Non si giudica un amore futuro in base alla sofferenza passata

di alix katlice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A- Attimi. ***
Capitolo 2: *** B- Bellezza. ***
Capitolo 3: *** C- Cadere. ***
Capitolo 4: *** D- Distruzione. ***
Capitolo 5: *** E- Elastico. ***
Capitolo 6: *** F- Fiore. ***
Capitolo 7: *** G- Gelido. ***
Capitolo 8: *** I- Illusioni. ***
Capitolo 9: *** L- Libertà. ***
Capitolo 10: *** M- Mamma. ***
Capitolo 11: *** N- Non conoscersi. ***
Capitolo 12: *** O- Occhi. ***
Capitolo 13: *** P- Parole ***
Capitolo 14: *** R- Regalo. ***
Capitolo 15: *** S- Sogno. ***



Capitolo 1
*** A- Attimi. ***


Attimi.
Non è di questo che è fatta la vita? Schegge. Ritagli. Attimi.

 

 
Missing Moment ambientato nella 1x01
 

Non è di questo che è fatta la vita? Schegge. Ritagli. Attimi. Valgo meno perché ne ho pochi o il fatto che siano pochi li rende più importanti?
Li proteggo quasi si trattasse della mia stessa vita.
Forse è così.
 
-Cit. Dentro Jenna
(Mary E. Pearson)

 
 
La maggior parte dei fantasmi della Murder House credeva che Tate non sapesse di essere morto.
Al contrario di ciò che pensavano, lui aveva compreso la sua situazione alla perfezione, e sfruttava questo dato a suo piacimento.
La cosa su cui avevano ragione era che non ricordava completamente il suo passato.
I ricordi arrivavano a momenti: due minuti prima non sapeva chi avesse procurato a Larry il suo volto sfigurato, due minuti dopo ne era più che cosciente.
La sua vita era costellata da attimi che gli sfuggivano dalle mani come sabbia.
 
***
 
Questa stanza.
Tate la ricorda come fosse stato ieri: erano entrati gli agenti in nero e, dopo che lui li aveva provocati e aveva afferrato una pistola, gli avevano sparato addosso.
Era morto così, proprio in questa stanza.
Perché?
È buio, fuori dalla finestra.
Il suo sguardo corre al pavimento.
Lui. Morto. Sangue che scorre, urla, pianti.
Si stropiccia gli occhi già lacrimanti: gli fa male non sapere il perché della sua morte.
Insomma, non può aver fatto qualcosa di così brutto, no?
Non lo ricorda, non ci riesce.
Si batte un pugno sulla testa per cercare di farla funzionare, per farle capire che gli serve quel dato per ricollegare il tutto della sua vita, per colmare quel vuoto che sente.
Niente.
Perché?
Sbuffa, un sospiro impercettibile: forza dell’abitudine, lui non ha bisogno di respirare per vivere.
Poi il suo sguardo corre al letto.
Violet Harmon dorme.
Questo è normale, tutte le volte che lui entra nella sua stanza lei dorme: non ha ancora il coraggio di venirla ad osservare di giorno.
Questa volta però c’è qualcosa che la turba: si agita nel sonno, rigirandosi nel letto, facendo cadere le coperte a terra. Tate non si avvicina.
Violet Harmon ha paura di qualcosa, dopotutto. Lei che gli era sembrata così forte, invece ha un punto debole.
- Non voglio – mugola.
Cos’è che non vuole?
- Smettila. Smettila, mi fa male.
Tate riesce a dimenticare per un momento il suo attimo di vita perduto: Violet Harmon sta sognando, e non deve essere qualcosa di piacevole.
Si avvicina lentamente, e si siede sul letto: la osserva lamentarsi, strizzare gli occhi, fino a che non se ne accorge.
Sta piangendo.
Una piccola lacrima scivola sulla sua guancia, poi un’altra, e un’altra ancora.
Violet Harmon, così forte all’apparenza, piange.
Le sfiora con il pollice la guancia bagnata, poi passa alle labbra secche, e sfiorando il mento scende con il dito fino all’attaccatura del collo.
È fredda Violet Harmon, particolarmente fredda per essere viva.
Si sveglia, e si tira a sedere di colpo.
Tate si rende invisibile: non deve vederlo in camera sua, seduto sul suo letto, all’una di notte.
Violet Harmon passa il braccio sugli occhi, asciugando le lacrime. Poi si alza e si dirige verso il bagno: prima di uscire dalla camera afferra un astuccietto nero.
Tate la segue, attento a non colpire niente mentre cammina.
Violet Harmon entra nel bagno e fa per chiudere la porta: Tate riesce a infilarsi dentro prima che la mano della ragazza possa toccare la maniglia. Gli passa vicino, e riesce a sentire il suo odore.
Vorrebbe tanto allungare una mano e sfiorarle il viso.
Lei tira fuori dall’astuccio una lametta di un temperino, e Tate capisce cosa sta per fare.
Rimane a fissare incantato la lama che taglia la pelle, le goccioline rosse che macchiano il bianco del lavandino, il viso impassibile di Violet Harmon.
Perché sono morto?
E ricorda.
Una pistola. Uno sparo. Corpi morti, lui che fischietta.
Una carneficina.
Attimo di vita ritrovato grazie al sangue di Violet Harmon che scorre. L’immagine del braccio della ragazza rimane impressa nella sua mente anche quando lei tira giù la manica del pigiama e si siede a terra, le spalle al muro.
Violet Harmon non piange.
Il suo sangue rimane sul lavandino, a certificare il fatto che questa notte è stata in bagno, si è tagliata e ha espiato la sua colpa.
Tate vuole tenere per se questo piccolo frammento di vita: vuole ricordarlo.
Quando Violet Harmon esce dal bagno per tornare a letto, Tate prende al suo posto la lametta contenuta nell’astuccio nero.
Forse lo aiuterà a non dimenticare.
 
 
[697 parole]
 

 

Note:
“I sentimenti devono essere sempre in libertà. Non si deve giudicare un amore futuro in base alla sofferenza passata.” P. Coelho
Frase del titolo.





_________________________________________
Spazio di Alice:
Ho messo l'avvertimento OOC perchè penso di essere andata fuori dal personaggio con loro due, ditemi voi se dovrei tenere l'avvertimento oppure toglierlo ^^
Allora, non ho molto da dire, se non grazie.
Grazie a te che hai letto e a te che continuerai a leggere, accompagnandomi in questa nuova avventura!
Baci :*
Alice.
 

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Capitolo 2
*** B- Bellezza. ***


Bellezza.
La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla.

 

 
Missing Moment ambientato prima delle vicende narrate nel telefilm, prima della strage al liceo.
 

La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla.
-Cit. David Hume
 

 
 
Tate Langdon era un animale.
Un cucciolo, un piccolo cucciolo ferito, impaurito e terrorizzato da tutto ciò che lo circondava, dalla sua testa, dal mondo.
Tate Langdon era spaventato dalla vita. La considerava piena di orrori, non riuscendo a vedere invece le cose meravigliose che poteva offrirgli.
Tate Langdon dichiarò guerra alla bellezza che il mondo poteva dargli, non riuscendo a guardare oltre.
Per lui era tutto dolore, tutta sofferenza.
Quando la vita capì che da Tate Langdon non avrebbe ricevuto indietro niente, lei si adeguò, e iniziò a donargli solo cose orribili.
 
***
 
La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla.
Tate pensa che questa frase sia orribilmente vera.
- Se la tua mente ti dice che le cose che vedi non sono belle, allora non lo sono.
Sta giocherellando con un gessetto.
Le mani si sporcano di polvere bianca.
- Langdon, non esistono cose belle al mondo. Esiste solo il piscio, la merda, e il vomito. Il resto è prodotto da quella tua testolina del cavolo, che non riesce ad accettare il fatto che il mondo sia così.
Il Diavolo è seduto accanto a lui, con le gambe incrociate. Lo guarda con la solita aria da vincitore, come se Tate Langdon fosse un perdente del cazzo dipendente ormai dalla sua volontà.
Non è così.
Tate decide da solo le cose che fa e che non fa.
- Ti sbagli. La bellezza io non la vedo. Non c’è – dice.
Abbassa la testa, continua a fissare il gessetto.
- Perché sono io ad aprirti gli occhi su come stanno veramente le cose. È l’oscurità che c’è nelle persone la parte più vera di esse, tu hai solo avuto la fortuna di conoscere e tirare fuori quell’oscurità – spiega il Diavolo, trionfante.
È tutto ciò che sa fare, però. Parlare.
Parole, parole, parole. Mai che lui passi ai fatti.
Quello che agisce è sempre Tate.
- Posso riconoscere l’oscurità anche da solo.
- Non ho detto che non lo sai fare, ho detto che senza di me non sapresti che fartene del tuo “riconoscere l’oscurità”.
Tate si alza in piedi, e raggiunge la lavagna appesa sopra la sua scrivania.
Scrive.
Oscurità..
- Come faccio ad aiutare la gente che non riconosce l’oscurità?
- Non puoi.
Il Diavolo sorride. Tate rimane a fissare quella parola, con gli occhi spalancati.
Si alza in piedi e raggiunge il ragazzo.
Da dietro sussurra al suo orecchio la soluzione ad ogni loro problema.
- Sai cosa devi fare.
Il mondo è solo un posto orribile.
Non c’è bellezza, non c’è luce.
Siamo tutti rinchiusi nello stesso incubo.
E, la cosa peggiore, è che Tate Langdon sa qual è l’incubo.
 
È tutto nella mia testa.
Li sto aiutando.
Faccio del bene.
L’oscurità non si impossesserà anche di loro.

 



[460 parole]



______________________________
Spazio di Alice:
Come avrete notato in questa flash Violet non c'è, ma ho pensato che per parlare di loro due   bisognasse anche prenderli da parte uno per uno.
Dopotutto non sono TateeViolet, ma Tate e Violet. Due persone differenti, che si amano certo, ma differenti.
Spero vi sia piaciuta anche questa.
Volevo dirvi  che per i prossimi due giorni non aggiornerò... ma due giorni non sono molti :D
Baci a tutti :*
Grazie per le due recensioni!
A presto :*

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Capitolo 3
*** C- Cadere. ***


Cadere.
Non è forte chi non cade, ma chi cadendo ha la forza di rialzarsi.

 
Missing Moment ambientato precedentemente alle vicende narrate nella serie. Violet a Boston.
 

 

Non è forte chi non cade, ma chi cadendo ha la forza di rialzarsi.
-Jim Morrison
 

 
 
 
 
Quando il mondo le faceva lo sgambetto, Violet Harmon si rialzava sempre.
Accadeva quando a scuola subiva i soprusi delle ragazze più popolari, quando suo padre la psicoanalizzava, quando la gente la giudicava: si sedeva, toglieva dalle mani i sassolini che vi si erano conficcati, e si alzava, pulendosi dalla polvere, guardano avanti per la sua strada.
Era facile per lei rialzarsi dopo essere caduta.
Non era stato felice, però, alzarsi dopo essere stata presa a calci.
 
***
 
A Jennifer Smith non le è mai fregato molto di quella ragazzina asociale che siede alla fine dell’aula.
Le cose, fino a poco tempo fa, erano stabili: lei non le rompeva le palle andandola a disturbare con il suo gruppetto di amichette popolari quanto lei, e l’asociale non faceva niente per intralciare loro la corsa verso lo scettro del potere, come denunciarle alle autorità scolastiche per aver preso a botte quelli più piccoli o per aver copiato al compito di letteratura inglese.
Tanto ci pensano gli altri studenti (non in classe sua) a darle una lezione. Semplice, un patto di convivenza pacifica.
Nessuna rissa fra lei ed il suo gruppo, nessuna complicazione.
Oggi, però, qualcosa è cambiato: Jennifer riesce a capirlo dal modo in cui Violet Harmon guarda fuori dalla finestra, non prestando attenzione alle parole della supplente di… che materia stanno facendo? Ah sì, Algebra, o qualcosa del genere.
Solitamente prende appunti, o peggio, fa domande, ora invece ha lo sguardo perso, gli occhi lucidi.
Molto probabilmente sta piangendo, o ha pianto.
Jennifer distoglie lo sguardo.
Dopotutto non sono affari suoi, non dovrebbe importargliene.
Prova a dare ascolta alla donna seduta dietro alla cattedra, ma finisce per disegnare sul suo libro una caricatura della suddetta, includendo il paio di occhiali rossi enormi e i denti da castoro.
Aggiunge anche il neo che ha sul naso.
La supplente è davvero orribile.
Lo sguardo torna involontariamente a Violet Harmon, che scrive sul suo quaderno rilegato. Continua a piangere, in silenzio, sola.
Deve essere orribile soffrire senza che nessuno se ne accorga, anche per uno che ci è abituato.
La campanella suona: la classe si alza in piedi ed esce dall’aula rumorosamente.
Violet Harmon continua a guardare il suo quaderno.
“Loro non ti capiscono. Non ti capiranno mai” aveva detto.
Aveva.
Ora non c’è più, ed il quaderno è zuppo a causa delle lacrime.
Violet Harmon è l’unica che rimane in classe durante quest’ondata di libertà. Potrebbe sembrare lei stia con i piedi per terra, ma sta cadendo: sta precipitando nella sua testa, nei suoi pensieri, viene aggredita dai mostri che vivono nella sua mente.
Non può credere di aver perso l’unica persona importante della sua vita.
C’è solo tristezza e rabbia.
La cosa peggiore è che sa come far sparire tutto quanto.
Afferra un astuccio rosa da dentro lo zaino e si alza in piedi, di scatto; ora corre, verso il bagno, verso la salvezza.
Jennifer Smith segue con lo sguardo quella ragazzina asociale, guardandola entrare nel bagno spingendo la porta con forza.
Con un gesto della mano ferma il discorso di quella piattola di Jess Landbarg, che ha iniziato ad elogiare il party avvenuto il precedente week-end a casa della sua nuova fiamma, un certo Alexander Gillies.
Quando Jennifer spalanca la porta del bagno, rimane ferma a fissare i tagli presenti sul braccio di Violet.
Non riesce a parlare: continua a guardare con insistenza i segni procurati dalla lametta che la ragazzina tiene in mano.
Violet Harmon ha gli occhi chiusi, e molto probabilmente non l’ha nemmeno sentita entrare. Ha i gomiti appoggiati sul lavandino la testa fra le mani e gli avambracci scoperti.
- Harmon?
Finalmente riesce a parlare.
La ragazzina spalanca gli occhi, e appena si accorge della presenza estranea abbassa le maniche del maglione troppo grande per lei.
Ecco perché sta sempre a maniche lunghe, anche d’Estate.
- Che vuoi, Smith?
Un gruppo di ragazze entra nel bagno, lanciando occhiate stranite a Jennifer: fra qualche ora tutta la scuola saprà che Jennifer Smith -una delle ragazze più popolari dell’Istituto- fraternizza con gli sfigati.
Ma a lei, in questo momento, non importa.
A Jennifer Smith importa solo degli occhi di Violet Harmon, rossi per le lacrime: sembrano gridare “qualcuno mi aiuti!”.
- Va tutto bene?
- Saranno pure cazzi miei.
- Ti ho fatto qualcosa?
Violet sbuffa, e poi sorride: un sorriso che stona con il suo aspetto, un sorriso falso.
- Non sei il centro del mondo, Jenn cara. Spostati, non riesco ad uscire.
- Hai qualche problema, a casa?
La ragazzina si passa una mano fra i capelli. È stanca.
- Mia nonna è morta.
Cala un silenzio imbarazzante, anche se effettivamente tutto è imbarazzante in questa conversazione.
Jennifer Smith non conosce la tristezza e la morte: lei vive nel suo mondo fatto di feste, sigarette e scappatelle con il fidanzato.
Non conosce il significato della parola dolore.
- Eravate molto legate?
- La amavo molto.
Fa fatica a parlare Violet Harmon, soprattutto con una ragazza superficiale come Jennifer; ma, se ci pensa un momento, è l’unica che gli abbia chiesto va tutto bene?, da quando sua nonna… beh, da quando sua nonna non c’è più.
Che scherzo del destino: una delle persone più immaginabili che conosce è l’unica che si sta preoccupando per lei.
Vorrebbe tanto gridare in faccia al mondo: sto soffrendo! Aiutatemi!
Ma invece non lo fa, e l’unica a cui può rivelarlo è Jennifer Smith.
Che ipocrisia, davvero.
- Mi dispiace.
- Non dispiacerti, non hai fatto niente. Magari condividi il mio dolore, ma dubito.
Jennifer  le sorride: sa che l’ha appena insultata, ma non le importa. Per quanto poco possa essere Violet Harmon si è appena sfogata, e questo basta.
Si volta ed esce dal bagno.
Violet Harmon alza la manica del maglione, e guarda i tagli freschi da cui escono ancora alcune goccioline di sangue.
Non ha più voglia di tagliarsi.
 
[979 parole]
 

 

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Capitolo 4
*** D- Distruzione. ***


Distruzione.
Per abbattere definitivamente una persona bisogna solamente distruggere il suo sogno.

 

 
 
Missing Moment ambientato dopo la fine della Prima Stagione.
 
 

Incenerire i sogni. Bruciare i sogni è il segreto per abbattere definitivamente i propri nemici, perché non trovino più la forza di rialzarsi e ricominciare. Se non permetti alle persone di sognare, le rendi schiave.
Questa è la distruzione  più crudele: rubare i sogni alla gente.
 
-Cit. Bianca come il latte, rossa come il sangue.

 
 
 
 
Il suo unico sogno era stata Violet. La sua unica piccola speranza di cambiare, di diventare una persona migliore, di smettere di fare del male alla gente.
Ma, quando lei lo aveva mandato via, quando lo aveva fatto uscire brutalmente dalla sua vita, il suo sogno era stato bruciato, incenerito. Era andato perduto.
La cosa peggiore era che il colpevole di quella perdita era lui stesso.
 
***
 
- Ti racconto una storia, uccellino. C’è un fantasma nella Murder House, che ha perso il suo bambino. Nora -così si chiama il fantasma- vuole solo questo, e un piccolo psicopatico -Tate Langdon- vuole darglielo, non importa se farà del male ad altra gente: l’unico obbiettivo è farla felice. Questo almeno finché Langdon non s’innamora di una mocciosetta del cazzo -Violet Harmon-. Si mettono insieme, si amano e scopano come conigli, finché la mocciosa non scopre che il piccolo psicopatico omicida ha stuprato la madre. Si lasciano e il piccolo psicopatico diventa una fottuta femminuccia rammollita, fine della storia. Ti ricordi il mio invito a divertirsi? Lo ripropongo. L’eternità è lunga, uccellino, e tanto sai che la tua Vi non torn…
Nello scantinato c’è silenzio: Tate è in piedi, con la mano attorno alla gola di Hayden per bloccare parole troppo vere, troppo dolorose.
Appena si accorge di ciò che sta facendo lascia la presa, facendo cadere Hayden a terra, e chiude gli occhi.
Non vuole più fare del male alle persone, anche se lei lo merita. Eccome se lo merita.
- Sei troppo debole persino per sentirtelo dire, uccellino, pensa per accettarlo – dice Hayden, sorridendo, mentre si massaggia il collo.
Le dita del ragazza le hanno lasciato dei lividi scuri sulla pelle, ma non importa: scompariranno in pochi minuti.
- Si può essere la rovina di se stessi? – domanda, mentre si siede a terra e nasconde il viso fra le ginocchia, le mani a circondarle.
- Io lo sono stata. Guardami, sono morta, tutto per colpa del mio amore per Ben.
- Non sei stata tu a bruciare con le tue mani il tuo stesso sogno, è stato Ben.
Hayden sbuffa.
Quel ragazzino ha ragione, purtroppo: sarebbe stato meglio non seguire l’uomo fino a Las Vegas, ma era pur sempre stato lui a non riuscire a darle lo stop definitivo.
- Voglio solo la mia Violet.
Hayden si accorge che sta piangendo.
Dio, quanto odia quando i ragazzini piangono: non sa mai cosa fare.
Si siede accanto a lui, poggiando la testa al muro.
- Non lasciarti distruggere da quella stronza, uccellino.
Ma non è lei a distruggerlo: è lui stesso.
Le azioni che hanno portato alla fine sono state quelle fatte da lui, non da Violet.
La colpa è sua, non di Violet.
L’unica cosa di cui la si può incolpare è il non avergli dato una seconda possibilità: lui è cambiato, ma non sa come dimostrarglielo.
È un’altra persona, ora, non è più lo stesso Tate, quello immerso nell’oscurità.
- Non è lei a distruggermi.
- E chi è, allora?
- Sono io.
Hayden si alza in piedi, e si dirige verso le scale. Andrà da Travis, magari, o proverà nuovamente a convincere Ben del fatto che lei è molto meglio di Vivien.
E invece quel ragazzino resterà a piangere sul latte versato senza fare niente per cambiare la sua condizione di sfigato.
- Allora dovresti non autodistruggerti più, Langdon. È da idioti continuare a farsi male così.
- Voglio solo la mia Violet.
 

[581 parole]

 

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Capitolo 5
*** E- Elastico. ***


Elastico.

 
Non ha una precisa collocazione temporale ^^ 



 
 
Tate aveva adorato tutto di Violet fin dall’inizio, sia l’aspetto interiore sia quello esteriore.
Le labbra, gli occhi -quegli occhi che lo facevano capitolare- la mani, la voce, come la pensava sul mondo, la sua forza.
Adorava tutto.
Adorava il suo profumo, la sua pelle.
Avrebbe voluto toccarla davvero.
 
***
 
Violet Harmon tiene in mano un elastico viola.
Lei i capelli non li tiene quasi mai legati, ma ora le danno fastidio quanto… quanto le danno fastidio le persone stupide, ecco, per fare un paragone.
Gira e rigira fra le mani l’elastico viola, allargandolo con il pollice e l’indice. Si guarda allo specchio, un viso pallido circondato da dei capelli lisci e di color biondo scuro.
Violet Harmon sorride allo specchio, per poi subito tornare all’espressione corrucciata di poco fa.
Non le riesce molto bene sorridere se non è felice, ma, quando lo è, Tate pensa che lei abbia il sorriso più splendido del mondo.
È come se illuminasse tutto il buio che lo circonda.
Violet Harmon si passa una mano fra i capelli.
Tate adora il modo in cui lo fa. Passarsi la mano fra i capelli, intende. Gli piacerebbe accarezzare quella cascata di biondi fili sottili, per sentire se sono davvero così morbidi come appaiono.
Con una mano raccoglie i capelli in una coda, con l’altra passa più volte l’elastico, così da tenerli legati.
Tate si avvicina.
È a pochi passi da lei, ma non avanza ancora. Non vuole correre il rischio di essere toccato per sbaglio.
Violet Harmon disfa la coda che ha appena fatto per cercare di farla più dritta.
Tate continua ad osservarla, e si avvicina ancora di più. Arriva vicino a lei, molto vicino, tanto che può sentire il suo profumo.
Il suo adorabile profumo.
Allunga una mano.
Ha molta voglia ti toccare la pelle morbida di Violet Harmon, ma non lo fa.
La guarda mentre lascia la stanza, l’elastico gettato dentro al cassetto della sua scrivania.
Violet Harmon è bella in qualunque modo si presenti.

 
[332 parole]
 
 
 

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Capitolo 6
*** F- Fiore. ***


Fiore.
I fiori… I fiori, sono le creature più dolci che Dio abbia mai fatto e alle quali si sia dimenticato di infondere un’anima.


- Cit. H.W. Beecher

 
Ambientato prima della 1x05.
 
 
Tate non aveva mai provato quell’ossessione assurda per nessun’altro.
Non aveva mai sentito un attaccamento tanto forte, un emozione così accesa… ne era in un certo modo spaventato, e questo perché non sapeva come comportarsi.
Aveva deciso che sarebbe stato meglio dimostrare a Violet quanto lui tenesse a quel rapporto.
Al loro rapporto.
 
***
 
“I fiori… I fiori, sono le creature più dolci che Dio abbia mai fatto e alle quali si sia dimenticato di infondere un’anima.”
Chiunque avesse detto quella frase, secondo Tate aveva torto.
Violet era sia un fiore delicato che una persona con un anima.
 
***
 
È uscito in giardino, e si inizia a guardare attorno.
Cerca un qualcosa che faccia al caso suo, un qualcosa di… “Violettesco”. Un qualcosa adatto a Violet.
Un cane passa davanti al cancello e abbaia.
Tate si gode l’espressione scocciata del padrone mentre richiama il suo animaletto all’ordine, non sapendo che quel cagnaccio ha tutte le ragioni per abbaiare.
Guarda il cielo azzurro, pieno di piccole nuvolette bianche.
Forse una rosa potrebbe andare bene.
Inizia a guardarsi attorno, cercando di individuarne una: se potesse andrebbe immediatamente da un fioraio e le comprerebbe il negozio intero. Il problema… è che non può.
Ecco. All’angolo del giardino cresce un cespuglio di rose.
Tate si avvicina, e con forza ne strappa una.
Il sangue inizia a scorrere, ma non se ne preoccupa più di tanto: presto le ferite si rimargineranno.
La rosa è rossa. È rossa quasi quanto il sangue che scorre.
Ma una rosa rossa è convenzionale: non è il regalo adatto per la sua Vi.
Violet è attratta dall’oscurità, e l’oscurità è il nero.
Una rosa nera potrebbe andare bene, la rappresenterebbe: nera, come tutto ciò da cui Violet è attratta, con le spine, come la sua Vi e la sua scorza per difendersi dagli orrori del mondo, e con petali vellutati, vellutati come la sua pelle.
Sì, potrebbe andare decisamente bene.
 
***
 
Il sorriso di Violet è una delle cose più belle di questo mondo per Tate.
E ora, mentre la sua Vi sorride, Tate non può fare a meno di ringraziare quella rosa; è grazie a lei se ora Violet sta sorridendo, ed è grazie a lei che anche Tate sorride.

 
 
 
 
[371 parole]
 
 
 


_______________________________________________________-
Spazio autrice:
Ci tengo a precisare una cosa.
Innanzitutto grazie a tutti quelli che leggono, preferiscono, recensiscono, ricordano, seguono. Grazie mille, davvero ^^
Secondo, vorrei dire che la visione di Violet che ha Tate non è fedele alla realtà: infatti in questo capitolo possiamo vedere che considera Violet quasi non umana, mentre noi sappiamo che anche lei ha i suoi difetti (egoista).
Ok, volevo solo dire questo per evitare fraintendimenti ^^
Baci a tutti e alla prossima :*

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Capitolo 7
*** G- Gelido. ***


Gelido.
Il gelo in una relazione non è mai una buona cosa: inizia a raffreddare anche i sentimenti che si provano, e dopo un po’… puf, la relazione non c’è più.

Ambientato durante e dopo la 1x06



Il gelo in una relazione non è mai una buona cosa: inizia a raffreddare anche i sentimenti che si provano, e dopo un po’… puf, la relazione non c’è più.
-Cit. alix katlice

 
 

 
 
Constance Langdon non era mai stata una madre modello.
Spesso era ubriaca, si lasciava andare, non si prendeva cura dei suoi figli: Tate aveva sempre sofferto questa situazione, tanto che ad un certo punto aveva iniziato ad odiare sua madre.
Aveva iniziato ad essere freddo con lei, a non rispondere quando lo chiamava, a scostarsi quando provava ad accarezzargli il viso.
Ed era riuscito ad allontanarla.
 
***
 
- Non morire, Violet!
La trascina sul pavimento, deve arrivare in bagno: non può morire, deve salvarla.
Non puoi morire, Vi, non devi morire.
Poi, perché? Perché ha scoperto la verità sul suo passato? Ha capito con che tipo di persona ha a che fare?
Ma io la amo, questo non basta?
- Non morire, Violet!
Apre il rubinetto della vasca da bagno e ci si getta sotto insieme a Violet.
Le infila due dita in gola, esitando per un momento: se morisse potrebbero vivere insieme per sempre…
Ma lui ha iniziato ad amarla proprio perché era viva.
- Violet!
Vomita, vomita le pasticche, ma non abbastanza, e Tate se ne accorge subito: non ne hai vomitate abbastanza, Vi, non ne hai vomitate abbastanza.
Ma non si fa prendere dal panico, e mentre la sua Vi piange, lui le bacia il collo, le sussurra che va tutto bene.
Ma, Vi, non va tutto bene.
Tu sei morta. Il tuo cuore non batte più. Non riuscirò più a scaldare le tue mani fredde.
Morta, Vi.
 
***
 
Lo tratta con freddezza, è gelida: lo stesso gelo con cui lui trattava Costance.
Non riesce a capire perché: le ha detto che la ama.
Cioè, in realtà non gliel’ha propriamente detto. Gliel’ha scritto su una lavagna, ma non è la stessa cosa?
Sì. È la stessa cosa.
È fuori dalla porta della camera di Violet: sa che lei è dentro a leggere, ma non ha la forza di poggiare le dita sulla maniglia e spingere.
Il gelo in una relazione non è mai una buona cosa: inizia a raffreddare anche i sentimenti che si provano, e dopo un po’… puf, la relazione non c’è più.
È successa la stessa cosa con Costance, ed ora Tate capisce come lei dev’essersi sentita: impaurita, spaventata, delusa da sé stessa. Ma lei se lo meritava, lui no.
Non permetterà che il gelo li separi.
Entrerà in quella fottuta camera e metterà le cose al loro posto, e se Violet non vorrà… se ne farà una ragione. Lui la ama, non la costringerebbe mai a fare qualcosa contro la sua volontà.
Io la amo.
Non voglio perderti, Vi.
- Anche a me piacciono gli  uccelli.

 
 
[433 parole]
 
 

 

 ________________________________________
Spazio di Alice:
Scusate il mostruoso ritardo!
Non avevo molta ispirazione, e sapete com’è quando non si ha ispirazione… non si riesce a scrivere D:
Grazie alle sette persone che hanno messo fra le preferite, alla persona che ricorda e alle dieci che seguono: grazie anche a chi ha recensito e recensirà.
Scusate ancora e alla prossima!
Baci.
Alice.

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Capitolo 8
*** I- Illusioni. ***


Illusioni.
Sono tutte illusioni. La vita è una scatola vuota che riempiamo di cazzate per farcela piacere, ma poi basta nulla e puf… ti ritrovi senza niente.

 
  



Sono tutte illusioni. La vita è una scatola vuota che riempiamo di cazzate per farcela piacere, ma poi basta nulla e puf… ti ritrovi senza niente. Quell’uomo si è illuso che morire per una causa che riteneva giusta abbia dato senso alla sua vita. Contento lui. Ma è solo una copertura per rendere la pillola meno amara. La scatola resta vuota.
 
-Cit. Bianca come il latte, rossa come il sangue.

 
 
 



Tate Langdon sapeva che la vita era solo una scatola vuota riempita di cazzate per fargliela piacere.
Lo sapeva da quando era piccolo e suo padre lo aveva lasciato solo, con quella psicopatica di Costance e i suoi fratelli malati.
La vita di Tate Langdon era sì una scatola vuota, ma non era riempita di cazzate per fargliela piacere. La scatola di Tate era vuota e basta, di quel vuoto che ti inghiotte e ti trascina nel suo vortice di follia.
 
***
 
- La mia scatola è vuota?
Violet si ferma: non accarezza più i capelli sottili di Tate, lo guarda e basta. Quando Tate inizia a parlare con quel tono di voce, con il tono di voce strascicato, timoroso… non è mai un bene.
O si finisce per discutere, o si finisce per fare l’amore, e anche se fare l’amore non è affatto una cosa brutta, litigare lo è.
- Che scatola, Tate?
- La scatola della mia vita. È vuota?
Non capita spesso che facciano discorsi seri: vivono in un mondo tutto loro, non vogliono che la merda e gli orrori del mondo vero li contamini.
È una cosa a cui pensano spesso, ma non ne parlano mai.
- Non è vuota.
- Ma io mi sento vuoto. Non ci sono cose belle nella mia vita, a parte te.
Violet rinizia ad accarezzargli la testa, cercando di fargli capire che non vuole continuare il discorso, che non vuole parlare.
Fa troppo male il pensare alle cose brutte: per Violet è meglio pensare di poter restare chiusa nella bolla che si è creata; la fa sentire bene pensare di essere al sicuro da tutto e da tutti, ma forse per Tate non è così, perché continua il discorso.
- Sei l’unica cosa bella. Non sopravvivrei senza di te.
Violet non lo guarda: anche lei spera di non dover mai lasciarlo andare, ma si sa… il per sempre non esiste.
Bugia.
- Vi…
Con una mano le afferra dolcemente il mento, e i loro sguardi si incontrano: Tate alza la testa e poggia dolcemente le labbra su quelle di Violet.
- Promettimi che non mi lascerai, ti prego.
Sai cos’hai fatto.
Violet sorride: il suo sorriso è l’unica cosa che riesce a rendere migliore la giornata di Tate, anche se sa che non lo merita, che quel sorriso non dovrebbe essere rivolto a lui, ma ad una persona buona e pura come Violet.
Violet non riuscirebbe ad amare nessuno tranne te.
- Allora, me lo prometti?
Aspetta con trepidazione la risposta; incredibile come una minuscola parolina possa condizionare la sua intera esistenza.
Un no significherebbe il crollo del suo mondo.
Un sì lo renderebbe una persona felice, una persona migliore.
- Sì, Tate. Te lo prometto, non ti lascerò solo.
Bugie, tutte bugie.
La tua vita era vuota: ora è stata riempita della tua prima illusione.
Festeggiamo, Tate, sei riuscito anche tu a riempire quella fottuta scatola.
 

 
 
 
[487 parole]
 

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Capitolo 9
*** L- Libertà. ***


Libertà.
Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo.
 

 
Missing Moments ambientato in un momento non precisato ^^

 
 
 

Noi siamo diversi dagli animali, che fanno solo quello che la loro natura comanda. Noi invece siamo liberi. È il più grande dono che abbiamo ricevuto. Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo.

 
-Cit. Bianca come il latte, rossa come il sangue.

 
 
 
 
Una delle tante cose che a Tate mancava era la libertà.
Era proprio per quello che amava gli uccelli: loro erano liberi di volare via, andare dove volevano.
Lui era solo un piccolo, insignificante umano che non aveva il diritto di essere libero e felice.
 
***
 
- Vorrei avere le ali.
È bello stare abbracciati a Violet, sentire il suo corpo attaccato al proprio. È terribilmente bello.
Sono seduti in giardino, a guardare il cielo, e proprio in questo momento passa sopra di loro una rondine.
Lei sì che è felice.
- Perché?
- Te l’ho già detto, per volare lontano.
Violet scuote la testa e si mette una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Ma perché vuoi volare lontano?
Il ragazzo ci pensa un momento: sinceramente non ci ha mai riflettuto realmente.
Lui voleva solo volare lontano… ah. Sa perché voleva avere le ali.
- Voglio fuggire da qui.
- Ma non penso che fuggendo tu riesca a risolvere i tuoi problemi. Non vedresti più tua madre, certo, ma non pensi che il mondo là fuori sia molto simile –se non uguale- a questo?
Tate scuote la testa.
Non ci aveva mai pensato.
Ma se il mondo è tutto uguale, troverà mai la felicità?-
Forse la felicità è qualcosa di astratto, qualcosa che si raggiunge, non che si trova.
Forse è proprio lì vicino, così vicino che riesce a sfiorarla, persino.
- Non voglio che il mondo sia un posto così… sporco. Ci dev’essere un posto migliore – dice Violet, e sembra quasi che neghi ciò che ha appena detto.
La felicità si raggiunge, non si cerca in un luogo.
- Vi… Io sono felice qui. Con te. Non voglio che tu pensi che io non ti ami, ma vedi… non è il mio posto, questo.
Violet sorride.
- Lo so. Non è nemmeno il mio, ma dobbiamo accontentarci. Non possiamo fuggire lontano.
Anche Tate sorride, un sorriso amaro, ma non per lo stesso motivo di Violet: lui sa quanto sia vera quell’affermazione.
Lui non può andare da nessuna fottuta parte, grazie a quel luogo.
- Hai ragione.
La stringe più forte a se, come a poterla trattenere, perché sa che un giorno tutto quello finirà.
Lei non ci sarà più, invecchierà, o magari se ne andrà in un'altra casa e l’unica cosa che potrà fare - sarà spezzarle il cuore.
- Mi piacerebbe davvero poterti portare lontano, dove nessuno potrebbe farti e farci del male.
- A me piacerebbe avere un pony arcobaleno. Dai, Tate, smettiamola, sappiamo tutti e due che è impossibile. Ci saranno sempre gli stronzi pronti a renderti la vita un inferno in ogni momento, dobbiamo semplicemente accettarlo – alza le spalle mentre parla, come a voler confermare le parole che dice.
Tate rivolge di nuovo lo sguardo verso il cielo.
- Vorrei davvero avere le ali.
Lo renderebbero qualcuno che non è, certo, ma chi dice che non sarebbe una persona migliore?
Anzi, sarebbe decisamente migliore di com’è ora.
Senza visioni, senza madre, senza orrori.
Puoi essere libero anche restando fra quattro mura, l’importante è avere una scelta, poter fare la propria scelta.
Ma forse questo Tate non lo ha capito.

 
 
[525 parole]



_______________________________________________________________
Lo spazio di Alice.
Scusate il ritardo per l'aggiornamento, ma ero in vacanza *-*
Grazie a tutti per le recensioni, e grazie a chi ha messo fra le preferite, ricordate, seguite.
Sono al quarto (e ripeto quarto!) posto fra le più popolari!
Grazie a tutti, davvero!
Baci :*
Alice.

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Capitolo 10
*** M- Mamma. ***


Mamma.
Non scorderò mai mia madre, perché fu lei a piantare e nutrire i primi semi del bene dentro di me.

 
 
 
 
 
Missing Moment ambientato durante l’infanzia di Tate e Violet.
 

 
 

Non scorderò mai mia madre, perchè fu lei a piantare e nutrire i primi semi del bene dentro di me.
Cit. Immanuel Kant


 
 
 
A pensarci bene, Constance Langdon e Vivien Harmon avevano molto in comune.
Per quanto le loro personalità potessero essere agli antipodi –e lo erano, eccome se lo erano- tutte e due avevano una cosa che le accumunava.
Dei figli.
Certo, Constance ne aveva tre particolarmente problematici e uno perfetto, mentre Vivien aveva solamente una splendida bambina… ma tutte e due avevano figli.
A tutte e due era stato concesso il dono di creare la vita, ma solo una era riuscita a dimostrare la sua gratitudine verso quel dono.
Sia Vivien che Constance amavano davvero i loro bambini, ma solo la prima riusciva a dimostrarlo.
 
***
 
Violet corre in giro per la casa, con la disattenzione e la spensieratezza che solo i bambini possiedono.
Vivien è seduta per terra, sul tappeto, e tiene in mano la carta strappata di quel regalo tanto atteso: sorride, mentre sente gli urletti di felicità della sua bambina.
La sua bambina.
Ben non c’è.
Scusa, cara, ma non posso cenare con voi questa sera, la Vigilia di Natale: una paziente, Georgie Hendell, ha tentato il suicidio, sì, una paziente ha tentato il suicidio ed io devo andare a sostenerla.
Sì, è così, devo sostenerla.
Ma Vivien non ci rimane male, perché tutta la felicità che viene dal Natale, dai regali, dal tacchino e dall’Albero, non serve Ben per vivere quella felicità.
Le basta Violet, la sua bambina che è allegra e spensierata, che non pensa al padre che non è presente.
- Mamma, posso aprire gli altri regali?
Però aspettatemi per aprire i regali.
Fagli aprire solo quello da parte dei vicini, Vivien, gli altri li apriamo domani tutti insieme, così ci sono anch’io.
- Fa pure, tesoro. Vuoi una mano?
 
***
 
Tate anche è seduto sul tappeto.
Tiene in mano l’unico regalo che Babbo Natale gli ha portato.
- Mamma, perché non mi hai comprato altri giocattoli? Gli altri bambini ne hanno di più, ne sono sicuro.
Costance però non risponde, una bottiglia di vino vuota per terra e lei stesa sul divano.
- Mamma – la chiama Tate un’altra volta, ma Costance non risponde.
Costance non risponde ancora.
Mamma.
Mamma.
Non risponde ancora.
Ancora e ancora.
- Mamma, per favore, svegliati.
La scuote con delicatezza, perché dopotutto Tate è ancora un bambino e le vuole ancora bene.
Per ora.
- Tate, perché mamma non è ad aprire i regali con noi? – chiede Adelaide.
Ed è qui che il mondo gli crolla addosso.
Perché non è con noi in un momento dove la famiglia dovrebbe essere tutta insieme?
Perché si è abbandonata all’alcool, ancora una volta, ancora ancora, invece di abbandonarsi a noi?
Non posso dire ad Addie che non ci vuole più bene.
Non posso dirle che forse per lei non siamo importanti.
Forse, non siamo importanti.
Non siamo importanti.
- Perché è stanca, sì, oggi è molto stanca e non è riuscita a restare sveglia per aprire i regali. Sì, è proprio così, la mamma è solo tanto stanca, Addie. Li apriamo noi i regali.
Tate si avvicina alla sorella, e insieme iniziano a scartare la carta dei loro piccoli pacchetti rossi.
Tate sorride al vedere la sorellina sorridere alla vista di un bel vestitino azzurro e dei fiocchetti dello stesso colore.
Almeno l’hai fatta felice, mamma.

 
 
 
 
[543 parole]

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Capitolo 11
*** N- Non conoscersi. ***


Non conoscersi.
Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.
 
 
 

Missing Moment ambientato in un momento non precisato.



Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.
-Cit. Marie von Ebner-Eschenbach
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.”
Violet Harmon non aveva mai invidiato quelle persone che del dolore conoscevano solo la parola che si usava per descriverlo.
Dolore.
Violet pensava spesso a quanto fosse megalomane la mente umana. Racchiudere i sentimenti in semplicissime parole… Violet non capiva.
Poi, un giorno, capì.
 
***
 
Violet è seduta sulla tazza del bagno.
Si guarda allo specchio, il labbro rotto a causa di un pugno ricevuto da una certa Evelyn, una ciocca di capelli strappata dalla stessa Leah, un occhio nero e lo stomaco dolorante grazie ad Anne.
Si chiede cosa c’è di sbagliato in lei.
Perché se fosse perfetta, se non fosse un difetto di fabbrica, magari potrebbe tornare a casa ogni giorno senza la certezza di essere picchiata.
Ma la cosa che si chiede, è perché quelle come Leah, per sentirsi forti, devono far sentir deboli le persone come lei.
Non ha senso.
Violet non parla, anche perché vicino a lei non c’è nessuno.
Continua a guardarsi allo specchio soffermandosi sui lividi e sui segni della violenza sul suo viso.
Si mette una ciocca di capelli dietro all’orecchio e, con la lingua, inumidisce le labbra.
“Le persone più forti all’apparenza, sono quelle più insicure: e, spesso, quando si è insicuri, si tende a voler sopraffare chi ti sta intorno.”
Quindi lei dovrebbe essere forte?
In questo momento si sente tutto fuorché forte.
Perciò, riprendendo il discorso, le persone hanno paura. Di tutto. E, quando si ha paura di una cosa, si cerca di controllarla: e, il miglior modo per farlo, e darle un nome e conoscerla.
Se il suo ragionamento è esatto, l’intero mondo ha paura delle emozioni.
Ma è normale, tutti sono spaventati dalle proprie reazioni.
Il dolore fa paura.
Il dolore ti cambia.
Forse è proprio questo che intendeva quella vecchia frase: il dolore ti fa fare cose che non faresti mai, ti fa diventare una persona che non immagineresti mai di poter essere.

 
 
[317 parole]

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Capitolo 12
*** O- Occhi. ***


Occhi.
Perché gli occhi sono la vita in miniatura
 
 


Missing Moment ambientato nella 1x01
 


 
 
Perché gli occhi sono la vita in miniatura. Bianchi intorno, come il nulla in cui galleggia la vita, l’iride colorata, come la varietà imprevedibile che la caratterizza, sino a tuffarsi nel nero della pupila che tutto inghiotte, come un pozzo oscuro senza colore e senza fondo.
 -Cit. Bianca come il latte, rossa come il sangue.
 




 
 
 
Violet aveva sempre trovato estremamente interessante guardare gli occhi della gente.
Si diceva che gli occhi fossero lo specchio dell’anima, e lei pensava che chiunque avesse detto questa frase avesse ragione.
Se una persona aveva uno sguardo freddo, distaccato, Violet difficilmente riusciva a fidarsi.
Gli occhi erano il suo unico mezzo per capire chi avesse davanti, e lei lo sapeva.
 
***
 
- Perché ho conosciuto una persona.
Un brivido freddo le sale per la schiena.
Lo sguardo di Tate Langdon si sposta, da suo padre passa a lei, come se sapesse che lei si trovasse lì dall’inizio della loro seduta.
Sono belli gli occhi di Tate Langdon, come tutto in lui: sembra un angelo.
Non distoglie lo sguardo, non gli farà vedere quanto la sua vista la turba.
È proprio questo il sentimento che lui, inizialmente, produce in lei: turbamento.
I suoi occhi sono neri, non si riesce a distinguere la pupilla dall’iride: e, secondo le sue conoscenze, questo sta a significare che la sua anima è nera quanto la pece.
Ma non può essere, non un ragazzo con l’aspetto di un angelo come lui.
Le sembra abbastanza a posto.
 
Dopotutto, non è neppure vero che gli occhi riflettono l’anima di una persona.




 
[203 parole]
 
 

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Capitolo 13
*** P- Parole ***


Parole.
 
 
 
 
 
 
Ogni volta che Violet riceveva una ramanzina, se ne stava seduta a pensare.
Non ascoltava quasi mai cosa le dicevano, i professori, i genitori, i parenti; se ne stava semplicemente nel suo magico mondo fatto di pensieri.
Violet non parlava spesso, e sentirli urlare e guardarli dimenarsi non faceva altro che incrementare la sua voglia di fare qualcosa, qualunque cosa, per farli incazzare.
Per lei era davvero divertente vederli sbracciarsi così, quando sapeva benissimo che la sfuriata non sarebbe servita a niente: lei avrebbe continuato a disubbidire, loro ad urlare.
Semplice.
Violet non dava mai troppa importanza alle parole: le persone possono mentire, ma non possono far finta di fare qualcosa.
Per esempio, se una persona le prometteva che le avrebbe comprato un qualcosa, lei non ci credeva: ci avrebbe creduto solo quando quella persona le avrebbe portato l’oggetto incriminato, dritto nelle sue mani.
Semplice anche questo.
 
***
 
Violet ride.
Quando sta con Tate è facile, perché lui è sempre allegro e gentile con lei: la fa stare bene, un piccolo gesto le basta per essere contenta per tutto il resto della giornata.
Ride ancora, mentre lui le fa il solletico: sono seduti l’uno accanto all’altra, in camera di Violet, e ridono.
Ridono ridono e ancora ridono.
Violet solitamente non ride: riesce a farlo solo con Tate di questi tempi.
Poi, improvvisamente, l’unica risata che risuona nella stanza è la sua.
Volta lo sguardo verso Tate, che la sta semplicemente guardando in silenzio.
È fatto così, Tate. Sorride quando lei sorride, piange quando lei piange, l’aiuta quando ha bisogno di aiuto.
- Che succede? – chiede.
Tate scuote la testa prima di rispondere.
- Volevo sentire il suono della tua risata.
Ed è vero, Violet sa che è vero.
A differenza di chiunque altro, Tate dice sempre la verità: è facile fidarsi di lui, è facile credere alle sue parole, ed è facile pensare che non menta.
Violet ci crede.
- Perché?
- Perché mi piaci.
Crede anche a questo: lo guarda negli occhi, perché è impossibile che la gente, quando  la guardi negli occhi, menta.
Almeno la gente normale.
Ma Violet non se ne accorge che il suo ragazzo non è normale. Lo guarda come una qualunque ragazza innamorata, si fida di lui ciecamente, senza chiedersi il perché di tante, troppe azioni inspiegabili.
Perché Tate è un bugiardo patologico, un manipolatore.
Ma Violet continua a fidarsi, e, anche se magari la ama davvero, continua a non capire quando lui mente o quando dice la verità.
Si fida ciecamente.



 
_________________________________________
Spazio di Alice:

è da tanto che non scrivo lo Spazio di Alice xD
Volevo solo ringraziarvi. Tutti quanti.
 Chi recensisce, chi ricorda, chi segue, chi preferisce, chi legge semplicemente.
Grazie per aver creduto in questa raccolta, per averla fatta arrivare seconda (e dico seconda *-*) fra le più popolari.
Grazie a tutti quanti, davvero!

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Capitolo 14
*** R- Regalo. ***


Regalo.
 



 
 
 
 
Violet non aveva mai sentito il bisogno di manifestare affetto.
Insomma, l’unica persona che aveva amato con tutta l’anima era sua nonna, ed era morta. I suoi genitori, beh, a loro voleva bene, ma pensava che non ci fosse bisogno di dimostrarglielo.
Lo capivano da soli, non erano stupidi.
Poi, era arrivato Tate, che aveva stravolto il suo mondo, e l’affetto era diventata una cosa indispensabile nella sua vita.
Baci, abbracci, carezze, parole. Tutto quello che poteva servire a farla sentire un po’ più sicura.
Ben e Vivien non erano mai riusciti a farla sentire completamente a suo agio, ma Tate… Tate ci era riuscito.
Così, quando aveva scoperto cosa aveva fatto, si era sentita tradita.
Ferita.
Una foglia in balia del vento, senza più un porto sicuro.
Lo aveva lasciato, e si era ritrovata di nuovo sola. I suoi genitori le erano rimasti accanto, ma aveva bisogno di altro.
 
 
***
 
Violet è in piedi davanti all’albero di Natale.
È solo uno stupido albero, pieno di lucette rosse e palline decorate, ma la fa sentire bene.
La riporta a tanti anni prima, non ricorda quanti, quando ancora la sua vita era piuttosto normale.
Quando c’era ancora Tate.
Questo però cerca di non pensarlo, mentre continua ad osservare l’albero.
Sotto di esso, c’è un pacchetto.
Violet non ricorda di aver mai visto un regalo sotto quell’albero, sin dai primi tempi in cui festeggiavano quasi davvero il Natale, seduti tutti a tavola a cantar canzoncine.
Non possono uscire dalla casa, non potrebbero comprare regali.
E invece, quest’anno, sotto all’albero c’è un pacchetto.
Impressionante.
Il passaggio dall’osservarlo all’afferrarlo è breve.
Lo tiene per qualche secondo in mano, valutando se è il caso di aprirlo o no: infine, dopo essersi guardata attorno, come se avesse paura che qualcuno possa spiarla, opta per la prima opzione.
Inizia a scartare lentamente la piccola scatolina.
 
Tate non l’ha dimenticata.
Aspetterò per sempre, se necessario.
E sta aspettando, davvero.
La sta guardando dalla porta a vetri del salone, mentre tiene in mano quel pacchetto. Quello stupido pacchetto.
È un modo per farle capire che lui ci sarà sempre, che non l’ha abbandonata, che non è sola.
È un modo per dirle che la ama.
 
Violet non sorride quando apre la scatolina.
Dentro ci sono solo delle perline e delle pagine di libri strappati, ed è facile immaginare chi le abbia fatto quel regalo.
Una parte di lei vorrebbe buttarla in un cestino e dimenticarla.
L’altra parte di lei, si sente bene al pensiero che Tate ci sia anche dopo così tanto tempo.
Al pensiero che lei è ancora nei suoi pensieri, che la ama ancora.
Ed è per questo che la scatola rimane nella sua tasca, e Tate è più che sicuro di essere riuscito a riconquistarsi un piccolo spazio nel cuore di Violet.
Quello che non sa, è che non lo ha mai abbandonato.
E, anche se non lo perdonerà, Violet sa che Tate ci sarà. Sempre.
 

 

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Capitolo 15
*** S- Sogno. ***


Sogno.
I sogni sono come le stelle.
 
 



Missing Moment ambientato nella 1x07, prima della scena in cui Violet e Tate sono insieme nel letto, dopo aver fatto l’amore per la prima volta.
Enjoy it!

 
 
 
 
I sogni sono come le stelle: le vedi brillare tutte quando le luci artificiali si spengono, eppure stavano lì anche prima. Eri tu a non vederle, per il troppo chiasso delle altre luci.
 
-Cit. Bianca come il latte, rossa come il sangue.
 



 
 
“I sogni sono come le stelle” aveva sentito dire una volta, e non poteva fare a meno di essere d’accordo con chiunque avesse scritto quella frase.
Violet era il suo sogno, ed era l’unica luce che lui avesse mai visto(1)*.
Era accecante, per quant’era bella. Terribilmente e fastidiosamente bella.
Era la sua stella Violet, la sua piccola stella che brillava, anche se offuscata dalle luci artificiali che la circondavano.
Violet era tutto ciò che c’era di bello in lui: era con lei che tirava fuori la sua parte migliore, era lei l’unica persona che amava.
Violet.
Persino il suo nome era bello.
 
***
 
Tate le accarezza il braccio.
Sono completamente vestiti, e sono sul suo letto.
Stupido letto che non gli permette di baciarla.
Sta studiando, una cosa che solitamente non fa mai, ed è così bello vederla concentrata su un qualcosa che non sia una lametta.
Continua ad accarezzarle il braccio, sfiorando con le dita quelle orribili cicatrici.
In realtà lui non le trova orribili, ma lui non troverebbe niente orribile ricollegato a Violet.
Violet è tutto ciò che ha(2)*: non potrebbe mai trovarla orribile.
Tate alza lo sguardo su di lei, ma non riesce ad arrivare ai suoi occhi: le sue labbra sono troppo interessanti.
- Smettila di fissarmi.
Si costringe a guardarla negli occhi. È infastidita, ma non completamente. Le da fastidio che lui la fissi, ma non così tanto.
Le fa piacere, in un certo senso: si sente desiderata, si sente importante, e per una persona non abituata a provare certe emozioni è una sensazione meravigliosa sentirsi così.
Tate solleva le spalle, come per scusarsi, ma senza parlare: gli piace il silenzio.
Violet si riconcentra sui suoi appunti. Una ciocca di capelli le cade davanti agli occhi, e con la mano li rimette dietro all’orecchio.
Si passa la lingua sulle labbra per inumidirle, e Tate di riflesso fa lo stesso.
Ha proprio voglia di baciarla.
Lentamente afferra gli appunti e li posa a terra, avvicinandosi al suo viso.
- Cosa stai…
Si avvicina e la bacia dolcemente. Poggia leggere le labbra sulle sue, e rimane così.
Quanto gli piacciono le labbra di Violet.
Lo stacca da se.
- Dovrei studiare.
- Studiamo dopo. Ti aiuto e non mi metto a fissarti, prometto.
Violet si passa di nuovo la lingua sulle labbra, segno che sta valutando la proposta. Poi fa un sorrisetto sghembo.
- Fanculo lo studio.
Lo afferra per il colletto e, scivolando sdraiata sul letto, lo attira sopra di se, e lo bacia. Non è come prima, dove il bacio era dolce, ora è passionale.
Passa le mani fra i suoi capelli, arricciandoli attorno alle dita, e Tate inizia finalmente a rilassarsi.
Sentire il corpo di Violet premuto al suo è tremendamente eccitante, ma non fa niente: dopotutto è solo una bambina, e anche se lei afferma di essere pronta Tate sa che non è così.
Violet stacca la bocca dalla sua, probabilmente per riprendere fiato, e Tate ne approfitta per scendere a baciarle il collo.
- Niente succhiotti – sussurra Violet. Forse non vuole che i suoi genitori le facciano qualche domanda.
Non riuscirebbe a spiegare l’esistenza di eventuali segni violacei sul collo. Non ha amici a parte Tate, e i suoi lo sanno: in più Ben le ha anche proibito di vederlo, non pensa che risulterebbe felice se sapesse cosa fanno.
Sospira.
Tate è felice.
Lui ama Violet, e pensa sempre all’eventualità che lei non ricambi i suoi sentimenti: ne è terrorizzato.
Sono in momenti come questi che è sicuro di piacerle -almeno sul piano fisico-.
Non riesce a fermarsi, e infila una mano sotto al maglione.
La sua mano inizia a scorrere sulla sua pelle.
- Tate?
Tate si ferma.
- Qual è il tuo sogno?
E sono in momenti come questi che è quasi sicuro di piacerle anche in campo sentimentale. Lui la conosce Violet, e sa che certe domande non le fa a chicchessia.
- Qual è il tuo?
- Non mi hai risposto.
- Rispondimi e ti dico qual è il mio sogno.
Violet getta la testa sul cuscino.
- Non ho sogni.
- Tutti hanno sogni.
- Io no. Allora, dimmi il tuo.
Tate sorride. Lui lo sa bene qual è il suo sogno, ma non vuole condividerlo ora con lei: pensa non sia ancora pronta ad accoglierlo, a prendersi cura del suo sogno, perché è questo che le persone che si amano fanno, no? Si prendono cura dei propri sogni l’un l’altro.
Ma se non conoscono l’uno il sogno dell’altro come fanno ad amarsi?
- Il mio sogno sei tu.(3)*
Ecco, l’ha detto. Il mio sogno sei tu. Una frase che può sembrare stupida, ma è vera, tanto vera, così vera da risultare falsa.
- Stronzate. I sogni sono cose da realizzare, ed io non sono una cosa.
- I sogni non hanno definizione. Ognuno decide qual è il proprio sogno, e il mio sogno sei tu.
Violet non parla, e Tate ha paura. E se lei non accettasse il suo sogno? E se non lo accogliesse? Il suo sogno è lei, solamente lei, non ne ha mai avuto altri. E se lei non lo amasse quanto lui la ama?
Non può essere. Lo avrebbe capito subito. Deve accettare il fatto di essere il suo sogno.
Non può non farlo, no? Si ama sempre in coppia, se uno dei due non ama, l’altro lo capisce.
Forse ha capito, perché passa una mano fra i suoi capelli e gli avvicina la testa al suo petto, stringendolo a se: Tate ricomincia a respirare.
Lo ama. Ha accettato il suo sogno. Ha accettato lui.
- Fa l’amore con me – dice Violet, ed è un imperativo. Un ordine, quasi.
Mai ordine fu più gradito di questo.
Sa che vuole farlo davvero dal tono di voce che usa. La guarda negli occhi, per assicurarsi che sia disposta veramente: lo è. I suoi occhi brillano, brillano davvero.
La bacia, e, infilando nuovamente le mani sotto al suo maglione, glielo sfila.
Mentre lei fa lo stesso con il suo di maglione, la fissa.
Guarda le sue mani che si muovono sul suo corpo, guarda il modo in cui ondeggiano i suoi capelli, guarda i suoi occhi. Le sue labbra.
Le sue adorabili labbra.
Quando si stende sopra di lei e inizia a lasciarle una scia di baci e morsi che parte dal mento e arriva alla spalla destra, è sicuro del fatto che Violet sia bella: non solo fuori, ma anche dentro. Perché Violet è luce, è bianco, è luminosa.
La sua piccola, bella, stella luminosa.
Il suo piccolo sogno realizzato.
- Ti amo, Vi.
- Ti amo anch’io.

 
[1'104 parole]
 
 



Note:
1: Frase presa dalla 1x11 di AHS, pronunciata da Tate.
2: Altra frase presa dalla 1x11 di AHS, sempre pronunciata da Tate.
3: Frase di “Anastasia” [film d’animazione] pronunciata nella canzone “il mio sogno sei tu”.

 
 
 

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