IL MONDO PARALLELO… Cosa sarebbe successo se Heles non fosse stata lesbica?

di Portman98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Il riflesso nella pioggia ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. Rivelazioni dall'estetista ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. Tragedie ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. Desideri irrealizzabili ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. Il presagio ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI. Le verità nascoste ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII. Ciò per cui lottiamo! ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Cambiamento ***



Capitolo 1
*** Prologo. Il riflesso nella pioggia ***


Ciao a tutti:) sono Portman98 e questa è la mia prima storia. Quando leggo una storia, o guardo un film mi piace sempre pensare ai se... in un certo senso sono genetiamente programmata per le what if, così ho deciso di mettere una delle mie follie per iscritto... nasce da un idea a metà tra il comico e il tragico, che mi è venuta in mente in una mattinata noiosa in cui io mia cugina fantasticavamo sull'universo di Sailor Moon. Ora, nero su bianco, non mi sembra un granchè, ma se avete voglia provate a immaginare insieme a me... e ditemi cosa ne pensate!
Vi avverto i primi capitoli procedranno lentamente, ma serviranno più che altro a preparare il trampolino di lancio per quelli centrali, che comporranno la vera e propria storia, e per calarvi man mano tra questi personaggi così diversi da come li conosciamo!
Ho deciso di mantenere i nomi dell'anime per facilitare la lettura a chi, come mia cugina, non ha avuto il piacere di leggere il manga:)
Detto ciò, non mi resta che augurarvi buona lettura!! XD


IL MONDO PARALLELO… Cosa sarebbe successo se Heles non fosse stata lesbica?

Prologo. Il riflesso nella pioggia
Mondo reale
Era una sera piovosa, il ticchettio costante delle gocce la cullava nella sua lunga attesa. Osservava le gocce annebbiare il suo riflesso vitreo sulla finestra. Milena chiuse gli occhi, mentre la voce di Heles s’infilava di nuovo tra i suoi pensieri: “Non ti preoccupare, starò via poco tempo”. Un moto di rabbia misto a preoccupazione le risalì lo stomaco, strinse i pugni.
Si diede della stupida, dopotutto doveva esserci abituata, non era la prima volta che Heles tardava a rientrare.
“Davvero preferisci un giro in moto a me?” pensò tuttavia sconsolata. Heles era così, sempre in costante ricerca di emozioni forti, di quell’adrenalina capace di dare una spinta alla sua vita, ormai Milena lo sapeva, ma non poteva impedirsi di provare quella sorta di rabbiosa malinconia.
Riaprì gli occhi, ritornando a fissare il suo volto preoccupato nel vetro. Sospirò, accarezzando rassegnata i contorni della sua immagine stanca.
Per un attimo le sembrò di scorgere qualcos’altro,  un nuovo riflesso confuso nella pioggia. Era strano, non l’aveva sentita entrare, eppure doveva essere lei…
“Heles…” aveva il suo nome a fior di labbra, ma qualcosa la bloccò nel pronunciarlo… era lei, ma il suo viso aveva qualcosa d’insolito, diverso, come se quel riflesso non fosse appartenuto all’Heles che conosceva.
Che quello fosse il presentimento di un’imminente disgrazia? Inquieta, poggiò una mano tremante sul vetro, proprio su quella dell’immagine… l’avvertiva così vicina, eppure distante anni luce, quasi provenisse da un’altra realtà…
Bam! La porta si apri di colpo, Milena trasalì, girandosi di scatto.
- Perché quell’espressione? Non dovresti preoccuparti, ti fa venire le rughe! – esclamò Heles affrettandosi a richiudere la porta con maggiore delicatezza.
- Heles! – gridò Milena sorpresa.
- Non mi aspettavi? – domandò Heles riponendo il suo casco sull’attaccapanni – Non hai idea di che traffico… Pensavo di rimanere per strada a vita – si lamentò mentre si slacciava il giubbotto da motociclista.
- Mm – assentì Milena distratta, gettando nuovamente un’occhiata assorta alla finestra, il riflesso era scomparso…
- Tutto bene? – chiese Heles arrivando alle sue spalle – Non dirmi che di nuovo hai creduto che non tornassi? – le sussurrò dolcemente all’orecchio.
- No, è che mi era sembrato di vedere qualcosa nella pioggia, un presagio  - mormorò Milena scuotendo la testa per scacciare quelle inutili angustie.
- Che sciocchezza! Non credi che se i nostri nemici avessero voluto attaccare il tuo specchio te l’avrebbe detto? – l’espressione di Heles si fece accigliata.
- Sta tranquilla, ora sono qui - la rassicurò cingendole le spalle.
- Forse… l’avrò solo immaginato – Milena sorrise abbandonandosi tra le braccia della ragazza, tuttavia un velo le era rimasto negli occhi, il suo sguardo scorreva ancora tra le gocce sulla finestra, in cerca della misteriosa apparizione.

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Capitolo 2
*** Capitolo II. Rivelazioni dall'estetista ***


Ciao a tutti  XD
Ecco il secondo capitolo, forse un pò incerto... comunque, per inciso, vorrei mantenere, almeno per i primi tempi, nel mondo reale un contegno un pò più serio, mentre in quello reale più comico (forse alcuni personaggi risulteranno un tantino demenziali, ma è per sottolineare le differenze da quelli di sempre)
Bhe, vi lascio alla lettura e spero che questo primo, insano, capitolo vi piaccia abbastanza da farvi andare avanti!
Capitolo I.Rivelazioni dall’estetista
Mondo parallelo
Heles si rigirò tra le lenzuola, quella notte non era riuscita a chiudere occhio. L’immagine di quella ragazza riflessa nella finestra tornava continuamente a tormentarla. Non riusciva a levarsi dalla testa quel viso, così dolce, i suoi capelli blu, così simili alle acque profonde del mare. Ogni volta che chiudeva gli occhi, quell’immagine appariva nei suoi pensieri, così vivida, così reale, come l’aveva vista la sera prima…
I raggi del sole filtravano dalle persiane nell’oscurità della sua stanza, era mattino inoltrato. Guardò la sveglia, segnava le 10, Seya doveva essere già uscito, ultimamente aveva molto da fare al lavoro, dopotutto la Galaxia Trip era una delle più grandi agenzie di viaggi del Giappone.
Era ora di alzarsi, era rimasta a letto fin troppo tempo. Con uno slancio energico si mise a sedere, scansò le coperte e si alzò. Si stiracchiò, rabbrividendo leggermente al contatto della pelle nuda con le piastrelle fredde del pavimento. Si sistemò  i lunghi capelli spettinati, che le ricaddero carezzevoli sulla schiena. Aprì le finestre e il sole inondò la stanza di calore e luce strappandole un sorriso. Era proprio una bella giornata…
Si affrettò a vestirsi, Marta sarebbe arrivata a momenti per il loro appuntamento dall’estetista. Ormai si conoscevano da una vita, se avesse dovuto scegliere una persona a cui rivelare i suoi più profondi segreti, sarebbe stata di certo Marta. Era come una sorella per lei, avevano moltissime cose in comune, dal modo di vestire al gusto in fatto di ragazzi. Aprì l’armadio e la sua variopinta collezione di camicette, gonnelline e fiocchetti (tutti rigorosamente rosa) la salutarono con allegria.
Non aveva dubbi su cosa mettersi! Da un ordinatissimo cassetto pescò la sua camicetta preferita, quella che Seya le aveva regalato per il loro primo anniversario, e ad essa abbinò con un cura gonna, poi estrasse dalla scarpiera le sue ballerine con i fiori.
Proprio in quel momento il campanello suonò e Heles udì la voce di Marta che la chiamava: - Heles, sei pronta per l’estetista? Ho scoperto che Morea ha assunto un nuovo apprendista e mi hanno detto che è proprio carino! –
Heles sorrise, la sua amica non sarebbe cambiata mai – Ricorda che io sono fidanzata con Seya! –
- Ma io no! – rispose la ragazza ed entrambe scoppiarono a ridere e uscirono di casa. Tuttavia la ragazza del riflesso non aveva ancora abbandonato i pensieri di Heles.
-
- Posso? – chiese un ragazzo avvicinandosi alla sua poltroncina e sollevandole delicatamente la mano.
- Come? – domandò Heles distratta. Lei e Marta si erano appena accomodate sulle morbide poltrone del negozio della loro estetista di fiducia, Morea, ed erano pronte a rilassarsi. Heles era convinta che quella seduta le avrebbe fatto bene, cullata in quell’oceano di benessere, tra le coccole degli inservienti e le chiacchiere con Marta avrebbe dimenticato le angustie della notte passata.
- Sono il nuovo apprendista di Morea, Marzio – rispose gentilmente il ragazzo scatenando una risatina di Marta. Solo in quel momento Heles si rese conto che indossava un grembiule verde su cui campeggiava la scritta “Jupiter, coccola le tue mani!”.
- Così sei tu il nuovo aiuto estetista… – constatò Heles. Lo osservò attentamente mentre con maestria passava la lima sulle sue unghie, era davvero un ragazzo carino, con quel ciuffo scuro che gli adombrava la fronte mentre lavorava, peccato che i suoi modi fossero un tantino effemminati, ma Marta forse non ci avrebbe fatto caso.
- Già molto meglio di quella ripetente buona a nulla di Amy – intervenne Marta, sempre pronta a spettegolare.
- Sì, l’ho dovuta anche licenziare perché rispondeva male ai clienti! Poi, dover ancora andare a scuola alla nostra età…- esclamò Morea.
- Beh cosa pretendi da una che è stata bocciata tre volte – aggiunse Heles ridendo, mentre Marzio canticchiava indifferente il ritornello di un vecchio pezzo delle Spice Girls.
- E poi l’avete saputa l’ultima? – chiese Morea lasciando un po’ di suspance per incuriosire le sue interlocutrici.
- No, cosa? Racconta – la incoraggiò Marta.
- Davvero non avete saputo niente? È su tutti i giornali! – esclamò l’estetista con falso stupore – Presto Marzio prendi una copia del corriere di Tokyo! – ordinò all’apprendista che si affrettò ad eseguire, poi riprese a parlare – Si da il caso che la Banda di Nettuno abbia avuto dei guai con la legge ultimamente…  e che Amy sia coinvolta! Sapete, l’ho dovuta licenziare anche perché è diventata amica di quella bulla punk di Milena! –
- Chi è Milena? – chiese Heles incuriosita.
- La più grande criminale di Tokyo! – esclamò Morea.
- Dai, non esagerare – scherzò Marta non prendendola sul serio.
- Bhe, guarda e dimmi allora – la sfidò l’estetista e, proprio in quel momento, tornò Marzio sventolando una copia del corriere di Tokyo.
- Ecco, non mi credevate? – disse Morea additando la prima pagina, dove troneggiava l’immagine di una ragazza con il taglio gabber e la restante parte di capelli avvolta in lunghissimi rasta dal colore delle acque marine. Il suo volto era contratto in un’espressione truce che le evidenziava il grosso pearcing sul naso. Le sue mani pencolavano unite, trattenute da delle manette e ai fianchi vi erano due grossi omoni con la divisa della polizia. Il titolo recitava: “Milena, stavolta davvero dietro le sbarre?”
Heles si ritrovò a pensare che sarebbe potuta essere carina, se non avesse portato quei vestiti scuri e sgualciti e, se la sua espressione non fosse stata così ostile. Si soffermò per un attimo sui suoi occhi, avevano un non so che di familiare, in essi baluginava quella sorta di rabbiosa malinconia…
- Dove posso averla già vista? – mormorò tra se e se.
- Forse in un immagine segnaletica della polizia – scherzò Marta.
Heles sorrise divertita, stava per ribattere quando le parole le morirono in gola, una strana consapevolezza le affiorò nella mente… la ragazza del riflesso era Milena!

P. S. Mi raccomando le recensioni, la vostra opinione per me è molto importante!!

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Capitolo 3
*** Capitolo III. Tragedie ***


Capitolo III. Tragedie
Mondo reale
2 giorni prima
“Notizia dell’ultima ora” gracchiò la voce metallica del conduttore “È da stamattina che si stanno verificando  strani incidenti al ponte di Tokyo…”
Sidja ascoltava distrattamente il telegiornale strofinando con accanimento alcuni malcapitati piatti. Non che fossero eccessivamente sporchi, ma questo esercizio le permetteva di fuggire le sue cupe preoccupazioni, quasi si perdessero sulle superfici lustre dei piatti annegando poi nella schiuma candida del detersivo.
- Sidja, quando hai finito con i piatti ti devo mostrare una costruzione fantastica con i lego! – esclamò Ottavia con entusiasmo sporgendosi al suo fianco sul lavandino – Me l’ha insegnata Heles, sai? –
Sidja assentì sorridendo, tuttavia i piatti le restituirono una copia opaca della sua espressione malinconica.
- A proposito sai quando torneranno? Lei  e Milena mi mancano davvero un sacco! – sospirò Ottavia, a quelle parole anche il suo tono si abbassò, gravato dalla malcelata nostalgia.
- Anche a me – concordò Sidja pedissequamente, tuttavia la sua risposta non convinse la bambina che continuò a scrutare irrequieta il suo viso impassibile.
- Ormai sono via da una settimana… - proseguì Ottavia flebilmente, quasi temesse di urtare ulteriormente i sentimenti di Sidja.
- Heles e Milena hanno fatto la loro scelta, torneranno quando lo riterranno opportuno – qui la voce atona della ragazza non riuscì a nascondere un moto di rancore.
“Dopo tutto sono loro ad aver minato il nostro equilibrio con i loro sospetti infondati!” pensò Sidja, serrando gli occhi per non lasciar trasparire il suo risentimento “O forse sono io che sono troppo sicura” per un attimo l’ombra del dubbio oscurò le sue certezze “Se avessero ragione significherebbe la disgregazione delle guerriere Sailor… ma se lei davvero fosse… “
Il filo dei suoi pensieri fu bruscamente tagliato dalla voce del telecronista : “Qui, al ponte si susseguono eventi paranormali! Sembra di trovarsi sul set di un film horror! “ gridò l’uomo gettandosi a terra, per un attimo l’inquadratura mostrò un essere spaventoso che emergeva lentamente dall’acqua, seguito dalle urla terrorizzate dei presenti. Le riprese si fecero instabili, i colori confusi a causa delle interferenze, sino a svanire del tutto nell’oscurità dell’ asfalto stradale. Per qualche istante rimase a fare compagnia agli spettatori soltanto il suono del terrore e delle inutili fughe, poi un sibilo acuto e continuo e il servizio si chiuse, precipitando lo studio e le case dei telespettatori in silenzio turgido di sorpresa e paura.
I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dallo schermo, indagava il vuoto di quel rettangolo dalle luci colorate ancora rapita dalle immagini della tragedia. Un piatto le era scivolato dalle mani ed ora giaceva in pezzi sul pavimento della cucina, l’unica cosa che riusciva a tenerla presente a sé stessa era la mano tremante di Ottavia stretta sul suo polso, il resto del mondo era avvolto da una sorta di candore irreale, che tuttavia lasciava trasparire l’orrore dei momenti appena trascorsi.
Sidja si riscosse all’improvviso – Dobbiamo andare! – disse scrollando la mano della bambina al suo fianco
- Forza! – la incitò cercando di infonderle quella convinzione che nemmeno lei possedeva, in quel mostro aveva scorto un oscuro presagio…
- Non dovremmo chiamare anche Hel… - provò a persuaderla Ottavia, mentre correvano verso la porta di casa.
- Sai bene che non possiamo! – fu la risposta secca di Sidja, in quel momento contava solo combattere, non c’era spazio per quei sospetti e dissidi, che non avrebbero fatto altro che destabilizzare l’unità delle guerriere Sailor!
Però, il suo nome non riusciva ad abbandonare i suoi pensieri… Marta!

-

Mondo parallelo
Presente
- La conosci? – la voce impaziente di Marzio, fino a quel momento apparentemente disinteressato, la destò dalla sorpresa.
- No – rispose ancora immersa nel ricordo della sera prima – No, immagino proprio di no! – ribadì poi con maggiore convinzione. Heles si sistemò sulla poltrona rosa nel tentativo di scacciare gli ultimi residui della sua incertezza, non era assolutamente possibile che Milena fosse la ragazza del riflesso!
- Come potrei? Siamo così diverse – affermò ancora sperando che quelle parole la dissuadessero dai suoi stessi dubbi.
- Eppure dovresti! – si stupì Marta – Della sua banda fanno parte quei razza di tossici dei fratelli del tuo fidanzato, Yaten e Taiki! –
Seya non accennava spesso alla sua famiglia, anzi non amava per niente ricordare le sue origini, quando lo faceva rimaneva sempre piuttosto vago e Heles non insisteva sull’argomento, per questo non era molto al corrente della situazione di quei due scapestrati.
- Oh, dici davvero? Che peccato! – disse Morea, poi spiegò: -Ho sempre trovato quei due ragazzi molto… - e qui Morea s’interruppe con uno sguardo sognante.
- Carini! - completò Marzio con enfasi.
- Marzio! – si stupirono Heles e Marta (e quest’ultima ebbe quasi un attacco di cuore).
- Lo vedi! Io e il mio apprendista ci capiamo alla perfezione – esclamò fiera Morea strizzando l’occhio al ragazzo che, piuttosto imbarazzato, non alzava lo sguardo dalle mani di Heles .
- È solo che, Marzio, non sapevo che i tuoi gusti… - chiarì Marta riavendosi dallo stupore – Insomma, pensavo che ti interessassero  le ragazze – continuò arrossendo per l’equivoco.
- In effetti c’era una ragazza… tempo fa – sussurrò Marzio, la voce, solitamente vivace e galante, in quel momento dura e colma di malinconia.
- E ora? – chiesero in coro le tre ragazze.
- Ora mi vedo con il ragazzo della sala giochi! – rispose Marzio tornando a sfoggiare il suo usuale sorriso gioioso.
- Chi? Moran! È dire che all’inizio pensavo fosse etero anche lui! – rifletté Morea, mordicchiando accigliata la punta della sua lima.
- Ma la ragazza? Che fine ha fatto la ragazza? – domandò Heles in maniera concitata, quella storia l’aveva assorbita completamente.
- Appunto dovresti dichiararti! – insisté ulteriormente Marta sporgendosi verso di lui dalla sua poltrona, forse sperava di essere la ragazza del cuore di Marzio.
- Purtroppo – disse Marzio incupendosi nuovamente – quella ragazza si è spenta per sempre! –
Quella conclusione inaspettata spiazzò letteralmente le tre ragazze lasciandole a bocca aperta.
- Oh tesoro! – mormorò Morea commossa passando periodicamente fazzolettini al povero Marzio, che non riusciva più a frenare i singhiozzi.
- Sono sicura che tu e Moran avete una relazione stupenda davanti a voi… - disse Heles a disagio, forse perché le lacrime dell’inserviente le colavano copiosamente sulle mani, ma le sue rassicurazioni non ebbero successo sul cuore del malcapitato amante.
- Questo ragazzo è un tantino lunatico – sussurrò Heles all’orecchio della sua migliore amica.
- Ma non lo vedi quant’è sensibile! – sospirò Marta ammirata – Perché i ragazzi migliori sono tutti gay? –
- È successo ieri - farneticava intanto Marzio, sopraffatto dalla disperazione – Fino a ieri era viva! –
- Però sei stato veloce - commentò Heles, meritandosi una gomitata di rimprovero da parte di Marta.
- Marzio e Bunny si sono lasciati mesi fa, ma lei è rimasta sempre nel suo cuore, anche se lui è andato avanti…  - spiegò Morea, incurante del sarcasmo dell’amica.
- Perché mai una ragazza ti avrebbe lasciato? – domandò Marta sconvolta.
- Era troppo presa dallo studio e così, mi ha fatto rendere conto che non erano le ragazze quello che cercavo! –rispose Marzio – Credevo di averla dimenticata! – esclamò scosso da una nuova ondata di singhiozzi.
- Forza riprenditi! Cosa dirà Moran quando ti passerà a prendere e ti troverà in questo stato? Stasera dovete andare al cinema a vedere quel film con Rea, la vostra attrice preferita! – lo consolò Morea comprensiva.
- Già, ormai è acqua passata – assentì Marzio asciugandosi gli occhi e un sorriso felice tornò ad illuminargli il volto.
- Posso chiederti un’ultima cosa? – domandò Heles con cautela – Com’è morta Bunny? –
Un lampo d’ira ferina baluginò per un attimo nello sguardo di Marzio, prima che tornasse a riempirsi di lacrime – È stata investita! L’ha investita – esclamò serrando i pugni e scacciando il pianto – L’ha investita Milena! – il suo urlo si propagò nel negozio dell’estetista, la sua rabbia attraversò il tempo, lo spazio, le realtà fino ad arrivare alla presunta colpevole…

-

Mondo reale
Presente, notte
Milena si svegliò di soprassalto, il cuore le batteva  all’impazzata, le mani sudate stringevano convulsamente le lenzuola, le gambe le tremavano. Guardò Heles che dormiva accanto a lei, cercò la calma nel suo respiro regolare, nella sua figura abbandonata tra le lenzuola…
non voleva svegliarla, così si rimise giù abbandonando la testa sul cuscino, mentre l’eco di quel terribile grido le risuonava ancora nelle orecchie…

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Capitolo 4
*** Capitolo IV. Desideri irrealizzabili ***


Mondo parallelo
2.30 a.m.
L’unico segno che tradiva la vita nell’edificio buio era il rumore incessante di cartelle e rapporti che venivano sfogliati. Solo una luce fioca penetrava da una finestra nelle tenebre della notte, avvolta nei contorni quasi irreali della pioggia, che aveva appena smesso di cadere, si intravedeva una figura china su una scrivania. Apparentemente assorti in un caso di furto, in realtà i pensieri del commissario di polizia, continuavano a ritornare a quella strada buia, a quel maledetto incrocio.
“Milena, stavolta nemmeno l’amicizia che un tempo ci legava potrà salvarti!” rimuginò ancora Sidjia, mentre i suoi occhi frugavano una volta di più gli scaffali in cerca di quella cartella, attratti da essa come le falene dalla luce.
Colta da un improvviso impeto di risentimento non poté impedirsi  di sbattere un pugno sul tavolo, il liquido scuro nella tazza fumante ondeggiò pericolosamente di fronte a lei e alcuni fogli scivolarono sul pavimento.
- Pensi che dovrei smetterla, vero Xer? – domandò abbandonandosi sulla poltrona con la testa fra le mani, il pastore tedesco accoccolato su uno sgabello alla sua destra, con le zampe anteriori appoggiate sulla scrivania, la fissò impassibile attraverso la nuvola grigiastra che si propagava dal suo sigaro in tutta la stanza.
- Non dovresti fumare, lo sai vero? – l’espressione di Sidjia si addolcì mentre affondava la mano nel morbido pelo del suo fedele compagno, il cane in tutta risposta emise un mugolio di protesta e prese un altro tiro dal sigaro cubano che stringeva saldamente tra i denti.
- Non cambierai mai – disse dandogli un buffetto sulla guancia – Ma d’altronde nemmeno io… - ammise poi sconsolata – Eppure sai anche tu che c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che ci sfugge! – imprecò sbattendo ancora il pugno sulla scrivania, stavolta alcune gocce di caffè colarono dalla tazza impregnando i documenti dinnanzi a lei.
- La fortuna non sembra proprio essere dalla mia parte – sospirò Sidjia raccogliendo i pochi rapporti indenni, sotto lo sguardo interdetto di Xer – Beh, allora tanto vale dare un’occhiata a quella cartella… - si arrese il commissario.
Xer si sporse interessato sulla scrivania, mentre Sidjia tremante appoggiava davanti a loro il fascicolo dell’incidente. Lo aprì piano, con cautela, come se temesse che la verità contenuta in quel plico di fogli potesse d’un tratto svanire. L’aveva compilato poche ore prima Tomoe, lei era stata considerata troppo coinvolta per indagare sul caso, tutti infatti sapevano dell’amicizia che, nonostante le loro posizioni molto differenti, continuava ad unire lei e Milena. Come poteva la scrittura minuta e ordinata di Tomoe raccogliere l’ondata di sentimenti che si annidavano nel suo cuore? Tuttavia, non era troppo coinvolta, avrebbe potuto benissimo portare a termine le indagini e, Tomoe lo sapeva… ma questa era la sua vendetta, lei gli aveva sottratto il posto da commissario e ora lui le rubava il caso.
“Eppure un tempo eravamo amici, può davvero la brama di potere trasformare a tal punto le persone?” rifletté rattristata. Erano stati una squadra formidabile, insieme avevano consegnato alla legge centinaia di criminali, ma dopo le dimissioni del capo… i loro rapporti si erano come congelati, solo qualche gelida parola accompagnava i loro sporadici incontri, ormai.
- Mi rimani solo tu Xer – sussurrò Sidjia accarezzando il pastore tedesco. Per alcuni istanti il suo sguardo si fermò sul vuoto dei ricordi lontani, serrò gli occhi per arrestare una lacrima colma di rimpianto.
Poi di colpo si riscosse, chiuse il fascicolo e si alzò in piedi. Inspirò profondamente un po’ di quell’aria satura di tabacco e caffè – La vita va avanti… - esclamò priva di convinzione – E tu non dovresti proprio fumare Xer! –

Mondo reale
- Perché cavolo ho prestato il mio ombrello a Taiki? – imprecò balzando  giù dall’autobus.
- Ragazzo fa più attenzione – lo ammonì l’autista, ma Seya non se ne curò, come non si curava della pioggia che in quei giorni annebbiava incessantemente le vie di Tokyo . Aveva piovuto anche quel dannato giorno.
- Maledizione – il suo piede era affondato in una pozzanghera – questi erano gli unici pantaloni decenti che avevo!  –
Era dura la vita sulla terra quando non si era una rock star e Seya l’aveva capito solo pochi giorni prima. Niente autista privato, niente vestiti d’alta moda, solo squallidi autobus e pantaloni di seconda mano. Ma d’altronde la memoria degli uomini era davvero corta: un giorno sei l’idolo di Tokyo, l’altro la gente non ricorda nemmeno più le tue canzoni. Come tutte le tendenze anche i Three Lights si erano persi nell’oblio collettivo, rimpiazzati da nuove e stupide boy band come quei “Back Street Boys”!
- Odio i Back Street Boys – mugugnò scuotendo la gamba per scrollarsi via l’acqua. Seya odiava quella nuova vita sulla Terra, ma ciò che odiava di più era il fatto che Bunny non la vivesse con lui! In quei due mesi in cui erano stati lontani non aveva fatto altro che pensare a lei, al suo profilo delicato, al profumo della sua pelle, ai suoi capelli dorati… e lei? Lei era stata per tutto il tempo con Marzio. Lei amava Marzio e lui non sarebbe stato altro che un amico, doveva farsene una ragione. Tuttavia, per quanto ci provasse, non riusciva a convivere con quella realtà, era molto meglio quella dei suoi sogni.
Poi era successo questo!
Prima la battaglia, poi l’incidente… Tutto così in fretta! Ed ora lei si ritrovava in un letto d’ospedale, confusa, spaventata… Forse aveva bisogno di lui! E Seya doveva sottostare agli orari di quegli stupidi autobus!
Risvegliato da quel pensiero riprese a correre a perdifiato, sotto la pioggia, che si era fatta più fitta. Le gocce gli correvano giù per la schiena e si insinuavano tra i capelli, ma l’unica cosa che gli importava in quel momento era raggiungere il Tokyo Hospital al più presto!

-

Seya adorava i racconti, quelli che le nonne leggono la sera per far addormentare i loro nipoti, quelle che parlano di cavalieri che, sui loro valorosi destrieri, cavalcano nelle notti di luna piena per salvare le loro amate rinchiuse in oscuri castelli, sorvegliati da draghi. E in quel momento, mentre lo scorrere delle porte automatiche accompagnava il suo ingresso trionfale nel Tokyo Hospital, si sentiva proprio uno dei protagonisti di quelle magnifiche fiabe! Peccato che in quel momento fosse pieno pomeriggio, che stesse piovendo (E nelle fiabe non può piovere, altrimenti che ne sarebbe dello scintillio delle armature dei cavalieri?), che quello non fosse un oscuro castello bensì un semplice ospedale, che il suo drago non fosse niente meno che un infermiera grassottella dal volto arcigno, intenta a rimproverarlo perché era fradicio, e, per completare, che la sua principessa avesse già un principe… ah, e non aveva neppure un destriero.
Seya ignorò l’infermiera, e si diresse a grandi passi verso la sala d’aspetto, dove riconobbe la figura slanciata di Marzio, che si stagliava scura contro il lucore soffuso della pioggia.
- Dovrebbero cambiare le lampadine in questo ospedale – constatò Seya , arrivandogli alle spalle.
- E tu dovresti cambiarti i vestiti – ribatté Marzio girandosi verso di lui, un sorriso tirato gli increspava le labbra e le occhiaie delle lunghe veglie gli avevano scavato il volto, dimostrava molti più dei suoi vent’anni in quel momento.
Seya abbassò imbarazzato lo sguardo sui suoi vestiti, imperlati da piccole goccioline d’acqua.
“Perlomeno non si vede più la macchia sui pantaloni” pensò invidiando ora più che mai la classe e l’eleganza del suo rivale.
- Immagino che tu voglia vederla – disse Marzio per interrompere la cortina di silenzio che era calata tra loro. Seya si limitò ad un cenno del capo.
- Andiamo allora – Marzio gli fece strada per un’infinità di corridoi asettici e identici fra loro, finché non giunsero ad una piccola e sobria stanzetta con un solo letto. La porta era chiusa, ma l’interno si poteva osservare da una finestra che dava sul corridoio. Sul letto, sdraiata in posizione fetale, una mano pencolava sul bordo del letto, ciocche dorate le ricadevano sparpagliate sul viso e sulle spalle, i suoi occhi erano fissi sulla porta, ma non la stavano davvero guardando.
- E così che l’ho trovata – sussurrò Marzio – L’altra notte intendo – ribadì – Era abbandonata in mezzo a quell’incrocio maledetto, disorientata, in stato confusionale… - mentre parlava rughe di preoccupazione gli solcavano il viso, i suoi occhi si erano adombrati – Alcuni testimoni hanno dichiarato di aver visto una macchina gialla prenderla in pieno, ma lei… quando l’ho trovata non mi ha detto niente, se ne stava là sull’asfalto, immobile, a fissare il vuoto e, il bello è che non aveva nemmeno un graffio… blaterava di un mondo parallelo, qualcosa sulla polizia, non ho capito, a te queste cose dicono per caso qualcosa? Non so, magari qualche ricordo, io sono stato via parecchio tempo – concluse con un sospiro rammaricato.
- No, non mi dicono nulla – rispose Seya atono, in realtà non ascoltava le parole di Marzio, il suo sguardo era perso oltre il vetro che li separava,  nell’immagine della ragazza che doveva proteggere, dell’unica che non poteva avere.

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Capitolo 5
*** Capitolo V. Il presagio ***


Ciao a tutti, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia!! Non so se nella vera Tokyo esista davvero una periferia tanto degradata, la descrizione è solo un modello ai fini della storia, che si rapporta alle grandi città che finora ho visto.
 Chiarito questo, buona lettura! E mi raccomando recensite, il vostro parere per me è molto importante!


Capitolo V. Il presagio
Mondo parallelo
1 giorno dopo
Per chi era abituato a passeggiare per le vie luminose e opulente della Tokyo che il mondo conosceva, scoprirne il lato grigio e cupo dei bassifondi era un vero shock. Qui gli imponenti grattacieli non distendevano le loro lunghe ombre sulla città, le loro punte vitree e luccicanti non si perdevano nel grigiore dello smog, i caratteri colorati delle insegne piano piano si spegnevano, lasciando il posto a scritte consumate e manifesti ingialliti. L’asfalto era punteggiato da macchie di verde incolto, sulle piastrelle spezzate dei marciapiedi giacevano uomini inerti affiancati dalle loro fedeli bottiglie, qualche cartaccia si muoveva sospinta dalla brezza, i mozziconi di sigaretta condividevano il loro dominio con capannelli di formiche, che si affollavano attorno agli avanzi di cibo e, a volte, anche con qualche topo.
L’unico edificio a distinguersi in quell’ammasso di costruzioni fatiscenti e muri senza intonaco era il carcere. Torreggiava cupo dall’alto della sua collinetta, come l’antipodo della Star Light Tower, osservando vigile la vita che scorreva in quei sobborghi dimenticati dal tempo. Le sue mura scure rifulgevano la luce del sole calante e la sua figura si stagliava lugubre contro il cielo, proteggendo, al suo interno, ogni genere di colpe non espiate. Lì riposava il male di Tokyo, ma era grazie al carcere che si reggeva la maschera scintillante della capitale del Giappone.
Il ticchettio costante degli stivali di Heles riecheggiava sinistro nella strada vuota, si spandeva insistente, fino a perdersi nel tramonto, rimbalzando sulle lunghe file di case ingrigite dai fumi delle fabbriche.
Heles gettò uno sguardo perplesso alla sua gonna rosa, poi allo scenario circostante notando che contrastavano di netto; le pareva di camminare in uno di quei classici in bianco e nero che tanto amava, solo che immensamente più triste, come un pallido riflesso della Tokyo dei tempi migliori.
Si strinse a disagio nel cappotto, gettandosi alle spalle occhiate circospette. Si sentiva spiata da occhi invisibili, occhi che le strillavano silenziosamente la sua inadeguatezza, dopotutto era un’intrusa in quel quartiere malandato.
Una sagoma nera e indistinta passò rapida davanti ai suoi piedi arrestando la sua corsa poco più in là, Heles si ritrasse istintivamente distinguendo la coda di un topo che s’infilava nella bocca scura di un bicchiere abbandonato in mezzo alla strada. L’animale ricomparve poco dopo col muso sporco di un liquido appiccicoso, poi avanzò di qualche passo verso di lei, Heles indietreggiò inorridendo. Il topo squittì ed Heles indietreggiò ancora, muovendosi con cautela, quasi temesse una reazione inaspettata dell’animale.
Forse era una sua impressione, ma negli occhi vitrei del topo brillava una sorta di sguardo famelico, la scrutavano avidi come si fa con una preda, la sua piccola lingua passava ripetutamente sui baffi in maniera piuttosto inquietante, mentre il suo naso carpiva l’aria smanioso…
Probabilmente era tutto frutto della sua fantasia, ma in quell’universo grigio e irreale poteva esistere di tutto, anche topi cannibali! In rapida successione le scene più raccapriccianti si profilarono davanti ai suoi occhi, e nessuna aveva come protagonista il topo. Non riuscendo a soffocare le grida che le erano salite in gola, chiuse gli occhi indietreggiando disperata, peccato che la sua coraggiosa ritirata venne arrestata da un nemico implacabile… il marciapiede.
Heles cadde rovinosamente tra strilli e urla, dibattendosi in preda al panico sulle piastrelle spezzate del marciapiede. Gli occhi ancora chiusi, i capelli sparsi disordinatamente sul viso, agitava le mani come colpita da una crisi isterica. l topo continuava a squittire galvanizzandosi nella sua vittoria, l’ultimo scherno alla povera guerriera, a cui ogni aiuto veniva negato, gli unici incoraggiamenti che le giungevano dai suoi spettatori erano qualche – Ma che ti prende? Piantala di gridare – per il resto la sua rimaneva una guerra solitaria e incompresa.
- Ehi! Ehi! – forse il suo salvatore si faceva largo nella foresta di rovi e si degnava di darle una mano? Insomma, era da almeno un quarto d’ora che lo aspettava…
- Era ora! – esclamò Heles aprendo gli occhi speranzosa. In realtà rimase piuttosto delusa, quel salvatore non era un gran che, sembrava una specie di emo o qualcosa del genere, il ciuffo candido calato sopra gli occhi, di un verde impressionante, coronati da un velo scuro di matita nera, che faceva sembrare la sua carnagione ancora più chiara, dal naso gli pendeva un grosso pearcing, molto simile a quello della famigerata Milena, sulla maglietta nera campeggiava un grosso teschio bianco dagli occhi infiammati, che si abbinava alle scarpe sgualcite, sovrastate dai pantaloni attillati e scuri.
Non sapeva perché ma quel ragazzo le ricordava molto Seya, solo meno curato… decisamente meno curato!
- E tu chi saresti? –ringhiò lui, dimostrando che il poco gusto che aveva nel vestiario si ripercuoteva anche nelle sue buone maniere.
- Il mio nome è… è – balbettò Heles a metà tra la sorpresa e lo spavento, che fosse capitata in una trappola ben peggiore della precedente?
- Beh non fa niente – rispose lui senza nemmeno darle il tempo di ultimare la frase – Ti basta sapere chi sono io! – abbaiò ancora - Io sono Yaten della banda di Milena e pattuglio questa zona in attesa del ritorno della regina! – disse piegando la testa di lato e alzando il pugno con aria alquanto minacciosa.
- Yaten? Della banda di Milena? – domandò Heles sorpresa. Quindi quello era uno dei due fratelli di Seya! Tuttavia si pentì immediatamente di quell’affermazione, che aveva dato a Yaten uno spunto per continuare il suo entusiasmato monologo.
- Sì, sono proprio io! Yaten, cuore del futuro! In queste zone si parla molto di me! – spiegò con una risata che lasciava intendere tutto il suo potere – E sai che altro si fa in queste zone? – le domandò avvicinandosi pericolosamente al suo viso, Heles scosse la testa ammutolita – Non si strilla! – grido irritato agitando il pugno nell’aria, come a colpire un bersaglio invisibile – L’unica che urla qui è Milena! Perché ha una buona ragione per farlo! Povera regina rinchiusa ingiustamente in una prigione per un crimine che non ha commesso… - sospirò alla fine colmo di tristezza.
- Se la tua “regina” non ha commesso nessun crimine allora perché una ragazza è morta!  - Heles non sarebbe mai stata tanto coraggiosa da pronunciare quelle parole… infatti a farlo, fu Sidjia, l’impavido commissario, che, affacciata al finestrino della volante della polizia, seppur in palpabile ritardo, portò il suo soccorso alla povera combattente.
- Sidjia! – esclamò Yaten con disprezzo girandosi di scatto verso il commissario.
Lei non lo degnò: - Ragazza come ti chiami? –
- Heles – ribatté confusa - Il mio nome è Heles! – ripeté poi con maggiore decisione.
- Heles? – le fece eco Yaten stupito.
- Si sono Heles e tu sei Yaten, il fratello del mio fidanzato! – sbottò Heles stizzita per la reazione del suo interlocutore – Se tu mi avessi lasciato parlare ti avrei spiegato! – continuò ancora non soddisfatta dell’espressione di scusa di Yaten.
- Se avessi saputo… - provò a dire lui.
- No, non se avessi saputo! Ti è mai balenato nella mente il pensiero che in questo razza di posto le ragazze possano essere smarrite o spaventate! – Heles rabbrividì al ricordo dello scontro con il topo.
- Scusate! – li interruppe Sidjia mostrando tutta la sua autorità di commissario di polizia – Yaten, farò finta di non aver sentito niente della tua ennesima scaramuccia – il ragazzo azzardò uno sguardo di sfida, poi borbottò un – Sì – remissivo.
- Quanto a te Heles, giusto? Cosa ci fa una ragazza graziosa come te qui, nei bassifondi? Non mi sembra il posto adatto… - iniziò Sidjia, ma Heles, intuendo la domanda, rispose prima che finisse: - Cerco una persona, dovrebbe trovarsi nel carcere della città, pare che qui la conoscano tutti, il suo nome è Milena  –
Yaten aggrottò la fronte sorpreso – Milena? – per un attimo anche negli occhi di Sidjia passò un ombra di disappunto, ma la donna si affrettò a celarlo - Bene, allora sali in macchina, ti do un passaggio! – propose con un sorriso incoraggiante - Forza Xer falle un po’ di posto! – disse poi rivolta al pastore tedesco che si intravedeva dietro il posto del conducente.
- Oh, grazie – accettò Heles avvicinandosi alla volante della polizia.
- Non posso fare di meno, quando si tratta della fidanzata di un vecchio amico – rispose ammiccando Sidjia con la mano già sull’acceleratore.
- Oh – fu tutto quello che riuscì a ribattere Sidjia mentre saliva in macchina: Seya non le aveva mai detto di avere amici tanto importanti.
– E tu, non voglio più doverti riprendere, ci siamo capiti? –continuò intanto Sidjia rivolgendosi a Yaten, che era rimasto impalato con uno sguardo interdetto, poi spinse l’acceleratore e sfrecciò in direzione del carcere di Tokyo.
Mondo reale
Presente
Sera
La fiamma solitaria brillava nel vuoto del santuario, spandendo il suo velo lieve per la stanza, solo il respiro sopito del silenzio faceva compagnia alla giovane sacerdotessa.
Rea se ne stava inginocchiata davanti al focolare, la testa leggermente reclinata in avanti, osservava ipnotizzata i riflessi fulgidi del fuoco ballare sul legno delle pareti. Là si disegnavano forme arcane, su quei muri prendevano forma tutte le paure ancestrali dell’uomo, si allungavano e si univano nel gioco delle fiamme, componendo il mosaico del futuro. Solo a pochi eletti era concesso di interpretarlo, e Rea era una di questi. Non si limitava a guardare il fuoco, lei era il fuoco: bruciava tra le fiamme, si muoveva insieme a loro spiandone l’anima, sino a carpire il loro significato più profondo.
Ma il fuoco, come ogni cosa ha i suoi tempi, agisce secondo i suoi ritmi e Rea non poteva fare nient’altro che attendere il momento giusto, quello in cui tutto le sarebbe stato chiaro…
Una vampata improvvisa, le fiamme si alzarono di colpo, mentre la pergamena con gli ideogrammi sacri si abbandonava languidamente alle fiamme…
Una visione… Heles, Milena, un muro. Un muro tra le guerriere,  qualcosa le avrebbe divise, forse un mostro? Sì, un mostro, ma estremamente diverso da tutti quelli che finora avevano affrontato, un nemico più intimo di quello contro cui avevano combattuto il giorno prima…
Che centrasse Galaxia? No, qualcuno di più oscuro, più infimo… eppure sentiva che l’imperatrice delle galassie aveva in qualche modo a che fare con quel presentimento.
Poi nient’altro. Solo nero. Le fiamme si spensero di colpo, lasciandola alla pallida luce della luna crescente. Il buio l’avvolse mentre i suoi occhi si abituavano alle tenebre. Fuori soltanto il rumore di qualche auto lontana, il vento accarezzava lievemente l’albero davanti al santuario. Rea cercò invano la quiete nell’ondeggiare sinuoso delle foglie, tuttavia non poteva impedire alla sua mente di vagare di nuovo nei meandri delle fiamme. Ritornava sempre a quel muro tra le guerriere, poi inevitabilmente viaggiava ancora più indietro nel passato, sino a quella mano, quella mano nel vortice…
Non sapeva se fosse stata solo un’allucinazione, forse la caduta aveva giocato alla sua mente un brutto scherzo, forse non era reale… possibile che Marta fosse rimasta impassibile di fronte a quella mano che si allontanava nel vuoto? No, per come conosceva la sua amica, non si sarebbe mai permessa di perdere un uomo così, la Marta che da anni lottava al suo fianco, si sarebbe gettata nel vortice pur di salvare una vita!
Doveva essere di certo stata un’allucinazione! Eppure, i suoi pensieri continuavano a tornare al muro, a quell’immagine inabissata nei contorni confusi del passato…
Il telefono squillò di colpo spezzando i suoi dubbi. Rea trasalì, mentre il suono stridulo si faceva strada nel silenzio del santuario. Si alzò a fatica, le ginocchia le dolevano per il troppo tempo passato in quella scomoda posizione. Attraversò il corridoio e raggiunse la camera antistante, il telefono abbandonato sul pavimento, lampeggiava insistente della chiamata di Bunny. Rea lo raccolse e rispose di malavoglia:
- Bunny, che c’è? Non dirmi che chiami a quest’ora per i compiti? – la voce che le rispose la colse di sorpresa – Marzio! Cosa è successo? Sì, arrivo subito! – chiuse di botto la chiamata, si levò la tunica del tempio e scrisse velocemente un biglietto per il nonno. La sua mano tremava sulla carta rendendo il tratto irregolare e disordinato.
“Dannazione Bunny!” imprecò in preda all’ansia, prima di catapultarsi di corsa fuori dal tempio.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI. Le verità nascoste ***


Ciao, ecco un nuovo capitolo di questa fanfiction, spero vi piaccia!! Vi ringrazio per avermi seguito fino a questo punto, forse fino ad ora la storia non ha avuto un gran che di trama verticale, infatti i capitoli precedenti sono stati improntati per di più sulla presentazione dei personaggi nel mondo parallelo, ma da questo capitolo si prepara una svolta decisiva, che finalmente farà continuare più velocemente la storia!!
Fatemi sapere la vostra opinione su questo capitolo, per me è molto importante:)
Detto ciò, non mi resta che augurarvi buona lettura!!

Capitolo VI. Le verità nascoste
Mondo reale
2 giorni dopo
pomeriggio
Aveva smesso di piovere da qualche ora e solo un leggero vento smuoveva gli alberi dal loro riposo immoto, le foglie imperlate, abbandonavano ancora qualche piccola gocciolina al terreno, che beveva avido di quell’acqua purificatrice. Il cielo era senza stelle, ormai non si riusciva a distinguere più nemmeno il grigiore delle nubi, inabissate nell’oscurità. L’unica cosa che scandiva il tempo in quella notte irreale era il moto regolare della porta della sala d’attesa, si apriva e si richiudeva in continuazione ed, ogni volta, un pezzetto di quell’aria satura di attese s’infiltrava nella mente di Rea. Ogni vita che usciva o entrava, trascinava dietro di se il suo greve carico d’emozioni, che investiva la ragazza, come una sorta di anticipazione del destino.
Non era mai stata il tipo che aveva paura degli ospedali, nemmeno da bambina si era mai lasciata intimorire da aghi o infermiere, mentre adesso si scopriva ad avere paura delle persone.
Ripensò alla chiamata di Marzio, pochi giorni prima, la sua voce colma d’ansia l’aveva chiamata, aveva cercato il suo aiuto e lei non l’aveva tradito. Non avrebbe potuto, così come non avrebbe potuto tradire Bunny.
Per molto tempo erano state solo loro tre, lei, Bunny ed Amy, la loro amicizia portava i segni indissolubili di tante battaglie combattute insieme. Era in quel modo, tra risate e battibecchi, che lentamente si erano avvicinate alle persone che erano ora. Poi, si erano aggiunte le altre, come i pezzi mancanti di un mosaico, avevano trovato il loro posto nel gruppo, ciascuna di loro aveva levigato i propri spigoli per comporre quell’armonia, tanto precaria, ma allo stesso tempo solida, come l’amicizia che le legava. Tuttavia, non si potevano cancellare il suono di innumerevoli giornate trascorse nello stesso luogo, con le stesse idee per la testa, a combattere contro gli stessi nemici.
Così Rea aveva corso, l’unico pensiero la linea bianca del marciapiede che scorreva accanto ai suoi passi. Si era concentrata unicamente sulla strada, non aveva distolto l’attenzione neanche per un istante, sarebbe stato fatale. Ogni svolta, ogni semaforo, un ricordo, un frammento di quella felicità che stava per perdersi nel passato. Meglio chiudere gli occhi, ignorare, badare solo alla strada. Così era sopravvissuta sino all’ingresso del Tokyo Hospital, scacciando i sentimenti che poi, erano esondati a fiotti dal suo cuore, sommergendola. Nei visi della gente, nei loro gesti, rivedeva le sue speranze, le sue paure, ogni cosa in quel posto emanava un insopportabile riverbero di dolore, persino l’aria ne era satura. Non avrebbe potuto reggere ancora quel miscuglio di emozioni che penetrava da ogni spiraglio che la porta apriva sull’ospedale.
Quindi se ne stava là, immobile a fissare la porta, l’ombrello scarlatto ancora stretto nella mano tremante. Così il dolore era sopportabile, a piccole dosi, niente di esplicito, di definitivo, navigava nell’ignoranza cosicché nessuna verità le avesse potuto strappare il suo mondo.
Dei passi alle sue spalle, chiuse gli occhi, si concentrò sulla calma di quei passi, cercò di estrarvi il coraggio, la forza, qualsiasi cosa che l’avesse aiutata a entrare.
Una mano smaltata di verde si posò sulla sua spalla, un tocco lieve, quasi timido, l’eco di un contatto inusuale.
- Rea – nel tono di Sidjia s’intuiva una nota d’incertezza che non aveva mai avvertito. L’insicurezza era insolita per la guerriera di Plutone, gli eventi degli ultimi giorni erano riusciti ad intaccare persino lei…
- Rea – ripeté ancora con minore cautela. La ragazza si girò lentamente, gli occhi scuri delle due s’incontrarono per qualche secondo. Ecco un segno, il coraggio che cercava! Strano che le pervenisse proprio dalla misteriosa regina degli inferi, loro due non si erano mai conosciute veramente, i binari delle loro vite non si erano mai incontrati, solo qualche sporadica parola, qualche sguardo, niente di memorabile. Sapevano l’una dell’altra solo ciò che riguardava il loro lavoro, ma per il resto era esclusa ogni sorta di personalismi, e il fatto che fossero entrambe partecipi dello stesso grande segreto non bastava a fare di loro due amiche, tuttavia spesso i giochi del fato, ci legano proprio a chi proprio non ci aspetteremmo, e questo era il caso di Rea e Sidjia.
- Entriamo – propose la donna con un sorriso forzato, i capelli verdi, lucidi di pioggia mandavano bagliori fuggenti sotto la luce dei lampioni.
- Si, entriamo – assentì Rea con una decisione che non sentiva.
Si avventurarono in silenzio per un dedalo di corridoi illuminati da fredde lampadine al neon, sino a raggiungere la stanza di Bunny. Le accolse la figura allampanata di Marzio, le spalle curve, la testa poggiata contro la finestra esterna, i suoi occhi infossati frugavano la camera in cerca di qualche traccia di un passato lontano.
- Marzio – lo riscosse cautamente Rea. Alla loro vista, sul viso del ragazzo baluginò un sorriso fioco, la barba, solitamente rasata, cresceva incolta, aveva gli occhi arrossati di chi non ha dormito e, dal suo viso traspariva un’età che non aveva.
- Come sta? – domandò Sidjia, la sua voce era moderata e impassibile, ma il suo sguardo tradiva la sua preoccupazione.
- Fisicamente bene, ma è ancora disorientata. I medici non vogliono che nessuno la veda, dicono che la confonda, ma tanto ormai… - il sorriso di Marzio si fece amaro, come quello di chi, svegliatosi da un brutto sogno, scopre che la verità è ben diversa – Non so cosa sia successo su quell’incrocio, so solo che Bunny non è più la stessa – concluse poi con un sospiro di risentimento.
- Vedrai starà meglio – tentò di rassicurarlo Sidjia, ma le sue parole caddero nel vuoto dell’ovvietà.
Rea non gli ascoltava, continuava a rimuginare su quell’unica domanda che da due giorni non la abbandonava la sua mente.
- E se… - azzardò d’un tratto interrompendo quella cortesia atona che si protraeva ormai da troppi minuti.
– E se quello che è successo a Bunny non fosse stato un banale incidente? – terminò poi più decisa. I due si girarono stupefatti verso di lei. - Stai dicendo che sono stati i nostri nemici a ridurla così? – chiese Marzio incredulo – No, questo non potrei sopportarlo, sarebbe il colmo – il ragazzo scoppiò in una risata isterica, del tutto priva di gusto.
Dopo pochi istanti si ricompose – Lo credi davvero? – domandò serio. Rea si sentiva in soggezione davanti a quegli occhi così apprensivi, sapeva che le sue affermazioni non erano leggere, tuttavia si fece forza e parlò: - Prima che tu mi chiamassi, stavo meditando e… e ho avuto una rivelazione, dal fuoco. Parlava di un muro, un muro tra le Sailor, all’inizio ho creduto che fosse… – di colpo s’interruppe, mentre i dubbi su Marta ritornavano pressanti ad infiltrarsi tra i suoi pensieri – Ho creduto… non fa niente… – Ora ho capito che potrebbe essere questo il muro: lo stato in cui è ridotta Bunny, la mancanza della principessa – concluse esitante, il suo cuore fremeva d’agitazione mentre spiava le reazioni di Marzio. Mutismo, nient’altro. L’unico rumore che turbava la quiete del corridoio, era il tamburellare delle dita di Sidjia contro il muro.
- Solo una persona può dircelo! – proruppe la donna, interrompendo il movimento all’improvviso  – Galaxia! -
Mondo parallelo
1 giorno dopo
mattina
Il trillo di un telefono fendeva l’aria indisturbato, nessuna mano accorreva alla cornetta per fermarlo. La stanza era avvolta da un gradevole profumo di limoni e lungo tutto il perimetro, accanto ad ogni sedia, erano posizionati dei graziosi tavolini di cristallo, sormontati da vasi di orchidee bianche. Incorniciate sulle pareti, giacevano immortalate le caratteristiche viuzze di Venezia, affiancate dall’imponenza del Golden Gate e della Statua della libertà, sotto ogni foto risplendeva lo slogan “ Galaxia Trip, i tuoi orizzonti oltre le stelle!”, una proposta un tantino ambiziosa per un’agenzia di viaggi, ma tuttavia efficace, quello di Galaxia infatti era uno dei marchi qualità più richiesti del Giappone.
Sidjia sospirò, gettando uno sguardo rassegnato alle foto davanti a lei, amava l’avventura e, una volta lasciata la polizia, si riprometteva di girare l’Europa intera, ma sapeva che quello sarebbe rimasto un vago sogno, per lei, infatti, il suo lavoro era tutto, e non l’avrebbe mai abbandonato per uno stupido viaggio. Tuttavia le piaceva crogiolarsi in quella piacevole idea, chissà… un giorno magari, dopotutto non si poteva mai dire mai nella vita.
Ma non era l’Europa il motivo che l’aveva portata in quella sala d’aspetto, seduta, con il cuore grave di sentimenti a toglierle il respiro, non erano nemmeno le indagini, anche se Sidjia avrebbe preferito, semplicemente motivi personali.
Aveva visto lacrime e rabbia succedersi sui volti di imputati e parenti, dalle sue labbra, migliaia di scomode verità avevano raggiunto vite inconsapevoli, aveva imparato a proteggersi, a rimanere imperturbabile di fronte a qualunque emozione e, ormai, era convinta di riuscire a sopportare tutto. Tuttavia, con gli amici era diverso, non c’era quel muro di freddezza, innalzato dalla mancata conoscenza, quella distinzione netta tra i ruoli, divise e distintivi non contavano niente, e per di più subentravano i pregiudizi e la delusione, nemici non indifferenti che si scatenavano spesso contro i messaggeri e non nei confronti dei diretti interessati. Insomma, sbagliava chi s’illudeva che agli amici si potesse raccontare tutto, o almeno così la pensava Sidjia.
Il viso di Seya sbucò da dietro una porta di legno scuro, le sue labbra si aprirono in un grosso sorriso mentre le andava incontro a braccia spalancate – Però! il commissario di polizia si degna di passare per una visita – disse ridendo mentre la stringeva in un caloroso abbraccio.
Si conoscevano sin da bambini, Sidjia ricordava poco del loro primo incontro, solo un ragazzino smilzo che avanzava timidamente verso di lei, nascosta dietro la schiena di suo nonno. Doveva essere stato il giorno dell’apertura dell’orfanotrofio, fasti, luci, colori, suo nonno aveva dedicato la sua vita a quel progetto, e pensare che ora la struttura giaceva abbandonata ai margini della città, offrendo rifugio solamente ai topi.
Quel giorno c’era anche Milena, Sidjia aveva un’immagine abbastanza vivida di quella bambina ribelle costretta in un abitino a quadrettini rosa, sorrise lievemente a quel ricordo, che tuttavia la riporto all’infelice motivo della sua visita.
- Seya, ti posso parlare? – esordì il commissario – in privato – disse poi con qualche esitazione.
- Certo, andiamo nel mio ufficio – assentì lui, apparentemente non turbato dall’espressione improvvisamente seria della sua interlocutrice – Vieni, è da questa parte – le spiegò aprendo la porta su un lungo corridoio, dove si affacciavano una fila di porte in vetro – Ultimamente ho ottenuto un ufficio più grande, Galaxia pensava che il mio vecchio non fosse abbastanza spazioso, dice che sarei soffocato – continuò con una risata entusiasta – Sai, è il capo migliore che ci sia, cortese, generosa, alcuni colleghi le hanno chiesto una settimana di ferie e pensa, lei gliene ha concesse addirittura due e, nonostante tutto, la sua agenzia è una delle prime del paese! –
- Fantastico – interloquì il commissario senza convinzione.
Entrarono in un ampia stanza e Seya si sedette dietro ad una scrivania ingombra di fogli di prenotazioni.
- Alcuni pensano il suo successo sia dovuto a poteri magici, ma io non ci credo, dopotutto la gente ama le agenzie dove i dipendenti sono felici – le raccontò ancora, facendola accomodare su una comoda poltroncina di pelle. Sidjia annuiva distratta, i suoi occhi erravano tra le varie cifre delle offerte sul muro, cercando di ritardare il più possibile il momento della verità.
- Sei tornato a casa ieri sera? – lo interruppe di colpo.
Seya aggrottò la fronte, allarmato dal tono grave della vecchia amica – Ho avuto da fare qui ultimamente con le scartoffie, ma sono riuscito a tornare, anche se tardi – rispose titubante – Perché? C’è qualcosa che dovrei sapere? – mentre piccole rughe di preoccupazione si facevano strada sul suo volto solare.
Sidjia si fece scura in volto, ancora una volta una scomoda verità sarebbe uscita dalle sue labbra – Ieri ho conosciuto la tua ragazza – iniziò, la voce che si aggrappava disperatamente alla calma del suo addestramento.
- Oh, Heles – assentì Seya rammaricato – Ultimamente non le sto dedicando molta attenzione –
- Proprio a questo proposito… – ricominciò il commissario.
- Ti ha per caso detto qualcosa? – domandò Seya spaventato.
- No, no, non sapeva nemmeno che io e te ci conoscessimo – lo tranquillizzò lei.
- Oh, meno male, non sopporterei di renderla infelice – sospirò sollevato.
- Certo – acconsentì la donna, in quel momento si sentiva un verme, perché doveva essere lei a rovinare la felicità di un amico?
Il profumo di limoni si era fatto assuefante, distolse lo sguardo dal suo interlocutore, non poteva affrontare direttamente la gioia inconsapevole che gli illuminava gli occhi.
- Seya, ieri ho incontrato Heles in periferia, mi ha chiesto di accompagnarla al carcere – riprese Sidjia con la voce incrinata.
- Al carcere? – domandò il ragazzo confuso.
- Doveva vedere una persona, doveva vedere Milena – fece una pausa, saggiando le reazioni di Seya, sbalordimento per lo più.
- Ma loro non si conoscono, non hanno mai avuto niente a che fare, appartengono a due mondi diversi – provò a ribattere Seya incredulo.
Sidjia chiuse gli occhi e prese coraggio - A quanto pare si conoscevano abbastanza bene – continuò odiandosi profondamente, forse stava per distruggere una coppia serena, ma qualcuno doveva avvertire Seya!
– Le ho viste in atteggiamento abbastanza… -  si fermò per cercare la parola adatta – intimo– concluse alla fine. Quelle parole piombarono nell’aria come macigni, aleggiando attorno a loro come presagi di un’imminente rottura.
- Cosa mi stai dicendo, Sidjia? Cosa mi stai dicendo? – la sua domanda aveva il suono di una supplica, ma Sidjia non la poteva accogliere, non se questo significava negare ciò che aveva visto – Mi spiace Seya – ribatté alzandosi dalla sedia. Le gambe le tremavano, ma le permisero ugualmente di raggiungere la porta, di fuggire da quel bacio, dal dolore del suo vecchio amico, da quel tradimento che aleggiava implacabile su tutto.
Finalmente uscì all’aria aperta, si sentiva soffocare. Si chinò sul marciapiede, le mani sul petto, la stanchezza di una vita che le crollava addosso, sulle labbra ancora il sapore della delusione del suo amico.
- Basta – implorò tra le lacrime – Basta! -

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Capitolo 7
*** Capitolo VII. Ciò per cui lottiamo! ***


Ciao a tutti:) Scusate il ritardo, ma questo mese ho avuto qualche impegno e ho scritto altre storie...
Forse non siete stati molto entusiasti dell'ultimo capitolo, ma vi prometto che migliorerò (O almeno proverò a farlo, con il vostro aiuto) e cercherò di rendere la storia un pò più interessante e movimentata!!
Magari datemi qualche suggerimento, se ne avete voglia:) mi farebbe davvero piacere!!
Detto questo, vi auguro una buona lettura, sperando nelle vostre recensioni XD



Capitolo VII. Ciò per cui lottiamo!
Mondo reale
2 giorni prima
I raggi del sole dardeggiavano tiepidi sui pilastri bianchi del Rainbown Bridge, rinfrangendo i loro bagliori iridescenti nella strada  e sulla carrozzeria delle auto che sfrecciavano veloci nelle carreggiate. Sul marciapiede sfilavano diversi uomini d’affari nei loro abiti scuri, la ventiquattrore che pendeva ondeggiate dalle loro braccia, i visi seri, compassati, tornavano a rinchiudersi nei loro uffici dopo il pranzo, alcuni di loro avevano ancora in mano i resti del loro pasto frugale, qualche bacchetta da sushi, un tovagliolo sporco, tutti in attesa di un qualsiasi cestino della spazzatura.
Un gruppetto di studenti discuteva animatamente a proposito di sport dall’altra parte della strada, i grembiulini bianchi macchiati da qualche piccola goccia d’inchiostro, dovevano arrivare da qualche corso pomeridiano e ora si dirigevano verso un noioso pomeriggio di studio. Niente d’insolito, niente di anormale.
Bunny rideva, i gomiti appoggiati al parapetto, si sporgeva per vedere i contorni lontani dei grattacieli della città. Rideva, Marzio non ricordava per quale motivo, solo che gli piaceva sentirla, quella risata gli metteva allegria, anche se gli appariva distante, come persa nel baluginio dorato del mare… rideva.
Milord aprì gli occhi di scatto, la testa gli doleva tremendamente, come se migliaia di spilli fossero conficcati nel suo cranio, il cilindro era riverso di lato di lato di fianco a lui, la mascherina bianca gli era scivolata di traverso sul naso, si portò una mano alla fronte, sanguinava, mentre con l’altro gomito cercava di fare perno per alzarsi a sedere.
Ricordava poco di ciò che era successo, stava passeggiando con Bunny al ponte di Tokyo, quando aveva intravisto Moran, dall’altra parte della carreggiata, aveva alzato la mano per salutarlo poi…
D’un tratto realizzò tutto, ogni cosa prese forma attorno a lui…  di colpo rivide tutti gli avvenimenti di quel pomeriggio passare davanti ai suoi occhi, come una pellicola, lo spaventoso mostro informe che emergeva implacabile dai flutti del mare, trascinandosi dietro, con la sua inestinguibile forza, una serie di violenti getti d’acqua, uno di loro l’aveva colpito… chiuse gli occhi, mentre una fitta gli attraversava la tempie. Era caduto, il suo primo riflesso doveva essere stato quello di trasformarsi, come difesa, chissà se Bunny ce l’aveva fatta? Forse aveva chiamato le altre, ma poi… cos’era successo poi?
Doveva trovarsi ancora al centro della carreggiata, dove l’aveva spinto il getto, attorno a lui soltanto le carcasse di quelle automobili che fino a poco prima attraversavano il ponte, i suoi pensieri andarono istintivamente a Moran, chissà se il suo amico aveva fatto in tempo a mettersi in salvo?
Improvvisamente la sua vista mise a fuco una figura femminile a qualche metro da lui, una guerriera forse? Gli dava le spalle in atteggiamento difensivo, come a proteggerlo… il combattimento era ancora in corso! Fece per alzarsi, ma una nuova stilettata di dolore, lo costrinse a riadagiarsi a terra con la testa fra le mani.
- Non dovresti muoverti, hai preso una brutta botta! – la voce che lo raggiunse gli sembro stranamente familiare, anche se non tanto da poterla riconoscere immediatamente, poi di colpo gli tornò alla mente… una sera di pochi mesi fa, tre ragazzi sul tetto di un grattacielo, con lui c’erano anche Bunny e le altre… “Trattala bene, Marzio” l’eco di quelle parole s’insinuò nella sua mente come un presente lontano.
- Seya! – esclamò il giovane confuso. Anche se l’inflessione del tono questa volta era più femminile, non c’erano dubbi, a pronunciare quelle parole era stato Seya, o meglio il suo alter ego Regina del coraggio!
La guerriera si voltò verso di lui assentendo con un sorriso indecifrabile, un grosso taglio le attraversava la coscia destra, proprio sopra l’estremità del lungo stivale che le rivestiva la gamba fin sopra il ginocchio, i suoi vestiti in alcuni punti erano laceri, segno che aveva combattuto, e corti ciuffi di capelli le ricadevano disordinati sul viso madido, non doveva trovarsi in quel luogo da molto.
- Cosa? – provò a domandare Marzio, ma l’altra lo precedette: - Siamo tornati, e stavolta per restare! –
-
Un terribile boato scosse nuovamente il mare, la terra tremò sopra i singulti irrefrenabili delle onde che si ritiravano, il mostro si preparava ad attaccare, ancora! Ormai conoscevano la sua strategia, inglobava la maggior quantità possibile d’acqua per poi spararla fuori con una violenza inaudita, persino le forze unite di tutte le guerriere erano impotenti di fronte a quei getti. Tutto accadeva in pochi secondi, la prima volta lei e Marzio non avevano nemmeno avuto il tempo di accorgersene, il loro pomeriggio felice era sfumato rapidamente in una tragedia, lui era stato sbalzato al centro della carreggiata e Bunny, rimasta sola, non aveva potuto fare altro che trasformarsi, era suo compito fronteggiare quella minaccia.
Solo dopo aveva pensato. La maggior parte della gente non l’aveva notata, impegnata nella propria corsa disperata verso la salvezza, ma qualcuno si…
Appena entrata nelle spoglie di Sailor Moon aveva sentito i suoi occhi puntati contro la sua schiena, Moran l’aveva vista!
Ma la battaglia non le aveva lasciato il tempo di preoccuparsene, quando si combatte ogni cosa perde di senso, rimani solo tu e la paura che devi affrontare, Moran e il resto erano stati spazzati via della confusione, nella sua testa era restato solo lo spazio per i gelidi getti che s’infrangevano contro il suo corpo e Marzio, a terra da qualche parte, ferito forse, perso nella fiumana insanguinata delle vittime.
Le altre sarebbero presto arrivate, ma la prima mossa sarebbe toccata a lei! Bunny non era mai stata brava a reagire, in ogni battaglia avrebbe di gran lunga preferito trovarsi tra le schiere degli spettatori ammirati, ma il destino aveva deciso diversamente, il suo passato aveva deciso diversamente, per cui doveva non solo reagire, ma spronare anche le altre a farlo, una vera leader avrebbe dovuto farlo!
- Vediamo se un  bell’incendio sconfiggerà quest’acqua! Cerchi di fuoco saettanti, azione! – urlò Sailor Mars, mentre dalle sue mani si sprigionava la potenza distruttrice delle fiamme di Marte. Il bagliore luccicante di quei cerchi di fuoco s’infranse invano tra le spire liquide del mostro, che ancora una volta andarono ad abbattersi contro il ponte.
- Dobbiamo provare un attacco combinato, se continuiamo così non andremo da nessuna parte! – la rimproverò Pluto. Lei sì che aveva la stoffa della leader, sapeva farsi ascoltare e in ogni momento era padrona della situazione, non come Bunny, sempre in balia degli eventi, trascinata in tutte le occasioni dalle emozioni. Anche ora si sentiva persa, impotente, i suoi pensieri che vagavano altrove, verso quell’unica persona che era in grado di capirla…
Lui era tornato, impossibile da credere! Per tre mesi aveva cercato costantemente di tenerlo lontano dalla sua mente, era stato facile, lui era chissà dove, in una qualche galassia lontana e poi con lei c’era Marzio, loro erano felici insieme, lei era felice! Ma il ricordo di quella rock star presuntuosa non voleva saperne di abbandonare il suo cuore.
Certo, Bunny amava Marzio, su questo non si poteva discutere, ma in qualche modo sentiva una sorta di differenza, lui era più maturo, più serio, era come se lei riuscisse a sentirsi alla sua altezza solo nei panni della bella guerriera della luna, il resto del tempo era come trovarsi un gradino più in basso. Con Seya era diverso, lui era al suo stesso livello, avevano gli stessi interessi, odiavano le stesse cose, eppure a lui non la univa quella passione travolgente che Bunny provava per il suo Marzio.
Era piuttosto singolare, ma in quei tre mesi non aveva avuto bisogno di preoccuparsene, ora invece…
Quando aveva udito distinta nel frastuono della battaglia la cantilena monotona delle Starlights il suo cuore si era come fermato, il tempo si era arrestato per accogliere quello schiocco ritmato che introduceva un nuovo inizio, i loro occhi si erano incontrati per qualche secondo in un tacito discorso, per un attimo la figura di Marzio che si schiantava al centro della carreggiata era caduta nell’oblio della sua memoria ed erano rimasti solo gli occhi di Seya… poi la magia si era spezzata, il volto insanguinato del suo amore era tornato a premere nei suoi pensieri, un nuovo getto aveva rotto il silenzio e le guerriere Sailor avevano risposto!
Il combattimento si era rapidamente spostato, in modo che le autorità avessero modo di evacuare la zona colpita, a sorvegliare le operazioni era rimasto Seya, in quel modo avrebbe potuto assicurarsi anche che Marzio stesse bene, l’aveva fatto per lei.
Nessuno aveva avuto il tempo di fare domande o dare risposte, le loro forze si erano unite istintivamente, come i pezzi di un puzzle, poco importava la galassia di provenienza, questo nemico lo dovevano sconfiggere tutte insieme!
- Dove sono Heles e Milena? – gridò Morea sovrastando il frastuono della battaglia, le sue parole caddero nell’aria come macigni, senza ottenere risposta.
- Sidjia? – insistette ancora la guerriera di Giove. Sailor Pluto abbassò gli occhi nel tentativo di evitare gli sguardi interrogativi delle sue compagne, in particolare quello della piccola Ottavia. Sul volto di Marta si leggeva un’espressione indecifrabile, quasi gelida, in quel momento la ragazza provò una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
“Sarà solo la mia immaginazione” si ravvisò nuovamente Sidjia, anche se la sensazione non voleva saperne di andarsene.
- Meglio! Lascia le due principessine dove stanno, in questo momento facciamo volentieri a meno della loro vanità! – intervenne Cuore del Futuro parando un colpo del mostro con uno dei suoi impareggiabili attacchi, in quel momento Sidjia gli fu immensamente grata.
- Attente! – le avvertì Polvere di Stelle schivando agilmente un potente getto d’acqua, Cuore del futuro si lanciò prontamente su Mars e Venus per proteggerle dal colpo.
- Grazie – esclamò Rea balzando immediatamente in piedi e rispondendo all’attacco.
- Grazie – ripeté Marta con voce più flebile, quasi assente, mentre lentamente si metteva a sedere. Nel suo sguardo Yaten scorse baluginare un pallore opaco, un vuoto magnetico che la inquietò, tanto che si affrettò a distogliere rapidamente la propria attenzione.
- Vediamo se funziona l’occhio per occhio! – constatò Amy, poteva avere ragione, dopotutto in quel frangente disperato era plausibile qualsiasi soluzione – Vortice acquatico, azione! – pronunciò con decisione, mentre con un mezzo giro il vortice abbandonava le sue mani.
- Ah, ancora niente – imprecò Taiki – Prova ancora tu Sailor Moon! È la nostra ultima possibilità – la incitò, mentre Sailor Saturn alzava una barriera per proteggerli dai flutti. Era invidiabile il coraggio di quella bambina, alla sua tenera età aveva già affrontato i più orribili nemici e aveva saputo combattere i suoi mostri interiori, pur continuando sempre a mantenere la sua naturale innocenza. Bunny invidiava la sua forza, ma allo stesso tempo l’amava perché gli ricordava quella di un’altra giovane eroina, Chibiusa. Chissà come stava, Bunny la immaginava spesso correre per i corridoi del suo palazzo di cristallo, felice insieme ai suoi genitori! Ora avrebbe tanto desiderato rivederla, non in quelle circostanze naturalmente, magari davanti a un bel gelato, ascoltando i suoi capricci infantili insieme a Marzio…
- Bunny! – la voce di Rea la riscosse nuovamente dalle sue fantasie – Dobbiamo provare tutte insieme! –
- Avete ragione! Forza, ora che il mostro è più vulnerabile! – urlò Bunny e ognuna si preparò a concentrare tutta la propria potenza in quel disperato ultimo attacco.
- Fermi! – urlò d’un tratto Mercury indicando un punto indistinto davanti a loro.
- Ma quello è – esclamò Morea sorpresa  - Moran! – completò per lei Bunny con una leggera punta di rammarico nella voce. Ed ecco che l’orda della confusione aveva riportato i suoi occhi increduli proprio davanti a lei…
- Moran, spostati da lì! Mettiti in salvo! – gridò Morea, ma la sua voce si spense nel rombo crescente dei flutti che venivano risucchiati tra le spire maligne del mostro.
- Se quello che ho visto è vero allora non posso lasciarvi sole, lo devo al mio amico! – urlò quello di rimando, mentre un muro liquido si innalzava imponente alle sue spalle.
- Moran, va via! Ti prego – lo supplicò Bunny gettandosi in ginocchio, il suo coraggio non poteva costarglin la vita.
- Non capisco fino in fondo quello che sta succedendo, ma posso aiutarvi, devo aiutarvi! – andò avanti quello imperterrito, non curandosi della voragine che si stava aprendo alle sue spalle. Era come se nel muro d’acqua si stesse creando una sorta di mulinello, un vortice…
- Oh no,  di nuovo! Guardate! – esclamò Morea facendosi schermo con la mano per proteggersi dagli spruzzi accecanti che cominciavano a liberarsi dalle lunghe spire del mostro.
Amy gettò l’ennesima occhiata perplessa alla spaventosa creatura - Ancora non sono riuscita a capire di cosa si tratta, il mio computer segnalava solamente acqua, come se quell’essere riuscisse a manipolare materia pure, il che è impossibile vista l’ingente quantità di liquido, la massa, il peso, per non parlare della forma, insomma non c’è niente che serva ad incanalare… -
- Non c’è tempo, dobbiamo metterci al riparo! – la interruppe Taiki prendendola per un braccio e trascinandola dietro ciò che restava di un auto rovesciata.
- È incredibile… - sospirò Morea inorridita guardando il vortice che si stava rapidamente allargando di fronte a loro, come le fauci fameliche del lupo pronte a ingoiare l’agnello indifeso.
- Sidjia, ho paura – si lamentò Ottavia tra i singhiozzi.
- Non preoccuparti, troveremo una soluzione – rispose la guerriera di Plutone abbracciandola per farle scudo col suo corpo. Era inevitabile, il mostro le avrebbe colpite, e se fossero riuscite ad evitare i flutti, sarebbero state di sicuro risucchiate dal vortice. L’ineluttabilità del fato in quel momento le sembrò schiacciarla, mentre le lacrime calde di una bambina le bagnavano la gonna, le sue manine si stringevano attorno alla sua vita, così piccole, su quelle spalle così minute aleggiava una fin troppo grande responsabilità, Sidjia non la biasimava se non aveva retto, ma poteva non rimproverare se stessa?
In quegli ultimi istanti i suoi pensieri andarono a Heles e Milena, chissà cosa avrebbero provato alla notizia della loro morte, sarebbero state loro a organizzare la cerimonia funebre? Beh, dovevano, erano l’unica famiglia che Sidjia aveva, spettava a loro dare un decoroso addio al suo cadavere, l’avrebbero fatto nonostante tutte le divergenze? Sì, ne era sicura, nella morte non c’era né giusto, né sbagliato, cosa gli sarebbe servito essere ancora arrabbiate, se lei ormai non poteva più avere un’opinione?
Il peso delle sorti della terra sarebbe rimasto a loro, e loro l’avrebbero gestito come meglio credevano, lei aveva fatto tutto ciò che serviva, chissà se l’avrebbero considerata una buona amica, una buona maestra? Avrebbe voluto essere di più, ma il tempo le aveva dato solo questo, quindi chissà… anche se le sue spalle erano rivolte al nemico nell’ultima ora, non significava che non aveva combattuto…
- Mi spiace principessa –mormorò mentre la morsa gelata dell’acqua la travolgeva in pieno.
- Pluto! Saturn!- sentì urlare qualcuno, ma poi tutto si spense, il mare assorbì tutto, persino il dolore. Sperò che potesse essere così anche per la sua piccola.
- Venite, forza! – le chiamò Yaten, poco più indietro, mentre ancora sgomente osservavano i corpi inermi delle loro compagne che venivano spazzati via dai flutti.
- Non possiamo lasciarlo lì – rispose Rea alludendo a Moran, ancora in piedi, deciso a sfidare quella minaccia più grande di lui.
- Dobbiamo – ribatté l’altra, facendosi avanti a fatica tra le macerie del ponte che lentamente stava cedendo sotto la potenza distruttrice del mostro.
- Bunny – supplicò Morea, afferrando l’amica, ancora in ginocchio, per le spalle – Per favore! – gli occhi offuscati dalle lacrime fissava impotente quella figura, sempre più lontana.
- È tutta colpa mia! – ripeteva l’altra disperata.
- Non è vero! Pensa a Marzio, di certo lui e Seya saranno in salvo a quest’ora e moriranno dalla voglia di vederti! – insistette ancora Sailor Juppiter, cercando un minimo di approvazione negli sguardi delle amiche, riuscì ad incontrare solo quello preoccupato di Rea, gli occhi di Marta vagavano persi nel vortice, sul suo viso baluginava un sorriso sornione, come se si trovasse ad una festa di gala e non in mezzo a una tragedia.
- Marta! – la rimproverò – Marta! – ma un potente getto spezzò la sua frase a metà, sbalzando lei e Bunny oltre la prima carreggiata. Yaten si gettò dietro il moncone di un pilastro che poco prima era rovinosamente precipitato, Rea fu colpita di striscio, ma lo spostamento d’aria fu sufficiente a farla cadere.
Da lì in poi tutto si svolse in modo irreale, come in una specie di sogno, o meglio incubo. Nessuno seppe davvero cosa stava succedendo davvero, il mondo veniva sballottato incessantemente dalla corrente e la terra tremava, per quei pochi secondi anche la paura perse di senso, c’erano solo la vita e la morte, il bianco e il nero. Per un attimo, prima che la sua mente si oscurasse completamente, a Rea parve di vedere… il suo riflesso balenava tremolante nel vortice, i contorni diafani del suo viso ondeggiavano sullo sfondo, contorcendosi sino a confondersi con quelli delle altre, come spettri eterei, distanti. Quello era il tipo di immagini che le giungevano dal fuoco, perché ora a manifestare quella rivelazione era l’acqua? Doveva essere un inganno dei nemici! Eppure erano a loro così simili, come se in quella figura sbiadita Rea riuscisse a scorgere un angolo recondito della sua anima, un pezzo sopito che razionalmente non avrebbe mai manifestato….
 Marta era ancora in piedi, cercò di dirle qualcosa, di avvisarla, ma dalla bocca le uscì solo un mugugno soffocato, era bloccata. Tentò di alzarsi, ma le forze le vennero meno, un conato di vomito le risalì lo stomaco, costringendola a terra, sembrava che il suo corpo non rispondesse ai comandi della sua mente, stava per svenire quando… Moran! Stava per essere risucchiato dal vortice, Marta doveva aiutarlo, poteva farcela! Ma la guerriera di Venere restava immobile, ritta con le mani sui fianchi, i lunghi capelli sollevati dal vento ondeggiavano liberi nell’aria, sul suo volto trionfava ancora il sorriso impassibile di poco prima, nei suoi occhi ancora il vuoto…
- Marta! – avrebbe voluto chiamarla, ma dalla sua gola non usciva nessun suono – Marta – provò ancora, mentre la forza implacabile del mostro trascinava lentamente Moran verso le sue fauci fameliche.
- Marta – sulle sue labbra solo un lieve sussurro, poi i suoi occhi si chiusero. L’ultima immagine che baluginò confusa nell’oblio della sua incoscienza fu una mano, una mano che scompariva pigra dietro al sorriso di Marta…
Quello che accadde glielo raccontarono dopo, il vortice si era richiuso, nessuno aveva capito come o perché, tutti erano sopravvissuti, seppur con qualche ammaccatura, a quanto pareva l’intento del mostro era stato unicamente quello di levarle di torno, Seya e Marzio alla fine erano riusciti a raggiungerle, anche se troppo tardi…
L’unica reale certezza al suo risveglio fu un raspo bagnato di un pastore tedesco che ansimava sui suoi capelli e… la sagoma della loro più grande nemica stagliarsi trionfante dinnanzi a lei, Sailor Galaxia!
Mondo reale
2 giorni dopo (il presente)
sera
Vino rosso, musica soffusa, cucina all’italiana… Milena aveva organizzato la serata alla perfezione, ce l’aveva messa tutta per tramutare il freddo ed estraneo appartamento in cui vivevano in qualcosa che assomigliasse ad una casa. Heles sapeva quanto fossero state pesanti per la sua compagna le ultima settimana, almeno quanto lo erano state per lei. La decisione di abbandonare le altre guerriere non era stata facile e il dubbio tormentava ancora le sue notti, punzecchiando insistente i suoi pensieri, come un prurito restio ad abbandonarla, ma d’altronde era stato necessario, presto Sidjia e le altre si sarebbero reso conto del pericolo, ma sarebbe stato troppo tardi. Lei non aveva fatto altro che mettersi in salvo, sottraendo dall’ipocrisia di quell’inganno se stessa e la persona che più contava nella sua vita…
Heles fissò per qualche secondo il contenuto vermiglio del bicchiere nella sua mano, il vino le rimandava, luccicante dei bagliori viscosi delle candele, il suo riflesso deformato, un viso in cui da qualche giorno stentava a riconoscersi, il volto di un’assassina… l’eco di una brusca frenata le rimbombava nelle orecchie, il sibilo dell’aria attorno agli specchietti, poi… boom, uno schiocco sordo sul parabrezza, il grido stridulo vetro che si frantumava contro le ossa, poi tutto rosso… rosso sul parabrezza, rosso sul cofano della macchina, sugli specchietti, tutto rosso, rosso anche nel bicchiere. Serrò gli occhi di scatto, finché  la voce insistente della sua coscienza si fece lentamente più tenue, il suo respiro più regolare.
- Qualcosa non va? – chiese Milena affacciata dalla porta della cucina. Sotto il semplice grembiule da cucina indossava un corto tubino blu scuro, molto elegante, e una collana di perle le adornava il collo, per lei quell’occasione era davvero importante. Heles la ammirò senza fiato per qualche secondo prima di rispondere: - No, niente. Stai benissimo! –
- Grazie – sorrise l’altra compiaciuta – comunque qui è quasi pronto, potresti guardare il riso mentre io vado in garage a prendere altro vino? – domandò indicando l’interno cucina, da dove proveniva un profumo invitante -  Sempre che tu ne sia in grado – aggiunse poi facendole l’occhiolino, mentre scompariva dietro la porta del salotto.
- Sta tranquilla, non farò bruciare niente – le urlò Heles di rimando, ancora seduta a tavola.
Sorridendo tra se, si incamminò verso la cucina. Il riso gorgogliava sul fornello reclamando la sua attenzione.
“Perlomeno una distrazione” pensò sollevata afferrando il mestolo per girare. Passò una quantità indefinita di minuti, la fiamma violacea danzava allegra sotto la pentola, il calore le arrossava le gote.
- Milena – provò a chiamare. Nessuna risposta – Milena – ripeté. Ancora niente.
“Forse non mi ha sentito” pensò avviandosi verso la porta del salotto ancora con il mestolo in mano.
Scese gli scalini di fretta, diretta al garage sottostante, l’aria della sera era fresca, quasi pungente, il corrimano era puntellata da piccole gocce, aveva appena smesso di piovere.
- Milena – chiamò di nuovo, la basculante era aperta – Che cosa? – domandò scorgendo la figura tremula della ragazza nell’oscurità del garage. La bottiglia di vino era a terra in pezzi, i vetri affondavano nel liquido vermiglio sparso sul pavimento di fronte alla sua auto. Il telo sopra il cofano era stato sollevato, e ora giaceva a terra accartocciato su se stesso, come un corpo privo di vita.
Il mestolo le scivolò inerte da le mani, il fragore della caduta si spanse metallico nel silenzio della verità.
 - Posso spiegarti ogni cosa -  balbettò Heles senza convinzione, avvicinandosi a Milena con la mano tesa, come per riafferrarla prima che fuggisse.. Le sue mani tremanti reggevano ancora una bottiglia di vino immaginaria, il ricordo di una serata che si era prospettata felice – No – disse scostandosi dall’altra.
- Milena – provò a convincerla Heles, avvicinandosi ancora.
- No – ripeté di nuovo allontanandosi – Io, io ti ho sempre seguita, anche quando non mi piaceva. Ho rinunciato alle guerriere Sailor per te, per la tua idea – iniziò, le lacrime trattenute le incrinavano la voce.
- Era per salvarci, era per… - tentò di ribattere Heles, ma Milena la interruppe di nuovo: - Non stiamo parlando di questo! Non sei sempre tu al centro, Heles, e io merito rispetto, io meritò la verità! – proruppe poi in un esplosione finale, i singulti incominciarono inevitabilmente a scuoterle il petto, ed, esasperata, si portò le mani alla tesa, coprendosi gli occhi – La merito, almeno la verità – sussurrò poi a bassa voce, più a se stessa che ad Heles.
- Ti assicuro che ti avrei spiegato! – si difese quella facendo un altro passo verso Milena.
- Heles, quello sul parabrezza è sangue! – urlò la guerriera di Nettuno sconvolta indicando il parabrezza frantumato – Non so cosa questo voglia dire, ma di certo nulla di buono – sussurrò poi abbassando la voce. Heles si fermò impietrita, le parole di Milena le avevano sbattuto in faccia la verità che da giorni cercava d’ignorare come uno schiaffo, il cuore le doleva ancora.
- Se me l’avessi detto, io ti avrei aiutato, ti avrei sostenuto, ma ora, Heles, ora sei sola! – le sue labbra erano piegati da una smorfia di amarezza, si portò di nuovo la mano alla fronte abbassando la testa gravata dall’ira, le lacrime le bagnavano il viso senza argini.
“Lei è illesa“ ecco quello che voleva dire, quello che aveva senso dire in quel momento, il pensiero che il suo cervello aveva ripetutamente formulato ripetendolo alla sua coscienza, ma ciò che uscì in quel momento dalla sua bocca fu – Lei è Bunny –
Milena alzò il capo di scatto, come fosse stata morsa da un animale velenoso. Scostò la mano lentamente, quasi con cautela e il suo sguardo si piantò dritto in quello di Heles, più affilato di una lama.
- Sei sola – ripeté un’altra volta prima di correre via ed Heles rimase sola. Mai il significato di quella parola le era sembrato più disperato.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Cambiamento ***


Buon giorno a tutti, mi scuso di ritornare a scrivere solo adesso, ma avevo avuto un calo d'ispirazione per questa storia e non volendo rovinare tutto ho deciso di fermarmi…
Fortunatamente, tornando a leggere i manga di Sailor Moon, ho ritrovato idee e amore per questa storia, quindi ecco il nuovo capitolo!!!
Ah, perdonate gli apostofi sulle u al posto degli accenti, ma ho il tasto del computer guasto.
Spero vi piaccia….
Se avete tempo e voglia, fatemi sapere cosa ne pensate, per me è molto importante!!!!
Detto questo, godetevi questo nuovo e sudato capitolo XD

 
Mondo reale
Presente
9:00 a. m.
Pioveva, tanto per cambiare. I bagliori dei lampioni offuscavano il buio del viale alberato, spegnendosi tiepidi nella sera. Le gocce scivolavano oziose sul manto d'edera che ricopriva le mura della "fortezza".  Era un edificio abbandonato nella zona periferica della città, un decennio prima doveva essere stato un orfanotrofio di beneficenza, ma il nome del costruttore si era perso nel tempo, proprio come la sua funzione. Ora giaceva inerte, troneggiando arcigno nel suo regno di fatiscenza, nient'altro che un rifugio per topi e senza tetto.
Sin da bambini, gli abitanti di Tokyo erano stati naturalmente predisposti a temere i luoghi oscuri e tenebrosi. Spiriti maligni, era sempre stata questa la giustificazione, o andando avanti con l'età briganti e balordi, o molto semplicemente quella paura innata nell'uomo dello sconosciuto, fatto sta che solitamente la "fortezza" veniva evitata, soprattutto sul far della sera, nelle giornate uggiose e senza speranza.
- Siamo sicuri che sia qui? - la voce di Rea suonava strana, quasi finta contro quello sfondo di silenzio.
- È qui - rispose Marzio, un mugugnio, tutta la volontà che gli mancava di trovarsi in quel posto.
La corsa disperata per le strade desolate della città, il sudore negli occhi, il dolore lancinante alle tempie e poi… quel ricordo…
Aveva all'incirca otto anni quando aveva visto per la prima volta la "fortezza ", suo padre era stato uno degli ingegneri, il tipo di uomo magrolino, occhialetti cascanti sul naso, sorriso tirato. L'aveva condotto per mano in quel dedalo di piastrelle luccicanti e muri freschi di vernice. Se ritornava con la mente a quel momento sentiva calore, luce, l'azzurrino stinto di una camicia, l'ultimo ricordo di una figura intatta nell'oblio della memoria.
- Forza! - incitò Sidjia, poco più avanti insieme a Rea.
Marzio si affrettò a percorrere la distanza che li separava e tutti e tre percorsero in silenzio il sentiero scavato nell'erba alta. Avvicinandosi all'entrata i loro passi venivano attenuati dal tappeto di muschio che ricopriva le piastrelline del vialetto,  gli accompagnava il rumore lento e regolare di una goccia solitaria che si dipanava per incontrare periodicamente il pavimento.
Un asse di legno sbarrava la porta principale, bastò una lieve spinta a farlo cadere.
- Bella spinta, Marzio - commentò Sidjia senza ironia, o perlomeno con un ironia non intuibile. Quello, che era un gesto piuttosto insolito per il ragazzo, di norma avrebbe suscitato una grande ilarità nelle sue amiche, ma la gravità della situazione poneva in secondo piano la camicia sporca di Marzio.
Entrarono, facendosi strada nel buio stantio con la sottile luce di una torcia.
- Perché proprio qui? - domandò Rea perplessa, quel luogo, almeno all'apparenza, non sembrava certo adatto a contenere un potere grande come quello di Galaxia, era a malapena sufficiente a resistere alla furia delle intemperie.
- C'è un insolito campo di forza qui - constatò Sidjia, più per sorpresa personale che per rispondere alla domanda dell'altra. Si fece da parte per lasciare spazio agli altri per vedere.
- Mio padre lavorava qui - sussurrò Marzio interrompendo il mutismo che era calato sulla conversazione - Era il costruttore -
- Non lo sapevo, non ne parli mai - rispose Rea affiancandosi a Sidjia con circospezione.
- È morto nell'82, era l'ingegnere capo, praticamente questo posto l'ha costruito tutto lui - continuò atono l'alter ego di Milord, come se stesse parlando della trama di una serie tv.
- Mi spiace - mormorò Rea, fissando a lungo nella penombra il viso dell'amico. "Povero Marzio " si ritrovò a pensare con un improvviso moto d'affetto, misto alla sofferenza per il proprio destino" Prima suo padre… e adesso Bunny, quando potremo essere davvero felici". Avrebbe tentato di rassicurarlo ma Sidjia improvvisamente li zittì: -Shh - bisbigliò alzando la mano e arrestandosi all'improvviso.
Illuminò con la torcia l'oscurità, lentamente, trattenendo il respiro, quasi con paura di quello che avrebbe potuto scoprire. Vuoto. Lo squittio di un topo, una forma indistinta che scorreva nell'oscurità.
- Andiamo via di qui! Ritorniamo domani, con la luce sarà più semplice - tentò di proporre Rea, ma gli altri due continuarono ad avanzare cauti.
- Stai guardando dalla parte sbagliata - una voce imperiosa, lontana si fece strada nel buio sino alle loro orecchie.
- Chi ha parlato? - esclamò Marzio girandosi di scatto, Sidjia lo seguì con la torcia, senza perdere tuttavia quella calma distaccata che sempre la caratterizzava nell'azione.
- Chi stavate cercando? - riprese la voce.
- Galaxia - sussurrò Rea in un sussurro - Galaxia - ripeté Sidjia a voce più alta.
- Vedo che avete fatto bene i conti - rispose la voce con una risatina sarcastica, per certi versi...stanca, Rea non potè impedirsi di sentirla.
- Mostrati - la esortò Marzio impaziente.
- Illuminami - Sidjia diresse il fascio della torcia nell'oscurità, in prossimità delle scale e finalmente Galaxia fu visibile.
Uno sguardo sprezzante abitava il suo sguardo, la luce dell'antico comando non era andata perduta, ma sembrava un ospite indesiderata in quel viso emaciato, segnato dalla fatica. La fronte segnata da piccoli solchi e gli occhi cerchiati dalla stanchezza di sonni difficili.
- Siamo qui per avere risposte - esordì Rea, dal momento che la figura d'innanzi a loro non accennava a lasciare udire la sua voce oltre.
- Risposte - scandì Galaxia - Risposte - ripetè di nuovo, come parlando a se stessa - Sono le risposte che cercate? Siete venuti nel posto sbagliato - rivelò socchiudendo gli occhi, quasi che il peso di tutti quegli anni di conquiste stesse improvvisamente gravando sulle sue palpebre - Se siete venuti a cercare risposte, questo non è il luogo -
- E dove dovremmo andare? - domandò Marzio con decisione.
- Fareste meglio a guardarvi le spalle - ribattè incurante Galaxia, i suoi interlocutori per un riflesso incondizionato si voltarono, ma solo l'oscurità accolse i loro sguardi interrogativi.
- Incominciamo da qualcosa che puoi spiegarci: perché sei tornata? Il ponte e… - iniziò Sidjia.
- Non perché, ma per volontà di chi? - la interruppe Galaxia. Sidjia gettò uno sguardo dubbioso ai suoi compagni prima di riprendere a parlare:- Che intendi? -
Un sorriso di scherno animò per pochi secondi il volto della loro acerrima nemica - Le spalle - sussurrò, ora i suoi erano completamente chiusi e sembrava cercare in un remoto passato.
- Basta con questi giochetti che intendi dire? - urlò Rea, quasi scagliandosi contro di lei.
- Rea - le sussurrò Marzio, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla.
- Caos - quell'unica parola rimase sospesa nell'aria per qualche secondo prima che i presenti ne prendessero piena consapevolezza.
- Il Caos ti dà, il caos riprende - seguitò Galaxia, come trasognata - riprende e premia qualcun altro… - aggiunse con insospettabile amarezza.
- Venus - si sorprese a esclamare Rea, toccandosi poi le labbra come per assicurarsi di essere stata effettivamente lei a pronunciare quelle parole. Sidjia era sul punto di ribattere, quando Galaxia parve tornare per un momento alla realtà - Brava Mars! Vedo che sei una ragazza perspicace - sussurrò con una lieve risata.
- Non è possibile - disse Sidjia tra sé - Non è possibile - ripeté poi ad alta voce - Sta mentendo! -
- Non sai quanto piacere trarrei dalla menzogna, Pluto - ribatté Galaxia, prendendo a ondeggiare, nuovamente con aria distante e trasognata.
- No, non è vero, non posso crederlo! - l'usuale calma della guardiana della porta del tempo, ora incrinata, sempre più, da una supplica disperata, uno sprazzo di fragilità che non era solito trapelare, nemmeno nelle sfide più ardue.
Il pensiero di Sidjia viaggiò rapidamente verso casa, come affacciato a un'invisibile finestra, spiò la quotidiana monotonia della sua vita fino a quel momento, una coperta abbandonata sul divano, i piatti ancora nel lavabo e Ottavia. Di certo a quell'ora aveva finito di studiare e si stava rilassando, leggeva qualche libro probabilmente, era una ragazza così intelligente.
Sfiorò con la mente i tratti dolci, ancora da bambina, di quella che per lei era quasi una figlia. Uno dei pochi affetti che era riuscita a concedersi nella sua lunga e tumultuosa vita.
Priva del peso che le gravava l'anima, la sua fantasia si spostò alle compagne che aveva perso. Avevano condiviso tanto e troppo poco. Sidjia ancora avvertiva quella lama che era affondata nella loro amicizia, dopo l'ultimo combattimento, proprio come Galaxia… Non aveva mai dubitato, ma perché non renderla partecipe dei loro piani? Perché escludere lei e Ottavia…
A fronteggiare insieme gli incerti della sorte erano state sempre e solo loro, nel legame di Heles e Milena non c'era spazio per altri.
Marzio, che era rimasto, per tutto quel tempo assorto nell'ombra, finalmente parlò, la sua una voce distante, quasi di un altro mondo - Uranus e Neptune, loro lo sapevano, non è vero? - l'apparente tranquillità dell'uomo era più agghiacciante di qualsiasi manifestazione di paura. Era la lucida realizzazione del loro errore, la presa di coscienza definitiva della verità.
Sidjia assentì con un cenno della testa, nemmeno una sillaba aveva piu' l'ardore di lasciare quelle labbra tremanti.
Rea, si scoperse a piangere, lacrime solitarie sul morbido profilo delle sue guance, poi singhiozzi, sempre più forti, sempre più reali. Se per gli altri era avvenuta la perdita di una compagna, lei aveva lasciato un'amica. Mille sofferenze aveva affrontato, ma sempre con la certezza che l'intreccio di esperienze e sentimenti che le univa sarebbe rimasto intatto e ora, nemmeno l'incertezza aveva concesso un'altra possibilità a Venus.
- Cosa possiamo fare? - provò a domandare, spezzando la frase per i fremiti del petto.
- Il Caos impara, se l'ultima volta non è stato semplice, ora è presso che impossibile - ghignò Galaxia, senza alcuna gioia - Nemmeno una difesa è rimasta all'umanità della vostra amica. L'unico modo di salvarla, è distruggerla -
- Allora, la distruggeremo - quelle ultime parole tagliarono l'aria come una lama affilata.
Pensare che era stata la pacatezza atona della reincarnazione di Endimion a pronunciarle…
 
Mondo parallelo
8:30 a.m
Le voce di David Bowie si propagava tenue dalla vecchia radiosveglia sul comodino, a cantare le note del cambiamento. Lentamente Heles ne prese coscienza, come riemergendo dall'acqua dopo una lunga apnea.
Ricordi sfocati della sera precedente, la cena, la lite… Milena.
- Milena - chiamò immediatamente, socchiudendo gli occhi ai raggi del sole che penetravano dalla finestra - Milena - ripeté ancora, ricordandosi il personaggio di un vecchio film anni 60 americano. L'aveva visto qualche settimana fa, c'erano Sidjia e Milena, ma al momento non le sovveniva il titolo alla mente. D'un tratto però la questione perse d'importanza, dove si trovava?
- Credevo avessimo risolto ieri sera, Heles - pronunciò una voce conosciuta. La figura di Seya apparve, come materializzatasi all'improvviso nel riquadro della porta. A velare il corpo snello del famoso cantante, vi era solo un asciugamano che copriva solo il bacino. Heles lo fissò piu' sorpresa che altro.
- Tutto bene? - domandò lui, avvicinandosi e posandole un lieve bacio sulla guancia.
Heles, impietrita, gettò uno sguardo confuso a Seya, cercando di afferrare imbarazzata un lembo del pigiama, per ancorarsi a qualcosa. Non ci fu tempo né per l'ira, né per l'imbarazzo e con, enorme disappunto dell'eroina d'Urano, non c'era stato nemmeno per il pigiama.
Le note di "Changes" sembrarono distinguersi piu' chiaramente nell'aria impalpabile del mattino.
- Venere in visone - balbettò Heles, non sapendo che altro dire. Era il titolo del film.

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