Six Fool Moons

di _Even
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sei mesi sottoterra ***
Capitolo 2: *** Frustrazione ***
Capitolo 3: *** Lontana dal cuore, vicina al desiderio ***
Capitolo 4: *** Copia imperfetta ***
Capitolo 5: *** Promessa ***
Capitolo 6: *** Enigma ***
Capitolo 7: *** Dea ***



Capitolo 1
*** Sei mesi sottoterra ***


six fool moons

Six Fool Moons *

 

-Che cosa ho fatto?!

-Mi ha vista squartare l'utero di quella prostituta. Hai fatto bene a farla fuori, o avrebbe raccontato tutto alla polizia.- pausa. -E non fare quella faccia, Grell. Non è di certo la prima donna che fai fuori, no?

-Non capisci, Madame? Lei non è una donna come le altre.

-Come, prego?

-Lei è una shinigami, come me. E non sono del tutto sicura che lasciarla qui sia una buona idea.

–Che cosa vuoi dire con questo?

-Madame, tu non capisci: noi shinigami possiamo essere uccisi solo dai nostri simili. Non possiamo permetterci che venga scoperta. Cercherebbero il suo assassino e arriverebbero a me in un secondo. E non oso pensare a cosa potrebbe accaderci, se ci beccassero!

-E allora cosa ne facciamo?

-L'unica cosa da fare è liberarsene, e al più presto.

 

Sentì bussare alla porta più e più volte. Finalmente aprì, indossando il suo sorriso più inquietante.

Ma tutto ciò che trovò dall'altra parte fu il corpo di una donna senza vita, e l’ombra di un uomo che scappava di corsa.

Il becchino sorrise mentre, afferrando il cadavere per il polso, lo trascinava all’interno del suo emporio.

-Bene, bene, cos’abbiamo qui.- ridacchiò. –Un’ospite davvero particolare.

Osservò l’utero della donna, lacerato senza pietà da colpi inferti da una motosega, e i suoi occhi, vacui e incoscenti.

-Che delitto eccellente.- disse, sull'orlo delle risate. 

 

Aprì gli occhi all’improvviso, ed ebbe paura. Il buio la circondava, la sensazione sulla sua pelle era quella del legno ruvido. Ma fu il dolore lancinante che la sferzava proprio in mezzo alle gambe che la spinse a reagire.

Urlò forte, e urlò ancora.

Ma l’urlo le si rovesciò addosso. Capì dove si trovava e perché.

La shinigami era stata seppellita viva.

 

Raschiò con le unghie il coperchio della bara, tentando di romperlo. Si maledisse: era vero, cercava spesso la compagnia delle donne, ma aveva deciso di aggirarsi in un vicolo particolarmente buio e deserto proprio quella notte. Aveva pagato cara la sua ingenuità: lì aveva trovato il cadavere di una prostituta, e di conseguenza la sua morte. Si chiese perché mai avessero tentato di ucciderla: non ne vedeva il motivo. Lei era sempre stata così timida, cortese, non aveva mai fatto del male a nessuno. Aveva, sì, provato a sostenere l’esame per poter mietere anime. Ma i suoi risultati erano stati ritenuti insoddisfacenti ed era stata costretta a fare lavoro d’ufficio a vita. Come tutte le shinigami donna, d’altronde. Quella era stata l'unica azione vagamente ardita che avesse mai compiuto, sebbene il suo insegnante le avesse consigliato più volte di farsi da parte. Già, il suo insegnante.

Grell Sutcliff. All’epoca, aveva fatto di tutto per imparare da lui, per essere come lui. Mai avrebbe pensato che proprio lui sarebbe diventato il suo carnefice.

Il primo mese di prigionia lo passò barcamenandosi tra questi pensieri. Impiegò il secondo mese, invece, facendosi domande senza risposta.

Si chiese cosa c’entrasse lui con quella donna, che aveva malauguratamente visto, mentre asportava l'utero di quella prostituta. La fortuna le aveva decisamente voltato le spalle, quella notte. Si chiese se lui l’avesse riconosciuta mentre la attaccava. Non si era nemmeno accorto che lei era la sua vecchia allieva? 

Probabilmente no. Era piombato dall'alto su di lei, forse da sopra un tetto, e l'aveva trapassata da parte a parte con la falce. Perché almeno non era andato fino in fondo? Avrebbe dovuto ucciderla e basta, almeno così non sarebbe stata costretta a soffrire così tanto, nel disperato tentativo di evadere dalla sua fossa. I dubbi la torturavano atrocemente.

 

I mesi divennero tre, e pian piano i dubbi si dissolsero per far posto al rancore.

Aveva finalmente rotto il coperchio della bara e ora scavava nella terra buia e umida. Ne sentiva il penetrante odore nelle narici, il sapore tra i denti e l’irritante granulosità dritta negli occhi. Ed era tutta colpa di Grell. Gli dei della morte più di tutti dovrebbero capire l’importanza della vita. È un abominio che uno di loro uccida, pensò, e semplicemente non dovrebbe esistere.
Grell non sarebbe dovuto esistere. Avrebbe dovuto soffrire, così come stava soffrendo lei, che era viva e morta allo stesso tempo.  

 

Nel buio se lo vedeva quasi davanti. Con quei lunghissimi capelli rosso sangue e il sorriso appuntito, sadico. Con quel volto, quelle movenze, quel modo di parlare quasi stucchevole che riservava solo agli uomini. E gli occhi perennemente luminosi, di malizia.

Si sentiva talmente urtata da quei particolari.

O forse erano la fame, la sete, la stanchezza e il terrore a irritarla? Forse. Era infastidita anche solo dal fatto che si ricordasse tante cose di lui. Grell stesso cominciava a infastidirla, forse arrivava perfino a detestarlo. Ma restava comunque il suo chiodo fisso.

Così passò il quarto mese, in cui il rimorso divenne rabbia cieca.

 

Come mi chiamo? Di che colore sono i miei capelli? Che forma ha il mio viso?

Non riusciva più a rispondere a nessuna di queste domande. Cominciava a dimenticarsi di sé stessa.

C’era un colore, impresso a fuoco nella sua mente. Rosso.

Forse era un colore che le piaceva? Forse era il colore dei suoi capelli? Oppure apparteneva a qualcun altro? Impossibile a dirsi.

E c’era un sorriso, dai denti affilati. Forse di Grell. Ma come faceva a essere completamente sicura che fosse proprio di Grell, che non fosse il suo, invece?

Amava gli uomini? Probabile. Tra i suoi ricordi, rivedeva il civettare senza pietà con uomini stoici e freddi come il ghiaccio. Sì, gli uomini. Lei... lei li amava. Lei ardeva di passione per loro? Non poteva essere altrimenti. O almeno così sperava.

Si ricordava piccole cose, futili memorie, e niente di più che sporadici episodi passati. Inezie che dovevano per forza appartenerle.

Ma quella era davvero lei? Poteva essere, come poteva non essere.

E infondo, era un po’ la stessa cosa, no? Sorrise nel buio del sottosuolo, mordendosi il labbro fino a penetrare la carne viva.

Il quinto mese era passato, che la rabbia cieca era scesa inesorabilmente nella pazzia.

 

Il sesto mese era stremata. Urlava, rideva e piangeva. Si strappava i capelli dal dolore, si faceva del male. Scavava nella terra, sempre più umida, sempre più soffocante, tra grida e scoppi di risa. Scalciava come una belva. Stanca e disperata, spinse nuovamente le mani verso l’alto.

E le sue dita sfondarono l’aria, gelida e immobile, non più la terra.

Aria vuota, semplice e leggera. Sgranò gli occhi, incredula.

Scavò ancora, e ancora, sempre più forte, angosciata e speranzosa, finché l’ultimo strato di terra non cedette e lei si sollevò all’improvviso, esposta al gelo delle notti di Londra.

I suoi occhiali ormai erano completamente ricoperti di sangue rappreso e polvere, ma perfino non vedere nulla le andava bene. Scoppiò a ridere e si aggrappò al terreno.

-Oh, ma la mia voce! La mia voce è... diversa!- sogghignò. –Non me la ricordavo così squillante! O forse... Forse sì! Forse lo è sempre stata.

Sorrise e si morse di nuovo le labbra con i denti. Appuntiti, come quelli degli squali.

E, se fosse riuscita a vedersi riflessa da qualche parte, avrebbe visto anche i suoi capelli, corti e ribelli, dal colore del vino rosso.


Gli shinigami, si sa, possono cambiare aspetto. E lei lo aveva fatto, ma inconsapevolmente, e non solo.

Il suo chiodo fisso l’aveva cambiata del tutto, da dentro a fuori.

In lei non c’era più una singola traccia di ciò che era stata. Era intrappolata tra due mondi che non le appartenevano più.

Sé stessa e Grell Sutcliff.

-Ma... un secondo... Io?- si interruppe, tossendo e sputando ghiaia e sangue. –Io come mi chiamo?!

-G... Forse Gr... Gre...?- farfugliò, frustrata dalla sua amnesia. –G... Gra... Gr...? Grace!

Grace? Quello sarebbe potuto davvero essere il suo nome?

Esplose in una risata irrefrenabile. La sua voce rintoccò insieme alla mezzanotte, rimbalzò tra le tombe e su per le pareti. Era l’unica anima viva del cimitero in cui dimorava, e questo la faceva sentire immensamente onnipotente. 

-Mi andrebbe bene qualsiasi nome. L’importante è che io possa riavere ciò che mi spetta!- si infuriò di botto. –Io sono una dea della morte. Io devo mietere anime. Sono nata per questo, e fosse l’ultima cosa che faccio, riprenderò il mio posto! Perché io sono...- sorrise. –Io sono Grace DEATH!

Abbassò lo sguardo, verso quello che un tempo era il suo utero. Lo squarcio non si era rimarginato del tutto, probabilmente non si sarebbe mai rimarginato:- Ma prima, devo pur vendicami del mio aguzzino. Sono davvero, davvero arrabbiata con lui. Dovrei dargli una lezione come si deve...- Alzò la testa e sghignazzò scompostamente, al colmo dell'eccitazione.

-Ma guarda! E io che pensavo che sarei impazzita a stare sei mesi sottoterra, e invece ne sono uscita esattamente come ci sono entrata!

 

 

 

Note d’autrice:

Finalmente, dopo una lunga attesa, sono riuscita a scrivere qualcosa che mi soddisfacesse. Avevo intenzione di pubblicarla una volta conclusi tutti i capitoli. Ma il mio computer sembra stia per rompersi definitivamente da un momento all'altro. Così preferisco che almeno questa parte sia pubblicata.

So che ci sono alcuni punti leggermente “deliranti” e poco chiari nella storia, ma è esattamente così che la volevo. Confusa e delirante, come la mente di Grace.

Grace è il mio personaggio originale, un personaggio di cui vado particolarmente fiera. Magari non è esattamente il personaggiò più "nuovo" del mondo, ma va bene così, è esattamente come la volevo, e non la cambierei mai.

Al prossimo capitolo.

 

*Six fool moons: è un gioco di parole tra il termine full moon, luna piena, e fool, che vuol dire “pazzo, stolto”.

 

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Capitolo 2
*** Frustrazione ***


Six Fool Moons
 

Grace tentò di alzarsi in piedi.

Le gambe, però, non riuscirono a sorreggerla, tanto erano irrigidite dai mesi di inattività. Cadde a terra dopo un istante urlando per la frustrazione, e lì rimase.

Non vedeva niente senza occhiali, era notte e i suoi muscoli ancora non funzionavano a dovere. La cosa più saggia e intelligente da fare sarebbe stata restare ferma dov’era, in attesa che facesse giorno e che i suoi occhi riuscissero quantomeno a distinguere sagome ed ombre.

Ma lei di certo non era saggia. Andò a tentoni alla ricerca dei suoi occhiali e, quando li trovò, cominciò a graffiare sulla patina solida e nauseante che ne ricopriva le lenti. I movimenti delle sue dita, rapidi, brevi e sconnessi, la facevano sembrare una marionetta manovrata da due burattinai perennemente in disaccordo.

La sua mente e il suo corpo.

Non importava cosa lei comandasse alle sue mani, quelle avrebbero agito secondo la propria volontà. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché riprendesse pieno possesso del suo corpo.

E il tempo era l’unica cosa che le mancava.

-Mi va bene non vedere niente?!- domandò a sé stessa, come se quell’affermazione la ripugnasse. Come se non fosse stata lei a dirla, pochi minuti prima. –Non mi va bene affatto!

Le sue unghie si muovevano sempre più spedite. Cominciò ad ansimare non per la fatica, ma per il nervosismo. Era irrequieta. Non vedeva nulla, doveva affidarsi solo alle sensazioni che la sua pelle le dava al contatto con la superficie delle lenti.

-Gli occhiali sono importanti, per noi.- disse dolcemente, con lo stesso tono che di solito si usa con i bambini. –Sono molto importanti, oppure noi shinigami non possiamo vedere niente. No. Non vediamo proprio nulla senza gli occhiali.

Ridacchiò sommessamente per poi trasalire, quasi estatica, quando rimosse gli ultimi segni della sporcizia.

-Questa cosa me la ricordo.- sorrise soddisfatta.

Si infilò gli occhiali: le lenti erano danneggiate e non vedeva molto, ma almeno vedeva. Un po’ camminando e un po’ strisciando, arrivò fino al cancello del cimitero e lo scosse mentre rideva. Era chiuso.

Il suo sorriso si spense: la fortuna le aveva voltato le spalle un’altra volta.

Era esausta, era furiosa ed era disperata, tanto che si ritrovò nel giro di un attimo a piangere e a strillare come una bambina capricciosa. Non ne poteva più. Aveva aspettato troppo a lungo per farsi bloccare da una sciocchezza come un cancello chiuso. Si aggrappò all’inferriata con tutte le sue forze e vi poggiò la fronte, mentre si accasciava al suolo. Si sentiva quasi debole.

-Non posso restare chiusa qui. Non stanotte.- sussurrò riprendendo temporaneamente il controllo. –Devo uscire, devo trovare il mio dolce, dolce aguzzino...

Non poteva contare sulla sua forza fisica in quel momento. Poteva contare solo sulla disperazione e sulla rabbia. E fu proprio ciò che fece.

Si affidò quindi alla sua furia, l’unica cosa che poteva spingerla a fare cose inaudite e ben al di sopra delle proprie possibilità.

Si tenne saldamente al cancello e, urlando di rabbia, lo tirò con forza verso di sé. 

Lo scardinò.

 

Si ritrovò a vagare per una stradina oscura. La fioca luce di un lampione era la sua unica compagnia in quel momento.

Le gambe stavano lentamente riacquistando forza e, benché non si fosse del tutto ristabilita, cominciava a strisciare di meno e a camminare di più.

-Oh buon Dio! Cosa ti è successo, cara?

Grace bloccò la sua andatura sbilenca e si voltò in direzione di quella voce. Apparteneva a una donna dal volto ingenuo e meravigliosamente vestita di rosso in compagnia di un giovanotto dall’aria colpevole. Li aveva forse beccati in flagrante?

-Ti conosco, ragazza?- rispose.

La piccola ingenua avvampò:- B... beh, no, ma stai zoppicando, e... poi sei tutta sporca di terra... e sei quasi nuda, così... non so, pensavo che ti servisse aiuto.

Grace roteò gli occhi. Quel modo di parlare la faceva innervosire, così incerto e diretto allo stesso tempo. Tipico delle persone che vogliono ostentare innocenza.

-Lasciala perdere, non lo vedi che è una prostituta?- commentò freddamente l’uomo.

Prostituta.

Quella parola saltò nella sua mente come una molla.

Si raddrizzò di colpo. –Come mi hai chiamata, scusa?!

-Basta guardare come sei vestita.- spiegò lui, come se fosse la cosa ovvia del mondo. –Il tuo ultimo cliente deve averti sferzata per bene, eh?

Si dette uno sguardo: indossava un corsetto sgualcito, la biancheria era completamente lacerata e si intravedeva la profonda ferita al bassoventre; un reggicalze senza più calze da reggere penzolava floscio.

-Come ti sei permesso?- si infervorò. –Hai una vaga idea di chi sono io? Sai a chi stai parlando in modo così avventato?!

Lui sembrò annoiato e fece per andarsene tenendo la sua dama saldamente per la mano. Ma Grace li precedette e bloccò loro il passaggio.

-Sai chi sono io?!- urlò loro in faccia.

-No, non lo so!- fece lui di rimando.

L’altra ringhiò. –Io sono una shinigami, una dea della morte. Dovresti portare rispet...

La risata sguaiata di lui la interruppe, risuonando fastidiosamente nel silenzio tombale della via.

-Una dea della morte! Sì, certo, come no, questa è bella.- disse, senza riuscire a frenare le risate. –Dovresti farti curare, dico sul serio.

Incurante della faccia sconcertata della rossa, l’uomo proseguì per la sua strada.

-Tu non credi che io sia una shinigami?- sussurrò lentamente.

-Io non credo a certe sciocchezze.- ribatté, piccato.

-Quindi non credi negli shinigami.

-Smettila di ripeterlo.- tagliò corto. –No, non ci credo infatti. Io credo solo a quello che vedo.

Io credo solo a quello che vedo.

-Io credo solo a quello che vedo.- lo scimmiottò lei, sghignazzando tra sé e sé. –A quello che vedo.

Dopodiché si voltò verso la coppia, corse verso di loro e afferrò l’uomo per le spalle, costringendolo a voltarsi verso di lei.

Lui era palesemente spazientito e probabilmente gliele avrebbe cantate di santa ragione, se lei non avesse fatto l’impensabile.

-Io credo solo a quello che vedo!- ripeté allegramente.

Allungò le mani verso i suoi occhi e in un duplice, rapido gesto, li afferrò e glieli cavò dalle orbite.

Il volto lieto di Grace si sporcò di sangue umano: sospirò di sollievo.

La vittima urlante si accasciò a terra in preda al dolore. Teneva le mani sulle palpebre vuote per bloccare la fuoriuscita di sangue, mentre la sofferenza diventava sempre più atroce mano a mano che i secondi passavano.

-Chissà a cosa crederai, ora che non puoi più vedere niente!

La sua compagna scoppiò in lacrime, coprendosi la bocca con la mano. La paura, però, ebbe la meglio sulla compassione e dopo qualche secondo fece per scappare.

Grace agguantò l’orlo della sua gonna per trattenerla, e inaspettatamente la trovata funzionò. La donna inciampò mentre il tessuto cremisi si stracciava. In un attimo, la shinigami le fu addosso e si sedette a cavalcioni sopra di lei.

-Allora, dimmi cara. Cosa stavi facendo di interessante con questo bel giovanotto?- chiese.

Nessuna risposta.

-Tiro a indovinare.- proseguì allora. –Un amore clandestino! Forse le vostre famiglie ostacolano la vostra unione? Oh, no... Forse tu sei già sposata con un altro uomo!- sorrise canzonatoria. –Allora sei un’adultera, piccola svergognata!

L’altra di nuovo non rispose. Fissava la donna che troneggiava su di lei, con gli occhi sgranati che luccicavano di eccitazione.

–Ora ti farò un’altra domanda, più semplice stavolta. Rispondimi solo di sì o di no. Ci stai?

Il volto terrorizzato dell’altra si mosse in un cenno di assenso.

-Bene. Tu credi negli shinigami?

-Sì, sì ci credo!- rispose prontamente, mentre le lacrime le sgorgavano dagli occhi. Stava palesemente mentendo per salvarsi la pelle.

-Mmmh, mi piacerebbe crederti, davvero. Anzi, facciamo finta che io ti creda!- esultò Grace. –Purtroppo non posso lasciarti libera così. Andresti a dire tutto a tutti. Una prostituta ha cavato gli occhi al mio amante! Che paura, era così spaventosa, oh, è tutto così confuso, agente...- scoppiò a ridere. –No, non si può.

Le prese dolcemente il viso tra le mani:- E allora cosa facciamo?

La donna si fece scudo con le braccia, andandosi a coprire gli occhi. Ma non era ai suoi occhi che puntava.

Le aprì le labbra di forza e, afferrandole la lingua, gliela strappò.

L’urlo della donna si congiunse a quello del suo amato, mentre si portava le mani alla bocca. Il sangue che le intasava la gola la stava soffocando.

Grace si rialzò e in un unico gesto baldanzoso sfilò la gonna dalle gambe dell’altra, provandosela come una bambina che indossa i vestiti della mamma.

-Il rosso mi ha sempre donato. Non trovate anche voi?- domandò al nulla.

I corpi dei due amanti erano sconquassati dal dolore: avrebbero volentieri preferito la morte.

E si sperava che questa sarebbe arrivata presto.

Le due povere vittime sarebbero presto morte per dissanguamento, o almeno così sperava. E nel momento in cui ciò fosse avvenuto, sarebbe venuto uno shinigami a mietere le loro anime.

E lei sarebbe stata lì finché questi non fosse arrivato. Allora si sarebbe fatta condurre nel luogo in cui avrebbe potuto avere la sua rivincita, come dea e come vittima.

Facile.

-Ehi, cosa succede?

-Oddio, guardate quanto sangue!

-Chiamate un dottore!

-Presto!

Le urla dei due feriti avevano svegliato le persone che abitavano lì.

E così come un gatto scappa dall’acqua, così Grace, dimenticandosi di colpo del piano appena architettato, scappò via dalla folla repellente.

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Capitolo 3
*** Lontana dal cuore, vicina al desiderio ***


Six Fool Moons

 

Grace bussò insistentemente alla porta dell’emporio di pompe funebri. Ci volle un po’ perché capisse che in realtà era aperta, ma quando ciò avvenne la spalancò ed entrò rumorosamente.
Il becchino dai lunghi capelli grigi uscì ridacchiando da una bara poggiata alla parete, appena in tempo per vedere il volto della dirompente donna che si guardava intorno.
-Salve.- le disse. –Non ci siamo già incontrati da qualche parte, io e te?
Grace grugnì, indignata. -Non credo proprio! Piuttosto, stupido becchino, devo farti una domanda.
Il sorriso di Undertaker si allargò. –Sì?
-Ho saputo che una coppietta clandestina è stata ammazzata qui vicino proprio ieri. I poveretti sono morti per dissanguamento, dopo che uno squinternato ha preso lingua a lei e gli occhi a lui.- sospirò e avvampò da capo a piedi, eccitata al pensiero di tutto quel sangue fresco e arrabbiata per esserselo perso.
Il becchino non cessò di sorridere:- E con ciò?
-Posso vedere i cadaveri?- chiese, come se fosse ovvio.
-Perché dovrei lasciarteli vedere?
-Perché sì!- strillò. –Sarà servita una forza disumana per cavare gli occhi a un povero diavolo, o sbaglio?!
-No, se l’assassino ha usato un’arma.
-Per questo voglio vederli! Voglio capire se il delitto è stato compiuto a mani nude -ed io sono sicura che sia così-, perché in tal caso non può essere stata opera di un essere umano.

Il suo tono non ammetteva repliche.
-Di chi, allora?
-Di uno shinigami, mi pare più che naturale.
-Ne sei davvero sicura?- sogghignò.
L’altra lo guardò come se fosse impazzito:- Oh, insomma, basta con queste sciocchezze! Vuoi mostrarmi quelle salme sì o no?
Undertaker si fece da parte, mostrando le due bare scoperchiate. La guardò avvicinarsi ad esse e studiare freneticamente i cadaveri.

Non sapeva esattamente se Grace non capisse o fingesse di non capire. Aveva notato le sue mani, completamente insanguinate, e che aveva indosso giusto il capo d’abbigliamento mancante dal corpo senza vita della vittima (una gonna scarlatta). Era come se ogni parte del suo corpo urlasse “colpevole”.
-Oh sì, è stato decisamente uno shinigami. Sai cosa vuol dire?- sussultò questa all’improvviso.
-Che cosa?
Il suo tono divenne grave. -In città c’è un dio della morte che si diverte ad massacrare la gente! Devo assolutamente cercarlo!- ringhiò esponendo i denti aguzzi, ma al contempo sorrise. –E quando lo avrò tro...
-Non troverai ciò che cerchi, shinigami.
La voce non apparteneva al becchino, ma a una donna. Quando Grace si voltò, vide la creatura più bella e più leggiadra su cui avesse mai posato lo sguardo. I suoi occhi erano di un blu così gelido che a Grace vennero quasi i brividi a guardarla: erano freddi, stoici, quasi apatici. Ci avrebbe volentieri fatto l’amore, con quegli occhi.
-E tu chi sei, bella fanciulla? Che ci fai qui tutta sola?- chiese con voce languida.
L’altra rimase impassibile. –Mi chiamo Claudia, e non sono da sola.
Quindi gli occhi glaciali dell’altra si posarono sul becchino. Grace non poté fare a meno di chiedergli:
-È una cosa tua?
L’unica risposta che fuoriuscì dalle labbra incurvate del becchino fu:- Un mio esperimento particolarmente ben riuscito.
-Oh, su questo non c’è dubbio. Molto ben riuscito, sì.- disse, voltandosi di nuovo verso quella splendida creatura. Solo allora notò che aveva una cicatrice che la squarciava dalla spalla sinistra in giù:- Che brutta ferita che hai, Claudia. Come te la sei procurata?
Non aspettò che le rispondesse, perché continuò subito:- Sai, anche a me hanno lasciato una cicatrice. Certo, la mia non è proprio sul petto, è un po’ più lontana dal cuore e un po’ più vicina al desiderio... Se capisci cosa intendo.
-Non troverai ciò che cerchi, shinigami.- ripeté lei.
-Come scusa?
-Tu cerchi l’autore di questo delitto?- fece un gesto ampio verso i due corpi esanimi. -Bene, io ti dico che la tua ricerca non potrà portarti che da te stessa.
-E con questo che vorresti dire? Che dovrei cominciare anch’io ad ammazzare gli esseri umani?
-No, shinigami.- ribatté sprezzante. -Sto dicendo che…
-Aspetta... in effetti dovrei!- i suoi occhi divennero quasi lucidi per la gioia. –Se uccidessi un umano, uno shinigami sarebbe costretto a venire a prendere la sua anima! Allora io sarei lì ad aspettarlo e in un modo o nell’altro potrei costringerlo a riportarmi a casa!
Claudia proseguì il suo discorso come se non fosse mai stato interrotto:- Attenta a te.
Grace si voltò con aria confusa, ma ancora in agitazione. –Perché dovrei stare attenta? Non avrò la mia falce, ma sono comunque molto più forte di quegli insulsi umani!
-No, non è questo il punto. Io non credo che…
-A cos’è che non credi, tu?- quella frase sembrava aver acceso un interruttore nella mente di Grace. –Non credi... Non credi negli shinigami, forse?
-Sì, ci credo. Ma tu di certo non sei degna di essere chiamata tale.
Grace le prese saldamente il mento tra le dita: la pelle di Claudia era fredda, come i suoi occhi. –Potrei anche strapparti la lingua per ciò che hai appena detto.
Si stava giusto chiedendo se un po’ di sangue avrebbe donato alla pelle diafana dell’altra, quando il becchino la prese con violenza e la scaraventò fuori dall’emporio, sorridendole.
-Ma che ti prende, razza di becchino svitato?!- gli urlò contro.
Si sporse verso di lei per un secondo:- Sai cosa vuol dire “guardare ma non toccare”?

Le sbatté la porta in faccia e la sua risata le arrivò alle orecchie dall’interno del negozio.
Grace digrignò i denti nervosamente: era un pazzo, non aveva il minimo dubbio.

 

Nel frattempo all’interno dell’emporio Claudia fissava Undertaker, mentre quest’ultimo rideva. 
-Era lei l’assassina?- chiese con voce piatta.
-Oh, certo che sì.- rispose, riprendendo fiato.
-Perché faceva finta di non sapere niente degli omicidi?
Lui le mise un braccio intorno alle spalle e la condusse verso la sua bara. –No, non faceva finta. Ho il sospetto che lei si sia dimenticata delle persone che ha ucciso.
-E perché?
La fece distendere delicatamente all’interno della cassa, carezzandole i capelli dal colore del cielo notturno:- Credo che non lo sapremo mai. Sai, l’ho seppellita una volta, per sbaglio. Forse questo spiacevole incidente l’ha un po’... danneggiata.
-Quindi dici che è diventata pazza?- ne dedusse.

Il becchino sorrise. –Come sei curiosa, mia Claudia.- disse.
Poi richiuse il coperchio della bara su di lei.

 

Quella stessa notte, Grace incappò in un bambino che stava attraversando la strada di corsa.

Gli chiese se fosse orfano.

Lui rispose che lo era a metà.

Lei gli chiese cosa intendesse.

Lui rispose che non aveva più il padre, il quale si era ammalato e poi era morto.

Lei sorrise. Poi gli chiese se credeva negli shinigami.

Lui rispose che non sapeva cosa fossero.

Lei capì che lui non ci credeva.

E, come una saetta, una voce improvvisa e agghiacciante che poteva sentire solo lei, qualcosa la spinse a cavare gli occhi a quel mostriciattolo.

Non crede negli shinigami. Strappagli gli occhi.

E così fece.

Lui strillò terrorizzato e dolorante, poi scoppiò a piangere.

Lei gettò i suoi bulbi oculari sull’asfalto, mentre si passava sulle labbra quel dolce nettare cremisi che le imbrattava le mani.

Le sue mani. Splendidamente ornate da sangue fresco e innocente.

Quando rialzò lo sguardo, Grace vide di fronte a lei un bambino. Si era coperto il viso con le mani e stava scappando, forse da lei.

-Che ha quel moccioso? Gli ho fatto paura?!- scoppiò a ridere.

Da una parte era contenta che se ne andasse. Gli umani sortivano su di lei lo stesso effetto degli insetti sulle fanciulle schizzinose: le facevano venire voglia di vomitare. La disgustavano sopra ogni dire. Erano sciatti, noiosi e deboli.

Le piacevano solo quando morivano. Quando poteva possedere le uniche cose interessanti che avevano.

La loro anima e il loro sangue.

 

Il giorno dopo, Grace venne a sapere che un bambino era morto.

Pareva che una squinternata gli avesse cavato gli occhi.

Grace ne rimase colpita. Di sicuro era stato uno shinigami a compiere l’omicidio: nessuno avrebbe avuto tanta forza da levare gli occhi a un bambino a mani nude.

Andò da un becchino che stava in zona e gli chiese di vedere il corpo del lattante.

Lui glielo mostrò.

Lei gli disse che, secondo lei, era stato uno shinigami ad ucciderlo.

Quel giorno incontrò una donna meravigliosa, dagli occhi freddi come il ghiaccio.

Si chiamava Claudia.

Claudia le disse che non avrebbe trovato ciò che cercava.

Grace non capì cosa intendesse dire.

Quella notte, incontrò un uomo di mezza età.

Gli chiese come si chiamava.

Lui disse che si chiamava Jonathan Collins.

Lei gli chiese se lui credeva negli shinigami.

Lui rispose che, sì, ci credeva, ma che lo teneva per sé. Era un po’ imbarazzante.

La folgore agghiacciante si abbatté di nuovo nella mente di Grace. Quasi un ricordo nostalgico si fece strada.

Crede negli shinigami. Strappagli la lingua.

Lui si ritrovò a urlare, sanguinante, nel giro di pochi secondi.

Lei lo fissò. Vide un uomo contorcersi di fronte a lei, con i palmi delle mani premuti sulle labbra. Annoiata, se ne andò.

Gli umani le davano la nausea.

Erano creature rivoltanti e insopportabili. Odiava la folla proprio per questo motivo.

Li amava, però, nel momento in cui questi cessavano di vivere.

 

Il giorno dopo venne a sapere che un uomo di nome Jonathan Collins era morto soffocato dal suo stesso sangue.

Rimase molto colpita dal modo in cui era stato svolto l’omicidio, era intenzionata a scoprire chi fosse stato.

Quindi si recò da un becchino, sperando che potesse aiutarla.

 

Il ciclo si ripeté ancora. Si dimenticava di ogni persona che uccideva non appena gli lacerava gli occhi o la lingua. In un modo o nell’altro, non riusciva mai a essere presente alla loro morte, quando la loro anima veniva mietuta. Decine di vittime morirono in vano.

Si recò dal becchino ogni giorno, e incontrò Claudia tutte le volte, ma per Grace era sempre la prima volta. Era il suo colpo di fulmine quotidiano.

Non importava che lui la cacciasse ogni giorno via dal suo emporio in malo modo o che ogni giorno Claudia la maltrattasse di più.

Grace ormai aveva dimenticato come si faceva a ricordare cose che non riguardassero il suo unico obiettivo: Grell.

 

-Eric! Vieni qui!

Lo shinigami biondo si recò dal collega.

-Eric caro, sono davvero molto stanca oggi. Puoi occuparti tu di una missione al posto mio?

Sbuffò, irritato. –Che cosa?

-Si chiama Noah Brooks, ha diciassette anni e dovrebbe morire a breve, per emorragia. È uno di quegli omicidi bizzarri che si stanno verificando in questi ultimi giorni.

-E se io per caso ti dicessi di no, Grell?

Quest’ultimo si mise teatralmente una mano sulla fronte, mostrandosi parecchio spossato:- Quale parte di “molto stanca” non ti è abbastanza chiara, Eric caro? Non vorrai costringermi a lavorare in queste condizioni! Potrei combinare un bel pasticcio, e sai come la prenderebbe Will...

Sbuffando per la seconda volta, Eric fece come Grell gli aveva detto.

 

Grace incontrò un ragazzino allampanato.

Gli chiese cosa ci facesse da solo e al freddo.

Lui le rispose di farsi gli affari suoi.

Lei gli chiese quale fosse il suo nome.

Lui le diede la stessa identica risposta di prima.

Lei gli chiese se credeva negli shinigami.

Lui non le rispose e continuò a camminare.

Grace ripeté la domanda, mentre un’impellente sete di sangue si impadroniva di lei.

Ma una voce alle sue spalle le chiese, invece, se credeva nei demoni.

Poi sentì non una, ma tre lame che le si conficcavano nella schiena.

Di fronte a lei piombò un uomo in nero, con sguardo pacato, sinistro. Vermiglio.

Era magnetico: la ipnotizzava con quei suoi movimenti che riuscivano ad essere sia minacciosi che eleganti.

Con gli occhi spalancati e un rivolo di bava luccicante al lato della bocca, Grace biascicò:- Potrei cominciare a crederci anche adesso.

Ad un tratto il demone la afferrò per la gola e la sollevò da terra.

L’aria le mancava.

Il dolore era a stento sopportabile.

Lui la stringeva con l’evidente intento di strangolarla, mentre un bambino fastidioso li fissava con aria annoiata e incitava il demone a farla finita. Lo chiamava Sebastian.

Se in quel momento il terrore non l’avesse attanagliata, avrebbe trovato il tutto estremamente eccitante.

 





Eccoci qua al terzo capitolo :D

Siamo a metà di questo folle percorso.

In questo capitolo rendo omaggio al personaggio originale di AmyFallen, ossia Claudia (che Undertaker è riuscito a riportare in vita tramite i suoi famosi esperimenti sulle “bambole bizzarre”), personaggio che personalmente adoro.

Ringrazio ScratchGlissando per le correzioni e ringrazio BeaLovesOscarinobello, amanotsukiko4evr, AmyFallen, MisaMichaelis, ShinigamiGirl e Neliel2000 per le recensioni.
Scusate il cambio di layout. Non riesco a gestire bene l'html^^

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Capitolo 4
*** Copia imperfetta ***


Six Fool Moons

 

Eric Slingby si trovò di fronte una scena surreale.

Un demone teneva sollevata una shinigami per la gola, con l’evidente intento di strozzarla e, dall’espressione trasognata della donna, sembrava proprio che la cosa non le dispiacesse.

Accanto a loro, un ragazzino con un occhio coperto da una benda diceva al demone di ucciderla. Il suo tono imperioso stonava terribilmente con il suo aspetto infantile. E, al suo fianco, un giovane guardava la scena terrorizzato ed incredibilmente sbigottito.

Noah Brooks, pensò subito Eric.

Egli non riusciva a staccare gli occhi dalla shinigami: era sicuro di non averla mai vista prima, ma lei gli ricordava terribilmente il suo collega, Grell. Forse era per la massa di capelli rossi. Oppure erano i denti aguzzi?

-Sembra che tu abbia causato un po’ di trambusto in questi giorni, non è vero?- le disse il demone, con calcolata gentilezza.

-Trambusto?- gracchiò con voce soffocata.

-Non ti ricordi più?- ribatté lui. –Non ti ricordi più di tutte le persone che hai ucciso? A cui hai portato via gli occhi, la lingua e chissà cos’altro?

-Che vai farneticando?- insisté. –Io non ho mai ucciso nessuno!

-È un peccato che io e Sua Maestà non la pensiamo come te, vero?

Sorrise, ma il suo non era un sorriso di cortesia. –Sono desolato, ma sono costretto ad ucciderti.- Strinse la presa attorno al suo collo e proseguì fingendosi dispiaciuto:- Si dice che gli shinigami possano morire solo se feriti da una Death Scythe. Chissà se c’è un altro modo... beh, ho tutta la notte per scoprirlo.

Le mancava il respiro, ma Eric riuscì ugualmente a scorgere la follia nei suoi occhi lucidi. La donna estrasse uno dei coltelli che aveva conficcati nella schiena e, mentre esplodeva in una risata rauca e incontrollabile, lo scagliò verso Noah Brooks.

Il coltello gli penetrò il cranio e il giovane morì sul colpo.

Quasi simultaneamente, uno schiocco secco indicò che il demone aveva spezzato il collo della shinigami.

Questa precipitò a terra, come una bambola di pezza. Era ancora viva, ovviamente, ma appena cosciente di ciò che le accadeva attorno.

Piantò i suoi occhi smeraldini su Eric e gli mormorò qualcosa di incomprensibile con un filo di voce.

-Sembra che questo non sia più un nostro problema.- sentenziò il demone, rivolto al biondo. –Fanne ciò che vuoi, purché tu la tenga a bada. O sarò costretto a farle molto più male di così.

Pensava che Eric la conoscesse.

-A noi non serve più.- aggiunse il ragazzino. Se ne andò e il demone lo seguì.

Eric rimase leggermente turbato, sia dalle loro parole che dalla shinigami misteriosa che aveva di fronte, sporca di terra e di sangue rappreso, che lo fissava con sguardo vacuo: più la guardava, più riusciva a vedere in lei una copia imperfetta di Grell Sutcliff.

Sospirò di nuovo, prima di mietere l’anima della povera, giovane vittima e prima di assicurarsi che la shinigami tornasse tra i suoi simili.

 

Grace aveva assistito, inerte, a tutta la scena. Il dolore era lancinante, ma non le impediva di vedere.

Finalmente aveva incontrato un dio della morte. Non era sicura che l’avesse sentita, quando gli aveva chiesto di fare una cosa per lei. Ciononostante, era riuscita nel suo intento.

“Riportami a casa”

 

Il suo collo non si era ancora ripreso dalla frattura e ciò la costringeva a piegare esageratamente la testa di lato. Ma quel che vide la fece sentire appagata.

Shinigami.

Ovunque c’erano shinigami che lavoravano, che parlavano, o semplicemente camminavano. Erano dappertutto.

-Ce l’ho fatta.- sussurrò, commossa.

-Will, vieni subito! Devi vedere una cosa.- urlò il tizio biondo che l’aveva salvata, rivolto a chissà chi.

Solo allora si accorse che lui l’aveva tenuta in braccio per tutto il tempo.

Grace si innervosì e si dimenò finché lui non la poggiò a terra: non voleva e non doveva dipendere da nessuno eccetto che da se stessa.

Lo shinigami che Eric aveva chiamato arrivò pochi secondi dopo. Aveva i capelli corvini e lo sguardo impassibile, distaccato. Il suo volto non tradiva neanche un briciolo di emozione. Grace sentì un istinto peccaminoso dentro di sé.

Si leccò le labbra, mentre pensava a ciò che avrebbe voluto fargli (e farsi fare) in quel preciso istante, lì di fronte a tutti. La sua freddezza era dannatamente provocante e lei non era affatto una donna mansueta.

-Che cosa ti prende, Slingby?- lo rimproverò lui.

Quando si accorse di Grace, però, la magia di quel volto stoico si ruppe miserabilmente: contrasse la mascella e il suo sguardo cominciò a saettare da una parte all’altra, pur di evitare ciò che aveva di fronte, evidentemente sgomento.

-Ma cosa...?!- cominciò, senza riuscire a continuare. Ebbe il coraggio di guardarla solo dopo qualche secondo. -Chi sei tu?- le chiese infine.

-Io sono Grace, DEATH!- scattò all’istante, mostrando i denti appuntiti in un sorriso.

L’espressione di William era di puro terrore. Era come se cercasse di far quadrare qualcosa nella sua testa, senza però riuscirci.

-Willy! Perché hai quella faccia, che cosa ti prende?

Quella voce.

 

Risuonò come un brivido di puro odio.

Come mille spilli acuminati che si conficcano nel cranio uno alla volta.

Come sangue che ribolle nelle vene, sul punto di scoppiare.

Quella dannata voce. Acuta, penetrante ed inconfondibile.

Rimbombava nel cervello di Grace praticamente da sei mesi. E, in quel momento, proprio dietro di lei.

-Hai bisogno di un po’ di riposo, Willy.- proseguì. –Io lo dico sempre: tu lavori troppo!

-Sutcliff, vattene via!- strillò il moro, che aveva di fronte il viso di Grace.

Aveva gli occhi spalancati e il fiato corto, come se stesse cercando di trattenersi. Digrignava i denti, la bocca contorta in un ghigno animale. Furia irrequieta.

-Spostati da lì o per te si mette male!- aggiunse in fretta Eric.

Tuttavia Grell non si mosse di un millimetro. Anzi, ne approfittò per ficcanasare:- Chi è quella lì? E perché è vestita come una prostituta?

Bastò una parola. Una piccola scintilla toccò la fragile mente di Grace.

Dentro di lei tutto esplose, lasciando nient’altro che fiamme e devastazione, fumo nero che la soffocava fino a farla impazzire.

Bastò che si voltasse per far riversare fuori da quel corpo usurato tutta la rabbia che la imprigionava.

I mesi in cui era stata in trappola. In cui aveva patito la fame senza morirne, in cui aveva creduto di soffocare per la mancanza di aria, senza che ciò accadesse mai. In cui la gola le si seccava sempre di più e poteva inumidirla soltanto con il sangue che le colava dal mento e dalla bocca, lacerata dalle sue stesse zanne.

I mesi in cui era stata sul punto di morire, senza morire mai.

Bastò un nome perché quell’incubo ritornasse.

-GRELL SUTCLIFF!

 

L’urlo arrochito perforò le orecchie di Grell: rimase leggermente turbato dalla cosa, ma non si spaventò seriamente finché Grace, con un balzo disumano, lo raggiunse e protese le braccia verso di lui.

Eric e William la afferrarono prontamente per la vita e la strattonarono via da Grell prima che potesse raggiungerlo. Lei muoveva ancora le mani verso la sua preda: desiderava lacerare quella pelle candida e vedere il suo sangue schizzare ovunque.

Il rosso trasalì per la paura, ma si rilassò non appena vide i che due shinigami riuscivano a tenerla ferma. Si dimenava ed era sempre più irritata ogni istante che passava lontana dal suo carnefice.

-Oh Will, come sei dolce a proteggermi!- cinguettò Grell. –Sembri proprio un cavaliere senza macchia e senza paura che difende la sua amata.

-Ti sembra il momento?!- ansimò quest’ultimo.

Grell la osservò a lungo. Molto a lungo.

Forse un attimo di troppo.

Di certo la sua pelle smorta, i suoi capelli rosso scuro e suoi denti acuminati, fin troppo simili ai propri, l’avevano tratto in inganno. Ma i suoi occhi... spalancati e vitrei, da morta come da viva, li avrebbe riconosciuti ovunque.

Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso.

Ed era pienamente consapevole che nessuna sberla avrebbe fatto male quanto quella verità. Boccheggiò in cerca d’aria, orribilmente consapevole di ciò che aveva di fronte.

-Ma tu...Tu sei...?

-Grace!- gridò lei, sporgendosi ancora di più in avanti, verso di lui. –Non ti ricordi di me? Oh, ma certo che ti ricordi! Mi hai seppellita viva, brutto...

Con un ultimo sforzo, Eric scaraventò Grace sulla parete dietro di loro tanto forte da farle perdere i sensi.

Dovevano portarla via di lì, e dovevano nasconderla dagli occhi di tutti.

 

-Che diavolo sta succedendo?!

Grace si risvegliò e si ritrovò legata a una sedia con delle catene.

Era chiusa in una stanza insieme a pochi altri shinigami, compresi quel Will che lei aveva trovato tanto appetitoso, il biondo che l’aveva salvata dal demone e Grell Sutcliff.

Il suo corpo ebbe uno spasmo verso il rosso quasi involontario, non appena lo vide. Ma la sua sete di vendetta avrebbe dovuto aspettare ancora.

-C’è una cosa che devo dirti. Ho bisogno che tu sia concentrata su di me.- le disse William, guardandola dritta negli occhi per catturare la sua attenzione.

-L’unica cosa su cui riesco a concentrarmi è sul fatto che qui siete tutti uomini, siete in cinque e io sono legata a una sedia.- rispose Grace, guardandosi intorno con un sorriso malizioso. –Quante possibilità abbiamo secondo te?

Grell sbottò:- Certo, perché niente è più eccitante di una squilibrata incatenata che ti implora di metterle le mani addosso.

Il latrato bestiale della shinigami riempì la stanza. –Sparisci dalla mia vista! O per te si mette male. Quanto è vero che mi chiamo Grace, quando riuscirò a...

-Tu non ti chiami Grace.- la interruppe William.

Smise di botto di dimenarsi, allibita:- Che vuol dire che non mi chiamo Grace?

Il moro le si avvicinò, mentre lei fissava il vuoto alle sue spalle. Si chinò e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Un nome, per la precisione.

Alice McKenzie.

Il fiato di William accanto al suo orecchio le provocò un brivido di piacere non indifferente. –Oh, caro Will, non so chi sia questa Alice McKenzie, ma sappi che potrai ripetermi il suo nome tutte le volte che vorrai!

-Non ricordi proprio niente.- constatò lui.

-E che cosa dovrei mai ricordare?

-Davvero?- quasi trasalì Grell. –Io sono stato il tuo insegnante! Hai fallito il tuo esame per diventare shinigami e hai iniziato a lavorare per le Risorse Umane. Eri inquietante, a dir la verità... mi seguivi in continuazione.- concluse, a metà tra l’esasperato e il compassionevole. –Non te ne ricordi più?

-Sta’ zitto!- urlò Grace, ma non si mosse. Voleva sentire di più, ma di certo non da lui.

-Ricordi qualcosa della tua morte?- chiese di nuovo William, indugiando sull’ultima parola: non si trattava di una vera e propria morte.

Quasi divertita, rispose:- E come dimenticare? Quel bastardo mi è piombato addosso e mi ha squarciato l’utero! E poi...- respirava affannosamente. –Mi ricordo di una donna in rosso che mi inseguiva. Anche lei voleva uccidermi.

-E le persone che hai ammazzato, quelle te le ricordi?- fece Eric all’improvviso.

Grace sbuffò:- Ancora con questa storia?! No, non ho mai ucciso nessuno.- si bloccò. –Eccetto stanotte, ma l’ho fatto per...

William sollevò una mano per fermarla. Doveva capire.

-E che mi dici del tuo passato, Grace?

Si rilassò improvvisamente: quell’interrogatorio era estenuante e abbandonarsi ai ricordi la rilassò. –Beh, Will, siamo diventati shinigami insieme. Questo tu te lo ricordi, mio caro? Il sedici dicembre del 1799, se non erro. Mietemmo l’anima di uno scrittore e in quell’occasione io ti salvai la vita.

-E poi?

-Beh, poi sono stata costretta a fare da insegnante a un gruppo di sciatte reclute.- inorridì al solo pensiero. –E poi il resto è un po’ confuso.

William asserì nervosamente. Inspirò ed espirò, come per togliersi un peso, e con un gesto si fece aiutare da alcuni colleghi a toglierle le catene.

-Hai ricordi reali e concreti di tutto ciò che mi stai dicendo? Ti ricordi di tutto, istante dopo istante?

-Beh, non proprio, ma...- con un gesto, William la interruppe una seconda volta.

Il suo volto era una maschera di confusione. Non riusciva a spiegarselo, non ce la faceva.

Quella donna era un abominio e uno scherzo della natura e lui non poteva fare a meno di sentirsi responsabile.

Lui, che era sempre stato attento e impeccabile in tutto ciò che faceva.

Lui, che non si era mai lasciato sfuggire niente.

Lui che non aveva calcolato il fattore Grell, e le conseguenze devastanti che questo avrebbe potuto avere non solo su sé stesso, ma su chiunque fosse capitato sul suo cammino.

Lui che stava assistendo a un evento a dir poco epocale.

Davanti a lui c’era una shinigami che aveva perso la ragione, e lui non aveva fatto nulla per evitare che accadesse.

-Ali... Grace.- si corresse, visibilmente nervoso. -Abbiamo ragione di credere che tu sia impazzita.- disse tutto d’un fiato.

Passarono alcuni secondi prima che Grace potesse registrare l’informazione e ripetere con un ghigno sprezzante:- Impazzita?

William prese un lungo fiato per dire, tutto in una volta, ciò che doveva dire. Non avrebbe mai più trovato tanta forza e doveva approfittarne.

-Non è il tuo passato, quello che ricordi. È il passato di Grell Sutcliff.- espirò di colpo. –Il tuo vero aspetto non è questo. L’hai copiato da Grell Sutcliff, ma non sappiamo come. E tu... Potresti non credermi per ciò che ti sto dicendo. Quindi sarò costretto a...- la sua voce si spezzò, mentre afferrava la sua falce della morte e la stringeva talmente tanto forte che le nocche gli divennero livide sotto i guanti neri. –Fidati, farà molto più male a me che a te.

William giunse dietro di lei e, con tutte le sue forze, le piantò la falce dritta nella schiena.

Il sangue cominciò a sgorgare copiosamente dalla ferita e, insieme ad esso, sgorgò anche dell’altro: i suoi Cinematic Records. I suoi veri ricordi.

I ricordi di Alice McKenzie.

Alice McKenzie. Lei.

Angolo dell'autrice:
Rieccoci di nuovo qui :D
Nonostante le scarse recensioni dello scorso capitolo sono ancora qui, e ringrazio amanotsukiko4evr e ShinigamiGirl per le recensioni.
Ringrazio soprattutto ScratchGlissando per le continue correzioni. Anche se ti ringrazio "a modo mio", è sempre troppo poco per ciò che fai.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, e mi auguro di rivedervi anche la prossima volta.
Siamo al quarto capitolo. Ancora due capitoli di agonia, su su!

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Capitolo 5
*** Promessa ***


Six Fool Moons

 

William estrasse la propria falce dalla schiena di Grace e osservò il sangue fuoriuscire brutalmente dalla ferita aperta. Non avrebbe voluto essere così violento con lei, tuttavia non aveva avuto altra scelta: voleva avere accesso a quanti più Cinematic Records possibili.

La sua speranza era che, nel rivedere la propria vita scorrerle davanti, Alice (o come si faceva chiamare, Grace) sarebbe riuscita a ricordare chi era stata e, forse, a ritornare in sé.

In caso contrario, William avrebbe avuto un serio problema.

Un brivido gli corse lungo la schiena quando il suo sguardo incrociò quello estasiato di Grell.

L’estasi di Grell non comportava mai nulla di buono.

 

I Cinematic Records riempirono presto la stanza delle memorie di Alice McKenzie.

Mostrarono Grell Sutcliff intento a fare da insegnante a un gruppetto di reclute, tra le quali lei. I capelli raccolti, talmente viola da sembrare neri, i denti perlacei e l’espressione mite di Alice erano in netto contrasto con l’attuale aspetto di Grace. 

Grell non teneva delle vere e proprie lezioni, piuttosto amava impelagarsi in lunghi racconti circa la sua esperienza in quanto shinigami, acquisendo pian piano la bizzarra abitudine di parlare di se stesso al femminile.

Nonostante tutto Alice lo ascoltava, rapita e ammirata.

Voleva essere come lui.

Cominciò a seguirlo ovunque andasse, a volte di nascosto, altre alla luce del sole. Lo spiava mentre civettava con uomini aitanti e novellini dalle bizzarre inclinazioni; una volta lo pedinò ed ebbe perfino la fortuna di vederlo all’opera, mentre prendeva l’anima di una ragazzina malmenata a morte da un criminale.

Il suo obiettivo era somigliargli il più possibile.

Purtroppo fallì miseramente.

Sostenne l’esame finale: doveva occuparsi dell’anima di un bambino di soli sette anni, investito da una carrozza mentre giocava per strada.

All’ultimo minuto, Alice era stata sopraffatta dalla pietà per quella creatura così piccola e innocente, e non aveva trovato il coraggio di finire il lavoro. Così era tornata indietro.

Venne relegata a vita alle Risorse Umane.

Tra i monotoni spezzoni della sua vita da impiegata, apparvero le immagini di un vicolo buio.

Whitechapel Road.

Una prostituta, morta. Il suo cadavere, completamente sventrato, e una donna in rosso china su di lei, con un coltello sanguinante tra le mani.

I suoi occhi scarlatti si posarono su Alice e quella scappò senza esitare, incurante del fatto che per gli shinigami era impossibile morire per qualche ferita.

Riuscì a seminarla e si guardò intorno. Poi indietro. Poi in alto.

Appena in tempo per vedere una figura in rosso piombare giù da un tetto su di lei.

Il viso del carnefice passò dal puro piacere alla sorpresa, e dalla sorpresa all’orrore.

Aveva una motosega e la teneva puntata verso Alice.

Tentò di spostarsi, pur sapendo che non ne avrebbe mai avuto il tempo.

L’arma le trapassò l’utero da parte a parte.

Fu così che Grell Sutcilff credette di aver ucciso Alice McKenzie.

 

Grace fissava quei fotogrammi, quasi malinconica: era una storia triste, come ne aveva viste a migliaia, ed era sinceramente dispiaciuta per Alice.

Benché quei ricordi stessero dolorosamente sgorgando dalla sua schiena, però, lei non li sentiva affatto suoi. Li guardava come avrebbe guardato un brutto spettacolo messo su in una bettola di quart’ordine: con apatia e totale disinteresse. Come se quella vita triste e penosa fosse appartenuta a qualcun’altra.

Forse, in fondo, era la verità.

Sentiva un dolore sordo squarciarle il petto, anziché la schiena, e sperava che presto quello stesso dolore tramutasse in rabbia, con la quale aveva ormai imparato a convivere da tempo.

Tese la mano verso quella bobina infernale e, in quel momento, vide una figura profilarsi al centro della stanza.

Alice.

Era proprio lì, davanti a lei, e piangeva sommessamente. Grace sorrise.

-Tu!- le urlò contro. –Eccoti finalmente. Temevo che non sarei mai riuscita ad incontrarti.

Fece schioccare la lingua e le andò vicino, parlandole con quel tono mellifluo che di solito si usa con i bambini:- Cosa combini, Alice? Insegui miss Sutcliff come fossi un cagnolino ubbidiente, ti fai prendere dalla compassione verso un bambino e getti al vento la tua opportunità di diventare una shinigami. Ti fai quasi ammazzare.– scosse il capo, ridacchiando. –Non si fa, Alice. Proprio non si fa.

Le girò attorno, mentre quella frignava disperata.

-La tua vita è proprio una noia mortale, dolcezza mia. Oh, dimenticavo.- il suo sorriso si spense e i suoi strilli acuti riempirono la stanza. –Quella era la mia vita! Non me la ricordo più, non riesco più nemmeno a riconoscerla, ed è solo colpa tua! Perché Alice? Perché mi hai fatto questo?!

Le si piazzò di fronte. Grace ed Alice, uguali e diverse come solo la disperazione aveva potuto renderle.

-Guarda il tuo passato, Alice. La tua vita è stata un’umiliazione.- ringhiò. –Forse il mio è un passato rubato, ma è stato un passato dignitoso ed eccitante, non mi sono mai piegata a nessuno. Io ero padrona della mia vita e io decidevo cosa era meglio per me. Anche se non l’ho mai vissuta, per me è stata questa la vita!

Non poteva sopportare oltre.

Si scagliò su Alice trasformando le parole in un urlo infuriato.

Ma cadde sul pavimento freddo. Completamente sola.

I Cinematic Records attorno a lei erano scomparsi, riavvolti nella sua carne lacerata.

-Dov’è andata?- chiese tristemente.

William le posò una mano sulla spalla. –Alice, in questa stanza non c’è nessun altro a parte noi.

Si voltò di scatto verso di lui, digrignando i denti per trattenere la rabbia. Come l’aveva chiamata? –Che stai dicendo? Ho parlato con lei fino a pochi secondi fa.

La mano del moro tremava sulla sua pelle. La stringeva, per evitare di lasciarsi andare al terrore.

-No. Tu hai parlato da sola fino a pochi secondi fa.- precisò.

Non poteva essere.

Non doveva accadere.

Grace aveva gli occhi lucidi.

Aveva davvero visto Alice?

Poteva essere, come poteva non essere.

E infondo era un po’ la stessa cosa, no?

La sua voce era un sussurro spezzato. -Quindi avevi ragione? Sono davvero impazzita?- chiese titubante.

-Temo di sì.

Grace lasciò che una lacrima le rigasse una guancia, e fece l’impensabile.
Scoppiò in una risata irrefrenabile, senza riuscire a contenersi.

Non smise di ridere neanche quando la portarono via.

Nemmeno quando la trascinarono fino ad un’altra stanza, minuscola ed opprimente.

Non smise, quando la incatenarono al muro. Lei stava ferma e li lasciava fare, e nel frattempo rideva.

Non smise, quando la lasciarono da sola con i polsi in catene, quasi crocifissi al muro.

Rise finché non svenne per tutto il sangue che aveva perso.

 

Quanto tempo era passato? Un’ora forse, o un giorno. Grace non lo sapeva.

Aveva smesso di ridere, come di sperare. Non tentava più nemmeno di liberarsi: non ne aveva la forza. Aveva fallito e ora si sentiva svuotata, quasi violata dalle sue stesse memorie.

Fu un attimo.

Un rumore la destò dalla sua assenza di pensieri: qualcuno aveva aperto la porta della sua “cella”.

Sentì il ritmico battito dei tacchi sul pavimento.

Capì immediatamente chi era entrato.

Una risatina curiosa e inquieta solleticò Grace nel profondo, là dove risiedevano la sua rabbia e la sua sete di vendetta.

-Guarda un po’ chi si rivede!- squittì quella voce familiare. -La brutta copia della sottoscritta.

Grace sollevò la testa di scatto, e la visione del sorriso sornione di Grell bastò a far resuscitare tutto il suo dolore. Si lanciò su di lui, ma le catene bloccarono la sua folle corsa.

-Non essere così violenta, o ti resteranno i segni sui polsi, cara.- proseguì, appena indignato. –Hai creato un tale scompiglio presentandoti qui. Will ha un diavolo per capello: non sa proprio come fare per liberarsi di te. Dice che secondo chissà quale regola, non può farti fuori. Ma ha paura che se ti tiene qui, tu prima o poi riuscirai ad uscire e, pensa, vuole punire me per questo! Secondo lui è tutta colpa mia, Alice cara.

-Io mi chiamo Grace!- strillò quella, dimenandosi invano.

Grell le si piazzò di fronte, abbastanza vicino da farsi quasi raggiungere, ma non abbastanza da permetterle di sfiorarlo. La torturava lentamente, imponendole e al contempo privandola della sua presenza.

-Se preferisci, è così che ti chiamerò.- batté le mani, sbrigativo.

-Vattene via!- urlò questa, talmente forte che Grell sentì le proprie ciglia vibrare. Rise entusiasta come fosse un bambino.

Le andò più vicino e si avvolse uno dei suoi riccioli attorno al dito, ma lo ritrasse subito dopo: i capelli della shinigami erano ancora impregnati di polvere e sangue raggrumato e il semplice contatto, anche attraverso il tessuto del guanto, lo nauseava.

-Grace, che cos’hai fatto?- sospirò Grell. –Che cosa speravi di ottenere presentandoti qui?

-Io...

-Cosa pensavi di fare?- la interruppe sorridendo. –Uccidermi? Diventare una shinigami? Come, vorrei sapere. Avanti, spiegami come pensavi di procedere, una volta arrivata qui.

Grace spalancò la bocca per parlare, ma ciò che le uscì dalla bocca fu un sibilo smorzato.

-Su, sto aspettando.- Grell trattenne una risata.

-Volevo riprendermi ciò che era mio con la forza!- confessò d’un fiato, non senza un minimo di vergogna.

-Con la forza?- sussurrò l’altro.

Una risata spontanea gli sfuggì dalle labbra, irritando Grace fino all’inverosimile.

Il suo tono era di rimprovero:- Sul serio, credevi che semplicemente venendo qui e agitando le acque saresti riuscita a diventare una dea della morte?

Quelle parole erano un flagello per la debole mente di Grace, che non poté fare a meno di sentirsi mortificata.

Sperava che, una volta trovato Grell, l’avrebbe affrontato e forse anche ucciso. Ora vedeva il suo piano per quello che era: il delirio di una pazza.

Allungò le mani verso di lui e lo prese violentemente per il cappotto scarlatto.

Grell tentò di divincolarsi, ma non ci riuscì.

Lui era più forte di Grace, ma lei era furiosa e la furia era tutto ciò su cui poteva contare. Le conferiva una forza inaudita.

-Ascoltami bene, perché non mi ripeterò.- strillò con le lacrime agli occhi e un ghigno entusiasta. –Un giorno mi libererò di queste catene e uscirò da qui, come ho fatto quando sono scappata da quella tomba in cui tu mi hai rinchiusa.- prese un respiro e la sua voce uscì, più forte e più roca che mai. –E quando uscirò da qui pregherai perché io ti ammazzi, Grell Sutcliff! È una promessa!

Finalmente Grell riuscì a liberarsi.

-Sei una pazza isterica, Grace!- affermò, rassettandosi. –Chiunque dica che tu sei come me, è un bugiardo e un calunniatore!

Poi se ne andò a passo di marcia.

 

Grace si lasciò andare a una risata entusiasta.

Mise un piede su ciò che aveva abilmente sottratto a Grell durante il suo sproloquio e lo tirò fuori da sotto la gonna rossa.

La lista della morte di Grell, la lista delle anime da prendere.

Mentre lui la guardava fisso, lei gliel’aveva presa da dentro la giacca, per poi lasciarla cadere e nasconderla con la gonna lunga.

Avrebbe spezzato quelle catene: doveva dimostrare, a se stessa come a Grell, e come allo stesso William, che la sua pazzia non le impediva di fare ciò di cui aveva bisogno.

Mietere.

 

Grell stava ridendo.

Quella sgualdrina credeva davvero che Grell non se ne fosse accorto?

Quando aveva capito che lei stava cercando di sottrargli la lista delle anime, l’aveva semplicemente lasciata fare.

Era curioso di vedere fin dove Grace sarebbe stata disposta a spingersi pur di raggiungere i suoi obiettivi, anche se doveva riconoscere che era stata abile a scorgere la lista all’interno della giacca.

Grell dubitava che lei sarebbe realmente riuscita nel suo intento di mietere una delle sue anime, sprovvista com’era di falce della morte, ma Grell aveva tutta l’intenzione di darle corda a sufficienza per impiccarsi.

Oppure, in caso contrario, di aiutarla nel suo assurdo e folle piano.

Dipendeva tutto da lei.

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice:

Rieccomi qui, con il penultimo capitolo di questa storia che definire assurda è poco. Dio solo sa quante versioni ha avuto!

Inizialmente il nome di Grace doveva essere un altro, la sua personalità doveva essere completamente diversa (gaia e gioiosa) e non avrebbe dovuto avere alcun problema mentale. Insomma, inizialmente era una noia mortale.

Ma dopo mesi e mesi di revisione, alla fine è diventata... questo!

Confesso che un po’ mi mancherà quando sarà finito.

Ringrazierò per tutta la mia vita ScratchGlissando la mia mitica correttrice di bozze che non finirò mai di ringraziare.

Ringrazio anche amanotsukiko4evr, ShinigamiGirl e BeaLovesOscarinobello, che recensiscono assiduamente ogni mio capitolo, ed AmyFallen (che mi ero inizialmente dimenticata di citare e alla quale non chiederò mai perdono a sufficienza).

Ringrazio inoltre Mansy, Mikhael98 e MisaMichaelis.

Al prossimo (ultimo) capitolo! :)

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Capitolo 6
*** Enigma ***


Six Fool Moons

 

 

Grell era a dir poco seccato.

Le aveva praticamente servito la sua lista della morte su un piatto d’argento. Le aveva dato l’occasione che tanto bramava e quella squilibrata, dopo cinque giorni, ancora non si era fatta vedere. Non era riuscita a liberarsi dalle catene? O, più semplicemente, era stata scoperta mentre cercava di scappare?

Che delusione.

Vista la sua smania di uccidere chicchessia, era sicuro che si sarebbe fatta viva entro ventiquattr’ore al massimo. Sentiva di aver fatto un errore di valutazione, riponendo in lei più fiducia di quanta ne meritasse.

Sospirando e scuotendo la testa, Grell si avviò verso la dimora della sua prossima vittima, un uomo di settant’anni che, a minuti, sarebbe morto di arresto cardiaco. Vecchi, che noia.

Si appollaiò sul tetto di un palazzo e si mise a spiare l’uomo attraverso una finestra aperta.

Il vecchio stava seduto ad un tavolo e si stringeva il petto con volto sofferente, probabilmente l’infarto era già in corso. Nella notte, la stanza era appena illuminata da un’unica lampada.

Annoiato, lo osservò cadere dalla sedia, portarsi le mani al petto e annaspare alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Tirò forte la tovaglia che era sopra il tavolo e la trascinò giù con sé, rischiando di far cadere la lampada che vi era poggiata sopra. La luce nella stanza cambiò improvvisamente.

Fu in quel momento che la vide.

Non se ne accorse subito, concentrato com’era sulla sua vittima, ma Grace era lì.

Respirava affannosamente, addossata a una delle pareti. La luce si rifletteva appena sulle sue labbra umettate e sulle lenti lucide dei suoi occhiali.

Grell socchiuse gli occhi per vederla meglio.

Da quanto tempo era lì? Come aveva fatto ad entrare?

Non ne aveva la più pallida idea.

Ma sorrise comunque, tirando un sospiro di sollievo.

Perché ci avesse messo così tanto, non lo sapeva, ma meglio tardi che mai.

Il petto di lei si sollevava e si abbassava ritmicamente, le labbra mute e tremanti: la luce fioca della lampada la faceva apparire incredibilmente spaventata e fragile.

Era il momento.

Grell saltò giù dal tetto e piombò sul davanzale della finestra.

Lei ebbe un sussulto nel vederlo così all’improvviso, le labbra tumide si contrassero immediatamente in una smorfia rabbiosa, i suoi occhi diventarono braci roventi.

Grell sorrise, compassionevole.

Dopo tutta la spavalderia dimostrata, ora lei se ne stava nascosta nell’ombra come un ratto schifoso, senza fare niente. Ovvio, visto che il giudizio di un’anima non era una faccenda di sua competenza. Pur essendo Grace palesemente spaesata e, come Grell ebbe occasione di notare, disarmata, decise di metterla alla prova.

Ridacchiò. –Che ti prende, Gracie? Non sei riuscita a procurarti una Death Scythe? Tiro a indovinare: sei venuta qui in tutta fretta e non hai pensato di rubare una falce. Dico bene?- scosse la testa, nonostante Grace fosse visibilmente nervosa. –Ti presenti qui in ritardo, sprovvista di armi e addirittura ti nascondi. Sei proprio una vergogna di shinigami.

-Sta’ zitto!

L’orologio batté le ventitré. A breve quel poveruomo ignaro sarebbe morto.

Il grido di disperazione di Grace, però, coprì completamente i rintocchi del pendolo e un piacevole senso di colpa assalì Grell.

Poche semplici parole erano state sufficienti a metterla in agitazione. Meglio di quanto osasse sperare.

Sapeva bene che, per ottenere una qualche reazione da lei, bisognava farla infuriare.

Infatti, quando l’uomo la guardò negli occhi con terrore crescente, Grace capì di non avere più tempo: lo assalì e lo inchiodò a terra sotto di sé.

Grell si sedette, con calma.

Si godette lo spettacolo.

Grace si chinò su quell’uomo, che non aveva più neanche la forza di divincolarsi, e vinta da un insano bisogno, si lasciò guidare da esso.

Iniziò a mangiarlo.                                                                 

Gli rosicchiò la spalla, mentre quello piangeva e tentava invano di implorarla di smettere. Ma lei, sorda a qualunque supplica, si cibò della sua carne e si dissetò con il suo sangue.

Il respiro dell’uomo divenne sempre più debole, mentre cercava di portarsi il braccio rimasto integro al petto. Il momento della sua morte stava per arrivare e, per Grell, era arrivato il momento di capire quanto davvero Grace fosse capace.

Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.

-Avrei un’anima da mietere, se non ti dispiace.- disse. –Sai, non vorrei fare tardi.

Allentò la presa sulla propria falce della morte, sicuro che Grace avrebbe tentato di rubargliela. Un malcelato sorriso gli affiorò in volto.

Lei si voltò, ringhiandogli contro con la bocca e il collo grondanti di sangue. Gli strappò la motosega di mano, esattamente come previsto, si alzò in piedi troneggiando sull’uomo morente.

Sollevò l’arma sopra di sé e, riabbassandola con tutta la forza che possedeva, lo colpì in pieno petto. I Cinematic Records balzarono fuori all’istante, una di quelle pellicole tentò di avvilupparsi alla gamba di Grace, ma non ne ebbe la possibilità. Lei smorzò sul nascere quelle che le si ribellavano.

Le memorie di quell’uomo cercarono di soffocarla, di entrare dentro di lei, ma il corpo di Grace agiva ormai come animato da volontà propria e nessuno di quei ricordi avrebbe potuto deviare la sua mente, fin troppo distorta per poter essere penetrata.

Continuò imperterrita a infliggere colpi su colpi a quel corpo, gingillo impotente del suo volere perverso. I Cinematic Records non riuscirono ad impossessarsi di lei, delle sue braccia indemoniate che si muovevano meccanicamente con sempre maggiore violenza.

Continuò a torturarlo finché quasi non perse il respiro.

Era allo stremo della fatica, il suo volto agonizzante ne era la prova.

Ma continuò a colpirlo fin quando tutti i Cinematic Records si piegarono di fronte alla sua collera incessante e si raccolsero, remissivamente, nella falce della morte di Grell. Quando quello straziante flusso di ricordi cessò e la vittima esalò il suo ultimo respiro, Grace crollò a terra.

Dalle sue labbra si librò un urlo straziante.

-Meritava di morire.- ridacchiò eccitata, con voce esile. Si sfiorò le labbra, intrise di sangue. –Era solo un insegnante nullatenente che picchiava sua moglie. Non ha mai combinato niente nella sua vita. Meritava di soffrire.

Grell si alzò in piedi.

Osservando quella scena da semplice spettatore, doveva ammettere di essersi divertito parecchio. Certo, come missione era stata abbastanza semplice, e il fatto che quei Cinematic Records così fragili le avessero dato tanto filo da torcere era la prova che Grace non era ancora del tutto pronta. D’altronde, non poteva dire di non essere rimasto colpito. La guardò dall’alto in basso, sorridendo appena.

-Sutcliff!

Riconobbe all’istante quella voce autoritaria.

William.

Entrò nell’appartamento dalla finestra. Grell si voltò atterrito verso di lui, fissando Grace, ormai priva di sensi, che ancora stringeva la motosega tra le sue mani, e il cadavere, mutilato dai denti appuntiti della shinigami.

-Che cosa hai fatto?- chiese il moro, disgustato.

-Will, nel tuo ufficio, ora.- disse con risolutezza. –Io e te dobbiamo parlare.

 

-Le hai concesso di mietere una delle tue anime?- William lo colpì forte con la propria falce. –Sei impazzito per caso? Hai idea del pericolo a cui ci hai esposti?

Grell si massaggiò il punto dolorante. –Se l’è cavata bene, mi pare.

-Lo ha mangiato e tu hai il coraggio di dire che se l’è cavata bene?!

-È comunque riuscita a raccogliere un’anima. Non è questo l’importante?

Il moro prese un profondo respiro, mantenendo a stento il suo contegno, poi proseguì.

-Forse tu non ti rendi conto di ciò che hai fatto. Hai consegnato la tua falce della morte a quella... maniaca! Hai messo in pericolo noi e quegli umani. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

Grell scosse la testa. Quando William faceva l’ottuso, lo amava meno che mai.

-Non è andata male, e tu lo sai.- ribatté, girandogli intorno. –Dovresti smetterla di pensare a cosa sarebbe potuto accadere e iniziare a pensare a cosa accadrà, invece.

William si sedette alla scrivania e si massaggiò le tempie. Grell lo osservava, aspettando che lui lo invitasse a continuare.

Nel silenzio potevano sentire l’eco di urla lontane, ed entrambi sapevano a chi appartenevano. Grell cercò di nascondere un intimo sorriso di soddisfazione.

-Non la senti, Will?- si sedette sulla scrivania, accavallando le gambe. –L’hai appena rimessa in cella e lei già non ne può più. Le cose peggioreranno, gli altri si chiederanno il perché di queste urla, cominceranno a fare domande e tu come hai intenzione di rispondere?

-Non lo so.- disse, inquieto, ma mantenendo il proprio contegno.

Gli occhi di Grell luccicarono. –Io invece sì.

A sentire queste parole William sbuffò e voltò la testa dall’altra parte pur di non essere costretto a guardarlo. Non voleva prestargli attenzione.

Ma Grell non gradiva essere ignorato in quel modo, così ancora una volta si ritrovò a continuare il proprio discorso come fosse un monologo, senza curarsi dell’indifferenza di William.

-Grace voleva soltanto mietere un’anima, per questo è scappata. Ma non scapperebbe più se soltanto tu le concedessi qualche...

-Fa’ silenzio.

William lo colpì di nuovo, più forte e con più rabbia. Lo guardò quasi con odio e, per un momento, arrivò a detestarlo.

Ciò che Grell aveva in mente non solo era immorale, sbagliato e perverso, non solo andava contro ogni principio e contro ogni regola.

Era una prospettiva a dir poco spaventosa.

Non sarebbe mai accaduto, lui non lo avrebbe mai permesso.

-Puoi scordartelo, Sutcliff.- gli sibilò a denti stretti.

-Perché, tu hai altre idee?- si mise le mani sui fianchi. –Non puoi ucciderla e non puoi neanche lasciarla lì in cella, a strillare come un’aquila, e magari rischiare che scappi di nuovo. Se tu le passassi qualche missione ogni tanto, visto che a quanto pare riesce a portarle a termine...

-No, non ci riesce, è questo il punto.- precisò. –Dovremmo permetterle di banchettare con tutte le sue vittime? Non se ne parla.

-È soltanto per farla stare buona! Se tu...

William lo fece scendere dalla scrivania e lo allontano da sé, puntandogli contro al sua falce.

 

-Io devo andare.- si sistemò gli occhiali. –Non avvicinarti a me, e non seguirmi, o te ne farò pentire. Tu resterai al tuo posto, lei resterà al suo. Sono stato chiaro?

Detto questo, uscì dalla stanza, lasciando Grell da solo. Sapeva perfettamente a chi rivolgersi.

 

Il funerale di Daniel Hudson fu una cerimonia sobria. Ben poche persone a piangere al capezzale della bara. La salma dell’anziano, per qualche misteriosa ragione, non venne mostrata a nessuno.

Un uomo in nero, fuori dalla porta della chiesa, sfoggiava un largo sorriso, del tutto inappropriato vista la drammatica situazione. William si avvicinò a lui.

-Scusate.- disse, per richiamare la sua attenzione.

Il becchino si voltò verso il moro. –William T. Spears, che piacevole sorpresa. Cosa ti porta qui?

-Ho bisogno di un vostro giudizio. Solo uno shinigami leggendario come voi può risolvere questo enigma.











Angolo dell'autrice:

Chiedo perdono per essermi fatta attendere così tanto... Tra un blocco dello scrittore e l'altro, ho completamente perso il capitolo successivo a questo e,
visto che avrei voluto pubblicarli insieme, ho dovuto riscriverlo daccapo.
Ma ci vorrebbe troppo tempo a correggere il tutto, quindi per ora pubblico questa, che è la prima parte dell'ultimo capitolo.
Ringrazio come sempre ScratchGlissando per le sue correzioni.
Rigrazio anche LittleBloodyGirl, MisaMichaelis, BeaLovesOscarinobello, Mikhael98 e ShinigamiGirl per le recensioni.
Ringrazio infine AmyFallen, che mi segue sempre e che sopporta tutti i miei sproloqui su questa storia xD
Al prossimo
(e definitivamente ultimo)
capitolo!

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Capitolo 7
*** Dea ***


bla

Six Fool Moons

 

 

-Dunque non puoi ucciderla e non sai come impedirle di scappare, esatto?- chiese Undertaker.

William rabbrividì, annuendo appena.

Dopo un breve resoconto dell’intera vicenda, sperava in un consiglio che fosse semplice e di rapida esecuzione. 

Tuttavia, non si sentiva affatto ottimista. 

La situazione era di per sé delicata, e la presenza dello shinigami leggendario lo rendeva inquieto.

-C’è una cosa che ancora non mi è chiara.- disse infine Undertaker. –Perché il tuo collega vuole aiutarla se lei è pazza?

William sospirò profondamente e, quasi mortificato, ammise:- Non ne ho la più pallida idea. Capire cosa gli passa per la testa è praticamente impossibile.

-Posso parlare sinceramente?- sghignazzò il becchino. –Il tuo collega ha tutta l’aria di essere un folle.

-A volte penso che lo sia.- confessò.

-Allora non dovrebbe stare rinchiuso anche lui?

Inaccettabile.

La sua domanda era talmente fuori luogo che per un attimo William parve non avere intenzione di rispondere. Ma il rispetto e il senso del dovere ebbero la meglio su quel guizzo d’impertinenza, pertanto si ritrovò costretto a dire:

-Grell sarà anche bizzarro e... stravagante. Ma non ha un vero e proprio disturbo mentale, a differenza di Grace.- concluse, esitando sull’ultima parola. Non si sarebbe mai abituato a chiamarla in quel modo.

Undertaker non fece comunque caso al disagio di William.

-Io non vedo poi tanta differenza tra loro due. Stando a ciò che mi dici, hanno le stesse manie, gli stessi obiettivi, le stesse perversioni... Dici che lei è pazza perché ha commesso degli omicidi brutali a discapito di umani innocenti, ma anche lui ha fatto lo stesso. Pensa anche che per questo motivo entrambi hanno rischiato di essere uccisi da un demone.

-Come se non sapessi che siete stato voi a consegnarli entrambi a quella sporca creatura.- lo accusò William, senza riuscire a nascondere lo sdegno.

Undertaker sorrise, colpito da tanta audacia. Decise comunque di passare sopra alle –peraltro corrette– deduzioni di William e proseguì.

-Mi sto solo chiedendo perché concediate a lui le stesse possibilità che a lei negate.

-Forse voi dimenticate i vuoti di memoria e le allucinazioni a cui lei è soggetta.- ribadì. –Non capite? È instabile.

-Sì, me lo hai già spiegato.- disse, rivolgendosi a lui come a un ragazzino cocciuto. –Ciò che non mi hai spiegato, invece, è il vero motivo per cui tu le impedisci di lavorare al vostro fianco. La pazzia non è una ragione valida. Se ogni shinigami folle dovesse vedersi privato del proprio lavoro, a questo mondo non morirebbe più nessuno.

-Cosa intendete dire?

Undertaker posò affabilmente una mano scheletrica sulla spalla di William. –Decidere la sorte di anime mortali, giorno dopo giorno per tutta l’eternità, senza alcuna possibilità di ravvedimento, logora la mente e devia il cuore. Solo un pazzo riuscirebbe a fare questo lavoro senza battere ciglio, William.

Quest’ultimo si irrigidì. Non si aspettava, e non accettava, che qualcuno potesse dargli del pazzo.

-Lei, che ha già la mente logorata e il cuore deviato, non dovrebbe avere problemi nel nostro mestiere. Sbaglio?

Aveva sentito abbastanza. William si divincolò dalla presa di Undertaker e, pur mantenendo la propria reverenza e il proprio contegno, gli parlò in modo decisamente più distaccato.
-Non farò mai di lei una shinigami, questo è sicuro.

-Chi ha mai parlato di fare di lei una shinigami?

Quella situazione assurda non faceva che peggiorare. William, confuso e spiazzato da quella risposta, si ritrovò a pensare che, se non fosse pazzo come Undertaker predicava, lo sarebbe diventato molto presto.

-C’è soltanto una cosa che puoi fare.

 

Rimasto solo, Undertaker raggiunse il carro funebre, dove una donna in nero lo aspettava. Il velo, la veste e i guanti scuri coprivano ogni centimetro della sua pelle, eccetto il mento candido e le labbra piene.

-Non credo che la tua sia una buona idea.- affermò.

Il becchino si lasciò sfuggire uno sospiro di disappunto.

-William voleva una soluzione, e io gliel’ho data. Non ho mai detto che fosse anche buona.- riprese a sorridere. –I suoi sottoposti sono, come dire... vivaci, e quel Grell lo è più di tutti. Ha dei piani che solo lui conosce, Claudia, e non vedo motivo per cui non dovrei dare a entrambi ciò che vogliono.- scoppiò a ridere.

 

In una stanza di sole pareti, Grace si dibatteva.

Né porte né finestre in quella prigione segreta.

Si gettava addosso ai muri, urlando fino a farsi mancare il respiro.

A nulla sarebbero valsi i suoi sforzi, poiché nessuno avrebbe mai potuto sentirla.

La dea era stata murata viva.

 

Grell si affrettò a raggiungere William, il quale l’aveva convocato con urgenza. Stava lì, nel bel mezzo di un corridoio vuoto e solitario, ad aspettarlo.

-Will, perché mi hai fatta chiamare così, all’improvviso?- chiese, raggiungendolo di corsa. –Cos’è successo?

-Si tratta di lei.

Nel sentire queste parole, Grell si arrestò. L’altro sollevò le nocche e bussò lievemente sulla parete liscia dietro di lui. –Come potrai immaginare, sono stato costretto a chiuderla qui dentro.

Di fronte al volto turbato di Grell, si sentì in dovere di spiegare:- Ho capito subito che il mio errore era stato cercare di rinchiuderla in una comune stanza provvista di vie d’uscita. Per questo l’ho trascinata qui e ho fatto immediatamente murare ogni accesso.

Grell si avvicinò alla parete, dove riuscì a scorgere i segni ancora visibili della porta, ora inesistente. Ne seguì i contorni con le dita.

-Oh, Will, come sei crudele.- sorrise amaramente. –Immagino che lei abbia dimenticato come smaterializzarsi.

-Se così non fosse sarebbe già venuta a cercarti, non credi?

Grell si voltò di nuovo verso William. Notò solo allora che il moro stringeva tra le sue mani delle cesoie dai manici rosso cremisi. Era evidentemente una Death Scythe, ma non era la sua.

Il suo volto si distese e sorrise ampiamente. –Allora, immagino che la nostra chiacchierata non sia proprio finita, non è così?

William contrasse la mascella. Gli lanciò le cesoie e il rosso le afferrò prontamente, esaminandole con lo sguardo.

-Come hai fatto a prenderne una senza autorizzazione?

-Questi non sono affari che ti riguardano.- dichiarò, fermamente.   

Posò una mano sulla parete chiusa. –Ti ho chiamato qui per comunicarti che il mio lavoro circa il caso di Alice McKenzie finisce qui. Ho fatto in modo che non facesse più del male a nessuno. Da qui in poi, lei è un tuo problema.

Gli occhi di Grell si accesero, luccicando di curiosità. -Che significa?

-Puoi lasciarla intrappolata qui per sempre, visto che difficilmente riuscirebbe a disfarsi del cemento.- ritrasse la mano. -Oppure puoi darle queste.

-Per quale motivo dovrei consegnarle una Death Scythe?- si avvicinò di più a William.

-Sai anche tu che gli shinigami possono morire solo se vengono colpiti da una falce della morte.

-Mi stai autorizzando a ucciderla?- si esaltò.

Sdegnoso, William si scostò repentinamente. –Certo che no, Sutcliff. Nessuno di noi dovrà sporcarsi le mani del suo sangue.

Grell sorrise, capendo al volo ciò che stava cercando di dirgli.

Il moro fece per allontanarsi lungo il corridoio. –Non voglio più sapere nulla di quella donna. Per me è morta quando tu l’hai uccisa sotto le mentite spoglie di Jack lo Squartatore.

Detto questo se ne andò, tutt’altro che rasserenato. Pur avendo seguito alla lettera il consiglio dello shinigami leggendario, e pur fidandosi di lui, era convinto di commettere l’errore più grave della sua vita.

 

Grell attese che William fosse ormai lontano per materializzarsi nell’angusta cella di Grace. La stanza era pervasa da un tenue bagliore che le conferiva una penombra quasi spettrale.

Lei lo fissava, le lacrime le rigavano il volto e i suoi denti acuminati erano conficcati nel polso sottile. Lungo le braccia, altri segni di morsi e macchie di sangue.

Si dilaniava come un cane rabbioso.

-Grell Sutcliff!

Come ebbe urlato il suo nome, Grace si scagliò su di lui, ma Grell la prese prontamente per il collo e la mise con le spalle al muro. Più facile del previsto.

Ridacchiò. –Via, Gracie, non sono qui per litigare. Anzi, tutto il contrario.

-Che altro vuoi da me?- strepitò, la voce arrochita come mai prima.

Grell tentò di sfiorarle una guancia umida, ma lei lo allontanò, graffiandogli la mano con unghie che somigliavano ad artigli. Questo riuscì a irritarlo e divertirlo al tempo stesso.

-Su, calma, calma. Voglio solo offrirti il mio aiuto.- le prese le braccia e gliele sollevò sopra la testa, tenendola ferma. –Sempre se tu vorrai ascoltarmi.

Lei si dimenò freneticamente e cercò di divincolarsi, ovviamente senza successo.

-Lo prendo per un sì.- ghignò Grell. La lasciò andare e soltanto allora le mostrò le cesoie. –Sai cos’è questa?

Il respiro smorzato di Grace si trasformò presto in un gemito speranzoso e, per un momento, la sua ira parve placarsi. Allungò esitante la mano per toccarle e, al contatto col metallo freddo, la sua pelle ebbe un sussulto.

-È una falce della morte, non è così?- ringhiò, seppur con un vago sentore di titubanza.

-Sì, ed è tua se la vuoi.- la invitò, con tono mellifluo.

Grace afferrò immediatamente le cesoie, e se le strinse gelosamente al petto quasi per impedir loro di scappare.

-Presumo che questo piccolo dono sia di tuo gradimento.- batté le mani. –Ma di certo non te le ho date per caso.

Lei cercò di colpirlo con la falce, ma Grell si spostò appena in tempo e Grace finì per fendere l’aria.

-Sto per offrirti una scelta, Gracie.- proseguì, continuando a schivare i suoi colpi. –Puoi scegliere di restare qui per tutta l’eternità insieme a quel banale attrezzo da giardino che è utile solo se conficcato nel corpo di qualcuno e, dopo un paio di secoli da sola qui dentro, non mi riesce difficile immaginare nel corpo di chi.

Grace si fermò un secondo, ansimando. –Vuoi dire che... mi serviranno a togliermi la vita? È per questo che me le hai date?

-Sei tanto brava a rompere il legno e a scavare nella terra per liberarti, ma dubito che tu sia in grado di frantumare il cemento, e dopo averci provato invano per qualche decennio, presumo, avrai voglia di farla finita.- la prese per i capelli e le tirò la testa indietro, osservando il suo volto contratto dall’ira. –Ma io ho un’idea migliore.

Lei lo aggredì di nuovo, ma lui afferrò la punta delle cesoie poco prima che questa raggiungesse la sua gola.

-Se io ti dicessi che tu puoi uscire da qui, tornare a vedere il mondo e... mietere tutte le anime che vuoi?- sussurrò, persuasivo. –Se io ti dicessi che tu puoi essere tale e quale a una shinigami, senza che nessuno lo sappia?

Grace spinse di nuovo la falce verso Grell, ma lui riuscì a tenerla ferma senza sforzo.

-Io so come portarti via di qua. Se collaborerai con me, potrai finalmente affondare quella bella Death Scythe tutta tua in qualche misero cadavere umano, vedere il suo sangue scorrere tra le tue dita. Avere tutto ciò che hai sempre desiderato.

Tirando via le cesoie, Grace lo guardò rabbiosa. –Perché lo stai facendo?

-È da tanto tempo che gioco da sola, Gracie, e mi annoio a morte.- Grell evocò la sua falce e, ancora inattiva, la usò per sollevarle il mento. –In due è più divertente. Inoltre tu non sei come gli umani, pieni di scrupoli e sensi di colpa. Certo, non sei poi così brillante, ma potremmo ovviare a questa tua piccola mancanza.

-Dopo tutto quello che mi hai fatto, hai anche il coraggio di avanzare simili proposte?!- strillò, spalancando le cesoie.

-Non è ciò che hai sempre desiderato?- la spronò.

Grace gli si avvicinò e, benché lui la sovrastasse fisicamente, lei non si fece intimorire. Ormai aveva dimenticato da tempo cosa fosse il timore.

-Tu non vuoi che io sia la tua complice.- affermò, disgustata. –Tu vuoi che io sia il tuo intrattenimento.

Grell sorrise ammiccante. – Ma tu lo sei già, Gracie. Come quando hai ucciso tutti quei sudici umani pur di trovarmi. Chiedevi loro se credevano negli shinigami. Se rispondevano di no, gli strappavi gli occhi. Se rispondevano di sì, gli strappavi la lingua. Li lasciavi a un’agonia lenta e sofferta.- si morse le labbra, sospirando. –Sublime. Ma tu probabilmente non te ne ricordi.

-No, non ricordo nulla del genere.- affermò, con convinzione. –Come faccio a sapere che non mi stai manipolando per i tuoi scopi?

-Ti sei già manipolata abbastanza da sola, mia cara Alice, non ti servo io.- lui le tese la mano. –Ma se tu accetterai di seguirmi, potrò darti finalmente la vita che meriti. Cosa ne dici?

-Cosa ne dico?

Grace sorrise dolcemente, afferrandogli la mano.

Ma, invece di stringerla, lo attirò verso di sé e cominciò a baciarlo voracemente.

Grell prese quel gesto come una risposta affermativa e rispose al bacio, che Grace intensificava sempre di più. Impetuosa, veemente.

Le lingue si intrecciarono in un turbinio di passione e di ferocia che lui decise di assecondare.

Poi, accadde.

Grell la afferrò per i capelli e la strattonò via.

Il sangue gli schiumò in gola.

Il dolore pervase la sua bocca.

Si premette una mano sulle labbra e tossì forte.

Quando la allontanò, scorse con orrore delle macchie di sangue imbrattare la stoffa scura del guanto.

Gli aveva morso la lingua talmente forte che gliel’aveva quasi staccata.

-Ma che ti è preso?- gracchiò, con voce smorzata.

Grace lo guardò, sorridendo.

Aveva gli occhi lucidi e sgranati, il sangue di Grell le colava sul mento.

Lui si fermò, a contemplarla.

Grace non era affatto come lui. La sua mente era ormai talmente corrotta da risultare insanabile ed impenetrabile perfino per se stessa.

Grell non sapeva se lei avrebbe accettato o meno le sue condizioni. Ciononostante, non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, terrorizzato ed eccitato di fronte alla sua follia.

La follia di una shinigami che mai fu tale, che venne creduta morta, che impazzì diventando il calco perfetto di colui che più odiava al mondo.

Il buio, il sangue e le lacrime completarono una cornice pressoché perfetta. Per la prima volta Grace sembrò una vera dea della morte.

-E tu, Grell? Tu credi negli shinigami?

 

Fine

 

 

Ultimo angolo dell’autrice:

Non posso crederci.

Mi sembra assurdo, eppure ce l’ho fatta.

Ce l’ho fatta a cominciare, proseguire e terminare questa storia assurda. Non so come, ma ci sono riuscita, e non so se scoppiare o a ridere o a piangere (probabilmente Grace farebbe entrambe le cose).

Six Fool Moons, e Grace in particolare, hanno subito tanti di quei cambiamenti in corso d’opera che, in pratica, mi sono ritrovata tra le mani qualcosa di completamente diverso da ciò che avevo immaginato.

Ma va bene così, perché anche se non è perfetto, è ciò che volevo che fosse.

Ringrazio per le recensioni:

Neliel2000

Sakura Suzaku

MisaMichaelis

Mikhael98

Mansy

ShinigamiGirl (sempre accanita e dolcissima)

BeaLovesOscarinobello (che, con le sue super recensioni, mi ha sempre spronata a fare del mio meglio, e che mi ha insegnato, indirettamente, che la credibilità è tutto in una storia)

E adesso, passiamo a ringraziare le persone che hanno reso questa storia ciò che è:

 
LittleBloodyGirl: ti ringrazio per aver recensito ogni singolo capitolo, per avermi sempre ascoltata e incoraggiata, con dolcezza e follia, nel corso di tutta questa storia assurda di cui tu conoscevi già il finale! (Muahahahahaha!) Seriamente, grazie di tutto cuore.

AmyFallen: tu, creatrice della mitica Claudia, hai seguito la storia dalle origini, conosci Grace meglio di quanto la conosca io stessa e hai ascoltato pazientemente ogni mio sproloquio sulle varie evoluzioni della trama... Non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che hai fatto!

 
ScratchGlissando: per ultima, ma non ultima, tu che hai corretto ogni capitolo, che mi hai aiutata a eliminare alcuni dei miei peggiori difetti espressivi, con costanza e pazienza infinite, senza mai rifiutarti, lamentarti o ribattere. Non trovo altre parole se non: grazie mille, per tutto quanto.

Grazie a tutte e tre, questa storia non sarebbe stata la stessa senza di voi.

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