Dopo La Tempesta, viene sempre il Sereno.

di Arisu95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Note.  Mi sento in dovere di dire alcune cose riguardo questa FanFiction. Per prima cosa, , si basa sul risultato random di un test/giochino che ho fatto. Ho pensato che sviluppare la trama che mi era uscita sarebbe stato un esperimento interessante, perciò ho deciso di farlo. Proprio perché ho intenzione di seguire quella trama, vi avverto che ci sono delle coppie che si scioglieranno, sia Canon che Crack. Come prima coppia, come potete vedere, é sciolta la SpaMano. Mi piace come coppia, ma come ho già detto, ho deciso di attenermi a quel risultato, anche a costo di fare un torto a pairing che mi piacciono ... Infondo amo sperimentare, e le simpatizzo un po' tutte! ♥
Non so esattamente quali personaggi compariranno e quali no, e lo stesso vale per i Pairing. Il protagonista é essenzialmente Feliciano, ma la trama coinvolge anche Prussia, Romano e parecchi altri personaggi (che ora non dico per non spoilerare). Tutto il resto è invenzione mia, e proprio per questo non so ancora di preciso quali personaggi saranno presenti e quali no, idem per i pairing. ... Perciò, può darsi che figurino pairing che non amate, o che si sciolgano altri che adorate.
... Mi dispiace, ma é esigenza di copione! =(
Tanto per curiosità, i dialoghi di Romano sono spesso volgari ... Mi sembrava di farlo OOC sennò 'xD
Detto questo, buona lettura! =)  ~♥

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Il sole pallido della mattina si stava pigramente sollevando nel cielo opaco di nuvole assonnate.
La città si risvegliava lentamente con lui.
Le luci dei lampioni si accesero all'improvviso tutte insieme, mentre nelle case le finestre si illuminavano lente, una ad una, mentre al loro interno milioni di vite ricominciavano l'ennesima giornata di lavoro.

La stanza di Feliciano era ancora immersa nell'atmosfera magica dei sogni e del silenzio.
Le persiane chiuse, la timida luce del sole filtrava a fasci sottili rigando di strisce d'oro i muri, le lenzuola e il suo corpo.
Sospirò beato, occhi chiusi intenti a scrutare nel mondo onirico, stringendo teneramente il cuscino e il bordo del lenzuolo.

"Eins-Zwei-Drei-Vier!"



Una voce stridente ed una musica assordante ferirono all'improvviso il silenzio e il vuoto, infiltrandosi maleducate nei timpani dell'italiano perforandoli come lame fredde e taglienti.

"Mmmh ..." - Feliciano emise un lamento, corrucciando le sopracciglia e spingendosi goffamente sotto le coperte, con il cuscino premuto sulla testa.


"Marukaite Kotori! Itsu no ma ni kotoriii~~ Feli! Svegliati!"


Un ragazzo albino si buttò sul letto, proprio sopra Feli.

"Veeeh ... Sai cos'ho sognato, Gil ...?"

"Il Magnifico Me?" - Chiese sorridendo, per poi aggiungere maliziosamente - "Non ti sono bastato stanotte?"

"... Stavo volando nel cielo, ed era di un azzurro accesissimo ... E passare tra le nuvole era bellissimo, mi sentivo così leggero ... E andavo sempre più su, e l'aria era sempre più leggera ..." - Proseguì l'italiano con aria assorta, ignorando la domanda di Gilbert. - "... E mi sentivo tanto felice, e iniziavo a vedere il tuo volto nelle nuvole ... E tu cos'hai sognato, Gil?"

"Ho sognato di fare un concerto. Io, la mia chitarra elettrica, un microfono e milioni di persone. Me ne ero tornato nel camerino tra gli applausi e le richieste di bis." - Poi gli puntò gli occhi scarlatti addosso, e dopo un sorriso serrato proseguì - "E nel camerino mi sono ritrovato un certo italiano legato ad una sedia che mi provocava. Kesesesese ..."

L'espressione di Feliciano mutò, ed inarcò un sopracciglio - "Perchè i tuoi sogni finiscono sempre così ...?"

"Perché non mi basti mai." - Rispose secco Prussia, alzandosi dal letto in modo brusco ed aprendo l'armadio per decidere come vestirsi.

Feliciano intanto si trascinò pigramente fuori dal letto, sedendosi sul ciglio e infilandosi le pantofole, rimanendo ancora qualche secondo a riflettere.

"Veh ... Vorrei davvero poter volare nel cielo ..." - Sussurrò a sé stesso, mentre Prussia cantava a squarciagola insieme al lettore CD, vestendosi a tempo di musica.


Poco dopo si ritrovarono in cucina, in procinto di uscire.
Feliciano fissò con lo sguardo sognante e allo stesso tempo preoccupato la luce del lampadario riflessa nelle acque scure e tremule del suo caffé.

"Scusa ..."
"Scusa? Di che?" - Chiese incuriosito l'albino.
"... Se non ho mai fatto nulla di quelle cose che faccio nei tuoi sogni ..."

Prussia scosse la testa sorridendo benevolmente e chiudendo per un istante gli occhi.

"Non ce n'è bisogno. Mi piaci così come sei ... Sono solo sogni, elaborazioni senza senso del cervello, non hanno nulla a che vedere con quello che vorrei ..." - Lo strinse in un abbraccio, cogliendolo di sorpresa - "Tutto quello che voglio lo possiedo già."

Gli diede un bacio a stampo, per poi allontanarsi e prendere la giacca.
Italia fece lo stesso.
Il lavoro li attendeva.

Gilbert lavorava come barista in un locale del centro.
Non guadagnava moltissimo, ma era un lavoro rispettoso, e lo stipendio infondo non era così male.

Accompagnò Feliciano all'ufficio in cui lavorava, per poi sgommare via alla volta del bar.

"Buongiorno!" - Salutò sfacciatamente entrando, pur sapendo di essere, come al solito, in ritardo. - "Mi son perso i pendolari eh? Ma mi rifarò, tra poco via con l'ondata di mamme disperate!"

"Beilschmidt, sei in ritardo." - Lo avvertì serio il titolare.

"Lo so! Ma che ci posso fare? Le ho già spiegato il motivo, devo accompagnare il mio fidanzato al lavoro! I mezzi a quell'ora non passano e lui non ha la patente!"

"Non può svegliarsi prima e prendere il treno delle sette meno dieci ?!"

"Non ce la fa ..." - Sospirò - "Mi creda, ci ha provato. Abbiamo provato in ogni modo, ma non c'è verso, per il momento questa è l'unica soluzione ..."

"Beh, che prenda la patente allora! L'ho già avvertita Beilschmidt, deve risolvere questa situazione al più presto, perchè così non andiamo affatto bene."

"Lo so ..." - Rispose seccato Prussia, per poi voltarsi verso il bancone, dove una ragazza gestiva a fatica le ordinazioni - "Don't worry! Arrivano i rinforzi!"

Tra tazzine, cocktail e brioches, Gilbert pensava a Feliciano e al suo capo.
Stava rischiando il suo posto, lo sapeva.
Le rare volte in cui arrivava in orario erano le stesse in cui l'italiano non si presentava in ufficio.
Ma d'altronde non poteva fare altro.
Non voleva far gravare sulle spalle di Feli tutte le spese, ma tra i due era quello che guadagnava di più.

Così, riflettendo, calcolatrice alla mano, conclusero che tra i due, era meglio che arrivasse in orario Feliciano.
Infondo il posto di Gilbert non era nemmeno a tempo indeterminato, a differenza di quello di Feli.
Perdere un posto come quello dell'italiano era di certo più pericoloso.

Il loro rapporto non era certo dei più entusiasmanti.
Era molto diverso da tutto cio' che l'albino aveva provato in precedenza.

Aveva sempre amato immaginarsi come un cantante rock o metal, bello e dannato, circondato da alcolici, sesso e droga.
E mentre suonava imperterrito nei luoghi più disparati, sperando di essere notato da qualcuno e vivendo miliardi di relazioni di una notte o poco più, mai avrebbe immaginato di poter cambiare così tanto.

Feliciano era davvero diverso da lui.
Puro ed innocente, come un bambino.
Quando lo vide per la prima volta, provò un irrefrenabile desiderio di possederlo ed inquinarlo, trascinandolo giù insieme a lui negli inferi della sua vita disordinata.

Invece, sorprendentemente, accadde il contrario.
Quella mano che voleva far sprofondare nel fuoco con lui, lo portò invece verso l'alto, fino a dissipare il fumo e le ombre e scoprire il cielo azzurro e infinito.


Quella parte di lui non era morta.
Quel ragazzo senza morale né regole viveva ancora in lui, seppur legato da solide catene.
Ogni tanto si lamentava, piangeva, urlava, scalpitava, tentando di scappare.
Ma a Gilbert bastava vedere in volto Feliciano per calmarlo, e quella strana malinconia per la sua vita passata pareva sparire per sempre in un lungo e dolce bacio.


L'albino sorrise lieto con gli occhi persi nel vuoto, e si risvegliò solo quando si accorse che il bicchiere era ormai pieno, e la gassosa si espandeva ormai inesorabile tutt'intorno appiccicando il bancone e la sua mano.

"Beilschmidt !!!" - Lo rimproverò ancora, notando la scena.
"Lo so! Lo so! Anche i migliori baristi sbagliano ogni tanto!" - Protestò l'albino, bagnando uno straccio sotto il lavandino e pulendo quel disastro.




Intanto Feliciano proseguiva con il suo lavoro.
Aggiungeva dati al computer, compilava le carte, faceva telefonate ...

"Che giornata noiosa ..." - Pensò sospirando.

Quelle giornate erano vuote e senza senso.
Aveva solo un freddo computer con cui relazionarsi, e le telefonate duravano pochissimo, per quanto cercasse una chiacchierata.
Amava quando vi erano assemblee, riunioni, o qualsiasi altra cosa in cui c'erano altri.
Spesso veniva incaricato di illustrare progetti e prodotti dell'azienda, perchè, dicevano, era così bravo a mettere a loro agio gli altri che questi finivano per accettare qualsiasi proposta, quasi per far piacere a quel ragazzo tanto simpatico che non per vero interesse.

Gli dicevano che aveva una bella strategia, che era furbo, scaltro.
Ma lui li guardava con aria interrogativa e si limitava a sorridere quasi inebetito.
Non era strategia.
Era semplicemente sé stesso.
Non gli importava poi così tanto l'interesse dell'azienda.
Quello che desiderava di più era passare e far passare il tempo piacevolmente, chiacchierando del più e del meno mentre faceva il suo lavoro.

Voleva solo avere amici, tanti amici.
E qualsiasi persona in giacca e cravatta che entrava da quella porta, per lui non era altro che un potenziale nuovo amico.


Ma in giorni come quello, non c'era nessuno con cui condividere il tempo e le esperienze, ed ormai cliccava qua e là e scriveva in modo meccanico, senza pensarci.
La sua mente volava altrove.

Stava pensando a Gilbert.
Pensava a come a quella domanda tanto innocente che lui ogni mattina gli poneva, 'E tu, cos'hai sognato, Gil?', l'albino rispondesse sorridendo a denti stretti, con quello sguardo scarlatto e lussurioso, descrivendo sogni che terminavano sempre in modo erotico, con l'italiano alle prese con situazioni che, per il suo carattere ed il suo approccio ingenuo all'amore, mai si sarebbero realizzate.

"Quando hai finito con quelle, ci sarebbero altre pratiche ..." - Una voce di donna lo fece tornare alla realtà.

Si voltò sorridendo verso la ragazza.

"Sì, grazie Elizabeta!" - Rispose in modo solare, senza lamentarsi.

Elizabeta era la moglie di un suo vecchio amico, Roderich.
Era più grande di lui di sei o sette anni e si era sposato molto giovane.
I tre uscivano sovente insieme, a volte anche con Gilbert.
... Il tedesco però non amava tutto questo ...
Elizabeta e Roderich erano ricchi ed eleganti, ed uscire in locali prestigiosi e di un certo livello era per Prussia una prigionia.

"Che c'é Feli?" - Chiese l'ungherese vedendo la sua espressione cambiare, per poi aggiungere con una certa malizia - "Stai pensando a Gil ...?"

L'italiano sorrise con un'espressione di sufficienza.
Elizabeta era fissata con loro due, tanto che, spesso, Feliciano e Gilbert si chiedevano se tutte quelle richieste di uscire insieme non fossero dettate più dalla sua ossessione per lo Yaoi che non per vera volontà di passare del tempo insieme.
... In ogni caso, sembrava far più piacere a lei che a Roderich.

"Hédervàry, può venire un attimo?"
"Sì, arrivo!" - Rispose Elizabeta al richiamo. - "Scusami Feli, devo andare, ci sentiamo!"

Feliciano annuì, per poi tornare al suo lavoro.
Dopo alcune interminabili ore passate tra clic e firme, gli suonò il cellulare.
Era suo fratello, Romano.
L'italiano avrebbe preferito non rispondere, conoscendolo, ma sapeva che la situazione in cui si trovava non era delle migliori, e se non lo intratteneva un po' al telefono avrebbe anche potuto fare delle pazzie.

"Pronto ..." - Disse con tono rassegnato, immaginando già l'umore del fratello.

"Cretino! Perché ci metti tanto a rispondere ?!?!" - Rispose Romano spazientito e arrabbiato. - "Feli! Sono stufo di quel bastardo!"

"Veh ... Dai, stai tranquillo, vedrai che si aggiusta tutto ..."

"Aggiustarsi ?! Mi dici che cazzo si può aggiustare con uno stronzo del genere ??!! Vuoi sapere cosa ho scoperto? Eh? Lo vuoi sapere ???"

"Dimmi, Lovi ..." - Sospirò l'altro.

"Ieri notte sai dov'era? Altro che stalla! Altro che tori! L'ha fatto lui il toro, quel bastardo!"

"..." - Feliciano stava ad ascoltare inerme. Ormai ci era abituato, parlava in quel modo quando era tranquillo, figuriamoci quando era arrabbiato!

"Indovina con chi é andato a letto? Dai! Indovina!"

"Mmh ... Non lo so ..."

"Dai cazzo! Spara un nome!"

"Mmmh ... Boh, Francis?" - Azzardò Feli, mentre gli cadde l'occhio su una foto di lui, Francis ed altra gente che aveva in ufficio.

"Ma va'! Con quella puttana di Bella!"

"Chi ...?"

"Belgio! Ma dimmi te! Ma che cazzo devo fare io ??!!"

"Uh ... Non lo so ..."

"Adesso vede quello stronzo ... Gliela faccio pagare, eccome! Tra l'altro, era da un po' che quella gli ronzava intorno, qualcosa mi dice che c'é del tenero!"

"... Dai Lovi, lo so che é difficile, ma non scaldarti così tanto ... S-Se è finita é perchè doveva finire ... Stai tranquillo, non ti fa bene tutto questo nervoso ..."

"Non mi fa bene ??!! Ma dimmi te come cazzo faccio a stare tranquillo! Eh certo, tu fai presto a parlare, non hai di questi problemi!"

"..."

"Perché Feli? Perché ..." - Ora la sua voce era rotta da un pianto nervoso.

"Cosa ...?"

"Perché dovevo innamorarmi di uno stronzo come Antonio ...? Non é giusto ... Perché sono così sfigato?! Non ce la faccio più... A volte mi chiedo perché non mi sparo un colpo, farei prima ..."

"Non starai dicendo sul serio ?!"

"No ..." - Rispose seccato, per poi aggiungere sottovoce - "Non credo ..."

"... Beh dai, magari stasera vengo da te dopo il lavoro, va bene? Però cerca di stare tranquillo, così non risolvi niente, ti fai del male e basta ..." - Cercò di calmarlo Feliciano.

"Come se fosse facile ... A stasera, fratellino. Ah, Feli ..."

"Sì?"

"... Ti voglio bene." - Disse sinceramente tra le lacrime.

"...! Anche io Lovi ..." - Rispose sorpreso Veneziano.

Romano non gli diceva mai cose del genere.
Le considerava stupide.
Se glielo aveva detto, doveva stare proprio male.


Feliciano guardò un'altra foto nel suo ufficio, che raffigurava suo fratello ed Antonio.
I due si erano conosciuti da ragazzini, al primo anno di liceo.
Antonio arrivava dalla Spagna, ancora non conosceva molto bene l'italiano, e Romano lo prendeva in giro.
Ciononostante, lo spagnolo si era innamorato di lui a prima vista, e poco gli importava se ogni volta che apriva bocca l'italiano lo correggesse e canzonasse.

Con il tempo, anche Romano iniziò a provare qualcosa.
E quel qualcosa, da parte di entrambi, iniziò a crescere sempre di più, finché un giorno, al tramonto, non si baciarono.
Certo, stare dietro all'italiano non era affatto facile: aveva un pessimo carattere, e persino Feliciano a volte ci litigava.
Ma Antonio pareva non preoccuparsene.
Voleva amarlo ed essere amato da lui, ed il suo caratteraccio non faceva altro che renderlo più affascinante ai suoi occhi.
Così, erano rimasti insieme per anni, ed Antonio ogni tanto, chiacchierando con Feliciano, diceva addirittura di volerselo portare in Spagna e sposarlo.

... Invece, tutti quei bei progetti erano stati buttati all'aria, dallo stesso spagnolo che li aveva pianificati.
Ultimamente, i due litigavano abbastanza spesso, per qualsiasi cosa.
Andare d'accordo con Romano non era mai stata cosa facile per nessuno, ma negli ultimi tempi bastava davvero la più piccola delle cose per trascinarli in lunghe ed accesissime discussioni.

E proprio nel bel mezzo del litigio, Antonio se ne andava.
"Per farti un po' sbollire", diceva a Lovino, ma se all'inizio andava davvero da qualche parte in attesa di tornare, magari giusto il tempo di una sigaretta e di un cocktail, era ormai apparso inevitabile che le ore passate fuori casa le impiegava in ben altro modo.

Bella, belga, si era trasferita da poco in città assieme al fratello, che aveva vissuto fin da piccolo in Olanda, dopo che i loro genitori avevano divorziato.
Ciononostante, avevano mantenuto legami molto stretti, e ad ogni occasione si incontravano, talvolta in Olanda e talvolta in Belgio.

Probabilmente lo spagnolo l'aveva conosciuta in qualche locale, proprio in uno di quei momenti in cui abbandonava il campo per far calmare Romano.
E così, pian piano, doveva essere scattato qualcosa tra quei due, mentre Romano si chiedeva sospettoso perché Antonio ci mettesse più tempo a tornare.

Inoltre, ogni scusa era diventata buona per uscire.
Straordinari al lavoro, manutenzione della stalla, uscite con gli amici ...

Poi, un giorno, finalmente lo scoprì.
Kiku li aveva visti su un marciapiede baciarsi, e riconoscendo il fidanzato del fratello del suo amico Feliciano, gli aveva scattato una foto col cellulare,
La mostrò timidamente a Romano, ed egli la osservò incredulo per ore e per giorni.
Gli pareva impossibile che Antonio lo tradisse, così una notte lo seguì.
E scoprì tutto, ogni cosa.

Dopo una pesante litigata con lo spagnolo, egli decise di abbandonare l'appartamento, e Romano dormì solo ... Anzi, rimase con gli occhi sbarrati tutta la notte, ed ogni volta che li chiudeva si vedeva davanti Bella ed Antonio.


Feliciano scosse la testa, triste per il fratello, e proseguì con il suo lavoro, fino alla pausa pranzo.
Uscì e si diresse al bar più vicino per mangiare qualcosa.

"Che sfortuna, se Gil lavorasse in questo bar potrei vederlo in pausa ..." - Pensò l'italiano sospirando.

... Beh, perlomeno lui non era nelle condizioni di Romano, per fortuna.

"Lasciatemi cantare con la chitarra in mano~ Lasciatemi ..."



Il cellulare di Feliciano prese a suonare.

"Gil!"

"Hey Feli! Stasera ti va di uscire?"

"Mmh ... Mi dispiace, ma mi sa che stasera devo lasciarti da solo ..."

"Perché? Come mai hai quella voce? E' successo qualcosa ...?"

"Sì ... Romano ... Mi ha chiamato. Lo sai no, te l'ho detto, quella storia con Antonio ... Alla fine ha scoperto con chi lo tradiva. Con una ragazza, una certa Bella ..."

"Però! Non me lo sarei mai aspettato da Antonio!"

"Comunque ... Stasera ho promesso a mio fratello di andare da lui ... E' da solo e lo sai com'é fatto ... Devo farlo distrarre, é arrabbiatissimo, quando é così mi fa paura ..."

"Devo venire anch'io?"

"No ... E' meglio che tu non venga ... Insomma, è stato appena lasciato e mi faccio vedere con te? Non credo che la cosa lo possa tirare su di morale ..."

"Mmmh, hai ragione ... Ma a che ora vai?"

"Andrò verso le sette e mezza ... Non so quando torno, penso alle dieci o giù di lì ... Mi dispiace farti cenare da solo ..."

"Non preoccuparti ... Allora a dopo Feli."

"A dopo, Gil ..."

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 Note. ... Ciao! Ecco qui la seconda parte della FanFiction. Ribadisco che la trama é stata sviluppata dal risultato random di un test, quindi non rimaneteci male se le coppie che amate/odiate si spezzano/formano > u <''
Come sempre, il linguaggio di Romano non é esattamente raffinato ... E perdonatemi se descrivo Antonio in questo modo 'cattivo', a me piace, ma visto lo sviluppo della faccenda, riservargli un trattamento "d'onore" solo perché come personaggio mi va a genio non mi sembrava giusto 'xD Quindi, chiedo scusa alle sue fan se in questa fanfic lo tratto (un po'? >.<') male! ... Mi farò perdonare prima o poi scrivendo qualcosa sulla SpaMano, promesso! XD Spero di non deludervi, e buona lettura!




Si erano ormai fatte le cinque, e Feliciano si diresse con aria assente verso la fermata dell'autobus.
Gilbert sarebbe uscito dal lavoro solo mezz'ora più tardi.
Camminò immerso nei suoi pensieri, fino a sedersi sulla panchina della fermata e rimanere a fissarsi i piedi e le gambe, senza minimamente badare a cio' che accadeva intorno a lui.

Pensava a suo fratello.
In quel momento, avrebbe voluto essere lui, solo per soffrire al suo posto.
Perché vedere Romano soffrire era una cosa orribile.
Era sempre stato il più forte, tra i due, e pareva che nulla potesse farlo gettare nello sconforto.
Aveva aperto il suo cuore solo a due persone in tutta la sua vita.
Feliciano, ovviamente, ed Antonio.
Non avrebbe mai immaginato di vederlo così sconfortato, in lacrime, inginocchiato a raccogliere i cocci del suo cuore in frantumi, imprecando come suo solito, con una nota di disperazione, come una belva feroce ferita a morte.

"Hey!"


"Veh ...?" - Feliciano alzò lo sguardo confuso, sentendo quel richiamo e tornando alla realtà.

Un ragazzo biondo lo guardava spazientito, borbottando qualcosa in inglese.

"Quando passa il bus?" - Disse con forza, come a ripeterlo per l'ennesima volta, pronunciando attentamente ogni sillaba, guardando l'italiano con fare nervoso.

"Oh ... Scusi, non l'avevo sentita." - Sorrise Feliciano, alzandosi. - "Passa tra pochi minuti ..."

"Uhm ... Well, grazie." - Rispose bruscamente l'inglese, voltandosi ed osservando la strada.

Italia lo guardò incuriosito, ancora con il sorriso sulle labbra, stiracchiandosi per poi voltare anche lui lo sguardo sulle auto in corsa.

"Mmmh!~ E' una bella giornata!" - Cercò di attaccare discorso, ma l'altro non diede segno di vita. - "Perfetta per fare un bel giro in centro."

"..." - Lo guardò appena con la coda dell'occhio, senza proferire parola.

"E' un turista?" - Provò ancora Feliciano.

"No. Lavoro qui. Da qualche mese, ormai." - Si decise infine a rispondere, dopo un lungo sospiro, come se quelle parole gli fossero costate immensa fatica.

Il ragazzo sorrise beato, felice per essere riuscito a far parlare quel ragazzo come un bambino dopo aver fatto il suo primo canestro.

"Piacere! Mi chiamo Feliciano!" - Proseguì dunque entusiasta, porgendogli la mano.

L'altro rimase un istante a fissare la sua mano, indeciso sul daffarsi, per poi voltarsi ancora verso la strada, ed abbozzare appena un "... Arthur. Il piacere é mio."

"...Ah! Ecco l'autobus finalmente!" - Esclamò Italia, osservando il mezzo di trasporto, che nel frattempo si era fermato proprio davanti a loro.

Salirono muti, Arthur con il broncio e le mani in tasca, Feliciano felice e a testa alta.
L'inglese prese le distanze e si sedette, con la segreta speranza di poter tagliare il tentativo di Feliciano di fare amicizia (che amicizia, poi? Anche ammettendo l'ipotesi di una chiacchierata, che altro sarebbe rimasto? Non gli avrebbe mai chiesto il numero di telefono, e qualora l'avesse fatto Feliciano, avrebbe probabilmente trovato il modo di non darglielo).

"... Americano? O viene dall'Inghilterra ... Londra, forse?" - Insistette invece l'italiano, sedendosi proprio davanti a lui.

"What?" - Alla parola 'americano', fece un'espressione quasi schifata.

"Prima di venire qui ... Abitava a Londra?" - Sorrise.

"Uhm, sì ..."

"Ci sono molti stranieri in questa città." - Sospirò alzando le spalle, e sorridendo lievemente al pensiero che anche il suo Gilbert era tra le tante persone arrivate lì in cerca di lavoro. - "E mi dica, come stava là a Londra? Meglio qui o meglio là?"

"..." - Arthur rimase sorpreso dalla loquacità di Feliciano, e prese un attimo di tempo per pensare alle giuste parole. - "Preferisco la mia London. Ma ... Non potevo rimanere. Ho trovato un buon lavoro qui, e ..."

Si interruppe di colpo.
Un sorriso stava pian piano sbocciando sul suo viso, proprio al principio di quella frase repressa, che si sbrigò a coprire sotto un broncio, abbassando lo sguardo.

Feliciano ne rimase sorpreso.
Quel sorriso nascente pareva sinonimo di un qualcosa di bello, una buona notizia.
Un qualcosa che probabilmente stava alleviando la sua sofferenza, per la lontananza da casa.
Allora perché volerla tenere nascosta ...?
Le cose belle vanno sempre condivise, perché rendere partecipe gli altri della propria felicità non fa altro che aumentare la gioia.
Che fosse qualcosa legato all'amore ...?
Qualcosa che lo faceva sentire poco a suo agio ...?

"..." - Italia si schiarì la voce, e gli sorrise - "Tanta gente é contro l'immigrazione. Io non la penso così. Se fosse vietata, non avrei mai conosciuto la persona che amo ... E' tedesco. Della Germania dell'Est ..."

Il viso di Arthur, prima sereno, quasi sorridente, fu stravolto da un certo rossore quando apprese che la persona con cui l'italiano era fidanzato, che già si era immaginato come una bella ragazza, giovane, fresca di studi e di speranze, era in realtà un ragazzo.

Abbassò lo sguardo, proiettò i suoi occhi verdi fuggiascamente e destra e a sinistra, fino a fare un altro lungo sospiro.
Era una specie di tic nervoso, che usava per combattere la timidezza, unito alla sua apparente ostilità.

"Anche io ..." - Prese parola, con la voce calda e tremante - "... Uhm. Un francese ..."

D'un tratto si sentì gli occhi di tutti puntati addosso, sebbene nessuno, tranne Feliciano, lo stesse minimamente considerando.

"M-Ma non siamo insieme. Uhm, ecco, ci vediamo ogni tanto ..." - Si affrettò ad aggiungere, come a doversi giustificare di una grave colpa.

Sì guardò di nuovo intorno, sfuggendo agli occhi di Feliciano, accorgendosi di aver portato le mani avanti, come a discolparsi di qualcosa.

Come a dire che a lui di quel francese non importava proprio nulla.
Come a dire che a lui non faceva né caldo né freddo.
Come a dire che era lui a cercare la sua compagnia, ed Arthur ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Come a dire che, se gli concedeva degli appuntamenti, era solo per gentilezza, perché gli faceva pena e non certo perché provasse qualcosa.

Sul volto dell'italiano si dipinse un altro largo sorriso, con una nota quasi malinconica, collegando inevitabilmente la parola francese al suo caro cugino Francis, che era, appunto, vissuto fin da piccolo a Parigi.

Arthur rimase a fissarlo incuriosito, mentre egli era stranamente muto, con gli occhi sognanti.
L'autobus si era fermato, e l'inglese fece un cenno con la testa, come a domandare a Feliciano se dovesse scendere.

"Oh! E' la mia fermata!" - Esclamò dunque Veneziano, ripresosi dai suoi pensieri. - "Arthur! Ti do' il mio ..."

"Le porte si stanno chiudendo!" - Lo interruppe Arthur.

"Veh! Allora ciao! A presto!" - Lo salutò allora Feliciano, scendendo di fretta dal mezzo, che ripartì poco dopo.


Feliciano posò un attimo lo sguardo a terra, per poi dirigersi tranquillamente verso casa.
Gli sarebbe piaciuto poter dare il suo numero di telefono a quel ragazzo.
Sembrava simpatico, dopotutto.
Solo un po' 'sulle sue'.
... Ma probabilmente Gilbert ne sarebbe stato geloso ...
Scosse la testa a quest'ultimo pensiero, trovandosi di fronte alla porta d'ingresso e girando la chiave nella serratura.

Appoggiò la borsa sul tavolo e gli cadde l'occhio sul telefono.
Forse avrebbe dovuto chiamare ancora Romano ...
Ma era stanco, ed aveva bisogno di staccare la spina da impegni e problemi per un po'.
Infondo, sarebbe andato a casa sua giusto un paio di ore dopo.
Così, decise di sdraiarsi sul divano ed accendere la televisione, in attesa di Gilbert.

Premeva pigramente i tasti del telecomando, viaggiando tra documentari, reality show, trash e cartoni animati.
Non c'era proprio niente di interessante ... Chiudere gli occhi ed appisolarsi pareva essere la soluzione migliore.




"Gil! Ho da fare, puoi portare questi drink al tavolo sedici, per favore?" - Chiese una ragazza, porgendo all'albino un vassoio dove capeggiavano due alcolici ed una ciotola di patatine.

"Ja! Poi però vado, eh!" - Rispose l'altro, prendendo il vassoio e facendo una giravolta, sotto gli occhi severi del proprietario del bar, per poi dirigersi velocemente, come un cagnolino sgridato, verso il tavolo.

"Bloody Mary ... Sex On the Beach ..." - Gracchiò dietro i due clienti, facendoli quasi sobbalzare, proprio mentre si stavano avvicinando per scambiarsi un bacio.

"Mio!" - Asserì svelta la ragazza arrossendo, indicando uno dei due bicchieri.

Gilbert consegnò i drink e, mentre tornava al bancone, li sbirciò con un sorriso malizioso.

"Gil ..." - Una sua collega scosse la testa, sorridendo rassegnata, intuendo i pensieri del tedesco. - "Oh...! Sono quasi le sei! Non dovevi uscire prima oggi?"

"...! Hai ragione! Waaah, che ci faccio ancora qui ?! Sto praticamente lavorando gratis ?!?! Grazie per avermelo detto cara, signori e signore, io mi levo gentilmente dalle ..." - Incontrò ancora gli occhi vitrei del proprietario. - "Mmh! Volevo dire, é stato un vero piacere. Signorine e Signori, ora é il momento di congedarmi ..."

I suoi colleghi sorrisero salutandolo.
Era davvero un ragazzo simpatico, fuori dal comune, senza dubbio.
Nessuno avrebbe però mai pensato che, quello stesso ragazzo che serviva allegramente i clienti, quasi per passione, tempo prima suonava per le strade dei quartieri peggiori, e se non viveva sotto un ponte, poco ci mancava.

L'albino si precipitò svelto in macchina, controllando il cellulare.
Macché ...
Nonostante sarebbe dovuto essere a casa già da un po', Feliciano non lo aveva chiamato.
Scosse la testa sorridendo, pensando che probabilmente si era addormentato.

E mentre mise in moto l'auto, già se lo immaginava, com'era solito osservarlo quando era assopito nelle notti d'estate, con i piedi e le spalle appena coperti dal lenzuolo bianco, piccole perle di sudore sulla pelle chiara e morbida, le gambe sottili e le mani affusolate da impiegato ed artista aggrappate al cuscino.

Ogni volta che, in preda all'insonnia, vedeva quell'immagine davanti ai suoi occhi, rischiarata dalla luce della luna e dell'abat-jour, provava l'irrefrenabile istinto di buttarsi sopra di lui, svegliarlo a forza di baci e di morsi, elogiandolo ed insultandolo, abbracciandolo e facendolo suo.

Il vecchio Gilbert non ci avrebbe di certo pensato due volte.
Ma Feliciano non amava questo genere di cose.
O almeno, così pareva.
Trattarlo in quel modo era di sicuro la cosa più eccitante per Gilbert.
Ma l'italiano non era mai parso molto entusiasta.
Quando Prussia ci provava, Italia non si tirava certo indietro.
Eppure, si avvertiva una certa distanza in lui.
Come se lo facesse per amore del tedesco, semplicemente per far piacere a lui, facendo tacere i suoi personali gusti.

Il Feliciano che si lasciava rapire da Gilbert in quel modo, era diverso da quello che gli permetteva di amarlo.
L'immagine di angelo maledetto, bandito ingiustamente dal Paradiso e condannato ai più spietati piaceri terreni, si mischiava a quella di angelo caduto dal cielo, che si lasciava stringere la mano pallida e leggera, permettendo all'unico mortale mai entrato nel suo cuore di baciarlo e di amarlo.

Eppure, a parte questa diversità di vedute, la loro relazione sembrava andare bene ...
Non era molto entusiasmante, forse, ma funzionava ... Almeno non era mai successo nulla di simile alla situazione di Romano ed Antonio.
Certo, quei due erano delle teste calde ...
Proprio l'opposto di Gilbert e Feliciano.

Se l'unico modo per far andare d'accordo Antonio e Romano era spesso buttarli in camera da letto, l'italiano e il tedesco sembravano andare d'accordo in qualsiasi luogo, tranne che in quello.

Non era una disparità dichiarata.
Si sopravviveva, dopotutto.
Ma entrambi leggevano tensione nell'aria.
Una difficoltà di comprensione, ed una voglia di vedere tutto per il lato migliore, anche a costo di soffocare parte di loro stessi a favore dell'altro.

Ma, infondo, non era così importante.
Era giusto un particolare ... Non poteva determinare né la fine, né l'inizio di niente.


A questo stava pensando Prussia, mentre ormai era già in ascensore.
Scosse la testa e prese la chiave dell'appartamento, decidendo che non doveva più pensarci: tutte quelle preoccupazioni derivavano solo dalla situazione di Romano, non avevano nulla a che vedere con loro due.
... Certo, quando qualcuno a cui si tiene rompe un rapporto così duraturo, qualche esame di coscienza finisci sempre per farlo, inevitabilmente.


"Feli! Sono tornato!" - Esclamò l'albino, non udendo risposta e notando la televisione accesa.

"Veeeh ..." - Sentì solo un dolce sospiro.

Proprio come pensava, l'italiano si era addormentato.

"Ciao amore ..." - Gli sussurrò all'orecchio, dopo aver baciato le sue labbra.

Si diresse in cucina ed aprì una lattina di birra.
Bevve avidamente la bevanda ghiacciata, e si passò il braccio sulle labbra per togliersi la schiuma.
Rimase un attimo immobile, senza pensieri, senza tempo, solo con l'audio della televisione nella stanza accanto.
Poi, alzò gli occhi verso l'orologio, e lo osservò malinconicamente.

Il quadrante rosso ricordava tanto un pomodoro, e proprio un pomodoro capeggiava nella stampa di sfondo ai numeri.
Vicino, alcuni fiocchetti di paglia, tenuti integri da delle simpatiche mollettine decorate, dalle quali penzolava una minuscola bandiera spagnola, a mo' di etichetta.

Era un regalo di Romano ed Antonio, comprato durante la loro ennesima Estate in Spagna.
In quello stesso anno, lui e Feliciano si erano fatti due bei viaggetti in patria, prima a Venezia e poi a Berlino.
Suo fratello Ludwig aveva concesso loro di soggiornare nella sua casa estiva, dopo averlo tanto pregato, mentre lui aveva deciso di andarsene verso Est, con alcuni suoi amici.
Quelle vacanze erano state stupende per tutti.
Chiunque, nella loro compagnia, le rammentava con malinconia ed eccitazione.
Indimenticabili, era la parola giusta.

Notò che erano ormai le sette, e si allarmò ricordando che Feliciano sarebbe dovuto andare da Romano alle sette e mezza.

"Feli! Devi andare da Romano! Ricordi?" - Gli ricordò l'albino, andandogli vicino, baciandolo e scuotendogli la spalla.

"Veh ...?" - Aprì gli occhi poco dopo, stranamente, e rimase per un attimo immobile a guardarlo, sorridendo beato, prima di capire cio' che l'altro gli stava dicendo. - "Oh! Mio fratello!"

Esclamò poi, alzandosi dal divano all'improvviso, e portandosi una mano alla testa.
Si era alzato così di colpo che la testa aveva preso a girargli.

"Stai bene ...?" - Lo soccorse Prussia tenendolo per le spalle.

"Sì ..." - Si stiracchiò, sbadigliando. - "Uhm ... Devo cambiarmi."

Così dicendo si tolse la camicia ed andò in camera da letto.
Prussia lo seguì, guardandolo vestirsi nuovamente, come un fantasma.

"Ti accompagno allora ...?"

"Sì, grazie." - Rispose Feliciano da dentro la maglia, prima di sbucare fuori con la testa, sorridendo riconoscente. Il suo sorriso svanì però presto - "Uhm, scusa se ti lascio solo ..."

"Ma va', non preoccuparti! Te l'ho già detto, non c'é problema! Tu vai da tuo fratello ... Io starò qui. O magari faccio un salto da Germania ..."

"... Mi fido?" - Sorrise ancora Feliciano, con voce ancora più infantile del solito, in vena di giocare.

"Certo!"

"Dovrei fidarmi di un ex chitarrista che suonava nei vicoli malfamati e faceva strage di cuori ogni notte...?"

"Che vai a pensare! Mi pare che tu mi abbia cambiato, ormai! ... E poi, da quando sei così malizioso ...?" - Anche Prussia scherzava. Si avvicinò e gli circondò il bacino con un braccio.

"Mmh, scherzavo!" - Disse baciandolo, per poi liberarsi dalla sua tenera presa e volteggiare verso il salotto.

Dopo poco, furono in auto, alla volta della casa di Romano.


Feliciano guardava fuori dal finestrino impaziente ed inquieto.
Non era giusto, non era giusto che finisse così ...

Romano era ben lontano dall'essere un santo, senza dubbio, ma senza ombra di dubbio era comunque una brava persona.
Non si meritava di soffrire così.
No, per niente.

Era davvero difficile entrare nelle sue grazie.
Diffidente e polemico com'era, le persone spesso gli davano del lungo, e quando provavano a fare amicizia, lasciavano spesso perdere a causa del suo carattere difficile.
Quando Antonio entrò nella sua vita, Veneziano non poté fare a meno di essere felice, tanto quanto Romano.
Finalmente aveva trovato qualcuno che lo apprezzava per quello che era, e finalmente anche lui era riuscito ad aprire il suo cuore a qualcuno oltre al suo fratellino.

Ed ora tutto sembrava irrimediabilmente perso.
Nessuno avrebbe mai pensato che Antonio fosse stato capace di tradire Romano.
Sembravano amarsi così tanto ...
Litigavano, certo, infondo non litigare con Lovino era un'impresa impossibile, ma era evidente che si amavano molto.
Ancora tutti erano increduli di fronte ai recenti avvenimenti.
Specialmente Feliciano.

"Feli ...?"

"Uhm ... Niente, pensavo a Romano ..." - Italia scosse la testa abbozzando un sorriso. Non voleva parlare di questo con Prussia. Era già brutto doverlo lasciare solo.

"Che devo dire ... A parte che Antonio é stato un bastardo ..." - Prussia alzò le spalle, occhi fissi sulla strada, accostando. - "Siamo arrivati ..."

"Ok ... Ciao Gil ..." - Gli diede svelto un bacio sulla guancia e scese dall'auto.


"Fratellone ... Sono io!" - Chiamò al citofono, benché dall'altra parte nessuno diede segni di vita.
Il cancello, comunque, sì aprì.

Feliciano salì in ascensore, guardandosi allo specchio ed abbozzando vari sorrisi ed espressioni serene e rassicuranti: non doveva far pesare a Romano quella storia più di quanto già non pesasse. Doveva farlo pensare ad altro.

Arrivato sul pianerottolo, trovò la porta spalancata.

"Romano ..." - Chiamò, entrando e chiudendola a chiave dietro di sé.

"Bastardo! Ecco cosa meriti! Il rogo!" - Sentì la voce del fratello provenire dalla cucina, accompagnata da una forte puzza di bruciato.

Il ragazzo si diresse lento e silenzioso verso la cucina ...

"Romano!" - Gridò allarmato, trovandosi di fronte al fratello.

"...!" - Romano sobbalzò, e rimase con gli occhi puntati su di lui.

In un grande posacenere sul tavolo, l'italiano stava bruciando delle fotografie, ed ormai si era formato un bel falò crepitante.

Il fratello minore prese d'istinto una bottiglia d'acqua, deciso a versarne il contenuto sulle fiammelle alte e gialle che danzavano nel posacenere.

"Cazzo fai ?!" - Romano lo prese bruscamente per il braccio, immobilizzandolo. Poi, tornò a guardare le foto bruciare, e sorrise sadicamente. - "Guarda come bruciano bene! Non ho bisogno di quello stronzo! Voglio sbarazzarmi di ogni cazzata che mi ha regalato e di ogni foto in cui compare quella testa di ..."

"Veeeh! Lasciami!" - Lo interruppe l'altro, mugugnando e cercando di liberarsi dalla presa, che divenne ad un tratto molto più debole. - "...? Che c'é?"

Romano aveva abbassato la testa, nascondendo il viso, e si appoggiò con la mano al tavolo.

"... Antonio ..." - Sussurrò in un misto di tristezza e rabbia, tra i gemiti, fissando la foto che bruciava sotto i suoi occhi mentre le lacrime cadevano dal suo viso.

Quella che stava bruciando era una delle foto che Feliciano aveva sempre visto nel loro salotto, incorniciata, proprio in bella vista al centro di una mensola.

Antonio e Romano erano in primo piano, il secondo circondato dal braccio olivastro del primo e la testa appoggiata sulla sua spalla.
Lo spagnolo rideva divertito, premendo un peluche a forma di pomodoro sul petto dell'altro, che sfuggiva con lo sguardo imbronciato e le gote arrossate.
Sullo sfondo un cielo estivo, piante, erba, ghiaia, ed una spiaggia appena visibile all'orizzonte, inondato dal mare.

Feliciano se la ricordava così, mentre la vedeva bruciare nel posacenere, divorata dalle fiamme, che bucavano pian piano piano parte della foto: la spalla di Romano, il sole, un albero, il braccio di Antonio, il viso imbarazzato dell'italiano ... E il sorriso smagliante dello spagnolo.

"Bastardo!" - Aggiunse, in uno sprazzo di rinnovata e furente rabbia.

"Dai ... Qui rischi di bruciare tutto ..." - Sussurrò Feliciano, versando un po' d'acqua sulle fiamme, spegnendole, e buttando il contenuto del posacenere nel lavandino.

Cenere.
Ormai di quella foto non era rimasto che polvere.
Polvere ed acqua.

Lovino rimase immobile, con lo sguardo fisso sul tavolo, senza curarsi dei movimenti del fratello.

"...!" - D'un tratto, lo sentì abbracciarlo e appoggiare il mento sulla sua spalla.

"Vuoi andare da qualche parte ...?" - Gli chiese con tono rassicurante, deciso a fargli passare qualche ora lontano dalla rabbia che lo affliggeva.

"Sì. A fanculo. Anzi, se puoi compra un biglietto anche per il bastardo." - Rispose secco Romano, benché la sua voce tremò un poco pronunciando quell'ultima parola.

"Dai! Perfavore, sto cercando di aiutarti ..."

"Feli ... Tu non puoi capire! Tu non hai mai vissuto quello che ho vissuto io!" - Sbottò, nascondendo le lacrime e liberandosi dall'abbraccio fraterno. - "Tu e Gil sembrate perfetti. La vostra é la tipica favola, la storia a lieto fine. Sono stato sfigato, ok? Sono stato un grandissimo sfigato, purtroppo mi è andata male, ho incontrato una testa di cazzo, ma non provare neanche a capirmi! Perché non ci riusciresti!"

"..." - Feliciano rimase ad ascoltarlo con un'espressione triste. Avrebbe voluto controbattere in qualche modo, ma non voleva litigare, e comunque sapeva bene che era meglio lasciarlo sfogare.

"... Avessi avuto io la fortuna di incontrare Gil..." - Una lacrima gli rigò il viso, e la asciugò svelto con il dorso di una mano per non darlo a vedere. - ",,, A quest'ora probabilmente sarei felice. Ma ... D'altro canto, quello stronzo ronzava pure intorno a te ... Uno di noi avrebbe sofferto comunque come un cane. Quindi va bene così ..."

Romano voleva molto bene a Feliciano, anche se non sempre riusciva a dimostrarlo.
Certo, era felice per il fratello, ma non poteva negare di provare un po' di invidia.
Perché 'quello sfigato', quello che non ascoltava mai nessuno, era sempre stato lui.
Mentre Feliciano era sempre stato un angelo, il figlio modello, una vera perla.

Aveva incontrato Gilbert più o meno nello stesso periodo in cui lo incontrò il suo fratellino, e da subito gli era piaciuto.
Ma con i sentimenti non era bravo, e dopotutto era già fidanzato con Antonio.
A quei tempi lo amava troppo per lasciarlo per il tedesco per cui, concluse, si era preso molto probabilmente solo una cotta passeggera.

Ovviamente, quando Feliciano e Gilbert iniziarono a frequentarsi più assiduamente, ed infine si fidanzarono, Romano aveva abbandonato l'idea di sedurlo già da molto tempo.
Ma nel suo cuore, ogni tanto, si chiedeva come sarebbero state le vite dei due fratelli se lui non avesse lasciato perdere, se Gilbert si fosse innamorato di lui anziché di suo fratello, se Feliciano fosse già stato fidanzato con qualcun altro e se lui avesse rotto allora con Spagna.


Prigioniero di questi pensieri, quasi non si accorse di aver accettato la proposta di Feliciano, ed ora camminava insieme a lui verso chissà quale meta.
Era da molto che non si facevano una passeggiata insieme.

"... Veh, allora, hai deciso dove andare?" - Chiese Veneziano.

"...? Pensavo lo sapessi tu!"

"Te l'ho chiesto prima, ti ho detto se intanto potevamo uscire mentre ci pensavi, e hai annuito ..." - Spiegò con una nota di delusione.

"Oh ... Bene. In qualche bar, magari. Non che abbia fame, ma ho un gran bisogno di bere alcool ..."

"Uh ... Non suona molto bene detto così ..."

"Beh che ti devo dire? Cazzo, se potessi mi scolerei bottiglie su bottiglie solo per dimenticarmi di quel bastardo!"

"Non serve a nulla ... Uh! Guarda che bella vetrina!" - Lo distrasse il fratellino, tirandolo per un braccio ed obbligandolo a sbirciare nella grande vetrina di una bottega d'arte italiana.

Prussia era a casa, disteso sul letto, davanti al pc portatile, con addosso solo i boxer e la sua adorata croce al collo.
I suoi occhi scarlatti filtravano con maliziosa curiosità ed adolescenziale superficialità ogni singola parola che leggeva e foto che gli capitava davanti.
Dall'altra stanza, la radio gracchiava la canzone che aveva inciso, 'Marukaite Chikyuu - OreSama Desu'.
Non aveva fatto molto successo, ma era già un traguardo il fatto che gli avessero permesso di inciderla.
Del resto, anche il mondo della musica è corrotto.
'Se avessi pagato di più, sicuramente a quest'ora sarei famoso', pensava spesso ascoltandolo.

Stava navigando su Facebook.
E si stava annoiando.
L'impulso di chiudere tutto ed aprire siti ben più 'interessanti' era forte, e stava per farlo, ma si bloccò appena vide, tra i mille post che urlavano 'BASTARDO!', ovviamente di Romano, uno da parte di Spagna.

Antonio Fernandez Carriedo é passato da "Fidanzato ufficialmente con Romano Lovino Vargas" a "Impegnato".



Nulla di che.
Eppure, quelle poche parole bruciarono negli occhi di Gilbert.
A quanto pare, non era affatto stata una sbandata, quella che Antonio aveva preso per la belga.
Scorse il profilo di Antonio per cercare la notifica di avvenuta amicizia tra lui e la donna.
Macché.
Non c'era.
Evidentemente l'aveva aggiunta già da tempo, e aveva cancellato il messaggio sperando di non far scoprire nulla a Romano.

La cercò tra gli amici dello spagnolo, e finalmente la trovò.
Cliccò sul suo nome ed aprì la pagina, dove la sua foto del profilo testimoniava largamente quello che tutti, ormai, sapevano.
La ragazza sorrideva felice, con una vaga ostilità all'angolo delle labbra, la mano candida posata sulle braccia scure di Antonio, che le avvolgevano il collo.
Il volto dello spagnolo era poco visibile, ma Gilbert lo riconobbe.

Lui e Spagna erano diventati molto amici ... Gli dispiaceva allontanarsi da lui, ma quello che aveva combinato con Romano era difficilmente perdonabile, anche per un membro del Bad Touch Trio: il gruppetto che aveva simpaticamente formato con lui e Francis.

A dire il vero, erano stati più che amici.
In quel periodo disordinato della sua vita aveva avuto occasione di incontrarlo varie volte, e non era solo per farsi una bevuta.
Del resto, non aveva mai nascosto nulla a nessuno: Feliciano stesso era al corrente di quello che Gilbert combinava nelle notti sfrenate di quella sua tardiva pazzia adolescenziale.

L'importante, però, era che aveva smesso.
Da quando aveva iniziato a frequentare l'italiano, aveva deciso di chiudere con quelle sciocchezze.
Era rimasto amico di Antonio (il quale, al contrario, non aveva mai rivelato nulla di quella sua sbandata a Romano) e di Francis, ma aveva messo bene in chiaro la sua volontà di interrompere quel tipo di relazione.

Con loro.
E con chiunque altro.
Ormai c'era solo il suo Feli.

Allungò la mano giù dal letto, verso il pavimento, ancora con gli occhi fissi sullo schermo e tastando l'aria in cerca della sua lattina di birra.
La trovò, bevve e rimise la bibita per terra.

"Bonsoir~" - Notò che Francis l'aveva contatto.

"Guten Abend : P" - Rispose Gilbert digitando veloce i tasti.

"Tutto bene? E' da un po' che non ci si vede!"

"Uhm, sì, a parte quella storia di Romano e Antonio ... L'hai saputo, no?"

"Mais oui, non c'è faccenda d'amore e tradimento in città o altrove di cui io non sia al corrente~ Sei solo?"

"Cosa te lo fa pensare? o.ò"

"Uuuhm ... Non saprei, magari se c'era il mio adorato cuginetto, a quest'ora ... Ehehehe"

"Sì guarda, me lo sto 'lavorando' mentre scrivo al pc"

"Ohnohnohn, non fargli male, gli voglio tanto bene, lo sai?~ ♥"

"Cretino! E' da suo fratello!"

"L'avevo intuito u_ù"

"Tu invece? Sei lì solo soletto? Mi pare impossibile ... Ahah, sai cosa?"

"Quoi?"

"Se ti fossi fatto pagare fin dall'inizio, a quest'ora saresti milionario! XD"

"L'amore non è in vendita. ♥ E comunque, posso sempre cominciare ... Vuoi essere il primo a pagare, Gil? Ti faccio lo sconto~"

"Ahahah, ma se inizi ora non hai più clienti, te li sei già fatti tutti XP"

"... Beh, posso contare sulle nuove generazioni ... Ohnohnohn ... <3"

"Comunque sul serio, sicuro di essere solo? XP"

"... Mmh, in realtà sono solo da poco ... Un certo inglesino che ho incontrato qualche settimana fa <3"

"Foto?"

"Non se ne fa fare -__- E quelle poche che sono riuscito a scattargli, se le metto qui mi ammazza. Ha un bel caratterino, mi piace! ♥"

"Lo cerco su fb ... Come si chiama?"

"Mmh, scusami Gil, si chiama Arthur, ma non vuole ..."

"Ma se non è nemmeno lì! = O ="

"... Devo confessarti una cosa."

"Serio? Cosa? O.ò"

"Da quando ho incontrato Arthur, ho cominciato a capire quello che hai provato tu con mio cugino. E' strano ... E' come se d'un tratto tutti gli altri non mi interessassero più ... O almeno, non così tanto."

"Woah, tramonta l'era del grande Francis ?! XD ... A parte gli scherzi, sono contento. Siamo sinceri, certo, é stato divertente, ma arriva un momento in cui bisogna chiudere con queste cose ..."

"Il Gil di qualche anno fa non avrebbe mai parlato così. = )"

"Lo so XD Ma sono felice di essere cambiato, dopotutto u.u"

"Hai ragione. Sono esperienze, non credo sia sbagliato farle ... Ma vivere tutta la vita così ... =/ Fino a poco tempo fa me lo sarei solo auspicato. Ora, con il mio Arthur, é tutto diverso ... Mi sento più rilassato."

"Alla fine, poco a poco, il Bad Touch Trio sta mettendo la testa a posto ... Chi l'avrebbe mai detto? XD"

"... Questo non ci vieta di uscire a farci una bevuta ;P Comunque, direi che ormai siamo 'guariti' ... Non so se posso dire lo stesso di Antonio ..."

"Mmh, certo, pareva aver messo la testa a posto prima di noi, con Romano ..."

"Tsk, guarda, io non ne ho mai parlato molto perchè ho preferito farmi gli affari miei ... Ma avrei dovuto. Ti giuro, non sai le volte che ho beccato Antonio in giro ... E quando dico in giro, sai cosa voglio dire ..."

"Mein Gott, ha sbagliato fin dall'inizio ... In primis nel non dire a Romano che é stato a letto con noi due ... Io, sinceramente, non mi sarei sentito a posto se non l'avessi detto a Feli."

"Il mio Gil é diventato molto giudizioso, ein?♥ Concordo. Certo, mio cugino Romano non é Feli, ma sono sicuro che sarebbe stato meglio dirlo. E soprattutto, smetterla. Prima lo giustificavo, perchè anche io ero così. Ma dopo aver conosciuto Arthur ... Dieu, come puoi essere così falso con la persona che ami?!"

"Mi chiedo se con quella belga faccia sul serio ..."

"Chi vivrà, vedrà! =/"

"... A proposito di questo Arthur, un giorno me lo DEVI presentare! Devo stringere la mano all'uomo che è riuscito a trasformare un pervertito maniaco ninfomane come te in una persona normale!"

"N'exagère pas! u.u ... E potrei dire lo stesso riguardo a te e Feli ;P ... Comunque, diciamo che per il momento non se la sente ... Si vergogna persino ad uscire con me, é ossessionato dall'idea che qualcuno possa scoprire che sta insieme ad un uomo ... (E che uomo, aggiungerei! Ohnohn! ♥)"

"Uh, capisco ... Beh, ma con me e Feli? Non vedo il problema! o.ò"

"Perché, io secondo te lo vedo, Gil? Ma lasciamo stare, col tempo gli passerà ... Aspetterò. Non ho fretta."

"Francis, anche tu cose del genere non le avresti dette, fino a poco tempo fa xD"

"Lo so! Ma lo amo. Non posso obbligarlo, se non se la sente ..."

"Mi pare giusto. C:"

"... Scusami, ti devo lasciare! Mi sta chiamando Matieu, mi aveva chiesto se potevo accompagnarlo ad una festa!"

"Matt ad una festa? Ecco un'altra novità! Stiamo cambiando un po' tutti, eh? Vabbhe, allora ti lascio, a presto, Ore-Sama passa e chiude!"

"Adieu chèrie! Firmato, la Nazione dell'Amore. u.ù ♥"


Prussia sogghignò chiudendo la chat.
La schermata di FaceBook gli stava dando la nausea, era stufo.


~ Continua ...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Note. ... Terzo Capitolo <3
Come potete vedere dalle prime righe, arrivano Vash e Lud! ^0^
... Come nei precedenti capitoli, Romano è volgare ... E questa volta ci va giù abbastanza pesante 
 XD *Fugge*
Spero vi piaccia, buona lettura! ^-^ ♥
~ Ary.

 :................................... ~ Capitolo 3. .........................................:



"... Gil, sono in centro con Vash ... Volevamo fare un salto in qualche birreria qua vicino ... Vuoi unirti a noi?"

"Oi Lud! Uhm, non saprei, sono già le nove e un quarto, tra meno di un'ora torna Feli ..."

"Uhm, capisco ... E' da Romano, vero?"

"Sì. Preferirei non muovermi da casa ... Anche perché non so se ha intenzione di tornare con i mezzi o vuole che lo vada a prendere ... Perché non venite voi qui?"

"Lì da te? Ora? ..." - La voce del tedesco si fece più distante per qualche istante. Probabilmente stava interrogando il suo amico sulla questione - "Ja, d'accordo. Arriviamo lì tra poco."

"Preparo qualcosa allora! A dopo bruder!"

L'albino riattaccò, sbuffando.
Avrebbe voluto poter andare in centro con suo fratello Ludwig e Vash, ma Feliciano si era dimenticato di informarlo sul suo ritorno, e l'italiano poteva essere imprevedibile, quando voleva.

Andò in cucina ad ispezionare gli scaffali, in cerca di qualcosa da servire ai suoi due futuri ospiti.
Aprì qualche pacco di patatine e snack e li riversò in alcune ciotole di vetro.

Era da un po' di tempo che lui e Ludwig non si incontravano senza la presenza di Feli.
Ancora più tempo era trascorso dall'ultima volta che aveva ospitato Vash.
Non che lo svizzero fosse molto propenso a questo genere di cose, anzi.
Egli era sempre stato serio e dedito al lavoro, ancor più di Ludwig, e raramente si concedeva tempo per sé stesso.
Con una sorellina sulle spalle, del resto, trovare tempo per stare con gli amici (che erano pochi, del resto: aveva un carattere piuttosto solitario) era ancora più difficile.


Nel frattempo, Feliciano e Romano erano entrati in un locale, ed ora sedevano ad un tavolo cercando di cancellare quella storia.
Forse non era stata una buona idea uscire.
Romano guardava con gli occhi stretti e non così segretamente inferociti a destra e a sinistra, sbirciando gli altri tavoli e le molte coppiette scambiarsi parole, risate e piccole effusioni.

Lanciava fulmini con lo sguardo a ciascuna coppia, ogni uomo ed ogni donna senza distinzione, per poi prendere nervoso il suo bicchiere ed inghiottire l'alcool senza neppure sentirne il sapore, inclinando la testa all'indietro per farlo scorrere più facilmente e bruciargli la gola più che poteva.

Feliciano lo guardava perplesso giocherellando con la cannuccia nel suo cocktail, muovendo il ghiaccio e i pezzi di frutta e picchiettandola sul fondo del bicchiere.

"... Sei già al quarto cocktail. Credo sia sufficiente ... No?" - Domandò timidamente: avere a che fare con suo fratello non era facile quando era sobrio, figuriamoci quando era ubriaco!

"No che non é sufficiente!" - Gli rispose prepotentemente, bevendo avidamente il liquido fino all'ultima goccia, e lasciando un frammento di ghiaccio sciogliersi sulla sua lingua.

"Romano ... Dico sul serio, basta." - Provò ad insistere l'altro, senza risultato.

"..." - Al contrario, Romano chiamò di nuovo il cameriere. - "Un Angelo Azzurro."

Feliciano deglutì senza dir nulla.
Avrebbe tanto voluto dire al cameriere di non ascoltarlo, ma in certi momenti Romano gli faceva quasi paura, e non aveva voglia di attirare l'attenzione di tutto il locale su di loro.

"Romano ... Cosa pensi di risolvere in questo modo ...?" - Si limitò a chiedere, la voce un po' tremante.

"Vuoi sapere che cazzo cerco di risolvere?" - Ebbe un colpo di tosse. - "Voglio dimenticarmi di quel bastardo del cazzo! Che altro, secondo te?!"

"Non lo dimenticherai bevendo litri di alcool!" - Si azzardò a dire l'altro, con voce più decisa e alta, quasi in tono di rimprovero.

"... Ah no?" - Romano ebbe un tic nervoso. La sua voce si fece più profonda e bagnata di alcolico. - "Voglio dimenticarmi tutto ..."

"... Hai bevuto abbastanza. Vado a ritirare il tuo ordine." - Trovò ancora il coraggio di dire, alzandosi, deciso a vietare al cameriere di portare altri alcolici al loro tavolo. Aveva paura della reazione di Romano, ma infondo la faceva per il suo bene ...

"Dove cazzo credi di andare?" - Si alzò anche lui, mettendosi davanti al fratellino e bloccandolo, spingendolo verso la sedia.

"...!" - Feliciano emise un lieve gemito, sbattendo l'osso sacro ed iniziando a massaggiarselo con una mano, la testa inclinata verso il fratello davanti a lui.

"Voglio dimenticarmi di tutto. Dei suoi occhi. Delle sue parole. Dei suoi sospiri.
Voglio dimenticarmi di quelle cazzo di mani che mi hanno toccato dappertutto. Voglio dimenticarmi di quanto io sia stato coglione a permettergli di infilare quella sua lingua schifosa nella mia bocca.
Voglio dimenticarmi di ..."

"Ok! Ok! Ho capito! Basta così!" - Lo interruppe Feliciano, avendo intuito dove volesse andare a parare con la frase successiva.

"Bravo fratellino ... Vedi, non sei così idiota come a volte sembri." - Sorrise insanamente Romano, sedendosi di nuovo al suo posto e asciugandosi la fronte da qualche goccia di sudore.

"Uhm ... Devo andare in bagno. Promettimi che starai qui tranquillo, ok?" - Lo avvertì Feliciano.

"... Non preoccuparti. Starò qui come lo sfigato che sono." - Rise in modo demente, le braccia a cuscino dietro la nuca.

Il fratellino si diresse verso il bancone.
Chiese dove fosse il bagno e, parlando a voce molto bassa, chiese l'annullamento dell'ordinazione di Romano.
Infondo, brillo com'era, probabilmente si era già dimenticato di averlo ordinato.

Feliciano entrò nel bagno e tirò fuori il cellulare.
Erano già le dieci meno venti ...
Azionò svelto la chiamata verso Gilbert.

"Feli!"

"Ciao amore ..." - La voce dell'italiano era dolce e rilassata. Sentire Gilbert, dopo quella serata infernale, era come andare in Paradiso.

"Tutto bene lì con Romano?"

"Sì ..." - Sospirò. - "... Beh, insomma, potrebbe andare meglio. Si é scolato quattro superalcolici ... E se non intervenivo io, ne ordinava anche un quinto!"

"Brutta cosa l'alcool ... Te lo dico per esperienza." - La sua mente volò per un attimo indietro nel tempo, al periodo più disordinato della sua vita.

"... Tu cosa stai facendo di bello ...?"

"Ci sono qui Lud e Vash ... Volevano che uscissi con loro, ma aspettavo la tua chiamata, così ho suggerito loro di venire qui ... Ho pensato che chiamarti non sarebbe stato il massimo, visto che c'era tuo fratello ..."

"Infatti, hai fatto bene." - Sorrise teneramente, e fu dispiaciuto del fatto che l'albino non potesse vederlo. - "... Uhm, volevo chiederti di venire a prenderci, viste le condizioni di Romano, ma se c'è lì gente non importa ..."

"Ma se vuoi vengo! Li lascio qui un attimo!"

"N-No ... Non mi piace lasciare gli ospiti a casa da soli. Non é molto carino ..." - Spiegò genuinamente l'italiano. - "Prenderò un taxi. Credo che partiremo tra poco. A dopo Gil ..." - Seguì un bacio.

"Ciao ... A dopo, amore."

"... Ecco dov'eri finito!" - Esclamò Romano, posizionandosi dietro di lui e facendolo sobbalzare.

"Uh! R-Romano!" - Sperava che l'altro non avesse sentito la conversazione.

"... Con chi parlavi?" - Chiese invece, guardando il telefono ancora nelle sue mani. - "Con Gil, eh?"

"..." - Feliciano si limitò a sorridere appena, sperando di non gettare il fratello nella rabbia o nella depressione.

"Sto' bastardo!" - Gridò invece.

"Parli di ... Gil?" - Chiese timidamente.

"..." - Borbottò qualcosa di incomprensibile, appoggiandosi alla parete del bagno. - "... Ci andrei a letto volentieri, col tuo Gil."

"...!" - Feliciano non ebbe il coraggio di rispondere. Non si aspettava che Romano dicesse qualcosa del genere.

"Per farti provare quanto cazzo sto soffrendo, perchè sembri non capirlo!" - Tirò forte un pugno contro le piastrelle della parete, e un po' di sangue iniziò a sgorgare dalle sue nocchie, fino a rigargli tutte e cinque le dita di rosso.

"C-Che hai fatto! Aspetta, prendo qualcosa per tamponare il sangue!" - Decise di non badare alle parole di Romano, ma prese svelto un fazzoletto ed iniziò a premerlo sulla ferita per cercare di fermare il sangue. Sorprendentemente, Romano non si oppose.

"Sì ... Me lo farei proprio, il tuo Gil." - Infierì di nuovo.

"Ancora un attimo, il sangue non ha ancora smesso di uscire ..."

"A sangue ... Ahaha! Sì! Proprio a sangue!" - Furono le uniche parole che Feliciano intese (o, forse, volle intendere) chiaramente, nel discorso confuso e sconnesso del fratello maggiore.

"Mmh, bisognerebbe metterci su qualcosa ... Vabbhe, ci pensiamo a casa ... Uhm, vediamo se ho qualcosa, però ..." - L'altro lo ignorò nuovamente, cercando nella tracolla qualche cerotto ed un nuovo fazzoletto.

"... Sono sicuro che lo fa meglio di Antonio. Non che ci voglia molto ... Ma Gil dev'essere proprio bravo a letto."

"Aspetta, eh ..." - Non aveva alcuna intenzione di discutere e prendere le difese del suo fidanzato con una persona che, in quello stato, era già tanto se riusciva a mettere insieme una frase. Invece, cercò di strappare il fazzoletto in una striscia, in modo che somigliasse vagamente ad una garza.

"Dev'essere uno a cui piacciono le cose pesanti, vero? Fosse una puttana pagherei oro per andarci insieme ..."

Ancora una volta Feliciano cercò di mandare giù in silenzio, continuando a ripetersi che quello non era suo fratello, ma semplicemente un ubriaco che non sapeva nemmeno come si chiamasse.

"... Mmh! Scusa se ti ho fatto un po' male! Ma così ferma meglio il sangue ..." - Decise comunque di prendersi una piccola vendetta personale, stringendo il fazzoletto sulle sue dita un po' più del dovuto, e bloccandolo con i due cerotti che aveva trovato nella borsa.

"Dai Feli, ti conosco ... Scommetto che a letto non ve la intendete più di tanto. A te non piacciono certe cose, sono sicuro che gli fai fare tutto cio' che vuole come se fossi un cagnolino bastonato, giusto per fargli piacere ... Perché hai paura di perderlo." - Rise sguaiatamente, sudando e tossendo, l'odore pungente dell'alcool trasudava da ogni singolo poro.

"Smettila!" - Gridò disperato Feliciano, e, senza rendersene conto, gli aveva tirato istintivamente uno schiaffo.

Romano rimase immobile, il volto girato appena verso la parete per il colpo inferto dal fratellino. Gli rivolse lento gli occhi color oliva, in uno sguardo gelido, mentre il sudore colava dalla fronte e la mascella rendendole lucide.

"...! S-Scusami ..." - Si affrettò a scusarsi Feliciano, con le lacrime agli occhi, inginocchiandosi e portando le mani sul volto - "... Non so cosa mi sia preso ..."

"..." - Romano poggiò lento la mano sulla testa dell'altro, accarezzandolo lievemente. - "Feli-Chan ..."

"...?" - D'un tratto, tutto sembrò diverso.

Era da tempo che Romano non chiamava Feliciano in quel modo, se non per scherzare.
Quel nomignolo glielo aveva affibbiato quando erano entrambi bambini, ed aveva smesso di chiamarlo così tempo addietro, quando Romano aveva circa quattordici anni.
Entrambi si sentirono per un attimo tornare a quei tempi calmi e felici, in cui le uniche preoccupazioni erano i brutti voti ed i rimproversi dei grandi, in cui non c'erano amori, non c'erano pregiudizi, non c'erano chitarristi a suonare sotto i ponti e uomini che giocavano con i sentimenti degli altri.

"... Chiamo il taxi. Io tra poco devo tornare a casa ..." - Feliciano spezzò il magico silenzio, estraendo di nuovo il telefonino.

"Sì sì ..." - Romano sbadigliò. Dopo la pazzia, l'alcool gli provocava sempre un gran sonno.

Brevi e mirate frasi, e la telefonata era già finita.

"Adesso, cinque minuti e arriva ..." - Sorrise. - "Hai sonno?"

"No ... Non ho ..." - Sbadigliò di nuovo, stropicciandosi un occhio e poggiandosi alla parete.

Feliciano era ancora ferito da quelle parole, ma il bisogno di stare un attimo tranquillo era più forte.
Si gettò tra le braccia dell'altro, la testa sul suo petto.

"Adesso andiamo a casa ..." - Lo rassicurò, socchiudendo gli occhi.

Poco dopo, Feliciano sollevò pigramente la testa, sfiorandogli una mano con la sua. - "Sarà meglio uscire, così ci vedono ..."

"Mmh ..." - Romano annuì ed entrambi uscirono dal locale.

Non passò molto tempo, che il taxi fu lì.
I due entrarono e Feliciano diede al conducente l'indirizzo della casa di Romano.

Il fratello più grande lasciò cadere la testa sulle ginocchia di Feliciano, che gli accarezzò i capelli.

Si dice che le persone ubriache dicono la verità.
Allora ...?
Che Romano provasse davvero qualcosa per Gilbert, infondo al suo cuore ...?
Gli pareva impossibile.
Certo, Gilbert era bello e affascinante, ma Romano era suo fratello ... Con tutti i ragazzi che ci sono su questa Terra, perchè mai avrebbe dovuto innamorarsi proprio del fidanzato del suo fratellino?
E poi, c'era di più.
Il giudizio a cui Feliciano non aveva più potuto contenersi.
Che ne sapeva lui, Vargas Romano, di quello che Feliciano e Gilbert facevano sotto le lenzuola?
Non era affar suo, prima di tutto.
E poi ... Pur ammettendo che diceva il vero, come poteva saperlo?
E perché mai tirare fuori la questione proprio dopo aver ammesso che lui, con l'albino, ci sarebbe andato volentieri a letto?
Come se quel tipo d'intesa fosse al vertice di un rapporto amoroso solido e duraturo.
Romano ed Antonio erano la prova vivente del contrario: cio' che facevano in camera da letto non era bastato a farli rimanere insieme.

"Vi aspetta una lunga notte, eh?" - Commentò maliziosamente il conducente spiandoli dallo specchietto, vedendo la mano di Feliciano accarezzare il volto ed i capelli dell'altro.

"Veh ...?" - Appena interrotto dai suoi pensieri, il ragazzo non capì cosa l'uomo avesse detto.

"Siete fidanzati?" - Chiese ancora.

"E' mio fratello!" - Rispose Feliciano scandalizzato, arrossendo lievemente.

"Oh! Mi scusi!"

"... Ci somigliamo molto ..."

"Mmh, può darsi ... Non vi vedo molto bene, nella penombra."

"Capisco ..." - Sospirò. - "Manca molto ...?"

"No. Siamo praticamente arrivati."

Poco dopo, infatti, i due arrivarono.
Feliciano gli medicò la ferita e la coprì con una vera garza, per poi congedarsi.

"Allora io vado ... Vai a letto?"

"Mmmh, penso di sì ..." - Si stiracchiò, appoggiato allo stipite della porta, l'alcool ancora nelle sue vene. - "Non vedo l'ora di buttarmi su quel cazzo di matrimoniale ... Io, da solo. C'é più spazio, ora ..."

"Bene ..." - Lesse una nota di malinconia in quell'ultima puntualizzazione di Romano.

Uscito dalla casa del fratello, prese nuovamente il taxi, e continuò a combattere contro sé stesso, per cacciare via tutto cio' che Romano, ubriaco fradicio, gli aveva detto riguardo al suo Gil.

"Sono a casa ..." - Sospirò, buttandosi tra le sue braccia quando l'albino aprì la porta, baciandolo sulla fronte e sulle labbra.

"Ciao Feli!" - Lo salutò cordialmente Ludwig, dal divano.

Vash gli fece un breve cenno con la testa, puntandogli per meno di un istante i suoi occhi verdi addosso, e tornare poi a guardare la tv, con la ciotola di patatine ben stretta al suo stomaco.

"Ciao ragazzi ..." - Sorrise Feli.

Era distrutto, avrebbe voluto buttarsi sul letto con Gil e farsi una bella dormita, ma c'erano ospiti e non era bello comportarsi male con loro solo perchè aveva avuto una serata stressante.

L'albino si rimise a sedere su una poltrona, e l'italiano prese posto su quella affianco.
Ludwig abbassò il volume del televisore, ricevendo un'occhiataccia da parte di Vash.
Non che gli interessasse il programma, ma non amava parlare, e sapeva che se quei tre iniziavano a farlo, presto nel discorso ci sarebbe dovuto entrare anche lui.

"Allora Feli, che mi racconti di bello?" - Attaccò Ludwig.

"Mmmh, di bello non saprei ..."

"Eh, lo so, ormai ne parlano tutti di Romano ed Antonio ... E' un peccato." - Scosse la testa, bevendo un po' di birra.

"Già ..." - Rimase in silenzio per un istante, deciso a mettere da parte quella storia per un po'. - "Voi? Cosa mi raccontate?"

"Mah, io la solita routine ... Il lavoro, la casa ... Ogni tanto in giro con gli amici ..."

"La verità é che il Lud non trova un cane, fosse uno, che se lo piglia!" - Scherzò Gilbert, ridendo sguaiatamente. Non c'era cattiveria nelle sue parole: era il suo modo di fare.

"Sei un po' timido, in effetti ..." - Commentò Feliciano. Le sue parole tranquille e limpide, dette con quella nota dolce e gentile, contrastarono con la voce gracchiante di Gil.

"... Ja, dev'essere così ..." - Ludwig distolse lo sguardo dall'italiano, arrossendo lievemente.

"Tu Vash? Che mi racconti?" - Chiese ancora Feliciano, vedendolo in disparte.

"Vivo." - Si limitò a rispondere Vash, per poi aggiungere, sospirando - "... Con la mia Lily. Lavoro, bado a lei ... Che altro dovrei fare?"

Tutti avvertirono una nota infastidita nelle parole dello svizzero.
Odiava parlare della sua vita privata, perchè lo costringeva a pensare al suo passato.
I suoi genitori erano morti in un incidente stradale quando lui aveva sedici anni, e da quel momento era rimasto solo con la sua sorellina Lily.
Pur essendo un grande amante della scuola e dello studio, fu costretto a lasciar perdere tutti i suoi sogni ed andare a lavorare per mantenere entrambi.
Non che i soldi gli mancassero: apparteneva ad una famiglia ricca.
Ma detestava chiedere aiuto, ed accettava dai suoi parenti il minimo indispensabile, giusto il vuoto che non riusciva a colmare con il suo stipendio, odiandosi per questo.
Per il resto, aveva deciso che avrebbe fatto tutto da solo.
Era una vita dura, ma il suo orgoglio era superiore a qualsiasi altra cosa.

"Dove hai lasciato Lily ...?" - Chiese curioso Gilbert.

"Una sua compagna di classe ha organizzato un ... Pigiama Party, bah, quelle cavolate che hanno in testa adesso i bambini ... E' l'unico motivo per cui sono potuto uscire stasera."

"E la vai a riprendere domani mattina ...?" - Chiese Feli.

"Come faccio? Mi alzo alle cinque per andare a lavorare ... Me l'accompagnano loro, poi come sempre: andrà a casa di qualcuno fino alle otto, e poi la vado a riprendere ..." - Spiegò lo svizzero.

Raccontare della sua dura vita lo infastidiva, ma al tempo stesso provava un sottile piacere nel dimostrare come tutti i suoi amici, nonostante si reputassero sfortunati, ognuno a modo proprio, a confronto facessero una vita da sultani.
Ad ogni racconto della sua vita, detto con fatica, si aggiungeva il suo sguardo tagliente color smeraldo, come a dire '...Quindi dovete solo stare zitti'.

Non era cattivo, al contrario.
Stava sacrificando sé stesso per crescere Lily.
Aveva solo un carattere molto serio e severo.
Del resto, dopo la morte di entrambi i genitori ed una vita del genere, era del tutto comprensibile che questi tratti del suo carattere si fossero inaspriti.

"... Mi dispiace, eh." - Volle aggiungere, vedendo le espressioni perplesse dei suoi amici nel sentire la dura vita che anche Lily doveva fare - "Ma d'altronde, che altro posso fare ...?"

"..." - Le palpebre di Feliciano si abbassavano senza che lui lo volesse. Era davvero stanco, nonostante facesse di tutto per cercare di partecipare alla discussione. - "Vado a prendere un bicchiere d'acqua ..."

"Vado io! Stai qui, Feli!" - Si affrettò a dire Gilbert, alzandosi e poggiando le mani sulle sue spalle, cercando di farlo tornare a sedere sulla poltrona.

"No no ... Tranquillo, vado io. Se sto lì ancora un po' mi addormento." - Si oppose l'italiano, sbadigliando e stropicciandosi un occhio.

Gilbert lo vide allontanarsi verso la cucina, seguendolo con lo sguardo finché non scomparì dietro la porta.
Feliciano prese la bottiglia d'acqua dal frigorifero e cercò di aprirla.
Strinse la sua mano attorno la tappo più e più volte, ma le poche forze che gli rimanevano non erano sufficienti.

Rimase un attimo immobile, e la sua mente volò contro il suo volere a suo fratello.
Era davvero andato a letto ...?
O forse era seduto al tavolo a scolarsi bottiglie e bottiglie di alcool?
Il pensiero lo fece rabbrividire.
Sperava davvero che avesse avuto il buon senso di coricarsi.
Magari era a letto ...
Avvolto nelle lenzuola e stringendo a sé il cuscino, tra lacrime e singhiozzi, fingendo di avere ancora Antonio tra le sue braccia.

"Romano ..." - Sospirò triste, inarcando un sopracciglio.

"Non riesci ad aprirla?"

"Veh?!"

"... Te la apro io ..." - Ludwig si fece strada verso di lui.

Per un attimo, ebbe l'istinto di accarezzare le guance tenere e pallide dell'altro per confortarlo, immaginando quali pensieri lo stavano attraversando, ma si trattenne.
Cosa avrebbe pensato Gil ...?
Ludwig scosse la testa e prese la bottiglia.

"Ecco." - Disse calmo svitandola con facilità.

"Grazie!" - Ringraziò genuinamente Feliciano, sorridendogli riconoscente e riprendendo la bottiglia tra le mani.

"Wei Feli!" - Gilbert li raggiunse.

Superò il fratello e abbracciò Feliciano da dietro, accarezzandogli le braccia e dandogli un bacio sulle labbra quando questo voltò il viso nella sua direzione.

"Eh-Ehm!" - Tutti si voltarono. Vash era appoggiato allo stipite della porta della cucina, braccia conserte e occhi spazientiti. - "Sono stato qui anche abbastanza. Domani devo alzarmi molto presto, credo che sia meglio per me levare le ancore."

"Capisco ... Vai anche tu, Lud?" - Chiese l'albino.

"Credo di sì ..."

"Uffa! Ci lasciate qui soli? E' presto!" - Protestò il tedesco, alzando al cielo gli occhi scarlatti.

"Ti ricordo che devo alzarmi alle cinque!" - Rispose duramente Vash.

"... Feliciano ha un'aria molto stanca." - Rispose Ludwig più pacatamente, guardando l'italiano. - "... Abbiamo disturbato anche abbastanza. Sarà meglio che io e Vash vi lasciamo riposare ..."

"... Uh, no ... Se é per me, non importa! Davvero, se vuoi stare qui ancora un pochino, non è assolutamente un disturbo, Lud!" - Si affrettò a mettere in chiaro Feli. L'idea che il fratello del suo fidanzato dovesse andare via per paura di disturbarlo, lo faceva sentire in colpa.

"... Nah. Ha ragione. Hai bisogno di riposare!" - Intervenì Gilbert, prima che Ludwig potesse aprire bocca.

I due fidanzati andarono ad aprire la porta di casa.

"Ciao Lud! Ciao Vash!" - L'albino li salutò entrambi con una pacca sulla spalla.

"'Notte ..." - Ringhiò Vash, infastidito dai modi di Gilbert.

"Ciao Gil!" - Rispose Ludwig. ormai abituato fin troppo a quel modo di fare.

"Ciao ..." - Feliciano si alzò sulle punte, verso il viso di Ludwig, il quale arrossì e rimase impietrito. - "Veh ...?"

Ludwig d'un tratto sentì un brivido attraversargli la spina dorsale.
Feliciano voleva baciarlo ...?
Perché in quel momento?
Perché mentre non erano soli?
Perché proprio davanti a suo fratello, ma cosa più importante, al suo fidanzato?
Il tedesco lo guardava confuso ed immobile.
L'italiano fece la stessa espressione, al che Ludwig intese tutto.

... Certo, che stupido, come poteva averlo dimenticato?
In Italia era usanza congedarsi con un bacio sulla guancia!
Ricordatosi di questo, il tedesco si abbassò.
A questo punto, si aspettava quel bacio che all'inizio aveva temuto, ma Feliciano, al contrario, si limitò a strofinare appena la guancia contro la sua.
Un po' sorpreso, Ludwig fece lo stesso.

Mezzo secondo dopo, Feliciano ripeté il rituale con Vash.
'Che stupido', pensò il tedesco, mentre era già in ascensore con lo svizzero.
Come poteva pensare che Feliciano volesse baciarlo per una ragione diversa da quella tradizione?
Non aveva senso ... Era il fidanzato di suo fratello, e sapeva quanto si amassero.
Ormai cominciava a vedere cose che non esistevano.
Doveva davvero trovarsi qualcuno, se voleva uscire da quell'inferno di illusioni.
Doveva trovare 'un cane che fosse disposto a star con lui', come diceva Gil.
Gli effetti della solitudine sulla sua mente iniziavano a farsi sentire.
Scrollò la testa, e con essa quei pensieri contorti, seguendo Vash fuori dall'edificio.


Feliciano chiuse la porta, appoggiandosi ad essa con la schiena in un sospiro, come un grido liberatorio.
Gilbert lo raggiunse e lo imprigionò, appoggiando le mani alla porta ed accarezzandogli le labbra con le sue.

"... Era ora." - Sorrise l'albino.

"Veh? Non eri forse tu quello che stava insistendo affinché Lud rimanesse?" - Chiese l'italiano, a metà tra il confuso e lo scherzoso.

"Naah, era giusto un atteggiamento retorico, per far vedere che mi faceva piacere la sua compagnia ..." - Spiegò il tedesco. Diamine, certe scaltre strategie potevano essere elaborate solo dal Magnifico Gilbert!

"Capisco ..." - Sorrise, lasciando che le labbra dell'altro lottassero con più vigore contro le sue, appena dischiuse.

Gilbert fece passare una delle sue mani dietro la schiena dell'italiano, cingendolo da parte a parte, l'altra mano salda sulla porta.
Fece un passo in avanti, finché i loro petti non si fusero, ed iniziò ad accarezzare fuggiascamente le sue labbra con la lingua.
Feliciano reagì alla piacevole sensazione con un lieve brivido, e dischiuse di più le labbra, continuando a sfiorare ed accarezzare quelle del tedesco.

Non appena la lingua del tedesco si fece più invadente entrando in lui, ebbe un leggero sussulto, ed allungò istintivamente le braccia verso Gilbert, fino a cingergli il collo e a spingergli il viso ancor più verso il suo, le bocche ora aperte ed in pieno contatto tra loro.

La mano dell'albino iniziò a scendere fino a toccargli con dolce prepotenza le coscie. Ben presto a quella s'aggiunse la seconda, e dopo poco entrambe spinsero l'italiano verso l'alto, nel tentativo di sollevarlo.

"... G-Gil ..." - Feliciano ruppe il silenzio di sospiri, con un tono insieme desideroso e dispiaciuto. - "... Mmh, sono stanco ..."

"..." - Gilbert non rispose, ma impedì al suo amato di aggiungere altro, fondendo di nuovo le loro bocche.

Con l'italiano già sollevato da terra, si diresse in camera da letto, e qui lo posò, tra le lenzuola bianche e leggere.
Rimase sopra di lui, ora baciandolo sulle guance e sul collo, cercando di spogliarlo e respirando affannoso nelle sue orecchie facendolo rabbrividire dolcemente.

"Gil ..." - Sorrise beato, drogato dai baci, abbracciandolo per trattenerlo lì con lui.

"Insomma ..." - Il tedesco alzò la testa per poterlo vedere in volto, in un tono lussurioso e scherzoso al tempo stesso. - "Prima mi dici che sei stanco, poi mi trattieni qui ... Si può sapere cosa vuoi ...?"

Fece passare un dito lungo i solchi del suo petto, ormai scoperto, facendolo rabbrividire di piacere ancora una volta.

"Mmmh ..." - Aveva un'espressione al tempo stesso vogliosa, pentita, stanca e triste.

"Feli? Cosa c'é?" - Chiese preoccupato Gilbert, alzando la testa verso di lui.

"Scusami Gil, stasera non me la sento ..."

"..." - Gilbert si limitò a scuotere la testa, per poi proseguire, baciandolo e mordendolo lungo tutto il busto. Aveva già messo mano sulla zip dei suoi jeans ...

"D-Dico sul serio! Gil ...!" - Protestò ancora, contraendo le gambe e girandosi leggermente su un fianco.

"..." - Gilbert sospirò, si spogliò e rimase in boxer e canottiera: aveva caldo, avrebbe dormito così.

Feliciano lo guardò un attimo con aria dispiaciuta, appoggiato allo schienale del letto.
Poco dopo, si tolse i jeans e li ripose sul comò, raccogliendo dal pavimento la maglietta che Gilbert aveva gettato poco prima e riponendola lì affianco.
Si mise il pigiama ed andò in bagno.

Al suo ritorno, l'albino giaceva già sotto le lenzuola, con gli occhi chiusi.
L'italiano salì sul letto in silenzio, spegnendo la luce dell'abat-jour ed avvicinandosi a lui, fino ad abbracciarlo.
Gilbert sorrise nel buio, e lo accolse allo stesso modo tra le sue braccia.

"...!" - Feliciano ebbe un lieve sobbalzo, credendo che l'altro stesse già dormendo.

"Notte amore ..."

"Notte amore ..." - Rispose Feli, strofinando la testa sul suo petto, come un cuscino.

Rimase con gli occhi socchiusi nel buio, sentendo le loro gambe così vicine dall'essere quasi intrecciate.
Il respiro caldo dell'albino accarezzava le sue orecchie e lo faceva fremere, mentre con la guancia poteva sentire blandamente il suo petto alzarsi e abbassarsi, allo stesso ritmo.
Erano così vicini da sembrare un corpo solo.

Un certo calore iniziò ad arrossargli le guance, mentre una timida domanda gli faceva tremare la gola, dove cercava di tenerla segregata.

"Gil ..." - Disse infine.

"...? Sì?" - L'altro era ancora abbastanza sveglio da potergli rispondere.

"Ricordi quello che ti ho detto prima ...?" - Chiese, deglutendo e sentendo il suo cuore battere sempre più forte. - "Forse ... Ho mentito."

"Quindi? Cosa intendi dire?" - L'albino fece un ghigno. Sapeva perfettamente a cosa l'italiano alludesse, ma sentirlo uscire dalla sua bocca era troppo eccitante.

"Uh, beh ..." - Benché fosse buio, Gilbert poteva benissimo immaginare come Feliciano doveva apparire in quel momento: le guance in fiamme, lo sguardo fuggiasco, come un adolescente alla sua prima volta.

Feliciano ci pensò su un poco.
Tutte le volte che Gilbert voleva che dicesse cose del genere, l'italiano era sempre indeciso su come dirlo.
Sapeva che avrebbe amato sentirgli pronunciare frasi piene di lussuria, magari anche volgari, prepotenti e sfacciate.
Ma era un qualcosa che proprio non riusciva a fare.
La sola idea di pronunciare frasi di quel tipo lo faceva sentire uno di facili costumi, e poco importava se era Gil l'interlocutore.
Lo infastidiva, e mai avrebbe cambiato idea.
Poteva dire 'voglio fare l'amore con te' ... Oppure ...

"Voglio essere tuo ..." - Disse infine. Amava metterla su quel piano, perchè ad una possessione fisica si rifletteva anche una possessione affettiva e platonica. - "... E voglio che tu sia mio."

Senza aggiungere altro, Gilbert ghiagnò nuovamente, baciando avidamente Feliciano e mettendo ancora una volta in chiaro, alle stelle e al mondo, che si amavano.

~ Continua ...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


NOTE. ... Ecco il quarto capitolo! Scusate l'attesa! >-<
Allora, come sempre, perdonate il linguaggio di Romano. Compaiono nuovi personaggi, come potrete vedere ^-^ Spero vi piaccia, buona lettura! :D

~ Ary.   ♥

~ ........... Capitolo 4 ............. ~

 

Feliciano si stava dondolando sulla sedia del suo ufficio, avvolto da mille pensieri.
Fissò per un attimo lo schermo del pc, per poi alzare gli occhi al cielo, le braccia a cuscino dietro la nuca.

Poteva pure prendersela con comodo.
Gli straordinari li avrebbe fatti comunque.
La notizia era giunta dal direttore, e non era l'unico interessato.
Gli cadde l'occhio su una foto di lui e Romano, ed inevitabilmente la mente volò verso suo fratello.

Cosa stava facendo ora ...?
Si era forse recato al lavoro?
Magari era ancora a letto, facendo incubi terribili e piangendo disperatamente, prigioniero del buio e dei suoi pensieri, senza la forza né l'intenzione di alzarsi.
O ancora, cosa che Feliciano sperava non stesse accadendo, poteva essere di nuovo ubriaco.

... Diamine.
Avrebbe tanto voluto stare con suo fratello anche quella sera.
Romano lasciato da solo, in una situazione così, avrebbe potuto commettere follie.
Una soluzione c'era, però: chiedere a qualcun altro di passare la serata accanto a Romano.

Francis? Elizaveta e Roderich? Ludwig, forse?
...
Non riusciva a pensare a Gilbert.
Non voleva.
Non dopo quello che Romano aveva detto la sera prima.
Era ubriaco fradicio, ma ... Se avesse detto la verità?

"Assorto come sempre, eh?" - Gli sorrise Elizaveta.

"Veh? Uh ... Sì."

"Ahah, ultimamente lo sei spesso! C'é qualcosa che non va? O forse pensi sempre a Gil?" - Gli lanciò un'occhiata maliziosa.

"Veramente dovrei chiederti una cosa!"

"Cosa?"

"... Mi chiedevo se stasera ..."

"Stasera? Qualsiasi cosa, direi di no ... Non sei l'unico che deve fare gli straordinari, sai?" - Tirò fuori la lingua con fare scherzoso. - "A parte gli scherzi, sono qui con te tutta la sera in ufficio. Ma di cosa avevi bisogno?"

"Vorrei che qualcuno stesse con Romano ... Non voglio lasciarlo solo." - Rimase un attimo in silenzio, a riflettere. - "E Roderich? Lui é impegnato?"

"... Sì, mi dispiace. E' stato invitato ad una specie di saggio di musica ... Bah, sai, quelle cose in cui é sempre impicciato ..." - Alzò le spalle, aggiungendo ironicamente - "... Suonare, essere giudici in concorsi di musica, assistere ai concerti ed ai saggi, essere acclamato e riverito mentre tua moglie si fa un mazzo così in ufficio fino a tardi ... Che ci vuoi fare, è un artista lui!"

"... Beh, però gli riesce bene! No?" - Sorrise l'italiano.

"Ah sì, per riuscirci ci riesce. Adesso si è messo in testa che vuole diventare anche direttore d'orchestra ... Ma dico io, sei già un musicista affermato, insegni musica, sei richiesto a destra e a manca, ti pagano pure profumatamente ... E ancora non ti basta ?!" - Pur fingendo di essere risentita dal comportamento del marito, gli occhi e le labbra dell'ungherese erano pieni d'amore ed ammirazione. - "Mi sono sposata con un maniaco perfezionista!"

"Siete bellissimi insieme ..." - Feliciano la guardava mezzo sognante, pensando a come, per quanto la sua mente potesse andare indietro nel tempo, non riuscisse a ricordare un singolo istante della vita di Roderich ed Elizaveta in cui i due non fossero già insieme. Erano fatti l'uno per l'altra.

"Grazie!" - L'ungherese arrossì lievemente - "Anche tu e Gil!"

"Grazie ..." - Lo sguardo gli cadde sul cellulare. - "Uhm, dovrei chiamare qualcuno e sistemare questa cosa con Romano ..."

"Capisco. A dopo, se ci si vede, ho un sacco di fotocopie da fare ..." - Sospirò la ragazza andandosene.

L'italiano la salutò sorridendo, per poi aprire il cellulare sfogliando la rubrica.
Chi chiamare ...?

"Allo?"

"Pronto! Francis!"

"Cuginetto! Comment ça va? E' da un po' che non chiami il fratellone, ein?" - Non erano fratelli, ma Francis amava riferirsi a sé stesso in quel modo, ogni volta che parlava con qualcuno più piccolo di lui verso cui nutriva particolare affetto, di tipo quasi paterno.

"Già! Scusami se non ti chiamo spesso! Sto bene grazie ... Tu?"

"Non c'é male, merci. Che mi racconti di bello? Successo quelcosa?"

"Uhm ... Beh, una cosa sì ... So che Gil ti ha parlato di Romano ..."

"... Già. Me ne ha parlato. Beh, in realtà ho avuto modo di parlarne anche con Antoine ..."

"Cosa ti ha detto ...? Anche Gilbert ci ha parlato, ma hanno finito per discutere pesantemente ..."

"Mmh, mi ha spiegato le sue ragioni, se si possono definire tali. Infondo siamo il Bad Touch Trio ... O almeno, lo eravamo. Sapendo che Gil era impegnato con te, ha immaginato che non avrebbe compreso le sue ragioni ... Riguardo a moi ..."

"... Immagino che tu riesca a capirlo di più ... Voglio dire, tu sei più ... Mmh, non hai ancora trovato la persona giusta ..." - Feliciano aveva un tono dispiaciuto.

Conosceva la vita di Francis: non era mai stata tanto disordinata quanto quella di Gilbert, o almeno non in apparenza: aveva sempre avuto un lavoro, aveva sempre passato le giornate nella classica routine del lavoratore medio ...
Anche se non erano rare le sere e le notti in cui si concedeva ai piaceri sfrenati che Gil e Antonio mai si facevano mancare.

Vi era però una differenza, tra suo cugino e quei due.
Per loro l'importante era passare notti sfrenate all'insegna del piacere, senza alcun riguardo per il modo in cui quel piacere arrivava, senza curarsi di quanto alcool avessero ingerito e dell'importanza di certi atti: erano un mezzo per procurarsi piacere. Che altro ...?
Una vera fortuna che nel frattempo Gilbert fosse cambiato ... E, dopotutto, anche Antonio si era ridimensionato molto, rispetto a quei tempi.

Francis la pensava in modo diverso.
Pur passando spesso le notti in giro con loro, non arrivava mai al punto di ubriacarsi del tutto.
Voleva rimanere sobrio.
Voleva che quei ricordi rimanessero impressi nella sua memoria per sempre.

Odiava l'idea di fare certe cose da ubriaco.
Perché, diceva, non c'era gusto a farlo, se dopo la notte ne rimanevano solo confusi ed offuscati ricordi bruciati dagli alcolici.
No, lui voleva ricordarsi ogni singolo istante.
Perché la parte più bella era il dolce ricordo in cui corpo e mente rimanevano avvolti per tutta la mattina seguente.

'Non importa quanto duri. Anche solo una notte. Ma in quell'unica notte, il mio cuore appartiene a quella persona, e per nessuna ragione voglio rischiare di dimenticarmi i piacevoli momenti passati insieme.'


Così andava dicendo, mentre la lista di persone che aveva fatto sue aumentava sempre di più, e la sua mente si riempiva via via dei nomi e dei volti di ragazzi e ragazze, tra petali di rose rosse, lenzuola e luci soffuse.

"Feli ... Vedi, io ..." - Doveva dirglielo. Era ridicolo che nessuno lo sapesse. Voleva gridarlo al mondo, voleva gridarlo più forte che poteva ...

"Veh ...?"

"Ultimamente ... Ahi!" - Qualcosa interruppe il francese, che lanciò un gemito, per poi dire qualcosa a qualcuno, il microfono del cellulare come ovattato - "... Va bene va bene! Però dovrei!"

"Uh? C'é lì qualcuno?" - Chiese perplesso l'italiano.

"Qualcuno ...? No !!!" - Pareva quasi che Francis stesse lottando contro un nemico invisibile. - "Ci dev'essere un'interferenza! Eheh! Comunque, dicevo che ultimamente non ci si vede spesso! Ma perchè hai chiamato? Qualche motivo specifico?"

"Mmh, a dire la verità sì ... Vedi, devo stare in ufficio fino a tardi, ma non vorrei lasciare Romano da solo ... Mi chiedevo se tu ..."

"Andare da Romano? ... Mi dispiace molto Feli, ma stasera non posso. Ho ... Ahi! Ehm, ho da fare! Devo ... Uhm, ho un appuntamento! Con ... Mmh! Con una ragazza che ho incontrato su Internet!" - Ogni tanto emetteva dei gemiti, come se qualcuno stesse cercando di interromperlo con la forza.

"Oh ... Veh, capisco. Non importa. Allora buona serata ... Ciao Francis." - Lo salutò Feliciano, un po' dispiaciuto.

"Mi dispiace davvero ... A presto, cuginetto."

Francis riattaccò il telefono e guardò Arthur.

"... Sei incredibile!"

"Volevi dirglielo! Non é così forse, rana ?!"

"..." - Francis scosse la testa sconsolato - "Hai intenzione di rimanere nell'ombra ancora per molto?"

"... Finché voglio. E per ora, lo voglio."

"Ma é mio cugino ... Che ti importa? Infondo anche lui sta insieme ad un ragazzo!"

"Non mi interessa! Non voglio e basta!" - Incrociò le braccia sul petto, arrossendo lievemente e sfuggendo con lo sguardo color smeraldo - "... Non che ci sia molto da dire. Non siamo fidanzati. You git, non mi fidanzerò mai con una rana francese come te. Mi sto solo ... Divertendo un po'."

"... Prima o poi uscirai allo scoperto Rosbif, te lo assicuro. Nel frattempo ... Oui, confesso che é divertente anche per me ..." - Gli cinse i fianchi con le braccia e gli accarezzò il coccige facendolo rabbrividire, per poi stampargli un bacio sulle labbra, lento e passionale.



Nel frattempo, Feliciano era impegnato in un'altra chiamata.

"Ja?"

"Ciao Lud! Sono Feli!" - Esclamò solare l'italiano.

"Oh, ciao!" - La sua voce per un attimo parve soffocata, come se avesse il cuore in gola. - "Che ... Che cosa c'é?"

"Uhm, dovrei chiederti un favore ..."

"Di che si tratta?" - Chiese curioso il tedesco, come se ad un tratto si sentisse un prode e fedele soldato in attesa di ordini.

"Sei libero stasera ...?"

"...!" - Rimase muto per un istante. Il suo cuore iniziò a battere più veloce. Che cosa voleva ...? Perché glielo aveva chiesto ...? Voleva che si vedessero quella sera? E Gil? Cosa avrebbe pensato Gil? - "... P-Perché?"

"Devo fare gli straordinari ... Ma non mi va di lasciare Romano solo. Potresti perfavore andare da lui a tenergli compagnia ...?"

"..." - Il tedesco fece un grosso sospiro, come se si fosse liberato di un peso, e sentì una nota amara di strana delusione infondo al palato. - " ... No, mi dispiace. Anche Vash stasera fa gli straordinari, e gli ho promesso di badare a Lily ..."

Avrebbe tanto voluto fare quel favore a Feliciano.
Voleva renderlo felice, perché il suo sorriso era una delle cose più dolci e meravigliose che avesse mai visto in vita sua.
Renderlo felice con piccoli favori come quello, e stargli vicino come amico, era il minimo che potesse fare ... Per il fidanzato di suo fratello.

Ma aveva già accettato l'incarico di Vash ...
Doveva andare a prendere Lily a scuola, e stare con lei fino a tarda notte, fino all'arrivo dello svizzero.
La parola data é sacra.
Mai avrebbe permesso di tradirla.

"Mmh ..." - La voce di Feliciano pareva triste, ma nascose il suo stato d'animo più in fretta che poté. - "Non importa! Salutami Lily, allora! Dalle un bacio da parte mia ... Buona giornata!"

"Ciao Feli! Mi dispiace ... B-Buona giornata anche a te!" - Rispose svelto, quasi balbettando, sentendo l'altro in procinto di riattaccare.

Diamine.
Ma che gli succedeva ...?
Certe reazioni non erano da lui ...


Feliciano riattaccò, in preda allo sconforto.
A chi altri poteva chiedere ...?
Gli altri suoi amici abitavano troppo lontano ...
L'unica soluzione era ...

'Ci andrei a letto volentieri, col tuo Gil.'


Le parole di suo fratello gli riecheggiarono nelle orecchie ferendogli i timpani e facendogli venire malditesta.

Era ubriaco ... Stava sicuramente delirando.
Sì, doveva essere così.
Eppure ...
Aveva paura, tanta paura.
Se, come si dice, 'in vino veritas', cosa si sarebbe dovuto aspettare?
L'unica persona che pareva essere rimasta sulla lista, era Gilbert.
L'unico che avrebbe potuto fare compagnia a Romano quella sera ...

Ma quei pensieri lo turbavano troppo.
Forse Romano, dopotutto, non aveva così bisogno di compagnia ...
Magari si era ripreso.
Chi poteva saperlo?
Forse quella mattina si era recato al lavoro, come sempre, e ad Antonio non ci stava nemmeno più pensando!
C'era un solo modo per scoprirlo ...

"R-Romano!" - Esclamò l'italiano, sentendo l'altro rispondere al cellulare.

"..." - Si sentiva solo il suo respiro, pieno d'affanno. - "Cosa vuoi?"

"Sei ... Sei andato al lavoro?" - Mai come allora, parlare con suo fratello gli stava provocando una certa soggezione.

"Lavoro ...?" - Pareva confuso. - "Oh... Lavoro! Sì sì! Ahahaha! Lavoro!"

"...!" - La voce di Romano somigliava a quella che aveva la sera prima. - "Sei di nuovo ubriaco ?!"

"Chi? Io? Ma va' !!!" - Rise sguaiatamente, tossendo e facendo strani versi.

"A che ora ti sei alzato ...?" - Feliciano cercò di mantenere il suo solito modo di fare. Arrabbiarsi con Romano in quelle condizioni, non sarebbe servito a nulla.

"Alle otto. Otto, nove, dieci, undici!" - Rise di nuovo, mentre il fratellino rimaneva in perplesso silenzio. - "Cazzo Feli! Che hai! E ridi un po'! La vita fa schifo!"

"Romano ..." - Sentirlo in quello stato lo faceva soffrire. Non poteva lasciarlo da solo ... No, non poteva.

"Ahaha! Me la sto spassando! Se solo avessi uno straccio di uomo con cui divertirmi, sarebbe ancora meglio!" - Feliciano deglutì in silenzio, ripensando alla scenata della sera prima. - "Non me ne frega di chi. Guarda, pure con quello stronzo di Vash. O quel perfettino del cazzo di Roderich. O quel bastardo mangia-patate del fratello di Gil. Ma pure con Francis, che problema c'é? Cazzo fratellino, pure con te lo farei!"

"..." - Feliciano ascoltò in silenzio, e per un attimo tirò un sospiro di sollievo. - "Uhm, stai tranquillo. E promettimi di non bere più ..."

"Ancora con sta' storia! Come te lo devo dire? Non sono ubriaco !!!" - Rispose seccato, ma la sua voce lo tradiva. - "Vieni anche stasera a rompermi le palle?"

"Mmh ... Manderò qualcuno, io non posso. Tu stai lì, non agitarti e non uscire ..."

"Si figuri, ho ancora un sacco di alcool!"

"... E non bere!"

"Siiii siiii" - Rispose tra un colpo di tosse ed un singhiozzo.

"Ok, dai. Per ora ti lascio ... Ciao Romano ..." - L'altro riattaccò senza nemmeno salutare.

Feliciano appoggiò il cellulare sulla scrivania e tirò un lungo sospiro, lo sguardo perso tra il candore del soffitto, adornato da vecchie ragnatele mezze rotte, sfuggite probabilmente alle pulizie.

... Romano era ubriaco.
Di nuovo.
Questa non era affatto una cosa positiva ...
Eppure, il fratellino si ritrovò sorprendentemente più tranquillo.
Forse era egoista.
Ma quella sua affermazione, sul fatto che il fratello maggiore avrebbe voluto sfogare i suoi desideri su una persona qualsiasi, l'aveva un po' tranquillizzato.
Non aveva nemmeno citato Gil ...
Certo, anche lui poteva essere nel mirino di Romano ... Ma, se stava dicendo il vero, questo significava che non si era certo preso una cotta per il suo fidanzato.
Era semplicemente uno dei tanti.

Almeno, questo aveva lasciato intendere.
La sera prima ci era andato davvero pesante, e Feliciano ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscito a gestire la situazione.
Non solo: se da una parte gli pareva sorprendente che, dopo tutti quegli apprezzamenti, fosse riuscito a mantenere la calma, dall'altra aveva iniziato a considerarsi un fratello ed una persona orribile per quell'unico, debole schiaffo che gli aveva tirato.

"Hey! Feli!" - Senza quasi accorgersene, Feliciano aveva già azionato la chiamata verso Gilbert.

"Veh! Uhm, ciao amore!"

"Tutto bene?"

"Beh, così così ... Purtroppo oggi dovrò lavorare fino a tardi ..." - Sussurrò piano, in tono triste, succhiandosi appena le labbra come un bimbo dopo un rimprovero.

"Oh, mi dispiace ..." - Ammise l'albino. - "... Io oggi esco alle cinque ... Che sfiga! Mi sarebbe piaciuto andare da qualche parte con te!"

"Senti, potresti andare a fare un po' di compagnia a Romano, perfavore ...?" - Chiese quasi sottovoce, con un nodo alla gola. Dopotutto, scordarsi certi apprezzamenti non era facile.

"...? Certo! Allora Feli, io esco alle cinque, stacco un'oretta e verso le sei vado da lui! Va bene?"

"Sì! Grazie mille, sei un angelo ..." - Deglutì saliva ed aria, e per un attimo gli mancò il respiro. Le mani gelide iniziarono a sudargli ... - "Quando sei da lui ... Stai attento."

"Attento? Perché?" - Chiese sorpreso il tedesco, allargando le iridi scarlatte e poggiando una mano sul fianco.

"Mmh ... Beh ... L-L'ho sentito, ed era già ubriaco!" - Si affrettò a rispondere.

Non gli andava proprio di spiegargli la situazione nei minimi dettagli.
Era imbarazzante ... Imbarazzante e scomodo.
Cosa mai avrebbe dovuto dirgli?
Che suo fratello, ubriaco fradicio, la sera prima aveva espresso più volte attrazione nei confronti dell'albino?
Che ora si era messo in testa che chiunque andava bene, purché soddisfasse i suoi desideri?
Che aveva messo in dubbio il loro rapporto ...?
E solo perché ... Perché, a suo parere, mancavano di una certa intesa?

"Ah ... Capisco. Ooook! Magari ci sentiamo dopo allora! Un bacio!"

"Baci Gil!" - Esclamò, per poi sentirsi in disperato dovere di aggiungere - "... Ti amo."
Quelle parole gli erano pesate in gola come due cubetti di ghiaccio.


Gilbert riattaccò.
Perché mai avrebbe dovuto 'stare attento'?
A cosa, di preciso?
La risposta di Feliciano gli era parsa sbrigativa e poco convincente, giusto una copertura, una vaga spiegazione giusto per non stare zitto.
Aveva letto tensione nella sua voce e nelle sue parole, come se qualcosa non tornasse, come una sensazione di inquietante vuoto.

Era già ubriaco ...
Da membro del famigerato 'Bad Touch Trio', a molte cose avrebbe potuto pensare.
Il suo passato era sempre lì, in un cassetto di se, sempre pronto ad essere aperto all'evenienza.
Ubriaco ...
Certo, lui ed Antonio ne avevano fatte di cose, da ubriachi.
In sella alle moto, in corsa sulle strade deserte, a vedere chi era il più veloce.
Nei bar, a gareggiare a chi diceva più cose insensate.
Per le strade, ad imbrattare muri, marciapiedi ed onore.
...
Ma Romano non era uno di loro, dopotutto.
Se lo fosse stato, forse avrebbe compreso di più Antonio.
Non al punto da perdonarlo, ma da non finire in quello stato ...

"Gil! Ci sono dei clienti seduti ad un tavolo all'esterno, puoi prendere l'ordinazione? Sono un po' indaffarata qui!" - Una sua collega lo fece tornare alla realtà.

Sbirciò l'orologio.
... Avvolto nei suoi pensieri, lavorando in modo meccanico, senz'anima, non fece caso al tempo che scorreva inesorabile.
Per molti lavoratori era pausa pranzo ... Il momento migliore della giornata per gli altri, secondo solo all'uscita definitiva, corrispondeva per lui al momento più intenso.
I tavoli prendevano pian piano a gremirsi, il locale si riempiva di voci, suoni e gente, portandolo in un'atmosfera confusionaria.
Quella confusione, densa e prepotente, che il vecchio Gil amava, e che il nuovo di certo non disprezzava.
Prese un blocchetto ed una penna, ed uscì.

"Vuole ordinare?" - Chiese sistematicamente, senza nemmeno guardare in faccia la persona seduta al tavolo.

"Tienen tapas?"

Quella voce pareva familiare.
Troppo familiare.
Il tedesco alzò di colpo occhi e testa verso l'uomo al tavolo.

"Antonio ?!"

"Sì! Ciao, Gil!" - Sorrise lo spagnolo, con candida innocenza.

"... Romano sta molto male, sai?" - Affermò duramente l'albino, perforandolo con gli occhi scarlatti.

"Mmh ... Lo so. Immagino. Lo siento ... Mi dispiace." - Scosse la testa, fissando per un attimo il posacenere sul tavolo. - "Ma ... D'altra parte, mi sono innamorato di un'altra persona. C'é forse qualcosa di sbagliato in questo?"

"... Non é questo il punto. E' l'averglielo nascosto, ad essere sbagliato!"

"Riconosco il mio errore. Sono stato uno stupido a non dirglielo, ma davvero non ne trovavo il coraggio." - Sospirò, voltandosi verso di lui, le iridi verdi illuminate dal sole. - "... Non voglio litigare con te. L'altra volta per poco non ci siamo messi le mani addosso ... Allora ero arrabbiato. Forse anche con me stesso, per non aveglielo detto. Ora sono più sereno ... Voglio solo che tu sappia che non voglio rovinare la nostra amicizia per questo."

"... Anche a me dispiacerebbe." - Ammise sottovoce Gilbert, sfuggendo con lo sguardo, come un criminale che ammette il suo reato. - "... Feli prima ha chiamato Romano. Stamattina era già ubriaco, e lo stesso ieri sera ..."

"..." - Antonio aveva un'espressione sinceramente addolorata. - "... Non mi pento di averlo lasciato. Non lo amavo più, comunque. Ma ammetto che sta soffrendo a causa di una mia negligenza ... Ti direi di informarlo del fatto che mi dispiace molto, ma probabilmente sentire il mio nome lo farebbe stare solo peggio."

"... Appunto." - Concluse Gilbert, tagliando corto - "... Beh, se con Bella sei felice, tanto meglio per te. Ora, se non ti dispiace, vuoi ordinare?"

"... Mmh, bueno, voglio un panino e un quartino di vino rosso. E un'insalata." - Gli sorrise, forzatamente sereno, con lo sguardo ancora colpevole. - "... Non ti dico altro Gil ... Li conosci i miei gusti, dopotutto!"

"Come no!" - Confermò il tedesco, segnando l'ordinazione e dirigendosi verso un altro tavolo.

Antonio sembrava diverso.
O meglio, pareva essere tornato lo stesso di sempre.
Quello allegro, con il sorriso sulle labbra.
Negli ultimi tempi era stato davvero teso e nervoso per quella faccenda.
Non aveva mai visto lo spagnolo così impulsivo ed aggressivo.
Ora, sembrava essere tornato ai tempi in cui tra lui e Romano non c'era altro che amore.
A quanto pare, quindi, la storia con Bella era qualcosa di serio ...
Beh, non poteva odiarlo solo perché si era innamorato di qualcun altro.
D'altra parte, infondo gli sarebbe dispiaciuto chiudere i rapporti con un amico intimo come lo spagnolo.

Dopo aver preso altre ordinazioni, Gilbert rientrò, consegnando i biglietti ed aiutando nel frattempo con bibite e preparazione.
Non ci volle molto, che alcuni piatti furono pronti.
L'albino consegnò velocemente le pietanze, facendo slalom tra i tavoli e portando poi, volutamente per ultima, l'ordinazione di Antonio.

"...Ecco!"

"Ah! Gracias!"

"..." - Il tedesco rimase un attimo a guardarlo intento a mangiare, come se si aspettasse che gli dicesse qualcosa.

"Mmh, ho sentito Francis l'altro giorno." - Disse infine lo spagnolo, dop aver ingoiato un boccone. - "Mi sembra strano ultimamente."

"Ah sì? Io l'ho sentito normale ..." - Si affrettò a rispondere Gilbert, ricordando la sua chiacchierata col francese su Facebook: probabilmente Antonio non sapeva nulla di quel famigerato inglese che pareva avergli rubato il cuore.

"Mah ..." - Alzò le spalle, un po' dubbioso - "Quando Romano si riprende e la questione si sarà fatta più stabile, avrei molto piacere di uscire con te e Francis ... E' da molto che non lo facciamo! Se non ti infastidisce, mi piacerebbe portare anche Bella!"

"Certo! Perché dovrebbe infastidirmi?! Faremo un'uscita tutti insieme, una bella rimpatriata! Magari anche con Feli e gli altri! ... Beh, non mi dispiacerebbe se ci fosse anche Romano ... Quando si sarà ripreso, ovviamente."

"Sì ... Sarebbe davvero bello, en serio ..." - Sospirò serio lo spagnolo con il sorriso sulle labbra e gli occhi sereni e malinconici, pregustando momenti futuri che avessero lo stesso sapore dolce e spensierato di quelli passati. - "Vabbhe, dai, ti lascio al tuo lavoro! Ciao Gil!"

"Ciao Anto!" - Lo salutò l'albino, voltandosi e rientrando nel locale.


La luce del sole ed i suoi raggi si erano fatti più caldi.
Fasci dorati filtravano dalle leggere tende delle finestre, ed illuminavano l'inchiostro nero sul pentagramma come una lunga scia scintillante.

 Concerto für Violine und Klavier D-Dur 


Aveva scritto Roderich in cima allo spartito, così accuratamente che pareva stampato, e per un attimo si chiese perché mai avesse fatto tutta quella fatica.
Il ragazzo a cui era destinato non avrebbe certo capito.
Avrebbe forse dovuto macchiare quel capolavoro con una brutta nota tra parentesi con la traduzione in italiano?

Neanche per sogno!
Il tedesco era molto meglio.
Provava un certo risentimento verso l'italiano, e l'Italia in genere.
Secondo alcune dicerie, il suo illustre compaesano, Wolfgang Amadeus Mozart, era morto per mano di un ingrato italiano, mosso dall'invidia.
A volte si chiedeva perché mai i suoi genitori avessero deciso di trasferirsi lì, quando lui era poco più di un bambino.

Il successo, l'avrebbe avuto anche in Austria.
Anzi, forse molto di più.
L'unica cosa per cui era davvero felice di essersi trasferito, era che altrimenti non avrebbe mai avuto modo di incontrare la sua Elizaveta.

Si erano incontrati a scuola.
Lei, ungherese, era in Italia da poco prima di lui.
Erano entrambi degli estranei, in quello strano stivale, nell'antico fulcro di un grande impero scomparso per sempre, e di cui il ricordo era ormai quasi completamente sprofondato nell'oblio.
Il padre di Elizaveta era mezzo austriaco, e le aveva insegnato un po' di tedesco, ragione per la quale fu tra le prime persone con cui Roderich fece amicizia.
... In realtà, già dal primo istante in cui la vide, si era innamorato perdutamente di lei.
E, forse, anche per lei era stato lo stesso, sebbene entrambi non l'avessero mai ammesso.
Troppo testardi, troppo orgogliosi per farlo.

Eppure, nonostante tutto, all'inizio la sintonia non era moltissima.
L'ungherese era un vero maschiaccio: non c'era sport in cui non eccellesse.
Amava passare i pomeriggi sulla ghiaia, vicino al lago, e far saltare i sassi sull'acqua.
Amava correre, sporcarsi, cadere.
Non importava quanti graffi si facesse, o quanto i suoi vestiti si sporcassero: non si lamentava, né piangeva mai.

Roderich era tutto l'opposto.
Considerava gli sport stupidi, una perdita di tempo.
Detestava sporcarsi gli abiti, sempre impeccabili e di pregiata manifattura.
Passava i pomeriggi a studiare musica, e, anche quando non c'era lezione, trascorreva le ore trasportato dalla melodia del suo pianoforte e del suo violino.
Mentre gli altri giocavano a pallone, disegnavano o scrivevano sui loro diari segreti, lui iniziava già a comporre musica.
Scriveva note su note, come una fiaba, ed il tempo passava senza che se ne accorgesse.
Era nato per la musica: suonare era forse l'unico mezzo con cui riusciva ad esprimere davvero sé stesso e le sue emozioni.

Con l'adolescenza, la bella Elizaveta si era addolcita.
Ai pantaloni sporchi di fango, spesso avevano iniziato a sostituirsi minigonne ed abiti lunghi.
La coda in cui raccoglieva i capelli si era sciolta per sempre, lasciandoli liberi di volteggiare, fermati appena da fiori e fermagli.
Lui era rimasto il solito.
Forse solo meno introverso.
O, magari, semplicemente più polemico.

Fatto sta che, tra una nota e l'altra, si erano baciati, e da allora non si erano mai lasciati la mano.

"Eccomi!" - Gridò un ragazzino sulla porta, aprendola in modo brusco - "Scusi il ritardo!"

"... Era ora. Siediti." - Rispose freddo Roderich, avvicinandosi al pianoforte con il foglio pentagrammato in mano.

Il ragazzo si accomodò vicino a lui, sullo sgabello, di fronte alla tastiera bianca e nera del pianoforte.
Si asciugò una goccia di sudore sulla fronte, per poi guardare Roderich con aria interrogativa.

"Peter, hai studiato?"

"... S-Sì." - Tardò un attimo a rispondere, e per l'austriaco era già presagio di un disastro.

"Fammi sentire."

Il giovane prese uno spartito dalla cartella, lo posizionò davanti a lui ed avvicinò le mani alla tastiera.
Fece dunque un gran sospiro, iniziando a muovere le dita sudate ed incerte sui tasti.

"No! E' un Fa Diesis!" - Lo interruppe presto Roderich, con la voce risentita, come se quella nota fosse stata una persona, e Peter le avesse fatto un grande torto. - "Riparti."

"..." - Il ragazzino riprese in silenzio.

"Sei andato fuori tempo! Da capo!"

"Il Fa si tocca col pollice, non con l'anulare!"

"Quel Do dura tre quarti, il tuo era da quattro!"

Peter continuava pazientemente a ripetere da capo, continuando a sbagliare.

"... Qualcosa non va?" - Lo fermò all'improvviso Roderich, poggiandogli una mano sulla spalla, la voce meno severa e quasi confidenziale. - "Di solito non sbagli così spesso."

"... No no, niente ..." - Eppure, sfuggiva con lo sguardo, incapace di guardarlo negli occhi. Prese a dondolare nervosamente le gambe.

"... C'é qualcosa, lo sento. Le note non mentono mai. Quando il musicista é preoccupato, anche le sue melodie lo sono."

"... Mmh ... Stavo pensando ad un mio amico. Mi ha confidato un segreto, e io ..." - La sua voce tremava, ed all'improvviso si portò la mano alla bocca, come preso da una forte nausea.

"Vuoi andare a bere dell'acqua?"

"... Sì, grazie. Torno subito." - Rispose Peter, alzandosi ed uscendo dall'aula.

Che gli succedeva ...?
E quale segreto gli aveva mai confidato, quel suo amico ...?
Qualcosa di così grande, da provocargli nausea.
Peter aveva quindici anni.
Quanto grandi potevano essere i problemi di un quindicenne, rispetto a quelli di un adulto?

Roderich decise di non farsi troppe domande.
Era curioso di sapere il motivo delle preoccupazioni del suo studente, ma se non voleva parlarne, non lo avrebbe forzato.
Dopotutto, non era mai stato un 'maestro-amico'.
Nel momento del bisogno c'era sempre stato, e quando un suo alunno aveva un problema, non gli aveva mai chiuso le porte in faccia.
Ma aveva sempre mantenuto una certa distanza da loro, almeno in apparenza, rifugiandosi dietro l'immagine di maestro, più che severo, freddo e distaccato.
Non voleva mostrare ai suoi studenti quanto in verità tenesse a loro: lo considerava quasi come un segno di debolezza.

"... Rieccomi!" - Peter abbozzò un sorriso, ma nei suoi occhi si leggeva ancora preoccupazione.

"Lasciamo perdere il compito. Me lo farai sentire la prossima volta. Ora, preferirei che ci concentrassimo su quest'altra sinfonia." - Decise Roderich, mostrandogli lo spartito su cui aveva in precedenza laboriosamente scritto il titolo.



Ormai era sera, nonostante il sole non fosse ancora sceso del tutto.

"Bastardo ..." - Sussurrò a denti stretti Romano, spegnendo nervosamente una sigaretta nel posacenere sul tavolo.

Rimase per un attimo con lo sguardo perso tra le bottiglie di alcolici, con le guance ed il naso arrossati.
La luce del lampadario si rifletteva all'infinito tra le bottiglie vuote e piene, rimbalzando sui fondi e sui liquidi colorati e trasparenti, densi e distillati.

Stappò con trepidazione una di quelle bottiglie, prendendo l'ultimo tratto del collo tra le labbra e bevendo avidamente.
Il liquido trasparente scorreva nella sua gola bruciandola, come una pista di petrolio con un fiammifero.
Gli grattava ed irritava l'esofago, giù fino allo stomaco, dove il dolore si irradiava in ogni direzione, come un rubinetto d'acqua aperto al massimo.
Dopo molti sorsi, allontanò la bottiglia, strofinandosi le labbra con il polso ed ansimando per la mancanza di ossigeno.

"Fumo, alcool ... Cazzo, manca solo il sesso." - Mugugnò mezzo ubriaco, lo sguardo impassibile e le palpebre calate a metà.

Voleva essere punito da qualcuno.
Perché, ultimamente, era stato proprio un cattivo ragazzo, senza alcuna regola.
Sì, qualcuno doveva fargli capire chi comandava.
Qualcuno doveva buttarlo per terra.
Doveva menarlo, morderlo, denudarlo e deriderlo.
Doveva lasciargli profondi solchi e lividi.
Doveva fargli sgorgare sangue da ogni singola ferita.
Doveva legargli braccia e gambe, tirargli il ricciolo più forte che poteva, spingergli la testa contro il pavimento fin quasi a spaccargli il cranio.
Doveva tenergli i polsi dietro la schiena e girarglieli contro ogni regola anatomica.
Doveva farlo soffocare sotto il suo peso, doveva impossessarsi del suo corpo, punirlo più forte che poteva.
Doveva distruggergli i fianchi, doveva lasciarlo inerme sul pavimento per l'intera settimana a venire, e poi deriderlo ancora, insultarlo e prenderlo a calci.
E punirlo ancora, ancora più forte.

No ...
Quel qualcuno doveva fare molto, molto di più.
Doveva prenderlo per mano.
Doveva baciarlo.
Doveva farci l'amore.
Doveva guardarlo negli occhi e dirgli che lo amava.
Doveva stringerlo in un abbraccio.
Doveva accarezzarlo dolcemente.
Doveva proteggerlo ed asciugare le sue lacrime.
Doveva dirgli che lo amava.
Che lo amava davvero.


"Romano ..." - La figura di Gilbert comparve alle sue spalle.

"...! Che vuoi ?!"

"Volevo vederti. Ti va di uscire con me, ora?" - Propose, tendendogli la mano.

"Come sei entrato ?! Come mai hai le chiavi ?!"

"... Muoviti! Finché il sole é ancora nel cielo!" - Lo prese per il braccio e lo trascinò fuori.

Romano protestò cercando di liberarsi, finché non furono in un campo di fiori.
Il sole rosso del tramonto scaldava i petali ed infondeva alle iridi del tedesco un colore ancora più denso e profondo. La luce calda si rifletteva sui suoi capelli di neve, facendoli quasi brillare.

"Ti piace?" - Gli sorrise. - "Il Magnifico-Me conosce posticini niente male, eh ?!"

"... Mmh, potrebbe essere meglio. Non é chissà cosa, ti sei un po' sprecato ..." - Borbottò guardandosi attorno - "E poi, non ho ancora capito perchè mi hai portato qui! Voglio tornare a casa! Dalle mie sigarette e dalle mie bottiglie di alcool!"

"... Sei uno stupido, Romano." - Gli sussurrò all'orecchio Gilbert, abbracciandolo. - "Non ti facevo così poco sveglio. Poi dici di Feli, eh? Idiota, ti amo."
Così dicendo, gli baciò le labbra.

"..." - Romano lo guardò un attimo negli occhi, arrossendo senza proferire parola. L'albino lo baciò di nuovo, passionalmente, e senza accorgersene, l'italiano era già disteso in quel campo di fiori, col sole mezzo assopito alle spalle, e il tedesco sopra di lui, a baciarlo di nuovo, e a farlo suo.


-------

"Toc Toc!"


"...!" - Romano alzò di colpo la testa, e tutto svanì.

Non c'era nessun campo di fiori.
Non c'era nessun uomo che lo amava.
C'era solo il posacenere pieno, e le bottiglie vuote e piene che lo fissavano con occhi invisibili.
Qualcuno doveva aver bussato alla porta ... O forse era stata la sua immaginazione?

"Toc Toc!"


A quanto pare c'era davvero qualcuno.
Romano barcollò fino alla porta, l'alcool ancora prepotente nelle sue vene, ed aprì svogliatamente, chiudendo gli occhi ed appoggiandosi allo stipite della porta.

"Testimoni di Geova, fuori dal ..."

"Romano!" - A quella voce, gli occhi dell'italiano si spalancarono.

"Gilbert?!" - Gridò sorpreso.

"Sì. Vedi, tuo fratello doveva ..."

"Entra." - Lo interruppe Romano, lasciando la porta aperta e vacillando fino alla poltrona, dove si distese con la testa all'indietro, gli occhi chiusi verso il soffitto.

Il tedesco chiuse la porta e si mise al suo fianco, sulla poltrona vicina.
Diede un'occhiata in giro, e vide il tavolo, tra cenere, sigarette e bottiglie di vetro, con le marche di chissà quanti alcolici.

"... Come va?" - Azzardò.

"Di merda. Come vuoi che vada?" - Rispose seccamente, senza degnarsi di aprire gli occhi. Gilbert nel suo sogno era davvero bello, e voleva che quell'immagine si fissasse per sempre nella sua mente e sotto le sue palpebre.
Se mai fosse successo, forse non avrebbe mai più voluto riaprire gli occhi.

"Mi dispiace ... Vuoi fare qualcosa di particolare?"

Perché aveva sognato Gilbert?
Perché proprio il fidanzato di suo fratello?
Era vero, aveva avuto in passato una cotta per lui, che aveva tenuto nascosta per il quieto vivere di tutti, e che pensava fosse ormai morta negli anni.
Invece, questa voglia di averlo e di amarlo era tornata prepotentemente a galla, dagli abissi del suo cuore.

"...!" - D'un tratto sentì le braccia dell'altro attorno a lui.

"Ehi ... Non puoi continuare così. Devi riprenderti!" - Gli consigliò Gilbert, dandogli un lieve abbraccio.

Perché lo stava abbracciando?
Perché voleva rassicurarlo?
Cosa mai gii veniva in tasca?
Il suo sogno era iniziato così ... Proprio così.
Con un abbraccio dell'albino.

Romano, senza aprire gli occhi, lasciò sprofondare la testa nel petto dell'altro.
Sentì una mano accarezzargli i capelli.

Forse era un segnale.
Forse anche l'albino lo amava.
Forse anche lui aveva tenuto i suoi veri desideri nascosti per il quieto vivere di tutti.
Ed ora che Antonio era fuori gioco, aveva potuto mettersi in discussione.
Forse il suo fidanzamento con Feliciano era tutta una montatura.
Magari era ... Giusto un modo per stare più vicino a lui, Romano Vargas?

Doveva verificare le sue ipotesi.
Doveva rischiare.
Infondo non aveva nulla da perdere, ora ...

"...! Romano!" - Gridò allarmato Gilbert, quando l'italiano posò le labbra sulle sue.

Si ritirò, quasi spaventato, sprofondando nella poltrona.

"..." - Romano lo guardò male per un momento, rosso in viso, per poi baciarlo d nuovo, con più forza e passione.

Le labbra ancora attaccate, iniziò a posizionarsi sopra di lui.

"Ma sei fuori ?!?!" - Il tedesco cercò di liberarsi, spostandolo ed alzandosi.

Romano non si scoraggiò, ma si alzò sulle punte e lo baciò ancora, prendendogli una mano.

"Gilbert ... Ti amo." - Ammise, ansimando nelle sue orecchie.

"... Sei ubriaco!" - Esclamò, sentendo l'odore pungente sulla pelle dell'italiano.

"Non sono ubriaco! Ti amo! Cazzo, sono sincero!" - Gridò ancora più forte, spingendolo contro il divano.

"Smettila!" - Gli tirò uno schiaffo, provocandogli una ferita per lo sfregamento.

"..." - Romano lo guardò dritto negli occhi, in silenzio, con la guancia insanguinata, per poi baciarlo di nuovo, intensamente.
L'aveva fatto sprofondare sul divano, ed ora era sopra di lui, con tutto il corpo.

Gilbert lo osservò confuso.
Era molto simile a Feliciano, esteriormente.
Di carattere, due esatti opposti.
Il Romano che ora era sopra di lui, stravolto dall'alcool e dai suoi sentimenti, dominandolo per essere dominato, gli ricordava il Feliciano che quasi sempre sognava.
Prepotente, intraprendente, volgare nelle parole e maleducato nei gesti.

Una parte di lui non riusciva a resistergli.
E mentre la sua mente lo pregava di fermarlo, mentre pensava che stava forse dicendo addio per sempre al suo amato Feli, mentre nel breve tempo a disposizione non riusciva a prendere la giusta decisione, il suo corpo era già caduto prigioniero di quella specie di gemello malvagio.

Quel ragazzo così simile e così diverso da Feli.
Quasi la sua seconda personalità, più scura, prepotente ed egoista.

~ Continua ...

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


NOTE. Quinto capitolo ... Ad essere sincera, non mi piace molto com'è venuto ... Sono stata perplessa su numerosi punti, mentre lo scrivevo, e alcune parti ho deciso di riscriverle ... Cosa che in genere non mi capita nella fanfiction o.o''
... Oh beh, spero comunque che vi piaccia C:'

~ Capitolo 5.

 

Il cellulare di Gilbert vibrava solitario sul tavolo, tra gemiti e respiri affannati.
Il tedesco voltò appena la testa e gli occhi color rubino in quella direzione, senza trovare la forza di dire o pensare nulla.

"..." - Romano emise un verso infastidito, prendendo il mento del tedesco con una mano e girandogli il volto verso di lui, baciandolo passionalmente.

"Romano ..." - Sospirò, la voce appagata seppur piena d'angoscia, gli occhi ancora incollati sul tavolino. - "Credo che ..."

Il telefonino aveva ormai smesso di vibrare.
Probabilmente era Feliciano.
... Se lo avesse scoperto, di sicuro non lo avrebbe perdonato.
Cosa doveva fare ...?
Tutti, lui compreso, avevano finito per discutere con Antonio perché aveva tenuto nascoste le sue tresche.
Tutti avevano concluso che sarebbe stato meglio per lui dire la verità.
Ora era nella sua stessa situazione.

... Era stata una sbandata.
Sì.
Un grosso malinteso.
Romano gli era balzato addosso così, ed era successo.
Non l'aveva certo voluto ... No, era stato un incidente.
Proprio così.
Un piccolo incidente.
Non sarebbe mai più capitato.
Lui per Romano non provava niente, assolutamente niente.

"...!" - L'albino emise un gemito, sentendo i denti dell'italiano chiudersi taglienti sulla pelle sudata del suo collo.

"... Idiota. Ti amo ..." - Ammise Romano, sistemando la testa sul suo petto. - "... Da quando ti sei fidanzato col mio fratellino ... Ho passato notti intere a pensarti"

"..." - Il tedesco non sapeva proprio cosa rispondere.

Non aveva mai notato nulla, nel suo comportamento, che lo lasciasse intendere.
Lui ed Antonio sembravano felici ... Come aveva potuto essere così ingenuo da non accorgersene?
Beh, non che Romano l'avesse mai voluto far trasparire ...

"... Cazzo, non avrei mai pensato che questo giorno sarebbe potuto arrivare." - Proseguì, giocherellando con la croce di ferro al collo dell'albino. - "... Mi dispiace per Feli. Però ... Non potevo proprio andare avanti così. Sarei esploso."

"..."

Non riusciva ad arrabbiarsi con lui.
Aveva sbagliato, certo, ma poteva comprenderlo.
Appena lasciato in un modo così brusco, disperato e sotto l'effetto dell'alcool.
E, a quanto pare, nutriva davvero qualcosa per lui, da molto tempo.
Aveva resistito, perché, in ogni caso, amava Antonio.
Ma di fronte al tradimento di quest'ultimo, l'italiano non aveva potuto fare a meno di fiondarsi, con rabbia e bisogno d'amore, su sentimenti sinceri e repressi.

"... G-Gil ..." - Gli occhi di Romano erano ancora in lacrime, ma la sua voce si faceva via via più seducente - "... Non ce la faccio più. Sono stato davvero un bastardo con te ... Non credo che la punizione sia stata sufficiente. Non ho imparato la lezione."

"... Romano!" - Invocò il tedesco, mentre le labbra dell'italiano scendevano via via lungo il suo corpo, bagnandolo di una scia di caldo velluto.

"... Chi lo fa meglio? Io o mio fratello?" - Sorrise egoisticamente, alzando appena il volto.

"...!" - L'immagine di Feli riempì all'improvviso la sua mente.

Feliciano gli sorrideva.
La pelle chiara e le labbra rosate appena dischiuse, con le braccia dietro la schiena, l'una che stringeva il polso dell'altra.
Le gambe, una davanti all'altra, parevano quasi incrociate.
Dietro di lui, un paesaggio fatto di luce.

Lo guardò meglio.
Benché sorridesse ancora, i suoi occhi erano inondati di lacrime cristalline.
Iniziava a mordersi il labbro, e poteva vedere il suo cuore cadergli dal petto e toccare il terreno frantumandosi in mille pezzi, in un rumore sordo e lancinante, che metteva angoscia e lo incitava a piangere.

"... Smettila." - Gli ordinò flebilmente tra i respiri pieni d'affanno.

"No. Non la smetto. Ora so che anche tu mi ami ..." - Romano sorrise con gli occhi in lacrime e il viso sudato - "... Sì ... Mi ami ..."

"..." - Gilbert si alzò poggiando la schiena sul bracciolo del divano, per poi prendere l'italiano per le spalle incitandolo ad alzarsi al suo livello.

"..." - Romano non capiva, ma obbedì, sentendo un brivido lungo la schiena quando le braccia dell'albino lo strinsero in un abbraccio, distaccato, ma pieno di comprensione.

Certo, distaccato ...
Se non era innamorato di lui prima, ora lo era di sicuro.
Sì ... Lo amava anche lui.
Aveva finito di soffrire, finalmente.
Gilbert lo avrebbe amato, come aveva fatto Antonio.
No ... Molto, molto di più.

Emise un sospiro di sollievo, appoggiando la testa sulla spalla di Gilbert ed abbracciandolo a sua volta, con più forza e volontà.



"... Finalmente abbiamo finito!" - Sospirò Elizaveta ravviandosi i capelli.

"Veh! Non ne potevo più ..." - Ammise Feliciano, prendendo il cellulare. - "... Ho provato a chiamare Gil un po' di volte, ma non mi risponde ..."

"Magari non lo sente ... Riprova!"

"Mmh ..." - L'italiano avviò la chiamata.

Macché ...
Non dava alcun segno di vita.

"Allora ...?" - Chiese la ragazza guardando il sorriso sul suo viso spegnersi lentamente.

"Macché ... Magari sta parlando con Romano e non lo sente ... O magari sono in qualche locale con la musica ..."

"Vuoi che ti accompagni io in auto?" - Gli sorrise Elizaveta, le chiavi della vettura in mano.

"Veh! Se non é troppo disturbo!" - Feliciano annuì. - "... Prima però potresti fare un salto da Romano a vedere se sono lì ...?"

"Non c'é problema, tanto non ho fretta!"

"Grazie ..." - Ringraziò l'italiano.

Salirono in macchina.
Feliciano provò a chiamare di nuovo.
Niente ... Ancora una volta, nessuna risposta.
Scosse la testa.
Non lo sentiva ... Era proprio sbadato, il suo Gil!

O forse era successo loro qualcosa ...?
Magari erano usciti in qualche locale, Romano si era ubriacato ancora, aveva combinato qualche guaio ed erano finiti all'ospedale.
... Ma, se così fosse stato, qualcuno lo avrebbe avvisato.
Magari avevano fatto un incidente, erano balzati fuori dall'auto, ed ora morivano lentamente in un campo vicino alla strada, mentre le auto in corsa scorrevano sull'asfalto senza dar loro alcuna attenzione.

L'italiano rabbrividì al pensiero, mentre il suo sguardo cadde sullo specchietto retrovisore, dove due dadi tintinnavano sbattendo tra loro, ed una rifinita riproduzione di Stradivari oscillava poco più in basso.

"... Un piccolo souvenir che abbiamo preso a Cremona." - Attaccò discorso Elizaveta, notando l'interesse di Feliciano per il piccolo violino.

"Cremona?"

"Sì. C'é un museo dedicato agli Stradivari, visto che Cremona ne é proprio la patria ... E indovina un po' chi ha insistito tanto per andarci?"

"... Ahah, Roderich é davvero appassionato di queste cose, vero? Veh, meglio di niente, no?"

"Mmh ... Massì, dai." - Sospirò la ragazza, continuando a sorridere - "... E' incredibile come un uomo possa stare ore davanti ad un caspita di violino ... Come se Roderich si aspettasse di vederlo parlare! ... Ahah, ti giuro, mi sono fatta un giretto nei dintorni, sono tornata, e lui era ancora lì a guardarlo! ... E mi ha parlato di Stradivari per tutto il viaggio di ritorno, e il giorno seguente!"

"... Ma dov'é ora?"

"Ad un concerto, o qualcosa del genere ... Dopo lo chiamo, per sentire a che punto sono ... Non deve esibirsi, però lo hanno invitato ... Avevano invitato anche me, se solo non avessi dovuto fare gli straordinari ..."

"... Siamo arrivati!" - Esclamò Feliciano, riconoscendo il palazzo dove suo fratello abitava.

"Torno subito ..." - Avvertì l'italiano, aprendo la portiera ed uscendo dall'auto.

Possedeva le chiavi dell'appartamento, quindi decise di non suonare.
Aprì la porta d'ingresso del complesso, camminò fino all'ascensore e salì, fino a trovarsi di fronte alla porta dell'appartamento.
Doveva suonare ...?
Magari Romano si era addormentato ... Non voleva disturbarlo.
... Ammesso che i due fossero in casa, ovviamente.

Aprì lento la porta senza far rumore, finché i suoi occhi non furono travolti dalla luce del lampadario nel soggiorno.
Contrastò così tanto con il buio del pianerottolo, che l'italiano li chiuse istintivamente.
Li riaprì poi poco a poco, iniziando a distinguere ogni cosa.

Il tavolo di legno laccato.
Mille bottiglie di vetro, vuote e piene, a reclamare ogni alcolico con etichette dai colori sgargianti.
Il massiccio posacenere era stracolmo di mozziconi e cenere.
L'accendino era poco distante, affianco ad un pacchetto di sigarette vuoto e aperto.

Il suo sguardo si alzò verso le poltrone.
Alcuni vestiti giacevano su di esse e sul pavimento.
Suo fratello era proprio disordinato ...!
Eppure...
Per un attimo intravide i vestiti di Gilbert.
I suoi occhi si spostarono ancora, ed il suo cuore si fermò.

La vista iniziava ad annebbiarsi di lacrime e sentì le vene congelarsi, mentre rimase immobile come una statua a contemplare la scena, come un quadro.

Romano respirava affannato nel sonno, nudo e a pancia in giù, sul tappeto, ai piedi del divano.
Sul divano, qualcun altro dormiva.
Per un attimo gli era parso Gil.

Era albino, proprio come lui.
Aveva la sua stessa croce di ferro al collo.
Il suo corpo era nudo e assopito, adagiato sulla schiena.
Anche quel corpo gli era tremendamente familiare ...

Ma non aveva senso!
Non poteva essere Gil!
Che ci faceva, il suo Gilbert addormentato sul divano?
E perché Romano dormiva sul pavimento, proprio lì vicino?
E, soprattutto, perché mai lui e suo fratello avrebbero dovuto dormire nudi ?!

"..." - L'albino dischiuse appena gli occhi, scorgendo la figura di Feliciano.

'Dove sono ...?' - Pensò, con una certa angoscia che già iniziava a coprirgli le spalle in un abbraccio gelido.

Sentiva di aver fatto qualcosa di male, e ancora non riusciva a ricordare cosa.
Il suo corpo iniziò ad irrigirsi, a ricordargli che era nudo.
Nudo ...?
Perché mai avrebbe dovuto essere nudo?
Quella casa non pareva quella in cui viveva con Feliciano.
Perché mai dormire nudo a casa di qualcun altro?
E chi era quel qualcuno?
I suoi occhi socchiusi non fecero in tempo a posarsi sul tavolo, che tutto gli torno ala mente ...

Romano!

Il suo corpo prese a rabbrividire, e Gilbert comprese che non era per il freddo.
Ecco, ora ricordava tutto.
Era successo un incidente.
Un terribile incidente.
Lui non avrebbe voluto ... Era stato Romano!
Gli era saltato addosso, lui era stanco per il lavoro e ... E ...
Non aveva potuto fare a meno di pensare al Feliciano che spesso sognava, così ...

"Feli!" - Si trovò ad esclamare allarmato, alzandosi all'improvviso dal divano senza nemmeno accorgersene. - "Non ... Uhm, posso spiegare!"

"..." - Feliciano era rimasto immobile, con le lacrime agli occhi.

Così, quello era davvero il suo Gil ...?
Cos'aveva fatto?
Cos'aveva fatto con Romano?
E soprattutto, cosa aveva fatto a lui, Feliciano Vargas?
Perché mai?
Non lo amava più ...?

"... Uhmm, Gil ..." - Chiamò Romano nel sonno, agitando appena le spalle e riprendendo lentamente i sensi.

"..." - Gilbert si voltò verso Romano, il quale si stava alzando, senza nemmeno accorgersi della presenza del fratello.

"Gil ..." - Chiamò in un filo di voce Feliciano, le iridi annegate dalle lacrime e posate altrove, come a voler scappare dal suo corpo.

"Feli!" - Esclamò ancora l'albino, come a prendere tempo, in attesa di trovare le parole giuste da dire.

"..." - Il ragazzo indietreggiò incredulo, mentre ora anche Romano lo guardava assonnato, fino a voltarsi e correre via in un mare di lacrime, fuori dall'appartamento.

L'albino fece appena in tempo ad indossare i boxer, per tentare di inseguirlo sul pianerottolo.

"Feli! Lasciami spiegare!"

"...!" - L'italiano si voltò, pallido in viso e stretto in un'espressione addolorata, come se il suo cuore stesse letteralmente andando in frantumi. Attese impaziente l'ascensore aggrappato alla porta, sperando di potersene andare presto.

"... N-Non é stata colpa mia! Romano mi ha ..."

"Gil, ti prego, lasciami stare!" - Trovò la forza di gridare, la fronte contro l'acciaio gelido della porta automatica, ancora chiusa.

"Feli ... Lo sai che ti amo." - Gli si avvicinò, abbracciandolo appena e sussurrando nelle sue orecchie, con una voce calma, piena di angoscia.

"... Ho detto di lasciarmi!" - Gridò ancora, rivoltandosi ed allontanandolo, con un rapido movimento del braccio, graffiando l'aria. - "... Scusami. Non voglio proprio parlare con te. Né vederti. Torna da mio fratello ... Se vuoi."

Così dicendo, entrò nell'ascensore, che era finalmente arrivato, voltandosi di spalle, verso il grande specchio all'interno.

Gilbert avrebbe voluto seguirlo, ma si frenò.
L'espressione che vide in quello specchio gli congelò il sangue nelle vene.
Feliciano aveva uno strano sorriso nervoso sulle labbra rosate, e la pelle cadaverica era solcata da lacrime limpide, come mille fili di vetro.
Gli occhi erano quasi chiusi, come a contenere un immenso dolore, incollati dal suo pianto silenzioso.

Dietro, si intravedeva la sua figura.
Il corpo quasi nudo, il petto umido, i segni della sua lotta con Romano ancora visibili sul collo, il torace ed il ventre.
Il suo volto era arrossato, la fronte sudata.
La sua stessa espressione gli mise ancora più angoscia.
Gli occhi scarlatti sbarrati, la bocca asciutta e mezza aperta, quasi si intravedeva la tensione di ogni signolo muscolo.
Aveva la faccia di chi, solo dopo l'errore, comprende cio' a cui sta rinunciando per sempre, pentendosi e sapendo che mai nulla tornerà come prima.

"Feli ..." - Sospirò in un filo di voce, mentre le porte si erano chiuse per sempre, quelle automatiche dell'ascensore come quelle del cuore dell'italiano.

Feliciano rimase di fronte allo specchio, senza guardare né pensare a nulla.
Solo tante immagini confuse.
Solo un profondo vuoto, nel cuore, nel corpo e nell'anima.
Si sentiva svuotato, come un guscio privato della polpa.
Come un gabbiano senza più ali.
Come un delfino senza più pinne.
Una rosa senza petali.
... Come qualcuno privato della persona che ama.

Corse svelto fino all'auto di Elizaveta, e vi entrò.

"Allora? Non c'erano Gil e Romano ...?" - Chiese insospettita, notando qualcosa di strano nell'altro.

"... Eli!!!" - La sua voce era rotta dal pianto, e non riusciva a proseguire.

Si gettò semplicemente tra le braccia della ragazza, e continuò a piangere, senza ulteriori spiegazioni.



Roderich assisteva al concerto come rapito.
Le note di un pianoforte a corda riempivano l'ambiente di pura poesia.
Poteva vederle, quelle note meravigliose, mentre attraversavano dolci ed invisibili la stanza, tra i neon blu di luce soffusa, ed il palco scuro, dove tanti brillantini parevano scoppiettare, come allegre stelle nella pace dell'Universo.

Chiuse per un attimo gli occhi, per godere meglio di quelle note sublimi, istintivamente accompagnando il pianista muovendo le dita sulla poltrona, come se fosse una tastiera.

"... Che ne pensa dell'ambiente? Tutto a posto?"

Una voce lo fece tornare alla realtà.
Aprì di scatto gli occhi, quasi infastidito, voltandosi nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce, notando un ragazzo prendere posto affianco a lui.
Si portò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio destro, e lo guardò curioso con gli occhi color smeraldo, in attesa di una risposta.

"... Uhm, sì, devo ammettere che la stanza è stata arredata molto bene per l'occasione. Credo che le luci blu soffuse ed il motivo brillante sul palco e sulle pareti rispecchino bene lo spirito della serata." - Rispose esaustivamente Roderich, con lo sguardo quasi infastidito.

"Suona qualche strumento?" - Chiese ancora l'altro, sorridendo.

"...Sì. Pianoforte, violino, viola, flauto traverso e contrabbasso. Ultimamente mi sto interessando anche al sassofono, alla chitarra classica e all'arpa, però ..." - Spiegò l'austriaco, pieno di orgoglio e di entusiasmo. - "Lei invece ...? Cosa suona?"

"Io ...? Oh! No! Io non sono un musicista!" - Scosse la testa, toccandosi di nuovo i capelli - "... Sono l'Interior Designer ... Ero curioso di vedere questo concerto, comunque, così sono riuscito a prendervi parte!"

"Oh ... Quindi se l'ambiente è così confortevole, lo devo a lei?" - Chiese Roderich, con una nota ironica, giocando con l'evidente stima che l'altro nutriva per sé stesso e per il suo operato.

"Già!" - Confermò soddisfatto il biondino, con un largo sorriso, per poi voltarsi di nuovo verso il palco, dove il pianista continuava a suonare.

Roderich aveva già fatto lo stesso.
Aveva appena finito di suonare una sinfonia di Mozart, ed ora si apprestava a cambiare autore, decisamente non meno illustre.

"... Chopin." - Sospirò estasiato Roderich.

"Le piace?"

"E' uno dei miei preferiti ... Un vero peccato che non sia stato austriaco, sarei stato davvero orgoglioso di condividere la mia patria con lui."

"... Ahah. In effetti sì, sono orgoglioso di essere nato nella sua stessa città!"

"...? E' polacco ...?" - L'austriaco si voltò verso di lui, curioso.

"Sì ... A proposito, mi chiamo Feliks, piacere!"

"Roderich, piacere mio." - Sorrise l'altro.

"... Dunque lei è austriaco, eh? Non l'avrei mai detto, complimenti! Parla molto bene l'italiano! "

"Grazie ... Il punto è che sono qui da molto ... I miei si sono trasferiti in questa città quando avevo undici o dodici anni ..."

"Capisco. Si deve essere parecchio integrato, ormai ... Io ho qui una casa in affitto, ma in realtà non ci sto molto ... Sa, sono spesso in viaggio per lavoro, anche fuori dall'Italia ..."

"... Anche io, ogni tanto. Anche se mia moglie non sembra poi così contrariata, ama molto l'estero ... E' ungherese." - Le labbra dell'austriaco si dischiusero in un dolce sorriso, ed i suoi occhi viola per un momento brillarono, pensando alla sua Elizaveta.

"E' sposato? Eppure sembra ancora molto giovane! Complimenti!" - Si sorprese Feliks, squadrandolo, per poi sospirare, un po' scoraggiato - "... Vorrei poter dire lo stesso ..."

"...? E' fidanzato?"

"Sì ... Ci siamo incontrati a Vilnius, ero lì per lavoro ..." - Sospirò di nuovo - "Ma lui é un tipo piuttosto abitudinario, non ama molto viaggiare ... E sta ancora studiando all'Università. A volte mi sento un po' in colpa, spesso interrompe gli studi per seguirmi nei viaggi di lavoro ..."

"Cosa studia?" - Chiese l'austriaco. Non che gli interessasse molto, ma lasciar cadere la chiacchierata in quel modo non sarebbe stato molto aristocratico.

"Lettere e Filosofia. Ha già ..."

"... Scusi." - Lo interruppe Roderich, prendendo tra le mani il cellulare, che aveva appena vibrato. - "... Mi allontano un attimo, a dopo."

Andò in bagno.
Guardare il cellulare mentre un musicista si stava esibendo, sarebbe stato un oltraggio, un atto deplorevole che avrebbe disonorato secoli di musica e di grandi e irraggiungibili Maestri.

Elizaveta gli aveva inviato un sms.
L'austriaco si apprestò a leggerlo.


Ciao Roddy <3
Sono uscita dal lavoro, sto accompagnando Feli ... E' successo un casino, sai ?! D:
Poi ti racconto ... Ti aspetto a casa. A che ora pensi di arrivare?
Baci, Eli (: <3


Roderich scosse la testa, chiedendosi cosa mai fosse successo.
Diede un'occhiata all'orario, visualizzò mentalmente la scaletta del concerto, e si apprestò a rispondere.


Ciao Amore.
Penso di arrivare tra un'ora o un'ora e mezza.
Vai a letto se sei stanca, le chiavi le ho.
A dopo.




"Courage, Rosbif! Lo so che ti piace!" - La voce di Francis era piena di malizia ed eccitazione, mentre con gli occhi blu e lucenti guardava Arthur, come una gazza ladra ammira un gioiello.

"No che non mi piace! Potresti stare qui così anche tutta la sera, ma stai certo che non cederò! Non solo non mi piace, mi fa schifo!" - Rispose infastidito l'inglese, serrando denti e labbra, e sfuggendo con lo sguardo.

"Non ti piace...? Eppure, l'altro giorno mi era parso il contrario ..." - Lo stuzzicò il francese.

"...?! What the hell ?! Di che parli ?!"

"Credevi di passarla liscia? Pensavi forse che non me ne sarei accorto? ... Me ne sono accorto eccome, di quello che hai fatto qualche notte fa!"

"...! Mi sono dovuto accontentare! Ne avrei fatto volentieri a meno, ma non ce la facevo più, non potevo aspettare la mattina!"

"Bastava chiedere, mon amour ... Se tu mi avessi svegliato, avremmo anche potuto espandere il divertimento ..."

"S-Smettila di parlare così! Questa cosa sta diventando troppo ambigua, pervertito!" - Protestò Arthur, arrossendo e spingendo via la mano di Francis.

Il ragazzo portò la forchetta alla sua bocca, e mangiò il boccone al posto dell'inglese.

"Non c'é nulla di ambiguo. Stavo semplicemente cercando di farti ammettere che il cibo francese è sicuramente meglio del tuo, Rosbif!"

"... E smettila di chiamarmi Rosbif, you frog!"

"..." - Francis gli diede svelto un bacio sulle labbra, per poi guardarlo giocoso negli occhi - "Solo quando tu smetterai di chiamarmi frog~"

"... Ho fame." - Ruggì Arthur, voltandosi, sentendo un certo calore salirgli sulle gote.

"... E' il motivo per cui stavo cercando di farti mangiare quella crèpes..." - Spiegò il francese, alzando un sopracciglio - "... In un modo romantico. Adoro l' espressione che hai quando ti imbocco,"

"Stai zitto! Ora cucino io qualcosa come si deve!"

"Scones? Fish and Chips?" - Gli scappò una risata. - "Lascia la cucina à moi, Sourcils ..." - Si alzò, bloccandolo e tenendolo stretto tra le sue braccia.

"... Giammai ..."

Si sentì cingere i fianchi e la schiena dalle mani e le braccia del francese, rabbrividendo appena ed emettendo un lievissimo suono con la gola.
Appoggiò la testa sulla spalla dell'altro, mentre Francis passava vogliosamente le labbra sul suo collo, accarezzandolo e stampandogli baci umidi e caldi.
Di tutta risposta, Arthur appoggiò a sua volta le labbra sul collo del francese, per poi morderlo, debolmente ma in modo deciso, e spingersi con tutto il corpo verso di lui.
Francis iniziò a spingere di rimando, baciandolo passionalmente sulla bocca ed accarezzandogli la schiena, intromettendosi nella sua maglia.
L'inglese intrecciò le dita tra i capelli lunghi e dorati dell'altro, trattenendolo lì e rendendo il bacio ancor più profondo, passionale ed affamato.

"Francis ..." - Ansimò poi, il fiato grosso per il lungo bacio e le guance in fiamme, con le iridi di un verde più intenso che mai, piene di lussuria.


Una musica spezzò all'improvviso il caldo silenzio.


"..." - Francis si staccò da Arthur, giusto quel poco che bastava per intravedere il suo cellulare sul tavolo.

"Non rispondere." - Gli ordinò l'inglese, facendosi più vicino e baciandolo, con le braccia attorno al suo collo.

"E' mio cugino." - Il francese voltò appena il viso.

"Lascia stare! You fucking frenchman, I want you now!" - Si lamentò Arthur, quasi come un bambino - "... Non ho alcuna intenzione di aspettare."

"..." - Seppur curioso di sapere cosa Feliciano volesse, Francis decise di assecondare le voglie del suo amato - "... Come vuoi. Poi però non lamentarti, l'hai voluto tu, mon amour..."

Così dicendo, allungò le mani sulle sue cosce, prendendolo saldamente e sollevandolo, soffocandolo di baci ed attraversando la casa fino alla camera da letto.


Feliciano rimise il cellulare sul tavolo, con l'espressione ancora più abbattuta.

"Non risponde ...?" - Chiese Elizaveta, di fronte a lui, cercando di interrompere il silenzio.

L'italiano si limitò a scuotere la testa, asciugandosi le lacrime che continuavano scendere dai suoi occhi.

Non aveva alcuna intenzione di tornare a casa.
Probabilmente Gilbert avrebbe fatto lo stesso.
Avrebbe cercato di dargli spiegazioni.
Avrebbe iniziato a dire che non era stata colpa sua.
Che era stato un incidente.
Che era colpa di Romano.
Che lo amava.
Amava lui, e nessun altro.

Menzogne.
Stupide ed inutili menzogne.
Intanto, amore o no, lui con Romano l'aveva fatto.
Ne era sicuro.
Altrimenti, perché mai i due avrebbero dovuto dormire nudi?
E poi, conosceva bene, troppo bene, sia uno che l'altro.
L'espressione che l'albino aveva in volto, assopito, era la stessa che aveva quelle notti.
Quando lo baciava, lo amava e lo faceva suo, per poi addormentarsi, abbracciandolo.

Feliciano amava osservarlo in quei momenti.
Con quell'espressione serena e appagata, e quel lieve sorriso, come a dichiarare che la sua vita poteva dirsi completa.
Conosceva quell'espressione.
La amava.
Mai avrebbe pensato di poterla odiare.

"... Se non trovi Francis, puoi sempre stare qui." - Cercò di rassicurarlo Elizaveta. - "Non credo che Roddy abbia qualcosa in contrario ..."

"Grazie ..." - Si sforzò di sorriderle, ma proprio non ci riusciva - "... Ma non voglio disturbare. Al limite, vado a casa sua, le chiavi le ho ... Gli spiegherò tutto là."

"Feli ..." - Sospirò l'ungherese, guardandolo.

Vedere l'italiano con l'aria così affranta, metteva davvero tristezza.
Proprio lui, che sorrideva sempre.
Proprio lui, quello innocente ed ottimista.
Quello che vedeva sempre il lato buono delle cose.
Quello che amava cantare e guardare il cielo.
Era davvero dolcissimo, non era giusto che soffrisse così ...

"Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare? Sono quasi le dieci, e ancora non abbiamo cenato ..." - Elizaveta cercava disperatamente di distrarlo dai suoi pensieri.

"No, grazie, non ho fame ..." - Disse quasi sottovoce. Mise le braccia conserte sul tavolo, per poi nasconderci dentro la testa, bagnandosi le maniche della camicia di lacrime. - "E' un incubo, vero? Dimmi che é un incubo ..."

L'ungherese si alzò, avvicinandosi a lui ed accarezzandogli la testa.
Non poteva dirgli che era un incubo.
Sarebbe stata solo una menzogna.
Far vivere Feli in un'illusione per tranquillizzarlo avrebbe solo aggravato le cose.

"Devi essere forte Feli ..." - Gli rispose in tono rassicurante. - "Lo so che sembra una frase fatta ... Ma non devi piangere per lui e per ciò che ha fatto. Uno che ti fa piangere così, non ti merita ..."

"Ma sembrava tutto perfetto ... Perché mi ha tradito? Cos'ho che non va ...?" - Il ragazzo continuava a piangere, con il volto nascosto tra le braccia.

"Non hai niente che non ..." - Il cellulare dell'ungherese prese a suonare, e la ragazza rispose.

"Pronto ... Ah ... Ok. No, non potevo. C'é qui ... Sì. Mmh, poi ti racconto. Hai fame? No, io non ho ancora mangiato. Oh, va bene. A dopo. Ciao amore."

Feliciano sbirciava la ragazza, con quell'espressione dipinta in viso.
Ciao amore.
A quelle parole, la bocca le si era stortata in un dolce e lieve sorriso, tipico di coloro il cui cuore é rapito da Amore.
Anche lui si sentiva così.
Anche lui sorrideva in quel modo strano e magico, quando il suo Gil lo chiamava.

Avrebbe mai più ritrovato quel sorriso?
Ora, l'immagine del tedesco gli faceva solo venir voglia di piangere, ed una segreta voglia di morire si faceva largo in lui, impadronendosi della sua mente e del suo cuore.

"... Roderich sarà qui tra dieci minuti." - Lo informò Elizaveta.

"Non so se starò qui ancora molto ..." - Si alzò dal tavolo, nascondendo il volto dietro una tenda, guardando impassibile fuori, il balcone, le cime degli alberi e la strada sottostante. - "... Adesso provo a richiamare Francis ..."

"... Ma come andrai da lui? Vuoi che ti accompagni?"

"No, non preoccuparti! Prenderò l'autobus!" - Si affrettò a rispondere Feliciano, abbozzando con fatica un sorriso.

"Va bene. Comunque, se hai bisogno chiamami pure ... Anche a Roderich. Sai com'è fatto, abbaia ma non morde!"

"Veh, grazie di tutto ... Lo farò." - Si asciugò una lacrima. - "... Spero solo di non dover andare a casa nostra..."

A quel 'nostra', il cuore dell'italiano si strinse in una morsa gelida.
Nostra ...
Sua e di Gil.
In realtà era unicamente sua ... Ma da quando Gilbert vi si era trasferito, Feliciano non aveva mai più trovato il coraggio o la presunzione di definirla solamente di sua proprietà.

"... Se non hai scelta, casa nostra è sempre aperta." - Lo rassicurò, sorridendogli.

Feliciano annuì, per poi prendere il cellulare. - "Ora riprovo ..."

"Allo?"

"Ciao Francis ..."

"Feli! Bonsoir! ... Ti sento giù di corda, cosa c'é?"

"Mmh ... Francis ..." - La sua voce era a tratti rotta dai gemiti. - "N-Niente ... P-Poi ti dico ... Posso venire ... A casa tua? ... Ehm, per stanotte?"

"...!" - Il francese esitò un attimo, come congelato, per poi proseguire - "Certo! La casa del fratellone Francis é sempre disponibile! Dove sei? Vuoi che ti venga a prendere? O ci pensa Gil?"

"..." - A quel nome, Feliciano non ebbe la forza di rispondere. Il fiato gli mancò all'improvviso, mentre lacrime gelide gli rigarono ancora le guance, e il cuore batteva all'impazzata, come una bomba in procinto di esplodere. - "N-No ... Arrivo io, non ti preoccupare ..."

"Va bien ... Stai attento. Ti aspetto ..." - Concluse l'altro, concludendo la chiamata.


L'italiano fece un debole sorriso, guardando in direzione dell'ungherese, con il telefono ancora all'orecchio.

"... Allora io vado. Francis mi sta aspettando." - Prese la giacca, e si avvicinò alla porta, aspettando che Elizaveta l'aprisse.

"Ciao Feli ... Fai attenzione. E non pensarci, ti prego." - Gli raccomandò, aprendo la porta.

"Grazie ... Ciao." - Le diede un bacio sulla guancia, ed uscì.



Dopo una discussione con Romano, Gilbert era tornato a casa.
Non trovò Feliciano, ovviamente.
Si sedette in silenzio su una poltrona, con la testa tra le mani.

Perché lo aveva fatto ...?
Come aveva potuto ?!
... Si era lasciato trasportare dalle sue stupide fantasie.
Perché Romano altri non era, se non il Feliciano che spesso sognava.
Maleducato e prepotente, senza alcun timore di insultarlo e fargli male.

Ma Feli era il suo angelo caduto dal cielo ...
Colui che era sceso tra le fiamme dell'Inferno, solo per tendergli una mano e dargli occasione di salvarsi.
E ci era riuscito.
Se Gilbert aveva chiuso con la sua vita disordinata, era solo merito suo.

Le immagini dei due fratelli si mischiavano nella sua testa.
Ora il viso sereno ed innocente di Feli, ora quello infastidito e prepotente di Romano.
Un angelo bianco, ed un diavolo nero.
Due lati della stessa medaglia.
Due gemelli dalle personalità opposte.

Aveva conosciuto e saputo amare la dolce ingenuità di Feli, i suoi immensi sorrisi, quegli occhi meravigliosi che troppo raramente spalancava.
Aveva imparato a convivere con il suo modo di intendere l'amore, pur non essendo mai riuscito a comprenderlo fino in fondo.

Con Romano, era successo tutto così velocemente che non aveva avuto nemmeno il tempo di rendersi conto di cio' che stava facendo.
Perché quel ragazzo se ne fregava delle nuvole che Feliciano amava osservare.
Si innalzava con le sue ali scure, verso il cielo infinito, per poi trascinarti in picchiata tra le fiamme ed i piaceri dell'Inferno.

Voleva provare a spiegare le sue ragioni a Feli.
Chi lo sa, magari avrebbe potuto perdornarlo ...
Infondo, gli aveva già rivelato i dettagli intimi della sua vita passata.
Sapeva bene con chi amava trascorrere quelle notti, eppure l'aveva accettato.
Quindi, cosa c'era di diverso in quell'incidente con Romano ...?


"Damn you, Francis! You're a big jerk!" - Gridò Arthur, alzandosi dal letto ed iniziando a rivestirsi.

"... E' mio cugino. E aveva una voce davvero funerea ... Ho paura che sia successo qualcosa con Gilbert ..." - Spiegò Francis, facendo lo stesso.

"Hai intenzione di ospitarlo qui ??!! E io ?! Io non conto niente, per caso ?!"

"Cosa dovrei fare ?! Lasciarlo in mezzo ad una strada solo perché tu non hai il coraggio di ammettere che ami un uomo ?!" - Rispose arrabbiato il francese.

Certo, Arthur era per lui la cosa più importante, al momento.
Lo amava, con tutto sé stesso.
Ma non aveva alcuna intenzione di negare il suo aiuto a Feliciano solo per i capricci dell'inglese.
L'altro era rimasto immobile, come congelato.
Lo perforò con lo sguardo, per poi abbassare la testa verso il pavimento, celando il suo viso.

"Non ho alcuna intenzione di conoscere tuo cugino. Così come non voglio conoscere nessuno dei tuoi amici o altri parenti. Ospitalo pure, se proprio non puoi farne a meno." - Parlava serio, senza nemmeno guardarlo in faccia. - "Ma non dirgli nulla di me. Non voglio giocare alla coppietta felice."

"... Come faccio a nascondere la tua esistenza, se quello si aspetta che io lo ospiti qui ...?"

"Non lo so. Mi nasconderò, vedrò di tornare a casa quando lui non c'é ..." - Ormai completamente vestito, camminò verso la porta di casa, mettendosi la giacca.

"Dove stai andando ?!"

"... Fuori. Mandami un messaggio quando il signorino si é addormentato. Tornerò allora ..."

"Fai come ti pare, Arthur. Non ti obbligherò a rimanere qui quando mia cugino arriva, se proprio non ce la fai ... Però, dovresti." - Concluse Francis, con tono rassegnato, vedendo Arthur ormai sul pianerottolo, mentre si apprestava a scendere le scale.

 

~ Continua ...

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


NOTE. Sesto capitolo :D ... Spero vi piaccia, e vi avviso che ho problemi con il Pc, quindi non so quanto potrò scrivere ... O in genere, essere presente su Internet ... ç.ç
Anyway, buona lettura! ♥

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La stanza buia era rischiarata solamente da un' abat-jour e dalla luce tremula dello schermo della tv.
L'unica cosa udibile, era l'audio della televisione, tenuto al minimo, un leggero brusio di sottofondo, che nemmeno sembrava essere prodotto da voci umane.

Ludwig si voltò verso il divano.
Lily si era ormai addormentata.
Giaceva assopita con il volto stanco e sereno rivolto verso di lui, in uno strano contrasto di luce e di ombra.
L'uomo gli rivolse un sorriso, quasi paterno, per poi tornare con gli occhi adagiati pigramente sullo schermo, con le palpebre che lentamente si abbassavano stanche.

~ Dareka ga yonderu, ore wo yondeiru li ze makase-- ~


Il tedesco si affrettò a rispondere al telefono, rivolgendo ancora uno sguardo alla ragazzina, per paura di svegliarla.

"Ja ...?" - Disse quasi sottovoce.

"Lud!" - Gridò Gilbert, in tono di disperazione.

"Cosa ... Cosa c'é?"

"Fratellino! Ho fatto un casino!"

"... Come se fosse una novità ..." - Si permise di commentare Ludwig, in tono ironico.

"Non scherzare! E' davvero una cosa seria! Ho ..." - Tirò su con il naso, e l'altro si domando se non stesse piangendo - "... N-Non é stata colpa mia! Insomma... I-Io! Mi sono solo lasciato un po' andare e ..."

"Si può sapere di cosa stai parlando?" - Chiese l'altro, curioso e un po' preoccupato.

"Feliciano mi ha beccato! Io avevo già deciso! Sarebbe stata la prima ed ultima volta! Mi sono pentito subito! E ... E mentre lo stavo facendo, io ho pensato a lui! E ai miei sogni! E ..." - L'albino parlava forte e veloce, senza dar modo all'altro di capire cosa stesse accadendo, come a dover trovare una scusante ancor prima di spiegare la colpa.

"Gilbert! Stai tranquillo! Non sto capendo niente!"

"... Ok. Vengo lì, adesso."

"Ma ..." - L'altro riattaccò subito.


Era stato più forte di lui?
Non era stata colpa sua?
Feliciano l'aveva beccato?
Prima ed ultima volta ...?

Da quel poco che il tedesco era riuscito a capire, pareva che Gilbert avesse combinato qualcosa che Feliciano non doveva sapere.
Ma cosa ...?
Detta in quei termini, sembrava quasi la dinamica di una scappatella.
Ma perché mai Gilbert avrebbe dovuto farlo?
Lui e Feli si amavano, vero ...?
E poi, con chi?
Con Antonio? Ah! Sarebbe stato il colmo!
... Non in un senso buono, ma la cosa aveva un non-so-ché di tragicomico.
Con Francis?
Impossibile. Non conosceva moltissimo il francese, ma da quanto sapeva, era un uomo molto legato all' 'ideale di amore', e dubitava che avesse potuto essere complice in un tradimento ... Specialmente se si trattava del suo adorato cuginetto.

Ludwig scosse la testa, accennando un sorriso.
Si stava fasciando la testa prima di cadere.
Avrebbe potuto essere qualcosa di meno grave.
C'erano un sacco di cose che il vecchio Gil vedeva come normali, ma che lui e Feli consideravano di pessimo gusto.
Per questo, quando i due si erano fidanzati, l'albino aveva dovuto rinunciare a certi piaceri e certe abitudini.
Forse aveva ceduto ...?
Aveva forse ceduto per la prima volta ad una di queste debolezze, sperando che Feliciano non lo scoprisse, giurando già a se stesso che lo avrebbe mai più rifatto ...?
Forse Feliciano aveva scoperto quel qualcosa di segreto e proibito, e per questo, ora, non voleva parlargli più?

Qualunque cosa fosse stata, magari Feliciano l'aveva presa molto male.
Se lo vedeva già, Ludwig, il bell'italiano, con gli occhi in lacrime e la pelle di neve, a correre in preda alla delusione il più lontano possibile, senza alcuna intenzione di rivedere Gilbert.
Con lacrime pure e cristalline a rigargli la guance delicate.
Gli occhi semichiusi e le sopracciglia corrucciate.
Il labbro superiore e rosato appena alzato, per scoprire i denti d'avorio ancorati al labbro inferiore, colorandolo di un rosa più acceso, come a non voler far sfuggire dalla bocca né gemiti né dolore.

Il biondo strizzò gli occhi e scosse la testa, accorgendosi di come, nell'immaginare Feli in quello stato, aveva provato più piacere che dispiacere.
Gilbert aveva sbagliato.
Debolezza o intenzione non contava, aveva sbagliato, e basta.
Feliciano non l'avrebbe perdonato.
Avrebbero passato giorni senza parlarsi, e magari Feliciano l'avrebbe lasciato.
Sì, l'avrebbe lasciato, e si sarebbe sentito come un angelo con le ali spezzate, in attesa di qualcuno che curasse le sue ferite.

Ludwig si sentì una persona orribile.
Pur provando dispiacere, nell'ipotesi che la coppia potesse sciogliersi, trovò, infondo al suo cuore, una strana sensazione di piacere e soddisfazione, come se la notizia dovesse suscitargli particolare interesse.
Non era proprio da lui ...
Ormai, era da qualche tempo che si sentiva strano, quando pensava all'italiano.

Il cellulare gli vibrò tra le mani.

Arrivo subito.


Era Vash, sbrigativo ed essenziale come al solito.
Ludwig sperava che lo svizzero arrivasse prima di Gilbert: non voleva sorbirsi i racconti dei suoi guai con Lily in casa.
Conoscendo il fratello, potevano facilmente essere argomenti non adatti ad una ragazzina come lei, e in ogni caso gli avrebbe dato fastidio svegliarla accidentalmente.
... Certo, avrebbero potuto parlare a bassa voce, ma con Gil era una cosa impossibile!

Come previsto, poco dopo lo svizzero arrivò.

"Ciao ..." - Salutò stanco, varcando la porta. - "Dov'é la mia Lily?"

"Ciao. E' sul divano ..." - Rispose il tedesco. - "Hai l'aria distrutta ... Posso offrirti qualcosa?"

"Mmh, no, grazie. Voglio sbrigarmi." - Rifiutò serio, prendendo la ragazzina in braccio e cercando di non svegliarla.

"..." - Lo fissò tornare sull'uscio, in procinto di andarsene.

"... Grazie, Ludwig." - Lo ringraziò del favore, con l'aria seria e stanca come sempre, guardandolo dritto negli occhi con postura rigida come un militare.

"Non c'é problema. Che amico sarei, se avessi rifiutato?" - Rispose l'altro con la stessa serietà e disciplina, attendendo che lo svizzero si fosse allontanato prima di chiudere la porta.

Il tedesco si rimise sulla poltrona, in preda ai suoi pensieri, aspettando Gilbert.




Romano giaceva immobile sul letto, fissando il soffitto con gli occhi spalancati e senza emozione.
Avvolto nel silenzio, poteva udire solo il suo respiro uscirgli dalla bocca appena aperta, sentendo l'aria fresca asciugargli la saliva sulla lingua.


"Lasciami in pace, bastardo!"

"Stai fermo!" - Antonio riuscì, finalmente, ad infilare un fiore giallo tra i capelli di Romano, appena più su dell'orecchio - "Eres lindo!"

"Idiota ... Un fiore di pomodoro, poi! Sei proprio stupido, sai ?!" - Gridò Romano, avvertendo il calore salirgli sulle gote e cercando di andarsene.

"Jaja! Dove scappi ?!" - Lo spagnolo lo fermò, abbracciandolo da dietro ed appoggiando il mento alla sua spalla, sorridendo - "Anch'io ti amo."

"Anch'io ?! Solo tu, vorrai dire! Non vedo come potrei innamorarmi di un cretino come te che non sa nemmeno parlare in italiano come si deve!" - Cercò di liberarsi, nascondendo il rossore che si sentiva in viso.

"Callate ..." - Antonio lo strinse più forte, baciandolo sulla guancia e sussurrandogli dolcemente all'orecchio - "Estaremos juntos ... Para toda la vida, mi tomate ..."

Romano emise un suono infastidito, quasi l'innocente ringhio di un cucciolo, senza rispondere.
Rimase con quelle braccia che lo stringevano, e quel volto adagiato sulla sua spalla, mentre intorno le piante di pomodoro stavano a guardare, temprate dal sole caldo di un pomeriggio estivo.



Quel ricordo si era impossessato della sua mente così, all'improvviso, e Romano si era trovato in bilico tra la nausea e la nostalgia.

Quel bastardo ... Era tutta colpa sua!
Aveva continuato ad illuderlo, aveva continuato a stare al suo fianco fingendo di amarlo, mentre già iniziavano a spuntargli le corna, senza che l'italiano riuscesse ad accorgersene.

L'alcool cominciava ad allentare la presa su di lui.
Cos'aveva fatto, nel frattempo ...?
Ricordava di aver visto suo fratello andarsene in lacrime, seguito da Gilbert.
E lui era rimasto a guardarli lasciare l'appartamento, inerme e nudo.

Si voltò su un fianco, poggiandosi una mano sulla fronte.
Si sentiva in colpa.
Non riusciva ancora a ricordare con chiarezza cosa fosse successo, ma già sentiva un profondo senso di colpa mangiargli il cuore.

"Ti amo ... Gilbert!"


La sua stessa voce gli tuonò nelle orecchie, battendo con forza sulle sue tempie.
Aveva sempre provato qualcosa per Gil ... Era vero ...
Ma, cos'era successo quella sera?
Aveva sempre tenuto a bada i suoi sentimenti verso il tedesco, tanto per l'amore di Antonio quanto per quello verso Feliciano.
Quindi, com'era stato possibile ?!

Argh ...
La testa gli faceva davvero male.
Si era ubriacato parecchio negli ultimi giorni.
Non si era dato nemmeno il tempo di riprendersi da una bevuta, che già era pronto a scolarsi altre bottiglie.
Tutto quell'alcool l'aveva davvero portato a farsi avanti con Gil?
E, ancora una volta, di chi era la colpa ?!
Di Antonio! Solo sua, solo di quel bastardo!

Ora però, la situazione era grave.
Se le cose stavano davvero come Romano iniziava a ricordare, era un vero problema.

"Sono stato uno stronzo!" - Gridò, premendo il viso contro il cuscino con tutta la forza che aveva in corpo.

... Come ne sarebbero usciti?
La storia tra Gilbert e il suo fratellino pareva essere davvero in bilico.
Ed era tutta colpa sua.
No, era di Antonio, prima che sua.
Ma, nel frattempo, aveva distrutto il cuore di Feliciano.
Proprio il suo, proprio il cuore del suo fratellino, che tanto aveva cercato di alleviare le pene di Romano.

Feliciano era l'angelo della famiglia.
Il figlio modello e prediletto.
Quello pieno di amici.
Quello che sorrideva sempre.
Quello che pareva vivere in un sogno, in una favola.

Romano era sempre stato nella sua ombra.
Scontroso e ribelle.
Maleducato e con pochissimi amici.
Un po' lo invidiava, a dire il vero.
... Ma ora, era diventata davvero una favola.
E in quella favola, mentre Feliciano continuava ad essere l'angelo e il protagonista, lui ne era divenuto il diabolico antagonista.

Tutta colpa di Antonio ... Sì, tutta colpa sua!




Arthur scendeva le scale arrabbiato.
Quel Francis! Lo odiava!
Come aveva potuto scegliere suo cugino a lui ?!
Non aveva senso!
Francis avrebbe dovuto declinare l'offerta!
... Sì, perché lo amava.
E proprio per questo, doveva favorirlo in ogni scelta!
Sarebbe stata la cosa più giusta ... No ...?

"Fuck!" - Sbottò innervosito, accorgendosi di aver urtato qualcuno con la spalla, continuando a fissare per terra e senza nemmeno guardare l'altro o scusarsi.

"Oh ... Mi scusi ..."

"...!"

Eppure, quella voce gli sembrava vagamente familiare. Non era la prima volta che la sentiva. L'inglese si voltò, interrogandosi su dove avesse già visto quel volto.

"... Ehi! Lei é quello dell'autobus!" - Cercò di sorridere amichevolmente l'altro, nonostante nei suoi occhi si intravedesse tristezza. - "Aspetti, uhm ... Alfred! Giusto?"

"Arthur ..." - Rispose infastidito il biondino.

"Scusi ... Uhm, beh, abita qui, allora? Volevo chiederle il numero l'altra volta, ma non ho fatto in tempo ..."

"Non abito qui. Sono andato a trovare ... Uhm, un parente."

"Oh. Anche un mio parente abita qui ... Aspetti! E il numero?"

"Sono di fretta! Mi dispiace!" - Rispose scontroso l'altro, mentre già stava aprendo il portone per andarsene.

"Allora spero di rincontrarla!" - Lo salutò Feliciano, benché fosse molto dispiaciuto.

Non gli stava antipatico, quel ragazzo, avrebbe voluto diventare suo amico ...
E poi, era già la seconda volta che lo incontrava!
'Prima o poi riuscirò a diventare suo amico ...' - Disse tra sé e sé l'italiano, davanti all'ascensore.

D'un tratto, gli tornò in mente la scena con Gilbert.
Gli tornò in mente l'ascensore, come ci era salito, come lo specchio riflettesse il suo volto distrutto e in lacrime, e quello dell'albino sullo sfondo.

Voleva davvero prendere di nuovo l'ascensore ...?
Abbassò la testa.
No, non voleva guardarsi ancora allo specchio.
Odiava vedere le persone tristi ... I volti tristi erano la cosa che più gli metteva tristezza.
E stavolta, quello con il volto triste, era lui ...
No, non voleva specchiarsi, per nessuna ragione.
Cambiò strada, e prese a salire le scale.


"Sacre bleu!" - Esclamò Francis, mentre toglieva dalla casa ogni indizio della presenza di Arthur.

Aveva preso ogni fotografia e l'aveva nascosta.
Aveva buttato via qualsiasi prodotto tipico inglese dal frigorifero ... Feliciano sapeva che aveva sempre odiato quel tipo di cucina!
Aveva provato ad assaggiarla, per amore di Arthur ...
Non era certo ai livelli della cucina francese, ma aveva perlomeno imparato a sopportarla.

Ma questo al suo amato cuginetto non poteva certo dirlo.
Nossignore!
Perché Francis non si sarebbe mai svegliato la mattina dicendo 'oh! che bello! oggi vado al supermercato e mi compro una confezione di fish and chips! Ho proprio voglia di assaggiarlo!'.
No! Accidenti! Doveva esserci un motivo molto più serio che l'avrebbe spinto a farlo!
Qualcosa come una persona amata!

... Certo, Feliciano non era molto sveglio, dopotutto.
Forse avrebbe creduto a qualsiasi scusa che il francese si fosse preso la briga di inventare.
Ma era meglio non rischiare.

Com'era la sua casa prima che Arthur arrivasse a stravolgerla ...?
Com'era la sua casa in quei tempi in cui cambiava amante ogni notte?
Proprio non riusciva a ricordare!
Quell'inglese si era appropriato di lui, e l'aveva cambiato così tanto, che del vecchio Francis, membro del Bad Touch Trio, era rimasto poco e niente.
Non che fosse stato un male, anzi, era davvero felice, ora ...

Se solo quel testardo si fosse deciso a vivere la cosa tranquillamente!
Invece no! Francis doveva fare i salti mortali, raccontare bugie su bugie, e solo perché il signorino aveva la paura da palcoscenico!
Perché non aveva voluto conoscere nessuno.
Perché pensava che ci volesse un annuncio ufficiale, per dire a tutti chi fosse.
Perché ancora, quel caspita di annuncio, non si era deciso a farlo.

"Toc Toc!"


"...!" - Francis rimase pietrificato.

"Uhm ... Sono io ..." - La voce di Feliciano si sentiva appena attraverso la porta.

"A-Arrivo!" - Si affrettò a rispondere il francese.

Camminando verso la porta, prese dal tavolo le sigarette ed alcuni anelli dell'inglese e li nascose in tasca, senza nemmeno fermarsi, ma procedendo ed aprendo la porta.

"Fe- ...!" - Non fece in tempo ad aprire, che l'italiano lo abbracciò forte, premendo la testa contro il suo petto.

"Fratellone ..." - Invocò tra i gemiti, stringendolo e bagnandogli la camicia di lacrime.

"... Su ... Vieni dentro e dimmi tutto ..." - Gli disse in tono paterno, accarezzandogli la testa ed indietreggiando, per farlo entrare.

Il francese si sedette sul divano, con l'italiano appoggiato alla spalla, che raccontava tra i gemiti.
Francis stava in silenzio ad ascoltare, limitandosi ad accarezzarlo e ad asciugargli le lacrime sulle guance.

"... Cosa devo fare ... Fratellone?" - Chiese infine, ancora in lacrime, adagiandosi sulle gambe dell'altro.

"... Sei disposto a perdonarlo?" - Gli chiese, sussurrandogli nell'orecchio, dopo averlo baciato sulla guancia.

"Non ... Non lo so ..." - L'italiano si voltò, strofinando il volto sulla sua pancia, per nascondersi - "... Solo l'idea di tornare a casa mi fa stare male, se penso che c'é anche lui."

"Non pensarci ora." - Gli consigliò, avvertendo la tensione nel suo pianto e nel suo atteggiamento. - "... Fatti una bella dormita, vedrai che poi tutto ti sarà più chiaro, petit ..."

"Grazie ..." - Lo ringraziò, cercando di sorridere con gli occhi in lacrime, rimanendo con la testa abbassata a godere disperatamente delle sue carezze di conforto, finché il francese non si fece più in là, permettendosi di sdraiarsi meglio sul divano.

Continuava ad accarezzargli i capelli rossicci, le guance di latte e le spalle magre e deboli, sussurrandogli di stare tranquillo e di addormentarsi, mentre i suoi occhi color oceano balenavano fuori dalla finestra, oltre il balcone e la strada, domandandosi dove Arthur fosse, e provando dispiacere per quel suo blocco immotivato.




"... E così, Feli è andato a casa di suo cugino." - Concluse Elizaveta, camminando nervosamente da un capo all'altro del tavolo, guardando ogni tanto Roderich per cercare la sua attenzione.

"..." - L'austriaco non commentò, ma mise di nuovo in bocca un pezzetto di torta.

"..." - La donna rimase a guardarlo mangiare - "... Ma la digerirai la Sacher a quest'ora?"

"Quando mai non l'ho digerita?" - Sorrise Roderich, alzando la testa verso di lei.

"... Comunque, cosa ne pensi?"

"Mi dispiace per lui ..." - Sospirò, scuotendo la testa - "Se lo vuoi sapere, a me Gilbert non è mai andato a genio."

"Credo che la cosa sia reciproca..." - Commentò Elizaveta, alzando un sopracciglio. - "... Feliciano era davvero distrutto, però."

"Beh, é normale. Per quanto mi sia inconcepibile, lo ama." - Alzò le spalle, con tono di rassegnazione.

"Vorrei fare qualcosa per lui ..." - Sospirò la ragazza, sedendosi accanto a Roderich e poggiando la testa sulla sua spalla.

"..." - L'austriaco si limitò ad accarezzarle i capelli, intrecciandoli tra le sue dita.

"Ora che ci penso ..." - Alzò la testa. - "Domani é Sabato, vero?"

"Sì ... Perché?"

"Domani chiamo Feli e gli chiedo se ha voglia di fare un giro in città con me, per svagarsi ... Sei d'accordo?"

"Vai pure, amore ..." - Sorrise. - "... Ma anche io?"

"Non so, forse non é carino ... Insomma, finirebbe un po' per reggere la candela!"

"Credo che tu abbia ragione."

"Vorrei andarci di sera, ho sentito dire che questo week-end ci saranno anche le bancarelle, in piazza ..." - Spiegò l'ungherese, per poi aggiungere, accarezzando il volto di Roderich ed avvicinandosi alle sue labbra - "... Scusa. Domenica ci andremo insieme ..."

"..." - Roderich sposò la sua bocca in un bacio lieve e, allo stesso tempo, sentito - "Come desidera, mia signora ..."

Le stava accarezzando i lunghi capelli appena mossi, stampandogli alcuni baci sul collo.

"... Dai!" - Sorrise lei, ritraendosi ed alzandosi, prendendo il piatto ormai vuoto davanti all'austriaco. - "Vado a metterlo nel lavandino.".

"... Mettilo nella lavastoviglie ... Si spreca meno acqua, no?" - Aggiunse poi, ironicamente. - "Va bene che non siamo poveri, ma avere una cinquantina di euro in meno sulla bolletta dell'acqua, non mi dispiace, eh!"

"Esimio Maestro Edelstein, mi dispiace controbattere la sua accurata tesi, ma le assicuro che se i piatti non li sciacquassi prima a mano, lei se li ritroverebbe opachi, non certo splendenti da potercisi specchiare!" - Protestò Elizaveta, sorridendogli e dirigendosi in cucina, davanti al lavandino.

"... Ma duchessa Hedervary, questo lavoro non le si addice ... Lasci pure qui, ci penserà una delle nostre domestiche ..." - Le sussurrò all'orecchio, raggiungendola e rimanendo dietro di lei. - "Ora, perché invece non concede il suo tempo a questo povero e ricco nobile malato d'amore?"

Avevano sempre fatto quel gioco.
Perché i modi di Roderich erano spesso così signorili e raffinati che pareva un ricco e nobile signore di secoli addietro.
Perché Elizaveta aveva sempre amato stuzzicarlo e prenderlo in giro per questo, trattandolo davvero come un nobile, e fingendosi una ricca e potente duchessa ungherese.
E quello, era il loro immenso castello.
Centoventi metri quadri bastavano ed avanzavano, per sognare.
E poco importava, se quelle domestiche e quei servi tanto decantati non esistevano.
Poco importava se, alla fine, i lavori domestici se li sarebbero spartiti tra loro due, come il grande esito di una battuta di caccia col falco.

A loro bastava sognare.
Sognare ed essere insieme.
Era tutto cio' che occorreva loro, per essere davvero felici.



"Ludwig!" - Gridò Gilbert, la testa tra le mani, nascondendo le lacrime sotto la rabbia, spinto dal suo immenso orgoglio.

"Gil..." - Ludwig era rimasto ad ascoltarlo in silenzio, mentre spiegava confusamente il suo incidente con Romano. - "Con calma ..."

"Io ... Dunque." - Fece un profondo respiro. - "Feli mi aveva detto se potevo andare a far compagnia a Romano, perché lui doveva fare gli straordinari ..."

"... Lo so. Aveva chiamato anche me, ma non potevo. Dovevo badare a Lily ..."

"... Allora, io ci sono andato, Romano era ubriaco ... Dal primo momento in cui ero entrato, sembrava un po' strano ... I-Io ... Io mi sono comportato normalmente, credo ... Poi lui ... Lui all'improvviso mi ha abbracciato, mi ha baciato, e ... Beh, mi ha colto di sorpresa, e prima che me ne accorgessi mi aveva spinto sul divano ... Io ... Ti giuro Lud, io ho pensato a Feli, ci avevo pensato, sapevo che stavo facendo una cazzata, ma ... Non so cosa mi sia preso.
Pensavo anche a Romano, il fatto che era stato lasciato, e non mi riusciva di usare le maniere forti ... E poi, era ubriaco! Io ... Io cosa dovevo fare?! Lud! Non so più che fare! Io ... Credevo di amare Feli. Lo credo tutt'ora ... Ma allora perché non ho fermato suo fratello?! Perché ?!"

"..."

Ludwig non sapeva cosa rispondere.
Certo, poteva essere stata una semplice sbandata.
Una scappatella.
Poteva capitare, no?
Ma Gilbert pareva davvero in crisi per questo.
Raramente lo aveva visto così disperato.
D'altra parte, chi gli assicurava che Feliciano l'avrebbe perdonato ...?
Per qualche strana ragione, Ludwig aveva preso a pensare a come si sentisse Feliciano, forse ancor più sentitamente di quanto non stesse pensando a Gil.

"... E Feli?" - Le parole gli scapparono fuori dalla bocca da sole, e lui stesso si trovò ad arrossire lievemente.

"... Mmh ... Romano voleva farlo di nuovo. Era davvero ubriaco fradicio, glielo leggevo in ogni centimetro del corpo ... Io mi sono rifiutato, ma ... Come ti ho detto, pensando alla sua storia con Antonio, non ho potuto fare altro che abbracciarlo e consolarlo ... L-Lui però non capiva! Ha iniziato a baciarmi e mordermi di nuovo, e ... Io non volevo, ma i pensieri mi sono arrivati al cervello tutti insieme, e senza rendermene conto, gli avevo dato uno schiaffo e spinto giù dal divano ... Lui mi ha gridato che mi amava, e, sdraiandosi sul tappeto, ha continuato a gridarlo, iniziando a piangere. Poi ... Poi mi sono addormentato, e lui ha fatto lo stesso. Quando mi sono svegliato ... Feliciano era davanti a me. Io non sapevo che fare ... Mi sentivo male, e vedere Feli con quell'espressione in volto peggiorava solo le cose ... E? scappato via in lacrime, gli sono corso dietro cercando di spiegare ... Spiegare? Ma chi prendo in giro! Sono stato uno stupido, solo uno stupido! Lui non ha voluto ascoltarmi, anzi, mi ha detto che non voleva più né vedermi né sentirmi, e se n'é andato ... Lud, non me lo tolgo più dalla testa! L'espressione che aveva! Ho la nausea al solo pensiero! Se penso che ... Che sono stato io a farlo sentire così!"

L'albino gridava tra i gemiti, parlando veloce, come a voler dare meno peso alle parole.
Come se avesse voluto occultarle.

Suo fratello non riusciva nemmeno ad immaginare l'espressione che Gilbert stava descrivendo.
Feliciano era sempre sorridente ... Non riusciva proprio ad immaginarlo così affranto.
Quel ragazzo era un angelo ...
Ed ora ...
Le sue ali si erano spezzate, di nuovo.
Era caduto dal Paradiso, continuando a volare nel cielo.
Ora, invece, era caduto a terra.
Nella fredda ed aspra terra su cui gli uomini camminano.
A sporcarsi la pelle candida e a conoscere la fatica di vivere.

"Gil, non pensarci." - Ludwig appoggiò una mano sulla spalla del fratello maggiore - "... Ora fatti una dormita, domani mattina vedrai tutto in un'altra ottica."

"Sì ... Come no ... E dove vado? Sono corso a casa, e Feliciano non c'era. Non ho voglia di tornare là da solo ... Non me la sento."

"... Stai qui a dormire, non c'é problema." - Rispose serio l'altro. - "... Ormai si sono fatte le undici. Penso che anch'io andrò a dormire. E' stata una giornata dura, bisogna riposare."

Non era mai stato bravo con le parole e i sentimenti.
Non era mai stato bravo a consolare le persone.
Non era mai stato bravo con i consigli.
Quell'offerta, era l'unica cosa che si sentiva di dirgli.
E il fatto che era suo fratello maggiore ad aver bisogno di aiuto, lo faceva sentire ancora più piccolo.

Decise di non pensarci.
Lo aveva detto a Gilbert, di non pensarci più, e anche lui doveva fare lo stesso.
Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso l'immagine di Feliciano, che Gilbert gli aveva descritto.

Davvero sciocco ... Perché mai avrebbe dovuto pensarci?
Doveva essere più preoccupato per suo fratello, no?
Strano.
Si sentiva strano.
E tutto, intorno, pareva essere ugualmente strano, in quel periodo.



Arthur fissava nervosamente l'acqua scorrere sotto il ponte.
Era rimasto immerso nei suoi pensieri, appoggiato alla ringhiera di pietra, con la sigaretta tra le dita.
Ormai era quasi finita, senza che l'inglese se ne fosse drogato i polmoni, ma lasciando parecchi centimetri di cenere sospesi nei vuoto.

Era confuso.
Infondo, non poteva pretendere che Francis voltasse le spalle a persone a cui voleva molto bene, solo per un suo capriccio.
Perché sì, per quanto detestasse ammetterlo, per quanto combattesse per mantenere il segreto, lo sapeva anche lui.
Lo sapeva, che era solo un suo stupido capriccio.

"Cosa dovrei fare ?! Lasciarlo in mezzo ad una strada, solo perché tu non hai il coraggio di ammettere che ami un uomo ?!"


Quelle parole gli risuonarono dolorose nelle orecchie, ferendogli i timpani e penetrandogli le ossa e le tempie.

Francis non era arrabbiato con lui, vero ...?
Certo, sapeva che quella situazione lo infastidiva, e non poco, ma aveva sempre portato pazienza.
Aveva reagito così, solo per difendere le esigenze di suo cugino ...

E le sue, di esigenze, allora ?!
Arthur, sotto sotto, lo sapeva di essere stato eccessivamente polemico.
Non sapeva neppure perché provasse così tanto timore nel rendere pubblica la sua relazione.

Era tutto nuovo, per lui ...
Era la prima volta che si innamorava, a dire il vero.
Spesso si domandava se, qualora Francis fosse stato una ragazza, avesse avuto lo stesso blocco.
Si domandava quale fosse il vero problema.
Si domandava se il francese avesse ragione, e se cio' che lo spaventava, in tutta quella faccenda, era davvero il fatto che si fosse innamorato di un uomo.

O, forse, aveva semplicemente paura di entrare a far parte di una famiglia.
Perché la famiglia di Arthur non era mai stata molto unita.
Molti dei suoi parenti vivevano lontano, ed altri non li aveva quasi mai incontrati, perché avevano litigato con i suoi genitori.
Questi, poi, erano sempre impegnati con il lavoro, e l'inglese rimaneva spesso da solo.
Non aveva mai vissuto il calore di una vera famiglia.
Non aveva mai cenato in compagnia dei suoi parenti, a Natale o a Pasqua.
Non aveva mai fatto grandi feste di compleanno, e, anzi, molti si scordavano della sua nascita.

Spesso si era trovato a camminare sulle sue gambe, solo.
Anche con i suoi coetanei non era mai andata meglio.
Si mostrava spesso ostile, e gli altri ragazzi lo ignoravano, ci litigavano e finivano per deriderlo.
Con quei pochi che aveva, non c'era mai stato un profondo e sincero rapporto.
Era più una relazione egoistica, l' 'avere qualcuno a tutti i costi', che lo spingeva a cercarli.

Francis, invece, era tutto l'opposto.
Lo sentiva, trasudare dalla sua voce e dalle sue mani, il calore della sua famiglia e dei suoi amici.
Quel calore misterioso scottava la sua pelle gelida, e lo spaventava.
Perché il francese aveva molti parenti ed amici.
Di ciascuno ricordava ogni cosa, e ciascuno di loro si ricordava di lui.

L'interessamento di Francis per suo cugino, era un qualcosa di sconosciuto, per Arthur.
Lui, a momenti non sapeva neppure il nome, dei suoi cugini.
Faticava a comprendere come il francese potesse preoccuparsi così tanto per Feliciano, al punto da mettersi a discutere con lui.
L'inglese non aveva mai amato nessuno, forse neppure se stesso.

Feliciano ...
Quel nome gli suonò per un attimo familiare, come se l'avesse sentito uscire dalla bocca di qualcun altro, oltre che da quella di Francis.
Ma chi ...?
Doveva aver parlato con qualcuno che portava quel nome, una volta ...

Gli venne in mente l'autobus che prendeva spesso.
Aspetta.
Non era quel ragazzo che aveva incontrato, a chiamarsi così?
E non era forse lo stesso con cui si era scontrato quello stesso giorno, uscendo nervoso da casa, dopo aver litigato con Francis?

Forse era quel ragazzo ... Suo cugino ?!
No ... Macché.
Era una semplice coincidenza, concluse l'inglese scuotendo la testa, prima che la suoneria del cellulare non lo distraesse dai suoi pensieri.
Era proprio Francis.

"... Sì?" - Arthur mantenne un tono risentito, sebbene la sua rabbia fosse ormai passata.

"Mon amour ... Sei ancora arrabbiato?"

"Uff ... Uhm, direi di sì. Cosa vuoi?" - Mentiva, ma proprio non riusciva ad ammettere la sua colpa.

"Mio cugino si é addormentato ... Torni o hai intenzione di dormire in albergo, Rosbif?" - Gli chiese ironicamente, sottovoce, facendo battere il cuore dell'inglese più velocemente.

"Jerk ... Sto tornando. Ma guai a te se mi giochi qualche brutto tiro, e il signorino non sta dormendo!"

"Tranquillo, ti do' la mia parola ... Ti aspetto, allora."

Entrambi riattaccarono.
Francis si voltò verso Feliciano, che, ormai immerso nel mondo onirico, giaceva sul divano.
Prese una coperta leggera e lo coprì.
Non faceva freddo, ma era meglio dormire coperti.

Il francese lo osservò, con gli occhi chiusi e le sopracciglia leggermente inarcate, in un silenzioso dolore, mentre la schiena e la pancia si alzavano e abbassavano ritmicamente.
Gli accarezzò una guancia, spostandogli i capelli dal viso.

Poverino ...
Ancora non riusciva a crederci.
Prima Antonio, ed ora Gilbert.
Il Bad Touch Trio non aveva forse chiuso, con questo genere di cose ?!
Entrambi parevano innamorati, invece ... Invece avevano finito per cedere ai loro antichi piaceri.

Doveva chiamare Gil.
Doveva farlo.
Voleva assolutamente sentire la sua versione dei fatti.
Poteva essere stata una scappatella ...
Del resto, può capitare.
Anche se al francese, in quel momento, non sarebbe mai venuto in mente di tradire Arthur, ammise che, per persone abituate a tutt'altro modo di vivere, non doveva essere facile cambiare così tanto.
E, anche ammesso che Gil fosse seriamente cambiato (come Francis pensava), cedere, per una volta, non sarebbe stata cosa così strana.

Il problema era un altro ...
Conosceva il suo cuginetto.
Non era abituato a soffrire, anzi, rifiutava il dolore con tutto sé stesso.
Era sempre stato estremamente fedele, tanto agli amici quanto al suo Gilbert, e difficilmente lo avrebbe perdonato.
Non tanto per rabbia o per odio, ma per arrendevole tristezza.
Perché, quando qualcuno o qualcosa era riuscito a levargli il sorriso, avrebbe desiderato che quel qualcuno, o quel qualcosa, non incrociasse mai più il suo sguardo.
Semplicemente ... Per non ricordarsene.

Sentì le chiavi girare nella serratura, e la porta aprirsi lentamente.

"Arthur!" - Esclamò il francese.

"Shhh!" - Lo rimproverò l'inglese, entrando con aria circospetta e dirigendosi verso la camera da letto.

"Non lo vuoi nemmeno vedere ...?"

"Zitto! Non mi interessa! Solo perché sono tornato, non pensare che abbia cambiato idea! Non ho alcuna intenzione di vederlo!"

"... Come vedi, non ti sto obbligando." - Francis lo seguì, finché l'inglese non si fermò, davanti alla stanza.

"Che fai? Vieni a letto con me, o hai intentenzione di dormire sulla poltrona, accanto al tuo adorato cuginetto?"

"... Je t'aime aussi." - Gli sussurrò, abbracciandolo da dietro e birbigliando nel suo orecchio.

"Lasciami!" - Si liberò Arthur, per poi iniziare a spogliarsi.

Francis rimase ad osservarlo, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte.

"... E smettila di guardarmi mentre mi spoglio, you jerk!"

"... Come se non conoscessi il tuo corpo ..." - Sorrise Francis, lanciandogli un'occhiata maliziosa ed iniziando anche lui a spogliarsi. - "Dov'eri ...?"

"Al pub." - Si affrettò a rispondere Arthur. - "... Al pub. Finché non mi hai chiamato."

Non aveva voglia di dirgli che era rimasto a riflettere sul ponte.
Non aveva voglia di dirgli che aveva pensato a lui, a loro, a suo cugino e ai suoi errori.

"... Sarà." - Concluse Francis, mettendosi sotto le coperte.

L'inglese fece lo stesso, poco dopo.

"... Goodnight." - Tagliò corto Arthur, spegnendo la luce, ed addormentandosi poco dopo.

"Bonne nuit ..." - Rispose l'altro, sospirando e chiudendo pian piano le palpebre, fino a cadere tra le braccia di Morfeo.


"... F-Fratellone!"



Una voce svegliò sia Francis che Arthur, mentre dei pugni battevano forte sulla porta chiusa.
L'inglese sgattaiolò via, nascondendosi d'istinto dietro una tenda.
Eppure, quella voce, gli era familiare ...

"Arthur!" - Gridò sottovoce Francis, come a chiedergli cosa stesse facendo.

"Come ti ho detto, non ho intenzione di conoscerlo!" - Rispose l'altro, da dietro la tenda.

"..." - Il francese alzò gli occhi al cielo, per poi accendere l'abat-jour. - "... Feli! Entra pure!"

"..." - L'italiano aprì piano la porta, per poi buttarsi disperatamente sul letto, affianco al cugino.

"Cosa c'é ...?"

"... Francis ..." - Si strinse al busto dell'altro, appoggiando la testa sulla sua spalla, con le lacrime agli occhi - "Ho fatto un incubo ... P-Posso ... Dormire qui con te?"

Ad Arthur venne un colpo al cuore.
Avrebbe dovuto starsene impalato dietro la tenda fino al mattino, forse ?!
Sperava in una risposta negativa di Francis, ma dubitava che egli fosse stato capace di dargliela.
No, non certo al suo adorato cuginetto!

"... Oui." - Rispose invece il francese, dopo una pausa di riflessione, sbirciando in direzione della tenda, come a volersi scusare con Arthur.

"...!" - Arthur non riuscì a trattenere un suono di sconforto.

"Veh ...? Cos'é stato ...?"

"Niente! Sarà un piccione, fuori!" - Si affrettò a spiegare l'altro.

"Mmh ..." - Feliciano rimase abbracciato a lui. - "Sai questo cosa mi ricorda ...?"

"No ... Quoi?"

"Quando eravamo piccoli, e io passavo la prima settimana da Luglio in Francia, da te ... Ti ricordi? Spesso facevo gli incubi, perché ero lontano da casa ..."

"Già. E ti rifugiavi sempre nel mio letto, svegliandomi e facendomi prendere un colpo!"

"Scusami ..." - Si scusò. - "... Quelle notti erano bellissime ... Vorrei tanto provare quelle stesse emozioni ... Lo facciamo? Solo per stanotte ... Era bellissimo ..."

A quelle parole, ad Arthur per poco non venne un colpo.
Lo facciamo ...?
Fare cosa ?!
Cosa diamine faceva Francis con suo cugino, in quelle notti ?!
Un senso di allarme lo prese, mentre tese le orecchie più che poteva.

"... Ahah! Feli! Non sei un po' cresciuto per queste cose ...?" - Sorrise il francese, accarezzandogli la testa.

"Ti prego! Solo una..." - Lo pregò l'italiano, asciugandosi le lacrime. - "Quella dei mercanti e la volpe ... Te la ricordi?"

"Bien sur! Però promettimi che poi dormi, e la smetti di piangere ..."

"Veh ... Te lo prometto ..."

"Donc." - Il francese prese un tono solenne. - "L'Inverno era finito da poco, quando la volpe Renart, sentendo lo stomaco brontolargli come non mai, iniziò a cercare nella sua tana del cibo.
Macché ... Non ce n'era traccia! Nemmeno un misero uccellino! ... Così, spinta dalla gran fame, si avventurò fuori dal bosco, sedendosi vicino al sentiero e meditando sul daffarsi.
Poco dopo, sentì degli zoccoli rimestare il terreno ghiaioso, ed intravide un carro trainato da un asino farsi più vicino.
E che gioia provò, Renart, nel fare quella scoperta!
Sul carro, dei mercanti trasportavano del pesce appena pescato.
Leccandosi i baffi, la volpe corse veloce più in là nel sentiero, sdraiandosi per terra e fingendosi morta, attendendo l'arrivo dei pescatori.
Sapeva bene, che quegli uomini avidi, credendola morta, l'avrebbero presa, buttata nel carro assieme al pesce, pregustando già i soldi che avrebbero fatto con la sua pregiata pelliccia.
Come previsto, i pescatori, credendola morta, la presero, e la misero tra i banchi del pesce.
Appena la carrozza ripartì, Renart saltò in piedi, mangiando quanto più pesce poteva, riempiendosi bene lo stomaco di quella delizia.
Finite le sardine e le aringhe, prese le anguille e se le legò al collo e attorno alle zampe, come succulente sciarpe e collane, per poi guardare in basso, verso il terreno, e con un gran balzo scendere.
A pancia piena, ma non meno orgogliosa e presuntuosa, anziché andarsene, corse di nuovo davanti al carro, mostrandosi ai mercanti e sfoggiando il suo prelibato abbigliamento, deridendoli e beffandosi della loro stupida ed avida ingenuità.
I commercianti di pesce, quasi si sentirono male, nel vedere l'astuto Renart, mentre, soddisfatto, si apprestava a tornare nel bosco, nella sua tana.
Avrebbe mangiato da Re, per almeno due settimane."


Francis abbassò gli occhi verso Feliciano, accorgendosi che si era, finalmente, addormentato.
Guardò verso la tenda, per poi prendere in braccio il cugino e dirigersi in salotto.
Qui lo posò, sul divano, coprendolo e tornando in camera da letto.

Arthur era già sotto le coperte, guardandolo con aria di sufficienza.

"... Ma che bella storiella. Non sapevo che fossi anche un cantastorie." - Commentò ironicamente, fingendo disprezzo.

"... Lascia stare ..." - L'altro scosse la testa, tornando anch'egli a letto. - "Buonanotte ..."

... Forse, finalmente, si poteva dormire.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


NOTE. Rieccomi con il settimo capitolo ... Perdonate l'attesa, ma il mio pc continua a darmi problemi, e in più é un periodo duro anche con la scuola ... Non vedo l'ora che inizino le vacanze! DX
Comunque, non mi piace molto com'è venuto questo capitolo. Lo trovo un po' noioso ... Forse é anche colpa del mio umore ultimamente, che non é dei migliori ... Spero di rifarmi con l'ottavo =/
E spero, comunque, di non annoiarvi troppo ... Buona lettura! ^^; ♥

___________________________________________________________________________________________________ ~ Capitolo 7.





Tutto era avvolto nel silenzio.
La luce pallida penetrava appena dalla finestra, lanciando spiragli di vita nella stanza.
Gli occhi di Feliciano erano mezzi chiusi.
Se ne stava immobile e pensoso, quasi a domandarsi se fosse effettivamente vivo.

Cos'era successo ...?
E dov'era ...?
Aveva ricordi confusi, in merito.

Ricordava di aver fatto un brutto sogno, e di essersi precipitato, spaventato, da Francis ...
Un momento.
Quella era la casa di suo cugino, vero ...?
E perché era lì?
Perché mai non era a casa sua, nel suo - anzi - nel loro letto?
Loro ... Suo e di Gil.

Non appena la sua mente volò verso l'immagine dell'albino, sentì una stretta al cuore, ed il suo intero corpo tremò di dolore.
Emise un lieve gemito, e ancora non riusciva a realizzare il perché.
Cos'era successo ...?
Quella storia con Romano ... Era stata tutta un incubo, vero?
Allora perché, perché mai ora si trovava solo, senza alcune braccia attorno a lui, e senza dolci parole d'amore a svegliarlo ...?

"Oé! Reveille-toi!"



Quella voce ruppe improvvisamente il silenzio, ferendo i timpani assopiti dell'italiano, che istintivamente chiuse gli occhi e si raggomitolò ancora di più nel suo giaciglio, mentre sentiva il francese tirare le tende delle finestre, e sempre più luce entrare nella stanza, irradiandola da ogni parte.

Non udendo risposta, Francis si abbassò al suo livello, inginocchiandosi e sorridendogli paternamente, passandogli una mano sulla testa.
Infondo, forse era meglio lasciarlo dormire, il più possibile.

"Feli ... Io esco un attimo. Torno tra poco ... Hai capito? Ti ho lasciato qualcosa da mangiare sul tavolo, nel caso avessi fame ..."

"..." - Feliciano emise un lieve suono, come a confermare, senza muovere un solo muscolo.

Il francese si rialzò, scuotendo la testa e salutandolo un'ultima volta, prima di chiudere la porta di casa dietro di lui.
Sapeva bene che Feliciano avrebbe riposato ancora per un'ora o due.
Aveva sempre amato dormire, del resto!

Anche quando erano piccoli, e l'italiano andava a trovarlo in Francia, la situazione era la stessa.
Francis usciva presto di casa, a giocare sul prato fresco ed umido di rugiada del mattino, a raccogliere e lanciare sassi ed ammirare le nuvole bianche formarsi pian piano sul manto azzurro del cielo.
Faceva in tempo a fare un'abbondante colazione sul grande tavolo del salone al piano terra, uscire in giardino a giocare e pensare, rientrare e fare un salto nella grande biblioteca della sua famiglia, scegliere un libro di favole e tornare nella camera da letto.
Feliciano era sempre lì, ancora assopito, e Francis lo svegliava eccitato, impaziente di parlargli del libro che aveva scelto, di fargli assaporare la colazione al piano di sotto e di giocare con lui.
Intanto, si facevano sempre le undici, e la mattina era già da buttare, passata in solitudine a lanciare sassi e snocciolare pensieri in preda alla monotonia e l'attesa.

"... Ce ne hai messo di tempo!" - Commentò Arthur, vedendolo uscire dal portone del palazzo.

"Però, Rosbif! Cosa sono questi modi da spia segreta, ultimamente?" - Scherzò il francese, intravedendo le sue iridi color smeraldo dietro agli occhiali scuri, che splendevano al sole.

"... E' tutta colpa tua e di quello che c'é su in casa!" - Protestò, fingendo di sistemarsi gli occhiali da sole sul naso, per nascondere il lieve rossore delle gote.

"Non te l'ho chiesto io, di giocare all'agente segreto! Coraggio signor Kirkland, vinciamo la paura da palcoscenico, o no ...?" - Lo stuzzicò ancora.

"Basta con queste sciocchezze! Insomma, andiamo?"

"Oui. Ma giusto un salto in centro a prendere quello che serve, non voglio lasciare Feli da solo per troppo tempo..."

"Macchina?"

"... Mon amour, se andiamo a piedi passiamo più tempo insieme, non?"

"Ma non volevi tornare a casa in fretta ?!" - Protestò l'inglese arrossendo.

"... Allora infondo del mio cuginetto ti interessa qualcosa ..."

"Cosa c'entra! Lo dicevo per te! Jerk!"

"Lo so, lo so ... Allora, facciamo macchina."

"..." - Arthur non rispose, ma proseguì verso il parcheggio.

Gli sarebbe piaciuto passare più tempo con Francis ed andare a piedi, ma ...
Il francese voleva fare in fretta.
E, camminando per strada, tutti li avrebbero visti.
Avrebbero visto che erano insieme, che erano fidanzati, e chissà a quali altre cose avrebbero pensato.
L'auto era molto meglio ...
Già entrare nei negozi era una tortura, mentre si sforzava di comportarsi come se fosse stato un parente di Francis.
Ed infondo, quanto ne poteva sapere, lui, dei rapporti che intercorrevano tra parenti?

Stupido.
Stupido lui, e stupida la sua vita.
Se non fosse stato per Francis, suo veleno e sua cura, avrebbe forse voluto rinascere, azzerare tutto e ripartire da capo.

"Sembri silenzioso stamattina, dopotutto." - Commentò il francese, staccando per un attimo gli occhi dalla strada e dal volante.

"...!" - Arthur ebbe un lieve sussulto, e si ostinò a guardare fuori dal finestrino, annoiato. - "Uhm ... Cosa dovrei dire?"

"Dormito bene stanotte?"

"... Per un attimo ho pensato di dovermene restare impalato dietro la tenda fino a stamattina!" - Sbuffò l'inglese. - "Che al tuo cuginetto non venga più in mente di saltarti nel letto in piena notte!"

"Forse non lo avrebbe fatto, se avesse saputo che una persona dorme al mio fianco, da qualche mese a questa parte ..." - Lo incitò Francis.

Doveva dirlo.
Doveva farsi avanti, prima o poi.
Non potevano vivere tutta la loro vita così!
Ad Arthur non faceva certo bene.
E Francis non era abituato a tenere nascoste certe cose ... Lo trovava davvero insensato.

"... Non cercare di convincermi, perché tanto non cambierò idea!" - Si affrettò a controbattere il londinese. - "Piuttosto, hai almeno una vaga idea di quanto abbia ancora intenzione di rimanere?"

"Ad essere sincero, non saprei ... E' una persona piuttosto fragile, dopotutto, non so quanto tempo ci metterà a riprendersi del tutto ... Forse se trovasse qualcun altro sarebbe più semplice." - Spiegò il francese - "... D'altra parte, conoscendolo, cercherà di andarsene in fretta, per paura di disturbare ... Insomma, per lui la mia vita é rimasta invariata ..."

"Almeno il buon senso di farsi riguardi a rimanere in casa degli altri ..." - Borbottò infastidito Arthur, appoggiando i piedi sul cruscotto dell'auto.

"Togli i piedi da lì!" - Lo sgridò. - "E comunque, non é 'casa degli altri', é casa mia ... E dal momento che sono suo cugino, ed amico, ho il dovere ed il piacere di aiutarlo nei momenti di difficoltà!"

"... Sì, sì ... Siamo arrivati." - Concluse l'inglese, facendo cenno all'altro di posteggiare.

Proprio non riusciva a comprendere quel legame così forte tra Francis e suo cugino.
Come si può amare una persona in quel modo?
Come si può amare una persona senza il desiderio di condividere la tua vita con lei, in tutto e per tutto?
Come si può provare amore per qualcuno, senza la voglia di baciarlo fino a togliergli il fiato, farlo tuo e farti possedere da lui, fino a fondersi in un unico corpo ed un'unica anima?

Un momento.
Era davvero questo, il tipo di sentimento che lo legava a Francis?
Arthur voleva davvero questo?
Era davvero quello che desiderava, ogni volta che i suoi occhi color smeraldo si perdevano nelle iridi marine dell'altro ...?
L'inglese scosse la testa.
Pensare a queste cose gli faceva venire malditesta, oltre a farlo sentire strano.
Il suo cuore prendeva a battere più forte, e mentre nel corpo sentiva calore, la pelle prendeva ad irrigidirsi in una morsa di gelo.

"... Mi dia anche una confezione di caffé, grazie."

Arthur alzò lo sguardo verso Francis, mentre parlava al commesso.
Era davvero spensierato ...
Avrebbe tanto voluto essere come lui.
Mentre l'inglese, fissando il pavimento, covava in segreto una vergogna infondata, temendo gli sguardi ostili di perfetti sconosciuti, il francese camminava a testa alta, parlando e scherzando con tutti.
Quelli che per Arthur erano problemi esistenziali, motivo di insonnia ed emicrania, parevano non sfiorare minimamente i pensieri di Francis.
Per lui sembrava tutto tremendamente normale.

Invece no, non era normale.
Non era per niente normale.
Perché dovunque volgesse lo sguardo, vedeva uomini e donne baciarsi.
Perché da un uomo e da una donna era nato.
Perché fin da piccolo aveva creduto che quella fosse l'unica forma di amore esistente.
Aveva conosciuto, là in Inghilterra, ragazzi come lui.
Aveva visto alcuni prendersi gioco di loro, solo perché si amavano, e non nutrivano interesse - com'era normale che fosse, dicevano - per le ragazze.
Da allora, si era interrogato spesso su questi argomenti.
Tenendo segretamente nascosti i suoi desideri e le sue pulsioni, gettandosi volontariamente in una vita vuota lontano da tutti.
Solo perché sentiva di portare un grosso fardello sulle spalle.
Solo per paura di essere insultato a sua volta.
Solo con sé stesso.
Lui, lo scrigno dei suoi scomodi segreti, e nessun altro.



"Gilbert! Smettila!" - Gridò Romano, sorridendo e fuggendo dal tedesco con fare giocoso.

"Adesso ti prendo!" - Rispose l'altro, caricando la pistola ad acqua ed inseguendolo.

Le cime degli alberi carichi di foglie verdi e forti contrastavano con l'azzurro del cielo terso ed estivo.
Le ombre scure si posavano stanche sul muretto bianco che abbracciava e proteggeva la villa, come un piccolo angolo di Paradiso.
Romano e Gilbert correvano nell'immenso giardino, ridendo e giocando.
Sullo sfondo, una grossa piscina piena d'acqua fresca.
Ci passavano davanti, ricaricando le pistole e schizzandosi d'acqua, rinfrescando la pelle accaldata.

Posando lo sguardo a terra, l'italiano s'accorse di essere a piedi nudi, e il prato era disseminato qua e là di pomodori maturi, molli e marci.
Più giocava e rideva con Gil, più calpestava quei pomodori immondi, sporcandosi i piedi nudi di rosso, della loro polpa, rossa e succosa, come sangue rappreso.
E più li schiacciava, più il petto gli si riempiva di gioia, eliminando la rabbia e la tristezza, fino a non ricordare più da dove gli fossero derivate.

Ad un certo punto, tra i cespugli pungenti carichi di more mature, intravide Feliciano.
Il suo volto era avvolto nella tristezza, nudo e pallido, mentre cercava di nascondere il corpo con un pezzo di stoffa troppo piccolo per occultare la pelle lattea sporca e graffiata.
Sembrava così vicino a lui ... Eppure, sopra la testa del fratellino, il cielo pareva più grigio che mai, il prato era assente, rimpiazziato da terra dura e fredda, con qualche ciuffo di malerba scura qua e là.

Più Romano rideva, più giocava con Gilbert, più i suoi piedi si macchiavano di quella polpa rossa e appassita, facendo crescere la gioia nel suo corpo, più il volto di Feliciano si chiudeva in una smorfia di dolore e sofferenza, mentre la sua pelle si sporcava di terra e di fango, e i cespugli lo ferivano in modo più profondo.

"Feli!" - Fece in tempo ad esclamare sorpreso, come a chiamarlo, prima di essere avvolto dalle braccia forti dell'albino, al quale, pur osservando il fratellino, non aveva alcuna intenzione di sottrarsi.


Romano si svegliò di soprassalto.
Si passò una mano sulla fronte, respirando a pieni polmoni e fissando il soffitto.

Era mattina, vero ...?
Si ritrovò vestito, sul letto, così come ci si era sdraiato la sera prima.
A quanto pareva, doveva essersi addormentato ...
Il suo stomaco brontolò, sebbene l'idea di mangiare gli facesse venire la nausea.

Il suo sogno gli passò nuovamente davanti agli occhi, veloce come un treno, lasciandolo con un leggero malditesta.
Se Feliciano si sentiva così ...
Era colpa sua.
Sua, e di Antonio.
Soprattutto di Antonio.
Sì! Era colpa sua!

... O, forse, Romano aveva molta più colpa di quanto si ostinasse a credere.
Infondo, quello che, la sera prima, aveva provocato Gilbert, era stato lui, non certo lo spagnolo.
Era stato lui, a gettarsi tra le sue braccia, a baciarlo, a spingerlo sul divano e a stuzzicarlo fino a rendere per entrambi impossibile tornare indietro.

Specialmente per Gil.
Sapeva qualcosa della sua vita precedente, disordinata e allo sbaraglio, dopotutto.
Sapeva che, per quanto avesse amato Feliciano, prima o poi ci sarebbe cascato.

Era il motivo per cui, fino a quel momento, ci era andato piano, tanto dal rendere impossibile capire i suoi veri sentimenti.
Non voleva assolutamente compromettere la storia di suo fratello.

Ma i giorni passati tra bottiglie di alcool e pacchetti di sigarette, arrabbiato e disperato per la perdita di Antonio (perché sì, dopotutto, sbagliato o meno, cio' che Romano aveva fatto era ancora colpa dello spagnolo!), si erano fatti sentire, impossessandosi della sua mente e del suo corpo, facendolo agire secondo quei suoi repressi desideri e quelle agognate fantasie.

A questo pensava, mentre fissava il caffé scuro nella tazzina, soffiandoci sopra, per poi berlo tutto d'un sorso.
Si asciugò le labbra passandoci sopra un polso, gettando la tazza nel lavandino. Mise in bocca un biscotto, nella speranza d placare la nausea.

Vagò inquieto, lasciando scorrere la mano sul tavolo e tra le sedie, fino a raggiungere il salotto.
Come trasportato nel passato, mentre camminava, gli arrivarono al cervello, dritti e taglienti come pugnali, ricordi spezzati della sera prima.
Vedeva Feliciano, in lacrime, mentre guardava in direzione del divano.
Guardava le bottiglie di alcool sul tavolo, che - a dire il vero - giacevano ancora lì, mute e impassibili, mentre poco più avanti, seguendo lo sguardo del fratello, vide sé stesso, e Gil.
Altre memorie tornarono alla luce, e mentre Feliciano se ne stava pietrificato, lui e l'albino facevano l'amore.
Romano lo baciava, lo abbracciava, lo mordeva, pretendendo ed elemosinando dolore e piacere, dopo il doloroso colpo infertogli da Antonio, più masochista ed affamato che mai.
Gilbert, come una preda rassegnata nelle mani del suo predatore, ormai lo assecondava in ogni sua mossa, mentre la figura di Feliciano, affranta, svaniva dietro la porta ormai chiusa, e gli stessi amanti prendevano a sbiadire, fino a rivelare di nuovo il presente.

Avvicinandosi al divano, Romano vide qualcosa luccicare tra i cuscini.
Vi infilò la mano, avvertendo qualcosa di duro e freddo, per poi estrarla nuovamente, con l'oggetto incriminato.
Era un ciondolo: una croce di ferro nera e splendente, infilata in un cordino di stoffa scura.

Quella collana ... Non era forse quella che Gil portava sempre al collo?
Il ragazzo raramente se ne separava ...
Doveva averla dimenticata lì, dopo aver discusso con Romano ed averlo lasciato solo.
Avrebbe dovuto chiamarlo ... Chiamarlo e restituirgliela.

Era il caso ...?
O avrebbe dovuto aspettare la sua chiamata?
Al pensiero di rivedere il tedesco, il cuore gli batteva più forte che mai, e per un attimo il dolore di Feliciano non gli passò nemmeno per la testa.
La sera precedente era stata un vero disastro, forse la cazzata più grossa che avesse mai combinato ...
Ma, allo stesso tempo, solo ripensare a quei momenti, con Gilbert e nessun altro, lo emozionava.

Rimase con la collana tra le mani, vagando di nuovo per le stanze e decidendo di prendere una boccata d'aria sul balcone.
Aria, aveva bisogno di respirare e non pensarci per un po'.


Spinto dai lamenti del suo stomaco, Feliciano decise, finalmente, di alzarsi.
Si stirò, sbadigliando ed asciugandosi qualche lacrima dagli occhi, iniziando a guardarsi attorno.
Prima che la sua mente potesse volare verso qualsiasi triste pensiero, un profumo lo guidò fino al tavolo del salotto.

"Veeeeh!" - Esclamò estasiato, notando la tavola imbandita, ed un biglietto.

Bonjour, Feli!
Ho pensato di prepararti qualcosa da mangiare per colazione, se ti va.
Se ne hai bisogno, usa pure la cucina come preferisci.
Bon appétit!

~ Francis
.


Una grande tazza piena di latte riposava davanti all'italiano, contornata da biscotti, brioches e marmellate, il tutto adagiato sopra una tovaglietta di stoffa, sulla quale, in un lembo, era ricamata una piccola torre Eiffel, contornata di fiori rosa, gialli e blu.

Feliciano sorrise stanco.
Lo stomaco gli brontolava, eppure non sentiva particolarmente il bisogno di mangiare.
Bevve appena un sorso di latte, per poi mettere tra i denti un biscotto, giocherellando con il cucchiaio.

Ma chi voleva prendere in giro ...?
Fingeva di agire come se non fosse accaduto niente, ma, per quanto una parte di sé se ne volesse convincere, l'altra non abbandonava mai i ricordi della sera precedente.
Si era avvinghiato ad essi, e mentre mangiava, ogni biscotto, ogni brioche, ogni cosa lo faceva pensare a Gilbert.

Al suo Gil ...
Come aveva potuto fargli questo?!
E non solo lui ... Anche suo fratello!
Perché?
Perché, proprio le persone che amava, avevano fatto in modo di farsi odiare da lui?
Proprio mentre cercava di consolare le ferite di Romano, questi già si stava preparando ad inferirgliene altrettante.
Non era giusto ... Cos'aveva fatto di male?

"Scommetto che a letto non ve la intendete più di tanto. Gli fai fare tutto cio' che vuole, come se fossi un cagnolino bastonato, perché hai paura di perderlo."


Le parole di suo fratello gli scoppiarono dentro come una bomba.
Aveva ragione ...?
Era quella la causa per cui Gil l'aveva tradito ...?
Perché sì, per quanto odiasse ammetterlo, sia a sé stesso che agli altri, era vero: lui e Gilbert non avevano mai avuto grande intesa, in quel senso.
Quei sogni che l'albino gli raccontava, in cui lui, Feliciano, lo provocava maleducatamente, tra parolacce e frustrate, erano il riflesso dei suoi desideri.
Desideri che Feli esitava a far avverare.

No, non ne era proprio il tipo.
Le rare volte che lo faceva, era solo per volere dell'albino, e l'italiano provava quasi un senso di umiliazione, che odiava.
Non importava quanto amore Gilbert ci mettesse, il solo pensiero di farlo in quel modo, lo faceva sentire a disagio.

Forse in Romano aveva trovato cio' che da lui non era mai riuscito ad ottenere.
Quella naturale maleducazione, quella consapevolezza del proprio corpo e delle proprie capacità, che erano caratteristiche di suo fratello, totalmente estranee a lui.
Eppure, Feliciano lo amava ...
Lo amava tanto.
Allora, perché ...?
Perché non potevano vivere leggeri, come su soffici nuvole, ad abbracciarsi e baciarsi tra profumi e dolci parole d'amore?
Perché mai Gilbert voleva altro da lui?
Come potevano, quelle pratiche, essere modi per dimostrare quell'alto sentimento che era Amore?
Come potevano, parole lanciate con ferocia come pugnali, sciogliere il cuore dell'altro come miele dorato nel latte caldo?

Uscì sul balcone, e, fissando la strada, si accorse di un volto noto.

"Uhm ... Arthur! Hey Arthur!" - Lo chiamò, vedendolo in mezzo alla strada, mentre si allontanava dal palazzo in cui Francis abitava.

L'inglese si voltò infastidito, e per poco non gli venne un colpo.
Ancora lui ?!
Insomma, che faceva quel ragazzo? Lo stava pedinando ?!
Guardò nella sua direzione ed accennò un saluto, per poi voltarsi di nuovo e procedere per la sua strada.

Doveva essere ancora in casa di quel suo parente.
Aveva forse dormito lì, la notte ...?
Che strano, eppure quel balcone gli era familiare.
Gli ricordava tanto quello di ...
Francis!
Quel balcone ... Era il suo - anzi - il loro balcone!

Quello, quindi, doveva essere ...
Ad Arthur mancò il respiro.
... Il cugino di Francis!

Senza accorgersene, l'inglese aveva già accelerato il passo, per sparire poco dopo dietro l'angolo.

Quella scoperta non cambiava nulla, vero?
Solo perchè conosceva, almeno vagamente, quel famigerato 'Feli', questo non significava necessariamente che dovesse rivelargli la sua storia con Francis.
Insomma, cosa avrebbe dovuto fare ?!
Entrare da quella porta? Stringergli la mano?
Dirgli tranquillamente "Oh, ciao! E così tu sei il cugino di Francis, eh? Chi l'avrebbe mai detto! E pensa un po', io sono il suo fidanzato!".

No.
Era assolutamente impensabile.
Non avrebbe mai fatto nulla del genere.
Che gli importava, a quel ragazzo, della sua vita privata?
Era un parente di Francis, e allora?
Solo perché, contro ogni sua intenzione, si era ritrovato a conoscere un membro della famiglia del francese, questo non doveva certo significare che avrebbe ceduto.
Non dopo tutto quel tempo!
A cosa erano serviti, quei mesi in cui entrambi avevano mantenuto il segreto?!
Semplicemente ad aspettare che uno qualsiasi arrivasse a distruggere ogni cosa ?!
Nossignore.
Doveva tacere.
Tacere e fare come sempre.
Anzi, alzare ancor più le difese, ora che conosceva 'il suo nemico'.

"Feli! Sono tornato!" - Esclamò Francis, aprendo la porta.

"Francis!"- Rispose l'altro, correndogli incontro ed abbracciandolo.

L'altro sorrise paternamente, abbracciandolo di rimando. - "Comment ça va ...?"

"Mmh ... Bene ..." - Assicurò Feliciano in un filo di voce, ma le sue parole sapevano di bugia. Non stava neppure a guardare il francese negli occhi, ma anzi, si nascondeva ancor più nel suo petto.

"..." - Francis rimase ad accarezzargli la schiena e la testa per un po'.

L'italiano rimase immobile, col volto in cerca di protezione.
Sapeva bene di mentire.
Sapeva bene che Francis lo aveva capito.
Ma rispondere diversamente, lo avrebbe solo spinto a pensarci di nuovo, ancor più intensamente, e non aveva voglia di piangere ancora.
I suoi occhi bruciavano ancora per le lacrime versate.

Il francese si abbassò al suo livello, dandogli un bacio sulla guancia, per poi alzare gli occhi verso la tavola. - "... Vedo che ti sei servito!".

"Non molto, ho bevuto solo un po' di latte e mangiato qualche biscotto ..." - Spiegò Feliciano, e per un attimo si sentì in colpa: Francis aveva preparato tutto quel ben di Dio, solo per lui ...

"Non importa! Se non hai fame non devi sforzarti ..." - Gli poggiò una mano sulla spalla. - "Dimmi pure quando hai fame, così prepariamo il pranzo."

L'italiano annuì, per poi sedersi sul divano, volgendo lo sguardo verso il francese in cerca di una conferma, prima di accendere la televisione.
Voleva non pensare a nulla ...
Avrebbe tanto voluto svuotare la sua testa di tutto, rimanere con gli occhi incollati allo schermo, privo di emozioni, con immagini e suoni che lo attraversavano senza lasciare alcun ricordo.
Francis rimase un attimo ad osservarlo, per poi iniziare a sparecchiare la tavola.

Stava pensando ad Arthur ....
Quel testardo se n'era andato di nuovo, congedandolo sulla via del ritorno, senza alcuna intenzione di mettere piede in casa.
Aveva deciso di pranzare fuori, in qualche tavola calda, e lo aveva intimato a chiamarlo solo qualora Feliciano se ne fosse andato dalla loro casa, o se si fosse addormentato.

La situazione stava diventando insostenibile ...
Doveva trovare un modo per convincere Feliciano a tornare a casa: con Arthur c'erano ben poche speranze, e non avrebbero retto per molto in quel modo.
Con l'inglese che continuava ad andare e venire, e Feliciano in casa, Francis avrebbe fatto fatica a dividersi tra i due.

Per un attimo, provò profonda rabbia per Arthur.
Perché quell'inglese stava complicando la vita di entrambi, facendosi problemi che nemmeno esistevano.
Se solo non avesse avuto la testa così dura ...!
Feliciano sarebbe potutp andare a casa da loro, Arthur presentarsi con nonchalance, e non ci sarebbe stato alcun problema.
... Certo, forse presentare il suo fidanzato, mentre la storia di suo cugino stava cadendo a pezzi, non era il massimo ...
La soluzione era ancora più indietro nel tempo.

Se, il giorno in cui entrambi capirono di essere innamorati l'uno dell'altro, Arthur non si fosse ostinato a negarlo!
Se avesse accettato la cosa, se Francis non avesse dovuto rendere il loro fidanzamento 'ufficialmente segreto', tutto sarebbe stato molto più semplice!
... Ma, di nuovo, Arthur era estremamente testardo, e non era facile fargli cambiare idea.
Ma il francese sperava, prima o poi, di farcela.


Il sole era ormai alto nel cielo chiaro e terso.
Gli uccellini cinguettavano spensierati, accarezzati e bagnati dalla luce splendente del mattino, mentre saltellavano da un ramo all'altro degli alberi, talvolta aggrappandosi ai vicini cavi della corrente, e adagiandosi sul davanzale delle finestre.

"Eliza ..." - Roderich sussurrò appena nell'orecchio della moglie, sedendosi sul letto al suo fianco, accarezzandole i capelli e sistemandole una spallina della camicia da notte, che le era caduta lungo il braccio.

"Mmh ..." - L'ungherese nascose il volto nel cuscino, muovendo le spalle per liberarsi dell'austriaco. - "Che ore sono?"

"... Le undici, ormai." - Rispose Roderich, guardando distrattamente l'orologio sul comodino. - "Non dovevi chiamare Feliciano ...?"

"...!" - La ragazza si alzò di colpo, facendo trasalire il marito. - "E' vero! Accidenti!"

"Ho provato a svegliarti prima, ma non davi segni di vita ... Eri davvero distrutta ..." - Spiegò l'austiaco, baciandola sulle labbra ed alzandosi a sua volta.

"Ieri sono successe troppe cose ... Gli straordinari, la storia con Feli ..." - Fece una pausa, annusando l'aria e guardandosi intorno - "Cos'é quest'odore?"

"... La torta. Dev'essere pronta!"

"Torta ?! Ma l'hai finita appena ieri sera!" - Commentò sorpresa Elizaveta. Eppure, non doveva essere così sbalordita: Roderich era sempre stato goloso, tanto di dolci quanto di musica. - "... Non un'altra Sacher, spero ..."

"... No." - L'austriaco scosse la testa, avvicinandosi all'ungherese ed abbracciandola da dietro, sussurrandole dolcemente all'orecchio. - "... Avevo in mente qualcosa di più fresco ... Panna e fragole. Ti va?"

"Certo ..." - Rispose Elizaveta, per poi aggiungere, in un tono al contempo regale e giocoso - "... Di' pure al nostro chef, che la contessa gradisce il dolce da lui scelto."

"... Glielo riferirò appena possibile ..." - Roderich rimase allo scherzo. - "Ma ora, con il cuore in mano, questo nobile austriaco vorrebbe sapere cosa la contessa Hedervary ha contro le Sacher ..."

"Niente ..." - La donna sorrise, per poi voltarsi e toccare dispettosa le guance dell'altro - "... Ma se continua così, conte Edelstein, tra un po' non avrò più un marito per casa, ma una Sacher che cammina!"

"...!" - L'austriaco trattenne il respiro per un istante, socchiudendo gli occhi, per poi andarsene fingendo di essere offeso. - "Vado a guarnire la torta ..."

"Chiamo Feli ..." - Informò la ragazza, per poi aggiungere - "Ah, Roderich. Scusami se ti lascio solo ..."

"Non importa!" - La rassicurò l'uomo - "Non preoccuparti, magari faccio un salto in qualche locale e poi torno a casa."

"Mmh ... Basta che nessuna damigella da quattro soldi ti faccia la corte!"

"Non accetterei, il mio cuore le appartiene, contessa ... Con permesso." - Si allntanò definitivamente, lanciandole un ultimo sorriso pieno d'amore.

Elizaveta ricambiò lo sguardo, per poi prendere in mano il cellulare, che sonnecchiava sul comodino.

Doveva chiamarlo.
E se stava ancora dormendo ...?
O magari stava piangendo ...
Beh, era a casa di suo cugino, del resto.
Probabilmente era stato in grado di confortarlo ... Forse più di quanto non avesse mai potuto fare lei.
In ogni caso, desiderava davvero alleviare le sue sofferenze e farlo pensare ad altro.
Non avrebbe avuto il cuore in pace prima di essere riuscita a portarlo, per un momento, fuori dalla cruda realtà.


Francis stava iniziando a preparare la cena, quando vide Feliciano osservarlo, appoggiato allo stipite della porta, con un lieve sorriso.

"Vuoi aiutarmi?" - Gli chiese, sorridendo. L'italiano annuì. - "... Perché non inizi ad apparecchiare? Ho già messo la tovaglia ..."

"Va bene." - Sussurrò, dirigendosi verso il salotto.

Rimase un attimo in silenzio, guardandosi attorno, per poi ricordare dove Francis teneva i piatti.
Aprì piano il mobile, prendendo quanto gli serviva.
Nell'oscurità, aveva notato un piatto diverso dagli altri, più grande e colorato.

"Uh, non avevo mai visto prima questo piatto! E' nuovo?" - Esclamò Feliciano, prendendolo in mano e posando gli altri sul tavolo.

"Quale ...?" - Il sorriso sul suo volto svanì, e la sua pelle divenne più pallida, quando girò lo sguardo verso il ragazzo più giovane, senza trovare le giuste parole.

Era un piatto piuttosto grande.
Con l'esterno in ceramica bianca, come tutti gli altri.
All'interno, era blu.
Blu, con strisce bianche.
E su queste, altre strisce più sottili, rosse.

No ... No, doveva essere un incubo.
Quel piatto era un regalo di Arthur.
Come aveva potuto essere così stupido ?!
Aveva nascosto tutto con cura, eppure ... Quel piatto!
Ed ora, cosa avrebbe fatto?
Cos'avrebbe detto?
Certo, era un piatto, uno qualsiasi, una di quelle cose che si trovano facilmente nei negozi, se si cerca nei posti giusti.
Ma quando si nasconde qualcosa, ogni scusa pare poco convincente agli occhi di chi la inventa.

"Veeeeh? E' un regalo di qualcuno?" - Chiese incuriosito l'italiano, osservandolo con attenzione.
"... Sì." - Dopo una lunga attesa, la conferma uscì dalla bocca di Francis senza che se ne fosse reso conto.

Ed ora, cosa poteva inventarsi?
Non poteva dire la verità ...
Non importava quanto lui avesse desiderato farlo.
Il suo Arthur non voleva.

"Oh ..." - Feliciano si guardò in giro, indeciso su come affrontare l'argomento. - "Uhm, qualcuno dei tuoi ..."

"Sì." - Lo interruppe freddo, ancor prima di lasciargli finire la frase.

Qualcuno dei suoi amanti?
Ebbene, sì.
Ma non avrebbe detto tutta la verità ... Indizi sparsi per ora erano sufficienti ad alleviare la colpa che sentiva gravare sulla sua testa.
Tenere i parenti all'oscuro di tutto.
Dover accettare le richieste di Arthur, che voleva tenersi all'oscuro da tutti.

"..." - L'italiano sorrise lievemente, un po' in colpa. - "Uhm, scusami ... Se sto qui da te ... E non puoi invitare nessuno qui..."

"V-Va bene! Ne t'inquiète pas!" - Rispose svelto il biondo, per poi fare un sospiro. - "Me l'ha regalato un ragazzo inglese ... Un mese fa, più o meno ..."

"Non l'hai più rivisto ...?"

"No. Mai più." - Quelle parole facevano male, ma sapeva che Arthur gliene avrebbe fatto di più, se avesse rivelato qualcosa.
Per quanto non lo considerasse giusto, continuò a mentire.

"Mi dispiace ..." - Feliciano lo raggiunse in cucina, accarezzandogli un braccio. - "Spero che tu prima o poi possa trovare la persona giusta ..."

A quelle ultime parole, l'italiano si morse il labbro inferiore ed abbassò gli occhi, ripensando a come lui, quella persona, l'avesse appena persa.
Cercò di mandare indietro le lacrime, e gonfiò appena le guance pallide e piene.

Francis, notando come il volto del cugino stesse cambiando espressione, lo accarezzò di rimando, baciandolo sulla testa.

"... Lo spero ... Moi aussi." - Concluse, con la voce decisa dietro la gola tremante, conscio delle sue menzogne.

"A proposito di inglesi! Ieri sera quando sono venuto qui, ho incontrato un ragazzo londinese giù all'entrata! Diceva di avere dei parenti qui ... L'avevo incontrato anche qualche giorno fa alla fermata dell'autobus, e stamattina sotto casa! Magari lo conosci ..." - Spiegò Feliciano, ingenuo ed innocente come al solito. Neppure immaginava la tensione che la notizia stava provocando nel cugino. - "Si chiama ... Uhm, Arthur, mi pare!"

Il francese si sentì svenire.
Il cuore pareva aver smesso di battere.
Il sangue nelle vene, come congelato.
La gola secca ed un profondo senso di angoscia e paura.

Cosa doveva fare?
Gli stava servendo la possibilità di spiegare ogni cosa, su un piatto d'argento.
Arthur l'avrebbe forse odiato.
Si sarebbe arrabbiato con lui.
Ma, alla fine, sapeva che avrebbe capito.
Anche l'inglese, nonostante la paura che lo immobilizzava, sapeva benissimo che non poteva vivere tutta la vita in quel modo.

"Feli, io ..."

Il cellulare di Feliciano prese a squillare.


Il francese si interruppe all'istante.
L'italiano si scusò con la mano, e si diresse in salotto, prendendo in mano il telefonino.

"Pronto ...?"

"Feli! Sono Eli. Come stai?"

"Bene ..." - Si sforzò di rispondere Feliciano, ma, come sempre, la sua voce lo tradiva.

"Hai impegni per stasera?" - La voce allegra di Elizaveta contrastava di proposito con quella debole e preoccupata dell'italiano.

"Uh ... Immagino di no ..." - Scrollò le spalle, guardando prima per terra, e poi Francis, il quale continuava ad aprire e chiudere indaffarato le ante dei mobili, andando e venendo dalla cucina con fare estremamente nervoso.

"Vuoi venire con me in centro? Stasera ci sono anche le bancarelle! So che ti piacciono!" - Cercava in ogni modo di coinvolgere Feliciano e di catturare il suo interesse.

"..." - Il ragazzo rimase in silenzio per un istante.

Le bancarelle ...?
I ricordi pungevano negli occhi e sulla pelle, agitando il suo cuore, costretto tra fasci d'ortica e spine scure.
Quante volte ci era andato con Gil, in centro!
Quante volte gli aveva comprato regali, passando per quelle bancarelle!
Erano oggettini di poco conto, senza valore.
Ma per lui, erano davvero importanti.
Testimoniavano il suo amore ...
Perché non trovava cosa più bella da donare, se non il suo cuore, da passargli nelle mani chiuso in scatoline di legno, intrecciato in braccialetti di stoffa e di pelle, o nascosto nell'anima di qualche piccolo soprammobile.

"... S-Sì. Mi farebbe molto piacere!" - Rispose infine, imitando l'allegria della donna, e nascondendo a se stesso il principio di una lacrima.

"Ok! Passo sotto casa tua verso le nove e un quarto, va bene?"

"Va bene ... Uhm, non a casa mia, però, da Francis ... Veh, ora devo andare ... A dopo!" - Concluse l'italiano, interrompendo la chiamata.

"Fratellone!" - Chiamò poi, raggiungendo Francis in cucina.

"Feli!" - Gli sorrise il francese, cercando di scordare quanto avvenuto prima.

Stava per rivelargli ogni cosa.
Era l'occasione giusta.
Eppure, erano stati interrotti.
Forse il destino aveva in riservo altre occasioni, anche migliori, per fare quell'annuncio.
O, forse, Arthur e Francis erano destinati a vivere per sempre nell'ombra.

"Stasera vado con Elizaveta in centro ... Alle nove e un quarto viene qui." - Spiegò l'italiano, e per un attimo il suo volto si dipinse di malinconia, mentre si avvicinava al francese, gettando le braccia attorno ai suoi fianchi - "Veh, scusami se non ti ho chiesto il permesso ..."

"Permesso? Ma di cosa parli!" - Fece una risata, passando le dita tra i capelli di Feliciano, appena sopra la nuca. - "Non devi certo chiederlo! Fai ciò che senti!"

"Mmh ... Grazie." - Sorrise un poco, lievemente, rilassando i muscoli.


Gilbert si svegliò stanco sul letto, sbirciando lì vicino e notando che suo fratello non c'era: era sempre stato molto mattiniero, a differenza sua.
Si guardò in giro, grattandosi la testa ed alzandosi, facendo cadere l'occhio sull'orologio.

Erano le dodici passate.
Aveva dormito davvero molto, più di quanto credesse.
Emise un lamento a bocca chiusa, stropicciandosi un occhio ed uscendo dalla camera da letto.
Diede un'occhiata in giro, ma Ludwig pareva non esserci.
Prese in mano il cellulare, notando che c'era un messaggio.

Gil, sono in rosticceria. Vuoi qualcosa in particolare?


Notando che era stato inviato quasi mezz'ora prima, l'albino decise di non rispondere.
Sicuramente, Ludwig, non ricevendo risposta, aveva provveduto da sé.
Dopotutto, Gilbert non aveva nemmeno molta fame.

Si sciacquò il viso con l'acqua fresca, ma le preoccupazioni non scivolarono via con essa.
Il volto triste di Feliciano, era indelebile nella sua mente.
Così come quello di Romano, più scuro e provocante, mentre, ubriaco ma sincero, l'aveva tentato fino a farlo sprofondare nel peccato.

E, stavolta, non ci sarebbe stato nessun angelo meraviglioso, dalle guance di latte e dai capelli color tramonto, a tendergli una mano per salvarlo.

Il suo cuore si strinse, in un misto di piacere e pentimento, pensando a come, dopotutto, quell'incontro con Romano non gli era dispiaciuto.

Quello era il vecchio Gil.
In tutto il suo viscido egoismo.
In tutta la sua voglia di divertirsi, senza curarsi dei sentimenti degli altri.
Credeva di essere cambiato.
Credeva che quell'angelo l'avesse davvero reso un'altra persona.
Invece, appena tentato da un demonio, ecco che ci era ricaduto.
Il vecchio Gil era sempre rimasto in agguato.

D'altra parte, la sera precedente, aveva provato sensazioni diverse, da quelle di quei tempi.
Forse era solo un'impressione, perché da allora era trascorso molto tempo.
Forse era la grande somiglianza tra Feliciano e Romano, ad averlo confuso.
Oppure, proprio non riusciva a capacitarsene.

Cio' che aveva sentito ... Somigliava a cio' che provava per il suo fidanzato (e, nella mente, gemette al pensiero di dover arrivare a definirlo 'ex'), in un certo senso.
Meno chiaro e distinto, probabilmente meno intenso.
Eppure, mentre lo guardava negli occhi ambrati, facendo navigare lo sguardo tra i suoi capelli scuri, aveva provato piacere.

Un piacere diverso da quello a cui il vecchio Gil era abituato.
Un piacere che non derivava dalla semplice situazione in cui si erano ritrovati.
Era quello sguardo, puramente a sé stante, ad averlo mosso.
Così diverso dallo sguardo innocente di Feli, nonostante le iridi fossero le stesse.
Diverso, ma dannatamente intrigante.

Un rumore di chiavi squarciò i suoi pensieri


Poco dopo, vide Ludwig rientrare.

"Guten Morgen." - Lo salutò Ludwig, chiudendo la porta ed appoggiando le borse di plastica sul tavolo.

"Guten Morgen, bruder!" - Gilbert era bravo a nascondere le sue incertezze. Sicuramente più dei due italiani.

"Tutto bene ...?" - Gli chiese il biondo, guardandolo e cercando di vedere oltre le sue parvenze.

Conosceva suo fratello.
Capiva quando fingeva.
Rimase a fissarlo, i suoi occhi d' acquamarina incastonati in quelli di rubino del fratello maggiore.

"... Sì." - Rispose, cercando di non parlarne, aggiungendo un solo, veloce - "Solo incasinato, te l'ho detto."

"Spero ... Che tutto si sistemi." - Concluse Ludwig, deglutendo e sentendo come il suo cuore assopito protestò, come a dichiarar guerra alla sua mente, facendolo sentire il peggiore tra gli uomini. - "... Spero di aver comprato cose che ti piacciano."

"Ne sono sicuro, bruder." - Cercò di essere il più naturale possibile. - "Tiro ad indovinare? Wurst e birra!"

"Bravo ..."

"Non ci vuole molto! Sei troppo prevedibile, fratellino!" - Rise chiassoso, sperando di coprire i suoi stessi pensieri con la voce.

"Perché non ti vesti, mentre apparecchio?" - Gli consigliò, ignorando completamente l'ultima battuta di Gilbert.

"Come vuole, é casa sua! Prendo i tuoi vestiti."

Si diresse di nuovo in camera da letto, e si guardò per un attimo allo specchio.
Era magnifico, come al solito.
Eppure, la parola 'bastardo' gli arrivò alla mente molto prima di qualsiasi altra.

"Sei troppo figo! Oh, Magnifico Me, se solo potessi uscire dallo specchio e farmi compagnia!" - Pensò, distraendosi e rimirandosi come il più orgoglioso e vanitoso degli adolescenti.

Guardò meglio.
Le gambe dritte e perfette, robuste quanto bastava, né magre né grasse.
I boxer neri e semi-lucenti, adagiati sulle cosce magnifiche, a proteggere e nascondere il meglio di sé.
Sopra, la canottiera bianca, da cui si intravedeva appena il suo magnifico petto (e, che dispiacere era per lui non poter andare in giro nudo, a far godere gli occhi di tutti della sua magnificenza!), e da cui sbucavano le braccia forti e sode, con i muscoli appena accennati, perfetti e non volgari.
Davvero meraviglioso (cercava di convincersene, cacciando via i sensi di colpa e l'immagine dei due fratelli), eppure mancava qualcosa.

Ma certo ... Che stupido!
Come aveva fatto a non accorgersene prima ?!
La sua collana!

... Doveva essere rimasta a casa di Romano.
La rivoleva indietro, ovviamente.
Eppure, il pensiero di mettere di nuovo piede in quella casa, lo inquietava e compiaceva al tempo stesso.

~ Continua.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


NOTE. Capitolo Ottavo ^o^ ... Alla fine della scuola manca poco, e ormai non ho più impegni ... Così credo che potrò dedicarmi meglio a questa fanfiction. C: ... Mi scuso per i toni "non proprio pacati" in alcuni punti ... 'xD
Buona lettura ♥

~ Ary.


____________________________________________________________  ~ Capitolo 8

Il sole era ancora alto e caldo nel cielo, benché il pomeriggio stesse ormai volgendo al termine.
Romano era rimasto chiuso in casa.
Il solo pensiero di uscire, lo faceva stare male.
Cosa lo aspettava, là fuori ... ?

Avrebbe potuto incontrare Antonio.
Magari in compagnia della sua dolce, nuova, metà.
La metà che l'aveva sostituito.
La ragione per cui lo spagnolo lo aveva gettato via, dopo anni, come un oggetto ormai inutile.
Come un qualcosa di già usato, sporco e logoro, di cui sbarazzarsi, a favore di un giocattolo nuovo.
E quella ragazza, a quanto pare, era il suo nuovo giocattolo.
Sì, una di quelle bambole odiose, bionda e sorriso smagliante, che solo a pensarci gli dava il voltastomaco.
Come aveva potuto, quel bastardo, mollarlo per Bella ?!

Perché mai non se n'era rimasta in Belgio ?!
Là, tranquilla, a farsi gli affari propri insieme a quel drogato di suo fratello!
Che motivo aveva avuto per trasferirsi in Italia ?!
Che motivo, e che diritto aveva di rovinargli la vita ?!

Anzi ... Gliel'avevano rovinata.
Tutti e due.
Lei e, forse ancora di più, Antonio.
Perché, anche lui, non se n'era rimasto in Spagna ?!
Lui, 'las siestas' e 'los tomates'!
E, nella mente di Romano, ancora risuonava quella lingua odiosa ...
Quanto avrebbe voluto dimenticarla per sempre, fare reset, facendo finta di non averla mai sentita prima!

"Tsk ... Si sono proprio trovati ... Quei due stronzi!" - Commentò ad alta voce il ragazzo, con la voce smorzata dal nervoso.

Sentì qualche lacrima iniziare a bagnare i suoi occhi, e d'istinto li chiuse, gettando la testa tra i cuscini del divano ed appoggiando le labbra alla collana di Gilbert.
Come se quel pezzo di ferro, scuro e freddo, fosse il suo collo.
Come se, avere quel ciondolo tra le mani, significasse avere l'albino lì con lui.
E mentre una parte di sé si sentiva in colpa per Feliciano, l'altra non poteva fare a meno di eccitarsi all'idea.

Però ...
Doveva chiamarlo.
Per quanto avesse voluto rimanere con quella collana tra le mani per sempre, era giusto avvisarlo.
Eppure, qualcosa lo bloccava.
A quel ciondolo, e a quell'incontro, era legato il suo futuro.

Poteva consegnarlo a Gilbert, e magari ottenere in cambio non quello stupido simbolo, ma il corpo e la mente del tedesco.
Tutto, tutto suo.
La sua anima e il suo corpo.
Allora, non avrebbe più dovuto piangere fissando il soffitto, abbracciando uno stupido cuscino pensando ad Antonio, o baciare quel ciondolo immaginando che fosse l'albino.
Avrebbe avuto il suo amore segreto.
L'uomo che aveva bramato in segreto per anni.
Solo suo.

Eppure, le cose sarebbero potute andare diversamente.
Cosa sarebbe successo, se Gilbert fosse stato arrabbiato con lui?
Gli avrebbe strappato di mano la sua amata collana, gridandogli parole di odio, perché amava Feliciano, e questi probabilmente non voleva più saperne nulla.
Lo avrebbe insultato, fino a fargli passare la voglia di pensare a lui.
Allora, a Romano non sarebbe rimasto nemmeno quel ciondolo con cui sfogarsi.
Nulla in quella casa avrebbe più avuto il suo odore.
Sarebbe rimasto solo, di nuovo, con il fantasma di Antonio a seguirlo in ogni stanza.

Premette le labbra contro la croce di ferro, in un bacio disperato, per poi stringerla forte al suo petto, sopra il cuore.
Serrò i denti, come a tenersi dentro il nervoso e la tensione, fino a tremare e sudare.
Eppure, prima o poi doveva dirglielo ...
In ogni caso, se non l'avesse fatto in tempo, Gilbert lo avrebbe preceduto.


"Fratellone ..." - Lily attraversò in punta di piedi la porta della stanza, intravedendo Vash tra le lenzuola.

"... Cosa c'é?" - Chiese lo svizzero, un po' freddo come al solito, senza nemmeno alzare la testa dal cuscino.

"Uhm, stasera possiamo ..." - Si molleggiò sulla caviglia destra, come a cercare le parole giuste. - "... Andare alle bancarelle?"

"...?"

"In centro ... A scuola ho saputo che ci sono le bancarelle e ... Lo so che sei stanco, ma é da tanto che non usciamo insieme la sera ..." - Spiegò timidamente.

Sapeva che Vash era stanco per via del lavoro, ma Lily ci teneva davvero.
Amava uscire la sera con suo fratello ... Forse proprio perché la cosa era molto rara, specialmente nei periodi lavorativi.

"..." - Lo svizzero sospirò appena. - "... Va bene."

"D-Davvero?" - Lily balbettò, sorpresa della risposta positiva, sentendo il cuore traboccare di felicità.

Si fece più vicina, saltando sul letto ed abbracciandolo.

"Grazie fratellone! Grazie!" - Lo ringraziò, in ginocchio sul materasso e le braccia attorno al suo collo, abbassandosi per dargli un affettuoso bacio sulla guancia.

"...!" - Sentendosi soffocare, il biondino l'allontanò, allo stesso tempo dolce e freddo, lasciandola in ginocchio al suo fianco, e dandogli una carezza sul viso. - "Vuoi stare un po' qui con me ...?"

La domanda sorprese entrambi.
Perché Vash non era una persona dolce, e spesso si dimostrava freddo e serio anche nei confronti della sua sorellina, pur volendole un bene immenso.
Si sarebbe gettato nel fuoco, per lei, anche se non amava darlo a vedere.
Non era un tipo affettuoso, a differenza di Lily.

Le sue dimostrazioni d'affetto gli facevano sentire un calore nel cuore che non provava da tantissimo tempo.
I suoi abbracci, le sue carezze, i suoi baci ... Ogni volta, chiudendo gli occhi, si sentiva per un momento sollevato da tutti i problemi, come quando era solo un bambino e lei non esisteva ancora.
Come quando loro madre era ancora viva, e li amava come solo una mamma può fare.

Era una sensazione stupenda ...
Ma proprio perché si sentiva trasportato in un altro mondo, si sentiva in dovere di reagire e far cessare la cosa.
Perché non poteva permettersi di dimenticare i suoi problemi.
Non poteva permettersi di vivere in quel mondo meraviglioso.
Doveva far crescere Lily nel migliore dei modi, garantendole tutto cio' che i suoi coetanei potevano avere.

Così, come quando nel sonno si ha la sensazione che l'anima stia lentamente abbandonando il corpo, e si cerca di mantenere un contatto col mondo sensibile, così Vash si allontanava con silenzioso amore dalle attenzioni di Lily.
Non aveva tempo per queste cose.
Né per divertirsi, né per sentirsi amato da qualcun altro, né per amare qualcuno all'infuori della sua sorellina.

Nessuno doveva intromettersi tra lui, il suo scopo e sua sorella.
Nessuna donna doveva permettersi di tentarlo.
A nessuno avrebbe concesso sé stesso, il suo tempo e la sua anima.
Non prima che Lily si fosse fatta la sua vita, e si fosse resa indipendente.
Allora, solo allora ci avrebbe pensato.
E, qualora fosse stato troppo tardi, non se ne sarebbe disperato.
Il suo obiettivo nella vita, l'avrebbe comunque raggiunto: vedere Lily sorridere, ed avere tutto quello a cui lui aveva rinunciato, solo affinché lei avesse potuto goderne al meglio in seguito.

Lily, intanto, con un sorriso dolce in viso, si era sdraiata al fianco del fratello, sotto le lenzuola leggere, con la testa china verso il petto dell'altro, come a cercare protezione.
Entrambi chiusero in fretta gli occhi, addormentandosi e concedendosi una pausa dalla vita dura e difficile.


"Arthur ...?"

"Cosa vuoi? E dov'é tuo cugino?!" - L'inglese rispose al cellulare un po' seccato, per nascondere la malinconia: stare tutto il giorno lontano dal francese era una tortura, sebbene detestasse ammetterlo.

"Sono in bagno ... E' di là sul divano ..." - Francis parlava a bassa voce, per non farsi sentire. - "Mi manchi ..."

"... Beh, non credere che per me sia lo stesso! ... Uhm, vorrei solo poter tornare a casa ..." - Rispose scontroso Arthur, arrossendo lievemente.

"Stasera Feli esce con una sua amica ... Vanno in centro." - Lo avvisò. - "... Alle nove e un quarto, più o meno, se vuoi ti richiamo quando se n'é andato ..."

"Sarebbe meglio, non ho alcuna intenzione di incrociarlo ..." - Commentò, e l'immagine del ragazzo che aveva incontrato, ormai già tre volte, si mischiava al volto apparentemente ignoto del cugino di Francis.

"Usciamo anche noi ...?"

"Certo! Così magari incontriamo qualcuno e siamo rovinati! You stupid frog!" - Sbottò, senza alcuna intenzione di rivelarsi. - "Stiamo in casa, tanto ..."

L'inglese si bloccò ed arrossì.
'Tanto possiamo divertirci lo stesso, no?'
Come aveva potuto pensare ad una frase del genere ?!?!
No, non c'era nulla di divertente nel passare il tempo con Francis!
Proprio nulla!
Ammesso che provasse qualcosa per lui, se voleva stare in sua compagnia, era più per fargli un favore che per piacere personale!
... Giusto?

"... Ohohoh, ho capito, sourcils. Ho capito ..." - La voce del francese si fece maliziosa e sensuale, mentre uno strano sorriso si dipinse sul suo volto.

"Cosa credi di aver capito ?! Jerk !!!" - Gridò Arthur, con le guance sempre più rosse ed il cuore sempre più agitato.

"Ahah, va bien. Dove sei ...?"

"Al parco ..." - Rispose l'altro, dando per un attimo un'occhiata al bellissimo paesaggio circostante, al quale troppo raramente dava attenzione.

"Ok. Dopo ti chiamo, allora. À plus tard, mon amour." - Francis concluse la chiamata, uscendo dal bagno.

Feliciano si era addormentato sul divano, davanti alla televisione accesa.
Il francese si avvicinò a lui, abbassando il volume e dandogli una carezza sulla testa.
Il suo volto era piuttosto pallido ...
La questione doveva farlo soffrire molto.
Gilbert non si era affatto comportato bene con lui.
Credeva che il Bad Touch Trio fosse cambiato.
Ma, forse, l'unico davvero cambiato era lui, Francis.

Doveva chiamare l'albino.
Voleva sentire cosa aveva da dire.
Come si sarebbe giustificato.
Non che non avesse potuto comprenderlo, conoscendo il 'vecchio Gil'.
Eppure, aveva davvero creduto al suo cambiamento.
Se il francese era cambiato per amore, allora non era una cosa impossibile.
Bisognava solo essere forti ...

Si diresse in camera da letto, con il cellulare in mano, e provò a chiamare il tedesco.

"Pronto ...?"

"Gil! Cos'é successo ?!"

"Cosa ?!" - L'albino deglutì, mentre la sua mente cercava di ignorare gli ultimi avvenimenti.

"... Feliciano ieri sera é venuto da me in lacrime ..." - Francis sospirò. - "... Si può sapere cosa ti é saltato in mente?"

"Francis, non lo so!" - Gridò Gilbert, cacciando indietro le lacrime che la sola immagine di Feli, triste ed affranto, gli causavano. - "Romano ci ha provato con me, ed io ..."

"Quanto ami Feli?"

"..."

"Ti ho chiesto: quanto ami Feli?" - Il tono del francese era duro e di rimprovero.

"Tanto, Francis ... Davvero, non so cosa mi sia preso ... Se é lì con te ..." - Lacrime tiepide gli rigarono le guance. - "... Digli che lo amo. E che mi dispiace. Digli che sono stato uno stupido ..."

"Gil ... Mi dispiace, ma non credo che Feli vorrà perdonarti. Lo conosco, e posso dirti che non lo farà." - Lo informò, diviso tra l'amore per suo cugino e l'amicizia con Gil.

"..." - L'albino non rispose, ma fece un grande respiro, come a voler cacciare nelle profondità del suo corpo le lacrime e la tensione.

Aveva perso.
Aveva perso tutto.
Aveva perso la persona che amava.
E, per cosa ...?
Per uno stupido vizio.
Uno sciocco vizio, spettro della sua vecchia vita.
Si era lasciato andare ai piaceri del corpo, dimenticando per un breve istante quelli dell'anima.
Ed era bastato un attimo, un breve attimo, per far crollare la loro relazione e la loro vita, come un castello di carte.
L'aveva vista crollare davanti ai suoi occhi, nelle iridi verdi di Romano e nell'espressione addolorata di Feli.
Tutto si era spento, soffocato tra gemiti e sudore.

"... Gilbert, non voglio litigare con te." - Francis riprese a parlare, sentendo il tedesco farsi muto. - "Siamo amici, e ti voglio bene. Ma per un po', preferirei evitare di incontrarti ... Almeno finché Feliciano non si é ripreso."

"Francis ..." - La voce di Gilbert era disperata. No, non voleva perdere la sua amicizia ... Infondo, non c'entrava nulla! Era con Feli che aveva litigato, non certo con lui!

"Non ti ho detto che non voglio più vederti! E' solo questione di tempo ... Scusami, in meno di un mese, tu e Antonio avete distrutto sia Romano che Feliciano ..."

"A proposito di Antonio ... L'ho incontrato ieri, se non sbaglio ..."

"Per me é lo stesso. Ho già parlato anche con lui. Scusatemi, ragazzi, ma per un po' ho bisogno di stare da solo ... Anche voi dovreste." - Consigliò il francese, buttando un occhio nell'altra stanza, per vedere Feliciano assopito. - "... Riflettete sui vostri errori, e pensate se ne é valsa la pena. Lo dico per voi, cambiate, finché siete in tempo ..."

"Cambiare ?! Francis, smettila!" - Sbottò l'altro, gridando innervosito. - "Smettila! Parli proprio tu ?! Tu, che fino a ieri te ne facevi uno al giorno! Tu, che illudevi la gente decantando l'amore, solo per farci sesso una notte ?! Smettila di fare il santerellino! Mi stai facendo la predica come un prete, quando ne hai combinate di tutti i colori! Dimmi, chi c'era con me ed Antonio? Chi gareggiava con noi, per vedere chi ne aveva portati a letto di più ?!"

"Io sono cambiato." - La sua voce era nervosa, ma decise di trattenersi: non voleva certo svegliare suo cugino. - "Non é importante cio' che ho fatto. Posso anche dire che mi sono divertito, e che lo rifarei. E allora? Il punto é che a te e ad Antonio sfugge un concetto. Io sono cambiato per la persona che amo. Voi no. Avete solo finto di farlo. Avete represso i vostri vizi, ma sapevate che prima o poi sarebbero tornati a galla. Non metto in discussione i vostri sentimenti. Ma non siete stati del tutto sinceri ..."

"Ehi, non confondermi con Antonio! Io a Feliciano ho detto tutto, non gli ho nascosto nulla riguardo a noi tre!"

"... Pensavi che sarebbe bastata questa confidenza per cancellare gli anni trascorsi? Pensavi forse che dirlo ti avrebbe fatto sentire più leggero e sicuro, qualora avessi ricommesso l'errore? Oppure pensavi che, avendolo detto a Feli, lui si sarebbe messo il cuore in pace e ti avrebbe sicuramente perdonato, semplicemente perché 'sa come sei'? Allora, cosa pensavi, Gilbert?"

"..." - Serrò i denti, in preda alla rabbia. - "... Parli da novella sposa, tutta entusiasta per il suo nuovo marito. E con chi stai? Con un certo tizio invisibile di cui si sa a malapena il nome, e che non ha nemmeno le palle di uscire allo scoperto. E tu continui a difenderlo. Bravo Francis, tu sì che ci sai fare. Tra l'altro, da quanto state insieme? Tre mesi, forse ...? Aspetta caro. Aspetta, poi vedremo se sei cambiato, o se sei buono solo a far prendere aria ai denti ..."

"Sciacquati la bocca prima di parlare della persona che amo. Devi solo stare zitto, Gilbert. Almeno Antonio, un sentimento per Bella lo aveva, quando ha mollato Romano ... Per quanto possa aver sbagliato. Tu, invece? Perché hai tradito Feliciano? Perché suo fratello, ubriaco fradicio, ti si é spogliato davanti? Mon Dieu, Gilbert, quelle sale gosse ..."

"Chi ti dice che non provo niente per Romano ?!" - Quelle parole risuonarono come una debole difesa, la prima frase che era riuscito a formulare, per difendersi dalle giuste accuse di Francis. Era stufo, non aveva più voglia di discutere, voleva pensare ad altro ... - "Comunque, non ho più tempo per stare al telefono con te. Devo andare. Stammi bene."

Francis non fece in tempo a rispondere, che il tedesco gli aveva già sbattuto il telefono in faccia.
Non amava litigare ...
E, il fatto che non potesse sfogarsi al meglio, dovuto alla presenza di Feliciano, l'aveva fatto stancare ed innervosire di più.
Non voleva litigare con Gil ...
Ma, infondo, aveva iniziato lui.
E si era anche permesso di dare giudizi su Arthur, senza conoscerlo.
Anche se, la sua mania di voler rimanere nascosto, gli dava molto fastidio, e sapeva di sbagliare a coprirlo ...
L'albino aveva esagerato.
Sia sull'inglese, che su di lui.
Sicuramente non la pensava davvero in quel modo, tutto si era amplificato per via della rabbia.
Ma l'aveva comunque offeso, ed ora, meno che prima, aveva voglia di incontrarlo, o di parlarci di nuovo.

Ora Francis, avrebbe solo voluto prendersi del tempo per lui.
Solo per lui ed Arthur.
Senza nessun altro.
Si avvicinò ancora a Feli, e gli diede un bacio.
Ormai si stava facendo tardi ... Era meglio iniziare a preparare la cena.
Chissà, Arthur, dove avrebbe cenato ...


Il cielo si era ormai scurito, e piccole stelle d'argento prendevano pigramente ad illuminarsi qua e là, mentre la luna pallida si faceva sempre più viva e i lampioni accesi fissavano impassibili le strade asfaltate.

"Tra non molto devo partire ..." - Chiese Elizaveta, appoggiando un piatto nella lavastoviglie.

"Ti accompagno io." - Rispose Roderich, sorridendo e passando la spugna all'interno di un bicchiere.

"Grazie Roddy!" - Gli diede un bacio sulle labbra, per poi mostrare i denti con fare giocoso, e sporcargli il naso di schiuma.

"... Dai! Eliza!" - Protestò l'austriaco, pulendosi e prendendo a sciacquare un altro piatto.

"Come siamo seri stasera!" - Commentò l'altra, come una bambina interrotta nel gioco.

"Vai a prepararti, finisco io di lavare i piatti ..." - Le consigliò, sfiorandole le labbra, per poi sistemarsi gli occhiali e rimettere le mani sotto l'acqua.

"Un nobile che si sporca le mani ...?"

"Sempre e comunque, per la mia Signora." - Recitò con voce solenne. - "Perché anche il più ricco degli uomini non può che chinare la testa dinnanzi ad Amore, servendo la donna amata e riempiendosi il cuore di dolce virtù."

"... Sai, dovresti iniziare a scriverle, queste cose." - Gli consigliò, abbracciandolo da dietro.

"Sono un musicista, non uno scrittore!" - Alzò le spalle, parlando come un maestro. - "Non sento il minimo bisogno di scrivere, non vedo perché dovrei farlo."

"... Scrivimi una poesia!" - Lo incitò, come una bambina.

"Ah." - Scosse la testa. - "Non se ne parla! Non troverei mai le parole giuste! ... Le note possono esprimere ogni cosa, molto meglio delle lettere ..."

"Come vuole, Maestro!" - Disse infine Elizaveta, dando un'occhiata all'orologio, e concludendo che era meglio sbrigarsi.

Corse in camera da letto, ed aprì l'armadio in cerca di qualcosa da mettersi.
Posò gli occhi su ogni vestito, suo e di lui, e nella mente scorrevano i ricordi della loro vita insieme.

C'erano i vestiti eleganti, quelli che Elizaveta metteva solo nelle occasioni importanti, quelli che Roderich avrebbe voluto indossare anche solamente per passare la giornata in casa.
Perché, diceva, i veri signori non si levano la maschera appena entrati in casa, lasciando l'aria intellettuale ed aristocratica sul comodino, ed i vestiti più cari alla rinfusa sul letto, ma, al contrario, proprio in casa, il loro regno, dovevano dimostrare tutta la nobiltà del loro cuore.

Mentre gli occhi balenavano tra giacche e camicie, l'ungherese, ad un tratto, sentì il cuore batterle più forte, alla vista di una delle giacche di Roderich, di velluto blu.
L'aveva indossata per la prima volta qualche anno prima, durante un concerto al quale la ragazza non era certo mancata.
Ne aveva ancora un'immagine viva nelle belle iridi verdi, di quella sera.
Ricordava l'atmosfera da sogno, ed i riflettori puntati sul pianoforte a corda color nero laccato e sul volto dell'austriaco.
Lui era lì, seduto, intento a suonare, con la stessa naturalezza che aveva a casa.
Come se non avesse saputo che più di cento persone erano lì per ascoltarlo, come se stesse suonando solo ed esclusivamente per il suo amore.
Come poteva, la donna, dimenticarsi di quell'immagine angelica?
Mentre iniziava a cullarsi avanti e indietro, avvolto dalla musica, mentre le sue labbra si dischiudevano in un lieve sorriso e le palpebre calavano, lasciando che fosse il pianoforte stesso a guidare le sue mani, Elizaveta, tra gli spalti, aveva il cuore a mille.
Non riusciva a togliergli gli occhi e la mente di dosso, e mentre le note si diffondevano nell'aria, lei pensava a lui, e lui pensava a lei, componendo insieme, distanti ma vicini, una melodia muta che solo loro potevano udire.


"Fratellone! Elizaveta sarà qui tra poco!" - Esclamò Feliciano, nel panico. - "Come faccio ...? Non posso vestirmi con i vestiti che avevo quando sono arrivato qui, ero con la camicia del lavoro ..."

"Feli, non potevi pensarci prima ...?" - Il tono dolce con cui il francese lo chiese, occultò del tutto il senso di rimprovero della domanda.

"... Uh ... Non mi andava di andare a casa a prenderne altri ..." - Spiegò con l'espressione un po' triste.

Aveva paura ...
Paura di entrare a casa sua.
Paura di scoprire che Gilbert era lì.
Paura di vederlo, di ascoltare le sue giustificazioni ...
Paura di cedere di fronte alla sua bellezza ed ai suoi baci ...
Perché no, non aveva intenzione di perdonarlo.
Per quanto gli facesse male, per quanto avesse desiderato le sue carezze ed i suoi abbracci ...
Non poteva fare a meno di pensare che quelle stesse labbra e quelle stesse braccia avevano toccato Romano.
E non aveva alcuna intenzione di stare con una persona che, anche solo per poco, aveva riempito il suo cuore di pensieri diretti a qualcun altro anziché a lui.

L'Amore é un sentimento sacro ...
Non puoi inquinarlo.
Non puoi pensare di tradire qualcuno e sperare di essere perdonato.
Non puoi credere che i piaceri del corpo siano separati da quelli dell'anima.
Gilbert lo aveva ferito davvero.
Forse molto più di quanto avesse mai potuto immaginare.

"Senti ..." - Francis deglutì, come se stesse per rivelare un grande segreto. - "Ho dei vestiti ... Che potrebbero andarti bene."

I vestiti del ragazzo erano troppo grandi per il suo cuginetto.
Ma Arthur, doveva avere più o meno la sua stessa misura.
Certo, probabilmente si sarebbe arrabbiato ...
Ma il francese non aveva alcuna intenzione di lasciar uscire Feli vestito male solo per i capricci dell'inglese.
Del resto, prestargli una maglietta ed un paio di pantaloni, non significava certo rivelargli il loro segreto ...
Sacrebleu! Arthur e la sua ostinazione lo stavano facendo sentire un criminale!

Francis iniziò a cercare nell'armadio una maglietta di Arthur.
Non che la cosa fosse difficile, ma Feliciano era proprio dietro di lui, seduto sul letto a guardarlo, e non doveva essere troppo ovvio, per un uomo che viveva da solo, trovarsi nell'armadio vestiti di altri.
... Nemmeno per uno come il vecchio Francis.

"Ecco ..." - Si voltò verso il cugino, avendo finalmente scelto una maglietta adatta.

Nera e doppia, con dei pezzi di stoffa bianca che sbucavano dalla scollature, infondo e dalle maniche corte ... Certo, aveva una bandiera inglese stampata davanti, ma poteva essere solo un caso ... Giusto?

"Veeeh? Perché hai comprato una maglietta così? Credevo che l'Inghilterra non ti piacesse ..." - Commentò ingenuamente Feliciano, sorridendogli e guardandolo amichevolmente, prendendo la maglietta dalle sue mani e continuando a guardarla. - "E' bella, però!"

"...!" - Francis ebbe un sussulto.

Cosa poteva dire ...?
Coraggio, cosa avrebbe risposto il vecchio Francis ...?

"Infatti non é mia ..." - Prese parola, sorridendo e cercando di apparire il più naturale possibile. - "L'ha ... Uhm, dimenticata qui un ragazzo."

In realtà gli era capitato davvero raramente.
E, in ogni caso, dopo l'arrivo di Arthur aveva buttato via ogni cosa che non fosse sua.
Il francese sperava davvero che Feliciano gli credesse, e mentre attendeva la risposta, gli sembrava che stessero passando secoli, mentre non erano che pochi secondi.

"Veeeh~" - Sembrava che se la fosse bevuta ... Giusto?. - "Lo stesso ragazzo del piatto ...?"

"...!" - Francis si pietrificò.

Certo! Il piatto!
Che stupido era stato!
Un piatto ed una maglietta, entrambi con la bandiera inglese ... Non poteva essere una coincidenza!
Non in casa di uno che aveva sempre disprezzato ogni cosa anglofona!
Certo, 'ogni cosa' non includeva affatto i ragazzi e le ragazze ...
Ma, due ragazzi inglesi? Uno che gli aveva regalato un piatto, e l'altro che si era scordato lì la maglietta?
O forse lo stesso ...?
Se era lo stesso, doveva averlo visto almeno due volte, per avergli potuto regalare un piatto ... Ma per mantenersi in contatto dopo la prima volta, avrebbe dovuto chiedergli il numero di telefono, e se la seconda volta si era scordato la maglietta, non poteva chiamarlo e restituirgliela ...?
Arthur doveva farsi avanti ...
Era una vita d'Inferno!

"No, due ragazzi diversi." - Le parole uscirono senza preavviso.

'Mon Dieu, fa che ci creda, fa che ci creda ...' pregò nella mente, cercando di sfuggire con i begli occhi color oceano.

"Oh~ Il fratellone conosce davvero tanta gente ..." - Commentò ingenuo, buttandosi sul letto stringendo la maglietta al petto. - "Grazie! Mi piace, credo che metterò questa!"

"Spero ti vada bene ..." - Francis sospirò: meno male, Feliciano non aveva nessun sospetto ... - "Uhm, riguardo ai pantaloni ... Che ne dici di questi?"

Ne tirò fuori un paio, sempre di Arthur, che avevano acquistato assieme a Roma, sbrigandosi ad aggiungere, prima che Feliciano potesse fare altre domande. - "Sarà un anno che li ho qui ... Me li ha lasciati un ragazzo di ... Uhm, Roma, mi pare!"

"...?" - Feliciano alzò appena la testa per guardarli, per poi riappoggiarla nuovamente sul materasso.

Il biondo si sdraiò al suo fianco, appoggiando i jeans dall'altra parte, ed accarezzandogli la fronte ed i capelli.

"Grazie, fratellone ... Non so cosa farei, senza di te ..." - Lo ringraziò, sospirando e dischiudendo appena le labbra in un dolce sorriso, con tono grato e calmo.


Le strade del centro erano ricoperte di bancarelle, ed illuminate di quella familiare e calda luce tipica delle feste mondane estive.
L'aria profumava di dolci, noccioline, incensi, legni profumati e mille altre cose.
Bastava spostarsi di poco, per essere inebriati da profumi completamente diversi, mettendo fame, allegria, curiosità, o semplice voglia di comprare.
Le voci della folla si sovrapponevano a quelle dei mercanti, che a voce più o meno alta decantavano i propri prodotti, come i migliori sul mercato.

"Peter!"

"...? Lily!"

"Fratellone, posso andare a salutare Peter? Posso?" - Chiese la ragazzina, alzando la testa bionda verso lo svizzero, in obbediente attesa di una risposta prima di allontanarsi.

"Sì ... Ma non allontanarti." - Acconsentì Vash, seguendola con lo sguardo fino a quando non raggiunse il ragazzino, e rimase con gli occhi fissi su di loro come a spiarli, per non perderli di vista.

"Oh! C'é anche Hanatamago!" - Lily si inginocchiò verso la cagnolina, che le saltò in braccio muovendo la coda e facendole mille feste.

"Stasera aveva proprio voglia di uscire, non abbiamo fatto in tempo ad aprire la porta, che era già fuori!" - Spiegò Peter, chinandosi a sua volta ed accarezzandola, cercando timidamente di proteggere il vestito di Lily dalle sue zampe.

"Ma sei qui da solo ...?"

"No ..." - Cercò con lo sguardo tra le persone delle bancarelle vicine, finché un uomo non glielo ricambiò, ed il ragazzino gli sorrise. - "Sono qui coi miei ... Sono laggiù!"

Lily guardò nella stessa direzione di Peter, e sorrise a sua volta accennando un saluto con la mano, per poi voltarsi verso Vash, per assicurarsi che fosse rimasto dove l'aveva lasciato.

"Hai visto altri della scuola ...?" - Chiese curiosa. - "Raivis ...?"

"Uhm, no, non l'ho visto ..." - La sua espressione pareva più preoccupata del dovuto, come se non vedesse il ragazzino da una vita. - "Mi pare di aver intravisto Wai, ma non sono sicuro che fosse lei ..."

"Beh, non importa!" - Concluse la ragazzina, sorridendogli dolcemente.

Vedendo l'espressione sul volto della sorella, lo svizzero non poté fare a meno di reprimere una lieve gelosia, mista ad un senso paterno.
La sua Lily ... Stava diventando grande.

"Hai già mangiato qualcosa?"

"Intendi qui? No, perché ...?"

"Poco più avanti c'é lo zucchero filato! Io lo prendo, lo vuoi anche tu ...?" - Era bellissimo vederli così impacciati. Soprattutto per chi, quelle timidezze, le aveva superate da anni.

"Ma andiamo fin là da soli ...?"

"Beh ... Abbiamo quindici anni! E ti proteggo io!" - La prese per mano ed iniziò ad incamminarsi, ma lei si impuntò.

"Dobbiamo dirlo a Vash e a tuo padre!" - Protestò. - "Altrimenti si potrebbero preoccupare!"

"Ok ..." - Sbuffò Peter, senza lasciare la sua mano, ma dirigendosi dalla parte opposta.

"Papà ... Io e Lily andiamo più avanti a prendere lo zucchero filato. Torniamo subito!" - Spiegò, un po' imbarazzato nel rendersi conto che la sua mano stringeva ancora quella della ragazzina.

"... Va bene." - Rispose l'uomo, con voce e sguardo impassibile.

Peter fece retromarcia, verso Vash.

"... Tuo padre a volte mi fa paura ..." - Bisbigliò Lily.

"Lo so, é fatto così ... Non é cattivo, quello é proprio il suo modo di fare!"

"Fratellone ... Io e Peter possiamo andare a comprare lo zucchero filato ...? Torniamo subito, te lo prometto ..."

"D'accordo." - Rispose serio Vash, per poi guardare in direzione del padre di Peter.

I due rimasero per un attimo a guardarsi, uno più asociale dell'altro, senza fare un passo e senza accennare ad un saluto.

"Ohilà! Vash!" - All'improvviso si sentì spinto in avanti da una fragorosa pacca sulla schiena.

"Gilbert ..." - Si voltò, e nel vedere l'albino sorridergli, la sua voce si trasformò, più che in quella di un cordiale saluto, in una specie di minaccia di morte.

"Ciao, Vash." - Ludwig si aggiunse al saluto, immobile come un soldato al fianco del fratello, sorridendogli appena.

"Ludwig." - Lo svizzero rispose con lo stesso tono e la stessa pacatezza.

Non che non fossero felici di vedersi.
Al contrario, si volevano bene, ed erano molto amici.
Ma erano fatti così.
E, forse, proprio perché erano uguali, si trovavano bene insieme.
Perché non avrebbero mai potuto fraintendere un silenzio, o uno sguardo serio da parte dell'altro.
Erano così, e molte persone sembravano non capirlo.

Gilbert si era un attimo ammutolito.
Si era guardato intorno, sperando di non incontrare nessuno.
Né Feliciano, né Romano, né Francis.
Lui, con Antonio, ormai era praticamente disposto a fare pace ... Dopo quell'incontro al bar dove l'albino lavorava, era riuscito a comprendere le sue ragioni.
Forse proprio il fatto di essere riuscito a comprenderle ...
Dimostrava che Francis aveva ragione.
Che anche lui, come lo spagnolo, non era cambiato proprio per niente, in realtà.
Avevano forse finto, con Feliciano e Romano ...?

No.
Almeno per quanto lo riguardava, lui Feliciano lo amava, e tanto.
Neppure lui riusciva a capacitarsi di quello che aveva fatto.
Cedere alle avances di Romano in quel modo ... Tutto d'un colpo, si era sentito il ragazzino di un tempo, bello e dannato, che faceva il grande mentre si rifiutava segretamente di crescere.
Il vecchio Gil, quello del 'periodo d'oro' del Bad Touch Trio.
Non poteva credere che quella presenza scomoda fosse ancora così viva in lui.
Eppure, che avesse ceduto era un dato di fatto.
Non era stato un incubo, né un sogno.
Era la realtà.
Testimone ne era il fatto che Feliciano non pareva disposto a parlargli, Francis aveva discusso animatamente con lui, e la sua collana ... Era ancora a casa di Romano.

Non aveva avuto il coraggio di chiamarlo.
Non sapeva come affrontare la cosa.
Probabilmente era il vecchio Gil, ad indurlo a questa impressione, ma doveva ammettere che la sera prima aveva provato qualcosa.
Non era la semplice ebrezza del proibito, o dell'atto in sé.
L'entusiasmo del ragazzino di un tempo, era stato comunque filtrato dagli anni passati con Feli.
Forse, nonostante quella voce in lui avesse permesso la sua resa, aveva davvero cambiato idea.
Forse aveva seriamente iniziato a pensare che non si può fare sesso per il puro piacere di farlo, perché il suo vero significato risiede in cio' che si prova per l'altro, e non in cio' che si prova per sé.
Ma se fosse stato così ...
Allora, se era innamorato ancora di Feliciano, che diamine aveva provato per Romano?
Perché il suo cuore aveva iniziato a battere più forte?
Perché aveva avvertito calore in viso, come se stesse arrossendo?
Che cosa mai stava sbagliando?
Cosa mancava, nel suo ragionamento, per rendergli chiara l'intera faccenda?
Cosa mancava, per rendergli chiari ... I suoi sentimenti?

"Gilbert, mi rispondi?" - La voce di Vash lo distolse dai suoi pensieri.

"Eh? Cosa?"

"Non hai ascoltato una sola parola, come al solito ..." - Commentò Ludwig, nonostante immaginasse i pensieri dell'albino. - "Vash chiedeva perché non sei con Feli ..."

"...!" - Gli mancò il respiro,

Cosa doveva rispondere?
'No, non sono con Feli, perché ieri mi ha beccato a letto con suo fratello ed ora non vuole più parlarmi!'
... No, non poteva certo dire questo.
Doveva rimanere sul vago ... Infondo, conosceva Vash, e sapeva che la sua era quasi una domanda retorica, e che non avrebbe indagato sulla risposta.

"Uhm, diciamo che le cose tra noi due sono cambiate ..." - Rispose infine, e si sentì sollevato nel vedere Lily di ritorno, come se fosse la sua salvezza da quella situazione scomoda.

"Ciao Ludwig e Gilbert!" - Li salutò la biondina, da dietro una grossa nuvola di zucchero filato rosa. - "Fratellone, ne vuoi un pezzetto?"

"No, Lily, grazie ..." - Rifiutò lo svizzero, accennando un lieve sorriso.

"Salve!" - Azzardò Peter, pur non conoscendo i due tedeschi, che abbozzarono un saluto.

"Lud, ora dobbiamo andare ... Ciao!" - Tagliò corto Gilbert, trascinando letteralmente via Ludwig da Vash e dai due ragazzini.

"Gil! Si può sapere che ti prende ?!" - Chiese un po' innervosito Ludwig, facendo forza in modo che Gilbert si fermasse, ad una quindicina di metri dagli altri tre.

"Non ho voglia di stare con altra gente ... Non ho voglia di sentirmi chiedere perché non sono con Feli." - Spiegò serio l'albino, quasi sottovoce.
Non era da lui parlare in un tono così basso ...

Continua ...

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


NOTE. Ciao! Questo capitolo l'ho scritto qualche giorno fa, anche se non l'ho mai pubblicato qui. Uhm, forse dovrei dirvi che in questa fanfic alcuni personaggi muoiono ... Scusate se non l'ho detto prima, mi sono dimenticata ... ç___ç'' Detto questo, credo sia tutto.
Spero vi piaccia, e se vi va, recensite, mi farebbe piacere C:

Ary.

 
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Capitolo 9

Mentre le sporadiche nuvole scure si spostavano pigramente sul manto blu del cielo, velando di mistero la bella luna piena, tutti sembravano dirigersi con foga verso il centro.
Le auto si ammassavano sulle strade e nei parcheggi, riflettendo sulla carrozzeria colorata le luci artificiali di insegne e lampioni.

"Fuck ..." - Si lamentò Arthur, scrutando nervoso la situazione fuori dal finestrino.

Quella maledetta festa aveva causato traffico ovunque.
L'inglese iniziò a mordersi il labbro ed a corrucciare le sopracciglia, contando ogni battito del suo cuore ed ogni secondo che passava.
Ogni maledetto secondo.
Ogni maledetto secondo, ogni maledetta auto, ogni maledetta persona che lo allontava da Francis.
Imbottigliato nel traffico com'era, ci avrebbe messo una vita ad arrivare.

Non che fosse così eccitato all'idea ...
No, no per niente!
Non sapeva neppure perché, il metterci tanto tempo, lo innervosisse così tanto.
C'era Francis ad aspettarlo, e allora?
Gli avrebbe aperto la porta, lo avrebbe baciato, gli avrebbe detto qualche stupidaggine in francese ... E poi ...
Poi lo sapeva, cosa sarebbe successo.
Lo sapeva bene, eccome.

Deglutì, decidendo di reprimere l'impazienza, convincendosi che non c'era proprio alcuna ragione di essere impaziente.
Già ... A lui, di quelle cose che Francis voleva, non importava nulla ...
Proprio nulla.
Voleva andare a casa in fretta, perché era stanco e non vedeva l'ora di buttarsi sul letto.

A dormire.
Diamine, buttarsi sul letto a dormire!
Si disse più volte nella mente, immaginandosi l'espressione maliziosa che Francis avrebbe fatto, se fosse stato lì ad ascoltare i suoi pensieri.

La strada per casa era ancora lunga, troppo lunga.
Sarebbe arrivato molto prima a piedi.

"Scusi, mi lasci qui."

"Come?"

"Ho fretta, faccio prima a piedi. How much?"

"Due euro ..."

L'inglese pagò, ed uscì dal taxi in silenzio.
Doveva raggiungere quella maledetta casa, possibilmente senza incontrare nessuno.
Non che conoscesse molta gente, in Italia ... Giusto Francis, qualche collega di lavoro e ...
Quel ragazzo.
Feliciano.
Quel tipo invadente che aveva già incontrato tre volte.
Quella mattina, avrebbe giurato di averlo visto sul balcone di casa sua.
Sua e di Francis.

Aveva forse sbagliato ...?
Sì, doveva essere un piano più in basso, o più in alto.
Forse il balcone appena più a destra, o a sinistra.
No, non poteva essere il cugino di Francis.
Si chiamava allo stesso modo, ed aveva un parente nel suo stesso palazzo.
E allora ?!
Quante persone, in quella città, avrebbero potuto facilmente corrispondere a quella descrizione ...?
Decine, di sicuro!
Cercava di convincersene, nonostante una parte di lui avesse già accettato la verità.


"Veeeeh! Ci sono davvero tante bancarelle!" - Esclamò estasiato Feli, come un bambino alla sua prima volta in un Luna Park.

"Già! Anche i negozi sono aperti!" - Rispose Elizaveta, con la stessa eccitazione, guardandolo con la coda dell'occhio, come una mamma. - "Che ne dici di girare un po' sotto i portici?"

"Ok!" - Il dolce sorriso di Feli non poteva nascondere del tutto le sue preoccupazioni.

Seppur dischiuse in un sorriso, le sue labbra ed i suoi occhi trasmettevano un senso di inquietudine e tristezza.
Come a nascondere un profondo dolore.
Come a fingere che non fosse successo nulla.
Come ad illudere le persone che amava che stesse bene, per non farle preoccupare troppo.

Gilbert poteva essere nei paraggi ...
Feliciano tremava ad ogni ombra proiettata sulla strada, ad ogni presenza dietro di lui.
Già se lo immaginava, bello come sempre, con gli occhi scarlatti puntati su di lui, a denudarlo fino a penetrare il suo cuore.
Prima di allora, avrebbe pagato per avere quella sensazione.
Non c'era cosa che desiderava di più, di quegli occhi color rubino e quel sorriso da teppista, per chiudere gli occhi e lasciarsi andare tra le sue braccia, avvolto da Amore.

Ora no.
Ora quegli occhi li temeva.
Temeva il suo sguardo pentito, temeva che le sue iridi rosse naufragassero nelle sue, chiedendogli perdono in modo così puro e seducente da non poter essere contestato.
Feliciano sapeva che a quegli occhi e quel volto avrebbe ceduto.
Era stato il motivo per cui, dopo la brutta scoperta, era fuggito via.
Perché solo incrociare il suo sguardo, gli avrebbe fatto venire voglia di perdonarlo.
Perdonarlo, come se nulla fosse accaduto, perché lo amava e lo voleva per sé.
Perché sapeva che, infondo, anche Gilbert lo amava.
Avrebbe nascosto il suo profondo dolore, solo per sparire tra le sue braccia.
Avrebbe cercato di dimenticare, convincendosi che era stata solo una sbandata.

Ma non aveva alcuna intenzione di ascoltare il suo cuore.
Era una richiesta stupida ed egoista.
Accettare un errore del genere, per il puro desiderio di volerlo al suo fianco.
Anche a costo di illudersi che non fosse successo niente, che mai nessun altro aveva sfiorato i pensieri del tedesco, oltre a lui.
No, per una volta, voleva ascoltare la sua testa.
Per quanto ne avesse sofferto, era giusto così.
Non poteva perdonarlo.

"Carina quella!" - La voce di Elizaveta lo fece tornare alla realtà.

Il ragazzo si voltò verso la vetrina, dove capeggiava una maglietta leggera, di un materiale simile al velo, senza la manica sinistra ed una lunga manica destra, quasi fin sopra le dita del manichino.

"Credo che ti starebbe molto bene, Eli ..." - Commentò l'italiano, dandole una veloce occhiata.

"Quasi quasi la provo! Dai, entriamo!"

Elizaveta si sentiva inadeguata.
Continuava ad agire cercando di convincersi che non fosse successo niente, che nulla stesse preoccupando Feli.
Ma quello che ne usciva, era un comportamento piuttosto forzato, spensierato ad ogni costo.
Si domandava se l'italiano se ne fosse accorto.
Sperava proprio di no ...
Infondo, il motivo per cui aveva chiesto a Feliciano di uscire con lei, era proprio quello di distrarlo ...

"Hola! Feli!" - Un ragazzo si avvicinò a loro.

Aveva la carnagione olivastra e gli occhi verdi, oltre ad un sorriso smagliante.
Qualcosa suggeriva ad Elizaveta di averlo già incrociato, da qualche parte, ma proprio non riusciva a ricordare dove.
Forse a qualche festa ...
Ma la ragazza bionda al suo fianco, non le diceva proprio niente ...

"Antonio!" - Lo salutò Feliciano, ma presto la sua espressione mutò. - "Tu sei ... Bella, giusto?"

"Sì ... Piacere." - Cercò di sorridere la ragazza, benché sapesse che la situazione non era delle più piacevoli.

Da quanto aveva capito dai racconti dello spagnolo, quel ragazzo era il fratello del suo ex.
E lei era stata la causa della loro rottura.
Probabilmente, anche Feliciano la odiava.
Eppure, l'espressione che aveva in volto, non era di pura rabbia o antipatia.
Era più ... Immensa tristezza.

"Piacere mio ..." - Rispose l'italiano, mordendosi il labbro.

Se Antonio non avesse conosciuto Bella ...
Se Bella non si fosse innamorata di Antonio ...
Lo spagnolo non avrebbe mai lasciato Romano.
E Romano non avrebbe mai fatto quello che aveva fatto.
Anche se la colpa, infondo, era prima di tutto di Gilbert, Feliciano non poté fare a meno di provare una certa antipatia nei confronti di quella donna, benché fosse un qualcosa di estraneo al suo carattere.

"Lei ... Lei é Elizaveta. Antonio, credo che tu l'abbia incrociata qualche volta ... A qualche festa con Romano ..." - Spiegò Feliciano, cercando di cambiare discorso, benché qualsiasi cosa rimandasse ad argomenti scomodi, ora per lui, ora per Bella.

"Ah! Ecco dove ti ho già vista!" - Esclamò lo spagnolo, facendole un cenno con la testa.

"Anche a me sembrava di averti già incontrato da qualche parte!" - Sorrise Elizaveta con fare amichevole, benché temesse qualche uscita di Antonio riguardo a Gilbert.

Era certa che, sotto il sorriso, anche Feliciano ci stava pensando.
Anche lui era teso, come,se non più, di lei.

"Piacere Elizaveta! Io sono Bella, la sua fidanzata!" - Si presentò ancora la belga, stringendosi al braccio del ragazzo, che le diede uno sguardo insieme tenero e sorpreso.

"Feli ... Hai sentito Romano? Come sta?" - Chiese lo spagnolo, guadagnando un'occhiataccia di Bella, che si strinse ancora di più a lui.

Sapeva che era meglio non parlare di certi argomenti.
Sapeva che a Bella dava fastidio, e che, probabilmente, anche Feliciano, per quanto non lo avesse voluto dare a vedere, non era poi così contento del suo comportamento.
Ma, infondo, lui e Romano si conoscevano da molto tempo.
Era inevitabile che, per quanto si fossero lasciati, avesse un minimo di interessamento per come si sentisse in quel momento.
Dopotutto, se il ragazzo stava così male ... Era colpa sua.

Non si era certo pentito di averlo lasciato.
Amava Bella, e non sarebbe mai tornato indietro.
Ma, per quanto alla ragazza questo non piacesse, continuava a nutrire un certo affetto nei confronti dell'italiano.
Perché erano stati insieme per anni, e perché non era solo il suo fidanzato, ma anche uno dei suoi pochissimi amici.
Forse l'unico.

Chiedere a Feliciano come stava, forse suonava un po' come una presa in giro.
Una presa in giro per tutti.
Ma saperlo, gli interessava davvero.
Aveva riconosciuto il fatto che era stato brusco, a lasciarlo in quel modo.
E non voleva vederlo soffrire.
Desiderava che si ricostruisse una vita, e fosse felice senza di lui.
Era cio' che voleva, quello che qualsiasi buon amico avrebbe sperato.

Alla domanda, l'ungherese sentì un brivido dietro la schiena, e si voltò di scatto verso l'italiano.
Si sentì debole e smarrita, come se la domanda fosse rivolta a lei.
Come se quella che si era trovata di fronte la persona amata, nuda e insieme ad un altro, fosse stata lei.
Come se, quell'amico che voleva farle dimenticare le sofferenze, fosse stato Feliciano.
Come se, quella tradita due volte, dall'amato e dal fratello, fosse stata lei.

Il ragazzo rimase un attimo muto.
Aveva sentito il cuore trafitto da una lama di ghiaccio, ed era come se l'anima avesse lasciato il suo corpo, e si stesse vedendo da fuori.
Lui, testa bassa a coprire occhi e pensieri, e il mondo intorno.
L'uomo che aveva tradito suo fratello, di fronte, a chiederne notizie.
Come se gli importasse qualcosa ...
Come se gli importasse sapere che, dopo averlo sperimentato sulla sua pelle, Romano aveva deciso di far provare anche a lui come ci si sentisse, quando la tua stessa vita pare crollarti addosso.
Come se gli importasse sapere che, ora, quello che avrebbe voluto morire, era lui, Feliciano, e non certo suo fratello.

Bella, stretta ad Antonio, con fare maniacale, come se temesse che qualcuno glielo potesse portare via, da un momento all'altro.
Gli occhi splendenti, l'anima da cane da guardia, a mettere in chiaro, ogni secondo, che quella era 'roba sua'.
E di quel fantasma, quel tale 'Romano', aveva ancora paura.
Feliciano glielo leggeva in volto.
Spirito guerriero a combattere qualcuno che non esisteva più.
Riviveva forse nei pensieri dello spagnolo.
Non potevano certo immaginare, loro, che intanto Romano si era dato da fare.
Non potevano immaginare che per lui, Antonio non esisteva più.

Al fianco di Feliciano, Elizaveta.
Gli occhi verdi come uno specchio.
Specchio della sua tensione.
Ci si poteva specchiare, e leggere cio' che stava provando.
Come se quella tradita, fosse stata lei.
In quel momento, apprezzò davvero il suo altruismo.
Quelli in cui credeva di più, l'avevano abbandonato, tradito, preso in giro.
Solo lei, solo lei e Francis gli volevano davvero bene.
Sì, solo loro avevano capito come si stesse sentendo ...

Intorno, quelli a cui non importava nulla.
Ignare comparse nella sua vita, che non sapevano nulla di lui, e nemmeno volevano saperne.
Quelli non lo amavano, non lo avevano mai amato.
E non l'avevano nemmeno mai tradito.
Chissà, se avrebbe potuto fidarsi di uno di loro, uno qualsiasi, senza esserne preso in giro.
Chissà, se qualcuno avrebbe mai aperto le sue braccia per lui, consolandolo, senza mai pretendere nulla in cambio, e senza mai tradirlo.

"Sta ... Meglio. Molto meglio." - Rispose in un filo di voce, sorridendo appena.

"Meno male ..." - Sospirò Antonio. - "Sai, l'altro giorno ho incontrato Gilbert!"

Vedere Feliciano uscire senza l'albino, era cosa davvero rara.
Lesse un certo cambio di atteggiamento negli occhi dell'italiano, non appena quel nome fu pronunciato.
Era successo qualcosa?
Avevano litigato, forse ...?
Ma no, magari Gilbert si era allontanato un attimo con il marito di Elizaveta ... Forse erano appena fuori dal negozio.
In ogni caso, non aveva voglia di chiedere.
Non aveva voglia di intrattenersi con Feliciano in probabili lunghi discorsi, dai quali Bella sarebbe stata inevitabilmente tagliata fuori.
Infondo, Antonio non aveva più niente a che fare con loro ...
Era amico di Gilbert.
Solo questo.
Certo, Feliciano gli stava simpatico, ma era certo che qualcosa in lui fosse cambiato, almeno nei suoi confronti, dopo la rottura con suo fratello.

Glielo leggeva negli occhi.
Era distaccato, con il sorriso forzato e gli occhi fuggiaschi.
Glielo leggeva in volto, che qualcosa non andava.
Non gli andava di parlare con lui, per quanto si stesse sforzando di farlo.
Doveva essere così, di sicuro.
Conosceva bene lo sguardo tipico dell'italiano, conosceva la sua allegria.
E sapeva per certo che quel Feliciano era ben diverso da quello che aveva imparato ad apprezzare.

A quel nome, l'italiano aveva avuto un lieve scatto con la testa, gli occhi per un attimo illuminati, risvegliati come da un bagliore, per poi posarsi di nuovo tristi sullo spagnolo, cercando invano di scappare altrove.
No ... Non aveva voglia di parlare di Gilbert.
Non aveva alcuna voglia di dire nulla.
Non a lui.
Né a lui, né a nessun altro.
Voleva godersi la serata, e basta.
Perché, perché, tra tutti quelli che avrebbe potuto incontrare, proprio Antonio ...?

"Uhm, non so se te l'ha detto, però avevamo pensato di organizzare una rimpatriata, più avanti ..." - Decise di proseguire, benché un senso di colpevolezza lo stesse assalendo, vedendo l'espressione dell'italiano mutare segretamente in peggio. - "Quando le cose con Romano si saranno sistemate ..."

"... Sarebbe bello ..." - Ammise in un filo di voce Feliciano, sforzandosi ancora una volta di sorridere, le guance pallide tese in un'espressione forzata, e la voce insieme felice e stanca,
Stanca di fingere.

"Vorrei anche fare pace con Francis ..." - Aggiunse, sperando che il cambio di argomento compiacesse l'altro. - "A proposito, me lo saluti?"

"Sì! Con piacere!" - Al nome del francese, Antonio notò un sorriso più sincero ravvivare le labbra quasi inermi dell'italiano.

Lo spagnolo sorrise di rimando, sollevato.
Feliciano lo stava davvero facendo sentire in colpa ...
Non che non si sentisse già in quel modo, non che non si fosse già sentito così.
Ai tempi in cui nascondeva a Romano un mondo intero.
Ai tempi in cui lo lasciava a gridare nervoso e da solo, chiudendo la porta dietro di lui ed andando da Bella.
Ai tempi in cui tornava tardi la notte, cercando di nascondere il profumo della belga, solo per buttarsi sul letto al fianco dell'italiano, stanco ma ancora voglioso.
Con la voglia di fingere che tutto andasse bene.
Che lo amava ancora, e lo voleva ancora, se non più ardentemente di prima.

Sì, si era sentito colpevole.
Si era sentito un uomo orribile.
Si era sentito così per molto tempo, ed anche allora, con Romano ormai alle spalle, e Bella tra le sue braccia ogni istante, ci ripensava e si sentiva in colpa.
Ma Feliciano, aveva il potere di amplificare ogni cosa.
Quegli occhi ambrati trasparivano un immenso dolore.
Antonio quasi si sorprese: doveva volere davvero un bene immenso a Romano.
Pareva soffrire come se quello tradito fosse stato lui.
Forse stava soffrendo ancora più del fratello.
O, forse, era solo meno bravo a nasconderlo.
O più abile nell'ascoltare i bisogni e i dolori del cuore.

"Bella! Ma sei italiana?" - Elizaveta decise di rompere il silenzio, leggendo chiaro negli occhi di Feliciano il suo sconforto, prendendolo per mano e muovendo l'altra in direzione della bionda, sorridendole amichevolmente.

"Non, je suis belge!" - Rispose lei, felice di poter cambiare discorso.
Amava Antonio, ma questa sua piccola ostinazione nel voler vivere nel passato, le dava un po' sui nervi.
Insomma, non pretendeva certo di estirpare lo spagnolo da tutte le sue amicizie ... Ma, con tutte le persone che potevano incontrare, proprio il fratello del suo ex ?!
... E le era già andata bene, che non fosse il diretto interessato.
Perché era certa che Antonio, alla vista di Romano, si sarebbe fermato a salutarlo.
Perché, come diceva, erano anche amici.
Lo odiava ... Non lo conosceva bene, ma solo il suo nome le faceva ribollire il sangue nelle vene.

"Tu?" - Proseguì, con il suo accento piuttosto francofono.

Antonio aprì la bocca, ma la richiuse subito, senza dargli fiato.
'Cara! Te l'ho mai detto che il cugino di Romano é francese?'
No. Era meglio non parlarne.
Anche cambiando il nome di Romano con quello di Feliciano, dirlo non era una buona idea.
A maggior ragione in quel momento, vista la chiara volontà del francese di voler mantenere le distanze, almeno per qualche tempo.

"Sono ungherese!"

"Davvero? Non l'avrei mai detto! Hai una pronuncia perfetta, sembri italiana!"

"Grazie! Sono in Italia da molto tempo, avrò avuto ... Sui sette o otto anni, quando sono arrivata qui!"

"Beh, sentire una lingua straniera già quando si è piccoli, credo aiuti molto ..." - Sembrava simpatica, dopotutto.

"Credo di sì ... Mio marito già aveva sugli undici,dodici anni e ha fatto già un po' più fatica ..."

"Sei già sposata? Complimenti!"

Mentre le ragazze parlavano, Antonio continuava a fissare Feliciano, e Feliciano il pavimento.
Qualcosa non andava in quel ragazzo, ne era sicuro.
Certo, era sensibile, molto legato al fratello ... Ma, che ce l'avesse tanto con lui per aver lasciato Romano, non riusciva a crederci.
Non era solo questo.
Non poteva essere solo questo ...
Doveva esserci qualcos'altro sotto, ne era certo.
Tanto certo quanto lo era il fatto che non avrebbe mai potuto chiederglielo.
Avrebbe peggiorato ancor di più il loro rapporto, e non voleva perdere per sempre la sua amicizia.
Gli voleva bene, come a un fratello ...


"Tsk, non é possibile una cosa del genere!" - Sbuffò Austria, le mani sul volante, guardandosi attorno.

Imbottigliato nel traffico.
Come tutti gli altri.
Chi diamine gliel'aveva fatto fare, di uscire?
Avrebbe potuto restare a casa, a suonare qualcosa ...
Ah, già, schiamazzi notturni.
Quella vecchia denuncia gli mandava ancora il sangue al cervello.

Solo perché una sera, non accorgendosi dell'ora tarda, si era messo al pianoforte giusto dieci minuti, a suonare Chopin.
Solo dieci, maledetti minuti.
Dieci minuti per vedersi recapitare a casa una multa.
Dieci minuti di schiamazzi notturni, erano bastati a Roderich per odiare i suoi vicini di casa.
Se li salutava ancora, era solo perché era un signore.
Perché sicuramente, un uomo che suona Chopin alle dieci di sera, vale dieci volte quei coniugi che, spesso e volentieri, tenevano la radio a tutto volume, costringendolo a sorbirsi scempi come Rap e House.

"Dove andremo a finire ..." - Sospirò, sentendo in lontananza la radio maleducata di un' auto, mentre davanti agli occhi assenti si apriva la portiera di un taxi ed un ragazzo usciva, spazientito, prendendo a camminare a passi lunghi e decisi.

Maledicendosi per non essere uscito di casa a piedi, notò un'auto poco distante lasciare il parcheggio, e decise di approfittarne.
Qualsiasi cosa, anche una passeggiata tra lo smog, sarebbe stato meglio di rimanere chiuso in macchina tra musica assordante ed abbaglianti invadenti.
Parcheggiata l'auto, si sistemò la camicia ed i capelli, guardandosi attorno.

Doveva esserci un locale lì vicino ...
Ricordava di esserci stato molte volte con Elizaveta, ed una o due persino con Feliciano e Gilbert.
Quel maleducato di Gilbert ...
Era insopportabile.
In qualsiasi posto di classe, sembrava un pesce fuor d'acqua.
Sembrava essere nato apposta per fargli fare brutta figura.
Si vedeva lontano un miglio, che aveva sempre bazzicato i bassifondi.
Non sapeva nemmeno come un ragazzo come Feliciano, avesse potuto innamorarsi di lui.
Gli idioti hanno spesso lo strano potere di attrarre i bravi ragazzi, purtroppo ...

L'albino era il genere di persona che l'austriaco avrebbe volentieri evitato.
Se ci era uscito insieme, era solo perché amava Elizaveta, e non voleva litigare con lei.
Era indisciplinato.
Maleducato.
Rumoroso.
Imbarazzante.
Sempre a sghignazzare, a dar pacche sulle spalle (e quanto avrebbe voluto rispondergli per le feste! Ma era un signore, a differenza sua), sempre a mangiar patate e bere birra.
Lo odiava, lo odiava con tutto il suo cuore.

Per quanto gli dispiacesse per Feliciano, doveva ammettere che era contento della loro apparente rottura.
Quel ragazzo non era per niente adatto a lui.
Come poteva, un angelo come Feliciano, andare insieme ad uno scapestrato del genere ?!
Era inaccettabile!
Nessuno dei suoi amici si sarebbe ridotto così!
Certo, la vita era la sua, e non gli aveva mai detto apertamente quello che davvero pensava ...
Ma, per quanto stesse soffrendo, non poteva nascondere molto la sua soddisfazione.

Si era seduto ad un tavolo.
Lo stesso di sempre.
Provò un senso di smarrimento nel non trovare gli occhi di Elizaveta di fronte a lui.
Quel locale era il loro.
Quello che, anni prima, era stato una delle loro prime mete, quando Roderich, ironizzando sull'infanzia da maschiaccio della ragazza, diceva di volerle insegnare le buone maniere e la classe.

Tutte sciocchezze.
Quelle cose erano innate, nella sua Eliza.
Erano rimaste nascoste in lei, in attesa di maturare e dare il meglio di loro.
Poi, erano maturate tutte d'un colpo.
Sbocciate come meravigliosi fiori, come quelli che aveva iniziato a mettere tra i capelli.
Quelli che l'austriaco adorava sentire sotto le dita, mentre le accarezzava le ciocche di seta.
Quelli di cui amava sentire il profumo, mentre percorreva la sua testa ed il suo collo con le labbra.
Quel profumo era buonissimo, secondo solo a quello della pelle dell'ungherese.

"Dovresti smetterla di pensare a lui!" - Una voce interruppe i pensieri di Roderich.

Non gli era particolarmente familiare, eppure, era sicuro di averla già sentita, da qualche parte ...

"Lo so, Feliks ..." - Un'altra voce.

Feliks?
Anche quel nome, l'aveva già sentito ...
Posò appena lo sguardo sugli altri tavoli, scrutando il viso di ogni persona con occhio insieme fuggiasco e scientifico, finché non lo trovò.
Pochi tavolini vuoti davanti a lui, un ragazzo dai capelli biondi, a caschetto.

Dove l'aveva già incontrato ...?
Certo! Il concerto della sera prima!
Guardava seccato il ragazzo di fronte a lui, le iridi verdi e le dita intrecciate.
L'altro, non lo guardava neanche, gli occhi assenti di un verde più tenue, come se faticasse a parlare.
Come se, quell'argomento, gli fosse tutt'altro che gradito.

"Intanto mi chiedo perché tu abbia accettato il suo numero ..." - Sbuffò Feliks, chiaramente infastidito.

"Te l'ho detto, ha insistito ... Mi ha praticamente tolto il cellulare dalle mani! E poi lo sai, com'é fatto ..." - Sospirò l'altro, passando nervoso il cellulare tra le dita un po' sudate - "E ... Insomma, non mi convince."

"Non ti convince? Solo ora non ti convince? Da quanto mi hai raccontato, non é mai stato uno stinco di santo ... Te lo dico io, cos'ha in mente quello." - Serrò i denti e diede un leggero pugno al tavolo - "Non gli é andata giù che l'hai mollato. E sta cercando di riavvicinarti. Ma che ci provi, che lo ammazzo! E provaci anche tu, ad abbassare la guardia, e giuro che mi incavolo!"

"Non lo so, Feliks ... Non so se sia questo il motivo per cui ha voluto ridarmi il suo numero ..." - L'altro alzò le spalle, sconsolato. - "Ma resta il fatto che non mi convince. Quando gli ho chiesto se, dopo di me, aveva avuto qualcun altro, mi ha detto di no ..."

"Certo, perché quel bastardo é ancora innamorato di te!"

"Però mi sembra strano." - Proseguì, ignorando completamente il polacco. - "Mi sembra strano che uno come lui sia rimasto solo. Avrà anche un pessimo carattere, ma non ci credo ... In più, quando mi ha risposto, aveva un'espressione in volto che mi ha fatto paura. Come se mi stesse nascondendo qualcosa ..."

"Ti stai facendo un sacco di paranoie inutili!" - Sbuffò di nuovo. - "Non capisci che stai facendo il suo gioco? Continui a pensare a lui! Cosa dovrei dire?"

"Feliks, tra me e Ivan non c'é più niente, e mai ci sarà qualcos'altro." - Spiegò, la voce calma, raggiungendo appena le dita di una mano con le sue. - "Voglio solo assicurarmi che non stia facendo nulla di strano. Perché, come hai detto, non é uno stinco di santo. E quell'espressione che aveva, era davvero terrificante. Sta tramando qualcosa, me lo sento. E devo scoprire cosa, anche se ne ho paura."

"Io capisco le tue intenzioni. Mi fido di te, Toris ..." - Anche la voce dell'altro, ora, era quasi inudibile. - "... Ma, se fossi in te, starei il più lontano possibile da quell'uomo. Non giocare con il fuoco ... Non ti sono bastate le cicatrici che hai sulla schiena, per imparare la lezione?"

"..." - Toris abbassò la testa, deglutendo, come a farsi forza.

Se la schiena, ogni tanto, ancora gli bruciava come fuoco, era colpa di quell'uomo.
Sua, e del suo amore malato.
Lo sapeva, lo sapeva bene che, con il suo ex-fidanzato, era meglio non averci nulla a che fare.
Ma lo conosceva.
Lo conosceva bene, forse meglio di chiunque altro, e conosceva quell'espressione.
La conosceva, e aveva imparato a temerla, perché da essa non scaturiva mai niente di buono.

Sospettava che gli avesse mentito.
No, non poteva essere rimasto solo.
Non con quell'espressione.
Non con l'espressione che aveva ogni volta, poco prima che le sue carezze si trasformassero in schiaffi, e i fremiti di piacere in grida di dolore.
Ma se era solo, allora a chi era diretto, quel sorriso malato?
A lui ...?
No di certo, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa di nuovo.
Non ora che aveva ripreso a vivere, e che aveva qualcuno che lo amava veramente.
O, forse, semplicemente qualcuno che era capace a dimostrarlo.

"Scusa ..." - Sbuffò il biondino.

"Come ...?"

"Scusa. Non volevo ricordartelo ..." - Gonfiò appena le guance, come un bimbo dopo aver confessato una marachella, posando gli occhi verdi altrove.

"Tranquillo! Non preoccuparti!" - Lo rassicurò Toris, coprendogli la mano con la sua - "Aš tave myliu ..."

"..." - Bastò quel poco contatto fisico, per ridipingere un largo sorriso sulle labbra del polacco. - "Anche io ... Kocham cię!"

"La sua ordinazione."

"Come?" - La voce del cameriere distolse Roderich dall'ascolto della conversazione.

"La sua ordinazione ..." - Sorrise di nuovo, lasciando la bevanda sul tavolino.

"Oh ... Grazie."

Così preso dai suoi pensieri, non si era nemmeno accorto di aver ordinato.
Avrebbe voluto salutare Feliks, da gentiluomo qual'era, ma sembrava piuttosto assorbito dalla conversazione con il ragazzo.
Non voleva disturbarli.
Rimase a meditare su quelle ultime parole dal suono strano e straniero, chiedendosi cosa mai volessero dire, e posando le labbra chiare sul bordo del bicchiere, intento a dissetarsi.


"Hai intenzione di rimanere qui seduto tutta la sera ...?" - Chiese Ludwig, fissando serio il fratello maggiore, seduto su una panchina.

"Tu vai pure dove ti pare, se vuoi ..." - Rispose scontroso Gilbert, i gomiti sulle ginocchia e le mani tra i capelli color neve. - "Non voglio andare in centro. E' troppo rischioso."

"...?" - L'altro rimase immobile ad ascoltarlo, le mani sui fianchi e gli occhi di ghiaccio, con la compostezza di un soldato.

"Magari incontriamo Francis, oppure ..." - Si bloccò. No ... ll nome di Feliciano era diventato un tabù doloroso. Gli veniva la nausea solo a pronunciarlo, quel nome, mentre la sua espressione, davanti all'ascensore, gli torturava il cuore e la mente. - "... Meglio di no. Io me ne sto qui al parco."

"Gil ... Non ti lascio solo. Se stai qui, allora ci sto anche io." - Concluse, poca emozione a smuovergli la voce, sedendosi al suo fianco.

L'albino continuava imperterrito a fissare la terra un po' umida, i ciuffi d'erba scura qua e là e qualche cartaccia dimenticata mossa dalla debole brezza.
Il biondo lo guardava, cercando di non farsi scoprire.
All'improvviso, ebbe un dolce dejà-vu, e un sorriso gli addolcì per poco i tratti duri e severi.

La sua mente era volata indietro nel tempo, quando era ancora piccolo.
Quando il suo volto era come una luna piena, e gli occhioni azzurri pieni di emozioni, come un grande libro aperto.
Lui, piccolo e debole, a fissare pieno di ammirazione il suo fratellone, guardandolo dal basso verso l'alto come se fosse un eroe.
Era un eroe.
Il suo eroe.

Osservava attentamente ogni sua mossa, e provava ad imitarlo.
Lo spiava di nascosto, quando si guardava allo specchio mostrando a sé stesso i muscoli, e sperava di diventare come lui.
Lo spiava, dalla porta della cucina, quando era in soggiorno con i suoi amici, e sperava di poterne avere altrettanti.

Probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato più alto e più robusto.
Neppure lui, lo avrebbe sperato.
Invece, si era ritrovato, senza volerlo, a guardarlo dall'alto verso il basso e, anziché renderlo felice, questo lo deprimeva.
Perché il suo corpo pareva essere diventato presuntuoso, con la voglia non più di rispettare la magnificenza del fratello, bensì di eguagliarlo e superarlo.
Era un pensiero stupido, Ludwig lo sapeva, ma non poteva farci nulla.

Vedere l'uomo, il ragazzo che da sempre aveva preso come esempio di forza e di bravura, in quelle condizioni disperate, gli faceva male.
Era come un drago senza più ali né poteri.
Come un cavaliere senza più terre.
Come un re senza più corona.

Quell'uomo straordinario era proprio al suo fianco.
Più basso, più magro e più sconsolato.
Gli sembrava di essere un gigante, al fianco di un pulcino caduto dal nido.
Il pensiero lo divertì e rattristì al tempo stesso.
Il fratello minore era lui.
Non doveva essere lui, quello più basso e da consolare?

"..." - Silenzioso, fratello minore imprigionato nelle sembianze di un fratello maggiore, appoggiò un braccio attorno al collo di Gilbert.

Così, senza dir nulla, perché a nulla servivano le parole.
Specialmente le sue.
No, non era mai stato bravo con le parole.
Mai quanto il suo fratellone.
Voleva solo fargli capire che non era solo.
Che, per quanto Ludwig credesse che l'albino aveva fatto un grave errore a tradire Feliciano, non lo avrebbe abbandonato, mai e poi mai.
Perché, se aveva fallito come fratello minore, superandolo in quanto a muscoli ed altezza, voleva almeno rendersi utile come fratello maggiore.
O, perlomeno, voleva provare a fingere di esserlo.
Almeno per qualche istante, mentre l'altro pareva vegetare nel vuoto, senza terra sotto i piedi.

"...!" - Gilbert ebbe un lieve sussulto, sorpreso dal gesto del fratello.

Si voltò appena, accennando un sorriso, per poi spingersi verso la panchina, appoggiandoci la testa e premendo il collo contro il braccio di Ludwig.
A naso in su, le stelle parevano navigare nelle acque rosse dei suoi occhi.
Voleva poter smettere di pensarci.
Voleva poter smettere di pensare ai due italiani, almeno per un istante, sebbene tutto, in quel momento, glieli riportasse alla mente.

"Chi l'avrebbe detto, Lud, che un giorno saresti stato tu a consolare me ..." - Sospirò, cercando di sorridere ancora, gli occhi incollati sull'oceano scuro del cielo. - "... Danke."

Ludwig chiuse gli occhi, e i ricordi lo assalirono di nuovo.
Ricordi in cui era piccolo e grasso, e Gilbert era come un re davanti a lui, inginocchiato per concedergli una carezza.
Ricordi in cui piangeva, perché i bambini sanno essere tanto cattivi quanto fragili, e l'albino lo consolava.
Ricordi in cui si gridavano e lanciavano di tutto, chiudendosi nelle rispettive stanze senza parlarsi per ore.
Ricordi in cui, uno dei due, apriva lentamente la porta, accorgendosi che l'altro stava facendo esattamente lo stesso, ed entrambi la richiudevano orgogliosi di colpo.
Ricordi in cui uno dei due, alla fine, metteva da parte l'orgoglio ed andava a bussare alla porta del fratello, scoprendosi entrambi stanchi di tenersi il broncio, e scoppiare in una cristallina risata.

"Credo che i fratelli siano insieme la più grande benedizione e maledizione che Dio abbia potuto darci!"

Quella frase gli aveva colpito le tempie così, all'improvviso, e il suo cuore iniziò a battere più forte.
Glielo aveva detto Feliciano, qualche tempo prima.
Gilbert, Antonio e Romano si erano allontanati per qualche istante, e loro erano rimasti sotto le stelle, a parlare.
Erano finiti col descrivere i loro rispettivi fratelli, e Feliciano aveva concluso con quell'affermazione, sorridendogli felice, mentre la brezza gli accarezzava le guance e scompigliava i capelli.
Se lo ricordava bene, come se fosse stato il giorno prima.

Perché ...?
Perché quando pensava, o vedeva Feliciano, si sentiva così?
Era una sensazione strana, come un benessere misto a malessere.
Come una profonda voglia, ostacolata da un misterioso divieto.
No ... Non doveva pensarci.
Non ora.
Gilbert gli era accanto, e sembrava essersi tranquillizzato.
Perché doveva iniziare ad agitarsi lui ...?
Lo guardò appena con gli occhi azzurri e stretti, tirando un sospiro nella speranza di cacciare via i pensieri.

Finalmente, un bagliore.
C'era lui, e c'era Gil.
Lui, fratellino minore, e Gil, fratello maggiore.
Ah, beati e dolci ricordi ...


Francis, seduto in soggiorno, si stava ormai lentamente addormentando, quando il cellulare sul tavolo improvvisamente suonò, facendolo trasalire.
Era un messaggio.

'Sono qui fuori. Aprimi.'


Poche e sbrigative parole, nello stile dell'inglese.
Quello stile imbarazzato, sempre attento a non mostrare il suo amore, che Francis adorava.
Cercava così di non dare nell'occhio, mostrarsi distaccato, senza sapere che, il francese, lo trovava ancora più adorabile.
Si alzò di scatto, aprendo la porta.

"Fran- ...!" - Non fece in tempo a dire una parola, che già Francis aveva premuto le labbra contro le sue.

Aveva sentito la sua mano scendere, fino a posarsi vogliosa sul suo coccige, mentre con l'altra gli accarezzava una guancia, le dita tra i capelli.
Arthur premette i pugni contro il suo petto, diviso tra il desiderio di allontanarlo e la voglia crescente di amarlo.
Tenne ben strette le labbra, quando avvertì la lingua del francese percorrerle, cercando una via d'entrata, sentendola allontanarsi al suo ennesimo rifiuto di aprirle.

"Mi sei mancato ..." - Gli sussurrò all'orecchio, accarezzandogli la nuca e cercando di farsi più vicino, spingendosi in avanti con il petto ed avvicinandolo con la mano sulla schiena.

"... Fuck! Non qui! Are you crazy or what ?!" - Protestò infine l'inglese, trovando finalmente la forza di spingerlo via ed entrando nellappartamento, chiudendo a chiave la porta. - "Pensa se passava qualcuno!"

"... Ti vergogni così tanto a farti vedere con me ...?" - Gli chiese dispiaciuto, mantenendo le distanze.

"Tu non c'entri niente ... Lo sai ..." - Sbuffò, gli occhi color smeraldo fissi sul pavimento lucido.

"..." - Il francese rimase un attimo in silenzio.

Voleva davvero che le cose cambiassero.
Non potevano andare avanti così.
Forse l'arrivo di Feliciano era un segno.
Era segno che dovevano smetterla.
Era segno che Arthur doveva smetterla.
Smetterla di nascondersi.

"Uhm ... Ho dato a Feliciano dei tuoi vestiti, per uscire stasera." - Decise di cambiare discorso. - "Spero che non ti dispiaccia ..."

"...!" - All'inglese andò di traverso l'aria. - "Cough! Cough! Era proprio necessario ?!"

"Cosa devo fare? I miei non gli vanno bene, e ancora non vuole tornare a casa sua, ha paura di incontrare Gilbert ..."

"Poteva mettere i tuoi ..." - Arrossì appena, sfuggendo con lo sguardo. - "... Insomma, ogni tanto a me li fai indossare ... I tuoi orrendi vestiti ..."

Francis notò l'imbarazzo dell'altro, e decise di giocarci un po' su.

"Ma tu con i miei vestiti sei très joli ... Oltre che molto sexy ..." - Gli sussurrò vicino all'orecchio, facendogli salire un brivido lungo la schiena.

"...! N-Non é vero! Non c'è niente di sexy nell'indossare magliette che ti arrivano infondo ai piedi! Non riesco neanche ad usare le mani, con quelle maniche!"- Protestò, mentre il rossore sul suo viso si faceva più vivo al pensiero.

"Ahah! Ma sei adorabile!" - Sorrise Francis, abbracciandolo.

"..." - Arthur rimase per un attimo immobile e silenzioso tra le braccia dell'altro.

Posò la testa sul suo petto, finché i suoi occhi non incrociarono il cellulare del francese, sul tavolo.
Probabilmente lì dentro c'era qualche foto di suo cugino.
Sicuramente, ce n'erano.
Cercava di dirsi che non gliene importava nulla, ma la verità era che la curiosità lo stava uccidendo.
Voleva scoprire se ci aveva visto giusto, quella mattina.
Voleva scoprire se erano state tutte semplici coincidenze, o se quel famigerato Feliciano che aveva già incontrato ben tre volte, era lo stesso Feliciano con cui, suo malgrado, stava dividendo tanto l'appartamento quanto il suo Francis.

Ma non voleva dare nell'occhio.
No, non avrebbe mai detto a Francis 'Hey! Mi dai un attimo il tuo cellulare, che voglio vedere la faccia del tuo cuginetto?'
No! Non l'avrebbe mai fatto!
Era fuori discussione!
Doveva trovare un modo per allontanarlo ...

"Uhm, ho voglia di fare una doccia ..." - Prese a dire e, benché stesse sentendo di tradire il suo carattere, decise di aggiungere - "... La facciamo insieme?"

Era solo per allontanarlo.
Solo per controllare il suo cellulare, mentre quel maniaco se ne stava sotto la doccia ad aspettarlo.
Sì! Era solo un'esigenza!
Nulla di più!
Il fatto che sapesse in cosa, nel novanta per cento dei casi, si trasformassero le docce in coppia con Francis, non era certo il motivo che l'aveva spinto a trovare questa soluzione!
Nossignore!

"..." - Francis sorrise ignaro, dandogli un bacio sulle labbra - "... Come siamo intraprendenti, ce soir ..."

"..." - Senza quasi volerlo, Arthur si ritrovò a ricambiare il bacio. - "... Comincia ad andare, appoggio chiavi e cellulare, e arrivo ..."

Il francese decise di obbedire, benché gli sarebbe piaciuto aspettarlo.
Riempirlo di baci fino al bagno, spogliarlo con lenta smania e passare le labbra su ogni centimetro della sua pelle, facendolo arrossire e gemere.
Al pensiero, già il cuore e il respiro si facevano più affannati, mentre era già arrivato nella stanza.
Prese a spogliarsi da solo e in silenzio, cominciando a regolare l'acqua per la doccia.

Un sorriso malvagio e infantile dipinse le labbra dell'inglese, rimasto solo, come un bambino all'uscita di un negozio, dopo aver rubato una caramella.
Prese tra le mani il cellulare di Francis, deglutendo.
Era il momento della verità ...

Fece scorrere l'infinita rubrica con fare maniacale, maledicendo il francese per tutti i numeri che si ritrovava, finché, finalmente, non raggiunse la lettera F.
F ... E ...
Feliciano.
Eccolo!
Ancora un istante.
Solo un pulsante lo separava dalla verità ...

Click.
Aprì il profilo.
Il nome, il numero di telefono ...
Francis aveva sicuramente messo anche una sua foto ...
Infatti.

Un ragazzo sorrideva felice con un chicco d'uva rossa tra le dita.
Dietro, un cielo così azzurro da sembrare dipinto, ed un campo di grano in lontananza.
Ancora più lontano, le colline sfidavano il cielo, adornate da tanti vitigni come collane di perle.
La pelle candida era appena benedetta dal sole, mentre i capelli sembravano più rossi ai suoi raggi, facendo risaltare la margherita tra le ciocche come in mezzo ad un campo bruciato.

I suoi occhi ambrati.
Le sue labbra rosate.
Quel sorriso.
Era la stesso.
Non c'erano più dubbi ...
Erano la stessa persona!

Arthur si affrettò a richiudere tutto, riponendo il cellulare sul tavolo nel modo più accurato possibile, tirando un sospiro di sollievo.
Aveva scoperto la verità.
E, per un istante, si chiese perché gli era importato così tanto scoprirlo.
Perché mai era stato un suo chiodo fisso da quando Francis gli aveva imposto la covivenza con quel piccolo guastafeste.
Quel fantasma che lo costringeva a stare lontano da casa sua ...
Finalmente aveva, senza ombra di dubbio, un volto.
Ed anche piuttosto conosciuto ...

L'inglese scosse la testa, come a cercare di svuotare la mente dai pensieri, per poi posare il suo cellulare al fianco di quello dell'amato (amato? Tsk, non che gliene importasse poi tanto!), insieme alle chiavi, l'accendino e le sigarette.
Fuck ... Doveva decidersi a smettere di fumare.
Non perché lo volesse Francis, non era certo per questo ...

Raggiunse silenziosamente il bagno, e altrettanto silenziosamente si spogliò, con una strana impazienza che lo sorprese, e che cercò di reprimere.
Era impaziente?
Impaziente di raggiungere Francis nella doccia?
No ... No, aveva solo voglia di darsi una rinfrescata.
Solo la maledetta voglia di lavarsi!

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


NOTE. Salve! :D ♥ ... Finalmente posto il Decimo Capitolo X__X; Ahem, perdonate l'attesa ^^'' ... Comunque, sono molto felice, perché questa fanfiction, con questo decimo capitolo, si conferma essere la FanFiction più lunga che io abbia mai scritto! *___* (superando quindi "Pokémon School BW Invasion", che di capitoli ne contava nove, raggiunsi quel numero con molta fatica e poi la abbandonai per mancanza di idee ... Ma stavolta, so bene cosa scrivere, devo solo trovare il tempo e la voglia di farlo! >u<).
Questo capitolo é stato un po' problematico per me da scrivere ... Diciamo che non si respira un'aria molto allegra 'xDD ... Ma non sarà così ancora per molto, presto qualcosa cambierà! ;D
Buona lettura, le recensioni sono sempre più che gradite ^.^ ♥

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Capitolo 10.

"Hanatamago! Vieni qui!" - Lily si mise in ginocchio, a braccia aperte, finché la cagnolina non le arrivò addosso, leccandola e scondinzolando felice. - "Ahaha! Mi fai il solletico!"

"Dai Hana! Basta!" - Sorrise Peter, correndo incontro alla ragazza ed al cane, chinandosi a sua volta. - "Insomma! Vuoi più bene a lei che a me ?!"

"Wof!" - Un acuto guaito fu la risposta, mentre, continuando a scondinzolare, leccò ancora una volta la guancia della biondina, che rideva di gusto.

"Ah sì?! Allora stasera vai a casa sua! Non ti voglio più!" - Sbuffò il ragazzino, e a quelle parole, la barboncina lasciò per un attimo Lily, correndogli incontro e saltando, posando le zampe sulle sue gambe. - "Ah! Hai paura, eh?"

Vash non levava loro gli occhi di dosso.
Avrebbe voluto farlo, ma era più forte di lui.
Vedere la sua Lily crescere lo rendeva orgoglioso, ed iniziava, forse, a provare le stesse emozioni che provava ogni padre.
Le emozioni di cui suo, anzi, loro padre gli aveva parlato.
Gli aveva parlato di un futuro lontano, in cui Vash stesso si sarebbe ritrovato padre, e avrebbe provato le gioie e i dolori di quel faticoso lavoro.
Avrebbe guardato i suoi figli come delle opere d'arte, e avrebbe pensato, con orgoglio, che quelli erano sangue del suo sangue.

... Che peccato, invece, pensare che quell'uomo non aveva fatto in tempo nemmeno a veder crescere la sua figlia più piccola.
Mai avrebbe visto quel futuro che tanto pregustava, in cui i suoi due amati figlioli sarebbero diventati l'uno padre e l'altra madre, e lui finalmente nonno.

Non aveva fatto in tempo nemmeno a vedere Vash farsi uomo.
Perché sì, doveva ammetterlo, da quando i suoi genitori erano morti, era cambiato parecchio.
Non era mai stato un ragazzo con la testa tra le nuvole, ma, che a volte si fosse approfittato della presenza dei suoi, era cosa vera.
Era cosa vera, e lo svizzero odiava ricordarlo.

Avrebbe potuto fare molto, molto di più.
Da sempre.
Il vero Vash, quello che si era rivelato alla morte dei suoi genitori, era rimasto per anni nascosto.
Nascosto dietro lo scudo delle dicerie, dei modi di dire, perché di quel detto, 'Massì, tanto sono ragazzi!' tutti e troppe volte se ne approfittavano.

Anche lui, se n'era approfittato.
Aveva, come tutti i ragazzi, agito da irresponsabile, a volte.
Non perché non avesse saputo riconoscere la via più giusta, ma, anzi, per il puro piacere di evitarla.
Tanto, sapeva che tutti l'avrebbero perdonato.
Massì, perché, infondo, 'era solo un ragazzo'.

Aveva 'riposato sugli allori', senza dare il massimo di se, solo perché c'erano altri a badare a lui.
Ed ora, guardando indietro nel tempo, se n'era pentito.
Si odiava, per aver mentito ai suoi genitori.
Si odiava, perché era sempre stato più maturo di quanto non avesse mai dimostrato, e tutto quel senso del dovere non era certo nato dal nulla, alla loro morte.

Eppure, i suoi genitori erano tanto fieri di lui.
Da tutti veniva contraddistinto per la sua serietà e dedizione agli studi.
... Ma non era abbastanza.
No, era giusto la sufficienza.
Vash lo sapeva bene, quanto avrebbe potuto dare e quanto effettivamente dava, e se rispetto ad altri ragazzi poteva essere molto, per lui era quasi poco.
Ma nessuno pareva sospettarlo.
Nessuno avrebbe mai immaginato quanto fosse stato stupido.

Era stato uno stupido, davvero stupido.
Aveva mostrato quel poco di sé che bastava per guadagnarsi l'ammirazione dei suoi genitori.
Aveva mentito.
Erano fieri di lui, e lui segretamente mentiva.
Aveva nascosto il suo vero potenziale, prendendoli in giro.
Allora, solo allora si era mostrato per come realmente era.
Solo allora che non c'era più nessuno a poter esser fiero di lui.
Solo allora, senza ormai più nessuno che avrebbe potuto guardarlo con gli occhi più anziani, a sospirare con fierezza 'questo è mio figlio ...!'

Così tanto aveva aspettato.
Quel che bastava, per avere il rimorso per sempre.
Quel che bastava, per vedere i suoi genitori abbandonarlo, ancora fieri di lui, pur vivendo nella sua menzogna.
Quel che bastava, per farsi uomo a loro insaputa.

Ormai non c'era più nulla da fare.
Mai, l'avrebbero visto per quello che davvero era.
Mai, avrebbero visto la loro adorata Lily crescere.
Mai, li avrebbero visti innamorarsi.
Mai, li avrebbero visti farsi padre e madre, a loro immagine e somiglianza.
Mai, avrebbero gioito nel divenire nonni.
Tutto questo, mai l'avrebbero avuto.

Vash continuava ad osservare la sorellina giocare, e mentre posava i suoi occhi color smeraldo ovunque, ora su di lei, ora sul cane e sul ragazzino, segretamente sperava di non essere solo.
Sperava che i suoi occhi fossero i loro occhi.
Sperava che, se un dio non c'era (ma quale dio poteva mai esistere? Quale dio avrebbe il coraggio di dividere i genitori dai propri figli?), ci fossero almeno le anime.
Le anime dei loro cari genitori, a vegliare su di loro.
A poter vedere, con gli occhi dello svizzero, la loro unica figlia farsi adulta.
A poter vedere ogni cosa, per sempre, fino alla morte.

Fino al momento in cui anche Vash se ne sarebbe andato, e avrebbe potuto finalmente vedere in faccia, ammesso che esistesse, il dio senza cuore che li aveva divisi.
O, forse, avrebbe semplicemente esalato un ultimo respiro, prima di essere gettato nella terra fredda, e lì sfasciarsi in silenzio, corpo senza anima, e anima dissolta.
Forse, non c'era proprio nessuno con cui prendersela.
E nessuno avrebbe visto Lily crescere, attraverso gli occhi di Vash.
Nessuno avrebbe vegliato sui due orfani.
Erano tutte sciocchezze, fandonie inventate dagli uomini solo per accendere un barlume di speranza nelle loro vite di affanno.
La speranza di un posto migliore.
Sciocchezze.
L'unico posto che li avrebbe visti, sarebbe stata la terra umida del campo santo.
Nient'altro.
Niente anima, e niente dio.

 

"E' stata una bella serata ... Grazie." - Ringraziò quieto Feliciano, sorridendo sereno da dietro la nuvola di zucchero filato, alzando appena le labbra appiccicose, come intrappolate in una tela dolce di ragno.

"Non devi ringraziarmi! Era il minimo ... Sono contenta che ti sia divertito." - Rispose Elizaveta, quasi in un sospiro.

Un sospiro, come di sollievo.
Era rimasta tesa, come una corda di violino, in ogni istante.
Lo era rimasta all'incontro con Antonio e Bella.
Lo era rimasta mentre camminavano insieme tra le luci e i colori.
Lo era rimasta in ogni negozio, scrutando fuggiasca a destra e a manca, sperando di non fare altri incontri.
Sembrava essere ancora più preoccupata di Feliciano.
O, forse, era solo meno brava a seppellire le emozioni dietro un sorriso falso ed altruista.

"Che ore sono? Forse dovrei chiamare Francis ..." - Sospirò il ragazzo, guardandosi le mani agitate sulle ginocchia.
 

"Ancora con questa storia? Non riuscirai mai a superarmi, perché io sono magnifico!"
 

"...!" - Feliciano ebbe un sussulto al cuore, e le mani insicure presero a tremare, lasciando cadere a terra lo zucchero filato.

Cadde così, in un tonfo muto.
In silenzio, in mezzo al mondo, e nel cuore dei due fu come lo scoppio di una bomba.
Tremenda, silenziosa bomba.
Giaceva ormai a terra, sporco di quella terra dura e scura, tra i filamenti dolci e rosati.

No ... Non era Gilbert.
Non era lui.
La voce era diversa, ma le parole erano così simili.
Sembrava davvero lui.
Pareva che si fosse spogliato di quel corpo e di quella voce, di quelli che Feliciano aveva amato ed amava, di quelli che l'albino aveva osato sporcare con il tradimento.
Pareva che avesse preso nuove sembianze, solo per farlo impazzire.
Solo per pedinarlo, per inseguirlo ovunque, tra le nuvole e le stelle, tra la folla e le chiome scure degli alberi.
Tutto, era tutto uguale a lui.

La voce era sparita, ingoiata dal silenzio e dal sibilo della lieve brezza tra gli alberi.
Non era lui, no, era chiaramente la voce di qualcun altro ...
E poi ...
Con che coraggio avrebbe riso e scherzato?
Con che coraggio, quella notte, aveva osato uscire con qualche suo amico, a ridere e scherzare come se niente fosse?
Come se tutto andasse bene.
Come se non ci fosse stato, di mezzo, un giorno scomodo.
Un solo, dannato giorno che separava, come un solido muro, il passato e il presente.
Era bastato solo un giorno, una sera, un secondo ...
Solo un secondo, per distruggere anni della vita di Feliciano.
Anzi ... Della loro vita.

"...?" - Elizaveta rimase un attimo ad osservare quanto caduto.

Una nuvola di zucchero.
Una dolce nuvola di zucchero rosa, che i bambini avrebbero fatto a gara per avere.
Ora giaceva lì, sconsolata, sporca di terra ed immangiabile.
Per un istante, in quella matassa di zucchero, vide Feli.

Anche lui era una nuvola.
Una nuvola di zucchero, senza alcun pensiero, che viveva solo per addolcire la vita degli altri.
Anche lui era stato gettato via.
Anche lui era caduto dalle mani di chi non aveva saputo trattarlo con dovuto rispetto ed attenzione.
... Ora era solo.
Solo ed abbandonato, in ginocchio per terra, a sporcarsi di fango e di lacrime.

"Hei ..."

"...!" - La voce dolce e materna dell'ungherese lo fece trasalire, mentre cercava con disinvoltura di asciugarsi le lacrime che, senza nemmeno accorgersi, aveva iniziato a versare.

"Se vuoi puoi mangiare un po' del mio ..." - Aggiunse la ragazza, porgendogli il suo zucchero filato ed abbozzando un dolce sorriso.

Diamine ...
Voleva solo rendersi utile.
Voleva farlo sentire bene.
Voleva fargli dimenticare tutto, e invece ...
Invece era lei, quella che non si era data pace per tutta la sera.

"Veee ... Grazie." - La ringraziò in un filo di voce, cercando di apparire sereno, allungando la testa verso la nuvola di zucchero nella mano di Elizaveta e dischiudendo lentamente le labbra, per prenderne un po'.

Aveva lasciato i grandi occhi ambrati balenare in quelli verdi della ragazza, guardandola come un cucciolo smarrito ma riconoscente, le iridi ancora opache di lacrime.
Era rimasto così, la bocca avida di zucchero e gli occhi fissi e pensierosi su di lei.

"...?" - Elizaveta si sentì un po' a disagio.

Girò gli occhi attorno, come ad evadere.
Si guardò appena dietro le spalle e sul petto, in cerca di qualcosa.
Perché la guardava così?
Aveva forse qualcosa che non andava ...?
O, forse, stava cercando di comunicargli qualcosa?
Le era riconoscente?
O, forse, tentava di dirgli di smetterla?
Che la serata era stata un disastro, ed era solo colpa sua.
Solo colpa sua, perché, mentre Feliciano cercava di dimenticare, ogni sua azione e pensiero era così trasparente, che pure uno sconosciuto avrebbe notato qualcosa di strano in lei.
Una forzatura, un tentativo di evadere, così pesante da far ripiombare entrambi nello sconforto.

No ... No, era esattamente l'opposto di cio' che voleva ...
Aveva fallito.
Era una pessima amica.
Forse sarebbe stato meglio se Feliciano fosse uscito con Francis.
Sì, molto meglio ...

"..." - Feli emise un leggero suono con la gola, come un inudibile fremito.

Elizaveta era davanti a lui.
Si mordeva appena la guancia, lo sguardo assente, attendendo che Feliciano finisse di mangiare.

Lei era rimasta lì ...
Sì, solo a lei importava di come si sentisse.
Solo lei e Francis si erano preoccupati di farlo sentire meglio.
Solo lei era rimasta al suo fianco, quando il mondo gli aveva voltato le spalle.
Solo lei ...
Era l'unica.
Sì, l'unica che tenesse davvero a lui.
L'unica che gli volesse davvero bene.
L'unica ... La sola ed unica ...

Gli occhi ambrati e pensierosi si riflettevano in quelli verdi e ed assenti di lei, come in uno specchio, le iridi fuse e mischiate come in una bolla di sapone.
Le sue labbra erano lì, piene e carnose, con giusto quel velo di rossetto per non sentirsi nuda, ad attendere inquiete.
A pensare con lei, a tener serrato nella bocca un mondo di parole non dette e di preoccupazioni.

Quelle labbra si facevano sempre più vicine, e nemmeno riusciva a capire il perché, mentre sentiva le sue, più sottili e rosate, tremare nello zucchero sciolto e nella poca brezza.

Sì ...
Solo lei pensava a lui.
Solo lei gli voleva bene ...
Solo lei e Francis.

Forse era stato tutto un errore.
Un grosso, enorme errore.
La vita gli passò davanti così, in un istante.
Gli amici, le chiare giornate di sole, quando tornava felice da scuola, tra i fili d'erba vibranti di brezza e le nuvole sfaldate sul cielo azzurro che già prometteva l'Estate migliore.
Quel periodo strano della sua vita, quando, d'un tratto, s'era ritrovato (e ancora se ne chiedeva il perché) a vagare la sera tarda tra ponti e canali d'acqua.
Quelli erano i bassifondi, l'habitat dei 'disgraziati'.
Non aveva nemmeno creduto che potessero esistere, quei posti, nella sua amata città bagnata dal sole e baciata dalla nebbia.
I poster strappati e le scritte sui muri avevano un aspetto diverso di giorno, quando li fissava distrattamente dall'alto, mentre si dirigeva verso il centro.
Aveva creduto che fossero posti abbandonati da anni.
Teatro di chissà quali crimini, commessi decenni di anni prima.

Invece, con sua grande sorpresa, si era ritrovato a viverli, quei bassifondi.
Li aveva vissuti quasi per caso, quando fu catturato da una musica assordante.
Una musica assordante, ed una voce che poco aveva a che fare coi cantanti melodici che aveva sempre adorato.
Bello e dannato, ecco come si era presentato Gilbert a lui.
Sudato e ridente, a gridare parole in una lingua sconosciuta, i capelli color neve scintillanti sotto la lontana luce dei lampioni, la chitarra elettrica e chiassosa.
Era lì, ad ergersi disgraziato su casse di legno, come una rockstar miliardaria e maledetta su di un palcoscenico.

Era iniziato tutto così.
Senza che Feliciano se ne potesse accorgere.
E altrettanto freneticamente era finita.
Non si era accorto dell'inizio.
Di quanto velocemente fosse entrato nel suo cuore, come un angelo salvatore.
Non si era accorto nemmeno della fine.
... Erano bastate poche ore, per uscire da quel cuore tanto velocemente quanto ne era entrato.

"...!" - Elizaveta si ritirò imbarazzata, fissando per terra.

"...!" - Feliciano fece lo stesso, continuando a guardarla con la coda dell'occhio.

Era bastata la sua muta protesta, per risvegliarlo dal mondo dei suoi pensieri.

Cosa stava facendo ...?
Era stato uno stupido.
Era ovvio, non amava certo Elizaveta.
Lei era sposata, e lui ...
Beh, lui non aveva nulla a che fare con lei.
Erano amici, nient'altro.
Grandi amici, solo questo.
Non poteva provare per lei ciò che aveva provato per Gilbert.
Ciò che ancora provava per Gilbert.

Ma che gli stava succedendo?!
Non ci stava capendo più niente.
Voleva forse il Fato perverso distruggere tutto il suo -anzi- il loro mondo?
Voleva forse che tutte le loro storie cadessero come un castello di carte?
Prima Antonio con Romano, poi Gilbert ... Ora lui, lo stava facendo con Elizaveta.
No, voleva bene a Roderich.
Voleva bene ad Elizaveta.
Non l'amava.
Quasi li invidiava quei due.
Loro sì che erano perfetti ... Sempre insieme, l'uno per l'altra, ed una famiglia l'avrebbero anche potuta creare.

Lui invece, cos'era?
Qualcuno di stupido ed anonimo, così ingenuo che tanti pensavano di poter giocare con lui.
Lui sorrideva, fingeva di non capire, voleva essere amico di tutti.
Invece capiva eccome.
E quanto male gli faceva, capire come gli altri lo considerassero un angelo.
Sempre dolce, allegro ed ottimista, quello che davvero sapeva godersi la vita, senza sgarri né eccessi.

No ... Non avevano capito nulla.
Stava male, davvero male.
Perché sorrideva ed era gentile con tutti, e voleva a tutti la stessa dose enorme di bene.
Ma nient'altro.
Gli altri gli passavano avanti, baciandosi ed amandosi, e lui rimaneva lì, a sorridere ingenuo.

Non era ingenuo.
Anche lui voleva amare.
Anche lui voleva essere amato ...

Solo una volta aveva avuto il privilegio di provare quell'emozione.
E chi, se non il suo caro fratello, gli aveva tolto per sempre quel sentimento ...?
Ancora una volta, pugnalato alle spalle.
Ancora una volta, lui sorrideva, e gli altri gli passavano avanti.
Tanto era ingenuo.
Tanto non avrebbe mai potuto dare a Gil quello che gli avrebbe potuto dare Romano.
Tanto aveva i suoi amici a consolarlo.
Tanto, aveva un bel carattere, quanto tempo sarebbe passato, prima che un amico si fosse trasformato in un suo amante?

No ...
Avevano sbagliato tutto.
Non era uno stupido.
E nemmeno bravo con l'amore.
Era un buon amico, forse.
Solo questo.
Condannato ad essere l'ingenuo ed adorabile amico di tutti.
A dare agli altri il suo amore, spartito in piccole, grandi dose, e ricevere in cambio da tutti, la stessa fetta di amicizia.
Solo amicizia ...
Lui con l'amore era solo una frana.
Se fosse stato bravo, Gilbert non avrebbe preferito nessuno a lui ...


"Uhm, si é fatto un po' tardi ..." - Elizaveta cercò di spezzare la tensione. - "Chiamo un attimo Roddy, scusami ..."

Il cuore aveva preso a batterle forte.
Era successo tutto così in fretta, che il suo unico pensiero, in quel breve tempo che era parso un secolo, era stato Roderich.
Il suo volto.
Il volto che amava, l'unico uomo che voleva.
L'unico ad aver mai sposato le sue labbra.

Non aveva certo pensato che Feliciano ci stesse provando con lei.
Lo conosceva troppo bene per pensarlo.
Ma la sua reazione, l'aveva comunque presa alla sprovvista.
Era semplicemente solo ... Solo e triste.
Forse non era stata abbastanza brava da poterlo far svagare, quella sera.
... Se ora Feli sedeva confuso affianco a lei, guardandola con gli occhi pentiti mentre digitava il numero dell'austriaco, era solo colpa sua.

"Pronto ...?"

"Roderich! Tutto bene?"

"Uhm, sì ..." - L'uomo rimase piuttosto sorpreso dalla domanda. Perchè mai non avrebbe dovuto essere così? - "E tu, con Feli?"

"Mmh, sì." - Voleva rimanere sul vago. Sarebbe stato meglio parlarne con calma al suo ritorno. - "Dove sei?"

"Sono andato fuori a bere qualcosa, ma sto rientrando ... A che ora torni?"

"... Non credo tra molto." - Abbassò istintivamente la voce. Non era certo per quel mezzo bacio interrotto, che la loro serata si sarebbe conclusa su quella panchina. Giusto ...?

"Va bene, duchessa." - Alzò le spalle, avvertendo qualcosa di strano nella voce della moglie. - "... Sicura che vada tutto bene?"

"Sì! Te l'ho già detto! Allora a più tardi!" - Riattaccò in fretta, sbirciando in direzione del ragazzo.

"... Lo dirai a Roderich, vero?" - Chiese in un filo di voce, dopo un interminabile silenzio, fissando per terra.

"... No. Non glielo dirò." - L'aria sembrava essersi fatta d'un tratto ancora più fitta di prima.

"... Scusa. Non so che mi è preso!" - Si scusò Feli, nascondendo gli occhi bagnati tra i capelli, la voce via via più tremante.

"Non preoccuparti, è tutto a posto ..." - Cercò di essere il più rassicurante possibile, con quel tono dolce e materno che solo lei aveva, la voce quasi impaziente di accogliere un figlio.

"..." - Feliciano non rispose, ma si alzò di scatto, asciugandosi le lacrime. - "E' tardi ... Mi dispiace di averti tenuta lontana da Roderich ... Vai da lui."

La sua voce era in un filo, ma voleva gridare.
Gridare, e sperare così di buttare fuori ogni cosa, ogni preoccupazione e lamento, strappandola per sempre via dal suo cuore ferito.

"Feli! Davvero, non ce l'ho con te per cio' che è successo! Ho capito, so che non l'hai fatto con strane intenzioni!" - Si alzò anche lei, sperando di persuaderlo. La loro amicizia non poteva finire. Non per una stupida incomprensione ...

"... Grazie." - La sua voce pareva essersi calmata un poco. - "... Comunque, preferirei tornare da Francis. Scusami ... Non é colpa tua, tu sei stata fantastica, ti sono davvero grato per avermi invitato fuori con te. Ma ... E' inutile. Finché ci penso, non cambierà nulla, e purtroppo l'unico che può cambiare la situazione sono io. Non me la sento molto di stare in mezzo alla gente ... Ci ho provato, ma é un po' troppo presto. Scusami ..."

"Feli ..." - Non poté fare a meno di abbracciarlo.

Forse, dopo quel 'bacio scampato', sarebbe stato meglio non confondergli ancora le idee.
Ma vederlo in quelle condizioni, era davvero troppo.
Era la prima volta, che vedeva il suo viso così deturpato dalle lacrime e dalle preoccupazioni.
La prima volta che la sua bocca non era incurvata in un dolce sorriso.
La prima volta che gli vedeva gli occhi rossi di lacrime.
No ... Non poteva soffrire così.
Non lui.
Nessuno doveva permettersi di calpestare i suoi sentimenti.
Perché era la persona più dolce e buona che avesse mai incontrato.
E, di certo, non si meritava nemmeno un quarto del dolore che stava provando.

 


"... Era da un po' che non lo facevamo sotto la doccia ..." - Sussurrò dolcemente Francis, dando un lieve bacio sul collo di Arthur e stringendo le braccia attorno ai suoi fianchi. - "... Je t'aime tallement."

"Shh! Sto ascoltando!" - L'inglese arrossì appena, alzando appena la spalla nel debole tentativo di liberarsi del francese, per poi cercare di alzare il volume della televisione con il telecomando.
 

"Ed ora, amici del sabato sera, un servizio in esclusiva che ho realizzato a New York!
Le domande proposte ai passanti erano "Cosa pensa l'America dell'Italia?" e "Pensate di parlare Inglese o Americano?" ...
Poi, abbiamo realizzato lo stesso servizio per le strade di Roma!
Ne sono usciti risultati interessanti! Guardiamo insieme!
Ci rivediamo qui più tardi per discuterne con i nostri ospiti, all'Alfred Saturday Night Talk!"

 


"... Ma non avevi detto di odiare questo presentatore?" - Chiese incuriosito Francis, senza alcuna intenzione di lasciare la presa sull'amato, ma appoggiando la testa sulla sua spalla.

Ah~
Cosa c'era di meglio che passare la serata accoccolati sul divano con la persona amata ...?

"Infatti, lo odio! Ma sono curioso di sentire quante cazzate dice!" - Il suo cuore prese a battere appena più forte, quando si accorse di come il francese era appoggiato a lui, così, senza alcuna pretesa. - "Puah, la televisione non sa più cosa trasmettere ... Ce ne vuole per assumere un idiota come questo!"

"Pourquoi ...? Poverino, infondo fa il suo lavoro!"

"Ma lo hai visto ?! E si mette pure a far servizi sulla differenza tra inglese e americano! Vuoi mettere? La mia meravigliosa lingua con quell'accozzaglia di parole e verbi sgrammaticati! Non sono neanche da paragonare! Fuck, quanto odio gli americani, fanno fare la figura degli ignoranti a noi poveri inglesi ..."

Francis lo guardava assorto, con un vago sorriso divertito sulle labbra.
Era bello sentirlo parlare.
Amava il suono della sua voce.
Anche se, il più delle volte, da quella bocca non uscivano che lamenti, il francese non poteva fare a meno di rimanerne affascinato.
Non importava quello che diceva, rimaneva pura melodia sciolta nei suoi timpani, come miele sotto il sole di un mattino d'Agosto.

"... E poi, con questa storia che loro sono di più," - proseguì l'inglese - "Appena uno ti sente parlare inglese, ti fa 'americano?' No! Ignorante! Sono inglese!"

"... Ma come siamo patriottici!" - Esclamò l'altro in tono scherzoso, stringendolo appena più forte, come una bambola di pezza.

"Smettila!" - Protestò debolmente l'altro, in verità senza nessuna voglia di spostarsi.

Quella era la prassi.
Francis diceva qualcosa di strano, e lui reagiva così.
Francis lo toccava in modo disinteressato, e lui reagiva così.

In modo disinteressato ...
Senza pretendere nulla in cambio.
Senza alcuna intenzione di fiondarsi su di lui, e farlo ancora una volta suo.
Senza la sua solita, familiare malizia.

Ad Arthur, faceva quasi più paura così.
Aveva paura di sbagliare, di non capire.
Perché, quando i suoi baci diventavano più invadenti, e le sue mani più audaci, sapeva benissimo cio' che voleva.
Sapeva che il francese voleva prendersi la sua parte, in tutto ciò.
Sapeva come le cose sarebbero andate, la dinamica gli era ormai familiare.
Si sarebbero scambiati un bacio dietro l'altro, sotto le dita ansiose e i respiri affannati.
Avrebbero riempito il vuoto di gemiti e sospiri, mentre odori e sudore si mischiavano sulla loro pelle, fino a sentirsi una cosa sola.
E sarebbero andati avanti così, mentre il tempo continuava a scorrere, un solo corpo ed una sola anima.
Fino a gridare i loro nomi e distendersi l'uno accanto all'altro, col respiro gonfio, il francese a spiare il suo volto stanco, lui con gli occhi verdi fissi al soffitto, a chiedersi perché mai fosse successo di nuovo.

Ecco, era così.
Per quanto ogni volta gli pareva quasi la prima, alla fine non poteva fare a meno di pensare, col suo solito modo cinico e critico, che la 'scaletta' era sempre, più o meno, la stessa.
Come se, inconsciamente, stessero prendendo parte un rituale dalle regole non scritte, che tutti conoscono, senza nemmeno ricordarsi come diavolo l'avessero imparato.

Ma c'erano volte, in cui Francis lo sorprendeva.
Quando sfiorava appena le sue labbra, con timida riservatezza.
Come se si fossero appena conosciuti, ed avesse uno strano timore ad andare oltre.
Come se non ricordasse, di averlo fatto suo solo poco tempo prima.

Oppure, in momenti come quello.
Erano lì, sul divano, e il francese pareva quasi un bambino.
Le braccia attorno alla sua vita, le mani chiuse sul suo stomaco, gli occhi chiari come innocenti specchi.
Allora, pareva la persona più casta del mondo.
Come se, certi pensieri, non lo sfiorassero minimamente, e mai l'avessero sfiorato.
Si limitava ad abbracciarlo, a sorridergli, a dargli qualche lieve bacio sul collo, di quelli caldi ed affettuosi che si danno e ricevono dai bambini.

Era imprevedibile.
Allora, la cosa lo spaventava.
Cosa voleva?
Possibile che gli bastasse semplicemente averlo al suo fianco?
Possibile che la stessa persona che lo amava con tanto, passionale, quasi ossessivo ardore, fosse la stessa che ora lo stava così innocentemente abbracciando ...?

Arthur amava Francis.
Ormai lo sapeva.
Avrebbe falsamente detto di essersi 'arreso alla realtà', pur senza accettarla.
Lo amava, ammesso che quello strano e forte sentimento che provava si chiamasse 'amore'.
Lo amava, e non capiva neanche il perché.
Lo amava, e ancora non riusciva a capire tutto di lui.
Forse col tempo, si sarebbe abituato, ai due volti di Francis.
Forse un giorno, avrebbe capito cosa lo spingeva a cercarlo, anche quando non voleva nulla in cambio, se non la sua sola presenza.
Forse si sarebbe ritrovato simile a lui, molto più di quanto pensasse.

Un rumore.

Cos'era stato ...?
L'aveva forse immaginato?
Eppure, sembrava proprio reale ...

Toc Toc!

Ancora ...?
Anche Francis se n'era accorto.
Chi diamine poteva essere, a quell'ora?
Stanco ed avvolto nei suoi pensieri, Arthur ancora non riusciva a ragionare nel modo giusto ...

Il francese, al contrario, aveva avuto un brivido lungo la schiena.
Era Feliciano!
Sì! Era sicuramente lui!
Ma perché diavolo non l'aveva avvisato del suo ritorno?!
Par bleu! Arthur era proprio accanto a lui, stanco e svogliato!
Così tanto da non capire nemmeno la gravità della cosa!
Aspetta ... Non era lui, quello che insisteva tanto a mantenere la loro relazione segreta ...?

L'inglese si sentì gli occhi azzurri dell'altro puntati addosso.
Lo guardavano preoccupato.
Sorpreso e preoccupato.
Sorpreso ...?
Aveva forse qualcosa che non andava ...?
E quel rumore?

"Artie!" - Lo chiamò, e l'altro si sentì come risvegliato da un lungo sonno.

Ora, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Provava un senso d'angoscia ...
Hey! Un momento!

"Francis ..."

Quella voce, là, fuori dalla porta ...

"Sono io ... Aprimi ..."

Fuck! Feliciano!
Ed ora, aveva pure preso a suonare il campanello, quel moccioso invadente!
Ma come aveva potuto essere così stupido da dimenticarsene?!
E come aveva potuto, quell'idiota, dimenticarsi di fare una telefonata prima di tornare?!
Tsk, che ragazzino!
Non sapeva che Francis aveva una vita privata?!
Eppure, proprio lui avrebbe dovuto saperlo!
Non pensava forse, che ancora Francis si portasse a letto cani e porci?!
Erano gli accordi, no?!
Lui, loro ... Era tutto ancora un segreto, giusto?
Allora, non poteva proprio passare, per la testa di quel bambinetto, che magari Francis aveva avuto voglia di portarsi a letto qualcuno, mentre lui faceva l'idiota tra le bancarelle?!?!

Fuck! Tutta colpa di Feliciano!
Fuck! Tutta colpa di Francis!
Se aveva detto qualcosa a suo cugino, l'avrebbe ammazzato!
E, se aveva intenzione di incastrarlo in questo modo, si sbagliava di grosso!
Fuck! Fuck! Fuck!

Ormai i pensieri di Arthur erano confusi quanto le idee di Feliciano sulla sua vita, ora che tutto il mondo pareva essergli crollato addosso.

"Fuck!" - Fu l'unica cosa che uscì dalla sua bocca, mentre si era alzato di scatto dal divano, mettendosi proprio di fronte al francese, guardandolo con occhi insieme furiosi e terrorizzati.

"J'arrive!" - Gridò Francis, dando un veloce sguardo in direzione della porta, come per prendere tempo.

... Calma.
Doveva rimanere lucido.
Era l'unico modo per uscire da quella situazione.
Certo, era l'occasione buona per far uscire Arthur dal guscio ...
Ma, d'altra parte, presentare la sua relazione a Feliciano, proprio mentre questi era stato appena scaricato, non pareva proprio la soluzione più brillante.

Sacre bleu!
Quei due l'avrebbero fatto impazzire, prima o poi!

"Dans notre chambre!" - Era troppo agitato per parlare in una lingua diversa dalla sua, per quanto sapesse perfettamente sia l'italiano che l'inglese.

"What?!" - Aveva capito, ma lo sfizio di togliergli il francese dalla bocca, era sempre più forte di lui, anche in situazioni come quella.

"Tout de suite!" - Insistette, letteralmente spingendolo in camera da letto, e chiudendo la porta, con un sorriso complice sulle labbra. - "Ne t'inquiète pas ... Aie confiance."

Arthur rimase seduto sul letto, là dove Francis l'aveva spinto, ancora agitato, ma quasi divertito dalla reazione di Francis.
Quella rana ... Pareva proprio un idiota, quando prendeva a parlare in francese, soprattutto se così veloce ...

"Toot sweet?" - Sorrise, fissando il pavimento, quasi cercando di bruciare la tensione. - "Fuck you."


"J'arrive!" - Chiamò ancora, mentre finalmente aprì la porta. - "Feli, scusa se ti ho fatto aspettare ..."

"Non importa ..." - Rispose l'altro, abbozzando un sorriso ed entrando in casa. - "Cosa stavi facendo ...?"

"Uhm! Beh, stavo ..." - Sapeva che non vi era malizia nelle parole dell'italiano. Ma era comunque una domanda, e doveva inventarsi, ancora una volta, una buona scusa.

"Veeeeh! Fratellone! Da quando fumi?" - Chiese ancora, sorpreso nel vedere un pacchetto di sigarette sul tavolo.

Sacre bleu!
Aveva nascosto Arthur, certo, ma un buon osservatore avrebbe di sicuro notato più di un indizio, per supporre che Francis non aveva passato la serata da solo.
Certo, Feliciano non era mai stato molto sveglio, ma un indizio l'aveva già trovato, e la paura di contraddirsi era tanta, troppa ...

"..." - Aveva deciso. Avrebbe detto una mezza verità. - "Feli, non sono mie quelle sigarette."

"No...? Ah! Lo sapevo! Il fratellone Francis non fumerebbe mai! Vero?" - Sorrise ingenuo, come un bambino, volendo dimenticare per un attimo sé stesso e la sua vita. - "Ma ... Allora di chi sono?"

"Vedi Feli, non volevo dirtelo perché avevo paura di urtare i tuoi sentimenti, ma ..." - Fece un sospiro, come prima di una dichiarazione importante. - "... Non ho passato la serata da solo."

"Veeeh ...?"

"Mi stavo annoiando, così ho guardato un po' i numeri che avevo sul cellulare ... Sai, a volte li tengo ... E ho invitato qui qualcuno. Capisci cosa intendo dire, ho invitato qualcuno..."

"E dov'é?! E' un tuo amico? Voglio conoscerlo anch'io! Perché non me l'hai detto? Potevamo andare alle bancarelle insieme!"

"No, Feli ... Non posso fartelo conoscere."

"Veeeh? Perché no?"

"Beh... Insomma, mi conosci, no?" - Fece una mezza risata per sdrammatizzare. No ... Lui conosceva il 'vecchio Francis'. Del nuovo, non sapeva proprio nulla. - "E' nella mia stanza, sul letto ... Mi hai colto di sorpresa, pensavo tornassi più tardi."

"Sì, scusa ..." - Abbassò la testa, affranto. - "... Mi dispiace se ho rovinato la serata anche a te ..."

"Anche a me ...?" - Gli poggiò una mano sulla testa, con fare paterno. - "Cosa vuol dire 'anche a me'? Cos'é successo?"

"Mmh ... N-Niente, davvero ..." - Non aveva il coraggio di alzare la testa.

"Su ... Ti conosco. Non mentirmi."

"V-Vai ..." - Delle lacrime iniziarono a nascergli sugli occhi tristi. - "Lui ... Ti starà aspettando ..."

"Non! Prima mi dici tutto, o non mi muovo di qui!" - Si abbassò al suo livello, prendendogli il viso tra le mani ed alzandolo verso il suo, fino ad incontrare i suoi occhi. - "Feli ... Hai incontrato Gilbert?"

Quel nome, fu come una pugnalata al cuore.
Nello sconforto, per un attimo si sentì sollevato.
Incontrare l'albino, sarebbe stato molto, ma molto peggio...

"N-No ... Ho solo ... Uhm ..." - Si morse il labbro inferiore, e decise di cambiare l'impostazione del discorso. - "Francis ... Quando lo hai scoperto? Quando hai scoperto di provare le stesse cose sia per gli uomini che per le donne? Com'é ... Successo?"

"...?" - La domanda lo sorprese. - "Perché me lo chiedi?"

"N-Non lo so ... Era una curiosità ... Insomma ... Provi proprio le stesse, identiche emozioni?"

Non credeva proprio di essersi innamorato di Elizaveta.
No, non aveva provato la stessa sensazione di quando baciava Gilbert, o la sensazione che il solo pensiero gli provocava.
Era qualcosa di più debole ...
Piuttosto forte, ma debole, comparato ai sentimenti che aveva nutrito (no, che nutriva) per Gil.

"Non ti rispondo finché non mi dici cos'é successo stasera ..." - Scosse la testa, per poi abbracciare Feli e sussurrargli nell'orecchio. - "Qualsiasi cosa sia ... Non preoccuparti, io sono sempre dalla tua parte, qualsiasi scelta tu prenda ..."

"..." - Fece un sospiro, per poi abbracciarlo di rimando, e decidersi a parlare. - "... Ho quasi baciato Eliza."

"...?" - Lo guardò negli occhi, sorpreso. - "E ...?"

"Uhm, non lo so. Non ho provato nulla. Non so nemmeno perchè mi sia avvicinato a lei in quel modo ..." - Tirò su col naso, cercando di cacciare indietro le lacrime cristalline, come piccoli chicchi di riso. - "... Io stavo solo pensando. Stavo pensando a Gilbert, a quello che é successo ... E ho pensato che ... Che lei, e tu, siete le uniche persone che mi vogliono davvero bene, e ..."

"Lei come ha reagito?"

"N-Niente ..." - Alzò le spalle, fissando il pavimento. - "Dice di non preoccuparmi. Che sa che non l'ho fatto con malizia ... N-Nemmeno io lo credo. E' solo che ... Ho paura di aver rovinato il nostro rapporto. Fratellone, sono confuso ..."

"... E' normale." - Cercò di fare un sorriso rassicurante, prima di avvolgerlo di nuovo tra le sue braccia, più grandi e paterne. - "E' normale che tu ti senta confuso. E' successo tutto velocemente, ed ancora non riesco a rendermene conto nemmeno io. Non pensarci, ora ... E' peggio. Devi solo svuotare la mente, e vedrai che il resto verrà da se ..."

"N-Ne sei sicuro, fratellone?" - Lo guardò negli occhi, le iridi ambrate da cucciolo smarrito riflesse in quelle turchesi e più mature del cugino.

"Certo." - Cercò di cambiare discorso, sperando di distrarlo. - "... A proposito, non ti ho ancora risposto!"

"Veeeeh?"

"... Riguardo a quando ho scoperto di essere attratto sia dagli uomini che dalle donne!" - Fece un sorriso sforzato, guidandolo sul divano. Non che lo trovasse un argomento particolarmente interessante, ma era pur sempre un argomento che avrebbe potuto distrare Feli. - "Vuoi sentire? E' una storia abbastanza divertente, ohnohnohn!"

"Mmh!" - Annuì, accennando un sorriso. - "Ma ... Non hai detto di avere qualcuno nella tua stanza? Non si starà annoiando ...?"

"Non preoccuparti! A lui ci penserò dopo!" - Strizzò l'occhio con fare malizioso, benché sapesse bene che Feliciano avrebbe preso il gesto con quanta più innocenza un bambino avrebbe potuto mettere.

E così, presero a parlare.
L'uno accanto all'altro, come vecchi amici.
Come i due ormai lontani bambini, che si incontravano nelle piacevoli Estati parigine.
Come i due ragazzini che scoprivano il mondo insieme, in meno di un mese, parlandosi di quei due strani universi paralleli chiamati Francia ed Italia, conoscendo mode e notizie filtrate dall'adulta e strana società locale.

Arthur si era ritrovato ad origliare.
Si era ritrovato dietro quella stupida porta, a sentirsi geloso.
Non tanto di Francis.
Non tanto delle paterne attenzioni che Feliciano stava ricevendo.
Geloso di loro.
Del loro rapporto.
Perché là, nella sua tanto amata Londra, tra giorni di pioggia e viaggi in taxi, non aveva mai avuto quel genere di rapporto.
Con nessuno.
Aveva desiderato così tanto qualcuno con cui condividere le sue esperienze, da finire col crearselo, quel qualcuno.

Aveva creato un mondo di illusioni tutto intorno a lui, e da quel momento si era chiuso in se stesso, senza permettere a nessuno di entrare a farne parte.
Aveva passato le sere chiuso in casa, o in terrazza a fissare il cielo, parlando nella mente di cio' che aveva fatto, dei suoi pensieri e delle sue aspirazioni.
Fingeva di parlare con le fate, con gli gnomi, con gli unicorni.
Si deprimeva quando, a rifletterci, si accorgeva che infondo, stava solo parlando a se stesso, ed era più solo che mai.

Eppure, andava avanti così, in quel magico circolo vizioso, mentre il mondo ruotava in silenzio dietro di lui, in sottofondo.
Solo una persona, l'aveva capito.
Solo una persona, era riuscita ad entrare nella sua vita, con riservata ed impetuosa foga, abbracciandolo e baciandolo.
Forse gli aveva già dato il suo corpo.
Forse si era già consumato le labbra sulla sua pelle chiara.
Ma il cuore no.
Il cuore non glielo aveva ancora dato, e la sua anima era ancora congelata, tenuta segretamente sotto chiave.
Finché, finalmente, non glielo chiese.
 

"... Ci sarà mai posto anche per me, nel tuo mondo incantato?"
 

La voce del francese era entrata calda nel suo orecchio, come un sibilo, ammaliante e fastidioso.
L'aveva visto procedere lento e rispettoso, in punta di piedi, davanti all'anticamera del suo cuore.
Aveva atteso pazientemente davanti al vecchio e pesante portone che separava Arthur dal mondo.
Non aveva mai preteso di aprirlo con la forza.

Arthur non gli aveva mai detto nulla.
Il suo mondo era il suo più grande segreto.
Il suo unico segreto.
Non ne aveva mai parlato con nessuno, eppure Francis aveva capito.

No, forse era stato solo un caso.
Forse era stata una domanda stupida, quasi retorica.
Eppure, a quelle parole sentì qualcosa, dentro di sé, sbloccarsi.
Sentì il cuore sciogliersi, come ghiaccio al sole.
Sentì il pesante portone nella sua anima aprirsi lentamente, per la prima volta, al cospetto di qualcuno.
Ora anche Francis aveva le chiavi.
Arthur sentiva la voglia, il bisogno di fidarsi.
E, forse, per una volta aveva fatto la cosa giusta ...

 

"Ciao ..." - Sospirò Elizaveta entrando in casa, quasi come un' aquila che aveva finalmente raggiunto il luogo dove andare a morire.

"Eliza." - La salutò Roderich, e per poco non gli cadde tra le braccia. - "Cos'hai? Sei stanca?"

"Mmh, un pochino ..." - Ammise la donna, per poi imprimere le labbra su quelle dell'austriaco, con tale foga da lasciare l'altro sorpreso.

"...!" - Roderich si scostò, raggiungendo la porta e chiudendola a chiave.

Non avrebbero certo dato spettacolo del loro amore ...
Non erano cose da mostrare agli estranei.
E poi, al pensiero che potessero passare per il pianerottolo i suoi odiosi vicini, la magia di quel momento si trasformava da melodia celestiale ad un accordo stonato e lugubre.
Oh no, non era certo un borghese incivile come loro ...
Lui e la sua Elizaveta, erano persone infinitamente più eleganti, e farne un paragone era impossibile, un sacrilegio.

Non erano certo loro, quelli che davano spettacolo sotto casa, con quei baci stomachevoli sopra la moto, a motore ancora acceso.
Non erano certo loro, quelli che tenevano la radio ad alto volume, ascoltando le note straziate e sofferenti, e i cantanti più volgari e stonati.
Non erano certo loro, ad aver preso a calci la licenzia media, per poi supplicare un lavoro da far male e svogliatamente.

Li odiava, li odiava come odiava poche altre cose al mondo.
Avrebbe pagato per sbarazzarsi di loro ...
Se avesse potuto, persino una casa gli avrebbe pagato, pur di averli il più lontano possibile da lui e la sua Eliza!

"Rod ..." - Gli sussurrò all'orecchio, abbracciandolo da dietro e guidando la sua mano nel vuoto, lontano dalle chiavi che, inserite nella serratura, ancora stringeva nervoso.

Roderich sentì un brivido caldo attraversargli la spina dorsale, per poi voltarsi e posare le mani sui suoi fianchi.
Lei, aveva già stretto le braccia attorno al suo collo, guardandolo avida ed allungandosi verso le sue labbra, rimanendo in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
L'austriaco prese le labbra dell'ungherese tra le sue, più chiare, dandole un bacio soffice e caldo, per poi spostarsi verso il suo collo, là dove testa e spalla si congiungono.

Elizaveta non riuscì a trattenere un gemito, mentre la bocca di Roderich si apriva e chiudeva su di lei, dandole baci caldi e umidi che, a contatto con l'aria, la facevano rabbrividire di gelo e mancanza, come a desiderare ancora le sue attenzioni.
Nel tremore, si strinse più forte al collo dell'altro, e le ci volle non poca forza di volontà, per indietreggiare e rinunciare ai suoi baci.

"... Andiamo in camera ..." - Consigliò, la voce un po' più bassa, mentre sentiva il calore crescere su di lei e dentro di lei.

Roderich non rispose, ma annuì appena, accennando un sorriso e lanciandole uno sguardo veloce, con le iridi purpuree e vogliose dietro gli occhiali da vista.

Elizaveta gli prese di nuovo la mano, iniziando a camminare verso la camera da letto, lasciando lentamente la presa e sfiorandogli le dita, come a dire di seguirla.
L'altro sorrise ancora ed obbedì, seguendola, avvertendo un nuovo brivido al contatto.

Ora erano sul letto.
La luce soffusa dell'abat-jour, la notte sempre più densa e i loro corpi, uno di fronte all'altro.
Lei gli aveva lentamente slacciato la camicia, fino a farla cadere giù come un velo, lungo le spalle e le braccia chiare e delineate del musicista.
La ragazza si era poi distesa sul letto, guardandolo piena di lussuria, attendendo che lui facesse lo stesso con i vestiti che ancora la limitavano.

Roderich le tolse la maglietta, per poi baciarla passionalmente, con le bocche aperte ed in contatto, unite, come unite erano le loro anime al cospetto di Dio.
Si spinse più in basso, passando le labbra appena rosate su ogni centimetro del suo petto ed addome, baciando e leccando la pelle sensibile, apprezzando i suoi fremiti e sentendosi fremere a sua volta, solo a sentirli.

Erano una musica meravigliosa.
Forse, anche meglio del suo adorato Chopin.
Forse, meglio di qualsiasi nota che il suo amato pianoforte potesse mai produrre.
Anche in quei momenti, si sentiva un musicista.
Come un musicista che valorizza il suo strumento suonandolo con perfezione.
Come un musicista, che senza musica non é nulla.
Come pianista e pianoforte, che da soli non sono niente, ma solo insieme possono aspirare di comporre melodie meravigliose.

Così, amava la sua Eliza.
Così, insieme erano tutto, e da soli non sarebbero stati nulla.
La musica, la bellezza, erano in lei, non certo in lui,
Lui poteva solo cercare di amarla al meglio, per esaltare al meglio le sue doti meravigliose.
Le note sono già perfette, all'interno di ogni strumento.
Il musicista non é nulla, non é che un quarto dell'opera.
Può solo liberare quelle note imprigionate, affinché, da sole, possano uscire e comporre la loro straordinaria melodia.
Così, Roderich amava Elizaveta, musicista e musica, per comporre insieme le opere più meravigliose.

Elizaveta aveva inclinato la testa tra le lenzuola bianche e pulite, beandosi della loro freschezza, che lenivano la sua pelle rinfrescandola dal suo crescente tepore, facendola fremere ancora di più.
Il suo respiro si era fatto più forte, mentre stringeva una mano sulla nuca di lui, tastando i suoi capelli di seta, ed aveva adagiato l'altra sulla sua schiena parzialmente nuda, sentendo anche la sua pelle scaldarsi sotto le dita, e la stoffa della camicia scivolare lenta lungo i fianchi.

Forse avrebbe dovuto dirgli cos'era successo ...
Ma, in quel momento, non aveva voglia di pensare a nulla.
Amava Roderich, lo amava più che mai, e non aveva pensato neppure per un istante, che Feliciano avesse potuto provare qualcosa per lei.
Nemmeno lei, provava qualcosa.
Erano solo amici, e mai Elizaveta avrebbe potuto pensare altrimenti.
Aveva solo voglia di starsene un po' con Roderich, ora.
Forse, gli avrebbe detto tutto in seguito.
Non che ci fosse molto da dire ... Aveva detto a Feliciano che avrebbe mantenuto il segreto, ma proprio non poteva.
Anche se non era accaduto nulla, Elizaveta aveva sentito di tradire suo marito, solo per quella piccola bugia.
No ... Non gli aveva mai mentito, e non avrebbe iniziato ora.
Voleva solo stare con lui, per sempre ...

Avrebbe anche voluto un figlio.
Sì, era da un po' che ci pensava, anche se non l'aveva mai detto.
Ogni volta che facevano l'amore, un po' ci pensava, per poi concludere che, forse, non erano ancora pronti.
Eppure, sentiva questo desiderio crescere in lei, ogni volta, e stava iniziando a provare un nuovo tipo di amore.
Un amore strano, platonico, verso qualcuno che ancora non esisteva.
Ancora rimaneva in silenzio.
Chi le garantiva che Roderich la pensasse allo stesso modo ...?
Forse lui non se la sentiva.
Forse, era meglio aspettare ancora qualche anno ...

"...!" - Si sentì per un attimo mancare il respiro, avvertendo i denti di Roderich serrati appena sulla sua spalla.

Erano seduti l'uno di fronte all'altra, quando lui finalmente svelò i suoi seni, baciandola di nuovo con ardore, spingendo il suo petto contro quello dell'amata, fino a farla adagiare con gentilezza di nuovo sul materasso.
 

"Ich liebe dich ..."
"Szeretlek ..."

 

I loro respiri erano ormai gonfi, i loro corpi nudi e caldi, quando quelle parole sfuggirono dalla bocca di entrambi, quasi all'unisono, per poi ritrovarsi a sorridere sotto i baffi per la strana casualità.
Erano lì, lei tra le lenzuola bianche e lui sopra, l'uno di fronte all'altra.
Erano lì, e si amavano.
Erano lì, mentre fuori le persone si maledicevano sulla strada del ritorno, mentre le strade erano ancora gremite di auto, mentre la musica e il vociare lontano non avevano ancora abbandonato la modesta festa cittadina, fatta di luci, sapori e colori.
 
 

 ~ Continua ....





 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Heilà! 
Chiedo scusa per l'attesa, sono stata impegnata, e ho passato anche diversi momenti di 'blocco dello scrittore' ... Anzi, dell'artista in genere, visto che la cosa si estende al disegno ... .___.'
Oh beh! In ogni caso, questo capitolo non mi fa impazzire, sinceramente, ma spero vi piaccia. Chiedo perdono, ancora una volta, per il linguaggio volgare di Romano, ma ripeto, a farlo parlare senza parolacce, mi sembra di farlo un po' OOC ... °u°'

Buona lettura~

:. Capitolo 11 .:
 


Il sole brillava limpido nel cielo, mentre gli uccelli si apprestavano ad uscire dai nidi e cantare, e le auto cominciavano la loro pigra corsa sull'asfalto secco della prima calura.
Il suono tintinnante delle stoviglie riempiva il silenzio delle stanze ancora addormentate, mentre la luce del sole illuminava le pareti bianche di un'atmosfera accogliente ed essenziale.

"Mmh, Eliza ..." - Sospirò Roderich, muovendo lento la mano tra le lenzuola, come a cercarla, ed aprendo gli occhi con pigro stupore, accorgendosi che la donna non era al suo fianco.
Emise un suono scocciato, appoggiando il mento sul cuscino e rimanendo così, le orecchie tese ai rumori del mattino.

Cercava la sua Elizaveta.
La cercava nel canto degli uccellini, intonato tra un ramo e l'altro, sugli alberi che sovrastavano la strada asfaltata, dove il rombo delle auto pareva quasi il respiro di una bestia moribonda, così ovattato dal vetro della finestra chiusa.
La cercava nel tichettìo incessante delle lancette dell'orologio, che scandivano precise i secondi, come un metronomo intento ad indicare il tempo di una melodia.
La cercava nelle pigre gocce d'acqua del rubinetto ormai chiuso, là in bagno, dove la luce della finestrella si rifletteva nella sua magnificenza sulle piastrelle smaltate, in un infinito gioco di rimbalzi.

Roderich amava ascoltare quei rumori.
La mattina, non importava quanto fosse di fretta, non rinunciava mai a starsene cinque minuti in silenzio, nel letto, con le palpebre ancora calate ma le orecchie ben tese al mondo.
Anche quell'insieme di suoni, erano musica.
Erano una musica straordinaria, talmente perfetta e spontanea, che non vi era bisogno di spartiti, per poterla eseguire.
Nessuno mai, avrebbe osato metter bocca sulla correttezza di ogni nota, né di ciascun gorgheggio di passero.
Forse, solo perché nessuno se ne era mai interessato.
Avevano altro da fare, i grandi della musica, che non starsene sdraiati sullo stomaco ad ascoltare i rumori della mattina.
Quelli erano i suoi Maestri, i suoi miti.
Quelli, vivevano nella magica frenesia dei viaggi, dell'opera, dei grandi concerti.
Erano abituati al vociare del pubblico, agli applausi crepitanti, alle note più melodiose e raffinate.
Non avevano tempo di tendere l'orecchio ai suoni.
O, perlomeno, non avevano il tempo di rifletterci troppo.
Ben altre note, ben altre melodie, deliziavano i loro timpani e la loro mente, anche quando non vi era nessuno a suonare.

Roderich si trovò a sorridere, quasi divertito.
Forse, non sarebbe mai stato all'altezza dei suoi Maestri.
Ma, forse, era giusto così.
Tra quei momenti magici, in cui era solo con sé stesso ed i suoni (che, infondo, sempre musica erano), e il ritrovarsi a suonare le più meravigliose melodie nei concerti più rinomati e importanti del mondo, proprio non avrebbe potuto scegliere.

Che cosa sarebbe stata, la fama, se si fosse trovato a perdere se stesso?
Cosa sarebbe stato di lui, cosa di Eliza?
Il successo, quello vero, quello che andava oltre il suo essere insegnante e modesto (quella parola gli lasciava un certo amaro in bocca, a dire il vero) musicista, segretamente lo spaventava.
Lo desiderava, ma lo temeva.
Temeva che il mondo lo cambiasse.
Temeva di non riuscire più ad apprezzare i suoni, con lo stesso compiacimento con cui apprezzava la grande musica.

Il cuore gli si riempiva di presunzione, orgoglio ed entusiasmo, a vedersi dirigere le orchestre di tutto il mondo.
Eppure sentiva la malinconia salirgli in gola.
Forse quei meravigliosi impegni, quegli agognati doveri, l'avrebbero allontanato da Eliza.
Non era un tipo avventuriero, Roderich.
Amava la casa, la vita domestica, i libri e la musica.
Amava starsene tra le sue quattro mura, a suonare e sognare.
Lì, c'era tutto quello di cui aveva bisogno.
Elizaveta, e il suo pianoforte.

Avrebbe mai potuto scambiare tutto questo per prestigio ...?
Non era bravo a prendere decisioni.
Forse, non ci stava neppure mettendo tutto il suo potenziale, in quel che faceva.
Inconsciamente, aveva quasi paura delle sue abilità.
Aveva paura di perdere cio' che amava di più.

La sua Eliza, sì.
Il suo pianoforte, sì.
... Cosa mancava?
Stava benissimo, eppure sentiva ancora un vuoto.
Non era la fama, non era nulla del genere.
Era qualcosa di più terreno.
Un desiderio strano e lontano, che sentiva a malapena.
Come se nella sua vita, se in quella casa, mancasse ancora qualcosa.
Eppure, proprio non riusciva a capire cosa ...
Non ancora.

~ ♪♫♪♫ ~
Minden vagyam visszaszall
Oda hol az edes hazam var
Zold erdo viragos ret
S all a regi regi hazam meg ...
~ ♪♫♪♫ ~


Elizaveta si era messa a cantare tranquilla dalla cucina.
La sua voce dolce e materna risuonava appena nelle stanze, coperta dal rumore dell'acqua corrente, mentre sciacquava una pentola nel lavandino.
Chiuse l'acqua, e smise di cantare.
Socchiuse appena gli occhi, lasciando cadere le lunghe ciglia nere sulle belle iridi verdi, asciugandosi le mani.

Tirò un sospiro, e gettò lo sguardo oltre la finestra, sulle cime degli alberi e il cielo azzurro.
Doveva dire a Roderich cio' che era successo con Feli.
Non era nulla, infondo, ma non si sentiva a posto con se stessa.
Aveva provato a dirglielo la notte prima, lo aveva quasi sussurrato, fissando il soffitto e giocando con le lenzuola tra le dita.
Ma Roderich si era addormentato, e lei aveva finito per pensarci tutta la notte.

Non si sarebbe arrabbiato, no ...?
Non era successo nulla ...
Glielo diceva giusto per scupolo, per correttezza.
Aveva detto a Feliciano che avrebbe mantenuto il sagreto, ma, infondo, chi mai lo sarebbe venuto a sapere.
Roderich ne avrebbe preso conoscenza, e buona notte.
Non c'era altro da aggiungere.
Nulla per cui litigare.
Eppure, il fatto stesso di non averglielo detto appena rientrata, la faceva sentire una bugiarda.
Anche se poco c'era da nascondere.
Voleva togliersi questo peso di dosso, il prima possibile ...

Clang
 

Sentì il frigorifero aprirsi, e si voltò di scatto.

"Guten Morgen, duchessa ..." - Le sorrise Roderich, per poi ritornare con lo sguardo al frigorifero aperto, dispiaciuto. - "Mmh, non c'é più Sacher ... Credevo di averne lasciata una fetta, ieri sera ..."

"Jò Reggelt!" - Rispose lei. - "Sei troppo goloso, Roddy! ... Comunque, non preoccuparti. Stavo preparando qualche palacsinta ..."

"..." - Accennò un mezzo sorriso, per poi chiudere il frigorifero ed avvicinarsi a lei.
Le poggiò appena le mani sui fianchi, per poi darle un lieve bacio sulle labbra.

"... Palatschinke." - Le sussurrò all'orecchio, e lei non poté fare a meno di staccarsi da lui.

"Palacsinta!" - Disse ancora, incrociando le braccia e fingendosi offesa. - "E' la stessa cosa, nel caso non lo sapesse, Maestro!"

"... Appunto." - Si sedette, senza toglierle gli occhi di dosso, divertendosi nel vederla agitarsi come una bambina. - "Palatschinke."

Elizaveta scosse la testa e si voltò, versando il caffé in due tazze.
Gliene porse una, ed appoggiò l'altra di fronte a lui, dove la donna si sarebbe seduta.
A preparare le palacsinta, ci avrebbe messo poco, questione di minuti.

Aveva già versato l'impasto nella padella bollente, e i pensieri non la abbandonavano.
Roderich la stava guardando, e per la prima volta se ne accorse.
Questione di pochi minuti.
L'aveva girata, aveva preso due piatti, aspettava con trepidazione.
Non vedeva l'ora di sedersi a tavola e parlarne.
Era stupida ... Sì, era stupida a fasciarsi la testa così per nulla.
Ma sentiva che andava detto, nonostante la promessa fatta a Feli.

"...!" - Girandosi verso il frigorifero, si era scontrata con l'austriaco.

"Alle fragole ... Ti va?" - Le chiese, porgendole un barattolo di marmellata.

"Sì! Volevo proprio prendere quella!"

"Siediti amore ... Faccio io." - Le consigliò sfiorandole un braccio, e la sua voce dolce si sciolse nei timpani dell'ungherese, calmandola come d'incanto.

"Ma no ... Non preoccuparti." - Stare seduta ad aspettare che gli altri la servissero, non le era mai piaciuto.

"..." - Sospirò. - "Insomma, per cosa la paghiamo la servitù, se poi lei insiste a voler fare il lavoro dei servi?"

Il ragazzo adagiò la palacsinta nel piatto, e rimise la padella sul fuoco. - "... Allora fai la prossima, io finisco questa."

Elizaveta annuì.
Era bello starsene lì, fianco a fianco, a dividersi i compiti.
Era bello sapere che anche l'altro stava provando le stesse sensazioni, respirando la stessa aria, sfiorandosi e lavorando insieme.
Era come un eterno gioco di squadra, un dolce susseguirsi di faccende condivise, e sapersi impegnati nella stessa cosa, rendeva il lavoro più sopportabile ad entrambi.
Soprattutto quando cucinavano dolci.
Ah! Com'era bello preparare dolci insieme!
Era come se ciascuno mettesse del proprio, per creare qualcosa di nuovo.
Come un padre e una madre che plasmano la vita di un figlio.

Presto, i due si sedettero davanti a due palacsinta fumanti.
Elizaveta lo guardava come da dietro un vetro invisibile, mentre si apprestava a tagliare il dolce.
Non un pensiero, pareva gli passasse per la testa.
La donna, al contrario, stava pensando per entrambi.
Tagliò con la forchetta un boccone.
Lo prese e lo avvicinò alla bocca.
No ... Prima doveva parlare.

"Roderich ..." - Chiamò, facendo tintinnare la forchetta nel piatto di ceramica. - "Ti devo dire una cosa ... A proposito di Feli."

"...?" - L'altro alzò appena la testa, guardandola con aria interrogativa, la bocca già piena, più goloso di un bambino.

"Gli ho promesso di non dirtelo, ma è giusto che tu lo sappia ... Non che sia accaduto nulla, infondo, ma ..." - Fece un sospiro liberatorio, riempiendosi d'ossigeno il petto fino al limite. - "... Ci siamo quasi baciati."

"Cosa?" - Roderich non era sicuro di aver sentito bene.

Era in cucina, vero?
Era sveglio?
Forse, era ancora in camera.
Forse, si era riaddormentato tra il canto dei passeri e il tichettìo delle lancette.
Sua moglie ... E Feliciano?
Quasi baciati?
Era impossibile!
Insomma, Feli non era forse ...

"Va tutto bene! Non l'ha fatto con malizia, ovviamente!" - La voce dell'ungherese interruppe i suoi pensieri. - "Per quanto cercasse di nasconderlo, io ho notato che ha passato la serata a pensare a Gilbert. Stava pensando a lui, anche in quel momento. Gliel'ho letto negli occhi ... Avevano addosso una tristezza che non gli ho mai visto prima ..."

"..." - Fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce, ma nessuna parola riuscì a sfuggire dalle sue labbra.

"Roddy ... Sei arrabbiato?"

"N-No ... Perché dovrei?" - Sentiva di mentire un poco.

Era un uomo, dopo tutto.
Era normale che provasse un minimo di gelosia, anche se sapeva benissimo anche lui, che Feliciano non stava certo cercando in Elizaveta quello che Roderich di lei aveva.
Lo sapeva benissimo, e non era arrabbiato.
Né con lei, tantomeno con Feli.
Provava giusto quel lontano senso di gelosia che gli provocava l'immaginare il volto di Elizaveta così vicino a quello di qualcuno che non fosse lui.
... Indipendentemente da chi.

"Mmh ..." - Lei accennò un sorriso, e proseguì. - "Comunque, dobbiamo aiutarlo ... Vederlo così é troppo ... Non se lo merita."

"Hai ragione ..." - Sospirò, sperando di cacciare via da se, con il fiato, anche quella strana sensazione. - "Io lo dico da sempre, che quel Gilbert era un poco di buono."

"Ma si amavano ... Feliciano lo amava. E, credo anche Gil." - Lo sguardo di Elizaveta era quasi sognante, e nelle iridi, si potevano vagamente intravedere le figure dei due ragazzi intrecciarsi e baciarsi. - "... Anche se poi ha buttato via la storia della sua vita per una notte di sesso."

"..." - Roderich rimase in silenzio. Avrebbe voluto farle notare come non amasse certe parole, soprattutto fuori dai loro momenti più intimi, ma sentirla parlare di queste faccende, infondo lo divertiva.

"Ma dico io! Ma come si fa a lasciare Feli?!" - Batté le mani sul tavolo, innervosita. - "E' il ragazzo più dolce e gentile del mondo ... Come fai a ferire in questo modo una creatura così indifesa?! ... E con suo fratello, poi! Bah ... Suo fratello, un altro ... Ho capito, sei stato appena scaricato, ho capito, ce l'hai col mondo intero perchè ti ha lasciato solo come un cane, ma con che coraggio ci provi col fidanzato di tuo fratello?! Tra l'altro Feli, stava pure cercando di consolarlo! E lo ripaghi così?!"

"Non so che dire ..." - Commentò quieto Roderich, abbassando la testa di fronte all'eccessivo impeto della moglie, che lo guardava ora come a cercare nei suoi occhi una conferma. - "Certo che Feliciano é proprio circondato da cattiva gente ... Ah, quasi mi fa pena."

"Vorrei solo poter fare qualcosa per lui ..." - Elizaveta sospirò, ora più calma. - "... Ma a quanto pare é tutto inutile. Spero che trovi presto qualcun altro, lo conosco, non può andare avanti così ... Ha bisogno di qualcuno che lo faccia sentire importante. Mi piacerebbe poterlo farlo sentire più sicuro, ma é evidente che le braccia di cui Feli ha bisogno, non sono le mie ..."

Roderich non rispose, ma si limitò a bere un sorso di caffé.
L'atmosfera si era fatta d'un colpo silenziosa, come in rispettoso lutto di un amore ormai morto.
Nella stanza, non si udiva altro che il loro respiro, e i loro sguardi preoccupati compensavano il vuoto più dei suoni.


Un rumore di vetri rotti infranse il silenzio dolente dei gemiti.


"Uggh...! Bastardo!" - Gridò Romano in un filo di voce, mentre le lacrime scendevano a terra come pioggia, sui vetri rotti della cornice e sulla foto che era al suo interno, ancora maledettamente intatta.

Il sorriso di Antonio lo faceva vomitare. Ancora un po', e quella bocca maledetta si sarebbe rotta, a forza di sorridere.
Ma magari! Magari gli si sfasciasse la mascella!
Allora, gli sarebbe piaciuto vedere, se quella puttana avrebbe avuto il coraggio di starci insieme, anche se fosse finito con mezza faccia frantumata in un letto d'ospedale.
Era proprio curioso di vedere se quella donnetta vogliosa avrebbe voluto stare ancora al suo fianco, se il suo corpo si fosse deturpato. se avesse dovuto passare anni in un maledetto letto, senza poterla far gridare di sporco piacere, come la prostituta che era.
... Lui ci sarebbe rimasto.
Lui lo avrebbe sempre aspettato ...
Sempre.

Invece, quel bastardo lo aveva buttato via.
Eccolo lì, come fingeva bene in quella foto, come in altre mille identiche, con il sorriso smagliante, il cocktail in mano e il braccio olivastro dietro le spalle di Romano.
Il pensiero lo fece nauseare.
Sì, non avrebbe mai più permesso a quel verme di toccarlo, nemmeno con un dito.

Ma con chi se la stava prendendo ...?
Antonio non voleva toccarlo.
Non più.

Al loro fianco, c'erano Gilbert e Francis.
Gil ...
Era proprio vicino a lui, in quella foto, e Romano si chiese come avesse fatto, anche in quell'occasione, a trattenersi dal baciarlo.
Oh sì, perché allora, aveva qualcosa da perdere ...
Qualcosa che riteneva prezioso.
Forse anche più di Gilbert.
Qualcosa che non meritava nemmeno un terzo delle sue attenzioni e premure.

Anche allora, piangendo, vedendo quanto meraviglioso era Gilbert, vedendo quanto stomachevole era Antonio, si detestava.
Si detestava, perché, se non aveva perso qualcosa, ora aveva perso qualcuno.
Qualcuno di molto, molto più importante.

Era caduto prigioniero.
Prigioniero del sorriso di Gilbert.
Dei suoi modi di fare così diversi da quelli dello spagnolo.
Della sua risata insopportabile.
Prigioniero dei suoi occhi scarlatti e dei capelli di neve.
Della pelle pallida e tesa e delle sue mani più grandi.
Prigioniero di quel corpo stupendo.
Prigioniero, ipnotizzato da quella croce lucente del colore dell'ombra, che si ergeva come un sovrano nel mezzo del suo petto.

Non sapeva nemmeno lui il perché.
Non sapeva nemmeno lui cosa l'avesse spinto a fare quella cazzata.
Sapeva di aver preteso il corpo del tedesco con le unghie e con i denti, e di averlo ottenuto.
Allora, era stato così stupido da dimenticarsi di tutto il resto.
Così stupido, così egoista, da dimenticarsi il sangue del suo sangue.
La persona, forse l'unica, che si era degnata di preoccuparsi di come si sentisse.
Invece no, doveva rovinare tutto.

Infondo, lui e Bella si somigliavano.
Lei aveva sedotto Antonio, lo aveva ipnotizzato e portato via per sempre.
Apparteneva ad una categoria bastarda, di quelle che pensano di poter cambiare un uomo 'facendogliela vedere'
... E, dannazione, ci era riuscita.

E lui, Romano, non aveva forse fatto lo stesso..?
Non aveva forse offerto il suo corpo all'albino, facendo crollare per sempre l'equilibrio che era riuscito a creare?
Cosa doveva pensare di Gilbert?
Si era lasciato andare a lui, così, senza opporre troppa resistenza.
Certo, ne aveva opposta, ma ...
Lui era più grande e più forte.
Se davvero non avesse voluto le sue attenzioni, avrebbe potuto ribaltarlo.
Invece, non l'aveva fatto.
Non aveva gridato il suo nome, ma neppure quello di suo fratello.
Aveva sospirato il nome di Feli, sì, ma Romano si era convinto che l'albino lo avesse fatto per pura paura di essere scoperto.

... Che sciocco, era stato, a credere che Gilbert amasse davvero Feliciano.
Il suo fratellino era proprio uno sprovveduto ...
Forse l'albino non aveva mai provato vero amore per Romano, ma attrazione sì, e su questo voleva crederci.
Era su questo, che stava puntando tutte le sue disperate speranze.

Feliciano, forse, ci avrebbe messo molto a perdonarlo.
Eppure, doveva essergli grato ...
Lo aveva salvato da un uomo che non lo amava.
Sì ... Era così.
Proprio ... Così.

"..." - Il ragazzo emise un verso infastidito.

Era rimasto in quella posizione, chino sul mobile a guardare una foto maledetta (se fino ad allora l'aveva tenuta, era solo perché c'era Gilbert) con delle stupide lacrime agli occhi, per troppo tempo.
Alzò lo sguardo verso il tavolo, scorgendo il suo cellulare.
Strinse la croce di ferro in una mano, e la portò al cuore.
Doveva parlare con Gil ... Doveva trovare la forza di farlo.

Si avvicinò all'apparecchio con passi lenti, e quel secondo gli parve un istante congelato nel tempo.
Lo prese, e quasi se ne dimenticò l'utilizzo.
Aspetta, lo sapeva ...
Rubrica, G ... Gilbert.
Eccolo.
Schiacciò il tasto con un dito tremante, e poggiò timoroso il cellulare all'orecchio, guardandosi intorno con gli occhi larghi, come se stesse facendo qualcosa di proibito.
Fece un grande sospiro per calmarsi, ma il suo cuore non fece altro che battere più forte, facendolo agitare.
Quella manciata di secondi, gli parvero secoli, pesanti come blocchi di marmo.

"... ... ... L'utente da lei cercato, é al momento impegnato in un'altra chiamata. La preghiamo di riprovare più tardi. Grazie."



"Maledizione! E' occupato!" - Esclamò nervoso Gilbert, terminando la chiamata e gettando il telefono sul letto, per poi seguirlo.

Ci aveva messo molto a decidersi a chiamare, ed ora Romano non rispondeva?!
Diamine ...
Ora non aveva proprio voglia di riprovarci.
Una volta era stata più che sufficiente.
Certo, la sua collana gli mancava, ma ...
No. Non aveva alcuna intenzione di rifare il numero.
Anzi, doveva essere stato un pazzo a farlo.
Per fortuna, non gli aveva risposto ...

Insomma, cosa avrebbe dovuto dire?

'Ciao Roma! Uhm, credo di aver dimenticato lì la mia collana. Posso passare a prenderla? Grazie!'.

... No.
Diamine, quello dall'altra parte non era uno qualunque.
Era Romano.
Il fratello di Feliciano.
La causa della fine della sua storia con lui.
Come poteva parlargli con così tanto candore, quando un peso così grande gravava sulle sue spalle magre ed abbronzate?

Quel ragazzo era come un incubo.
Ricordava la sua voce al telefono.
Somigliava tanto a quella di Feli.
... E no, non voleva sentire la voce di Feli.
Il solo pensiero era come una pugnalata.

Eppure, voleva vedere Feli.
Voleva vedere Romano ...
Voleva risolvere tutto.
Chiudere gli occhi, riaprirli, e ritrovare tutto come prima.
O, almeno, ogni questione risolta.
Feli non più arrabbiato, Romano colto da amnesia.
Come se nulla fosse accaduto.

Doveva affrontare ogni questione il prima possibile, o non lo avrebbe fatto mai più.
Doveva recuperare la sua collana.
Doveva scambiare tre parole con Romano.
Doveva, prima o poi, recarsi a casa di Feliciano.
... A riprendersi le sue cose, almeno.
E, se avesse incontrato i suoi occhi lucidi, le guance di latte e le labbra rosate, Dio solo sa cosa gli avrebbe fatto.
E, Dio solo sa come Feliciano avrebbe reagito.
Probabilmente piangendo, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime ed amore, la gola soffocata dal pianto, il cuore gonfio di dolore e svuotato di ogni altra cosa.
Probabilmente, si sarebbe rivoltato, come un cucciolo ferito, e dalla sua bocca sarebbero uscite offese che mai, prima d'allora, aveva osato dire.


"Cazzo! Questa è sfiga!" - Sbraitò Romano, posando il cellulare sul tavolo con così tanta forza, che per un istante lo credette rotto.

Abbassò il capo, e fece un profondo respiro.
Rimase così per qualche secondo, finché non riprese coscienza del suo corpo.
Le sue dita si mossero in uno scatto involontario, ricordandogli la collana che ancora stringeva.
Nella sua mano sudata, il ciondolo era diventato caldo, con le punte della croce che affondavano appena nella pelle umida, quasi a volerla bucare di proposito.
La portò di nuovo ai suoi occhi.

La pietra nera e lucida di cui era rivestita, si perdeva negli occhi verdi dell'italiano, come un corvo tra le fronde degli alberi.
Come ipnotizzato, il ragazzo si diresse di fronte ad uno specchio, e si guardò.

Non erano i denti serrati sul labbro inferiore e carnoso, che vedeva.
Non erano le lacrime secche e salate, che vedeva attorno agli occhi velati di rabbia e tristezza.
Non erano i capelli castani in disordine.
Nemmeno la pelle arrossata e lacera di pianto e sudore.

Aveva portato le mani dietro il collo.
Le mani di Gilbert erano lì, più grandi e più pallide, a litigare con il laccio.
Gli occhi color oliva fissavano il vuoto attraverso lo specchio, immaginando le dita intrecciarsi per riuscire ad allacciare la stringa.
Gli occhi scarlatti di Gilbert erano lì, poco più in alto, ad osservare dove quelli di Romano non arrivavano, con le iridi intrise di appassionato impegno.
Ora il ciondolo nero era proprio lì, sul suo petto, come un Re sul trono.
Romano accennava un sorriso.
Gilbert era dietro di lui, con uno più largo e deciso dipinto sul volto.
Le sue mani si erano posate sulle sue spalle temprate dal sole e dagli affanni.

Socchiuse gli occhi, il bell'italiano, e per un attimo credette davvero di sentire il peso di quelle mani sopra di lui.

Ich liebe dich, Romano ...


Gli era parso di sentire, proprio nel profondo dei suoi timpani, al che spalancò gli occhi con il cuore a mille.

Macchè ...
Non un'anima, era in quella stanza.
Il fantasma di Gilbert se n'era andato.
I suoi occhi si erano sciolti e dissolti nell'aria, la sua figura sparita dallo specchio.
Si voltò.
Nessuno.
Solo la sua libreria.
La maledetta libreria che aveva comprato, un fottutissimo giorno d'Inverno, insieme al bastardo.


"Romanito! Che te ne pare di questa?!" - Esclamò Antonio, con il suo solito modo di fare ingenuo e gioioso, così allegro da riuscire sempre a far saltare i deboli nervi di Romano.

"Ma stai scherzando, spero!" - Obiettò l'italiano, guardando lo spagnolo abbracciare una libreria rossa, come se ci si fosse già affezionato come ad un figlio - "Non vorrai mettere questa schifezza in casa nostra!!"

"Uhm ... Pero ... Es hermosa ..." - Protestò sottovoce Antonio, come un bambino rimproverato. Ma i suoi occhi color smeraldo ci misero poco a posarsi su qualcos'altro. - "E questa?! Dai, questa é perfetta !!!"

"...!" - Romano lo osservò dirigersi verso una libreria laccata color legno, terminante con due scaffali dalle maniglie rosse.

"Hermosisima! Y estos?" - Esclamò, toccando uno dei pomelli. - "No parecen tomates?!"

"... E va bene." - L'altro sbuffò, scuotendo la testa e spostando lo sguardo altrove. - "E' carina ... Ok?!"

"Davvero?! Allora la prendiamo?!" - La voce di Antonio scoppiò di felicità, e si diresse verso l'italiano per tentare un abbraccio.

"Uff! Sì! La prendiamo!" - Cercò di scansarsi, con successo. - "Basta che usciamo da questo posto! E' quasi ora di cena e non ho alcuna intenzione di mangiare delle fottutissime polpette svedesi!"

"Jaja! No te preocupes!" - Gli toccò una guancia. - "Andiamo in pizzeria...?"

"Tsk! guarda, mangerei anche il tuo schifosissimo cibo spagnolo, pur di uscire di qui!"

"Ah! Allora sai che faccio? Stasera mettiti comodo, che cucino io! Paella para todos!"

"Cosa?! Col cavolo! Pizzeria !!!" - Fece finta di mollargli uno schiaffo, e l'altro si spostò con fare giocoso.

"No no! Paella!!!"


Questa volta, una sola lacrima bagnò gli occhi dell'italiano.
Quel bastardo ... Non poteva sentirsi così a causa sua.
Non per lui.
Non per la sua voce.
Doveva reagire.
E poi ... Non era solo.
C'era Gil.
Sì ... C'era Gilbert con lui ...
A questo pensò, mentre immobile strinse il ciondolo tra le mani, ancora una volta, con una dolce ossessione, immaginando che al suo interno fossero custodite l'anima e il cuore dell'albino.


"Mi passi il sale?" - Chiese Gilbert, con la bocca piena.

Ludwig fece quanto richiesto, senza fiatare, ma guardandolo intensamente.
Non aveva detto nient'altro da quando si erano messi a tavola.
Anzi, era da quando si era svegliato, che gli aveva detto solo il minimo necessario.
Non era da lui ...
Quello non era suo fratello.
Non era il vecchio Gil.

"..." - Il biondo fece un respiro profondo, cercando le parole giuste per iniziare un discorso. Quell'atmosfera era davvero troppo tesa. - "Tutto bene al lavoro?"

Era una domanda stupida.
Davvero stupida.
Ma, del resto, non sapeva proprio che dire.
Chiedergli come stesse riguardo a Feli e Romano, gli pareva fuori luogo.
Era sicuro che l'albino avrebbe cambiato discorso, o l'avrebbe semplicemente ignorato.

"... Si campa." - Rispose freddo Gilbert, pur cercando di nascondere come si stesse sentendo.

"Mmh." - Fece un mezzo sorriso, e posò di nuovo gli occhi nel piatto. Non aveva funzionato. Doveva inventarsi qualcos'altro ...

"Tu?" - Aggiunse l'albino in un tono quasi scocciato, pasticciando e mischiando le salse con la forchetta, assorto nel suo mondo, con una mano a reggergli la fronte.

"...!" - La domanda lo sorprese, ma ne fu felice: probabilmente anche Gilbert sentiva il bisogno di sentire qualcos'altro, oltre allo sbattere delle forchette nei piatti. - "Bene! Uhm, insomma, come sempre. Tra l'altro, credo che riceverò dei soldi extra, questa settimana ..."

"Soldi extra ...?" - Il tono del ragazzo rendeva difficile capire se la discussione gli interessasse davvero.

'Gil, ti prego, reagisci ...'
Pensò Ludwig, prendendo un boccone.

"Sì. Vash mi ha chiesto di controllare la sua auto. Dice che c'é qualcosa che non va con il motore, ha provato a dargli un'occhiata lui, ma pare che non abbia scoperto il problema." - Bevve un sorso di birra, per poi riprendere. - "Gli ho detto che di non pagarmi, che é un amico, ma sai com'é fatto ..."

Lasciò la frase sospesa.
Ecco, a quel punto, il Gilbert che conosceva, gli avrebbe fatto un largo sorriso, e si sarebbe messo ad imitare lo svizzero, dicendo qualcosa di demente.

"..." - Anche l'albino si era messo a bere.

Fratellone ...
Di' qualcosa.
Ti prego.


"..." - si pulì le labbra con un polso, e fece una nuova pausa, per poi alzare la testa verso Ludwig. - "... Ah sì! Senso del dovere! Amici o no, il suo senso del dovere va addirittura oltre la sua avarizia!"

... Ok.
Non era il massimo.
Il tono non era quello di sempre.
La sua voce non sprizzava allegria, né sincera voglia di prendersi gioco di qualcuno.
Si leggeva quasi un dovere, il dovere di fare cio' che avrebbe fatto, se fosse stato un giorno come gli altri.
Un periodo come tutti gli altri.
Ma Ludwig si accontentò, e sorrise lieto.
Aveva apprezzato lo sforzo.
Era come se Gilbert, con quel segno, avesse voluto dirgli che stava bene, che voleva riprendersi, che non voleva essere trattato in modo diverso.
E, questo, era davvero un grande sollievo.

"Uhm ... Hai voglia di fare qualcosa in particolare, oggi?" - Ecco. Un'altra domanda stupida. Voleva fare qualcosa, Ludwig, ma davvero non sapeva cosa.

Non era abituato, a consolare le persone.
Soprattutto Gilbert.
Di solito, era lui ad aprire le sue grandi ali di colomba, ed offrirgli protezione.
Sapeva solo che, in quel momento, avrebbe realizzato qualsiasi desiderio dell'albino.
Anche arrivare in capo al mondo entro quella stessa sera.

"Dovrei ..." - Parlarne gli faceva male, ma a volte mentire era davvero più difficile che dire il vero. - "... Dovrei andare da Romano."

"...?"

"... La collana." - Spiegò. - "La rivoglio ... Anche se non so cosa potrebbe fare. Non posso levarmi di testa quello che é successo ... E' davvero troppo difficile."

"Gil ..." - Sospirò, e il cuore prese a battergli forte, insicuro delle parole che stava per pronunciare. - "Devi affrontare la questione. Dimenticati di quello che é successo. Stai solo andando a riprenderti qualcosa di tuo. Non pensare a Romano."

"Lo so, lo so, non dovrei ... Non capisco nemmeno perché me ne preoccupo. Voglio dire ... Sono Gil!" - A quest'ultima frase, ebbe un leggero sprazzo di egocentrismo, come ai vecchi tempi. - "Non dovrebbe essere un problema per me! Insomma, ho passato notti a destra e a manca, e non mi sono mai fatto problemi a rivedere certe persone in giro. Eppure ... Dopo di ... Ehm, lui, mi sento cambiato. Lui mi ha fatto capire che stavo sbagliando. Allora mi chiedo ... Perché ci sono ricascato? Se provo qualcosa di diverso, se mi importa di Romano ... Vuol dire che provo qualcosa per lui? Eppure lui mi fa ancora stare male ... E' lui, é lui quello che ancora sento di volere ..."

Lui ... Pronunciare il nome di Feliciano lo avrebbe fatto stare male.
Non che quello di Romano gli fosse uscito dalla bocca con meno fatica.
Insomma ... Che gli succedeva?
Ecco.
Doveva essere parso un emerito, enorme cretino, ora.
A vedersi da fuori, si sarebbe preso in giro, a farsi mille paranoie inutili come una ragazzina in preda agli ormoni.
Che idiota ... Era solo un moccioso.
Un ragazzino.
Ludwig era molto più maturo di lui ...
Che razza di fratello maggiore era?

"... Hai provato a chiamare Romano?" - Il biondo decise di ignorare i discorsi di Gilbert. Sapeva che, se avesse fatto altrimenti, lo avrebbe solo messo in ulteriore imbarazzo.

"Sì ... Ma ho trovato occupato, e, sinceramente, meglio così." - Alzò le spalle. - "Non ho voglia di sentire la sua voce al telefono, davvero ..."

"Allora mandagli un messaggio. Così avrà il tempo di prepararsi mentalmente all'incontro. In questo modo, sarà più lucido ..." - Propose il fratello minore, cercando conferma negli occhi scarlatti dell'altro.

"Mmh, sì, forse hai ragione ... Dopo mangiato glielo mando."

"Subito."

"Come ...?"

"Ti conosco. So che non lo farai." - Ora, era serio. Raramente parlava così a suo fratello, ma era per il suo bene. O, almeno, era quello che sperava ...

"Uff ... E va bene." - Prese il cellulare dalla tasca, come se nulla fosse.

Voleva apparire il più naturale possibile, benché il cuore aveva preso a battergli forte, e lo stomaco a chiudersi, lasciandolo con una sensazione di nausea infondo alla gola e le mani gelide e sudate.

"Uhm ... Romano. Ecco."

Vengo da te alle 17.30. Ti va bene? Devo aver dimenticato lì la mia collana.
- Gilbert.


"Opzioni ... Invia. Ecco. Contento?" - Lo ripose sul tavolo, e fece un lungo sospiro. - "... Non ho più fame, comunque."

"..."

La stanza era tornata silenziosa, governata solo dai rumore di piatti e forchette.
Ogni tanto il rombo di un'auto, o di un camion, che passavano sulla strada asfaltata di fronte al palazzo.
Ogni tanto, si udiva qualcuno parlare in lontananza.
In sottofondo, appena percettibile, il sibilare della televisione dei loro vicini.
Nient'altro, ma Ludwig era contento.
Almeno, era riuscito a far fare al fratello un passo verso la soluzione ai suoi problemi.
O almeno, pregava Gott che fosse così.


"Hanatamago !!!" - Chiamò Peter, e la cagnolina gli si gettò alle gambe, scodinzolando allegra, saltando più in alto che poteva, come a chiedere di essere presa in braccio.

Il ragazzino acconsentì alla muta richiesta, e la prese tra le braccia, soffice e bianca.
Alzò gli occhi verso il cielo.
Ecco.
Somigliava proprio ad una di quelle nuvolette che si spostavano pigre sopra di loro.
Bianche e vaporose, come pecorelle spensierate su un campo celeste.

Spensierate ...
Beate loro.

Appoggiò le labbra tra il pelo della maltese, stringendola forte al petto, come per rassicurarla.
Eppure, Hanatamago non ne aveva alcun bisogno.
No ...
Era lui a sentirsi agitato.

Si sedette per terra, su di uno scalino vicino alla porta d'ingresso, con la cagnolina ancora in braccio.
Si sentiva una musica provenire da dentro.
Suo padre doveva aver acceso la radio.
Lo faceva spesso.
Amava sentire la musica mentre lavorava in casa.

Acuì ancora l'udito, fino a sentire la televisione accesa in cucina.
Conosceva quel motivetto.
Non gli era affatto nuovo ...

Notturno op. 15 n. 1 - Fryderyk Chopin


Sorrise sotto i baffi, per un breve istante, ma la sua espressione mutò in fretta.
Quel Notturno ... L'aveva sentito tante, troppe volte.
Riecheggiava tra le pareti della scuola di musica, e quando lo sentivi, capivi subito sia da dove provenisse, sia chi lo stesse suonando.

Roderich Edelstein


Le braccia di Peter allentarono la presa, e Hanatamago alzò le orecchie guardandolo sorpresa, sebbene avesse deciso di non andarsene dalle sue gambe.

Provò un improvviso senso di nausea, e si morse il labbro.
Non poteva ... Non poteva più andare a scuola di musica.
Non poteva più andare da lui.
Non aveva più voglia di fare nulla ...

Ormai, aveva passato più di una settimana in quelle condizioni.
Si sentiva confuso e perso.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi, riaprirli e ritrovarsi già adulto.
Era stufo di essere un ragazzino ...
Era stufo di sentirsi così ... Così ...
Così inutile.

"Peter!"


"...! Mamma!" - Il ragazzino alzò lo sguardo, e la sua espressione cambiò di nuovo, ricacciando giù le insicurezze, negli abissi del suo cuore.

"Pensavo fossi nella tua stanza ..." - Gli sorrise, di quel sorriso dolce e senza pretese che solo le mamme sanno fare.

"..." - Ricambiò il sorriso, e tornò ad essere il dolce e spensierato bambino che era.

"Perché hai lasciato la torta sul tavolo? Non hai fame ...?" - Si sedette al suo fianco, e prese Hanatamago dalle gambe del figlio, adagiandola sulle sue e prendendo ad accarezzarla - "Ciao Hana! Stai qui col tuo padroncino?"

"Torta? Non sapevo nemmeno che ci fosse!"

"Oh ... Forse te l'ha lasciata Berwald, e poi si è dimenticato di avvisarti ..."

"Sì ... Dev'essere andata così ..." - Peter fece un mezzo sorriso, a metà tra la rassegnazione e la compassione. - "Uff, certo che però poteva anche ricordarsi!"

"Ahah! Avrà avuto la mente troppo impegnata ... Sta montando il mobiletto nuovo del bagno." - Seguì uno sguardo complice, a cui non ebbe bisogno di aggiungere altro.

"Ah beh ... Allora, si intende." - Ricambiò lo sguardo, stiracchiandosi ed alzandosi. - "Però! Ci stiamo facendo riempire la casa di mobili inutili solo perchè a papà piace montarli!"

"Eddai, non sono inutili ... Credimi, se non ci fossi stata io a fermarlo, a quest'ora non vedremmo più nemmeno le pareti!"

"Non poteva scegliersi un hobby peggiore ..."

"Ma no! Almeno sa fare qualcosa in casa! Sai, é una qualità che a noi donne piace trovare, negli uomini ..." - Spiegò, sorridendogli ancora una volta. La sua espressione, si fece poi più scherzosa, quasi infantile. - "... Giusto un consiglio, nel caso volessi far colpo su Lily!"

"Smettila!" - Il ragazzino arrossì, ed aprì d'istinto la porta. - "Vado a mangiare la torta!"

"... Come vuoi!" - La donna rimase seduta sullo scalino, ad accarezzare Hanatamago.

Ormai sola, fece un sospiro.
Ah ... Il loro Peter diventava ogni giorno più grande.
Le pareva di averlo visto solo il giorno prima, con la bocca corrucciata in una specie di smorfia, quando disse per la prima volta 'mamma', 'papà' e mille altre nuove parole.
Le pareva che fossero stati giusto due giorni prima, quando per la prima volta si aggrappò al tavolino del salotto, e fece i suoi primi, goffi passi.

Due giorni, sembravano essere passati.
Possibile che, in due giorni, si fosse fatto così grande?
Aveva imparato a camminare, parlare, scrivere, fare i conti.
Aveva imparato a scherzare, a fare battute e a ridere a quelle degli altri.
Aveva imparato a scrivere poesie e biglietti per le feste, e aveva imparato a suonare il pianoforte.

Quante cose ...
Quante cose aveva imparato, il suo Peter.
E quante cose, aveva ancora da imparare!
Quante cose, aveva ancora da vivere!

Fece un dolce sorriso, ed accarezzò Hanatamago con più passione, con il cuore gonfio d'amore e di soddisfazione.
Dalla vita, aveva ricevuto ogni dono che avesse potuto desiderare.
Un buon marito, una casa grande ed accogliente, un figlio, e anche una cagnolina.
La sua vita era semplicemente perfetta ...
Non l'avrebbe mai cambiata, per nulla al mondo.


Vuoto.
Voleva avere la mente svuotata.
Vuoto.
Nei timpani, non voleva sentire alcun suono.
Vuoto.
La sua casa sembrava vuota.
La sentiva vuota.
La voleva sentire vuota.

E, anche Romano, voleva sentirsi vuoto.
Voleva sentirsi leggero, libero da ogni peso.
La lingua spingeva forte contro i denti, mentre lo specchio verde dei suoi occhi rifletteva uno sguardo assente, quasi esanime.

Vengo da te alle 17.30. Ti va bene? Devo aver dimenticato lì la mia collana.
- Gilbert.

...
Gil.
No. Non doveva pensarci.
Non ora.
Era stato uno stupido ...
Aveva paura ad incontrarlo.

Come avrebbe reagito?
Sarebbe rimasto distaccato?
Avrebbe preso la collana e se ne sarebbe andato via senza dir nulla?
Gliel'avrebbe forse strappata di mano, urlandogli cose orribili, per poi sparire per sempre dalla vita di tutti?
E lui, Romano, come avrebbe reagito?
Era lucido, ora.
Non sarebbe accaduto nulla di simile alla sera di due giorni prima.
No.
Non poteva permetterlo.
Per quanto l'idea lo allettasse, per quanto i suoi sentimenti fossero stati sinceri, sapeva di essersi posto nel modo sbagliato.

Si era posto nel modo sbagliato nei confronti di tutti.
Di se stesso, di Gilbert, ma soprattutto ...
Di Feliciano.
Il suo fratellino non l'aveva mandata giù, ne era certo.
Non aveva avuto neppure la forza di chiamarlo, o di incontrarlo.
Temeva il confronto con lui ancor più di quello con Gil.

Era sangue del suo sangue ...
Era sangue del suo sangue, colui che aveva tradito.
La persona che aveva giurato di non abbandonare né tradire mai.
Il suo fratellino, quello che avrebbe dovuto proteggere, consolare, amare.
Quello per cui avrebbe dovuto dare la vita.

... Forse, la vita lui l'avrebbe data, per il suo Feli.
Forse ...
Ora non era nemmeno più sicuro di questo.
Ancora non riusciva a credere a cio' che aveva fatto.

"Sono un coglione ..." - Si era ripetuto nella mente, benché cercasse di mantenerla il più sgombra possibile da ogni pensiero.

Feliciano, si sarebbe sacrificato ad occhi chiusi, per lui.
Lo aveva amato, mentre lui già covava in silenzio fantasie proibite.
Lo aveva consolato, mentre una voce in lui diveniva sempre più forte.

"Non ho nulla da perdere ... Non più!"


Si era detto, benché sapesse che il suo sogno non si sarebbe mai potuto realizzare.
Non poteva tradire così il suo sangue, le sue ossa, la sua pelle, la sua terra.
Ma l'alcool aveva deciso per lui.
Si era stravolto.
Se l'era voluta.
Era tutta colpa sua.
Un bastardo ... Lui si che era stato bastardo!

...


"...!" - Il rumore del campanello lo fece immobilizzare.

Si sentì i muscoli farsi di pietra, e il sangue congelarsi nelle vene.
Rimase un attimo in silenzio, lo sguardo fisso e perso, col gelo che gli attraversava la spina dorsale.

Si alzò.
D'un tratto, la testa aveva preso a girargli.
Avanzava a passi lunghi, con la testa verso il basso, preso da un senso di svenimento.
Era Gilbert ...
Era lui, proprio dietro quella porta ...

"Uhm, ciao Romano." - Salutò l'albino, sfuggendo dal ricciolo ribelle dell'altro ragazzo e cercando un punto neutro da fissare. Il divano ... No ... Non lo doveva guardare.

"... Ciao." - Rispose Romano, gli occhi immobili sul pavimento, senza nemmeno il coraggio di guardargli le scarpe.

"... Hai letto il messaggio, vero?" - Chiese Gilbert, alzando un sopracciglio. Si sentiva davvero impacciato ...

"..." - L'italiano annuì, senza osare alzare il capo.

Sembrava un pulcino.
Un uccellino caduto dal cielo, trovatosi con l'ala ferita dopo mille acrobazie tra le nuvole.
Che strano effetto, gli faceva ...
Avrebbe voluto posare la mano sulla sua testa, lasciar passare le dita tra i suoi capelli lucenti, e dargli un bacio proprio in cima al capo.
Dirgli di stare tranquillo, che non aveva nemmeno la forza di odiarlo.
Dirgli che, infondo, ora erano nella stessa situazione ...
Due cuori infranti.
E, in quel momento, poco gli importò che, la causa del suo malessere, era proprio lì di fronte a lui, col capo chino e le mani chiuse a pugno.

"... Entra." - Aggiunse, con il tono scocciato e stanco.

Fece qualche passo verso il divano, e lì di fermò, con le spalle rivolte al tedesco.
L'altro era entrato timoroso, come un agnello nella tana di un lupo.
O meglio, come una vittima sul luogo del delitto.
Forse, la vittima era Romano?
Forse, l'assassino era lui?
... Pazzesco.
Non riusciva nemmeno più a capire il suo ruolo in tutto cio'.
Sapeva solo che la vista di quel divano lo infastidiva, come poche altre cose al mondo.
Si ergeva ancora lì, identico a quel giorno, e pareva fissarlo inebetito, con una faccia invisibile, con il sorriso idiota e malizioso di chi sa e non dice.

Quella era la porta che Feliciano aveva varcato.
Quella era la porta che Feliciano aveva attraversato, fuggendo via in lacrime.
Quella stanza, quell'appartamento, quel palazzo ... Erano stati il set della loro tragedia.

Romano si chinò sul tavolino e prese la collana, per poi voltarsi verso l'albino, le iridi verdi e sfuggenti.
Il sudore scottava e lasciava senza forze, sulla pelle sottile e già stanca.
Lo stomaco era stato colto da una bufera di neve, e giaceva infondo al suo ventre, in una morsa di ghiaccio.
Il cuore, come una pietra.
Anche respirare stava divenendo difficile, e ad ogni nuovo respiro, l'aria sembrava farsi più pesante, e sentiva i polmoni di cristallo creparsi miseramente.

Stringeva la croce nel palmo della mano, più forte che poteva.
Aveva la nausea ... Voleva chiudere gli occhi.
Chiudere gli occhi, svenire, lasciarsi morire.
Voleva aprire la finestra e buttarsi giù.
Gridare disperato che lo amava, e poi sciogliersi per sempre sull'asfalto ruvido.
Poi non gli sarebbe importato più nulla.
Tanto, sapeva già di essere destinato all'Inferno.
Avrebbe solo accorciato i tempi di attesa ...
Quel bastardo Signore degli Inferi avrebbe visto la sua faccia da stronzo molto prima di quanto immaginasse.
E in quale cerchio sarebbe finito?
Lussuriosi? Iracondi? Invidiosi? Sodomiti? Traditori? Seminatori di discordia?
... Le aveva tutte.

Ma perchè diamine qualcuno, lassù, si era preso la briga di mantenerlo in vita fino a quel momento?
Sarebbe stato meglio morire molto, molto prima.
Almeno non avrebbe fatto tutte quelle cazzate.
Non sarebbe stato invidioso di Feliciano, non si sarebbe innamorato di Antonio, non avrebbe sofferto come un cane, non avrebbe tradito il suo fratellino.
... E, a quell'ora, non sarebbe stato certo di fronte a Gilbert.
Ancora una volta, a chiedersi perché cazzo era destinato a quella vita.
Si odiava, si odiava con tutto se stesso.

"... Tieni." - Disse, con il volto girato, allungando il braccio verso l'albino e porgendogli la collana.


Gilbert gli aveva preso la mano.
Aveva stretto la collana nella sua mano, ed ora la stava accarezzando.
Si era sporto verso di lui, aveva lasciato le labbra accarezzargli una guancia, e gli aveva sussurrato che andava tutto bene.
Che non era arrabbiato.
Che voleva solo vedere i suoi occhi e il suo volto.
Voleva vedere la sua bocca incurvata in un sorriso, e dirgli che era suo.
Dirgli che non desiderava altro che vederlo felice di nuovo.
Dirgli che aveva perdonato ogni cosa, e che, da quel momento, nessuno dei due si sarebbe più sentito solo.


No ... Sarebbe stato troppo bello.
Il cuore di Romano già batteva più forte al pensiero, ma il malditesta e la nausea gli ricordarono presto che la situazione era ben diversa.
No ... Gilbert probabilmente era arrabbiato.
Gli avrebbe preso la collana con la forza, strappandogli anche l'ultima cosa che di lui aveva, ed andandosene per sempre.

"... Grazie." - Il tedesco gli prese la collana dalla mano, con una delicatezza che quasi pareva nascondere timidezza.

Con sua sorpresa, l'albino non sembrava arrabbiato.
Sembrava piuttosto ... Dispiaciuto.
Dispiaciuto e stanco.
Si allacciò la collana al collo, e per un attimo i suoi occhi scarlatti si fusero in quelli verde oliva dell'altro.
La sua bocca parve incurvarsi in qualcosa di simile ad un sorriso.
Solo per un attimo.
Giusto uno sfuggente attimo.

Romano deglutì.
Anche i suoi occhi faticavano a rimanere fissi sull'altro.
Lasciò ricadere il braccio lungo il suo fianco, e lasciò andare il respiro, fino a sentirsi i polmoni svuotati e le spalle più basse e pesanti.
Si tenne stretta la lingua tra i denti, in un tic nervoso, senza dir nulla.

"Romano ..."

"...?" - La voce di Gilbert gli riecheggiò nelle orecchie, e fece un cenno con il capo, di scatto, come un bambino ripreso nel mezzo di una marachella.

"Stai bene?" - La sua voce era bassa. Diversa da quella che aveva di solito ...

"..." - Rimase un attimo in silenzio. - "... Sì."

Eppure, la conferma sfuggì dalle sue labbra con una voce che la contraddiceva.
Sentiva il labbro inferiore tremare, ed una patina umida coprirgli già gli occhi.
Bene ...?
Sì, stava bene.
Benissimo.
Ahah, mai stato meglio.
... Da schifo.

"Hei ..." - All'albino dispiaceva vederlo così, nonostante tutto. - "Se é per l'altro giorno ... Guarda, non ce l'ho con te!"

L'affermazione sorprese entrambi.
Non ce l'aveva con Romano...?
Non avrebbe forse dovuto essere arrabbiato con la persona che gli aveva sottratto la felicità?
Eppure era lì ...
Romano, ora, somigliava a Feliciano più che mai.
Non era più un demonio, no, non era più il demone che si era impossessato del suo corpo.
Era anche lui un angelo caduto.
Dai tratti più scuri e più rudi, ma proveniente dallo stesso cielo.
Gli faceva uno strano effetto, vederlo così affranto ...
E non osava immaginare lo stato in cui Feliciano ancora fosse.
Erano diversi ... Ma in momenti come quello, parevano davvero gemelli.

Certo, pensare che quel ragazzo era lo stesso che aveva fatto litigare lui e Feliciano, faceva male.
Ma, infondo, cos'era Romano..?
Solo un ragazzo disperato, in preda ad un mix di emozioni contrapposte, il tutto enfatizzato dall'alcool che si era scolato.
Infondo, gli sarebbe bastato un piccolo sforzo, un minimo, per rifiutare le sue avances.
Quello con la fetta più grossa di colpa, non era l'italiano ...
Ma lui.

Il maledetto, vecchio Gil, stava solo dormendo in lui.
Aveva aspettato l'occasione migliore per svegliarsi e rivelarsi in tutta la sua forza autodistruttiva.
Non era buono a nulla ...
Quel nuovo Gil, filtrato dall'esperienza con Feliciano, era ancora peggiore.
Non solo gli aveva fatto fare l'errore più grosso della sua vita, ma ora non riusciva nemmeno a provare indifferenza per l'uomo per cui aveva tradito Feli.
Fosse stato almeno capace di non provare nulla, né per un fratello, né per l'altro, a quell'ora sarebbe già stato per le strade a divertirsi.
Invece no ... Era ancora inchiodato tra due mondi.

"Non é vero!" - Sbottò Romano, facendo tornare Gilbert alla realtà. - "Non é vero ... Non puoi non essere incazzato con me ... Sono la persona più vomitevole sulla faccia della Terra, cazzo! Sto rovinando la vita a tutti ... Antonio ha fatto bene a mollarmi. E io, da puttana che sono, cos'ho fatto? Ho subito cercato te. E sono stato talmente cretino, talmente stronzo da non pensare neppure a quello che stavo facendo! Sia a te, che a mio fratello!"

Ormai stava gridando.
Gridando e piangendo.
Tirò su col naso e si passò un polso sul volto, per asciugarsi le lacrime.
Si voltò di nuovo e fece qualche passo, come preso dalla voglia di fuggire.
Macché ... Quella casa era troppo piccola per fuggire.
Aveva già sbattuto le gambe contro quel maledetto divano.

"Romano ..." - Il tedesco era rimasto stupito. Conosceva bene i modi di fare dell'italiano, ma ancora faticava a credere che una creatura così realmente indifesa, com'era Feli, fosse capace di insultarsi ed insultare così tanto.

"Vattene. Il mio fratellino non credo che ci perdonerà ... Ma almeno tu sei libero di andartene. Di uscire per sempre dalle nostre vite. Vattene, vai da qualche altra parte! Quello che deve pagare, quello che avrà sulla coscienza la felicità di suo fratello, sarò e devo essere solo io ... Tu non c'entri niente con noi. Sei libero di aprire quella fottuta porta e sparire. Ti prego Gilbert, sparisci!" - Le parole di Romano faticavano a sentirsi tra i gemiti e gli spasmi.

Poi, d'un tratto si bloccò.

"Romano ... Davvero, sono io quello che avrebbe dovuto fermarsi. E poi ... Non ho intenzione di andarmene via. Non ... Non lo trovo giusto. Lasciarti in questo stato ..." - Tentò di abbracciarlo, e lo sentì rigido e silenzioso sotto il suo tocco. - "Romano ...?"

"Uhmm, Gil ... G-Gil!" - Quell'ultima invocazione fu quasi gridata, col poco fiato che gli era rimasto, prima di sentirsi le gambe cedere e la vista offuscarsi.

"Romano!" - Rispose spaventato l'albino, sorreggendolo a peso morto tra le braccia. - "Romano! Cos'hai?!"


~ Continua ...



NOTE. Spero vi sia piaciuto, anche se sinceramente non lo trovo chissà cosa ... :u:' A proposito della parte con Peter, mi sarebbe piaciuto mettere la SuFin con Tino, anziché Fem!Finland, ma mi sembrava un pochino forzato, dal momento che in Italia non é permesso né il matrimonio, né tantomeno l'adozione da parte di coppie omosessuali ... Avrei trovato una scappatoia, se avessi voluto, ma mi sembrava di complicare troppo le cose, oltretutto che la sottotrama di Peter é anche piuttosto irrilevante, ai fini della trama principale ...
Oh beh~ Alla prossima! ^^
Baci,
Arisu95. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


NOTE. Eccomiii! Mi scuso infinitamente per la lentezza con cui aggiorno, ma tra impegni e mancanza d'ispirazione, ultimamente questa storia me la sto  un po' trascinando! >.< Con questo capitolo in particolare, ho avuto un po' di difficoltà, soprattutto nel strutturarlo ... Per questo, non ne sono molto soddisfatta, mi sarebbe piaciuto poter fare di meglio ... Ma questo è quello che sono riuscita a partorire ^^;
Spero di metterci meno tempo a scrivere il prossimo, e soprattutto spero che questo non vi annoii! Buona lettura! C:'
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- Capitolo 12 -

 

' Romano sta male. Ho chiamato l'ambulanza, siamo al reparto di Pronto Soccorso. Vieni ... Ti prego, Feli. '


Feliciano rilesse il messaggio per l'ennesima volta.
Alzò gli occhi verso la strada, che il Sole calante iniziava a dipingere d'oro e d'arancio.
Fece un grande sospiro e strinse le dita attorno alla maniglia, per tenersi meglio in equilibrio sull'autobus.
Non aveva voluto accettare il passaggio di Francis, benché il ragazzo avesse insistito.
Cominciava a sentirsi un peso ... Un peso per tutti.
Lo stomaco parve quasi salirgli in gola all'ennesima curva, e lo ricacciò giù in una nuvola di fiato e saliva.

Romano.


Romano.
Quel messaggio era stato inviato dal suo cellulare.
Così, l'italiano non sapeva neppure chi si sarebbe dovuto aspettare, al Pronto Soccorso.
Il timore di trovarsi di fronte Gilbert lo pervadeva, ma del resto non poteva lasciare Romano al suo destino.

No, non poteva.
Nonostante tutto ...
Era suo fratello.
La sua famiglia.
La famiglia non si abbandona.
Mai.

Feliciano non ci poteva fare nulla.
Aveva un animo canino, lui, e finiva sempre per perdonare quelli a cui voleva bene.
Dimenticando torti e calci.
Dimenticando insulti e sangue.
... Solo a tenere le distanze dall'albino, a volerlo fuori dalla sua vita, stava facendo un grandissimo sforzo.
Non poteva fare lo stesso con suo fratello.
Non era giusto ...
Due fratelli darebbero la vita per salvare quella dell'altro ...
Giusto?

Ripose finalmente il cellulare in tasca, e fece l'ennesimo respiro.
L'ossigeno gli ricadeva nei polmoni come un pesante macigno.
Vedeva lo smog perdersi sull'asfalto grigio e friabile.
L'erba morente scottarsi coi raggi di fuoco.
Tutto sembrava tremendamente desolato.

"Romano ..."


Pensò in un sospiro, e la sua mente volò tra mille pensieri.
Mai avrebbe pensato di finire così.
Su di un autobus diretto all'Ospedale, ad assicurarsi che suo fratello stesse bene.
Quello stesso fratello che poco prima gli aveva spezzato il cuore.
Quello stesso fratello che mai aveva lontanamente pensato di poter odiare, nemmeno per un istante.
Quello stesso fratello che lo portava a spasso nelle strade di campagna, dapprima lamentandosi della presenza del fratellino, poi giocandoci insieme tra prati e fossi.
Quello stesso fratello che aveva scaldato le sue mani più piccole in una nuvola di fiato nebbioso ogni volta che scordava i guanti d'Inverno.

Non importava quanto male gli avesse fatto.
Immaginando bene e male su di una bilancia, non avrebbe potuto dire quale dei due piatti sarebbe pesato di più.
Gli aveva fatto davvero male, questo era vero, ma non poteva dimenticare gli anni passati.
Non poteva dimenticare che era suo fratello.
Il suo primo amico.
Il più intimo.

"Chiamami quando arrivi ..."


Era l'unica cosa che Francis gli aveva detto, prima di chiudere la porta di casa.
Forse sarebbe stato meglio che il francese fosse andato con lui ...
Per un istante si maledisse per non aver accettato il suo passaggio.
Ma se quel messaggio l'avesse inviato davvero Gilbert ... Allora sarebbe stato meglio così.
Non voleva mostrare la sua reazione.
Nemmeno a Francis.

Scese dall'autobus e prese immediatamente in mano il cellulare.
Si guardò attorno e vide l'ospedale ergersi poco più avanti.
Attraversò il parcheggio e si fermò vicino ad un cartello pubblicitario logoro e scolorito.
Chissà da quanto tempo quel manifesto era lì appeso ...
Il film che pubblicizzava era uscito da così tanto tempo che Feliciano neppure si ricordava da quanto.
Non che fosse poi così patito di film, del resto ... Ma Gilbert lo era.

...!
Quel nome gli sferzò il cuore per l'ennesima volta.
Sì ... Lui amava andare al cinema.
Lo trascinava sempre in ogni sala cinematografica, ogni mese, almeno due volte ...

...!
Scosse la testa come a volersi liberare di un peso.
No ... Non voleva pensare all'albino.
Non ora.
Non dopo.
Mai più.
Prese a cercare nella rubrica telefonica, nella speranza di impegnare la sua mente in qualcos'altro.

"Allô?"


"Francis! Uhm, sono arrivato."

"Ah, c'est bon. Puoi dirmi dove sei esattamente, per favore..?"

"Ho appena passato il parcheggio ... Una manciata di minuti ed entro."

"Parfait."


Il francese interruppe la chiamata e si guardò attorno, tirando un sospiro.
Non sapeva se aveva avuto una buona idea, a lasciar andare Feliciano in autobus da solo anziché accompagnarlo, ma del resto non era la prima volta che lo faceva, e l'italiano si era opposto al passaggio offertogli per più volte.
Doveva avere un'aria davvero idiota, ora ...
Immobile ed in piedi in mezzo ad una sala.
Eppure nessuno pareva farci caso ...
Anzi, gli sembrava quasi di avere mille occhi addosso che lo fissavano affascinati.

Ah, quante belle prede~
Si era trovato a pensare, per poi abbandonare l'idea sorridendo.
No ... Non era più quella la vita che faceva per lui.
Il suo unico amore lo stava aspettando.
Sapeva che stava pensando a lui.
Poteva quasi sentire il calore del suo cuore sopra il suo.
Era una sensazione meravigliosa, eppure l'inglese non era nemmeno davanti ai suoi occhi.

Ah, l'Amour~


Incurvò le labbra rosate in un sorriso enigmatico.
Non aveva mai pensato di potersi sentire così, senza nemmeno poterlo toccare.

... C'est mieux du sexe.


Tra le persone prese a correre da ogni parte, scorse finalmente chi stava aspettando.
Era appena entrato, lasciando chiudere dietro di sé la spessa porta di vetro.
Aveva le guance gonfie di incertezza e preoccupazione, quando si fermò un attimo, come smarrito.

"Feli!" - Esclamò Francis, agitando una mano sopra la testa per farsi scorgere, ed andandogli incontro.

"..." - L'italiano rimase incredulo nel vederlo, e i suoi grandi occhi ambrati si spalancarono di colpo, ora meno smarriti ma con un perenne velo di tristezza. - "Fratellone ...?!"

"Sorpreso, ein?~" - Lo accarezzò scompigliandogli un poco i capelli, sorridendo. Poi, la sua espressione si fece più seria. - "... Ho pensato che a Romano avrebbe fatto piacere vedere anche me ... E' da un po' che non ci vediamo, in fondo."

"Mmh ..." - Feliciano annuì, sebbene non del tutto sicuro.

Non sapeva neppure Francis cosa lo avesse spinto a seguire il cugino.
Voleva assicurarsi che Romano stesse bene, certo.
Anche lui era suo cugino, sebbene avesse sempre mantenuto un atteggiamento più distaccato rispetto a Feli ...
Da quando era successo quel disastro con Gilbert, il francese non aveva avuto nemmeno modo né tempo di parlargli.
Sapeva che sarebbe servito a poco, conoscendo la testa di Romano, ma era certo che anche lui aveva bisogno di essere rassicurato ...
In fondo, Romano poteva dirsi scusato: era stato appena lasciato, in preda ad alcool e sigarette, e perdipiù era tutto fuorché una persona calma e tranquilla.
... Quello che aveva sbagliato era Gilbert.
Si era comportato come un ragazzino che aveva appena varcato la soglia della pubertà.
Si era lasciato andare ai sensi, richiamato da essi, senza pensare a chi a casa lo attendeva, con il cuore in mano e l'anima piena di lui.
... Aveva sbagliato, e non aveva nulla da dire o dimostrare a sua discolpa.
Aveva sbagliato ... Punto.

"Allora ... Uhm, andiamo?" - La voce preoccupata di Feli lo distolse dai suoi pensieri.

Il francese fece un cenno con la testa, per poi avviarsi insieme al cugino verso il reparto ospedaliero.


Arthur non aveva avuto voglia di aspettare il ritorno di Francis a casa.
... Era stufo.
Capiva perfettamente che quella situazione non aveva fatto altro che aggravarsi, con i due cugini dal cuore infranto ed ora uno all'ospedale, ma non poteva non essere egoisticamente geloso.
Voleva Francis lì con lui ...
Voleva chiudere la porta di casa e lasciare fuori i problemi, come avevano sempre fatto da quando, per qualche strana e stupida fatalità, erano finiti sotto lo stesso tetto.

Non che ad Arthur importasse più di tanto ...
Oh no, non era certo il tipo da ingelosirsi per un idiota come Francis!
Era geloso ... Del tempo.
Era geloso del tempo rubato.
Del tempo che lui stesso rubava.
Del tempo ... Passato con Francis.
Del tempo passato insieme, come due criminali.

Era geloso di Feli, sì.
Ed era anche geloso di Francis.
Non di lui direttamente, certo che no.
Era geloso del modo di fare spontaneo che lo contraddistingueva.
A lui, baciarlo in pubblico o dargli la mano, non dava la minima preoccupazione.
Era Arthur a farsi mille problemi, e sentirsi un criminale.

Perché era sbagliato ...
Sì, era sbagliato, e basta.
Se Francis e suo cugino erano tanto sfacciati da ostentare la loro natura in pubblico, era un problema loro.
Sì ... Un problema.
Farsi vedere in pubblico era un problema.
Chissà cosa passava per la testa di chi li vedeva ...

Qualsiasi fossero i loro pensieri, avevano ragione.
Arthur non sapeva perché, ma avevano ragione.
La società aveva ragione.
Che mai ci sarebbe dovuto essere di giusto, in due uomini che si congiungono come se in essi risiedessero entrambe le metà che compongono il cielo?
Era naturale che Arthur si vergognasse di tutto cio'.
Anche Francis e suo cugino avrebbero dovuto fare lo stesso.
Ne era certo ...
Sì, davvero certo ...

"E' buono, mi amor?"


Una voce lo fece distogliere dai suoi pensieri, riportandolo finalmente alla realtà, al tavolino del locale, davanti ad un bicchiere di John Collins.
Alzò un attimo lo sguardo, per ritrovarsi una coppietta poco più in là.

Il ragazzo indicava sorridente il bicchiere davanti alla ragazza, e lei ne prese un sorso, prima di sorridendere ed annuire dolcemente.
Lui aveva allungato la mano sul tavolino, e lei si era lasciata prendere, le sue dita più chiare intrecciate a quelle più scure dell'altro.

Tsk, coppiette.
Tsk, gesti piccoli, dolci ed inutili.
Tsk, sorrisini complici e idioti.
Tsk, fidanzatini che si scambiano mezze effusioni in pubblico.
Tsk ... Era forse invidioso?

Francis gli aveva sorriso, di fronte a lui.
Lui aveva sorriso dolcemente a sua volta, quasi intimidito, e non si ritrasse quando il francese gli sfiorò la mano.
Le dita insicure e tremanti, si toccavano timide con quelle più lunghe e decise dell'altro, con una voglia riservata e tenuta nascosta tra le falangi ansiose.
La sua pelle ebbe un fremito, quando infine le mani furono congiunte, come la stretta maglia di un tessuto, come a non volersi lasciare mai.
Il cuore di Arthur batteva forte, e senza alcuna paura, si era ritrovato ad accennare un sorriso.
Francis gliene aveva scambiato uno ben più largo e rassicurante, specchi d'oceano riflessi in specchi di prato ...

"No!"


No!
Non ci stava pensando!
Non era ciò che desiderava!
Perché mai avrebbe dovuto pensare ad una cosa così sdolcinata e patetica?!
Fuck, forse stava impazzendo.
O forse stava ...
... Rinsavendo?

"Hai più saputo niente ...?"


Arthur sentì la ragazza parlare, ma era ormai troppo preso dai suoi dubbi per darle ascolto.


"Porqué me lo preguntas?" - Antonio sfuggì con le belle iridi verdi, mentre all'improvviso le dita presero a sudargli.

"..." - Lo sguardo sospettoso di Bella, per un momento svanì, lasciando posto ad un sospiro e ad un volto ambiguamente rilassato. - "Sono felice."

"Anch'io ..." - Lo spagnolo sorrise, eppure il suo cuore ebbe un gemito.

Pulsò più forte, per un istante, rituonando nella cassa toracica come un forte colpo contro una porta.
Era felice, davvero.
Però ... Non amava l'atteggiamento di Bella di fronte al suo passato.
Sapeva bene che, il più grande desiderio della belga, sarebbe stato quello di vedere tutti i suoi amici sparire per sempre.
Beh, non tutti.
Ma tutti quelli che sapevano di lui, e di Romano.

Alla donna non era mai andato giù.
Si era innamorata, davvero.
Ma ogni tanto lo guardava muta, immobile e pensierosa, e nella sua mente si affollavano pensieri oscuri.

"Finalmente é mio, solo mio. Sono riuscita a farlo innamorare di me. Prima stava ... Con un uomo."


Quel pensiero le lasciava sempre un amaro in bocca ed un sospiro presuntuoso nei polmoni.
Era riuscita a farlo innamorare di lei.
E prima non stava con una donna.
Amava un uomo.
'Doppio merito, no?'
Commentava tra sé e sé la bionda, ironica ed orgogliosa.

A volte non ci poteva credere.
Lo guardava, e faticava a comprendere il suo passato.
La sapeva amare davvero bene, e questo le scatenava perfidi dubbi.
Forse non aveva amato davvero quel ragazzo.
Come si chiamava ...? Romano, sì.
Forse non aveva amato davvero Romano.
Forse era stato semplicemente confuso, o viziato.
O entrambi.
Non poteva credere che, a suo tempo, avesse potuto amare un uomo con quella stessa foga con cui la amava.
Rimaneva così, coperta da dubbi e lenzuola, a scorgerlo dormiente.
Avrebbe voluto chiedergli di più dell'argomento, del suo passato, del suo rapporto con Romano.
Ma era una questione difficile da approfondire, dolce come il miele e tagliente come una spada.

Antonio voleva parlarle di Romano, a volte.
Non per il legame che li aveva uniti negli ultimi anni, non sarebbe stato così insensibile.
Ma l'italiano era stato per lui non solo un amante, ma anche un amico.
Tante erano le belle cose che aveva vissuto, in sua compagnia e non solo, a prescindere dal loro rapporto, che si era fatto via via più intimo con lo scorrere dei mesi e degli anni.

Antonio voleva parlarle di Gilbert e Francis.
Non per le loro notti trascorse insieme, né per le loro sporche scommesse e gare.
Ma i tre erano stati molto amici, ed indimenticabili erano stati alcuni momenti passati insieme.
Si ricordava di quando Francis li aveva portati in montagna, durante il breve periodo in cui gli era venuta la mania delle stelle, ed era rimasto a fissarle e descriverle per tutta la notte, accorgendosi solo molto tardi di come lui e Gilbert fossero già sprofondati nel sonno da ore.
Si ricordava di questo, e di mille altre giornate, in cui erano solo e semplicemente grandi amici, e i momenti intimi passati insieme non attraversavano la mente di nessuno di loro.

Antonio voleva parlarle di Feliciano.
Il fratellino di Romano era sempre stato un angelo.
Eppure ... La sera prima, in quel negozio, gli era parso preoccupato.
Un velo sottile di tristezza appannava i suoi begli occhi ambrati, e lo spagnolo si era subito domandato se non c'entrasse la sua rottura con Romano.
Doveva essere così ...
Certo era che doveva avere davvero a cuore suo fratello maggiore, per soffrirne così tanto.
Sembrava davvero che quello tradito fosse stato lui.
O forse ... Qualcos'altro agitava il suo spirito?
Antonio proprio non ne aveva idea.

"Allô? Mi senti, Tonio?"

"...!" - Antonio rivolse gli occhi alla belga, con aria interrogativa.

"Oh! Ti sei svegliato, finalmente!" - Sorrise, e gli accarezzò appena la mano. - "Dicevo, mia mamma ha detto se possiamo passare da lei stasera. Ha preparato dei Gracht Brood e voleva darceli da assaggiare ..."

"Ah ... Vale. Allora andiamo."

"..." - Sorrise di nuovo, ed i suoi occhi parvero davvero sinceri.
 

"Gilbert?!"


Francis fu l'unico a trovare il coraggio di parlare.

"... Francis!"


L'albino si era limitato a voltarsi di scatto, allarmato, senza nemmeno alzarsi dalla sedia, ma lasciando leggermente visibile il corpo di Romano, sul lettino dietro di lui.

"Feli ..." - Aggiunse poi, in un tono più basso, come un'implicita richiesta di perdono, abbassando la testa e guardandolo intensamente.

Faceva male.
Faceva davvero male.
Vederlo faceva male ...
Faceva male ad entrambi.

"...!"


A Feliciano parve di sentire il cuore balzargli in alto, quasi fuori dalla bocca.
Aveva smorzato un sospiro di stupore, combattendo l'istinto di correre dal fratello, abbracciarlo e scuoterlo, fino a svegliarlo e dirgli che gli avrebbe perdonato ogni cosa.

Eppure, rimase immobile.
Non una lacrima attraversò le candide guance, mentre le labbra rosate si erano dischiuse.
Due occhi da preda grandi ed ambrati si erano spalancati, e fissavano l'albino in stato di allarme.

"..." - Gilbert si voltò di nuovo verso Romano, e la sua voce parve davvero affranta. - "... Era svenuto."

"No ..." - Sospirò preoccupato Francis. - "Non di nuovo ..."

'Di nuovo...?'
L'albino si domandò a cosa il francese si riferisse, ma non osò chiedere.
Lui e Francis non erano arrabbiati, in fondo ...?
Sentì dei passi e qualcuno farsi più vicino.

Il biondo non aveva certo voglia di incontrare l'albino.
Eppure, avrebbe certo messo da parte gli ultimi eventi per il bene di Romano.
Ma, sentire Feliciano ancora immobile dietro di lui, lo angosciava e lo faceva stare male.
Non era previsto che Gilbert fosse lì ...
Anche se quasi se lo sentiva.
Era stato anche questo presentimento, a spingerlo a seguire Feli all'ospedale.
Guardò l'espressione indifferente sul volto assopito di Romano, per poi voltarsi verso l'altro cugino.

Feliciano fece timidamente qualche passo in avanti, verso di loro.
No ...
Gli era venuta la nausea.
Non voleva vedere Gilbert ...
Un misto di emozioni, dal perdono alla rabbia, alla semplice tristezza, fece tremare il suo cuore nel petto fragile.

"Romano ...?" - Cercò di ignorare la presenza di Gilbert, e scostò i capelli dalla fronte del fratello, ancora inerme. - "Roma..."

Sentiva la sua voce lontana.
La sentiva nascergli in petto, e poi dissolversi ancor prima di lasciare il suo corpo.
Era come in una bolla, in un sogno.
Anzi, in un incubo.
No ... Gilbert non era vicino a lui.
Gilbert non aveva portato Romano all'ospedale.
Romano stava bene ...
Lui e Antonio si amavano ancora, e Gilbert ...
Gilbert era ancora suo.

"Feli ..."


L'albino aveva una gran voglia di chiamarlo.
Aveva una gran voglia di vedere il suo dolce sorriso.
Aveva voglia di abbracciarlo, baciarlo, di rassicurarlo e dirgli che Romano si sarebbe ripreso ...
Eppure ...
Sapeva che, se il volto di Feliciano era ora così disperato e sciupato, era anche colpa sua.
Era stato davvero stupido.
Per non dire di peggio.

"Gilbert, cos'è successo esattamente?" - La voce di Francis era distaccata.

Era la voce di chi voleva mantenere le distanze.
Il francese non aveva voglia di discutere con Gilbert.
Sapeva che farlo avrebbe portato solo nuove tensioni.
Ma, d'altro canto, non voleva nemmeno fargli credere di averlo perdonato.
Non ancora ...
Era ancora troppo presto, e il tedesco doveva ancora riflettere sui suoi errori.

"Mmh, beh ..." - L'albino non aveva mai sentito Francis così distante, e per un attimo ne ebbe timore. - "Avevo dimenticato ..."

'Avevo dimenticato la mia collana a casa sua.'


Quella frase aveva riportato tutti nella più misera realtà.
Con quella frase, Gilbert ne aveva implicitate mille altre.
Aveva sottinteso che, in quella casa, ci era già stato una prima volta, e quella prima volta era stata l'inizio della fine.
Quella volta, fu quel maledetto Venerdì sera, quando Feliciano aveva dovuto fare gli straordinari.
Quando Francis aveva rifiutato di fare compagnia a Romano, per capriccio di Arthur.
Quando Ludwig si era trovato a dover rifiutare la medesima richiesta, poiché stava già badando a Lily.
... Quando Gilbert si era ritrovato a casa di Romano, e la sua mansione di sorvegliarlo affinché non facesse pazzie, si era trasformata nel peccato più grande che avesse potuto compiere contro chi amava.
Quel maledetto Venerdì sera bruciava ancora nel petto di tutti.

Feliciano si era bloccato per un istante, come colpito dritto al cuore con una lancia di ghiaccio, ma riprese immediatamente ad accarezzare la fronte e le spalle del fratello.
Doveva fare qualcosa ...
Doveva impegnare le mani, nella speranza di tenere occupata anche la mente.
Nella speranza di distrarsi da Gilbert e da tutto quello che dalla sua bocca poteva uscire ...
Eppure, nel profondo della sua anima, sapeva di volerlo ascoltare.
Era di Romano che si stava parlando ... Dopotutto.

Il francese avvertì Feli farsi d'un tratto più rigido, e lanciò all'albino uno sguardo freddo e tagliente.
Per la prima volta il tedesco, non aveva visto negli occhi dell'amico un oceano calmo e sereno, ma un cielo che promette tempesta.
'Attento a quel che dici...' sembravano dire, mentre la sua bocca si era incurvata in una smorfia, con i denti bianchi serrati sul labbro inferiore.

"... Insomma, Romano era disperato ... Per l'accaduto." - Abbassò volutamente la voce, e le parole sembravano uscirgli come gemiti, mentre un vago senso di nausea e colpa iniziava a pervaderlo. - "A un certo punto si é come irrigidito ... Ha ... G-Gridato il mio nome ..."

'Eppure ricordo quando a gridare il tuo nome ero io ...'
Non poté fare a meno di pensare Feliciano, ora arrestatosi nei suoi movimenti, col volto pallido e stanco verso di lui, gli occhi preoccupati fissi sulla parete scrostata della stanza.

Il nome di Gilbert era ora come un nodo alla gola.
Avrebbe voluto farlo uscire, gridarlo ancora un'ultima volta, come per liberarsi da un demone che ancora lo stava possedendo.
Invece, non aveva nemmeno la forza di guardarlo negli occhi.
Forse non era stato abbastanza bravo.
Forse era anche colpa sua.
Forse era solo colpa sua ...

"E poi é ..." - Tirò un sospiro, come per cacciare via un peso dai polmoni, ma ne guadagnò solo di più consistenti. - "... E' svenuto tra le mie braccia. Ho chiamato l'ambulanza. E poi ti ho ... Ti ho mandato quel messaggio, Feli."

"..." - Feliciano non disse nulla.

Erano tanti i pensieri che percorrevano la sua mente ed il suo cuore, come bestie selvatiche e diverse, talune timide ed altre feroci, qualcuna triste e suicida, qualcuna furiosa ed assassina.
Eppure, non disse nulla.
Ebbe l'istinto di incurvare appena la schiena all'indietro, quel poco che bastava per sfiorare il petto di Francis, come a cercarne la presenza e la protezione.
Voleva sparire ... Voleva sparire, piangere, addormentarsi.
Magari non svegliarsi mai più.

Gilbert trattenne quasi il respiro per non fare rumore.
Nel silenzio, avrebbe voluto divenire trasparente.
Avrebbe voluto trasformarsi in un fantasma, solo per occultare la vista del suo corpo traditore a Feliciano, come ultimo tentativo di restituirgli un sorriso.
Avrebbe dato la vita per vedere l'italiano sorridere ancora una volta.

Francis si era incurvato leggermente in avanti, quel poco che bastava per far sentire a Feli la sua presenza.
Con gli occhi, continuava a guardare Gilbert, mentre quest'ultimo aveva ancora i suoi indegni sguardi scarlatti rivolti verso l'italiano.

Il silenzio faceva paura.
Il silenzio portava pensieri.
Il silenzio portava ricordi.
Il silenzio portava domande.
Il silenzio portava la voglia di infrangerlo.
Il silenzio portava la voglia di fare rumore, di dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di mandarlo via.
Il silenzio faceva a tutti paura.

"Cos'hanno detto i medici?" - Decise infine di chiedere il francese, addentrandosi nell'aria densa e fitta, con la voce quasi roca usata come un coltello.

"Ancora nulla." - Sospirò, stringendosi le gambe nelle mani, in un gesto nervoso. - "Beh, a dire il vero mi hanno--"

"Siete i parenti di Vargas?"


Un medico interruppe Gilbert, avanzando qualche passo all'interno della stanza.

"S-Sono il fratello!" - Rispose subito Feliciano, allarmato. La sua stessa voce gli ferì quasi i timpani.

"Io il cugino ..." - Aggiunse Francis.

"E...?" - Il dottore guardò Gilbert, come a chiedergli chi fosse.

"Sono ..." - Inspirò nervosamente dell'ossigeno, fino a riempirsene i polmoni. - "... Sono un amico."

"..." - L'uomo annuì, e si voltò. - "Seguitemi."

"Ma ... Lasciamo Romano qui da solo?" - Si chiese ad alta voce Feliciano, voltandosi verso il fratello.

"Voi due andate ..." - Si azzardò a dire Gilbert, mentre le sue mani iniziarono a sudare. - "... Resto io. Infondo ... Non sono nemmeno un parente."

"..."

Feliciano lo guardò con un nuovo misto di emozioni.
I suoi grandi occhi ambrati, ora non esprimevano rabbia, né disperazione.
Erano velati dalla malinconia che li aveva caratterizzati in quegli ultimi giorni, ma in più, questa volta, c'era un certo senso di ... Clemenza.
Un certo senso di pietà.

No ...
Non doveva cedere.
Non sarebbe mai tornato da Gilbert.
Eppure ...
Nel suo cuore affranto, stava cominciando a maturare l'idea di perdonarlo.
Il loro rapporto non sarebbe mai stato come quello di prima ...
Ma odiare le persone, o tenerle fuori dalla sua vita per sempre, dopo che con lui avevano condiviso così tanto, era una cosa che Feliciano faticava a comprendere.

Ora era lì, e sembrava quasi pentito.
Sembrava aver capito i suoi errori ...
Eppure avrebbe dovuto odiarlo ...
Eppure, una parte di lui, sotterranea e nascosta, avrebbe voluto ucciderlo.

"Andiamo, Feli ..." - La voce calda di Francis, sulla porta della stanza, lo fece tornare alla realtà.

"S-Sì ..."

"..." - Il francese diede un ultimo sguardo al tedesco, tutto fuorché rassicurante, per poi allontanarsi.


"..." - Gilbert tirò un grosso sospiro, per poi posare gli occhi su Romano, ancora addormentato.

Il petto del ragazzo si alzava e abbassava, ritmicamente ma in modo piuttosto debole.
Dal lenzuolo bianco spuntava giusto un polso olivastro, percorso dalla cannula della flebo, nella quale scorreva pigra ma inesorabile una sostanza trasparente.

La bocca era appena schiusa, giusto quel poco che bastava per intravederne gli incisivi.
Il volto era come addormentato, ma preso da incubi e cattivi pensieri.
Benché ad un primo sguardo potesse sembrare inespressivo, a ben guardare le sue sopracciglia erano leggermente incurvate verso il centro della fronte, in un misto di disperazione e tristezza.

Era forse prigioniero dei suoi sogni?
O forse dei suoi incubi..?
Le ciglia nere, lunghe ed immobili, sovrastavano gli zigomi appena visibili, sotto la pelle giovane ma un po' sciupata dall'ultimo periodo.
I capelli castani riflettevano la luce artificiale del neon, oltre agli ultimi raggi del crepuscolo che sgattaiolavano nella stanza, aggirando la tenda di lino.

Così disteso e indifeso, ricordava Feliciano più che mai.
In fondo, Romano non aveva nessuna colpa ... Era stato usato e tradito, e aveva reagito in un modo consono al suo carattere aggressivo ed impulsivo.
Quello immaturo, quello stupido, era solo Gilbert.
L'albino avrebbe voluto fare qualcosa per Romano.
Voleva rassicurarlo, stargli vicino.
Voleva che si sentisse ancora amato.

Benché di carattere opposto, Feliciano e Romano si somigliavano.
Feliciano sorrideva alla vita.
Romano la malediceva ogni giorno.
Eppure, entrambi erano fragili.
Entrambi avevano bisogno di qualcuno con cui condividere la loro esistenza.

Feliciano non avrebbe avuto alcun problema, né ad ammetterlo, né a gettarsi tra le braccia di un cuore sincero.
Romano lo avrebbe negato fino all'ultimo, avrebbe insultato colui che cercava il suo amore fino a spingerlo a rinunciare.
Ma vedere qualcuno rimanere al suo fianco, nonostante tutti gli insulti e i torti, era per quest'ultimo la più grande dimostrazione d'amore.
A lui non importava litigare.
Sembrava quasi che ci provasse gusto.
Ma, erano proprio i litigi l'occasione in cui metteva alla prova l'amore di Antonio.
Non solo il suo, l'amore di chiunque.
Vedersi perdonato dalla persona insultata, che l'accoglieva ancora a braccia aperte dimostrando ancora una volta il suo amore, era la cosa a cui teneva di più.
L'unica cosa che scioglieva il suo cuore apparentemente di pietra.

No ...
I cuori dei due fratelli erano più simili di quanto si potesse pensare.
Erano forti ma fragili, allegri ma tristi.
Erano i due lati della stessa moneta.

"Romano ..." - Mormorò affranto Gilbert, mentre prese il coraggio di accarezzargli una guancia.

Il sole stava tramontando dietro le colline.
I suoi raggi caldi stavano dando un ultimo saluto ai campi di granoturco, mentre due ragazzi sedevano sull'erba, uno di fronte all'altro.
Si guardavano sereni, con un dolce sorriso sulle labbra, e senza parlare si dicevano tutto.
Il pauroso temporale che aveva segnato la terra per giorni, non era che un vago ricordo.
Rimaneva giusto qualche pozzanghera, dove il cielo rosso si specchiava sovrano, e delle gocce di pioggia rigavano qualche filo d'erba e pannocchia.
La paura degli ultimi giorni era scomparsa, e con il sole di nuovo al suo posto nel cielo, tramontato sul suo regno di fiori e frutti, il cuore di Romano era tornato più quieto.
Il ragazzo di fronte a lui gli sorrideva ancora dolce, allungando una mano verso di lui, accarezzandogli una guancia.
Lui chiuse gli occhi sereno, lasciandosi guidare dalle sue sensazioni, senza temere più nulla
.
 

"A... Antonio..."


"...!"

La mano di Gilbert si bloccò, come congelata, ancora sulla mano del ragazzo, che cominciava a riprendere conoscenza.

"... Mmh..." - Aspettò qualche secondo, affinché la sua vista si riabituasse al mondo e riuscisse a distinguere la persona di fronte a lui. - "... G-Gilbert...?"

La voce di Romano era debole.
Il suo sguardo confuso.
Quanto si ricordava di cio' avvenuto in precedenza...?

"Romano!" - Gilbert decise infine di ritrarre la mano. - "Ti sei svegliato, finalmente ..."

"..." - Fece per muovere un braccio, e si accorse della flebo. Produsse un suono di lamento con la gola, per poi poggiarsi l'altra mano sulle tempie - "D-Dove sono?"

"All'ospedale ... Eri svenuto." - Spiegò l'albino un po' nervoso, continuando a fissarlo.

"..." - Romano lo fissò a sua volta, come a cercare nella mente qualche ricordo, finché essi non lo colpirono tutti insieme, facendolo voltare di scatto. - "Mmhf ... N-Non ti avevo detto di andartene?"

"Come avrei potuto?"

"Era meglio se mi lasciavi morire." - Rispose sconsolato l'italiano. - "Dopo quello che ho fatto ..."

"Sei impazzito?" - Gilbert non riusciva a capacitarsene. Anche in quella situazione, non aveva perso il suo modo di fare. - "Non importa quello che hai fatto ..."

"..."

"Non ho rancore verso di te." - L'albino si sforzò di sorridere, combattento l'istinto di accarezzargli di nuovo il volto. - "Voglio solo che tu ti riprenda ..."

"...?" - Romano lo guardò negli occhi, con uno sguardo a metà tra l'arreso, il triste e l'orgoglioso, per poi nascondere il volto girandosi, appiattendosi il più possibile sul cuscino. - "... Grazie."

'Grazie', aveva mormorato.
Era stato quasi impercettibile, ma l'aveva detto.
Gilbert non pensava di aver mai sentito Romano dire quella parola.
All'improvviso, sentì il cuore nel petto battergli più forte.
Voleva che tornasse a stare bene ...
Voleva che dimenticasse Antonio.
Voleva rivederlo di nuovo sereno.
Così come voleva rivedere sereno Feliciano.
E, se a Romano occorreva dimenticare Antonio, a Feliciano occorreva dimenticarsi di lui.

Il pensiero gli arrivò allo stomaco come una fitta.
Per quanto gli sarebbe piaciuto tornare con lui, sapeva di non esserne più degno.
Sapeva che Feliciano non avrebbe mai accettato.
Ma, se doveva rendere la sua esistenza migliore allontanandosi da lui, avrebbe potuto almeno alleviare le sofferenze di Romano standogli vicino.
... E poi ...
Non aveva forse detto di amarlo, quel maledetto Venerdì?
Il ricordo lo intrigava ed impauriva al tempo stesso.


"Fratellone ... Posso aiutare?" - Chiese Lily, aprendo la porta collegata al garage e muovendovi timidamente qualche passo.

"...?" - Lo svizzero alzò lo sguardo, quel poco che bastava per incrociare quello della sorellina. - "No Lily. Torna in casa, non sono lavori per una ragazzina."

"Fratellone ..." - La biondina rimase un attimo a guardarlo, con un'espressione dispiaciuta in volto.

Sentì il motore dell'auto partire, e la sua espressione mutò, ed assunse un sorriso lieto.

"Ci sei riuscito...!" - Mormorò, con la voce dolce e calma, guardando all'interno dell'auto.

"Ecco fatto!" - Commentò Ludwig, aprendo la portiera ed uscendo. - "Come sospettavo, la batteria dell'auto era un po' scarica."

Vash rimase rigido e immobile ad ascoltare l'amico, come gli ordini di un generale.
Neppure la gioia che aveva effettivamente provato nel sentire la sua auto funzionare, gli aveva donato un sorriso spontaneo in volto.
No ... A farlo sorridere sereno, solo la sua Lily ne era in grado.

"... Vash, dovresti ..." - Sapeva le condizioni in cui lo svizzero viveva, ma il tedesco non poteva fare a meno di consigliare la giusta soluzione al problema di quell'auto, da bravo professionista. - "... Dovresti cambiare la batteria più spesso. O almeno controllarne la carica."

"Grazie." - Rispose freddo lo svizzero, allungando la mano nella tasca. Non amava spendere soldi, soprattutto dal momento che non navigava nell'oro, ma ripagare qualcuno dei suoi sforzi, era un dovere. - "Quanto ti devo?"

"...?" - Ludwig gli sorrise, cercando di essere il più naturale possibile. - "Te l'ho già detto, Vash, non é necessario che tu mi paghi..."

Avrebbe detto lo stesso a qualsiasi suo amico o conoscente, indipendentemente dalla condizione economica.
Ma sapeva che Vash odiava questi favoritismi.
E non dipendeva dalle sue possibilità economiche.
Era proprio l'ideologia con cui viveva ogni giorno, e la si percepiva in ogni sua azione...

"Lily, torna in casa." - Ordinò, e la sorellina obbedì senza fiatare, chiudendo la porta dietro di lei. - "Pensi che non possa permettermelo? Quant'é? Dimmelo."

"Non é per questo ... Non farei pagare nessuno dei miei amici ..." - Spiegò il tedesco, sospirando ed alzando le spalle.

"Allora non farai mai dei soldi." - Rispose lo svizzero, severo con gli altri quanto con sé stesso. - "Nessuna persona che mi presta un servizio esce da questa casa senza essere retribuita. E' la mia regola. Dimmi una cifra"

"..." - Ludwig rimase qualche secondo a riflettere, con lo sguardo abbassato, finché, finalmente, non si pronunciò. - "Quindici euro."

Lo svizzero prese il portafoglio, estrasse due banconote e gliele consegnò.
Si maledisse per aver mentalmente tirato un sospiro di sollievo, dopo aver sentito l'importo.
Benché fosse troppo rigido ed orgoglioso per abbassarsi a non pagare per qualcosa, aveva segretamente sperato che il tedesco non chiedesse una cifra troppo alta.
Odiava ammetterlo e darlo a vedere, ma infondo era vero ... Di soldi non ne giravano molti, in casa sua.

Il tedesco ripose i soldi in tasca, per poi prendere il cellulare per controllarlo.
Macché ...
Nessuna chiamata persa.
Nessun messaggio.
'Fratellone, fatti vivo ...'

"Qualcosa non va?" - Chiese Vash, leggendo la preoccupazione negli occhi azzurri dell'amico.

"Gilbert ..." - Ludwig ricordò di non aver ancora detto nulla allo svizzero, riguardo agli ultimi avvenimenti. Non amavano spettegolare o parlare di queste cose, del resto. Si sarebbe limitato a dire il necessario. - "Era andato a casa del fratello di Feliciano, e pare che gli sia svenuto tra le braccia. Ora sono all'ospedale. A proposito ... Mio fratello e Feliciano non stanno più insieme."

Feliciano...
Perchè quel nome lo faceva sentire sempre così ... Strano?
Strano e vuoto.
Come se, da solo, si sentisse un po' smarrito.

"Ah ..." - Non che allo svizzero interessasse poi molto di intrighi amorosi e quant'altro, del resto.

"Più tardi lo chiamerò ... Non si fa sentire da qualche ora, ormai." - Concluse il tedesco, alzando le spalle.

"Vuoi qualcosa da bere?"

"No ... Penso che tornerò a casa e inizierò a preparare la cena. Mio fratello potrebbe arrivare a momenti." - Spiegò Ludwig, mentre Vash aveva già aperto il portone del garage, per lasciarlo andare.

Erano uomini di poche parole, in fondo.
Erano grandi amici, e si somigliavano.
Non avevano bisogno di grandi discorsi, per capirsi.
Si volevano bene, e non avevano bisogno di dirselo o mostrarselo in altro modo, se non sostenendosi a vicenda nel momento del bisogno.
 

"Per favore, uscite dalla stanza. Devo visitare il ragazzo."


Sbattuti fuori.
Era incredibile come un uomo potesse sentirsi in potere di comandarne altri, solo perché indossava uno stupido camice bianco.
Così, Gilbert, Feliciano e Francis si ritrovarono nel corridoio, con la porta della stanza chiusa, ad aspettare.
Aspettare cosa, poi ...?
Che un uomo col camice finisse di visitare Romano?
Chi gli dava il diritto di dire loro cosa fare?
Era forse una specie di leone, in dovere di cibarsi della preda prima dei figli e della compagna?
Era semplicemente stupido.

"Cosa vi ha detto?" - Disse infine Gilbert, per spezzare la tensione accumulata nel susseguirsi dei suoi pensieri.

"Lo terranno qui almeno per stanotte, per degli accertamenti." - Rispose Francis, la voce fredda e insensibile, quasi come un medico. - "Ha i valori del sangue alterati. Colpa dell'ultimo periodo, immagino ..."

"Sì ... Me l'avevano anticipato. E' il motivo per cui ... Gli hanno messo la flebo ..." - Replicò l'albino, preoccupato. - "Ma é il motivo per cui è svenuto ...?"

"Probabile." - Confermò Francis, ma la sua espressione si fece all'improvviso più umana, quasi sofferente. - "... E' stato un attacco di panico."

"Attacco di panico?!" - Ripeté sorpreso Gilbert, guardando Francis con gli occhi scarlatti spalancati.

"Sì. Romano ne soffre ... Anche se ultimamente era migliorato molto." - Svelò il francese, abbassando lo sguardo verso il pavimento.

"Da quando aveva cominciato a vivere con Antonio, gli attacchi erano quasi spariti ..." - Aggiunse Feli, in un filo di voce, dapprima con lo sguardo assente, poi raccogliendo il coraggio nel cuore e nella gola, per guardare il tedesco negli occhi. - "Mio fratello non puo' vivere da solo ..."

"...!" - Il cuore di Gilbert sobbalzò, mentre i suoi occhi di rubino rimasero fusi in quelli d'ambra dell'altro.

Lo sguardo di Feliciano era serio, quasi supplichevole.
Le pupillle puntavano quelle dell'albino, ma il mare di miele in cui erano immerse pareva voler far cambiare loro rotta, disperdendosi tra i mille pensieri affollati dell'italiano.
Le labbra rosee e serrate parlavano e supplicavano rimanendo fisse e immobili.

'Mio fratello non può vivere da solo. Ha bisogno... Di te'
Questo pensò di intendere il tedesco, scritto tra le righe invisibili delle guance soffici e le belle labbra ormai chiuse, e la gola gli parve congelarsi.
Feliciano voleva forse intendere questo ...?
Voleva che se ne occupasse lui?
Perché?
Non avrebbe voluto odiarlo? Fuori dalla sua vita? Lontano da tutti quelli che conosceva?
Perché lo avrebbe voluto al fianco del fratello?
Benché confuso, Gilbert si compiacque del muto permesso dell'italiano.
Perché stava dichiarando il suo consenso a ...
A stare vicino a Romano? Giusto?
'Eppure Feli, se solo tu mi perdonassi, tornerei da te ...'

"Potete rientrare."


Sorrise il medico, andandosene.

Feliciano fu il primo ad entrare, correndo verso il lettino del fratello come una lepre smarrita.

"Romano!" - Lo chiamò, vedendolo sveglio, e senza aggiungere altro, solo il tono disperato riuscì ad esprimere la sua stupida voglia di perdonarlo.

"Fratellino..." - Rispose con la voce un po' debole l'altro, girando appena la testa verso Feliciano.

"Romano, come ti senti?" - Chiese preoccupato Francis, raggiungendolo e posandogli una mano sulla fronte, sotto i capelli, come un padre in apprensione ma troppo orgoglioso per darlo a vedere del tutto.

"Insomma..." - Rispose ancora, in un tono quasi sarcastico nonostante la situazione, per poi aggiungere, affranto: - "Feli ... Ho fatto una cazzata ..."

"Non preoccuparti, Roma ..." - Lo rassicurò Feliciano con un dolce sorriso, benché il suo cuore stesse gridando e piangendo. - "Ora pensa a riprenderti."

"Ma sono imperdonabile!" - Romano alzò la voce, benché avesse un nodo alla gola. - "Vi ho rovinato la vita ... Perché siete ancora qui? Avreste dovuto lasciarmi morire, cazzo!"

L'italiano avrebbe voluto sul serio sparire.
Avrebbe voluto strapparsi quella fastidiosa flebo dal braccio, scendere dal letto, correre verso il muro e schiantarsi con una forza tale da rompersi il cranio.
Avrebbe voluto morire, uccidersi.
Come poteva vivere dopo quello che era successo?
Come poteva vivere dopo quello che il bastardo gli aveva fatto?
Come poteva vivere dopo aver rovinato la vita al suo caro fratellino?
Come poteva vivere dopo aver rovinato la vita a ... A Gilbert?

Ci pensò, e le sue iridi verdi ricaddero verso di lui.
L'albino taceva, più staccato, quasi ai piedi del letto, e lo guardava pensieroso.
'Non guardarmi così ... Non é colpa tua. La colpa é solo mia.'
Avrebbe voluto dirgli, ma non era tipo da fare certe affermazioni.
Soprattutto, non l'avrebbe mai detto di fronte a suo fratello e suo cugino.

Feliciano sentì il cuore riempirsi di una strana sensazione, come una colata di miele, che aveva all'improvviso addolcito e cancellato ogni veleno.
Lasciarlo morire?
Era semplicemente insensato.
Mai avrebbe lasciato morire qualcuno, figuriamoci suo fratello!
I ricordi facevano ancora male, e forse avrebbero fatto male per sempre, ma di fronte a quella frase, tutto pareva stupido e superfluo, rispetto alla vita di Romano.
L'unica cosa importante, in quel momento, era la sua salute.

"Siamo qui perché ti vogliamo bene ..." - Rispose il fratellino, e non poté fare a meno di avvicinarsi di più, fino a toccargli la guancia con la sua e le spalle con le mani, in una specie di abbraccio. - "Ti voglio bene fratellone, del resto non mi interessa ..."

"..." - Romano sentì il cuore contrarsi in un brivido, che lo irrorò di uno strano e confuso benessere, mentre i suoi occhi rimasero fissi sul soffitto, come ipnotizzati dalle parole del fratello.

Come poteva essere così buono?
Come poteva perdonargli una cosa del genere?
C'erano tante cose, del suo fratellino, che aveva sempre faticato a capire.
Ma mai come in quel momento, fu felice di saperlo migliore di lui.
Romano non sapeva se, al suo posto, avrebbe mai trovato la forza di fare lo stesso.

"Nessuno merita di essere abbandonato, Roma." - Sorrise paterno Francis, guardandolo con uno sguardo calmo e rassicurante.

Gilbert avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva di troppo.
Sentiva di stonare pensantemente, in quel dolce quadro famigliare, come una pennellata nera al centro di un bellissimo dipinto dai colori tenui e leggeri.
Si limitò a guardarlo, sforzando uno sguardo il più rassicurante possibile, rimanendo zitto ai piedi del lettino.

Romano si ritrovò a sorridere.
Ancora tra le braccia del fratellino, sentì la bocca incurvarsi in un piccolo sorriso.
Non era da lui sorridere.
Non era da lui sentirsi così amato.
Eppure, in quel momento, capì come nessuno lo odiava.
Capì come la sua famiglia lo aveva perdonato, nonostante quel gesto orribile, e si inorgoglì di essere imparentato con persone così meravigliose.

E poi ...
Poi c'era Gilbert.
C'era Gil.
Romano non sapeva cosa si sarebbe dovuto aspettare, o cosa il futuro gli avrebbe riservato.
Non sapeva se, dopotutto, era destinato all'Inferno o al Paradiso.
Non sapeva se Gilbert lo amava.
Ma, almeno, sembrava averlo perdonato.
Se non fosse stato per lui, sarebbe rimasto incosciente sul pavimento dimenticato dal mondo.
Doveva almeno essergli grato.
Doveva ... Ringraziarlo.


La luna stava ormai illuminando il mare blu del cielo, tra le stelle luminose come gioielli e le sporadiche nuvole di velluto scuro.
Nell'aria, c'era ancora profumo di festa, di dolci ed incenso, mentre le persone si affollavano per le strade, e i mercanti osannavano le loro merci.

"Roddy! Guarda questo che carino!!" - Esclamò Elizaveta, come una bimba in un negozio di dolci e peluches, avvicinandosi ad una bancarella.

"... Sì, é carino." - Rispose pacatamente Roderich, sorridendo e dando un veloce sguardo al vestitino da bambina che sua moglie aveva tra le mani.

Aspetta ...
Perché un vestito da bambina?

"..." - L'ungherese strinse al petto l'abitino, abbassando la testa ed arrossendo un poco, alzando gli occhi per scorgere il volto dell'austriaco e vedere la sua reazione a... - "Pensa se avessimo una bambina..."

"...!" - Roderich ebbe un brivido, in un misto di emozioni contrapposte.

Il suo cuore aveva avuto un fremito, e lo aveva sentito quasi allargarsi, pronto a ricevere l'amore che Elizaveta aveva messo e implicitato in quella frase.
Aveva battuto più forte per un attimo, preso dall'emozione, prima che la sua mente lo riportasse alla dimensione angosciante delle domande ed insicurezze a cui l'essere umano è sempre e da sempre sottoposto.

Sarebbe stato in grado di assolvere un simile compito ...?
In quanto professore di musica, aveva già avuto modo di confrontarsi con bambini e ragazzi, ma questo era totalmente diverso ...
Giusto?
Un momento.
Elizaveta lo aveva detto per scherzare.
Lo aveva detto senza pensarci.
Massì, erano quelle cose che tutte le bambine dicevano, fantasticando sul proprio futuro di spose e di mamme,
Sul proprio futuro.
Questo non aveva nulla a che fare con il presente, vero?
La sua Elizaveta non ...

"Hey, ti ho zittito?" - Chiese l'ungherese scherzosamente, posando il vestito dove l'aveva trovato e avvicinandosi al marito, sfiorandogli le labbra con le sue. - "Tranquillo, non sono incinta."

"..." - Lui le accarezzò appena un fianco, corrucciando le sopracciglia ed incamminandosi verso la altre bancarelle. - "Non sarebbe ... Un problema."
Mormorò, sicuro che la donna non avrebbe sentito.

'Non sarebbe un problema?'
Questo fu quello che ad Elizaveta parve di aver sentito, ed avvertì il cuore battere più forte ed il petto scaldarsi d'amore, mentre prese a seguire l'austriaco.

Sì ... Lei ci aveva già pensato.
Ci aveva già pensato, e si sentiva pronta.
Aveva un buon lavoro, una bella casa e un marito splendido.
Cos'altro avrebbe dovuto aspettare?
In lei cresceva ogni giorno di più la voglia di vedere il suo amore per l'amato farsi carne.
Aveva un desiderio d'amore, un amore strano e diverso, platonico ma più forte di qualsiasi altra cosa nel mondo.
Voleva che il suo amore per Roderich non fosse più fatto solo di parole e di baci, ma che i loro battiti all'unisono si trasformassero in fiori sull'albero, pronti a farsi frutti d'Estate.

'Non sarebbe un problema.'
Perché aveva risposto così?
Era stato più forte di lui.
Benché il pensiero gli generasse una certa ansia, un certo timore di non essere all'altezza delle aspettative di Elizaveta, quella risposta gli era nata spontaneamente dal cuore.

Elizaveta lo desiderava così tanto...?
O lo aveva detto tanto per dire?
Aveva forse inseguito un pensiero effimero e passeggero, o aveva svelato, per la prima volta, il frutto ultimo di giorni e mesi di dialoghi interiori?
Roderich non sapeva come reagire.
Da qualche tempo sentiva un certo vuoto in lui, ma ancora non aveva capito da cosa derivasse.
Aveva un lavoro redditizio e piacevole, una bella casa, una moglie meravigliosa.
Cos'altro poteva volere ...?
Aveva immaginato che quel vuoto fosse l'effetto del successo inaudito che ancora non era arrivato, o che forse era destinato a non arrivare mai.
Ma ora ...
Ora non lo sapeva più.
E se quel vuoto fosse dovuto allo stesso desiderio che forse inziava ad ardere nel petto dell'ungherese?

Roderich odiava non sapere.
Roderich odiava non conoscere.
Roderich odiava le insicurezze umane, che erano causa della sua imperfezione.
Era per questo che amava la musica.
La musica era la cosa che più si avvicinava alla perfezione, e talvolta, riusciva forse ad eguagliarla.
Forse la musica era l'unico mezzo che gli uomini avevano, per avvicinarsi alla perfezione.
Eppure, paradossalmente la stessa vicinanza alla perfezione, e la consapevolezza di non poterla mai raggiungere a propria volta, li rendeva ancora più fragili e infelici.

Gli uomini componevano musica e la suonavano per avvicinarsi alla perfezione.
Gli uomini parevano inorgoglirsi per cio' che creavano con le note, con le lettere e con i pennelli.
Eppure, segretamente si angosciavano ancora di più, consci della distanza che avevano dalle loro opere.

Le opere dell'uomo si avvicinavano alla perfezione nel momento stesso in cui, dalle loro mani, si protendevano verso l'esterno e da egli si staccavano.
Era la distanza dalla stessa creatura che le aveva prodotte, a renderle più perfette.
L'uomo non poteva fare altro che ammirare le proprie opere dal basso, vederle diventare più perfette, vantandosene con gli altri uomini, esseri imperfetti in un mondo perfetto.

Roderich suonava perché amava la musica.
Amava liberare le note dall'imperfezione della sua mente e dalla prigionia degli strumenti.
Amava sentirle danzare ordinate nell'aria, mentre divenivano una melodia sempre più perfetta.
Sentire le note libere di esprimere la loro perfezione, libere dalla limitatezza dell'uomo, lo inorgogliva come un padre.

Roderich non poteva essere perfetto.
Roderich non poteva conoscere tutto.
Roderich non poteva sapere tutto.
Ma, almeno, poteva angosciarsi, bearsi di un orgoglio paterno, liberando le note sue figlie dalla limitatezza del suo corpo, e vedendole lasciarlo e farsi grandi e perfette sopra di lui, dove mai avrebbe potuto raggiungerle.

 

Continua...

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


NOTE. Hello!! Arriva l'Estate e finalmente trovo il tempo di scrivere in santa pace! xD ... Sono stata davvero stressata ultimamente, non riuscivo quasi a pensare a nulla di diverso dalla scuola @-@;; .. Comunque sia! Eccoci con il 13° Capitolo ... Feliciano non sarà solo ancora per molto ... Forse eue. Spero vi piaccia ..
Buona lettura! C: 
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Capitolo 13

 

 



 

Feliciano era tornato alla sua scrivania.
Era passato giusto un week-end dall'ultima volta che aveva messo piede in ufficio, ma erano accadute così tante cose, che gli pareva fosse passata un'eternità.
Era cambiato tutto ...


Era incredibile quanto le vite delle persone potessero essere cambiate in un istante.
Gli uomini erano così fragili, che bastava un week-end per distruggerli o per farli rinascere.
Bastava un giorno per farli morire dentro.
Bastava un giorno per farli cadere dai cieli serafini al Cocito infernale.
Bastava un giorno per farli meditare, soffrire, ricredere e quasi perdonare.
Bastava un giorno per bruciarli come cenere, e dalla cenere farli risorgere.

L'italiano prese a dondolarsi sulla sedia.
Aveva sentito il cuore farsi appena meno pesante, quella mattina.
O, perlomeno, l'aveva sentito riempirsi di sentimenti diversi, mutati, seppur ancora feriti.

Aveva deciso che rimanere da Francis ancora, era semplicemente insensato.
Suo cugino aveva una vita (e, da quel che Feliciano ancora sapeva, piuttosto 'movimentata') e benché si fosse mostrato ben felice di accoglierlo tra le sue braccia, sapeva che per il biondo questo comportava un certo limite di libertà.
Così, quella mattina, alla domanda di Francis se avesse dovuto dargli le chiavi di casa sua per rientrare, l'italiano scosse la testa, affermando che avrebbe preso l'autobus e sarebbe tornato a casa.

A casa sua.
Sì ... Solo sua.
Gilbert non c'era ...
Gilbert non c'era più.
Non c'era più ... Per lui.

"Non preoccuparti per Romano. Lo riporto a casa io domani mattina ... Se sei d'accordo."


Fu l'ultima cosa che l'albino gli disse la sera prima, prima che Feliciano abbandonasse l'ospedale con Francis, lasciando Romano addormentato nel suo lettino, e Gilbert sulla sedia ad esso adiacente.

Non si era neppure premurato di chiedergli cosa avesse avuto intenzione di fare con il lavoro.
Riaccompagnare a casa Romano, sarebbe significato per lui non andare a lavorare.
Si sarebbe messo in malattia?
E se qualcuno lo avesse scoperto ...?
Un certo timore lo aveva pervaso, ma cercò di scrollarselo di dosso in un pigro movimento del capo.

Non era affar suo ...
Non più.
Realizzare tutto cio', assumere quella nota di sofferto egoismo, feriva più che mai il cuore benevolo dell'italiano, ma sapeva che era per il suo bene.
Sapeva che doveva dimenticarsi del loro rapporto.
Anche nel caso in cui non avesse cessato di vederlo (era forse quel maledetto Venerdì specchio della verità? Forse suo fratello e l'albino ... Si amavano?), sapeva che doveva a malincuore uccidere la parte di lui che ancora all'anima tedesca era disperatamente avvinghiata.
Era l'unico modo che aveva ...
Per provare a stare bene,
Per provare a tornare a stare bene.

Com'era la sua vita, prima che Gilbert la travolgesse?
Non lo ricordava molto bene, ma doveva riprendersela.
Doveva riprenderla ad ogni costo e ad ogni lacrima.

"Hellò!"


"...!" - Una voce femminile lo fece voltare sorpreso. - "... Ah, ciao Eliza."

La sua voce era dolce.
Feliciano non voleva dare nulla a vedere.
Neppure a chi già sapeva.

"Ciao Feli." - Sorrise l'ungherese, con la sua solita voce, insieme infantile e materna. - "Come va..?"

Il suo volto si fece all'improvviso serio e preoccupato.
Non voleva sembrare curiosa o invadente...
Ma, a sapere come l'Italiano si sentisse, ci teneva davvero.
Gli voleva bene ... E mai avrebbe smesso di volergliene.

"Bene ... Mmh, meglio." - D'un tratto, Feliciano si ricordò di quanto avvenuto due sere prima, quando per poco non baciò la donna, ed arrossì lievemente, abbassando lo sguardo come preso da vergogna.

"...? Feli? Qualcosa non va? Perché quella faccia?" - Anche Elizaveta si ricordava benissimo di quanto avvenuto, ma la noncuranza che Roderich aveva mostrato, l'aveva resa molto meno impacciata sulla questione. Decise di sorridere ed osare un tono quasi scherzoso. - "Ancora per quella storia del bacio?"

"... Mi dispiace." - Mormorò, senza osare guardarla negli occhi.

"Ma dai! Non preoccuparti! Non é nulla, te l'ho già detto!" - Gli accarezzò appena la spalla, mimando uno spintone, e sorrise di nuovo. - "Ti confesso di averlo detto a Roderich ..."

"...? Mi odia, vero?" - Già si immaginava la faccia adirata dell'austriaco, che sicuramente non gli avrebbe più permesso di vedere Eliza. Magari le avrebbe persino fatto cambiare posto di lavoro, pur di non farli incontrare!

"Macché! Non se l'é minimamente presa!" - Negò la ragazza, con la voce squillante e giocosa.

"A volte sembra così ... S-Severo..." - Pensò ad alta voce, senza nemmeno incrociare il suo sguardo.

"Severo..? Chi? Roddy?" - A quell'ultimo soprannome, fece una smorfia dolce da bambina. - "Mavà! E' tutto fumo e niente arrosto! Can che abbaia non morde!"

"...Sì, e rosso di sera bel tempo si spera."


Si intromise un altro collega di lavoro, con il suo solito volto inespressivo. - "Elizaveta, ti consiglio di stare poco in giro, oggi il capo è intrattabile, per poco non lo mandavo aff-"

"--Sì Lukas, ora vado ... Il tempo di dire a Feli il motivo per cui sono venuta qui!"

"D'accordo. Comunque, ho sistemato il tuo pc, ora dovrebbe funzionare."

"Ok, grazie!"

"E' il mio lavoro ..." - Lukas alzò le spalle, insieme calmo e nervoso come sempre, quasi come un lago ghiacciato dalle acque segretamente in tempesta, prima di allontanarsi.

Feliciano era rimasto con il sorriso sulle labbra per la scena.
Gli sembrava di non assistere a scambi di battute così spensierati ed umani da un'eternità, sebbene fossero piuttosto frequenti in quegli uffici.

"Oh beh, sono felice che tu abbia sorriso!" - Elizaveta sorrise a sua volta, prima di mostrare a Feliciano un foglio scritto a mano. - "Volevo mandartelo per mail, ma il mio computer non funzionava ... Dovresti chiamare questo numero e seguire le informazioni che ti ho scritto. Ci ho messo una vita a scrivere! Non sono più abituata ad usare la penna!"

"D'accordo ... Ora lo faccio."

"Grazie! Io non ho proprio tempo, sono davvero indietro sulla tabella di marcia! L'altro giorno non sono riuscita a portarmi avanti nemmeno con gli straordinari ... Sono proprio una scansafatiche!" - Ammise la donna, sempre con il segreto scopo di alleggerire il cuore dell'italiano. - "Ora sarà meglio che vada ... Ciao Feli!"

"Ciao ..."

"Ah! Se hai bisogno un passaggio, non esitare a chiedere!" - Gilbert non sarebbe passato a prenderlo quel giorno ... E nemmeno quelli a seguire.

"Va bene ... Ti faccio sapere." - Rispose dolce Feliciano, donandole uno stanco ma sincero sorriso.

No ... Il suo Gilbert non sarebbe tornato a casa.
Il suo Gilbert non lo avrebbe chiamato per sapere come stava.
Il suo Gilbert non era più suo.
Così come quella casa non era più loro.
Ora, era solo sua.

"... ... ..."


Di nuovo occupato.
Maledizione!
Roderich posò per l'ennesima volta la cornetta del telefono.
... In realtà era solo la seconda volta, ma gli sembrava di trovarsi in quell'ufficio da secoli.

Raivis Galante


Gli caddero gli occhi sul foglietto di carta sulla scrivania.
Un foglietto di carta strappata, scritto in fretta e furia, che qualche suo collega gli aveva passato come una bomba in procinto di esplodere, con poche ed affrettate spiegazioni ed una ben più elaborata scusa per fuggire.

A quanto pareva, quel ragazzo non si presentava a scuola da qualche giorno, ormai, e la scuola si era sentita in dovere di saperne il perché.
La scuola, certo.
Ma, quel giorno, pareva che nessuno avesse avuto la minima voglia di chiamare a casa la famiglia.
Così, ipocrita dopo ipocrita, dalla preside alla segretaria, tutti si erano passati quel foglietto di mano in mano, decantando falsamente l'importanza della scuola e la salute degli studenti, preoccupandosi poi ben più sentitamente del loro agognato tempo d'ozio.
Così, scusa dopo scusa, parola dopo parola, l'infausto compito di chiamare la famiglia, scritto come una condanna a morte invisibile su quel foglietto di carta, era toccato a lui.

Era toccato a lui, Roderich Edelstein, che di quel ragazzo sapeva a malapena il nome.
Non era un suo studente, non l'aveva forse mai visto, e di certo non gli importava sapere il perchè fosse a casa da ...
Da quanto?
Quattro giorni?
Cinque, forse?
Ecco, non sapeva nemmeno questo.

Non riusciva proprio a capire perchè la preside, in modo così ipocrita, se ne preoccupava.
C'era un sottile gusto tipicamente scolastico, nel voler mettere per forza il naso nelle questioni altrui.
Quella voglia di sapere tutto di tutti, ogni cosa su famiglia, genitori e compagnie, che era più per ossessione che per vero interessamento.

Infondo, la scuola era un obbligo.
Un obbligo  ...
Roderich odiava quella parola.
Per quanto severo e intransigente potesse sembrare, la filosofia del 'dovere prima del piacere' era a lui estranea.
Era uno dei motivi per cui aveva deciso di intraprendere la carriera musicale.
Qualsiasi professione, musicista o professore (no, quest'ultimo lavoro l'avrebbe lasciato presto ... Perlomeno avrebbe lasciato l'insegnamento nella scuola superiore, non avrebbe mai voluto ritrovarsi tra quelle mura ipocrite a vita), gli bastava avesse a che fare con la musica: così, si sarebbe potuto crogiolare almeno un po' nella sua passione anche mentre lavorava.
Non avrebbe mai sopportato di lavorare per qualcosa di diverso dalla musica, perchè allora l'avrebbe sentito solo come un dovere.
Altra parola che odiava.

Allora, poteva ben immaginare come la maggior parte degli studenti odiassero la scuola.
Era un dovere.
Nonostante i richiami, nonostante le note, nonostante i brutti voti che fioccavano sul registro come neve a Dicembre ...
Segretamente li compativa.
Fare qualcosa contro la propria volontà non ha senso.
Si rischia di farla svogliatamente e male.
Era inutile intestardirsi e cercare di insegnare a chi non aveva la minima intenzione di imparare.

"Se fossi loro padre, li ritirerei dalla scuola e li manderei a lavorare. Un diploma preso a forza vale meno di questo foglio di carta straccia."



Invece no.
Quei genitori perseveravano.
Anche dopo la soglia dei quindici anni, o dei sedici, continuavano ad insistere e mandare i loro figli a scuola, decantandoli come geni incompresi.
Non importava, poi, se il diploma ottenuto fosse stato come una bolla di sapone, un involucro fragile e sottile ad occultare il niente.
L'importante era averlo, elogiare i sei come se fossero dieci, occupare i figli con premi tecnologici e superficiali per ottenere risultati ancora peggiori.

"A mio figlio non--"

...!
'A mio figlio' ...?
Roderich non aveva figli.
Che gli era preso?
Non era padre di nessuno.
Non aveva nessun figlio.
E non stava nemmeno per averne.
... Già.
...?
Forse, in fondo, ne avrebbe voluti?

"Pensa se avessimo una bambina..."


Le parole di Eliza gli risuonarono nei timpani, come una melodia insieme dolce ed inquietante.
Non sapeva più dire se, tra le note che l'avevano inondato, distingueva più fiori timidi e teneri sbocciare nella rugiada tiepida sotto gli accordi più armoniosi, o rovi scuri senza more ammassarsi tra quelli più sinistri e dissonanti.

Gli cadde di nuovo lo sguardo sul foglio di carta.
Scosse la testa.
No ... Non era il momento per pensarci.

"Pronto...?" - Senza accorgersi, aveva digitato per la terza volta il numero e, finalmente, ebbe una risposta.

"Buongiorno." - Che stupido. Tutto quel tempo a pensare, e non si era neppure premurato di impostarsi un discorso. - "... E' la scuola."

"Oh...!" - L'altro ebbe un sussulto sorpreso e maldestro, ma la sua voce si fece subito più sicura. - "Ha chiamato per Raivis, vero? Mi dispiace ... Purtroppo non è stato molto bene ultimamente. Ma credo che potrà tornare a scuola domani, o al massimo dopo domani."

"... Bene." - Rispose freddo Roderich. Aveva quasi cercato di distrarsi per non ascoltare ... Di quelle giustificazioni, valide o meno, non se ne sarebbe mai fatto nulla.

"Mmh..." - L'altro rimase un po' incerto, in silenzio, prima di aggiungere un impacciato 'arrivederci' e concludere la chiamata.

L'austriaco posò di nuovo la cornetta, prese il foglietto e lo strinse nel pugno fino a stropicciarlo.
Si avvicinò al cestino, lo buttò ed uscì dalla segreteria.
Non aveva più voglia di pensare.
Aveva fatto il suo dovere, che l'avesse voluto o meno, ed ora non lo attendeva nient'altro che una noiosa ora di scuola in compagnia delle sue amate note.


Silenzio.
C'era solo silenzio.
In quella fresca mattina di sole, c'era solo silenzio.
C'era stato silenzio quando Gilbert aspettò Romano fuori dalla sua stanza.
C'era stato silenzio quando insieme ascoltarono le ultime raccomandazioni del medico.
C'era stato un silenzio imbarazzante sull'ascensore, quando i due scesero al pianterreno dell'ospedale insieme, in secondi scalati come ore.
C'era stato silenzio nel tragitto in auto, dove entrambi, passivamente, lasciarono che la radio penetrasse le loro tempie, fino a far tacere i loro pensieri.

Ora, sulla porta d'entrata di Vargas, c'era ancora silenzio.
Il passo di Gilbert si era fatto pesante, i suoi movimenti più maldestri, nella speranza di infrangere il tacito divieto di parlare.
Al contrario, Romano, si era fatto sempre più silenzioso ed attento, quasi impaurito all'idea di emettere un suono.
Si era fermato proprio davanti al suo salotto, a pochi passi dalla porta, ad osservare con occhi di vetro il divano, l'odioso teatro che scoprì la sua vera natura.
Era un bastardo ... Un grandissimo bastardo.
Quasi quanto lo Spagnolo.


"Stai bene? Hai bisogno di qualcosa..?" - Si premurò infine di chiedere l'albino sull'uscio, nel disperato bisogno di sentire l'altro parlare.

"No ..." - Rispose Romano senza neppure voltarsi, prima di chinare il collo bronzeo ed aggiungere, in un lieve sussurro. - "Grazie..."

Grazie.
Ecco, l'aveva detto di nuovo.
Non era più lui.
Non era tipo da ringraziare le persone.
Soprattutto ... Non a parole.
Che gli stava succedendo?!

Grazie.
Quella parola appena sussurrata gonfiò il cuore del tedesco di una strana e remota felicità.
Era la seconda volta che l'italiano lo ringraziava ... E sapeva quanto raro fosse sentire quella parola uscire dalla sua bocca.
Raramente l'aveva pronunciata per Feli, ancor meno per Antonio.
Eppure ... A lui, Gilbert Beilschmidt, aveva riservato l'onore dei suoi ringraziamenti.
Era la seconda volta che lo ringraziava, e il primo 'grazie' risaliva a meno di ventiquattr'ore prima.

Al contrario, il suo (suo..? No, non più) Feli ringraziava fin troppo spesso.
Fin troppo spesso un dolce sorriso colorava le sue labbra rosate, mentre i 'grazie' fiorivano tra i denti bianchi e le iridi ambrate.
Troppo spesso esprimeva gratitudine, sorridendo sereno e socchiudendo gli occhi, fino a coprire le guance candide di un'ombra plumbea.

Feli aveva un cuore prezioso.
Aveva un cuore d'oro, grande e benevolo.
E Gilbert ... Gilbert l'aveva rotto per sempre.
Gli aveva inferto un colpo insanabile.
Anche se, nelle parole del dolce italiano, aveva trasparito un vago senso di perdono ... Quel cuore di pane era stato per sempre violato.

"..." - Una risata nervosa, e Romano era ancora di spalle. - "Sono un bastardo, vero?"

"No ..." - Gilbert scosse appena la testa, azzardando un sorriso teso che nessuno avrebbe visto. - "Non lo sei ..."

L'albino stava mentendo.
La realtà era che sì, almeno per un secondo, giusto per un secondo, aveva pensato che Romano fosse un bastardo.
Il pensiero l'aveva colpito inevitabilmente, insieme a mille altri, nello stesso istante nel quale la sua storia d'amore con Feli si era sciolta, evaporata e dissolta nel calore pazzo ed ubriaco dell'italiano dagli occhi d'oliva che ansimava sopra di lui.
Era finito tutto.
Tutto era finito nel tacito consenso di Gilbert.
Tutto era finito sulla fronte scura e sudata di Romano.
Tutto era finito negli occhi ambrati e increduli di Feliciano.

Feliciano era come una colomba.
Romano era come un corvo.
Il primo volava libero e alto nel cielo azzurro e infinito, piume di bianca cera consacrata contro il sole splendente e dorato.
Il secondo ispezionava infastidito il suolo in cerca di cibo, beccando ovunque con il becco di catrame, nascondendosi sotto una gobba di piume d'ebano.
Eppure, il petto dello scontroso corvo era tanto soffice quanto quello della gentil colomba.
Le ali, il ventre, il cuore di entrambi si sarebbe ugualmente sfaldato sotto lo sparo egoista del cacciatore.
Il cacciatore, anzi, i cacciatori, erano lui e Antonio.

La colomba volava alta nel cielo.
Il corvo volava poco più in basso, guardandola con occhi scontrosi, amandola e invidiandola.
Il cacciatore spagnolo aveva già preso la mira.
Il cacciatore spagnolo aveva sparato.
Ferito ad un' ala, con l'ira funesta di chi vede la fine ma non la vuole, il corvo non usò le sue ultime forze per decantare il cielo e la terra, ma con foga si avventò sulla colomba, punendola per la sua troppa fortuna.

Io già volavo basso, stupida colomba. Io già stavo soffrendo. Perché io? Perché tu voli ancora più alto mentre io perdo quota? Ti odio troppo per amarti, colomba mia. Ti amo troppo per odiarti, colomba mia.


Fu allora che un altro cacciatore li stanò.
Il cacciatore tedesco sparò un colpo, un'unica pallottola, e lì colpì forse entrambi.
Il corvo e la colomba caddero insieme, vicini, e il tedesco pentito accorse sul posto.
La colomba lo guardava, con gli occhi scuri ancora lucidi che parevano concedere una grazia.
'Ti perdono' parevano dire, mentre la morte lentamente li appannava.
'Ti perdono' parevano ripetere, mentre un'ala stanca si era mossa verso il corvo, che ancora, a fatica, respirava.
Il cuore tenero della colomba aveva smesso di battere.
Quello del corvo lottava tra la vita e la morte.
Il cacciatore non potè fare altro che seppellire in silenzio la delicata colomba.
Il cacciatore non potè fare altro che esaudire il suo ultimo desiderio.
Prese tra le mani lo schivo corvo, che con le sue ultime forze lottava, e si avviò in paese, pentito e, per la prima volta, benevolo.

Ora il corvo era davanti a lui.
Aveva le ali bendate e i pensieri confusi, ma non aveva perso il suo fare scontroso.
Eppure, sotto le ali color cenere, anche Romano aveva un cuore di colomba.
Gilbert lo sapeva.
Ne era convinto.
Forse era stato Feliciano a dirglielo ...

"...!"


Ebbe un sussulto quando sentì due braccia forti stringersi gentili attorno a lui.
Romano non aveva voglia di lottare.
Non più.
Non ora.
'Lasciami stare!' - aveva gridato una voce lontava nella sua mente, ma non aveva voluto ascoltarla.
Prima ancora di potersene rendere conto, l'italiano si era lasciato appena cadere nel petto dell'altro, socchiudendo gli occhi e sospirando.
Come un guerriero stanco di combattere.
Come un corvo stanco di beccare.

"Non pensarlo mai più, Romano ..." - Gli sussurrò all'orecchio, dolce ma severo. - "... O resterò qui fino a quando non cambierai idea."

Rimanere lì..?
Perché l'aveva detto?
Era una richiesta? Un ricatto?
Un ricatto stupido.
Davvero stupido.
Eppure Gilbert non riusciva neppure a scuotere la testa, né ad ammettere la stupidità delle sue parole ... Né a liberare l'altro dal suo abbraccio.

Romano era arrossito.
Nascose il volto sotto i capelli scuri, sperando che l'altro non se ne accorgesse.
Il suo cuore aveva preso a battere più forte.
Forse voleva davvero che l'albino restasse lì con lui..?
Ma questo sarebbe significato tradire il suo fratellino ancora una volta.
Eppure lui, in fondo, al suo fratellino voleva un bene immenso ...
Come aveva potuto fargli questo?
Come era finito tra le braccia di Gilbert?
Ma il suo cuore batteva in modo sincero ... Troppe volte aveva preferito negarlo, a sé stesso e al mondo.

"M-Ma ora, dopo che ..." - Evitò i ricordi come vetri rotti. - "... Dove vivi?"

...?
Gli importava dove vivesse?
Perché gli importava?
Voleva forse ... Tenerlo lì con lui?
Forse era troppo presto per pensare a certe cose ...
Eppure ...
Le parole avevano lasciato la sua bocca prima ancora di poterci riflettere su.

"...?" - L'albino lo guardò incuriosito, prima di accennare un sorriso ed alzare le spalle, ancora abbracciato a lui. - "Da mio fratello."

Aveva una voglia matta di chiedergli il perchè di quella domanda.
Aveva una voglia matta di sentire la risposta.
Aveva voglia di sapere se Romano, quel giorno, oltre che per l'alcool, avesse agito per amore.
Aveva voglia di sentirsi dire 'ti amo' ...
Forse avrebbe ancora voluto sentire quelle parole da Feli.
Ma non le avrebbe disdegnate nemmeno da Romano.
Le avrebbe accolte con piacere e l'avrebbe abbracciato ancora, con più foga, fino a che il suo calore non sciogliesse il suo cuore.
Come aveva fatto Feli ...
Come, quella sera, pareva forse aver fatto Romano.
Non lo sapeva con certezza ...
Non lo sapeva ancora.
E il non saperlo gli bruciava sulla pelle come acido.

"..." - Forse l'italiano avrebbe voluto dirgli di rimanere lì, con lui ... Ma, la verità, era che Romano era diretto solo quando si trattava di odiare, molto meno in amore. - "Le tue cose ... Sono ancora da mio fratello, vero ..?"

"Sì ..." - Gilbert sospirò, e in quel 'sì' sommesso sentì il cuore salirgli in gola ed uscire dalla bocca, lasciando il suo petto vuoto e sconsolato. - "Credo che andrò a prenderle ... Oggi o domani ... Devo avvertirlo."

"Se Ludwig non ha spazio a casa sua ... Per le tue cose, intendo." - Si affrettò ad aggiungere Romano, con il cuore a mille. - "... Puoi tenerle qui ..."

"Davvero ..?" - Gilbert era troppo malizioso per non leggere altro tra le righe. Era un membro del Bad Touch Trio, dopo tutto!

Già ... Il Bad Touch Trio.
Erano amici inseparabili ...
Ancora non riusciva a credere che tutto fosse cambiato.
Non c'erano più le serate di alcool e fumo.
Non c'erano più le gare, ogni fine settimana, per scoprire chi aveva fatto più strage di cuori (o di corpi..?).
Non c'erano più le domeniche in montagna a guardare le stelle.
Non c'erano più i sabati persi tra strade e locali.
Non c'era più nulla ...

Antonio era con Bella, e Gott solo sapeva se la donna gli avrebbe mai permesso di frequentarsi con gli altri.
Francis era ormai preso dal suo caro e sconosciuto inglesino, e aveva interrotto i rapporti con loro, asserendo che era solo per qualche tempo, ma Gott solo sapeva se li avrebbe mai perdonati per aver spezzato i cuori dei suoi amati cugini.
... Infine, c'era lui, Gilbert.
Aveva quasi messo le mani addosso ad Antonio, quando questi lasciò Romano solo come un cane, dopo avergli messo in testa corna grandi da alce.
Poi, ci aveva ripensato, e quasi era riuscito a comprendere il suo gesto.
Infine, ne compì uno più grande.
Tradì Feli, l'unico ragazzo che era riuscito ad addolcire il suo cuore.
Non lo tradì con uno qualsiasi, no, ma con il suo amato fratello maggiore.
Quello stesso fratello che Antonio aveva abbandonato dopo l'ennesima lite.

Ed ora, il tradito e il traditore, erano lì, l'uno abbracciato all'altro, chiusi in un dialogo in gabbia e in salita, difficile da continuare.

"Mmh..." - L'italiano annuì piano, facendo tornare il tedesco alla realtà. - "Tanto, il bastardo si è già portato via tutto ... Ho spazio, qui."

"Grazie." - Ringraziò sincero l'albino. Sapeva quanto a Romano costasse essere gentile ... Ma, quando lo era, era davvero in grado di scioglierti il cuore.
'Antonio aveva ragione ...'


"Bonjour, mon amour~" - Sussurrò dolcemente Francis, appoggiando l'orecchio al cellulare come se fosse la spalla del suo amato, socchiudendo gli occhi e cullandosi nel suo romantico pensiero.

"Sei tu!" - L'inglese, dall'altra parte, in quel sussurro non ci vedeva nulla di dolce, né di romantico. Non voleva vederci nulla. - "Quante volte te lo devo dire di non chiamarmi mentre sono al lavoro?!"

"Ma è la pausa pranzo ..." - Sottolineò il francese alzando le spalle, ammaliato e un po' dispiaciuto dal comportamento di Arthur. - "E come sarebbe a dire 'sono io'? Certo che sono io! Non hai visto il mio nome sullo schermo, prima di rispondere? Non nasconderlo, hai risposto perchè volevi sentire la mia voce ... N'est pas?~"

"Certo che no! Ne avrei fatto volentieri a meno!" - Eppure, già sentiva le guance scaldarsi, di uno strano e delicato tepore che solo la voce di Francis sapeva provocare. Fuck, quanto lo odiava! - "N-Non è comparso il tuo nome!"

"Mmh, non mentirmi Rosbif ... Lo capisco quando dici le bugie. Ormai ti conosco~"

"E' la verità! E smettila di chiamarmi 'Rosbif', jerk!"

"Oui, la verità ... Come no. Se continui a mentirmi, stasera sarò costretto a fartela pagare, Rosbif ..." - Un sorriso, insieme dolce e diabolico, invase le sue labbra, mentre prese ad attorcigliarsi i bei capelli biondi tra le dita. - "... E, se tu non la smetti di chiamarmi 'Jerk' e 'Frog', non vedo perchè io dovrei smetterla di chiamarti 'Rosbif', mon chèr Sourcils ..."

"W-Whatever..." - La prima parte della frase aveva spinto l'inglese a voler cambiare discorso ad ogni costo, ignorando i battiti del suo cuore e il crescente calore sulle sue gote. - "Tuo cugino starà da noi ancora per molto?"

"...? No, stamattina mi ha detto che ha intenzione di tornare a casa sua oggi stesso."

"Davvero? Non mi stai prendendo in giro, vero? Giuro che se me lo trovo di fronte, ti ammazzo ..."

"Davvero! Non ha nemmeno voluto le chiavi di casa! Non potrebbe entrare nemmeno se lo volesse, a meno che noi non gli apriamo ..." - La sua espressione mutò di colpo, e due occhi furbi e complici scivolarono svelti verso il cellulare, perdendosi ad immaginare il volto di Arthur. - "Ma perchè me lo chiedi? Non ce la fai più a resistere senza di moi..?"

"...!" - L'inglese quasi soffocò nel suo stesso respiro, intuendo a cosa quel 'moi' alludesse. - "Idiota! Ora lasciami mangiare in pace! Non ho intenzione di sprecare la mia pausa pranzo a parlare con te!"

"Je t'aime aussi, mon amour ..." - Sussurrò il francese.

Ci fu un momento di imbarazzato silenzio, prima che la linea cadesse.
Francis sorrise di nuovo.
Sapeva cosa quel silenzio significava ...
Significava più di mille parole.
'I love you', ecco cosa voleva dire.
'Ti amo' erano quelle le dolci parole con cui Francis sapeva di dover riempire i puntini invisibili lasciati dal silenzio dell'inglese.
Era un silenzio meraviglioso.
Un silenzio che sapeva d'amore dolce e innocente da bambino.
Quanto inesperto era il suo Arthur ...
Era così dolce e goffo, in amore, che era impossibile non amarlo.

Ancora si chiedeva come avesse potuto rimanere solo per tutti quegli anni, senza che nessuno si accorgesse del suo splendore.
Arthur era bellissimo.
Non era della bellezza dei modelli vuoti e inespressivi sui cartelloni pubblicitari.
Non era della bellezza orgogliosa e irraggiungibile degli attori di cinema.
Non era della bellezza degli sportivi giovani e atletici.
Non era della bellezza dei cantanti emergenti e dal dubbio talento.
Non era nemmeno della bellezza maleducata ed incoscente dei ragazzini di scuola, quelli gradassi e immaturi che attiravano le ragazzette come api sui fiori.
Ma Arthur era bellissimo.
Semplicemente bellissimo, di una bellezza che non colpisce gli occhi come il sole d'Estate, ma come una stella li evita, standosene tacita insieme alle altre, troppo riservata per osare brillare di più.

Ad onor del vero, forse, Francis aveva talvolta passato la notte con uomini e donne più belli di Arthur.
Ma, la loro, era una bellezza vuota, di vetro.
Come il vetro si facevano attraversare dalla luce e si sentivano belli, dimenticando che senza di essa sarebbero stati solo bei vasi di vetro intarsiati nell'ombra.
Si vedevano belli allo specchio, e come allodole si specchiavano, senza rendersi conto che quella bellezza che decantavano non era la loro, ma era la luce della giovinezza.
Non era la loro anima ad essere bella, ma era la giovinezza ad abbellirla.

Con Arthur era diverso.
L'inglese non brillava come il sole d'Estate.
L'inglese brillava timido come una stella.
La luce della bellezza giovanile non l'aveva colpito come ai modelli sui poster, agli attori in tv e ai cantanti in concerto.
Ma non ne aveva bisogno.
Per chi sapeva notarla, la sua anima splendeva già, e più luminosa, meno spavalda della bellezza rimaneva quieta nel suo petto.
Forse nessuno aveva mai avuto l'occhio così attento da scorgerla.
Forse nessuno aveva mai provato a guardarlo negli occhi, ad ignorare ogni 'fuck' ed ogni 'jerk', fino a raccogliere quelle labbra prepotenti tra le proprie.

Francis era felice.
Francis era fortunato.
Ogni giorno ringraziava Dieu di avergli fatto conoscere Arthur.
Perchè sentiva di non poter vivere tutta la vita come ai tempi del Bad Touch Trio.
Si era divertito, e tanto.
Aveva desiderato, tanto quanto gli altri, che i loro giorni insieme non finissero mai.
Ma, un giorno, la luce della ragione l'aveva colpito.
Allora, si era guardato allo specchio, e si era chiesto se voleva davvero vivere tutta la sua esistenza così.
La risposta era stata no.
Aveva ormai superato i vent'anni, di poco a dire il vero, ma il loro peso iniziava a sentirsi.
Non lo sentiva nel corpo, o nel volto, o nel cuore.
Lo sentiva nella mente.

Nuovi desideri avevano iniziato a farsi strada in lui.
Aveva un lavoro, e ancora scorrazzava in giro come un ragazzino a caccia di esperienze.
Aveva un letto era troppo grande, e, passata la notte, rimaneva sempre troppo vuoto.
Aveva una cucina troppo bella per una persona sola.
Aveva un petto troppo vuoto.
Aveva un cuore troppo solo ed un corpo troppo impegnato.

Diceva sempre di voler amare con tutta l'anima, anche solo per una notte.
Ma, la verità era, che da qualche tempo una sola notte alla sua anima non bastava più.
Non erano più i volti benedetti dal piacere che cercava.
Non erano più i corpi stretti l'uno all'altro che cercava.
Non erano più i gemiti, né il sudore, né le unghie sulla pelle.

Ora cercava altro.
Cercava una notte di sonno tra le braccia del suo amore, senza nulla da dire o da fare.
Cercava un dolce sorriso innamorato tra le lenzuola fresche del mattino.
Cercava due tazzine di caffé fumante sul tavolo.
Cercava due giacche appese all'entrata.
Cercava due mazzi di chiavi.
Cercava due spazzolini da denti.
Cercava due spalle da stringere calmo sul divano, davanti alla televisione.
Cercava i battiti sulla porta e le liti per chi dovesse usare prima il bagno.
Cercava qualcuno da abbracciare e baciare dopo il lavoro.
Cercava qualcuno con cui bere il té la sera, raccontandosi le rispettive giornate fuori casa.
Cercava ... Un amore.

Lo aveva cercato, e finalmente era arrivato.
Era arrivato con un forte accento inglese e l'aria imbronciata.
Era arrivato parlando in modo rozzo e dandosi del 'gentleman'.
... Ma Francis già lo amava.
L'aveva amato dal primo istante, dal primo spintone, dal primo 'fuck you'.
L'aveva amato dal primo istante, e mai avrebbe smesso di amarlo.

"Ludwig ... Se non hai da fare, puoi accompagnare Feli a casa? E poi ... Puoi dirgli che ho intenzione di passare da lui? Non me la sento ... Lud, non ce la faccio a chiamarlo ... Non ce la faccio proprio. Danke."


Ludwig avrebbe dovuto tornare a casa prima, quel giorno.
La crisi cominciava a farsi sentire, e all'officina ultimamente c'era poco da fare.
Ancora non c'erano stati licenziamenti ... Ma le cose non andavano benissimo.
Gilbert l'aveva chiamato verso l'ora di pranzo, e gli aveva chiesto di passare a prendere Feliciano al lavoro.
Al nome dell'italiano, il biondo sentì il cuore battere più forte e un vago malessere sfiorargli lo stomaco.
Era da qualche tempo che, ogni volta che Feli veniva citato, si sentiva così.
Eppure, ancora non riusciva a darsene una spiegazione ...

Doveva essere il periodo.
Doveva essere il guaio che aveva combinato suo fratello.
Gli dispiaceva per Feli ... Gli dispiaceva davvero.
Beh, gli dispiaceva anche per Gilbert, ovviamente.
Ma il pensiero del volto dell'italiano stretto nel dolore e rigato dalle lacrime, lo faceva davvero rattristire.
Sì, doveva essere questo ...
Già, proprio così.

Eppure ...
Ora che ci pensava ...
Non si era sentito così anche prima?
Quando l'italiano lo baciava sulla guancia per salutarlo.
Feliciano baciava tutti sulla guancia ...
Ma lo faceva sentire strano.
... No.
Doveva essere perchè non era abituato a quel gesto.
Lui, Ludwig, non l'avrebbe mai fatto.
Bastava vedere il modo in cui lui e Vash si salutavano.
Erano migliori amici, eppure si salutavano in modo freddo e distaccato.
Come due soldati, fedeli fino alla morte, ma troppo duri per mostrare i loro sentimenti.
Sì ... Doveva essere per quello ...
Doveva essere la stranezza dei suoi baci, a farlo sentire così.
Era l'unica spiegazione possibile ...

Perso nei suoi pensieri, non si era nemmeno reso conto che era già in auto, in direzione dell'ufficio di Feli.
Gli alberi lo fissavano benevoli mentre scorreva sulla strada asfaltata, resa più fresca dall'ombra delle chiome.
Giusto un fascio di cielo, azzurro come i suoi occhi, era visibile da lì, incorniciato come un quadro tra le file di rami e foglie verdi e rigogliosi.
Le case, squadrate e pulite, si scorgevano appena dietro il viale alberato.
Un quadrato, un rettangolo, un triangolo ...
Ludwig amava scomporre nella mente le case in tante figure geometriche.
Era forse un divertimento stupido, un passatempo inutile, ma lo rendeva felice.
Pensare a come l'uomo fosse in grado di unire misure, numeri, figure e materiali per costruire qualcosa di nuovo come una casa ... Lo entusiasmava.
Se non avesse fatto il meccanico, forse avrebbe preso la strada dell'architetto.

Ma anche le auto gli piacevano molto.
Le amava come un musicista ama i suoni.
Le amava come un pittore ama i colori.
Le amava come le rane amano gli stagni e gli uccelli amano il cielo.

Da piccolo si stancava presto di giocare con le automobiline in miniatura.
Invece, amava smontarle.
Gilbert si lamentava, perchè qualche volta aveva anche smontato quelle con cui lui giocava da bambino.
Non le smontava perché gli piaceva rompere le cose, no.
Le smontava perchè voleva capirne i segreti.
Voleva capire come tubi lucenti e pezzi di metallo potessero, uniti, dare vita a qualcosa di così strano, meraviglioso, qualcosa che sapesse muoversi e spostare le persone.
Le smontava perchè voleva imparare a rimontarle.
Voleva essere in grado, un giorno, di costruirne una vera.

Così, ben presto, s'accorse che il meccanico era il lavoro che sognava.
Non era il medico, né l'astronauta, nemmeno il pilota di Formula 1.
Lui le auto le voleva far nascere, riparare, ascoltare.
Non voleva solo usarle.
Eppure, a dire il vero, avrebbe potuto aspirare ad una professione più ambita.
A scuola era sempre stato bravissimo.
Non era il classico ragazzo a cui, visti i pessimi voti, si consigliavano i famosi 'lavori manuali', pur di non vederlo più con una penna in mano.
Tutti l'avrebbero forse visto meglio come dottore, banchiere, architetto.
Invece no ... Non amava le case quanto le auto.
Aveva presto capito cosa voleva fare nella vita, e nulla e nessuno riuscì mai a fargli cambiare idea.

"Veh ..?"

"...!"

Così preso dai suoi pensieri, il tedesco nemmeno si accorse di essere arrivato.
Un curioso e stupito italiano era proprio vicino a lui, e lo osservava da dietro il finestrino ancora alzato, in attesa di spiegazioni.

"..." - Ludwig abbassò il vetro. - "C-Ciao Feli..."

"...? Ciao Ludwig!" - L'italiano fece un grande sorriso, forse per nascondere il velo di tristezza che ancora, in parte, appannava i suoi occhi, prima di concederne un secondo, più dolce e composto. - "Sono felice di vederti ..."

...!
Ecco.
Di nuovo.
Il tedesco aveva già sentito il cuore salirgli in gola, ed un vago senso di malessere all'altezza dello stomaco.
Eppure, i suoi occhi color cielo non riuscivano a staccarsi dal corpo e dal volto dell'italiano.
Forse lo stavano fissando in modo strano ...
Forse sarebbe stato meglio guardare altrove.
Ma ogni volta che ci provava, presto, i suoi occhi erano di nuovo su di lui, attratti come da una calamita.
'Sono solo preoccupato per lui ...'
Cercò di dirsi, mentre l'altro continuava a guardarlo sorridendo.

"Anch'io ..." - Fece un colpo di tosse e mandò giù la saliva, cercando la forza di parlare. - "Devo ... Devo portarti a casa."

"...? Davvero?" - Feliciano rimase un attimo in silenzio a guardarlo, sorpreso ma non infastidito, prima di donargli un nuovo, grato sorriso. - "Grazie, Lud!"

Stunk!


Prima ancora che il tedesco se ne potesse accorgere, l'italiano era già seduto al suo fianco ed aveva chiuso la portiera con un colpo secco e fermo.
Ora, ancora con il sorriso sulle labbra, guardava dritto davanti a sé.
S'accorse di non aver messo la cintura.
Si scusò, se la mise, e guardò di nuovo dritto davanti a sé.
Sospirò.

"...?" - Infine, si voltò un po' perplesso in direzione del tedesco. - "Non partiamo..?"

Chiese in un filo di voce.
Aveva forse fatto qualcosa di male..?
I suoi grandi occhi ambrati parevano velarsi pian piano di una nuova, lucida tristezza.
Perché Ludwig non rispondeva?
Perché non partiva?
Forse c'entrava Gilbert?
O doveva dirgli qualcosa di importante?
O di triste?

...!
Forse voleva dirgli che non voleva vederlo più.
Forse voleva insultarlo, maledirlo, perchè non aveva accettato di tornare insieme a Gilbert.
Forse era questo ...
Forse Ludwig era venuto per insultarlo, menarlo e lasciarlo a piangere sul marciapiede.
No ... Non voleva ...
Lui aveva perdonato Gilbert.
Davvero ...
Ma non se la sentiva di tornare con lui.
Avrebbe fatto male ad entrambi ...
'Ludwig, non essere arrabbiato ...'
Pensò, con gli occhi quasi in lacrime.

"...! Sì! Scusa!" - Solo allora il tedesco si accorse di essere osservato, e mise svelto in moto l'auto, in direzione della casa di Feli.

"...? Grazie." - Ripeté l'italiano, la tristezza svanita e le labbra di nuovo incurvate in un dolce sorriso.

"Feli ..." - Non voleva parlare di Gilbert, ma era stato Gilbert stesso a dirgli di ... Di ... - "Devo dirti una cosa."

"...? Cosa?"

"Gilbert ..." - Il nome di suo fratello, in quel momento, gli diede la nausea. Quasi come se potesse sentire, nel suo cuore, tutto cio' che Feli aveva provato. - "Ha detto di dirti che ... Che passerà a prendere le sue cose."

"...? L-Le sue cose..?" - Un rinnovato senso di smarrimento prese il dolce italiano, mentre il suo cuore prese a battere più forte e i suoi occhi promisero lentamente una nuova pioggia di lacrime terse e tiepide. - "... Q-Quando?"

"Oggi, credo." - Si stava sforzando di continuare a guardare la strada, e poteva immaginare lo sguardo triste di Feli. Se l'avesse visto con i suoi occhi, avrebbe perso la ragione. Ne era sicuro. - "Non mi ha detto un orario preciso ... Se vuoi glielo chiedo e ti faccio sapere."

"Va bene ..." - Rimase un attimo in silenzio a contemplare la strada, prima di voltarsi di nuovo, con due occhi grandi ed un sorriso dolce sulle labbra rosate. - "Sei un amico ..."

Un amico.
Ecco cos'era.
Eppure, Ludwig non si era mai sentito così in presenza di Vash.
Un amico ...
Era giusto un amico.
Continuava a ripeterselo, mentre inconsciamente guardava Feliciano dallo specchietto e la sua casa si faceva sempre più vicina.

... Continua ...

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