Freedom right.

di L A I L A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All started at the Place... ***
Capitolo 2: *** La corsa e la scenata. ***
Capitolo 3: *** Il ragazzo dai capelli biondi. ***
Capitolo 4: *** L' esibizione ***
Capitolo 5: *** La ragazza dagli occhi verdi ***
Capitolo 6: *** Freedom ***



Capitolo 1
*** All started at the Place... ***


 

J A M I E

La sveglia sul comodino suonò troppo presto.
Jamie la zittì lasciando cadere la mano sullo snooze. Si stupiva sempre di quanto quell' aggeggio fosse resistente, dopo tutti quei colpi che aveva ricevuto.
La mamma entrò con un sorriso che le si spense sulle labbra.
Come al solito era perfetta e Jamie aveva imparato ad odiare quella perfezione, maschera di una personalità che non le apparteneva.
- Sei ancora così! Muoviti o farai tardi a scuola! -
Con questo, scavalcando un cumulo di vestiti lanciati per terra la sera prima, si diresse verso la finestra e, scostando le tendine prese a fare osservazioni maligne sui vicini, osservazioni che Jamie, come sempre, fece finta di non sentire.
La mamma uscì dalla stanza canticchiando e la ragazza, indossando i jeans, raggiunse la finestra fissando con odio il giardinetto ben curato, lì sotto.
Non capiva perchè la mamma si ostinasse a fare in modo che tutti pensassero a loro come a una famiglia perfetta. Ma non lo erano.
Suo fratello, Josh, se n' era andato l' anno prima, proprio per questa ragione e Jamie lo invidiava per il suo coraggio.
Ma lei era ancora minorenne, ancora per poco. Un anno, solo un anno e avrebbe potuto lasciare quella schifo di casa.
L' iPhone segnalò un nuovo messaggio: Stasera ci vediamo. Josh.
Aveva sempre avuto un rapporto speciale col fratello e adesso che lui viveva fuori casa la loro complicità si era consolidata.
Sorridendo, rispose con un semplice 'ok' e andò in cucina per fare colazione.
Con disgusto notò che suo padre era lì. 
- Ciao Robert.-
 L' apostrofò. Non lo chiamava più papà da quando aveva scoperto che tradiva la mamma. Oh, e lei lo sapeva naturalmente, ma divorziare era una cosa inconcepibile per due coniugi perfetti con figli perfetti e una vita perfetta.

Il padre le sorrise e continuò a bere il suo caffè sfogliando distrattamente il giornale.
Jamie prese un toast, ci spalmò sopra del burro di arachidi e prese a mangiare lentamente mentre saliva le scale per finire di prepararsi.
Indossava, quel giorno, la maglietta di Superman, degli shorts in jeans e le blazer rosse.
Prese dall' armadio la vecchia borsa di Fred Perry di Josh che ormai era diventata sua. Era talmente vecchia che la pelle era rovinata in diversi punti e le cuciture cominciavano a cedere, ma lei c' era troppo affezionata per buttarla semplicemente in un bidone dell' immondizia. Si pettinò i capelli e li raccolse in una morbida treccia che le cadeva sulla spalla. Infine, pronta per uscire, salutò i genitori e varcò l' uscio sperando, come sempre, di non dover più tornare in quel posto.

 

 

E L I Z A B E T H

Alzarsi per lei è sempre facile. Non ha preoccupazioni di test da passare o di compiti non fatti.
Con una media dell' A+, sta simpatica a tutti i professori anche se un po' meno agli altri alunni.
Il fatto è che lei anche se lo volesse, non riuscirebbe ad andare male. Ha una memoria fotografica che le permette di ricordare tutto, ed è sempre pronta davanti a un professore.
Poi, non vuole deludere la mamma, che ci tiene tanto, anche se da qualche anno a questa parte ha iniziato a spronare eccessivamente la figlia a fare di meglio quando otteneva già il massimo in tutto.
Il risultato? Uno rapporto madre-figlia che un tempo era fantastico va a rotoli, e una ragazza che inizierà a covare un' interna ribellione.
- Beeeth! -
E' la mamma, dalla cucina, che chiama.

Quando non la sente prepararsi appena sveglia, comincia ad urlare come una forsennata.
Papà è una specie di topo da biblioteca che esce dal suo studio solo per mangiare e dormire, e a volte nemmeno questo. Chi comanda nel matrimonio è Abigail.
Col tempo, il potere che il marito ha ceduto a lei si è accumulato, e adesso che non riesce più a trattenerlo, lo tira fuori diventando una specie di tiranno.
La ragazza uscì dal letto, guardò disgustata quella camera così ordinata e pulita, quei trofei appena lucidati sulle mensole, e i suoi amati pupazzi che giacciono in garage perchè 'facevano polvere'.
E la cosa più brutta era che Beth, essendo figlia unica, era il solo punto di sfogo per sua madre che se la prendeva con lei per qualsiasi cosa.
Beth è veramente carina, ma la sua bellezza è nascosta da degli occhiali troppo grandi per il suo visino delicato, e la sua timidezza le impedisce di essere notata dai ragazzi.
Ma oggi si sente diversa. Si toglie gli occhiali e li lancia sulla scrivania. Senza ci vede benissimo, ha dieci decimi, ma aveva continuato ad usare quegli occhiali dalle lenti neutre, come protezione dal resto del mondo.
Indossò una canottierina leggera e un paio di pantaloncini di tela. Non era mai andata a scuola vestita così. Guardò con orrore il completo castigato che la mamma le aveva sistemato sulla sedia. Preparò la borsa, ma non ci mise neanche un libro.
Uscì dalla sua stanza, percorse il corridoio e si chiuse la porta di casa alle spalle, sbattendola violentemente e sentendo appena l' urlo della madre che la chiamava dalla cucina.

 

 
 

T H O M A S 
 

Quel posto è una merda. Puzza di cucina e di panni sporchi. Vuole scappare, andare via, ma non può.
Thomas vive in una casa famiglia da quando aveva otto anni, quando i suoi genitori sono morti in quel fottutissimo incidente stradale che ha lasciato lui vivo, incolume, nel sedile posteriore dell' auto. Da quel maledetto giorno, si trova in quel posto, circondato da ragazzini problematici e tutori menefreghisti.
La ribellione non è concessa in quella casa, così come la musica, perchè la vicina ha sempre il mal di testa e le pareti sembrano fatte di carta velina. L' unica cosa che lo distrae è ed è sempre stato il football che praticava con i compagni più grandi nel cortile sul retro. Ha imparato così, ed è diventato il quarterback della scuola. Adesso, però quei ragazzi con cui giocava hanno lasciato quel posto, finalmente maggiorenni.
Grazie a loro, ha conosciuto anche l' erba. Nonostante fosse più piccolo, era così in gamba che lo facevano fumare con loro quando i genitori non c' erano, e la davano a lui quando venivano scoperti, perchè non avrebbero mai dubitato di quel dolce ragazzino.
Aveva tredici anni quando fumò la sua prima canna, e quindici quando cominciò a spacciare la poca roba che si procurava grazie alle sue conoscenze al di fuori della casa.
Ora lo conoscevano tutti, sia al Posto che a scuola, sia come quarterback che come pusher.
Quel giorno, il Posto era particolarmente affollato. Era arrivata la Primavera e tutti avevano voglia di divertirsi. Anche una ragazza mai vista prima da quelle parti, si avvicinò a lui chiedendo qualcosa di non troppo forte. Thomas comprese subito che sarebbe stata la sua prima canna e gliene offrì una, sperando quasi di fare colpo. La sconosciuta accettò e si sedettero su un gradino di cemento a fumare.
Lei non parlò, e lui pensò che forse non voleva che nessuno sapesse che era stata lì.
Fece un tiro e la passò. Quella roba gli faceva poco e niente, mentre la ragazza sembrava sentirsi già più leggera.
Si sentì una risata in lontananza, femminile, melodiosa. C' era solo una persona che, in quel posto ridesse così, senza paura di essere sentita...
- Jamie! -
 Urlò Thomas andando incontro all' amica. Lei lo abbracciò e lui la condusse al gradino dove, la ragazza, si guardava intorno tra un tiro e l' altro. Jamie la guardò e, dopo un istante di esitazione disse: 
- Elizabeth? -
La ragazza dai capelli biondi alzò la testa di scatto, e la guardò spaventata. Thomas le guardò stupito e chiese: 
-Voi vi conoscete? -

Jamie lo prese per un braccio e lo portò da una parte.
 
- Lei è nel mio corso di inglese, te ne ho parlato un sacco di volte, la ragazza con la media dell' A+, hai presente? - 
Disse Jamie tutto d' un fiato. 
- Giusto! Ma... Che ci fa qui? Senza occhiali e vestiti da brava ragazza, per giunta. -
 Aggiunse Thomas guardando in direzione di Elizabeth. Jamie scosse la testa e puntò le iridi castane verso la compagna.



 

D E V O N

Il silenzio sembrava avvolgere tutto, quella mattina, così come la nebbiolina leggera che, Devon lo sapeva, si sarebbe diradata nel giro di un paio d' ore, prima che i suoi vicini si svegliassero, interrompendo, col loro consueto casino infernale, tutta quella quiete.

Lui, intanto nel garage, nei sotterranei del condominio, tentava invano di aggiustare il suo amato camioncino.
Si sentì il rumore di piccole ruote sull' asfalto, e il bel giovane uscì da sotto il camion, coricato su uno skateboard.
Era da un mese che quel ferro vecchio non andava più, e non riusciva proprio a capire quale fosse il problema. Non aveva il coraggio di portarlo allo sfascia carrozze, quel Volkswagen Transporter T2 era come un ponte, per lui, l' unico ricordo che aveva di quegli anni passati con gli amici, a divertirsi, fregandosene di tutto.
Adesso era tutto finito. Erano andati tutti al college, avevano una nuova vita lontano da lì, mentre lui bazzicava ancora per quelle strade, incapace di pensare al suo futuro, di diplomarsi con buoni voti, di riprendere in mano la sua vita.
Ormai era il terzo anno di fila, che tentava di uscire da quella maledetta scuola, ma proprio non riusciva a concentrarsi sullo studio. L' unica cosa che voleva era scappare. Era arrivata l' ora di lasciare un po' di libertà a suo fratello che, dopo averlo cresciuto da solo quando i suoi erano entrati in prigione, si era laureato e adesso aveva un buon lavoro e una ragazza dolcissima.
Eppure era ancora legato al suo fratellino, si sentiva responsabile nei suoi confronti, e non aveva il coraggio di lasciarlo solo.
Forse la cosa che gli mancava erano i coglioni. Non era mai riuscito a imporre la sua autorità su Devon, forse per paura di diventare come suo padre: violento e oppressivo.
Sporco di grasso dalla testa ai piedi, Devon scomparve nuovamente sotto il camion, asciugandosi la fronte col dorso della mano e allonatanando i ricordi dolorosi.

Lasciò il garage, se possibile, ancora più scoraggiato di prima. Aveva bisogno di quel camioncino, seriamente.
Salì in casa dove suo fratello stava bevendo un caffè seduto al tavolo della cucina.
- Ciao Dev. -
 Disse rivolgendogli un gran sorriso.

- Ciao bro. - 
Si limitò a rispondere lui, cercando di sorridere ma ottenendo solo una smorfia dovuta alla stanchezza.

Entrò in bagno e si fece una lunga doccia rilassante. Quando uscì, trovò suo fratello che lo aspettava di fronte alla porta.
- Dovresti smetterla di lavorare a quel coso, ormai non va più. Risparmieremo e te ne comprerò uno nuovo. -
Devon gli posò una mano umida sulla spalla:
 
- Non capisci bro, ce la devo fare. -
L' uomo sorrise mestamente e andò in camera sua a prepararsi.
Quando uscì, Devon aveva già lasciato l' appartamento per andare a scuola.

Aveva evitato accuratamente, quella mattina, di prendere l' autobus che l' avrebbe portato dritto di fronte a scuola. Aveva bisogno di qualcosa, qualcosa di veramente forte, o non avrebbe sopportato un' altra giornata a studiare.
Al Posto avrebbe trovato sicuramente quel che cercava. Il Posto, non era altro che un vicolo cieco alla periferia della città, vicino a un chiosco di hotdog chiuso da anni. Non aveva un nome, era solo il Posto. Lo frequentava da quando era entrato alle superiori e tutti lo conoscevano, lì.
Era sicuro perchè buio anche di giorno, per via di una serie di pannelli posti in alto, che collegavano un palazzo all' altro, entrambi in rovina.
C' erano un paio di divani sfondati, lanciati in un angolo, una tv rotta dove molti nascondevano la roba se arrivavano gli sbirri, cosa che succedeva di rado.
Quel quartiere, il più malfamato della città, era rischioso anche, o meglio, soprattutto, per i poliziotti in uniforme.
- Hey Devon! -
 Appena arrivato, un ragazzino che avrà avuto due anni in meno di lui, gli si avvicinò, salutandolo con uno scontro amichevole.

- Ciao Thomas. - 
Sorrise apertamente dando una pacca sulla spalla al ragazzo.

Senza dire niente, si allontanarono nella penombra del posto, mentre gli altri li salutavano con cenni del capo.
 

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Capitolo 2
*** La corsa e la scenata. ***


 

Thomas si allontanò per qualche secondo, lasciando le due ragazze da sole.
- Perchè sei qui? -
Chiese Jamie senza preamboli. Sin da piccola, è sempre stata schietta e sincera, anche se questo non è sempre stato un bene e l' ha cacciata in brutte situazioni.
Sentendo lo sguardo curioso della coetanea su di sè, Elizabeth alzò le spalle e disse, dopo aver buttato il mozzicone per terra:
- Mi sono rotta i coglioni. -
La ragazza con la maglietta di Superman rimase un attimo sorpresa nel sentire la compagna parlare così, ma si riprese e aggiunse, con fare quasi inquisitorio:
- Ti sei rotta i coglioni di cosa, esattamente? -
Anche lei si era stufata. Di quei ragazzini viziati con una vita perfetta che si lamentavano di problemi insulsi e credevano sempre di essere i più disastrati del mondo. La facevano infuriare.
- Di quella stronza di mia madre. L' ho detto. -
La ragazza era sull' orlo del pianto, ma ricacciò indietro le lacrime con una tenacia stupefacente almeno quanto ciò che aveva appena fumato.
- La odio. Vuole sempre di più, non si accontenta mai. La pressione che mi metteva mi ha portato a lunghi periodi di depressione e...-
Lo sguardo di Jamie venne attirato dalle braccia esili della ragazza e per la prima volta, senza la copertura degli occhiali, notò un volto scavato, triste, quasi rassegnato.
Sembrava che non avesse mangiato da giorni, e per la prima volta, Jamie ebbe paura.
Era debolissima e aveva appena fumato la prima canna della sua vita. Avrebbe potuto sentirsi veramente male.
Fece sedere nuovamente la bionda sul gradino in cemento, dal quale si era alzata, infervorata dalle rivelazioni che stava facendo.
- Perchè non me ne hai mai parlato? -
Chiese Jamie sedendosi accanto a lei. In realtà sapeva già la risposta. Non l' aveva mai degnata di uno sguardo, mai tentato neanche lontanamente di esserle amica.
La mora strinse la mano della compagna per una frazione di secondo, prima che Thomas tornasse, seguito da un ragazzo più grande, dall' aria sicura.
Avrà avuto diciannove, se non vent' anni e sembrava veramente a proprio agio. La maglietta semplice non celava i pettorali scolpiti che sembravano nascondersi dietro il tessuto nero. Jamie si alzò e gli strinse la mano, presentandosi.
Aveva tanto sentito parlare di quel ragazzo, ma non l' aveva mai conosciuto di persona. A detta di leggende metropolitane, doveva essere veramente una leggenda.
Elizabeth gli riservò un cenno del capo e pronunciò il suo nome a mezza voce come chi, dopo aver scampato un grosso pianto si sente come se ogni parola potesse scaturire nuove lacrime.
Il nuovo arrivato sorrise a entrambe e, dopo essersi girato una canna, l' accese fumando tranquillamente.
Thomas guardava la scena curioso di ciò che sarebbe potuto accadere. Amava creare nuove amicizie.
Come spinto da una legge implicita del Posto, Devon passò il fumo a Jamie che, dopo aver fatto un tiro, guardò l' erba bruciare, all' interno della cartina.
Evitò accuratamente di passarla a Elizabeth che sembrava già persa e la mise invece tra le dita di Thomas.
Si guardarono l' un l' altro e, dopo un paio di giri, Devon se ne uscì dicendo:
- Ho un Volkswagen Transport T2 che non funziona. -
Nessuno gli prestò ascolto tranne Elizabeth che lo guardò curiosa per qualche istante prima di tornare a nascondere la testa tra le ginocchia.

Mezz' ora dopo, il Posto cominciava a svuotarsi. Stavano per iniziare le lezioni ed era un comune martedì primaverile, per cui non c' era nessuna ragione particolare per doverle saltare.
- Vela? -
Propose Thomas con un sorrisetto accattivante.
- Non ho la barca -
Disse Elizabeth in tono poco lucido. Jamie e Devon risero di gusto, e Thomas sorrise aiutandola ad alzarsi, anche se lei non intendeva fare una battuta.
- Devo consegnare la relazione del libro. La scadenza è oggi. -
Nonostante farfugliasse, e incespicasse nelle parole, sembrava sapere quello che diceva.
- Sei ridotta male. Non puoi andare a scuola. -
Osservò Jamie, calma ma autoritaria.
- No, devo! -
Quasi urlò Elizabeth, così decisa che li convinse ad accompagnarla.
La lezione di inglese sarebbe stata alla seconda ora e Jamie, essendo la sua unica compagna di corso a conoscenza dei fatti, l' avrebbe accompagnata. Alla fine dell' ora sarebbero uscite cercando di trovare un modo per farla riprendere.
Lasciarono il Posto, quando la maggior parte dei loro compagni di scuola se n' erano già andati da un pezzo e, probabilmente, la campanella era già suonata segnando l' inizio delle lezioni della prima ora.
Thomas andò a prendere la moto, parcheggiata a un centinaio di metri di distanza, e i tre rimasero fermi all' entrata del vicolo, in silenzio.
Il ragazzo frenò in sgommata e caricarono Elizabeth dietro di lui raccomandandole di tenersi bene. Devon e Jamie avrebbero fatto a piedi la strada fino alla metro che li avrebbe portati poco distante dalla loro scuola.
La moto partì sgommando e Devon e Jamie si trovarono soli.
- Che dicevi, sul furgoncino? -
La buttò lì Jamie, e presto si trovarono a parlare un po' di tutto, di cosa succedeva a scuola, dei professori, di come fosse impossibile immaginare la loro vita sessuale anche se si sospettava che il prof. di Educazione Fisica e l' allenatrice delle cheerleader si dessero da fare negli spogliatoi della palestra, tra una lezione e l' altra.

In qualche modo, dopo circa dieci minuti di camminata si sentirono come se si conoscessero da anni.
Salirono i metropolitana con il sorriso sulla faccia e fecero sedere due vecchiette ai loro posti, stando in piedi senza aggrapparsi alle maniglie o ai tubi. Così, per sfida.
Il ragazzo finì contro una signora piuttosto in carne che prese a urlare in una lingua incomprensibile mentre un Devon piuttosto imbarazzato si scusava sottovoce e Jamie si sbellicava dalle risate. A lei toccò un ragazzo niente male a cui non sembrò dispiacere il contatto con la giovane.
Mentre si girava per tornare dall' amico con un sorriso complice, però, sentì una mano calda posarsi sulle sue natiche, e senza pensarci, si girò caricando una cinquina che stampò in pieno viso allo sconosciuto. Quello rimase esterrefatto per qualche secondo prima di allontanarsi imbarazzato. Fu il turno di Devon di ridere a crepapelle, tenendosi lo stomaco con una mano, e aggrappandosi a un tubo verticale per non cadere fragorosamente sul sudicio pavimento in preda alle convulsioni.
Quando arrivarono alla fermata avevano gli occhi lucidi dalle risate e delle espressioni da ebeti stampate sul volto.

Arrivati a scuola, la scena che gli si parò davanti agli occhi fu epica.
Thomas aveva appena parcheggiato e stava aiutando Elizabeth a scendere, mentre una cheerleader dall' aria infuriata si dirigeva verso di loro, la gonna troppo corta che svolazzava, i lunghi capelli biondi mossi dal leggero venticello, simili ai serpenti di medusa, tanta era la furia che essa emanava.
Vedendola da lontano, Elizabeth si allontanò in fretta da Thomas e, dopo aver rintracciato Jamie e Devon con lo sguardo, andò in quella direzione e si unì agli alunni di mezza scuola che guardavano la scena eccitati, da vari punti del cortile. In fondo, si trattava pur sempre del quarterback e del capo delle cheerleader.
- Chi era quella? -
Asserì in tono acido la biondina che aveva tutta l' aria di essere sul punto di esplodere.
- Calmati, era una mia amica. -
Disse il ragazzo, guardandola con fare quasi indifferente.
Sapeva come sarebbe finita, così le girò le spalle per riporre il casco sotto la sella. L' ochetta alzò la voce, e disse, in tono pungente:
- Ah sì? Come quella troietta di Cooper? -
Mai insultare Jamie davanti a Thomas, mai.
- Cosa hai detto? -
Chiese lentamente Thomas, girandosi col casco in mano, come nelle scene dei film.
- Hai capito benissimo. -
Thomas fece un sorrisetto ironico e, dopo aver rivolto uno sguardo in direzione dei suoi amici, tornò a fissarlo sull' espressione furiosa di lei.
- Chi è che si è scopata mezza squadra di football, lei o... Tu? -
Si sentì un boato provenire dalla piccola folla che assisteva alla scena e Jamie, dopo aver sorriso, disse:
- Così si fa, zio! -
Poi si avvicinò a Elizabeth e le disse, in un orecchio:
- Anche se me ne sono fatti un paio anch' io. -
Scoppiarono a ridere mentre Devon, preso dalla scena, era pronto a intervenire nel caso fosse scoppiata una rissa.
La cheerleader scappò sull' orlo di una crisi isterica seguita dalle amiche, probabilmente diretta ai bagni delle ragazze.
Thomas raggiunse il gruppetto e diede il cinque a Devon che ora alternava sorrisetti complici a risatine.
Le ragazze li salutarono e si diressero allegre verso il portone d' ingresso, dandogli appuntamento all' ora successiva sotto le gradinate del campo da football.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Il ragazzo dai capelli biondi. ***


 

J A K E

Bella famiglia. Bella casa. Bella situazione economica.
Sembra quasi il resoconto di una vita perfetta per un ragazzo della sua età, ma a lui non sembra essere così.
Sono sette figli. Sette. Tantissimi al giorno d' oggi.
Vivono in una villetta a schiera in un quartiere residenziale, conosciuti da tutti, amati da molti.
Jake, in tutto questo, ha avuto la sfortuna di nascere per primo, il più grande di quelli che sono diventati troppi fratelli e sorelle a cui badare.
La colpa era sempre la sua, qualsiasi cosa accadesse, ed era troppo buono per scaricare la responsabilità sui più piccoli.
In realtà, non va d' accordo praticamente con nessuno, all' interno della sua famiglia, a parte Charlie.
Lei è, probabilmente, la bambina più dolce e adorabile sulla faccia della Terra, con i suoi boccoli biondi e gli occhioni azzurri riuscirebbe a intenerire anche Bin Laden.
Gli altri, sono una massa di viziati. Così diversi da Jake. Pensano solo alle cose materiali, alla loro importanza all' interno del nucleo familiare e alle attenzioni che gli si riserva.
Quella mattina erano tutti a tavola a fare colazione, dieci persone, compresa la nonna, che mangiavano chiacchierando del più e del meno, come le famiglie delle pubblicità. Jake mordicchiava annoiato il pane tostato col burro e non ascoltava minimamente la conversazione che trattava sicuramente di qualche nuovo videogioco da installare nell' Home Theatre.

Si alzò per ultimo da tavola, lasciando pieno il suo bicchiere di succo di arancia rossa quando una voce lo chiamò.
- Jake -
Disse Papà allontanando la sedia dal tavolo e raggiungendolo sull' uscio.
- Ti dobbiamo parlare. -
Il ragazzo si limitò a rivolgere un cenno del capo al padre che lo invitò ad accomodarsi in sala, dove la mamma li aspettava seduta elegantemente sul divano di pelle lucida.
- Che succede? -
Chiese con sincera curiosità. Il padre prese posto sul bracciolo, accanto alla Mamma, e i due gli rivolsero uno sguardo strano, che non aveva mai visto.
La Mamma gli prese la mano e lo fece sedere lì vicino.
- Vedi tesoro, tanto tempo fa, quando io e tuo padre c' eravamo appena sposati, non riuscivamo ad avere dei figli. Eppure i medici dicevano che era tutto a posto e che si trattava solo di non pensarci eccessivamente e di aspettare un po'. 
La Mamma si bloccò, come se la sua battuta fosse finita e adesso toccasse a Papà. Jake era certo che avevano provato quella conversazione tante volte prima di decidersi a esporgliela. Tuttavia, era troppo preso a pensare ai suoi esercitandosi davanti allo specchio, in camera loro, per immaginare a cosa portasse quell' introduzione. Il suo cervello era troppo impegnato per fare un paio di calcoli e scoprire ciò che ai suoi genitori premeva tanto fargli sapere.
- Figliolo, noi lo volevamo davvero. Volevamo creare subito la nostra famiglia... -
Ancora non capiva, o forse non voleva capire, perchè nel suo cervello si susseguivano pensieri di ogni tipo. Frazioni della sua infanzia, ricordi annebbiati che si facevano più chiari tutto d' un tratto.
- Ti abbiamo adottato, Jake. -
Il ragazzo sentì come un esplosione, come se la casa fosse appena crollata e le macerie gli impedissero di respirare.
Guardò i genitori incapace di provare niente e poi qualcosa scoppiò veramente, in lui.
- Ora capisco. Capisco tutto. Voi non siete altro che due egoisti che pensano solo al proprio interesse. Ho i capelli biondi e gli occhi azzurri come voi. Una coincidenza, vero? Non credo proprio, era tutto calcolato, tutti dovevano complimentarsi con voi per la nascita del nuovo figlio. E chissà quante feste avrete fatto, quanti amici e parenti vi avranno stretto la mano! -
Si bloccò, gli occhi traboccanti d lacrime. Si era alzato, nel frattempo, indietreggiando per allontanarsi da quelle persone che da un momento all' altro, aveva iniziato a odiare.
- Per diciassette lunghi anni voi avete nascosto tutto questo, senza dirmi niente sulle mie origini. -
Stava urlando, adesso e i suoi fratelli, pronti per andare a scuola, erano venuti a vedere cosa succedeva insieme alla tata che taneva in braccio Charlie che, indicando il fratello, sussurrava: - Bako... -
Lo chiamava così da quando aveva cominciato a parlare, e a Jake piaceva veramente quel nome.
La piccola folla attirò l' attenzione del biondino che, girandosi verso i genitori adottivi disse:
- Mi fate schifo. -
Uscì dalla stanza e, dopo aver recuperato il pacchetto di Marlboro Gold e il cellulare lasciò l' abitazione.

Correva veloce per le strade del centro, le ruote dello skate sull' asfalto, ignorando ciò che accadeva intorno a lui. Raggiunse la scuola quando la campana della seconda ora era appena suonata e i compagni tornavano nelle classi per le lezioni successive.
Senza esitazioni, raggiunse il campo da football e, stando attento a non farsi vedere dal coach e da qualche compagno di squadra, s' infilò sotto le tribune degli spettatori, sedendosi su un blocco di cemento che, per quanto ne sapeva, era lì da sempre.
Aprì il pacchetto di sigarette, se ne infilò una in bocca e l' accese.
La nicotina cominciò a fare effetto e lui si calmò, nonostante le sue mani continuassero a tremare. Fece ancora qualche tiro, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi a pensieri dolorosi.
 

 
 

Thomas e Devon camminavano per il cortile della scuola chiacchierando e ridendo al pensiero della faccia infuriata della cheerleader quando Thomas le ha detto quelle cose.
- E' stato memorabile, amico! -
Disse Devon cercando di trattenere l' ennesimo attacco di risate.
Arrivarono al campo da football mentre il coach Carson allenava alcuni giocatori per la partita che si sarebbe disputata la settimana successiva: un' amichevole contro una squadretta da quattro soldi del Michigan.
Thomas tirò Devon per un braccio dietro le tribune prima che l' allenatore potesse vederli e si giustificò dicendo:
- Se il coach mi vede qui sono morto. Ieri mi ha chiamato e gli ho detto che stavo male e che sarei mancato per qualche giorno, ma non credo che se la sia bevuta. -
L' amico gli fece segno d' aver capito, anche se la sua attenzione sembrava essere attirata da qualcosa oltre la spalla di Thomas.
Il ragazzo si girò e vide un suo coetaneo seduto con la testa tra le mani e una sigaretta in bocca, che riconobbe subito come Jake.
- Hei Jake! -
Thomas quasi urlò, ma per fortuna le cheerleader, con i loro urletti fastidiosi, coprirono il rumore. In compenso, Devon gli tirò una gomitata nelle costole per zittirlo.
Il ragazzo alzò la testa spaventato, mostrando un' espressione rassicurata quando vide che a chiamarlo era stato il suo compagno di squadra.
- Non si fuma in solitudine, bro! -
Disse Thomas e raggiunse l' amico che, conoscendo le sue intenzioni, tirò fuori il pacchetto e lo aprì offrendone una a lui e al ragazzo dalla maglietta nera che conosceva solo di vista.
- Che ti succede? -
Chiese Thomas notando l' espressione triste dell' amico.
- Sono stato adottato. -
Disse senza preamboli. Thomas rimase a bocca aperta per cinque secondi buoni e a Devon cadde la sigaretta per terra, seguita da un' imprecazione.
Anche lui sapeva che Jake proveniva da una famiglia benestante della città, e non si sarebbe mai immaginato una cosa del genere.
- Vieni qui bro. -
Disse Devon a braccia aperte. Il ragazzo lo abbracciò sentendosi confortato dal supporto di Devon, che lo stava consolando nonostante si conoscessero appena.
In seguito abbracciò anche Thomas, felice di aver trovato degli amici così speciali.
Finirono il pacchetto e, nel giro di un' ora, Jake aveva raccontato tutto ai compagni che avevano ascoltato la storia assorti, riconoscendo alcune tristi parti nella loro vita passata.
Adesso Jake si sentiva meglio, ma voleva assolutamente trovare i suoi genitori naturali, sempre che fossero ancora vivi.
Poco dopo arrivarono le ragazze che portarono un po' di gioia a quei maschi dall' aria depressa.
Jamie saluto Jake sbattendo delicatamente il pugno sul suo e lui le sorrise. Dopo aver fatto le dovute presentazioni (Elizabeth, Jake. Jake, Elizabeth) le ragazze si sedettero sul terreno secco e Jamie raccontò loro cos' era successo a scuola.
- Siamo arrivate in classe in orario e abbiamo preso posto negli ultimi banchi. Il prof. non ha alzato lo sguardo dal libro di letteratura per tutta la lezione e Elizabeth è riuscita ad arrivare fino alla cattedra senza barcollare, vero Ellie? -
La ragazza sorrise apertamente.
- Aspetta un secondo, perchè avrebbe dovuto barcollare? -
Chiese Jake sorridendo di rimando.
- Ero fatta come un unicorno che vomita arcobaleni. -
Tutti scoppiarono in una fragorosa risata che cercarono di contenere per la paura di essere scoperti.
Jamie tirò fuori cartine, filtri e tabacco e incaricò Thomas di insegnare a Elizabeth a girare una 'sigaretta artigianale' come le chiamava di tanto in tanto la zia.
Mentre discutevano di quanto le cheerleader potessero essere fastidiose, l' S3 di Elizabeth cominciò a squillare diffondendo Changes per per la parte sottostante le tribune.
Elizabeth prese il cellulare con tranquillità mentre i ragazzi e Jamie si giravano di scatto e sospiravano, quasi all' unisono:
- Tupac... -
Era come se avessero ricevuto una coperta di pile in una giornata fredda, come se fossero entrati sotto il getto caldo della doccia dopo una giornata stressante, come se avessero mangiato patatine fritte dopo giorni di minestrone.
Ellie, soprannominata così da Jamie, chiuse la telefonata, dicendo che era la madre ma, vedendo le facce deluse dei compagni, mise Changes in riproduzione.
Cantarono insieme quelle rime, emozionati, innamorati, bloccati in un vortice di sensazioni contrastanti. Inebriante condizione da cui non avrebbero mai voluto uscire. Altro che erba, era quella per loro la vera droga.

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Capitolo 4
*** L' esibizione ***


 

Dopo Changes ci furono Dear Mama, California love e Smile, tutte accompagnate dalle voci dei ragazzi che chiacchieravano piano con la rispettosa paura di rovinare quel momento, coprendo col loro parlare le rime del Re.
Ognuno di loro riusciva a dare a quei versi interpretazioni differenti, collegate ai propri ricordi e ai propri pensieri.
Elizabeth raccontò che la musica era l' unica cosa che la madre non era ancora riuscita a controllare della sua vita, grazie anche all' appoggio di Papà che considerava indispensabile una buona cultura musicale che combaciasse con i gusti della figlia.
Devon disse semplicemente che ascoltava rap da quando aveva sentito per la prima volta My name is, di Eminem, anni addietro.
Tutti gli altri avevano scoperto quella passione grazie alle persone del Posto, o della pista da skate, dove qualsiasi artista rap era ben accettato.
Ormai è noto che più ragazzi con gli stessi gusti musicali, incontrandosi, potrebbero parlare per ore e ore di musica e cantanti e così fu anche per loro che, tra una sigaretta e l' altra, quasi non si accorsero della campana che suonava segnando la fine delle lezioni e degli studenti che si riversavano nel cortile.
Pausa pranzo, per gli studenti americani significa nutrirsi col cibo a dir poco vomitevole della mensa scolastica, dove cuoche dall' aria arcigna, fregandosene dei tuoi gusti e delle tue allergie, ti versavano sul vassoio la schifezza del giorno. C' era anche, naturalmente, chi si portava il cibo da casa, ma il pranzo, in quel caso, si limitava a un panino e una mela.
Quando i morsi della fame attanagliarono anche i cinque schiaccini che sostavano sotto le tribune, decisero di andare a farsi un giro alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Solo quando furono arrivati davanti al McDonalds, nel centro commerciale più grande della città si accorsero di non avere in tasca il becco d' un quattrino.

Fu Thomas che, vedendo il palco in allestimento nell' atrio dell' Harvey Shopping Centre, ebbe l' Idea con la I maiuscola.
In realtà era solo un piccolo spazio con un rialzo in legno e una postazione da dj che sarebbe servito sicuramente per qualche festa per bambini.
Si girò verso gli amici con un sorriso da squilibrato stampato sul volto mentre gli altri scuotevano la testa, immaginando cosa volesse fare.
Jake, che non sembrava dispiaciuto all' idea, frugò per un istante nelle tasche dei jeans prima di tirarne fuori una pennina USB che consegnò all' amico dicendo:
- Ci sono un paio di basi. Non sono il massimo, ma andranno bene. -
Elizabeth si girò di scatto e disse spalancando gli occhi:
- Una battaglia di freestyle? Siete matti? -
Devon, che fino a quel momento non aveva espresso il suo parere, sorrise convinto.
- Perchè no? Metteremo il tuo cappello per terra e chiederemo delle offerte. -
Disse come se stesse parlando della cosa più ovvia e ragionevole del mondo. Con questo prese il cappellino new era che fuoriusciva dalla borsa di Ellie, mettendoselo in testa.
- Carino. -
Aggiunse con un sorriso. Elizabeth provò invano a recuperare il suo amato cappellino, ma perse la speranza dopo svariati tentativi sfociati solo e unicamente in imprecazioni.
- Jamie, tu non facevi break dance? -
Chiese Thomas con la fronte corrugata.
La ragazza parve uscire tutto d' un tratto dal mondo dei sogni e, dopo aver esibito un' espressione sorpresa, disse:
- Sì, ma... -
- Niente ma! -
Esclamò Thomas cingendole le spalle con un braccio e conducendola verso il palco.
- No! Io da sola non ballo. -
Disse decisa allontanandosi dall' amico che cercò sostegno nei volti degli altri.
- Ballo anch' io. -
Disse Elizabeth suscitando lo stupore degli amici.
- Cosa c' è? -
Chiese notando le facce perplesse e spiegò che, facendo danza classica, spesso si trovava ad assistere e, in alcuni casi anche a partecipare alle lezioni di hip hop.
- Non sono bravissima, ma qualcosa la so fare. -
A questo punto l' eccitazione cresceva e Thomas stava per mettersi a saltellare per le scale mobili in modalità canguro, da quanto era contento.
Si sedettero su una panchina lì accanto per definire i dettagli della cosa. A quell' ora la vigilanza era in pausa pranzo e non gli avrebbe dato grandi problemi.
- Io metto le basi e voi fate gli Mcing.-
Disse Jake riferendosi al cantate rapper che rima sul beat.
Jamie fece vedere gli ultimi passi a Elizabeth che, avendo grandi capacità di apprendimento, non ci mise molto a imparare la coreografia.
Senza farsi notare troppo, i ragazzi salirono sul palco, mentre le ragazze si sistemavano lì sotto, posizionando il cappello davanti a loro.
Jake indossò le cuffie e la base partì. Devon cantò per primo, rimando in modo favoloso, seguito da Thomas che lo appoggiava.
Le ragazze ricevettero l' attacco da Jake e cominciarono a ballare.
Jamie non aveva mai visto Elizabeth così concentrata, neanche quando, a scuola, eseguiva perfettamente gli esercizi impossibili assegnati dalla professoressa di matematica. La ragazza con la maglietta di superman, intanto, si divertiva, lasciandosi prendere dalla musica, mentre il suo corpo si muoveva senza bisogno di particolari istruzioni.
Jake si rese subito conto che ciò che stavano facendo era diverso da tutte le battaglie di freestyle a cui aveva partecipato, come Mcing o come Dj.
Devon e Thomas erano legati da un' amicizia profonda, che gli impediva di insultarsi a suon di rime, come facevano di solito i rapper. No, loro comunicavano agli altri. Parlavano di loro, del futuro, della società che sembrava regredire, ogni giorno, piegata dalla discriminazione e dalla violenza.
Per la prima volta, quei cinque ragazzi così diversi si sentirono vicini, coinvolti in qualcosa di più grande, più importante di una semplice raccolta di denaro per un panino al McDonalds. I movimenti aggressivi e coinvolgenti delle ragazze, sembravano la personificazione delle parole che i ragazzi pronunciavano.
Lentamente, una piccola folla si radunò lì intorno, volti stupiti nascosti dietro cellulari alzati a filmare ciò che stava succedendo.
L' attenzione di Jake, però, venne attirata da una ragazza che portava dei jeans e una felpa molto larga, nera come i capelli che uscivano dal cappuccio che gettava ombra sul volto della giovane. Si avvicinò a cappello e vi lasciò una banconota. Il ragazzo, cambiando base, non diede tanto peso al valore della banconota, seguì invece la giovane con lo sguardo prima che sparisse dietro l' angolo.

Ultima rima. Ultimo passo. Ultimo pezzo della base che andò affievolendosi fino a spegnersi del tutto.
I ragazzi si inchinarono e gli spettatori lasciarono quello che potevano nel cappello, controllato a occhio da Devon.
Una guardia del centro commerciale svoltò l' angolo, strabuzzando gli occhi alla vista di quei ragazzini che, appropriandosi di uno spazio non loro, avevano attirato l' attenzione di quella folla che, entusiasta, lasciava cadere monete e banconote di piccolo taglio nel cappellino lì davanti.
Cercò di raggiungere al più presto il palco ma, quando riuscì a superare la folla, i ragazzi se n' erano già andati lasciando solo una pennina USB dimenticata sul pavimento.
La guardia, ansimante, lo raccolse con l' intenzione di portarlo, al più presto, all' ufficio del direttore.

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Capitolo 5
*** La ragazza dagli occhi verdi ***


 

A stento si rendevano conto di ciò che avevano appena fatto. Correvano già da un po' separandosi di tanto in tanto in mezzo alla folla per poi rincontrarsi qualche metro più avanti. Non avevano ansia o paura di essere scoperti, ma dei sinceri sorrisi sulle facce.
Devon correva davanti a tutti, il cappello di Elizabeth in mano, l' espressione allegra e spensierata di un tempo, ritrovata in una frazione di secondo grazie a quei quattro pazzi a cui sentiva di essere legato in modo estremamente forte, nonostante li conoscesse da pochissimo.
Con una svolta brusca verso destra, il ragazzo dall maglietta nera uscì dalla massa di persone che si accingevano a mangiare il loro pasto mentre facevano acquisti sicuramente del tutto indispensabili, a loro parere.
Si trovava in una sala vuota, con un grosso cartello con due frecce che indicavano la direzione per i bagni e per le uscite di sicurezza.
Uno ad uno anche i suoi compagni lo raggiunsero col fiatone e l' aria strabiliata di chi ha appena fatto qualcosa di epico.
Incapaci di dare voce alle proprie sensazioni, proseguirono nella direzione indicata dal cartello in caso di incendio, sobbalzando ad ogni rumore ambiguo che potesse segnalare l' arrivo di un addetto alla sicurezza.
Raggiunsero in fretta la scala antincendio, molto più grande di quella della loro scuola, e costruita come una gabbia, dato che le larghe rampe erano circondate da grate in ferro di cui non si conosceva il senso.
Si buttarono sui gradini freddi e Devon, con la mano tremante, consegnò il cappello a Elizabeth che si mise a fare qualche calcolo veloce.
La ragazza, con i capelli biondi mossi dalla brezza leggera, sistemò le banconote in piccole pile, tenendo le monete all' interno del cappello per contarle per ultime. Rimase leggermente sorpresa nel vedere che qualcuno aveva messo banconote da cinque e dieci e dieci dollari, ma il massimo del suo stupore si manifestò nel momento in cui, sul fondo del New Era, vide quello che sembrava essere proprio un pezzo da cinquanta.
Gli altri, troppo occupati a ricordare il momento con frasi ad effetto, non si accorsero della sua faccia a dir poco meravigliata, ma quando Ellie alzò lentamente la banconota, gli sguardi degli altri quattro confluirono in quel punto, piacevolmente stupefatti.
Jake scattò in piedi.
- Era lei! La ragazza con la felpa nera. Ha messo cinquanta dollari. Cinquanta! Da non crederci... -
Si lasciò cadere nuovamente sul gradino, mentre gli altri lo guardavano pensando seriamente che avesse bisogno di un qualche sedativo per bovini prima di internarlo in manicomio.
Elizabeth continuò il conteggio, fino a quando, dopo aver aggiunto alla somma anche il valore dell' ultima moneta, si alzò in piedi esclamando:
- Centosette dollari e ventiquattro centesimi! -
Il sorriso entusiasta sul suo volto era solo un quarto della reazione che ebbero i ragazzi che si misero a saltare per quell' ampio pianerottolo metallico prendendosi a cavallino a vicenda e urlando come dei pazzi. Jamie, dopo aver tirato un colletto piuttosto doloroso, a giudicare dal suono, a Devon, riuscì a ottenere il silenzio e intimò a quelle sottospecie di scimpanzé danzanti di stare zitti se non volevano essere scoperti nel giro di un nanosecondo.
Si sedettero con un sospiro pieno di allegria e speranza, mentre Devon si massaggiava il collo dolorante.

Mangiavano seduti a un tavolino del McDonalds, sorridendo di continuo, incapaci di contenere l' entusiasmo che quell' esperienza gli aveva trasmesso. Ogni tanto, qualcuno di loro raccontava un nuovo particolare e allora Thomas riprendeva a spiegare l' accaduto come se loro non fossero stati lì. L' aveva già fatto cinque volte da quando si erano seduti al tavolo.
Eizabeth lo ascoltava con enorme attenzione ogni singola volta, e Jamie si divertiva nel notare i cambiamenti da una versione all' altra, mano a mano che gli altri aggiungevano dettagli venutigli in mente sul momento.
Si fecero i complimenti e azzannarono i panini come dei dispersi su un' isola deserta che tornano a casa dopo settimane di digiuno. Quei panini, uguali a tutte le altre volte in cui ciascuno di loro aveva mangiato in quel posto, quel giorno sembravano più buoni, arricchiti dal gusto dell' impegno che avevano messo per guadagnarseli.
Jake mangiava silenzioso, assorto nei suoi pensieri. Ogni tanto partecipava alla discussione, ma si trovava sempre a pensare alla ragazza dai capelli neri che aveva lasciato tutto quel denaro. Finirono i panini, le Pepsi e le patatine fritte, rubandosele a vicenda e improvvisando litigate scherzose. E stavano ancora decidendo la sorte dell' ultima patatina rimasta, disputata da Devon e Ellie, quando l' attenzione dell' intero gruppo, compreso Jake, venne attirata da due ragazzini più piccoli di loro che passarono lì accanto fissandoli e sussurrando con tono quasi eccitato:
- Sono proprio loro! -
I ragazzi non ci diedero troppo peso e tornarono alle loro faccende mentre Elizabeth, con un discorso degno di un diplomatico, si conquistava la patatina superstite e la mangiava con gusto, per fare un dispetto a Devon che la guardava con finto odio e un sorrisetto che diceva chiaramente: 'La vendetta di Zeus scenderà su di te'.
L' iPhone di Jamie segnalò un nuovo messaggio che la ragazza lesse velocemente, mentre gli occhi si spalancavano sempre di più.
Sei su youtube!
Lesse la mora, precipitandosi su Safari per controllare. Gliel' aveva scritto una sua amica che non vedeva da un po' ed era impensabile che fosse in vena di scherzi. Troppo eccitata per pensare di dirlo agli altri, quasi ruppe il vetro del telefono cliccando sull' icona di Safari e le scappò un' imprecazione quando si accorse di aver finito i giga internet.
Contemporaneamente, anche il Galaxy next di Thomas vibrò sul tavolino di legno. Vista l' espressione che si dipinse sul volto del ragazzo, anche lui doveva essere stato informato. Lui saltò in piedi e disse, senza pensarci:
- Cazzo ragà siamo su Youtube! -
Jake tirò fuori anche il suo cellulare e, dopo aver ignorato una chiamata persa da colei che un tempo considerava sua madre, entrò su Youtube direttamente dall' applicazione. Cliccò sulla barra di ricerca e digitò velocemente "Esibizione Harvey Shopping Centre".
Primo risultato, oltre cinquecento visite.
Passò il telefono a Jamie che, essendo al centro, fece partire il video.
Erano proprio loro e sicuramente quello non era l' unico video finito in rete, a giudicare da tutte le persone con il cellulare in mano al momento dell' esibizione.
Quando finì, erano tutti abbastanza sconvolti. Da una parte lusingati dalle attenzioni di tutta quella gente nei loro confronti, dall' altra imbarazzati dal fatto che chiunque, compresi i loro familiari, avrebbero potuto vedere ciò che avevano fatto, in orario scolastico, per giunta.
Jake guardò il video sorridendo, ma una volta finito, la sua attenzione si concentrò oltre la vetrata del McDonalds che dava all' atrio superiore del centro commerciale, dove una ragazza con una felpa nera camminava tutta sola, il capo chino e le auricolari nelle orecchie, come un' intrusa in mezzo alla gente frettolosa che assediava i corridoi.

 

 

K A R E N

- Merda! -
Bel modo per iniziare la giornata. Stava bevendo un caffè in cucina quando suo fratello minore, Chris, la travolse mentre andava sullo skate urlando come una scimmia, facendole rovesciare il contenuto bollente della tazza sulla maglietta pulita.
Un attimo, cosa ci faceva quella sottospecie di mostriciattolo sul suo skateboard?
- Chriiis! -
Tuonò la ragazza partendo all' inseguimento e abbandonando la tazza ormai semivuota sul piano della cucina.
Il marmocchio era veloce, con quelle quattro ruote sotto i piedi, molto più di lei ma dato che era troppo impegnato a girarsi ogni due secondi per farle una linguaccia, non sia accorse della libreria, sulla quale si schiantò con un gemito di dolore.
La sorella si riprese bruscamente il suo skate e lo lasciò per terra a massaggiarsi la testa.
Tornò in cucina e cercò di rimediare al danno che quella peste aveva causato, senza avere però un grande successo. Rassegnata, salì in camera sua dove, dopo aver lanciato la maglietta sporca nel cesto della roba da lavare, rovistò nell' armadio alla ricerca di qualcosa da indossare.
Mentre stava per mettere una semplice canottiera bianca, il computer acceso sulla scrivania, segnalò un messaggio di skype.
Ci vediamo al solito posto all' ora di pranzo. Aaron.
La ragazza sorrise. A questo punto non doveva preoccuparsi tanto del vestiario, le bastava qualcosa di nero che la coprisse al punto giusto.
Trovò una vecchia felpa del padre, tutta nera, e la indossò, contenta di tutto il confort che la larghezza dell' indumento le dava.
Karen era proprio bella. Ma non la classica ragazza con i capelli biondi e gli occhi azzurri. No, credo che fosse una bellezza non convenzionale.
Lunghi capelli neri le ricadevano sulle spalle, mossi come il mare in tempesta, lucenti come l' acqua cristallina. Gli occhi verdi incastonati nel suo viso chiaro, sembravano pietre preziose di cui nessun critico sarebbe mai riuscito a valutare il valore.
Viveva in un appartamento nel centro della città. La sua famiglia non era ricchissima, ma il nonno materno aveva lasciato a loro i suoi averi, così da qualche anno a quella parte non se la passavano così male. I suoi andavano a lavorare la mattina presto e tornavano la sera tardi, per questo in casa c' era sempre la baby-sitter che avrebbe dovuto occuparsi di Chris.
Era una ragazza tutta casa e chiesa che Karen odiava. Faceva tanto la moralista quando non sapeva tutto quello che aveva dovuto passare.
Karen, da piccola, aveva avuto gravi problemi legati alla salute e i genitori avevano speso un patrimonio per le cure mediche. Per questo adesso dovevano lavorare così tanto per mantenere la famiglia.
Fino all' età di dodici anni, Karen andava e tornava dall' ospedale continuamente e il fatto di non poter vivere le esperienze di tutti i suoi coetanei, l' ha resa sempre più chiusa nei confronti degli altri, impedendole di intraprendere amicizie durature.
Nessuno è più riuscito a comprenderla, neanche dopo la sua guarigione. I suoi genitori hanno iniziato a chiedersi perchè facesse determinate cose senza capire che la malattia che le aveva impedito di vivere la sua infanzia, aveva lasciato dei segni incancellabili sulla figlia.
Il fatto è che lei era o meglio, faceva la troia. Forse per ricevere attenzioni, o forse semplicemente perchè ne aveva voglia, ma andava con tutti senza farsi grandi problemi.
Era cosciente di ciò che si pensava di lei a scuola, ma non gliene fregava un granché e riversava le sue emozioni negative nell' arte. Era da qualche anno ormai che graffitava in giro per la città e le sue opere erano tra le più apprezzate dai suoi coetanei. Tuttavia, non si è mai messa in mostra, lasciava sempre firme incomprensibili e non si faceva notare. Adesso, però stava lavorando a qualcosa di grande, in un vicolo adiacente all' Harvey Shopping Centre, dove andava quotidianamente ormai da un mese per definire i dettagli di quello che, ne era sicura, sarebbe diventato uno dei graffiti più conosciuti della città.
La parola era semplice: Freedom.
La scrittura era chiara, non articolata come i suoi graffiti precedenti, in modo che tutti potessero capire cosa c' era scritto.
Intorno alla scritta, che sembrava levitare su una nuvola di gas di scarico, c' erano disegni di ogni tipo, grandi ognuno quanto una sua mano, ma perfetti in ogni dettaglio. Era veramente fiera di sè anche se, mano a mano che il graffito cresceva, doveva stare sempre più attenta ai vigili che avrebbero potuto scoprirla in qualsiasi momento.
Per questo c' era Aaron, l' unico suo amico, che conosceva da quando era piccola. Lui, con il suo modo di fare accattivante, riusciva a distogliere l' attenzione dei passanti da quell' anonimo vicolo, mentre l' amica lavorava presa dall' istinto.
Quel giorno, decise di uscire prima di casa, facendo credere a quella rompicoglioni della baby-sitter che stesse andando a scuola.
Il suo amato skate sotto braccio e le bombolette che sbattevano tra di loro all' interno dello zaino rigorosamente nero.
Aspettando l' ora di pranzo, decise di farsi un giro al centro commerciale, per smaltire l' eccitazione dovuta al fatto che il graffito era prossimo alla conclusione.
Il tempo volò mentre, nel negozio di musica, ascoltava 50 cent senza accorgersi dell' ora.
Ormai era giunto il momento di finire il suo capolavoro e attraversò l' atrio decisa a rimboccarsi le maniche, quando la musica di una base rap riempì l' aria sovrastando il vociare della gente.

Adesso camminava per il centro commerciale, decisamente di fretta. Era in ritardo per l' appuntamento con Aaron, ma non aveva resistito alla tentazione di un grosso cono gelato dopo aver visto l' esibizione a dir poco stupefacente di quei ragazzi.
Per un attimo si era sentita quasi gelosa dell' intesa palpabile tra di loro, del loro talento e del loro spirito d' iniziativa. Quest' emozione la trafisse per un secondo, sparendo all' istante come se non fosse mai esistita.
Le basi erano veramente buone e, a giudicare dal suono non proprio perfetto, doveva averle create il ragazzo che faceva il dj. Quel biondino sapeva veramente il fatto suo. Muoveva le mani sul mixer come se stesse accarezzando la musica stessa, facendole prendere la piega che desiderava.
Aveva ancora in testa quelle mani forti che si muovevano ritmicamente, quella maglietta con una stampa colorata, quegli splendidi occhi azzurri che avevano incrociato il suo sguardo per un millesimo di secondo.
Si sentì un stupida. Non poteva fare così ogni volta che vedeva un bel ragazzo, non poteva lasciarsi sempre andare a pensieri poco casti.
Ma questa volta era diverso, per questo aveva lasciato quei cinquanta dollari nel cappellino New Era. Che stupida era stata. Cinquanta dollari per quei cinque ragazzini che facevano le stesse cose di mille altri.
Ormai dentro di lei si svolgeva una battaglia tra le due versioni più estremiste di sè stessa.
La parte più gentile e romantica vinse, trafiggendo la parte sarcastica con una frase che non fece altro che accentuare l' improvvisa infatuazione di Karen per quel biondino: Non sono come tutti gli altri ragazzi che si fingono rapper. Hanno comunicato con la gente, coinvolto tutti in un' espressione di pura verità che l' aveva colpita fino in fondo.









 

Spazio autrice :3
Scusate il ritardo nel postare questo quinto capitolo ma ho avuto un casino di roba da fare per cui non ho potuto scrivere e pubblicare in tempi utili.
Sono felicissima di tutte queste recensioni positive, siete dolcissimi.
Probabilmente questo capitolo sarà pieno di errori di distrazione ma mi sto addormentando in piedi per cui perdonatemi ç.ç
Un bacione a tutti quelli che sono arrivati fin qui,
-L 

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Capitolo 6
*** Freedom ***


 

Il Centro Commerciale all' ora di punta è sconsigliato a chiunque non abbia una pazienza a prova di shopping in periodo di saldi.
Beh, Jake era una di quelle persone e anche se non osava avvicinarsi minimamente ai negozi, tutta quella frenesia lo rendeva piuttosto nervoso.
Tutte quelle famigliole così fottutamente rumorose gli impedivano di vedere il suo obbiettivo.
Si sentiva un po' uno stalker ma non gli importava. Continuava a seguire quella figura incappucciata cercando inutilmente di non perderla di vista ogni volta che girava un angolo.
Aveva liquidato gli altri dicendo che andava al bagno e che li avrebbe raggiunti in seguito.
Passava inosservato e si infilava tra la gente con agilità, incurante delle urla che gli rivolgevano quando faceva cadere qualcosa o urtava qualcuno. Se ne fregava e andava avanti.
All' uscita del Centro Commerciale, l' aria fresca gli sembrò quasi un miracolo della natura. Inspirò a pieni polmoni e, stando attento a non avvicinarsi troppo, continuò a seguire la ragazza dai capelli neri.

Giunta al vicolo, Aaron non era ancora arrivato. Se lo aspettava. Nell' ultimo periodo sembrava sempre distratto, fin troppo, ma non parlava mai dei suo problemi.
Karen si poggiò a un' auto semi distrutta lì vicino e ammirò la sua opera. Ad ogni dettaglio in cui si soffermava, le venivano nuove idee e l' ispirazione cresceva facendole tremare le mani, incapaci di stare ferme, come se fossero attratte dalle bombolette all' interno dello zaino.
Decise di fregarsene della gente e di iniziare senza Aaron.
Si mise le cuffie sulle orecchie e mentre When I' m gone rimbombava nel suo condotto uditivo, prese ad aggiungere minuscoli particolari a quell' opera che sarebbe potuta apparire già perfetta.

La ragazza svoltò l' angolo lasciando Jake incerto sul da farsi.
Se avesse svoltato l' angolo a sua volta, avrebbe rischiato di essere scoperto perchè, per quanto ne sapeva quello era un vicolo cieco.
Ma se si stesse sbagliando? Se in realtà fosse stato un vicolo che collegava le due vie principali?
Si poggiò al muro e chiuse gli occhi, soprappensiero. Cosa diavolo stava facendo? Non sapeva neanche lui perchè avesse seguito quella ragazza fin lì. Aveva messo cinquanta dollari nel loro cappello. Perchè l' aveva fatto? Non aveva l' aria di una che ha i soldi come la merda.
E anche se fosse riuscito a parlarci cosa avrebbe ottenuto? Esattamente niente.
Azzardò un' occhiata oltre l' angolo e fece in tempo solo a vederla di sfuggita prima di tornare alla sua posizione precedente.
Quando guardò un' altra volta, lei era sparita dal suo campo visivo.
Fu allora che, pensando di aver perso ogni possibilità di incontrarla, svoltò l' angolo trovandosi sovrastato da un graffito enorme, più bello di tutti quelli che facevano i suoi amici, pieno di un unico significato, che veniva espresso tramite figure diversissime tra loro che lo rendevano unico.
E lei era lì. Un pennarello in mano che definiva i bordi della 'M' di Freedom.
Non sembrava averlo notato e, avendo le cuffie, non doveva aver sentito i suoi passi.
Jake rimase a bocca aperta per qualche minuto prima di raggiungere il relitto di un' automobile dietro la ragazza e sparirvici dietro.

Le sue mani, ormai, si muovevano da sole lasciando segni leggeri ma precisi sul graffito.
Le rime di Eminem nelle orecchie, il pennarello in mano. Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Quando, finita la canzone, iniziò The real Slim Shady, si tolse le cuffie, conscia che quella canzone, col suo ritmo travolgente, l' avrebbe distratta proprio nel momento in cui aveva bisogno di tutta la concentrazione.
Si trattava di definire meglio l' ombra della scritta che, tuttavia, doveva rimanere leggera.
Si passò il dorso della mano sulla fronte e prese dal suo zaino la bottiglietta d' acqua diventata ormai tiepida.
C' era davvero caldo a quell' ora del giorno, quando il sole era alto nel cielo e i gas di scarico delle macchine dei lavoratori in pausa pranzo appestavano l' aria col loro tanfo micidiale.
Stava per tornare al lavoro quando un rumore improvviso dietro di lei la fece sussultare facendole cadere la bottiglietta dalle mani.
Karen impallidì diventando ancora più bianca del solito e si girò lentamente verso la fonte del rumore.
Dietro la macchina distrutta c' era un ragazzo più o meno della sua età che non riusciva a riconoscere da dietro i vetri appannati dell' auto.
Lui, rendendosi conto di essere stato scoperto, uscì dal suo nascondiglio e fu allora che Karen si rese conto che quello era lo stesso beatmaker che faceva il dj durante l' esibizione di poco prima.
- Che ci fai qui? -
Chiese lei in modo più aggressivo di quanto volesse.
- Ehm... Io... -
Gli occhi verdi di Karen erano fissi su quelli del ragazzo che a quel punto abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzato.
- Io sono Karen. -
Disse lei tendendogli la mano, un po' per rimediare al tono secco di poco prima, un po' perchè quel ragazzo la incuriosiva davvero.
- Jake, piacere. -
Disse il biondino sfoderando un sorriso a trentadue denti, come se quel momento di imbarazzo non fosse mai esistito.
Anche lei sorrise, abbassando lo sguardo a sua volta.
Era strano, non si era mai comportata così con un ragazzo. Di solito si faceva notare, prendeva l' iniziativa e puntava sempre alla stessa cosa, ma adesso... Era come se lo sguardo di quel ragazzo riuscisse a privarla di tutta la sua sicurezza, come se quegli occhi azzurri potessero vedere oltre la maschera che si era creata negli anni per affrontare una società che non la voleva accettare per com' era veramente.

- Dov' è finito quell' idiota? -
Asserì Jamie mentre Thomas tentava, per l' ennesima volta di raggiungere Jake al cellulare.
Era sparito da una mezz' ora buona e a meno che non fosse stato colpito da un attacco di diarrea doveva essersi messo nei guai.
Avevano già setacciato tutto il centro commerciale alla ricerca del biondino di cui, chiaramente, non c' era ombra.
Dopo aver constatato che Jake non era neanche nell' ufficio degli oggetti smarriti Devon decise saggiamente di lasciare il centro commerciale dicendo che, sicuramente, li avrebbe contattati non appena gli fosse stato possibile.
Lasciarono l' Harvey Shopping Centre qualche minuto dopo, senza una meta precisa, giusto per allontanarsi da tutto quel casino.
Fecero giusto una cinquantina di metri prima di sentire la voce di Jake risuonare per le mura di un vicoletto lì vicino.
Si avvicinarono e lo trovarono impegnato in una conversazione con una ragazza dai capelli neri che stava definendo l' ombra di un graffito a dir poco stupendo.
Rimasero tutti a bocca aperta e Thomas, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quell' opera d' arte, se ne uscì dicendo:
- Minchia! -
La ragazza sussultò per la seconda volta da quando era arrivata lì e rivolse uno sguardo allarmato verso il gruppetto che stava entrando nel vicolo.
Riuscì a rilassarsi solo una volta che ebbe compreso che quelli erano amici di Jake, del tutto innocui.
Dopo aver presentato Karen al resto del gruppo, Jake si fece dare la roba da Thomas e si girò una canna stando attento a non far cadere l' erba sull' asfalto sudicio di quel posto.
Intanto Jamie tirò fuori il pacchetto di Pall Mall rosse e le offrì a tutti stupendosi quando Karen la rifiutò.
- Sei una delle poche in quest' ambiente che non fuma. -
Osservò Elizabeth guardandola come se fosse appena uscita da un frullatore gigante.
Karen le sorrise apertamente mostrando una fila di denti perfetti e disse:
- Già, non mi piacciono le sigarette. Però se mi passate un po' di quella roba mi fareste felice.-
Aggiunse indicando la canna quasi pronta nelle mani di Jake.
Scoppiarono tutti a ridere e tornarono ad ammirare il graffito.
- L' hai fatto tutto da sola? -
Chiese Devon avvicinandosi al muro per analizzare meglio i particolari e annusare l' odore di bomboletta fresca che gli piaceva tanto.
- Sì, ci lavoro da un mese più o meno. -
Disse Karen mentre il sorriso sul suo volto diventava sempre più lucente.
Devon tornò indietro e guardò di nuovo il disegno nel suo insieme.
- Bellissimo, complimenti. -
Aggiunse serio.
Karen arrossì e gli altri le sorrisero come per dimostrare che concordavano con ciò che era stato appena detto.
- Grazie. -
Disse sfoderando uno dei suoi splendidi sorrisi.
Si sedettero per terra, dietro la macchina, fregandosene della polvere sul terreno.
- Ho visto la vostra esibizione all' Harvey. -
Disse Karen senza un motivo particolare, dopo aver fatto un tiro.
Passò la canna a Thomas e aggiunse:
- Cazzo siete bravissimi! -
Scoppiarono tutti a ridere un po' per quel complimento un po' perchè cominciavano a sentirsi più leggeri.
- Insomma quanto ci avete messo a provarlo perchè uscisse così? -
La risata, che nel frattempo si era affievolita scoppiò un' altra volta, ancora più fragorosa e aperta della precedente.
Karen si guardò in giro stupefatta della reazione che aveva provocato e cominciava a sentirsi esclusa perchè comprendeva che c' era qualcosa che lei non sapeva.
Jamie le mise una mano sulla spalla, come se fosse un' amica di vecchia data e le disse, con le lacrime agli occhi:
- Era tutta improvvisazione. -
Thomas cercò di fermare le risate per qualche istante e aggiunse:
- Sai com' è, non avevamo i soldi per il pranzo. -
Karen li guardò con gli occhi spalancati per dieci secondi buoni prima di scoppiare a ridere insieme a loro.

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