramo che a cui avrebbe potuto aggrapparsi. Lo
trovò. Robusto, verde, forte e... lontano! Ma di
più a portata di mano non ce n’erano, e il tempo
stringeva. La sua presa cominciò a scivolare dal davanzale.
Non poteva più aspettare. Tirò su le gambe, e
appoggiandosi al muro, si diede la spinta, lasciò le mani e
saltò...
Tom chiuse gli occhi, “ringraziando” mentalmente
Saki per averlo costretto a quei numeri da circo. Passarono
diversi secondi, sospesi fra il terrore di essere caduto e il sollievo
di essere arrivato. Sollevò piano una palpebra, poi
l’altra e... sorrise! Le sue braccia erano saldamente avvolte
attorno al ramo dell’albero, e i suoi piedi intrecciati al
tronco.
Tom cominciò a ridere come un matto, adesso indifferente
alle occhiate di stupore della gente che, passando, guardava incredula
quell’inusuale ragazzo-scimmia agitare il pugno verso una
finestra aperta e urlare:
-Alla faccia tua! Ah ah
ah! Tom ce l’ha fatta ancora una volta! E adesso prendimi se
ci riesci!!-, esclamò scivolando agilmente a
terra il giovane. Arrivato sano e salvo sul marciapiede, tutto intero
soprattutto, si scrollò frettolosamente di dosso polvere e
foglie. Guardò subito l’ora, ansioso, e
sussultò: era in ritardo di un’ora per
l’appuntamento con Layla!
Fece il giro dell’hotel, dato che la sua camera si affacciava
sul retro dell’albergo, e arrivò affannato davanti
all’entrata principale, di nuovo.
Stavolta si guardò bene intorno, nel caso Saki fosse stato
ancora nei paraggi. Sospirò di sollievo non vedendo nessuna
sagoma grossa e minacciosa tra i pochi ancora in giro in quella zona
della città, e si dedicò subito alla
ricerca della ragazza.
Scrutò per bene, alla luce fioca dei lampioni qualunque
donna che fosse alta, magra e scura di capelli, ma per quanto
ricordasse lui, nessuna corrispondeva alla giovane che gli aveva
raccontato di un viaggio alle Hawaii, tanto tempo fa, quasi una vita
prima.
Aspettò altri cinque minti, poi, scoraggiato, si diresse
verso l’albergo, seccato di tutta quella perdita di tempo e
fatica.
All’improvviso, dei singhiozzi sommessi attirarono la sua
attenzione. Tom si bloccò nell’atto di aprire le
porte e tese le orecchie, curioso.
I gemiti sembravano provenire da dietro l’angolo. Tom rimase
immobile, indeciso, ma visto che i singulti cominciarono ad aumentare
di frequenza ed intensità, decise di andare a vedere. Si
avviò lentamente verso l’unico cantuccio
nell’ombra, vicino ad un enorme albero frondoso. Con il cuore
che gli pulsava nelle orecchie, scostò un ramo basso che gli
copriva la visuale, e trasalì. Una figura, rannicchiata,
piangeva sommessamente e disperatamente. Alla luce, quasi inesistente,
della luna e delle stelle attraverso i diversi rami, osservò
solo che la ragazza indossava un corto vestito blu e aveva un elaborata
acconciatura che le raccoglieva i capelli in cima alla testa. Tom
aguzzò di più lo sguardo, desideroso di conoscere
chi fosse quella giovane.
All’improvviso, un argenteo raggio lunare filtrò
attraverso il fitto baldacchino di rami e foglie, e colpì la
figura, donando riflessi perlacei ai suoi lunghi capelli castani e
facendo rilucere nell’ombra i variegati braccialetti che
adornavano le sue lunghe, pallide braccia.
A Tom si gelò il sangue nelle vene. Trattenne il respiro,
sbalordito, e mormorò con un filo di voce, scioccato:
-... Layla?!-.
________________________________________________________________________________________________________________________
ANTICIPAZIONI: Nel prossimo capitolo: "Il sogno di Bill" ^_^
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Capitolo 20 *** _Sogno e Realtà_ ***
-Uhmmm... Mmmgnoooo...
Uhmm uhmmmm...-.
Bill si agitava nel sonno. Il suo cuore batteva
all’impazzata. Le sue dita stringevano convulsamente la
coperta. Sudore freddo gli imperlava la fronte, corrugata. Dietro le
sue palpebre serrate, solo buio e paura. Le sue gambe si muovono quasi
ritmicamente, scattando in avanti per poi rilassarsi, e di nuovo
scalciavano, una dopo l’altra, in una folle, affannosa corsa.
Sì, ecco. Sta correndo...
*----'Corre, scivola, cade, si rialza e continua a correre, senza
però muoversi da quello stesso punto, desideroso di
raggiungere una meta inesistente. È solo, al freddo, e
niente attorno, sotto sopra, accanto a lui cambia.
C’è solo una flebile luce, lontana e
irraggiungibile, che occhieggia nella sua direzione, invitante
più che mai. Sembra proprio lì, vicina, a portata
di mano, ma sia Bill che il bagliore pulsante sanno che si tratta solo
di un’illusione.
Bill comincia a rallentare, sfinito, e poi si ferma per riprendere
fiato, per calmarsi e riflettere, o forse per arrendersi di fronte ad
una evidente realtà. Sconfitto, praticamente annientato, si
siede per terra... Se così si può chiamare una
“lastra” di buio, orizzontale e dura. Ansima, e si
tiene una mano sulla milza, dolorante.
All’improvviso, insospettato quanto concreto, un accecante
lampo biondo attraversa il suo campo visivo. Bill solleva la testa da
terra, sorpreso, e comincia a guardarsi attorno. Con la coda
dell’occhio riesce infine a scorgere il guizzo: verso
l’oscurità. Di nuovo, lontano dalla luce.
Quasi senza rendersene conto, si ritrova in piedi, e prima che perfino
lui riesca ad accettarlo, si mette ad inseguire quella specie di fiamma
saettante, che ora è qua, ora è là.
Destra, sinistra, su, giù, Bill corre, ma non capisce
più nulla, sta perdendo l’orientamento... O forse
non l’ha mai avuto, in quell’inquietante luogo del
suo subconscio...
Nonostante una parte di lui si renda conto di trovarsi in un sogno,
l’altra porzione di sé, più ampia e
decisa, non vuole demordere e svegliarsi, non ancora: desidera capire
di che cosa si tratti quella rassicurante manifestazione di vita dopo
tanta oscurità e solitudine.
Sfiancato, dopo interminabili attimi di corsa incessante, dilatati in
anni da una assurda concezione del tempo, si ferma ancora, non riesce
più a proseguire. Inciampa nei propri piedi, si lascia
scivolare a terra appoggiando il viso sudato al suolo, e rimane steso a
quel nero niente, che non è né caldo
né freddo, né vivo né morto.
Chiude gli occhi, respirando affannosamente, o almeno crede, non
può dirlo con certezza... Anche se le sue palpebre si
abbassano, nulla cambia: nero prima, nero per sempre...
Di nuovo un guizzo colorato. Bill solleva la testa di scatto,
nuovamente attivo e attento, senza più una traccia di
stanchezza, svanita al miracoloso contatto con il terreno. Quella
strana fiamma lo attrae con forza incredibile. Con un po’ di
fatica, si alza in piedi, ancora leggermente intontito e malfermo. Si
volta.
Da una parte la luce, lontana, sempre lì, irraggiungibile,
accende di stelle i suoi occhi e fa splendere i suoi lineamenti.
Si gira ancora. Dall’altra parte,
l’oscurità, soffoca il suo sguardo e il suo
respiro, come una coperta troppo pesante, e sembra lo anneghi
nell’ombra. Della fiamma nessuna traccia.
Deluso, Bill abbassa le braccia, già protese in avanti verso
il barlume dorato appena intravisto e già scomparso, e la
lascia penzoloni e cascanti, lasciandosi prendere dalla delusione,
sicuro di essere rimasto solo una volta per tutte. Di nuovo.
E ancora, un senso di vuoto lo pervade e annulla ogni suo pensiero.
Indeciso se rimanere dov’è o proseguire, fissa con
aria assente l’impenetrabile cortina di buio, lo sguardo
sbarrato e spento. Sospira, fa per avviarsi tra le braccia di
quell’eterna notte, vinto al suo destino, quando,
improvvisamente, un trillo, una melodia lontana, argentina e
squillante, come un dolce coro di angeli, arriva fino alle orecchie
piene d’oscurità del ragazzo, che si rianima
all’istante. Resta immobile, concentrandosi, ed eccolo di
nuovo, più vicino. Bill sorride e ancora riprende a
voltarsi, contorcersi, dimenarsi nell’ombra, nuovamente vivo,
soprattutto non più solo.
La melodia, a poco a poco, comincia a trasformarsi in un canto
sommesso, sempre più vicino, incredibilmente attraente ed
evidentemente pericoloso.
Bill si blocca e si raddrizza piano. Forse ha capito.
D’altronde, questo è il suo sogno. O meglio, il
suo incubo...
Si gira, lentamente stavolta, verso la luce, ed eccola.
Stagliata finemente contro il bagliore indistinto, una magra figura,
quasi eterea tanto è aggraziata inizia ad avvicinarsi
lentamente, come canticchiando fra sé e sé.
Il ragazzo, prima euforico per la sua scoperta, diventa subito ansioso,
e poi addirittura spaventato. La figura è più
distinta, ora. E subito, a Bill si gela il sangue nelle vene: ha
riconosciuto la canzone, finalmente. E anche la donna dal viso
d’angelo. Rimane impietrito dalla paura mentre il cuore,
contrario, gli rimbomba nelle orecchie, come una tamburo
d’avvertimento.
Lei. Giusy, i fiammeggianti capelli, sciolti, ribelli, gonfiati da una
brezza apparsa dal nulla, si trova a pochi passi da lui. È a
piedi nudi, e indossa un leggero vestito bianco. Ma la cosa che
ovviamente colpisce di più è che sul suo viso in
controluce un sorriso risalta come la fiamma di una candela nella
tempesta.
Avanza ancora, inesorabile, sempre cantando dolcemente, e solo quando i
suoi occhi di diamante si fissano in quelli di Bill, nocciola e
spaventati, si ferma.
Un odore di putrefazione, di morte, invade il naso del ragazzo quando
lei si sporge in avanti, tanto da sfiorarlo.
E mentre le ultime parole di “Spring Nicht” gli
vengono alitate addosso da quell’anima dannata, lo vede: un
coltello dall’elsa dorata, lucente, argentato, minaccioso,
stretto nella mano destra della donna. E Bill capisce.
“...Dann
spring ich für Dich...”.
Un sorriso. Uno scintillio. E un’ultima nota che risuona
vibrante nel buio.
Giusy leva il coltello, e senza una parola, guardandolo negli occhi, lo
infilza veloce e precisa, sorridente, nello stomaco del ragazzo.
Bill non chiude gli occhi. Non ce la fa. Sente solo un dolore
lancinante alla pancia, il sangue che gli sale alla gola e un profumo
dolcissimo che gli arriva alle narici, stordendolo.
Tiene lo sguardo fisso davanti a sé, vitreo e vuoto, mentre
capelli biondi gli solleticano il collo. Giusy si appoggia piano al suo
petto, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, e decisa, spinge
ancora più a fondo la lama nella carne del ragazzo.
Ancora sangue. Gli arriva in bocca, amaro, e gli invade le vie
respiratorie. Giusy ride piano, poi si stacca lentamente dal corpo di
Bill, che si accascia immediatamente a terra, privo di forze, tenendosi
una mano sul petto. Poi, con un lampo biondo, la ragazza svanisce nel
buio.
Bill tossisce, e macchie rosse colorano con schizzi irregolari il nero
piatto e monotono.
Il dolore, acuto e freddo, proprio lì, dentro di lui,
aumenta, mentre il gelo comincia ad invadergli il corpo,
immobilizzandogli gli arti. Bill si stende a terra sui un fianco,
sussultando e tremando, intanto che liquido rosso continua a colargli
da un angolo della bocca. È solo. non piange,
però. Non ci riesce. È tutto inutile, ormai. Lui
è solo.
Chiude gli occhi. E nel buio rimane...
Improvvisamente, nulla. Non più dolore, non più
freddo. Non più nemmeno il niente. solo un senso di
leggerezza allo stomaco e qualcosa di pesante sulle gambe.
Bill apre di scatto gli occhi. È ancora tutto buio, ma la
luce stavolta è più vicina. Solleva la testa. Se
la sente quasi priva di peso. Il suo viso è pulito, e sulla
lingua ogni sapore sgradevole si è dissolto. Incredulo,
sorride, e si tocca con mani tremanti il petto, lo stomaco, i fianchi:
niente di niente, nessun coltello, nessuna ferita. Niente sangue,
né dolore. Dall’euforia, Bill fa per alzarsi e
mettersi a correre verso la luce che, stavolta ne è sicuro,
riuscirà a raggiungere, ma un qualcosa sulle gambe lo tiene
fermo a terra. Ancora ridendo a fior di labbra, il ragazzo abbassa lo
sguardo.
Il sorriso gli scivola lentamente dalla bocca, sostituito da una
smorfia d’orrore.
Stesa a terra, con la testa appoggiata su di lui, i capelli in
disordine, Jade è lì. Sussulta, trema, singhiozza
quasi, mentre dalle sue labbra fredde del sangue continua ad uscire
ininterrottamente. Respira piano, troppo piano, e con fatica, e le se
sue dita scattano continuamente, chiudendosi a pugno, graffiando la
pelle delicata, cercando di afferrare l’aria.
Bill, preda di un fastidioso ronzio nelle orecchie, tremando a sua
volta, afferra lentamente e con estrema delicatezza le mani sussultanti
della ragazza, che solleva lo sguardo dorato, umido e spento. Le sue
labbra si aprono e chiudono, socchiuse. Sembra che voglia dire
qualcosa, ma il sangue, il dolore o chissà che altro glielo
impediscono.
Bill, mentre due calde lacrime gli scivolano decise sulla guancia,
prende il viso gelato di Jade fra le sue forti mani e rimane ad
osservarla, incredulo, confuso, incapace di proferir parola.
Un luccichio attira improvvisamente la sua attenzione. Bill abbassa lo
sguardo e... Per lo spavento lascia quasi la presa sul volto della
ragazza. Lì, conficcata profondamente nel suo morbido
stomaco, la lama di un coltello dall’elsa dorata occhieggia
nella sua direzione.
Il ragazzo trattiene il respiro, immobilizzato, mentre si sporge in
avanti, e tocca sconvolto l’impugnatura insanguinata. Jade
sobbalza, e stringe i denti, in preda ad un dolore più forte
di lei. Bill ritrae subito la mano, terrorizzato. La ragazza annaspa, e
solo con grande sforzo riesce a sollevare una mano e aggrapparsi
tremando alla maglietta sporca di sangue del giovane, che si china
all’istante sul volto stravolto di lei.
I loro visi vicini sono entrambi bagnati di lacrime.
Bill non trova la voce nemmeno per rassicurare Jade e sé
stesso, ma lei sì.
Mentre già gli occhi le si rovesciano
all’indietro, bianchi e vuoti, trova comunque la forza di
fissare il suo sguardo dorato e vuoto su quello incredulo del ragazzo.
Gorgogliando quando ancora liquido rosso le colora le labbra, mormora:
“Bill...
Bill...”.
E ancora lacrime, e un urlo disperato che squarcia il silenzio
opprimente mentre una mano priva di vita scivola a terra e tutto cade
nell’oblio...'----*
-Bill! Bill!!!-.
Qualcuno lo sta chiamando... Ma che importanza ha adesso? Non ha
più niente, è solo, e tutto è vuoto...
No, deve rispondere, deve...
Bill improvvisamente si risvegliò, aprì di scatto
gli occhi, inondati da amare lacrime salate, e si drizzò
all’istante a sedere, inspirando rumorosamente, riempiendosi
i polmoni di aria fresca e pulita, finalmente.
Luce. Questa fu la prima cosa che notò il ragazzo sconvolto.
Poi un tavolino, finestre, uno specchio, un letto, coperte e... lei.
In ginocchio sul materasso, di fianco a lui. Ansiosa, preoccupata,
spaventata, ma viva. Sana e salva. E soprattutto, ancora insieme a lui.
-Ti ho sentito muovere
parecchio e poi forse hai urlato... Cosa è successo?-,
disse a mezza voce la ragazza.
Bill si girò a fissarla, e non appena si rese conto di non
stare sognando, sorrise, e mentre piccole gocce trasparenti
ricominciavano a solcargli il viso, si voltò e
abbracciò di slancio la giovane, facendole morire le parole
in gola.
-Sei viva... Sei qui...
Sei qui...-, continuava a sussurrare.
Jade, confusa, ricambiò quella stretta tanto forte che le
toglieva il respiro, e boccheggiò all’orecchio
bagnato di lacrime del ragazzo singhiozzante:
-Ce-certo che sono qui!
Bill, non è successo nulla!-.
Bill si staccò piano, e Jade, guardandolo con uno sguardo
carico e rassicurante fisso negli occhi terrorizzati del giovane, gli
prese il viso tra le mani, spazzando via le lacrime con gesti circolari
del pollice, e mormorò:
-...Solo un sogno,Bill!
È stato solo un brutto sogno...-.
E mentre la pioggia cominciava a picchiettare sul vetro delle finestre,
come a voler lavare via tutto il dolore di un sogno forse premonitore,
in quella stanza d’albergo, il suono di dolci baci e di
tranquillizzanti carezze risuonava come campane in festa, facendosi
largo a forza nel rumore di confessioni tenute nascoste.
Poco lontano invece, appena un piano più giù,
sotto un cielo plumbeo e arrabbiato, due figure dai contorni avvolti
dalla fitta pioggia si fissavano, una incapace di fornire spiegazioni,
l’altra di ascoltarle.
E ancora, strepito di risposte non dette, che rumoreggiano e rimbombano
come tuoni, in realtà si rivelano avere un dolce profumo di
boccioli in primavera, che portano una brezza di un nuovo,
imprevedibile inizio.
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Questo capitolo è stato abbastanza malinconico
(diciamo pure triste,
và!), però spero vi sia piaciuto lo stesso... Se
lasciaste qualche commentino piccino-picciò
mi fareste decisamente felice! ^_^
Ringrazio le fedelissime,
ovvero chi mi fa trovare una recensioncina a quasi ogni capitolo, e
anche chi solo legge... DANKE!
Arrivederci al prossimo chappy, che vedrà come protagonisti Tom e Layla...
>>> Possibile materiale "scottante", ma non troppo,
o questa fic non sarebbe "verde"...XD
Auf
Wiedersehen!!!
P.S. Ho imparato come fare le scritte colorate!
XD Woooooooow!!!
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Capitolo 21 *** _Thè al limone e Lettera_ ***
Tom, una mano appoggiata al tronco dell’albero e
l’altra floscia e cascante lungo il fianco, era a dir poco
sbalordito.
La scoperta della ragazza che avrebbe dovuto portare a cena
un’ora prima, in lacrime e sconvolta, l’aveva
scioccato. Perciò, dopo vari secondi di tensione,
riuscì solo a balbettare un flebile:
-... Layla?! Sei tu?
Cos’è successo?!-.
Layla sussultò, spaventata da quella voce, e
sollevò la testa in direzione del ragazzo, trafiggendolo da
parte a parte con uno sguardo azzurro cielo umido, triste e bellissimo.
Una nuvola veleggiò lenta e silenziosa in quel mare nero, e
la pallida luce lunare bagnò di nuovo quei due piccoli
corpi.
Azzurro e nocciola. Nocciola in azzurro. Cielo nella terra. E terra nel
mare.
I due giovani continuarono a fissarsi negli occhi per attimi
interminabili, durante i quali domande e risposte si scontrarono con
scintille nel vuoto tra loro.
Un’altra nuvola venne soffiata di nuovo davanti alla luna.
Buio.
Nell’oscurità, Tom riuscì a scorgere i
contorni più scuri della ragazza che si muoveva, si alzava
frettolosamente, si sfregava il viso e gli scivolava accanto.
Durante il suo breve spostamento, Tom riuscì quasi a
percepire il fantasma di due fredde labbra sulla guancia, e
l’ombra di uno - Scusami...- mormorato
all’orecchio.
E poi, un profumo di violetta e di ruscello cristallino e puro, forse,
quando una massa scura di capelli gli frustarono delicatamente il viso.
Per la sorpresa, Tom non riusciva a muoversi. L’immagine
degli occhi puri e incredibilmente profondi della ragazza inondati di
lacrime, nei quali aleggiava il riflesso dei suoi, nocciola e confusi,
bagnati da un argenteo raggio di luna, popolava ancora la sua mente.
Era come ipnotizzato. Fissava il buio lì in basso, a neanche
un metro da lui, dove appena prima il caldo corpo della ragazza
giaceva, scosso dai singhiozzi.
E improvvisamente, qualcosa scattò. Alla recente figura di
quella giovane dagli occhi di cielo prese il posto il ricordo di quasi
due ore fa: un’altra ragazza, stavolta dallo sguardo
d’oro, che dormiva serena accanto a suo fratello. Serena.
Tranquilla. Ormai non aveva più bisogno di lui...
E oltre a quelle, tante, tante altre immagini: lei che sorrideva, lei
che muoveva i capelli, lei che metteva il broncio, lei che gli parlava.
E lei che parlava con suo fratello, che gli sorrideva, che faceva finta
di arrabbiarsi... mentre lui era stato messo in disparte.
E ancora... Quel suo modo di fare, spontaneo e allegro, deciso e
testardo, sensibile e generoso.
E infine, quella volta...
Un bagno di uno studio televisivo, loro due soli, e sorprendenti
carezze non più nascoste.
Tom sentì una fitta allo stomaco: aveva riportato alla mente
il suo ricordo più doloroso.
Lei, sempre lei. Così fresca, profumata, sorridente,
diventata di colpo una debole creatura spaventata, terrorizzata dal
peso del suo amore...
Lei in lacrime, rossa in viso dalla vergogna, tremante dalla rabbia,
che scappava via lontano da lui...
Tom si riscosse, e vide nella realtà il riflesso di quella
situazione. Non poteva permetterlo...
Senza pensarci, senza ragionarci, senza rifletterci, si
voltò di scatto, riuscendo ad intravedere tra il buio della
notte e la luce dei lampioni un’indistinta macchia blu e un
alone nero, confuso, che ondeggiava durante la corsa, appena
più avanti.
Quasi staccato dal proprio corpo, Tom si vide cominciare a correre a
sua volta, raggiungere senza fatica la ragazza coi tacchi, fermarla,
trattenerla per una braccio, e perdersi nuovamente in quel blu mare.
E scoprire il colore delle sue guance, la morbidezza della sua bocca,
la pienezza delle sue labbra...
Improvvisamente, come un fantasma, rientrò in possesso del
proprio corpo e della propria mente, e si rese finalmente conto di
ciò che aveva fatto.
Layla ora non piangeva più, ma ancora non era serena.
Silenzio. Tom stringeva tra le sue ancora le mani congelate della
ragazza, che fissava terra imbarazzata.
Poi, dalla bocca del ragazzo uscì in un sussurro una delle
poche frasi che ci si sarebbe aspettati di sentire in quel momento:
-... Che ne dici se
ordiniamo una pizza?-.
Layla, infatti, alzò la testa e sgranò gli occhi,
sorpresa, poi riabbassò lo sguardo ancora un po’
bagnato e annuì al marciapiede.
Tom sorrise gentilmente, e mettendole una mano dietro la schiena,
cominciò a sospingerla nel modo più delicato
possibile dentro l’albergo, dritto nella camera 329.
-Stai comoda? Ti serve
qualcos’altro?-.
Tom passò davanti al divano della sua stanza con in braccio
una coperta ed un cuscino, che subito scaricò con davvero
poca grazia per terra.
Avvolta strettamente in un’altra coperta, e con in mano una
tazza di tè bollente, Layla fece segno di no con la testa.
Da tanto le battevano i denti, non riusciva nemmeno a parlare.
Tom la osservò qualche secondo mentre lei beveva, poi si
voltò e sparì nell’altra stanza.
Tornò neanche due minuti dopo con in mano a sua volta una
bella tazza di tè fumante.
Spostò con un calcio il cuscino sul pavimento, facendolo
rotolare sotto il tavolino, e afferrando con una mano la coperta sul
tappeto, se la avvolse tutt’intorno, rabbrividendo
piacevolmente.
-Davvero efficiente
questo servizio in camera, non trovi? Meno male che non hanno fatto
storie per darci il doppione della chiave della stanza, se no sai che
casino!-, disse ridacchiando, poi si sistemò
meglio la coperta, guardando avanti a sé.
La ragazza lo fissò a sua volta mentre Tom assaggiava la
bevanda e allontanava la tazza, disgustato, e chiese titubante:
-Non... non vuoi
chiedermi perché stavo così male?-.
Tom si sporse sul tavolino e cominciò a mettere tonnellate
di zucchero nel tè, rendendolo più dolce di una
mela caramellata. Senza guardarla, impegnato com’era, le
rispose ridacchiando:
-Detto così
sembra che ti fossi preparata apposta a fare tutte quelle scene...!-.
Layla sussultò.
-... ma non ci credo...-,
continuò Tom, immergendo per l’undicesima volta il
cucchiaino pieno nella tazza. Si raddrizzò e
cominciò a mescolare, guardando la ragazza, un mezzo sorriso
stampato sulle labbra:
-... Credo invece che se
tu avessi voluto dirmi cosa ti era successo non saresti scappata via
dopo avermi visto, no?-.
Layla arrossì e abbassò lo sguardo.
-In effetti... Non mi
sono comportata proprio bene... Ero davvero sconvolta... Il fatto
è che...-.
Si voltò. Il viso di Tom era decisamente troppo vicino al
suo. Il suo alito zuccherato la stordiva. Si girò, tornando
a fissare le pieghe sulla coperta, rossa in viso.
-...Comunque... Grazie...
per tutto...-.
Tom sorrise:
-Non
c’è di che! Stavi davvero congelando là
fuori, senza uno straccio di giacca! Se te ne fossi rimasta seduta
ancora un po’ sull’erba ghiacciata il tuo bel
sederino si sarebbe trasformato in un blocco di ghiaccio, e sarebbe
stato un veeero peccaaato!!-, scherzò il
ragazzo, annuendo convinto.
Finalmente, anche Layla sorrise, e nella stanza in penombra
sembrò accendersi una luce. Tornò seria,
abbassando per l’ennesima volta il capo, e la luce si spense.
Anche Tom lasciò che il suo sorriso si spegnesse lentamente,
ma rimase a fissare con un’intensità quasi
dolorosa il volto dai lineamenti decisi della ragazza.
Lei, sentendosi osservata, si girò, e per la seconda volta,
il bel viso di Tom, decisamente vicino, la immobilizzò.
Stavolta, però, lei non si sottrasse.
E può sembrare incredibile, ma per la seconda volta i due
sguardi divennero uno.
Negli occhi di mare di lei, una nave maestosa e forte vi navigava,
intrepida durante le tempeste, ed estremamente dolce nella bonaccia.
Negli occhi nocciola di lui, il cielo, terso e pulito, vi riposava
sereno, non lontanamente sporcato da nuvole o bugie...
I visi dei due ragazzi cominciarono ad avvicinarsi, gli occhi
socchiusi, le guance rosate, nessuna traccia di tremito di freddo o
paura.
Layla chiuse gli occhi, Tom allungò le mani.
Layla dischiuse le labbra, Tom mosse le dita tiepide verso
l’alto, sotto il vestito di lei.
Layla rabbrividì, e sorrise. Aprì gli occhi e
mordendosi il labbro inferiore, mise le sue mani sul collo di Tom, e lo
attirò a sé, spinta, decisa. Il genere di ragazza
che piaceva a lui, insomma.
Tom sorrise a sua volta, e senza più pensarci fece sue
quelle labbra rosate di ciliegia, profumate.
Ben presto, i baci casti e timidi si fecero più spinti,
più passionali, più desiderosi di quelli e forse
di qualcos’altro in più.
Tom non resisteva più. Fascia, cappello e maglia finirono a
terra, insieme a due coperte ormai inutili.
Il ragazzo intrecciò le dita nei capelli della giovane,
sciogliendo l’elaborata acconciatura ormai floscia e
disordinata. Una pioggia di minuscole forcine e legacci per capelli
cadde il tavolino, i cuscini, la coperta.
Lei ricominciò a baciarlo, sempre più avidamente.
Dov’era finita adesso la piccola ragazza timida e spaventata?
Tom si staccò dalla sua bocca, le aprì il
vestito, e cominciò ad accarezzarla sul collo, sulla spalla,
sul seno sulla pancia con le sue labbra di fuoco.
Poi si fermò. Aprì gli occhi, e torturandosi il
piercing dall’impazienza e dall’eccitazione,
sorrise, e in una mossa, si fece scivolare via i jeans.
Nella sua mente, impressa e in rilievo per sempre, l’immagine
di due caldi e stupendi occhi ambrati dagli incantevoli riflessi
d’oro.
***
In un’altra stanza, Jade si svegliò di colpo e
rabbrividendo, cominciò a sfregarsi le braccia.
Bill, che dormiva saporitamente con la testa appoggiata al petto della
ragazza, si ridestò a sua volta con uno sbadiglio,
alzò il capo, assonnato, e strizzando gli occhi per mettere
a fuoco la ragazza, domandò con voce impastata:
-Che succede? Ti senti
male?-.
Jade si voltò a guardarlo accigliata, e mormorò:
-No, no... Mi dispiace di
averti svegliato, ma mi sono corsi lungo la schiena dei brividi
freddi...-.
Rabbrividì ancora, e abbassò le braccia. Bill le
prese le mani, le baciò delicatamente e se le
portò al petto, incrociandole. Ci pensò su un
attimo, poi sorrise e sussurrò:
-Forse sono io a dovermi
scusare... Ti devo aver nominato nel sonno, per quello che ti sono
venuti i brividi! Giuro che non ti penso più!-,
ridacchiò piano.
Anche Jade rise nella penombra e mormorò uno -Scemo...-.
Bill alzò la testa e rimase a guardare negli occhi ancora un
po’ assonnati la ragazza.
Un sorriso si aprì sui loro visi mentre Jade si chinava a
baciarlo, chiaramente invitata dal moretto che sporgeva insistentemente
ed esageratamente le labbra in fuori, verso di lei.
Quei piccoli baci, dolci ed intensi, che di tanto in tanto si
scambiavano i due innamorati erano la loro più grande
felicità, ed erano più che contenti
così, nonostante in Bill esistesse ancora, sopito e
paziente, però, il desiderio.
Ad occhi chiusi, incollati per le labbra, i due ragazzi cominciarono a
rotolare lentamente verso il bordo del letto.
Sopra e sotto iniziarono a mischiarsi, confondersi e annullarsi del
tutto, infine.
Sotto. Jade, sormontata da Bill che la abbracciava per i fianchi
sperava solo che quel momento di pura estasi non finisse più.
Sopra. Bill, delicatamente avvolto dalle lunghe braccia di Jade, era
decisamente in Paradiso. Aprì piano un occhio e
allungò una mano per spegnere la lampada sul comodino, ma le
sue dita avvertirono qualcosa di diverso del freddo, liscio
interruttore.
Sgranò entrambi gli occhi, e si staccò da Jade,
che rimase assurdamente immobile, la testa protesa in avanti, le labbra
ancora in fuori.
-Ehi, ma io non avevo
finito!-, protestò capricciosa, gonfiando le
guance come un piccolo criceto.
Bill la ignorò, e accigliato, prese il foglio che sul
comodino di legno spiccava come neve.
Avvicinò la carta alla lampada, e dopo aver letto il breve
messaggio scritto con un grafia decisamente familiare,
sbarrò gli occhi e balzò in piedi
all’istante.
Jade era interdetta:
-Ma cos’hai?
Che succede?!-, esclamò confusa mettendosi in
ginocchio sul letto.
Bill le sfrecciò accanto andando in bagno, sempre con il
foglietto spiegazzato stretto nella mano, e tornò due minuti
dopo completamente vestito.
Jade si era anch’essa alzata in piedi, e guardava atterrita i
comportamenti meccanici e frenetici del ragazzo.
Quando quest’ultimo tentò di guadagnare la porta,
però, finalmente si mosse, e si aggrappò di
slancio al suo braccio, chiedendo ansiosa:
-Bill!! Mi vuoi dire che
succede?!-.
Bill rimase immobile qualche secondo, lo sguardo fisso davanti a
sé, respirando affannosamente. Poi si voltò a
guardare la ragazza, furioso, e urlò:
-Tom è un
grandissimo idiota!!-.
E liberandosi bruscamente dalla presa della ragazza, abbassò
con forza la maniglia e sparì quasi immediatamente,
inghiottito dal buio del corridoio deserto.
Jade, sconvolta, non poté fare altro che fissare una porta
che tornava, sbattendo, e il pigro volteggiare di un pezzo di carta.
Alla debole luce arancione dell’abat-jour, lettere ancora
lucide d’inchiostro luccicarono invitanti:
“Caro Bill,
non ho voluto svegliarti
prima, dormivi così bene...
Volevo solo avvisarti
che ho preso una decisione che probabilmente non condividerai: sono
andato ad un appuntamento con Layla, l’amica di Giusy.
Non so cosa
comporterà questo incontro, voglio solo dirti che
è stata tutta una mia idea, e che ciò che
potrà accadere non mi importerà, anche se
sarà colpa mia...
Non cercarmi, mi
farò vivo io...
Siate felice tu e Jade.
Tom.”
________________________________________________________________________________________________________________________
Eh sì, il nostro Tomi potrebbe averla combinata grossa! Ma i
suoi guai non finiranno certamente qui! Anzi, forse proprio a causa
della sua scelta avventata potrebbero moltiplicarsi... Eppure dovrebbe
aver imparato a non fidarsi degli sconosciuti!
E con la "saspens" che vi ho lasciato, vi dico "Auf Wiedersehen" al
prossimo chappy! ^_^
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Capitolo 22 *** _In die Nacht_ ***
Ancora, correva. Gli sembrava di non aver fatto altro per tutta la
vita. Neanche tre metri lo speravano dal suo obbiettivo, ma a lui
sembravano tre chilometri. Il corridoio è buio, ha paura di
inciampare.
Corre.
Eccola, proprio lì, a sinistra, ce l’ha quasi
fatta.
Può scorgere la maniglia, poi il legno, ogni singola
venatura e un po’ più in alto il numero.
Stanza 329.
Bill trattenne il fiato, alzò il pugno tremante e... *****
Improvvisamente, Tom si fermò. Aveva il fiato corto e si
sentiva lo stomaco vuoto e contratto contemporaneamente. Non era per
fame, e lui lo sapeva.
Sospirò, sentendosi un senso di nausea in gola, e si
scostò dalla ragazza, mettendosi a sedere, il viso nascosto.
Lei si tirò su, aggrottò le sopracciglia,
oscurando per un attimo il blu cielo, e chiese dolcemente:
-Tom, cosa
c’è che non va?-.
Tom, con solo i boxer addosso, era seduto con la schiena curva e la
testa bassa. Neanche lui sapeva cosa non andava. In effetti, era
veramente allarmante che proprio lui, il SexGott avesse
difficoltà ad andare a letto con una ragazza. Una delle
tante... Oppure no?
Layla, senza nemmeno tentare di coprirsi il petto nudo, ogni pudore
svanito insieme al freddo che provava poco fa, gli scivolò
piano accanto, e posò una mano sulla spalla del ragazzo.
-Tom...-.
Il giovane si scostò il più delicatamente che
poté dalla leggera stretta sul suo braccio, si
alzò in piedi, un po’ insicuro, e
annunciò in un borbottio indistinto qualcosa del tipo: -Ho bisogno di un bagno...-.
Detto questo, arrancò verso la porta, sicuro di dover andare
a vomitare da un momento all’altro, e vi si chiuse dentro.
Poco dopo l’acqua cominciò a scorrere, soffocando
qualsiasi rumore provenisse dall’interno.
Layla sbuffò e si stese sul divano, abbandonando la testa
sullo schienale, pensando a quello che aveva fatto e a quello che per
poco non aveva finito.
Rimase così, riflettendo, diversi minuti, poi si
alzò, e tanto per fare qualcosa,iniziò a mettere
in ordine la stanza, raccogliendo coperte e vestiti sparsi a terra.
Passò davanti alla finestra, e decise di mettersi comunque
qualcosa addosso, nel caso qualcuno avesse spiato dentro: improbabile,
ma non impossibile.
Così, senza esitazione, afferrò
l’enorme felpa di Tom e se la infilò. Era talmente
lunga che quasi le arrivava alle caviglie. Ridacchiò, e
ricominciò la sua maniacale pulizia.
All’improvviso, un sordo bussare alla porta la fece
immediatamente raddrizzare da sotto il tavolino, dove cercava di
ripescare un cucchiaino finito decisamente in fondo.
Si alzò lentamente in piedi, attenta. L’acqua
smise di scorrere.
Mordendosi il labbro inferiore, attese, e il bussare
ricominciò più forte.
Layla, attenta, mollò tutto sul divano e si
avvicinò circospetta alla porta, tentando di fare meno
rumore possibile.
Arrivò davanti al lucido legno, ed esitò.
Alzò una mano, indecisa se girare o no la chiave, quando...
-Tom! Tom!! Ci sei?
Tom!!!-.
STUMP!
La voce di Bill le aveva fatto fare un salto all’indietro
dallo spavento, e la sua gamba nuda aveva urtato un basso tavolino,
facendolo per poco cadere a terra.
Silenzio.
Layla era immobile, le dita ancora strette al legno del tavolo che
aveva miracolosamente recuperato prima che questo cadesse.
L’aveva forse sentita?
Lasciò con attenzione la presa, assicurandosi che il mobile
fosse di nuovo stabile, e si avvicinò di nuovo in punta di
piedi alla porta, appoggiandovi un orecchio.
Un concitato parlottare, leggermente isterico, proveniente
dall’altra parte la fece sorridere.
Dopo qualche secondo, le voci si allontanarono, insieme al rumore di
due paia di passi sulla moquette.
La ragazza si scostò, e ridacchiando divertita,
ricominciò a dedicarsi alle sue “pulizie di
primavera” decisamente fuori stagione.
Una voce, dal bagno stavolta, però, la interruppe di nuovo.
Un po’ soffocata dal pesante legno, Tom urlò:
-Layla?! Hanno bussato?-.
La ragazza scorse qualcosa sul pavimento, scivolata chissà
quando sotto la porta. Gli fluttuò accanto con
grazia, prendendo il messaggio di Bill tra due dita, lo lesse
con un sorriso crudele stampato in viso. Poi, cercando di rendere la
sua voce il più candida e sincera possibile,
strillò in risposta alla porta del bagno:
-No, no, ti devi essere
sbagliato! Non è venuto nessuno...-, e
passò davanti ad una finestra aperta, nascondendo in una
tasca della felpa il biglietto accartocciato.
-----------------------------------------------------------*
Poco prima.
Tom si sedette sulla vasca, mentre il forte getto d’acqua
rimbombava e rimbalzava sulle bianche pareti del bagno, facendo
scoppiare di dolore la testa del ragazzo.
Ansimava, e si teneva una mano sulla fronte sudata.
‘Per la prima
volta nella sua vita non ne aveva avuto il coraggio. Lui, Tom Kaulitz,
si era tirato indietro nel mezzo del suo gioco preferito...
perché?!’
Si teneva la testa fra le mani e ancora reprimeva la voglia di
vomitare.
Stava male, molto male.
‘Era
impossibile che il suo rifiuto, per quanto inaccettabile alla sua mente
confusa, si fosse trasformato in un così acuto dolore
fisico...’
Non ce la fece più. Cadde in ginocchio, tremante, e
vomitò nel water. Sperò solo che il fragore
dell’acqua coprisse il rumore dei suoi conati.
‘No,
probabilmente solo la rinuncia non riusciva a spiegare il motivo del
suo malessere... Cos’era, allora?!’
Tom mise a tacere a forza quella vocina nella sua mente.
Si rialzò, pallido come un cencio, e si asciugò
la bocca, scosso da incontrollabili brividi di freddo. Si
aggrappò alla vasca e si risedette sullo scivoloso, bianco
bordo.
L’acqua era quasi arrivata al limite, fra poco avrebbe
strabordato...
Allungò un braccio tremante, e tentoni riuscì a
trovare l’interruttore.
Il getto si interruppe. Silenzio.
Alzò la testa. Le pareti oscillavano e la lampada sul
soffitto ballava la sua folle danza.
Chiuse gli occhi respirando a fondo. Adesso si sentiva un po’
meglio, la nausea era passata, sostituita da un forte senso di
stordimento.
Si alzò in piedi, tenendosi al termosifone, e
continuò a respirare forte e profondamente per qualche tempo
ancora.
Dato che non gli veniva più da vomitare, si
spogliò definitivamente, e aggrappandosi saldamente al bordo
per non mettere alla prova il suo fragile equilibrio, si immerse
nell’acqua saponata.
Con un sospiro, si distese, lasciando fuori solo la testa, e chiuse gli
occhi.
Cominciava a rilassarsi, infine.
“Sì,
forse è per questo... Ero troppo teso... Adesso
devo solo rilassarmi... rilassarmi... lasciarmi andare...”,
pensò Tom scivolando in un gradevole, momentaneo oblio.
All’improvviso, però, un sordo bussare e delle
urla in lontananza lo ridestarono da quel piacevole dormiveglia.
Il ragazzo alzò la testa, forse troppo bruscamente,
perché ricominciò a girare e dovette tenersela
stretta tra le mani insaponate per non perderla.
Si drizzò a sedere stringendo i denti per rimanere il
più lucido possibile, e tese le orecchie, mettendosi in
ascolto: nulla. Gli era sembrato di udire il suo nome...
Aspettò qualche secondo, poi, accigliato, urlò
all’altra stanza:
-Layla?! Hanno bussato?-.
Attese. Poi, un po’ soffocata, la delicata, argentina voce
della ragazza gli strillò di rimando:
-No, no, ti devi essere
sbagliato! Non è venuto nessuno...-.
Tranquillizzato, Tom riappoggiò lentamente la testa e chiuse
ancora gli occhi.
I rasta, raccolti nella sua solita coda alta, gli davano fastidio.
Allungò una mano e sciolse piano il legaccio, lanciandolo
lontano.
I dread ricaddero come innocui serpenti facendo un rumore sordo sulla
candida ceramica.
Il ragazzo se li sistemò meglio dietro la nuca, poi
scivolò ancora più a fondo nell’acqua
saponata, e serrò le palpebre contro la forte luce che gli
feriva gli occhi.
Un sospiro, lungo, prolungato. Aria dentro. Pausa. Aria fuori. Calma.
“... solo
rilassarmi... lasciarmi andare... rilassarmi...
rilassarmi...”.
E cullato dolcemente da quell’innaturale senso di spossatezza
e nausea, Tom si addormentò, il viso sereno delicatamente
accarezzato da acqua calda e ipocrisia.
***** Bill colpì con il pugno chiuso la porta di legno.
TOC TOC!
Nessuna risposta.
Riprovò, un po’ più deciso.
TOC TOC!!!
Ancora nulla.
Forse Tom faceva solo finta di non sentire...
Prese fiato e urlò:
-Tom! Tom!! Ci sei?
Tom!!!-.
Appoggiò un orecchio alla porta, tentando di percepire
attraverso l’impenetrabile legno un movimento, un sussurrio,
un qualcosa che potesse tradire la presenza di qualcuno, lì
dentro.
Poi, un rumore, soffocato ma chiaro. Qualcosa che urta contro un
mobile. Bill tese ancora di più le orecchie. Non aveva
sentito lo schianto a terra. Evidentemente l’oggetto era
stato trattenuto.
Si scostò, e alzò di nuovo il pugno, pronto a
bussare fino allo sfinimento, quando...
-Bill!!-.
Il ragazzo si voltò, e si ritrovò davanti Jade,
arrivata di corsa, i capelli ancora un po’ spettinati,
completamente vestita e assolutamente confusa.
-Bill! Cosa succede?
Perché sei scappato via così?-.
Bill si guardò evasivamente attorno, in cerca di un
suggerimento nei muti quadri e nelle immutabili pareti. Non
trovò niente, così dovette voltarsi di nuovo
verso la ragazza, che teneva le mani sui fianchi ed un’aria
indispettita sul volto.
Bill prese e fiato, e parlando il più piano possibile,
cominciò:
-Senti Jade...-.
La ragazza dovette avvicinarsi per capirlo. -Tom... non so se lo è
già, ma probabilmente finirà nei guai molto
presto! Dobbiamo trovarlo prima che questo accada... Ti prego, non mi
guardare così, ti dirò tutto dopo!-,
supplicò Bill vedendo che Jade, testarda, stava per
ribattere. - Adesso
andiamo! ... Per favore!!-, aggiunse vedendo che la
ragazza non si muoveva.
Lei sospirò, e disse, rassegnata:
-Vado a prenderti la
giacca...-.
Bill sorrise, grato, e prima che i jeans scuri di Jade sparissero oltre
la porta ancora aperta della loro stanza, le chiese a mezza voce, da
lontano:
-Prendimi anche una penna
e un foglio, per favore!-.
La mano della ragazza si agitò dietro di lei per far
intendere che aveva capito.
Tornò due minuti dopo con tutto il necessario.
Passò il giubbotto di pelle a Bill e lei si
infilò il suo più anonimo piumino. Poi
tirò fuori dalla tasca un biglietto e una penna;
passò anche quelli al ragazzo.
Bill la ringraziò, poi si mise sotto la debole luce di una
lampada di cortesia e, mettendosi la lingua fra i denti per la
concentrazione, scrisse in una scrittura un po’ tremolante il
suo messaggio per il gemello, quando questo sarebbe tornato.
Poi, con cautela, lo infilò lesto sotto la porta, attento a
non farlo scivolare troppo in là.
Si raddrizzò, sbatté un po’ le mani
l’una contro l’altra per liberarsi dalla polvere ed
esclamò:
-Ecco fatto! Ora
usciamo...-.
E prendendo la mano della ragazza, cominciò a correre lungo
il corridoio deserto, alla ricerca di un fratello e di un forte,
incontenibile senso di colpa.
Fuori, all’aria aperta.
Bill e Jade arrivarono di corsa sul marciapiede deserto davanti
all’hotel.
Rimasero qualche minuto a riprendere fiato, poi Jade
domandò, ansimando:
-... E adesso? Dove
andiamo a cercarlo?-.
Bill si voltò, con il respiro affannoso, e un lieve
pizzicore di avvertimento gli salì alla nuca quando
guardò verso l’alto, verso le finestre del primo
piano.
-...Bill?-.
Il ragazzo scacciò in fretta quella sgradevole sensazione, e
si voltò, cominciando a camminare lungo il marciapiede vuoto.
Jade gli corse dietro.
- Sai già dove
potrebbe essere Tom?-.
Bill, continuando a camminare, si girò verso di lei, e con
un sorriso amaro teso sul suo pallido volto, sussurrò solo:
-Non ne ho la minima
idea...-.
E riprese ad avanzare nella notte, seguito dalla magra figura di Jade.
“In die Nacht”... Sì, stava inoltrandosi
nella notte... e adesso era proprio da solo...
________________________________________________________________________________________________________________________
Che vi avevo detto?! Tom, il casinista n° 1, è nei
guai... Grossi, ENORMI guai... Riusciranno Bill e Jade a tirarlo fuori
da quella viscida e soffocante spirale di sotterfugi e bugie nella quale
si è attorcigliato?
Per saperlo... leggete il prossimo capitolo!!! *Me è
abbastanza sadica...*
Auf Wiedersehen, popolo! ^^
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Capitolo 23 *** _Pizza e Bar_ ***
Nel dormiveglia qualunque pensiero si annulla. Preoccupazioni? Dubbi?
Paure? Tutto scompare in un delicato oblio. Il perfetto equilibrio...
Tom riemerse sputacchiante e senza fiato, aggrappandosi tentoni alla
vasca, spruzzando acqua saponata tutt’intorno. Si
rizzò a sedere, respirando avidamente l’aria
fresca che da un bel po’ si era inconsciamente negato, e
passandosi una mano sugli occhi per tornare a vedere, sbatté
le palpebre, ansimando.
Si guardò intorno. Era nello stesso, freddo bagno che
l’aveva accolto qualche minuto fa, e si trovava nella
medesima vasca candida, accarezzato allo stomaco da acqua ormai
tiepida.
Chiuse gli occhi, intontito, e realizzò
l’accaduto: si era addormentato, e probabilmente era
sprofondato sotto il livello dell’acqua, rimanendo in
involontaria apnea per chissà quanto, finché non
aveva, evidentemente, più resisto, e si era risvegliato
bruscamente.
Se non si fosse ridestato, in poco tempo sarebbe morto annegato...
Tom rimase ad ingoiare aria finché i suoi polmoni non furono
pieni e riuscì a smettere di ansimare; dopodiché
si alzò, un po’ insicuro sulle gambe, e dopo
essersi frettolosamente asciugato, si avvolse un asciugamano bianco
alla vita.
Aprì la porta e rimase un momento interdetto sulla soglia:
il contrasto fra la luce accecante della stanza precedente e la
semioscurità del salotto lo costrinsero a sbattere le
palpebre più volte finché il suo sguardo non si
fu abituato.
Poi, la vide. Lei.
Le gambe e le braccia quasi sfolgoranti
nell’oscurità e il luccichio dei suoi occhi chiari
gli tolsero il fiato. Lo aspettava, seducente e predatrice, indossando
ancora la sua larga felpa. La visione delle labbra morbide incurvate in
un seducente sorriso lo eccitava, ma quella notte non era quella giusta
per lui.
Tom si sfregò mesto il collo, e guardando con aria di
supplica Layla, dichiarò:
-Scusa piccola, stasera
non è aria...-.
Layla sgranò gli occhi, sbalordita, poi si alzò
in piedi, irritata, e sbottò:
-Come ‘non
è aria’?! Non puoi trattarmi così! Ho
aspettato che tu finissi il tuo maledetto bagno, ho preparato e pulito
la stanza-, e indicò tutt’attorno.
Tom si accorse solo allora delle tante candele rosse su ogni mobile. -... e tu mi dici solo
‘...’!-.
-Senti, bella, non te
l’ho mica chiesto io!!-, la interruppe Tom,
scocciato, lanciandole uno sguardo di puro fuoco che la
paralizzò. La testa gli faceva un male cane, e nelle
orecchie sentiva un ronzio più che fastidioso.
Lei si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo umido.
Tom capì di essere stato troppo sgarbato. Tentò
di rimediare in qualche modo:
-Senti... Vuoi...? Ti
accompagno a casa...-.
Layla annuì, seria, e senza una parola, cominciò
a mettere tutto in ordine.
Tom iniziò invece a rivestirsi silenziosamente, e quando
rimase a torso nudo, si voltò e sussurrò:
-Ti spiace?-,
tendendo una mano alla ragazza con un cenno alla sua felpa.
Lei, con uno sguardo duro come marmo, si spogliò e gliela
lanciò, furibonda. Tom non si risparmiò di certo
uno sguardo al suo bel sedere.
Quando tutto fu in ordine, Tom si avvicinò alla porta e
girò la chiave, aprendola. Uscì fuori nel
corridoio deserto con Layla al seguito, imbronciata, e per poco non si
scontrò con un ragazzo alto e un po’ cicciotto,
con un lungo naso adunco che lo faceva vagamente assomigliare ad un
corvo, il viso costellato di lentiggini e brufoli.
-Ups!-,
esclamò quando per poco un giovane coi rasta non lo
investì. Dedicò un ampio sguardo di approvazione
alla brunetta dietro di lui, e solo quando la coppia lo ebbe superato,
si riscosse. Trafficò un po’, poi tirò
fuori da un’enorme tasca degli immensi jeans un foglietto
tutto spiegazzato, e chiese con una vocetta acuta:
-Scusate, siete della
camera 329?-.
Tom si voltò, scocciato, e alzando un sopracciglio,
ribattè, indicando la porta dalla quale era appena uscito:
-Dì, ma sai
leggere?-.
Il ragazzo arrossì violentemente dopo che si accorse del
vistoso numero stampato su una targhetta dorata, ma si riprese quasi
subito:
-Scu-scusatemi... Siete
voi che avete ordinato due pizze? “Salamino
piccante” e “Delicata”, mi pare...-,
balbettò controllando ancora il foglietto unto, tenendo
contemporaneamente due pizze in bilico su una mano, comparse forse
magicamente.
Tom ricordò dell’ordinazione fatta per telefono
poco prima, guardò in tralice Layla, che pareva aver
rammentato la stessa cosa, e sorrise:
-No, mi spiace, devi aver
sbagliato camera... Prova a quella affianco!-,
indicò Tom ghignando, e presa per mano Layla, corsero fuori,
lasciando perplesso il ragazzo-corvo, che diligentemente, si
avviò a bussare alla stanza seguente, terrorista degli
innocenti sogni altrui.
I due ragazzi, tenendosi per mano, sbucarono fuori ancora ridendo dello
scherzo giocato al povero fattorino e l’aria fredda della
notte li investì improvvisa, senza chiedere il permesso.
Tom rivolse un sorriso luminoso alle stelle, e un altro ancora
più grande alla ragazza che gli stava a fianco. Si
guardarono negli occhi qualche secondo, finché
un’altra folata di vento non li cominciò a
sospingere delicatamente verso l’albergo, invitante. Tom si
schiarì la voce, in imbarazzo, e senza lasciarle la mano,
prese ad accompagnare Layla al garage dell’hotel.
Tirò fuori il telecomando dalla tasca, sollevò la
saracinesca ed eccola lì, il suo vero amore.
-Ciao, tesoro mio!-,
flautò Tom lasciando immediatamente la presa sulla ragazza,
e si fiondò a dare pacchette affettuose al cofano lustro
della sua Cadillac.
Layla sorrise incrociando le braccia sul petto, e quando finalmente le
effusioni amorose di Tom cessarono, si avviò a prendere
posto sull’ampio sedile anteriore dell’auto.
Chiuse la portiera facendola sbattere.
-Attenta! Non essere
così brusca con Cilla!-, la
rimproverò il ragazzo mettendo in moto. La macchina fece le
fusa, obbediente, e accese i suoi grandi occhi per illuminare la via da
percorrere.
Layla sbuffò forte dal naso e trattenendosi dal ridergli in
faccia, domandò a Tom in un ghigno:
-Cilla? Le hai anche dato
un nome?!-.
-Ma certo! Hai mai
provato a chiamare un cane solo “cane”? E un gatto
solo “gatto”?-.
-Sempre-.
-Be’, ci
potrebbero essere mille gatti che accorrerebbero quando tu li chiami
così! E invece il mio tesoro si deve distinguere dalle altre
macchine!-, illustrò pomposamente battendo i
pollici su volante.
Layla era seriamente combattuta tra lo scoppiare a ridere e al rimanere
ammutolita per non prendere troppo in giro il ragazzo. Scelse un
compromesso:
-E perché
proprio “Cilla”? Non dà l’idea
di... una salsa piccante?-.
-Guarda che quello
è il chilly! E comunque Cilla è il diminutivo di
Cadillac, no?-.
Layla lo guardò di sottecchi, il viso illuminato a tratti
dalle luci soffuse dei lampioni, e borbottò soltanto uno: -Se lo dici tu...-.
I minuti passarono in silenzio, tranquilli, senza bisogno di troppe
domande o di assordanti risposte. All’improvviso la voce
profonda di Tom ruppe la bolla di pace, e chiese:
-A proposito, non ti ho
ancora chiesto dove abiti...-.
-Avevi mai intenzione di
farmela questa piccola domanda?-, lo schernì
Layla, ricevendo in risposta una linguaccia.
-Be’, a questo
incrocio giri a destra, poi vai dritto una centinaia di metri e infine
giri a sinistra...-.
-È vicino a
quel pub, no?-.
Layla annuì. Tom annuì, ricordando quante volte
ci era passato, per quel piccolo bar, a quante facce conosceva. E
soprattutto, a quanti corpi...
Ovviamente non espresse ad alta voce i suoi pensieri, e
continuò a guidare, sciolto e rilassato, giocando un
po’ con il freno e l’acceleratore. Nonostante la
sua espressione fosse serena, alla luce dei fanali delle altre auto uno
strato di sudore freddo sulla fronte riluceva e un dolore incentrato
alle tempie, invisibile, gli perforava però il cranio.
-Bill, fermati un
momento!-, esclamò ansimando Jade.
Bill rallentò, e rimase ad aspettare la ragazza piegata
mentre cercava di riprendere fiato. Tornò lentamente sui
propri passi, e con un po’ di fiatone si chinò a
sussurrare a Jade:
-Tutto bene?-.
Lei si raddrizzò, e respirando affannosamente, disse:
-Bill, tutto questo non
ha senso! Tuo fratello potrebbe essere dovunque! Lui ha la macchina e
noi siamo appiedati! Che possibilità abbiamo di trovarlo?-,
domandò allargando le braccia, come a comprendere
l’intera Germania.
-Non è colpa
mia se non ho la patente!-, ribattè Bill
incrociando le braccia sul magro petto.
-Di certo non
è colpa mia se ti sei fatto bocciare all’esame!-,
sibilò velenosa Jade di rimando.
L’aria gelida di Dicembre spazzava la strada e divideva come
un coltello i due ragazzi. Il marciapiede buio illuminato fiocamente
dalle luci dei pochi negozi ancora aperti era costellato di inquietanti
ombre: normali oggetti di vita quotidiana, lì, parevano
prendere vita sotto forma di serpenti, mostri e
quant’altro.
Bill sospirò, e in un mormorio disse:
-Non serve a niente
litigare... Dobbiamo trovare Tom-, e presale la mano,
ricominciò a tirare con impetuosità Jade fra
ombre e paure. Lei, però, si ribellò:
impuntò i piedi a terra e facendo il broncio,
esclamò:
-Io non vado
più da nessuno parte se tu non mi dici che diamine sta
succedendo!-.
Bill sospirò di nuovo, e voltandosi lentamente verso la
ragazza, sembrava molto più vecchio di quello che era.
-Senti, Jade, adesso non
c’è tempo... Ti spiegherò tutto
più...-.
-No, io voglio saperlo
adesso! Sono stufa di correre di notte di ristorante, in bar, in
bettole di ogni genere per... qualcosa che non so e che forse non mi
interessa!-.
Bill sgranò gli occhi lasciando cadere la propria mano lungo
il fianco:
-Non ti importa di Tom?
Se sta bene o è in pericolo di vita per te è la
stessa cosa?!-.
Jade si morse il labbro inferiore, ferita, e abbassando lo sguardo
mormorò ad una lattina vuota ai suoi piedi:
-...No, certo che no...-.
-E allora devi fidarti di
me!-, la incitò Bill, a metà tra
l’esasperato e il supplicante.
Jade alzò lo sguardo dispiaciuto sulla mano che il ragazzo
le tendeva, ed esitò.
-Jade...-.
Lo sguardo dorato si fissò su quello nocciola. -Tu ti fidi di me?-.
Jade trattenne il respiro, e mentre gli occhi le si riempivano di
lacrime, sussurrò:
-...Sì...-.
Due mani si strinsero nuovamente, le dita insensibili per il freddo di
nuovo miracolosamente calde. Jade si asciugò gli occhi, e
con un sorriso, riprese a marciare dietro a Bill nella notte.
-Un’ultima
tappa, poi torneremo in albergo e proveremo in qualche altro modo...-,
urlò Bill scivolando fra bidoni della spazzatura e ombre
inconsistenti. In quel momento più che in qualunque altro,
rimpianse di non aver pensato a portare con sé il cellulare.
-Dove intendi andare?-,
strillò Jade contro il vento che le riempiva la bocca e le
faceva lacrimare ancora gli occhi.
La voce di Bill, portata dalle potenti folate, le arrivò
forte e chiara alle orecchie, come se le fosse accanto, e non davanti:
-Un pub, poco
più avanti. Tom ci ha passato molte delle sue serate... Non
resta che incrociare le dita...-.
-Grazie mille, Tom-,
disse con un sorriso Layla slacciandosi la cintura di sicurezza. Tom
girò la chiave e l’auto si spense.
-E di che?-,
mentì lui, mentre una fitta più forte alla testa
lo stordiva per un momento. Si stropicciò distrattamente la
fronte, e aspettò sorridente che Layla scendesse
dall’auto per tornare finalmente alla pace della sua stanza,
solo. Lei però lo fissò negli occhi, e con un
lampo stuzzicante nello sguardo domandò, euforica:
-Perché prima
di andare non ci facciamo una birra? Il pub è qui vicino...-,
e lo indicò con un pollice dall’unghia smaltata di
nero. La cosa lo tentava, ma...
-No, Layla. Sono stanco,
e poi devo guidare...-.
Ma lei lo stava già liberando dalla sicura morsa della
cinghia e lo strattonava impaziente:
-E dai, Tomi! Un
bicchiere solo! Guarda che non è bastato accompagnarmi a
casa per farmi dimenticare di come mi hai trattata!-,
supplicò Layla giocando con il suo irresistibile sguardo
bagnato. Tom sospirò, e fra gli enormi sorrisi della
ragazza, sbottò, contrariato:
-Va bene... ma solo una!-.
Layla quasi non lo sentì perché era corsa fuori
(sbattendo la portiera) e gli bussava sul vetro del finestrino per
incitarlo a scendere.
Tom spalancò lo sportello scaraventandosi sul duro
marciapiede, e atterrito, sbraitò:
-No, Cilla!-.
Layla rise, e impedendogli di controllare i “danni”
lo trascinò verso la porta scrostata di un bar
dall’aria squallida.
Spinse la porta, e stringendogli il braccio, spuntarono in un locale
dall’aria trasandata, e per questo, speciale.
La coppia si diresse senza indugio al bancone semivuoto, e sedendosi su
uno scassato sgabello girevole, Layla chiamò allegramente il
barista:
-Mi scusi... salve,
vorrei un vodka alla pesca!-.
-Avevi detto birra!-,
le sibilò all’orecchio Tom, accigliato.
-Sì, ma
perché non approfittarne?-, rispose lei,
divertita.
Tom, tuttavia, ordinò solo la sua birra.
All’improvviso, una voce argentina, acuta, gli
perforò i timpani:
-Ehi, ma guarda chi si
vede!-.
Tom per poco non si strozzò con la sua bibita, e quando ne
riemerse, sputacchiante, quasi gli prese un infarto: Giusy, i capelli
biondi raccolti sulla testa lo fissava sorridente.
-T-tu qui?!-,
tossì il ragazzo.
-Sì, Tomi!
È un bar pubblico, sai!-, lo derise lei.
-Ciao Giusy!-,
strillò Layla sopra il fragore della musica, e la testa di
Tom, che si trovava nel mezzo tra le due donne, chiese pietà.
Giusy ricambiò il saluto e si sistemò su un
traballante sgabello, iniziando a parlare fitto fitto con
l’amica, Tom che assisteva impotente.
Mentre sorseggiava la sua birra, la porta si spalancò. Tom
si voltò, annoiato, e un altro infarto minacciò
di colpirlo. Stagliato contro il nero velluto della notte, Bill, suo
fratello, e Jade, osservavano il locale da cima a fondo. Cercavano
qualcuno. Cercavano lui.
I due ragazzi entrarono, chiudendosi la porta alle spalle, e si
avviarono verso il bancone, mezzi nascosti da un branco di bassi
tavolini. Tom non riuscì a voltarsi. In un momento, quasi
come in un sogno, gli occhi nocciola di Bill si fissarono sui suoi.
Bill si immobilizzò. Jade anche.
In quel momento anche Giusy si girò, puntando lo sguardo
curioso sulla coppia appena entrata.
Bill, ormai a pochi passi da loro, impallidì.
Poi, accadde tutto come al rallentatore.
Bill corse in avanti, l’espressione vuota e
risoluta, e levò una mano. Vicino, sempre
più vicino. Tom ne distinse il neo sotto al labbro, e poi...
SCIAF!
Lo schiaffo potente risuonò in tutto il locale. Sorpresa e
paura si mischiarono. E il tempo parve fermarsi.
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Capitolo 24 *** _Perchè?!_ ***
La guancia bruciava. Le dita erano in fiamme. E nessuno se ne
preoccupava.
Tom aveva la testa voltata di lato. Bill la mano levata.
Il locale era stranamente silenzioso.
Era perché la musica assordante aveva smesso improvvisamente
di suonare?
No, non solo... Era per la tensione che si era creata, che
dilatò tempo e suoni...
Lentamente, molto lentamente, Tom trovò la forza di girarsi.
L’impronta di fuoco delle dita di Bill sulla sua guancia
sembravano pulsare come fossero vive.
Tom avvertiva il respiro affannoso del fratello poco più in
là, sopra la sua spalla, ma non riuscì a
sollevare lo sguardo.
Tremando, si portò invece una mano alla guancia, sorpreso
quasi di sentirla ardere sotto i polpastrelli sudaticci.
-Tom...-.
Il suo nome, scivolato in un soffio, come per caso, da quelle labbra
livide lo ferì più di una spada.
Timidamente, Tom alzò finalmente gli occhi, e
all’istante se ne pentì.
Bill era lì, in piedi, davanti a lui. Le braccia tese lungo
i fianchi, sulle spalle, i capelli che gli ricadevano, dolcemente,
morbidi e setosi.
Dalla sua bocca, ora rilassata, non sembrava trasparire alcuna
emozione, ma dai suoi occhi sì.
Le sue iridi nocciola erano enormemente dispiaciute, e deluse. Ed era
questo che faceva più male...
-Tom...-,
ripeté Bill, dolce e amaro allo stesso tempo.
Il rasta non riuscì a rispondere.
-Tom... Sei un idiota!!-.
Ora era la rabbia ad aver preso il sopravvento sulle mille emozioni che
agitavano nel cuore di Bill.
-Si può sapere
che... diavolo... ti è passato per quella zucca vuota che ti
ritrovi al posto della testa?! Come hai potuto uscire con... LEI!-,
e indicò Layla, che davanti al suo dito inquisitore
sembrò farsi piccola piccola. –Dopo tutto
ciò che QUELLA...-. Stavolta fu Giusy, che,
impassibile, continuò a sorseggiare il suo drink, a venir
accusata dall’indice minaccioso del ragazzo. -... dopo... dopo tutto quello che
ci ha fatto passare!! Pensavo che la nostra salute ti stesse a cuore
quanto la tua!-, urlò Bill fuori di
sé.
Cadde il silenzio, inappropriato in quel momento, quanto pesante.
Tom fissava con un’insolita concentrazione il pavimento
polveroso... Che altro poteva fare?
Rispondere a tono a suo fratello? No, o sarebbe scoppiata la terza
guerra mondiale...
Ammettere di avere torto, torto e ancora torto? Mai!! Piuttosto la
bomba nucleare!
E allora, che fare?!
Improvvisamente, Tom vide i piedi di Bill farsi avanti, uno dopo
l’altro, e sussultò, cercando di reprimere il
fortissimo istinto di darsela a gambe.
Una mano pallida e fredda, un po’ brusca, ma comunque
gentile, gli sollevò il viso.
Gli occhi di Bill, duri, irremovibili, eppure pronti a perdonare, si
fissano su quelli velati di Tom, alla stessa altezza.
-...Non ho ragione?-,
sussurrò dolcemente il moretto.
Tom sentì le lacrime premere contro gli angoli dei suoi
occhi alla ricerca della libertà, quindi si
scostò il più delicatamente possibile dalla mano
del fratello e si alzò in piedi, un po’
barcollante. Nel locale, ora esistevano solo loro due.
-Bill... Io...-, cominciò
con voce rotta. Vide un timido sorriso d’incoraggiamento
spuntare sul viso del fratello. Poi, tutto cominciò a girare
vorticosamente, e il sorriso si tramutò in una smorfia.
Tom si aggrappò al bancone, la testa spaccata in due da una
fitta di dolore quasi insopportabile che gli maciullava le tempie.
Scivolò, il legno che sfregava contro la sua guancia, e le
sue ginocchia urtarono il duro pavimento. Gli girava la testa, e
sentiva le braccia cedergli.
Un paio di mani lo afferrarono e lo trascinarono goffamente in piedi.
Un bianco viso preoccupato fluttuava davanti al suo limitato campo
visivo. E poi un altro, un altro, un altro e ancora un altro.
Diventavano uno, poi cento, poi ancora uno...
Il suo nome, lontano, svolazzava pigramente nella sue testa annebbiata:
-Tom?! Tom... Tom... Tom... Tom...-
Il ragazzo si afferrò la fronte, sussultando, e
rischiò di cadere ancora a terra. Due paia di solide
braccia, o forse più, chi poteva dirlo? lo afferrarono
appena in tempo, lo sostennero di peso, e faticosamente, lo fecero
sedere su uno sgabello.
Ombre volavano davanti agli occhi di Tom, che prese ad agitare
forsennatamente le mani davanti al pallido viso sudato, come per
scacciarle, incapace di dire alcunché.
Poi, luci come fuochi d’artificio, e girandole colorate, e
fiamme, e scacchi bianchi e neri esplosero nella sua mente.
Tom rantolò, un rivolo di bava che gli colava
dall’angolo della bocca, si strinse convulsamente la testa
fra la mani, quasi a volerla spremere per far uscire tutto, e lasciarci
il vuoto, la pace...
Un conato di vomito lo assalì, e finalmente, si
afflosciò inerte sul bancone.
------____--------_____------_____-------
Bill era terrorizzato. Aveva osservato con crescente angoscia le
terribili contorsioni del fratello, in preda a chissà quale
dolore, e ora, Tom era lì , afflosciato e immobile come una
vecchia bambola di pezza su quel maledetto bancone.
I suoi occhi ansiosi avevano fissato impotenti la sofferenza interiore
del gemello, le sue mani tremanti non avevano potuto fare altro che
sostenerlo prima che cadesse a terra, ignare che Tom era già
sprofondato molto in basso, lungo un oscuro pozzo
d’incoscienza da cui era difficile uscire.
Che cosa gli era successo? Quando era successo? E soprattutto,
perché?!
Tutte domande che non salirono mai alle labbra di Bill, spazzate via
come gocce di pioggia, o forse lacrime, da una richiesta ben
più pressante e irrazionale:
-Che cosa gli hai fatto?-,
ruggì il ragazzo, sconvolto, ad una altrettanto orripilata
Layla.
In preda alla follia, prese fra le braccia il corpo esangue di Tom e
prese ad agitarglielo davanti al viso: la testa del rasta ciondolava, e
le braccia sbatacchiavano di qua e di là, impazzite.
-Che gli hai dato?
Veleno? Droga? RISPONDIMI!!-.
Layla era aggrappata con tutte le sue forze al legno scheggiato del
bancone, quasi volesse sbriciolarlo, e il suo colorito aveva varie
sfumature che variavano da un grigio a un verde pallido. Dalle sue
labbra serrate non uscì un suono.
Bill era fuori di sé: continuava ad agitare davanti agli
occhi sbarrati della ragazza il fratello, docile come una marionetta,
finché Jade, che fino a quel momento era rimasta da parte,
in silenzio, con le mani premute sulla bocca, non prese in mano la
situazione.
Corse avanti, e strappò il fantoccio-Tom dalle mani tremanti
di Bill. Si avvicinò al moretto e gli prese con decisione il
viso sfuggente tra le mani.
-Bill... Bill...
guardami... guardami!-, supplicò con forza
aumentando la stretta.
Gli occhi nocciola del ragazzo si fissarono sui suoi, e lei si
sforzò di fargli mantenere il contatto, trasmettendogli
tutta la forza e l’intensità possibile.
-Bill, ascoltami!
Dobbiamo portare Tom all’ospedale... ora... no, Bill,
guardami!-, esclamò con forza,
poiché Bill, a quel nome, aveva di nuovo cercato con gli
occhi il fratello. Si voltò ancora, riluttante.
-Sì, dobbiamo
portarlo all’ospedale più vicino… Non
è nulla di grave, presto tuo fratello guarirà...
ma mi serve il tuo aiuto…-, proseguì
in un sussurro Jade.
L’ambra mielata delle sue iridi pareva aver ipnotizzato il
ragazzo, ancora ansante di rabbia, che ora pendeva dalle sue labbra.
-Dobbiamo prendere la
macchina di... cioè, la sua macchina... So che non hai
superaro l’esame della patente, ma devi provare comunque a
guidare… No, no tranquillo, andrà tutto bene!-,
esclamò supplicante, perché stavolta Bill aveva
tentato di sottrarsi alla sua stretta, terrorizzato.
Ristabilì il contatto.
-Devi provarci, anzi,
devi riuscirci, per il suo bene! Ma per avere almeno una piccola
possibilità di farcela, devi calmarti... Fai un respiro
profondo...-, mormorò dolcemente Jade.
Bill la fissò per un momento, vacuo, poi chiuse gli occhi e
inspirò intensamente.
-Sì, esatto,
bravo... Un altro…-, sussurrò la
ragazza sorridendo.
Bill espirò, poi inspirò, ancora più a
lungo.
Jade fece scivolare lentamente via le mani dalle guance arrossate del
ragazzo, lasciandogli prima una dolce carezza, e Bill parve rilassarsi
completamente.
Riaprì gli occhi, e lanciò un’occhiata
di gratitudine a Jade prima di affilare lo sguardo mentre si rivolgeva
alle due ragazze sedute al bancone:
-Ora non ho tempo, ma la
prossima volta che ci rivedremo faremo i conti... So che siete state
voi, e me la pagherete!-, sibilò minaccioso a
Layla e Giusy. –Andiamo…-,
mormorò invece a Jade mentre si caricava sulle spalle il
corpo inerme e ciondolante di Tom.
Quando furono ormai alla porta, Layla, ancora di quel malsano colore
grigiastro, si alzò barcollante, e cominciò a
seguirli frettolosamente.
Bill si voltò, e la paralizzò in mezzo alla
stanza con un’occhiata di fuoco:
-Tu non vieni con noi...
Hai già fatto abbastanza...-,
esclamò con una spaventosa voce roca. Detto questo,
aprì la porta e, insieme a Jade, scomparve nel nero
vellutato di un cielo senza stelle.
Layla, lo sguardo vitreo, rimase a fissare la porta aperta per
interminabili secondi, poi, malferma sulle gambe, arretrò
lentamente, e tornò a sedersi sullo sgangherato sgabello
girevole che aveva occupato fino a poco prima, accanto a Giusy.
Quest’ultima stava finendo di sorseggiare pigramente il suo
drink, indifferente e tranquilla.
Layla schiuse finalmente le labbra, e si voltò tremante
verso l’amica. Il suo sguardo azzurro era bagnato di lacrime
e rimorso.
Un mormorio indistinto scivolò fra le sue labbra secche e
prive di vita:
-...Perché?!-.
________________________________________________________________________________________________________________________
Hola gente! Scusate il ritardo, ma non ho potuto postare
prima...
Non ho altro da dire se non che spero che il capitolo sia stato di
vostro gradimento e che... vorrei commentaste! xD
Alla prossima! ^^
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Capitolo 25 *** _Cadillac e Taxi_ ***
Bill sbuffava e ansimava. Si era appena reso conto del peso effettivo
di Tom, che non era esattamente “leggero”!
Le gambe e le braccia gli tremavano, oppresse dal corpo inerme del
fratello, mentre il suo fiato si condensava in regolari nuvolette di
vapore, che immediatamente si perdevano in quel nero cielo di velluto.
Sorretto solo dagli incitamenti di Jade e dall’affetto per
Tom, andava avanti.
Il cammino verso l’enorme auto scura parcheggiata
sull’altro lato della strada, poco più avanti,
pareva non finire mai.
-Forza Bill, manca poco,
resisti!-, esclamava con foga Jade, che lo aspettava
già con una mano sulla portiera lucente.
Bill si fermò un momento a riprendere fiato, si
risistemò meglio sulle spalle il corpo di Tom, che fece
sbatacchiare qua e là le braccia, poi inspirò
profondamente e riprese la sua marcia.
Infine, la sagoma mastodontica della Cadillac gli si parò
davanti, e Bill rese mentalmente grazie a chiunque ci fosse
lassù.
-Jade, puoi prendere tu
le chiavi? Sono un pochino incasinato…-, chiese
Bill, ironico, voltandosi in modo che la ragazza potesse frugare nelle
tasche di Tom.
E così Jade fece.
Arrossendo leggermente nell’ombra, prese ad esplorare con le
mani delicate le infinite tasche di Tom, trovando infine le chiavi
dell’automobile.
La Cadillac fece le frecce due volte quando Jade schiacciò
il tasto di apertura, poi si chetò, immobile e mansueta come
uno smisurato cane con le ruote.
La ragazza aprì la portiera posteriore sinistra a Bill, che
scaricò con uno sbuffo il fratello sul sedile, gli
legò la cintura di sicurezza e richiuse lo sportello con uno
schianto secco.
Batté le mani l’una contro l’altra, poi,
evitando di guardare la ragazza che senza una parola gli porse le
chiavi, prese lo slancio e montò al posto del guidatore.
Un momento dopo, Jade era al suo fianco. Si mise velocemente la
cintura, poi si girò a guardare Bill. Il ragazzo aveva tutti
i muscoli tesi e lo sguardo sbarrato e fisso davanti a sé;
le sue nocche erano bianche da tanto forte stringeva il volante. Pareva
aver perso la consapevolezza di un corpo e di una lingua.
Jade gli posò una mano sulla guancia, facendogli voltare la
testa rigida.
-Devi farlo…-,
mormorò con decisione guardando intensamente i begli occhi
spaventati del ragazzo.
Bill sospirò, a fondo, batté più volte
le dita sul volante tentando di prendere tempo, e infine
infilò la chiave nell’apposita fessura.
VRUUMMM!
La Cadillac sembrò risvegliarsi di soprassalto e iniziare a
fare le fusa, attendendo di ricominciare ad ingoiare la strada.
Tremando dalla tensione, Bill inserì la marcia e premette
con prudenza l’acceleratore. L’auto
schizzò in avanti. Poi frenò.
Bill, pallido come un lenzuolo e con la fronte ricoperta di fredde
goccioline di sudore, era disperatamente aggrappato al freno a mano.
Si voltò a guardare Jade, disperato, ed esclamò:
-Non posso farlo! Non ci
riesco, non ce la faccio! Non ho superato l’esame, non posso
guidare! È illegale, per di più!-,
strillò istericamente agitando le braccia.
Jade sospirò, affranta, e chiuse gli occhi.
Rimase immobile nella medesima posizione svariati minuti, sembrava si
fosse addormentata.
Improvvisamente, sollevò la testa e parlando lentamente,
annunciò:
-Guido io,
allora…-.
-Egh! S- scu-u-sa la
do-do-domanda… Qua-qua-qua…-.
-Non fare la papera!-.
-J-Jade… Ma
qua-quanti anni hai?!-.
La ragazza non rispose subito. Con la lingua fra i denti,
schivò agilmente un’auto un po’ troppo
giudiziosa, il cui proprietario si attaccò immediatamente al
clacson, e continuando a percorrere la strada a zig-zag, quasi fosse
ubriaca, fece una curva a gomito che per poco non li fece andare
addosso a un lampione solitario. Bill trattenne a stento uno strillo,
ma niente accadde.
La Cadillac si rimise semplicemente in carreggiata con qualche
scossone, e il marciapiede riprese a scorrere tranquillamente accanto a
loro.
Gettandosi una ciocca ribelle dietro la testa e senza staccare lo
sguardo dalla strada, Jade finalmente rispose:
-Ho sedici anni, quasi
diciassette a Marzo…-, annunciò
tranquillamente.
Bill, abbarbicato al sedile e alla maniglia sopra la portiera,
impallidì incredibilmente in fretta.
-Se-se-sedici?! E come
fai a saper guidare?!-, chiese flebilmente, stupito.
-Oh, mamma lo fa
centinaia di volte… Ho copiato da lei...-,
ribattè Jade ridacchiando leggermente.
Attaccandosi alla sola forza di volontà, Bill
riuscì a non svenire, e finalmente, la bianca e squadrata
sagoma dell’ospedale si parò in contrasto con il
cielo di pece.
Il parcheggio era semivuoto.
Jade si fermò con un testacoda impressionante occupando tre
parcheggi, e lasciando l’auto incurantemente di traverso,
ritirò le chiavi e scese con un balzo dall’auto.
Dopo aver chiuso la portiera, alzò le braccia in alto,
stiracchiandosi, ed esclamò:
-Fiuuu… Che
tesa che ero! Avevo proprio paura di non farcela! Per fortuna
è andato tutto bene, non è vero Bill?
…Bill?!-, chiamò guardandosi attorno.
In quel momento, Bill apparve, sconvolto e barcollante, da dietro la
Cadillac, appoggiandosi a qualunque cosa gli capitasse sottomano.
Arrivò davanti a Jade e si sedette pesantemente a terra,
mettendo la testa tra le ginocchia e continuando a ripetere
ossessivamente: -Mai…
mai… mai più… mai…-.
Jade gli si accovacciò accanto, premurosa, e circondandogli
le spalle con un braccio, domandò:
-Bill? Ma ti senti bene?
Posso fare qualcosa?-.
-Sì…-.
La voce roca e acuta di Bill arrivò soffocata ma ugualmente
perentoria.
Sollevò la testa asciugandosi il sudore dalla fronte, e
fissando negli occhi la ragazza, continuò:
-Per il ritorno,
chiamiamo un taxi!-.
I due ragazzi erano stati ricevuti immediatamente. Il nome
“Kaulitz” apriva ogni porta.
Un medico molto anziano, dall’aria austera e fragile,
arrivò quasi veleggiando da loro.
Il suo corrucciato sguardo azzurro aveva scrutato con attenzione prima
Jade, leggermente in soggezione nonostante la minuta corporatura
dell’ometto, e poi Bill, che si era subito affrettato a
raccontare l’accaduto. Infine, si era rivolto a Tom,
provvidenzialmente adagiato su un divanetto nella sala
d’attesa da una diligente infermiera: le ginocchia di Bill
non avrebbero retto ancora per molto!
Con un cenno al dottore di passaggio, il medico aveva fatto stendere il
corpo inerme del rasta su un lettino, che aveva spinto con
un’insolita energia nella stanzetta dalla quale se
n’era venuto, senza mai dire una parola.
Capendo di dover aspettare, i due ragazzi si sedettero sul divanetto,
ora vuoto, e chi con la testa fra le mani, chi con le gambe e le
braccia incrociate, aspettavano.
Diversi pensieri affollavano la mente di Bill: cosa era successo al suo
Tomi? Come? Perché proprio a lui? E chi era stato? Sempre se
di avvelenamento si trattava… In questo caso ce
l’aveva un’idea in proposito… E se
invece fossero state cause naturali? Una malattia o chissà
altro? No, no, impossibile… Sicuramente,
avvelenamento…
In quel momento, la porta immacolata si aprì ancora,
sbatacchiando e spandendo nell’aria un forte odore di alcool.
Bill e Jade storsero il naso.
Il piccolo medico arrivò, sempre fluttuando, davanti ai due
ragazzi, che per buona educazione si alzarono, e l’ometto
dovette inclinare indietro la testolina dai soffici capelli cotonati.
Si tolse un paio di guanti di gomma, e parlando con una vocetta acuta e
raschiante, annunciò:
-Bene, signori... Il
vostro amico è stato drogato-.
Bill scoccò un’occhiata da ‘te
l’avevo detto’ a Jade, che scrollò solo
le spalle e gli fece cenno di tacere.
-Gli è stata
somministrata una droga con una specie di “effetto
ritardato”, che aveva il compito di stordirlo e addormentarlo
durante uno specifico momento. Dobbiamo agire con una lavanda gastrica,
ripuliremo ogni traccia della sostanza, ma il signor…-,
e controllò velocemente una cartella clinica. -…Kaulitz,
dovrà rimanere nostro ospite per qualche
giorno…Si rimetterà…Andate a casa, ora-,
aggiunse in risposta alla muta domanda che galleggiava
nell’aria.
Un unico sospiro di sollievo percorse i due ragazzi, che, non appena lo
scocciato dottore scomparve dietro un angolo, si abbracciarono a
vicenda.
Bill, fra le braccia rassicuranti di Jade, chiuse gli occhi,
immaginando di tornare piccolo, e mormorò fra i capelli
odorosi di lei:
-È un sollievo
sapere che sta bene… Sai, per un attimo ho avuto paura di
perderlo…-.
Di rimando, Jade accarezzo teneramente la testa di Bill, e gli
sussurrò dolcemente all’orecchio:
-Non è
successo niente… Tomi sta bene, fra pochi giorni
potrà perfino tornare a casa… Va tutto
bene…-.
Ed entrambi si staccarono, un sorriso di speranza che illuminava i loro
volti stanchi.
Mano nella mano, uscirono, promettendo mentalmente a Tom di tornare
l’indomani. Bill si asciugò una lacrima.
Arrivarono al parcheggio, e rinfrancati, respirarono l’aria
fredda e pulita della notte.
La Cadillac li aspettava, mansueta, a fanali spenti e innocua, ma Bill
prese velocemente per il braccio Jade e la trascinò dalla
parte opposta, verso un telefono pubblico.
Si frugò nella tasca ed estrasse con un sorriso qualche
monetina.
Le infilò nella fessura e compose velocemente un numero.
-Hallo? Ehm, sarebbe
possibile mandarci un taxi all’ospedale…
sì, quello…fra dieci minuti? Molto bene! Danke!-,
e chiuse la chiamata.
-Fra dieci minuti vengono
a prenderci!-, annunciò con un sorriso a Jade.
-Lo so, ho
sentito…-, ribattè acidamente lei.
-Cosa
c’è?-, chiese Bill, stupito del suo
atteggiamento.
Jade sbuffò, e sbottò:
-Se non ti piace come
guido basta dirlo!-.
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Capitolo 26 *** _A Fantastic Life_ ***
Due fari apparvero improvvisamente davanti a loro, incendiando la
notte. Si muovevano velocemente, bagnando di luce i contorni di alberi
e case e strade.
Erano vicini, sempre più vicini...
Bill e Jade si voltarono velocemente, e sgranarono gli occhi.
Poi, lo stridio di una brusca frenata e un tonfo raccapricciante
gelarono le stelle.
-Ehi, fai più
attenzione!-.
Il tassista si tolse la sigaretta di bocca e scocciato,
esalò lentamente il fumo fuori dal finestrino, in faccia al
ragazzo, che tossì e si allontanò velocemente.
-Scusa, ragazzino...-,
gracchiò con una brutta voce sgraziata l’uomo. Era
piccolo e tarchiato, sulla quarantina probabilmente, con due piccoli
occhi da topo incastonati in un immenso viso color terra, mal rasato e
coperto di cicatrici.
Il taxi al quale era al volante non era messo meglio: dal tubo di
scappamento uscivano strani clangori, e il colore giallo si stava tutto
scrostando.
Non era affatto il massimo, però...
Bill girava incredulo attorno all’auto che il tassista aveva
appena tamponato non avendo frenato in tempo, e non riusciva a smettere
di tormentarsi le mani.
Passava e ripassava davanti al fuoristrada nero, incapace anche solo di
sfiorare l’evidente ammaccatura, che spiccava sul parafango
posteriore come un’orribile deformazione.
Ogni tanto si passava le mani fra i capelli, e subito le lasciava
cadere facendole oscillare con rabbia. Ripeteva ossessivamente:
-Tom mi
ucciderà! Tom mi ucciderà! Tom...-.
La povera Cadillac, rassegnata, sembrava fissarlo con disperazione.
Nel frattempo, Jade confabulava animatamente con il
tassista-attentatore, il quale, infine, fece un brusco cenno con la
testa per farle intendere che aveva capito. Subito dopo, il motore di
quella sgangherata caffettiera gialla si avviava, fra rombi e
sputacchi.
Jade, con il sorriso, sul volto, si voltò:
-Bill! Vieni, torniamo in
albergo!-, chiamò vivacemente, ma quello non si
mosse, e continuò a fissare in modo assente, le spalle curve
e le gambe larghe, la recente malformazione della povera Cilla.
-...Bill?-,
invitò il più dolcemente possibile la ragazza,
avvicinandosi con circospezione.
Un mugolio uscì dalle labbra contratte del ragazzo. Jade
avanzò ancora, e finalmente poté vedere
l’espressione del moretto: Bill aveva gli occhi sbarrati, e
il suo mento tremava. Sembrava stesse per scoppiare a piangere da un
momento all’altro.
Jade, confusa, abbassò lo sguardo sul paraurti
dell’auto, e finalmente capì.
-Oh!...-,
disse soltanto.
La muta Cadillac sembrò sospirare.
La ragazza alzò di nuovo il viso a guardare quello
così delicato e allo stesso tempo forte del cantante.
Sorrise dolcemente. Che tenerezza le faceva, quando si dimostrava
così sensibile...
Lo abbracciò di slancio, insinuandosi subito nel suo
giubbotto, arrivando a quel petto dall’apparenza
così fragile che si alzava e si abbassava ritmicamente.
Chiuse gli occhi, respirando quel profumo che non aveva niente di
artificiale.
Avrebbe potuto addormentarsi, così, solo cullata dal suo
respiro...
Finalmente, Bill parve reagire a quel tenero contatto, e
abbassò il volto, sorpreso. Jade non gli diede il tempo di
dire nulla, perché si levò in punta di piedi, e
sorridendo, gli schioccò un bacio a stampo sulle labbra.
Sciolse l’abbraccio, gli prese la mano, e ridacchiando
cominciò a strattonarlo verso il taxi, che, a motore acceso,
li aspettava nel parcheggio di quell’ospedale.
-Sai, non ti credevo
così melodrammatico! Fai sempre tante scene...-,
esclamò d’un tratto Jade, sorniona, mentre apriva
la portiera.
-Che cosa?! Io non faccio
nessuna scena! Quando Tom sarà di nuovo in sesto, stai
sicura che mobiliterà l’esercito per trovare chi
gli ha graffiato la vernice!-, ribattè Bill
sistemandosi sul largo sedile anteriore.
Le portiere si chiusero all’unisono, e lo schiocco che fece
la serratura risuonò per tutto il parcheggio.
-All’albergo in
periferia, allora?-, domandò sgarbatamente il
tassista, osservandoli dallo specchietto retrovisore.
Jade e Bill annuirono, e un momento dopo, l’uomo ingranava la
marcia e partiva a razzo nella notte.
-Ma... E della Cadillac,
che ne facciamo?-, chiese sottovoce il ragazzo.
-La recuperiamo domani,
con Georg... La porterà a casa lui, e poi potremo occuparci
del danno...-, rispose saggiamente lei.
Preoccupato, però, Bill rimase a spenzolarsi dal finestrino
aperto finché l’auto sgangherata non si
lasciò alle spalle il bianco, squadrato ospedale.
“A domani,
Tomi...”, pensò il moretto
rimettendosi seduto composto con un lungo sospiro.
Per tutto il viaggio, rimase a fissare il vuoto davanti a
sé, lasciando che il vento, che fischiava addosso al taxi,
gli animasse i capelli e gli accarezzasse il viso.
Arrivarono sani e salvi (incredibilmente!) all’albergo, e
dopo essere scesi dall’auto, alzando lo sguardo
all’insegna luminosa dell’hotel, provarono una
sorta d’affetto per quel luogo, come per un vecchio amico,
quasi...
Pagarono il tassista, che intascò i solidi senza una parola,
e partì subito sgommando, lasciandosi dietro solo una scia
di smog puzzolente.
Jade e Bill rimasero a fissare per qualche secondo con sguardo vitreo
la strada che si srotolava silenziosamente davanti a loro. Infine, si
voltarono l’uno verso l’altra, e senza un parola,
si presero per mano e spinsero con decisone le porte a vetri.
Passando per la reception, Bill afferrò le chiavi della loro
stanza e se le mise in tasca. I due piani di scale non erano mai stati
così lunghi e faticosi!
Davanti alla porta, Bill sciolse per un momento le dita da quelle di
Jade e si mise a trafficare con i jeans. Infine, da una tasca
tirò fuori una chiave con un pesante numero
d’ottone attaccato: 327.
La infilò deciso nella serratura. Girò. La
sfilò, abbassò la maniglia ed entrò.
La stanza era ancora illuminata dalla solita abat-jour, dimenticata
accesa molte ore prima.
Fuori dalla finestra la notte ancora regnava, padrona del mondo, ma
già qualche pennellata di blu più chiaro si
intravedeva all’orizzonte.
Bill si buttò a faccia in giù sul letto con un
sonoro sbuffo, senza nemmeno avere la forza di spogliarsi: era davvero
stanco. Rimase così, il viso affondato nel morbido piumone,
finché Jade non ebbe finito di cambiarsi ed
indossò la tuta azzurra che usava come pigiama.
Quando la ragazza si sedette sul letto, accanto a lui, alzò
la testa strizzando gli occhi alla luce diretta della lampada, e
sussurrò lamentosamente.
-Perché quando
tutto sembra andare bene, quando la tua vita è perfetta
così com’è... Boom! Tutto ti esplode
addosso, e ti ritrovi con un fratello all’ospedale, una
macchina mezza distrutta, stress a palate e bugie e inganni ovunque?!-.
I suoi enormi occhi nocciola si erano fatti lucidi.
Jade, accigliata, si stese accanto a lui, e con il caldo arancione
della luce che le ombrava il volto, mormorò dolcemente:
-... Perché
è la vita... Che nonostante tutto, nonostante tutto il male,
tutto il dolore e le angosce, può sempre tornare ad essere
unica e meravigliosa... A volte basta poco...-, e
alzò una mano ad accarezzare dolcemente il viso di Bill, che
si rilassò e si distese. -...
una vita fantastica...-.
Bill abbassò piano le palpebre, quasi concentrandosi mentre
le prendeva la mano e la baciava. E quando riaprì gli occhi
un sorriso era tornato ad accendergli lo sguardo, di nuovo vivo, sempre
il suo, dopo tante avversità affrontate in silenzio e a
testa alta.
Ricambiò la carezza, e osservando con intensità
il volto del suo angelo custode, bisbigliò solo:
-Sì... Fin
quando avrò te al mio fianco...-.
Jade sorrise di un sorriso così bello, così
reale, che tutto il suo corpo, non solo il suo viso, e la stanza,
parvero illuminarsi.
Stesa sulla candida coperta, rotolò verso Bill.
Abbracciò il suo magro torace e cominciò a
baciarlo piano, misuratamente, ma con un’intensità
mai avuta. E desiderio. E tenerezza. E felicità.
E amore.
I due corpi iniziarono ad accarezzarsi dolcemente, sempre
più audaci, e ben presto, i due ragazzi si accorsero con
meraviglia che tuta, jeans e maglietta non servivano più, e
li gettarono lontano, sul pavimento.
Ma non andarono oltre. Perché nonostante il momento ideale,
nonostante i loro cuori battessero talmente forte da assordarli,
nonostante il desiderio di entrambi, sapevano che il loro
“attimo magico” avrebbe dovuto essere ancora
più speciale, ancora più perfetto...
Avrebbero aspettato. D’altronde, avevano una vita intera,
davanti.
Le coccole, le carezze e i teneri bisbigli... I due ragazzi andarono
avanti così per un periodo infinito e bellissimo, fatto di
baci al sapore di menta e vaniglia l’una fra le braccia
dell’altro, e di una pace, una serenità che
nessuno dei due sapeva di poter provare.
Ora come prima, erano solo questi piccoli e semplici prove
d’amore che nutrivano il rapporto di Bill e Jade. E a nessuno
dei due serviva altro...
L’alba avanzava. Il cielo, ora, era di un bel colore turchese
pallido, i primi uccellini cominciarono a cantare, e
l’orizzonte era color dell’oro.
All’improvviso, nel dormiveglia, Bill spalancò gli
occhi, completamente sveglio, e si alzò bruscamente a sedere
sbalzando di lato Jade, che protestò con un: -Ehi!-.
La ragazza si sfregò gli occhi, e nonostante non ce ne fosse
gran che bisogno, accese la lampada. Immediatamente due mani forti la
afferrarono per le spalle.
Bill era nel panico e respirava affannosamente:
-David non sa nulla di
Tom! E nemmeno gli altri!-.
-Glielo dirai domattina!
... cioè fra poco! Sono quasi le sette...-, disse confusa,
gettando un’occhiata alla radiosveglia. -...
adesso mettiti giù e dormi ancora qualche altra ora...-,
mugolò assonnata cercando con la mano la coperta.
-No, no, no! Fra qualche
ora sarà già troppo tardi!-, esclamò
istericamente Bill.
-Ma perché?!-,
chiese con una nota esasperata nella voce la ragazza.
Bill spalancò gli occhioni, che alla luce arancione
dell’abat-jour sembrarono ancora più grandi e
spaventati. Deglutì, ma la voce gli uscì comunque
un po’ roca:
-... Perché
fra qualche ora, come dici tu, abbiamo un servizio fotografico e
un’intervista con il più importante magazine di
gossip della Germania!-.
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Capitolo 27 *** _Rivelazione_ ***
[Scusate il ritardo! ^///^]
-CHE COOOOSAA?!-.
L’urlo di rabbia di David fu così potente che fece
tremare i quadri della hall.
Investito completamente dalla sua furia, Bill sembrò farsi
piccolo piccolo.
Né Jade né gli altri componenti della band
sapevano che fare, e si mantenevano a debita distanza, lontano
dall’occhio del ciclone.
-E quando pensavi di
dirmelo? Davanti ai giornalisti?!-, continuò a
sbraitare come un ossesso l’uomo, sputacchiando saliva
dappertutto. Bill osservava con crescente preoccupazione la vena sul
collo del suo manager pulsare sempre di più.
-David... Calmati...-,
disse con scarsa convinzione il ragazzo indicando la sua gola.
Il colorito rosato dell’uomo si fece pomodoro intenso in
pochi istanti. Sembrava dovesse implodere da un momento
all’altro.
-Calmarmi? Calmarmi?! Ma
io ti... ti...!-, ruggì quello aprendo e
chiudendo le mani contratte davanti agli occhi terrorizzati di Bill.
Infine, respirò a fondo, serrando ferocemente le palpebre e
concentrandosi, come gli insegnavano sempre alle sue lezioni di yoga.
Poco a poco riprese il suo vero colore rosato, e riaprì gli
occhi, un po’ meno pervaso da tentazioni omicide.
-Allora...-, iniziò
massaggiandosi stancamente le tempie. – Vuoi raccontarmi per
bene, e da capo, per piacere, come è successo tutto questo
enorme casino?-, domandò nervosamente il
manager.
Bill, sentendosi chiamato in causa, si gettò
un’occhiata furtiva intorno, soffermandosi su Georg e Gustav,
entrambi ansiosi di sapere cosa fosse successo, e su Jade, che lo
esortava con lo sguardo.
Sospirò, e grattandosi mestamente la nuca,
raccontò loro tutto.
Dapprima, David era attento ed interessato, ma mano a mano che il
resoconto delle ultime ore procedeva, prese ancora ad avere una
sfumatura violetta in viso.
-... E questo
è tutto.-, terminò infine Bill,
sospirando di sollievo.
Aveva solo accennato all’incontro con la loro peggior nemica
in quel locale, preferendo sorvolare per il momento, e aveva invece
cercato di rendere più dettagliate possibili le informazioni
sulla pronta guarigione di Tom. Inoltre, aveva giustificato
l’avvelenamento dicendo che, forse, Tom aveva ingerito
qualcosa di avariato al bar.
Nella hall ora non volava una mosca.
Tutti osservavano David, ansiosi di sapere come avrebbe reagito
stavolta.
-Hai detto che in pochi
giorni Tom sarà di nuovo in forma, giusto?-.
Preso alla sprovvista dall’inaspettata e relativamente
tranquilla domanda, Bill sussultò, e annuì.
David riprese a massaggiarsi velocemente le tempie e la fronte,
riflettendo...
Infine, parlò:
-Be’, poteva
andarvi molto peggio...-.
Bill era sbalordito: niente ramanzina?
-... uscire di notte, da
soli, senza Saki, non è stato molto maturo, da parte vostra.
Mi aspettavo un comportamento più adulto da voi due-.
Come non detto. Eccola.
Bill trattenne a stento uno sbadiglio, smettendo di prestare attenzione
alle parole di rimprovero di David, che predicò per altri
buoni dieci minuti. Poi, una frase colpì in modo
precisamente vivido la sua attenzione:
-... e quindi, per
punizione, tu e tuo fratello rimarrete chiusi in albergo per una
settimana!-.
Bill trasalì, di nuovo vigile e arrabbiato.
-Come?!-.
-Mi hai sentito
benissimo!-.
-Ma...! ma...!-.
-Niente
“ma” balbettati, Bill. Stavolta non funzioneranno-.
Bill incrociò le braccia sul petto facendo la sua adorabile
faccia imbronciata.
-Non lo trovo giusto! Io
ho solo cercato di riportare in albergo Tom! E’ lui che se
n’è andato!-.
David sogghignò.
-Sì, ma tu,
invece di chiamare Saki, gli sei andato dietro come uno stupido!
Perciò, doppia punizione!-.
L’espressione di Bill oscillava tra lo sconvolto e il
pesantemente offeso.
Senza lasciargli il tempo di ribattere, però, il suo manager
ordinò:
-Vai immediatamente a
farti i capelli, le unghie, quello che vuoi! Devi essere ancora
più perfetto per l’intervista! E muoviti, hai solo
un’ora, non millenni!-.
-Jawhol, meinen
Führer...-, mugugnò tristemente Bill,
avviandosi a testa bassa su per le scale. Si bloccò
improvvisamente a metà e si voltò.
-Ma cosa diremo ai
giornalisti? Dell’assenza di Tom, intendo...-.
David sospirò, irritato:
-Credi che non ci abbia
pensato? Ci inventeremo qualcosa, no? Che so... Che per esempio ha un
leggero raffreddore e non può farsi le foto, e si vergogna
ad apparire in pubblico!-.
Il manager schioccò le dita e sorrise.
-Sono un genio!-.
Bill digrignò i denti ma non ribattè, e riprese a
salire tristemente le scale.
-Giuro, uno di questi
giorni lo uccido nel sonno!-.
Jade alzò gli occhi al cielo.
-Bill, per
l’amor del cielo, non dire cretinate...-.
Il ragazzo si voltò verso di lei strizzando fra le braccia
in una morsa mortale un cuscino.
-No, Jade, sono serio!
Non so cosa potrei fargli! Io... io...!-.
Soffocò un ruggito di rabbia premendosi il viso contro il
morbido guanciale.
Jade si alzò con un sospiro dal davanzale sul quale era
comodamente appollaiata, e si avvicinò al ragazzo.
-Bill...-,
cominciò con un tono dannatamente ragionevole. Quello
lasciò cadere le braccia con un gemito, e
piagnucolò:
-Ti prego, non
ricominciare con le tue prediche! Ne ho già avute abbastanza
per oggi!-.
La ragazza assunse un’espressione dispiaciuta:
-Lo so, ma devi capire
che...-.
In un lampo, gli strappò il cuscino di mano, e se lo nascose
furbescamente dietro la schiena.
-... che a volte sei
lento come un bradipo stecchito!-, strillò
ridacchiando.
Bill, che si era accorto solo in quel momento del sorriso mattacchione
che attraversava il volto della ragazza, rimase paralizzato dalla
sorpresa.
-Ehi!-,
esclamò dopo qualche secondo, lasciandosi andare al gioco,
stuzzicato più che evidentemente da Jade, che gli agitava il
cuscino davanti al naso.
Ridacchiò, e assumendo un’aria da
“sono-l’uomo-nero” prese a rincorrere per
tutta la stanza la ragazza, che strillava e sgusciava da tutte le parti
ogni volta che lui le si avvicinava.
-Roaaarr! Fermati che ti
mangio!-, ruggì per gioco.
La ragazza si fermò di botto, accigliata.
“E’
già successo...”, riuscì
solo a pensare prima di essere brutalmente scaraventata sul letto da
Bill.
-Ah, ah, ah! Ho vinto!-,
ridacchiò allegramente quello dandole un tenero bacio sul
naso.
Lei non si mosse. Il sorriso scivolò via dal viso di Bill.
-Che
c’è che non va?-.
Jade sussultò, scacciando l’inopportuno flashback
che stava vivendo, e ritrovandosi ad osservare con dolorosa attenzione
i lineamenti perfetti di Bill, sopra di lei, si trattenne a stento dal
dirgli “Sei
diverso stasera...”.
No, no! Di nuovo, no!
Riacciuffò il suo sorriso, pulito e senza segreti, e
tentò di nuovo di scivolare via tra le braccia fragili del
ragazzo, il quale dimenticò l’ombra che per un
momento aveva abitato negli occhi di Jade, e riacciuffò
senza problemi la sua piccola isola di salvezza.
Ridendo, la afferrò per la vita e la ributtò
sotto di lui, rimbalzando. Lei si ribellò e si contorse come
un serpente per sfuggire da quella dolce prigione.
Inutilmente.
I loro occhi si incontrarono. I loro corpi fremettero.
Lei era sua.
Bill chiuse gli occhi, e tremando dal desiderio, cominciò a
darle piccoli baci e morsichi, sulle guance, sul collo, sulle labbra.
Jade abbassò lentamente le palpebre, lasciandosi piano
trasportare da quel ritmo che non le metteva fretta, che la cullava
dolcemente e la portava alla soglia del paradiso. Poi, riaprendo i suoi
occhi d’ambra, si morse sensualmente le labbra e
portò le braccia dietro la testa di Bill, che prese a
baciarla con più passione e fervore di prima. Jade si
affrettò a rispondere, giocando abilmente con il piercing
sulla lingua del ragazzo. Quello sorrise, e staccandosi un momento,
rotolò di lato, permettendo che fosse Jade, ora, a
sormontarlo. Lui la teneva in alto per i fianchi, e la guardava con un
misto di orgoglio ed eccitazione: era la sua bimba, il suo piccolo,
dolce tesoro; eppure era anche il suo più bruciante
desiderio, e la sua passione più nascosta.
Difficile in quel momento tenere le due Jade nella sua mente separate.
Un momento gli veniva voglia di cullarla teneramente fra le sue
braccia, e un momento dopo sentiva il bisogno impellente di farla
diventare sua.
Non sapeva se questo era vero amore, ma certamente ci andava vicino.
Jade, ignara di tutto, sorrideva, incapace di trattenere la sua
felicità. E voleva anche piangere, perché ancora
non aveva raccontato a Bill di quello che era successo tempo fa,
proprio su quel letto.
Quella folle sera l’aveva notato.
Aveva notato la luce dietro gli occhi di quel ragazzo che, dopo essersi
presentato alla sua porta e aver ridacchiato perché si
trovava in asciugamano, l’aveva spinta su quel letto e
l’aveva guardata come nessun altro, proprio su quelle
lenzuola.
L’aveva osservata, studiata in ogni particolare del suo viso,
prestando attenzione anche alle più piccole caratteristiche,
come il suo neo sopra la bocca, le sue lunghe ciglia e la morbidezza
delle sue guance.
Aggrottò le sopracciglia, rispondendo meccanicamente al
bacio di Bill.
Ora che ci pensava... Perché?! Non trovava una risposta.
-Bill Kaulitz, mi spieghi
che cosa stai facendo?-.
L’urlo traboccante d’ira di David fece sobbalzare i
due ragazzi.
-David!-,
strillarono in coro.
Immediatamente Jade si districò da Bill e balzò
in piedi, rossa di vergogna.
L’uomo fece finta di non aver visto niente.
-Hai venti minuti per
finire di prepararti! Non ho mandato la tua amichetta perché
tu ti trastullassi con lei, ma perché ti aiutasse col
trucco!-.
Jade annuì, imbarazzata.
David lanciò a Bill un’ultima sospettosa occhiata,
poi si chiuse silenziosamente la porta alle spalle.
Non appena fu sicuro che il manager se ne fosse effettivamente andato,
Bill ghignò, e rivolgendosi a Jade, propose maliziosamente:
-Che dici, ricominciamo
da dove eravamo rimasti?-.
Ma la ragazza non rispose. Con una mano sulla bocca e lo sguardo
sbarrato, aveva finalmente avuto la rivelazione che tanto aveva
ricercato.
Tom si era innamorato di lei.
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Capitolo 28 *** _Una Quasi Dichiarazione_ ***
La donna alzò i pungenti occhi d’acciaio dal suo
blocco per appunti e li fissò in quelli di Bill. Il ragazzo
deglutì sentendo un brivido freddo corrergli lungo la
schiena.
-Bill...-.
Il giovane, impassibile, attese, i pugni serrati appoggiati alle
ginocchia.
-Allora... Vuoi parlarmi
del rapporto con i tuoi fans?-.
Bill si rilassò un poco. Sorrise e partì in
quarta, seguendo il solito copione.
-Be’, per me i
fans sono tutto! D’altronde, se non ci fossero loro, noi non
saremmo mai arrivati fin qui. Mi piace sapere che in tutto il mondo ci
sono ragazzi e ragazze che riescono a superare dei brutti momenti
grazie proprio alle nostre canzoni...-.
Bla, bla, bla. Sempre le solite domande, sempre le solite risposte.
Ma la gente non si stufava mai di leggere continuamente le medesime
cose? Forse a loro interessavano solo i poster... Di certo, quelle
interviste avevano un alto positivo: potevi stare attento solo il
minimo indispensabile e per il resto andare a memoria.
Nella sua mente, Bill aveva una sorta di schema: tipo di musica, fans,
rapporto con i compagni, rapporto con Tom, fans, gossip, canzoni, fans,
tour. Ovviamente, l’ordine poteva cambiare.
Quando terminò il suo solito eterno sermone su quanto
l’amore dei fans fosse importante, su quanto il loro sostegno
fosse indispensabile e altre citazioni del genere, la palla
passò a Georg.
La giornalista, una donna sulla trentina dallo sguardo di ferro, si
sistemò dietro le spalle i lunghi capelli biondo cenere, e
con il suo modo di fare acuto e penetrante, si rivolse al bassista.
-Dunque, Georg... Come
mai ti piace cambiare in continuazione basso durante i concerti?-.
Bill chiuse gli occhi e si rilassò contro lo schienale
rigido della poltroncina. Automaticamente, il suo cervello si
disconnesse.
Il tempo passò molto lentamente fra domande più o
meno particolari e momenti di totale apatia. Infine, la giornalista si
alzò lisciandosi la gonna e tese loro la mano.
-Siete stati molto
gentili, grazie mille! A presto!-.
Bill sorrise forzatamente e strinse con delicatezza quella mano morbida
e un po’ rude, lasciandola subito.
-Grazie a lei. Arrivederci-.
Si voltò e fece per uscire, quando la voce petulante della
donna lo paralizzò.
-Un momento Bill, per
favore!-.
Il ragazzo, temendo il peggio, si voltò. E ancora una volta,
ebbe la sensazione di essere trafitto da quegli occhi di freddo acciaio.
-Potrebbe farmi un
autografo? Sa, per mia figlia...-. La donna sorrise, non
riuscendo a contagiare di quel sorriso anche i suoi occhi. –Non sa quanto sia
stata felice che io facessi un’intervista ai Tokio Hotel!-.
Sentendo come un peso scivolargli lentamente via dal petto, Bill si
aprì in un sorriso a sua volta e mormorò:
-Certo...-.
E finalmente, poté lasciarsi alle spalle tutto quel grigio e
gli occhi d’acciaio di quella donna, che meno freddi del
ferro non erano.
Jade era seduta tranquillamente su un divanetto nella sala
d’attesa di quel trafficato giornale. Sfogliava
svogliatamente qualche volantino, capitato per caso sul tavolo dalle
solide gambe tozze lì accanto. Non appena vide arrivare i
tre ragazzi e il manager, si illuminò in viso.
Posò la rivista e corse incontro a Bill.
-Allora? Come
è andata? Ha chiesto di Tom?-.
-No, per fortuna si
è accontentata del momentaneo e leggerissimo raffreddore.
Ero teso da morire!-, raccontò lagnoso il
ragazzo.
Jade gli schioccò un bacio a stampo e carezzandogli
dolcemente la guancia, mormorò:
-Povero il mio Bibi...-.
-Ragazzi!!!-.
I due si voltarono. David li stava squadrando con gli occhi fuori dalle
orbite.
-Che caspita state
facendo?-, sibilò furiosamente.
Bill sollevò ironicamente un sopracciglio.
-Che, non si vede?-.
Si rivolse a Jade. –Mi
sa che dovremo impegnarci di più, non rendiamo abbastanza!-.
Lei ridacchiò, un po’ in imbarazzo mentre le
labbra protese di Bill si avvicinavano di nuovo alle sue. Una mano si
interpose fra i due giovani visi, subito seguita dal corpo del manager,
che spinse via Bill.
-Risparmiate le smancerie
per dopo. Non vi ricordate dove siamo?-,
soffiò.
Jade si guardò intorno, realizzando solo in quel momento di
trovarsi nel cuore della redazione di un giornale di gossip, affollato
di giornalisti frettolosi assetati di scoop.
-Ops...-,
mormorò.
-Esatto! Sappi che se io
ti permetto di frequentare questo bel giovanotto qui...-,
bisbigliò strattonando Bill per una delle sue tante collane.
-... è solo
perché mi ha assicurato che possiamo fidarci di te. Continui
a seguirli nelle interviste, nei concerti, nelle premiazioni
perché abbiamo detto a tutti che sei la sua nuova
aiuto-truccatrice, e tale devi rimanere! Se ti metti a sbaciucchiarlo
in pubblico la gente potrebbe pensare che in realtà non sia
proprio così, no?-.
Jade chinò il capo.
-Sì... Scusa
David...-.
Finalmente soddisfatto, il manager lasciò la presa sulla
collana di Bill, che prese a tossire.
-Da-vid...-,
boccheggiò massaggiandosi il collo. –Non essere
così duro con lei. Sono io che ho voluto bac...-.
-Ssshh!!!-.
Bill, accigliato, abbassò la voce, continuando imperterrito.
-Sono io che ho voluto
baciarla, e non puoi farmene una colpa!-.
David lo guardò storto per un po’, poi
sospirò e si massaggiò stancamente le tempie.
-Bill, ti prego non ho
voglia di litigare...-.
-Ma...-.
-Adesso andiamo a
mangiare un boccone, poi passiamo a trovare tuo fratello, che per il
suo bene spero si sia svegliato-.
Detto questo, il manager si avviò risolutamente verso la
porta, salutando fin troppo amichevolmente chiunque fosse a tiro di una
pacca sulla spalla.
-Ma...!!!-.
-Non ti sentooo!-.
Bill sbuffò forte incrociando le braccia al petto, tornando
per un attimo un bimbo di cinque anni. Si trattenne a stento dallo
sbattere i piedi per terra.
Senza una parola, Jade lo sorpassò e prese ad incamminarsi
verso l’uscita.
Il moretto, stupito, la raggiunse e la fece voltare.
-Ehi... Non te la sarai
presa per quello che ha detto quel gorilla di David? Lo sai che ha la
delicatezza di un elefante con le scarpe da calcio su un campo di
bicchieri di vetro!-.
Jade sollevò il viso. I suoi occhi erano lucidi.
-No, ha ragione lui. Io
non sono nessuno, e nessuno devo rimanere. Forse non dovevi difendermi
da quei tre, quella notte, non ti avrei complicato tanto la vita...-.
Le lacrime infine trovarono la via della libertà e presero a
scorrere sul morbido viso della ragazza.
Bill, colpito profondamente la prese per mano e con
un’espressione neutra sul volto, la condusse gentilmente
dietro una grossa pianta. Lì, si inginocchiò,
mentre il suo viso si fece di nuovo incredulo.
-Che stai dicendo? Tu non
mi hai affatto complicato la vita, anzi! L’hai resa
meravigliosa, fantastica! L’hai migliorata incredibilmente, a
tutti noi! Accanto a te io mi sento di nuovo vivo, importante, e non
nel senso “lavorativo”. Con te, posso smettere di
essere il ledere dei Tokio Hotel. Con te, posso essere solo Bill. Il
testardo, impulsivo, logorroico Bill che è veramente il mio
“io”. In qualche modo, credo tu mi completi-.
Sorrise dolcemente, accarezzandole le spalle tremanti. – Sono quasi sicuro che
tu sia la mia parte ragionevole, una metà che ho perso da
molto tempo, e che ora ho ritrovato-.
Anche gli occhi nocciola del ragazzo si riempirono di lacrime.
Deglutendo, Bill le prese piano le esili mani e le strinse forte.
-Jade...-.
Al suo nome, la ragazza sussultò da tanto era stata rapita
dal discorso pieno di dolcezza di Bill.
-Be’... mi
sento uno stupido in questo momento, perché sto per dirti
qualcosa di cui non sono sicuro nemmeno io...-.
Ormai Jade respirava affannosamente, e nelle orecchie sentiva il
rombare del sangue che fluiva rapido.
Prendendo tempo, Bill si mordicchiò nervosamente le labbra.
La tensione era quasi palpabile, nell’aria fra di loro.
-Insomma... non
l’ho mai detto ad una ragazza, ma... è difficile
da spiegare...-.
Anche Jade si inginocchiò davanti a lui, e con gli occhi
umidi di gioia stavolta, prese a tormentarsi le dita delle mani.
-Oooh, basta!-,
esclamò impaziente Bill. Si avvicinò e prese fra
le sue mani tremanti il viso rosato della ragazza. Con gli occhi
cercò di trasmettere tutta l’intensità
delle emozioni che gli si agitavano nel petto.
-È da
pochissimo che ti frequento, eppure sento di conoscerti già,
come in una mia vita passata... E capisco di non poter fare a meno di
te nemmeno in questa vita...-.
Chiuse gli occhi, e con le labbra che sfioravano quelle tremanti della
ragazza, sussurrò:
-Jade... Io... io credo
di...-.
-KAULITZ!-.
Bill si allontanò di scatto e si alzò barcollando
in piedi.
David, le mani sui fianchi e un’espressione omicida dipinta
sul suo volto, scrutava come un falco l’intera stanzetta
d’attesa poco frequentata. Non appena il suo sguardo
incontrò quello furioso del ragazzo, prese a fare gesti
concitati e minacciosi, strillando:
-Se non sei qui davanti a
me in cinque secondi e non cominci a muovere quel culetto sodo che ti
ritrovi verso la porta, butterò nel cesso la tua preziosa
lacca e la tua adorata matita! Ti avverto!-.
Bill digrignò i denti, stingendo in una morsa mortale i
pugni. Si voltò verso la pianta. Dietro di essa, Jade
tentava di trattenersi dallo scoppiare a ridere, le mani premute sulla
bocca e lo sguardo fintamente indifferente altrove.
Bill sospirò e sorridendo dolcemente come per scusarsi, le
tese una mano, a cui lei si appoggiò per alzarsi
leggiadramente in piedi.
Nascondendo le loro mani intrecciate dietro la schiena, trotterellarono
ubbidientemente verso il loro isterico manager/gorilla.
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Capitolo 29 *** _Patatine e Flebo_ ***
-E su!-.
-No!-.
-Ti prego!-.
-Nooo!-.
-Daaai!-.
-Per la centesima volta,
no!-.
-Che ti costa?-.
-Bill, è una
questione di principio, no!-.
-Vorresti dire che non lo
faresti nemmeno per me?-.
Bill giunse le mani a preghiera e sbatté teneramente le
ciglia. Era adorabile! Jade alzò gli occhi al cielo,
sbuffando. Sapeva di stare per arrendersi da un momento
all’altro.
-Per favore...-.
La moretta digrignò i denti. No, il labbro tremolante no! A
quello non poteva resistere!
-E va bene...-,
sbuffò scocciata.
Il ragazzo si mise praticamente a saltellare come un folletto irlandese
per tutto il fast food e dopo averle dato un lieve bacio sulla guancia
trotterellò soddisfatto al tavolo con gli altri Tokio Hotel.
Jade rimase a fissarlo trucemente, poi afferrò un vassoio e
si mise in coda ad una cassa. Un tabellone colorato raffigurava
chiaramente tutti i tipi di hamburger presenti nel ristorante, e dietro
un lungo bancone, una cassiera si affannava con panini e bibite e
patatine fritte. Che lavoraccio! Servire clienti tutto il giorno,
spesso di fretta e scorbutici, sudare sopra una friggitrice, vedere
passarsi davanti tutto quel cibo, rimanendo poco a poco disgustata da
tutto... Inclinò la testa di lato, riflettendo. No, lei non
si vedeva proprio a...
-Buh!-.
Per poco la ragazza non fece volare via il vassoio.
-Bill! Porca... Mi hai
fatto prendere un colpo! Che ci fai qua? Vai al tuo posto con gli
altri, su!-, lo sgridò Jade con ancora il cuore
in gola.
Bill tratteneva a stento le risate dietro una mano premuta sulla bocca
e fissava in un modo così buffo sotto gli occhiali scuri la
povera ragazza che alla fine perfino lei sorrise. Tornando serio, le si
avvicinò.
-Mi sono dimenticato di
dirti di chiedere anche il peluche! Ce n’è sempre
uno nelle patatine, non vorrei facessero i furbi! Glielo chiedi, per
piacere?-.
-Bill, è
già tanto che tu mi faccia ordinare il menu per bimbi al tuo
posto, non mettere a prova la mia pazienza, ok?-,
sussurrò furiosamente la ragazza. Commise l’errore
di voltarsi e quel dolce sguardo nocciola le liquefece la mente in un
nanosecondo. Incatenandola a quel caramello ipnotico, lui
appoggiò una guancia alla sua spalla rotonda, abbracciandola
da dietro, e cominciò a morderle sensualmente la pelle
più tenera sul collo. Jade chiuse gli occhi, rabbrividendo.
-Bill...
C’è un mucchio di gente...-.
-Chiedi anche il peluche,
va bene? Un piccolo... tenero... peluche... per me...-.
La voglia della ragazza di saltargli addosso era incontenibile, ma
miracolosamente riuscì a scuotere debolmente la testa e
nascondersi il più possibile dietro un grosso signore prima
di lei in coda.
Bill rise piano dietro il suo orecchio, facendola andare praticamente
in estasi.
-Io dico che glielo
chiederai...-.
-No...-.
-Vedremo...-.
-No, no...-.
All’improvviso, il sussurro caldo di Bill le
carezzò l’orecchio.
-Attenta, non distrarti...-.
Quel tocco delicato le venne improvvisamente a mancare e Jade si
risvegliò di soprassalto da quel dolce limbo. Era arrivata
alla cassa, e la ragazza dietro il bancone la guardava con gli occhi
fuori dalle orbite. Immediatamente, diventò color peperone,
intonata perfettamente col vassoio che le tremava in mano.
Dietro di lei, più lontano, una risata familiare. Jade si
voltò e fissò con odio Bill seduto placidamente
al tavolo che la salutava con la manina, un’aureola di
plastica in testa.
-Desidera...?-,
chiese la cassiera un po’ titubante, trascinandola alla
realtà.
-Ehm...-. La
ragazza esitava. Poi, il ghigno di Bill nella sua mente le diede
improvvisamente coraggio. Deglutì. –Vorrei... il menu per
bambini, grazie-.
La donna dietro il bancone la guardò, chiedendosi se la
stesse prendendo in giro o no. Alla fine scrollò le spalle e
cominciò a trafficare con pane e carne.
Jade sospirò. Era andata.
La cassiera le porse un sacchettino.
-C’è
anche il giocattolo dentro, vero?-, domandò.
-S-sì,
certo...-, rispose la donna, sempre più
sbalordita. –
Sono 5.20 euro...-.
La ragazza pagò velocemente.
-Grazie e arrivederci!-,
salutò allontanandosi. La donna fece appena in tempo ad
agitare flebilmente una mano che subito un uomo in giacca e cravatta,
chiaramente di fretta, le si parò davanti con la sua
prepotente ordinazione.
-Ce ne hai messo, eh?-.
Jade si sedette in malo modo al tavolo e con le orecchie fumanti
lanciò al ragazzo al suo fianco il vassoio, rischiando di
farlo cadere.
-Non dire niente, non so
cosa potrei farti...-, disse a denti stretti cominciando a
scartare il suo panino vegetariano.
Bill sghignazzò mettendosi in bocca una patatina oliata e
fumante.
-Addirittura? Devo aver
paura? Senti, facciamo così, avvertimi un po’
prima, fammi uno squillo, così mi preparo, ok?-.
Jade gli tirò un pizzicotto sul braccio.
-Ahia!-.
-Oh, scusa! Dovevo
avvertirti anche di questo? Mi sembravi pronto...-.
-Vuoi la guerra?-.
E inevitabilmente scoppiò una battaglia all’ultimo
ketchup. Pezzi di patatine e semi di sesamo volavano da tutte le parti,
centrando la testa pelata di un signore sulla sinistra o il bicchiere
pieno di una ragazza troppo truccata dietro di loro.
E in mezzo a tutto quel salato, spiccavano come neve su un foglio nero
quei piccoli dolci baci rappacificatori di scuse e rivincita.
*
“Che
palle...”.
Tom era adagiato rigidamente su un bitorzoluto cuscino bianco a braccia
incrociate. Il suo sguardo vagava prigioniero oltre la finestra chiusa.
Seguendo con gli occhi una nuvoletta passare spensierata si
grattò il braccio: la flebo gli dava incredibilmente
fastidio.
Si era svegliato quella notte, solo e in un luogo sconosciuto, ed era
andato a vomitare anche l’anima. Si sentiva di merda, debole
e affamato. I dottori però gli avevano assolutamente
proibito di ingerire alcunché, e così lui se ne
stava con lo stomaco brontolante ad aspettare... Ma aspettare cosa? Suo
fratello e gli altri non si erano fatti vedere per tutto il giorno, non
gli erano nemmeno rimasti accanto durante la notte. In
realtà, Tom sapeva che il mattino dopo avevano
un’intervista, ma se non avesse dato la colpa a qualcuno si
sarebbe messo ad urlare per la frustrazione. Abbandonò la
testa e chiuse gli occhi. Odiava quel posto. Le pareti bianche, i
lamenti in ogni stanza, quell’odore di alcol impregnato in
tutto gli davano la nausea. Non poteva uscire, doveva farsi sempre un
miliardo di controlli, non poteva mangiare... Eh no, adesso basta!
Il fiero leone nel suo petto ruggì e diede una zampata al
suo orgoglio.
Gettò lontano le coperte e atterrò sul pavimento
ghiacciato. Si strappò con rabbia la flebo dalla carne e
marciò nel piccolo bagno collegato alla sua stanza
trascinandosi dietro i jeans e la maglia. In pochi minuti si
cambiò. Ormai, non sarebbe più tornato indietro.
Il corridoio era deserto. Tom diede una rapida occhiata a destra e a
sinistra, poi uscì e si chiuse la porta cigolante alle
spalle. Probabilmente era la pausa pranzo. Il più silenzioso
possibile, sfrecciò fra stanza chiuse e aperte, vuote o
piene, ostentando un’indifferenza quasi reale, salutando
qualche vecchia signora intenta a fare la calza e calcandosi il
cappello in testa quando vedeva qualche lembo di camice bianco.
Ecco l’uscita, ecco la sua libertà. Tom era
attento, vigile. Era tutto troppo facile, troppo semplice. Eppure, le
porte a vetri si separarono placidamente al suo passaggio e nessuno lo
afferrò per le braccia tentando di riportarlo in quel
carcere al disinfettante.
L’ampio parcheggio gli si aprì davanti. Bene,
tutto quello che gli serviva era un mezzo. Prese a girare fra tutte
quelle auto allineate, vecchie e nuove, che popolavano quella strana
metropoli di metallo.
All’improvviso, una macchina dal muso familiare, parcheggiata
di traverso su tre spazi, attirò la sua attenzione.
Trattenne il respiro.
-Cillaaa!-.
Se avesse potuto, l’auto avrebbe fatto i fanali e
scodinzolata alla vista del suo padrone.
Il ragazzo barcollò verso la parte anteriore della sua amata
e le diede delle pacchette affettuose sul cofano lustro.
-Amore mio! Che
coincidenza! Che ci fai qua?-.
Un flash. Nella sua semi-incoscienza ricordava di aver sentito il
morbido dondolio di sedili profumanti di nuovo sotto di lui, prima di
arrivare in ospedale. E così lo avevano portato
là con la sua Cilla... Un pensiero lo colpì forte
come un pestone sull’alluce. Si frugò
freneticamente in tutte le tasche. No, non c’erano.
-Scheisse!-.
Gli avevano fottuto le chiavi. E adesso come se ne tornava in albergo?
Per la rabbia prese a girare attorno all’auto, meditando e
strofinandosi la piccola ferita sul braccio dovuta alla flebo. Il suo
sguardo precipitò sul parafango posteriore. Qualcosa cadde e
si ruppe dentro di lui. Una scheggia gli si conficcò in
gola, non riusciva più a parlare.
-L-la... m-mia
ma-a-acchina...-.
Con un dito tremante sfiorò l’ammaccatura
più che evidente che deturpava la sua creatura.
-Cosa ti hanno fatto...-.
Ricacciò indietro le lacrime e strinse i pugni. Una vena
prese a pulsare sul suo collo.
Accecato dalla furia, alzò le braccia verso il cielo e prese
a sbraitare:
-Bill, maledetto
bastardo, ovunque tu sia, giuro che non appena torneremo a casa
brucerò il tuo fottuto beautycase e le tue dannate matite!
È una promessaaaa!-.
Un’altra nuvoletta veleggiò sopra il tetto
dell’ospedale, scandalizzata da quel giovane coi rasta, in
quel parcheggio. Ben presto lo sorpassò, cancellandolo
automaticamente dai suoi candidi pensieri. Si rivolse al sole, invece,
assaporandone il frizzante calore.
Era una bella, tranquilla giornata
di Dicembre.
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Capitolo 30 *** _Borse della spesa e Infermiera_ ***
[//[CAPITOLO 30]\\]
L’auto anonimamente scura correva veloce lungo le vie ancora
affollate di una Berlino da cartolina, inondata del sole pomeridiano e
percorsa da gente carica di pacchi natalizi. Con il viso spiaccicato
contro il finestrino, Jade osservava quel pigro viavai di sconosciuti
indaffarati, serena e stranamente rilassata come non lo era da giorni.
-Cosa c’è di così interessante fuori da
quel finestrino?-, domandò Georg da dietro la testa di Bill.
La ragazza non distolse né lo sguardo né la mano
dal vetro.
-Niente, mi piace guardare la gente-, rispose semplicemente.
Semaforo rosso. L’auto rallentò fino a fermarsi,
dando così il tempo alla moretta di osservare con attenzione
una signora sulla cinquantina avvolta in un cappotto rosso tentare di
trascinare sulle strisce pedonali un bimbo recalcitrante e nello stesso
tempo di non far spargere per strada il contenuto di una borsa di
plastica. Jade ammirava come quella sconosciuta si affannasse tanto,
lì in mezzo alla strada, riuscendo però a
mantenere una grazia particolare. Osservava con meraviglia quel suo
speciale scostarsi i capelli biondi dal viso, un unico, armonico gesto,
quella camminata affettata, quel sistemarsi la borsa su una spalla...
Una carezza calda sul viso la fece sussultare. La signora ormai era
finita fuori dalla sua visuale, così, sorridendo, si
voltò rifugiandosi volentieri nel protettivo abbraccio di
Bill.
-Cosa c’è?-, le chiese lui scostandole i capelli
dalla fronte per baciargliela. In un primo momento, Jade non seppe cosa
rispondere, e preferì rimanere in silenzio a godersi quei
pochi momenti che poteva passare fra le braccia del suo angelo custode.
Non sapeva dire cosa l’avesse colpita tanto in quella
signora. Era bella, sì, di quel tipo di bellezza modesta ma
che salta all’occhio, che ti costringe a voltarti quando ti
passa accanto per convincerti che era reale, ma non era stata la
bellezza la prima cosa che aveva notato...
-Potrò mai diventare un’adulta come quella
signora?-, mormorò prima di rifletterci.
Appoggiata al petto tranquillo di Bill, Jade lo sentì
allungare il collo per capire di chi stessi parlando, e quando si
rilasso di nuovo sotto di lei, capì che anche lui
l’aveva vista così come l’aveva
analizzata lei. Difatti, Bill le prese il viso tra le mani e la
fissò negli occhi così intensamente da stordirla.
-Non devi nemmeno domandarlo. Certo che diventerai così, se
intendevi dire bella, forte, determinata e dolce. Come lo sei adesso.
Ma perché chiedi?-.
Jade abbassò lo sguardo.
-Mi chiedevo... se sarei mai stata alla tua altezza, un giorno. Se
avrei mai potuto meritarti-.
Verde. La macchina nera come la notte che incombeva sulla
città sfrecciò in avanti, silenziosa e padrona
della strada. La donna e il suo bambino, ormai al sicuro
dall’altro lato della strada, preda dell’onda delle
folla, scomparvero completamente alla vista e alla memoria, lasciando
però dietro di loro una traccia ben marcata e pulsante.
Bill sgranò gli occhi inarcando così tanto le
sopracciglia che la fronte gli si increspò in tante
adorabili pieghe.
-Meritarmi? Ma che stai dicendo?-.
-Non è la prima volta che ti faccio questo discorso. Sai che
è così, si vede-.
-Cosa dovrebbe vedersi? Jay, per piacere, non tirare fuori
argomentazioni assurde!-.
-Non sono assurde, è la verità! Bill, tu sei una
star di fama internazionale, sei bello, sei famoso, idolatrato e
desideratissimo. Accanto a te, io cosa sembro? Una ragazzina sciatta e
banale! C’è troppo squilibrio fra di noi, non
posso non sentirmi in colpa per la fortuna che mi è
toccata-.
-Fortuna? Fortuna?! Vorresti forse dire che se mi fossi imbattuto in
un’altra ragazza, quella notte, mi sarei... affezionato a lei
allo stesso modo?-.
Ormai i due stavano urlando, rendendo praticamente insopportabile la
vita nell’abitacolo.
-Ragazzi, ragazzi, per piacere!-, tuonò Saki dal posto
guida.
-Sì, insomma, ci state massacrando i timpani! Aspettate ad
essere in albergo per litigare-, urlò David voltandosi a
fissare malamente Jade. -Perché non vi sbaciucchiate un
po’ per far la pace? Almeno sarà un rumore
più sopportabile degli strilli isterici-, sbuffò
tornando a fissare la strada. I due ragazza sembrarono non aver sentito
nessuna protesta perché entrambi continuavano a guardarsi
gelidamente negli occhi, avvolti dalla bolla del loro mondo.
-Sì, Bill, ne sono certa-, rispose Jade in un tono
così basso che nemmeno Georg seduto accanto a loro
poté udire.
Il cielo cominciava a dipingersi d’arancio e il sole ad
allungare le ombre di auto, edifici e sei persone a piedi, chiaramente
dirette verso l’entrata principale dell’ospedale.
Anche visti di lontano si poteva intuire che quattro di loro erano
ragazzi e gli altri due uomini avviati da un pezzo verso la mezza
età. Avvicinandosi ancora un po’, forse si
potevano addirittura notare nel dettaglio gli stili differenti di
ognuno, dai più casual al decisamente eccentrico di quella
specie di porcospino dark. Ma anche arrivando loro vicinissimi, forse
non si sarebbe potuto notare un piccolo ma decisivo particolare: la
rigidezza nelle posture dell’unica ragazza e del giovane
più alto e magro, insolitamente contratte nello sforzo di
non guardarsi e di resistere ad intrecciare la mano a quella
dell’altro.
Non appena le porte a vetri si separarono automaticamente, Bill
scrutò la sala grande ben areata alla ricerca della
reception che, una volta individuata, gli si presentò
davanti come un lungo bancone candido che percorreva la maggior parte
della sala d’ingresso e si curvava dolcemente come a voler
occupare più spazio possibile.
-Bill...-, ammonì a mezza voce David afferrando la manica
della giacca del giovane per impedirgli di scappare via subito.
-Voglio solo vedere mio fratello!-, ribattè il ragazzo
lanciando un’occhiata penetrante al manager dietro gli
occhiali scuri. L’uomo lo lasciò andare mormorando
–Non fare sciocchezze...-, ma troppo piano perché
Bill lo sentisse.
-Salve!-, esordì subito il cantante piazzandosi davanti alla
prima infermiera che trovò. Quella, una bionda tinta intenta
a sistemare chissà quali carte, alzò lo sguardo
di un verde acquoso, facendo una radiografia completa al ragazzo, e in
particolare soffermandosi sul giubbotto di pelle, sui braccialetti e le
collane borchiate.
-Desidera?-, chiese con un tono tutto miele, cambiando improvvisamente
atteggiamento. Bill non badò affatto alle occhiate languide
che la donne gli lanciava attorcigliandosi una ciocca bionda su un
dito, anzi, forse ne era un po’ infastidito.
-Devo vedere mio fratello, Tom Kaulitz, ha diciotto anni. È
stato portato qui ieri sera, sul tardi, non so in che stanza si trovi.
Gli devono aver fatto una lavanda gastrica..-, snocciolò
velocemente sentendo l’impazienza sfrigolargli le mani mentre
seguiva con attenzione le mosse lente, troppo lente
dell’infermiera. Una mano gli si posò sulla spalla
ad intimargli la calma e lui sussultò, voltandosi. Era Saki.
Neanche si era reso conto che gli altri lo avevano raggiunto.
Finalmente, dopo un tempo infinito che l’infermiera
passò a scorrere meccanicamente file al computer, questa si
avvicinò allo schermo, illuminandosi.
-Tom Kaulitz hai detto? Sì, eccolo qua, stanza 247. Vai fino
in fondo al corridoio, a sinistra trovi una doppia porta, attraversala
e...-.
-Grazie mille!-, esclamò Bill senza lasciarle il tempo di
finire la frase, prese per mano Jade e corse via, seguito a ruota dagli
altri quattro.
L’infermiera, profondamente offesa, scosse la testa e
ritornò in fretta alle sue carte, imprecando contro quello
strano ragazzo.
Un corridoio, un altro, un altro ancora, e porte, stanze, dottori tutti
uguali. Come faceva a sapere se stava davvero andando nella direzione
giusta?, si chiese Bill facendo cadere di mano a una dottoressa una
cartella clinica. Non si fermò a chiedere scusa e
aumentò il ritmo delle falcate per allontanarsi dagli
ingiuri che la donna ancora gli mandava due angoli più
indietro. Numeri anonimi e stanchi gli sfioravano appena la visuale
mentre la sua percezione del mondo esterno alla sua mente si
concentrava unicamente sul rumore dei propri passi.
-Bill! Fermati!-.
Uno strattone al braccio e un viso preoccupato piuttosto familiare
entrato a forza nel suo campo visivo.
-Jade?-, esclamò confuso. Sbatté gli occhi e il
torpore che gli aveva addormentato i sensi parve essere risucchiato da
un aspirapolvere gigante. I rumori e gli odori tornarono più
forti che mai, così come la sensazione di calore della mano
di Jade nella sua. La lasciò, allontanandosi con
disinvoltura qualche passo più in là.
-Hai saltato una porta. Dobbiamo andare per di là-,
spiegò lei per nulla stupita del gesto, accennando col
pollice a un’altra doppia entrata identica alle altre tre che
avevamo appena oltrepassato.
-Eh?-, domandò stupidamente sbattendo gli occhi.
-La porta. Hai sbagliato strada. Di là-, spiegò
Jade con pazienza infinita accompagnando le sue parole con eloquenti
gesti della mano.
-Ah, giusto... Ma come fai a saperlo?-, chiese Bill rinvenendo da
quello strano torpore.
-Be’, andando avanti i numeri continuano dal 300, mentre
appena prima della porta si fermano al 230. È di
là-.
-Andiamo allora-, disse il ragazzo ritrovando tutta la grinta di poche
ore prima.
Si diresse alla porta e la spalancò, e solo allora si
accorse che Jade non l’aveva seguito.
-Ehi? Non vieni?-, chiese dolcemente tornando sui propri passi. La
ragazza era in piedi, le braccia incrociate, un sorriso amaro sul volto
e la postura rigida.
-Sono di troppo. È una cosa fra di voi, no?-.
-Non dire scemenze!-. Bill sbuffò. – Senti, voglio
che tu mi accompagni da lui, chiaro? Gli vuoi bene, e gli farebbe
piacere sapere che sei venuta a trovarlo-.
Jade scosse la testa.
-E a te, farebbe piacere che ci fossi anch’io?-.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, Saki, David, Gustav e Georg
comparvero da dietro l’angolo, sudati e senza fiato.
-Che bisogno c’era di correre tanto?-, si lamentò
il manager con una mano sul fianco. Non sentendo nessuna risposta
alzò gli occhi e gemette vedendo Bill e Jade che si
squadravano in cagnesco senza dire una parola.
-Di nuovo?! Ragazzi, i vostri problemi non potete risolverli in un
altro momento?-, brontolò l’uomo.
-Scusaci David, ci mettiamo un secondo. Lasciateci soli cinque minuti-,
replicò con freddezza il cantante senza staccare gli occhi
da quelli ambrati della ragazza.
Con sbuffi e un’espressione di enorme sofferenza dipinta sul
volto, i quattro si allontanarono verso un distributore di merendine
strascicando i piedi.
-Non c’era bisogno di...-, cominciò Jade, ma Bill
non le diede la possibilità di finire.
-Chi sono io?-, chiese serio. La ragazza lo fissò, indecisa
se pensare a uno scherzo o a un vero e proprio squilibrio mentale.
-Ehm... Bill Kaulitz?-, rispose, propendendo per lo squilibrio.
-Esatto. E che cosa faccio?-, continuò lui.
-Senti, se hai una crisi d’identità...-.
-Rispondi alla domanda, per favore-.
Jade sbuffò.
-Fai il cantante in una band-.
-Precisamente. Ho girato il mondo, mi sono imbattuto in centinaia,
migliaia di ragazze, alcune le ho conosciute, altre lo ho solo viste di
lontano. Credi davvero che avrei incontrati grandi
difficoltà a farmene una o due a sera come mio fratello? No,
affatto. Sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua.
A un mio schiocco di dita avrebbero potuto essere tutte ai miei
piedi...-.
Jade scosse la testa, disgustata e ferita, e si voltò per
andarsene via, lontano da quelle parole così taglienti.
-Se devi vantarti del tuo fascino e del tuo potere, vai a farlo con le
troie che ti sei portato a letto, perché io non ho
intenzione di stare a sentire una sola parola in più su...-.
Una mano le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi.
-... Ma non l’ho fatto! Io non le volevo. Io aspettavo quella
giusta. Te-.
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
-Non riesco a crederti... Non posso...-, sussurrò debolmente
divincolandosi per liberarsi da quella stretta ferrea che la
costringeva a guardare in faccia la realtà.
-Jade... Guardami... Davvero credi che ti mentirei?-, le chiese Bill
con voce ferma.
E lei lo guardò. Guardò la sua bocca piegata in
un sorriso comprensivo senza incertezze, avvertì il suo
respiro caldo e regolare sulla pelle, e si perse ancora una volta entro
i suoi occhi di cioccolato fondente, così limpidi e
supplicanti. No, lui non le mentiva, lui non le avrebbe mai mentito.
Glielo disse.
-Ti credo-.
Si abbracciarono, lì, in mezzo alla corsia irrealmente
pulita dell’ospedale, fra gli sguardi più o meno
inteneriti dei medici di passaggio. E mentre Jade veniva tramortita dal
profumo di Bill, un profumo che da troppo non aveva il privilegio di
assaporare, capì quanto le era mancato, e quanto ormai quel
ragazzo così diverso fosse penetrato a fondo nel suo cuore.
I due si lasciarono andare con cautela, con dolcezza, ben attenti a non
interrompere il contatto, e dimentichi degli amici lasciati alla
macchinetta delle merendine, attraversarono insieme, con un sorriso la
doppia porta.
Il corridoio era anonimo, spoglio e odorante di alcol come tutti gli
altri. L’unica differenza era che non una persona lo
percorreva, e dalle stanze chiuse non proveniva un suono.
Bill e Jade, col cuore in gola, contavano insieme a voce alta le porte
che scorrevano accanto a loro.
-233... 234... 235... 236... Ci siamo quasi, fra poco rivedremo Tom...
240... 241...-.
Erano quasi arrivati quando l’entrata in fondo al corridoio
si spalancò e una bella infermiera bionda avanzò
nel corridoio ticchettando con i tacchi e sospingendo un carrello. Bill
non ci fece molto caso finché non si fermò
proprio davanti alla stanza 247, a pochi passi da loro, e allora si
ritrovò a osservarla mentre dal carrello pescava una siringa
colma di chissà quale liquido. I capelli biondi e lucenti le
scendevano in graziosi boccoli che ondeggiavano mentre armeggiava con
la serratura, e il viso pallido era acceso da una boccuccia colorata di
un rosso vivo e pesante, mentre da sotto in su, un paio di occhi
azzurro ghiaccio fissavano criticamente la siringa in controluce.
-Prego...-, disse con gentilezza Jade, cedendo il passo alla donna
Un brivido freddo scese per la schiena di Bill e lo
immobilizzò, gli occhi sgranati e il fiato corto.
“No, non può essere lei... Non qui...
No...”, pensava, ormai nel panico.
Prima di entrare, l’infermiera lanciò uno sguardo
penetrante al ragazzo, uno sguardo freddo e ammaliante che ben
conosceva.
Ormai non aveva
più dubbi...
La donna spinse la porta ed entrò.
-Faccio in un momento-, cantilenò quella con una voce
sorprendentemente acuta e roca.
... quella era Giusy.
La serratura scattò e il cuore di Bill saltò un
battito.
Non avrebbe permesso a quel demonio di intromettersi di nuovo nella sua
vita, no, non più!
Riprese il controllo del proprio corpo incredibilmente in fretta, fece
bruscamente da parte Jade e si lanciò sulla maniglia come se
fosse la sua ultima speranza. La porta si spalancò fin
troppo facilmente, tanto che Bill perse l’equilibrio e per
poco non rovinò a terra. Si rialzò, tremante,
confuso, spaventato, riuscendo a biascicare un
“No!” stentato e inutile. Poi, il tempo parve
fermarsi.
La scena che si presentò davanti ai suoi occhi fu questa:
l’infermiera accanto al letto con le mani sulla bocca e
un’espressione sconcertata, la siringa ancora piena
abbandonata sul pavimento e una camicia da ospedale abbandonata su una
sedia.
Ora che la guardava bene, pensò Bill, nonostante
l’impressionante somiglianza, la donna chiaramente non era
Giusy. Gli occhi erano più piccoli, il mento più
pronunciato e le sopracciglia più sottili.
Sospirò. Un problema in meno. Anche se, a dir la
verità, se n’era appena aggiunto un altro.
Il letto di Tom era vuoto, e del ragazzo non c’era traccia.
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