La quiete prima della tempesta

di Sunbreathe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo settembre 2022 ***
Capitolo 2: *** Primo settembre 2022, ancora. ***
Capitolo 3: *** Piani vani e disastri inattesi. ***
Capitolo 4: *** Colpa del premestruo. ***
Capitolo 5: *** Luce, buio. ***



Capitolo 1
*** Primo settembre 2022 ***


Primo settembre 2022.
 
 
-
 
I capelli bruni gli ricadevano sulla fronte disordinatamente, ignorando qualsiasi sforzo di riordinarli, e gli nascondevano le sopracciglia marcate e le ciglia spesse, ogni tanto anche gli occhi nocciola, che osservavano curiosi il lungo corridoio affollato. Il rumore dei suoi passi, il battito ansioso del suo cuore occupavano il rumoroso silenzio e coprivano il chiacchiericcio, ma probabilmente era la sua immaginazione, oppure l’ansia.
Le spalle larghe, la schiena diritta, tentava di camminare in maniera diritta, ma quello non era uno dei numerosi corridoi di Hogwarts e, per quanto fosse un irrimediabile sbruffone, essere lì, circondato da persone adulte e senza la minima traccia di spirito ironico, lo metteva in soggezione.
Sentiva lo sguardo di alcuni degli impiegati bruciargli la pelle, le mani, il viso, si sentiva quasi corroso, sotto gli occhi di tutti, nudo.
Nudo.
Ironico il fatto che ‘nudo’, ad Hogwarts così come a casa, era il suo abbigliamento preferito.
Ma lì, al Ministero, con gli occhi di pietra di Harry Potter, Ron Weasley ed Hermione Granger che avevano sostituito la statua costruita durante la Seconda Guerra Magica che lo seguivano e con le aspettative dell’intero mondo magico che gli gravavano pesantemente sulle spalle, beh, non si sentiva esattamente a suo agio.

-Non vi accompagno alla stazione, vado al Ministero ad iscrivermi all’Addestramento.-
-Vuoi che ti accompagni?-
-Meglio ritornare a studiare gli Schiopodi Sparacoda con Hagrid.-


Doveva aggiungere alla lista delle cose da non fare il ‘declinare sgradevoli e imbarazzanti inviti dei propri genitori’. Probabilmente essere affiancato dal viso conosciuto di suo padre avrebbe evitato tutti quegli sguardi. O probabilmente li avrebbe aumentati?
Sua madre sarebbe andata bene. Forse.
No. Dopo cinque minuti avrebbero iniziato a chiederle autografi e si sarebbe ritrovato sommerso da fans, giornalisti e amici di troppo.
Una ragazza gli arriva accanto, superandolo di qualche secondo, indirizzata anche lei all’ascensore. Perso com’era nei suoi pensieri da homo novus (che poi tanto ‘homo novus’ non era. A meno che non si considerasse ‘homo novus tra i suoi fratelli’ ovvio), non si era accorto di essersi bloccato con un piede in avanti, immobile, nella folla. Ripresosi aveva avanzato il passo e si era decisamente ‘lanciato’ nell’ascensore, che, per pura –come si dice in maniera fine?- botta di culo, si era chiuso precisamente cinque nanosecondi dopo con un pericoloso crack. Curvo ancora in avanti e con le mani poggiate sulle ginocchia, per non sembrare troppo indecente decide di raddrizzarsi, portando velocemente le mani al collo a raddrizzare la cravatta scura sul petto, aprendo le labbra in un sorriso affascinante che considerava abbastanza ‘professionale’, assumendo l’aria di uno che aveva programmato tutto, entrata scenica e cravatta allentata comprese.
E di nuovo, per l’ennesima volta, come sempre, lo sguardo dei molti impiegati rinchiusi in quell’ascensore come tonno in scatola premevano sul suo viso carichi di aspettative e appena scettici.
Maledizione’ si era ritrovato a pensare, rassicurando con lo sguardo chiunque incrociasse con i suoi occhi, il sorriso sghembo che sarebbe rimasto lì sul viso per tutti i secoli dei secoli.. fin quando non sarebbe sceso dall’ascensore, almeno.
-James Sirius Potter.-
La voce era arrivata dall’angolo dell’ascensore esattamente dietro di lui, limpida e tagliente, precisa e lenta. Come una freccia infuocata, aveva colpito il cervello del ragazzo, azzerandogli i neuroni, bruciandoli uno per uno.

-Ormai dovrei essere abituata alle tue entrate poco convenzionali.-
James si era ritrovato ad alzare il mento pericolosamente, le sopracciglia spesse corrucciate dietro i capelli e gli occhi che fissavano la parete del corridoio con una luce pericolosamente nervosa negli occhi. Si affretta a nascondere il nervosismo, dietro un velo di poi non così finta sorpresa, gira sui talloni lentamente, ostacolato anche dalla massa di persone che premevano le une contro le altre per racimolare un po’ di spazio. Una volta girato completamente, preme i talloni con forza sul pavimento, tanto che si sarebbe potuto formare un buco, aveva lo sguardo basso, fisso sul legno lucido, alza lo sguardo lentamente, analizzando le caviglie magre e il tailleur blu notte e poi puntando gli occhi nei suoi.
Senza neanche volerlo, il figlio maggiore dei Potter sorrideva, in quella maniera assurdamente accattivante per un da poco diciottenne che, per quella mattinata, aveva deciso, invano, di abbandonare.

 
-




Rose Weasley aveva la testa piena di Nargilli.
Lysander Scamander ne era sicuro al cento per cento, anche se era imbarazzato a parlarne con Lorcan.
Il suo gemello diceva che la sua ossessione per quella ragazza era decisamente malsana, ma era mica colpa sua se voleva salvare tutti?
Gli faceva quasi pietà, Rose, sempre con un libro stretto al petto e con tutti quei Nargilli che le nascondevano l’esistenza dei Nargilli. Una teoria stramba e un po’ in antitesi ma.. Lysander ne era fermamente convinto.
Troppo a contatto con la madre, comunque.
Bella intelligenza non sfruttata.
Accanto alla madre, il giovane Scamander, osservava i capelli ricci della ragazza, tenuti in alto, lontani da collo pallido, stretti dalla bacchetta, e contava le pallide lentiggini che si sistemavano in maniera omogenea sul tutto il viso: qualche volta avrebbe dovuto provare ad unire tutti quei puntini con l’inchiostro, per vedere quale forma nascondevano. Sicuramente qualcosa di bello.
Avvertiva lo sguardo di suoi fratello gemello che seguiva la sua traiettoria, poteva immaginare il sorriso divertito di Lorcan, il naso appena arricciato, gli angoli delle labbra verticalmente verso l’alto.
-Il mio interesse verso di lei è puramente professionale.-
Si era ritrovato a giustificare, per l’ennesima volta dall’inizio di quell’estate, mentre le guance gli bruciavano di imbarazzo. Gli occhi della Weasley gli si piantano nei suoi e, fingendosi distratto e indifferente, si volta verso il fratello, continuando poi a parlare velocemente e senza interruzione, elencando i motivi per cui Rose Jean Weasley gli interessava ‘professionalmente’.
-E’ l’unica della famiglia Weasley che non abbiamo convertito al nostro credo!-
Esclama accalorandosi ancora di più, alzando le braccia in gesti teatrali, cercando di sotterrare con le parole il ghigno immobile del suo gemello, che non ribatteva e si limitava a ridacchiare come una iena. Si, una brutta, stupida, iena. Iena. Iena. IENA.
Continua a parlare e parlare, fiumi di parole che scorrono velocemente dalle sue labbra, in piena, spesso senza senso. Il fischio del treno copre l’ultima frase, tra l’altro quella che Lysander riteneva più importante e che recitava più o meno:
-E, comunque, non potrei MAI essere interessato sentimentalmente a qualcuno che non crede in quel che credo io e, soprattutto, che mette in dubbio qualsiasi cosa esca dalla mia bocca o da quella di mia madre!-
Ovviamente, dopo il fischio, aveva ripetuto la frase per farsi sentire dal gemello, con una voce decisamente un’ottava più acuta del normale, ma l’unico interlocutore era stata la nuca coperta dalla zazzera di capelli biondo sporco di suo fratello.
Con un sospiro, Lysander Scamander aveva lasciato un bacio sulla guancia della madre e aveva trascinato il baule dietro la figura di Lorcan, il rumore stridulo e insopportabile che non gli permetteva di pensare ad altre possibili giustificazioni con cui assillare il fratello per tutto il lungo viaggio verso Hogwarts.

 
-



-Lysander Scamander non smette di guardarti.-
Molly Weasley aveva pronunciato quelle parole mentre tirava i capelli scuri dietro le orecchie più piccole del normale, osservando la cugina con le sopracciglia inarcate in una domanda silenziosa, cui lo sguardo perplesso di Rose non aveva risposto.
Rose aveva indirizzato velocemente gli occhi blu nella direzione del ragazzo, ma poi era ritornata altrettanto velocemente a parlare con Molly, Lucy e le altre cugine, con una voce più sottile e acuta del normale e le orecchie improvvisamente rosse come il fuoco, come i suoi capelli. Ignorando totalmente il sopracciglio chiaro inarcato di Lily, aveva iniziato a parlare a voce decisamente troppo alta di come fosse stata contenta di ricevere la spilla di Caposcuola e di come non avrebbe chiuso un occhio, tanto meno due, sulle infrazioni delle regole.
Soprattutto se ad infrangerle erano i suoi cugini o, PEGGIO, suo fratello.
-Indirizzerò una squadra di prefetti davanti alle cucine.- Aveva intimato, socchiudendo gli occhi, abbassando volontariamente la voce, in modo che la sentissero solo le cugine e che quel commento non arrivasse ad orecchie indiscrete. Soprattutto alle orecchie indiscrete di Hugo. –Ho a cura la dieta di mio fratello.-

Il fischio del treno l’aveva salvata dal suo vaneggiare, ancora più velocemente aveva salutato tutti i suoi familiari e parenti annessi e aveva raccomandato sua zia Ginny di dare un ‘caloroso e appiccicoso irritante bacio sulla guancia’ al suo amato Jamie. Quindi aveva fatto dietro-front e, con la scusa di dover raggiungere il vagone dei Caposcuola il più presto possibile, molto molto velocemente si era eclissata agli occhi di tutti, i bagagli che le levitavano alle spalle ordinatamente.


 
-
 
 
-Malfoy.-
Lo scompartimento si era aperto e gli occhi verdi del suo migliore amico avevano brillato in un sorriso.
Scorpius non aveva neanche alzato lo sguardo sul ‘nuovo arrivato’, si era limitato ad abbassare lentamente le gambe dal divanetto polveroso del treno, poggiando i piedi per terra e a raddrizzare la schiena, poggiando la testa all’indietro, gli occhi chiusi e le labbra pallide incurvate in un sorriso.
-Potter.-
Si era limitato a pronunciare, quindi aveva alzato lo sguardo, finalmente, sul ragazzo, che nel frattempo si era sistemato sul divanetto di fronte a lui, godendosi dello spazio vuoto che dopo neanche cinque minuti di assoluto silenzio era stato riempito dalla figura imponente di Dave Zabini, che aveva poggiato i suoi enormi e scuri piedi sul divanetto di fronte a lui, occupando il posto libero accanto al biondo. Nonostante Dave deliziasse continuamente tutti con i suoi monologhi saturi di complimenti che tendevano solo a gonfiare sempre di più il suo ego (Albus e Scorpius aspettavano ancora il giorno in cui sarebbe volato via come una enorme mongolfiera con due occhi e una bocca), quel giorno tutte le conversazioni che solitamente riempivano la noia del lungo viaggio del treno sembravano attutite da un rumoroso silenzio.
Albus aveva corrucciato le sopracciglia dritte quasi immediatamente, lasciando che due piccole rughe si formassero poco più sopra del naso, quindi aveva alzato lentamente le spalle, gonfiando piano il petto, iniziando a prendere un lungo respiro per inaugurare i discorsi con una domanda che andava alla ricerca di una spiegazione decente sul motivo di quel silenzio quando un boato così forte da far tremare i vetri dello scompartimento lo fa bloccare, i polmoni ancora pieni di quel respiro.
-SCORPIUS HYPERION MALFOY-
La voce di Lily Luna Potter, almeno dieci volte più alta del normale, rimbombava dalla fine del corridoio. Albus riusciva a percepire, solo analizzando la rabbia nel tono e l’acuto urlo della sorella, che un uragano non sarebbe bastato a descrivere la furia che sarebbe precipitata a momenti nello scompartimento dei tre giovani Serpeverde.
Con un sospiro, Albus soffia via l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento.
Si, aveva ragione.
Quella era la quiete prima della tempesta.

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Capitolo 2
*** Primo settembre 2022, ancora. ***


Primo settembre 2022, ancora.


Quando le prime voci erano arrivate allo scompartimento, le lentiggini di Hugo Weasley erano diventate così bianche da essere un tutt’uno con la sua carnagione pallida, mentre Louis e Frank si erano rivolti uno sguardo eloquente, inarcando entrambe le sopracciglia, senza nascondere una smorfia sulle labbra che andava dal disappunto allo spavento. Fortunatamente tre vagoni dopo quello di Lily Luna Potter, non avrebbero subito la furia della quindicenne, ma di sicuro gli effetti collaterali (broncio, carattere da premestruo, irascibilità continua..) li avrebbero perseguitati per tutta la settimana.
Louis si sentì profondamente grato al Cappello Parlante per non essere finito in Grifondoro.
Frank Paciock aveva appena spalancato le labbra, pronto a chiedere una Cioccorna al suo amico dai capelli rossi, quando la porta della scompartimento si era improvvisamente spalancata di scatto, con un rumore degno di una smaterializzazione congiunta. Inizialmente, reduci dalle voci sull’ira funesta della Potter, tutti e tre i componenti avevano raddrizzato la schiena e si erano letteralmente schiacciati contro la pelle dei divanetti comodi, come a voler diventare parte dell’arredamento, tuttavia quando riconobbero dei capelli castani, al posto di quelli rossi, rilassarono la schiena.
Lucy Weasley era sulla porta, immobile, la mano ancora poggiata sull’uscio, mentre osservava con un’espressione quasi vuota la finestra che mostrava velocemente i paesaggi circostanti, una mutanda a pois tra i capelli, guance e mani sporche di fuliggine.
-Qualcuno ha fatto esplodere il suo borsone.-
Aveva commentato con voce atona, muovendo finalmente un passo in avanti e chiudendosi alle spalle la porta, sempre con un rumoraccio. Si blocca ancora, abbassando le spalle lentamente, poggia lo sguardo prima negli occhi castani di Frank, poi in quelli celesti di Louis e, infine, in quelli blu profondo di Hugo. Si perde ad inseguire i suoi pensieri per un attimo, ma poi riprende, con un’espressione così sconvolta in viso che la diceva lunga sulle condizioni dello scompartimento di Lily Luna Potter, da cui –tutti avevano capito- era appena arrivata.
-C’era anche il poster autografato delle Stravagarie.-
Detto questo, in maniera –bisogna dirlo- molto tragica, si lascia cadere di peso sul posto vuoto accanto ad Hugo, con un rumoroso sospiro.
Quello sarebbe stato il primo settembre più lungo di tutti i tempi.




-


Molly Weasley aveva il naso all’insù e un’espressione oltraggiata sulle labbra e negli occhi, mentre camminava –finalmente lontana dalle orecchie indiscrete- accanto a sua cugina Roxanne, che in realtà voleva, in quel momento, essere dappertutto tranne lì, accanto alla pignola cugina.
-Non capisco perché il ruolo da Caposcuola sia andato a Rose e non a me. –
L’argomento di discussione era stato ripreso così tante volte dalla ragazza durante il mese estivo che distanziava l’arrivo della lettera al viaggio in treno che Roxanne ne aveva –scusate il francesismo- le oviaie piene. Non si era mai interessata particolarmente alla scuola, probabilmente troppo indaffarata a mantenere la sua reputazione da combina guai cronica oppure semplicemente troppo impegnata a tenere a bada i suoi capelli, quindi non comprendeva tutta quella competitività che si era creata tra i due piccoli geni di famiglia.
-Insomma, mi aspettavo che dopo il ruolo di prefetto, automaticamente avrei ricevuto la spilla! Invece no. Ovviamente ci devono sempre essere favoritismi in questa scuola.-
Roxanne aveva alzato gli occhi al cielo, ma era rimasta in silenzio, provando a non intervenire.
Molly arrabbiata era persino peggio di Lily.
Iniziava a blaterale in un linguaggio perfettamente ministeriale di cui non comprendeva neanche mezza parola e una volta-dopo un intero discorso di circa mezz’ora urlato in una voce stridula che nemmeno una Banshee riuscirebbe a produrre-Roxanne si era esibita in un confuso ‘Eh?’ che aveva fatto sbraitare la cugina solo ancora di più. E-sul serio-non era proprio il caso.
Ne bastava una di cugina arrabbiata.
E Lily valeva per dieci.
-Roxanne? Roxanne? Roxanne mi senti?-
In quel preciso istante, un ragazzo era decisamente apparso dal nulla di fronte le due cugine, i capelli biondo sporco spettinati, la camicia di Hogwarts già indossata, un sorriso sbilenco a incurvagli le labbra e un paio di occhiali rosa e viola calati sul naso. Contemporaneamente, i tre avevano urlato rispettivamente:
-LORCAN!-
-ROXANNE!-
-SPETTROCOLI!-
Il problema probabilmente era causato dal fatto che Molly aveva prestato attenzione a Lorcan che aveva invece chiamato Roxanne che, completamente disinteressata a chiunque in quello stretto corridoio, si era rivolta agli occhiali rosa che erano stati subito afferrati e indossati da lei stessa, senza neanche chiedere il permesso al proprietario. Ad ogni modo, quel gesto improvviso della riccia aveva aiutato Molly a far sbiadire il rossore che le aveva provocato l’improvvisa entrata del figlio di Luna Lovegood e a farle trovare un pretesto per iniziare un discorso.
-Lorcan! Come mai senza Lysander, oggi?-
Ma ogni tentativo era ampiamente ostacolato dall’esuberanza di Roxanne, dato che ora Lorcan cercava di strapparle gli occhiali dal naso, le aveva afferrato la testa e aveva letteralmente spalmato la sua mano tra i capelli della ragazza, in una goffa carezza, da cui la Weasley provava a sottrarsi in tutti i modi, spingendo forte contro il petto del ragazzo.
Molly continuava a parlare velocemente, cercando di distrarre il ragazzo da sua cugina, e buttando argomenti vari (e tutti noiosissimi) per farsi prestare attenzione, ovviamente ogni sua parola era vana, visto che Lorcan, in quel preciso istante, non aveva occhi che per Roxanne, dietro la scusa degli Spettrocoli. Ma la ragazza, che ovviamente negava l’evidenza, continuava a parlottare senza neanche aspettarsi più una risposta, mentre una scintilla di gelosia aveva scatenato un incendio nel suo stomaco, oltre che nel cuore, nella gola e nel cervello, tanto che i muscoli avevano iniziato a muoversi senza aspettare gli ordini del suo amato e, a suo dire, enorme cervello.
Molly aveva stretto il gomito di Roxanne e, con la forza, l’aveva trascinata via. Lontano dal ragazzo di cui era, da chissà quando, innamorata.



-
 
Fred jr Weasley era risentito, molto risentito, il suo risentimento arrivava quasi all’umiliazione, ma in quel momento non aveva il tempo per pensare allo scherzo che avrebbe potuto fare ma di cui –stranamente- non era stato artefice.
Fuochi d’artificio Tiri Vispi Weasley edizione Deluxe nel borsone di Lily Luna Potter: uno scherzo così sublime che avrebbe stretto di buon grado la mano di chiunque ne fosse stato il creatore—persino se fosse stato Malfoy, come suggerivano i mormorii.
Ma in quel preciso istante, in quel momento, Fred stava inseguendo i suoi pensieri che convergevano tutti assurdamente su una sola persona, e questo era problematico, perché la persona in questione non solo è solo una ragazza, ma soprattutto è la sua migliore amica.
O almeno lo era.
Fred non era mai stato il tipo che si interessava sul serio alle ragazze, non aveva mai pensato seriamente ad una relazione stabile, ma ora, sulla soglia dei diciassette anni, stanco della sua vita da eterno scapolo di Hogwarts, aveva constatato che il profumo di Alice era più buono di quello delle altre ragazze, che avrebbe accarezzato volentieri i suoi capelli biondi senza fingere di schiacciare un moscerino, che il sole, quando era con lei, sembrava più brillante e che, con ogni probabilità, stava impazzendo.
Si, perché Fred jr Weasley era impazzito.
E non aveva nessuna probabilità, neanche il cinque per cento o peggio, di essere in qualche modo preso in considerazione dalla ragazza perché, ovviamente, erano migliore amici e, tra migliori amici, c’è solo amicizia.. no?
Fred, quindi, cercava di consolarsi contando le ore buche che le materie non passate ai G.U.F.O. gli avevano regalato e già stava pregustando l’attimo in cui avrebbe annunciato a Lumacorno che no, non avrebbe partecipato alle sue lezioni.
Magari gli avrebbe fatto esplodere un calderone davanti, come regalo di addio.
Come avrebbe fatto senza i suoi fantastici scherzi, povero professore?
Cammina in maniera altalenante, il nostro ragazzo, concedendo sorrisi sghembi a qualche vecchio conoscente, alzando le mani in segno di saluto oppure in segno di vittoria, ogni tanto dicendo che no-non era il suo scherzo di inizio anno.
-Per quello mi servirà l’aiuto di---Alice!-
-Alice? Alice Paciock?-
Fred aveva alzato lo sguardo alle spalle del ragazzino del secondo anno, osservando i tratti familiari della ragazza. I capelli biondi erano (dis)ordinati in un rigido caschetto, una frangetta laterale si spingeva sulla fronte, coprendole il chiaro sopracciglio sinistro e facendole ombra sugli occhi castano chiaro. Alice non aveva un collo molto lungo, spesso se ne lamentava, ma era d’un certo senso armonioso nell’insieme, tutto di lei suggeriva bontà e dolcezza, a partire dalla cravatta di Tassorosso che le scendeva sul seno pieno e dalla camicia che le fasciava i fianchi un po’ larghi. Come al solito portava il pantalone e non la gonna della divisa (‘Ho le cosce chiatte, Fred, non posso permettermelo’), aveva una mano poggiata sull’uscio dello scompartimento, un sorriso goffo a piegarle le labbra e il naso all’insù arricciato come sempre.
Fred aveva momentaneamente perso l’uso della parola e –in seguito avrebbe giurato- sentiva un coro angelico provenire alle sue spalle, ma probabilmente erano solo i ragazzini che provavano la canzone di ingresso decisa da Vitious (la stessa ogni anno) per dare il benvenuto al castello.
Il rosso alza le mani come un automa, mentre scansa il dodicenne dai capelli color topo, quindi porta entrambe le mani sulle guance della ragazza, fino a incastrare gli indici nelle fossette che le avevano solcato il viso. La fissa in silenzio, osservandole gli occhi con un’espressione seria che inizialmente preoccupa la ragazza, ma poi le fa gonfiare le guance, fino a farla esplodere in una rumorosa e improvvisa risata.
La testa della ragazza si poggia sul petto del ragazzo, che nasconde un sussulto mentre le porta ansioso una mano dietro la schiena, battendole vari colpi come per farla calmare, cercando –senza nessun risultato- di indietreggiare di qualche passo.
Insomma, se avesse sentito il battere del suo cuore cos’avrebbe pensato di lui?
Porta entrambe le mani sulle spalle della ragazza, stringendole le spalle, fino a obbligarla con la forza a staccarsi da lui.
-Alice Paciock, tu hai un serio problema!-
Esclama con una calma decisamente innaturale per lui, ma dopo neanche pochi secondi, mentre osserva l’adorabile risata della sedicenne, poggia la fronte contro quella della ragazza e ride a sua volta, mentre i neuroni azzeravano qualsiasi problema legato al rapporto con lei, qualsiasi segno di dispiacere o umiliazione.
Gli piaceva Alice Paciock e quello era tutto fuori che un problema!



-



Victoire si osservava nello specchio di Villa Conchiglia da cinque minuti, immobile solo come una statua può esserlo.
I capelli biondi le ricadevano sulle spalle nude, diritti, morbidi e lucenti, un po’ spettinati sulle punte, lunghi, le coprivano i seni piccoli ma sodi e alti. La pelle pallida l’aveva sempre spaventata da piccola, ma ora, stretta nei suoi ventidue anni, si era abituata a quel colore così trasparente che, stranamente, tutti trovavano attraente.
Ma lei si sentiva continuamente nuda, spoglia.
Gli zigomi alti, il naso diritto, le sopracciglia chiare, gli occhi dal bel taglio azzurri come il cielo in primavera, la corporatura esile, riusciva a restare tanto ferma da sembrare una bambola di porcellana ad altezza naturale. Il portamento regale, una luce di fierezza negli occhi ereditata, probabilmente, dal ramo Weasley, era la copia di Fleur Delacour, se si ignorava lo spruzzo di lentiggini chiare che portava sulle mani.
Insopportabili, ma Ted diceva che si era innamorato anche di quelle.
Ted.
Assottiglia lo sguardo, fissandosi questa volte negli occhi, come a cercare qualcosa, una risposta forse, probabilmente una scintilla di coraggio. Il coraggio che doveva per forza scorrere nelle sue vene.
-Victoire, tu peux le faire-*
Corruccia le sopracciglia chiarissime, quasi invisibili, lasciando che si formassero due rughe tra di esse, poi però abbassa lo sguardo, distogliendolo dallo specchio e fissando le mani, poggiate sul lavandino, strette attorno alla porcellana bianca del bagno della bella casa dei suoi genitori. Le osserva, inizia a contare le pallide lentiggini, cercando un pretesto per non pensare, per non osservarsi sul serio e per non notare i cambiamenti.
Con un rumoroso sospiro abbassa le spalle, curvando appena la schiena in avanti. Fa un passo indietro, le gambe lunghe appena tremanti, poi lascia la presa sul lavandino, fino ad indietreggiare di un altro passo. Alza di nuovo lo sguardo sul suo riflesso, ma questa volta i suoi occhi erano rivolti al vuoto, quindi con un tono di voce alto, ma comunque neutro, esclama:
-Ted!-






Angolo della scrittrice:
In primis, grazie a tutti i miei amici che mi supportano e che mi spronano a scrivere nuovi capitoli di questa fan fiction, non è il massimo, lo so, ma almeno ci provo!
*Ringrazio Zenza, per aver corretto la frase in francese (come al solito Google Traduttore è affidabile quanto Allock), e ringrazio anche tutte le persone che hanno deciso di seguire la storia, oppure l'hanno posizionata tra i preferiti oppure, ancora, che hanno recensito.

Spero che questi primi due capitoli vi siano piaciuti, al più presto arriverà il continuo.
Ciao a tutti!

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Capitolo 3
*** Piani vani e disastri inattesi. ***


Piani vani e disastri inattesi.




James Sirius Potter avrebbe voluto inaugurare il suo ufficio Auror in una maniera più convenzionale e seria.
Qualche pacca sulla spalla.
Un in bocca al lupo per il futuro.
Una piantina di fiori secchi in un angolo.
Ma mentre ri-assicurava la cintura dei suoi pantaloni con vaga attenzione, mentre osservava distrattamente la schiena diafana e, soprattutto, nuda di Daisy Tremblay, James era più che fiero della sua totale assenza di competenza nel conservare atteggiamenti idonei ad ambienti seri.
Oh, non avrebbe mai più visto quella scrivania con gli stessi occhi, di questo era certo.
-Non era nei miei piani.-
Commenta a voce bassa, una mano che gli passa automaticamente tra i capelli, senza avvicinarsi di più alla ragazza che sistemava velocemente il tailleur blu notte, circa cinque minuti prima disastrosamente spiegazzato sul pavimento sporco dell’Ufficio.
-Incontrarmi?-
-Pure.-

Daisy Tremblay era nata a Liverpool, figlia di un allegro imprenditore babbano e di sua moglie, una giovane e promettente scrittrice che era riuscita a pubblicare il suo romanzo circa sei mesi prima, dopo molte difficoltà.
Quando a undici anni le era arrivata la lettera di ammissione ad Hogwarts non si era poi stupita così tanto.
Era consapevole di essere speciale.
E di certo non lo aveva mai nascosto.
A cinque anni, casualmente, aveva fatto levitare e poi rovesciare un barattolo di maionese addosso alla sua compagna di banco.
A sette anni, sempre per caso, la macchina nuova di suo fratello maggiore, Jonathan, era magicamente sparita per poi essere ricomparsa su un albero secolare.
A dieci anni era riuscita a cambiare per almeno dieci volte il colore di un vestitino provato in camerino, solo per far esasperare la povera commessa.
I capelli biondi erano lucenti come il sole, tutto in lei sembrava brillare.
Il sorriso, l’intelligenza.
Ma probabilmente i ragazzi apprezzavano altre sue capacità, che –di certo- non mi soffermerò a descrivere.
James aveva conosciuto Daisy un piovoso week-end ad Hogsmeade, durante il suo quinto anno.
Si erano seduti allo stesso tavolino, avevano parlato.
Poi discusso.
Alcuni parlano anche di una Maledizione Orcovolante.
La sera, poi, erano finiti –casualmente- nello stesso dormitorio.
Nello stesso letto.
E non avevano esattamente litigato.
La loro non poteva esattamente definirsi una relazione.
‘Amici di letto’ era probabilmente la definizione più opportuna al loro rapporto.
Tuttavia James era stato ‘costretto’ a troncarlo, a causa di un avvenimento molto importante.
Una persona molto importante.

-E’ immorale..-
-Ti amo.-
-Anche io.-


Un’ombra scura cala sugli occhi del ragazzo e, d’improvviso, era come se il sole non riuscisse ad illuminare pienamente il piccolo ufficio del Dipartimento. I ricordi dell’ultimo anno ad Hogwarts si erano accavallati l’uno all’altro, rincorrendosi e superandosi, sfrecciando senza porsi limiti nel suo cervello, oscurando qualsiasi luce il ragazzo fosse riuscito a trovare.
Il morale di James, oramai, aveva ufficialmente deciso di fare un giretto sotto terra.
Non che ora il ragazzo fosse in superficie, ovvio.
Chiude gli occhi castani, lasciando intrecciare le ciglia, quindi li riapre, trovandosi il viso della sua amica a pochi centimetri dal suo naso, un viso interrogativo, un viso indagatore. Gli occhi verdi della ragazza brillavano di compassione o, forse, di delusione e mentre li osservava con poca attenzione, si ritrovò a specchiarsi, con la sua immaginazioni, negli occhi di un’altra ragazza.
La ragazza.
Il cuore gli si strappa e si riduce a mille pezzi nel suo petto per poi ricostruirsi lentamente, premendo forte, troppo, contro le costole.
-Incredibile.-
-Cosa?-
-Pensi ancora a lei.-

Daisy. Cara, carissima Daisy.
Con i capelli biondi, gli occhi verdi e una brutta reputazione che cercava di annullare senza buoni risultati.
La persona più vicina ad una migliore amica che aveva mai avuto.
Distoglie lo sguardo per un attimo, solleva il bacino dalla scrivania, quindi si alza in piedi, camminando per la piccola stanza, fino ad avvicinarsi alla porta, poggia la mano sulla maniglia pitturata d’oro.
-Non pensavo avessi deciso di iscriverti all’Addestramento.-
-Non era nei miei piani.-
James sorride, lentamente e piano.
-Cos’era nei tuoi piani?-
-Niente che oggi sia riuscita a fare.-
Il ragazzo corruccia un attimo le sopracciglia, mentre segue il profilo della ragazza che con delicatezza vola via dalla stanza, come una rondine, lasciando di sé solo il sapore delle labbra e il profumo della pelle. Resta a fissare per un interminabile attimo il vuoto, analizzando i simboli di quelle parole. I significati di cui era piena quella frase.
No, neanche lui oggi era riuscito a concludere il suo piano.
Neanche oggi, neanche questa volta, neanche questo minuto, James Sirius Potter era riuscito a dimenticare Dominique Weasley, sua cugina.






-




Quando Lily Luna Potter aveva scagliato ben cinque fatture orcovolanti contro la tranquilla (per poco) figura di Scorpius Malfoy non aveva decisamente pensato alle conseguenze, che le erano sembrate un po’ drastiche per qualche fattura in uno scompartimento del treno.
Ora che si trovava seduta sulla scomoda poltroncina dello Studio del Preside accanto alla calma e ancora pacata figura del suo biondo acerrimo nemico (nonché perpetuo compagno di punizioni) pensava che saltare la cena di Benvenuto ad Hogwarts fosse una punizione più che sufficiente per lei e per il suo povero stomaco che continuava a brontolare, quasi quanto brontolava la McGranitt, seduta di fronte a lei, ancora nella carica di vice-Preside.
-Avreste potuto uccidere qualcuno!-
-Perché usa il plurale, professoressa? LUI avrebbe potuto uccidere qualcuno.- commenta, le orecchie rosso fuoco, i pugni stretti ai lati delle gambe, giusto per contenersi e non esplodere come un Fuoco d’Artificio Tiri Vispi Weasley. –Io mi sarei limitata solo e soltanto ad uccidere lui.-
-Era solo una valigia, Potter, se solo non fossi una frana persino nell’incantesimo Reparo, ora non saremmo qui.-
-Se solo tu non avessi fatto implodere la mia valigia…-
-Se solo tu riuscissi a non diventare una Banshee quando ti arrabbi..-
-Una Banshee?-
-Una Troll di Montagna.-
-Schiopodo Sparacoda.-
-Brutta maride irlandese.-
Lily si era alzata in piedi di scatto e il divanetto era retrocesso di qualche centimetro per attrito, era completamente voltata verso Malfoy, i pugni stretti così forte da far diventare le nocche pallide, le sopracciglia sottili e rosse così corrucciate da formare due solchi molto profondi tra di essi, il labbro inferiore le tramava per il nervosismo e i capelli, già solitamente disordinati, di certo non facevano invidia a quelli di Medusa.
Probabilmente erano persino più spaventosi.
-Ripetilo, brutta Piovra Gigante, se hai i bol..-
-SIGNORINA POTTER. Mi troverà costretta a sottrare cinquanta punti a Grifondoro, se continua con questo atteggiamento, ancor prima dell’inizio della coppa delle case e, Signor Malfoy, la smetta di importunare la ragazza.-
La voce della McGranitt, disperatamente acuta, aveva raggiunto le orecchie della povera rossa, che con una specie di ringhio soffocato, si era seduta di colpo nel divanetto, sprofondando in esso, come a volersi mimetizzare, mentre continuava a gettare occhiatacce al ragazzo accanto a lei che manteneva un’aria così tranquilla da.. da…da-ARGH.
Avrebbe voluto strozzarlo con le sue mani.
Stringere piano le dita attorno alla sua gola e stringere, stringere, stringere….
-Per questo mi trovo costretta ad assegnare ad entrambi una punizione, che questa volta sia d’esempio a tutti. Per prima cosa, non parteciperete alla cena di oggi, assolutamente.-
Lo stomaco della rossa sussulta con violenza, rivoltandosi nel suo stomaco, stringe gli occhi piano, avrebbe riservato gli insulti per gli attimi che avrebbe trascorso poi con il ragazzo in punizione.
-Inoltre passerete insieme ogni week-end dell’anno. E per insieme intendo insieme nel senso più ampio.-
Scorpius era impallidito.
La sua pelle era diventata da ‘cadavere imbalsamato’ a ‘fantasma’.
-Applicherò ai vostri polsi una semplice fattura, un filo che vi terrà costantemente legati e a pochi centimetri e che, ovviamente, può essere annullato solo da me medesima, oppure, in alternativa, dal professor Lumacorno.-
Il mento di Lily aveva subito un eccesso di gravità ed era caduto per terra, lasciando la ragazza con le labbra spalancate e il colorito cianotico.
-Ringraziate che io mi limiti solo ai week-end e, come mi sembra ovvio, al giorno. In caso di partite di Quidditch oppure di allenamenti, sarò io stessa a liberarvi e, in seguito, a legarvi di nuovo. Spero che questa convivenza vi sia d’aiuto e, soprattutto, sia d’esempio agli altri.-
Malfoy era ufficialmente morto.
Lily faceva fatica a respirare.
La McGranitt si era trasfigurata in una gatta e, sinuosamente, era corsa via, lasciando i due ragazzi in un silenzio molto, moolto innaturale.







ANGOLO DELLA SCRITTRICE

Finalmente ho aggiornato!
Perdonatemi, non sono molto soddisfatta di questo capitolo.
Per ora è ancora un po' difficile comprendere, i nodi verranno sciolti al pettine col proseguire della fanfiction.
Se vi piace, battete un colpo e recensite perchè mi fa davvero tantiiiissimo piacere.
Ringrazio tutti coloro che l'hanno posta tra i preferiti e le seguite.


Ilaria.

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Capitolo 4
*** Colpa del premestruo. ***


Colpa del premestruo.
 
 



I corridoi di Hogwarts, il secondo di settembre, erano ancora più rumorosi del solito, brulicanti di studenti che correvano avanti e indietro per ritirare i programmi della giornata, per scegliere le materie da continuare, quelle da seguire, quelle da evitare, per fare scorte di Merendine Marinare e Torroni Sanguinolenti segretamente, in modo da saltare con facilità qualche lezione troppo pesante per il primo reale giorno. Senza contare i ragazzini –per lo più del primo o del secondo anno- che si perdevano con la facilità con cui si trova polvere ad Hogwarts e andavano avanti e indietro dal bagno, con un viso cianotico, impegnati a vomitare tutto il banchetto del giorno prima, non ancora abituati a tutta quell’abbondanza.
Rose Weasley dall’alto dei suoi diciassette anni era convinta di sapersela cavare in quel chiasso, dopo sette anni di sopravvivenza alla ‘folla del primo giorno’, ma una rana le era caduta sui i piedi, uno schizzo di vomito aveva raggiunto l’orlo della sua gonna, la spilla da Caposcuola appuntata sul petto ben dritta era stata già piegata verso un lato da passanti frettolosi almeno cinque volte, senza contare che aveva recuperato da terra l’orologio da taschino regalatole dai suoi genitori per i suoi diciassette anni almeno una ventina di volte. Inoltre, un fastidioso dolore al basso ventre la costringeva a camminare con le sopracciglia corrucciate in un’espressione dolorosa e, ne era sicura, se le sue ovaie non fossero esplose in quel momento, non lo avrebbero fatto mai più.
Si sente strattonare una cinquantina di volte, puntualmente da persone diverse, mentre un triliardo di piedi le calpestano le scarpe buone comprate giusto due settimane prima in onore della sua promozione a Caposcuola,  nessun viso amico a consolarla, la gentilezza nelle risposte che man mano sciamava.
Rose Weasley era, in realtà, una persona molto gentile con le persone, per cui era strano che rispondesse male se non costretta.
Aveva sempre pensato che la cortesia fosse un buon modo per portare rispetto e, soprattutto, per farsi rispettare, tuttavia non era mai stata una persona piena di amici, anzi, probabilmente la sua vita sociale si limitava ai rapporti con i suoi cugini e alle persone cui revisionava i compiti in biblioteca dopo ore ed ore di studio. La ragazza, però, ci aveva fatto il callo e aveva sul serio iniziato a pensare che era lei l’incapace a stringere amicizia e che poteva benissimo vivere senza troppe persone che le gironzolavano attorno. Nonostante questo, nonostante nessuno l’apprezzasse realmente, nonostante nessuno si fosse sul serio preoccupato di chiederle un parere o di chiederle un semplice ‘Come stai?’, o almeno nessuno che non fosse un suo parente stretto, Rose distribuiva consigli e ciambelle a iosa, sperando che la sua situazione potesse capovolgersi da un momento all’altro.
Ma erano passati sette anni e la sua situazione non si era mai capovolta.
Sognando ancora in qualche amichevole pacca sulla spalla che non anticipasse un ‘Mi passi Trasfigurazione’ oppure in una chiacchierata che non avesse secondi fini, Rose si sentiva sola in una folla che premeva contro le sue esili spalle.
-Rose!-
La giovane ragazza si era bloccata un secondo, di scatto, premendo forte sui talloni, per non andare a finire contro la figura di Lysander Scamander, apparso improvvisamente davanti a lei in tutta la sua alta figura, con una lenta di ingrandimento enorme tra le mani, il legno della circonferenza coperto di brillantini incollati con il Magic-Scotch. I capelli legati in uno chignon ordinato dietro la nuca, Rose Weasley osservava l’occhio abnorme del ragazzo attraverso la lente, un sopracciglio inarcato spropositatamente verso l’alto, cercando di non pensare troppo al celeste chiaro degli occhi di Lysander, erano così…trasparenti. Non avrebbero potuto nascondere nessun segreto, ne era certa.
-Cosa diavolo stai facendo, Scamander?-
-Oh, nulla.-
Ora Rose aveva entrambe le sopracciglia che desideravano raggiungere il limite della fronte.
-Oh, intendi con questa?-
Questo qui è completamente matto, aveva pensato, ovviamente, la ragazza, restando in un silenzio attonito, per la completa idiozia del ragazzo che, tra l’altro, le stava compromettendo l’andatura della giornata, in quanto avrebbe tardato, a causa sua, di circa cinque minuti dal suo programma di ripasso pre-lezioni.
-Oh, vedi, questa è una Maxi-Lente-per-Nargilli. Un po’ come gli Spettrocoli, riesce a vedere se sono entrati nel cervello e, vedi, se premo questo pulsante, riesco a fare uscire tutti quei maledetti esserini dalla testa del malcapitato. Divertente! Me lo ha regalato mia madr..-
La pazienza di Rose Weasley (sei minuti di ritardo, sei, il primo giorno di lezioni!) aveva raggiunto il limite.
-Lysander, sinceramente parlando, questa è una Maxi-Idiozia, che ne dici di riporre questa lente di ingrandimento glitterata e lasciarmi andare?-
Il giovane Scamander abbassa lentamente l’aggeggio, le labbra strette, imponendosi di non farle curvare verso il basso amareggiato. Conosceva bene Rose Weasley e conosceva ancora meglio quella sensazione di tristezza che gli prendeva lo stomaco e lo imprigionava quando lei lo sminuiva o respingeva le sue teorie. Finalmente Rose riesce ad osservare il viso del ragazzo, le labbra strette per non sbraitargli contro, le braccia incrociate sui libri che stringeva forte al petto, immobile sulla pianta dei piedi, ma appena issata verso le punte, come una corridrice che sta sul punto della partenza.
-Scusa, è che la tua testa è piena di nargilli.-
-Scusa, è che la tua testa è piene di idee folli e senza capo né coda che tua madre ti ha inculcato nel cervello fin da quando eri un piccolo embrione. Dovresti sul serio smetterla di importunarmi, Scamander. La prossima volta che uno dei tuoi oggetti diabolici e assurdi incrocia il mio sguardo mi troverò non solo costretta a togliere punti a Corvonero, dopo averti accusato pubblicamente di stalking, ma non ti parlerò più per il resto della tua, della nostra esistenza, comprendi? E, per inciso, i Nargilli NON esistono e, automaticamente, la mia testa non ne è piena. Ora, scusami, ma abbiamo entrambi due ore di Pozioni e, di certo, non posso fare ritardo per ascoltare le tue insopportabili congetture.-
E mentre Rose se ne andava via velocemente, di corsa, abbracciando i suoi libri, Lysander restava a fissare il vuoto lasciato dalla sua assenza, mentre una pacca conosciuta, quella di suo fratello Lorcan, gli era arrivata sulla spalla destra, calda, ma non abbastanza per riscaldare il freddo che aveva immobilizzato per un attimo il cuore del ragazzo.
-Non ti preoccupare, Lysander, deve essere colpa del premestruo.-

 
 
-
 
 
 
Alice Paciock aveva dimenticato gli assorbenti nel bagno del treno.
Alice Paciock aveva il ciclo.
Alice Paciock stava per morire dissanguata nel bagno.

Stringendosi nell’asciugamano, camminando con le gambe chiuse per non destare sospetti, la biondina era ritornata dal bagno alla sua camera da letto, lì aveva cercato velocemente la sua bacchetta (finita chissà come sotto al letto) e aveva appellato il pacco nuovo di zecca, quindi aveva passato il lungo tempo che il pacco aveva impiegato a ritornare da lei facendo una corsa nel bagno e sedendosi, di nuovo, sul gabinetto.
La giornata era iniziata decisamente ‘bene’.
Camminando a gambe un po’ aperte per il fastidio nelle mutande, Alice aveva indossato il pantalone della divisa e aveva inserito la camicia all’interno di esso, facendo poi penzolare la cravatta sul seno gonfio, quindi si era catapultata giù dalle scale, mentre si sistemava uno zaino malconcio dietro la schiena.

Ora Alice, però, era convinta che quella giornata non fosse esattamente un disastro, mestruazioni escluse.
Fred Weasley Junior, la sua cotta da chissà quanti anni (probabilmente da quando aveva il sedere liscio e curato da neonata), la aspettava dietro i barili che coprivano l’ingresso della Sala Comune di Tassorosso, con un sorriso-MERLINO!-fantastico sulle sue-AGRIPPA-meravigliose labbra.
Oh, si. Sarebbe morta. Non dissanguata. Probabilmente d’infarto. Il suo cuore stava sul serio iniziando a pulsare troppo sangue.
Ancora nascosta alla sua vista, Alice si preoccupa di abbassare lo sguardo ed osservare le scarpe scure, respirando profondamente per far ritornare le sue guance di un colore che sia decente o comunque monocromatico rispetto al resto del corpo. Alza il mento di qualche centimetro, alzandosi appena sulle punte per controllare che il ragazzo sia ancora lì dietro, quindi, respirando a pieni polmoni l’odore di vino proveniente dai barili, Alice trova il coraggio di muovere i piedi in direzione dell’amico che-sperava-fosse lì per lei e non per qualche nuova fiamma.


Fred aveva sempre avuto successo con le ragazze.
Alice non si sarebbe sorpresa se avesse scoperto una sottospecie di fan club, o comunque tante ragazze urlanti che stabilivano riunioni per parlare di Fred, pensare a Fred, complottare a spese di Fred, Fred, Fred, Fred e Fred.
Ma Alice non si sentiva parte di nessun gruppo o associazione.
Alice viaggiava da sola.
Quando aveva cinque anni, Fred le aveva regalato una margherita e le aveva sorriso e Alice aveva seriamente pensato di essere innamorata di lui.
Alice e Fred avevano passato i pomeriggi a giocare nei prati infestati di gnomi della Tana, sporcandosi di sangue e ruzzolando uno sopra l’altra per terra, come due ossessi, per imitare i suddetti esseri.
Alice non avrebbe mai urlato, sospirato, sorriso come una demente, non sarebbe mai svenuta per Fred.
Alice inghiottiva il suo amore per il ragazzo, tutto quello che provava. Lo fermava in gola e lo ingoiava, lo sentiva sempre sul fondo dello stomaco a borbottarle di farsi avanti, perché tanto non avrebbe perso nulla.
Ma non era vero.
Lei avrebbe perso tutto.
Avrebbe perso il poter osservare le labbra di Fred incresparsi in un sorriso, senza troppe spiegazioni. Erano migliori amici. Avrebbe perso il poter pulire le sue ferite, non avrebbe potuto più fargli da infermiera quando stava male e quando lui no, non voleva proprio andare dalla vecchia e rugosa Madama Chips. Non avrebbe più potuto ridere della sua faccia sporca di fango, non avrebbe potuto più abbracciarlo, stringerlo, soffiargli sulle guance, sussurrargli parole all’orecchio e ridere con lui di qualunque cosa. Non avrebbe potuto più neanche guardarlo negli occhi.
I suoi meravigliosi occhi.
Azzurri, profondi, che potevi tuffarti ma mai toccare il fondo. Irraggiungibili.
Nessuno poteva leggere Fred, nessuno.
Era come il mare, il mare aperto.
Piatto, tranquillo, lucente, ma nel suo profondo…scuro, confuso, pericoloso.
Non che Fred fosse cattivo.
A volte Alice pensava che Fred cercasse di piacere a tutti, e ci riusciva sul serio bene, ma che non piaceva a sé stesso. Allora si nascondeva dietro una maschera, una maschera fatta di infantilità, un po’ di superbia e perenne allegria.
Ma dietro il sorriso, Alice ne era sicura, c’era una lacrima.
La giovane Paciock era più che convinta di essere la persona che aveva scavato di più nell’anima di Fred, era assurdamente certa del fatto che lei avesse navigato negli occhi di Fred più a fondo di chiunque e, per questo, si vantava con sé stessa di conoscerlo abbastanza da sapere la maggior parte delle volte cosa gli frullasse nella testa.

Abbassandosi un po’ e aggiustandosi alla meno peggio i pantaloni e i capelli corti, Alice esce dal suo ‘nascondiglio’, mettendosi in bella vista, quindi si avvicina velocemente, quasi in una piccola corsa, al ragazzo, circondandogli in fretta il petto con le braccia piene, beandosi della sensazione di calore nel petto che quel contatto le provocava.
Quello si che era un bel posto.
Le braccia di Fred erano un bel posto, di sicuro.
Alice era convinta anche di quello.

E mentre nel suo stomaco un branco di ippogrifi infuriati trottavano e volavano, pizzicandole le pareti intestinali, Fred circondava il suo busto con le braccia e la stringeva ancora più forte a sé.
Oh si. Quella non era affatto una brutta giornata.
Ciclo a parte.
 
 
 
-



 
-Ho un ritardo di circa un mese e mezzo.-
La ragazza aveva precedentemente avvolto il suo corpo magro in un’asciugamani spessa, rosa scuro, i capelli che le ricadevano ordinatamente sulle spalle, quindi si era voltata verso il ragazzo che era rimasto immobile, pietrificato, lì sull’uscio della porta del bagno di Villa Conchiglia, a osservarla quasi un po’ spaventato da quell’improvvisa verità.
Ted aveva abbassato piano il braccio e si era avvicinato di un passo, ma poi era stato bloccato dalla voce gelida della sua ragazza.
-No. Non avvicinarti. Non voglio la tua compassione.-
Victoire aveva spostato finalmente lo sguardo dal suo riflesso al ragazzo, tutto in lei trasudava sicurezza, ma Ted aveva imparato a leggerle lo sguardo e la sua piccola Toire, ne era sicuro, si sentiva persa, sola, distrutta e in pericolo.
Come una preda caduta in trappola.
La conosceva.
-Toire, siamo una coppia stabile e un ritardo non dice nu..-
Velocemente la bionda un ottavo veela aveva fatto scontrare contro il petto del ragazzo un piccolo aggeggio babbano, che era poi caduto tra le mani del ragazzo con un rumore sordo. Il moro aveva abbassato lo sguardo e poi, subito, aveva chiuso gli occhi, in silenzio.
-Questo, Ted? Questo dice qualcosa?-

 
 
Quella notte Ted aveva dormito sul divano della Villa dei genitori della sua ragazza, per questo ora, mentre preparava la colazione per due, avvertiva un forte dolore dietro la schiena.
Un colpo di strega, avrebbero detto i Babbani.
D’altronde era sul serio un colpo di strega, visto che Victoire era una strega coi fiocchi.
Aveva sognato pannolini, ciucciotti e passeggini, ma la cosa che lo inquietava di più era l’assenza della sua amata bionda.
Non aveva compreso quella reazione, ma probabilmente erano gli ormoni, si, assolutamente gli ormoni.
Ted se l’era studiato il discorso.
‘Victoire, tu sei la mia vita, lui è nostro figlio e sarà la nostra vita’.
Si, si sentiva, si vedeva a parlarle di quell’argomento con tranquillità, seduti a quella stessa tavola, bevendo un buon thé (per lei una camomilla) e raggiungendo l’argomento ‘matrimonio’.
Non che la volesse sposare per il—piccolo embrione che a quanto pare le stava crescendo nella pancia, ovvio!
In realtà ci pensava già da un po’.
Lui aveva ventiquattro anni, lei ventidue, non erano in una cattiva età per sposarsi, senza contare che si sentiva pieno di amore.
Era convinto di esser composto, ormai, dell’ottanta per cento di amore nei suoi confronti, del rimanente di carne e ossa.
Lo sentiva brulicare, avvertiva il cuore tremare, le dita agitarsi, lo stomaco contrarsi. Gli premeva nella testa, gli riempiva le orecchie, era l’aria che respirava.
Victoire era tutto. Era casa, era amore, era amica, era il suo mondo.
E se---se fosse andato qualcosa storto, Merlino, sarebbe crollato.
Si immaginava a parlare di casa, a iniziare il discorso appena sarebbe entrata nella cucina e a non interrompersi mai, perché quello che aveva da dire era troppo importante.
Ma quando i lievi passi di Victoire avevano superato l’uscio della cucina, Ted si era girato e la bocca si era aperta in un rumoroso silenzio, le parole bloccate in gola.
Lei era lì, gli occhi gonfi, le mani lungo i fianchi, il mento alto a fingere una prontezza che non sentiva di possedere, non in quel momento in cui si sentiva così fragile.
Come una statua di cristallo.
Allora le parole non contavano più, non in quel momento, contavano solo le braccia di Victoire che ora premevano contro la sua schiena le sue dita che accarezzavano la sua nuca, contava solo Ted, le mani che premevano forte, l’una dietro le spalle, l’altra tra i capelli.
Contavano solo loro due. Contavano la loro pelle, i loro cuori, le loro labbra ad un millimetro di distanza, il naso di Ted che premeva sullo zigomo destro di Victoire, i loro corpi che si incrociavano.
-Ti amo.-
-Ti amo anche io.-

 
 
Angolo della scrittrice:
 
Perdonate il ritardo nell’aggiornare, ma ho avuto molti impegni in queste ultime settimane, quindi non ho mai trovato il tempo di impegnarmi seriamente in un capitolo!
Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se, devo ammettere, la piccola parte TedxVictoire non mi entusiasma molto.
Grazie ancora a tutte le persone che seguono, leggono e che la posizionano tra i preferiti/seguiti.
Grazie di cuore.
Ilaria.

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Capitolo 5
*** Luce, buio. ***


Luce, buio.





 
La luna piena disegnava un cerchio perfetto nella notte che aveva sostituito il chiarore del giorno, illuminando il cielo quasi quanto il sole, brillando così forte da coprire la luce delle altre stelle, così piccole in confronto. Terribilmente vicina alla terra, sembrava quasi che potesse essere usata come pluffa per una partita di Quidditch, oppure che potesse essere catturata in un palmo di una mano e stretta forte.
Eppure era così inavvicinabile, immobile nel cielo, come incastrata, regina degli astri, più bella di ogni altro pianeta di ogni altra stella, mentre osservava tutto, tutti, mentre si specchiava nelle acque scure del Lago Nero, nelle piccole increspature formate da qualche Avvincino sotto copertura. Amica del buio, sembrava quasi risplendere di luce propria, come se non si accontentasse di essere un semplice riflesso di luce.
Roxanne Weasley aveva stretto più forte il palmo della mano contro la ringhiera ghiacciata del piccolo balconcino della Torre di Astronomia, le nocche contratte, l’ammasso di capelli ricci, crespi e mutevoli che le ricadevano sulle spalle, pieni come il satellite che gli occhi catturavano rapiti. Poggia anche l’altro mano sulla ringhiera, premendo poi sulle braccia, per dar sforzo ai muscoli allenati, fino a sollevarsi, per dondolare le gambe nel vuoto, sporta un po’ troppo per i canoni delle ragazze di Hogwarts, il pantalone di pigiama a fiorellini gialli che le andava un po’ troppo largo, ma che era decisamente più comodo rispetto alla divisa d’obbligo.
Era sgattaiolata via dalla Sala Comune, protetta dalle ombre e dalla stanchezza che avevano racchiuso il castello in una bolla di silenzio, quindi si era diretta a piccoli passi, come se stesse danzando, verso il suo luogo preferito ad Hogwarts, escludendo il Campo da Quidditch.
Poggia finalmente i piedi per terra, stanca di quell’altalenarsi, curvandosi poi di più col petto in avanti, per poi ritornare sui talloni definitivamente e abbassarsi piano, accucciandosi per terra, le ginocchia strette al petto, le mani come incollate ai paletti verticali delle ringhiere, mentre gli occhi scuri, curiosi, osservano i giochi di luce.
Osserva la traiettoria dei raggi lunari, gli anelli brillare come diamanti, le foglie muoversi piano, al soffio della leggera brezza.
La ragazza si sporge in avanti piano, poggiando il naso contro il ferro liscio e gelido, poi avvicinando le labbra al metallo, rilassandosi ad occhi chiusi, assaporando quel momento di assoluto silenzio.
Nessuno avrebbe mai immaginato che Roxanne amasse il silenzio.
Amava però il silenzio pieno.
Il silenzio tra due persone che si osservano negli occhi e si dicono tutto.
Il silenzio pieno, quello che ti riempie dentro, che si infila nelle orecchie, nello stomaco, nella testa, quello che ti gonfia. Il silenzio dei soffi di vento, quello che anticipava la tempesta.
Invece il silenzio vuoto, quello la spaventava.
Roxanne diceva sempre a tutti di non aver paura di nulla, niente di niente.
Perché quando c’era il silenzio, lei si preoccupava di riempirlo.
Era imbarazzante quanto le facesse paura qualcosa di cosa astratto, si vergognava quasi di non aver paura dei ragni, degli uccelli, oppure dell’altezza. Quelle erano paura rimediabili.
Era un terrore sano.
Hai paura dei ragni? Li eviti!
Insomma, quante volte nella vita puoi trovarti di fronte ad un Super-Ragno-Gigante?
0 in media! A meno che tu non sia Harry Potter, Ron Weasley oppure tu abbia una passione per le bestie pericolose, sia un Mezzo-Gigante e ti chiami Hagrid.
Invece il silenzio. Oh, il silenzio è ovunque.
E quello più pericoloso, secondo Roxanne, è quello che nessun chiasso può completamente otturare.
Come quando ti annunciano una morte, oppure finisci un discorso importante, oppure aspetti una risposta che potrebbe cambiarti la vita.
Puoi lanciare tutte le cioccorane che vuoi, puoi cantare una canzone di Celestina a squarciagola, puoi improvvisarti Albus Silente e fingere di ballare la conga in intimo, ma invano. Il silenzio resterà. E ti coprirà come una coperta di neve, lasciandoti senza parole. Ti svuoterà, risucchierà tutta la tua felicità e poi riempirà il tuo intestino di ansia.

-Non pensavo fossi il tipo da Torre di Astronomia.-
Roxanne raddrizza la schiena di colpo, indietreggiando con un salto e allontanandosi velocemente dalla sbarra, cadendo di nuovo di sedere sul pavimento,  per poi girarsi di scatto e mettersi sulle ginocchia, pronta ad alzarsi, i pugni stretti, chiusi, attenti, avrebbe potuto iniziare un duello alla babbana in qualunque momento.
-Chi sei? Che ci fai qui?-
Si era alzata, la mora, ora si puntellava sulle punte e si guardava intorno con aria circospetta, le sopracciglia dritte che formavano due strisce al loro mezzo, gli occhi socchiusi.
-Guarda che ti faccio male. E, se scopro chi sei, posso riempirti il letto di caccabombe e farti ricordare per sempre questo giorno a suon di Merendine Marinare su per--
Non completa la frase, mentre i pugni le scendono lungo i fianchi e un’espressione stupita sostituisce quella attenta e pronta all’attacco di prima, Roxanne era una donna guerriera, in quel momento assomigliava di più—di più ad una scimmia che ha appena scoperto di aver perso una banana.
-Roxanne, abbassi così la guardia? Sembra che un branco di gorgo sprizzi ti sia entrato nelle orecchie, anche se la vedo difficile.. Con tutti quei capelli a farti da protezione!-
-Non insultare i miei capelli.-
-Non era affatto un insulto.-
Lorcan Scamander aveva fatto un passo in avanti, sporgendosi verso il pallore della luna che rendeva la sua pelle chiara solo ancora più trasparente del solito, Roxanne, non abituata alle pelli così diafane, avrebbe potuto seguire il tracciato delle vene sul suo collo, oppure sui polsi. Un sorriso sghembo a piegargli le labbra sottili, si era avvicinato di molti passi alla compagna di scuola, osservandola con occhi quasi divertiti.
-Però attenta, Roxanne. Per i nargilli può essere molto difficile entrare, ma è anche difficile uscire. Dovresti provare a tirarli indietro, sai?-
Aveva allungato una mano, portandola tra i ricci stretti della ragazza, infilando poi l’indice in un boccolo, tirandolo appena e poi facendolo ricurvare su sé stesso, piano. Aveva quindi provato a tirare i capelli all’indietro, ma, non riuscendoci, aveva aperto le labbra in una goffa risata, facendo apparire due allegre fossette agli angoli di esse.
Roxanne aveva gonfiato le guance così tanto che il viso sembrava quasi sproporzionato rispetto al minuto resto del corpo, poi però, notanto che il ragazzo non era per nulla spaventato dalla sua occhiataccia, aveva sbattuto violentemente due pugni sul suo petto, per poi indietreggiare e dargli le spalle, permalosa e orgogliosa, la schiena diritta e i passi lunghi.
-Guarda che non ci metto nulla a riempirti il letto di caccabombe.-
-Non pensavo fossi una romanticona. La luna piena, la Torre di Astronomia..-
Uno sbuffo interrompe il monologo del ragazzo che voleva stuzzicare la quindicenne. Roxanne curva appena la schiena, poggiandosi di nuovo sulla ringhiera, quindi parla.
-Taci, Scamander.- Roxanne raddrizza di nuovo la schiena, quindi si gira sui tacchi e fissa il ragazzo negli occhi, per quanto fosse possibile data l’oscurità che colorava lo spazio, quindi si avvicina a grandi falcate, come una leonessa sul territorio da caccia.
-Se scopro che lo hai detto a qualcuno, le caccabombe nel letto saranno solo una stupida pausa dai tormenti che potrei inventare.-
Detto questo, si acquatta nell’ombra, per poi sparire agli occhi di Lorcan, immobile, mentre fissava il vuoto lasciato dall’imponente figura di Roxanne.

 
 
 
-




Bacio.
Occhi chiusi.
Pelle.
Luna.
Menta.
Api frizzole.
Luce.
-Basta, ti prego.-
Labbra.
Sorriso.
Lacrima.
Mani.
Dita.
-Non.. non possiamo, lo sai..-
Abbraccio.
-Cosa c’è di male?-
Amore.
Vita.
Fianchi.
Luce.
Buio.
Paura
.
-Tutto-
-Niente-
Bacio.
Felicità.
Sole.
Terrore.
Scoperta.
-Devo andare.-
-No.-
-Si.-
-Non voglio.-
-Addio.-
-A domani?-
Spavento.
Rumore.
Silenzio.
Sorriso.
Cuore.
Anima.
Bacio.
-A domani.-






-



Cher Dominique,
ho provato a rintracciarti da gran-mère Apolline, ma a quanto pare non sei neanche lì.
Sei sparita, Minique, dove sei?
E’ la decima lettera che invio, sperando che arrivi una risposta, spero tu non sia troppo lontana perché ti arrivi la mia civetta, tesoro mio.
Comment ça va?
Qui tutto trés bien, ma è successo qualcosa, sorellina, qualcosa di meraviglioso, ma cui penso di non essere pronta.
Io e Ted aspettiamo un bambino e non siamo neanche sposati.
Se maman venisse a saperlo.. Ti prego, Nique, torna. Londra ti aspetta. Io ti aspetto, anche Louis sente la tua mancanza e papà è così diverso! Non indossa neanche più i suoi orecchini comprati al mercato egizio. Ho bisogno di te, manchi a tutti: a Lily, a Lucy, persino a Roxanne, ad Albus e a.. James, Minique, sono sicura che manchi anche a lui, sorellina.
So bene che è difficile rinunciare al sole di Paris, ma pensa anche al sole della famiglia, alla luna che risplende su Villa Conchiglia.
Torna a casa Dominique,
con affetto,
Victoire’


Era almeno la ventesima volta che Dominique, i capelli biondi ora tagliati alle spalle, gli occhi celeste chiaro, gli zigomi alti e i tratti delicati, leggeva la lettera che le era stata recapitata da una civetta bianca, all’ombra della Tour Eiffel, seduta su una panchina di ferro, piano, il vento che le accarezzava la pelle chiara con dolcezza, come una tiepida carezza che una madre regala al figlio mentre sta per addormentarsi.
Si era alzata in piedi, Dominique, gli occhi appena lucidi per la nuova notizia.
Non aveva mai avuto rapporti ottimi con sua sorella durante i suoi anni ad Hogwarts, anzi, risultavano spesso glaciali tra di loro, fredde, due statue di ghiaccio, esperte entrambe nel Galateo, ma incapaci nel socializzare a vicenda. Troppo distanti, per concedersi una carezza.
Pareri troppo diversi.
Victoire, innamorata del sole della Francia, che costringeva la famiglia a trascorrere almeno un mese dei due con nonna Apolline, a Parigi, per svuotare la camera blindata della Gringott in scarpe, vestiti e café nei bar degli Champes Elysées.
Dominique, impegnata in una lettura sotto una quercia nell’ampio cortile della Tana, a correre per i prati ad inseguire gli gnomi di nascosto, per non farsi scoprire dalla madre, che amava camminare sotto la pioggia di Londra senza ombrello, confondendosi tra i Babbani.
Eppure, durante il settimo anno, tutto era cambiato.
Dominique e Victoire avevano imparato che stringersi la mano era molto più facile che allontanarla con freddezza.
Che trattarsi con confidenza era molto più semplice, che limitarsi al saluto e a vaghe forme di cortesie.
Che gli abbracci riempivano gli spazi molto più delle belle parole e che le lacrime, se condivise, avevano un sapore molto meno amaro.
Così le spalle di Victoire accolsero i pianti di Dominique.
Così il cuore di Dominique aveva imparato a fidarsi di quello di Victoire, e viceversa.
E quando Dominique, terminato il settimo anno, aveva deciso di fuggire dai dispiaceri e di stare per un po’ a Parigi per voltare pagina (se non per cambiare decisamente libro), nessuno aveva appoggiato la sua scelta tranne Victoire. Nessuno aveva sentito la sua mancanza più di Victoire.
Dominique chiude gli occhi, una lacrima che le riga la guancia candida, fino a scivolare sul foglio di pergamena saturo del profumo di rose della sorella, quindi gira il piccolo foglio e,con una piccola stilo cacciata fuori dalla tasca,segna sul retro della pergamena, cercando di scrivere in maniera più chiara possibile:
 
 
‘’Sto arrivando.’’









Angolo della scrittrice:
Lo so, lo so, è tutto un po’ confuso, soprattutto la parte centrale.
Per l’ultima parte.. Ho notato che in molte fanfictions il rapporto tra Victoire e Dominique non è dei migliori, però io penso che siano comunque sorelle.. quindi mi è uscito questo.
Spero vi piaccia,
la prossima volta provo a segnalare i volti degli attori/modelli che mi ricordano di più i personaggi.

Con affetto,
Ilaria. 

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