Dream a little dream of me di snow nymph (/viewuser.php?uid=116368)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Questa
storia ha partecipato ai contest “Impossible Love”
e “A
Sentence to Dream” sul forum di EFP.
Dream
a little dream of me
I've
been alone with you inside my mind
And
in my dreams I've kissed your lips a thousand times
I
sometimes see you pass outside my door
Hello,
is it me you're looking for?
1.
E'
usanza diffusa credere che ognuno di noi sia destinato a incontrare
la propria anima gemella. Quando si è piccoli si perdono ore
a
fantasticare sul futuro che si avrà insieme alla persona
speciale,
sull'arredamento della casa in cui andrete a vivere, sul nome dei
vostri figli, cose così. E' normale, quasi la prassi.
Nessuno pensa
mai all'eventualità che l'anima gemella potrebbe benissimo
non
esistere; o comunque, non essere mai trovata.
Probabilmente perché
è un pensiero troppo deprimente anche solo per fargli
prendere forma
nel retro della nostra mente. A nessuno piace stare da solo nella
realtà, figurarsi immaginare
di stare da solo anche in futuro; la mente e l'immaginazione sono i
nostri porti sicuri, e almeno lì tutto deve poter andare
bene. La
cosa buona del futuro è che può essere immaginato
roseo, limpido e
appagante; il problema arriva quando il suddetto futuro si trasforma
in presente e ci si rende conto che niente è andato come
speravamo.
Era per questo che a Jade Williams non piaceva
fantasticare; ci si illude che tutto possa andare bene, e quando
ciò
non accade si rimane inevitabilmente delusi. Non le piaceva
fantasticare sul suo redditizio futuro lavoro, sulla sua numerosa
futura famiglia, e meno che mai sulla sua perfetta futura dolce
metà.
Perché sapeva che, con buona probabilità, non
avrebbe mai avuto
niente di tutto questo. Da ragazza normale qual'era, impiegata
part-time in un caffè, non poteva puntare a molto altro
senza
l'educazione universitaria che aveva rifiutato di avere, e
probabilmente sarebbe finita con un uomo che sarebbe stato carino ma
lungi dal modello di perfezione che tutte le altre ragazze pitturano
nelle loro fantasie.
Non si deve pensare che fosse pessimista, o
che amasse buttarsi giù; solo, le piaceva rimanere coi piedi
per
terra, in modo da evitare delusioni troppo grandi che non sarebbe
riuscita a sopportare.
Fu quel giorno di metà febbraio che,
cominciato come ogni altro, portò una nuova concezione della
vita a
Jade; che le fece capire che non poteva frenarsi sempre per paura di
essere ferita, e di impedirsi di godersi le cose che avrebbe potuto
avere se solo si fosse lasciata andare, ogni tanto.
Ma cominciamo
dall'inizio.
«
Salve, cosa le posso servire? »
L'uomo dall'altra parte del
bancone fece segno di aspettare, distratto da qualcosa che era
comparso sul suo telefono di ultima generazione. Jade
aspettò
pazientemente che finisse e nel frattempo lo guardava incuriosita e
divertita; quel signore avrà avuto almeno settant'anni,
eppure
smanettava con quell'affare anche meglio di lei.
L'uomo
finalmente ripose il telefono in una tasca e alzò gli occhi,
degnandola della sua attenzione per la prima volta; alla vista di
quella giovane dai capelli color caramello e gli zigomi alti, sorrise
intraprendente. « Un cappuccino con panna, mani fatate, per
favore.
»
Jade trattenne a stento una risata, prendendo l'ordine. «
Arriva subito. Vuole accomodarsi? Glielo possiamo portare al tavolo.
»
Il vecchietto le sorrise ancora di più, aggiustandosi la
giacca di ottimo taglio. « Se non ti dispiace, lo prendo al
bancone, così posso godere un po' della tua compagnia.
»
Jade
frenò l'impulso di alzare gli occhi verdi al cielo.
« Sarà pronto
in un attimo. »
Quando servì l'ordine al signore, questi si
spostò per far avanzare la fila, prendendo posto su uno
sgabello.
Mentre serviva il cliente successivo, Jade intravide una signora
altrettanto arzilla avvicinarglisi.
« Che ci fai ancora qui,
Jonathan? » stava chiedendo, la voce acuta. « Sei
sempre a
guardare le ragazze più giovani. Non vedi che sei tutto
rugoso? Non
ti vuole nessuno, a malapena ti sopporto io! »
« Piano, Marie,
mi fai male... »
« Ti conviene bere quell'affare in fretta e
seguirmi, e stai certo che da domani cambiamo posto per prendere il
caffè! »
« Ma Marie... »
Jade si girò verso la coppia,
con la scusa di dover fare un latte macchiato, e vide la signora
prendere letteralmente per l'orecchio quello che doveva essere il
marito e trascinarlo verso l'uscita. Jade scosse la testa, un sorriso
sulle labbra, e si accertò che l'uomo avesse lasciato i
soldi del
cappuccino sul bancone. Dopodiché tornò alla fila
di clienti, che
si era ridotta fino a lasciarne solamente uno; dopotutto l'ora di
pranzo era quasi completamente passata e la folla stava cominciando a
scemare.
Fu con orrore che vide la sua unica amica e ufficiale
piaga della sua esistenza fare capolino dall'altro lato del
bancone.
Cat appoggiò entrambi i gomiti sul legno, sporgendosi
verso Jade e guardandola con uno sguardo da predatrice.
« Allora,
hai da fare questa sera? » disse, senza perdere fiato
prezioso in
convenevoli stucchevoli come i saluti o i cari vecchi “come
te la
passi, cara?”
Jade sospirò, alzando gli occhi al cielo nel
sentire la medesima domanda che le era stata posta almeno dieci volte
nell'ultima settimana.
« No, Catherine, e non ho intenzione di
fare nulla, » rispose, finendo di scribacchiare un ordine sul
quadernetto e decidendo di non prestare eccessiva attenzione
all'amica.
Cat emise un suono sommesso. « Ma perché? Ti giuro
che questa volta ti ho trovato il ragazzo perfetto; è
intelligente e
maturo, ma soprattutto dolcissimo, e ha un non so cosa di... etereo,
direi. »
Jade alzò gli occhi dal foglio per guardarla,
inarcando un sopracciglio. « Etereo? »
« Sì. Sarà il modo
in cui si muove, o i suoi occhi che quando ti guardano sembrano
scavarti dentro, non so... »
« Stai parlando di un ragazzo in
carne ed ossa o del protagonista di un romanzo Harmony? »
Cat
lanciò Jade un'occhiataccia. « Taci. Io mi sto
facendo in quattro
per aiutarti e tu neanche hai la decenza di apprezzare. »
« Ma
io apprezzo » disse Jade, chiudendo il quaderno e lasciando
la penna
in mezzo, per non perdere la pagina, « dico davvero. Solo,
non
vedo perché ti sforzi tanto. Ho già acconsentito
ad andare a ben
tre
appuntamenti con questi
ragazzi, tutti -a detta tua- bellissimi e dolcissimi, e non ce
n'è
stato uno che non mi abbia fatto venire voglia di prendere la
bottiglia di vino sul tavolo e scolarmela per dimenticare. O
spaccarla in testa al tipo, dipende di quale dei tre terribili
pretendenti vogliamo parlare. »
« Jade, fai troppo la
difficile. Dici sempre di non aver bisogno di un uomo, ma la
verità
è che cominci a sentirti sola. »
« Io sto benissimo. »
« Davvero? » chiese Cat, guardandola scettica,
« che cos'hai
nella tua vita? Un lavoro mediocre e poco stimolante, non una
famiglia né tanto meno qualcuno da cui tornare a casa la
sera. Passi
il tuo tempo a fare turni extra che non ti vengono mai pagati e il
tempo libero che ti rimane lo occupi a cercare di trovare un lavoro
che nessuno vuole darti. Sei infelice, Jade. Non puoi biasimarmi solo
perché voglio di meglio per te. »
Jade fissò l'amica
stancamente. La verità era che, per quanto la infastidisse
sentirsi
sbattere in faccia tutto questo, non poteva negare che fosse la
verità. A neppure vent'anni si sentiva come se non avesse
mai
davvero vissuto la sua adolescenza e, ora che ne era uscita, non
avrebbe più potuto riaverla indietro. Aveva lasciato la
scuola
quando i suoi genitori erano morti, tre anni prima, per trovarsi un
lavoro e potersi mantenere. Il meglio che era riuscita a trovare era
quel posto da barista che pagava a malapena il necessario per poter
mantenere il minuscolo appartamento dove viveva in affitto. Inoltre
doveva vedere i suoi amici crescere e diventare qualcuno, mentre
studiavano o venivano presi come apprendisti da qualche parte,
formandosi e accrescendo il loro bagaglio culturale.
E nel
frattempo lei rimaneva lì, a pulire i bicchieri e servire ai
tavoli.
Cat gliel'aveva forse fatto presente nel meno gentile dei modi, ma su
una cosa aveva ragione; doveva trovare qualcosa, o qualcuno, per cui
valesse la pena tirare avanti.
« Va bene, » assentì Jade,
sospirando.
Cat rizzò le orecchie. « Cosa? »
« Va bene,
uscirò con questo tizio stasera. »
« Evviva! Non te ne
pentirai, Jadie. A casa mia alle sette, stasera; faremo una cenetta a
quattro con il mio Mark, così non sarà troppo
imbarazzante per voi.
»
« Ho l'impressione che lo sarà comunque.
»
«
Sciocchezze. Mi raccomando, esci da questa topaia non appena finisci
il turno e vai dal parrucchiere, scopri quelle gambe e infila un paio
di tacchi; ho la sensazione che lui sarà quello giusto. E'
un amico
di Mark e lo sai che lui ha solo amici belli. »
Jade a quel
commento la guardò perplessa; Mark era il ragazzo di Cat e
pover'uomo, era sì simpatico e disponibile ma non
esattamente quel
che si dice un adone.
Oh, si sarebbe pentita di aver accettato di
andare a quell'appuntamento al buio, ne era certa.
Le
19:15. Jade imprecò mentre cercava di infilarsi una scarpa
assurdamente alta che non ne voleva sapere di entrare, saltellando su
un piede da una parte all'altra della stanza. Era già
maledettamente
in ritardo e per arrivare a casa di Cat ci voleva almeno mezz'ora,
traffico permettendo. Posò sgraziatamente il piede a terra e
spostò
tutto il suo peso su quella gamba finché la scarpa non
calzò
faticosamente, lasciando un segno rosso sul piede nel punto in cui
era stato forzato. Senza curarsene, afferrò il cappotto e le
chiavi
e volò fuori dal suo appartamento fino ad arrivare in
macchina,
incespicando. Non voleva dare una brutta impressione di sé
arrivando
con quasi un'ora di ritardo. E se lui se ne fosse andato, stanco di
aspettare qualcuno che evidentemente era così poco
interessato ad
incontrarlo da nemmeno presentarsi all'appuntamento?
Mentre era al
volante, le luci dei negozi che sfrecciavano fuori dal finestrino,
Jade si chiese come mai tutto ad un tratto si ritrovava a volere
andare a quell'appuntamento. Probabilmente perché,
nonostante non le
piacesse illudersi sulle quasi inesistenti probabilità di
trovare
l'anima gemella, in realtà anche lei voleva
trovarla. Chi, dopotutto, in fondo al cuore, non lo desidera?
Certo,
sicuramente questo ragazzo non sarebbe stato l'uomo della sua vita,
ma se fosse andato tutto bene almeno avrebbe avuto qualcuno. Jade
aveva sì i suoi amici, ma loro avevano la loro vita e la
loro
famiglia di cui occuparsi.
Ma doveva essere sincera, almeno con se
stessa: la verità era che Jade voleva essere la
priorità di qualcun
altro, per una volta. Aveva bisogno di sentirsi indispensabile, che
qualcuno avesse bisogno di lei.
Jade fermò la macchina in coda a
una ventina di altre auto in fila al semaforo e tirò fuori
il
cellulare, notando un messaggio ricevuto.
Da:
Cat 19.23
Dove sei?
A:
Cat 19.26
Sono per strada, arrivo. E' già lì?
Da:
Cat 19.26
E' in ritardo anche lui, ma dovrebbe
essere qui a momenti. Come sei vestita??
A:
Cat 19.27
Abbastanza bene. Dammi informazioni.
Un
rumore assordante di clacson informò Jade che le auto
davanti a lei
si stavano muovendo. Posò il cellulare e ripartì,
sperando che Cat
avesse scelto bene questa volta; l'ultimo terrificante tipo con cui
aveva cercato di combinarla era più basso di lei di tutta la
testa e
sembrava avere filetti di carota invece di capelli. Inoltre era
fissato con i supereroi. A ventinove anni.
Jade scosse la testa,
rallentando in vista dell'ennesimo semaforo. Riprese velocemente il
telefono per leggere la risposta di Cat, le dita incrociate.
Da:
Cat 19.29
Bruce, 22 anni, futuro avvocato, castano,
buona famiglia. Non so molto altro, l'ho visto solo una volta alla
festa di laurea di Mark.
A:
Cat 19.31
Sembra incredibilmente noioso.
Da:
Cat 19.31
Ti piacerà. Muoviti!!
Jade
sbuffò. Non le aveva detto praticamente niente; stava per
scriverle
di quanto fosse brutto il nome Bruce, quando qualcuno dietro di lei
suonò di nuovo, avvertendola che il semaforo era verde. Il
tempo di
alzare gli occhi ed era già giallo. Jade buttò il
telefono sul
sedile del passeggero e rimise in moto; era già in ritardo e
ogni
semaforo faceva perdere almeno cinque minuti, per non parlare di
tutti gli accidenti che le avrebbe mandato quello dietro se avesse
fatto passare un verde inutilmente. Jade premette sull'acceleratore e
arrivò all'incrocio proprio mentre scattava il rosso; la
ragazza
poteva quasi sentire le imprecazioni dell'automobilista di dietro.
Soffocando una risatina e gettandogli un'occhiata veloce fece per
passare l'incrocio, rallentando appena dopo lo sprint al
semaforo.
Non si rese conto che l'auto alla sua destra stava
arrivando a tutta velocità proprio mentre lei era al centro
dell'incrocio; ebbe appena il tempo di capire che una spaventosa jeep
le stava finendo addosso, perché subito dopo fu investita da
un
rumore tremendo e una luce abbagliante.
Dopodiché, il nulla.
Non era buio, per
niente. Al contrario, era tutto rosso. Almeno così credette
Jade in
un primo momento. Poi pensò che forse era giallo, un giallo
vomitevole, e probabilmente era quella la ragione del voltastomaco
che la stava prendendo e che non faceva altro che peggiorare. Ma poi
il giallo si sostituiva al viola, e quel viola le faceva dolere la
testa in maniera allucinante. Poi finalmente il viola, da vivido che
era, andò attenuandosi, fino a diventare blu notte, e questo
le
dette un po' di pace. Tanto che si sentì quasi abbastanza in
forze
da cercare di tornare nel mondo dei vivi.
« ...costole rotte,
possibile perforazione di polmone... »
« ...coperto di
ustioni... »
« ...l'auto è esplosa? »
Ah, di nuovo il
rosso. Jade avrebbe urlato di dolore, se solo avesse avuto abbastanza
fiato per farlo. O avesse trovato dove si trovava la sua bocca in
quella pozza rossa in cui stava annegando.
« Perché diavolo è
sveglia? Svelti, iniettatele quel maledetto coso, il dolore
dev'essere- »
Nient'altro. Forse il colore che continuava a
vedere era il nero, dopotutto.
Prima
di aprire gli occhi, Jade si crogiolò ancora per un poco
nella
deliziosa sensazione che le stava sopraffacendo i sensi. Era
così
comoda, e calda. Ma la sensazione di calore era strana, quasi come se
fosse indotta da qualcosa, non come se effettivamente l'ambiente
attorno a lei fosse caldo.
Jade aprì gli occhi.
Era avvolta in
una coperta chiara e leggera ma caldissima, con addosso null'altro
se non una vestaglia bianca. Tutto attorno a lei, neve candida. Jade
aggrottò la fronte, chiedendosi come facesse a sentire tutto
quel
caldo.
« Ciao. »
Jade sobbalzò e si girò di scatto in
direzione della voce. Lì, appoggiato a una parete di
ghiaccio, stava
seduto un uomo che la stava salutando con una mano. Jade fece un
piccolo passo verso di lui.
« Chi sei? » chiese, guardinga.
Lui
alzò le spalle, divertito. « Stavo per farti la
stessa domanda. »
« L'ho chiesto prima io. »
« Sasha. »
Jade annuì. « Jade » rispose, e si
avvicinò un altro poco. Ora che lo vedeva
bene, l'uomo era più che altro un giovane, dai tratti ben
definiti
ma allo stesso tempo delicati. Sembrava anche molto alto, sebbene in
quel momento fosse seduto, la schiena contro la parete.
Jade
continuò a vagare con lo sguardo, cercando di capire dove si
trovasse; sembrava di essere dentro a un igloo semiaperto, ma non
riusciva a trovare nessuna fonte di luce. Era come se il biancore
attorno a lei fosse così accecante da illuminare tutto.
Cos'era
quel tutto, Jade non lo sapeva.
« Dove siamo? » chiese al
giovane, avvicinandosi ancora. Ormai si trovava a pochi passi da lui,
che guardò in alto per far incontrare i suoi occhi azzurri
con
quelli verde scuro di lei.
« Non ne ho idea. Dove siamo? »
Jade lo guardò, perplessa. « Se l'avessi saputo
non te l'avrei
chiesto, non trovi? »
Sasha annuì. « Suppongo tu abbia
ragione. »
Jade scosse la testa per cercare di mettere ordine
tra i suoi pensieri. « Fammi capire. Non sai dove siamo?
»
«
Perché pensi che io lo sappia? »
« Io... » Jade allargò le
braccia, incredula, « insomma, eri già qui quando
mi sono
svegliata, quindi mi sembra logico supporre che tu sappia dove siamo
o come ci siamo arrivati! »
Sasha la guardò, tristemente. «
Mi dispiace, ma non ti posso aiutare. Per quello che ne so, io sono
sempre stato qui. »
Jade batté le palpebre. Quella
conversazione non aveva senso, e quello era probabilmente solo un
assurdo sogno. Probabilmente in quel momento si trovava in un letto,
con un bernoccolo in testa, a riposare dopo l'incidente e questa era
la conseguenza della botta presa. Per quello che ne sapeva lei
l'incidente poteva addirittura non essere nemmeno successo, e lei si
sarebbe svegliata tra poco pronta a iniziare una nuova giornata a
lavoro.
« So che sei confusa, » stava intanto dicendo il
ragazzo, « ma non ne so molto più di te. Non so
molto nemmeno di
me, se è per questo. »
Jade stava per aprire bocca per
avvertire il tipo di non essere così criptico, quando il
bianco
svanì e tutto tornò di nuovo
nero.
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Jade
riaprì gli occhi per ritrovarsi in quella che sembrava
essere la
parte complementare del posto in cui era stata prima. Se quello era
un igloo, questo era l'esterno. Era distesa sulla riva di un laghetto
ghiacciato, azzurro chiaro e brillante nei punti in cui i raggi del
sole lo accarezzavano. Jade cercò di alzare gli occhi ad
esso, ma
non riusciva a vedere niente sopra di lei; non un sole, né
una
nuvola, né tanto meno un cielo.
« Ciao di nuovo. »
Jade
si voltò e vide Sasha avanzare verso di lei con le mani
nelle tasche
dei pantaloni che, neanche a dirlo, erano bianchi. Tutto quel candore
stava davvero cominciando a stancarla.
« Perché sono di nuovo
qui? »
« Ah, » disse lui, aiutandola ad alzarsi,
« mi
dispiace, ma temo che potresti tornare a farmi visita per un po' di
tempo. »
« Come faccio a farti visita se non so neanche dove
mi trovo? »
Sasha
si limitò a guardarla con quei suoi occhi
tristi.
Jade
fece un verso impaziente e decise di lasciarlo
perdere, quindi si voltò e cominciò a marciare
lungo la riva del
laghetto, decisa a farsi per lo meno una vaga idea di dove si
trovasse e del perché ci si trovasse.
Fu
sorpresa e frustrata di
ritrovarsi, poco dopo, allo stesso punto di prima, nonostante fosse
certa di aver preso la direzione opposta.
Sasha
le rivolse un
debole sorriso, quasi di scuse. « Non servirà a
molto. »
Senza
che potesse farci niente, Jade cominciò a piangere,
nascondendosi il
volto nelle mani. Dopo un attimo, sentì il ragazzo
abbracciarla
delicatamente.
« Per favore, dimmi che è un sogno. Che non sono
morta. Che è un sogno. »
Sasha
non rispose.
|
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Capitolo 2 *** 2. ***
2.
Jade
stava cominciando a sentire troppo caldo. Ogni volta che si
risvegliava si chiedeva come faceva a non congelare con solo una
veste leggera addosso in un posto come quello.
Erano seduti
all'interno dell'igloo -come la ragazza continuava a chiamarlo nella
sua testa- ma mantenevano una discreta distanza tra loro. Sasha stava
giocando distrattamente con la coperta, che sembrava essere l'unico
oggetto presente.
« Quanti anni hai? »
Sasha alzò lo
sguardo su di lei. Dovette pensare un attimo, prima di rispondere.
« Non ne sono sicuro. Penso di essere abbastanza giovane,
eppure mi
sembra di esistere da secoli. »
Sei una sciocca, si disse Jade.
Davvero ti aspettavi una risposta normale?
« Tu? »
«
Diciannove. Quasi venti. » rispose senza esitazione. Dopo un
po',
però, aggiunse: « Credo. »
Sasha ridacchiò piano. Jade
pensò che aveva una bella risata, molto naturale e
cristallina,
deliziosa da sentire. Senza quasi pensarci, si arrotolò le
maniche
della vestaglia leggera fino al gomito, nel tentativo di
rinfrescarle.
« Parlami di te. »
Jade si sistemò meglio e
cominciò a sventolarsi distrattamente con la mano, per farsi
un po'
di aria. « Beh, vivo da sola, e lavoro in un bar. Lo faccio
per
mantenermi e magari accumulare un po' di soldi per poter andare
all'università, quando sarà possibile.
»
« Cosa vorresti
studiare? »
« Mi piace l'arte, » disse. Stava sentendo
davvero troppo caldo. Si alzò e pensò di uscire
fuori, ma non
riuscì a fare più di due passi che cadde
improvvisamente a terra,
tenendosi una mano sul petto.
Sasha si avvicinò velocemente.
« Sto... bruciando, » disse lei, senza fiato.
Stremata, si accasciò
su Sasha, che si era inginocchiato e ora le stava tenendo la testa
sulle sue ginocchia, accarezzandole la fronte sudata.
Non voleva
che la toccasse. Aveva caldo, troppo caldo. Era come se un fuoco la
stesse divorando dall'interno. Era come se ci fosse stato fin
dall'inizio, nascendo come una fiammella debole che ora era diventata
un vulcano in eruzione.
La vista era annebbiata e i contorni erano
rossi. Sentiva Sasha che cercava di confortarla, sussurrando parole
dolci. Alzò debolmente una mano davanti agli occhi solo per
scoprire
che era macchiata di sangue. Tra il rosso del sangue e il fuoco che
le ardeva dentro, Jade si arrese a chiudere gli occhi e arrendersi al
dolore
cremisi.
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Non
riusciva ad aprire gli occhi, ma finalmente tutto era tornato del blu
scuro che tanto le dava tranquillità. Il suo corpo era come
addormentato, ma poteva sentire delle voci parlare a tratti attorno a
lei, rincorrendosi, non sempre coerenti ma almeno reali.
«
...l'emorragia si è fermata. »
« Bene. Il peggio è passato.
»
« Credo che adesso sia cosciente, Dottore. Aspettiamo che si
svegli? »
Una pausa.
« No, dobbiamo operare per essere
sicuri che non si apra di nuovo, ed è meglio non averla
reattiva. La
faccia dormire ancora un po'. »
Il suono di un liquido aspirato,
poi rilasciato, e il nero si sostituì al blu.
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« Sei mai stata
innamorata? » chiese Sasha, disegnando dei cerchi nell'aria.
Jade
arricciò il labbro. « Non davvero.
Perché? »
« Volevo
chiederti cosa si provava. »
Jade lo fissò, interrogativa. Sasha riprese: « Non
ho mai conosciuto questo sentimento. »
«
Non sai cosa significa amare? »
« No. » Sasha poggiò la mano
sul ginocchio e continuò a disegnare ghirigori immaginari
lì, sulla
stoffa dei calzoni. « So cosa sono la rabbia, e la
frustrazione, e
la tristezza, perché le provo sempre ogni volta che penso
alla...
insomma, sai, alla mia esistenza. Ma non l'amore. »
Jade stette
in silenzio. « Ogni persona può dare una diversa
definizione di
amore, » rispose, dopo averci pensato. « Per me, ne
esistono tanti
tipi diversi, ma per essere vero bisogna che sia per sempre. Un
sentimento che sbiadisce nel tempo evidentemente non era forte
abbastanza. »
Sasha annuì. « Capisco. »
Alla
fine, Jade credette di capire cosa stava succedendo.
Era di nuovo
nell'igloo, ma stavolta uscendo si era ritrovata in un luogo arido e
desolato, non particolarmente suggestivo, certo, ma almeno era un
cambiamento.
Trovò Sasha al riparo sotto un albero. Quando le si
avvicinò, lui le sorrise caldamente.
« Come ti senti? »
«
Molto meglio » rispose Jade, ringraziandolo. Stavolta si
sedette
accanto a lui, le loro schiene che quasi si toccavano, entrambe
appoggiate al tronco dalla corteccia spessa.
« Sai, credo di
essere in ospedale. »
Sasha annuì. « Sì, è
plausibile.
Vieni qui ogni volta che ti sedano? »
« O ogni volta che mi
addormento » specificò lei. « In
pratica, penso che tutto questo
sia soltanto un grande, elaborato sogno. »
Sasha non rispose.
Jade lo guardò con la coda dell'occhio, per notare che lo
sguardo
del giovane era perso nel vuoto, lontano da quei campi aridi. Lei lo
seguì fino a non riuscire a mettere a fuoco praticamente
nulla.
« Perché questo posto cambia sempre? »
« Probabilmente
dipende da te. Dopotutto, questa è la tua
testa. »
«
Anche tu sei solo nella mia testa? »
« Non lo so, » rispose,
incerto, sempre guardando chissà che cosa, «
forse. Anche se
ricordo di essere esistito anche prima di incontrarti. »
«
Però è la prima volta che ci vediamo. »
Sasha si voltò verso
di lei. I loro volti erano vicini, tanto che Jade poteva vedere ogni
singola minuscola lentiggine sul suo volto chiaro e osservare le
strane ombre che i corti riccioli neri, cadendo ribelli, creavano
sulla fronte.
« So che non dovrei dirlo, ma sono contento che tu
sia qui. »
Jade ricambiò lo sguardo. Sasha arrossì
adorabilmente e si affrettò a correggersi.
« Insomma,
ovviamente non sono contento che tu sia in ospedale, »
balbettò, «
ma starai bene, sicuramente. E io ho avuto la possibilità di
conoscerti. »
Jade dovette fare ricorso a tutto il suo
autocontrollo per non mettersi a sorridere come un'ebete a quel
commento, ma non riuscì a nascondere il fatto che le aveva
fatto
piacere. Eppure rimaneva qualcosa di triste nell'aria, qualcosa che
la rendeva pesante e che opprimeva i suoi polmoni.
« Non hai
mai... insomma, sono la prima persona che incontri? »
Sasha
rimase immobile per un istante, per poi annuire una sola volta.
« O
almeno, la prima di cui serbo il ricordo. »
C'era così tanto
rimpianto nella sua voce che Jade non poté fare a meno di
volere
stargli più vicino; appoggiò quindi la testa alla
sua spalla, per
mostrargli conforto, e un momento dopo sentì la guancia di
lui
poggiarsi sui suoi capelli.
Qualcosa le bagnò la nuca e, sapendo
che lui non lo faceva, Jade smise di trattenere le lacrime.
«
Puoi farmi delle domande, se vuoi. Cercherò di risponderti,
per
quanto possibile. »
Jade guardò Sasha, pensandoci bene. Poi
sorrise.
« Come fai ad avere un fisico così se non puoi
andare
in palestra? »
Sasha la guardò a bocca aperta, per poi darle un
colpo scherzoso alla spalla.
« Tu come fai ad averlo così pur
potendo andare in palestra? »
Jade lo guardò scioccata, per poi
alzarsi di scatto e allontanarsi, offesa. Sentì Sasha
chiamarla e
ridere, per poi essere bloccata da due braccia e due mani che
cercavano di farle il solletico.
Jade pensò che, dopotutto, se
proprio doveva avere delle allucinazioni, quello non era certo il
modo peggiore di viverle.
«
Tre rimbalzi! » esclamò Sasha, guardando con
orgoglio la pietra
piatta affondare nell'acqua. « Sono un fenomeno. »
« Fammi
provare, » disse Jade, alzandosi e raggiungendolo. Sasha le
porse
una pietra.
Quella volta il laghetto era ricomparso e la neve si
era sciolta, lasciando però l'acqua fredda, e i primi
accenni di
verde facevano solamente capolino, timidamente, aspettando il momento
perfetto per mostrarsi in tutto il loro rigoglio.
Jade si mise in
posizione, allontanò il bracciò dal busto,
girando quest'ultimo a
tre quarti e lanciò la pietra, che cadde al primo colpo
affondando
con un sordo plop.
Sasha rise mentre Jade, seccata, si
chinò a prendere un'altra pietra, decisa a riprovare.
Stavolta si
sbilanciò e mise poca forza nel lancio, col risultato di non
farla
arrivare nemmeno a un metro di distanza e facendola cadere
pateticamente sul fondo, creando una gran quantità di
schizzi
disordinati.
Jade rimase lì, a fissarla, depressa. « Non
è
divertente. » disse a Sasha,
« Oh, sì che lo è, » rispose
lui, tenendosi la pancia, « soprattutto la tua espressione.
Impagabile. Sembra dire “pietra, perché non vuoi
rimbalzare?
Perché ce l'hanno tutti con me?” »
« Perché tu ce la fai?
» si lamentò Jade.
« Il fatto è che sbagli la tecnica.
Guarda, ti faccio vedere. » Dopodiché si
posizionò dietro di lei e
le mise una pietra in mano, per poi tenerle il polso.
« Piega le
ginocchia, » le sussurrò nell'orecchio, piano,
« e non girare
troppo il busto. Così. Non mettere troppa forza, ma anzi
accompagnala. Tieni la mano parallela al terreno. »
Il suo corpo
era caldo contro quello di lei, e il suo fiato fresco contro il suo
collo. Jade si era già dimenticata il primo suggerimento.
«
Vai, » sussurrò lui.
Jade lanciò la pietra e la guardò
rimbalzare due volte prima di affondare delicatamente. Si
girò
raggiante.
« Brava! » disse Sasha, abbracciandola e
sollevandola da terra, cominciando a girare in tondo. Jade emise un
piccolo urlo di sorpresa, che ben presto si trasformò in una
risata.
Vorrei poter stare qui per sempre.
Jade
sbatté ripetutamente le palpebre per cercare di mettere a
fuoco la
figura che gli stava davanti.
« Ciao, Jade. Come ti senti? »
Lei aggrottò le sopracciglia e cercò di parlare;
aveva la bocca
impastata e la gola secca.
« Sono stata meglio. »
La donna
china su di lei sorrise e si risollevò. « Io mi
chiamo Agatha e
sono la tua infermiera. Ci siamo già conosciute, ma non
penso tu ti
ricorda. »
No, infatti.
« Non riesco a... tenere...
gli occhi aperti » disse Jade, cercando faticosamente di
trovare le
parole.
« E' per via di tutti gli antidolorifici e della morfina
a cui sei costantemente sottoposta, » spiegò
gentilmente Agatha. «
E' necessario, perché hai avuto un bel po' di problemi.
Siamo
contenti che tu ti sia finalmente svegliata. Hai dormito davvero
tanto. »
Jade aggrottò le sopracciglia, confusa. « Non
capisco. »
« Eravamo tutti molto preoccupati. Non ha dato
segni di miglioramento per così tanto tempo
che...» Jade scosse la
testa, cercando di far capire all'infermiera che non doveva parlare
così in fretta se voleva che lei capisse qualcosa. Agatha
sorrise e
le mise una mano sulla fronte, controllando la temperatura.
«
Non avere fretta. Riposa ancora un po'. Hai avuto tutto il tempo
un'espressione così serena che sembrava stessi facendo dei
bellissimi sogni. »
Questo Jade lo capì. Aveva ragione, pensò
sorridendo. Il sogno che stava vivendo era bellissimo, e non vedeva
l'ora di tornarci.
«
Devi sentirti davvero bene per aver creato un posto così
» disse
Sasha, raggiungendola. Portava i calzoni chiari arrotolati fino al
ginocchio in modo che non si bagnassero, e avanzava lentamente
nell'acqua limpida, facendo scappare i minuscoli pesciolini in tutte
le direzioni, spaventati dall'improvvisa intrusione.
« In
realtà non mi sento diversa, » rispose Jace,
girandosi per
guardarlo. Si era fermata appena prima di arrivare al punto in cui
l'acqua sarebbe stata cosi alta da bagnare l'orlo del vestito.
« Ma
immagino che lo sia il mio corpo. »
Sasha sorrise, i suoi occhi
più chiari che mai sotto il sole. « Sono contento
che tu stia
guarendo. »
« Ma questo significa che dovrò andare via.
»
« Ma tu devi andare » disse
Sasha, quietamente. « E'
quello il tuo posto. »
« Ma non appartengo a quel mondo.
Pensaci. Io mi sono sempre sentita estranea, fuori luogo; non ho una
famiglia, non ho un obiettivo, non ho neanche un lavoro decente e
l'unica amica che posso vantare di avere vive la sua vita e non
può
sempre preoccuparsi della mia. Non mancherei al mondo, se me ne
andassi. »
Gli occhi seri di Sasha si piantarono nei suoi e Jade
si sentì immediatamente immobilizzata, nonostante lui non
l'avesse
sfiorata. « E dove andresti? »
Jade esitò. Si stava pentendo
di essersi lasciata sfuggire quelle cose; si rendeva conto che era da
stupidi. Era il genere di cosa che dicono le ragazzine in cerca di
attenzione, ogni volta che qualcosa va storto o si rompe loro un
unghia.
O almeno, così aveva sempre pensato. Solo ora capiva che
ci si può davvero non sentire adeguati,
non integrarsi,
esserci ma allo stesso tempo non esserci.
Sasha nel frattempo si
era chinato e aveva messo una mano appena sotto la superficie
dell'acqua, rimanendo poi immobile mentre guardava come un
pesciolino, superata la paura iniziale, si stava avvicinando curioso
a quello strano corpo estraneo e caldo.
« Ogni vita è
importante » disse, inginocchiandosi nell'acqua, senza
più badare
ai calzoni. « Anche la più piccola. Certe persone
posso diventare
più conosciute di altre, fare del bene al mondo, o fare del
male.
Possono essere ricordate nei tempi futuri. Ma non per questo tutte le
altre sono inutili; anche loro possono, anzi devono, fare
qualcosa nel loro piccolo. Un sorriso, un aiuto nel raccogliere le
cose che sono cadute a terra a una signora indaffarata, una parola
gentile, sono tutte cose che sembrano banali ma che in
realtà
possono aiutare più di quanto tu non possa immaginare.
»
Jade
si accovacciò , tenendosi in equilibrio sui talloni,
osservando a
sua volta il pesciolino dare un piccolo morsetto al dito di Sasha,
per poi tornare velocissimo dai suoi simili.
« Ma poi queste
persone si dimenticheranno di te. Rimarrai per sempre un estraneo
gentile che verrà presto cancellato dalla loro memoria.
»
«
E' questo che ti spaventa? » chiese Sasha, alzando gli occhi
sul
viso di lei, « l'oblio? »
Jade non disse niente, continuando a
guardare i pesci senza davvero vederli, finché non
sentì un dito
sollevarle delicatamente il mento. Incontrò gli occhi di
Sasha e non
vide differenza tra il loro colore e quello del mare che aveva
fissato fino a un momento prima.
« Direi che abbiamo appena
trovato qualcosa che ci accomuna, » disse, sulle labbra il
suo
solito sorriso triste.
« Io non mi dimenticherò mai di te. »
Sasha la guardò, riconoscente. « Neanche io.
»
Jade
aprì gli occhi, infastidita da tutto il rumore che la
circondava.
C'era un'infermiera sopra di lei che sistemava le flebo; non appena
si accorse che Jade era sveglia, si ritrasse e le rivolse un sorriso
materno.
« Ti sei svegliata. Come ti senti? »
Jade mugugnò
qualcosa e richiuse subito gli occhi; voleva riaddormentarsi e
tornare nella sua dimensione perfetta, con Sasha. Ma non riusciva a
concentrarsi, dato che l'infermiera non voleva saperne di stare
zitta.
« Devi mangiare qualcosa, o ti sentirai perennemente
stanca. Cosa vorresti? »
Lasciami dormire.
«
Colazione mediterranea? O all'inglese? »
Jade aprì un occhio
per squadrare l'infermiera. « Mi scusi... uhm... »
Il sorriso
dell'infermiera si incrinò quasi impercettibilmente.
« Agatha, »
disse, scandendo bene.
« Giusto. Potrebbe procurarmi un
telefono? »
Agatha sembrò sorpresa della richiesta. « Pensavo
non avesse familiari o parenti stretti. »
Jade si trattenne dal
roteare gli occhi. « Vero, ma ho pur sempre un'amica. Volevo
farle
sapere che sto bene, anche se immagino che la vedrò presto
comunque.
»
Agatha continuava a guardarla con un'espressione
compassionevole che stava cominciando a irritarla. « Cosa?
»
sbottò.
« Mi dispiace, ma... è solo che lei non ha
ricevuto
nessuna visita nell'ultimo periodo. »
Immediatamente Jade sentì
gli occhi bruciare. Dandosi dell'idiota e cercando di non farsi
sopraffare, chiese: « Neanche una ragazza? Giovane, sulla
ventina,
capelli corti? Catherine Maddison? »
« Ah! » esclamò Agatha,
illuminandosi. « Ho presente. E' venuta qualche volta il
primo
mese... »
Jade trattenne il fiato così improvvisamente che la
gabbia toracica sembrò lì lì per
rompersi di nuovo. « Il primo
mese? »
«
Oh ». Gli occhi di Agatha diventarono grandi come due palline
da
tennis. « Cara... sai dirmi che giorno è oggi?
»
Jade stava
cominciando a farsi prendere dal panico. Sapeva quello che stava
succedendo, l'aveva letto in decine di libri e visto in migliaia di
film. Era così cliché che le venne quasi da
ridere. Quasi.
«
So di avere avuto l'incidente il 18 febbraio... mi sono svegliata una
volta, quindi... direi, verso fine mese? Se vogliamo abbondare?
»
L'espressione sul viso dell'infermiera le diceva che non ci era
nemmeno vicina. Jade sentì gli occhi in fiamme per le
lacrime che
stava cercando di trattenenre.
« Oh, cara... ti sei svegliata
più di una volta, in realtà, anche se solo per
pochi secondi. E la
prima volta è stata tre giorni fa... »
« Per favore, » la
interruppe Jade, « mi dica solo che giorno è.
»
Agatha la
guardò con apprensione. « E' il 22 gennaio. Cara,
sei stata in
coma per undici mesi. »
Jade chiuse per un momento gli occhi,
lasciando che la notizia venisse assorbita dal suo cervello ancora
intorpidito. Undici mesi. Praticamente un anno. Non c'era da stupirsi
che Cat avesse smesso di farle visita; doveva aver pensato che non si
sarebbe più svegliata, e che non avesse senso sprecare tempo
prezioso dietro qualcuno senza speranza. Dopotutto, non erano
migliori amiche o chissà che cosa.
Ma era sempre l'unica amica
che Jade aveva.
Ed ora era sola.
Per un attimo desiderò di non
essersi mai svegliata.
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