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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Can't Wash It All Away (I) *** Capitolo 2: *** Dolefully Desired (II) *** Capitolo 3: *** Goodbye My Lover (III) ***
E’ il tipo di
posto sbagliato, per pensare ancora a te
E’ il momento
sbagliato, c’è qualcuno di nuovo
E’ un piccolo
crimine, ed io non ho scuse;
e va tutto bene,
vero?
Abbiamo dato via
la pistola quando era carica,
e va tutto bene,
vero?Per te…
(Damien
Rice – 9 Crimes)
Pt. 1: Can’t Wash It All
Away[**]
Sono così stanca
di stare qui,
oppressa da tutte
le mie paure infantili…
E se devi
andartene,
vorrei che te ne
andassi e basta,
perché la tua
presenza indugia qui
e non vuole
lasciarmi sola…
(Evanescence – My Immortal)[***]
“Tesoro, mi raccomando, non far tardi!”
“Tranquilla mamma, tornerò in orario…e non abbandonerò il
sentiero né mi fermerò a parlare con gli sconosciuti...”
Lily Evans strizzò l’occhio a sua madre, le diede un bacio
sulla guancia e uscì di gran carriera. Il sole estivo le baciò il volto e
rimase intrappolato tra i suoi capelli, legati in una coda alta sulla nuca.
Lily si stiracchiò, godendosi l’aria tiepida e limpida. Che giornata
magnifica. La giornata perfetta per celebrare la fine…beh, esattamente non
sapeva di cosa. Della sua infanzia, forse, molto alla lontana. Mancava una settimana,
solo una settimana al suo matrimonio. Lily aveva espresso a James il desiderio
di passare qualche giorno da sola a casa dei suoi genitori, cosa che lui aveva
appoggiato pienamente, ma quel periodo era ormai finito e quella sera, alle
sette in punto, James sarebbe venuto a prenderla per riportarla a Londra, dove
convivevano da due mesi e dove si sarebbero sposati. Come minimo, quel giorno
era l’ultimo che la signorina Lily Evans avrebbe passato nella sua
vecchia casa. E Lily aveva deciso di doverlo trascorrere in maniera
particolare, anche se non aveva un piano preciso. Sapeva solo che voleva uscire
di casa, e stare un po’ con se stessa. E questo, apparentemente, aveva mandato
sua madre in fibrillazione. Da quando le aveva comunicato le sue intenzioni, la
donna aveva potuto ripeterle non meno di una trentina di volte di non arrivare
tardi, di essere a casa entro e non oltre le sette, per carità. La scusa era
che non sarebbe stato carino far aspettare James. La verità, pura e semplice,
era invece che alle sette e mezza sarebbe arrivato per cena Vernon, il grasso,
maleducato, ottuso fidanzato di Petunia, e Petunia non voleva assolutamente che
Vernon e James si incontrassero. La loro madre, povera donna, cercava di
salvaguardare la pace in casa. Aveva anche cercato, molto discretamente, di
persuadere la figlia minore a rimanere a casa, ma Lily era stata irremovibile:
sarebbe tornata sì prima delle sette, ma aveva deciso che quel giorno era
speciale, e andava festeggiato. Lily amava profondamente quel genere di cose:
compleanni, onomastici, anniversari…momenti che dessero un senso al tempo,
insomma.
Mentre toglieva il lucchetto dalla bicicletta, le balenò
l’idea di fare un giro del paese, di visitare tutti i posti che per lei avevano
significato qualcosa e salutarli. Sì, era una buona idea. Lily saltò in sella e
iniziò a pedalare di buona lena, la gonna a fiori che fluttuava sinuosamente
poco sopra il ginocchio.
Passò velocemente di strada in strada, riconoscendo di tanto
in tanto qualche posto che ricordava dalla sua infanzia, ma senza particolare
interesse…sentiva di star cercando qualcos’altro, qualcosa di più speciale.
Sfrecciò così lungo Hawthorn Boulevard, curandosi poco dei
bei negozi d’abbigliamento Babbano che l’avevano tanto attirata da bambina,
quando ce la portava Petunia, ma rallentò davanti alla sua vecchia scuola
elementare, salutando con la mano le imponenti mura, riverniciate di fresco.
Svoltò poi in MayFlower Lane, la strada che più aveva amato da ragazzina: il
grande negozio di giocattoli del signor McCallister, meta obbligata della
Vigilia di Natale, era sparito, sostituito da un anonimo negozio di
elettrodomestici, ma il Bar dei Tigli era ancora là, amichevole e familiare.
Lily ricordava i pomeriggi passati lì con sua sorella e sua madre a trangugiare
gelati, e il proprietario le regalava sempre un sacchetto di caramelle gommose:
“un premio per gli occhioni più belli della città” diceva, orgoglioso come un
nonno. Lily sorrise, quasi commossa, e considerò di fermarsi a prendere
qualcosa: alla fine decise di no, tutto sommato sarebbe stato imbarazzante, e
poi aveva voglia di continuare a muoversi…c’era una specie forza che la tirava,
una voglia imprecisata di qualcosa che era lì, molto vicino, ma comunque altrove.
Riprese quindi a pedalare, un po’ più speditamente,
godendosi la sensazione della brezza fresca sul volto. In poco tempo fu lontana
dal centro cittadino, e iniziò a percorrere i deserti vialetti alberati dai
quali si poteva già scorgere, nera e svettante contro il cielo, l’enorme ciminiera
di Spinner’s End. La ragazza non la curò di alcuna attenzione, concentrandosi
invece sul paesaggio, attenta a ogni strada che apparisse familiare…era
all’incirca cosciente di star girando intorno a un’idea piuttosto precisa, una
che non voleva rivelare nemmeno a se stessa, a quanto pareva…non se ne curò, e
continuò invece il suo giro, canticchiando un motivetto famoso.
Si fermò la prima volta all’angolo di Lavender Avenue, al
vecchio pioppo da cui a sette anni aveva salvato un gattino. Nessuno, nemmeno lei,
aveva capito lì per lì come fosse riuscita a salirci e recuperare il micio.
Lily rise, guardando ora l’albero come fosse un vecchio amico: col senno di
poi, quella era stata probabilmente la prima volta che aveva usato la magia.
Rimontando in sella, considerò che forse sarebbe stato
meglio non essersi fermata: i muscoli delle gambe erano troppo in tensione, la
breve sosta li aveva raffreddati di colpo, e adesso faticavano a riprendere il
ritmo. Iniziava a sentire anche una leggera fitta all’altezza del polpaccio,
così decise che fosse ora di tornare a casa…dopotutto, qualsiasi cosa stesse
cercando, pareva chiaro che non l’avrebbe trovata lì. Senza pensarci svoltò a
sinistra, prendendo quella che a rigor di memoria era la via più diretta per
casa sua, pedalando senza fretta, per non sforzare i muscoli doloranti. Quella
strada aveva un aspetto del tutto desolato: Lily superò cercando di non
guardarle nemmeno una schiera di vecchie villette scrostate e dalle finestre
cieche, un chiosco da giornalaio distrutto e pieno di graffiti, un parco giochi
abbandonato…inchiodò di botto. Nonostante il suo buonsenso e i suoi muscoli le
gridassero all’unisono –anche se per ragioni diverse- di assolutamente continuare
verso casa, non poté fare altro che tornare indietro, e fermarsi a fissare
le vecchie altalene arrugginite, totalmente ipnotizzata. Quel posto era così
cambiato, da quando era bambina…Era stato un posto discretamente tranquillo e
allegro, un tempo, una delle mete preferite nei pomeriggi delle sorelle Evans: adesso,
a malapena riusciva a riconoscerlo. Smontò dalla bici, scavalcò la recinzione
arrugginita e si avviò verso le altalene, in una sorta di trance, senza quasi
notare la polvere sabbiosa del recinto che le entrava nei sandali, pizzicandole
i piedi. Non poteva credere che lì fosse lo stesso posto di quando era
ragazzina. Si sedette, allacciando le braccia alle corde logore dell’altalena,
improvvisamente preda di nostalgia e rammarico: le faceva male al cuore vedere
quel posto che tanto aveva significato per lei, dove aveva passato tante ore
felici, dove…beh, dove aveva scoperto di essere una strega…così desolato, così
logoro e dimenticato.
Calciò un po’ di sabbia con la punta della scarpa, a
malapena cosciente dei suoi gesti, incredibilmente intristita.
Il parco non è l’unica cosa di quel periodo ad essersi
logorata e che rimpiangi, non è vero?
Sua Maestà la Realtà dei Fatti la rincorreva con voce
suadente e fredda nella sua mente, dove non poteva nascondersi, né rifiutarsi
di guardarla. Lily scosse la testa, cercando di zittire quella voce fastidiosa.
Sollevò finalmente lo sguardo dai propri piedi e si ritrovò a fissare un gruppo
di vecchi cespugli raggrinziti e secchi. Per un assurdo istante sperò di veder
spuntare oltre essi un ragazzino dal viso affilato e pallido, vestito di abiti
troppo grandi per la sua statura, e un attimo dopo aveva chinato il capo,
lottando furiosamente contro le lacrime che, non invitate, le premevano forte
agli angoli degli occhi.
Era questo, dunque. Giù la maschera, signorina Evans. Aveva
voluto ricordare, ed era arrivata a doverci fare i conti. Era vero, il parco
non era l’unica, e assolutamente non la più importante, delle…cose…di
quel periodo che si erano perse, rovinate, e di cui sentiva la mancanza, la
maledetta mancanza. Aveva cercato di non pensarci, si era sforzata di
dimenticare, per tutto quel tempo, per tutti quegli anni…era stata brava, oh
sì, molto brava: aveva tenuto il ritmo, non s’era fatta raggiungere dal
rimorso, era sgattaiolata ogni volta, protetta da nuovi affetti, da nuovi
interessi. Si era sentita sicura. E adesso, adesso che sarebbe dovuto essere
tutto nell’oblio, adesso che non si vedevano da tre anni, adesso che era il
giorno meno opportuno, adesso, le tornava tutto in mente.
“Oh beh, ovviamente” pensò, in un improvviso moto di
stizza. Aveva sempre avuto un’abilità particolare nello scegliere il momento
meno opportuno per parlare e la cosa meno opportuna da dire, lui. Era
naturale che anche il suo ricordo decidesse di rifarsi vivo in quella
precisa, sconvenientissima data. Ed era naturale che un attimo prima lei stesse
piangendo, piangendo perlui, e che un attimo dopo fosse
decisamente incavolata, ancora con lui. Sempre stato così, dopotutto, tra loro.
Si asciugò gli occhi col dorso della mano, lottando per rimpossessarsi di
quello strato fondamentale di rabbia che l’aveva difesa e trattenuta in tutti
quegli anni. Non ci riuscì del tutto, ma tanto quanto bastò a restituirle un
minimo di vigore: si alzò dall’altalena, scrollandosi la polvere dalla gonna con
aria risoluta. Adesso non aveva più voglia di tornare a casa. Certo, la
tentazione di correre a rifugiarsi lontano dai ricordi tra le mura domestiche
era forte, ma Lily si conosceva troppo bene per cedervi. Rientrare adesso
avrebbe significato rintanarsi in camera sua, nella disperata attesa
dell’arrivo di James, mentre i ricordi di quel tempo, gli spettri di lui, di
lei, di quel che erano (o piuttosto che non erano) stati insieme le
avrebbero divorato il cervello, sbranandolo pezzo a pezzo. Invece, avrebbe
ripreso la bicicletta e avrebbe continuato il suo giro, e avrebbe lavato via il
ricordo di lui dai suoi pensieri. Sì, era un buon piano. Poteva farcela.
Ma già mentre si dirigeva verso la bici non poté fare a meno
di deviare verso i cespugli secchi, accovacciandosi accanto alle radici
sporgenti. Aveva piovuto di recente, e il terreno sotto i rami era ancora tutto
limaccioso. Raccolse dal fango un piccolo fiore, rattrappito e nerastro, e lo
tenne stretto nel palmo alcuni secondi. Era sembrato così facile, così
naturale, da bambina…adesso dovette fare appello a tutta la propria
concentrazione. Ma quando riaprì la mano, un fiorellino di un lilla accecante
salutò il suo sguardo. Oltre i petali, un accenno di stelo con sottilissime
radici le si attorcigliava tra le dita, pulsando e crescendo
impercettibilmente. Composta e intenta, con un sorriso umido di lacrime sulle
labbra, Lily scavò due dita di terreno umido, e vi piantò il suo fiore, felice
di vederlo star dritto sullo stelo.
Rimase alcuni istanti, che avrebbero potuto essere alcune
ore, inginocchiata lì a contemplarlo, seria e concentrata come una religiosa di
fronte a una reliquia.
Poi, asciugandosi per la seconda volta le lacrime con la
manica, Lily concluse la sua piccola celebrazione, si alzò e raggiunse la
bicicletta cercando di tenere il passo fermo.
Si voltò un’ultima volta verso i cespugli: tirando un lungo
respiro, disse addio al fiore, sperando di lasciare legato ad esso il ricordo
di loro due bambini, di quello che avevano deciso di perdere per sempre.
Montando in sella, pensò di essere ancora in tempo per
ricominciare quella giornata.
Rimettendosi sulla strada, credette scioccamente che quel
piccolo pegno floreale avrebbe pagato i conti in sospeso tra loro.
*
*
*
Se vi è piaciuto almeno un po’ questo capitolo,
Vorrei che vi uniste a me nel ringraziare di cuore
La mia specialissima Clara
Senza il cui paziente lavoro di betaggio
(e di supporto psicologico all’autrice)
non avreste mai potuto legger questa storia.
Quindi,
…Grazie
Clara!
*
*
*
[*] il titolo è liberamente ispirato a un verso della
canzone “loose control” degli Evanescence, anche se lì in realtà i fiori
finiscono nella polvere, non nel fango…
[**]
altrettanto liberamente ispirato dalla canzone “Understanding”, sempre degli
Evanescence.
[***]
Sì, a Amy Lee dovrei farle una statua, lo so.
**Appuntamento a Domenica
prossima per il secondo capitolo!!**
non mancate e ricordatevi di
RECENSIRE!!
(a voi porta via
un minuto, a me davvero risolve una giornata)
Solo per una volta nella mia
vita, credo che sarebbe
piacevole solo…perdere
il controllo,solo una volta! …Con tutti i
bei fiori nella polvere…
(Evanescence – Loose Control)
Lily pedalava a
velocità sostenuta, ormai piuttosto lontana dal paese,
ancora tutta presa dai suoi ricordi e dal vano sforzo di ricacciarli
nel dimenticatoio. Per questo, non si rese affatto conto di dove stesse
andando, finché la luce accecante del sole non scomparve,
sostituita dalle ombre fresche e verdeggianti di alti alberi frondosi.
Rallentò fino a fermarsi, e sollevò la testa,
osservando le chiome scure con un sopracciglio inarcato. Alla fine le
sfuggì uno sbuffo, a metà strada tra
l’esasperato e l’incredulo. Non era possibile…Di
tutti i posti possibili e immaginabili, era riuscita a finire
nell’unico che fosse peggiore
del parco giochi appena lasciato: quello era stato un tempo il loro posto, quello
che nessun altro conosceva, dove avevano giocato e fantasticato di
magia prima di Hogwarts, dove poi si erano riuniti per studiare ed
esercitarsi insieme durante le vacanze. Dopo…dopo, Lily non
c’era mai tornata.
Adesso, ancora una volta, il suo destino –o forse la sua
stessa volontà inespressa – si divertiva a farsi
gioco di lei, conducendola lì proprio mentre cercava di
scappare da quel periodo della sua vita, di staccarsene
definitivamente. Per un attimo, Lily rimase immobile in equilibrio sul
sellino della bici, incerta se proseguire o tornare finalmente a casa,
al riparo dai suoi ricordi. Alla fine, con un sospiro risoluto, decise
che sarebbe rimasta lì: se quella era una lotta tra lei e il
suo subconscio, l’avrebbe vinta. Si convinse che non sarebbe
stato come al parco giochi, dove i ricordi l’avevano colta di
sorpresa, sopraffacendola; adesso sapeva cosa aspettarsi e avrebbe
dimostrato di poter resistere, di aver sepolto nel proprio passato i
giorni che quel posto evocava. Smontò dalla bici,
trascinandola con le braccia e proseguendo a piedi. Voleva il maggior
contatto fisico possibile con quel luogo, e si tolse anche i sandali,
godendosi la sensazione della terra morbida sotto i piedi.
Proseguì seguendo un itinerario preciso: due volte il
sentiero a destra, sempre dritto fino alla grande quercia, ancora una
curva e…il suo cuore ebbe un sobbalzo quando vide la radura,
ma fu solo un attimo, poi Lily sorrise ai fiori di campo, al ruscello
che la contornava su un fianco e al terreno limaccioso delle sue rive.
Si diresse proprio lì, accovacciandosi accanto al fiume,
bagnandosi prima i piedi, poi i polsi e infine il viso sudato con
l’acqua fresca. Si rimise in piedi, guardandosi
intorno, poi si scelse un posticino all’ombra di un acero e
si stese sull’erba, inspirando ed espirando profondamente,
cercando di infondersi calma. Quello era il cuore di tutto. Il loro
posto preferito. Ogni singolo stelo d’erba in quella radura
le parlava di loro due, ogni ramoscello aveva un significato, il vento
portava ancora gli echi delle loro voci. Lily chiuse gli occhi, e piano
piano la sua mente si svuotò, lasciando il posto alle
sensazioni del proprio corpo. Faceva caldo, e dopotutto starsene
là al fresco era così piacevole…Lily
si sentì scivolare…
“…Patronus,
si chiama, l’ho trovato tra i libri di mia madre.” “E dici che
questo può proteggermi dai Dissennatori, Sev?” “Sicuro. Devi
pensare a qualcosa di felice, dire la formula e –zak!- nessun
Dissennatore potrà toccarti.” “…Sev?” “Mm?” “Tu a che cosa
penseresti?”
“Sev! Seev!
E’ arrivata! E’ arrivata!” “Te lo avevo
detto che l’avresti avuta al tuo compleanno” “Sì!
E un uomo gigante e peloso è venuto davvero a casa mia a
spiegare tutto ai miei genitori, proprio come avevi detto tu!” “Sei contenta,
Lily?” “Oh,
sì, Sev! Andremo davvero a Hogwarts, faremo davvero magie!
Insieme, io e te!” “Sì…io
e te, Lily”
“Che vuol dire
‘Mezzosangue’, Sev?” “…Dove
hai sentito quella parola?” “A Diagon
Alley un ragazzo biondo mi ha chiamata così dopo che gli
avevo indicato i miei genitori, e mi ha tirato uno spintone” “E’…è
un modo offensivo di indicare i Nati Babbani. Ma…” “Avevi detto
che non faceva differenza!” “Ed
è così! Solo alcuni stupidi credono il
contrario…hanno paura che i Figli di Babbani gli soffino il
sapere magico, capisci? Guardati: tu sei…non
importerà a nessuno chi sono i tuoi genitori, ecco. “Severus…” “Sì?” “Grazie”
“Ci siamo,
allora.” “Sì…domani
partiamo…non vedo davvero l’ora.” “…Lily?” “Dimmi
Sev” “Quando saremo
arrivati a Hogwarts…saremo ancora amici, non è
vero?” “Certo, Sev!
Saremo i migliori amici del cuore per sempre!”
…per
sempre…
Lily seppe di non essere più sola ancor prima di aprire gli
occhi. Non poteva proprio dire di sentire
il respiro dell’altro, sarebbe stato eccessivo;
però c’era innegabilmente una cadenza diversa, un
suono che si era aggiunto a quello del vento tra i rami, lo distingueva
chiaramente. Era assurdo, ma le veniva da pensare che fosse stato
proprio quel suono così impercettibile a destarla. E,
più impressionante, nella particolare mescolanza di
sensazioni e ricordi che poteva verificarsi solo nel dormiveglia,
pensò di poter riconoscere
il ritmo di quel respiro, di averlo ascoltato già altre
volte, di sapere esattamente a chi apparteneva.
Il cuore prese a martellarle in petto al solo pensiero, e Lily fu
d’un tratto completamente sveglia.
“E’ una cosa assolutamente ridicola”
si affrettò a sentenziare il suo buonsenso, perentorio e
saccente, e Lily dovette dargli ragione. Era altamente improbabile che
ci fosse chicchessia in quel posto, ma che poi proprio…nah,
era da dementi solo pensarci. Probabilmente quel
“respiro” era tutto nella sua testa, ciò
che rimaneva di un sogno, o magari semplicemente era il vento. E tuttavia…
Con circospezione, Lily aprì gli occhi, sollevando la testa
di pochi centimetri per guardarsi intorno…
“Salve, Lily”.
Ci mancò poco che la ragazza non urlasse. Si mise in piedi
con un balzo e rimase impalata a fissare il suo interlocutore, seduto
sull’erba a pochi metri da lei, le gambe spigolose
accavallate, il viso del tutto nascosto in un libricino consunto. Non che avesse bisogno di
vederlo in faccia, per sapere chi fosse…
“Tu…”fu il massimo che riuscì
a dire, e dopo parecchi istanti: era troppo sconvolta per articolare un
pensiero coerente, e inoltre il pronome poteva esprimere una qualunque
delle emozioni in lotta per emergere dentro di lei.
Da parte sua, lui
(perché Lily non era assolutamente pronta a tornare a
considerarlo col suo nome) non diede affatto segno di averla sentita,
ma sempre tenendo la testa nascosta tra le pagine del suo libro,
continuò la conversazione come se lei avesse cordialmente
risposto al suo saluto.
“Hai dormito bene, Lily?”
Quella semplice e tutto sommato innocente domanda riuscì a
scatenare un vero putiferio in Lily. Innanzitutto, la
spaventò a morte, perché le aveva sbattuto in
faccia una cosa assolutamente ovvia, ma a cui non aveva pensato: lei
era stata addormentata tutto quel tempo, e lui era lì.
Mentre lei dormiva. Da qui al delirio il passo era breve: quanto tempo
aveva dormito lei? E lui, da quanto tempo era arrivato? La seguiva da
prima? Dal parco, da quanto? Aveva visto mentre si chinava sul ruscello
a rinfrescarsi? Se no, che cosa aveva fatto quando era arrivato e
l’aveva trovata addormentata lì? Che cosa le aveva fatto?
Improvvisamente la gonna a fiori e la blusa di lanolina leggera che
indossava sembrarono assolutamente insufficienti a coprirla
adeguatamente (forse, ma forse,
un burqa sarebbe andato leggermente meglio) e Lily iniziò a
cincischiare nervosamente con l’orlo della gonna, tirandolo
il più possibile oltre il ginocchio.
Seconda cosa, le montò su una rabbia incredibile,
perché Lily detestava le ingiustizie, e non era
assolutamente giusto che, dopo cinque anni che non si parlavano e tre
che non si vedevano, lui, lui che tra l’altro era nel torto,
potesse starsene lì a fare conversazione con lei come se si
fossero lasciati il giorno prima a baci e abbracci, mentre lei riusciva
a esprimersi solo a monosillabi ed era sull’orlo del
collasso. Non era giusto che potesse mantenere il tono freddo e calmo,
solo perché poteva proteggersi nascondendo la testa in
quello stramaledetto libro, come uno struzzo nella sabbia, negandole il
diritto di guardarlo negli occhi, di sapere se c’era
vergogna, imbarazzo, rimpianto o indifferenza. Non era giusto che
terminasse ogni frase col suo nome: cos’è, voleva
dimostrare di ricordarselo ancora? E non era giusto, in definitiva, che lui fosse lì.
Non ci sarebbe dovuto essere affatto! Perché era dovuto
venire in quel posto, perché proprio quel giorno, e
perché non aveva avuto la buona creanza di capire che
sarebbe stato imbarazzante, che era meglio lasciarla da sola, meglio
non farsi trovare lì? Che credeva di fare? Che diavolo ci
faceva lì? “Che diavolo
ci fai qui?”
Lily sussultò, come se a parlare fosse stata una terza
persona sbucata dai cespugli, e non lei stessa. Le parole le erano
scivolate tutte insieme via di bocca prima che potesse rendersene
conto, tra l’altro con un tono furioso e accusatorio che
sarebbe andato bene se lo avesse sorpreso a spiarla tra le begonie di
casa sua, ma che in quella circostanza appariva del tutto fuori luogo.
Nemmeno lui doveva essersi aspettato una reazione così
aggressiva, perché rimase interdetto, prendendo tempo in
silenzio per alcuni secondi, apparentemente assorto nel suo libro.
“…Veramente io vengo qui ogni
pomeriggio”, rispose alla fine, sforzandosi evidentemente di
mantenere il tono più distaccato possibile, ma tradendo una
certa incertezza.
“E’ un buon posto per leggere”, aggiunse
dopo un attimo, come se dovesse darle spiegazioni, sventolando il libro
verso di lei a riprova delle sue parole. Non avrebbe saputo dire se
fosse stato intenzionale o meno, ma grazie a quel gesto Lily
riuscì a scorgere il volto del ragazzo: si
soffermò meno di un istante sul suo profilo adunco e
spigoloso, così familiare eppure ormai così
estraneo, osservò la piega delle labbra sottili, non ebbe il
coraggio di correre verso l’alto a incontrare i suoi occhi ma
notò il rossore sulle guance, ben visibile contro il pallore
del viso, e notò anche, un attimo prima che le pagine
tornassero a nasconderlo, la contrazione spasmica e quasi
impercettibile del sopracciglio destro, e finalmente seppe che anche
lui era nervoso almeno quanto lei. Questa consapevolezza le infuse
forza e si sentì un po’ più salda sulle
gambe.
Lui, intanto, aveva ripreso a parlare: “In realtà,
troverei sinceramente più appropriato rivolgere la stessa
domanda a te.”
Dietro la barriera del libro, aveva ripreso il tono freddo e la cadenza
piuttosto sarcastica di sempre. Per qualche motivo, Lily si
sentì sfidata dalle sue parole, e questa volta gli rispose.
“Sono in visita dai miei genitori. Oggi avevo voglia di una
passeggiata”, disse con freddezza: quelle spiegazioni
laconiche erano già fin troppo; non gli doveva niente,
dopotutto.
“E sei venuta qui”, concluse lui con apparente
noncuranza, ma Lily capì dove voleva andare a parare, e
perciò mentì, scegliendo accuratamente le parole
e il tono di sufficienza.
“Già. E’ un posto come un
altro.”
Seppe immediatamente di aver colpito dove voleva: lui rimase zitto,
limitandosi solo ad annuire piano, con brevi scatti nervosi del collo,
e qualcosa le disse che se non ci fosse stato il libro lo avrebbe visto
stringere le labbra, piccato. Per un attimo si sentì fiera
di quel misero trionfo, e la cosa la infastidì: quelle gioie
meschine non appartenevano a lei; la miscela di rabbia e altro che non
poteva impedirsi di provare verso di lui le stava facendo perdere il
controllo, doveva stare più attenta.
“Quindi, immagino che adesso te ne andrai”, disse
lui alla fine col tono di star facendo una constatazione ovvia, rivolto
più a se stesso che a lei, ancora senza degnarsi di
guardarla negli occhi, e Lily sentì di nuovo avvampare la
rabbia: cosa gli dava il diritto di credere che lei se ne sarebbe
andata subito, che non sarebbe rimasta lì nonostante lui?
Non era forse rimasto lì tutto il tempo lui stesso, mentre
lei dormiva? Magari era convinto che lei non se la sentisse di rimanere
al suo cospetto… Il
Principe Mezzosangue…sapeva che aveva iniziato
a farsi chiamare così dai suoi amici
Serpeverde…cos’è, si sentiva una specie
di nobile? Pensava di metterle soggezione?
“Non vedo perché dovrei”,
sbottò quindi in risposta, scostante.
Lui sembrò ponderare attentamente la risposta, Lily vide le
sue sopracciglia aggrottarsi fin quasi a unirsi oltre la copertina del
libro. Alla fine rispose, con un sussurro appena udibile:
“Pensavo solo che, considerato l’evidente disprezzo
che provi nei miei confronti, avresti ovviamente desiderato passare il
minor tempo possibile in mia presenza”.
Adesso fu il turno di Lily di rimanere a labbra strette, senza parole
per controbattere al colpo subito, disarmata dall’amara
sincerità nelle parole del ragazzo. D’altro canto
lui, a differenza sua, non sembrava aver tratto alcuna soddisfazione
dall’essere riuscito a zittirla: se ne rimase semplicemente
seduto dov’era, immobile tranne per la mano sinistra che dal
libro si era spostata a sorreggere il mento, e che adesso teneva
premuta anche contro la bocca, come a volersi impedire di aggiungere
qualcos’altro. Per un attimo, Lily credette di percepire la
sofferenza celata dietro la maschera di cera in cui lui aveva
trasformato il suo volto, e pensò di confessargli che non lo
disprezzava affatto, che era solo profondamente delusa, ma che mai,
mai…però il dolore che le aveva inferto anni
addietro era stato troppo forte, e la rabbia da esso suscitata troppo
prepotente per resistervi. Così, ancora una volta, Lily si
sottrasse a qualsiasi forma di empatia nei suoi confronti, e rispose in
fretta, prima di poterci ripensare: “Sono arrivata qui prima
di te, e non ho intenzione di cambiare i miei piani a causa tua, tante
grazie. D’altra parte, non posso pretendere che sia tu ad
andartene, questo posto non è mio”. Questo posto
è nostro, concluse senza dirlo, e credette
assurdamente di sentire che anche lui aveva pensato la stessa cosa.
“Già”, le disse semplicemente. E non era
il suo tono un po’ più leggero, adesso che sapeva
che lei sarebbe rimasta? Lily scosse la testa: stava volando troppo di
fantasia, e comunque non le interessava saperlo.
“Già”, ribadì, e si
accosciò per terra, guardando il fiume.
Rimasero a lungo in silenzio, ognuno apparentemente assorto nei propri
affari. Dopo un po’, Lily si scoprì a sbirciare
verso di lui con frequenza sempre maggiore, cercando le differenze
rispetto al giovane che ricordava. Non era mai stato attraente, ma
adesso quella sua aria un po’ malsana, da pianta cresciuta
senza luce, si era notevolmente accentuata: intanto, era molto
più magro. La pelle diafana delle braccia si tendeva sui
muscoli, le gambe dei pantaloni sembravano piene di niente, le mani
lunghe e affusolate erano pallidi artigli, serrate com’erano
sulla copertina del libro. I capelli erano più sottili,
sfibrati, di conseguenza apparivano più radi, ed erano
più lunghi e più grassi: sembrava che ultimamente
fosse stato sottoposto a una grande quantità di stress
mentale, e quella sensazione era accentuata dai cerchi scuri che aveva
intorno agli occhi, due pozzi più profondi e più
bui che mai: Lily li aveva finalmente scorti quando lui per pochi
secondi aveva abbassato il libro, fissando un punto nella macchia di
alberi oltre il fiumiciattolo. Le sembrava malato, e si chiese cosa lo
avesse portato a deprimere il proprio corpo (e immaginava anche il
proprio spirito) fino a quel punto, cosa ne fosse stato di lui in quei
tre lunghi anni: se aveva proseguito sulla strada che li aveva
separati, se frequentava ancora Malfoy e Mulciber e Lestrange, quale
fosse la situazione col padre, se sua madre era guarita dalla malattia
che l’aveva colta negli ultimi anni, se viveva ancora nella
vecchia casa malmessa di Spinner’s End. Pensò a
quando tutto questo era materia di confidenze e di discussioni tra loro
due, e ancora una volta, come al parco, l’enormità
di ciò da cui si era tagliata fuori, di ciò a cui
aveva rinunciato, le strinse il cuore in una morsa ferrea, e Lily
dovette fare affidamento a tutta la propria forza di volontà
per non piangere di nuovo.
A un certo punto lo vide sollevare la testa, e si affrettò a
distogliere lo sguardo dal suo volto, ma i loro occhi si incontrarono
ugualmente per la prima volta, non più di una frazione di
secondo, prima che entrambi voltassero la testa dalla parte opposta.
Lily non poté fare a meno di continuare a lanciare occhiate
furtive verso di lui di tanto in tanto: sembrava totalmente preso nelle
pagine del libro, ma lei notò che i suoi occhi non si
muovevano e capì che, esattamente come la sua, anche
l’indifferenza del ragazzo era tutta di facciata.
“E così non vivi più da queste parti,
eh?”
Lily sapeva che non stava davvero leggendo, ma non per questo si era
aspettata che avrebbe ripreso la conversazione, e –per
l’amor di Merlino!- non con quel tono odiosamente amichevole.
“Che ne sai tu che non vivo più qui?”,
non è che volesse essere sgarbata con lui, non sul serio.
Semplicemente non riusciva a evitarlo.
“Prima hai detto di essere
in visita dai tuoi genitori. Ergo, non vivi più
qui.” Oh.
Già…
“Beh, e a te che importa?”
Lui scrollò le spalle “Niente, ero solo curioso di
sapere che fine avesse fatto Lily Evans…”
“Sto a Londra”, Lily si morse la lingua, e aggiunse
in fretta “Non sono affari tuoi, comunque.”
Lui annuì. “No, certo…cercavo solo di
essere gentile.”
“Mai stata la tua specialità, direi”
Lily vide chiaramente accentuarsi il tremito sul sopracciglio di lui, e
pensò di aver infierito abbastanza, ma poi
continuò, imperterrita “A proposito, mi pareva
avessi detto di essere mosso da curiosità, non da cortesia:
a quale versione devo credere?”
Lui fece un ghigno strano, una smorfia che forse conteneva
l’intenzione di un sorriso, e disse “Sei sempre la
stessa, Lily…mai una risposta che ti vada bene.”
“Quello che non mi va bene è
l’incoerenza, e dovresti saperlo meglio di chiunque
altro”, soffiò lei in risposta, “visto
che, se non sbaglio, la
nostra ultima discussione riguardava in un certo senso
proprio quello”.
Fu come se qualcosa si fosse spezzato sonoramente a
mezz’aria, e per un attimo le parole pronunciate quella
terribile sera fluttuarono tra loro, echeggiarono nelle loro menti come
se le stesse urlando il vento:
“No…senti,
io non volevo…” “…chiamarmi
schifosa Mezzosangue?Ma chiami così tutti quelli come me,
Severus. Perché io dovrei essere diversa?”
Lily sapeva di aver oltrepassato il limite, e avrebbe voluto non aver
mai pronunciato una frase del genere…o meglio, mentre una
parte di lei desiderava ardentemente poter fare marcia indietro, o
almeno riparare al danno, un’altra la guardava profondamente
ammirata, si congratulava per quella frase –mossa geniale-,
ed esultava nel vedere il tremito sul volto del ragazzo ormai esteso a
tutto l’occhio destro, e il piede di lui che batteva quasi
convulsamente sul terreno.
In verità, anche Lily tremava, seppur impercettibilmente: la
parte che si vergognava del suo gesto al momento era in netto
vantaggio, e la ragazza si chiese cosa la spingesse a sentire il
bisogno di attaccarlo con tanta ferocia, se fosse il desiderio di
punirlo per come erano andate le cose tra loro, o se piuttosto la sua
fosse una tattica di difesa…contro se stessa principalmente,
contro il trasporto che a dispetto d’ogni logica ancora la
tirava verso di lui, e che adesso si muoveva inquieto in fondo al suo
cuore, cercando di risalire.
“…Curiosità, allora.”
Lily si sentì strappata violentemente ai propri pensieri.
Ancora una volta lui l’aveva sorpresa, riprendendo a parlare
quando si sarebbe aspettata di averlo zittito definitivamente. Ci
vollero alcuni secondi perché assimilasse le parole
“Come, prego?”
Lui era riuscito a riacquistare abbastanza autocontrollo da far
smettere di tremare la gamba e quasi del tutto l’occhio, ma
Lily notò che prima di poter riprendere a parlare dovette
respirare profondamente, per tener ferma la voce:
“…Volevi che prendessi una decisione, no? E
allora, visto che, come mi hai ricordato poco fa, la gentilezza non
è il mio forte, non rimane che la curiosità a
giustificare le mie domande, non è
così?”
“Uh, sì, come ti pare”. Bene, era
tornata dal tono astioso a quello scostante. Lily si chiese se sarebbe
mai riuscita ad essere se stessa. Si strinse le braccia intorno alle
ginocchia, e tornò a fissare la macchia d’alberi
di fronte a sé, immusonita, sperando che qualsiasi discorso
tra loro fosse finalmente chiuso, che la situazione non sarebbe
precipitata oltre.
“Quindi, appurato che io sono un essere curioso, ho diritto
di continuare con le mie domande?”
Lily era incredula.La situazione diventava più paradossale
di minuto in minuto, e la lasciava spiazzata: da una parte
c’era lei, la dolce
Lily Evans, scontrosa e pronta all’attacco; e
dall’altra invece lui, sempre così taciturno e
schivo, che si ostinava a cercare la conversazione con lei, e che
evidentemente era disposto anche a soprassedere a tutti gli insulti e
le frecciate, proprio lui, che era tanto permaloso.
Lily si chiese perché volesse darsi tanta pena, a che pro
portare avanti quel patetico teatrino. La possibilità di
un’ultima chiacchierata con lei valeva davvero tanto per lui?
A che gioco giocava?
“Beh, se proprio ci tieni…”. Allo stesso a cui
giocava lei, evidentemente.
Tamburellò brevemente con le dita sulla costola dura del
libro, che per tutto quel tempo aveva continuato a nascondergli
parzialmente il volto, riflettendo. Lily capì che stava
decidendo come porre la domanda, e soprattutto, quanto alla lontana
prendere il discorso che gli interessava: come lei quella stessa
mattina, stava girando intorno a un’idea piuttosto precisa,
senza però osare confessarla. Alla fine, chiese:
“Credevo odiassi le metropoli.Sei a Londra perché
segui qualche facoltà?”
“Studio da Medimago”.
Veramente Lily aveva seguito solo il primo anno del corso. Poi James
aveva ereditato una piccola fortuna, e avevano deciso di potersi
dedicare anima e corpo all’Ordine. Ma questo, non
c’era bisogno che lui
lo sapesse. E d’altra parte sembrò piuttosto
soddisfatto della risposta, o così Lily
interpretò il suo silenzio.
“Ma l’affitto dev’essere un salasso,
immagino…o alloggi al Paio…”
“Divido casa col mio ragazzo”.
Le parole le erano letteralmente sgorgate di bocca, prima ancora che
lui terminasse la domanda, ansiose di essere pronunciate. Qualcosa
dentro di Lily bevve avidamente ogni sillaba di quel
“capisco” che mormorò lui in risposta,
godendoselo profondamente.
Stizzita e un po’ spaventata dal mostriciattolo malefico che
tornava a impossessarsi della sua bocca, Lily chiese, polemica:
“Bene, adesso hai finito col tuo interrogatorio?”
Lui scrollò le spalle, e dal tempo che ci mise a rispondere
Lily capì che stava considerando se fosse il caso di tirare
ancora la corda.
“Veramente”, disse infine, “ci sarebbe
ancora una cosa”.
Lei grugnì, dandogli un infastidito permesso di parlare,
mentre giocherellava coi fili d’erba intorno a sé.
Lui prese un profondo respiro, come un tuffatore che si prepari a
saltare, e infine chiese:
“Quanto è durata tra te e Potter?”
Lily si bloccò, e si sorprese, rendendosi conto di star
ghignando.
“Durata?” chiese, ironica. “Quindi,
supponi che sia finita?”
Lui finse di non aver colto l’allusione implicita, e
continuò, con ammirevole tenacia: “Suppongo che ti
abbia lasciata non appena si sia stancato di esibirti come trofeo,
sì.”
“Oh”, fece lei, compita, prendendosi
deliberatamente gioco di lui. “Beh, io e James siamo ancora
fidanzati” disse alla fine con ostentata fierezza, e
notò con soddisfazione la contrazione dei muscoli facciali
di lui. Si prese una pausa studiata, si alzò,
aggiustò con la mano le pieghe della gonna.
“Ci sposiamo fra una settimana”, aggiunse, quasi
casualmente.
Lily sentì chiaramente il respiro di lui bloccarsi, e seppe
di aver vinto la tacita battaglia che aveva ingaggiato quando si erano
incontrati. Lo guardò a lungo, con quel misto di gioia
feroce e rammarico che aveva seguito ogni stoccata nei suoi confronti.
Considerò, arrossendo appena di vergogna, che forse se gli
avesse scagliato contro un Kedavra gli effetti non sarebbero stati
molto diversi. Sedeva immobile, si sarebbe detto senza respirare, il
corpo nervoso rigido come una statua, ogni singolo muscolo contratto e
teso. Era sbiancato, e considerando il suo pallore abituale, adesso
sembrava davvero un cadavere. Il volto esangue era distorto in
un’orgia di espressioni che spaziavano dal disgusto al dolore
alla rabbia alla delusione, e si sarebbe detto che stesse per piangere,
sbraitare e vomitare contemporaneamente.
Lily capì che con quell’ultimo dardo aveva chiuso
davvero, che questa volta lui non sarebbe tornato a parlare. E non si
sentì soddisfatta, come invece avrebbe dovuto essere. Si
scoprì anzi a desiderare, a sperare quasi che lui trovasse
qualcosa di acido da ribattere, che la ferisse, la insultasse anche.
Tutto purché quel silenzio malsano, che pure lei aveva
pensato di desiderare, cessasse.
Dopo diversi minuti, in cui lui non aveva battuto ciglio, quel silenzio
le si stava avviluppando intorno come miasmi di una palude malarica, e
Lily non vide altra via d’uscita se non dare lei
l’imbeccata, una volta tanto. E giusto per non perdere la
faccia, si intende, lo fece con un’ennesima provocazione.
“Allora…non mi fai le felicitazioni?”
Lui continuò a starsene zitto lì, tanto a lungo
che Lily iniziò a disperare in una risposta, lo sguardo
caparbiamente fisso sui propri mocassini neri. Alla fine, il piede
destro che batteva il terreno in una specie di grottesco applauso,
disse mortalmente calmo:
“Ti auguro tutta la felicità del mondo, Lily
Evans”
A Lily non sfuggì il tono rancoroso (no, non
rancoroso… piuttosto pieno di delusione e rammarico, che poi
era esattamente ciò che anche lei sentiva) nella sua voce,
né la particolare enfasi con cui aveva pronunciato il suo
cognome da nubile, rinnegando l’idea che potesse mai esistere
una Lily Potter.
D’altra parte, non riusciva a sentirsi offesa da quelle
parole, cosa che invece le sarebbe stata utile. Non poteva scrollarsi
di dosso la sensazione che lui non stesse scherzando affatto
nell’augurarle la piena felicità, che anzi fosse
del tutto sincero nel suo augurio…a lei sola,
certo…ma continuava a pensare che lui davvero volesse la sua
felicità, che c’entrasse o meno James, e
assurdamente si ritrovò a mordersi le labbra per non
ringraziarlo.
Il cuore prese a batterle un po’ più forte, e
quello fu il trampolino per camuffare la propria emozione in rabbia.
Così, invece del ringraziamento che le era istintivamente
salito su per la gola, Lily lo punzecchiò ancora.
“Eppure non sembri contento della notizia”
“Ah, no?” e adesso il suo tono era
inequivocabilmente ironico.
“Direi che sembri disgustato”
“…Lo sono”.
Evidentemente aveva deciso di mandare alle ortiche qualunque strascico
di diplomazia. E Lily non aspettava altro. Feroce, incalzò:
“Oh, certo, capisco. Per quanto odi James Potter,
dev’essere comunque una sofferenza vedere un sangue puro come
il suo mischiato a quello di una lurida piccola
Me…”
“Non è quello che ho detto!”
abbaiò lui interrompendola, e Lily si stupì di
come suonasse aggressivo, quasi l’avesse personalmente offeso.
“Ah, no?” gli fece il verso, tirando ancora un
po’ di più la corda.
“Io non…” sbuffò e scosse la
mano, come a cacciare un’ape o un odore sgradevole.
“Non è quello che penso di te. Lo sai”,
soffiò poi, a denti stretti.
Lily riconobbe il suo tono sfiancato e sconfitto, seppe di averlo
snervato fino all’esasperazione, e tuttavia non resistette
all’impulso di continuare, di portarlo ancora un
po’ di più oltre il limite. Petulante, lo
provocò nuovamente, non dandogli tregua.
“Va bene, sentiamo cos’è che volevi
dire, allora…”
Lui, che intanto aveva riposto il libricino in una tasca dei pantaloni,
strinse e allargò i pugni più volte, senza
smettere nemmeno quando inziò a dire: “Lui
non…lui non c’entra niente con te. Lui non ti
conosce, non…lui
non è come te. Non è…non
è giusto per te.”
Colpita e determinata a non darlo a vedere, Lily si avvicinò
a lui, bellicosa, fermandosi quando gli fu di fronte, tanto vicina che
i loro piedi quasi si toccavano. Lui rimase seduto, rifiutandosi
categoricamente di alzare lo sguardo su di lei.
“E sentiamo,
chi è come me, eh? Chi, a tuo parere, sarebbe
giusto per me?”
Lui strinse le labbra tanto forte da farle sbiancare, e volse gli occhi
ancora più in basso, senza risponderle, senza guardarla.
Lily sentiva di non sopportare quel silenzio ostinato, e fu pronta a
usarlo a proprio vantaggio, dicendo sprezzante:
“Oh, certo. Dovevo immaginarlo. Non cambierai mai, non
è vero? Lanci offese e giudizi che poi non hai il coraggio
di giustificare, sei sempre il solito codar…”
Lui si alzò così di scatto che Lily seriamente
pensò volesse colpirla, e indietreggiò di un
passo, sollevando istintivamente le braccia per proteggersi. Lui
però fu più veloce, e le afferrò con
forza i polsi quando ancora erano all’altezza del petto, la
tirò a sé bloccandola contro il suo torace. Lily
ebbe appena il tempo di scorgere i suoi occhi nerissimi, e
tremò di fronte alla scintilla folle e ardente che vi vide
accesa, poi la bocca di lui fu sulla sua, attesa da tempo, ed ogni
pensiero coerente dentro di lei implose.
Il suo bacio non fu dolce, né le sue labbra delicate.
Sottili e screpolate si strusciavano contro quelle piene e morbide di
Lily con impeto, e sapevano di sale e sangue, di rabbia, dolore e
desiderio.
La ragazza provò a dimenarsi, più per un riflesso
condizionato che per sua vera volontà, e lui le
serrò con più forza le mani intorno ai polsi, fin
quasi a farle male, impedendole di muoversi.
I cuori di entrambi martellavano impazziti al punto che Lily, le mani
incastrate tra i loro petti, non riusciva più a capire quale
fosse il battito di chi. Le nocche di lui, per il modo in cui la teneva
stretta, le sfioravano inevitabilmente e quasi languidamente i seni e
Lily sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa per evitare quel contatto,
ribellarsi, difendersi a calci, afferrargli la bocca con i
denti…e tuttavia rimaneva ferma, sconvolta e tremante, e il
massimo che riuscì a fare fu tenere le labbra serrate,
negandogli quell’accesso che chiaramente desiderava.
Lui le mordicchiò le labbra con i denti, e
prolungò il bacio quanto poté, cercando di godere
appieno di quel contatto rubato, staccandosi finalmente da lei solo
quando gli mancò il fiato. Le lasciò andare i
polsi, e entrambi indietreggiarono, entrambi rimasero a guardarsi in
volto, paonazzi e ansimanti.
Qualcosa in Lily urlò di mollargli un ceffone, sonoro e che
gli lasciasse il segno per giorni, ma la ragazza non si
mosse…restò semplicemente impalata
dov’era, le braccia inermi lungo i fianchi, gli occhi limpidi
puntati in quelli di brace del ragazzo.
Dopo quelli che parvero secoli fu infine lui a rompere il silenzio, la
voce roca e ansante.
“Ebbene…non mi colpisci, adesso?”
Forse aveva voluto suonare sarcastico, ma le sue parole risultarono
solo sorprese, quasi titubanti. Non che a Lily importasse minimamente
del suo tono, in quel momento. Aveva la mente ancora troppo sconvolta,
e i pensieri del tutto ottenebrati dal battito folle e assordante del
suo cuore. L’unica cosa che sentiva chiaramente, a parte il
proprio sangue pulsare dal petto fin dentro le orecchie, era il
desiderio potente di staccargli la faccia con una mano, e lo avrebbe
fatto, ci si poteva giurare. Però…
“Prima dimmi perché”, ansimò,
sfiorandosi le labbra arrossate.
Lui la guardò sconsolato, e apparentemente distrutto. Il
fuoco che aveva infiammato gli occhi fino a un minuto prima era del
tutto scomparso, e lui sembrava solo il ragazzino disperato e stravolto
che era stato quella lontana sera di cinque anni prima, quando i loro
destini si erano separati per sempre. Lily provò compassione
per lui, e finalmente anche il suo fuoco si calmò:
ritornò se stessa, si rese conto di essere stata pazza,
pazza…!, di aver perso il controllo e di aver aspettato,
quasi cercato, quanto era successo tra loro due. Si vergognò
del proprio comportamento, e arrivò molto vicina a
chiedergli scusa, a dirgli che non era costretto a risponderle. Ma
d’altra parte persisteva, forte dentro di lei, la voglia di
sentire cosa ci fosse stato dietro il suo gesto. Non per sfida, questa
volta, ma per il puro bisogno di capire…non era stata solo
rabbia, lo sapeva, lo aveva sentito sulla sua bocca. Voleva sapere che
cosa provava lui adesso, dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che
era successo. Lily sapeva quanto per lui fosse difficile dare
spiegazioni, parlare dei propri sentimenti, ed era forse esattamente
per quello che adesso lo pretendeva. Rimase quindi zitta, e
aspettò che fosse in grado di risponderle.
Lui aprì e chiuse la bocca diverse volte, quasi annaspando,
incapace di trovare le parole per cominciare. Alla fine
sollevò lo sguardo nei suoi occhi verdi, e in essi
sembrò trovare il coraggio di aprirsi.
“Mi sei mancata…mi manchi da
morire, Lily. Tutto il tempo.”
Lo disse molto piano, osservando l’effetto di ogni parola sul
viso di lei, aspettandosi un nuovo violento rifiuto. Non mi interessa.
Quelle parole, già pronunciate in un tempo che sembrava
lontanissimo, risalirono fin sulle labbra di Lily, ma lei non volle
pronunciarle. Quando lui la vide rimanere zitta e non muoversi,
continuò:
“Non è passato giorno che io non abbia pensato a
te. E vederti qui…”, ma la voce gli si
spezzò, e non poté finire. Distolse il volto da
lei, portandosi una mano alla gola, come la sentisse bruciare.
Riuscì a parlare solo dopo molti secondi, e con voce roca
concluse:
“Non avrei mai voluto perderti. Io…è
stata la cosa peggiore della mia vita, Lily, te lo giuro.”
Lily continuava a guardarlo, incapace lei di parlare, questa volta. Non
riusciva a pensare, non voleva pensare: aveva paura di ciò
che i suoi pensieri le avrebbero raccontato, se avesse permesso loro di
formarsi.
Lui le guardò un attimo il petto, senza malizia, e
probabilmente interpretò quell’alzarsi e
abbassarsi frenetico come un sintomo della sua rabbia montante,
perché disse, il tono nuovamente carico di amarezza:
“Ma ovviamente, e a ragione, a te non importerà
nulla di tutto ciò. Immagino…sicuramente adesso
mi odierai come non mai. E…”
“Severus”
La parola le era fiorita sulle labbra spontaneamente, premendo un
po’ di più per uscire ad ogni respiro. Lily aveva
avuto il tempo di assaporarla, ne aveva avuto paura, aveva sentito il
suo cuore gonfiarsi al solo pensiero di pronunciarla, e infine aveva
lasciato che uscisse. Fu come se un velo opaco e sporco le fosse stato
tolto dagli occhi, e le parve di vederlo veramente per la prima volta. Severus.
“A me importa”, disse, e quasi inconsapevolmente
tese le mani verso di lui. Lo sguardo pieno di una speranza a cui non
osava cedere, Severus cercò ancora i suoi occhi, e Lily
sperò che vi leggesse la sincerità di quelle
parole così inaspettate. Non le prese le mani, forse non
notò nemmeno il suo gesto, ma lei pensò di
scorgere il fantasma di un sorriso incredulo sulle sue labbra sottili.
“E…non ti odio”
Ammettere questo aveva comportato la stessa fatica che spostare un
macigno, ma anche lo stesso senso di liberazione. Appena
l’ebbe pronunciata, Lily capì quanto autentica
fosse quell’affermazione, e quanto, in effetti, il sentimento
che provava per lui fosse vicino all’esatto contrario
dell’odio. Il cuore riprese a batterle follemente nel petto,
ma era un tipo di pazzia del tutto diversa.
Severus non disse ancora niente, troppo emozionato e sorpreso per
parlare, ma finalmente portò le sue mani ossute su quelle
candide di Lily, intrecciandovi le dita.
Per un momento fu come se il mondo avesse smesso di muoversi, e loro
due rimasero sospesi in quella stretta: cinque anni sembrarono non
essere mai trascorsi, Mangiamorte e Mezzosangue diventarono parole
senza senso, e loro tornarono ad essere semplicemente Lily e Sev, gli
amici del cuore, insieme nella loro radura.
Non si guardarono negli occhi, questa volta: entrambi cercarono invece
le loro mani, quasi che fissarle potesse confermare la
realtà di quella stretta.
Lily non si era accorta di quanto lui le si fosse avvicinato, o forse
in effetti era stata lei ad avvicinarsi a lui…quando si
erano presi per mano, entrambi avevano dovuto tendere le braccia per
raggiungersi; adesso, erano talmente vicini da dover tenere i gomiti
piegati all’indietro, ben oltre la schiena. Lily
sollevò lo sguardo, e incontrò gli occhi neri di
Severus, salutandoli con un sorriso incerto.
Dopo, nessuno dei due avrebbe ricordato chi fosse stato a colmare
definitivamente la distanza tra loro, e dopotutto, aveva forse
importanza?
Le loro labbra si cercarono di comune accordo, assaporandosi e
sfiorandosi in maniera molto diversa da come era successo minuti, o
forse anni, prima. Severus sciolse le dita da quelle di Lily, lasciando
scorrere le mani in su lungo le sue braccia, posandole infine sugli
omeri. Lily portò invece le sue sul volto di lui,
attirandolo più vicino a sé. Ad occhi chiusi, si
raccontavano con le carezze tutto il dolore, la nostalgia e il
desiderio che non sapevano ammettere con le parole. Approfondirono il
bacio, stringendosi ancora di più l’uno
all’altra, godendosi quel momento infinito esclusivamente per
loro.
Poi Lily si rese conto di quello che stava facendo.
“Cosa c’è che non va?” le
chiese lui, sinceramente preoccupato, quando Lily allontanò
bruscamente le labbra dalle sue.
“Mi dispiace, Sev, io…mi dispiace”,
balbettò lei chinando il capo.
Severus non capiva. Sentiva il suo sguardo perplesso sulla nuca.
“Devo andare”.
Non guardava lui, guardava il proprio anulare sinistro, il cerchietto
d’oro col rubino a forma di cuore che vi era infilato. Lui
seguì il suo sguardo, e questa volta capì.
Sentì il suo petto alzarsi e abbassarsi più
volte, poi, con estrema lentezza, le chiuse la mano tra le sue,
nascondendola alla vista.
“Non ancora, Lily…” sussurrò,
e suonava come una preghiera.
Poi le sollevò il mento, cercando ancora i suoi occhi verdi,
e si chinò nuovamente su di lei.
Lily rimase rigida contro le sue labbra, e pensò di
allontanarlo da sé, ma quando gli portò le mani
al petto invece di spingerlo via si ritrovò ad accarezzarlo,
lentamente e con dolcezza, e si arrese ai suoi baci disperati.
Lui le cinse la vita, e lasciò scorrere le mani su e
giù lungo la sua schiena, mentre cercava di tirarla il
più possibile contro di sé. Lily
ricambiò la stretta, afferrandolo per il bavero della
camicia, sentendosi solleticare le mani dai suoi lunghi capelli.
Così allacciati, persero ben presto l’equilibrio,
e scivolarono sul terreno umido sotto di loro. Il corpo di Severus la
faceva sprofondare leggermente, mentre con rinnovata foga si strusciava
contro di lei, trattenendola con forza sotto le sue labbra e le sue
mani. Sto tradendo James.
Lily cercò di concentrare il suo ultimo barlume di
razionalità su questo pensiero, per trovare la forza di
fermare tutto prima che fosse troppo tardi, ma scoprì che le
sembrava reale solo per metà. Molto più vero le
sembrava invece ciò che il tocco di Severus le regalava, il
modo in cui tutti i demoni che l’avevano tormentata da quella
mattina si fossero pacificati nei suoi baci, la sensazione soverchiante
di giusto
che avvertiva stretta tra le sue braccia, il bisogno bruciante di
averlo il più vicino possibile a sé per sentirsi
serena e completa.
Capì che quanto stava succedendo adesso tra loro non
c’entrava nulla con James, non era perché non lo
amasse, o per un qualche tipo di ripicca verso di lui. Era
solo…giusto, naturale, dolce. Era una promessa che si erano
fatti e che non avevano mantenuto: gliene era stato negato il tempo. Ma
c’era del tempo per loro adesso,
e probabilmente mai più. Lily sentì che ingiusto
sarebbe stato resistere al suo cuore, e che non poteva, non doveva
rinunciare a lui…non quell’unica volta.
Capì finalmente l’incantesimo di quella giornata,
la magia misteriosa che l’aveva condotta fin lì, e
fu grata di non aver ceduto alla propria incertezza, grata di essere
lì, di avere ancora un momento per lui, per loro due. Si
abbandonò.
Sotto il tocco delle sue mani aveva chiuso gli occhi, senza nemmeno
accorgersene. Li riaprì, e non fu sorpresa di trovare quelli
di Severus ad accoglierli. Gli prese una mano e la portò sul
proprio petto: voleva che lui sapesse quello che lei provava, e
sperò non scambiasse quel gesto per un invito a carezze
più audaci. Ma Severus non curò di alcuna
attenzione i suoi seni, tenne anzi ferma la mano doveva
l’aveva messa Lily, a cogliere i battiti profondi e
accelerati del suo cuore, e poi a sua volta con la mano libera raccolse
quella di lei, la portò al suo torace, facendole sentire che
per lui era lo stesso. Occhi negli occhi, Severus si chinò a
baciarle le guance e il mento, prima di tornare con ardore alla bocca,
e solo allora si concesse di muovere la mano verso il seno sinistro,
lentamente, pronto a toglierla al primo segno di disappunto negli occhi
di Lily. Lei invece gemette a quel tocco più intimo, e si
mosse sotto di lui. Senza mai smettere di baciarlo, gli
portò le mani sulla schiena, afferrando la stoffa della
camicia. Vedeva l’eccitazione di Severus crescere nei suoi
occhi, e nonostante lui cercasse di tenere sollevato il bacino, la
sentiva premere contro la propria gamba mentre si strusciava contro di
lui. Sapeva che a quel punto non c’era più
possibilità di ritorno, e si sorprese nel non avere
ripensamenti. Solo, le dispiaceva che dovesse succedere lì,
che il loro amore dovesse –letteralmente– sporcarsi
di fango, e in quel luogo poi, che raccontava di loro bambini.
Come se le avesse letto nel pensiero, Severus smise di dedicarsi al suo
petto, e le strinse le mani nelle sue, con forza. Lily ebbe appena il
tempo di capire cosa stava per succedere, quando sentì la
familiare sensazione di venire pressata forte attraverso un tubo di
gomma, e la radura si dissolse intorno a lei.
Si materializzarono in un appartamento che non conosceva, stretti
esattamente come erano nella radura, questa volta in piedi. Lily
registrò distrattamente di trovarsi una stanza squadrata,
con carta da parati scolorita sui muri e come unico arredo a parte un
letto dalle lenzuola sottili e stinte, uno scaffale traballante stipato
di libri e un calderone buttato in un angolo sul pavimento.
Immaginò che fosse l’appartamento di Severus, e si
rese conto di non sapere dove fosse, né se potessero esserci
altre persone in casa…tutto questo le sembrava
però ridicolmente irrilevante, in confronto alla sensazione
di essere tra le sue braccia, bocca contro bocca.
Severus aveva iniziato ad accarezzarle il collo, scendendo lentamente
verso la clavicola, dove seguì lo scollo rotondo della blusa
fino a raggiungere il primo bottone. Rimase a giocherellarci per alcuni
secondi, stranamente incerto dopo l’impetuosità
mostrata nella radura, poi finalmente Lily sentì il
bottoncino scivolare fuori dall’asola, libero, e le mani di
lui scendere a cercare il secondo. Le sue dita avevano tremato
leggermente sin dall’inizio, ma quando arrivò a
sfiorare la pelle morbida poco sopra i seni il tremito divenne
così forte che il terzo bottone gli sgusciò tra
le dita più volte, prima che lui riuscisse ad afferrarlo,
senza tuttavia decidersi a scioglierlo… Lily capì
che non avrebbe mai osato continuare da solo, e portò le
proprie mani sulle sue, guidandolo lentamente a slacciarli tutti,
bottone dopo bottone.
Le labbra di Severus tremarono appena contro le sue alla sensazione
della stoffa che si apriva e gli scivolava dalle dita, quando
l’ultimo bottone scivolò fuori
dall’asola. Lily rafforzò la presa sulle sue mani,
che si erano impercettibilmente ritratte, e appoggiandosele sul ventre
iniziò lentamente a farle risalire, apprezzando il modo in
cui le dita sottili le sfioravano la pelle… Un sorriso le
increspò le labbra quando, portandolo ad accarezzare i seni
ormai schermati solo dal reggiseno, un gemito flebile sfuggì
dalla bocca di Severus. Gli mordicchiò le labbra
affettuosamente, e, molto piano, lasciandole sostare il più
possibile sul proprio petto, ricondusse le sue mani fin su, sulle
proprie spalle, dove le lasciò libere. Severus prese ad
accarezzarle gli omeri con movimenti circolari sempre più
ampi, che finirono col far scivolare a terra la blusa sbottonata,
mentre le sue mani scorrevano già, appena titubanti, lungo
la schiena della ragazza.
Mentre le dita di lui volavano sulle sue scapole, Lily si strinse di
più al suo petto e vi strusciò contro il proprio,
tanto vicina da percepire chiaramente il battito del suo cuore
accelerare a quelle attenzioni, e il suo corpo reagire, poco
più in basso. Fu allora con rinnovata urgenza che le mani di
Severus corsero in basso ad afferrare il fermaglio del reggiseno, ogni
esitazione momentaneamente acquietata mentre con foga si indaffaravano
a slacciarlo, per poi tornare a correre lungo la sua schiena,
accarezzandola, quasi aggrappandovisi. Il reggiseno scivolò
via dal corpo di Lily mentre lei, non vista, scioglieva anche i due
bottoncini laterali che, ultimi rimasti, chiudevano la sua
gonna. Severus sussultò e trattenne il fiato sentendo la
stoffa morbida della gonna scorrere contro le sue gambe prima di
adagiarsi per terra, lasciando spazio alla pelle morbida e liscia di
Lily, e allentò per un attimo la presa sulla schiena della
ragazza.. Lei allora interruppe per la prima volta il loro bacio e si
staccò da lui, e indietreggiò molto lentamente,
con le braccia incrociate sul petto, finché non
sentì il bordo bitorzoluto del letto contro il proprio
stinco. Vi si sedette e, col respiro appena accelerato ma senza
smettere di sorridergli, tese le braccia verso di lui, che la guardava
ancora immobile.
A quel gesto, Severus finalmente si riscosse, e si mosse verso di lei,
finché non arrivò a prenderle le mani nelle sue,
senza però osare altro, respirando a mala pena e non
distogliendo un attimo lo sguardo da lei.
Lily allora si lasciò scivolare
all’indietro, tirando Severus su di sé, contro le
lenzuola.
Rotolarono sul letto, cercando la posizione più comoda. Alla
fine, si ritrovarono sdraiati di fianco,vicini e abbracciati quanto
più era possibile, lei ormai praticamente nuda contro il
petto ancora imprigionato nella camicia di lui. Si percorsero a vicenda
il corpo con le mani infinite volte, dal volto ai fianchi, fremendo e
senza mai smettere di baciarsi, di cercare l’uno gli occhi
dell’altra. Erano entrambi coscienti di
ciò che l’una faceva all’altro solo
grazie al tatto: non interruppero mai il contatto visivo. Lily
scivolò sul corpo di Severus, lo scavalcò con una
gamba, si ritrovò a cavalcioni sui suoi fianchi.
Febbrilmente iniziò a slacciare uno per uno gli stretti
bottoni della sua camicia, tracciando una scia di morbidi baci sulla
pelle pallida che via via scopriva.
Allargò le palme sul suo torace, liberandolo completamente
dallo schermo del tessuto, e iniziò a percorrerlo con le
mani in ampi cerchi concentrici, tastandolo, sfiorando ogni muscolo
nervoso sotto la pelle sottile quasi come un massaggio. Severus le
sciolse i capelli, lasciando che le ricadessero sulla schiena e sul
petto, che le coprissero i seni. Vi affondò le mani, li
accarezzò, attorcigliò le lunghe dita tra i
boccoli mentre Lily sfiorava con le labbra il suo petto glabro,
appoggiandovi poi la testa per ascoltare i battiti. Lo baciò
molte volte proprio in quel punto, sul cuore, cercando di imprimere in
quei baci tutta la purezza, tutto l’amore che sentiva per lui.
“Lily…”
Severus sospirò il suo nome con voce roca,
sollevò una mano ad accarezzarle una guancia, le
sfiorò le labbra con le dita. Lily sorrise al suo tocco e
riprese a scendere e baciarlo.
Ben presto raggiunse e liberò anche l’ultimo
bottone: ora Severus giaceva zitto sotto i suoi baci, il respiro
affannato come unico indice del piacere che provava. Lily
iniziò a slacciare la fibbia della cintura. Severus gemette
quando le dita di Lily scivolarono sulla cerniera, sfiorando
così la sua eccitazione pulsante, chiaramente impaziente di
uscire. Con mano tremante Lily gli tirò i pantaloni fin
oltre le ginocchia, e lui se ne liberò completamente
scrollando le gambe. I boxer seguirono in fretta la stessa sorte, e
finalmente si ritrovarono entrambi nudi uno di fronte
all’altra.
Prima ancora che Lily potesse sfiorarlo, Severus la prese delicatamente
per il mento e la riportò all’altezza del suo
viso, baciandola ancora e ancora, dolcemente, sulla bocca e sul volto.
Si coricò di fianco a lei, stringendola tra le braccia,
attirandola a sé in un gesto così familiare e
intimo che Lily quasi si commosse, e lo baciò con
più dolcezza e trasporto. Questa volta le mani di Severus
trovarono da sole la loro strada lungo il corpo di lei, e ben presto
Lily sentì i suoi slip scivolare lontano, lasciando i loro
corpi finalmente privi di qualsiasi barriera. Lily gemette alle carezze
sempre più intime che lui aveva iniziato a donarle, e
sgusciò sotto le sue mani, ondeggiò il bacino
sfiorando col proprio inguine quello di lui, fremendo e gemendo alla
sensazione della pelle contro la pelle. Severus raccolse
l’invito di quel gesto, le pose le mani sulle spalle e ancora
una volta le impose gentilmente di voltarsi e stendersi: si
sistemò su di lei. Non le parlò, non disse
né chiese niente: non c’era bisogno di parole tra
loro, solo gli occhi erano importanti, e quelli Severus continuava a
cercare febbrilmente.
Lily sentì la sua erezione adagiarsi tra le sue cosce mentre
lui le baciava il collo, e inspiegabilmente ebbe paura. Forse non era
paura, era solo senso di anticipazione, ma iniziò a tremare
sottopelle, si sentiva prossima a un baratro e aveva bisogno di lui per
lanciarsi.
“Severus…” chiamò, esitante.
Subito il volto di lui scattò verso il suo, e il nero
trovò il verde: Lily si sentì penetrata con gli
occhi prima ancora che col corpo, e il tremito che ne ricavò
fu quasi identico. Nell’attimo di quello sguardo
capì che lui era ancora più emozionato e in ansia
di lei, ma contemporaneamente fermamente determinato, sicuro di quello
che stava succedendo tra loro. Questa consapevolezza la
rassicurò grandemente, e sorridendogli completò:
“…non fermarti, adesso”.
Lui annuì, soltanto una volta, e scivolò col
bacino verso di lei. Finalmente uniti, gemettero all’unisono
e rimasero entrambi alcuni istanti immobili, assaporando
quell’istante incredibilmente reale. Poi Severus
cominciò a muoversi, piano, piano, e pian piano aumentava la
velocità dei propri movimenti, incerto e attento a non farle
male. Lily gemette ancora, e iniziò a muoversi anche lei
sotto di lui, assecondando le sue spinte. Ben presto trovarono un
ritmo, gli occhi allacciati come allacciati erano i loro corpi,
continuarono a muoversi in sintonia perfetta per quello che parve un
tempo infinito, con gesti tanto naturali e fluidi che sembrava
danzassero.
Lily inarcò la schiena, accogliendo Severus più
profondamente dentro di sé, e si aggrappò alle
spalle di lui. Sentì i propri muscoli stringersi
intorno a lui, intorno alla piccola parte che conteneva in
sé, il respiro che si strozzava a quella sensazione, e
sentì lui irrigidirsi e tendersi per tutta la sua lunghezza,
dentro e fuori di lei. Per la prima volta, Severus distolse il volto
dal suo, e affondò la testa nell’incavo del suo
collo, mentre una spinta più forte faceva tremare entrambi.
La sua voce le arrivò da oltre la spalla, soffocata dai suo
capelli.
“Oh, mio…” non era che un
sussurro spezzato, e Lily pensò stesse piangendo. Non lo
biasimò: conosceva il dolore che condividevano, sapeva
quanta colpa e quanta nostalgia c’era nel cuore di Severus, e
le lacrime che adesso sentiva sulla propria spalla, tiepide e segrete,
erano un dono prezioso. In un istante spaventoso lo sentì
ritrarsi, tentare di scivolare via da lei sopraffatto
dall’emozione…allacciò le gambe intorno
al suo bacino, bloccandolo e impedendogli di abbandonarla. Contro il
suo petto, lui tremava, e teneva gli occhi chiusi. Lily gli
afferrò il volto, cercando le sue labbra per un bacio, e lo
costrinse a guardarla, gli sorrise e lo chiamò
più volte. Severus,
Severus, Sever…Lui la interruppe, baciandola
con impeto, col respiro spezzato, poi spinse di
nuovo, con una forza così inaspettata che Lily
urlò e gli artigliò la schiena, proiettando le
anche contro il suo busto, spingendo e premendo il loro punto di
unione. Gli ansiti strozzati di Severus le giungevano ormai da un posto
lontano, mentre il calore dentro di lei cresceva ad ogni spinta, e la
sensibilità aumentava, portandola sempre più
vicina al limite.
Sentì Severus guizzare dentro di lei, mentre anche lui
raggiungeva il suo stesso grado di piacere, e la accompagnava oltre. Tremavano
entrambi, scuotendosi a vicenda, sopraffatti da ciò che si
stavano reciprocamente donando: sotto le sue mani, i muscoli della
schiena di Severus sussultavano in un tumulto continuo, mentre lui
accelerava ulteriormente i suoi colpi. Col respiro spezzato, le prese
il volto tra le mani.
“Lily…Lily, ti amo…sempre”,
biascicò con l’ultimo spiraglio di
lucidità prima di perdere il controllo. Due grosse lacrime
spuntarono agli angoli degli occhi di Lily, mentre entrambi
raggiungevano l’estasi. Si guardarono negli occhi anche in
quel momento, quando insieme raggiunsero e superarono il picco
più altro…fu come provare il piacere
dell’altro, oltre che il proprio. Lily urlò il
nome di lui, cercando la sua bocca per placare le urla, mentre spasmi
le squassavano il petto impazzito. Severus si accasciò su di
lei, continuò a baciarla spasmodicamente sulle
labbra, prima di scivolare lontano, ripetendole che l’amava,
l’amava, e le chiedeva perdono di tutto, e le giurava di
amarla sempre e per sempre…Lily gli carezzò una
guancia e lo baciò a sua volta, ponendo fine a quella
sciarada di sussurri impazziti. Severus scivolò sotto le
lenzuola sottili, trascinandola con sé, cingendole una
spalla mentre Lily appoggiava la testa sul suo petto, e ascoltava i
battiti rapidi del suo cuore. Si baciarono un’ultima volta,
poi entrambi chiusero gli occhi e rimasero lì stesi,
scivolando lentamente nel torpore con l’unico sottofondo dei
loro respiri tremuli.
Lily giaceva con la testa
appoggiata al petto di Severus, ascoltando il ritmo pacificato del suo cuore
mentre lui a occhi chiusi si andava assopendo, il respiro ogni volta un po’ più
profondo. Le lenzuola ingrigite adesso profumavano di loro due e di ciò che
avevano fatto insieme, ed era un odore dolce, ma portava con sé strascichi
sinuosi di vergogna. Lily tentò di scacciarli, di richiamare quel corso di
pensieri che aveva fatto apparire così giusti e puri i gesti che aveva compiuto
con lui pochi minuti prima, ma adesso che tutto era finito e che c’era
silenzio, assordante, intorno a lei, quei pensieri sembravano stranamente privi
di senso, e la piccola fascia d’oro intorno al suo dito bruciava come fuoco. Si
alzò e si rivestì in silenzio: adesso, scioccamente, si vergognava della
propria nudità. La porta era accanto a lei, e di sicuro avrebbe potuto
smaterializzarsi, ma non riusciva ad andarsene, non ancora. Risalì sul letto e
cercò un po’ di conforto nel volto di lui, chinandosi per guardarlo meglio:
l’amore che avevano fatto aveva infuso dolcezza alla sua espressione di solito
accigliata, per una volta sembrava riposare senza incubi che lo tormentassero e
perfino tra i tratti aspri del suo volto, così rilassati, si coglieva una certa
armonia. Sembrava addirittura bello, così abbandonato, e Lily gli accarezzò una
guancia con infinita tenerezza, posandogli un bacio sulla fronte, sentendo più
forte e vero che mai l’affetto che la legava a lui, indissolubile nonostante
tutto. Questo la rincuorò, ma non servì a lenire il suo tormento, che anzi
cresceva di momento in momento. Lily lasciò scorrere lo sguardo sul corpo magro
di Severus, cercando invano una risposta, e fu allora che lo vide. La manica
sinistra della camicia che lui ancora indossava si era sollevata, lasciando
scoperto l’avambraccio e la grande forma nera che lo occupava. Sapeva fin
troppo bene che cos’era. Lo sfiorò con un dito e vide Severus digrignare i
denti, una smorfia di dolore dipinta sul volto. Lily iniziò a tremare, incapace
di distogliere gli occhi, percorrendo il marchio con lo sguardo avanti e indietro,
ancora e ancora, dal teschio al serpente, dal serpente al teschio. Fu come se
un argine dentro di lei si fosse rotto, e il peso di tutto ciò che era
successo, di tutto ciò che aveva detto, provato, e fatto da quella mattina le
crollò addosso come una valanga, schiacciandola. Prima che se ne rendesse
conto, si ritrovò seduta sul bordo letto, lontana da lui, in preda a singhiozzi
quasi isterici, tremando come una foglia. Si premette una mano sulla bocca,
cercando di placare i singulti: non voleva che lui si svegliasse, che la
vedesse così, adesso davvero voleva solo andarsene, scomparire per sempre da
quella stanza. Ma quando poi sentì dietro di sé il fruscio di lenzuola
spostate, e un attimo dopo il tocco leggero di Severus sul braccio, si voltò e
gli gettò le braccia al collo e si strinse a lui, soffocando i propri
singhiozzi, sempre più forti e disperati, contro il suo petto. Lui ricambiò la
stretta senza esitazione, passandole le braccia intorno alle spalle, e le
appoggiò il mento sulla nuca. Non le disse niente, non le chiese cosa le avesse
preso, né provò a calmarla con vuote parole di conforto; invece, rimase fermo
ad attendere che si sfogasse, limitandosi a stringerla e accarezzarla sulla
schiena, facendole sentire che lui era lì, tutte cose di cui Lily gli fu
profondamente grata. Alla fine, quando si fu calmata, le chiese semplicemente:
“Vuoi tornare da lui adesso, non
è vero?”
Lily annuì tra i singhiozzi
contro il suo petto, e tirò su col naso. Sentendo poi che lui si preparava a
parlare nuovamente, mormorò in fretta: “Io…sono molto felice con James”, lo
sentì fremere di rabbia quando pronunciò il nome. “ Dico davvero. Lui, sai, non
mi farebbe mai soffrire.”
“Non come me”, concluse lui,
liberandola dalla sua stretta e scostandosi un po’ da lei, lo sguardo basso
sulle lenzuola.
Lily non aveva voluto ferirlo, ma
alla fine il senso delle sue parole era quello, non poteva negarlo. Così, si
limitò a poggiargli una mano sulla sua, e quando sollevò lo sguardo su di lei,
cercò di sorridergli.
Rimasero in silenzio diversi
minuti, ognuno seguendo il proprio corso di pensieri, poi Lily disse, arrivando
di straforo all’argomento che più la tormentava:
“Immagino che anche tu tornerai
dal tuo “lui”, no?”
Severus la guardò con un sopracciglio
inarcato, non capendo, o facendo finta di non capire.
Lily tirò un forte respiro, poi
disse tutto d’un fiato:
“Ho visto il marchio sul tuo
braccio, Sev. So cosa significa, non sono una stupida. E’ andata come avevo
previsto, non è così?”
A quelle parole, lui si strinse
forte l’avambraccio sinistro, quasi conficcandovi le unghie e guardando il
marchio che vi era impresso con tanto disgusto che sembrava stesse per
vomitare. Si morse forte il labbro e Lily pensò di vedere il sangue da un
momento all’altro. Vedendolo così sconvolto, non osò nemmeno sfiorarlo, finché
lui non disse, parlando come se ogni parola gli costasse uno sforzo immane:
“Io non…Tu eri tutto il mio
mondo. Quando sei andata via, non mi hai lasciato alternative.”
La sua voce si era spezzata quasi
subito e aveva pronunciato le parole di corsa, rifiutandosi per tutto il tempo
di guardarla. Il cuore di Lily perse un battito. Sapeva che lui aveva detto la
verità. Faceva male, ma aveva ragione. Ogni giorno dopo quel maledetto pomeriggio,
guardandolo da lontano, sempre più irretito dalle frottole di quegli animali,
sempre più perduto e distante da lei, ogni singolo giorno si era chiesta
cosa sarebbe successo se lei si fosse comportata diversamente: se avesse
creduto al suo pentimento, se ancora una volta l’avesse perdonato, e se in
cambio di quel perdono lo avesse costretto a tagliare con quei suoi cosiddetti
amici…se, in una parola, fosse rimasta a lottare per loro due.
Ma il mondo non si regge sui se,
e la verità era che Lily era stanca e aveva avuto paura. Paura di lasciar
crescere quei sentimenti che al tempo solo intuiva dentro di sé (non capendo
che, come era successo, essi avrebbero comunque continuato a esistere e
crescere nelle zone d’ombra del suo cuore), paura che alla fine di tutto lui
avrebbe comunque scelto loro, paura di essere rifiutata e lasciata sola.
Così, da vera vigliacca, aveva
preferito ferire prima di essere ferita, era stata lei a respingere e
abbandonare lui, ed era consapevole già allora che, se proprio non l’aveva
spinto giù, comunque non aveva fatto nulla per tirar via Severus dal baratro su
cui era affacciato.
Il tempo però l’aveva aiutata a
nascondere e sotterrare anche quel senso di colpa: via via era riuscita a
rifiutarsi di guardare indietro verso di lui, a negare di star soffrendo, ed
era stato tutto tanto più facile perché ogni volta che il rimorso guadagnava
terreno su di lei arrivava James a salvarla…James, che era bello, eroico,
semplice da trattare e perdutamente innamorato…e adesso James era la realtà, e
Lily lo amava, lo amava davvero, e pur sapendo di non averlo davvero tradito in
quella stanza non poteva evitare di sentirsi impura e sporca, vergognandosi da
morire.
Adesso avrebbe voluto rispondere
a Severus, spiegargli tutto questo, chiedergli scusa per il suo dolore e
implorarlo di capire, ma le mancavano le parole, e si sentiva soffocare mentre
nuove lacrime le sgorgavano dagli occhi, rigandole le guance. Lui la attirò
nuovamente a sé e Lily tornò a nascondere la testa nel suo petto come una
bambina spaventata. Severus le baciò la nuca più volte, chiedendole scusa senza
motivo, le accarezzò i capelli e la cullò piano. Dopo un po’ le sollevò il
mento con una mano, delicatamente, e col pollice dell’altra le tolse le lacrime
dagli occhi, in modo da potervi fissare dentro i suoi pozzi neri. Rimasero
stretti l’una all’altro, occhi negli occhi, come già era successo in quello
stesso letto, e Lily pregò che lui capisse, che vedesse in qualche modo nel suo
sguardo tutto ciò che con la bocca non sapeva dirgli. Alla fine fu lui a
chinare il capo, distrutto, come se davvero avesse visto e assunto su di sé
tutto il dolore della ragazza, e tirò un lungo respiro.
“Non andare, Lily. Resta, ti
prego.” Le prese le mani nelle sue.
“Non posso”. Lei scosse la testa,
abbassando lo sguardo.
Severus cercò di attirarla ancora
una volta a sé, di baciarla sulle labbra, ma Lily gli premette due dita sulla
bocca, fermandolo. “No, non…non possiamo”, disse voltando il capo, negandogli
ogni possibilità di accesso alle sue labbra. “Non può esserci futuro per noi a
questo punto, Severus. Io ho fatto una promessa, e tu…tu non sei un uomo
libero”.
Gli sfiorò il Marchio, e lui
sussultò, scostando il braccio.
“Allora…se non fosse per questo…”
mormorò col pugno stretto, guardandosi l’avambraccio.
“Se non fosse per quello nemmeno
avremmo mai litigato, Sev, riflettici. Tutto ciò che è successo tra noi negli
ultimi cinque anni è stato per quello, in effetti.”
Lui balbettò qualcosa,
gesticolando nervosamente.
“Ma…quando tutto questo sarà
finito…”
Le parole erano state un mugugno
talmente impastato che Lily dovette concentrarsi per capirne il senso, e dopo
desiderò ardentemente non averlo fatto. Era un’affermazione così assurda che
non sapeva nemmeno come rispondergli, e quasi aveva voglia di urlargli contro.
Cercò di contenersi, ma quando parlò, la sua voce era piuttosto concitata.
“Finito! Finito…! Severus, quando
tutto questo sarà finito, sempre ammettendo che ne usciamo entrambi vivi, io
sarò una donna sposata, e tu…!”
…tu marcirai a vita in una
cella di Azkaban, brutto idiota…
Non potendo esprimere
quell’ultimo pensiero ad alta voce, Lily lo scacciò agitando una mano a
mezz’aria, stizzita, e continuò con foga crescente:
“Tu sei un dannato Mangiamorte,
Severus, e per Merlino, io sono un membro dell’Ordine della Fenice!”
Lo vide ritrarsi, sorpreso da
quell’ultima rivelazione, mentre le rivolgeva uno sguardo colmo di apprensione:
“Davvero tu…?”
“Sì, sì! Noi siamo nemici,
lo capisci? Dovremmo combattere, ucciderci anche, e invece siamo stati qui, e noi…”
Le parole si erano fatte così
stridule e veloci che alla fine le mancò il fiato. Chinò il capo e se lo prese
tra le mani, dondolandosi avanti e indietro sul bordo del letto. Le scoppiavano
le tempie, non riusciva a pensare e a malapena a respirare, sballottata tra ciò
che provava per Severus e la consapevolezza sempre più pressante dell’assurdità
di ciò che aveva fatto.
Rimase diversi secondi in quella
posizione, raccogliendo il fiato nel disperato tentativo di calmarsi, il sangue
che pulsava così forte nella testa da impedirle perfino di piangere. Alla fine,
il mormorio di lui le giunse lontano, ovattato.
“…Perdonami, Lily”
A quelle parole, Lily riuscì
finalmente a sollevare la testa e a guardarlo. Le sembrava svuotato, assorbito dal
proprio dolore, e provò pena per lui. Dopo aver tirato un lungo respiro, gli
prese il volto tra le mani, facendogli alzare il capo per guardarla. Parlò con
voce pacata, come una mamma a un bambino dopo un terribile rimprovero:
“Ti perdono, Sev. Non cambia le
cose tra noi, ma ti perdono.”
Lo sentì tremare sotto le sue
dita, e pensò che forse avrebbe pianto anche lui. Poi Severus chinò il capo, si
ricompose, e quando sollevò gli occhi la guardò con dolcezza. Le sfiorò ancora
le labbra con le dita, e provò di nuovo ad avvicinarsi a lei. Ancora una volta,
Lily dovette scostarsi, si allontanò da lui e un sospiro tremulo fu l’unico
testimone di quanto le stesse costando tutto ciò.
“Mi dispiace”, gli disse
soltanto, ed era vero.
Lui la guardò, lo sguardo nuovamente incupito e sofferente, ed
espirò pesantemente. Si passò le mani sul volto e sulle tempie più volte,
tormentato.
“Almeno…Lily, ti prego, non lo
sposare” sembrava quasi disperato.
Lily sospirò profondamente, e si
preparò a parlare. Sapeva che prima o poi ci sarebbero arrivati. Aveva cercato
di tenere James il più possibile lontano dalle quattro mura malamente
intonacate di quella stanza, di non pensare a lui, come se tutta quella storia
non lo riguardasse affatto. Lo aveva fatto per se stessa, anche, perché non
riusciva a sopportare il pensiero della propria colpa, ma soprattutto lo aveva
fatto per Severus, perché sapeva che nulla più di quanto stava per dire lo
avrebbe fatto soffrire. Adesso, però, proprio Severus la costringeva ad
affrontare il problema, e Lily sapeva che cosa dire. Aveva provato per un
istante a immaginare la sua vita senza James, cosa avrebbe significato
sconvolgere tutto e rinunciare a lui, e subito aveva capito che era
impossibile, irrealizzabile, quasi ridicolo. Perché effettivamente quanto
era successo in quella stanza non riguardava James, era una questione tutta e
solo tra lei e Severus, non avrebbe avuto il potere di cambiare le cose. Sentì
nuovamente la verità di questa sensazione, forte come l’aveva sentita nella
radura quando tutto era iniziato, e vi trovò forza. Non voleva ferire Severus,
ma era bene e giusto che anche lui si rendesse conto della realtà al più
presto. Così, rispose, con le parole che già sapeva da tempo:
“E rinuncerei a James per cosa,
Sev? Per aspettarti invano, per sperare un futuro che non si realizzerà mai?”
Severus aprì e richiuse la bocca
più volte, rimangiandosi parole che ancora non aveva pronunciato, poi disse:
“…Ma tu non lo ami”.
Gli tremava la voce, ma la sua
non era una domanda, e aveva il tono definitivo dell’affermazione. Lily gli
rivolse un sorrisino mesto, e scosse piano la testa.
“E’ qui che ti sbagli, Sev”
disse. “Io…io amo James. Lo amo molto.”
Era stato difficile ammetterlo
davanti a lui, ma non aveva dubbi sulla veridicità delle proprie parole. Amava
James, davvero, e si accorse che già le mancava moltissimo. I nomignoli
affettuosi che inventava per lei, il modo gentile e giocondo che aveva di fare
l’amore, le piccole cose giornaliere che avevano condiviso in quei due mesi di
convivenza…non avrebbe saputo rinunciare a tutto questo, lo voleva, voleva che
continuasse e durasse. Amava anche Severus, innegabilmente, con un sentimento
tanto perfetto quanto utopico, e apparentemente indistruttibile proprio perché
irrealizzabile, ma era con James che voleva passare la propria vita. Saperlo,
finalmente, aver pareggiato i conti con se stessa, la rincuorò moltissimo, e
finalmente si sentì serena e salda. Nondimeno, vedeva Severus soffrire
moltissimo, le labbra sottili strette fin quasi a scomparire e gli occhi fondi
e vuoti, e si sentiva morire per lui. Avrebbe voluto poter trasmettergli la
propria serenità, il proprio senso di accettazione…avrebbe voluto rendere lui
libero come libera si sentiva lei. Severus scosse la testa, incredulo o forse
solo scorato, e disse a capo chino:
“Lui nonti merita, sai.”
Lily gli portò una mano sulla
guancia, sollevandogli il volto quel tanto che bastava perché i loro occhi si
incontrassero di nuovo. Senza interrompere quel tocco, gli rispose:
“Forse è vero. Forse lui non mi
merita, ma io lo amo.”
Questa volta, vide chiaramente
Severus rigettare il pensiero, rifiutare le sue parole, e quando aprì la bocca
con impeto lo interruppe prima che potesse replicare.
“Severus, ascoltami.” Parlava in
fretta, per non dargli il tempo di ribattere, ma mantenne un tono dolce,
conciliante. “Io e James stiamo insieme da tre anni, e ci sposeremo tra una
settimana. Mi dispiace, mi dispiace, che le cose siano dovute andare
così tra noi, ma questo è stato. Forse…forse, se quello che c’è stato oggi
fosse successo prima, magari…non so che cosa sarebbe successo. Forse avrei
dovuto ascoltarti, quella sera davanti al ritratto, forse tu avresti dovuto
trattenermi…forse. Ma non lo abbiamo fatto, Sev, nessuno di noi due ha
fatto ciò che avrebbe dovuto, abbiamo rovinato tutto, e questo è quanto. E
adesso io ho James, e lo amo, e non posso rinunciare a lui, né voglio
permettere che soffra per…per i nostri errori. Mi dispiace.”Gli toccò
una mano con la propria, e cercò di sorridergli quando lui sollevò lo sguardo,
ma trovò gli occhi neri freddi e distanti, nuovamente persi nella rabbia e nel
dolore. Alla fine, furioso e sfiancato, le chiese:
“E allora, quello che è successo
oggi? Che cos’era, Lily? Una specie di regalo d’addio, un…contentino? O forse
un regalo di nozze per te?”
Sapeva che le sue parole lo
avrebbero ferito, e si era aspettata una risposta dura, ma quelle insinuazioni
riuscirono comunque a turbarla, e con foga rispose:
“No! Io non…Severus, come puoi credere una cosa simile?” Si sentì
ferita e bruciata dalle sue parole, non riuscendo a credere che lui potesse
considerarla così meschina, pensarla capace di idee tanto squallide. Ciò che
aveva provato mentre si stringeva a lui non era stato opportunismo o lussuria e
nemmeno una sorta di “carità” nei suoi confronti. Era qualcosa di molto più
grande, molto più puro, e per Merlino, giusto. Aveva amato Severus ed
era stata felice di ciò che avevano fatto insieme, pur sapendo fin dall’inizio
che sarebbe rimasta un’esperienza unica, senza futuro. Ma non sapeva come
spiegarlo a lui senza rovinare ulteriormente la loro situazione, senza
aggiungere altro dolore al suo cuore.
Severus intanto la incalzava,
determinato a non lasciar cadere il discorso:
“E allora che cos’era?
Rispondimi, Lily, cos’ha significato per te?”
C’era una nota di disperata
urgenza nel suo tono aspro, come se da quella risposta dipendesse la sua stessa
vita. Lily prese un profondo respiro, cercando le parole migliori per
spiegargli, poi cercò di iniziare a parlare:
“Io non…Severus, guardami.”
Lui aveva distolto lo sguardo, fissava le lenzuola a labbra strette, gli occhi
foschi e spenti. In quello stato, non avrebbe avuto importanza qualsiasi cosa
avesse detto Lily. Lei invece voleva che lui capisse, perché era importante,
perché forse dopo avrebbe sofferto di meno.Quando finalmente sollevò lo sguardo su di lei, Lily si aggrappò ai suoi
occhi, li incatenò ai propri, costringendolo a guardarla finché non ebbe finito
di parlare.
“Quello che c’è stato oggi tra
noi è stato meraviglioso, e non lo dimenticherò mai, ma…” lui provò a
interromperla, ma lei glielo impedì, gli premette velocemente un dito sulle
labbra, “…ma non è ripetibile, non…è troppo tardi, Sev. Non possiamo tornare
indietro, adesso.”
Lui annuì meccanicamente,
accettando infine la realtà. Lily vide lo sforzo che stava compiendo, e gli
prese le mani nelle sue per rincuorarlo. Ma Severus si negò inaspettatamente a
quella stretta, allontanando le braccia da lei. Con voce roca, evitando
accuratamente di guardare verso di lei, disse:
“Allora non c’è altro da dire.
E’…è meglio se te ne vai, adesso.”
Lily vide che aveva gli occhi
lucidi, e cercò di sfiorargli il volto.
“Severus…”
Lui scosse la testa con forza,
rifiutando le sue carezze:
“No…No! Non ha senso continuare a
prendersi in giro. Vattene, Lily. Dimenticami.”
Gli tremavano le labbra. In
fretta, le voltò la schiena e si prese il volto tra le mani. Lily sospirò,
crucciata. Non voleva che finisse così tra loro. Silenziosamente, scivolò sulle
coperte fino a trovarsi di fronte a lui, gli tolse le mani dal volto e lo prese
tra le sue, cercando i suoi occhi. Lui non si ribellò questa volta, limitandosi
a guardarla colmo di tristezza. Lily allora si chinò su di lui, strofinò il
naso contro il suo, cercando di indurlo a sorridere.
“Io non ti dimenticherò mai,
Severus”, sussurrò contro le sue labbra.
“Nemmeno io” mormorò lui, e
un’unica lacrima gli rotolò sulla guancia, infrangendosi tra le dita di Lily.
Lei poggiò le labbra sulle sue in un ultimo, casto bacio.
“Mi mancherai, Sev”, disse
allontanandosi da lui. “Cerca di avere cura di te”
Lui annuì, poco convinto, e le
lasciò andare la mano, che aveva stretta.
“Sii felice, Lily, promettimelo”
disse infine mentre lei si alzava dal letto.
Lily gli sorrise, e si chinò ad
accarezzarlo.
“Prometto”. Lo baciò sulla
guancia “Addio, Severus”. Indietreggiò.
Lui deglutì, le parole ferme in
gola, e non le rispose. Non volendo forzargli ancora la mano e frustrarlo
ulteriormente, Lily iniziò a dirigersi in silenzio verso il centro della stanza,
per Smaterializzarsi con più facilità. Un attimo prima che sparisse, le giunse
la sua voce, acuta e disperata.
“…Lily!”
Si voltò verso di lui, pallido
come un cadavere, stravolto.
“Ti…” ma lei lo bloccò,
sollevando una mano. Non avrebbe retto a sentire quelle parole da lui, non
adesso.
“Anch’io”, disse soltanto, e
sparì.
Riapparve in piedi al centro
della radura, circondata dalla luce aranciata del sole al tramonto. Non si
guardò intorno, non si fermò a pensare, finché non fu salita sulla sua bici e non
ebbe percorso in tutta fretta il sentiero fangoso fuori dal boschetto. Sfrecciò
a ritroso lungo sentieri e vie, lasciando che la brezza serale le sferzasse la
faccia e i polpacci, sentendosi rigenerata da quel freddo contatto. Si accorse
allora di non sentirsi devastata o sconvolta: in effetti, tutto quello che
davvero le sembrava di volere era tornare in fretta a casa. Ripensò con un
ultimo breve moto di nostalgia a Severus, all’ultima immagine che aveva avuto
di lui in quella stanza, e piano piano sentì che iniziava a lasciarlo andare.
Era finita, adesso se ne rendeva del tutto conto. Era finita, ormai tutto
quanto era rimasto così a lungo in sospeso tra loro era stato detto, o fatto. C’era
voluto il dolore, c’era voluto il peccato, soprattutto c’era voluto l’amore, ma
per la prima volta da cinque anni, Lily si sentiva davvero libera, e ringraziò
per l’opportunità, per la prova di quella giornata sotto tanti versi assurda.
Era felice, era pronta a tornare dove era il suo posto, dove era sempre stato e
dove doveva essere. Era libera, e quasi avrebbe urlato di gioia.
Mentre gli alberi della radura
scomparivano dietro una salita, sollevò le braccia dal manubrio, puntandole in
alto a salutare il sole morente, e con esso i fantasmi di un passato da cui si
sentiva finalmente staccata. Salutò per l’ultima volta anche Severus, pregò che
riuscisse anche lui, un giorno, a staccarsi da lei, e ripose con cura il suo
ricordo in fondo al cuore senza nasconderlo. Non ne aveva più bisogno. Col
cuore in pace, imboccò la strada per il suo quartiere.
Arrivò ben presto in vista di
casa sua, e con un tuffo al cuore distinse le due figure in piedi l’una di
fronte all’altra sull’uscio, una delle quali piuttosto alta e con un ciuffo
inconfondibile. James.
Lily rallentò, normalizzando
l’andatura della bici, e cercò di distendere il viso in un sorriso spensierato,
solo per rendersi conto che non ce n’era affatto bisogno: in effetti, stava
già sorridendo.
Accolse con gioia ogni nuovo
particolare che riusciva a scorgere via via che si avvicinava, e quando
raggiunse la porta aveva ormai un sorriso radioso. Ancora in sella, salutò sia
lui che sua madre con sincero entusiasmo. James si illuminò nel vederla, come
faceva ogni volta, e sua madre parve piuttosto sollevata. Lily ricordò
improvvisamente la cena con Vernon, che aveva completamente rimosso, e per poco
non si mise a ridere. Dopotutto, pareva fosse arrivata in tempo. Smontò dalla
bici, e corse a baciare prima sua madre, poi James, il cuore a mille mentre lo
sfiorava.
“Tesoro, finalmente! Ma…che hai
fatto?”
Le parole di sua madre le fecero
perdere un battito, poi si rese conto del proprio aspetto: aveva perso
l’elastico chissà dove, e i capelli le ricadevano intorno al volto scarmigliati
e sconvolti, i sandali erano tutti inzaccherati e i vestiti stropicciati e in
più punti sporchi di fango, per quando con Severus…nella radura…
“Oh…ho preso una sbandata e sono
finita per terra, dritta dentro una pozzanghera!”
Si meravigliò della rapidità con
cui la frottola le era salita alle labbra, e decise immediatamente che quella
sarebbe stata la sua prima e ultima menzogna, grata che il sole ormai
tramontato non potesse illuminare il rossore del suo viso. Almeno, parve
funzionare: James la guardò teneramente divertito, e sua madre la squadrò con
occhio critico, prima di stabilire:
“Beh, allora è un miracolo che tu
non ti sia tutta sgraffiata…Vuoi entrare a farti una doccia o qualcosa di
simile?”
Lily ci pensò su un attimo, poi
decise di declinare l’offerta:
“No, mamma, tranquilla…me la
vedrò a Londra! Anzi…forse è meglio se andiamo, eh?”
Le strizzò l’occhio, e sua madre sorrise,
annuendo mentre James, evidentemente all’oscuro del “fattore Vernon”, le
guardava interrogativo. Si salutarono, baciandosi due volte su ogni guancia e
abbracciandosi,con mille raccomandazioni e promesse di sentirsi presto, poi sua
madre diede un buffetto a James e baciò anche lui sulla guancia. Si rinnovarono
l’appuntamento al weekend per gli ultimi preparativi del matrimonio, poi sua
madre sparì dentro casa.
Appena rimasero soli, James le
cinse la vita con un braccio e la attirò a sé, lasciandole un bacio a stampo
sulla bocca e uno tra i capelli. Lily rispose con gioia a quelle attenzioni, e
si strinse a lui, inalando il suo odore. Questo era giusto, era quello
che voleva avere per sempre. Si sorprese di averne potuto dubitare anche per un
solo momento, ma poi si rese conto che non era esattamente vero, che sapeva fin
dall’inizio che sarebbe tornata lì, che il suo posto era tra le braccia di
James.Stretta a lui, le sembrava che tutto ciò che era successo quella giornata
non appartenesse che ad un sogno sempre più sbiadito, e James era la realtà, il
dolce risveglio. Si strinse più forte a lui, sorridendo contro il tessuto della
sua t-shirt. James giocherellò con un suo riccio ribelle, attorcigliandoci
intorno il dito.
“Povero il mio fiorellino tutto
infangato…” le disse, scherzoso, prima di lasciarle un altro bacio sulla nuca.
“Sei sicura di non voler tornare dentro a rinfrescarti un po’?”
“No, James” disse Lily, e strinse
forte le mani nelle sue. “Portami a casa.”
Lavami via,
pulisci il tuo
corpo da me,
cancella tutti i
ricordi,
non farebbero
altro che portarci dolore.
(Muse
– Citizen Erased)
FINIS
NdDarkElectra: Ebbene, eccoci. Les joues sont fait, siamo alla fine. Che ne dite ? Un finale non proprio felice,
almeno per il nostro povero Severus…E dopotutto, credo che la storia non
potesse finire altrimenti, penso di aver sempre saputo che le ultime battute
sarebbero state per Lily e James… che avrei dovuto scrivere quelle due precise
parole. Ciò su cui mi premeva concentrarmi, piuttosto, era il modo in cui
quelle parole siano maturate dentro Lily, il perché alla fine abbia scelto
James, come sia arrivata a una soluzione così sofferta. Perché lei amava
Severus, guardiamoci in faccia. Lo amava davvero, ne sono convinta. E così,
visto che da quando è venuta fuori la loro storia più o meno tutti i
fanfictionisti del mondo (me compresa) si sono concentrati su Severus, sul suo
amore, sul suo dolore…l’intento di questa storia è stato, dall’inizio alla fine,
mostrarvi il risvolto della medaglia, quelli che potevano essere i sentimenti
di Lily, il dolore e l’amore che sicuramente anche lei provava dentro di sé.
Non ho pensato a questa shot necessariamente come a un “lost moment”, nonso dire se quanto ho narrato sarebbe stato
davvero possibile tra loro, anche se mi piacerebbe che fosse andata così. Perché
un momento di intimità, uno solo, anche sofferto, se lo meritavano. Ommamma, ma
quanto parlo? Basta, sproloquio come al solito. Il succo della cosa come sempre
è: spero questa storia vi sia piaciuta, spero mi farete la grazia di
commentare, spero sarete buoni con gli ortaggi marci :D Detto questo…via ai
ringraziamenti!!
Grazie a Clara, la beta migliore del mondo, che nonostante l’università
e nonostante non ami la coppia ha letto pazientemente tutti i capitoli,
sopportando contemporaneamente tutte le mie psicosi e i miei momenti di blocco
letterario (senza nemmeno mandarmi a quel paese!!) Quindi, con tutto il cuore, grazie
tata!!!
Grazie a tutte quelle persone che, commentando, preferendo,
o anche solo leggendo, in qualche modo hanno partecipato a questa storia, perché
senza di loro non avrebbe senso scrivere.
Grazie in anticipo a chi commenterà questo capitolo!
E infine passiamo alle risposte alle recensioni!
Gealach: che dirti…grazie duemila! Mille
volte per avermi preferito, e mille per aver commentato!! Sono felicissima che
la fic ti sia così piaciuta, spero di non averti delusa con questo capitolo
(che è stato il più difficile da scrivere soprattutto nell’ultima parte ^.^” )
e aspetto con ansia un tuo nuovo commento!!
Bittersweet miki: e sì, un momento di passione tra
loro due ci voleva davvero…se lo meritavano, no? ;) Grazie per la recensione,
ne aspetto presto un’altra!!
Jane Gallagher: non hai idea di quanto i tuoi
commenti riescano a rendermi felice. Grazie per non avermi lasciato “due righe
insignificanti”! Riguardo a personaggi e situazioni…perdo pomeriggi a cercare
di renderli IC (credo di averlo già detto…mah) quindi sapere di esserci
riuscita al punto da farti apprezzare una coppia che non ti piace…come dire, è
un sogno! E a proposito della coppia…ho il sospetto che tu abbia particolarmente
apprezzato il finale, o sbaglio? ;)
Pulciosa: mi ricordo
la tua fic, che resta ad oggi una delle migliori che abbia mai letto sulla
coppia. E mi dispiace che tu non sia tanto d’accordo con la lemon, perché, e
spero di non sconvolgerti, l’idea embrionale di questa fic E della scena di
sesso in essa contenuta è stata in parte ispirata dal tuo primo capitolo…ho trovato
brillante l’idea di Severus perso in torbide relazioni con “signorine allegre”
dai capelli rossi, ed ho pensato che però avrebbero avuto tanto più senso se
fossero state una grottesca replica di un vero atto d’amore, di un’unica volta
con la vera Lily, la sua Lily. E volevo che Severus avesse un momento d’amore,
tra tutta la sofferenza che ha caratterizzato la sua vita. Quindi, no, non l’ho
intesa come un regalo d’addio da parte di Lily (ma questo già l’ha spiegato lei
;))…al massimo il regalo a Sev l’ho voluto fare io…no, scherzi a parte, come ho
scritto nella fiction stessa, pensavo fosse giusto, fosse un modo di chiudere
col passato, qualcosa che doveva succedere tra loro perché almeno Lily potesse
rendersi conto appieno di ciò che abbandonava e liberarsi per tornare senza
rimorsi da James, che lei ama davvero, su questo siamo tutti d’accordo. Acc,
quanto ho scritto! Scusa, ma ci tenevo a precisare il discorso della lemon…spero
sia chiaro, ora! Grazie mille, di cuore, per la tua recensione dettagliatissima…spero
me ne lascerai presto un’altra altrettanto utile!! Grazie ancora.