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di Notperfect
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 1.

 

La mia vita è sempre stata piena di alti e bassi. Più bassi che alti in realtà.
Alcune volte ho pensato che l’unica cosa da fare era porre fine alla mia vita perché mi consideravo inutile, insignificante ma se mi fossi uccisa tempo fa, avrei procurato tanto male a mia madre, che già soffriva e soffre abbastanza. Non lo meritava.
Essere figlia unica non ha fatto che peggiorare la mia situazione perché non ho nessuno con cui sfogarmi e nessuno che potrebbe proteggermi dai mali che mi opprimono ogni giorno, inoltre la mia capacità nel relazionarmi con le persone è sempre stato pari a zero. Così le uniche amiche che ho sono Cece e la signora Backy del negozio di antiquariato di fronte casa mia. Passo interi pomeriggi con lei a chiacchierare e lei conosce la mia situazione e si è battuta molto affinché migliorasse ma non ha ottenuto niente e ciò può essere testimoniato dal fatto che mio padre continua a picchiare me e mia madre.
Ci maltratta da quando ho compiuto cinque anni e da quel momento son passati circa dodici anni e ciò non sembra a voler cambiare. Mette le mani addosso a noi non appena succede qualcosa di sbagliato nella sua vita, come quando perde il lavoro o ammaccano la sua auto. Non si controlla, non ha un limite. Non a caso ho avuto il gesso al braccio e alla gamba circa due anni fa ed è solo da due giorni che non ho più il busto attorno all’addome: due costole fratturate.
Mia madre ha perso l’udito con un calcio che le ha dato all’orecchio qualche anno fa. Non l’ha perso completamente, ma può sentire solo dall’orecchio destro. Inoltre cinque anni fa è stata recuperata d’urgenza in ospedale perché le si era spappolata la milza. E’ stato un miracolo se è riuscita a salvarsi e sono grata a Dio per questo.
Io e mia madre ci siamo fatte una promessa: staremo sempre insieme, qualunque cosa accada e non appena avremmo modo di fuggire da lui, lo faremo e andremo lontane.
Dimenticavo, sono Queen White e, a dire il vero, non mi sento proprio una regina.
 
Oggi è il compleanno di Cece, compie diciassette anni e per l’occasione mi ha invitata ad andare al cinema con lei per poi andare a mangiare in un Fastfood all’angolo tra la ventottesima e la ventiseiesima.
Inizialmente le ho detto che non potevo, buttandola sul vago.
In realtà ho paura che mio padre si scateni solo su mia madre. L’idea mi ha fatto accapponare la pelle.
Poi però, mia madre mi ha incoraggiato ad accettare l’invito e non ho saputo contraddirla, nonostante all’inizio abbia esitato parecchio ad acconsentire la sua proposta.
-Queen, dovresti indossare qualcosa di carino. Hai tantissime cose nel tuo armadio, eppure ti riduci sempre ad indossare la solita maglietta e il solito pantalone-. Commenta Cece, guardando gli abiti nel suo armadio.
Siamo a casa sua e si sta preparando. A breve inizierà il film e se non si sbriga, perderemo il primo spettacolo.
-Mi sento a mio agio con questi-. Indico i miei vestiti.
-Certo, ma non saprai mai come ti senti in altri vestiti se non ne provi altri, no?-.
-Be’, si ma…-.
-Niente ma. Prova questi-. Mi lancia un jeans e un top.
-Ma sono i tuoi-. Ribatto convinta.
-Queen, siamo migliori amiche. Non mi dispiacerebbe se li provassi. Vuoi che me ne vada? Ti imbarazza spogliarti davanti a me?-. Sorride.
-No, ma…okay, li provo soltanto-.
Sfilo la felpa che indosso e infilo il top. Tolgo i pantaloni e nel momento in cui sto indossando i suoi, Cece si volta verso di me e nota i lividi e le cicatrici che ho sulle mie gambe e sui miei glutei.
-Queen…-. Sussurra allibita. -..vi picchia ancora? Tuo padre continua a maltrattarvi?-.
Trattengo il respiro e cerco di non incontrare i suoi occhi.
Lei ha sempre saputo ciò che succedeva a casa mia quando mio padre era ubriaco o frustrato ma le avevo detto che non accadeva più e, a quanto pare, c’ha creduto.
-Perché non lo denunciate, cazzo!?-. Continua arrabbiata. -Non ha il diritto di farvi tutto...tutto questo!-.
-E’ mio padre, Cece. Non posso denunciarlo-.
-Che razza di padre farebbe una cosa del genere alla propria figlia? Immagino anche il corpo di tua madre! Ricordo ancora quando tua mamma aveva il naso rotto e uno zigomo spostato. Non dimentico le cose, sai-. Sospira. -Comunque sia, dovete porre fine a tutto ciò ed io farò qualsiasi cosa per aiutarvi, lo prometto-.
Passano alcuni secondi di silenzio alla fine dei quali, accenno un piccolo sorriso. -Grazie, ti voglio bene-.
Mi viene incontro e mi abbraccia. -Ti voglio bene anch’io, ma promettimi che mi permetterai di aiutarti-.
-Va bene, lo prometto-.
-Bene, adesso vestiti. Ci aspetta una bella serata e voglio vederti sorridere-.
 
Dopo aver indossato i suoi abiti, Cece mi ha letteralmente imposto di tenerli addosso per l’intera sera. Sinceramente a me non dispiace, dei begli abiti nuovi non fanno mai male ed io non faccio shopping da circa due anni, credo.
Il film incomincia alle 19:30 e noi arriviamo al cinema giusto un minuto prima. Ci sediamo alla penultima fila perché gli altri sono tutti occupati ma lo sanno tutti che i posti in fondo sono sempre i migliori.
Cece ha scelto questo film e, ovviamente, è d’amore.
E’ barboso, noioso e terribilmente…d’amore!
Odio i film d’amore, forse perché questo principio non mi è mai stato insegnato né dimostrato.
Verso le 21:00 il film termina e finalmente ci dirigiamo verso il McDonald.
Amo questo posto. Posso mangiare ciò che mi pare e tutti lì dentro sorridono e per qualche secondo mi sembra di essere una ragazza normale, con una famiglia e una vita normali.
Ci sediamo a tavola e mentre consumiamo il cibo, chiacchieriamo tra di noi.
-Dovremmo andare a fare shopping insieme qualche giorno-. Propone Cece. -Lo shopping fa sempre bene. E’ rigenerante-.
Sorrido. -Non penso che lo shopping possa risolvere i problemi-.
-Certo che no, ma riesce ad alleviarli. Dovresti provare-.
-Non faccio shopping da un bel po’ di tempo e sinceramente non so da dove cominciare o dove andare-.
-Non a caso sei mia amica ed io sono la regina dei negozi di tutta Stratford-.
-Oh, mi sento lusingata ad essere una tua amica. Sono fortunata-.
Ride. -Ovvio che lo s…-.
Cece si interrompe di sbotto e assume un’espressione strana, un misto tra preoccupazione e lo spavento.
-Cece che succede?-. Mi volto dove anche lei sta guardando, ma tutto ciò che noto sono dei ragazzi che mangiano in disparte e che ridono tra di loro.
Ritorno a guardarla. -Cece mi stai facendo preoccupare. Che succede?-.
-Dobbiamo andarcene-. Si alza in piedi. -Adesso-.
Racimola le sue cose e, afferrando il mio braccio, mi trascina verso l’uscita del locale.
-Mi spieghi che ti è preso?-. Domando sconvolta quando sembra che abbia ripreso a respirare regolarmente.
Si accende una sigaretta. -Ti spiegherò a casa, adesso andiamo in macchina…-.
-No, adesso-.
Sbuffa. -Queen, ti prego…-.
-Tu spiegami cosa succede ed io ti seguirò verso l’auto-.
Sospira. -D’accordo-.
Wow, non pensavo funzionasse.
-Quello è…Justin…Justin Bieber-. Dice sotto voce guardandosi attorno.
Aggrotto le sopracciglia. -E quindi? Sinceramente non so neanche chi sia-.
-Queen, lui è un tipo pericoloso. E’ stato lui a fare a botte con Scott un paio di settimane fa e mi ha anche minacciata-.
Scott è il ragazzo di Cece. In classe mi aveva parlato di una lite che c’era stata tra lui e un altro ragazzo ma non le avevo dato molta attenzione né importanza in quanto la mia vita sociale è sempre stata molto ridotta e ho sempre avuto problemi più gravi a cui pensare.
-Oh…-. Sussulto.
-Per qualunque cosa al mondo non devo e non devi avvicinarti a quel ragazzo. E’ violento e mi ha detto che se avessi parlato di quella lite a qualcuno o che l’avessi denunciato, mi avrebbe…uccisa-.
-Oh, andiamo. Non penso farebbe una cosa del genere!-.
-Be’ c’è gente che dice il contrario-.
Non dico nulla, la scruto attentamente e noto che è davvero spaventata. E’ strano perché lei non ha paura mai di nulla, si mostra sempre forte e combattiva.
-Ora vado a prendere l’auto. Tu aspettami qui. O vuoi venire?-. Domanda, frugando nella borsa per trovare le chiavi della macchina.
-No, resto qui. L’hai parcheggiata lontano, mi annoio a camminare-.
-Oh, grazie per l’aiuto-. dice in tono ironico.
-Non c’è di che-.
Si allontana indispettita e divertita verso il parcheggio dell’edificio ed io mi siedo sul marciapiede proprio fuori l’entrata del McDonald’s.
Fa molto freddo così mi richiudo su me stessa e strofino le mie mani sulle braccia per procurarmi più calore. Alito sulle mie mani e le chiudo in uno scatto quando sento la porta del locale aprirsi e poi chiudersi; dopodiché sento un vocio rumoroso di alcune persone.
Mi volto e scorgo circa cinque ragazzi vestiti apparentemente solo di nero e grigio che complottano tra di loro. Appena mi notano, smettono di parlare ed io mi volto velocemente verso la strada.
-Non ti mangio se mi guardi!-. Esclama uno di loro facendo ridere gli altri.
Che idioti.
-Oh, sei timida. Non ti mangio neanche se mi parli. Ho appena mangiato, non ho fame-.
-Che umorismo-. Sussurro tra me e me.
-Cosa? Hai detto qualcosa?-.
Si avvicina a me e posso vederlo finalmente in faccia. Potrei anche sbagliarmi, ma sembra quel tipo…quello che stava mangiando dentro con altri ragazzi di cui Cece ha paura…Justin, Justin Bieber.
-No-.
-Oh, bene. Pensavo il contrario-. Dice in tono intimidatorio, come se voglia minacciarmi o spaventarmi.
Parla solo lui e questo mi porta a pensare che ha una certa autorità sugli altri o almeno lo venerano come un dio.
-Che ci fai qui da sola? Sembri quasi che tu stia aspettando qualcuno-. Continua, sedendosi accanto a me sul marciapiede.
Mi stringo ancora di più al mio corpo e penso che lui noti il mio disagio in quanto ride lievemente.
-Non sono da sola. Sto aspettando la mia amica-.
-Che peccato. Ti avrei dato un passaggio se fossi stata sola-.
-Mi dispiace per te allora-.
-Woah-. Ride. -Sei anche divertente oltre ad essere timida-.
-Già, potrei stupirti ancora di più, ma non credo ci sarà l’occasione per farlo-.
Ride malizioso. -Che troia-.
-Come mi hai chiamata?-.
-Troia-. Risponde tranquillo.
Mi alzo in piedi di scatto e così fa anche lui. E’ molto più alto di me e anche più muscoloso e possente ma non mi spaventa più di quanto sia già stata spaventata in passato da mio padre. Non sa con chi ho a che fare ogni giorno, lui non è nulla in confronto.
-Non hai il diritto di chiamarmi in questo modo. Non mi conosci. Sei solo un povero idiota che va in giro credendosi Dio sceso in terra-.
Non appena termino di urlargli contro queste parole, sento un dolore alla guancia e alla mascella e mi rendo conto solo pochi istanti dopo che mi ha sferrato uno schiaffo.
-Nessuno può parlarmi in questo modo, tantomeno una puttana qualunque-. Sussurra a denti stretti avvicinandosi al mio viso.
Non reagisco, non dico nulla. Sono abituata alla violenza e a sentire dolore su ogni angolo del mio corpo e so che è meglio non reagire in queste situazioni.
-Ci vediamo in giro-. Alza due dita in segno di saluto e si avvia verso l’uscita del parcheggio seguito dalla sua combriccola.
Gli abusi psicologici e fisici che ho avuta da mio padre, mi hanno resa abbastanza paziente e forte da subire ogni cosa e uno schiaffo non cambierà la mia vita o il mio umore dato che per me è come se fosse la mia dieta quotidiana.
Mi accascio nuovamente sul marciapiede e passano circa altri cinque minuti quando finalmente Cece arriva con la sua Land Rover bianca.
Suona col clacson ed io salgo non dicendole nulla dell’accaduto.
-Scusa se ti ho fatto aspettare così tanto, c’era il parcheggiatore che non riusciva a trovare la mia ricevuta-. Spiega sorridendo, abbassando il finestrino dell’auto.
Scrollo le spalle, girandomi verso il mio finestrino.
-Tutto okay?-. Chiede confusa.
-Si, tutto okay. Ho solo sonno-.
-Uhm, va bene-.
Il tragitto fino a casa è molto silenzioso e solo la radio da segni di vita qui dentro.
Cece accosta proprio fuori casa mia. La saluto ringraziandola per poi scendere ed entrare in casa.
Quando vado in soggiorno vedo mio padre dormire sulla poltrona davanti alla tv con una fila di birre vuote sul tavolino accanto a lui.
Sospiro pensando che almeno per questa sera non riceverò schiaffi, pugni o calci.
Vado in camera di mia madre e anche lei dorme. Mi avvicino e le stampo un bacio e mi viene alla mente la nostra promessa.
Un giorno realizzeremo quel sogno.
 
Il mattino seguente arrivo a scuola qualche minuto dopo che la campanella sia suonata. Mi affretto a correre verso il mio armadietto per prendere i libri di storia e scienze. Mi scontro con una ragazza, mi scuso e poi continuo la mia corsa.
Quando raggiungo l’armadietto, prendo i libri di corsa e lo chiudo nuovamente, sbattendo l’anta.
Sto per voltarmi e andare verso l’aula di storia quando qualcuno si appoggia all’armadietto accanto al mio.
-Vai di fretta?-.
Scorgo due grandi occhi color miele, una bocca carnosa e un naso perfetto a pochi centimetri dal mio viso. E’ di nuovo lui, quel Justin Bieber.
Sembra quasi che Dio lo faccia apposta, che metta sulla mia strada le persone più cattive e violente al mondo ma so anche che Dio non commette errori e ci sarà un motivo per ciò.
-Si, ciao-. Lo scanso e inizio a camminare velocemente.
-Woah, aspetta!-. Afferra un braccio e fa in modo che mi giri verso di lui.
-Lasciami, mi fai male-.
-Ma se non sto neanche stringendo-.
Abbasso lo sguardo e non dico nulla. Non voglio che sappia che sotto quello strato di felpa c’è un livido procuratomi da mio padre. In effetti la sua presa sul mio braccio non è molto forte.
-Lasciami-. Ripeto.
-Okay, sta’ calma-.
Lascia il mio braccio e mi scruta attentamente. Io non riesco a sorreggere il suo sguardo. In realtà non riesco a guardare nessuno negli occhi. Sono troppo debole, troppo inferiore, troppo intimorita.
-Sei isterica-. Commenta divertito.
-Che cosa vuoi?-. Domando evitando la sua affermazione.
-Oh, vedo che lo schiaffo di ieri non è servito-.
-A cosa dovrebbe servire? Non mi piegherò ai tuoi ordini se è ciò che vuoi-.
-Nessuno mi parla con autorità, ragazza. Devi smetterla di farlo-.
-Tu non avvicinarti a me, vedi che poi non ti parlo più-.
Ride.
-Che c’è da ridere?-. Domando. -Credi che adesso ti debba chiedere anche scusa?-.
-Sarebbe l’ideale-.
Alzo un sopracciglio. -Spostati, devo andare in classe. Non ho tempo per te-.
-Cosa avevo detto del tono di voce con cui mi parli?-.
-Senti…-. Sbotto frustrata, chiudendo gli occhi per calmarmi. -…se non mi lasci in pace, perderò la lezione ed io ho già fin troppi problemi a cui dare importanza-.
-Vedo che proprio non capisci: non sei nessuno per parlarmi in questo modo-.
Non dico nulla, non voglio reagire, non ne ho la forza ormai.
Lo scanso e mi dirigo verso la porta dell’aula di storia.
-Ehi! Ti sto parlando!-.
Mi ricorre e mi sbatte contro il muro con una spinta alquanto violenta.
Gemo dal dolore e mi accascio a terra, tossendo.
-M-mi dispiace-. Dice e sembra che non sappia cosa fare. Forse è sorpreso dalla mia debolezza, ma lui non sa…non sa nulla.
Esita sul da farsi per un po’ per poi tirarmi su come se fossi una piuma.
Mi ricompongo e sento una lacrima fuoriuscire dal mio occhi sinistro. L’asciugo in fretta e sento il suo sguardo confuso e sorpreso sul mio viso.
-Che cosa vuoi?-. chiedo flebilmente trattenendo le lacrime.
-Io…volevo solo scusarmi per ieri. Ci vediamo in giro-.
Si volta e se ne va, lasciandomi sola, confusa e dolorante.
 
 
 
 
Ciao a tutte! Spero che con questo primo capitolo
vi abbia fatto un po’ incuriosire. La trama è un po’ insolita
ma spero che questo vi sproni a leggerla!
Continuo non appena questo capitolo riceve recensioni.
Se vi va, passate sul mio profilo!
Un bacio, notperfect :)

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Capitolo 2
*** 2 ***


 2.
 


Incontrare lo stesso ragazzo che il giorno prima mi ha tirato uno schiaffo, mi ha irritata parecchio. In realtà non dovrei reagire in questo modo in quanto convivo da  diciassette anni con un uomo che mi picchia da quand’ero una bambina.
Non pensavo frequentasse la mia stessa scuola ma l’ho intuito quando ho ricordato che ha fatto a botte con Scott qualche settimana fa.
La cosa più fastidiosa e tremendamente strana è che non riesco a smettere di pensarlo. Ho ancora l’immagine dei suoi occhi volubili stampata nella mia testa e non penso andrà via facilmente.
Mi infastidisce rendermi conto che quell’incontro mi ha influenzata più del dovuto e non riesco a darmene una ragione.
-Signorina White, può ripetermi ciò che ho appena spiegato?-.
La voce del signor Forrester mi invade le orecchie, portandomi alla realtà.
Alzo gli occhi su di lui e lo vedo mentre mi guarda esitante e abbastanza irritato.
Boccheggio alcuni istanti ma alla fine ci rinuncio e sospiro pesantemente guardando in basso.
-Vorrei più attenzione da parte sua-. Aggiunge. -Ha sempre avuto ottimi voti e non vorrei che quest’anno la cosa cambiasse in peggio. Non voglio vederla più distratta, ci siamo intesi?-.
Annuisco intimidita, guardando altrove.
Odio quando vengo rimproverata e tutti i presenti in classe si voltano verso di me come chissà cosa avessi fatto. A tutti capita di distrarsi e se anche avessi fatto qualcosa di male, non capirei comunque il motivo per cui mi fissano in quel modo.
In effetti sono abituata alle occhiate della gente, occhiate cattive ma anche di tenerezza o di pena. Molte persone sono a conoscenza del mio ‘segreto’ ma tutto ciò che sono in grado di fare è puntarmi un dito contro e parlare all’orecchio di qualcun altro. Anche se alcune volte ci sono persone che mi concedono il loro aiuto o che almeno si mostrano molto disponibili e gentili nei miei confronti.
La lezione di storia prosegue fino alla fine dell’ora e quando suona la campanella sento una fitta allo stomaco, come se già sapessi che succederà qualcosa di…di inconsueto.
-Queen! Aspettami!-.
Sento Cece chiamarmi da lontano e mentre mi raggiunge dalla fine del corridoio si sbraccia animatamente.
-Ehi, come stai?-. Domanda preoccupata.
-Sto bene, tu?-.
-Adesso meglio-.
-Che succede? Perché sei così agitata?-.
-Non riuscivo a trovarti. Mi sono spaventata-.
Sorrido. -Cece, non ho bisogno di una babysitter-.
-Non intendo dire questo, ma…-.
-Ma?-. La sprono a parlare, incuriosita.
-Ma nell’aula di filosofia c’è gente che dice di averti vista parlare con Bieber-.
Sussulto alle sue parole.
-E’ vero?-. Continua.
-Be’, si-.
-Queen!-. Mi rimprovera. -Cosa ti avevo detto? Devi stare alla larga da quel ragazzo-.
-Ma non sono stata io ad avvicinarlo-.
-Cosa vi siete detti?-.
-Nulla di importante, voleva sapere l’ora-.
-Queen, mi stai dicendo la verità?-.
-Perché dovrei mentirti?-.
-Uhm, okay. Ci vediamo dopo, ho lezione adesso-.
Sospiro non appena si volta per andare in classe, sollevata che Cece si sia bevuta questa storia. Mi ha detto di non avvicinarmi a quel ragazzo ed io ho addirittura ricevuto uno schiaffo da parte sua. Non voglio deluderla, non voglio che sappia quanto io sia debole.
Mi avvio verso l’aula di scienze e improvvisamente sento un vortice allo stomaco. Solo dopo mi rendo conto di aver incontrato gli occhi di Justin, Justin Bieber.
Apro la bocca come se voglia dire qualcosa ma poi la richiudo per proseguire e andare in classe.
Mi guarda impassibile e prosegue anche lui il suo cammino.
Mi siedo all’ultimo banco come mio solito e, aprendo i libri, non faccio altro che domandarmi perché ho avuto quella reazione.
 
-Cosa farai questo pomeriggio?-. Domanda impaziente Cece.
Ci stiamo dirigendo verso l’uscita della scuola, la campanella è suonata da appena due minuti.
-Devo studiare-.
-Intendo dopo aver studiato-.
-Non lo so. Ma studierò molto, domani ho la verifica di matematica-.
Rotea gli occhi, sbuffando. -Queen, non puoi passare l’intero pomeriggio sui libri. Anche gli studiosi affermano che non è sano e che deve esserci almeno una pausa mentre si studia-.
-Come vuoi-. Scrollo le spalle, non sapendo cosa dire.
Si volta verso di me e mi guarda preoccupata.
-C’è qualcosa che ti turba, ne sono sicura-. Constata sicura nel tono di voce.
-No, non è vero-. Si, Justin Bieber.
-Andiamo, so come sei fatta e c’è qualcosa che non va-.
-Sto bene, davvero. Sono stanca e so che devo studiare. Questo mi turba-.
-Bene, allora verso le sette passo a prenderti e andiamo a cena fuori. D’accordo? D’accordo. Ora devo scappare, a dopo-. Mi stampa un bacio e corre verso l’uscita del cancello del cortile della scuola.
Trattengo il respiro e rifletto su ciò che è appena accaduto: si è posta una domanda, si è risposta da sola ed è andata via. Per di più per le sette devo essere pronta per uscire.
Metto piede fuori scuola e improvvisamente vedo arrivare una macchina ad alta velocità. Mi scosto all’indietro e il piede destro si incrocia con quello sinistro. Sento un tonfo e un dolore alla schiena: sono appena caduta.
Gemo dal dolore per poi alzare gli occhi verso la persona che è scesa dall’auto.
Justin Bieber.
-Sta’ attenta  a dove metti i piedi. Se non ci vedi, indossa degli occhiali o delle lentine-. Esclama infastidito venendomi incontro.
-Mi disp…-.
-Chi cazzo di idiota non guarda la strada prima di attraversare?-.
-Mi dispiace-. Sussurro.
Non dice nulla. Mi scruta solamente e dopo qualche secondo mi porge una mano. L’afferro e sento tutta la forza dei suoi bicipiti quando mi tira su velocemente.
Sfioro il suo petto e mi sento avvampare. Forse sono diventata leggermente rossa.
-Ti sei fatta male?-. Domanda ma non sembra essere davvero preoccupato.
-No…cioè, un po’ si. Solo alla caviglia ma non è niente-.
-Fammi vedere-.
Si accovaccia verso di me e prima che io possa fermarlo, alza l’orlo del mio jeans.
Subito spingo via le sue mani e abbasso frettolosamente il jeans.
Non voglio che veda i miei lividi, forse inizierebbe a prendermi in giro o, chissà, a picchiarmi pensando che sono lo stupido giocattolino di tutti sul quale sfogarsi. In effetti è così che mi sento.
-Sono lividi quelli?-. Domanda confuso e allibito.
-N-no-.
-Si, sono lividi. Ma non possono essere stati causati da questa caduta-.
Scuoto solamente la testa e abbasso lo sguardo. Mi ricompongo e sospiro pesantemente. -Devo andare. Scusami ancora-.
Inizio a camminare verso la strada opposta a quella dove c’è la macchina di Justin a passo svelto, ma qualcosa mi blocca.
Qualcuno afferra il mio braccio con forza e quando mi giro vedo Justin a pochi millimetri da me.
Che cosa vuole da me? Non ne posso più e sono solo poche ore che conosco il suo nome.
-Ti accompagno io, non puoi camminare con la caviglia dolorante-. Dice e sembra quasi che stia combattendo contro il suo orgoglio.
So che lo sta dicendo solo per formalità.
-Non è necessario. Posso andare anche a piedi, ce la faccio-.
-No, non puoi camminare per molto. Inizierà a farti male-.
-Sono abituata-.
-Sei abituata a cosa?-.
-A…nulla. Ci vediamo in giro, ciao-.
Ritorno nuovamente a camminare ma questa volta nessuno mi afferra un braccio o mi offre un passaggio.
Cammino per circa tre isolati ma ad un certo punto non riesco più a tollerare quel dolore. Non bastavano i lividi e gli ematomi procuratomi da mio padre!
Mi siedo sul gradino di un negozio chiuso e massaggio lievemente il punto in cui provo dolore. Sento quasi l’impulso di piangere, di liberarmi da un peso, da sfogarmi ma improvvisamente sento il suono di un clacson. Alzo lo sguardo e vedo il fuoristrada di Justin sull’altro lato del marciapiede.
Scende dall’auto e si incammina verso di me.
-Cosa ti avevo detto?-. Sbotta infastidito venendomi incontro.
Sembra quasi che dica quelle parole perché qualcuno gli dice di farlo, come se sia un robot. O è solo la mia impressione perché non sono più abituata ad avere a che fare con persone con sentimenti veri e profondi.
-Io dovevo solo sedermi. Adesso sto bene-.
Sbuffa e prima che possa dire altro, poggia la mano destra sotto le mie gambe e quella sinistra dietro la mia schiena.
-Ce la faccio. Sul serio. Mettimi giù, ti prego-. Lo supplico.
Non dice nulla, mi trasporta fino alla sua macchina e mi poggia sul sedile anteriore, quello accanto all’autista.
-Non voglio rapirti, voglio solo aiutarti. Sta’ calma-.
-Non mi piace essere toccata-.
Rotea gli occhi e si siede poi accanto a me. Accende il motore e inizia a guidare.
-Dove abiti?-. Chiede spazientito.
-A cinque isolati da qui-.
-Oh, quindi tu avresti voluto fare otto isolati a piedi con la caviglia slogata?-.
-Non è slogata-.
-Ma ti fa male-.
-Certo, ma…-.
-Sto solo cercando di essere gentile, cosa c’è di strano?-. Mi interrompe brusco, passandosi una mano tra i capelli.
-Scusa, è solo che le persone non sono mai gentili con me-.
Serra la mascella e mantiene lo sguardo dritto davanti a se. Penso che non sappia cosa dire, ho detto qualcosa che l’ha confuso.
Passano alcuni minuti di silenzio e improvvisamente sento uno strano verso, come un ghigno.
Mi giro e vedo Justin ridere.
-P-perché stai ridendo?-. Domando flebilmente, intimidita.
-Perché ti sono venuto addosso con l’auto e hai detto che ti dispiaceva. E’ buffa come cosa. Non dovrebbe dispiacerti se sei stata tu a farti male-.
Lo guardo solamente non accennando a dire o a fare qualcosa. Osservo i suoi lineamenti e devo ammettere che ha un profilo fantastico che alla luce del sole è ancora più incantevole.
-E non fai altro che chiedermi scusa-. Aggiunge. -Sei strana-.
-Be’, mi dispiace-.
-L’hai rifatto!-. Esclama divertito.
Boccheggiò e non sapendo cosa dire, resto in silenzio.
Justin ride nuovamente e anche a me scappa un sorriso.
-E’ più forte di me-. Confermo imbarazzata.
-Non dovresti farlo. La gente potrebbe approfittarne-.
-Già, lo so-.
-Ma io non lo farò, puoi fidarti-. Ci pensa su. -Ti fidi di me, giusto?-.
Aggrotto le sopracciglia. -Be’, io…io n-non ti conosco neppure-.
-Giusto. Non penso ci sia stata una vera presentazione tra di noi-.
-Be’, no-.
-Io sono Justin, Justin Bieber-.
-Io sono Queen-.
-Ora puoi fidarti, conosci il mio nome-.
E’ strano di come sembra diverso da ieri sera e da questa mattina a scuola. Ieri mi ha tirato uno schiaffo e si padroneggiava come se fosse stato una divinità venerata da tutti. Ora sembra una persone socievole e allegra. Sicuramente apprezzo il secondo modo in cui si presenta.
-Non mi fido della gente. Di nessuno, neanche della mia famiglia-.
-E perché?-. Sembra incuriosito.
-Diciamo che…che sono una sostenitrice del non fidarsi. Non c’è nulla di male a non fidarsi della gente, no?-.
-Certo che no ma se non ti fidi non riuscirai mai ad aprirti ad altre persone-.
-Non è una tragedia se non mi fido. Io ho bisogno solo di poche persone e di piccole cose per stare bene ma non penso le abbia mai avute-.
-Cosa intendi?-.
-Voglio dire che ho letto troppi libri per essere felice qui. Ci sono piccole cose che mi renderebbero talmente felice da avere il sorriso tutto il tempo, ma la realtà non me ne offre alcuna. Preferirei non essere mai nata-.
Forse mi sto aprendo troppo e sto facendo proprio l’esatto opposto che fa una persona che generalmente non si fida degli altri. Sto andando contro i miei principi e i miei ideali e questo mi preoccupa, soprattutto perché lo sto facendo con questo ragazzo.
Sono un po’ imbarazzata a dire il vero.
-Questa è casa mia!-.
Indico una villetta bianca a due piani proprio di fronte a noi. -G-grazie. Ci vediamo domani…cioè…ci vediamo-.
-Ciao, Queen-.
Chiudo la portiera dell’auto e, zoppicando, raggiungo l’entrata della mia casa mentre sento i pneumatici dell’auto di Justin fare rumore, così capisco che se n’è andato.
Quando entro dentro casa, vedo la televisione accesa e la poltrona vuota, due birre vuote sul tavolino e dei rumori provenire dal piano di sopra.
Brutto segno.
Mi precipito in camera di mia madre dove assisto ad una scena alla quale ho già assistito parecchie volte e forse mi ci sto abituando.
-Lasciala stare-. Urlo.
Mia madre, sotto i piedi di mio padre, cerca di dirmi con gli occhi di andarmene ma non starò al piano di sotto a sentire le sue urla.
Naturalmente il mio è un gesto inutile. Ogni volta che pronuncio quelle parole, mi arriva circa il doppio degli schiaffi e dei pugni che ricevo solitamente.
So perfettamente che anche oggi sarà così.








Continuo a 3 recensioni:)
un bacio, notperfect!

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Capitolo 3
*** 3 ***


 3.

 

Vorrei solamente avere il diritto di essere e fare ciò che voglio e di piacere comunque alla gente. Vorrei che mio padre smettesse di sfogare i suoi problemi su me e mia madre. Vorrei fuggire da questo posto e andare in cima al mondo. Vorrei essere libera, sorridente, felice. Vorrei sentirmi davvero una regina. Vorrei sentirmi al sicuro quando sono a casa.
Vorrei, ma non posso.
La mia triste realtà è sempre la stessa e non penso cambierà mai perché ciò che ho subito in passato e ciò che continuo a subire mi ha resa debole, inferiore. Non sono in grado di prendere in mano la situazione e reagire in meglio. Non ne sono capace e continuo a darmi tutte le colpe.
Mio padre adesso dorme giù in soggiorno ed oggi ha avuto più forza e tempo per picchiarmi rispetto alle altre volte.
Mi volto verso mia madre. E’ stesa con la pancia che tocca il pavimento e continua a tenersi le mani sul capo, come se voglia proteggersi o almeno attutire i colpi. Mi faccio forza e, facendo leva con le mani e con le gambe, riesco ad alzarmi. La raggiungo e l’accarezzo.
-Non meritiamo tutto questo-. Sussurro al suo orecchio e sento le lacrime scorrere sulle mie guance. -Un giorno riusciremo a fuggire e a sottrarci da ciò che ci sta succedendo-.
-Io non ne sono capace-. Risponde flebilmente. -Non sono stata brava a proteggerti e a proteggerci. Sono un fallimento. Mi dispiace, Queen-.
-Tu non hai colpe, mamma. Tu sei la madre migliore che potessi mai avere, non incolparti di tutto-.
-E chi ha le colpe, Queen? Io. Io non ho saputo essere una brava madre e adesso guardaci. Guardati! Hai lividi su tutto il corpo e la causa sono io-.
-No, la causa è quell’uomo che è al piano di sotto. Non è colpa tua-.
Scuote la testa, asciugandosi delle lacrime.
Mi fa rabbia vederla in questo modo, non voglio che pensi queste cose.
-Riuscirò a salvarci entrambe, mamma. Lo prometto-.
Le lascio un bacio sui capelli e l’aiuto ad alzarsi.
So perfettamente che non manterrò questa promessa perché non ne ho le forze né i mezzi e so anche che in questo modo le darò false speranze ma è tutto ciò che riesco a dire in situazioni del genere. Le ripeto la stessa cosa da anni ma non porto mai a termine nulla.
La conduco nella mia stanza e faccio in modo che si stendi sul letto. Dopo ciò che ha appena subìto, l’unica cosa opportuna è che si riposi almeno fin quando quel mostro non si risvegli.
-Queen, devi smetterla di badare solo a me. Non trascurarti. Dovrei curarti io, lo so, ma sono un disastroso fallimento-. Dice scrutando attentamente i miei occhi.
Trattengo le lacrime e le stampo un ultimo bacio. -Non preoccuparti, adesso dormi-.
Annuisce accennando un mesto sorriso, dopodiché si gira verso il lato sinistro del letto e chiude gli occhi.
Una sensazione piacevole mi invade lo stomaco: adesso so che non prova dolore.
Chiudo la porta senza fare rumore e vado in bagno. Mi guardo allo specchio e tutto ciò che riesco a fare è una smorfia di disgusto.
Mi sciacquo il viso con dell’acqua fresca ed elimino qualunque segno possa testimoniare il mio pianto. Pettino i capelli e cambio la maglietta che mostra una piccola macchia di sangue proprio sullo stomaco.
C’è un piccolo taglio in quel punto del mio corpo e dopo averlo disinfettato, indosso una nuova maglietta pulita.
Racimolo i libri di matematica e li pongo in una borsa. La metto a tracollo ed esco di casa senza fare rumore per non svegliare mio padre.
L’unica cosa sulla quale posso contare, è lo studio.
So perfettamente che se non studiassi, non riuscirei a diplomarmi né a laurearmi e sarei costretta a rimanere a Stratford senza un lavoro né un solido futuro.
Metto piede fuori il cancello di casa e mentre lo sto nuovamente chiudendo, sento una macchina parcheggiare proprio accanto al marciapiede parallelo a quello di casa mia.
Continuo a fare ciò che sto facendo e quando mi giro vedo un ragazzo familiare venirmi incontro.
Justin Bieber.
Di nuovo.
Lo guardo confusa mentre attraversa la strada per raggiungermi.
-Queen, stai uscendo?-. Mi domanda guardandosi attorno.
-Ehm, si-.
-In macchina ho trovato questo braccialetto, penso sia tuo-.
Mi porge un braccialetto in oro con la mia iniziale sopra.
-S-si, è mio. Grazie-.
Lo afferro e lo metto in borsa insieme ai libri.
Non mi sono neanche accorta di non averlo più al braccio.
Inizio poi  a camminare verso il parco frettolosamente, evitandolo.
Non voglio che se mio padre si svegli, mi veda qui fuori mentre parlo con un ragazzo. Mi picchierebbe spudoratamente come un animale.
-Perché vai sempre di fretta?-. Chiede infastidito.
-Devo studiare adesso-.
-Dove studi?-. Domanda confuso.
-Al parco. Mi sento al sicu…mi concentro di più-. Mi correggo velocemente. -Ci vediamo-.
E’ già la terza volta che dico a Justin lo stesso ‘ci vediamo’ in tutto il giorno. Sta diventando monotono.
Fa un’espressione confusa e stranita per poi seguirmi e afferrarmi un braccio.
-Perché cazzo volti le spalle ogni volta che ti parlo?-. Urla brusco e scontroso.
-Ti prego, lasciami-.
Mi sento quasi di svenire e la presa sul mio braccio mi ricorda quella di mio padre e così, improvvisamente, sento pizzicarmi gli occhi e vado in panico. Sento delle lacrime bagnare il mio viso e la stretta di Justin allentarsi.
Sospiro pesantemente, sollevata.
-Perché piangi, adesso? Non ti ho fatto nulla-.
-Mi dispiace, io…non mi piace quando qualcuno mi tocca e…e adesso devo andare-.
Riesco a sottrarre il mio braccio dalla sua presa e mi asciugo il viso. Mi ricompongo e noto la confusione nei suoi occhi.
-Scusa-. Sussurro prima di voltarmi e proseguire la mia camminata.
-Lascia che almeno ti dia un passaggio. Hai ancora la caviglia che ti fa male!-. Esclama continuando a darmi corda.
Mi giro verso di lui, scrollando le spalle.
-Posso farcela. Il parco non è lontano da qui-.
-Dannazione, accetta per una volta ciò che ti dico. Sei stupida o altro? Se ti do un passaggio va a tuo vantaggio non al mio!-. Sbotta infastidito.
Lo guardo per alcuni secondi. Scruto ogni parte del suo viso e, per l’ennesima volta, posso confermare che è bellissimo.
-D’accordo-. Dico poi in un sussurro avvicinandomi a lui.
Sembra essere stupito dal mio cambio d’idee.
-Bene, sali in macchina-.
Faccio ciò che mi ordina di fare e quando mette in moto l’auto, mi sento alquanto a disagio.
Accende la radio e apre un finestrino, accendendosi una sigaretta.
-Se ti da fastidio il fumo, apri anche il tuo finestrino-. Dice in tono scontroso.
-Okay-.
Il silenzio domina ma improvvisamente il mio stomaco mette dei rumori strani, dei rigurgiti. Mi maledico mentalmente per ciò che sta accadendo e guardandomi allo specchietto dell’auto noto che le mie guance si sono tinte leggermente di rosso.
-Non hai pranzato?-. Domanda e sembra essere un po’ divertito.
-In realtà no-.
Non ho avuto tempo per pranzare. Non pranzo quasi mai ultimamente, né ceno. Di compenso però ricevo schiaffi e pugni quotidiani.
-Devi mangiare o ti sentirai male-.
-Per ora sto bene, non ho bisogno di cibo-.
-Potresti avere un calo di zuccheri o cose del genere. Mi fermo da Crusty’s e ti prendo una fetta di pizza-.
Nonostante sia stupita del suo comportamento preoccupato e del fatto che abbia pensato tutto lui, non lo dimostro.
-Non c’è n’è bisogno. Sul serio. Sto bene così. Mangerò qualcosa a casa e non ho neanche i soldi con me quindi non mi sembra il cas…-.
-Sta’ zitta-. Sbotta infastidito, parcheggiando l’auto fuori ad un edificio. -O non parli mai, o parli sempre. Sei strana-.
Sussulto alle sue parole e abbasso lo sguardo.
-Scusa, mi dispiace-.
-Allora? Come preferisci la pizza?-. Domanda, ignorando le mie parole.
-Come preferisci tu. Mi piacciono tutti i gusti-.
-Bene, vengo subito-.
Scende dall’auto e si dirige verso l’entrata del locale.
Seguo i suoi movimenti con gli occhi ed è tremendamente attraente nei modi di camminare o di gesticolare.
Pensandoci, non so nulla di lui. Conosco il suo nome e i pettegolezzi di cui mi ha parlato Cece ma, a dirla tutta, è gentile con me e non è violento o cattivo. Certo, mi risponde in modo brusco molto spesso -sempre- ma tutto sommato si è comportato bene con me. Anzi, si è mostrato molto disponibile nei miei confronti.
Dopo dieci minuti circa ritorna verso l’auto con due tranci di pizza e due lattine di coca-cola tra le mani. Scendo dalla macchina e gli vado incontro per aiutarlo o rischia di far cadere tutto.
-Grazie-. Dico quando afferro il mio trancio di pizza e la mia coca-cola.
-Spero ti piaccia-.
-Mangerei di tutto in questo momento, mi piace-.
-Bene-.
Si siede sul marciapiede accanto all’auto e inizia a mangiare. Io lo imito impacciata.
Si volta verso di me dando un morso alla sua pizza.
-Non ti ho ancora chiesto l’età. Potresti essere una quattordicenne che ha l’aspetto di una più grande-.
Trattengo un sorriso. -Ne ho diciassette, tu?-.
-Diciotto-.
Annuisco prendendo un sorso dalla cannuccia della lattina.
-Posso farti una domanda?-. Chiedo in un sussurro abbastanza imbarazzata.
-Spara-.
-Perché in giro ti temono così tanto? La gente ha paura di te e dice cose…cose cattive su di te-.
Serra la mascella e indurisce i lineamenti. Resta in questa posizione per circa un minuto ed io mi offendo mentalmente per aver osato così tanto a fargli una domanda del genere. Se è davvero violento come dicono, come risposta mi sferrerà un pugno.
Improvvisamente si gira verso di me e sembra essersi calmato. Io, come al solito, non riesco a sorreggere il suo sguardo così lo abbasso sulle mie scarpe.
-Risponderò alla tua domanda se tu risponderai alla mia-.
Esito qualche secondo prima di annuire. -D’accordo-.
-Perché hai quei lividi sulle gambe?-.
Trattengo il respiro e sento venirmi meno. E’ come se un vortice creatosi nel mio corpo si spandi nel resto del mio corpo portandomi ad avere un calo delle funzioni immunitarie.
-Sono caduta mentre giocavo col mio cane-. Mento.
-Quando si cade, ci si procura dei graffi o delle sbucciature. Non dei lividi-.
-E’ stato un impatto strano con il terreno-.
-Pensi che sia stupido?-. Chiede irritato. -Non parlami come se io non capissi. Non sono così idiota da non capire che stai mentendo-.
Sembra essersi arrabbiato.
Si alza in piedi e butta per l’aria il fazzoletto, che conteneva la pizza, ormai vuoto.
-Ti ho già detto che non sono stupido e che non devi parlarmi in un certo modo. Te l’ho anche dimostrato-. Continua e penso che con queste parole illuda allo schiaffo.
-Scusami, io…-.
-E non scusarti sempre! Sei fastidiosa-. Sospira. -Sali in macchina, ti accompagno in quel cazzo di parco-.
Si avvicina e sembra quasi che mi stia per dare un altro schiaffo.
Come sono solita a fare quando mio padre mi si avvicina, così faccio adesso: copro il mio viso e la mia testa con entrambe le mie mani.
-Non farmi male-. Supplico piagnucolando.
Non sento niente. Né un rumore, né dolore.
Lentamente alzo la testa e vedo Justin che mi guarda confuso e stranito.
Fa una strana smorfia col viso. -Ti stavo porgendo una mano per aiutarti ad alzare. Ti fa male la caviglia-. Spiega. -Non volevo farti del male-.
Non dico nulla. Mi alzo in piedi e mi ricompongo.
Sale in macchina a passo lento ed io lo imito.
Mi sento avvampare, sono stata una stupida a pensare una cosa del genere. Mi stava solo porgendo la mano ma i miei meccanismi di difesa da mio padre sono diventati parte del mio comportamento quotidiano e non riesco neanche più a controllarli né a capire quando sono in pericolo o meno.
Accende il motore dell’auto ed apre un finestrino.
-Non ti avrei mai fatto del male-. Confessa improvvisamente.
Mantengo lo sguardo basso sulle mie mani mentre le unisco e le slego tra di loro ripetutamente.
-Se ieri ti ho dato uno schiaffo era perché ero ubriaco. Non l’avrei fatto se fossi stato sobrio-. Aggiunge.
-Perché mi stai dicendo questo?-.
-Perché non voglio che pensi che possa procurarti male e dolore, non devi avr paura. Ero fuori di me ieri sera e l’ultima cosa che avrei voluto fare era tirarti uno schiaffo. Ti ho già chiesto scusa-.
E’ la prima volta che qualcuno mi dice una cosa del genere. Nessuno mi ha mai detto che posso non avere paura, nessuno me l’ha mai assicurato.
Mi giro verso il finestrino senza dire nulla e il viaggio in auto prosegue silenzioso.
Dopo qualche minuto l’auto accosta davanti all’entrata del parco e Justin si volta verso di me.
-C’è qualcuno che devi aspettare?-.
-No. Devo studiare, te l’ho detto-.
-E’ un posto strano in cui studiare-. Constata.
-E’ un luogo che mi permette di studiare meglio-. Meglio di casa mia.
-Come vuoi-. Scrolla le spalle in modo menefreghista.
-Grazie per…per tutto. Ciao-.
Scendo dall’auto e chiudo lo sportello.
Faccio qualche passo, poi mi sento chiamare.
Mi giro e attendo curiosa che Justin dica qualcosa.
-Stasera hai da fare?-. Chiede.
Sento qualcosa nel mio stomaco, qualcosa che non ho mai sentito prima d’ora: farfalle.
Svolazzano come fossero impazzite.
-In realtà si…-.
Cece mi ha detto che sarebbe passata a casa mia verso le sette. Non posso darle buca.
-Oh, okay. Allora ci vediamo domani a scuola-.
Sorrido e alzo una mano in segno di saluto. Lui fa altrettanto.
Chiude il finestrino dal quale mi ha parlato e, dopo aver fatto la retromarcia, lo vedo scomparire in lontananza.
Forse mi sbaglio, ma mi sento abbastanza felice.
 
 
 
 




Spero che con questo capitolo non abbia
deluso le vostre aspettative!
Grazie a chi ha
recensito,continuo dopo 5 recensioni!
Un bacio notperfect :)

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4.

 

Mi incammino frettolosamente verso scuola con la speranza di non incontrare nessuno ad intralciare il mio cammino.
La serata di ieri con Cece è stata abbastanza breve. Effettivamente ieri sera l'ho letteralmente liquidata dicendole che avrei dovuto riposarmi molto avendo delle ore di sonno accumulato per aver studiato tanto in quei giorni.
In realtà non mi serve dormire. Non dormo per tre ore di fila da un pezzo.
La notte ho maggiormente paura, sto sempre in guardia e allerta per evitare che mio padre mi picchi svegliandomi dal sonno. Se mi fa male, almeno sono già sveglia e consapevole di ciò che accade.
Mettendo piede nel cortile della scuola, mi sento subito più al sicuro. So che qui mio padre non potrebbe mai farmi del male, almeno spero.
Mentre entro nell'atrio, mi scontro con qualcuno.
-White, da quanto tempo!-. Esclama un Marcus Parker abbastanza divertito.
-Ciao-. Sussurro sotto voce senza neanche avere l'intento di farmi sentire.
Mi squadra da capo a piede con aria disgustata e compiaciuta al tempo stesso per poi sorpassarmi e proseguire dritto.
Sospiro, sollevata che non sia avvenuto altro.
Marcus Parker è il ragazzo più insensibile che abbia mai conosciuto. Certo, ho conosciuto pochissime persone avendo una vita di merda, ma sono sicura che se incontrassi nuova gente, nessuno sarebbe mai insensibile come lui.
Qualche mese fa è venuto a conoscenza di ciò che mio padre fa a me e mia madre e proprio nello stesso periodo lo sorpresi a spacciare droga in un quartiere vicino al mio. Da quel giorno iniziò a minacciarmi, dicendo che se avessi detto qualcosa di ciò che avevo visto, non solo avrebbe detto all'intera scuola ciò che succedeva a casa mia ogni santo giorno, ma avrebbe iniziato a fare proprio le stesse cose che faceva e fa mio padre.
Un mese fa circa ha smesso di torturarmi e perseguitarmi ed è da un po' che non lo vedevo.
Ritorno alla realtà e vado al mio armadietto. Lo apro e prendo i libri di filosofia per poi avviarmi verso l'ultima classe sulla sinistra.
Mi accorgo che sulla mia destra mentre cammino c'è un ragazzo a me familiare circondato da tre cheerleaders che lo mangiano con gli occhi.
Lo guardo sottecchi e subito sento lo sguardo di Justin su di me mentre gli passo davanti.
Stupida come sono, mi volto completamente ma fingo di essere distratta a guardare qualcos'altro. Nel momento in cui sto per voltarmi nuovamente, i nostri occhi si incrociano.
Continua a parlare tenendo lo sguardo fisso nel mio ma la mia incapacità mi porta a spezzare quel legame e proseguire verso l'aula di filosofia.
Sono un idiota, non l'ho neanche salutato dopo ciò che ha fatto ieri per me.
Sta di fatto però che neanche lui si è apprestato a farlo.

-Queen!-.
Mi sento chiamare da qualcuno che è alle mie spalle e dalla voce stridula e dai tacchi che picchiano sul pavimento, capisco che è Cece.
-Cece-. Mi fermo, sorridendo nella sua direzione.
-Perchè non sei mai dove sono io? Devo sempre fare giri immensi per trovarti!-.
-Non frequentiamo gli stessi corsi, è logico che non siamo mai nello stesso posto-.
-Avrei dovuto scegliere spagnolo al posto di tedesco. Così saremmo in classe insieme-.
Mi limito ad annuire e a scrollare le spalle.
Certe volte la voce di Cece mi manda in tilt. È così acuta che si confonde con il rumore di un piccolo trapano per viti ed è irritante. Ma con il tempo ho imparato a sopportare qualunque cosa e tutto quello che posso fare è starmene in silenzio e ascoltarla.
-A che ora esci oggi?-. Domanda distrattamente mentre si guarda un'unghia.
-Mh, alle due e mezzo-.
-Oh, peccato. Io esco da quest'inferno alle tre e mezzo-.
Avendo corsi diversi, anche gli orari sono diversi e solo l'ora di pranzo è il momento in cui possiamo chiacchierare e stare insieme.
Apro la porta della mensa e mi dirigo verso il bancone.
-Queen, ci vediamo dopo-. Mi urla Cece fermandomi per un braccio.
Il vocio degli studenti è così alto che quasi non riesco a sentire le sue urla.
-Perchè? Non resti a mangiare?-.
-L'ora successiva ho il test di scienze e vorrei ripetere prima che suoni la campanella. Ho mangiato molto a colazione e non ho una gran fame-.
-Vuoi che ti faccia compagnia?-.
Sorride. -No, non preoccuparti-.
-D'accordo. Ci sentiamo dopo-.
Mi soffia un bacio e si gira nuovamente verso la direzione da cui siamo venute.
Prendo un vassoio e afferro qualunque cosa sia commestibile. Non mi interessa quanti carboidrati ha una fetta di pane o otto grammi di pasta. Io voglio mangiare e basta.
Dopo aver riempito ingentemente il mio vassoio, mi guardo attorno per controllare se c'è un tavolo vuoto.
In lontananza riesco a scorgerne uno e così mi avvio verso di esso.
-Queen!-. Urla qualcuno alle mie spalle facendomi sussultare.
Per poco non faccio cadere il vassoio a terra.
Mi volto curiosa e incontro immediatamente due occhi color miele che mi guardano divertiti.
-Oh, ciao-.
Saluto il ragazzo che mi è di fronte impacciatamente e in modo imbarazzato.
È Justin ed è...carino oggi.
Indossa una maglietta bianca a mezze maniche che gli fascia il torace e i pettorali. Un jeans chiaro, un paio di Vans nere e un giubino di pelle del medesimo colore. Noto poi che ha una collana in oro che scende sul suo petto e termina con una croce.
-Come stai?-. Domanda combattendo contro il suo orgoglio.
-Bene, grazie-.
È la prima volta che qualcuno mi porge una domanda del genere. Chissà se lui è anche il primo ad importarsene davvero.
-Sei sola?-.
-Fino a due minuti fa no, ora si. Stavo per andare a sed...-.
-Bene. Seguimi-.
Sbaglio o ha la mania di interrompermi ogni qualvolta decida di nascondere il mio imbarazzo e le mie debolezze?
Mi scansa e inizia a camminare avanti, io lo seguo.
Si ferma ad un tavolo appartato vicino alla finestra dove vi sono seduti due ragazzi.
-Alzatevi-.
Ordina Justin in modo scontroso.
I due, senza esitare, si alzano frettolosamente e si allontano sottomessi.
Sgrano gli occhi per lo stupore di ciò che è appena accaduto senza lasciare che lui mi veda.
Si accomoda su di una sedia ed io faccio altrettanto, intimidita.
-Hai studiato ieri al parco?-. Chiede grattandosi una guancia per poi appoggiare i gomiti sul tavolo.
-Si-.
-Cosa dovevi studiare?-.
-Matematica. Ho avuto una verifica alla prima ora-.
-Com'è andata?-.
-Credo...bene-. Rispondo insicura.
Com'è possibile che si interessi così tanto a me? Nessuno l'ha mai fatto così sfacciatamente fino a questo momento.
Annuisce guardandosi attorno.
Ritorna nuovamente a guardarmi e fa una strana smorfia.
-Non mangi?-. Chiede indicando il mio vassoio stracolmo.
In effetti mi è passata la fame, ma farò uno sforzo.
-Ehm, si-.
Afferro la forchetta e inizio a mangiare della pasta. Lui fa altrettanto.
È una situazione abbastanza imbarazzante per me e tremendamente strana.
-Allora ieri sera cosa avevi da fare?-. Chiede improvvisamente riportandomi alla realtà.
-Cece mi ha invitata a cena fuori-.
-Chi è Cece?-.
-Una mia amica-. L'unica.
-Frequenta questa scuola?-.
-Si, Cece Bloom-.
Tossisco non appena mi salta alla mente che Justin ha fatto a botte con Scott e ha minacciato Cece. Avrei dovuto stare zitta. Sono una stupida.
Posa la forchetta e afferra il suo bicchiere d'acqua. Fa un sorso e poi lo risposa.
-Cece Bloom?-. Ripete incuriosito.
-Ehm, si-. Rispondo insicura.
-Penso di sapere chi è-.
-Oh...-.
-...Diciamo che non ho avuto un buon incontro con lei. Tu sei la sua migliore amica, a quanto vedo. Dovresti sapere cos'è successo-.
Faccio cadere lo sguardo su altri oggetti e altre persone per non incontrare i suoi occhi. Non riesco a mantenere fisso il mio sguardo nel suo, sono troppo insicura di me stessa e in particolare Justin mi mette a disagio.
-Sai cos'è successo, no?-. Domanda esitante in modo distratto.
-In realtà no. Cos'è successo?-.
A quanto ho capito, se Cece avesse detto qualcosa a qualcuno Justin le avrebbe fatto del male. Non voglio che a causa mia succeda qualcosa a Cece. Lei è la mia migliore amica e non riuscirei mai a sopportare una tale colpa.
Alza le sopracciglia, sorpreso. -Oh, quindi la ragazza ha mantenuto i patti-. Ride sghembo. -Non pensavo fosse una di parola-.
-Cosa dovrei sapere?-.
-Niente, piccola. Niente che ti riguardi-.
Annuisco flebilmente, non facendo notare lo stupore in seguito al soprannome con cui mi ha chiamata.
Nessuno mi ha mai chiamata in questo modo. Nessuno oltre Justin.
È strano anche che, nel momento in cui ha pronunciato quella parola, ho sentito un vortice di piacere e beatitudine allo stomaco.
-Sai una cosa...-. Esclama alzando la testa dal suo piatto posando nuovamente la forchetta alla sua destra. -...ho notato che sei una ragazza molto tranquilla. È strano che tu sia amica di quella Cece. Ed è strano anche che tu sia di questa città-. Ride.
Non capisco a cosa vuole arrivare ma sinceramente non mi interessa. Vorrei solo che la Campanella suoni e che abbia la scusa di dover andare in classe per non stare più seduta difronte a lui.
-Oggi sei di poche parole. Come mai?-. Chiede schietto.
-Sono sempre di poche parole. Non mi piace parlare-.
-Preferisci i fatti?-. Domanda malizioso.
Aggrotto le sopracciglia, facendolo ridere di gusto.
-Non intendevo...insomma, hai capito. Lascia perdere-. Dice alzandosi dalla sedia con il vassoio vuoto in mano.
Lo seguo e arriviamo al cestino dove Justin svuota il suo vassoio. Lo imito per poi girarmi verso di lui proprio nel momento in cui suona la Campanella.
Oh, finalmente.
-Devo andare in classe-. Annuncio prontamente con aria sottomessa.
-Che lezione hai?-.
-Biologia-.
-Sono una frana in biologia-. Commenta sorridendo. -Hai mai saltato una lezione?-.
-N-no-.
-Davvero?-.
-Si, non è un crimine non aver mai saltato una lezione-.
-Si che lo è! Devi farlo...adesso-.
Sgrano gli occhi e inizio a preoccuparmi.
-Uhm, no. Meglio che vada-.
Mi afferra un braccio, guardandomi speranzoso.
-Solo un'ora-. Sussurra avvicinandosi al mio orecchio.
Sento le mie guance tingersi leggermente di rosso e le gambe tremare.
Ritraggo la mia mano dalla sua presa, leggermente infastidita.Non mi piace essere toccata, penso che il concetto non gli sia chiaro.
-Non voglio...non voglio farlo-. Dico insicura.
-Di cos'hai paura?-.
-Di nulla, credo. Ma non voglio farlo-.
Esita qualche minuto prima di scrollare le spalle e fare una strana espressione menefreghista.
-D'accordo, come vuoi-.
Solo questo? Pensavo che insistesse molto di più.
Meglio così.
-D'accordo. Scusami. Ci ved...-.
-Perchè ti scusi in continuazione?-. Mi interrompe stranito. -Non c'è nulla per cui tu debba scusarti, eppure lo fai sempre-.
-Mi hai già posto questa domanda. Semplicemente mi viene spontaneo farlo. Scusa se...-. Mi blocco, capendo che l'ho appena rifatto.
Lo vedo ridacchiare mentre inclina la testa di qualche grado e mi osserva insistentemente.
Sospiro, dandomi coraggio per affrontare una tale difficile situazione.
Il suo sguardo mi mette in soggezione e la sua presenza mi mette ansia. Un mix che io non so reggere molto.
-Devo andare in classe adesso. Ci vediamo in giro...se vuoi-. Dico incerta e insicura prima di voltarmi e camminare verso l'uscita della mensa.
Perché sono così cretina?
Esco dalla mensa e mi avvio a passo lento verso l'aula di biologia. Sinceramente non mi va proprio di fare lezione, soprattutto dopo ciò che è appena successo.
Solo incontrando Justin, mi si è sviluppata un'ansia assurda e parlare con lui faccia a faccia ha peggiorato la situazione.
Improvvisamente sento la strana voglia di voler tornare indietro e scoprire cosa Justin stia facendo ancora in mensa. Non è ancora uscito di li e voltandomi più volte indietro non lo vedo.
Freno i miei passi e faccio retro marcia.
Mi avvicino nuovamente alla porta della mensa e insicura entro nuovamente in quell'immensa sala da pranzo.
Mi guardo intorno ma non vedo nessuno. Non c'è nessuna traccia di Justin. Eppure non può essere da nessun'altra parte.
Faccio un giro su me stessa ma è inutile.
-Sapevo che saresti venuta-.
Dice una voce maschile alle mie spalle che si propaga per l'intera sala, rimbombando.
Mi volto spaesata e impaurita, scovando la figura di Justin seduto su di un tavolo con i piedi sulla sedia.
In mano ha una sigaretta che si appresta subito ad accendere.
-Mi hai spaventata-. Constato intimidita abbassando lo sguardo.
Da dove è spuntato fuori?
-Ero sicuro che saresti ritornata, così ti ho aspettata-.
Sento balzare il mio stomaco, provocando grandi cerchi d'aria all'interno della mia pancia. Penso sia l'ansia e la paura. O la vergogna.
-Come mai ne eri sicuro?-. Azzardo.
-Avevo questa sensazione. E tu come mai sei venuta di nuovo?-.
Come se non lo sapesse.
-In effetti non ho tanta voglia di ascoltare il signor Thompson che parla per un'ora delle proteine e dei carboidrati. Magari, potrei accettare l'invito-.
Ingoio la saliva pesantemente, stupita dal mio stesso comportamento.
Da quando sono diventata così sfacciata?
Aspira la sigaretta, per poi creare una nuvola di fumo grigia che si disperde nell'aria poco dopo.
-È vietato fumare qui-. Lo informo con una voce flebile e intimorita.
Forse non avrei dovuto dirgli una cosa del genere, da quanto ho capito non gli piace prendere ordine anche se il mio è in forma indiretta.
Mi guarda attentamente, mantenendo lo sguardo dritto nel mio. È serio, non allude a malizia, a divertimento...a nulla. Sembra impassibile e credo forse di averlo fatto infuriare.
-Ti do l'impressione di una persona che da importanza alle regole?-. Chiede poco dopo calmo e pacato, continuando a fumare.
Non so cosa dire, così abbasso lo sguardo sulle mie scarpe rimanendo in silenzio.
Dopo qualche secondo Justin si alza e mi raggiunge a passo svelto.
-Ti ho fatto una domanda-. Sbotta infuriato, scuotendomi le spalle.
-Lasciami, ti prego-.
-Perchè cazzo dovrei lasciarti? Perché me l'hai chiesto? Anch'io ti ho fatto una domanda. Dovresti rispondermi-.
Respiro affannosamente.
Non mi piace essere toccata in questo modo, lui lo sa. Eppure non se me frega minimamente.
-Ti prego lasciami-. Lo supplico nuovamente questa volta alzando di più il tono di voce.
-O cosa? Piangerai?-.
Prima che dica qualcos'altro, una lacrima scende sul mio viso.
Ecco: detto, fatto.
Non appena vede che il mio viso inizia a rigarsi, fa uno sguardo confuso e perso, come se non sappia cosa stia realmente accadendo e penso che sia anche abbastanza sorpreso.
Lascia la presa sul mio braccio e mi scruta ancora mentre mi massaggio il punto che mi fa male mantenendo lo sguardo basso.
Asciugo una lacrima per poi alzare lo sguardo su di lui. Non riesco a sorreggerlo, come sempre, così lo riabbasso.
-Io...me ne vado-. Annuncio debolmente, voltando le spalle e camminando verso l'uscita della mensa...di nuovo.
Mi sembra che da quando conosco Justin, le cose si ripetano più volte nell'arco di una giornata e questo inizia a spaventarmi.
-Queen...-. Articola a mezza voce. -Mi dispiace-. Continua. -Torna qui, non volevo farti piangere-.
Esito qualche istante prima di dare segni di vita.
Mi giro lentamente verso di lui e noto con grande sorpresa che mi ha già raggiunto. Mi sfiora una mano, forse con l'intenzione di afferrarla ma poi qualcosa lo blocca e non esegue il suo intento. Penso sia consapevole che non voglio che qualcuno mi tocchi.
-Io...io...mi dispiace, sono un idiota-. Sussurro. -Scoppio sempre a piangere ma non mi piace essere toccata, mi manda in crisi-.
Sbaglio, o ho appena fatto una confessione a Justin?
Rotea gli occhi. -Queen, non devi scusarti sempre-. Mi rimprovera. -Non è colpa tua se reagisci in questo modo-.
Annuisco flebilmente, stupita che d'un tratto sia diventato così comprensivo e premuroso.
-Andiamo-. Dice poi, spingendomi delicatamente verso l'uscita, tenendo le mani sulla mia vita.
Questo contatto fa in modo che arrossisca e inizio a sentirmi a disagio. Ma questa volta è diverso.
Mi sento a disagio non perché ho paura che mi faccia del male come mio padre, ma perché mi sento in imbarazzo ad essere divisa da lui da una distanza così ridotta.
-Dove andiamo?-. Domando imbarazzata non voltandomi verso di lui.
-Regola numero uno: non fare domande-.
Regole? Ci sono delle regole da rispettare nei confronti di cosa?
Sono debole e mi sento sempre inferiore ma questo ragazzo mi sta leggermente infastidendo.










Fatemi sapere cosa ne pensate, se la storia vi piace o meno.
Accetto qualsiasi tipo di critica, le critiche sono costruttive!
Comunque continuo dopo 5 recensioni..
Un bacio, notperfect :) xx

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Capitolo 5
*** 5 ***


5.


Non so dove siamo diretti ma inizio a pensare che sia un posto abbastanza lontano da scuola perché siamo seduti sui comodi sedili in pelle della sua auto.
Qualche secondo fa ha aperto il finestrino, accendendo una sigaretta. La seconda nell'arco di mezz'ora.
Mi giro verso di lui e istintivamente inizio a guardarlo. Copro con lo sguardo ogni centimetro del suo viso e quando si gira verso di me, sorridendo, capisco che se n'è accorto.
-Mi stai guardando?-. Domanda divertito sfoggiando la sua dentatura per intero.
-Cosa? No-. Dico frettolosamente, girando la testa e diventando tremendamente rossa.
-Non c'è nessun problema se mi stai guardando. Non ti cavo gli occhi per questo-.
-Io...non ti...cioè...stavo solo riflettendo-.
-Su cosa?-.
-Be', pensavo che forse non dovresti fumare così tanto-.
Strizzo gli occhi, sperando che non mi riempia di urla e offese.
-Mi rilassa-. Spiega calmo.
-Ma dovresti rispettare dei limiti-. Scrollo le spalle. -Naturalmente è una mia opinione-. Mi affretto ad aggiungere.
-D'accordo-.
Afferra la sigaretta e la getta dal finestrino.
Non pensavo lo facesse, soprattuto perché gliel'ho detto io.
Seguono alcuni minuti di silenzio ma devo dire che non mi sento in imbarazzo o quant'altro. Non abbiamo nulla da dirci in fondo, anche se non riesco a capire perché sta facendo tutto ciò. Insomma, ci conosciamo da due giorni ed è come se mi perseguitasse. Certo, so perfettamente che é solamente la mia impressione, ma in ogni angolo della scuola me lo ritrovo davanti agli occhi, fuori casa e per strada. Inizio a pensare che il destino abbia qualcosa in serbo per me.
-Non mi dirai dove stiamo andando?-. Chiedo improvvisamente, trovando inaspettatamente il coraggio in me stessa.
Scuote la testa, muovendo le mani sul manubrio.
-Perchè?-.
-Perchè non voglio, voglio sorprenderti-.
Sento il mio stomaco fare una capriola e successivamente una miriade di farfalle si ritrovano a svolazzare per la mia gabbia toracica. È già la seconda volta in cui mi sento in questo modo in sua compagnia.
Dopo qualche minuto l'auto parcheggia davanti ad uno stabilimento balneare. Di fronte a noi si estende un'enorme baita
deserta e ricoperta qua e la da arbusti verdi e marroni.
-Siamo arrivati-. Annuncia soddisfatto spegnendo il motore dell'auto. -Scendi-.
Faccio come mi dice e non appena metto piede fuori dall'auto, una folata di vento mi scompiglia i capelli e fa alzare di poco l'orlo della mia maglietta. Subito mi ricompongo ma quando mi giro, vedo Justin che mi osserva sconcertato e confuso. Avrà sicuramente visto i lividi che ricoprono il mio stomaco.
Tuttavia fa finta di nulla e, ritornando alla realtà, mi fa cenno di seguirlo.
Cammino dietro di lui mantenendo una camminata regolare.
Scavalca un muretto alto circa un metro da terra che divide la strada dagli arbusti.
Con mia sorpresa, mi porge una mano proprio mentre anch'io sto scavalcando e quando inizio a sentire dei sassolini nelle mie scarpe, mi afferra una mano e mi trascina più avanti.
C'è un grande lago che in questo periodo dell'anno è completamente ghiacciato ed è quindi non accessibile ai pescatori per pescare o a chiunque altro per passarci del tempo.
Non dico e non chiedo nulla, so che reagirebbe male e ciò non conviene nè a me nè a lui.
Arriviamo vicino ad una piccola casa in legno abbandonata e ci incamminiamo all'interno.
È piena di ragnatele e mobili trasandati sparsi qua e la. Ci sono delle scale in legno che portano ad un altro piano. Le percorriamo e quando arriviamo di sopra, Justin fa in modo che sia io a camminare avanti a lui.
Sento il suo corpo scontrarsi con il mio e ad alcuni tratti sembra essere proprio incollato.
Mi spinge verso un'enorme porta che da su un balcone.
Usciamo e ciò che mi ritrovo davanti è il panorama più bello che abbia mai visto.
-Ti piace?-. Domanda notando la mia espressione estasiata.
-S-si. È...è bellissimo qui-.
Sorride ritornando a guardare di fronte a me. -Piace anche a me-.
-Di chi è questa casa?-.
-Oh, non è una casa. È una specie di rifugio. Era di mio nonno, conservava qui tutti i suoi oggetti per la pesca e li prendeva ogni volta che pescava qui al lago-.
-Oh...è magnifico, sul serio-.
Sto per appoggiare le mani sul davanzale del balcone, quando Justin mi afferra da dietro e mi trascina di qualche passo.
-Non sporgerti-. Ordina preoccupato. -Questa casa ha più di cinquant'anni. Potrebbe cedere da un momento all'altro. È già un miracolo che resista ancora in piedi-.
-S-scusami. Non volevo sporger...mi dispiace-.
Divento rossa dalla vergogna e mi richiudo su me stessa.
Un'altra folata di vento mi invade ma questa volta stringo le braccia sul mio corpo non solo per proteggermi dal freddo ma anche per non rischiare che Justin veda di nuovo i miei lividi.
-Hai freddo?-. Domanda girandosi verso di me.
Ha i capelli un po' scompigliati per via del vento e la collana è leggermente inclinata verso destra. Ha un'aria davvero innocente in questo momento e mi scappa un piccolo sorriso.
-Perchè ridi?-. Domanda incuriosito.
Sembra anche infastidito.
Scrollo le spalle. -Hai una ciocca di capelli ribelle-.
Allungo la mano e accarezzo la ciocca dei suoi capelli con lo scopo di aggiustarli.
Mi sento subito avvampare quando mi rendo conto di ciò che ho appena fatto.
Subito ritraggo la mano e la metto nelle tasche.
Abbasso lo sguardo e quando lo alzo lo volgo altrove.
-Oh, quindi ridi di me?-. Chiede divertito.
Penso che lui non abbia provato imbarazzo ma che si sia accorto del mio.
Fa qualche passo verso di me, malizioso e sospetto.
-S-si, cioè no...-. Cammino all'indietro cautamente.
Rientro nuovamente in casa, intimidita e a disagio.
-Si, stavi ridendo di me-.
-Non è vero-.
-L'hai appena detto!-. Protesta, avanzando ancora di più.
-Non volevo dirlo, sono...-.
Prima che possa finire di parlare, cado all'indietro sprofondando su un soffice letto. Mi alzo sui gomiti vedendo immediatamente un Justin apparentemente molto divertito che ride di gusto.
Bofonchio qualcosa ma non sapendo cosa dire, resto in silenzio sedendomi a mezzo busto.
-Tu stai ridendo di me-. Constato sicura, aggiustandomi i capelli da un lato.
-Ma sei caduta!-.
-Su un letto...-. Aggiungo seccata, abbassando lo sguardo.
Che vergogna!
Si schiarisce la voce e torna a guardarmi serio sempre con un leggero sorriso sul volto.
-Non volevo ridere di te, scusami-. Dice, porgendomi una mano.
La guardo esitante prima di stringerla e alzarmi sorretta dalla sua forza.
Mi ricompongo e lo sguardo cade su una foto appoggiata ad un comodino accanto al letto. Raffigura un uomo abbastanza anziano con gli abiti da pescatore e una canna da pesca in mano. L'uomo poggia una mano sulla spalla di un bambino che gli arriva circa all'altezza dello stomaco. È sorridete e felice e ha un secchiello azzurro tra le mani.
Mi avvicino per avere un'immagine più chiara e noto immediatamente una fossetta al lato della bocca del bambino, proprio come quella che si forma al lato destro della bocca di Justin quando ride.
-Sei tu?-. Domando timidamente indicando la fotografia.
-Si. Quello affianco è mio nonno. Era il mio eroe-.
Parla di lui al passato quindi presumo che sia morto. Non so cosa dirgli, non mi sembra il caso di dirgli che mi dispiace, sarebbe ridicolo.
Passano alcuni minuti di silenzio durante i quali Justin contempla la fotografia con sguardo dispiaciuto e malinconico mentre io, presa dall'imbarazzo, mi torturo le mani e il labbro con i denti.
-Sono le tre-. Esclama improvvisamente Justin guardando l'orologio appeso al muro.
Passa una mano tra i suoi capelli come se voglia che io non noti il suo dispiacere negli occhi. Non vuole apparire debole.
-Non arriveremo mai in orario a scuola-. Aggiunge. -Vieni, scendiamo-.
Mi indica di seguirlo e così faccio.
Scendiamo nuovamente al piano di sotto e si siede su un'altalena enorme in veranda.
-Siediti, ti vedo stanca-.
Mi fa cenno di sedermi accanto a lui.
Certo, stanca.
Non sa quanti schiaffi ricevo ogni giorno. Quanti calci, quanti pugni o quanti graffi hanno lasciato cicatrici sul mio corpo.
Vorrei urlarglielo contro per liberarmi da questo peso ma mi limito ad annuire imbarazzata.
Mi siedo su quel soffice tessuto verde e viola e subito inizio ad avere dei crampi allo stomaco quando le nostre mani si sfiorano appena.
Lui sembra addirittura non accorgersene mentre il mio stomaco fa salti mortali.
-Ti chiedo una cosa...-. Annuncia improvvisamente voltandosi verso di me.
Continuo a tenere lo sguardo basso, troppo intimidita per girarmi e guardarlo negli occhi.
-Perchè...perché sei così chiusa?-.
-Cosa intendi?-. Domando a mia volta notando che ha trovato difficoltà nel porgermi quella domanda.
-Sei timida ma alcune volte sembra che tu abbia sfacciataggine. Inizi a parlare ma improvvisamente ti blocchi e mi chiedi scusa-. Bagna le labbra con la lingua. -Non ti sto criticando, sia chiaro. Ma io mi sto mostrando gentile nei tuoi confronti invece tu non fai altro che chiuderti in te stessa-.
-Non capisco. Cosa vorresti che facessi?-.
-Non lo so. Vorrei che almeno mi guardassi negli occhi-.
Sento un tonfo al cuore e le mani iniziano a sudare.
Passano alcuni istanti e vedendo che non reagisco, afferra il mio viso e mi volta verso di lui delicatamente.
Scontro immediatamente due occhi color miele guardarmi con una strana espressione in volto, indecifrabile a mio parere.
Sussulto intimidita da quel suo gesto ma soprattutto perché mi ritrovo dinnanzi a tale meraviglia.
-Non guardare altrove-. Sussurra divertito. -Guarda i miei occhi-.
Scuoto la testa, guardando in basso.
-Perchè no?-.
-Perchè non ci riesco-.
Sospiro e sento gli occhi pizzicarmi.
-Tu non ci provi neanche-. Ribatte convinto e un po' dispiaciuto.
Sembra del tutto un'altra persona rispetto a quando l'ho conosciuto.
-Non posso, mi spiace-.
-Perchè non puoi?-. Sbotta e sembra essere spazientito.
Sobbalzo a questo suo strano cambio d'umore, spostandomi di qualche centimetro da lui.
Nota questo mio movimento e subito si affretta ad afferrare una mia mano come se voglia che stia ferma e che non mi allontani da lui.
-Rispondi-. Dice con tono di voce calmo ma al tempo stesso deciso e autoritario.
Mi guarda negli occhi insistentemente anche se io continuo ad averli piantati al suolo o ad altro che non siano i suoi occhi.
-Non lo so-. Rispondo in un sussurro. -Ma non ne ho il coraggio-.
-Dovresti averne. Dovresti avere anche più sicurezza. Noto come ti muovi, come cammini, come mi parli. Hai sempre paura che qualcosa non vada bene in te-.
Sgrano gli occhi e perdo il respiro all'udire queste sue parole. Com'è possibile che mi conosce così bene se siamo due estranei?
-Ti stai chiedendo come faccio a dire una cosa del genere, vero?-. Wow. -Be', sono un attento osservatore-.
Stiamo in silenzio per un po' fin quando non si avvicina ulteriormente a me.
-Adesso guardami-. Mi impone.
Facendomi coraggio alzo lentamente lo sguardo e nuovamente sento le farfalle allo stomaco.
Bene, siamo alla terza volta.
Sono un pozzo di bellezza senza fine e questo mi spinge a guardarli e ad ammirarli ma dall'altro lato la mia timidezza e il mio modo di sottomettermi mi suggerisce di guardare altrove.
Prima che possa fare qualcosa, inizia a parlare.
-Ti metto a disagio?-.
Trattengo il respiro. -No-.
-A me sembra il contrario-.
-Non è vero, non mi metti a disagio-.
-Però stai tremando-. Constata sicuro stringendo la mia mano che è ancora sulla tra la sua.
-Tremo perché ho freddo-.
Scruta i miei occhi per qualche secondo dopodiché si accinge a sfilarsi la giacca e ad appoggiarla sulle mie spalle.
-Bene, ecco a te-. Esclama menefreghista.
-Non c'è bisogno che...-.
-Apprezza il gesto e non polemizzare-.
Trattengo il respiro e abbasso immediatamente lo sguardo. Stavo finalmente iniziando ad abituarmi alla visuale di quei due bellissimi occhi che ci stavo prendendo gusto.
-Scusa, mi dispiace-. Sussurro imbarazzata e insicura nel tono di voce.
Sbuffa pesantemente, alzandosi in piedi. Cammina fino alla staccionata della veranda appoggiando le mani sopra di essa per poi sospirare pesantemente. Torna verso di me evitando di guardarmi e mi porge una mano.
La guardo e poi salgo con lo sguardo fino ai suoi occhi.
Un altro tonfo al cuore e allo stomaco.
-Andiamo via?-. Domando flebilmente.
-Tra poco. Adesso andiamo verso la riva del lago-.
Afferra la mia mano senza che io lo faccia, e mi trascina verso il lago che dista solo qualche metro da li.
Lui cammina avanti ed io sono dietro di lui mentre a legarci è una mano.
Arriviamo alla riva del lago ghiacciato ed io tendo a stare dietro di lui.
-Vieni più avanti-. Mi propone, girando la testa verso di me.
-Ho paura-.
Ridacchia. -Paura di cosa?-.
-Che possa rompersi il ghiaccio e che io ci cada dentro-.
Sorride voltandosi nuovamente verso il lago.
-Vedi quel punto?-. Indica una parte del lago che sinceramente è uguale alle altre.
-Si-.
-Li ho pescato il mio primo pesce-. Spiega fieramente. -Era fine agosto e mio nonno mi disse che se avessi fatto pratica, sarei diventato esattamente come lui-.
Sorrido senza farmi vedere, intenerita da ciò che mi sta raccontando.
-Se avessimo dei pattini, potremmo fare qualcosa qui sopra-. Dice annuendo col capo e guardandosi attorno.
-Oh, no. Meglio così-. Mi affretto a sussurrare.
-Non sai pattinare?-.
-N-no. Non so fare nulla-.
Ride andando più avanti, lasciando che le sue spalle ricoprano circa la metà del mio corpo.
-Dovresti imparare-.
-So già che che se prendessi in considerazione quest'idea, mi ritroverei direttamente in un ospedale-.
-Sei troppo catastrofica. Potrei insegnarti io un giorno-.
Non dico nulla. Lo vedo mentre si accascia e prende un sasso per poi gettarlo in lontananza.
Si crea una minuscola crepa sul ghiaccio del lago e Justin sorride soddisfatto.
Si diverte in questo modo?
Improvvisamente una folata di vento gelido impreca su di noi e istintivamente afferro da dietro il braccio di Justin e mi stringo a lui.
Si volta lentamente verso di me con un'espressione indecifrabile.
-S-scusa-. Dico impacciatamente mente la timidezza inizia a tingere le mie guance di rosso. -Ho avuto freddo. Non l'ho fatto di proposito e...-.
-Queen, non è nulla di grave-. Mi interrompe tranquillo.
Bofonchio per poi stare in silenzio e annuire abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.
-Se avevi ancora freddo, avresti potuto dirmelo. Ti avrei riscaldata-.
-Ehm, in rea...-.
Prima che possa terminare la frase, cinge le mie spalle con le sue braccia più grandi delle mie di circa il triplo della metà.
Sento una fitta allo stomaco e pian piano una scarica di adrenalina mi porta ad essere bollente dentro e fredda fuori per il vento che soffia.
Anche se inizio a sentire calore grazie al contatto con Justin.
Cerco di dire qualcosa ma sono troppo imbarazzata.
-Grazie-. Sussurro poi.
-Nessun problema. Vuoi ritornare a casa?-.
Annuisco cercando di non stringere troppo il corpo di Justin anche se il freddo, ma soprattutto la voglia che ho di farlo, mi spingono a fare il contrario.
Lui non sembra attutire nulla e continua a camminare tranquillamente verso l'auto.
Scavalchiamo nuovamente il muretto e con il suo aiuto schivo il pericolo di cadere da li sopra.
Mette in moto l'auto e dopo circa cinque minuti di viaggio, decido di rompere il silenzio.
-Justin...-. Lo chiamo sussurrando il suo nome.
Si volta verso di me.
-Mh?-.
-G-grazie per... per oggi. È stato bello-.
Mi scruta per un po' per poi accennare un misero sorriso e annuire.
So che non è una persona che si mostra felice, che è scontrosa e burbera e capisco che questo suo gesto è fin troppo. Avrebbe potuto addirittura mandarmi a quel paese, ma non l'ha fatto e di questo gliene sono grata.
-Mi fa piacere che ti sia divertita. Non ci speravo-. Dice improvvisamente, voltando a destra con l'auto.
Corre abbastanza e questo mi mette ansia e accresce la situazione di disagio che vige in questo momento tra di noi.
-Non sono il tipo di persona che dice ciò che pensa. Mi dispiace averti fatto pensare che non mi fosse piaciuto-.
Scrolla le spalle.
Passano altri istanti di silenzio, dopodiché Justin si volta verso di me e di tanto in tanto guarda la strada che a quest'ora è quasi sgombra.
-Devi ancora rispondere alla mia domanda, quella che ti ho posto in veranda-. Constata all'improvviso.
-Non so risponderti-.
-Dovresti. Tu sei in te stessa, non qualcun altro-.
-Be', io...m-mi risulta difficile dirtelo-.
È strano di come però mi risulti facile dirgli una cosa del genere. Chi avrebbe mai pensato che gli confessassi la mia difficoltà nell'esprimere i miei sentimenti?
-Non voglio giudicarti. Voglio solo capirti-.
Sussulto alle sue parole.
-Non c'è bisogno che tu mi capisca. Non sono niente di speciale-. Scrollo le spalle. -Sono niente e basta-. Aggiungo a malincuore.
-Ne sei sicura?-.
-Si, ne sono sin troppo consapevole-.
-Non ci metterei la mano sul fuoco-.
-Oh, io invece ci giocherei anche la mia casa-.
Stiamo in silenzio per un po' fin quando Justin non inizia ad imprecare mente ci blocchiamo nel traffico.
-Spero non sia un problema per te se arrivi a casa più tardi-. Suona col clacson, infuriato.
-No, nessun problema.
Mh, inizio a prepararmi psicologicamente per il doppio round di botte che riceverò stasera per questo ritardo.
Justin si appoggia con il gomito sull'orlo del finestrino aperto e inizia a giocherellare con il manubrio in pelle.
Improvvisamente, trovo un coraggio innato in me e alzo lo sguardo verso di lui.
-Perchè vuoi capirmi?-. Chiedo flebile in un sussurro.
Stringe prepotentemente le mani sul manubrio tanto che le nocche diventano bianche. Serra la mascella e improvvisamente chiude il finestrino.
-Non pensavo che se ti avessi dato più attenzioni, avresti fatto mille domande-. Risponde scontroso in tono burbero continuando a guardare la strada di fronte a lui.
Lentamente la coda di macchine sta iniziando a smuoversi.
-S-scusa, mi dis...-.
-Si si, ti dispiace-. Prosegue al posto mio con aria da menefreghista.
Mordo l'interno della mia guancia destra e cambio posizione sul sedile dell'auto.
Mi maledico mentalmente per non aver tenuto la bocca chiusa e mi giro verso il finestrino, guardando verso l'esterno. Mancano ancora una decina di minuti al mio ritorno a casa ma sinceramente pagherei per restare ancora bloccata nel traffico.
Lo sento sospirare pesantemente e aprire nuovamente il finestrino. Prende una sigaretta e, portandola alla bocca, l'accende con isteria.
Il viaggio in auto continua in silenzio.
Mi sento così stupida ad aver osato così tanto. Dovrei sapere che subito si arrabbia.
Con mia sorpresa noto che ricorda perfettamente la strada della mia casa e quando accosta di fronte la mia abitazione, si volta nella mia direzione dopo aver premuto il freno.
Scendo dall'auto impacciatamente e prima di chiuderla gli rivolgo una sguardo.
-Ci vediamo...in giro-.
Scrolla le spalle, facendo un cenno col capo.
Chiudo la portiera e a passo lento mi avvio alla porta di casa mentre sento gli pneumatici dell'auto di Justin sgommare durante la retromarcia.
Pensando a Justin, posso solamente affermare che se mi ha ritenuta strana il primo giorno in cui ci siamo incontrati, io posso considerarlo doppiamente strano.
Non ho detto nulla di male. Certo, in questi due giorni ho conosciuto gran parte del suo carattere un po' scontroso e burbero ma fino ad ora non mi ha mostrato di poter uccidere qualcuno. Non è così cattivo come lo descrivono.
Spero solamente che non si accorga ancora una volta dei miei lividi e che non mi faccia altre domande come quella di questo pomeriggio.
Posso anche affermare che ha strani cambi d'umore improvviso.
Un minuto prima mi parla con premura e dolcezza, quello dopo mi offende e mi interrompe in continuazione con espressioni burbere.
Sinceramente, non avrei mai voluto conoscerlo perché dopo ciò che è successo in auto mi sento uno schifo, ancora più di quanto non mi senta normalmente.
Apro la porta e quando vado in soggiorno vedo mio padre seduto sulla poltrona.
Appena si accorge della mia presenza, si gira verso di me e mi sorride malizioso e anche un po' stralunato. Penso abbia bevuto, come al solito.
-Ciao, Queen. Sei in ritardo, ti stavo aspettando-.






Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia deluse! 
Fatemi sapere cosa ne pensate e sarei anche curiosa di sapere come
voi immaginate fisicamente Queen. Nel prossimo capitolo pubblicherò una
foto di come io l'ho immaginata.
Parlando del capitolo, come avrete visto, Justin è un personaggio
molto imprevedibile che cambia idea in pochissimo tempo in conseguenza
a qualcosa che lo infastidisce. E' orgoglioso, menefregista e molto scontroso e irascbile.
Queen è l'esatto contrario e spero che continuerete a seguire ciò che accadrà tra i due!
Accetto ogni tipo di critica, continuo dopo almeno 6 recensioni!
Un bacio, noperfect :) xx

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Capitolo 6
*** 6 ***


6.


La campanella suona e mi dirigo in classe a passo svelto coprendomi il livido sotto l'occhio con una ciocca di capelli. 
Come immaginavo, ieri mio padre mi ha letteralmente massacrata. Non vuole mai che faccia tardi da scuola e quando lo faccio, diventa una belva più feroce di quanto già non lo sia normalmente. 
Mi siedo al primo banco in modo tale che nessuno possa vedermi in faccia e tiro fuori i libri. Prendo una penna e inizio a scarabocchiare su un foglio svariate frasi e disegnini senza senso. 
Improvvisamente qualcuno si scaglia di proposito verso di me facendo in modo che mi cada il quaderno dal banco. 
-Scusa, Queen. Non l'ho fatto apposta-. 
Alzo gli occhi per ritrovarmi di fronte a Marcus che mi guarda divertito. 
Esatto: abbiamo il corso di astronomia in comune.
Lo guardo impassibile per poi abbassarmi e recuperare il quaderno. Lui prosegue dritto fino all'ultimo banco dove è suo solito sedersi. 
Sarà una lunga giornata e sinceramente dopo ciò che è successo ieri con mio padre, vorrei solamente scomparire e sprofondare in un sonno lungo e profondo. 

La Campanella dell'ultima ora suona e oggi io e Cece usciamo alla stessa ora. 
La raggiungo fuori l'aula di chimica e la vedo mentre mi corre incontro. 
-Queen!-. Esclama sbracciandosi animatamente per poi fiondarsi su di me e stringermi in un abbraccio. 
-Così mi uccidi-. Sussurro senza fiato. 
Ride. -Si, scusa-. 
Si stacca dal mio corpo ma immediatamente il suo sorriso si trasforma in un'espressione confusa e preoccupata. 
-Cosa ti è successo?-. Domanda indicando il livido sotto l'occhio. 
Abbasso lo sguardo per poi rialzarlo poco dopo. 
-Non farmi rispondere, Cece-. 
Scuote la testa. -Come devo dirti che devi denunciarlo? Giuro che lo faccio io tra qualche giorno se continua di questo passo-. 
-Non è un tuo problema, Cece. Convivo con questo problema da anni e mi ci sono quasi abituata-. 
-Appunto, una persona non dovrebbe abituarsi al dolore e alla sofferenza fisica e morale. Non dovresti permettere che ti succeda una cosa del genere-. 
-Succcede ogni giorno da otto anni. Come pretendi che cambi in un giorno?-. 
-Denunciando tuo padre, Queen. Non è così difficile-. 
-Non capisci-. Scuoto la testa, amareggiata. -Non posso farlo, ne abbiamo già parlato-. 
-Ma...-. 
-Ti prego, Cece. Non parliamone-. 
La guardo speranzosa ed esitante. Sembra pensarci su ed esitare prima di annuire e abbracciarmi di nuovo. 
Ci incamminiamo poi verso l'uscita della scuola.
Quando usciamo dall'edificio, i miei occhi cadono sulla figura alta e muscolosa di un ragazzo che è appoggiato al cofano di un fuoristrada nero. 
Justin.
Subito abbasso lo sguardo e mi giro altrove. 
-Queen, aspetta. Si è slegata la scarpa-. Annuncia Cece accasciandosi a terra e iniziando a maneggiare i lacci delle sue scarpe da ginnastica. 
Mi guardo intorno e noto che Justin è affiancato da altri due ragazzi che gli parlano animatamente mentre lui sembra essere calmo. 
Fuma tranquillamente una sigaretta e mi squadra da capo a piede socchiudendo gli occhi come se voglia mettermi a fuoco. 
Sospiro pesantemente e faccio finta che non mi sia accorta del suo sguardo persistente sul mio corpo e quando Cece di alza nuovamente in piedi, le mostro un sorriso. 
Spero non si sia accorta di questo scambio di sguardi tra ma e Justin. 
-Ho visto una borsa in quel negozio vicino casa mia-. Si volta verso di me, gesticolando vivacemente. -Capito di quale negozio sto parlando?-. 
Annuisco distrattamente anche se non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo.
-Be', è stupenda!-. 
-Mh, davvero?-. 
-Si!-. Squittisce divertita. -Quel negozio vende abiti e accessori incredibili. Dovremmo andarci qualche volta...insieme-. Specifica.
Oltrepassato il cancello della scuola, un auto si ferma proprio affianco a noi. Dopo qualche secondo il finestrino si abbassa ed emerge il viso di Scott, il ragazzo di Cece. 
-Ehi, Cece!-. Esclama pimpante facendole cenno di avvicinarsi.
-Scott!-. 
Cece raggiunge l'auto e si appoggia all'orlo del finestrino aperto. 
Li vedo mentre si scambiano qualche parola mentre lei sorride di gusto. 
Sono davvero carini insieme anche se hanno rischiato di essere uccisi insieme. 
Forse è esagerato, ma è ciò che mi ha fatto intendere Cece qualche giorno fa. 
Scott frequenta un'altra scuola poco distante da qui e di tanto in tanto viene a prendere Cece e la porta a pranzo fuori o da qualche altra parte per divertirsi. Stanno insieme da circa due anni e sinceramente non immaginerei Cece con chiunque altro se non Scott. 
Cece ritorna nuovamente verso di me mentre Scott aguzza la vista verso di me. 
-Ciao Queen!-. Mi saluta allegro, sorridendo e mostrandomi una mano. 
-Ciao, Scott-. 
Ritorno a guardare Cece che mi guarda supplichevole. 
So già cosa vuole dirmi. 
-Ti dispiacerebbe se oggi me ne andassi con...-. 
-Vai, Cece-. La interrompo indicandole la macchina di Scott. 
-Sul serio? Non ti arrabbierai?-. 
-No, non mi arrabbierò. In fondo ho bisogno di schiarirmi le idee e tu che parli di moda non sei molto d'aiuto-. 
Ridacchia. -D'accordo. Grazie, Queen. Sei la migliore-. 
Mi schiocca un bacio sulla guancia e sale sull'aiuto. 
Li saluto entrambi con una mano per poi vederli scomparire alla fine della strada. 
Sospiro pesantemente ricomponendomi e iniziando nuovamente a camminare. 
In realtà non devo schiarirmi nessun idea. Voglio solo stare sola e camminare fino a casa per prepararmi psicologicamente a ciò che succederà quest'oggi. 
-Queen!-.
Mi sento chiamare improvvisamente alle spalle e quando mi giro vedo Justin che mi raggiunge con il fiatone. 
Sento una scarica elettrica invadermi e inizio ad agitarmi, ansiosa. 
-Oh, ciao Justin-. Sorrido, abbassando lo sguardo affinché non veda il livido sul mio viso.
Restiamo in silenzio per un bel po' e inizio a pensare che neanche lui conosce il motivo per cui mi abbia fermata. 
-Stavo pensando che...-. Inizia distrattamente. -...che non ho il tuo numero-. 
Ingoio la saliva prepotentemente e sento le mani sudare. 
Mi porge il suo cellulare e mi intima con gli occhi di segnare il mio numero. 
Nel frattempo sfila il mio cellulare dalla mia tasca e fa lo stesso. 
Resto stupita per questo suo gesto così naturale e spontaneo ma non lo do a vedere. 
-La tua amica ti ha lasciata sola-. Constata guardandosi attorno, porgendomi il cellulare e prendendo il suo dalle mie mani.
-Be', è venuta a prenderla Scott, il suo...-. 
-Si, il tipo che ho letteralmente ucciso-. 
-Praticamente non l'hai ucciso. Era vivo e vegeto davanti a me pochi minuti fa-. 
-Scherzavo, Queen-. 
-S-si, l'avevo capito-. 
Resta meravigliato dal mio comportamento. Non mi sono mai posta in questo modo con lui. Forse pian piano sto uscendo dal guscio. Almeno spero.
-Hai da fare?-. Chiede schietto. 
-Ehm, no ma...-. 
-Bene, vieni con me-. 
Afferra la mia mano ma subito mi svincolo dalla sua presa. 
-Non posso, mi spiace-. 
-Perchè no?-. 
-Perchè non posso fare ritardo a casa dopo scuola. Scusami, io...non posso-. Sospiro contorcendomi le mani. 
-Nessun problema, Queen. Ci vediamo-. 
Mi saluta con due dita della mano e si volta nuovamente verso scuola forse per raggiungere la sua auto. 
Fortunatamente non ha notato il livido, ho cercato infatti in tutti i modi di nasconderlo.
Sbuffo prepotentemente e mi avvio a casa a passo svelto per non rischiare che mio padre mi picchi di nuovo per un ritardo. 
È strano di come Justin sia cambiato da ieri e a oggi. Ieri neanche mi ha salutata quando sono scesa dalla sua auto e oggi addirittura mi ha rincorso per farlo e prendere il mio numero. 
È strano, sul serio. 
Giro le chiavi nella serratura della porta di casa e la sbatto alle mie spalle. Mi avvio al piano di sopra e vado subito in camera di mia madre per accertarmi che stia bene. 
Quando apro la porta, sporgo leggermente la testa all'interno della stanza. 
-Queen, sei tu?-. Domanda senza voltarsi mentre è intenta a ripiegare delle magliette. 
-Si. Sono appena tornata da scuola-. 
-È andato tutto bene a scuola?-. 
-Si, tutto bene-. 
-Bene, sono felice. Farai qualcosa questo pomeriggio?-. 
-Studierò per domani. C'è qualcosa che non va?-. 
-Oh, no. Tutto apposto. Tuo padre mi ha detto che non ci sarà per due giorni. È partito questa mattina da solo con la sua auto. Chissà cos'ha da fare e dove. Che vada al diavolo-. 
Un sorriso si forma spontaneamente sul mio viso. -Sul serio?-. 
-Si. Sono contenta che tu sia felice. Lo sono anch'io-. 
Mi avvicino a lei e le cingo la vita dalle spalle. La stringo forse e le lascio un bacio sulla schiena. 
Poggia le sue mani sulle mie e le afferra portandole alla bocca e baciando le mie nocche. 
Sento il suo profumo invadermi le narici e mi sento immediatamente rilassata. 
Sapere che mio padre non ritornerà a casa per due giorni, mi rende la ragazza più felice del mondo in questo momento. Spero solamente che al suo ritorno non sia più violento del solito. 
-Va' a studiare adesso. Stasera avremo una bella serata da trascorrere-. 
Sorrido ancora una volta a queste sue parole così confortanti per poi staccarmi da lei e uscire dalla stanza. 
Sospiro chiudendo nuovamente la porta e vado in camera mia. Mi butto a peso morto sul letto e stendo le braccia e le gambe fin quando mi è possibile, come se voglia sgranchirmi. 
In realtà non ho da studiare molto per domani. Non ho nessuna verifica e nessuna interrogazione. 
Mi giro su di un lato e chiudo gli occhi. 
Voglio rilassarmi ed essere tranquilla per un po'. 
Alcune volte mi sembra che mia madre si ponga nei miei confronti come se voglia urlarmi contro che le dispiace e che vorrebbe essere come le altre madri. Ciò che invece vorrei dirle io, è che per me non esiste madre migliore di lei. È una donna forte e anche se in questi anni non è stata capace di evitare il peggio per me e per lei, risulta essere sempre una persona meravigliosa. 
Improvvisamente il cellulare vibra e apro gli occhi di scatto. 
Lo sfilo dalla tasca dei miei jeans e con mia sorpresa noto che è un messaggio da parte di Justin. 
Lo apro immediatamente. 

Da: Justin B.
Scusami per ieri.

Aggrotto le sopracciglia e sento un vortice aprirsi nello stomaco. 
Penso si riferisca al fatto che non mi abbia salutata quando sono scesa dall'auto e quando mi ha risposto in tono così brusco. 
Forse era questo ciò che voleva dirmi prima fuori scuola quando ha esitato prima di parlare e dire poi una cosa insensata al momento. 

A: Justin B.
Nessun problema. Scusami tu, dico cose che non dovrei dire alcune volte. 

Digito velocemente per poi aspettare impaziente una risposta. 

Da: Justin B. 
Sei impegnata adesso? 

A: Justin B. 
In realtà no. 

Da: Justin B. 
Sii pronta tra 10 minuti xx

Fisso lo schermo del cellulare allibita per qualche secondo. Dopo un po' riprendo a sbattere le palpebre e a respirare regolarmente. 
Ha organizzato tutto lui in due secondi ed ora mi ritrovo a dover essere pronta in dieci minuti. 

A: Justin B. 
Per fare cosa?

Da: Justin B. 
Ho voglia di un gelato:) xx

Ingoio la saliva prepotentemente per poi alzarmi a mezzo busto e guardarmi attorno, come se non sia ancora consapevole di ciò che succede. Non so perché, ma mi sento abbastanza felice. Sarà perché ho ricevuto la notizia che mio padre ritornerà tra due giorni da chissà dove, o perché Justin mi ha invitata a prendere un gelato. 
Aspetta, è un appuntamento?
Spalanco gli occhi quando arrivo a questa conclusione e subito mi alzo completamente in piedi andando verso l'armadio.
Non sono quel tipo di ragazza che ama vestirsi seguendo la moda, io ho uno stile mio che sicuramente non piace a tutti. Ma è mio e questo mi basta per seguirlo. 
Noto però con dispiacere che non ho nulla nel mio armadio di 'carino'. Nulla. Letteralmente. 
Sospiro e prendo una maglia larga color corallo che lascia scoperta una spalla, l'unico punto del mio corpo non segnato da cicatrici, lividi o graffi. 
Guardo l'orologio. 
Sono quasi passati dieci minuti: devo sbrigarmi.
Per la prima volta in tutta la mia vita -credo- metto un filo di mascara e di matita, un po' di fard per dare colorito e lascio sciolti i capelli lunghi e ondulati. 
Sento suonare al campanello e resto immobile per un po'.
Ha addirittura suonato al campanello? Non pensavo lo facesse.
Piuttosto pensavo che mi avesse chiamata o inviato un messaggio sul cellulare. 
Mi precipito giù per le scale e apro frettolosamente la porta. 
Trattengo il respiro quando vedo due occhi color miele scrutarmi da testa a piede. 
-Ciao-. Sussurro imbarazzata, guardando dietro di lui. 
-Ciao, Queen. Andiamo?-.
-Andiamo-. Annuisco, uscendo di casa e chiudendo la porta alle mie spalle. 
Mi ricordo solo quando salgo nell'auto di Justin che ho dimenticato di avvisare mia madre ma le invierò un messaggio più tardi. Con tutti i problemi che ha per la testa, io sono l'ultima cosa a cui possa pensare. 
Si schiarisce la voce, maneggiando il manubrio. -Sei carina-. 
Arrossisco violentemente e sento i battiti del mio cuore accelerare. Mi giro verso il finestrino e mi appoggio ad esso. Se lo guardassi negli occhi, si accorgerebbe del mio disagio, inoltre vorrei che non si accorga del livido sul volto anche se sono consapevole che prima o poi lo vedrà. 
Avrei dovuto coprirlo con del fondotinta.
-Anche tu-. Sussurro imbarazzata. 
-Grazie-. 
Cade il silenzio fin quando Justin attacca a parlare. 
-Spero ti piaccia il gelato-. Esclama aprendo il finestrino al suo lato. 
-Si, mi piace. A tutti i gusti-. 
Mi scappa un sorriso. 
Penso che lui lo noti anche se sono girata verso il finestrino perché dal riflesso lo vedo sorridere a sua volta. 
-Abbiamo una cosa in comune, allora!-. 
Annuisco. -Dove andiamo?-. 
-C'è una gelateria in periferia che vende i gelati più buoni al mondo-.
-Oh...-. 
-Già, e vende anche frullati o dolci nel caso non avessi voglia di un gelato-. 
Mi limito ad annuire nonostante non possa accorgersene. 
Apro il mio finestrino e una folata di vento mi invade, alzando i miei capelli. 
Mi giro verso Justin per il fastidio del vento mentre lo chiudo impacciatamente. 
Justin ride ma quando si volta verso di me, il suo meraviglioso sorriso scompare guardandomi sorpreso e preoccupato al tempo stesso. 
Per un momento rifletto su cosa abbia potuto scatenare una simile reazione in lui, ma non passano molti secondi che ho già capito tutto. 
-Che hai fatto?-. Domanda confuso. 
-Cosa?-. 
-Il livido...quello sotto l'occhio. Non l'avevi ieri-.
-Oh...-. Sussulto, toccandomi il punto violaceo. -Mia madre ha aperto la porta mentre io ero dall'altro lato ed è sbattuta contro la mia guancia-. 
Ci pensa su qualche secondo per poi ritornare a guardare la strada. 
Ha la mascella serrata e un'espressione serissima in volto che gli da l'aria di una persona alquanto arrabbiata ma misteriosa. 
Forse c'ha creduto, o forse no. Sta di fatto che non fa più alcuna domanda inerente quest'argomento. 
-Quanto tempo manca ancora?-. Chiedo flebilmente. 
-Siamo quasi arrivati-. Risponde serio e deciso. 
Annuisco solamente, abbassando lo sguardo. 
So che adesso sta pensando al mio livido, lo capisco dalle sue sopracciglia corrugate e la sua espressione tremendamente persa. Sembra quasi che voglia scoprire da se la verità. Non penso la scoprirà, o almeno sicuramente non da me. 
Dopo qualche minuto Justin accosta con l'auto nel parcheggio di una gelateria che mostra un'enorme insegna luminosa. 
'Paradise'. 
Scendiamo contemporaneamente dall'auto e ci incamminiamo verso l'interno subito dopo che Justin ha impostato le sicure con le chiavi dell'auto. 
-Salve-. Esclama pimpante un'adorabile signora dietro al bancone dei gelati. 
-Salve-. Risponde freddo e scontroso Justin. 
Io mi limito a sorriderle. 
-Cosa posso servirvi?-. 
-Due gelati alla nocciola-. Si volta verso di me. -Ti piace, vero?-. 
-S-si-. 
-Bene-. 
Si gira nuovamente verso la signora che si appresta a preparare due gelati su richiesta di Justin. 
La cosa che mi infastidisce è che ha scelto per me, ma soprattutto, che io non mi sia opposta e sia stata in silenzio ad annuire. Sono troppo debole, me ne rendo conto e ne sono troppo consapevole. Eppure non c'è niente che mi spinge a cambiare e sarò sempre quella sottomessa agli altri e succube del mondo. 
La signora ci porge i due gelati. 
Justin l'afferra e poi si dirige verso la cassa per pagare. 
Mi fa cenno di seguirlo verso l'esterno dell'edificio e così faccio. 
Ci sediamo su un muretto poco distante dall'entrata della gelateria e stiamo in silenzio per un po' a mangiare il gelato. 
-Ti piace?-. Chiede improvvisamente indicando il mio gelato. 
-Si, è buono-. 
Annuisce, guardando altrove. Sembra quasi che evita di osservarmi.
Improvvisamente però, sbuffa e si gira di scatto verso di me. 
-So perché non parli mai con me, non mi guardi negli occhi o non ti fidi di me-. Afferma scocciato e deciso al tempo stesso. 
-C-cosa intendi?-. 
Spero non sappia di mio padre. 
-Tu parli con chiunque ti si avvicina, tipo con quel Marcus...-. 
-Marcus?-. 
-Si, Marcus Parker, quell'idiota della squadra di nuoto.Vi ho visti in corridoio l'altro giorno mentre vi dicevate qualcosa-. Spiega distrattamente. 
-Ti sb...-.
-Tu hai paura di me-. 
Mi interrompe alzando finalmente lo sguardo sul mio viso, fissandomi insistentemente negli occhi. 
Trattengo il respiro, guardandolo confusa. -Non è vero-. 
-Si, Queen. So cosa dicono di me in giro e...e non sono come mi descrivono. So anche che tu credi a quei pettegolezzi, come la maggior parte della gente-. 
-Io non ci credo-. Ribatto convinta. 
-Oh, davvero?-. Domanda spavaldo alzando un sopracciglio. 
-Si, davvero. Se avessi paura di te adesso non starei qui con te a mangiare un gelato. E se credessi a quei pettegolezzi adesso penserei che vuoi uccidermi. Ma so per certo che non lo farai perché...andiamo, sei l'unica persona gentile con me-. 
Sembra quasi che mi sia liberata da un peso, mentre Justin mi guarda un po' confuso e meravigliato. 
-Tu mi reputi gentile? Sul serio?-. Chiede sconvolto. 
-Be', si. Almeno non sempre ma...ma sei gentile la maggior parte del tempo-.
-Sai che non è vero, Queen-. 
-Si, è vero. Certo, mi rispondi male qualche volta, sempre, ma alla fine non mi parli con cattiveria. Almeno credo-. 
Esita qualche secondo. -Sei troppo ingenua, Queen-. Scuote la testa perplesso. -Per ciò che dice la gente, dovresti camminare a circa due chilometri di distanza da me-. 
-Ti ripeto che non credo a quelle stupidaggini-. 
-Come mai?-. 
-Perchè tu non mi hai dato un motivo di credere a quei pettegolezzi fino ad ora-. Scrollo le spalle. 
Mi scruta attentamente e si avvicina di qualche centimetro a me. Ingoio pesantemente la saliva, agitandomi internamente. 
Passano alcuni minuti durante i quali ne io ne lui ci accingiamo a parlare. 
Dopodiché schiarisco la voce e, iniziando a mordermi il labbro inferiore prepotentemente, mi volto verso di lui. 
-Perchè dicono quelle cose di te?-.
Sembra essere sorpreso dalla mia domanda eppure non si mostra nè scontroso nè burbero. 
-Fino a un anno fa ero diverso-. Confessa sospirando. -Andavo in giro litigando con chiunque senza un motivo ben preciso. Volevo litigare e basta perché sapevo che chiunque avesse avuto ragione, avrei sempre vinto io. Mi fidavo di me stesso e soprattuto dei miei amici. Mi guardavano sempre le spalle ed io ricambiavo la loro protezione-.
Si passa la lingua tra le labbra e alza lo sguardo su di me. Trattengo il respiro per quanto sia bello. 
-C'era un ragazzo più grande di noi che ha iniziato improvvisamente e perseguitarmi. Diceva che avrebbe fatto del male ai miei amici e alla mia famiglia e un giorno ha incontrato per strada un mio caro amico e l'ha massacrato di botte. Non ero in me e così l'ho affrontato da solo. Ci siamo quasi uccisi a vicenda ma qualcuno, non ricordo chi, ci ha fermati. Le nostre condizioni erano abbastanza gravi e quel ragazzo è morto in ospedale pochi giorni più tardi-. 
Sospira nuovamente guardando altrove, come se si vergognasse di ciò che sta raccontando. 
-La polizia però ha collegato questo caso ad altri episodi che si stavano avendo in quel periodo a Stratford per opera di una gang di teppisti. Così l'ho scampata. Non era mia intenzione ucciderlo, ma da quel momento tutti hanno iniziato ad allontanarsi da me e a temermi-. Scuote la testa. -Io non sono un assassino. Non vado in giro uccidendo la gente e la cosa che odio è che le persone parlano senza aver visto nulla-.
Ho finito di mangiare il mio gelato già da un pezzo e quando finisce di parlare lo osservo attentamente.
Sembra dispiaciuto, affranto e addolorato nel ricordare ciò che è successo un anno fa e questo mi lascia pensare che sono davvero solo pettegolezzi quelli che circolano. D'altronde se fosse violento come dicono, mi avrebbe già massacrata perché alcune volte ispiro più schiaffi che carezze, sono insopportabile e strana. 
-Io non c'avrei creduto comunque-. Affermo improvvisamente rompendo il silenzio. 
Alza lo sguardo su di me e mi guarda stupito. Non penso si aspettasse una tale affermazione da parte mia. 
Accenna una specie di sorriso, alzandosi in piedi per sgranchirsi.
-E tu? Qual'e il tuo segreto?Qual'è il motivo per cui sei sempre sola?-. 
Dei crampi mi invadono lo stomaco e subito vado in ansia. Ecco, ci risiamo. Cosa posso dirgli adesso? Non penso esista una risposta adeguata a questa domanda. 
Scrollo le spalle. -Nessun segreto-. 
-Tutti hanno dei segreti-. 
-Segreti, appunto-. 
Alza un sopracciglio. -Non ti facevo così furba-. 
Sorrido abbassando lo sguardo. -Posso sorprenderti-. 
Certo, e faresti una faccia da pesce lesso se ti raccontassi di ciò che mio padre mi fa ogni giorno. 
Fa una strana espressione divertita per poi sedersi nuovamente accanto a me. 
-Seriamente...-. Riprende a parlare in tono serio, appunto. -...perché non parli molto in mia presenza e non mi guardi negli occhi?-. 
-Non lo faccio solo con te, Justin. È un mio modo di fare-. 
-Strano-. Aggiunge. 
-Si, un modo di fare strano e...-. 
-E?-. Mi invita a continuare. -Puoi fidarti di me-.
Se il suo intento è quello di 'capirmi', allora non vedo perché debba ostacolarlo. 
-...E so cosa significa non essere mai apprezzata, sentirsi sempre inferiore agli altri o inutile, insignificante-. 
-È così che ti senti?-. 
Annuisco, guardando altrove. 
-Non dovresti-. 
-Ci sono mille motivi per cui dovrei, invece. E lo faccio-. 
-Non è vero. Nessuno è inutile o insignificante. Tanto meno tu, Queen-. 
Afferra una mia mano e la stringe alla sua. Sento immediatamente il vortice nello stomaco riaprirsi e ruotare velocemente provocandomi strane sensazioni di disagio misto al piacere. 
-Tu...tu non capisci-. 
-Spiegami allora-. Mi impone autoritario e impaziente. 
Esito prima di parlare, imbarazzata e disagiata. -Essere indesiderata non è mai una novità per me. È per questo che mi sono preoccupata quando mi hai accompagnata al parco tre giorni fa o quando mi hai accompagnata a casa con la caviglia slogata. Io non sono abituata a ricevere tante attenzioni, soprattutto così, una dietro l'altra. Sono abituata a ben altro e...-. 
Non posso confessargli il mio segreto, almeno non adesso e non in questo modo. 
-E...?-. 
-E...niente. Vorrei solo essere...-. Mi blocco. 
Sto facendo davvero la cosa giusta a fidarmi di lui!? Non ho mai confessato i miei sentimenti a nessuno così apertamente, neanche a Cece o a mia madre. 
-Cosa? Vorresti essere cosa?-. Domanda incuriosito e speranzoso.
-Bella, apprezzata, sicura. E invece no. Non mi sento proprio niente-. 
Alzo la testa e guardo altrove, fortemente imbarazzata. 
-Queen...-. 
Sussurra tenendo lo sguardo sul mio viso mentre io mi muovo ansiosamente, evitando il suo sguardo.
-Mh?-. 
-Queen...-. 
-Dimmi-. 
-Queen!-. Sbotta decisamente spazientito afferrando il mio viso. 
Lo gira di circa novanta gradi e fa in modo che i suoi occhi siano nei miei. Sento una vampata di calore invadermi e per l'ennesima volta le farfalle iniziano a svolazzare nel mio stomaco. 
La distanza che divide i nostri volti è così ridotta che sento il suo respiro toccare le mie labbra. Profuma di menta e tabacco. 
Percorre con gli occhi il contorno della mia bocca, del mio naso e infine ritorna nuovamente a guardare i miei occhi. 
-Ti fidi di me?-. Domanda in un sussurro. 
-S-si-. 
-Bene. Allora non sentirti più così. Non lo meriti. Ci siamo intesi?-. 
Esito prima di annuire debolmente. 
Lascia il mio viso delicatamente ritornando a guardare dinnanzi a se. 
Io faccio altrettanto. 
È una situazione abbastanza imbarazzante e penso che anche per lui sia la stessa cosa. 
Sinceramente non avrei mai pensato che mi dicesse una cosa del genere. 
Un giorno fa mi ha detto che avrebbe voluto sorprendermi. La cosa buffa è che lo fa ogni giorno, in ogni momento che trascorriamo insieme. 
-Perchè ti comporti così con me?-. Chiedo improvvisamente, chiaramente intimidita. 
-Cosa intendi?-. 
-Mi tratti premurosamente, poi mi urli contro e non mi parli per un po', arrabbiato, e infine ritorni ad essere gentile. Mi confondi-. 
Sospira. -Sin da piccolo ho avuto strani cambi d'umore improvviso-. 
-Oh, quindi ne sei consapevole-. Sussurro tra me e me.
-Cosa?-. 
-N-nulla-. 
-Hai detto davvero ciò che ho sentito?-. Domanda compiaciuto, fintamente infuriato. 
-N-no-. 
-Si, hai detto che ne sono consapevole-. Ride. 
Ecco, ci risiamo. 
Da un momento all'altro è diventato felice e contento senza dare peso e importanza al commento che ho appena fatto. Possibile che sia così...così lunatico? 
-Be', è la verità!-. Mi giustifico scrollando le spalle. 
Incurva la testa di qualche grado, osservandomi in modo persistente. 
-Che c'è?-. Domando confusa. 
-Ti sei truccata?-. 
-N-no...cioè, si. Un po'-. 
Ridacchia. -Volevi essere bella per me, ammettilo-. 
-Cosa? No!-. 
Il cambiamento d'umore di questo ragazzo mi manda in tilt e devo dire che inizia a darmi sui nervi. 
-Non mentirmi, Queen. Non c'è nulla di male se...-. 
-Non è vero!-. Lo interrompo. 
Ride di gusto. -Scherzo, non arrabbiarti-. 
-Ero semplicemente troppo pallida e per strada mi avrebbero presa per un cadavere. Così mi sono data una regolata-. Spiego. -Anche se non penso sia abbastanza per una come me-. 
Restiamo in silenzio, contemplando ciò che si estende di fronte a noi per un po'. 
-Pensandoci, sei la persona più gentile che abbia mai incontrato-. Constato pensierosa improvvisamente. 
Si volta lentamente verso di me e mi guarda leggermente spaesato e meravigliato. Sembra quasi che voglia entrare nei miei pensieri e sinceramente, se potessi, lo permetterei.
-Ne sei così sicura?-. 
-Si, credo-. Sospiro. -Nessuno mi da importanza, tu invece si. Ed è strano-. 
Ingoia la saliva e guarda altrove. Forse è una mia impressione, ma sembra alquanto imbarazzato. 
-Non ti do importanza-. Ribatte insicuro nel tono di voce e ritornando ad avere un'espressione seria in volto. -Mi piace semplicemente passare del tempo con te-. 
Sto per ribattere per domandargli perché si mostra gentile nei miei confronti e mi porta in giro con lui nella sua auto, ma poi decido di stare zitta. Non voglio che la situazione si complichi ancora di più. 
D'altronde mi ha nuovamente liquidata. La sua dolcezza e la sua premura si sono estinte e la sua freddezza e la sua scontrosità che più lo caratterizzano sono ritornate a dominare.
Guardo l'orologio. Sono le cinque e quarantacinque. 
-Io...io dovrei tornare a casa-. Annuncio in imbarazzo. 
-Oh, giusto. Abbiamo perso la cognizione del tempo-. 
Ci alziamo entrambi dal muretto e ci dirigiamo verso l'auto. 
Quando mette in moto il motore, apro il finestrino, inebriandomi di freschezza. 
Con la coda dell'occhio, noto che guida con espressione indurita e con le sopracciglia corrugate. La mascella è irrigidita e la bocca è chiusa in una linea sottile. 
Sospiro, pensando di avere combinato un altro guaio. 
Il viaggio prosegue in silenzio e quando arriviamo fuori casa mia, mi appresto a scendere dall'auto velocemente. 
Chiudo lo sportello e Justin abbassa il finestrino. Mi appoggio ad esso e sorriso intimidita. 
-Grazie...di nuovo-. 
-Quando vuoi-. Mi fa cenno con due dita. -Ci vediamo domani, Queen-. 
-A domani-. 
Mi allontano dall'auto e lo saluto con la mano mentre si allontana da casa mia. 
Rientro in casa e noto che mia madre è intenta ad osservare al di fuori della finestra con una tazza di caffè in mano. 
-Chi era quel ragazzo, Queen?-. Chiede gentilmente, sorridendomi. 
-Nessuno-. 
-Davvero?-. Alza un sopracciglio. 
Roteo gli occhi. -Mamma, è un mio amico-. 
Sospira. -D'accordo. Ma non fidarti troppo. Non bisogna mai fidarsi troppo di nessuno che non sia tua madre. Lo so per esperienza-. 
So a cosa si riferisce. 
Annuisco e le vado incontro per poi abbracciarla. 
-Abbiamo la serata libera e tranquilla-. Le ricordo mentre la stringo a me. 
-Lo so. Che ne dici di passarla fuori? Non lo facciamo da tempo!-. 
-Prendo la giacca, inizia a fare freddo-. Dico prontamente catapultandomi verso l'attaccapanni in soggiorno. 

Sarà una bella serata, me lo sento.





























Come promesso, ecco a voi la foto di Queen:

Alena Shihskova, classe 1994.


Naturalmente voi potreste immaginarla in modo differente, è questo
il bello dell'immaginazione e della fantasia. Questo è il suo tumbrl nel caso voleste vedere
altre foto: 
http://alenashishkova.tumblr.com/ Sinceramente non ve lo consiglio. La poca autostima
che avevo è scomparsa guardando le sue foto. 
Comunque, tornando al capitolo...spero di non avervi deluse e che continuiate a seguire questa 
storia. Mi farebbe piacere se mi diceste cosa ne pensate...Naturalmente
con il passare del tempo il loro rapporto si evolverà, ma per adesso voglio far uscire i lati
del loro carattere.
Continuo dopo almeno 7 recensioni!
Un bacio, notperfect xx

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Capitolo 7
*** 7 ***


7.
 


Sono passati già due giorni da quando io e mia madre abbiamo passato una bella serata fuori come ai vecchi tempi.
Troppo vecchi in realtà.
Era da circa quando avevo sette anni che non andavamo a cena fuori e passeggiavamo per le strade.
Certo, Stratford non è il massimo ma è bastata la presenza di mia madre sorridente a rendere tutto più magico e incantevole.
Sfortunatamente le cose belle finiscono in uno schiocco di dita ed io lo so sin troppo bene.
Mentre pettino i miei capelli, arruffati per i miei continui movimenti durante la notte, sento la porta di casa sbattere e un tonfo risuona in tutta la camera.
Mio padre è tornato. Che bello.
Immediatamente un vortice di paura e preoccupazione si apre nel mio stomaco e indurisco i lineamenti del mio viso per non iniziare a piangere. Prendo la borsa con i libri ed esco dalla stanza. Chiudo la porta delicatamente e mi dirigo verso la camera da letto di mia madre.
La vedo mentre agitata si veste e si sistema. Recentemente ha trovato lavoro. In realtà la signora Backy del negozio di fronte casa mia, conoscendo la nostra situazione, ha deciso di darle un lavoro come commessa. Sono sicura al cento per cento che non serve un’altra commessa in quel negozio, ma la signora Backy ha un cuore grande e un’innata intelligenza e so per certo che l’ha fatto per aiutarci non solo economicamente ma anche umanamente.
-Vieni, usciamo insieme-. Mi sussurra prendendomi per mano.
Usciamo dalla stanza e ci dirigiamo al piano di sotto.
Scendiamo le scale con passi lenti e flebili per non fare troppo rumore e scampare, almeno per oggi, l’ira di mio padre.
Mamma prende la sua borsa per poi afferrare nuvamente la mia mano e uscire di casa insieme.
Tiriamo entrambe un sospiro di sollievo per aver portato a termine la nostra missione.
-Sarà sicuramente ubriaco, non si accorgerà nemmeno della nostra assenza-. Commenta mia madre.
-Lo spero-.
-Non preoccuparti. Adesso va’ a scuola-.
Mi stampa un bacio sulla fronte e attraversa la strada raggiungendo il negozio di antiquariato.
La saluto nuovamente con la mano finchè non la vedo scomparire dietro la porta d’ingresso, dopodichè mi incammino a passo lento verso scuola.
In circa venti minuti arrivo davanti il cancello dell’edificio che dovrebbe essere la mia scuola. Ha l’aspetto di tutto, tranne che di una scuola. E’ vecchia e per poco i muri non si sgretolano.
 
 Da Cece:
Oggi non verrò a scuola. Soffrirai della mia mancanza xx
 
Leggo le sue parole per poi assumere un’espressione desolata. Seppure io e Cece non passiamo molto tempo insieme a scuola, lei mi è sempre d’aiuto. È come se fosse una sorta di garanzia per me, mi da sicurezza e fiducia.
 
A Cece:
Perché?
 
Da Cece:
Esami del sangue. Divertiti xoxo
 
Accenno un sorriso immaginando il modo in cui avrebbe detto queste parole. Lei è un vulcano di allegria e felicità. Se non ci fosse lei, sarei persa.
-Perché sorridi?-.
Una voce familiare impastata dal sonno mi porge questa domanda e quando mi volto incontro due occhi color miele meravigliosi. Sono anch’essi familiari e non me ne dispiace affatto.
-Oh, ciao Justin-. Sussuro flebile riponendo il cellulare in tasca e abbassando lo sguardo.
Non ci vediamo da due giorni e non mi saluta neanche. Fremo dalla voglia di chiedergli perché non si è presentato a scuola ma, conoscendolo, so che farei solamente un grosso guaio. Mi limiterò a chiederlo in seguito, magari a fine giornata.
-Perché stavi sorridendo?-.
Scrollo le spalle. -Ho letto un messaggio-.
-Di chi?-.
-Di…di Cece-.
Cos’è tutto quest’interesse?
­-La tua amica?-.
Annuisco.
-Bene-. Si schiarisce la voce. -In quale aula devi andare?-.
-Quella di fisica-.
-Mh, bel modo di iniziare la giornata-. Commenta sarcastico.
-Tu?-.
-Non lo so-.
-Non conosci il tuo orario scolastico?-.
Sorride. -Certo che lo conosco, piccola. Solo che non so se andare o meno-.
Mi si secca la gola per il nomignolo che ha appena usato. Tossisco guardando altrove sentendo le guance andare a fuoco.
Spero non se ne sia accorto.
Afferra un mio braccio e mi strattona facendo in modo che ritorni a guardarlo. Mi lancia un’occhiataccia, come per ricordarmi ciò che ci siamo detto due giorni fa in gelateria.
-Vedo che il livido è quasi andato via-.
Socchiude gli occhi e si avvicina di qualche centimetro al mio viso per focalizzare meglio. Accarezza delicatamente il punto in cui qualche giorno fa vi era un enorme livido violaceo dove oggi è presente una macchia scura abbastanza leggera.
-Ehm, si. Tra qualche giorno scomparirà del tutto, credo-.
-Sicuramente-.
La campanella suona e molti ragazzi si apprestano ad entrare all’interno dell’edificio. Alcuni restano appoggiati alle loro auto o a chiacchierare con altri ragazzi. Sono i fighi della scuola, i trasgressivi.
Che idioti.
-Allora io vado…-. Annuncio timidamente indicando col pollice la scuola alle mie spalle.
-D’accordo…-. Prende una sigaretta e la porta alla bocca, per poi accenderla. -…Ti aspetto all’uscita-. Fa un tiro e poi caccia il fumo, facendomi un cenno con la mano prima di girarsi e camminare verso l’uscita della scuola.
Per un attimo non capisco cosa mi ha appena mandato in tilt. I suoi movimenti così…così sexy, o la frase appena pronunciata.
Cosa significa che mi aspetterà all’uscita di scuola?
Cioè: grammaticalmente e logicamente ha un senso ma il mio cervello non riesce proprio a captare il concetto.
Lo vedo allontanarsi e quando raggiunge la sua auto, decido di voltarmi per non fare la figura della scema.
Raggiungo l’aula di fisica, mi siedo al primo banco e prendo i libri necessari per questa lezione.
Quando il professore entra in classe, i vocii dei miei compagni cesssano completamente e il silenzio vige nell’aula per tutta l’ora.
Nella mia testa però il silenzio non è proprio ciò che domina.
Penso e ripenso a Justin e ciò che mi ha detto.
Mi soffermo anche sul fatto che è venuto a scuola per poi andarsene due minuti dopo.
Intelligente da parte sua.
Anche se l’idea di marinare la scuola dovrebbe essere considerata giusta anche da me perché la fisica non è decisamente la mia materia preferita. Nessuna è la mia materia preferita.
 
Avendo Justin come chiodo fisso in testa, le sette ore di scuola, compreso il pranzo, non passano velocemente. Così quando il suono della campanella invade le mie orecchie, tiro un sospiro di sollievo e mi sento soddisfatta.
E’ strano, non mi sono mai sentita così.
A passo svelto mi dirigo verso l’uscita della scuola e sento addirittura un piccolo sorriso sbocciare sul mio volto.
Quest’utlimo però scompare quando mi scontro con un ragazzo.
-Ciao Queen-. Marcus inclina la sua testa di qualche grado e mi scruta per intimidirmi. -Ultimamente ci scontriamo parecchie volte-.
Sospiro pesantemente guardando altrove.
Noto che in lontanza c’è l’auto di Justin e lui vi è appoggiato sopra. Non mi ha ancora notata e spero non lo faccia giusto adesso.
-Non pensi sia un segno?-.
-No, n-non pen…-.
-Un segno che dovremmo divertirci un po’ insieme-. Mi interrompe.
Rabbrividisco a queste parole e bofonchio qualcosa ma, non sapendo cosa, dire mi limito a tenere lo sguardo fisso nei suoi occhi che mi guardano maliziosi e compiaciuti.
-Ci vediamo, Marcus-. Lo saluto fredda, scansandolo e proseguendo dritto.
Si volta per guardarmi andare via e sembra essere un po’ stupito del mio comportamento. Spero solamente che non mi raggiunga per farmi del male.
Noto che Justin mi sta venendo incontro e ho il presentimento che abbi assistito alla fine di quella scena pietosa.
-Cosa vi stavate dicendo?-. Domanda incuriosito e le sue sopracciglia corrugate e la sua mascella serrata mi indicano che è anche un po’ infuriato e confuso.
-N-niente-.
-Non mentirmi, Queen-.
-Ci siamo solamente salutati, nient’altro-.
-Queen…-.
-Ho detto che ci siamo solo salutati!-. Lo interrompo spazientita.
Mi meraviglio del tono di voce appena usato e abbasso lo sguardo, boccheggiando. Avevo in corpo troppi pesi ed emozioni contrastanti e tutto ciò che ho saputo fare è stato cacciarli fuori con un grido di frustrazione.
-S-scusami, io…-. Attorciglio le mie mani l’una con l’altra, innvervosita. -Non volevo parlarti in questo modo-.
Alzo lo sguardo e lo vedo mentre mi guarda confuso e stupito. Sembra che non abbia parole da dire in questo momento ma spero le trovi, e anche in fretta.
-Mi dispiace-. Sussurro nuovamente tremendamente imbarazzata.
Sono sicura che nessuno gli abbia parlato in questo modo e poi l'abbis scampata liscia. Spero solamente che faccia mente locale e che si ricordi che sono una ragazza e non un ragazzo.
-Andiamo-. Mi ordina freddo e indifferente.
Si volta e inizia a camminare verso la sua auto.
Io lo seguo a passo svelto e cerco di mantenere la sua velocità. Cosa impossibile.
Salgo in auto e allaccio la cintura di sicurezza. Lui fa altrettanto e accende lo stereo.
Il tragitto in auto prosegue abbastanza silenzioso e quando parcheggia di fronte casa mia capisco che il suo è stato solo un atto di gentilezza. Speravo mi portasse da qualche parte, ma sinceramente mi sento sollevata.
Passare del tempo con lui in un’atmosfera così tesa e critica avrebbe complicato la situazione che c’è solitamente tra me e lui.
-G-grazie per avermi accompagnata-.
Scendo dall’auto con movimenti impacciati e lo saluto timidamente.
Lui non accenna a fare né a dire nulla così mi volto e vado verso la porta di casa.
A metà viale percorso, sento il rumore del finestrino abbassarsi e la sua voce mi giunge all’orecchio.
-Queen, voltati-.
Faccio come mi dice.
Mi scruta qualche secondo prima di aprire nuovamente la bocca.
-Stasera ti passo a prendere verso le otto-. Prende una pausa rimanendo impassibile. -È un appuntamento-.
 
 
 
 
 
 
 
So che è passato molto tempo e mi dispiace,
ma ecco a voi il capitolo!
Spero vi sia piaciuto perché continuerò
dopo 5 recensioni! Accetto anche critiche o
quant’altro.
Un bacio, notperfect xx 

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Capitolo 8
*** 8 ***


8.
 

-Pronto?-.
La voce stridula di Cece mi rimbomba nelle orecchie provocandomi un leggero fastidio, tanto che sono costretta ad allontanare il telefono dal mio orecchio per qualche istante.
-Ehi, Cece-.
-Queen!Come stai?-.
-Sto bene. E tu?-.
-Me la cavo. Sicura di star bene?-.
-Si, Cece. Tutto okay-.
-Mh…allora, vuoi dirmi qualcosa?-.
Inizio a camminare avanti e indietro per la mia camera da letto, attorcigliando l’orlo della maglietta che indosso con la mano sinistra. Sento il nervosismo crescere in me e una strana sensazione di ansia e preoccupazione.
Perché provo tutto questo se devo solo farle un’innocua domanda?
-Queen?-.
Cece mi riporta alla realtà e sembra essere curiosa e interessata a ciò che sto per dirle.
-Be’, mi chiedevo se…se potevi venire con me in quel negozio vicino casa tua. Quello di cui parli sempre-.
Stasera ho il famoso appuntamento con Justin e non ho nulla da indossare. Non voglio mettere il solito jeans con una banale t-shirt. Certo, non voglio neanche indossare un mini abito aderente provocante. Voglio solo cambiare un po’ il mio look e apparire più alla moda, se mi è possibile.
Sospiro pesantemente e spero vivamente in un ‘si’ da parte sua.
Dopo qualche secondo non ha ancora detto nulla così mi appresto a farlo io.
-Cece? Ci sei?-.
-Queen White sta davvero parlando di shopping?-. Esclama entusiasta ed esaltata e di nuovo sono costretta ad allontanare il cellulare dal mio orecchio destro.
Mi schiarisco la voce. -Ehm, si-.
-Questo è un miracolo!-.
-Non esagerare, non è la prima volta che faccio shopping-.
-Certo ma tu lo fai per necessità…aspetta-.  Si ferma di sbotto e assume un tono di voce insospettito. -Tu fai shopping per necessità: qual è questa necessita adesso?-.
Ecco.
E adesso cosa le dico?
-Nessuna necessità, Cece. Voglio solo rimodernare il mio armadio. È da tanto che non ci infilo qualcosa di nuovo e all’avanguardia-.
-Non mentirmi, Queen. Capisco quando lo fai e l’hai appena fatto-.
Sbuffo pesantemente e mi butto a peso morto sul letto.
Come fa a scoprirmi sempre?
-Allora? Qual è il motivo di questa tua inconsueta voglia di fare shopping?-.
­Sospiro. -Ho…diciamo…ho tipo un appuntamento-.
-Cosa? Con chi?-.
-Con un ragazzo-.
-Certo Queen, l’avevo capito. Intendo il nome del ragazzo in questione!-.
-Oh…-. Sussulto. -Non penso tu lo conosca. È al mio stesso corso di…di astronomia. Non l’hai mai visto-.
-Ne sei sicura?-.
-Si. Te lo farò conoscere-.
-Naturalmente!-. Esclama pimpante. -Allora passo a prenderti tra un quarto d’ora, d’accordo?-.
-D’accordo. Grazie-.
-Questo ed altro per te!-.
Stacco la chiamata e mi alzo dal letto. Vado in bagno e mi rinfresco un po’ il viso con l’intento di dare più colorito al mio volto.
So perfettamente che Cece mi riempirà di domande e mi stresserà tutto il tempo parlando di cose che a me non interessano minimamente, tipo lo smalto da mettere in tinta col vestito.
Esco dalla mia camera e vado in quella di mia madre. Chiudo cautamente la porta alle mie spalle per evitare che mio padre capti i nostri movimenti dal piano di sotto.
Mamma è appena tornata dal negozio della signora Backy e sono sicura che in queste ore in cui ha lavorato si è sentita bene, libera.
-Mamma-. La chiamo facendo in modo che si volti verso di me.
Si gira e mi invia un tenero sorriso che mi scioglie il cuore. Vedo nei suoi occhi tristezza, dolore e sofferenza e so anche che lei si sente anche in colpa di ciò che ci succede ogni giorno. Eppure tenta di nascondere tutto con un sorriso ma non le riesce bene, almeno non con me.
-Ehi, Queen. Com’è andata oggi a scuola?-.
-Bene. Con il lavoro invece?-.
-Mh, bene. La signora Backy è davvero gentile-.
-Si, lo so. Sicura di star bene?-.
-Si, tutto bene-.
Annuisco incerta.
-Allora, vuoi dirmi qualcosa?-.
-Ehm si-.
-Dimmi-. Si siede sul letto e mi osserva con amore.
-Posso…posso fare shopping con Cece questo pomeriggio?-.
Esita prima di rispondere. -Certo che puoi. Hai bisogno di soldi?-.
-No, ho dei risparmi-.
-Allora è tutto apposto-.
-Si, ma beh…ecco…questa sera farò tardi-.
Aggrotta le sopracciglia e assume una strana espressione confusa.
-Perchè?-.
-Perché io Cece andiamo al cinema ma guardiamo l’ultimo spettacolo perché prima andremo a mangiare una pizza-. Mento.
Sospiro pesantemente per poi ritornare a parlare. -So che non ti piace essere sola a casa, ma ti prometto che questà sarà la prima e ultima volta che…-.
-Queen, è tutto okay-. Mi interrompe calma. -E’ giusto che tu viva la tua vita da diciassettenne e non mi stupirebbe se adesso tu mi stia mentendo e che non è Cece la persona con la quale passerai la serata-.
Trattengo il respiro e sgrano gli occhi. -C-cosa?-.
Sorride. -Ho quarant’anni, non ottanta. Capisco ancora e sono ancora cosciente. Non mi ci vuole molto per capire quando mia figlia mi mente-.
-Io…insomma…-.
-Puoi andare, Queen. Ci vediamo stasera ma quando torni a casa vieni in camera mia, okay? Voglio dormire con te-.
Annuisco sorridendo allegramente e le vado incontro per abbracciarla.  So quanto amore e affetto vorrebbe mostrarmi ma non è nella sua natura per il dolore e le cattiverie che ha subito in passato e continua a subire.
Ci stacchiamo ed io a passo svelto esco dalla stanza.
Prendo la borsa ed esco di casa notando solo qualche minuto dopo che mio padre non era seduto in soggiorno.
Mi siedo sul marciapiede, aspettando Cece.
In questo lasso di tempo di circa cinque minuti non faccio altro che pensare a Justin. È strano perché io ho un miliardo di problemi e preoccupazioni a cui dare conto eppure mi riduco sempre ad avere lui in mente.
Il clacson dell’auto di Cece mi riporta alla realtà così sono costretta ad alzarmi e a raggiungerla in auto.
 
-Questo è perfetto!-. Esclama esalatata Cece indicando allo specchio il mio corpo coperto da un vestito pagliettato color verde acqua.
-Mh, non penso proprio-.
-Stai benissimo. Sei così sexy-.
Ridacchio. -Ne proverò un altro. Questo non mi convince-.
In realtà è osceno ed è troppo pacchiano per i miei gusti. Se andassi conciata in questo modo all’appuntamento, Justin riderebbe di me e le persone per strada mi confonderebbero per un fenomeno da circo.
-Prova questo-. Mi porge l’ennesimo mini abito color pesca.
Scuoto la testa.
-Andiamo! Ti starà a pennello!-.
-Non mi piace-. Sospiro. -Non mi si addice questo genere e a me non piace per niente-.
-Stai dicendo che non ti piace il mio stile?-.
Bofonchio spaesata. -N-no. Ma a me non sta bene, al contrario tu sei fantastica con abiti del genere-.
-Chi ti dice che a te non stia bene?-.
-Io!-. sbuffo. -Io opterei per qualcosa del genere-.
Afferro dagli abiti esposti un jeans a cavallo basso con effetto consumato. Non è il massimo dell’eleganza ma almeno so che mi sentirò a mio agio.
Cece fa una strana smorfia stupita e nausetata al tempo stesso.
-Sul serio?-. Domanda scettica.
-Si-.
Osserva attentamente il capo che ho tra le mani e sembra pensarci su. Esita qualche istante prima di aprire bocca.
-Mh, va bene. Se a te piace…e poi non è male se indossi un top particolare-.
Sospiro sollevata.
 
Alle otto in punto sono già pronta e aspetto vicino la porta di casa che un fuoristrada nero parcheggi nel mio viale. Guardo insistentemente l’orologio e noto che i minuti passano e di Justin non c’è ancora nessuna traccia.
Penso e ripenso ai congisli di Cece.
‘Sii te stessa e divertiti’ mi ha detto qualche ora fa prima che io scendessi dalla sua macchina
Sa che non sono esperta in questo genere di cose e si è mostrata molto comprensiva e disponibile. Mi ha anche portata in profumeria per comprare dei trucchi nuovi e un nuovo profumo appena uscito. Devo ammettere che è fantastico e anche il mascara maxi volume che mi ha consigliato è davvero incredibile. Adesso ho delle ciglia lunghissime e voluminose.
Improvvisamente vedo dei fari di un auto illuminare il mio quartiere e Justin scendere dall’auto.
Si crea un vortice di panico e paura nel mio stomaco che man mano si dilata in tutto il corpo. Decido di aspettare in casa fin quando non busserà al campanello di casa. Così mi allontano per apparire disinvolta e tranquilla.
Fortunatamente papà non è ancora tornato in casa così sono sicura che non succederà nulla di grave.
Da un angolo della finestra riesco a vederlo mentre si avvicina alla porta di casa con la sua solita camminata disinvolta, facendo muovere le sue spalle ingentemente e la collana che indossa sempre segue i loro movimenti. Si passa una mano tra i capelli e dopodichè non riesco più a vederlo perché è arrivato alla porta.
Ci risiamo: le farfalle hanno ripreso a volare nel mio stomaco.
Il campanello suona ed io aspetto circa un minuto prima di aprire.
-Ciao-. Sorrido imbarazzata guardando altrove.
-Ciao-. Risponde in tono serio mantenendo lo sguardo fisso su di me.
Afferra il mio viso e fa in modo che lo guardi negli occhi.
-Ora va meglio-. Commenta avvicinandosi per poi stampare un bacio sulla mia guancia.
Una scarica elettrica percorre la mia schiena provocandomi dei brividi dappertutto. Spero che Dio mi conceda la forza di affrontare questa serata.
Si volta e inizia a camminare verso la sua auto facendo cenno col capo di seguirlo.
Saliamo in macchina e dopo aver allacciato le cinture di sicurezza mette in moto e sgomma velocemente verso chissà dove.
-Dove…dove andiamo?-. Chiedo flebilmente guardando fuori dal finestrino.
-Queen, qual è la regola numero uno?-.
Sospiro. -Okay, non farò domande-.
Ride scuotendo la testa, apparentemente divertito e compiaciuto. Scappa un sorriso anche a me così mi sento costretta ad abbassare la testa sulle mie ginocchia e iniziare a contorcere le mie mani l’una con l’altra.
-Allora? Cos’hai fatto questo pomeriggio?-. Domanda improvvisamente rompendo il silenzio.
-Sono stata con Cece-.
-Cos’avete fatto?-.
-Shopping. In realtà lei ha fatto shopping per me-.
-Non ti piace fare shopping?-.
-Diciamo che non è il mio passatempo preferito-.
Sorride, io guardo altrove.
-Perché tu puoi fare domande e io no? Anche tu dovresti rispettare quella regola-. Constato continuando a guardare fuori.
Esita prima di parlare. -Mi hai fatto una domanda, dovresti rispettare la regola numero uno-.
-Tu non lo fai mai-. Mi giro verso di lui e osservo i suoi lineamenti perfetti.
-Io posso non rispettarla perché l’ho idealizzata io-. Si volta verso di me con un sorriso sincero sulle labbra e un’espressione divertita sul viso.
-Mi stai prendendo in giro, smettila-.
Ride. -Non pensavo ti arrabbiassi-.
-Sono una persona umana, è nella mia natura essere arrabbiata alcune volte-.
-Ma tu sei diversa-.
Trattengo il respiro e mi giro lentamente di nuovo verso il finestrino. Mi viene spontaneo volergli chiedere cosa intende con questa affermazione ma so che provocherei la sua rabbia e il suo fastidio così non dico nulla e resto in silenzio fin quando non arriviamo davanti ad un edificio enorme e altissimo con su scritto ‘Bruce’s’. Penso sia un ristorante.
Scendiamo entrambi dall’auto e Justin mi raggiunge. Chiude al posto mio la portiera e crea un piccolo contatto tra la sua mano e il mio fianco come se voglia indicarmi la strada da seguire.
Entriamo nel ristorante e subito un cameriere ci raggiunge. Quest’utlimo ci scorta ad un tavolo in un angolino. È uno dei pochi ad essere vicino alla finestra così possiamo vedere anche cosa succede al di fuori del ristorante.
-Spero ti piaccia il cibo italiano-. Dice sistemandosi per bene sulla sedia.
Ha lo sguardo fisso su di me e come sempre io mi sento andare a fuoco.
-In realtà è il mio preferito-.
-Oh, quindi ho fatto centro-.
Annuisco timidamente guardandomi attorno.
È un ristorante davvero carino, è intimo e accogliente e il vocio degli altri clienti fa in modo che solo io e Justin sentiamo ciò che ci diciamo. Il trambusto funge da privacy anche se sembra il contrario.
-Questo ristorante era di mio nonno-. Annuncia improvvisamente in tono fiero. -Quand’è morto però ha cambiato gestione ma la mia famiglia ha fatto in modo che mantenesse il suo nome originario-.
-Tuo nonno si chiamava Bruce?-.
-Si. Era un uomo davvero in gamba-.
Non sapendo cosa dire mi limito ad annuire flebilmente accennando un tenero sorriso.
-Sai Queen…-. Esclama improvvisamente come se voglia spezzare l’atmosfera di imbarazzo che si è creata. -L’altro giorno stavo pensando a ciò che mi hai detto in veranda sul lago e in gelateria e un po’ in questi giorni-.
-A cosa…cosa ti riferisci?-.
-Hai detto che ti senti inferiore, invisibile. Che nessuno ti ha mai dedicato molte attenzioni e che non sei abituata a riceverne. Che vorresti avere un’altra vita e che ti senti sempre indesiderata-.
Ingoio la saliva alzando lo sguardo su di lui. Sono curiosa di ciò che dirà.
-Be’…-. Riprende. -Ho elaborato una mia teoria-.
-Una teoria?-.
-Si, una teoria-. Bagna le sue labbra con la lingua. -Pensa agli elettroni. Loro hanno un peso piccolissimo, sono invisibili ad occhio nudo e spesso sono causa di danni. Eppure se non ci fossero loro, un atomo non avrebbe alcun valore. La vita di una persona non avrebbe senso! Capisci cosa intendo?-.
Trattengo il respiro e penso di aver assunto un’espressione alquanto stupita e confusa.
-Penso di si ma…-.
-Ma?-.
-Ma non penso sia la stessa cosa con me. Io non sono fondamentale-.
-Pensa ai tuoi genitori, loro non riuscirebbero a vivere senza te. Pensa a tua madre, a tuo padre…-.
Un nodo si forma in gola e inizio a sudare i palmi delle mani.
-…loro non sarebbero felici se tu non fossi con loro, no?-.
-S-si-.
-Ecco, vedi. Dovresti iniziare a pensare in modo più positivo e guardare il bicchiere mezzo pieno anzicchè mezzo vuoto-.
Scrolla le spalle prendendo il bicchiere colmo d’acqua e portandoselo alla bocca in modo menefreghista.
Sinceramente sono un po’ meravigliata di ciò che mi ha appena detto. Insomma…si è mostrato così gentile, così disponibile e, se posso dirlo, anche dolce. Ed è strano perché qualche ora fa non mi ha degnato neanche di uno sguardo né di una parola quando sono scesa dalla sua auto. Si può dire che sembrava quasi che volesse non avermi mai conosciuta.
Un cameriere raggiunge il nostro tavolo e chiede le nostre ordinazioni, dopodichè ci lascia nuovamente soli.
-Perché non parli?-. Domanda sbuffando.
-Non ho molto da dire-.
-Nessuno ti ha mai detto che in compagnia di qualcuno la cosa migliore da fare è avviare una conversazione anzicchè stare in silenzio?-.
-Non ho niente da…-.
-Pensavo avessi capito che di me puoi fidarti-.
-Io mi fido-.
-Se ti fidassi, ora mi parleresti di ciò che ti è successo in questi giorni-.
-Ma…-.
-…O di cosa hai in programma per domani, o…-.
-Perché sei così ostinato a volerlo sapere e a volere che mi fidi di te? Ci conosciamo da…da cinque giorni e mi dispiace che tu stia perdendo tempo per me-.
Mi scruta attentamente e noto che con lo sguardo segue ogni mio lineamento soffermandosi soprattutto sulle mie labbra. Sento le mie guance arrossire e un scarica elettrica invadermi la schiena. Mi sento a disagio e tutto ciò che vorrei fare in questo momento è alzarmi da questo tavolo e andare a piangere in bagno. Non mi piace quando le persone mi opprimono in questo modo e mi spingono ai miei limiti.
-Hai ragione. Non so neanche io perché stia perdendo tempo-. Constata freddo.
Abbasso lo sguardo e poi lo rialzo su di lui. Chiudo la bocca in una linea sottile e annuisco mestamente.
Passano circa cinque minuti in cui né io né lui diciamo qualcosa. Ci limitiamo a guardarci intorno senza mai incontrare i nostri sguardi. È molto infantile da parte nostra e soprattutto molto imbarazzante.
-Ecco a voi-. La voce del cameriere ci riporta alla realtà.
Quest’ultimo appoggia due piatti sul nostro tavolo per poi scomparire nuovamente.
Mangiamo in silenzio senza degnarci di uno sguardo e quando abbiamo entrambi terminato Justin si alza prontamente da tavolo come se stare seduto a tavola con me fosse un pegno, un dispiacere.
Mi sento sempre più insignificante.
Proseguiamo verso l’uscita del ristorante e Justin si ferma qualche secondo alla cassa per pagare quel poco che abbiamo consumato. Io continuo a camminare trovandomi all’esterno dell’edificio. Mi avvio verso la macchina strofinando le braccia con le mani per il vento che sta iniziando a soffiare sempre più forte.
-Queen-. Justin afferra un mio braccio.
Sono costretta a fermarmi e, facendo leva, riesce a girarmi verso di lui.
Sento una strana sensazione allo stomaco non appena incontro quei due occhi color miele che mi guardano con espressione indecifrabile.
-Mi dispiace per ciò che ti ho detto-. Si bagna le labbra con la lingua alzando gli occhi per poi abbassarli nuovamente. -Non avrei dovuto dirti quelle cose-.
Abbasso la testa non dicendo nulla.
-Ascolta…-. Afferra il mio mento e fa in modo che lo guardi. -…non è vero che sto perdendo tempo con te solo che pensavo…pensavo fossimo amici e ci fidassimo l’uno dell’altra. Ma tu non mi dai un buon motivo per crederci-.
Amici.
Solo amici.
-Io ti ho parlato dei mie sentimenti e di come mi sento solitamente. Cos’altro dovrei fare?-. Ribatto flebilmente, sentendomi persa guardando nei suoi occhi.
-Lo so ma…ma vorrei che tu fossi a tuo agio quando stai con me. Che mi parlassi come parli solitamente ad un tuo amico e non come se ti sentissi fuori posto-.
-Mi dispiace-.
Rotea gli occhi. -Queen? Cosa abbiamo detto del chiedere scusa? I ‘scusa’ e i ‘mi dispiace’ lasciali da parte per un po’. Almeno con me-.
-Si ma…-.
-Niente ma. Adesso vieni con me-.
Mi afferra una mano e mi trascina con lui di nuovo verso il ristorante. Raggiungiamo il retro e saliamo le scale d’emergenza fino all’ultimo piano, un terrazzo enorme che sembra essere stato dimenticato dal mondo.
Mi aiuta a saltare il dislivello che c’è tra la fine delle scale e il gradino del terrazzo per poi proseguire avanti a me.
Lo seguo e quando si ferma di sbotto, lo faccio anch’io andando a sbattere contro la sua schiena.
-Scusa-. Sussurro.
Sorride girandosi verso di me. -Niente scuse-.
Alzo le mani in segno di scuse -appunto- e annuisco debolmente.
Ride e si volta di nuovo davanti a se. Afferra la mia mano e fa in modo che anch’io raggiunga la sua posizione così che entrambi abbiamo la stessa visuale.
-Quando il ristorante era di mio nonno ed io ero piccolo, venivo sempre qui su con la musica alle orecchie mangiando il gelato e guardando le stelle-. Spiega guardandosi attorno.
Osservo il suo viso calmo e rilassato. È così bello quando è tranquillo.
-Qui dovrebbero esserci dei gelati. Solitamente i camerieri li mettono in questa cella frigorifera, dovrebbe funzionare ancora-.
Si avvicina ad un grande contenitore bianco incollato al muro vicino ad una porta che probabilmente porta giù al ristorante.
Facendo forza riesce ad aprirlo ed estrae una vaschetta di gelato alla nocciola. Prende due cucchiai di plastica contenuti in quelle bustine che solitamente escono con i gelati confezionati, e me ne porge uno.
Chiude nuovamente la cella frigorifera e, prendendo la mia mano, mi trascina verso il centro del terrazzo. Si siede a terra e mi indica di imitarlo. Così faccio.
-Non c’è una bella vista, ma è carino stare qui-. Scrolla le spalle aprendo la vaschetta di gelato.
-Però manca la musica-.
Alza lo sguardo su di me, forse sorpreso per le mie parole.
Mi sorride. -Hai ragione. Potrei cantare io per te-.
-Eviterei-.
-Dubiti del mio talento?-.
-Ehm…-.
-Non dovresti pensarci, la risposta è no!-.
Rido portando una mano alla bocca. Da quanto non lo faccio?
-Aspettami qui-. Si alza e va vero le scale.
-Dove vai?-.
-Regola numero uno, Queen!-.
Roteo gli occhi, sbuffando. Non cambierà mai a differenza del suo umore che continua ad essere vulnerabile.
Mi guardo attorno spaesata per poi ritornare a guardare in basso le mie mani. Inizio a contorcerle com’è mio solito fare quando sono nervosa ma questa volta non è il nervosismo che mi spinge a farlo, ma la voglia di vedere nuovamente Justin.
Improvvisamente sento della musica farsi sempre più alta provenire dal basso dell’edificio. Mi alzo ma prima che possa sporgermi dal terrazzo per capire cosa sta succedendo, mi sento afferrare il punto vita da dietro.
Mi volto e vedo Justin che mi sorride e sembra essere abbastanza affannato forse per le scale appena percorse velocemente.
Sento un brivido alla schiena a quel contatto e nuovamente le farfalle iniziano a svolazzare felici nel mio stomaco. Le farfalle non vanno in letargo?
Be’, dovrebbero.
-Da dove viene questa musica?-. Domando sorridendo.
-Dalla mia auto-.
-Ma così daremo fastidio ai clienti del ristorante-.
-Non c’è nessun problema, piccola. Ho chiuso l’auto e se i camerieri del ristorante vogliono spegnere lo stereo non ci riusciranno e non si accorgeranno di noi. Nessuno immaginerebbe che i proprietari di quell’auto sono qui sopra-.
Sorrido nuovamente e questa volta emetto una specie di risata.
Justin mi trascina verso il centro dove abbiamo lasciato il gelato e i due cucchiai. Ci sediamo in quel punto e afferriamo i nostri cucchiai.
-Tu per prima-. Mi porge la vaschetta di gelato e fa un movimento col capo indicandomi di mangiarlo.
Scrollo le spalle e faccio ciò che mi dice.
-Ti piace?-.
-Si, è a nocciola. È il mio gusto preferito-.
-Lo immaginavo-.
Immerge anche lui il suo cucchiaio nel gelato e lo porta alla bocca, assaporandolo. Questo gesto si ripete per altre moltissime volte fin quando la mia mente non inizia a schematizzarlo come ‘movimento sexy’.
Sto impazzendo, sul serio.
-Tra poco scoppio-. Confermo posando il cucchiaio alla mia destra sul pavimento.
-Ma se hai mangiato solo tre cucchiai semi pieni!-.
-Ho mangiato parecchio prima-.
-Un piatto di spaghetti ti riempie così tanto?-.
Annuisco con movimenti da bambina, per poi abbassare lo sguardo.
-Devi mangiare di più, sei magrissima-. Constata divertito avvicinando il suo cucchiaio colmo di gelato alla mia bocca.
Afferra il mio viso e lo tiene fermo come se voglia che lo mangi per forza.
Lo scanso e inizio a ridere. Sono anche meravigliata del fatto che abbia avvicinato il suo cucchiaio alla mia bocca. Insomma…è strano.
-Smettila-. Gli intimo con tono alquanto infantile.
Sembro una bambina di tre anni che fa i capricci.
-D’accordo, d’accordo-.
La musica continua ad invadere l’intera aerea del ristorante arrivando fino alle nostre orecchie. Iniziamo a sentire anche qualcuno che urla, lamentandosi per il volume troppo alto e tutto ciò che Justin ed io facciamo è ridere di ciò che dicono, comprese le parolacce.
-Si scocceranno di urlare-. Afferma Justin menefreghista.
-La musica copre anche le loro urla-.
-Già…-.
Passano alcuni minuti di silenzio ma sinceramente non mi sento in imbarazzo. Per niente.
-Justin, posso farti una domanda?-. Chiedo improvvisamente.
Annuisce iniziando a scrutarmi accuratamente.
-Perché non sei venuto a scuola in questi due giorni?-.
Bagna le labbra con la lingua e si passa una mano tra i capelli. Mi sento in paradiso.
-Sono stato da mio padre-.
Aggrotto le sopracciglia, confusa. Cosa significa?
-I miei genitori sono divorziati-. Spiega come se io stessa gli abbia posto la domanda che avevo in mente.
-Oh…-.
-Io vivo con mia madre qui a Stratford. Mio padre ha una nuova famiglia ad Atlanta ed ogni tanto passo dei giorni con lui e i mie fratellastri-.
-Hai dei fratellastri?-.
-Si, due. Jazzy e Jaxon. Sono piccoli e nonostante non abbiano la mia stessa madre, per loro farei di tutto-.
Sorrido dolcemente, annuendo comprensiva.
In fondo Justin è un ragazzo in gamba e intelligente. Ha elaborato una ‘teoria’ per il mio stato d’animo e esprime i suoi sentimenti dimostrando di avere un gran cuore e una gran pazienza.
-A cosa pensi?-. Domanda improvvisamente.
-Eh? Cosa?-.
-Sembri star pensando a qualcosa-.
-Oh, nient…-.
-Non mentirmi, capisco quando lo fai-.
Abbasso lo sguardo imbarazzata. -Pensavo che…-.
-Che?-.
-Che sei in gamba. Non sei stupido come pensavo-.
-Cosa?-. Esclama divertito e fintamente arrabbiato.
-Be’, si…-.
-Pensavi fossi stupido?-.
-Si, cioè…no. Forse un pochino ma non eccessivamente-. Rido contagiando anche lui.
-Hai una bella risata-. Commenta.
Prima che possa dire qualcosa sentiamo dei passi salire le scale e subito ci alziamo in piedi.
-Ci hanno scoperti-.
Justin afferra la mia mano e mi trascina verso la porta che conduce giù al ristorante. Scendiamo velocemente le scale e quasi cado mentre Justin affretta sempre di più i suoi passi.
La fine delle scale porta in cucina. Usciamo da lì e corriamo tra i clienti che si stanno ancora lamentando della musica troppo alta proveniente da fuori.
Usciamo dall’edificio e, sotto lo sguardo confuso e infuriato di alcuni camerieri, saliamo in macchina.
-Eccoli!-. Esclama uno di loro indicandoci.
Io e Justin ci guardiamo in faccia per poi scoppiare a ridere.
Mette in moto l’auto e ci allontaniamo dal ristorante sentendo ancora alcune urla di disprezzo da parte di quei camerieri alquanto infuriati.
-Che ore sono?-. Chiedo.
-Mezzanotte-.
Sgrano gli occhi. -Io…io devo tornare a casa-.
-Hai il coprifuoco?-.
-Si e i miei genitori sono abbastanza rigidi su questo-.
-Oh, d’accordo. Ti riaccompagno-.
-Grazie-.
Dopo circa dieci minuti Justin parcheggia l’auto davanti casa mia. Ci sono ancora due luci accese in camera di mia madre e giù in soggiorno così capisco che sono in due stanza separate e mio padre non le sta facendo del male.
Scendo frettolosamente dall’auto e prima di chiudere la portiera, alzo lo sguardo verso Justin.
-Non so come ringraziarti per stasera. Mi sono divertita-.
Accenna un piccolo sorriso. Penso sia felice di ciò che gli ho appena detto ma che tenti di nasconderlo. Lui è troppo orgoglioso e ho capito fin troppo bene che non vuole mai mostrarsi vulnerabile e non vuole mai cedere alle sue emozioni.
-Mi basta rivederti-.
Ingoio pesantemente la saliva ma non do a vedere lo stupore e lo shock che ho appena provato nell’udire queste sue parole. Spero solo di aver sentito bene.
-Ci vediamo domani, Queen-.
-A domani-.
Chiudo lo sportello dell’auto e aspetto che scompaia alla fine della strada prima di voltarmi e raggiungere la porta di casa. Mi sento così felice che mi vien voglia di intonare la melodia della canzone che stavamo ascoltando in terrazza.
Entro in casa e subito un’energia negativa si impossessa di me, come se la felicità provata con Justin non sia niente.
Vedo mio padre dormire davanti alla tv accesa con qualche birra vuota sul tavolino. Vado poi in camera mia. Mi svesto e indosso il pigiama.
Prima che esca dalla mia stanza per raggiungere quella di mia madre, il cellulare vibra.
 
Da: Justin
Buonanotte xx
 
Tremo leggendo questa semplice parole e un enorme sorriso si increspa sulle mie labbra. Digito velocemente la mia risposta.
 
A: Justin
Notte xxx
 
Poso il cellulare sul mio comodino, mettendolo in carica. Esco dalla mia stanza e vado in quella di mia madre. C’è ancora la luce accesa mentre lei è sdraiata sul letto guardando la tv.
-Mi dispiace aver fatto così tardi-. Dico dispiaciuta avvicinandomi al letto.
-Non devi dispiacerti. Meriti un po’ di divertimento-.
Mi sdraio accanto a lei e l’abbraccio forte.
-Ti ha toccata?-. Le chiedo speranzosa.
-No, ha dormito tutto il tempo-.
Aumento la stretta sul suo corpo e poi afferro il telecomando della tv per spegnerla.
Spengo anche la luce e mi stendo sul lato sinistro, il lato sul quale riesco a dormire.
Spero vivamente che domani sia un giorno altrettanto interessante.
 
 
 
 


Come avete potuto notare, man mano
il rapporto tra Justin e Queen inizia ad
evolversi e ad essere più…normale. Lei ride di più
e si sente sempre più a suo agio con lui. Tuttavia
i colpi di scena non mancheranno nei prossimi capitoli!
Fatemi sapere cosa ne pensate, accetto anche le critiche e
recensioni negative!
Continuo non appena questo capitolo riceverà 5
recensione!
ps: c'è qualcuno che è su instagram? Chi vuole essere seguito, ricambiando, mi contatti in posta!
Un bacio, notperfect xx 

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Capitolo 9
*** 9 ***


9.
 


L’amicizia tra me e Justin si sta ormai rafforzando man mano che i giorni passano. Mi ha raccontato parecchie cose del suo passato e molto spesso mi dice ciò che fa nel pomeriggio senza che io glielo chieda. Al contrario, io mi mostro molto chiusa e riservata. So che di lui posso fidarmi, me l’ha dimostrato e me l’ha anche detto ma sinceramente non mi sento pronta a rivelargli il mio segreto. Solitamente le persone iniziano a conoscere la mia situazione da altre fonti o indirettamente, non ho mai riferito faccia a faccia ciò che mi succede ogni giorno a nessuno e non so se inizierò proprio con Justin. Mi sembra una persona un po’ lunatica e vulnerabile. È strano alcune volte ma è una brava persona in fondo anche se in giro si dice il contrario.
Cece mi ha appena informata che per tutto il fine settimana sarà ad Orlando in Florida dai suoi nonni con i suoi genitori. Come si fa ad avere i nonni ad Orlando e vivere in un paesino come Stratford? È contro le regole umane. Chi idiota eviterebbe una città come Orlando per una come Stratford?
Be’, la risposta è evidente e abbastanza chiara. Chiarissima.
Sono sdraiata sul letto in camera mia e quando il cellulare vibra sono costretta ad alzarmi a malincuore e a raggiungere la borsa appoggiata sulla scrivania.
Penso sia un messaggio ma quando recupero il cellulare mi accorgo che è una chiamata da parte di Justin.
-Pronto?-.  Dico in un sussurro abbastanza intimidita.
Certo, ci conosciamo da circa una settimana e qualche giorno ma io provo sempre un po’ di imbarazzo nei suoi confronti.
-Ehi Queen, sto venendo a prenderti. Sei vestita?-.
-C-cosa? A prendermi? Per andare dove?-. Sbuffo. -Aspetta, la regola numero uno-. Straluno gli occhi anche se lui non può vedermi.
Ride. -Brava, inizi ad imparare-.
-Meno male-.
-Comunque sii pronta in cinque minuti. Non voglio aspettare-.
Stacca la chiamata e mi lascia sbalordita, confusa, infastidita e rassegnata. Non cambierà mai i suoi modi di fare, poco ma sicuro.
In cinque minuti riesco a darmi una regolata ed esco dalla mia camera.Mamma è dalla signora Backy così sono molto più tranquilla. So che cenerà da lei e questo mi rassicura parecchio.
Scendo le scale lentamente e mi affaccio in soggiorno per controllare se mio padre è seduto al suo solito posto.
Non c’è ed è strano perché non l’ho visto uscire di casa.
Sospiro rassicurata quando improvvisamente mi sento tirare i capelli dalle spalle.
-Dove credi di andare?-. Chiede la voce familiare di mio padre solleticandomi il collo.
Il suo alito emana odore di alcool come sempre e questa volta anche di tabacco. Bene, mix perfetto.
-Io…io devo andare a scuola. C’è un progetto di pomeriggio-.
-Questo progetto include anche il ragazzo che è nell’auto parcheggiata qui fuori?-.
Stringe la stretta con tutta la sua forza ed io sento il dolore crescere sempre di più. Inizio a lacrimare e a respirare con affanno.
-No, lui mi accompagna solamente. Frequentiamo le stesse classi-.
-Oh, pensavo che la mia piccola e tenera Queen avesse un ragazzo-. Mi alita minacciosamente e con finta premura sul collo. -Che peccato. Ma lascia che un giorno di questi entri in casa, cosi che possa conoscerlo. Non mi importa se sia il tuo fidanzato o meno-.
-D-d’accordo-.
Mi lascia i capelli spingendomi verso il tavolino che è all’ingresso. Sbatto contro al muro e con il bacino faccio cadere alcune cornici appoggiate al tavolino.
-Raccogli cos’hai fatto cadere, imbranata-. Mi da un calcio per poi scomparire in soggiorno.
Mi asciugo le lacrime e, gattonando, racimolo tutto ciò che è caduto. Mi alzo a fatica mantenendomi ai piedi del tavolino e poi, ricomponendomi, esco di casa.
Tiro su col naso e mi passo una mano tra i capelli. Mantengo lo sguardo basso fin quando non arrivo alla macchina.
Spero solamente che Justin non si accorga del mio stato di shock.
Apro lo sportello dell’auto.
-Non mi piace aspettare-. Getta la sigaretta sull’asfalto per poi chiudere il finestrino.
-S-scusami, non volevo farti aspettare così tanto-.
-Oh, ne…-. Si blocca improvvisamente voltandosi verso di me come se abbia appena avuto un colpo di genio.
-Stavi piangendo?-.
-N-no-.
-Perché hai la voce tremolante?-.
-Ho sempre la voce così-.
-No, non è vero-.
-Si e comunque non è tremolante-.
-Non prendermi in giro-.
-Non stavo piangendo, smettila di farmi queste domande. Rispetta la tua stupida regola-.
Sbuffo frustrata passandomi nuovamente una mano tra i capelli.
Mi scruta per qualche secondo per poi mettere in moto senza dire nulla. È strano, non mi ha urlato contro e soprattutto io non gli ho chiesto scusa e non gli ho sussurrato un misero ‘mi dispiace’.
Apro il finestrino per prendere un po’ d’aria e subito una folata di vento scompiglia i miei capelli, arrivando addirittura a solleticare il suo volto. Con la mano destra cerca di allontanare i miei capelli e, seppure mi sono accorta del suo fastidio, non chiudo il finestrino e faccio finta di nulla.
-Puoi per favore chiudere questo cazzo di finestrino?-. Sbotta infastidito e arrabbiato.
Mi giro verso di lui, lo scruto per un po’ e infine faccio ciò che mi ha detto di fare.
Sospira soddisfatto ritornando a guardare la strada tranquillamente.
-Non mi chiedi cos’ho fatto?-. Domando improvvisamente spezzando il silenzio e trovando un inconsueto coraggio in me stessa.
-Non mi interessa particolarmente oggi-.
-Come mai?-.
Scrolla le spalle. -Non mi interessa e basta-.
L’aria da menefreghista e il tono arrogante che sta usando in questo momento è solamente un modo per vendicarsi di ciò che gli ho detto prima. Ne sono sicura anche se non pensavo fosse cosi infantile.
Abbasso lo sguardo e inizio a contorcermi le mani come sempre.
-Fermati-. Afferra una mia mano e la stringe forte per poi farla sbattere contro la portiera dell’auto con un gesto secco e forte.
-Ahia-. Gemo, massaggiandomi la mano.
Inizio a sentirmi gli occhi pizzicarmi e un senso d’angoscia mi invade. Mi sono fidata di lui e pensavo di poter approfondire il rapporto che stiamo costruendo ma adesso tutte le speranze che ho costruito sono andate distrutte. Con questo suo atteggiamento mi ricorda mio padre e questo non è un bene.
Asciugo una lacrima e alzo lo sguardo.
-Fammi scendere, ti prego-. Sussurro flebilmente.
-Cosa?-.
-Voglio scendere. Fammi scendere-.
Si gira verso di me scrutandomi accuratamente.
-Voglio scendere-. Ripeto con la voce mozzata dalle lacrime che pian piano tentano di uscire.
-No-.
-Cosa? Fammi scendere da quest’auto, per favore-.
-Perché mai?-.
-Voglio scendere e basta-.
-Dammi un motivo-.
-Andiamo, Justin. Non voglio fare storie-.
-Tu dammi un motivo ed io ti…-.
-Non voglio stare in tua compagnia. Non mi fido, voglio andarmene il più  lontano possibile da te-. Urlo liberandomi dalla frustrazione che fino a due secondi fa avevo in corpo.
Sussulta alle mie parole e sembra trattenere il respiro per un istante. Cerca di dire qualcosa ma non gli riesce. Sinceramente neanche io nella sua situazione non saprei cosa dire.
Non dice nulla, si volta nuovamente verso la strada e continua a guidare tranquillamente come se non sia successo nulla, come se io non abbia avuto voce in capitolo.
-Justin…-. Articolo irritata ma al tempo stesso in tono sottomesso. -…Accosta l’auto, per favore, e fammi scendere-.
Non dice nulla, continua a maneggiare il manubrio con fare distratto. Apre il finestrino ed estrapola una sigaretta dal pacchetto sul cruscotto.
-Justin, ti prego voglio scendere da quest’auto-.
Sono sul punto di piangere ma proprio in questo momento si volta verso di me.
-E’ tempo perso, non scenderai da qui, almeno fin quando non lo dico io-. Spiega calmo e disinvolto.
Sgrano gli occhi e inizio ad avere paura. Mio padre usa lo stesso tono di voce quando vuole picchiarmi e questo non è un buon segno.
Si accende la sigaretta e la porta alla bocca, ispirando profondamente come se la nicotina lo aiuti a calmarsi.
Al secondo tiro, mentre io sono ancora sotto shock, accosta improvvisamente con una manovra azzardata ad una stazione di servizio. Vi è una pompa di benzina e un piccolo bar, al di fuori del quale sono seduti tre ragazzi di circa vent’anni e un uomo più anziano in disparte.
-Non azzardarti a mettere piede fuori da quest’auto-. Mi intima prima di scendere dall’auto e chiudere pesantemente lo sportello.
Ingoio la saliva e lo vedo mentre getta la sigaretta a terra, la seconda in mezz’ora, e andare verso il distributore di benzina. Di tanto in tanto alza lo sguardo verso di me e poi su quei ragazzi che guardano verso la nostra parte. È una situazione critica ma tutto ciò a cui riesco a pensare è che voglio andarmene da qui.
La mia attenzione ricade su una cabina telefonica proprio al lato destro del tavolo circondato dai tre ragazzi.
Chiamerò Cece e le dirò di venirmi a prendere.
Do un grande respiro prima di aprire avvicinare lentamente la mano alla maniglia della porta dell’auto per poi aprirla. Solo dopo aver toccato il terreno con i piedi, mi viene alla mente che Cece è fuori per il finesettimana.
Ma ormai è troppo tardi, chiamerò la signora Backy. Velocemente scendo dalla macchina e corro verso la cabina telefonica.
-Queen!-. Urla Justin alle mie spalle.
Mi giro e lo vedo mentre fa degli strani movimenti impacciati e decisi al tempo stesso per far in modo che il carico di benzina entri tutto velocemente e possa raggiungermi.
Arrivo alla cabina e inserisco degli spiccioli all’interno della sua serratura. Digito velocemente il numero e quando premo il tasto verde, una mano alle mie spalle afferra il telefono oscillante e lo posiziona al suo posto.
Ingoio impaurita la saliva e strizzo gli occhi per maledirmi mentalmente della mia imprudenza anche se al tempo stesso avrei preferito funzionasse.
-Pensavo di averti detto di non mettere piede fuori dall’auto-. Sussurra al mio orecchio provocandomi dei brividi alla schiena.
Sento il suo fiato sul collo proprio come quello di mio padre quand’ero ancora a casa. Inizio a sudare e quando mi giro incontro due occhi color miele che mi osservano con malizia e un po’ di rabbia.
-Pessima mossa-. Aggiunge. -Adesso andiamocene da qui, non mi piace questa gente-. Indica con lo sguardo i ragazzi accanto a noi che assistono alla scena abbastanza sconvolti anche se penso siano tutti e tre ubriachi.
-Io non salgo in macchina con te-.
-Cosa?-. Sorride sghembo.
-Non voglio stare vicino a te, Justin-.
-Da dove viene tutto questo coraggio? Pensavo fossi la stupida Queen che ha paura del mondo-.
Sussulto alle sue parole. Mi considera stupida e indifesa? Di bene in meglio per me.
-Allontanati, ti odio-.
-O cosa mi fai, Queen? Mi stendi con un calcio? Dubito che con le tue fragili e piccole ossa riesca a farmi del male-.
-Non scendo ai tuoi livelli-.
Alza un sopracciglio. -Mi meravigli sempre di più-.
-Mi sento lusingata-.
Cosa mi succede? La paura e lo sdegno mi rendono così sfacciata? Wow.
-Ehi amico, lasciala in pace-. Un ragazzo si alza e si avvicina a Justin toccandolo leggermente.
È ubriaco fradicio e lo si capisce dal modo di parlare e di camminare e anche dalla puzza che emana.
-Tu stanne fuori-. Justin spinge malamente il ragazzo che cade a terra stralunando.
Non si muove e sembra essere svenuto.
Sto per accasciarmi per controllare la sua situazione di salute quando mi sento tirare un polso da Justin.
-Farai l’infermiera eroina un altro giorno, adesso sali in macchina-.
Scuoto la testa continuando a guardare il ragazzo che ai miei piedi sembra essere senza sensi.
Gli altri due ragazzi si alzano e raggiungono l’amico.
-Che hai amico?-. domanda uno di loro rivolto a Justin.
-Che ti dice il cervello?-. Aggiunge l’altro.
Justin non se ne cura molto, anzi addirittura non li guarda neanche in faccia. In effetti non rappresentano neanche un pericolo in quanto sono così ubriachi da non avere forza e coscienza.
-Ti do dieci secondi per salire in macchina, Queen. Dieci-. Scandisce bene le parole, avviandosi verso la sua macchina.
Guardo il ragazzo steso a terra e poi volgo lo sguardo alla borsa che è ancora appoggiata alla cabina telefonica. Noto che sta perdendo lievemente del sangue dalla tempia sinistra così decido di prendere un fazzoletto dalla borsa e di asciugarlo.
Racimolo il pacco di fazzoletti ma quando mi volto, resto bloccata dal corpo alto di uno dei due ragazzi che fino a due secondi fa era a soccorrere l’amico.
-Come ti chiami?-. Domanda sbronzo.
-Queen, adesso spostati. Voglio aiutare il tuo amico-.
-Bel nome. Io sono Josh. Anche il mio è un bel nome-.
-Già…-.
-Dovremmo vederci in questi giorni. Sei davvero carina-.
-Certo ma…-.
-Ed hai anche molte belle caratteristiche-.
Sfiora leggermente il mio bacino con il suo, facendomi fare un passo indietro. Improvvisamente inizio a tremare e mi offendo mentalmente per non aver seguito Justin quando me l’ha chiesto.
Mi attira a se ma proprio in quel momento sento scomparire la sua presenza. Al suo posto c’è un ragazzo che preferisco maggiormente.
-Non puoi rimorchiare una ragazza in questo modo-. Justin sferra un pugno al suo naso.
Josh indietreggia senza però cadere.
-Non ti riesce se sei mezzo ubriaco e non sei affascinante-. Un altro pugno allo stomaco.
Josch si accascia al suolo dolorante. Mi avvicino come se voglia che smetta ma Justin non me lo permette.
-Prima regola per essere affascinante: sii me-. Gli tira un calcio. –Non penso tu abbia la mia faccia, amico. Sei fuori strada-.
Josh cade definitivamente a terra sanguinante dalle labbra e sotto un occhi è iniziato anche a formarsi una macchia violacea.
Justin sospira soddisfatto e si gira verso di me lanciandomi un’occhiata indecifrabile. Afferra il mio braccio e mi trascina verso la sua auto.
Mette in moto e lasciamo soli quei tre ragazzi ubriachi che sinceramente mi fanno pena.
Mi sento tremendamente in colpa e soprattutto una grande stupida. Sono un idiota. Perché non ho fatto ciò che mi ha detto di fare?
Apre un finestrino, accendendosi una sigaretta.
Ecco, ora so che è anche nervoso.
-Sei una gran testa di cazzo, Queen!-. Sbotta improvvisamente infastidito e infuriato. -Ti sei messa nei guai per un motivo stupido. Tu e il tuo ‘voglio scendere da questa macchina’-.
Il silenzio domina per qualche minuto dopodiché decido di farmi avanti e parlare.
-Non voglio e non mi piace stare con te se mi tratti male e mi fai del male-. Sussurro tenendo lo sguardo basso. ­-Mi hai detto che di te posso fidarmi, ma non è vero. Io non posso farlo, potresti farmi del male all’improvviso e quando ne hai voglia-.
-Cosa? Che cazzo stai dicendo?-.
-La verità. Non far finta di nulla, mi hai fatto male e non è la prima volta. Pensavo fosse un tuo modo di fare per dimostrarmi qualcosa ma mi sbagliavo. Quando mi fai male e mi tratti male è perché vuoi farlo e basta. Ti piace essere il padrone della situazione. So come ti senti, ho conosciuto altre persone come te-.
Mio padre.
Sembra essere spaesato e confuso dal mio discorso ma non mi interessa. Ho semplicemente espresso il mio parere anche se sono sicura che le mie parole in questo momento sono dettate dalla rabbia mista allo spavento.
-Come puoi pensare una cosa del genere?-.
-Il mondo è cattivo, tutto potrebbe succedere e questo è ciò che è accaduto adesso-.
-Sei pazza-. Scuote la testa, confuso.
-Ecco, appunto. Riaccompagnami a casa e non cercami più-.
Dov’è finito il rapporto che abbiamo avuto qualche sera fa al ristorante? Quand’eravamo seduti in terrazza ascoltando musica e mangiando gelato?
Non so cosa mi stia succedendo in questo momento, so solo che le mie parole sono dettate dalla paura e dalla frustrazione. Non è bello andare a casa ed essere picchiata da un uomo più grande il quadruplo di me e poi salire in un auto con un ragazzo che non sa controllare i suoi sbalzi d’umore e la sua rabbia. Vorrei semplicemente scomparire.
-Io non voglio farti del male-. Articola a mezza voce quasi come se stia iniziando ad avere sensi di colpa.
-Tutti me ne vogliono-.
-Cosa? No, non è vero-.
-Si, o tu non mi avresti bloccato il sangue nei polsi e poi sbattuti contro il finestrino dell’auto-.
-Ero…ero semplicemente infastidito, okay? Non volevo farti realmente del male-.
-E di quando mi hai tirato uno schiaffo?-.
-Ne abbiamo già parlato, Queen. Ero ubriaco-.
-Si, Justin ma il punto è che in qualunque situazione io mio trovi, sia sempre io a soffrire, sempre io a subire dolori e dispiaceri. Pensavo che con te fosse diverso, che tu non mi trattassi come gli altri…mi sbagliavo. Quando ti capita di essere arrabbiato o frustrato per qualcosa, mi tratti male e cambi umore. Non voglio che anche tu mi consideri un giocattolo, tutto qui-.
Sento  una lacrima solcare il mio viso e immediatamente le guance andare a fuoco. Ho realmente detto tutto ciò a Justin? Non pensavo riuscissi a farlo.
-C-cosa significa ‘speravo che tu non mi trattassi come gli altri’? Gli altri chi? Ti trattano come?-.
Esito prima di rispondere. -Niente, lascia perdere-.
-No, Queen: non lascio perdere-.
Improvvisamente frena bruscamente presso un’area di sosta. Sono costretta a tendere le braccia in avanti per non farmi male.
-Ti prego, Justin. Non voglio parlarne, non voglio che la situazione si complichi-.
Ignorando le mie parole, scende dall’auto e raggiunge la mia postazione. Apre lo sportello e mi porge una mano. La guardo incerta.
-Andiamo, Queen. Non voglio farti del male-.
-Me l’hai già detto qualche giorno fa-.
Sospira. -D’accordo. Allora restiamo così-.
Si appoggia con le spalle alla porta dell’auto aperta e in questo modo siamo molto vicini. Il suo petto sfiora leggermente il mio viso e questo contatto crea una sorta di reazione di piacere e agitazione che però si placa poco dopo.
-Spiegami, Queen-.
-Cosa dovrei spiegarti?-.
-Quello che hai detto prima. Io voglio capire, voglio capire te-.
Scuoto la testa. -Ho già parlato abbastanza. Non mi piace parlare-.
-A me non piace fermarmi improvvisamente per strada, eppure l’ho fatto…per te-.
Bofonchio spaesata. -No, tu l’hai fatto per te. Perché sei curioso di scoprire cos’ho da dire-.
-Qualunque sia la causa, io voglio che tu ti fida di me e mi parla-.
-Non accadrà in questo modo e…non c’è bisogno che mi fida di te-.
-Perché?-.
-Perché quando mi riaccompagnerai a casa, sarà l’ultima volta che avrò a che fare con te-.
 
 
 
 
 
 
 



OOOOOK!
Spero che questo capitolo non vi
abbia deluse perché naturalmente la storia
è ancora abbastanza lunga ed è piena di altri numerosi
colpi di scena che spero vi piaceranno!
Se nel capitolo precedente sembrava che la coppia
si stesse finalmente formando, in questo c’è praticamente uno sviamento. Ma non preoccupatevi,
amo i lietofine ma non le storie in cui tutto fila liscio e
per il verso giusto! Grazie a chi ha questa ff
tra le preferite, le seguite e le ricordata e anche
a chi recensisce i capitoli!
Continuo non appena questo capitolo riceverà PIU’ di cinque recensioni.
Un bacio, notperfect xx 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10.
 


Quando Justin mi riaccompagna a casa, scendo prontamente dall’auto non appena parcheggia di fronte casa mia. Non mi volto neanche per rivolgergli un misero sguardo o un saluto. A passo svelto raggiungo la porta di casa mentre sento che l’auto è ancora accostata dietro di me.
Nel tentativo di infilare le chiavi nella serratura della porta, mi cadono e sono costretta ad abbassarmi per riprenderle. Sono molto agitata e ansiosa e inoltre i sensi di colpa si fanno già sentire seppure siano inutili.
Quando finalmente riesco ad aprire la porta, entro in casa. Mi giro per chiudere la porta e vedo Justin guardare verso la mia direzione con espressione indecifrabile mentre è ancora seduto in auto.
Chiudo la porta abbassando lo sguardo sulle mie scarpe per poi appoggiare la schiena ad essa. Sospiro pesantemente e non appena sento il rumore degli pneumatici del fuoristrada, mi siedo a terra rannicchiandomi su me stessa. Mi passo una mano tra i capelli e immediatamente mi sento cadere il mondo addosso. Seppure sia piena di sensi di colpa, di rammarico, di tristezza e di rimorso, mi sento infinitamente vuota.
Dal soggiorno sento provenire delle voci e decido così di alzarmi per controllare. Mi accosto alla porta del salone e mi appoggio allo stipite quando mi rendo conto che le voci provengono dalla signora Backy e mia madre. Sorridono mentre si parlano e sorseggiano del thè ma l’atmosfera è abbastanza tesa, probabilmente perché la signora Backy conosce la nostra situazione e mia madre sa che la signora Backy è al corrente di tutto. Vi è uno strano imbarazzo tra loro che decido di evitare quando salgo al piano di sopra in camera mia.
Guardo l’orologio: sono le sette di sera. Se non fosse successo nulla, probabilmente in questo momento sarei con Justin chissà dove. Devo ammettere che sono ancora curiosa di sapere dove mi stesse portando.
Il tragitto in auto con lui è stato alquanto strano. Nessuno dei due parlava e di tanto in tanto Justin sbuffava, sospirava o apriva e chiudeva in continuazione il finestrino come se gli mancasse per un po’ l’aria.
Improvvisamente squilla il mio cellulare e velocemente lo recupero dalla mia borsa per notare che Cece mi sta chiamando. Decido di rifiutare la chiamata, troppo stanza e frustrata per parlare con lei.
Mi butto a peso porto sul letto chiudendo gli occhi.
 
***
 
Sento delle urla provenire da camera di mia madre e dei rumori di oggetti che cadono o che vengono spostati da un punto a un altro. Mi alzo frettolosamente dal letto e raggiungo la camera opposta alla mia ritrovandomi dinnanzi ad uno spettacolo che sono solita guardare quasi ogni giorno.
 
-Mamma-. Sussurro mentre lei è intenta a difendersi da mio padre.
 
Cosa inutile.
Ha le mani sul suo viso per attutire almeno i colpi in quella zona più sensibile mentre mio padre la colpisce freneticamente con pugni e calci.
Corro verso di loro e salgo sulle spalle di mio padre, oscurandogli la vista con le mani. È una cosa che faccio sempre in queste situazioni e solitamente non va mai a finire bene.
L’uomo si alza e inizia a dimenarsi come un dannato per liberarsi dalla mia presenza sul suo corpo. Sbatte più volte con la schiena verso la parete per far in modo che mi scrolli di dosso. Ci riesce e quando cado a terra sento un male atroce all’osso sacro. Prima che possa massaggiare quel punto, afferra i miei piedi e mi trascina verso di lui. Si siede a cavalcioni su di me ponendo le gambe ai lati del mio bacino per poi iniziare a sferrare energicamente degli schiaffi sul mio viso. Mi dimeno per schivare quei colpi ma è inutile. Si alza e quando penso che finalmente abbia finito, sento un colpo secco allo stomaco che mi fa piegare in due. Le lacrime iniziano ad incombere sul mio viso e anche il dolore si propaga dappertutto. Un altro corpo mi arriva sullo stesso punto e questa volta sento la punta della sua scarpa entrare più in profondità. Mi sento quasi trafitta da un lama e poco dopo il tessuto della mia maglietta si sporca di un liquido rosso. Non vado in panico, sono abituata a tutto ciò ma la cosa strana è che tutto ciò a cui riesco a pensare è Justin. Lui mi avrebbe aiutata e avrebbe evitato tutto ciò proprio come ha fatto qualche ora fa con quei tre ragazzi.
 
-Ho dato alla luce una stupida bambina per cosa? Per non avere un lavoro e non essere felice-. Sputa tra i denti mentre sento il suo alito sul mio collo. -Sei una buona a nulla, non fai altro che arrecarmi fastidio. Vorrei che tu non fossi mai nata-.
 
Questa volta il colpo lo sento al cuore ed è molto più potente.
 
-E sai la colpa di chi è?-.
 
Non rispondo e non faccio nulla. Si avvicina ancora di più al mio viso aggrottando le sopracciglia.
 
-Rispondi!-. Urla impaziente.
 
-N-no-.
 
-Di tua madre-.
 
Si volta verso di lei e le da un calcio. Si ricompone e va verso la porta.
 
-Andate al diavolo-. Sbotta infastidito sbattendo la porta alle sue spalle.
 
Finalmente siamo sole ma il dolore pulsa ancora nel mio corpo.
Nonostante sono sofferente e mi sento di morire, mi avvicino al corpo di mia madre. È rannicchiata su se stessa da un lato e piange silenziosamente coprendosi il viso con le braccia.
 
-Mamma-. Sussurro accarezzandola. -E’ andato via, è tutto okay adesso-.
 
Le dico altre parole di conforto per rassicurarla per poi attirare finalmente la sua attenzione. Alza la testa e incontro così i suoi occhi arrossati e gonfi pieni di tristezza e sofferenza.
Dopo un po’, riesco a condurla al suo letto così che si possa stendere sopra.
 
-Chiudi gli occhi adesso, hai bisogno di dormire-. La incoraggio stringendole la mano.
 
Annuisce flebilmente per poi girarsi dal lato opposto e chiudere gli occhi. Aspetto con lei fin quando il suo respiro diventa regolare e leggero e capisco che si è addormentata.
Esco dalla stanza facendo attenzione per non fare rumore e mi dirigo nuovamente nella mia. Guardo l’orologio appeso alla parete e segna le tre del mattino. Prima di rimettermi a letto, vado in bagno. Mi guardo allo specchio e la mia attenzione cade nuovamente sul segno di cinque dita che caratterizzano entrambe le mie guance. Due macchie violacee iniziano a formarsi sotto l’occhio destro e sulla mascella. Alzo la maglietta e noto immediatamente un punto di sangue dal quale scendono delle goccioline del medesimo colore. Lo disinfetto con l’ovatta per poi togliermi la maglietta e infilarne una pulita. Ritorno in camera ma mentre sto andando verso il letto, sento dei rumori provenire dall’esterno e delle luci illuminare debolmente il mio balcone.
Apro la veranda lentamente e a passo cauto raggiungo l’estremità del balcone. Appoggio le mani su di esso e mi affaccio leggermente.
Un fuoristrada nero è parcheggiato di fronte casa mia e all’interno di esso vi sono due ragazzi, o forse di più. Guardano verso di me e sento una morsa allo stomaco quando incrocio due occhi color miele.
Ingoio la saliva e mi asciugo le lacrime che ancora cadevano incoscientemente lungo il mio viso. Sicuramente avrò lunghe strisce di mascara su tutto il viso ma in questo momento è l’ultimo dei miei pensieri.
Schiudo la bocca, confusa su ciò che ho appena visto. Cosa ci fa qui a quest’ora?
Dopo qualche minuto in cui sono stata incapace di fare qualsiasi cosa, vedo l’auto sfrecciare verso la fine della strada lasciandomi piena di dubbi e strani pensieri.
 
***
 
La domenica è il giorno che odio maggiormente perché sono costretta a non andare a scuola e ciò aumenta i minuti in compagnia di mio padre. Oggi però, ho deciso di uscire e di andare al parco com’è mio solito fare quando mi sento in difficoltà. Una passeggiata, anche se in solitudine, sarà la cosa migliore per me.
Con tutti i cosmetici che posseggo, cerco di nascondere i segni delle azioni di mio padre di ieri sera ma non riesco a fare un granché. I lividi sono ancora abbastanza evidenti e anche il graffio che si è formato questa notte è in rilievo sotto l’occhio proprio accanto al livido.
Sospiro rassegnata uscendo di casa. 
L’aria è abbastanza gelida così tento di riscaldarmi alzando il collo della mia giacca e di abbassare maggiormente il capello di lana che indosso.
A Stratford l’inverno è molto lungo e freddo ma non è una brutta cosa perché questo ci permette di avere un’estate calda e soleggiata.
In un quarto d’ora raggiungo il parco ma quando metto piede al suo interno, ho la strana sensazione che qualcuno mi abbia seguito per tutto il tragitto a piedi. Mi volto per l’ennesima volta alle mie spalle ma non riesco a scovare nessuno. Prendo l’iPod e metto in riproduzione una canzone a caso. Tutto ciò che è sempre riuscito a consolarmi in questi anni, è stata la musica. Mi da speranza anche se in otto anni non c’è stato nulla che mi abbia spronato a crederci maggiormente.
Mentre cammino per il parco immersa nei miei pensieri, mi scontro con qualcuno. È più alto di me e mi fa ombra.
 
-Mi scusi-. Sussurro alzando di poco lo sguardo.
 
Non mi ci vuole molto per riconoscere la persona che ho di fronte e immediatamente penso che l’abbia fatto di proposito a scontrarsi con la mia esile figura.
Due occhi color miele, gli stessi di questa notte, mi scrutano attentamente dall’alto verso il basso. Ha le mani nelle tasche del suo cappotto e sembra essere impassibile mentre mi osserva.
Stringo la bocca in una linea sottile e si forma un nodo allo stomaco. Uno strano impulso mi invoglia ad abbracciarlo forte, ma non lo faccio. Ricordo immediatamente quando stanotte mentre mio padre era accanito su di me, ho rivolto un pensiero a Justin e avevo addirittura la necessità di averlo accanto.
Ci guardiamo per un lasso di tempo che a me sembrano ore ma improvvisamente il mio sguardo non riesce più a sostenere il suo così abbasso la testa al suolo.
 
-Ciao, Queen-. Articola a mezza voce.
 
-Ciao-.
 
-Avevo la strana sensazione che tu fossi qui-.
 
-M-mi…mi hai seguita?-.
 
-Mh, probabilmente si-.
 
Mi stupisce la sua sfacciataggine. Ma ora so che non era un maniaco a seguire le mie mosse qualche minuto fa.
 
-Perché?-. Domando flebilmente.
 
Non mi risponde, sento ancora il suo sguardo dominare sul mio corpo quando una grande mano afferra il mio mento e fa in modo che lo guardi negli occhi.
 
-Voglio un chiarimento-. Afferma rude e freddo, deciso e fermo nelle parole e nello sguardo. -Voglio che tu mi parla…adesso-.
 
-Non c’è nulla che debba dirti. Tutto ciò che penso te l’ho già detto ieri-.
 
-Non ne sono così sicuro-.
 
-Be’, dovresti. Ti ho…ti ho già detto tutto ciò che avevo da dirti-.
 
-Be’, io non ho capito. Io non ti capisco mai-.
 
-Non è una cosa tragica. Non moriresti se non mi capissi. A chi interessa ciò che penso?-. Domando più a me stessa che a lui, in tono quasi ironico.
 
-A me-.
 
Mi irrigidisco, mostrandomi abbastanza indifferente anche se dentro sento un mix di emozioni invadermi.
 
-Non è vero-. Sussurro svincolandomi dalla sua presa.
 
-D’accordo, come vuoi. So che rimarrai ferma sulla tua idea seppure sia sbagliata-.
 
Continua a guardarmi poi decido di parlare.
 
-Che ci facevi alle tre del mattino sotto casa mia?-.
 
Sembra essere sorpreso dalla mia domanda, come se pensava che non avessi il coraggio per domandarglielo.
 
-Ero con degli amici e…-. Si lecca il labbro inferiore. -…e ci siamo fermati da quelle parti-.
 
-Non è una risposta completa e sinceramente non ha neanche senso-.
Sorride. -Non c’è nulla da aggiungere-.
 
Abbasso lo guardo, contorcendomi le mani.
 
-Queen, chi ti ha fatto del male?-.  chiede flebilmente accarezzando i punti violacei sul mio volto.
 
A quel contatto e a quella domanda rabbrividisco.
Faccio un passo indietro mantenendo sempre lo sguardo basso.
-Queen?-.
 
Sospiro. -Mio cugino. Ha tre anni e da schiaffi e morsi senza tregua-.
 
-E perché piangevi stanotte?-.
 
-C-come fai a…-. Mi blocco, ricordandomi della sua comparsa sotto casa mia. -Guardavo Titanic. Piango sempre alla scena finale-.
 
Non penso ci abbia creduto perché sbuffa rassegnato pesantemente. Si guarda in giro per poi ritornare ad avere l’attenzione su di me.
 
-Non volevo farti male ieri e non volevo parlarti in quel modo-. Sussurra avvicinandosi al mio orecchio.
 
Sento il suo respiro sul mio collo e odore di tabacco e menta inebriarmi le narici. Schiudo leggermente la bocca, sorpresa da questa reazione.
 
-Non sarei mai capace di farti del male-. Aggiunge.
 
Non è ancora al corrente di ciò che subisco da mio padre eppure sembra conoscere già la mia storia e mi sussurri parole del genere per rassicurarmi.
Appoggia le sue mani sui miei fianchi, avvicinandomi al suo corpo. Sfiora con il suo naso la mia guancia provocandomi leggeri brividi alla schiena e sobbalzo sorpresa. Sorride, forse divertito dalla mia reazione, e mi stampa un bacio sulla guancia dopo averla delicatamente accarezzata.
Muove le dita sui miei fianchi per poi accarezzare tutto il mio addome.
 
-Sei morbida-. Commenta divertito.
 
Stringe i miei fianchi provocandomi un leggero fastidio per alcuni lividi che vi sono al di sotto della maglia.
Gemo flebilmente dal dolore e lui sembra essere leggermente confuso.
 
-Ti ho fatto male?-. Domanda preoccupato aggrottando le sopracciglia.
 
-N-no. Sto bene-.
 
Annuisce incerto, allontanandosi di qualche centimetro dal mio corpo continuando ad avere le mani posizionate sui miei fianchi.
-Che ci fai da sola nel parco?-. Chiede poi abbastanza contrariato a ciò
 
-Una passeggiata. Dovevo schiarirmi le idee-.
 
-Continuiamo insieme, allora-.
 
Incrocia le sue dita alle mie e mi trascina al suo fianco. Camminiamo per un po’ dopodiché si volta verso di me di scatto.
 
-Quanti anni ha tuo cugino?-.
 
Sobbalzo a questa domanda.
 
-Quattro-.
 
-Non sapevo avessi un cugino di quest’età. Non me l’hai mai detto-.
 
-Non me l’hai mai chiesto-.
 
-Mh-.
Sembra essere deluso, forse voleva arrivare in fondo a questa faccenda e scoprire magari la vera verità.
 
 
JUSTIN’S P.V.
L’unica cosa che voglio, è capirla. Non so perché, ma sin dall’inizio il mio desiderio è quello di conoscerla affondo. Vorrei solo che lei fosse più esplicita con me, che si fidasse e pensavo di esserci riuscito fino a ieri. Ho rovinato tutto ciò che avevamo creato ed ora devo ricominciare da capo con lei.
So che mi nasconde qualcosa, so che ha un segreto che ancora non è pronta a rivelarmi. Lo capisco da come mi guarda e da come contorce il suo corpo quando parliamo di determinate cose.
 
-Ricordi il lago ghiacciato?-. Le domando voltandomi verso di lei.
 
-Si-.
 
-Be’, ora è abbastanza ghiacciato per poterci pattinare sopra-.
 
-Oh, n-no, io…-.
 
-Andiamo-.
 
Stringo maggiormente la sua mano e la trascino verso l’uscita del parco. La conduco fino alla mia auto parcheggiata poco più lontano da lì. Ho dovuto nasconderla affinché non mi vedesse mentre la pedinavo.
Apro lo sportello dell’auto e la sorreggo per farla sedere. Sembra essere meravigliata per questo mio gesto e mi scappa un sorriso. Subito arrossisce, abbassando la testa.
Chiudo la porta facendo finta di nulla e raggiungo l’altro lato della macchina. Salgo e metto in moto.
 
-Justin io…io non so pattinare-. Confessa timidamente.
-Lo so-.
 
-Potrei cadere-.
 
-Imparerai-.           
 
-Potrei anche farmi male, davvero male-.
 
-Ci sarò io accanto a te-.
 
 
 
 




Spero che questo capitolo non vi abbia deluse e
se all’inizio sembrava che Justin e Queen non avessero più
alcun futuro, ora poete ricredervi.
La storia è ancora lunga e piena di imprevisti e colpi di scena!
Continuo dopo almeno 6 recensioni!
Un bacio, noptperfect xx 

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Capitolo 11
*** 11 ***


11.
 


JUSTIN’S PV
-Ci vuole ancora molto?-.
 
La vocina flebile e delicata di Queen mi invade le orecchie, facendomi trasalire dal vortice dei miei pensieri. Non ho fatto altro che pensare per tutto il tragitto in auto alle parole che mi ha detto ieri, al tono e all’espressione che ha assunto nell’articolarle. Sinceramente per me è stato un colpo al cuore, un colpo abbastanza duro tanto da avermi fatto riflettere tutta la notte. La decisione è stata quella di andare sotto casa sua, e così ho fatto. È stato un gesto inutile certo, ma ho avuto come l’impressione che avesse bisogno di me e devo ammettere che anche io ne avevo di lei. Quando poi l’ho vista affacciarsi dal suo balcone sono stato un codardo e sono scappato via con Ryan al mio fianco, seppure avessi notato che aveva le lacrime agli occhi.
 
-No, mancano circa cinque minuti-.
 
Annuisce, voltandosi verso il finestrino. In due minuti cambia circa tre posizioni, facendo rumore quando la sua pelle si scontrava con quella del sedile della macchina.
Dopo circa cinque minuti arriviamo al parcheggio che precede il lago, così come ho previsto. Sfilo le chiavi e di conseguenza il motore cessa di funzionare e di emettere rumore. Scendo dall’auto per raggiungere il posto del passeggero per aprire la portiera ma con mia sorpresa trovo Queen mentre la sbatte alle sue spalle. Le mostro un sorriso, afferrando la sua mano.
Dal movimento incerto dei suoi passi, capisco che ancora non si fida di me e questo mi ferisce.
Scavalchiamo il muretto come facemmo circa una settimana fa e proseguiamo verso il vecchio rifugio di mio nonno. Faccio in modo che lei cammini avanti a me e le tengo un fianco per indicarle la strada da seguire. Questo semplice contatto mi rassicura, ricordandomi che lei è ancora accanto a me.
Successivamente la precedo andando verso un mobiletto nell’angolo della piccola casa. Lo apro ed estrapolo due paia di pattini bianchi ornati da strisce azzurre.
 
-Questi ti andranno sicuramente-.
 
Le porgo il paio di pattini del numero più piccolo, osservando la sua espressione. Li guarda esitante e con un pizzico di insicurezza per poi afferrarli e stringerli al petto. Mostra un tenero sorriso e anche questa volta vedo le sue guance colorarsi di rosso. È tenero che arrossisca sempre a causa mia, le da un’aria così angelica.
Usciamo dal rifugio con i pattini tra le mani e raggiungiamo il lago ghiacciato. Ci sono due ragazze di circa quindici anni e dei ragazzi di età più avanzata che si divertono tra di loro sulla pista ghiacciata.
Le suggerisco di sedersi a terra per infilare i pattini e così fa. Io seguo i suoi movimenti.
Dopo aver completato la nostra operazione, l’aiuto ad alzarsi e a mettere piede sulla pista di ghiaccio.
Il contatto tra il suo pattino destro e il ghiaccio, fa perdere l’equilibrio a Queen, che si slancia indietro. Afferro immediatamente la sua schiena e la stringo al mio torace.
 
-Scusa, io…-. Balbetta insicura.
 
-Niente scuse-.
 
-Certo ma…te l’avevo detto che non so pattinare-.
 
-Ed io ti ho detto che ti aiuterò a imparare-.
 
Sospira rassegnata come se sappia che non c’è più via di fuga per lei. Sa che le impedirò di andarsene nel suo tentativo di farlo.
Strizza gli occhi, imbarazzata per ciò che è appena successo e stringe la mia felpa in un pugno chiuso e stretto. Sento il suo disagio crescere sempre di più e tutto ciò che vorrei fare è mettere un sorriso sul suo volto.
 
-Non cadi se mi lasci la felpa-. Le sorrido per rassicurarla.
 
Sussulta alle mie parole evidentemente intimidita per poi allontanarsi di alcuni centimetri dal mio corpo e lasciare la presa sulla mia felpa.
 
­-Non ho detto che dovevi allontanarti-.
 
Arrossisce violentemente, bofonchiando spaesata.
Ridacchio a questa sua reazione ma smetto quando mi accorgo che il mio comportamento potrebbe imbarazzarla ancora di più. Mi schiarisco la voce e poso le mani a metà altezza delle sue braccia per poi attirarla a me. Quando è abbastanza vicina, sposto le mani sui suoi fianchi non perdendo di vista per un secondo il suo viso così perfetto. I lividi che sono sotto l’occhio e lungo la mascella non lo rendono affatto imperfetto. La sua bellezza traspare anche con la loro presenza.
 
-Riesci a muoverti?-. Domando premuroso.
 
-Penso di si-. Risponde in un sussurro. -Ma non lasciarmi-. Aggiunge frettolosamente impaurita.
 
Sorrido lievemente stringendo le mani sui suoi fianchi per dimostrarle che sto saldamente sorreggendo il suo corpo. Questa volta però mi limito ad essere più delicato, per via della sua precedente reazione al parco.
Fa un passo in avanti facendo strisciare un pattino in avanti e poi l’altro. Ne fa altri due mentre io mi muovo all’indietro per permetterle di muoversi liberamente.
 
-Va tutto bene, ci sai fare-. La incoraggio.
 
Sorride scuotendo la testa.
 
-Non è vero, lo dici per farmi felice-.
 
-Sono sincero-.
 
-Ma se non ho fatto neanche tre passi-.
 
Rido, non distogliendo mai lo sguardo da lei. Sembra essere più a suo agio tra le mie braccia e devo dire che il suo sorriso non è mai stato così radioso. Non la vedo mai abbastanza felice ma questa volta emana gioia da tutti i pori.
 
-Dovresti sorridere più spesso-.
 
Commento seriamente guardandola mentre lei è ancora intenta a fare piccoli passi sulla pista ghiacciata. Tiene lo sguardo basso sui suoi pattini e non sembra intenzionata ad alzarlo così non riesco a decifrare la sua espressione ma sono sicuro che è arrossita.
Più passi compie, più alzo le mani sul suo corpo. Le strofino lentamente lungo la linea delle sue braccia fino ad arrivare alle spalle.
La sento rabbrividire a questo mio gesto così lento e fare un piccolo respiro per stare calma.  Afferro le sue mani e mi allontano di poco dal suo corpo.
 
-Sei pronta a pattinare senza il mio aiuto-. Affermo convinto.
 
-N-no, non penso-.
 
-Andiamo, sai farlo. Non ti costa nulla provare ed io sarò accanto a te-.
 
Fa una smorfia di disapprovazione che scatena una risata in me. È adorabile. Poi però, capendo che non cambierò idea, decide di staccarsi leggermente da me. Lascia le mie mani e fa qualche passo anche se piccolo e lento. Si volta verso di me guardandomi speranzosa e un po’ preoccupata.
 
-Sorreggimi se cado-. Dice imbarazzata, arrossendo lievemente.
 
Sorrido. -Sono qui-.
 
La vedo mentre si muove lentamente e in modo impacciato. Di tanto in tanto perde l’equilibrio slanciandosi o in avanti o indietro ma prima che possa sostenerla, lei assume già una posizione retta e continua a pattinare.
Dopo aver fatto il giro completo della pista con me al suo fianco, si gira finalmente verso di me permettendomi di avere la visuale incantevole dei suoi occhi. Sembra entusiasta e felice.
 
-Ce l’ho fatta-. Esclama
 
-Non è stato difficile come pensavi-.
 
-No, no. Grazie a te-. Sorride intimidita.
 
-Ti ho solo guidato, il resto è venuto da te-.
 
Tira le labbra verso l’interno creando una linea sottile. Sorride lievemente mostrano una tenera fossetta al lato destro delle sue labbra. I suoi occhi si socchiudono leggermente e brillano di un’intensa luminosità.
Questo spettacolo mi manda in tilt e non capacitandomi delle mie azioni, mi avvicino istintivamente al suo viso stampando un bacio sulle sue labbra.
 
QUEEN’S PV
Improvvisamente sento le mani di Justin stringere l’area dietro il mio collo e le sue labbra fare una lieve pressione sulle mie. Non capisco cosa realmente stia succedendo e mi sento quasi di svenire.
Mi sento disagiata, ansiosa, esaltata ed euforica nello stesso momento e questo mix di emozioni apre un vortice nel mio stomaco.
Sento la sua lingua scontrare i miei denti, chiedendo delicatamente l’accesso. Inizialmente apro leggermente ma subito dopo una vocina nella mia testa mi suggerisce di mettere fine a tutto ciò.
Poggio le mani sul suo petto e faccio forza in modo tale che si stacchi da me. Con un po’ di esitazione lascia le mie labbra e lascia cadere le sue braccia lungo il suo corpo.
Ingoio pesantemente la saliva, guardando verso il basso. Mi sento andare a fuoco e molto confusa.
 Bofonchia qualcosa, passandosi una mano tra i capelli e guardando altrove.
 
-Justin, tu…io…-.
 
Tento di dire qualcosa in questa situazione così imbarazzante ma non ho molte idee al momento. Sospiro rassegnata e inizio a contorcermi le mani.
Il mio movimento termina non appena Justin posa le sue mani sulle mie, stringendole e portandole poi sulle sue spalle. Non smette di guardarmi negli occhi neanche per un secondo e con mia sorpresa riesco a sorreggere il suo sguardo così intenso.
Poggia poi le sue mani sui miei fianchi e mi avvicina a se. È questione di attimi che è nuovamente ad un millimetro dal mio viso.
Ruba un altro bacio. Questa volta è più potente, più cercato e non esito neanche prima di concedergli la libera entrata. La sua lingua si fa spazio nella mia bocca, attorcigliandosi delicatamente con la mia. È un bacio forzato ma al tempo stesso lento e passionale.
Non mi sono mai sentita così, provo una strana sensazione allo stomaco di piacere e disagio al tempo stesso.
Inconsciamente sprofondo le mie mani tra i suoi capelli e le strofino delicatamente contro il suo cuoio capelluto. Si stacca dalla mia bocca e sfiora il suo naso con il mio. Striscia le labbra sul profilo della mia guancia per poi stamparmi un ultimo bacio e allontanarsi forse rendendosi conto che siamo in un luogo pubblico circondati da persone.
Trattengo il respiro quando incontro finalmente i suoi occhi e seppure siano incantevoli, abbasso immediatamente lo sguardo. Non so cos’abbia preso entrambi, so solo che mi sento strana ma completa dopo tanto tempo.
 
-Queen-. Sussurra con tono di voce basso.
 
Non dice più nulla, forse incapace di continuare a parlare. Sinceramente neanche io al suo posto non saprei cosa dire. È imbarazzante, soprattutto per me.
 
-Scusami, mi dispiace-. Articolo a mezza voce.
 
-Solitamente una ragazza non direbbe una cosa del genere dopo questo-.
 
Sorride cercando di catturare il mio sguardo.
Quando dopo qualche secondo ancora non vi è riuscito, afferra il mio mento e fa in modo che alzi gli occhi verso di lui. Incontrando quelle due stelle fluttuanti che ha al posto degli occhi, sento una vampata di calore invadermi e dei brividi iniziano maggiormente ad espandersi dappertutto. Riesco a sentirli fino alle doppie punte dei capelli.
 
-E’ stato un bacio davvero carino-. Commenta.
 
Come fa ad essere così divertito ed esaltato?
Ciò che vorrei fare io è nascondermi e uscire dal mio nascondiglio quando avrà dimenticato dell’accaduto ma so per certo che anche lì riuscirebbe a trovarmi. Mi pedinerebbe, come ha fatto oggi.
 
-Tu sei carina-. Aggiunge.
 
A questo commento, sento le mie guance tingersi leggermente di rosa e uno strano calore inizia ad invadermi lo stomaco. È la stessa sensazione che provo quando ho una verifica e sono insicura sulle mie conoscenze.
 
-Dovresti dire ‘grazie’-. Scherza.
 
-G-grazie-.
 
Porto una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio ma improvvisamente sento qualcuno spingermi e perdo l’equilibrio. Mi slancio indietro ma fortunatamente due forti braccia mi sorreggono immediatamente quando Justin avanza in avanti verso di me.
Non riesco a capire cosa stia succedendo fin quando non mi volto alle mie spalle per scorgere un ragazzo di circa la mia età che ci guarda dispiaciuto ma al tempo stesso divertito.
Ride di me?
 
-Sta’ più attento la prossima volta, che idiota!-. Esclama Justin seccato.
 
Afferra i miei fianchi per darmi stabilità ed equilibrio per poi afferrare la mia mano e far in modo che lo affianchi. Con piccoli movimenti si pone davanti a me, come se voglia proteggermi oscurandomi dagli altri e in questo caso dal ragazzo biondo che continua a fronteggiarci.
 
-Ehi, amico. Non l’ho fatto di proposito. I miei amici mi hanno spinto-.
 
Il biondo indica altri due ragazzi alle sue spalle che assistono da lontano alla scena abbastanza incuriositi e interessati. Si alzano sulle punte dei pattini e allungano il collo come se vogliano sentire le parole che Justin sta pronunciando mentre per il ragazzo biondo sembra essere tutto un gioco. Continua a sorridere come un ebete e a parlare con tono distratto e menefreghista.
 
-Non ti ho chiesto le dinamiche e non mi interessa saperle. Ciò che mi interessa è che hai urtato la mia ragazza e l’ultima cosa che voglio è che si faccia male-. Sputa Justin tra i denti.
 
Ingoio pesantemente la saliva. Non solo sono meravigliata dal tono brusco e violento che ha appena usato, ma anche per l’appellativo con cui mi ha nominata.
La sua ragazza?
 
-Non l’ho fatto apposta-. Ripete il ragazzo.
 
-Voglio che tu sparisca dalla mia visuale-.
 
Il biondo esita qualche istante prima di tramutare il suo sorrisetto in un’espressione confusa e preoccupata. Si gira verso i suoi amici per poi ritornare a guardare nella nostra direzione.
 
-Adesso-. Scandisce Justin.
 
I due si inviano qualche occhiataccia di fuoco. Dopo un po’, il biondo si volta e raggiunge i suoi amici che immediatamente lo soccorrono, porgendogli probabilmente delle domande.
Justin guarda questa scena disgustato e infuriato al tempo stesso ma quando si volta verso di me, i suoi lineamenti si distendono e le sue labbra si piegano in un sorriso.
Non ricambio il suo sguardo, ma lo guardo impassibile.
È tutto così strano, così confuso. Non so esattamente cosa si faccia in situazioni del genere.
Lentamente ritorna a posizionarsi di fronte alla mia esile figura per poi appoggiare una mano sul mio fianco.
 
-Andiamo, usciamo da qui-.
 
Mi spinge leggermente per indicarmi la strada e invogliarmi a fare ciò che mi ha detto. Con piccoli passi raggiungiamo la riva del fiume ghiacciato. Ci sediamo a terra sulla gelida pianura quasi ghiacciata anch’essa e ci sfiliamo i pattini indossando le nostre scarpe.
Justin è il primo ad alzarsi e con mia sorpresa si accascia su di me e afferra i miei fianchi. Fa leva e riesce a sollevarmi e a far in modo che poggi poi i piedi a terra. Mi sento una bambina quando viene vestita dalla propria madre.
Raggiungiamo nuovamente il rifugio e Justin afferra i miei pattini.
 
-Vado a posarli. Aspettami qui-.
 
Si allontana lasciandomi sola in veranda.
Mi guardo attorno e decido poi di sedermi sull’altalena accanto alla staccionata della veranda, la stessa sulla quale ci sedemmo insieme una settimana fa circa.
La mia attenzione è rivolta verso la mia sinistra dove si estende il lago, quando Justin ritorna nuovamente da me. Mi giro lentamente verso di lui e incontro i suoi magnifici occhi. Mi sorride avvicinandosi e sedendosi accanto a me.
Nonostante sia molto imbarazzata per ciò che è successo qualche minuto fa, prendo un grande respiro prima di aprire bocca.
 
-Justin…-.
 
-Non chiedermi perché l’ho fatto-. Mi interrompe tranquillo. -Non ti risponderei-.
 
È come se leggesse nella mia mente. Sa sempre ciò che penso e qualche volta prevede le mie azioni. È strano ma al tempo stesso è confortante.
Distolgo lo sguardo da lui e chiudo la bocca in una linea sottile, annuendo mesta e rassegnata. Abbasso lo sguardo sulle mie mani e inizio a contorcerle.
Questa volta non fa nulla affinché smetta di farlo, così continuo senza problemi.
 
-Puoi…puoi riaccompagnarmi a casa?-. Domando intimidita.
 
-Vuoi tornare a casa?-.
 
-Si-.
 
Sembra pensarci prima qualche secondo. Si passa la lingua tra le labbra per poi voltarsi verso di me.
 
-D’accordo, andiamo-.
 
Quasi l’ha detto a malincuore e questo mi fa riflettere.
Davvero vuole che resti con lui?
Nonostante i miei pensieri e le mie domande, mi alzo e faccio qualche passo prima di sentire la sua presenza alle mie spalle.
Fortunatamente ha preso alla lettera ciò che gli ho detto e questo mi fa stranamente piacere.
Sento il suo corpo quasi incollato al mio mentre camminiamo verso il muretto che separa la radura con il parcheggio delle auto. È come se non voglia che cammini senza una protezione, come se pensi che da sola possa succedermi qualcosa di brutto.
Non ha tutti i torti, ma lui non consoce ancora la mia situazione. Lui non sa niente.
 
Raggiungiamo la macchina e vi saliamo dentro.
L’atmosfera durante il tragitto è abbastanza tesa eppure sembra che per Justin sia tutto normale, come se non sia successo nulla. Per me invece, è come se dentro di me sia scoppiata la terza guerra mondiale. E non esagero.
Accende la radio distrattamente, alzando la voce alla prima canzone a caso che riesce a scovare ad una stazione radio. Successivamente apre il finestrino, prendendo una sigaretta dal pacchetto e accendendola velocemente.
Mi volto verso di lui quando ispira il primo tiro e lo caccia sottoforma di nuvola di fumo. Ormai so che è davvero attraente quando compie quest’azione così cerco sempre di non perderla.
Improvvisamente si volta verso di me e sfoggia un sorriso sincero e compiaciuto.
 
-Mi stai guardando?-.
 
Ride portandosi nuovamente la sigaretta tra le labbra. Ispira nicotina e caccia nuovamente del fumo voltandosi verso il finestrino aperto.
Non rispondo alla sua domanda girandomi immediatamente dal lato opposto. Sento le mie guance arrossarsi e subito abbasso lo sguardo.
Ride nuovamente sghembo, continuando a compiere quel movimento così sexy.
Dopo circa cinque minuti arriviamo finalmente sotto casa mia. Sto per scendere dall’auto quando improvvisamente poggia la sua mano sulla mia gamba, obbligandomi a fermarmi.
 
-Non mi saluti?-. Domanda divertito.
 
Bofonchio spaesata. Solitamente gli rivolgo un sorriso quando scendo dalla sua auto sottoforma di saluto. Cosa intende?
 
-Certo-. Balbetto confusa. -C-ciao-.
 
Ride alle mie parole probabilmente troppo ingenue, abbassando di poco la testa per poi rialzarla. I nostri occhi sono fusi in uno stesso sguardo e tutto ciò che riesco a percepire è la loro luminosità. Sono così belli. Lui è così bello.
 
-Ciao, Queen-.
 
Si avvicina al mio viso, lasciando un tenero bacio sulla mia guancia. Pian piano si sposta in direzione della mia bocca ma quando sta per toccarle, mi volto dall’altro lato facendo in modo che non accada nulla.
Ride nuovamente a questa mia reazione, scuotendo la testa abbastanza divertito.
 
-D’accordo. Ciao piccola-.
 
Scendo velocemente dall’auto inconsciamente agitata per l’epiteto che ha appena usato. Chiudo la porta e resto a guardarlo salutandolo con la mano.
Improvvisamente il finestrino si abbassa permettendomi di avere una visuale migliore del suo magnifico volto.
 
-Non c’è nessun problema se ti ritrovi a fissarmi qualche volta. Non ti arresteranno per questo-.
 
Annuisco perplessa e imbarazzata, girandomi poi verso casa mia per raggiungere la porta di casa. Il motore emette un forte rumore quando sgomma per andare via e lasciarmi sola nel viale di casa mia.
Sospiro sollevata.
Rifletto poi sulle sue parole mentre inserisco le chiavi nella serratura della porta.
Certo che mi arresteranno. Ogni volta che lo guardo è come se i suoi occhi mi dicessero ‘Ti dichiaro in arresto…cardiaco’.
 
  








Cosa pensate di questo capitolo? Mi farebbe piacere se
mi lasciaste mooolte recensioni. E' come se pubblicassi capitoli senza un motivo,
come se non piacessero a nessuno!
La storia è ancora lunga e contorta, spero continuiate a seguirla e
a recensirla!
Un bacio, notperfect xx

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Capitolo 12
*** 12 ***


12.
 


I due baci –quasi tre- da parte di Justin, sono motivo della mia riflessione continua.
È strano di come improvvisamente abbia avuto l’istinto e soprattutto la voglia di farlo. È strano anche che io non mi sia tirata indietro nonostante al primo abbia esitato un po’.
È stata una sensazione così piacevole quando le nostre lingue si sono scontrate che forse ricorderò quel momento per tutta la mia vita, pure se Justin non ne farà più parte.
Sono abbastanza esaltata per ciò che è successo quasi sicuramente perché in questo campo, ragazzi, ho pochissima esperienza, quasi inesistente. Ho avuto solo un ragazzo in tutta la mia breve vita ma sinceramente non ricordo neanche più il suo volto o il suo modo di baciare.
A proposito, Justin è un ottimo baciatore e questo mi fa pensare a quanta esperienza ha lui più di me. Chissà quante ragazze ha avuto con cui è stato a letto.
Vado in bagno sciacquandomi la faccia per scacciare via questi pensieri. Non ho intenzione di farmi milioni di film mentali degni di oscar per qualcosa che forse ha significato molto solo per me. Inoltre Justin è bellissimo, ma non lo vedrei mai accanto a me come…come più che un semplice amico.
Come ogni mezzogiorno della domenica, resto chiusa in camera mia. Se scendessi in cucina per mangiare, molto probabilmente mio padre utilizzerebbe le stoviglie per picchiarmi. Anche mia madre non pranza mai e questo può essere notato dal fatto che ormai si è ridotta ad essere pelle e ossa. La sua pelle è consumata su tutto il corpo soprattutto sulle braccia e la mancanza di sonno ha creato due grandi borse sotto i suoi magnifici occhi.
Ho ereditato i miei occhi azzurri da lei. Sono fortunata a non essere neanche lontanamente uguale a mio padre anche se devo ammettere che è un bell’uomo.
Bellezza sprecata.
 
-Queen-.
 
Mamma sporge la sua testa nella mia camera aprendo leggermente la porta in legno. Mi sorride premurosa per poi entrare completamente e chiudere la porta alle sue spalle.
Si avvicina al letto e si siede su di esso mentre mi osserva dal bagno. Ho la porta aperta in modo tale che riesca a vedermi. Io osservo il suo volto dal riflesso dello specchio mentre sono intenta a lavarmi i denti.
 
-La signora Backy ci ha invitate a pranzo a casa sua-. Annuncia abbastanza felice. -Ti andrebbe?-.
 
Sputo il dentifricio nel lavandino per poi alzare la testa allo specchio.
Seppure l’idea di passare qualche ora a casa della signora Backy mi lascia pensare che saranno momenti abbastanza noiosi, noto l’espressione entusiasta di mia madre. È forse la prima volta che qualcuno la invita a pranzo da quando mio padre ha iniziato a massacrarci. Sono felice che stia nuovamente avendo a che fare con le persone e la signora Backy è davvero una brava persona seppure di età avanzata.
Annuisco sorridendole.
 
-D’accordo. Ma devo cambiarbi-.
 
-Oh, no. Stai bene così e poi Backy mi ha detto che è già pronto in tavola-.
 
Sospiro sollevata, scrollando le spalle.
Mamma mi fa cenno col capo di uscire dalla stanza e così faccio. Insieme ci incamminiamo al piano di sotto e quando sbattiamo la porta di ingresso alle nostre spalle, mi giro per notare la figura di mio padre avvicinarsi alla finestra e sbirciare fuori. Probabilmente vuole conoscere la nostra destinazione.
Ritorno a guardare dritto davanti a me e attraversiamo cautamente la strada guardando prima a destra e poi a sinistra.
Suoniamo il campanello sul quale vi è un’etichetta sulla quale è inciso il nome ‘Rebecca Flatcher’. La signora Backy non si è mai sposata ed è sempre stata sola circondata da alcuni nipoti che solitamente passavano a trovarla per qualche giorno. Molto probabilmente erano figli dei suoi fratelli.
 
-Oh, pensavo non veniste più-. Esclama la signora Backy aprendo la porta.
 
Le inviamo dei sorrisi amichevoli mentre lei si sposta sul lato della porta per lasciarci entrare. Chiude la porta e posa una mano sul fianco di mia madre, spingendola delicatamente per farle raggiungere la cucina.
Questo gesto mi ricorda quello di Justin.
Dopo aver sentito mia madre e la signora Backy chiacchierare per circa dieci minuti, ci sediamo a tavola quando ormai tutto il cibo è pronto.
Mamma e Backy mangiano lentamente le loro portate mentre io a stento tocco il primo piatto.
 
-Non ti piace?-. Domanda la signora Backy.
 
-Si, mi piace. Ma non ho molta fame-.
 
-Non vuoi provare neanche il secondo? È delizioso e non lo dico perché l’ho cucinato io stessa-. Ride dolcemente, rivolgendomi uno sguardo premuroso.
 
Esito qualche secondo, riflettendo.
Ci ha invitate a casa sua per pranzare e non mangiare sarebbe davvero irrispettoso da parte mia. Controvoglia, alzo lo sguardo su di lei e annuisco flebilmente sorridendole.
 
-No, no. Il secondo vorrei mangiarlo-.
 
Mi sorride soddisfatta alzandosi da tavola e andando in cucina. Dopo circa due minuti ritorna da noi con tre piatti tra le mani. Li appoggia degnamente ai nostri rispettivi posti come fosse un’esperta in questo campo. Presumibilmente lo è davvero.
Consumo lentamente il mio pasto e quando inghiotto l’ultimo boccone, quasi a farlo apposta mi arriva un messaggio da parte di Justin.
Afferro il cellulare prontamente, curiosa. Lo sblocco e visualizzo il messaggio.
 
Da: Justin
Dove sei?
 
Aggrotto le sopracciglia.
Non mi ha mai posto una domanda del genere neanche in persona e questo è strano. Rivolgo un’occhiata alle due donne che parlano tranquille mentre tra una parola e l’altra mandano giù il cibo e dell’acqua fresca, per poi abbassare lo sguardo sul cellulare. Digito la mia risposta velocemente.
 
A: Justin
A  pranzo dalla mia vicina di casa
 
Da: Justin
Quando sarai libera?
 
A:Justin
Tra qualche ora.
 
Sospiro pesantemente poggiando il cellulare sul tavolo. Mi sento osservata così immediatamente alzo lo sguardo. Mi ritrovo quattro occhi chiari guardarmi in modo curioso e divertito come se si aspettino da me una spiegazione a qualcosa. Bofonchio qualche parola, incerta e insicura.
 
-Cosa…cosa c’è?-. Domando spaesata.
 
-Cos’è questo improvviso interesse per il tuo cellulare? Non l’hai mai usato per più di un secondo-. Spiega mamma.
 
-Io…stavo parlando con Cece. È fuori per il fine settimana e mi aggiorna su ciò che fa-.
 
La signora Backy attorciglia la bocca, forse insoddisfatta della mia risposta. Se fossi stata al loro posto, avrei considerato le mie parole poco credibili.
Sorrido debolmente per convincerle di cessare lì quell’argomento e con mia grande sorpresa e sollievo, smettono di farmi domande.
Il cellulare mi vibra nuovamente e questa volta mi alzo andando verso la finestra. Mi appoggio ad essa e visualizzo il messaggio.
 
Da: Justin
Sii pronta per le otto. Voglio farti vedere una cosa.
 
A: Justin
Cosa?
 
Da: Justin
Regola numero uno!
 
***
 
Quando io e la mamma ritorniamo a casa, l’orologio segna le sei del pomeriggio.
Ci siamo intrattenute parecchio a casa della signora Backy chiacchierando. In realtà le due donne hanno parlato per ore mentre io ho guardato la tv e di tanto in tanto rispondevo a stupidi messaggi che mi inviava Cece.
Ha detto che lì fa molto caldo a differenza di Stratford e che non vede l’ora di ritornare qui. Ha detto anche che ci sono anche moltissimi ragazzi che girano per le vie di Orlando in costume ed hanno un corpo fantastico ma sono molto noiosi.
Ho riso parecchio leggendo quei messaggi. Non vedo l’ora che domani torni così che possa abbracciarla e passare del tempo con lei. Devo ammettere che mi è mancata.
Chiudo a chiave la porta della mia stanza per evitare che mio padre entri di soprassalto. Vado bagno e accendo l’acqua della doccia per farla riscaldare.
Nel frattempo mi spoglio e getto i vestiti nel cesto accanto al lavandino. Alzo lo sguardo allo specchio e tutto ciò che riesco a fare è un’espressione disgustata e angosciata. Dei lividi ricoprono le mie gambe così come il mio addome. Sullo stomaco oltre ad esserci delle macchie violacee vi sono anche delle croste di sangue secco, segno dei calci potenti di mio padre. Tutte le sue scarpe hanno la punta in metallo e questo sicuramente non migliora la situazione.
Scuoto la testa, trasalendo dai miei pensieri ed entro poi in doccia sperando che l’acqua calda mi allontani dalla mia realtà almeno per un po’.
Faccio fatica a passare la spugna imbrattata di bagnoschiuma sui punti in cui vi sono i segni della violenza di mio padre, praticamente su tutto il corpo. Solo quando l’acqua fa scivolare via il bagnoschiuma dal mio corpo, mi sento rilassata.
Resto sotto il getto d’acqua per circa un quarto d’ora. Succede sempre quando mi lavo. La doccia mi sembra un posto sicuro e mi tiene al caldo.
Esco da lì e cingo il mio corpo con un asciugamano abbastanza grande. In realtà mi arriva fino alla punta dei piedi e quasi striscia sul pavimento.
La mia statura non è sicuramente qualcosa di cui vado fiera.
Mi siedo sul letto per riposarmi un attimo ma improvvisamente mi sdraio completamente su di esso presa da un’inconsueta botta di sonno


 
JUSTIN’S PV
Sono a casa di Ryan, giocando alla playstation. È alquanto infantile da parte nostra, soprattutto da parte di Ryan che ha due anni in più a me.
Possiede una casa tutta sua e questo è davvero utile per me, soprattutto quando porto le fortunate ragazze che rimorchio a qualche festa o in qualche locale. Ciò non succede da circa due settimane e ne conosco la causa. Ha a che fare con una ragazza dagli occhi azzurri.
Riemergo dai miei pensieri quando Ryan emette un urlo di gioia e soddisfazione: mi ha di nuovo battuto.
 
-Amico, sei davvero scarso!-. commenta euforico.
 
Lancio lo stick sul divano in modo menefreghista, abbandonandomi con la schiena sullo schienale morbido e grande del divano.
Caccio una sigaretta dal pacchetto che ho solitamente in tasca e la porto alla bocca. Afferro l’accendino sul tavolino di fronte alla tv e faccio in modo che la sua fiamma tocchi la punta della mia sigaretta.
Queen è sempre nella mia testa ultimamente anche se non lo vorrei. Il suo pensiero mi distrae da qualunque cosa io faccia ed ora non riesco a togliermi dalla testa la sua espressione confusa e imbambolata quando l’ho baciata questa mattina. Non penso di aver mai baciato in quel modo. Intendo dire che solitamente quando bacio una ragazza non provo nulla, oltre alla sua lingua tra la mia; stamattina invece ho sentito un brivido alla schiena e una scintilla di piacere nel mio stomaco.
 
-Justin! Mi hai sentito?-. Chiede Ryan aguzzando la vista verso di me.
 
-Si, ti ho sentito-.
 
-Ti ho offeso. Di solito mi attacchi-. Ride confuso.
 
-Non sono in vena oggi-.
 
Aggrotta le sopracciglia e si fa più vicino a me. Mi guarda perplesso e confuso e sembra quasi che abbia paura di parlare e di porgermi qualche domanda.
Lui sa di Queen, è stato lui a farmi compagnia quando sono andata sotto casa sua alle tre del mattino. Ryan è solo a conoscenza della mia curiosità nei confronti della sua situazione. Gli ho raccontato di quanto alcune volte sia strana e dei momenti in cui l’ho vista coprirsi la pelle violacea. Ma non è al corrente che c’è qualcosa che mi spinge ad essere protettivo e premuroso nei suoi confronti. È come se qualcuno me l’abbia fatta incontrare con un unico scopo: proteggerla.
 
-E’ per via di quella ragazza? Queen?-. Domanda improvvisamente facendomi trasalire.
 
-Cosa? No, sono solo…confuso su…una cosa-.
 
-Oh, andiamo. Non sei convincente come speri ed io non sono cretino-.
 
-Sulla seconda affermazione avrei dei dubbi-. Rido.
 
Mi da un colpetto sulla spalla, lamentandosi del mio commento acido. Dal canto mio, continuo a ridere prendendomi gioco di lui. È più grande di me ma è molto più stupido. Però è l’unico di cui mi fido ed è l’unico per cui rischierei la mia stessa vita. Ultimamente però c’è un’altra persona che sta iniziando a far parte di questa cerchia.
 
-Non farmi domande, ti prego. Sai quanto le odio-.
 
Tronco l’argomento sul nascere, prima che mi riempia di domande impertinenti. Non mi piace rispondere e non mi piace che qualcuno si interessi alle mie azioni e ai miei pensieri anche se Ryan è sempre il primo a conoscere le situazioni in cui mi ritrovo.
Con mia sorpresa, comprende il mio disagio e decide di acconsentire la mia richiesta.
 
-D’accordo, ma se vuoi parlarmi di qualcosa, anche se si tratta di questa ragazza, sai dove trovarmi-.
 
Gli rivolgo uno sguardo pieno d’affetto e gratitudine mentre lui appoggia una mano sulla mia spalla. È un contatto amichevole ma so già che sta per dirmi qualcos’altro, lo capisco dai suoi occhi.
 
-Ma ora porta via il tuo culo moscio da qui. Kyla sta arrivando e per arrivare in camera da letto dovremmo passare di qui. Tu non sei bello da vedere mentre…insomma, hai capito-.
 
-Ti scopi ancora Kyla?-. Esclamo stupito e divertito.
 
-E’ una ragazza molto…molto…disponibile-. Ride.
 
Rido anch’io mentre mi alzo dal divano. Spengo la sigaretta nel portacenere sul tavolino per poi rivolgerli un saluto. Raggiungo la porta ed esco di casa ispirando la fredda aria che invade l’atmosfera invernale di Stratford.

***

Alle otto meno un quarto circa sono già pronto. Carico in macchina tutto ciò che servirà per stasera per poi avviarmi col mio fuoristrada verso casa di Queen.
Ogni volta che devo vederla, mi sento entusiasta e felice. Non mi è mai successo prima d’ora si sentirmi in questo modo prima di un appuntamento.
Accosto con l’auto al solito posto di fronte casa sua. Guardo l’orologio e sono ancora le otto meno dieci. Non vorrei che pensi sia ossessionato da lei tanto da presentarmi prima sotto casa sua.
Esito un po’ prima di scendere dall’auto e incamminarmi verso il retro della casa.
È già buio qui così i lampioni sono già accessi e fanno luce sulla strada scura.
Guardo verso l’alto e il mio sguardo arriva fino al balcone al secondo piano dove l’ho vista affacciarsi piangente.
Rifletto su ciò che sto per fare per considerare nuovamente l’idea. Non penso sia opportuna ma non ho mai rispettato le regole. Basta pensare che riempio sempre di domande Queen nonostante vi sia la Regola Numero Uno.
Poggio un piede sullo steccato della casa e man mano salgo fino al balcone. Una volta arrivato su quella piattaforma in alto, noto che la veranda in vetro è socchiusa forse per rinfrescare la stanza all’interno.
Quando la chiudo alle mie spalle l’attenzione cade immediatamente su un piccolo corpo avvolto in un asciugamano bianco in spugna sdraiato sul letto. Mi avvicino maggiormente e vedo le sue palpebre chiuse e la bocca socchiusa. Il suo naso è leggermente rivolto verso l’alto mentre i capelli sono sparsi sul cuscino disordinatamente. Tutto il corpo è coperto dall’asciugamano che non permette di vedere nulla al di fuori delle sue dita dei piedi e le sue spalle.
Mi mordo il labbro inferiore pensando a ciò che potrei osservare se non ci fosse quel tessuto a coprire il corpo di Queen.
Ha un’aria davvero angelica e innocente. Sembra così tranquilla e felice quando dorme e mi viene voglia di darle un bacio.
Mi accascio lentamente sul suo corpo e accarezzo la sua guancia.
C’è ancora quel brutto livido sotto l’occhio ma non gli do molto peso.
Avvicino le mie labbra e stampo un piccolo e tenero bacio all’angolo della sua bocca.
A questo contatto strizza gli occhi e fa una strana smorfia. Ciò mi fa ridere leggermente così sospiro pesantemente sul suo viso.
Improvvisamente le sue palpebre si schiudono permettendomi la visuale di due occhioni azzurri confusi e sonnolenti. Sembra mettermi a fuoco prima di sgranare gli occhi e alzarsi immediatamente a mezzo busto, allibita.
 
-Che…che cosa ci fai qui?-. Chiede allarmata.
 
Tira l’asciugamano sul suo petto anche se copre già abbastanza.
Rido a questa sua reazione, allontanandomi da lei per darle spazio.
 
-Sono venuto a prenderti-.
 
-Pensavo aspettassi fuori in macchina-.
 
Scrollo le spalle divertito, guardandomi attorno. È una stanza normale in rosa e legno e vi sono dei libri e dei pupazzi tra gli scaffali sopra la scrivania che precede la porta di ingresso. Ciò che noto è che non ci sono fotografie ma non dico nulla.
Quando ritorno a guardarla, vedo le sue guance rossastre e i suoi capelli arruffati mentre riflette su qualcosa.
È adorabile.
 
-Come hai fatto ad entrare?-. Domanda spaesata.
 
-Dovresti sapere che sono una persona molto agile-.
 
Indico il balcone e la veranda semi aperta.
La vedo mentre segue con gli occhi la direzione da me indicata e poi assume un’espressione rassegnata e seccata.
Mi avvicino al letto e mi siedo sulla punta di esso girando lo sguardo verso di lei.
 
-Pensa al lato positivo: se non fossi entrato ora, non ti saresti svegliata in tempo-.
 
Alza lo sguardo all’orologio appeso alla parete centrale della stanza e alza le sopracciglia quando nota che sono già le otto. 
Si alza freneticamente in piedi e sta per entrare in bagno quando la fermo, tirando l’asciugamano.
Subito appoggia le mani sull’asciugamano per mantenerlo lungo il suo corpo. Sorrido divertito poggiando una mano sulla fine della sua schiena e avvicinandola a  me.
È ancora umida e mi guarda confusa e intimidita quando fa qualche passo verso di me per assecondare il mio gesto.
Sposto entrambe le mie mani sui suoi fianchi, strofinandole lievemente. Socchiude la bocca ai miei movimenti e sembra quasi rilassarsi.
Mi alzo in piedi e il mio bacino sfiora il suo. Eccitato l’avvicino ancora di più al mio corpo ora che le faccio ombra con la mia altezza.
Avvicino il mio viso al suo e accarezzo una guancia.
 
-Potresti vestirti qui, davanti a me. Non mi lamenterò, giuro-. Sorrido sghembo.
 
Cerco di catturare il suo sguardo ma non ci riesco. Continua ad avere lo sguardo basso sui suoi piedi e sento il suo piccolo corpo tremare tra le mie braccia.
Fermo la mia mano sulla sua mascella e la stringo delicatamente, alzandola verso di me. I miei occhi finalmente incontrano i suoi e sento il suo disagio crescere sempre di più.
Rimaniamo a fissarci per minuti fin quando decido di fare un primo passo.
Poso la mia mano sull’orlo dell’asciugamano che copre il suo seno. Accarezzo con l’indice tutta la lunghezza per poi arrivare al punto quasi sotto l’ascella dove gli estremi dell’asciugamano si incontrano per far in modo che rimanga su a coprire il suo corpo.
Esito qualche secondo su questo punto ma quando sto per sfilare i due estremi del tessuto, la piccola mano di Queen si posa sulla mia.
La stringe forte e di sua spontanea volontà fa centro nei miei occhi con i suoi.
 
-No-. Sussurra.
 
Capendo il suo disagio, decido di lasciar perdere.
Annuisco debolmente con il capo e lascio l’orlo dell’asciugamano. Alzo la mano sul suo viso e stringo l’area dietro il suo collo prima di posare le mie labbra sulle sue.
Si lamenta sulle mie labbra emettendo dei piccoli gemiti. Anche se non vuole baciarmi, faccio pressione e alla fine è costretta a concedermi l’entrata nella sua bocca.
Proprio come qualche ora prima, sento una sensazione piacevole allo stomaco e capisco che questo non è sicuramente un bacio sbagliato.
Le sue mani si poggiano sul mio petto e fanno forza per allontanarmi. Nonostante non siano forti abbastanza, decido di allontanarmi di mia volontà per acconsentire la sua richiesta.
Mantiene gli occhi chiusi per un po’ fin quando non sfioro il mio naso con il suo.
 
-Dovresti andare a vestirti-. Le sussurro.
 
Ingoia pesantemente la saliva e acconsente con il capo. Si gira timidamente dall’altro lato e va verso il bagno chiudendosi la porta alle spalle.
Mi siedo sul suo letto appoggiandomi con la schiena al capezzale del letto. Mi passo una mano tra i capelli e sospiro pesantemente.
Dopo qualche minuto Queen esce dal bagno vestita. Ha i capelli sistemati che le cadono lunghi e ondulati dietro la schiena e noto un filo di trucco sul suo volto.
Le sorrido soddisfatto dopo aver posato il mio sguardo lungo tutto il suo corpo e mi alzo dal letto.
Le stampo un bacio sulla guancia mentre lei si allontana da me. Rido alla sua reazione.
Non mi da fastidio che lei non assecondi i miei baci perché so che lo fa per timidezza e imbarazzo.
 
-Tu dovresti scendere di nuovo da qui-. Mi indica il balcone.
 
-Lo so. Ci vediamo fuori. La mia macchina è al solito posto-.
 
Le sorrido prima di aprire la veranda e scavalcare il balcone. Scendo lentamente da lì e quando metto piede a terra, quest’ultimo si piega. Emetto un leggero ruggito gutturale per impedirmi di urlare dal dolore. Una storta è l’unica cosa che posso desiderare in questo momento.
Nonostante sento dolore, a passo lento mi dirigo verso la strada principale dove Queen è già accanto alla mia auto. L’immagine di lei appoggiata distrattamente alla portiera della mia macchina mi fa sorridere.
Quando i suoi occhi cadono su di me si forma un tenero sorriso sulle sue labbra mentre è evidentemente imbarazzata.
Tento in tutti i modi di camminare normalmente senza farle notare che ho un dolore atroce alla caviglia.
Sono sicuro che il mio piano non ha funzionato in quanto mi guarda confusa con la fronte corrugata.
 
-Che ti succede?-. Domanda preoccupata.
 
-Nulla. Sto bene. Perché?-.
 
Esita prima di avvicinarsi a me con mia sorpresa. Non l’ha mai fatto prima d’ora in modo spontaneo, solamente quando eravamo alla pista ghiacciata, ma in quel caso era per mantenersi in equilibrio sui pattini.
Non sembra essere convinta della mia risposta, così ritenta.
 
-Ti sei fatto male scendendo dal balcone?-.
 
-No, cioè…si. Ho semplicemente preso una storta. Non è nulla di che-.
 
Vedo i suoi lineamenti indurirsi, allarmata dalla mia risposta. Sembra essere preoccupata per me e questo mi risulta strano ma al tempo stesso piacevole. È davvero carina quando si preoccupa.
Si avvicina maggiormente e si inginocchia a terra mantenendosi su un solo ginocchio. Abbassa la testa verso la caviglia, alza l’orlo dei miei jeans e abbassa il tessuto della scarpa.
Sgrana leggermente gli occhi quando vede una macchia violacea coprire la zona in cui il piede e la gamba si uniscono. Strizzo gli occhi e mantengo il labbro inferiore tra i denti, seccato che abbia visto quel livido. Non pensavo si fosse già formato.
 
-Justin è un livido enorme-.
 
Commenta alzando la testa verso di me. Dopo qualche secondo la riabbassa, iniziando a palpare leggermente la zona dolorante.
Gemo flebilmente quando le sue dita fredde accarezzano la mia pelle violacea. Notando la mia reazione, ritira immediatamente la mano e si alza.
Nonostante si sia nuovamente alzata in piedi, è sempre più bassa di me di parecchio e sono costretto ad abbassare la testa per guardarla negli occhi.
 
-Dovresti farti dei controlli per accertarti che non abbia nulla di slogato-. Aggiunge intimidita.
 
Sembra essere insicura delle sue parole e questo mi rattrista. Non dovrebbe dubitare così tanto di se stessa, nessuno merita di sentirsi in questo modo.
Abbasso l’orlo dei jeans e sistemo la scarpa, sbuffando e girandomi dal lato opposto a quello di Queen. Successivamente ritorno a guardarla.
 
-Non mi fa tanto male e non ho nulla di slogato-.
 
-Ma…-.
 
-Queen, ti prego. Sto bene-. La interrompo scocciato.
 
Chiude la bocca in una linea sottile e abbassa lo sguardo. Inizia a contorcersi le mani e mi maledico mentalmente per aver usato questo tono nei suoi confronti.
Dovrei già sapere che ogni volta che appaio brusco, lei si chiude in se stessa e non mi rivolge l’attenzione.
 
-Adesso andiamo-.
 
La vedo incerta nei movimenti e non mi dice nulla. Alza di poco lo sguardo, guardandomi con espressione che io non riesco a decifrare.
Notando la sua indecisione, le afferro una mano e la trascino verso lo sportello del sedile del passeggero.
Le apro la porta e senza che le dica o le accenni nulla, sale tranquillamente. Chiudo la porta dell’auto e vado dall’altro lato, sedendomi sul sedile dell’autista.
Metto in moto l’auto e velocemente esco dal viale di casa sua. Sulla strada principale accelero maggiormente e la vedo mentre fa una smorfia quasi impaurita. Sorrido a quest’immagine mentre lei si gira confusa verso di me.
 
-Perché ridi?-. Domanda timidamente.
 
Scrollo le spalle. -Sei buffa-.
 
Sussulta alle mie parole e mi scruta ancora per un po’ prima di voltarsi verso il suo finestrino. Dal riflesso riesco a vedere mentre osserva attentamente le altre auto che corrono sulla corsia opposta alla nostra ma per non rischiare di scontrarmi con una di loro, ritorno a guardare fisso davanti a me.
 
-Ti fa male?-. Chiede. -Intendo la caviglia. Ti fa male quando guidi?-.
 
Resto stupito dalla sua preoccupazione e del suo interesse nei miei riguardi e mi scappa un sorrisetto. Mi giro verso di lei e incollo i miei occhi ai suoi.
Il blu risplende luminoso, sembra quasi scintillare. Il mio sguardo scende poi sul suo naso e infine sulle sue labbra carnose e rosee. Le ha semi aperte, aspettando impaziente una mia risposta.
 
-No, non preoccuparti-.
 
Annuisce incerta, ritornando a guardare di fronte a sé.
Alle nove circa arriviamo in un ristorante poco distante dal lago ghiacciato. Scendo dall’auto e lei imita i miei movimenti prima che possa raggiungerla e aprirle la porta.
I suoi atteggiamenti sono strani, sono impacciati e sicuri, autonomi e incerti al tempo stesso.
Fa una smorfia confusa mentre si guarda attorno, io sorrido non facendomi notare. In effetti la capisco: le ho detto che le avrei mostrato una cosa e sicuramente un ristorante non arreca sorpresa quando lo si osserva.
Naturalmente ho qualcosa in serbo per lei questa sera.
 
  










Grazie mille a chi recensisce questa ff ogni volta che pubblico
i capitoli. Un ringraziamento va anche a chi ha questa ff tra le preferite, le ricordate
o le seguite. Spero che continuerete a leggerla!
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto e anche se non è stato
così, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione!
Come avrete potuto vedere, il rapporto tra Queen e Justin diventa sempre
più intimo ma ci saranno tantissimi colpi di scena durante la narrazione di questa
storia, perciò non perdetela!
Un bacio, notperfect xx

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Capitolo 13
*** 13 ***


13.
 

QUEEN’S PV
Un ristorante?
Justin vuole farmi vedere un ristorante?
Non sono una persona che pretende molto dalla vita e che non si accontenta delle piccole cose, ma davvero mi ha tenuta sulle spine per tutto questo tempo solo per un ristorante?
Mi guardo attorno spaesata per poi incontrare il viso di Justin che sfoggia un sorriso sfacciato e uno sguardo divertito.
Penso abbia capito a cosa sia dovuta la mia reazione ma non dovrebbe starsene lì a ridere. Dovrebbe darmi una spiegazione.
Mi limito comunque a stare zitta e quando Justin si avvicina, mi afferra una mano. Mi guarda sempre con un sorrisetto sghembo sul viso e devo ammettere che questo mi mette a disagio.
 
-Non vuoi mangiare?-. Mi chiede compiaciuto.
 
La sua mano sale sul mio viso, accarezza la mia guancia e poi ritorna nuovamente sulla mia mano.
È così strano essere toccata in questo modo da Justin. Non l’ha mai fatto prima di ieri e questo suo cambio d’atteggiamento nei miei confronti mi confonde anche se mi risulta piacevole.
 
-S-si ma…-.
 
-Bene, entriamo allora-. Mi interrompe.
 
Stringe la mia mano alla sua e inizia a camminare verso l’entrata del ristorante, trascinandomi come una bambina capricciosa.
Non capisco perché mi tratta sempre in questo modo. Potrebbe semplicemente invitarmi a seguirlo. Io lo farei senza esitazione.
Entrando nel locale, un odore di diversi tipi di pietanza mi invade le narici. Questo accentua solamente la fame che ho già.
Ci sediamo ad un tavolo poco distante dall’entrata, accanto alla finestra. Justin sceglie sempre tavoli in postazioni vicino a punti d’uscita probabilmente perché soffre di claustrofobia.
Mi siedo e Justin fa lo stesso sulla sedia di fronte alla mia. Mi guardo attorno insicura e imbarazzata, notando che il ristorante è semi pieno e ci sono soprattutto giovani coppie.
Al pensiero di me e Justin come una coppia, le mie guance si tingono di rosso e uno strano calore mi invade la schiena e lo stomaco.
 
-Ti piace qui?-. Justin chiede gentilmente.
 
-Mh, si-.
 
Annuisce sorridendo debolmente, avvicinandosi con la sedia al tavolo. Appoggia i gomiti su di esso e unisce le mani in una specie di pugno sotto il mento che gli fa da sostegno a tutto il viso.
Sembra quasi che mi stia studiando e il suo sguardo percorre tutti i miei lineamenti facciali per poi scendere alla scollatura del mio top. Subito rialza lo sguardo, riposandolo sul mio viso.
Notando tutto ciò, mi schiarisco la voce e faccio un piccolo movimento sulla sedia, come per ricompormi.
 
-Cos’hai fatto oggi?-.
 
Gli pongo questa domanda spontaneamente in tono gentile e premuroso.
Alza le sopracciglia e sembra essere sorpreso delle mie parole. So che lui ha sempre voluto che mi interessassi ad una cosa del genere e so che lui ha sempre voluto che gli facessi una domanda del genere prima che lui la ponesse a me.
Eccolo accontentato.
Si passa la lingua tra le labbra e scioglie le sue mani, portandole lungo il busto.
 
-Niente di che. Sono stato a casa di un mio amico-.
 
Annuisco, spostandomi i capelli su una spalla. Passo una mano tra di essi per poi alzare nuovamente lo sguardo.
Vedo che Justin osserva tutti i miei movimenti ed è rimasto stupito da quest’ultimo che ho appena compiuto.
 
-Frequenta la nostra scuola?-. Domando imbarazzata.
 
-Chi?-.
 
Aggrotto le sopracciglia.
È stupido o qualcos’altro?
Nonostante sia parecchio intimidita, voglio portare avanti la conversazione per non sprofondare in una situazione ulteriormente imbarazzante: il silenzio.
 
-Il tuo amico-.
 
Sussulta alle mie parole, passandosi una mano tra i capelli che stasera sembrano particolarmente morbidi. Mi viene quasi voglia di toccarli e giocarci.
Trasalgo dai miei pensieri e dalle mie fantasia quando la voce di Justin echeggia nelle mie orecchie, soppiantando il vocio che vige nel ristorante.
 
-No. In realtà è più grande di me. Ha vent’anni-.
 
-Oh-. Annuisco interessata.
 
Justin accenna un piccolo sorriso, forse divertito dal mio comportamento.
In effetti non sono mai stata così in sua compagnia, non ho mai avviato una conversazione e non ho mai fatto in modo che proseguisse.
Sento la sensazione di star iniziando a fidarmi di lui e di star iniziando a non essere imbarazzata come all’inizio e non so se questo sia un bene o un male.
Dopo qualche minuto, un cameriere raggiunge il nostro tavolo per prendere le nostre ordinazioni. Quando ha terminato il suo lavoro, ritorna in cucina dall’altro lato della sala da pranzo.
L’attenzione di Justin ritorna nuovamente su di me e improvvisamente mi sento avvampare quando sento chiaramente i suoi occhi seguire i miei movimenti.
 
-Allora? Non sei curiosa di sapere cosa voglio farti vedere?-. Domanda improvvisamente.
 
Trattengo un sorriso alle sue parole, ma sicuramente non sono riuscita nel mio intento in quanto anche lui accenna un piccolo sorriso, contagiato da me.
Bagna nuovamente le sue labbra con la lingua e aguzza la vista verso di me.
 
-Direi di si-.
 
-Bene. Sono felice che abbia ricordato la regola numero uno. Di solito non lo fai mai-. Commenta divertito, ridendo sottovoce.
 
-Ci sto lavorando-.
 
Sorrido, abbassando lo sguardo.
D’un tratto ricordo che qualche minuto fa ha preso una storta e che per arrivare alla macchina ha fatto fatica.
Trattengo il respiro e alzo lo sguardo su di lui, preoccupata.
 
-Ti fa male ancora la caviglia?-. Chiedo allarmata.
 
Alza le sopracciglia sorpreso e meravigliato del mio atteggiamento e del mio interesse nei suoi confronti per poi ritornare a stendere i suoi muscoli facciali.
Sorride, scuotendo la testa.
 
-No, non più-.
 
-Sicuro?-.
 
-Sicuro-.
 
-Non mi stai mentendo, vero?-.
 
-Non ti sto mentendo, giuro-.
 
Appoggia la mano destra sul cuore e alza di poco quella sinistra verso il soffitto. Mostra un tenero sorriso che crea una piccola fossetta al lato della bocca.
Osservo attentamente quel punto così adorabile del suo volto per poi ritornare  a guardare i suoi occhi.
Sospiro alla sua risposta anche se molto probabilmente mi ha appena detto una bugia.
Appoggio un gomito al tavolo e sorreggo il lato destro del mio viso con la mano rivolta verso l’alto. Inizio a picchiettare con le dita sul tavolo per poi afferrare una forchetta e premere i suoi denti sulla tovaglia e vedere dei piccoli pallini comparire sul tessuto bianco.
 Alzo lo sguardo per trovare Justin che mi guarda compiaciuto.
 
-Mi sembri una bambina di tre anni, Queen-. Commenta ridendo.
 
Bofonchio qualcosa, intimidita.
Immediatamente riacquisto una posizione verticale e poso la forchetta al suo posto originario accanto al piatto ancora vuoto.
Mi schiarisco la voce, abbassando lo sguardo. Sento le guance andare a fuoco e gli occhi di Justin puntati su di me.
 
-Non devi imbarazzarti con me-. Sorride.
 
Notando ancora il mio imbarazzo, si accascia verso il tavolo e dopo qualche secondo sento la mia mano essere afferrata da un’altra.
Justin stringe la sua presa, tirandola verso il basso.
Ride quando sto per perdere l’equilibrio alla sua delicata tirata.
 
-Queen, guardami-. Sussurra.
 
Dopo qualche istante, faccio come mi ha appena imposto di fare incontrando così due occhi color miele. Dire che sono meravigliosi è dire poco. Non ho ancora trovato un aggettivo per descriverli.
Sembra essere soddisfatto della mia azione e così sorride.
 
-A me piacciono le bambine. Ci so fare con loro. Non devi sentirti in imbarazzo con me-.
 
Nel suo tono di voce c’è ironia e divertimento ma al tempo stesso sembra essere sincero.
Ha uno sguardo dolcissimo in questo momento e continua ad accarezzarmi la mano con le sue dita da sotto il tavolo.
Lo trovo un gesto davvero carino ma al tempo stesso vorrei scomparire per l’imbarazzo.
Schiudo leggermente le labbra e giro lo sguardo altrove. Penso che noti il mio imbarazzo in quanto inizia a ridere lievemente. Dopo qualche secondo lascia la mia mano e ritorna a sedersi normalmente.
Sta per dire qualcos’altro quando l’arrivo del cameriere con le nostre portate interrompe le sue parole sul nascere.
Poggia due piatti ai nostri rispettivi posti per poi congedarsi gentilmente.
Prima che Justin inizi a mangiare, mi invia un’occhiata che io non riesco a decifrare. Sembra quasi che mi dica di sbrigarmi a consumare il mio piatto.
 
-Ti piace?-. Indica il mio piatto.
 
-Si, molto. È buono-. Sorrido.
 
Acconsente con il capo e dopo aver mandato giù alcuni bocconi, alza lo sguardo su di me.
Rallento mentre mastico, imbarazzata a stare sotto i suoi occhi.
 
-Hai mai mangiato sushi?-. Chiede incuriosito.
 
-Ehm, in realtà no-.
 
-Cosa?-. Sgrana gli occhi e per poco non si affoga.
 
-No, non l’ho mai man…-.
 
-Si, si. Ho capito ma…è incredibile che tu non abbia mai provato del sushi-.
 
Scrollo le spalle e arrossisco lievemente.
Ride alla mia reazione e dopo un po’ ritorna nuovamente ad immergere la forchetta nel suo piatto che è già quasi finito.
Guardo il mio piatto e noto che a differenza del suo è ancora pieno. Accelero di poco per finire velocemente il mio cibo.
Non mi piace l’idea di essere osservata mentre mangio.
 
-Allora è confermato il sushi?-. Domanda improvvisamente.
 
Trasalgo dai miei pensieri e lo guardo confusa. Aggrotto le sopracciglia e inclino il viso di qualche centimetro.
Il mio linguaggio del corpo è abbastanza chiaro: voglio una spiegazione.
Notando la mia nuova posizione, sorride forse divertito.
 
-C-cosa significa?-.
 
-Significa che domani ti porto a mangiare sushi-.
 
Posa di getto la forchetta nel suo piatto ormai vuoto, provocando un leggero rumore di due oggetti pesanti che si toccano. Prende il tovagliolo che ha precedentemente appoggiato sulle sue gambe e lo passa velocemente sulle sue labbra per poi posarlo al suo posto accanto al piatto in ceramica.
Sussulto alle sue parole, sentendo le guance diventare ancora più rosse di quanto non lo siano già.
 
-Non ti piace l’idea?-. Chiede, scuotendo la testa.
 
Bofonchio qualcosa. -S-si, mi piace-.
 
-Bene-.
 
JUSTIN’S PV
Posa la forchetta nel piatto ancora semi pieno, acconciandosi poi i capelli su di una spalla.
È la seconda volta che lo fa nell’arco di due ore e devo dire che è bello vederla compiere questo movimento. Le da un’aria così seducente eppure penso che lei non se ne sia mai accorta di quanto può esserlo.
 
-Non lo finisci?-. Le chiedo, indicando il cibo nel suo piatto.
 
Esita qualche secondo, prendendo nuovamente la forchetta. La immerge lentamente nel suo piatto e alza lo sguardo su di me.
 
-Si, ho fame-.
 
Si porta alla bocca la forchetta piena di cibo e le sue labbra la lasciano andare solo quando il cibo risulta essere al suo interno. Mastica lentamente per poi far scendere giù il boccone.
Sorrido divertito, vedendola mangiare. Sembra essere affamata.
Si accorge del mio sguardo compiaciuto e subito si blocca nei movimenti.
 
-Justin…-. Mi chiama in un sussurro.
 
-Dimmi-.
 
-Dì qualcosa-.
 
Mi meraviglio delle sue parole anche se so per certo che questa richiesta è dovuta al suo imbarazzo. Si sente sicuramente troppo in soggezione ed osservata e so quanto le da fastidio. Ed ora che sta mangiando sotto il mio sguardo, capisco che è abbastanza in imbarazzo.
Ciò si può notare anche dal rossore che compare sempre di più sulle sue guance che fanno da contrasto al resto della sua carnagione chiara, quasi pallida.
Sorrido nuovamente, avvicinando la sedia al tavolo. Appoggio un gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano.
 
-Sei carina stasera-. Constato.
 
La vedo mentre, ingoiando un altro boccone, sgrana leggermente gli occhi. Tutto il suo corpo sembra essere chiaramente a disagio a questo mio complimento.
Trattengo una risata, divertito dalla sua reazione. Se ridessi, la metterei ancora di più a disagio e l’idea di vederla in difficoltà non mi piace.
 
-Come sempre-. Aggiungo.
 
Alza lo sguardo su di me e sembra essere divertita e seccata al tempo stesso. Mi piace vederla sorridere e questo sicuramente è un bel momento per il mio piacere personale.
 
-Non prendermi in giro-. Fa una strana smorfia. -Volevo che mi parlassi di cose serie, tipo…-.
 
Inclino il capo verso destra. -Tipo?-.
 
-Tipo…qualcosa di serio. Non saprei-.
 
Le scappa una risatina che subito ritrae quando si accorge del mio sguardo persistente sul suo viso.
Osservo attentamente le sue labbra piegate leggermente verso l’alto e i suoi occhi luminosi brillare ancora di più per il divertimento. È così bella quando è felice.
Ritorno alla realtà quando il cameriere ritorna nuovamente al nostro tavolo.
 
-Desiderate altro?-. Domanda cordialmente.
 
Mi volto verso Queen e le faccio la stessa domanda. Mi risponde con un ‘no’ intimidito così mi giro verso il cameriere e gli dico di portare il conto, nonostante Queen non abbia ancora finito di mangiare.
È davvero lenta.
 
-Ho chiesto il conto, ma tu puoi finirlo-. Le dico indicando il piatto sotto il suo naso.
 
-Mh, no. Sono piena-.
 
Annuisco col capo, prendendo un sorso d’acqua dal mio bicchiere.
Qualche istante dopo Queen imita il mio gesto e mi ritrovo a sorridere.
Non è mai di molte parole con me ma puntualmente so sempre cosa le passa per la testa. Certo, non sempre e non specificamente ma riesco sempre a capire quando si sente a disagio.
Il suo corpo parla chiaramente e sembra quasi essere un libro aperto per me.
Per non parlare dei suoi occhi. Riesco a leggerli ogni volta che si sente in imbarazzo per una mia carezza, ogni volta che ha paura di me quando alzo il tono di voce o la sfioro in modo sbagliato.
Un altro cameriere, differente da quello che ci ha servito fino ad ora, arriva al nostro tavolo e mi mostra il conto porgendomi una piccola cartellina in pelle color marrone.
Quando alzo la testa verso di lui, noto che i suoi occhi sono puntati sul corpo di Queen che non si è ancora accorta di nulla poiché è impegnata a guardarsi distrattamente le unghie.
Resto per qualche secondo a guardarlo, curioso di sapere il limite della sua stupidaggine e mi chiedo per quanto ancora devo aspettare prima che tolga i suoi disgustosi occhi da Queen.
 
-Smettila di guardarla prima che ti apra la testa in due parti-. Sputo tra i denti.
 
Alle mie parole, sia il ragazzo sia Queen si girano verso di me.
Cerco in tutti i modi di mantenere la calma e fare in modo che la parte violenta di me non esca proprio adesso.
Sento lo sguardo di Queen quasi bruciare sul mio volto mentre il cameriere mi invia un’occhiata quasi dispiaciuta e confusa.
 
-Stavo solo…-.
 
-Non mi interessa cosa vuoi dirmi-. Lo interrompo. -So solo che non devi guardarla per un altro secondo. Non rientra negli schemi di un cameriere mangiare con gli occhi una persona-.
 
Una persona in particolare in questo caso.
Lo vedo mentre ingoia la saliva impaurito per poi annuire col capo. Tenta di dire qualcosa ma dopo un po’ ci rinuncia, troppo incapace per spicciare parola.
Che idiota.
Dopo aver osservato la sua reazione intimorita, decido che è arrivato il momento di lasciarlo andare.
Estraggo delle banconote dal mio portafogli e le infilo nella cartellina in pelle per poi allungare l’intero malloppo verso di lui.
 
-Grazie-. Annuisce con il capo.
 
Quando lascia il nostro tavolo, impiego qualche secondo prima di girarmi verso Queen.
Mi guarda confusa, impaurita e preoccupata al tempo stesso. Non voglio che mi guardi così, l’ultima cosa che voglio è che abbia paura di me.
 
-Queen…-.
 
-L’hai spaventato a morte-. Mi interrompe stupita.
 
-Lui ti stava divorando con lo sguardo-.
 
-Ma è quasi scappato da qui. Aveva…aveva paura di te, Justin-.
 
Il suo sguardo è perso e confuso.
Brutto segno.
Passo la lingua tra le mie labbra, bagnandole leggermente. Sento la sua preoccupazione anche da qui e i suoi occhi mi comunicano qualcosa che non vorrei mai che qualcuno mi trasmettesse.
Ci risiamo. Non voglio che Queen sia impaurita da me o che si senti poco al sicuro in mia compagnia.
So perfettamente che i miei modi di fare molto spesso sono inadatti e troppo bruschi, ma so anche che non farei mai del male a Queen. Lei è troppo fragile e non me lo perdonerei mai.
 
-Non voglio parlarne. Usciamo da qui-.
 
Mi alzo in piedi, invitandola con gli occhi a fare lo stesso. Dopo un attimo di indecisione, fa leva sulle gambe e si alza.
Aspetto che mi raggiunga prima di camminare verso l’uscita del ristorante. Mentre camminiamo, cerco di sfiorare la sua mano, ma non appena sente il mio contatto, ritrae la mano.
Con questa sua reazione, un colpo mi viene sferrato nello stomaco. Un colpo che tende a salire sempre di più verso destra.
Usciamo dall’edificio e subito l’aria gelida invade entrambi.
Fa davvero freddo qui a Stratford in inverno e a me il gelo non è mai piaciuto molto.
Si avvia autonomamente verso la macchina mentre io mi fermo distrattamente a sfregiare le mani sulle mie braccia per trovare un po’ di calore.
Quando noto che è già di qualche passo più avanti al mio corpo, la raggiungo velocemente afferrando un suo braccio.
 
-Queen…-. Afferro il suo viso tra le mani e l’accarezzo con le dita. -Non mi piace quando mi eviti-.
 
Continua a muovere il suo viso da destra a sinistra in piccole onde mentre il suo sguardo è incollato alla collanina che ho al collo e che continua a muoversi quando con la testa seguo i movimenti di Queen. Tenta di non guardarmi negli occhi e addirittura non vuole stare alla pari con il mio viso.
Mi sento un verme.
 
-Queen, hai sentito cos’ho detto?-.
 
Continua a stare in silenzio e questo non mi piace. Non voglio che lei si faccia degli scrupoli per parlarmi o per starmi vicino. Deve sapere al cento per cento che non la toccherei brutalmente neanche se fosse l’unica possibilità per restare in vita.
Faccio forza alla stretta sul suo viso ma non facendole del male. Geme leggermente e sento il suo corpo ritrarsi.
Pian piano le mie mani scendono sul suo collo e poi sulle sue braccia mentre continuo a guardarla insistentemente.
 
-Queen, parlami. Voglio sentire la tua voce-. La incoraggio.
 
Quando dopo qualche secondo non risponde alle mie richieste, decido di lasciarla. La scruto ancora qualche secondo prima di allontanarmi completamente da lei.
 
-D’accordo, non parlarmi se vuoi-.
 
Mi avvio lentamente ma con passo deciso verso l’auto parcheggiata a pochi passi da noi. Prendo le chiavi dalla tasca dei miei jeans e premo su di esse. Quando l’auto emette una lucina e un suono, capisco che si è aperta.
Appoggio la mano sulla portiera dell’auto intento ad aprirla quando sento un leggero calore alle mie spalle, proprio al centro della schiena.
Capisco che è la mano di Queen quando si sposta più verso il fianco sinistro, stringendo poi il tessuto del mio cappotto.
 
-Justin-.
 
La sua voce mi sembra quasi angelica ed è di una dolcezza unica. Non penso di aver udito un suono migliore.
Mi chiama nuovamente, facendo pressione sul mio fianco.
Nonostante mi senta incapace di muovermi, mi giro lentamente verso di lei. È costretta così a ritirare la sua mano e inizia a guardarmi dispiaciuta abbassando lo sguardo o girandolo dall’altro lato quando si sente troppo in imbarazzo.
 
-Mi dispiace-. Sussurra. -Non volevo reagire in quel modo. Mi sono comportata come una bambina. Non dovrei comportarmi così. S-scusa-.
 
La scruto attentamente mentre combatte contro la sua timidezza. Le guance sono naturalmente tinte di rosso e le sue mani sono unite sul davanti del suo corpo mentre si sfiorano leggermente e si attorcigliano di tanto in tanto.
Ingoia la saliva guardando altrove, aspettandosi forse una risposta da parte mia.
Le alzo il mento con l’indice e quando incontro i suoi magnifici occhi, le sorrido dolcemente. Prima che possa dire qualcosa, poggio le mie labbra sulle sue.
Ultimamente mi risulta impossibile non baciarla quando siamo così vicini. È davvero una bella sensazione starle accanto in questo modo.
Mugugna in risposta, cercando di allontanarsi ma, proprio com’è già accaduto, ci rinuncia quando comprende di non avere scampo.
È un bacio più lungo rispetto agli altri due. Poso una mano dietro il suo collo e la attiro ancora di più verso di me. Emette strani versi a questo mio movimento, forse contrariata a tutto ciò.
Con la mano libera, stringo la sua mano destra. Intensifico la presa per far in modo che reagisca e quando ricambia la mia stretta, mi sento soddisfatto. Rido sulle sue labbra quando mi allontano di qualche centimetro per prendere aria.
Sento il suo debole respiro sul mio collo, essendo lei più bassa di me di molti centimetri. Ho ancora gli occhi chiusi quando avvicino il mio naso al suo e lo sfioro lentamente per poi spostare la mano sulla sua guancia ed accarezzarla.
Quando apro gli occhi, noto che lei è alzata sulle punte e questo mi fa ridere leggermente.
Dopo un po’ anche Queen apre gli occhi e mi guarda intensamente.
È in imbarazzo e non sa cosa dire o fare, così decido di anticiparla.
Afferro la sua mano e la trascino verso il sedile del passeggero. L’aiuto a salire per poi raggiungere il lato dell’autista.
In auto c’è un’atmosfera alquanto testa com’è successo dopo il primo bacio che ci siamo scambiati.
È strano di come si lamenti quando la bacio e poi non dice nulla per protestare le mie azioni. Inizio a pensare che in fondo tutto ciò le piace e non vuole ammetterlo e mostrarlo.
Dopo qualche minuto parcheggio l’auto in un parcheggio che forse a Queen è familiare.
Scendo dall’auto e vado verso di lei. Le apro la portiera e la faccio scendere, stringendo la sua mano e poggiando poi la mia sul suo fianco per spronarla a camminare.
 
-Cosa ci facciamo qui?-. Domanda, indicando la scritta ‘Bruce’s’ sull’enorme edificio.
 
-L’altra volta non ti ho detto che da piccolo mi piaceva osservare le stelle-.
 
Prima che possa fare altre domande, vado verso il cofano della mia macchina e tiro fuori uno scatolone.
Mi guarda curiosa e stranita ma, non badando alle sue occhiate, afferro la sua mano con la mia libera e la trascino verso il retro del ristorante.
Saliamo per la seconda volta le scale in ferro e quando arriviamo sul terrazzo, la precedo mentre vado al centro della piattaforma.
 
-Justin non capisco cosa…-.
 
Prima che termini la frase, mi vede estrapolare un telescopio dallo scatolone e questo la azzittisce. Guarda attentamente l’aggeggio che ho tra le mani mentre si avvicina maggiormente.
Non mi fa alcuna domanda mentre lo sistemo in modo preciso e giusto, sapendo chiaramente che non mi piace quando qualcuno mi porge delle domande.
Quando ho finito col mio lavoro, pongo le mani sui miei fianchi e mi giro verso di lei soddisfatto.
La vedo mentre trattiene una risata, forse divertita per la mia posizione e questo pensiero fa sorridere anche me.
Mi avvicino a lei non perdendo mai di vista i suoi occhi e le afferro poi una mano. La trascino delicatamente di fronte all’occhiello del telescopio e mi posiziono al suo fianco ma leggermente dietro al suo corpo.
 
-Mi hai detto che nessuno ti apprezza mai per quello che sei-. Le sussurro, avvicinando il mio viso al suo orecchio. -Giusto?-.
 
-S-si-.
 
-Bene. Adesso voglio che tu dia un’occhiata alle stelle e quando avrai individuato la più luminosa, ti senta proprio come quella stella-.
 
La sento rabbrividire alle mie parole e trattenere il respiro per qualche secondo. Cerca di girarsi verso di me ma qualcosa, presumibilmente la sua timidezza, la blocca. Ritorna così ad avere il viso rivolto verso il telescopio e quando le stringo la mano per incitarla, si abbassa di qualche centimetro e poggia un occhio sull’occhiello interno.
Sembra essere tesa ma dopo un po’ fa un grande respiro e sento il suo corpo rilassarsi sotto la sua presa.
 
-Non ho mai usato un telescopio, non so esattamente come posizionarmi-. Confessa intimidita.
 
-Come prima volta, devo ammettere che te la sei cavata. Non ci vuole molto ad usarlo ma solitamente la gente non riesce mai a trovare una posizione ben precisa e comoda. Tu sei comoda?-.
 
-S-si, sto bene così-.
 
-Vedi bene?-.
 
-Si-.
 
Sorrido soddisfatto e intenerito dalle sue parole e dai suoi movimenti nonostante Queen non possa vedermi.
Nei minuti che seguono, cambia qualche posizione e sembra essere sempre più incuriosita e interessata a ciò che sta facendo.
Guardare le stelle mi ha sempre affascinato e quando Queen mi ha confessato come si sentiva e come si sente tutt’ora, mi è balenata alla mente quest’idea.
Voglio che si fidi di me e che si senta a suo agio in mia compagnia, questo è solo l’inizio del percorso che voglio compiere con lei.
 
-Ti piace?-. Chiedo.
 
 
Mi posiziono dietro di le e poso le mie mani sui suoi rispettivi fianchi. Non voglio che vada da nessuna parte, non voglio che si muovi da qui.
La sento ritrarre di poco il suo corpo a questo contatto ma dopo qualche secondo si rilassa sotto il mio tocco.
 
-L’ho trovata-. Annuncia dopo un po’.
 
-L’hai trovata?-.
 
-Si, la stella più luminosa-.
 
Sorrido, intenerito dall’ingenuità e dalla spontaneità delle sue parole.
Strofino le mie mani sui suoi fianchi quando mi affianco al suo corpo.
Sente la mia presenza accanto a lei, così si allontana dal telescopio e mi lascia posare l’occhio sul punto in cui c’era il suo fino a due secondi fa.
Osservo attentamente e scorgo una moltitudine di punti bianchi ricoprire l’intero spazio ma una brilla più delle altre. Emana una luce bianca che predomina sul bagliore delle altre.
Ecco, quella è Queen.
 
-La vedi?-. Mi chiede flebilmente.
 
-Si-.
 
Ritorno ad avere una posizione rettilinea, guardando verso Queen e sembra essere felice e soddisfatta.
È bello pensare che Queen si diverte con poco, questo accresce l’idea di ragazza ingenua e dolce che ho di lei. E la cosa strana è che ciò mi piace. Mi piace tanto.
Abbassa lo sguardo a disagio.
Afferro la sua mano e la stringo alla mia. Alla mia stretta, alza lo sguardo su di me e mi guarda impacciata.
 
-Cosa devi fare adesso?-. Le domando.
 
Con la mano libera le accarezzo una guancia mentre la guardo impaziente di una sua risposta. Sussulta alle mie parole e alla mia carezza, trattenendo il respiro.
 
-Non lo so. Dimmelo tu-.
 
Sorrido. -Devi personalizzarti in quella stella. Sei tu la stella più luminosa, Queen. Non lasciare che gli altri non notino la tua luminosità-.
 
-Dovrò lavorarci su-. Dice e sembra essere quasi ironica.
 
-Ti aiuterò io-.
 
Stringe la mia mano, ricambiando la mia stretta. Mi sento la persona più felice del mondo in questo momento.
Vederla sorridente e vederla più a suo agio con me, mi fa stare bene. La sua presenza mi fa stare bene. Queen mi fa stare bene.
 
-Magari per adesso potremmo dividere la luminosità di quella stella-. Propone, abbassando lo sguardo ma sorridendo.
 
Le sue parole e la sua reazione fanno ridere anche me. Mi avvicino ancora di più al suo corpo, scendendo le mani sui suoi fianchi. A questo punto ne posiziono una alla fine della sua schiena, stringendola a me verso il bacino.
 
-Quindi abbiamo una stella in comune?-. Scherzo.
 
Sorride. -A quanto pare si. Brilliamo insieme-.
 
Sussulto alle sue parole e per la prima volta è lei a lasciarmi di stucco e a farmi sentire i brividi alla schiena. Non avrei mai pensato mi dicesse una frase così…così intensa.
Il suo sguardo si abbassa lentamente quando nota la mia espressione meravigliata. Prima che abbassi del tutto la testa, blocco il suo movimento con l’indice e faccio in modo che mi guardi di nuovo dritto negli occhi.
 
-Brilliamo insieme, allora-.
 
Sussurro prima di posare le mie labbra sulla sua guancia. Non è un bacio, è solo una carezza e quando mi sto spostando lentamente sulla sua bocca, allontana il suo viso dal mio.
Mi guarda dispiaciuta e perplessa al tempo stesso mentre io mi limito a far scendere le mie mani sui suoi fianchi.
 
-Possiamo semplicemente abbracciarci?-.
 
Mi ha davvero chiesto una cosa del genere?
Sorrido alle sue parole così timorose e discrete e anche per la sua ingenuità. Mi fa quasi tenerezza così senza pensarci due volte avvolgo le mie braccia attorno al suo piccolo corpo e la stringo forte al mio petto.
Sento le sue braccia stringere man mano il mio punto vita e fare una lieve pressione quando completa l’intero giro.
Strofino le mani sulla sua schiena per poi lasciare un bacio sui suoi capelli. Rabbrividisce, posizionandosi meglio tra le mie braccia.
Posa completamente la testa sul mio petto e si lascia completamente andare nell’involucro che il mio corpo funge ad essere per lei.
E’ questo ciò che farò da oggi in poi: sarò la sua corazza. La proteggerò da qualsiasi cosa.
L’abbraccio dura parecchi minuti ma io resterei in quella posizione per sempre. Mi sento così bene.
 
-Justin-.
 
Afferro il suo viso tra le mani e lo allontano di qualche centimetro dal mio corpo per vederla chiaramente in faccia.
Ha le guance arrossate e i capelli arruffati per via della mia stretta sul suo corpo ed è adorabile.
Le sistemo una ciocca di capelli dietro l’orecchio prima di rivolgerle completamente l’attenzione.
 
-Ti fa ancora male la caviglia?-. Chiede premurosamente.
 
Roteo gli occhi al cielo, sorridendo lievemente.
Non pensavo si preoccupasse così tanto di una cosa così inutile.
 
-E’ la terza volta che me lo chiedi in tre ore-. Rido. -Non mi fa male, credimi-. Le accarezzo le guance con i pollici.
 
-Non posso crederti se continui a camminare come…-.
 
-Come?-. La guardo torva ma in modo simpatico e ironico.
 
-Come se ti facesse male la caviglia!-.
 
Rido, seguita a ruota da lei. Fermo i miei movimenti con le dita e mantengo gli occhi sul suo viso.
 
-Sto bene, Queen. Mi pizzica solamente la legatura ma non è niente di molto doloroso-.
 
Sgrana gli occhi, allarmata. -La legatura?-.
 
-Oddio, Queen. Sto bene. Non preoccuparti-.
 
Ci pensa su qualche secondo.
Inizialmente sembra essere eccessivamente preoccupata per lo stato della mia caviglia ma dopo un po’ i suoi lineamenti si rilassano anche se non del tutto.
Sospira rassegnata, afferrando i miei gomiti.
 
-Lascia almeno che ti dia un’occhiata-.
 
-Hai già visto che c’è un livido ma sappi che non mi fa eccessivamente male. Devi credermi-.
 
Sbuffa. -Posso almeno spalmarti della pomata?-.
 
Aggrotto le sopracciglia, confuso.
Si porta creme e pomate appresso? Questo è strano.
 
-Perché hai della pomata con te?-. Le domando stranito.
 
Sembra essere presa alla sprovvista dalle mie parole così sussulta spaesata. Bofonchia qualcosa di incomprensibile prima di articolare la sua risposta.
 
-Da quando mio cugino mi ha procurato questi lividi…-. Indica le macchie violacee sul suo viso. -…Mamma mi ha munito di questa roba e…anche se emana odore sgradevole, è ottima ed efficace-.
 
Elaboro le sue parole prima di annuire incerto.
 
-Oh…d’accordo-.
 
Mi siedo sul pavimento gelido del terrazzo e lei fa lo stesso.
Sfilo la scarpa e tolgo il calzino bianco per poi alzare la piega dei jeans. Queen invece caccia fuori dalla sua borsa un campione di pomata che ha un’etichetta verde e gialla. Sfila il tappo e la spreme, facendo uscire del liquido denso sulle sue dita. Quando ottiene la quantità necessaria di crema, la posa sulla mia caviglia nuda e inizia a spalmarla.
Il suo tocco è delicato e lento, mi rilassa e mi arreca piacere.
La osservo mentre è concentrata con lo sguardo rivolto verso il basso sulla mia caviglia. È assorta completamente nello spalmare la crema ed è tremendamente tenera. Bella.  
 
-Sei brava. Potresti essere una massaggiatrice-. Dico ironicamente.
 
Sorride alle mie parole, trasalendo dai suoi pensieri.
Chissà a cosa stava pensando.
Continua a massaggiare il punto da me indicatole qualche minuto fa, invadendomi di godimento.
Mi sento rilassato sotto il suo tocco e questo suo movimento sta assopendo il mio dolore alla caviglia.
 
-Va già meglio-. La informo.
 
Sorride nuovamente, facendo gioire anche me.
Ad un tratto alza un braccio e col gomito tenta di spostare una ciocca di capelli dai suoi occhi. Ma non ci riesce poiché ha le mani imbrattate di crema e logicamente non vuole sporcare i suoi capelli.
Notando la sua difficoltà, allungo una mano verso di lei e posiziono quella ciocca di capelli ribelle dietro il suo orecchio.
Alza lo sguardo verso di me e mi sorride in segno di riconoscenza.
 
-E’ strano che tu mi stia massaggiando un piede alle undici e mezzo di sera, su un terrazzo di un ristorante dal quale siamo stati cacciati qualche giorno fa-. Constato improvvisamente.
 
La sua attenzione ricade nuovamente sul mio viso e quando incontro i suoi occhi, mi sento in paradiso.
 
 
-Non è strano se tu non omettessi di aver preso una storta-.
 
Divertito, alzo le mani al cielo. -Colpa mia-.
 
Ride ingentemente, accasciandosi verso la mia caviglia.
Osservo il suo sorriso e per l’ennesima volta posso affermare che è il più bello che abbia mai visto.
Dopo un po’, guarda l’orologio al mio polso e nota che sono quasi le dodici in punto.
Sgrana gli occhi e strofina le sue mani una contro l’altra per liberarsi della crema.
 
-Devo ritornare a casa-. Afferma prontamente, alzandosi in piedi.
 
-Oh, d’accordo-. Dico dispiaciuto, preso alla sprovvista.
 
Rinfilo nuovamente il calzino e la scarpa per poi alzarmi in piedi. Noto con grande stupore che dopo il massaggio di Queen, mi sento davvero meglio e riesco a camminare senza zoppicare.
Scendiamo le scale a passo moderato per poi raggiungere l’auto.
Ci sono ancora dei clienti al ristorante e noi tentiamo in tutti i modi di non farci notare, soprattutto per non rischiare che i camerieri ci riconoscano.
Dopo aver attraversato a gattoni la zona per arrivare alla macchina, -il tragitto era proprio lungo le finestre del ristorante-, entrambi ridiamo a crepapelle buttandoci a peso morto sui sedili della macchina che ho aperto precedentemente.
Metto in moto e sfrecciamo verso casa di Queen.
Il tragitto in auto è molto silenzioso anche perché la velocità con cui sto guidando, impaurisce Queen. Ma se deve arrivare in tempo a casa per mezzanotte, deve scacciare via questa paura. Mi ha detto qualche giorno fa che i suoi genitori sono molto severi sul rispetto del coprifuoco, così non voglio che si becchi una sgridata a causa mia.
Dopo qualche minuto arrivo fuori casa di Queen e parcheggio al solito posto.
 
-Allora ci vediamo domani-. Mi volto verso di lei, sorridendole.
 
-A domani-.
 
Apre la porta e sta per scendere dalla macchina quando improvvisamente si ferma. Esita prima di voltarsi verso di me e imbarazza mi stampa un bacio sulla guancia.
Mi ci vuole un po’ prima di afferrare cos’è appena successo e quando metabolizzo l’accaduto, Queen è già sulla soglia di casa sua.
Sorrido tra me e me e mi allontano con l’auto quando la vedo scomparire dietro la porta.
 
 
 
 
 
 
Spero vivamente che questo capitolo vi
sia piaciuto e che troviate il tempo per recensire e
lasciarmi la vostra opinione, sia essa positiva o negativa!
Continuo dopo almeno sei recensioni!
Un bacio, notperfect xx 

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