Dream a little dream of me

di snow nymph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Questa storia ha partecipato ai contest “Impossible Love” e “A Sentence to Dream” sul forum di EFP.






Dream a little dream of me





I've been alone with you inside my mind
And in my dreams I've kissed your lips a thousand times
I sometimes see you pass outside my door
Hello, is it me you're looking for?



1.


E' usanza diffusa credere che ognuno di noi sia destinato a incontrare la propria anima gemella. Quando si è piccoli si perdono ore a fantasticare sul futuro che si avrà insieme alla persona speciale, sull'arredamento della casa in cui andrete a vivere, sul nome dei vostri figli, cose così. E' normale, quasi la prassi. Nessuno pensa mai all'eventualità che l'anima gemella potrebbe benissimo non esistere; o comunque, non essere mai trovata.
Probabilmente perché è un pensiero troppo deprimente anche solo per fargli prendere forma nel retro della nostra mente. A nessuno piace stare da solo nella realtà, figurarsi immaginare di stare da solo anche in futuro; la mente e l'immaginazione sono i nostri porti sicuri, e almeno lì tutto deve poter andare bene. La cosa buona del futuro è che può essere immaginato roseo, limpido e appagante; il problema arriva quando il suddetto futuro si trasforma in presente e ci si rende conto che niente è andato come speravamo.
Era per questo che a Jade Williams non piaceva fantasticare; ci si illude che tutto possa andare bene, e quando ciò non accade si rimane inevitabilmente delusi. Non le piaceva fantasticare sul suo redditizio futuro lavoro, sulla sua numerosa futura famiglia, e meno che mai sulla sua perfetta futura dolce metà. Perché sapeva che, con buona probabilità, non avrebbe mai avuto niente di tutto questo. Da ragazza normale qual'era, impiegata part-time in un caffè, non poteva puntare a molto altro senza l'educazione universitaria che aveva rifiutato di avere, e probabilmente sarebbe finita con un uomo che sarebbe stato carino ma lungi dal modello di perfezione che tutte le altre ragazze pitturano nelle loro fantasie.
Non si deve pensare che fosse pessimista, o che amasse buttarsi giù; solo, le piaceva rimanere coi piedi per terra, in modo da evitare delusioni troppo grandi che non sarebbe riuscita a sopportare.
Fu quel giorno di metà febbraio che, cominciato come ogni altro, portò una nuova concezione della vita a Jade; che le fece capire che non poteva frenarsi sempre per paura di essere ferita, e di impedirsi di godersi le cose che avrebbe potuto avere se solo si fosse lasciata andare, ogni tanto.
Ma cominciamo dall'inizio.


« Salve, cosa le posso servire? »
L'uomo dall'altra parte del bancone fece segno di aspettare, distratto da qualcosa che era comparso sul suo telefono di ultima generazione. Jade aspettò pazientemente che finisse e nel frattempo lo guardava incuriosita e divertita; quel signore avrà avuto almeno settant'anni, eppure smanettava con quell'affare anche meglio di lei.
L'uomo finalmente ripose il telefono in una tasca e alzò gli occhi, degnandola della sua attenzione per la prima volta; alla vista di quella giovane dai capelli color caramello e gli zigomi alti, sorrise intraprendente. « Un cappuccino con panna, mani fatate, per favore. »
Jade trattenne a stento una risata, prendendo l'ordine. « Arriva subito. Vuole accomodarsi? Glielo possiamo portare al tavolo. »
Il vecchietto le sorrise ancora di più, aggiustandosi la giacca di ottimo taglio. « Se non ti dispiace, lo prendo al bancone, così posso godere un po' della tua compagnia. »
Jade frenò l'impulso di alzare gli occhi verdi al cielo. « Sarà pronto in un attimo. »
Quando servì l'ordine al signore, questi si spostò per far avanzare la fila, prendendo posto su uno sgabello. Mentre serviva il cliente successivo, Jade intravide una signora altrettanto arzilla avvicinarglisi.
« Che ci fai ancora qui, Jonathan? » stava chiedendo, la voce acuta. « Sei sempre a guardare le ragazze più giovani. Non vedi che sei tutto rugoso? Non ti vuole nessuno, a malapena ti sopporto io! »
« Piano, Marie, mi fai male... »
« Ti conviene bere quell'affare in fretta e seguirmi, e stai certo che da domani cambiamo posto per prendere il caffè! »
« Ma Marie... »
Jade si girò verso la coppia, con la scusa di dover fare un latte macchiato, e vide la signora prendere letteralmente per l'orecchio quello che doveva essere il marito e trascinarlo verso l'uscita. Jade scosse la testa, un sorriso sulle labbra, e si accertò che l'uomo avesse lasciato i soldi del cappuccino sul bancone. Dopodiché tornò alla fila di clienti, che si era ridotta fino a lasciarne solamente uno; dopotutto l'ora di pranzo era quasi completamente passata e la folla stava cominciando a scemare.
Fu con orrore che vide la sua unica amica e ufficiale piaga della sua esistenza fare capolino dall'altro lato del bancone.
Cat appoggiò entrambi i gomiti sul legno, sporgendosi verso Jade e guardandola con uno sguardo da predatrice.
« Allora, hai da fare questa sera? » disse, senza perdere fiato prezioso in convenevoli stucchevoli come i saluti o i cari vecchi “come te la passi, cara?”
Jade sospirò, alzando gli occhi al cielo nel sentire la medesima domanda che le era stata posta almeno dieci volte nell'ultima settimana.
« No, Catherine, e non ho intenzione di fare nulla, » rispose, finendo di scribacchiare un ordine sul quadernetto e decidendo di non prestare eccessiva attenzione all'amica.
Cat emise un suono sommesso. « Ma perché? Ti giuro che questa volta ti ho trovato il ragazzo perfetto; è intelligente e maturo, ma soprattutto dolcissimo, e ha un non so cosa di... etereo, direi. »
Jade alzò gli occhi dal foglio per guardarla, inarcando un sopracciglio. « Etereo? »
« Sì. Sarà il modo in cui si muove, o i suoi occhi che quando ti guardano sembrano scavarti dentro, non so... »
« Stai parlando di un ragazzo in carne ed ossa o del protagonista di un romanzo Harmony? »
Cat lanciò Jade un'occhiataccia. « Taci. Io mi sto facendo in quattro per aiutarti e tu neanche hai la decenza di apprezzare. »
« Ma io apprezzo » disse Jade, chiudendo il quaderno e lasciando la penna in mezzo, per non perdere la pagina, « dico davvero. Solo, non vedo perché ti sforzi tanto. Ho già acconsentito ad andare a ben tre appuntamenti con questi ragazzi, tutti -a detta tua- bellissimi e dolcissimi, e non ce n'è stato uno che non mi abbia fatto venire voglia di prendere la bottiglia di vino sul tavolo e scolarmela per dimenticare. O spaccarla in testa al tipo, dipende di quale dei tre terribili pretendenti vogliamo parlare. »
« Jade, fai troppo la difficile. Dici sempre di non aver bisogno di un uomo, ma la verità è che cominci a sentirti sola. »
« Io sto benissimo. »
« Davvero? » chiese Cat, guardandola scettica, « che cos'hai nella tua vita? Un lavoro mediocre e poco stimolante, non una famiglia né tanto meno qualcuno da cui tornare a casa la sera. Passi il tuo tempo a fare turni extra che non ti vengono mai pagati e il tempo libero che ti rimane lo occupi a cercare di trovare un lavoro che nessuno vuole darti. Sei infelice, Jade. Non puoi biasimarmi solo perché voglio di meglio per te. »
Jade fissò l'amica stancamente. La verità era che, per quanto la infastidisse sentirsi sbattere in faccia tutto questo, non poteva negare che fosse la verità. A neppure vent'anni si sentiva come se non avesse mai davvero vissuto la sua adolescenza e, ora che ne era uscita, non avrebbe più potuto riaverla indietro. Aveva lasciato la scuola quando i suoi genitori erano morti, tre anni prima, per trovarsi un lavoro e potersi mantenere. Il meglio che era riuscita a trovare era quel posto da barista che pagava a malapena il necessario per poter mantenere il minuscolo appartamento dove viveva in affitto. Inoltre doveva vedere i suoi amici crescere e diventare qualcuno, mentre studiavano o venivano presi come apprendisti da qualche parte, formandosi e accrescendo il loro bagaglio culturale.
E nel frattempo lei rimaneva lì, a pulire i bicchieri e servire ai tavoli. Cat gliel'aveva forse fatto presente nel meno gentile dei modi, ma su una cosa aveva ragione; doveva trovare qualcosa, o qualcuno, per cui valesse la pena tirare avanti.
« Va bene, » assentì Jade, sospirando.
Cat rizzò le orecchie. « Cosa? »
« Va bene, uscirò con questo tizio stasera. »
« Evviva! Non te ne pentirai, Jadie. A casa mia alle sette, stasera; faremo una cenetta a quattro con il mio Mark, così non sarà troppo imbarazzante per voi. »
« Ho l'impressione che lo sarà comunque. »
« Sciocchezze. Mi raccomando, esci da questa topaia non appena finisci il turno e vai dal parrucchiere, scopri quelle gambe e infila un paio di tacchi; ho la sensazione che lui sarà quello giusto. E' un amico di Mark e lo sai che lui ha solo amici belli. »
Jade a quel commento la guardò perplessa; Mark era il ragazzo di Cat e pover'uomo, era sì simpatico e disponibile ma non esattamente quel che si dice un adone.
Oh, si sarebbe pentita di aver accettato di andare a quell'appuntamento al buio, ne era certa.


Le 19:15. Jade imprecò mentre cercava di infilarsi una scarpa assurdamente alta che non ne voleva sapere di entrare, saltellando su un piede da una parte all'altra della stanza. Era già maledettamente in ritardo e per arrivare a casa di Cat ci voleva almeno mezz'ora, traffico permettendo. Posò sgraziatamente il piede a terra e spostò tutto il suo peso su quella gamba finché la scarpa non calzò faticosamente, lasciando un segno rosso sul piede nel punto in cui era stato forzato. Senza curarsene, afferrò il cappotto e le chiavi e volò fuori dal suo appartamento fino ad arrivare in macchina, incespicando. Non voleva dare una brutta impressione di sé arrivando con quasi un'ora di ritardo. E se lui se ne fosse andato, stanco di aspettare qualcuno che evidentemente era così poco interessato ad incontrarlo da nemmeno presentarsi all'appuntamento?
Mentre era al volante, le luci dei negozi che sfrecciavano fuori dal finestrino, Jade si chiese come mai tutto ad un tratto si ritrovava a
volere andare a quell'appuntamento. Probabilmente perché, nonostante non le piacesse illudersi sulle quasi inesistenti probabilità di trovare l'anima gemella, in realtà anche lei voleva trovarla. Chi, dopotutto, in fondo al cuore, non lo desidera?
Certo, sicuramente questo ragazzo non sarebbe stato l'uomo della sua vita, ma se fosse andato tutto bene almeno avrebbe avuto qualcuno. Jade aveva sì i suoi amici, ma loro avevano la loro vita e la loro famiglia di cui occuparsi.
Ma doveva essere sincera, almeno con se stessa: la verità era che Jade voleva essere la priorità di qualcun altro, per una volta. Aveva bisogno di sentirsi indispensabile, che qualcuno avesse bisogno di lei.
Jade fermò la macchina in coda a una ventina di altre auto in fila al semaforo e tirò fuori il cellulare, notando un messaggio ricevuto.
Da: Cat 19.23
Dove sei?
A: Cat 19.26
Sono per strada, arrivo. E' già lì?
Da: Cat 19.26
E' in ritardo anche lui, ma dovrebbe essere qui a momenti. Come sei vestita??
A: Cat 19.27
Abbastanza bene. Dammi informazioni.


Un rumore assordante di clacson informò Jade che le auto davanti a lei si stavano muovendo. Posò il cellulare e ripartì, sperando che Cat avesse scelto bene questa volta; l'ultimo terrificante tipo con cui aveva cercato di combinarla era più basso di lei di tutta la testa e sembrava avere filetti di carota invece di capelli. Inoltre era fissato con i supereroi. A ventinove anni.
Jade scosse la testa, rallentando in vista dell'ennesimo semaforo. Riprese velocemente il telefono per leggere la risposta di Cat, le dita incrociate.

Da: Cat 19.29
Bruce, 22 anni, futuro avvocato, castano, buona famiglia. Non so molto altro, l'ho visto solo una volta alla festa di laurea di Mark.
A: Cat 19.31
Sembra incredibilmente noioso.
Da: Cat 19.31
Ti piacerà. Muoviti!!

Jade sbuffò. Non le aveva detto praticamente niente; stava per scriverle di quanto fosse brutto il nome Bruce, quando qualcuno dietro di lei suonò di nuovo, avvertendola che il semaforo era verde. Il tempo di alzare gli occhi ed era già giallo. Jade buttò il telefono sul sedile del passeggero e rimise in moto; era già in ritardo e ogni semaforo faceva perdere almeno cinque minuti, per non parlare di tutti gli accidenti che le avrebbe mandato quello dietro se avesse fatto passare un verde inutilmente. Jade premette sull'acceleratore e arrivò all'incrocio proprio mentre scattava il rosso; la ragazza poteva quasi sentire le imprecazioni dell'automobilista di dietro. Soffocando una risatina e gettandogli un'occhiata veloce fece per passare l'incrocio, rallentando appena dopo lo sprint al semaforo.
Non si rese conto che l'auto alla sua destra stava arrivando a tutta velocità proprio mentre lei era al centro dell'incrocio; ebbe appena il tempo di capire che una spaventosa jeep le stava finendo addosso, perché subito dopo fu investita da un rumore tremendo e una luce abbagliante.
Dopodiché, il nulla.




Non era buio, per niente. Al contrario, era tutto rosso. Almeno così credette Jade in un primo momento. Poi pensò che forse era giallo, un giallo vomitevole, e probabilmente era quella la ragione del voltastomaco che la stava prendendo e che non faceva altro che peggiorare. Ma poi il giallo si sostituiva al viola, e quel viola le faceva dolere la testa in maniera allucinante. Poi finalmente il viola, da vivido che era, andò attenuandosi, fino a diventare blu notte, e questo le dette un po' di pace. Tanto che si sentì quasi abbastanza in forze da cercare di tornare nel mondo dei vivi.
« ...costole rotte, possibile perforazione di polmone... »
« ...coperto di ustioni... »
« ...l'auto è esplosa? »
Ah, di nuovo il rosso. Jade avrebbe urlato di dolore, se solo avesse avuto abbastanza fiato per farlo. O avesse trovato dove si trovava la sua bocca in quella pozza rossa in cui stava annegando.
« Perché diavolo è sveglia? Svelti, iniettatele quel maledetto coso, il dolore dev'essere- »
Nient'altro. Forse il colore che continuava a vedere era il nero, dopotutto.



Prima di aprire gli occhi, Jade si crogiolò ancora per un poco nella deliziosa sensazione che le stava sopraffacendo i sensi. Era così comoda, e calda. Ma la sensazione di calore era strana, quasi come se fosse indotta da qualcosa, non come se effettivamente l'ambiente attorno a lei fosse caldo.
Jade aprì gli occhi.
Era avvolta in una coperta chiara e leggera ma caldissima, con addosso null'altro se non una vestaglia bianca. Tutto attorno a lei, neve candida. Jade aggrottò la fronte, chiedendosi come facesse a sentire tutto quel caldo.
« Ciao. »
Jade sobbalzò e si girò di scatto in direzione della voce. Lì, appoggiato a una parete di ghiaccio, stava seduto un uomo che la stava salutando con una mano. Jade fece un piccolo passo verso di lui.
« Chi sei? » chiese, guardinga.
Lui alzò le spalle, divertito. « Stavo per farti la stessa domanda. »
« L'ho chiesto prima io. »
« Sasha. »
Jade annuì. « Jade » rispose, e si avvicinò un altro poco. Ora che lo vedeva bene, l'uomo era più che altro un giovane, dai tratti ben definiti ma allo stesso tempo delicati. Sembrava anche molto alto, sebbene in quel momento fosse seduto, la schiena contro la parete.
Jade continuò a vagare con lo sguardo, cercando di capire dove si trovasse; sembrava di essere dentro a un igloo semiaperto, ma non riusciva a trovare nessuna fonte di luce. Era come se il biancore attorno a lei fosse così accecante da illuminare tutto.
Cos'era quel tutto, Jade non lo sapeva.
« Dove siamo? » chiese al giovane, avvicinandosi ancora. Ormai si trovava a pochi passi da lui, che guardò in alto per far incontrare i suoi occhi azzurri con quelli verde scuro di lei.
« Non ne ho idea. Dove siamo? »
Jade lo guardò, perplessa. « Se l'avessi saputo non te l'avrei chiesto, non trovi? »
Sasha annuì. « Suppongo tu abbia ragione. »
Jade scosse la testa per cercare di mettere ordine tra i suoi pensieri. « Fammi capire. Non sai dove siamo? »
« Perché pensi che io lo sappia? »
« Io... » Jade allargò le braccia, incredula, « insomma, eri già qui quando mi sono svegliata, quindi mi sembra logico supporre che tu sappia dove siamo o come ci siamo arrivati! »
Sasha la guardò, tristemente. « Mi dispiace, ma non ti posso aiutare. Per quello che ne so, io sono sempre stato qui. »
Jade batté le palpebre. Quella conversazione non aveva senso, e quello era probabilmente solo un assurdo sogno. Probabilmente in quel momento si trovava in un letto, con un bernoccolo in testa, a riposare dopo l'incidente e questa era la conseguenza della botta presa. Per quello che ne sapeva lei l'incidente poteva addirittura non essere nemmeno successo, e lei si sarebbe svegliata tra poco pronta a iniziare una nuova giornata a lavoro.
« So che sei confusa, » stava intanto dicendo il ragazzo, « ma non ne so molto più di te. Non so molto nemmeno di me, se è per questo. »
Jade stava per aprire bocca per avvertire il tipo di non essere così criptico, quando il bianco svanì e tutto tornò di nuovo nero.

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Jade riaprì gli occhi per ritrovarsi in quella che sembrava essere la parte complementare del posto in cui era stata prima. Se quello era un igloo, questo era l'esterno. Era distesa sulla riva di un laghetto ghiacciato, azzurro chiaro e brillante nei punti in cui i raggi del sole lo accarezzavano. Jade cercò di alzare gli occhi ad esso, ma non riusciva a vedere niente sopra di lei; non un sole, né una nuvola, né tanto meno un cielo.
« Ciao di nuovo. »
Jade si voltò e vide Sasha avanzare verso di lei con le mani nelle tasche dei pantaloni che, neanche a dirlo, erano bianchi. Tutto quel candore stava davvero cominciando a stancarla.
« Perché sono di nuovo qui? »
« Ah, » disse lui, aiutandola ad alzarsi, « mi dispiace, ma temo che potresti tornare a farmi visita per un po' di tempo. »
« Come faccio a farti visita se non so neanche dove mi trovo? »
Sasha si limitò a guardarla con quei suoi occhi tristi.
Jade fece un verso impaziente e decise di lasciarlo perdere, quindi si voltò e cominciò a marciare lungo la riva del laghetto, decisa a farsi per lo meno una vaga idea di dove si trovasse e del perché ci si trovasse.
Fu sorpresa e frustrata di ritrovarsi, poco dopo, allo stesso punto di prima, nonostante fosse certa di aver preso la direzione opposta.
Sasha le rivolse un debole sorriso, quasi di scuse. « Non servirà a molto. »
Senza che potesse farci niente, Jade cominciò a piangere, nascondendosi il volto nelle mani. Dopo un attimo, sentì il ragazzo abbracciarla delicatamente.
« Per favore, dimmi che è un sogno. Che non sono morta. Che è un sogno. »
Sasha non rispose.





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Capitolo 2
*** 2. ***






2.


Jade stava cominciando a sentire troppo caldo. Ogni volta che si risvegliava si chiedeva come faceva a non congelare con solo una veste leggera addosso in un posto come quello.
Erano seduti all'interno dell'igloo -come la ragazza continuava a chiamarlo nella sua testa- ma mantenevano una discreta distanza tra loro. Sasha stava giocando distrattamente con la coperta, che sembrava essere l'unico oggetto presente.
« Quanti anni hai? »
Sasha alzò lo sguardo su di lei. Dovette pensare un attimo, prima di rispondere. « Non ne sono sicuro. Penso di essere abbastanza giovane, eppure mi sembra di esistere da secoli. »
Sei una sciocca, si disse Jade. Davvero ti aspettavi una risposta normale?
« Tu? »
« Diciannove. Quasi venti. » rispose senza esitazione. Dopo un po', però, aggiunse: « Credo. »
Sasha ridacchiò piano. Jade pensò che aveva una bella risata, molto naturale e cristallina, deliziosa da sentire. Senza quasi pensarci, si arrotolò le maniche della vestaglia leggera fino al gomito, nel tentativo di rinfrescarle.
« Parlami di te. »
Jade si sistemò meglio e cominciò a sventolarsi distrattamente con la mano, per farsi un po' di aria. « Beh, vivo da sola, e lavoro in un bar. Lo faccio per mantenermi e magari accumulare un po' di soldi per poter andare all'università, quando sarà possibile. »
« Cosa vorresti studiare? »
« Mi piace l'arte, » disse. Stava sentendo davvero troppo caldo. Si alzò e pensò di uscire fuori, ma non riuscì a fare più di due passi che cadde improvvisamente a terra, tenendosi una mano sul petto.
Sasha si avvicinò velocemente.
« Sto... bruciando, » disse lei, senza fiato. Stremata, si accasciò su Sasha, che si era inginocchiato e ora le stava tenendo la testa sulle sue ginocchia, accarezzandole la fronte sudata.
Non voleva che la toccasse. Aveva caldo, troppo caldo. Era come se un fuoco la stesse divorando dall'interno. Era come se ci fosse stato fin dall'inizio, nascendo come una fiammella debole che ora era diventata un vulcano in eruzione.
La vista era annebbiata e i contorni erano rossi. Sentiva Sasha che cercava di confortarla, sussurrando parole dolci. Alzò debolmente una mano davanti agli occhi solo per scoprire che era macchiata di sangue. Tra il rosso del sangue e il fuoco che le ardeva dentro, Jade si arrese a chiudere gli occhi e arrendersi al dolore cremisi.


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Non riusciva ad aprire gli occhi, ma finalmente tutto era tornato del blu scuro che tanto le dava tranquillità. Il suo corpo era come addormentato, ma poteva sentire delle voci parlare a tratti attorno a lei, rincorrendosi, non sempre coerenti ma almeno reali.
« ...l'emorragia si è fermata. »
« Bene. Il peggio è passato. »
« Credo che adesso sia cosciente, Dottore. Aspettiamo che si svegli? »
Una pausa.
« No, dobbiamo operare per essere sicuri che non si apra di nuovo, ed è meglio non averla reattiva. La faccia dormire ancora un po'. »
Il suono di un liquido aspirato, poi rilasciato, e il nero si sostituì al blu.


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« Sei mai stata innamorata? » chiese Sasha, disegnando dei cerchi nell'aria.
Jade arricciò il labbro. « Non davvero. Perché? »
« Volevo chiederti cosa si provava. »
Jade lo fissò, interrogativa. Sasha riprese: « Non ho mai conosciuto questo sentimento. »
« Non sai cosa significa amare? »
« No. » Sasha poggiò la mano sul ginocchio e continuò a disegnare ghirigori immaginari lì, sulla stoffa dei calzoni. « So cosa sono la rabbia, e la frustrazione, e la tristezza, perché le provo sempre ogni volta che penso alla... insomma, sai, alla mia esistenza. Ma non l'amore. »
Jade stette in silenzio. « Ogni persona può dare una diversa definizione di amore, » rispose, dopo averci pensato. « Per me, ne esistono tanti tipi diversi, ma per essere vero bisogna che sia per sempre. Un sentimento che sbiadisce nel tempo evidentemente non era forte abbastanza. »
Sasha annuì. « Capisco. »



Alla fine, Jade credette di capire cosa stava succedendo.
Era di nuovo nell'igloo, ma stavolta uscendo si era ritrovata in un luogo arido e desolato, non particolarmente suggestivo, certo, ma almeno era un cambiamento.
Trovò Sasha al riparo sotto un albero. Quando le si avvicinò, lui le sorrise caldamente.
« Come ti senti? »
« Molto meglio » rispose Jade, ringraziandolo. Stavolta si sedette accanto a lui, le loro schiene che quasi si toccavano, entrambe appoggiate al tronco dalla corteccia spessa.
« Sai, credo di essere in ospedale. »
Sasha annuì. « Sì, è plausibile. Vieni qui ogni volta che ti sedano? »
« O ogni volta che mi addormento » specificò lei. « In pratica, penso che tutto questo sia soltanto un grande, elaborato sogno. »
Sasha non rispose. Jade lo guardò con la coda dell'occhio, per notare che lo sguardo del giovane era perso nel vuoto, lontano da quei campi aridi. Lei lo seguì fino a non riuscire a mettere a fuoco praticamente nulla.
« Perché questo posto cambia sempre? »
« Probabilmente dipende da te. Dopotutto, questa è la tua testa. »
« Anche tu sei solo nella mia testa? »
« Non lo so, » rispose, incerto, sempre guardando chissà che cosa, « forse. Anche se ricordo di essere esistito anche prima di incontrarti. »
« Però è la prima volta che ci vediamo. »
Sasha si voltò verso di lei. I loro volti erano vicini, tanto che Jade poteva vedere ogni singola minuscola lentiggine sul suo volto chiaro e osservare le strane ombre che i corti riccioli neri, cadendo ribelli, creavano sulla fronte.
« So che non dovrei dirlo, ma sono contento che tu sia qui. »
Jade ricambiò lo sguardo. Sasha arrossì adorabilmente e si affrettò a correggersi.
« Insomma, ovviamente non sono contento che tu sia in ospedale, » balbettò, « ma starai bene, sicuramente. E io ho avuto la possibilità di conoscerti. »
Jade dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a sorridere come un'ebete a quel commento, ma non riuscì a nascondere il fatto che le aveva fatto piacere. Eppure rimaneva qualcosa di triste nell'aria, qualcosa che la rendeva pesante e che opprimeva i suoi polmoni.
« Non hai mai... insomma, sono la prima persona che incontri? »
Sasha rimase immobile per un istante, per poi annuire una sola volta. « O almeno, la prima di cui serbo il ricordo. »
C'era così tanto rimpianto nella sua voce che Jade non poté fare a meno di volere stargli più vicino; appoggiò quindi la testa alla sua spalla, per mostrargli conforto, e un momento dopo sentì la guancia di lui poggiarsi sui suoi capelli.
Qualcosa le bagnò la nuca e, sapendo che lui non lo faceva, Jade smise di trattenere le lacrime.



« Puoi farmi delle domande, se vuoi. Cercherò di risponderti, per quanto possibile. »
Jade guardò Sasha, pensandoci bene. Poi sorrise.
« Come fai ad avere un fisico così se non puoi andare in palestra? »
Sasha la guardò a bocca aperta, per poi darle un colpo scherzoso alla spalla.
« Tu come fai ad averlo così pur potendo andare in palestra? »
Jade lo guardò scioccata, per poi alzarsi di scatto e allontanarsi, offesa. Sentì Sasha chiamarla e ridere, per poi essere bloccata da due braccia e due mani che cercavano di farle il solletico.
Jade pensò che, dopotutto, se proprio doveva avere delle allucinazioni, quello non era certo il modo peggiore di viverle.





« Tre rimbalzi! » esclamò Sasha, guardando con orgoglio la pietra piatta affondare nell'acqua. « Sono un fenomeno. »
« Fammi provare, » disse Jade, alzandosi e raggiungendolo. Sasha le porse una pietra.
Quella volta il laghetto era ricomparso e la neve si era sciolta, lasciando però l'acqua fredda, e i primi accenni di verde facevano solamente capolino, timidamente, aspettando il momento perfetto per mostrarsi in tutto il loro rigoglio.
Jade si mise in posizione, allontanò il bracciò dal busto, girando quest'ultimo a tre quarti e lanciò la pietra, che cadde al primo colpo affondando con un sordo plop.
Sasha rise mentre Jade, seccata, si chinò a prendere un'altra pietra, decisa a riprovare. Stavolta si sbilanciò e mise poca forza nel lancio, col risultato di non farla arrivare nemmeno a un metro di distanza e facendola cadere pateticamente sul fondo, creando una gran quantità di schizzi disordinati.
Jade rimase lì, a fissarla, depressa. « Non è divertente. » disse a Sasha,
« Oh, sì che lo è, » rispose lui, tenendosi la pancia, « soprattutto la tua espressione. Impagabile. Sembra dire “pietra, perché non vuoi rimbalzare? Perché ce l'hanno tutti con me?” »
« Perché tu ce la fai? » si lamentò Jade.
« Il fatto è che sbagli la tecnica. Guarda, ti faccio vedere. » Dopodiché si posizionò dietro di lei e le mise una pietra in mano, per poi tenerle il polso.
« Piega le ginocchia, » le sussurrò nell'orecchio, piano, « e non girare troppo il busto. Così. Non mettere troppa forza, ma anzi accompagnala. Tieni la mano parallela al terreno. »
Il suo corpo era caldo contro quello di lei, e il suo fiato fresco contro il suo collo. Jade si era già dimenticata il primo suggerimento.
« Vai, » sussurrò lui.
Jade lanciò la pietra e la guardò rimbalzare due volte prima di affondare delicatamente. Si girò raggiante.
« Brava! » disse Sasha, abbracciandola e sollevandola da terra, cominciando a girare in tondo. Jade emise un piccolo urlo di sorpresa, che ben presto si trasformò in una risata.
Vorrei poter stare qui per sempre.




Jade sbatté ripetutamente le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che gli stava davanti.
« Ciao, Jade. Come ti senti? »
Lei aggrottò le sopracciglia e cercò di parlare; aveva la bocca impastata e la gola secca.
« Sono stata meglio. »
La donna china su di lei sorrise e si risollevò. « Io mi chiamo Agatha e sono la tua infermiera. Ci siamo già conosciute, ma non penso tu ti ricorda. »
No, infatti.
« Non riesco a... tenere... gli occhi aperti » disse Jade, cercando faticosamente di trovare le parole.
« E' per via di tutti gli antidolorifici e della morfina a cui sei costantemente sottoposta, » spiegò gentilmente Agatha. « E' necessario, perché hai avuto un bel po' di problemi. Siamo contenti che tu ti sia finalmente svegliata. Hai dormito davvero tanto. »
Jade aggrottò le sopracciglia, confusa. « Non capisco. »
« Eravamo tutti molto preoccupati. Non ha dato segni di miglioramento per così tanto tempo che...» Jade scosse la testa, cercando di far capire all'infermiera che non doveva parlare così in fretta se voleva che lei capisse qualcosa. Agatha sorrise e le mise una mano sulla fronte, controllando la temperatura.
« Non avere fretta. Riposa ancora un po'. Hai avuto tutto il tempo un'espressione così serena che sembrava stessi facendo dei bellissimi sogni. »
Questo Jade lo capì. Aveva ragione, pensò sorridendo. Il sogno che stava vivendo era bellissimo, e non vedeva l'ora di tornarci.




« Devi sentirti davvero bene per aver creato un posto così » disse Sasha, raggiungendola. Portava i calzoni chiari arrotolati fino al ginocchio in modo che non si bagnassero, e avanzava lentamente nell'acqua limpida, facendo scappare i minuscoli pesciolini in tutte le direzioni, spaventati dall'improvvisa intrusione.
« In realtà non mi sento diversa, » rispose Jace, girandosi per guardarlo. Si era fermata appena prima di arrivare al punto in cui l'acqua sarebbe stata cosi alta da bagnare l'orlo del vestito. « Ma immagino che lo sia il mio corpo. »
Sasha sorrise, i suoi occhi più chiari che mai sotto il sole. « Sono contento che tu stia guarendo. »
« Ma questo significa che dovrò andare via. »
« Ma tu devi andare » disse Sasha, quietamente. « E' quello il tuo posto. »
« Ma non appartengo a quel mondo. Pensaci. Io mi sono sempre sentita estranea, fuori luogo; non ho una famiglia, non ho un obiettivo, non ho neanche un lavoro decente e l'unica amica che posso vantare di avere vive la sua vita e non può sempre preoccuparsi della mia. Non mancherei al mondo, se me ne andassi. »
Gli occhi seri di Sasha si piantarono nei suoi e Jade si sentì immediatamente immobilizzata, nonostante lui non l'avesse sfiorata. « E dove andresti? »
Jade esitò. Si stava pentendo di essersi lasciata sfuggire quelle cose; si rendeva conto che era da stupidi. Era il genere di cosa che dicono le ragazzine in cerca di attenzione, ogni volta che qualcosa va storto o si rompe loro un unghia.
O almeno, così aveva sempre pensato. Solo ora capiva che ci si può davvero non sentire adeguati, non integrarsi, esserci ma allo stesso tempo non esserci.
Sasha nel frattempo si era chinato e aveva messo una mano appena sotto la superficie dell'acqua, rimanendo poi immobile mentre guardava come un pesciolino, superata la paura iniziale, si stava avvicinando curioso a quello strano corpo estraneo e caldo.
« Ogni vita è importante » disse, inginocchiandosi nell'acqua, senza più badare ai calzoni. « Anche la più piccola. Certe persone posso diventare più conosciute di altre, fare del bene al mondo, o fare del male. Possono essere ricordate nei tempi futuri. Ma non per questo tutte le altre sono inutili; anche loro possono, anzi devono, fare qualcosa nel loro piccolo. Un sorriso, un aiuto nel raccogliere le cose che sono cadute a terra a una signora indaffarata, una parola gentile, sono tutte cose che sembrano banali ma che in realtà possono aiutare più di quanto tu non possa immaginare. »
Jade si accovacciò , tenendosi in equilibrio sui talloni, osservando a sua volta il pesciolino dare un piccolo morsetto al dito di Sasha, per poi tornare velocissimo dai suoi simili.
« Ma poi queste persone si dimenticheranno di te. Rimarrai per sempre un estraneo gentile che verrà presto cancellato dalla loro memoria. »
« E' questo che ti spaventa? » chiese Sasha, alzando gli occhi sul viso di lei, « l'oblio? »
Jade non disse niente, continuando a guardare i pesci senza davvero vederli, finché non sentì un dito sollevarle delicatamente il mento. Incontrò gli occhi di Sasha e non vide differenza tra il loro colore e quello del mare che aveva fissato fino a un momento prima.
« Direi che abbiamo appena trovato qualcosa che ci accomuna, » disse, sulle labbra il suo solito sorriso triste.
« Io non mi dimenticherò mai di te. »
Sasha la guardò, riconoscente. « Neanche io. »



Jade aprì gli occhi, infastidita da tutto il rumore che la circondava. C'era un'infermiera sopra di lei che sistemava le flebo; non appena si accorse che Jade era sveglia, si ritrasse e le rivolse un sorriso materno.
« Ti sei svegliata. Come ti senti? »
Jade mugugnò qualcosa e richiuse subito gli occhi; voleva riaddormentarsi e tornare nella sua dimensione perfetta, con Sasha. Ma non riusciva a concentrarsi, dato che l'infermiera non voleva saperne di stare zitta.
« Devi mangiare qualcosa, o ti sentirai perennemente stanca. Cosa vorresti? »
Lasciami dormire.
« Colazione mediterranea? O all'inglese? »
Jade aprì un occhio per squadrare l'infermiera. « Mi scusi... uhm... »
Il sorriso dell'infermiera si incrinò quasi impercettibilmente. « Agatha, » disse, scandendo bene.
« Giusto. Potrebbe procurarmi un telefono? »
Agatha sembrò sorpresa della richiesta. « Pensavo non avesse familiari o parenti stretti. »
Jade si trattenne dal roteare gli occhi. « Vero, ma ho pur sempre un'amica. Volevo farle sapere che sto bene, anche se immagino che la vedrò presto comunque. »
Agatha continuava a guardarla con un'espressione compassionevole che stava cominciando a irritarla. « Cosa? » sbottò.
« Mi dispiace, ma... è solo che lei non ha ricevuto nessuna visita nell'ultimo periodo. »
Immediatamente Jade sentì gli occhi bruciare. Dandosi dell'idiota e cercando di non farsi sopraffare, chiese: « Neanche una ragazza? Giovane, sulla ventina, capelli corti? Catherine Maddison? »
« Ah! » esclamò Agatha, illuminandosi. « Ho presente. E' venuta qualche volta il primo mese... »
Jade trattenne il fiato così improvvisamente che la gabbia toracica sembrò lì lì per rompersi di nuovo. « Il primo mese? »

« Oh ». Gli occhi di Agatha diventarono grandi come due palline da tennis. « Cara... sai dirmi che giorno è oggi? »
Jade stava cominciando a farsi prendere dal panico. Sapeva quello che stava succedendo, l'aveva letto in decine di libri e visto in migliaia di film. Era così cliché che le venne quasi da ridere. Quasi.
« So di avere avuto l'incidente il 18 febbraio... mi sono svegliata una volta, quindi... direi, verso fine mese? Se vogliamo abbondare? »
L'espressione sul viso dell'infermiera le diceva che non ci era nemmeno vicina. Jade sentì gli occhi in fiamme per le lacrime che stava cercando di trattenenre.
« Oh, cara... ti sei svegliata più di una volta, in realtà, anche se solo per pochi secondi. E la prima volta è stata tre giorni fa... »
« Per favore, » la interruppe Jade, « mi dica solo che giorno è. »
Agatha la guardò con apprensione. « E' il 22 gennaio. Cara, sei stata in coma per undici mesi. »
Jade chiuse per un momento gli occhi, lasciando che la notizia venisse assorbita dal suo cervello ancora intorpidito. Undici mesi. Praticamente un anno. Non c'era da stupirsi che Cat avesse smesso di farle visita; doveva aver pensato che non si sarebbe più svegliata, e che non avesse senso sprecare tempo prezioso dietro qualcuno senza speranza. Dopotutto, non erano migliori amiche o chissà che cosa.
Ma era sempre l'unica amica che Jade aveva.
Ed ora era sola.
Per un attimo desiderò di non essersi mai svegliata.

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