SUI-OCCIDET

di Alyeska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Assuefazione. ***
Capitolo 3: *** Consapevolezza Imprudente. ***
Capitolo 4: *** Risveglio. ***
Capitolo 5: *** Apostrofo Rosa ***
Capitolo 6: *** Ti Amo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Che differenza c’è tra il graffiarsi di proposito e il graffiarsi e basta?
Nessuna. Ti fai male allo stesso modo.
Se invece, chiedi: Che differenza c’è tra il suicidio e la morte naturale?
Stanno tutti a polemizzare e a dare una pseudo spiegazione più o meno convincente su quanto sia importante ‘vivere’, su quanto sia peccabile sottrarsi alla vita, su quanto davvero importi godersi i giorni, e su quanto siano rompi palle tutti gli strizza cervelli.
E’ questo quello che faccio qui.
SAINT FRANCIS MEMORIAL HOSPITAL. Se lo leggi tra le pagine della brochure ti assicuro che ci fa pure una bella figura. Sembra una residenza per angeli caduti dal cielo.
Ribadisco il SEMBRA.
E’ assurdo quanto sia abissale la discrepanza tra il verbo ‘essere’ ed il verbo ‘sembrare’. E’ come quando i dottori urlandomi e minacciandomi con aghi lunghi di 5 cm mi dicono ‘Amy sembri pazza!’

E' proprio in quei momenti che mi faccio le migliori risate. Passano la vita a convincerti che se ti trovi in quel luogo, allora lo sei davvero, e poi però affermano che lo sembri, e basta. Il punto della situazione è che tutto è una contraddizione. Lo sono i medici, lo è la Chiesa, lo Stato, il Mondo, i bambini, gli insetti.. lo è la vita.
Tutto quanto è una contraddizione. 
Come puoi affermare di vivere se tutto ciò che fai non è altro che respirare?

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Capitolo 2
*** Assuefazione. ***


Abbiamo sempre quella fottuta abitudine di dare un’etichetta, una datazione, una indicazione temporale, una descrizione a qualsiasi cosa.
Credo sia una strana andatura, quasi naturale della mente umana. Attribuire un data di un particolare contesto per ricordare le cose.
Il primo bacio: 12 anni.
La prima insufficienza: secondo liceo, 15 anni.
Il primo graffito: ultimo anno di liceo, 19 anni.
Primo ragazzo serio: 20 anni.
E’ quello che fanno le persone normali, dicono. Sembra quasi che la mente umana sia un computer, un computer sofisticato è ovvio. Ma un computer.
Lo trovo raccapricciante. Perché esser così simili a qualcosa che oggi giorno ci rende schiavi?
Perché non ricordare il contesto storico e poi attribuire ad esso tutti i fatti o gli avvenimenti più o meno importanti che sono accaduti? Perché no? Il problema principale della macchina umana è che si fa tutto in questo modo perché qualcun altro prima di noi lo ha fatto in quel modo. Siamo il prototipo di computer in serie. E non si tratta di aziende al progresso, tutto ciò che vedo è solo un mucchio di regressione e ignoranza.
A me non piace ricordare le cose meccanicamente. Non sono una macchina sforna ricordi. Le macchine sfornano. Non le persone. Le persone si emozionano. Io sono una persona.
Mi piace pensare a tutto ciò che mi ha reso così, senza escludere niente, senza dare più importanza ad alcune cose e meno ad altre. Quando componi un puzzle inserisci tutti i pezzi accuratamente uno ad uno. Basta perderne uno e il puzzle non sarà mai completo. Non sarà mai un puzzle.
Vale lo stesso per noi, per me. Siamo persone perché siamo il risultato di esperienze provate sulla nostra pelle. Se non hai fatto alcun tipo di esperienza non hai mai vissuto, e se non le ricordi io dico che sei già morto a prescindere. Azzarderei a dire che la tua persona non è mai nata.
E’ persino peggio della morte ontologica. 

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Capitolo 3
*** Consapevolezza Imprudente. ***


Sin dalla tenera età ci insegnano, quasi involontariamente, che qualcuno al di sopra di noi detta legge, sempre  e comunque.
Alle scuole elementari tornavo a casa dicendo ai miei genitori: “Oggi la maestra ha detto…”
Spesso capitava che la maestra dicesse delle assurdità, ma avrebbe potuto dire persino che un giorno tutti gli alberi del pianeta si sarebbero uniti per conquistare l’intera galassia. Giuro che ci avrei creduto. Perché ciò che diceva la maestra era indiscutibile. E fu così per tutto il periodo scolastico o quasi. In realtà è così per tutta l’esistenza di un individuo: Alle scuole elementari la maestra, alle medie  e superiori il professore, all’università idem, a lavoro il proprio superiore, diventano tutti una specie di “messia”. E non esagero.
Qui, in clinica, i primi tempi ti ostini a non ascoltare nessuno. Poi con il tempo ti stanchi di fissare ininterrottamente le pareti riverniciate sempre di quel blu smorto nel tentativo di coprire le unghiate di qualcuno che prima di te si era dato da fare con quello che poteva, e così inizi ad informati sugli orari delle ‘riunioni sociali’, inizi ad accettare di vedere lo specialista che possa seguirti, inizi anche a prendere le medicine. Non perché ti interessi veramente. In realtà vuoi solo esser salvata.
Quel che nessuno ha capito però, è che non si può esser salvati dalla vita.
Da quando vedo Charlin, il medico del mio reparto, mi capita spesso di parlare con le infermiere e dire loro ‘Charlin mi ha detto che..’ Mi contraddicono spesso, o meglio contraddicono indirettamente Charlin, e mi capita di inalberarmi così tanto che mi portano in camera dicendo che ho bisogno di dormire. Non è vero. Non ho mai bisogno di dormire. Qui al Saint Francis nessuno ha mai bisogno di dormire. Alterni dal passare dal letto al divano del salotto, dal divano del salotto al letto. Ed è fastidiosissimo.
So comunque, per certo, che se Charlin mi dicesse di dormire, perché ne ho di bisogno, io gli darei retta. Tutte gli daremmo retta, perché lui è Charlin.
La cosa più tragica è la consapevolezza di affidare il titolo di ‘messia’ a qualcuno, a qualcuno di umano, a qualcuno che quindi può errare, e non fare nulla per impedirlo.
La definirei consapevolezza imprudente. Sei consapevole di far qualcosa, sai persino che è sbagliato, ma ti dici: ‘qualcuno ha deciso per te la linea della tua vita, giusta o sbagliata che sia. Ma nessuno lo ha ancora punito’. Ciò che di sbagliato c’è è invece il fatto che il torto lo facciamo a noi stessi, non agli altri. Siamo imprudenti. Ci accorgiamo delle cose solo dopo che ci hai sbattuto il viso contro, con tutta la forza possibile ed immaginabile. Il fatto grave è che, poi , la seconda volta, ti ricordi del dolore della botta, ma non fai nulla per impedire di farti male di nuovo. Consapevolezza imprudente, persino stupida.

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Capitolo 4
*** Risveglio. ***


Dopo tre mesi di clausura nel bilocale che mi affittò mia sorella, capì che avevo bisogno di aiuto. Non avevo intenzione di chiederlo però, era una sorte di pretesa. Erano passati quasi cinque mesi, e chiunque mi stesse attorno si assicurava che stessi ‘bene’. Rispondevo sempre, che anche fossi stata ‘male’, di certo non lo avrei mai ammesso. Figurarsi a loro. Ciò che può sembrare assurdo è il fatto di voler aiuto, di pretenderlo, ma di non voler gente intorno. E’ una contraddizione. Impazzisci per questo.
Avevo quasi ventisette anni. Mi ero appena laureata a pieni voti, avevo una casetta nel centro di Roma, due genitori, un barboncino, e pure un bel fidanzato. Non era abbastanza.
Ero ricca. Non ricca di beni. Di quelli lo sono solo le persone più squallide. Ero ricca di pensieri, di contenuti, di prospettive. Ma ciò che non sapevo, nonostante anni di ricerche e conoscenze è che ‘l’abbastanza’ o addirittura ‘il tutto’, non lo si ottiene mai. Cosa ne potevo sapere io? A ventisette anni credi di poter spaccare il mondo, mentre sei una formica in una foresta di leoni e tigri. Non ti rendi conto che non si tratta più di artigli dei micetti del vicino di casa, adesso ci sono felini. Pronti all’attacco. E non puoi cercare ‘l’abbastanza’ e ‘il tutto’ e contemporaneamente lottare per la tua incolumità. Ecco quindi cosa accade: lotti e ti fai male così tanto da cadere in depressione, oppure ti arrendi prima ancora di provarci e finisci per diventare matta.
Non so ancora cosa in realtà mi sia successo.
So solo che dovevo cercare di trovare il posto adatto a me. Non credevo che una clinica ospedaliera era quello che stavo cercando. Anzi, non è affatto quello che sto ancora cercando. Fuggivo, da verità nascoste da anni. Non so ancora nulla riguarda la vita. Non sapremo mai nulla in realtà. Però una cosa la so, non si può fuggire da due cose: dai segreti e dalla vita.
Scappare, fuggire ripetutamente, e cadere. Poi fuggire di nuovo, ed esser scovati dalle verità. Tutto questo ti porta ad arrenderti. Non c’è nulla di più tremendo che l’arresa. Ti rende come una pianta. Mi sento quasi un vegetale. Il mio è uno stato vegetativo. Mi limito a respirare, al mio ‘nutrimento’ ci pensano gli altri.
Questa me la chiamano vita, e tu?

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Capitolo 5
*** Apostrofo Rosa ***


Le lenzuola profumavano di foglie di limone ed erano lisce come la seta. Continuavo a sfregare il piede sul tessuto e a sniffare quel odore dalla federa del cuscino. Poi il suo braccio mi avvolse in una presa calda e forte. E il suo profumo era esattamente uguale a quello delle lenzuola. Mi voltai a baciarlo, e il tocco con le sue labbra fu quasi come quando si prende corrente, ma in modo bello. Ogni cosa che lo riguardava era incondizionatamente bella.
Sono sempre stata una persona abitudinaria. E’ questo che fa l’essere umano, no? Si abitua. Così mi abituai alla sua presenza come se fosse aria. Eravamo amanti ormai da undici anni, e ogni volta che lo guardavo mi sembrava come la prima. Le stesse sensazioni di quando lo guadai per la prima negli occhi e vidi lo stesso colore dei miei, gli stessi brividi che sentii quando per la prima volta scovai la stessa ‘voglia’ che portiamo entrambi sulla schiena, stesse emozioni, stesse paure. Tutto identico. Se questo significa esser innamorati, credo di averlo fatto nel modo giusto. Sono brava ad amare. In questa vita credo che sia la cosa che ho fatto nel migliore dei modi. E se ami qualcuno una volta lo amerai per sempre.
Hai presente quando per la prima volta ti fai uno spinello? Hai l’euforia, la compagnia degli amici, la paura, l’adrenalina, e lo sballo. Ecco, adesso moltiplica il mix di sensazioni che provi per 10.000 e ci andrai vicino. Amare è un po’ più di tutto questo.
Quando ti portano via l’amore, allora, come minimo dovresti esser arrabbiata. Dovresti diventar feroce, e distruggere il mondo. Invece per qualche strano motivo non è mai così. In genere cadi in una strana solitudine. E’ come se fossi andata perduta per sempre, e quello che resta di te non è altro che un corpo privo d’anima. A cosa serve un corpo privo d’anima se non ad occupare un posto nel Mondo? Un posto che magari vorrebbe qualcun altro, o che addirittura necessita qualcun altro ancora. Meglio occupare un posto al cimitero allora, no? E’ la stessa identica cosa, solo più sensata, perchè non ha senso far passare i giorni sperando che passino tanto velocemente da non sentirli. E’ quello che succede quando ti accorgi di esser ‘viva’ senza una vera ragione. La ragione non puoi creartela. La ragione te la danno.  E come te la cedono, possono anche togliertela. E a quel punto di te non esisterà nient’altro che un corpo inerme. 

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Capitolo 6
*** Ti Amo. ***


Il più delle volte mi ritrovo a fissare le gocce di pioggia che scivolano sul vetro della finestra in camera. Capita nei pomeriggi autunnali, quei pomeriggi che ti incombono come se fossero ossigeno irrespirabile. Così in quelle giornate decido di rimanere in stanza, senza metter mai piede fuori, neanche per andare in sala da pranzo. Rimango sotto le coperte, con i calzini sopra i pantaloni del pigiama.
E’ incredibile come si può rimanere in silenzio per così  tanto tempo. L’unica cosa che faccio allora è scegliere una goccia tra le tante, la vedo scivolare giù facendo il tifo per essa affinché arrivi prima delle altre. E’ così straziante quando non vince, o quando semplicemente si unisce ad un’altra. E’ come se anche fare il tifo in mente non porti a nulla di proficuo. Quindi è proprio durante questi momenti che vorresti soffocare nella nebbia di quei pomeriggi che avvolge ogni cosa. Credo sia persino peggio di quando dopo giorni che senti l’incessante bisogno di dormire, finalmente ti metti nel letto e.. puff qualcosa fa sì che tu non possa dormire. Praticamente sei troppo stanca per restare sveglia ma anche troppo stanca per dormire. Succede sempre così, qui al Saint Francis; sei sempre troppo stanca di non fare nulla, ma senza forze per far qualcosa. La sensazione di inutilità ti travolge quasi continuamente, circa 24 ore al giorno; e no, non puoi sfuggirle. Non accade solo qua, comunque. Mi capitava spesso anche durante il periodo da universitaria. Passavo giornate intere, e a volte persino settimane, chiusa nei dormitori con telefono spento e senza contatti con il mondo esterno. Ci sono volte in cui hai bisogno di staccare dal mondo reale, la condizione vegetale non è sempre un male. Riuscivo solo a ‘sbocciare’ e a reagire agli stimoli esterni quando c’era lui con me. Erano sei anni di amore nascosto e proibito, eppure la forza e la voglia per stare con lui la trovavo sempre, riuscivo a diventare addirittura una persona puntuale. Quando dicono che l’amore ti cambia è vero, ma non come tutti lo intendono. Ti cambia solo nei sui confronti, e in alcune circostante. Ero, sono e probabilmente sarò una persona instabile. E l’amore questo non lo cambia. Al massimo mi ha resa stabile solo su un sentimento, perché giuro che ti ho amato, ti amo e ti amerò. Sono sempre queste giornate uggiose che mi fanno venire in mente lui. In quelle giornate di stand-by psichico, mi chiudevo a chiave nella mia camera del dormitorio. Nessuno aveva accesso se non gli addetti e noi ragazzi, lui però in qualche modo trovava il modo di raggiungermi. Gli bastava vedere fuori dalla finestra e provare a chiamarmi, ed ecco che capiva che ero di nuovo caduta in status vegetativo. Così lui si precipitava da me, metteva giù una scusa plausibile ed eccolo lì a bussare alla mia porta intonando ‘November Rain’ battendo a ritmo sulla porta. C’erano volte in cui non gli rispondevo neanche, altre in cui gli urlavo di andar via. Ma lui non se ne andava, mai. Sapeva bene che la mia bocca diceva una cosa, ma che in realtà volevo tutt’altro. E’ qualcosa di irrazionale, inspiegabile. Questo sorta di legame, questo saldo collegamento in trentaquattro anni di vita l’ho provato solo con lui. E scommetto l’anima che non lo proverò con nessun’altro. Si tratta quasi, di un vero e proprio patto di sangue, di un amore sanguigno. Lui allora restava accanto a me a fissare le gocce di pioggia, poi dopo un po’ mi diceva ‘Sai, speravo vincesse quella di destra’. Era esattamente in quegli istanti che capivo perché qualcuno aveva scelto di incidere il mio nome proprio sopra il suo, per sempre. 

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