Requiem

di Grotesque
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Introduction ***
Capitolo 3: *** Carrillon ***
Capitolo 4: *** Arthur ***
Capitolo 5: *** Silence ***
Capitolo 6: *** Pendulum ***
Capitolo 7: *** Toghether ***
Capitolo 8: *** II Arc ~ Sculptura ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


La macchina si muoveva con difficoltà nel fango del sentiero. 

Aveva appena piovuto e l'aria era impregnata dall'odore di terra bagnata, così rilassante, eppure così triste e malinconico
per un bambino delle terre assolate spagnole trasferitosi in un posto dal cielo perennemente plumbeo come l'Inghilterra.
Antonio era ansioso di vedere la nuova casa, si immaginava un'abitazione dagli ambienti vasti e ariosi, piena di vetrate per
far entrare il sole -come se ce ne fosse.

A quell'epoca era piccolo, aveva più o meno cinque o sei anni, non ricordava bene.
Ricordava solo che i genitori erano davvero contenti e che dicevano che la casa era stupenda, immensa, e che avrebbe potuto invitare tutti gli amici che voleva.
Ma Antonio si sarebbe immaginato tutto, tranne quello che effettivamente vide.
La macchina arrivò finalmente nella zona di fronte alla casa.
Non appena sua padre frenò, Antonio scese dall'auto correndo.

E la vide.

Di fronte a sè si innalzava un'immensa abitazione, dalle fattezze antiche e il tetto spiovente.
Delle grandi finestre si aprivano sulla facciata sia al primo che al secondo piano, e ce n'era una più piccola che si apriva
probabilmente dal solaio, l'unica con le tende tirate.
Antonio, piccolo com'era, nonostante la casa fosse stupenda, ebbe brividi per tutto il corpo e strinse forte il peluche che aveva
fra le braccia, un coniglietto.
I suoi genitori lo accompagnarono dentro e gli fecero vedere i due piani della casa.
Entrarono, e subito si notò che la casa era antica, antichissima. I mobili si sfoggiavano in un elegante stile barocco.
Ad accoglierli all'entrata c'erano una cassettiera e un bellissimo specchio, pieno di adorni.
Continuarono visitando il salotto, munito di un tavolino ed un elegantissimo divano, la sala da pranzo, la cucina, le stanze ed i due bagni.

Era tutto bellissimo, ma in un certo senso, malinconico. 

La sua camera era vuota, al momento si presentavano un letto e uno scrittoio.

Aveva un'aspetto....triste.

Usciti dalla stanza la madre prese parola:
"Ora però mamma e papà hanno da fare." 
Era una donna slanciata e abbronzata, dai capelli scuri e gli occhi castani. 
Il padre, un uomo piuttosto robusto, con le spalle larghe e con gli occhi chiari, annuì.
Antonio si rammendò che però una stanza della casa era rimasta inesplorata.
 
Il solaio.
 
Antonio, stringendo il suo amatissimo peluche, si disse che non era nulla e che, un vero uomo come lui -aveva sei anni, o no?- poteva benissimo visitare il solaio senza bisogno della compagnia dei genitori.
Dal corridoio del secondo piano partivano delle scale schricchiolanti, che Antonio percorse. In cima c'era una porta di legno scuro e liscio, che il bambino ammirò per un momento.
 
                                       Poi, decise di entrare.
 
 
                                                                                                                                                                                                                    Angolino dell'autrice♪    
                                                                                 
                                                                                                                                                       Ecco la mia introduzione nel fandom di Hetalia! *eccitata*
Allura...spero che il primo capitolo possa ispirare un po' di curiosità **
Difatti ho la brutta abitudine di non finire le mie long, ma giuro che mi impegnerò per finire questa a cui mi sono
particolarmente affezzionata ù.ù
Per adesso metto un bel raiting giallino, perchè diciamo che potrebbe spaventare i deboli di cuore(o almeno dovrebbe)
Beh, non saprei che altro dire...recensite? xD
Passo e chiudo!


-Grot

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Capitolo 2
*** Introduction ***


Il solaio era molto polveroso, ma ad Antonio piaceva; la luce fioca provenente dal nuvoloso esterno metteva in risalto la polvere dispersa nell'aria, che ondeggiava, quasi come se ogni granello cercasse di distinguersi dagli altri in un lunga danza raffinata. Il piccolo, dopo aver riso sinceramente ,per l'infantile divertimento di guardarli, si guardò intorno.
Che cosa poteva esserci di tanto spaventoso in un semplice solaio?
C'erano delle casse  sovrapposte l'una all'altra e ammucchiate in un modo talmente disordinato da offendere
persino lo sguardo e il naso -chissà quanta muffa c'era fra l'una e l'altra!- dell'innoncente fanciullo.
La stanza aveva una sola fonte di luce: la finestrella affacciata sul cortile.
Ma, ora che ci faceva caso: le tende qualche ora prima non erano chiuse?
Ora la stanza era illuminata, sebbene dal sole offuscato dalle nuvole, in modo abbastanza chiaro.
Le tende erano tirate.

Chi era stato?
                                                                               ***
 
Le tende ondeggiavano con eleganza, mosse dal vento, sotto un cielo plumbeo che prometteva pioggia.
E, mentre questa sequenza di movimenti sempre nuovi avveniva, qualcosa di molto brutto accadeva oltre le finestre aperte: iniziava un altra giornata di lezioni. L'anno scolastico era iniziato da poco, accogliendo i lamenti disperati degli studenti e la cattiva stagione, trascinando con sè i ricordi delle avventure estive.
Due occhi smeraldini osservavano annoiati le chiome multicolori degli alberi e le foglie volteggiare tranquille nell'aria, che ogni tanto facevano degli strattoni causati dall'aria tempestosa. La professoressa di aritmetica entrò nella classe, e la lezione iniziò, con una malinconica e debole reazione da parte degli studenti, ancora intontiti dai sogni della notte.
Durante la ricreazione ,Antonio, un ragazzo slanciato, dalla carnagione olivastra, capelli scuri, e, soprattutto, con due inaspettati e meravigliosi occhi verdi e vivaci, guardavo sconsolato fuori dalla finestra.

-Qual'è il problema?- chiese una voce virile e suadente alle sue spalle.
Il ragazzo per poco non moriva dalla sorpresa.
-Francis!- esclamò lui girandosi.
-Ti ho detto centinaia di volte di non apparirmi alle spalle!- continuò, con una finta irritazione, mettendo un muso altrettanto recitato. Ma, dopo un attimo tutti e due risero per la messa in scena -penosa daltronde- del moro.
-Beh, che ti prende?- chiese nuovamente l'amico biondo e alto.
-Ecco...ti ricordi quando ti ho parlato della mia esperienza in solaio?-
-Oui.-fece lui, con un convincente accento francese.

Di fatto le sue origini erano a Nice, sulle braccia del Mediterraneo. Ma, come diceva lui, "i suoi genitori avevano fatto l'orribile scelta di trasferirsi nel più sperduto posto del pianeta, in culo al mondo!"
Per essere precisi si trovavano in un villaggio anonimo in Cornovaglia, dove abitavano sì e no 3.000 abitanti scarsi che si conoscevano tutti fra di loro. Infatti Antonio, Francis e Romano erano amici di vecchia data, tutti e tre trasferitosi nella piovosa Inghilterra in tenera età, che si erano compresi fra di loro e avevano stretto un saldo legame di amicizia.
Difatti nessuno aveva intenzione di trasferirsi in quel lugubre posto; abitavano tutti e tre in amati paesi Mediterranei, quali la Spagna, la Francia e l'Italia.
Perchè trasferirsi in un luogo simile?

-...Pare che io debba tornarci.- continuò il ragazzo, tragico.
-Ma se l'ultima volta che ci sei andato avevi sei anni!- rispose Francis, ghignando per schernire il suo amico.

Alla conversazione si aggiunse l'italico, che, con la sua statura media e la chioma di capelli castani, apparì all'improvviso, stupendo leggermente i due conversanti.

-Dove?- s'intromise.
-In quello schifoso solaio muffoso, Romano!- fece il biondo, continuando a sorridere in modo superiore.
-Ah...-fece Romano, addentando un pomodoro. -Qual'è il problema?-
-Non ricordi Romano?- ribatté Antonio, con aria drammatica.
-Ma se neanche tu te lo ricordi!- Disse Francis.

Era successo, quando Antonio si era appena trasferito, che entrasse dal solo nel solaio 
-tralaltro solo una volta in vita sua e circa undici anni prima- e che, dopo uno attacco di paura di cui non ricordava la causa, fosse corso terrorizzato di sotto, piangendo e urlando.

-Perchè devi tornarci?- chiese Romano, ignorando la discussione.
-I miei genitori vogliono che dia un ordinata, per vedere cosa buttare e cosa no.- sospirò lui.
Romano sembrò illuminarsi d'improvviso, spaventando i due compagni che sapevano che, se Romano aveva un idea, non era certamente buona.
-Potremmo farci un rifugio dove guardare le partite e giocare all'Xbox senza che le nostre madri o qualsiasi altro tipo di ragazza ci rompa troppo!- annunciò.
Francis ci rimase quasi fulminato: era raro che si trovasse d'accordo con Romano!
-E' un ottima idea!- annuì Francis.
-M-ma......-fece Antonio.
-Hai diciasette anni!- sbottò Francis. -Non avrai mica paura di un solaio!-

Antonio deglutì con fatica e abbassò la testa sospirando. Non ricordarsi cosa fosse era la cosa che più lo
spaventava, lo terrorizzava. Non conoscere la cosa che ti infonde timore e un un influenza tale da non entrare
in una soffitta per più di undici anni, era piuttosto angosciante. Ma doveva raccogliere tutto il suo coraggio! 
Per i suoi amici!

                         
              In fondo, cosa ci poteva essere di così spaventoso? Ero solo un solaio,no?

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Capitolo 3
*** Carrillon ***


La ventosa giornata di scuola era volta al termine fra gli incoraggiamenti di Romano e Francis, che volevano assolutamente un rifugio a prova di mamma.
E Antonio non poteva certo deluderli per una semplice ed infantile paura. 
 
Non sarebbe mica spuntato fuori un mostro da un armadio!
 
Un timido sole, ancora parzialmente coperto dalle nubi prepotenti, si stava facendo largo riscaldando
le persone con i suoi raggi luminosi. 
Passo dopo passo, Antonio riuscì ad arrivare al secondo piano, abbandonando il pesante fardello
-anche denominato "zaino"- di fronte ad corridoio che non percorreva da tanto, troppo tempo.
Ma il corridoio era lo stesso di sempre, con le sue assi scricchiolanti che lo accoglievano con sonori rumori ad ogni passo lui si apprestasse a fare. 
Aveva paura, aveva paura di camminare, di continuare, di salire quegli antichi gradini, e, soprattutto aveva paura di aprire quella porta. La porta d'ebano. Dal fondo del corridoio non era perfettamente visibile, ma i suoi lineamenti legnosi e oscuri si distinguevano anche da quella distanza. 
La casa era vuota, i suoi genitori durante la settimana lavoravano fino all'ora di cena o anche oltre.
E questo lo riempiva di un rinnovato timore.
Una paura ancora innocente, ma pronta a crescere in ogni istante, a trasformarsi in un timore più radicato, ad ogni minimo segnale di pericolo.
 
                                                                                ***

L'infante si avvicinò la finestra e sfiorò le tende, con un espressione interrogativa.
Forse era meglio uscire di lì....
Un sospetto, insidioso, fastidioso, si infiltrò fra i pensieri del fanciullo.
Sicuramente le tende non si erano aperte da sole -anche un bambino di sei anni lo capiva; che ci fosse....
                                              
                                                            qualcuno nella soffitta?
 
Antonio si girò frettolosamente verso la porta d'ebano. Era chiusa.
Il bambino stringette a sè l'amato peluche che, roseo, era pronto a dare il suo supporto morale in ogni momento.
Antonio, come uomo di casa quale sarebbe diventato, decise di farsi coraggio, e continuare l'esplorazione.
Se qualcuno lo voleva lì e lo sfidava, lui non poteva rifiutare. Si girò verso gli scatoloni, per verificare cosa ci fosse al loro interno. Uno era leggermente aperto. Si avvicinò e vide....una scatolina?
No. Quando l'aprì, una dolce melodia risuonò nella stanza, dolce e malinconica. 
                                                       

                                                                                    Ma....
                                                                   
                                                                                      ***

Antonio raggiunse la porta e, quando posò la mano sulla maniglia, ebbe un brivido.
I ricordi lo tormentavano. 
No, era inesatto dire che i ricordi lo tormentavano; più che altro era la parte mancante a tormentarlo.
Come una storia dell'orrore senza finale, che lascia che la tua inquietata immaginazione vaghi fra i meandri dei tuoi peggiori sospetti, le tue inconfessabili paure.
Cosa era successo dopo?
Il diciassettenne deglutì.
E, infine, aprì la porta.
L'ambiente era polveroso. Difatti la polvere in sospensione, in controluce -il sole aveva ormai dilaniato le nuvole- veniva esaltata e ogni granello sembrava una ballerina altezzosa, dai movimenti aggraziati. Ma perchè aveva scelto proprio quel giorno per entrare in soffitta? Possibile che anche il tempo volesse terrorizzarlo?

Infatti si erano ricreate le stesse condizioni di quel giorno.

Quel giorno di undici anni prima.

Il ragazzo si guardò intorno, spaventato.
Tutto era tranquillo.
Ma, non appena mosse un passo, una sinfonia si innalzò intorno a lui;
una sinfonia inquietante creata dai lamenti della casa. 
Dopo alcuni incerti passi, Antonio iniziò a muoversi con più sicurezza, finchè non la notò. 
Notò una cassa semiaperta, che lasciava intravedere una scatoletta rossa, dalle bordature dorate, anch'essa in stile barocco, esattamente come il resto dei mobili e dei soprammobili che la casa aveva conservato nel corso degli anni
-o dei secoli?-.
Il ragazzo si avvicinò, e lo sfiorò, timoroso.
Notando che il fatto non procurava conseguenze, lo aprì.
Una ballerina dai capelli neri e fluenti si muoveva in trottole di fronte a lui, nei suoi aggraziati e ripetitivi passi, accompagnata da una dolce melodia. 
                                                       

                                                                                    Ma...

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Capitolo 4
*** Arthur ***


Ogni nota si accavallava all'altra in una perfetta e ripetuta armonia, mentre la ballerina, ripetitiva,
ritornava sempre sui suoi passi, riuscendo però a catturare l'attenzione del giovane, che la seguiva,
incuriosito e affascinato, con lo sguardo.

La musica risuonava in tutta la stanza, lievemente tremante, probabilmente per via dell'età del carillon;
doveva essere di proprietà di uno dei passati proprietari. In effetti tutti quegli scatoloni non appartenevano nè a lui,
nè ai suoi genitori...Di chi erano?

Mentre continuava ad interroggarsi e non allontanava lo sguardo dall'immutabile danza, sentì qualcosa.

Ma lui non si era mosso...

Non un passo, il pavimento avrebbe scricchiolato.

Non una voce, era un suono troppo lieve.

Un alito. Aveva sentito il fiato di qualcuno.

No...Forse era solo la sua immaginazione!

Lo doveva essere!

Ma un respiro, non il suo respiro irregolare,
ma uno tranquillo e profondo, gli fece finalmente capire di non essere solo.
Posò lo sguardo a terra e si voltò lentamente dietro di sè, verso la finestra, e lì per lì,
rimase lievemente accecato dalla luce del sole, avendo osservato la ballerina in ombra forse per troppo tempo.

E, dopo essersi ripreso strofinandosi nervosamente gli occhi, oltre la polvere in sospensione,
eterna abitante della soffitta, vide un ombra.

Una sagoma, degli occhi che lo osservavano, dall'altezza di uno scatolone.
Qualcuno che lui non aveva sentito entrare e che probabilmente, sicuramente, non conosceva,
sedeva ora di fronte a lui, con uno sguardo serio, a tratti severo.

Non potè trattenere lo sgomento.
Ed urlò, fin quando la ragione gli impose di smetterla.

Con debolezza una voce fievole ma rimproverosa  si sovrappose al meccanismo con debolezza .

-Non è...- Era roca, come se il propetario non parlasse con nessuno da tempo.

Fece una pausa come per riprendersi.
-Non è educato frugare fra le cose degli altri. Soprattutto se si è ospiti.- fece infine, con una voce più decisa.
Antonio si stroppicciò con insistenza gli occhi, sperando che la paura lo stesse facendo allucinare;
ma ora che lo sconosciuto aveva aperto bocca e i suoi lineamenti si facevano più distinti, c'era ben poco da credere.
Sicuramente lui non era un allucinazione.
La pelle chiara, illuminava il suo volto serio e distinto che era circondato da una cornice dorata: una zazzera di capelli biondi e spettinati. Ciò non si accordava molto con le sopracciglia folte e scure, ma due specchi smeraldini accompagnavano il tutto, armonizzandolo.
L'individuo lo squadrava, con un espressione annoiata -O malinconica?
Antonio non coglieva la differenza.

                                                        
                                           -Il mio nome è Arthur. E tu non sei quello che è venuto qui  
                                                                                   poco tempo fa?-

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Capitolo 5
*** Silence ***


Antonio guardò l'uomo sconcertato, mentre l'individuo stava tranquillamente seduto su uno
degli scatoloni polverosi del solaio, davanti alla finestra, di spalle.

La figura in penombra, manteneva i suoi occhi brillanti e smeraldini fissi su quelli così simili del ragazzo,
che non riusciva a sbloccarsi, a muovere alcun muscolo, a parlare o semplicemente a riflettere.

Riusciva solo a continuare a guardare l'uomo misterioso di fronte a lui, che stava ora iniziando a corrugare le sopracciglia, probabilmente innervosito dall'assenza di risposta alla sua domanda.

Il ragazzo decise di mobilitarsi, fornendo una risposta allo sconosciuto.
-Emh...io sono Antonio, ma credo che tu mi stia confondendo con qualcun'altro...l'ultima volta che sono venuto qua avevo sei anni...più o meno. Piuttosto che ci fai tu nella mia soffitta? E' violazione di domicilio...-
cerco di assumere un aria più minacciosa -Potrei denunciarti!-
Il bizzarro personaggio non sembrò intimidito, anzi.
La sua fronte si corrugò nuovamente, e il suo sguardo diventò più severo.
-Oltra a frugare fra le cose di altri ti diverti ad annunciare tue cose che non lo sono?-
La voce era ancora piuttosto roca, e questi tossì, schiarendosi la voce.
Tornò tranquillo e ricominciò a parlare:
-Beh...anche se sono passati undici anni non sei cambiato molto...vero?-
Prese un oggetto da uno scatolone, che Antonio non riusciva bene a distinguere,
ma cercò di osservarlo meglio.
E capì.
Quello era...
 
Un coniglietto di pezza rosa.
 
                                                                                     ***
Antonio iniziò a correre, correre piangendo, in modo disperato.
Non voleva guardare indietro, voleva soltanto trovare la mamma e il papà.
Ma qualcosa di orribile accadde...
Lui cadde a terra. Il suo bellissimo coniglietto di pezza rosa cadde, e Antoniò si fermò per raccoglierlo,
ma quando si girò per prenderlo, vide l'ombra. L'oscurità che divorava la stanza, diventando più grande,
nutrita dalla paura e dalla sua fantasia. E, ora che l'aveva vista, non importava più. Il suo coniglietto si sarebbe sacrificato. L'infante ricominciò a correre, sempre più veloce e finalmente, coi suoi passi corti da bambino, raggiunse la porta d'ebano, grande e pesante, e iniziò a cercare di aprirla.
Con un po' di sforzo l'aprì senza problemi. 

Ma prima non era chiusa?

Non si fermò a chiederselo e corse giù dalle scale schricchiolanti, e, correndo, sordo alle grida della casa per colpa della paura, raggiunse la madre ed il padre e li abbracciò, li strinse piangendo. Non sarebbe più tornato nella soffitta senza loro.
                                                                                ***
A quel punto Antonio pensò che tutto ciò, tutta questa storia, fosse solo un incubo.
Che probabilmente quando era piccolo aveva solo immaginato di vedere qualcosa.
Si torturava mentalmente di non ricordarselo e si rimproverava per la sua suggestività che era la causa di quel sogno. Ma, quando guardò nuovamente gli occhi di Arthur, tutto tornò reale e concreto.
Perchè quegli occhi, tristi e severi, malinconici ma duri, non potevano essere frutto della sua immaginazione.
Erano lì, davanti a lui, che lo scrutavano.

E, a quel punto, Antoniò scappò.

Impaurito, intimorito, corse via, attraversando la siffitta, attraversando l'eterna danza, e aprendo la porta di legno nero.
Iniziò a scendere le scale che lo portavano al corridoio, ma qualcosa lo bloccò.

Sentì le grida della casa.
No, non solo gli scricchiolii che lo avevano tormentato i suoi primi anni di permanenza lì, ma delle vere e proprie grida. Urla di una voce femminile e disperata.
Urla agghiaccianti.
Corse nella sua stanza.
E le grida cessarono.
Ma, subito dopo che la calma era tornata a regnare della casa, si udì qualcosa in corridoio.
Antonio, che si era messo dentro alle sue amate coperte, sentì dei passi felpati che si avvicinavano alla sua porta...
che si spalancò violentemente.
Antonio urlò di nuovo, con tutta la voce che aveva.
I passi contunuavano.
Poi il rumore di una lama urtata.

                                                                                         E poi il silenzio.

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Capitolo 6
*** Pendulum ***


 
 
L'oscurità divorava la stanza, risucchiandola nel vortice di paura di Antonio;
tutto sembrava soprannaturale, lontano ed impalpabile, tranne le coperte, morbide, calde. 

L'unica protezione dai timori irrazionali ed inspiegabili che invadevano il suo cuore assieme ad
un'onda incontrollabile di pensieri.

Pensieri confusi, che cercavano di spiegarsi cosa fosse successo quel pomeriggio, che ora sembrava così distante.

Chi era... Arthur?

Come faceva ad avere il pupazzo?

Come faceva a conoscerlo?

No...
Doveva tranquillizarsi.

Ma prima che potesse veramente farlo, vide delle ombre proiettarsi sulle pareti, giocare, muoversi;
non erano apparse all'improvviso, ma la loro comparsa, graduale -o forse erano lì da tempo?
Da quando si era fatto buio?- era egualmente spettrale all'entrata scenica di un fanstasma,
che scivola lentamente sul palco.
Allo stesso modo, come il fantasma dell'opera, le ombre erano silenziosamente apparse lì, di fronte a lui.
Spettrali, silenziose; ma sempre lì, pronte a ghermirti in silenzio, prima che tu te ne renda conto.

Un brivido gli percorse la schiena.

Figure inquiete si muovevano sulla parete, si scontravano, si univano.

Un rumore stridente iniziò ad invadergli le orecchie, e poi dei colpi, regolari, come passi, qualcuno che si avvicinava...
Si mise le mani fra le ciocche castane, che si riversavano sul volto dall'espressione terrorizzata del ragazzo, che scuoteva ostinatamente la testa, parlando a sè stesso.
Dicendosi che tutto quello non poteva star succedendo, e che era stupido pensare che succedesse veramente.

Ma continuava a sentire i misteriosi rumori e a vedere le ombre che si avvicinavano, cercavano di raggiungerlo. Figure instabili che si dipingevano sui suoi piedi, danzavano, danzavano come la ballerina del carrillon.

La ballerina? Perchè ci aveva pensato?

Poi finalmente capì.

La paranoia che consuma, la paranoia che ti uccide lentamente da dentro.
La paranoia che convince che nell'oscurità della notte e nelle ombre del giorno si nasconda
qualcosa di sempre pronto a ghermirti.

I suoni non erano altro che dei rami che, insistentemente, durante quella notte tempestosa, battevano contro la finestra; questa probabilmente era anche stata rigata. Ecco spiegati i rumori! E quelle, quelle erano solo ombre. La sua fantasia le aveva ingigantite, le aveva idealizzate come il suo peggior incubo. Tirò un sospiro, rannicchiato in mezzo alle coperte rosse, madide del suo sudore. Erano solo state delle sensazioni provocate da quello che gli era succeddo quel pomeriggio.
 

Ora, solo il rumore del pendolo, che accompagnava ritmico il suo respiro affannoso. 

Tic tac

Tic tac

Tic tac

E prima che se ne rendesse conto, era già mezzanotte.

Il silenzio regnava, quando Antonio era in procinto di chiudere gli occhi.
Ma, dei rumori lo interruppero nuovamente.

E stavolta, era impossibile che fossero frutto della sua immaginazione -a meno che non fosse impazzito, certo-.
Dei sussurri, un vociferare pettegolo, si sentiva fuori dalla sua porta.
Molte persone sembravano riunite davanti alla porta di legno, avvinte da chissà quale discussione che portava scandalo.
Ma qualcosa non andava in quelle voci. Più che dei sussurri, si trasformarono lentamente in dei sospiri spettrali, che sembravano disperdersi nell'aria.
Antonio cominciò a tremare, realizzando che ,quella notte, non avrebbe dormito.
E di nuovo, il battito del suo cuore e il suo respiro irregolare furono scanditi dal pendolo, ritmicamente.


Tic tac

Tic tac

Tic tac
 



Notina dell'autrice!
Cari lettori, in primis, scusate per il vergognoso ritardo nell'aggiornamento, causato da gravi
problemi familiari, blocco dello scrittore e impegni di una studentessa sommati fra loro.
Spero sarete in grado di perdonarmi!
Questo è stato un capitolo di transizione, ma era assolutamente necessario!
Dal prossimo, la storia entrerà nel vivo!
(Gli aggiornamenti saranno nuovamente frequenti d'ora in poi)
Allora, siccome è la prima nota che scrivo, iniziamo coi ringraziamenti!
In primis, ringrazio Wine, mio amico che ha subito deciso di seguire la fic quando gliene ho 
parlato e che si è impegnato a recensirla in ogni capitolo. Grazie del supporto!
Poi ringrazio Index, seia, veda94, Wrong, Yuki_978, _G_J_ di seguire la fic.
Infine, Agasshi, Purple Deep, che, anche se non seguono la storia,
hanno perso tempo e parole nel recensire il mio primo capitolo.
Grazie a tutti e alla prossima!

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Capitolo 7
*** Toghether ***


Le palpebre tendevano fastidiosamente a chiudersi, oscurandogli la vista;
diventavano ogni attimo più pesanti e la testa pian piano era sempre più vuota e confusa. 

I pensieri turbinavano velocemente, si confondevano fra loro.

Tanto che, di tutto ciò che stava pensando, non capiva nulla.
Voleva solo dormire, cosa che gli era stata impedita durante tutta la notte.

Il suono della campanella che segnava la ricreazione lo fece però riavvicinare alla realtà,
fino ad un attimo prima tanto lontana quanto muta e impalpabile.
Sbadigliò, per poi alzarsi e adagiarsi con la schiena contro un muro.
Le iridi smeraldine erano rivolte ai vetri che separavano gli alunni da una vigorosa tempesta
-cosa a cui ormai era abituato. Stupida isola piovosa! 

Ma la sua mente era altrove;
i suoi pensieri vagavano in un antro buio, vagavano nell'oscurità dove lui aveva incontrato il terrore. 

Quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla sussultò, e si girò di scatto, trovandosi di fronte
i suoi due amici, incuriositi dal suo comportamento schivo, che di certo non gli apparteneva.
-Stai bene, mon chèr?- gli chiese il biondo per primo, inclinando appena la testa, con il suo solito sorriso malizioso. 
-Se fai così ci fai preoccupare!-
Per la prima volta nella giornata sorrise, in modo provato.
-No, no, va tutto bene! Non vi dovete preoccupare per me, sono solo un po' stanco.- 
Sbadigliò rumorosamente, coprendosi distrattamente la bocca.
Ma Romano, intervenì, con uno sguardo sospettoso.
-Non è ce c'entra qualcosa la soffitta?-
L'iberico si bloccò qualche istante, con uno sguardo avvilito.
Françis si sorprese piacevolmente della perspicacia dell'amico che,
a quanto pare, era più furbo di quanto non sembrasse.
Antonio rise nervosamente. 
-Emh...Ecco...Ho visto qualcosa. 
No...diciamo qualcuno.-
Gli altri due si guardarono, per poi accompagnarsi in una fragorosa risata. Sicuramente l'altro vaneggiava,
oppure cercava di giustificarsi l'essere fuggito in lacrime dalla soffita o qualcosa del genere.
-Certo, certo, mon chèr. Dì un po', com'era questo fantasma?-
Chiese il biondo, con una voce ironica. Romano non riusciva ancora a frenare la risata,
anche se ora era più contenuta.
Dal canto suo, l'iberico cercò di far capire agli amici che non mentiva -e no, non aveva alcuna allucinazione
dovuta alla presunta assunzione di misteriose sostanze.

-Ma ragazzi! Dico la verità! Lui...era vero, proprio davanti a me! E poi il peluche! E, e...-
fu interrotto dal francese che gli posò un indice sulle labbra, frenando il discorso frenetico e delirante dell'amico.
-Se anche ci fosse stato, non credi che sarebbe potuto essere un'ospite indesiderato?
Avresti dovuto chiamare la polizia, non credi?- disse  sorridendo.
-Ma...aveva lo stesso peluche che ho perso quando sono andato lì l'ultima volta! Davvero!- rispose,
gesticolando, esasperato dal fatto di non essere creduto.
Stavolta fu però Romano a smentirlo:- E se l'avesse trovato lì?-
L'iberico si ritrovò senza argomentazioni; effettivamente un peluche non era una prova sufficiente.
E tutto il resto potrebbe essere stata solo la sua immaginazione.
Certo però, se tutto il resto era causato dalla sua sola immaginazione, allora avrebbe senza dubbio dovuto
frequentare uno psicologo da quel momento in poi; era un po' troppo suggestionabile.
Sospirò pesantemente.
-Senti.- ricominciò il castano. -Non voglio rinunciare al mio rifugio anti madre e anti donna.
Perciò, se il tuo culo spagnolo a paura di andare lì per conto suo, vorrà dire che ci andremo tutti insieme,
e ti dimostreremo che sono solo cazzate.-
L'iberico lo guardò sbattendo gli occhi.
-Ma certo! Mi sembra una buona idea, mon amì.-
continuò l'altro; nonostante la rude volgarità con cui si era espresso, Romano aveva ragione.
                                                                 
                                                                                    -Ci andremo tutti insieme.-
 
Notine dell'autrice
Cari lettori, grazie per aver sopportato anche questo capitolo!
Allora, con questo capitolo si chiude il primo arco della storia.
Nonostante in origine ci dovessero essere due archi+uno finale più corto, sto valutando di dividerla in tre archi narrativi.
Comunque la divisione in archi non influenzerà la frequenza di pubblicazione, ma i capitoli si differenzieranno per i titoli.
Dal prossimo capitolo capirete cosa intendo dire!
Alla prossima!
|Grot|

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Capitolo 8
*** II Arc ~ Sculptura ***


II Arc ~ Sculptura
 
Arrivarono a piedi di fronte alla casa di Antonio. Normalmente, quando si incontravano o uscivano insieme, non andavano a casa sua dato che non ci fosse molto da fare se non chiedersi a cosa servisse una stanza o l'altra. In sostanza, era un posto abbastanza noioso, anche perchè, con tutto il fango che si veniva a formare nel cortile, era anche impossibile giocare a calcio. Dunque in realtà, era la prima volta che i due amici la vedevano dal vivo invece che dalle descrizioni di Antonio -che per lo più si lamentava per il malfunzionamento delle vecchie tubature o dei rumori fastidiosissimi della casa.

Come al solito, anche quel giorno il tempo era deludentemente nuvoloso ma, stranamente,
accennava ad un qualche miglioramento. Chissà, magari...

-Beh, entriamo oppure rimaniamo a fissarla?- chiese, in tono di scherno, Romano.
-Quanto siamo impazienti, eh, mon chèr?- ridacchiò invece il biondo.
-Guardate che siamo soli. I miei sono ancora a lavoro.- affermò, serio, Antonio.
Sebbene gli altri due fossero tranquilli, lui era ancora sinceramente terrorizzato dalla prospettiva dell'avvenimento di un qualche cosa di sinistro.
Certo, i compagni lo avevano tranquillizzato, ma ora che doveva rimettere piede nella soffitta,
non lo era per niente.
Alla fine entrarono.

Françis dal canto suo non riusciva a distogliere lo sguardo dal mobilio raffinato e antico, soprattutto da uno specchio posto al di sopra di una toletta subito dopo l'entrata. Le mani dell'artigiano lo avevano forgiato con estrema cura, era evidente, tanto era delicato ed elegante. Posava lo sguardo su ogni oggetto come fosse un tesoro. Invece Romano, comprensibilmente, era molto più concentrato a borbottare su quanto la vecchia televisione che stava trasportando -per iniziare la costruzione del loro covo prettamente maschile- fosse pesante e scomoda da trasportare.

-Cazzo, la prossima volta se ne occupa qualcun'altro, razza di bastardi!- sentenziò, per poi ricominciare a sbottare e borbottare imprecazioni.

Antonio invece non riusciva a distogliere il pensiero da cosa li aspettasse in soffitta; la sua mente creava immagini che mai avrebbe voluto vedere, le sue orecchie udivano voci che mai avrebbe voluto sentire. E soprattutto, non riusciva a non pensare a quell'uomo e ai suoi occhi, quei due profondi pozzi verdi e cristallini, che sembravano splendere persino all'ombra. Durante le ore in cui avrebbe dovuto studiare -ma che lui spesso dedicava ad altre attività ben più interessanti- ci aveva pensato spesso, senza riuscire a tirare conclusioni. Quegli occhi erano enigmatici, in un qualche modo misteriosi. Non capiva perchè gli causassero questi sentimenti ma, per quanto lui preferisse non incontrarli, dentro di sè sentiva anche il desiderio di scoprire il mistero celato dietro ad essi, a quello sguardo intriso di emozioni indecifrabili.

Si trovarono davanti alle scale che portavano alla porta dietro la quale gli incubi di Antonio si cristallizzavano e materializzavano. I passi del ragazzo si fecero più lenti ed incerti, e le sue orecchie mute alle imprecazioni di Romano che gli intimava di accellerare, data l'impazienza di appoggiare quella 'fottuta televisione'-a parole sue.

Davanti alla porta d'ebano il biondo, notata l'ansia dell'amico, lo rassicurò con una pacca sulla spalla e delle parole, sicuramente dolci, che arrivavano ovattate e distanti allo spagnolo. E poi l'aprì.

-Ah! Il tempo sta migliorando. Chi l'avrebbe detto che in questo schifosissimo posto qualche volta c'è il sole.- osservò Romano, appoggiando la fantomatica televisione su uno scatolone vicino alla finestra, aprendo le tende.

-Non è poi tanto male.- Osservò Françis, guardandosi intorno. L'ambiente era, in qualche modo, magico. La polvere sospesa danzava davanti ai loro occhi, in modo dolce e aggrazziato. Accarezzò uno scatolone con le dita, ritrovandosi ad aggrottare la fronte subito dopo.

-Tranne che per le condizioni igieniche, ovviamente. Puah. Dovremmo dare una pulita!-
-...A partire dallo smontare questi scatoloni.- disse Romano, sbriciando dentro uno di essi. 
-Già, sono molto ingombranti. E poi chissà cosa c'è dentro!- rispose impaziente il biondo. -Intrigante!-
Antonio, che si era limitato a guardarsi intorno in religioso silenzio fino a quel momento, parlò per la prima volta.
-N-no, lasciamo stare gli scatoloni.-
-Mh? Perchè?- chiese di rimando l'amico.
-A... a lui non piace che vi si guardi dentro.- rispose tremante.

Romano intanto cercava una presa per attaccare la Tv, ignorando il discorso degli altri due, se non per una risatina, dovuta all'affermazione di Antonio.

-Aaaah, il fantomatico intruso?- disse Françis. -Non mi pare di averlo incontrato.-
-Beh, anche l'ultima volta è spuntato fuori dal nulla. Davvero!- si lamentò convinto Antonio.
-Mh...- fece Françis, guardandosi intorno. Ma, dopo aver osservato un poco la stanza, scorse il soggetto che Antonio avrebbe potuto scambiare per il misterioso individuo, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi di scherno.

-Non è che per caso hai scambiato quella graziosa signorina per un brutto ceffo venuto qua a spaventarti?- ghignò.
-Eh?- chiese perplesso l'altro di rimando.

Françis si mosse fra gli scatoloni, accopagnando Antonio di fronte ad un misterioso oggetto. Un manichino spoglio si presentò agli occhi di Antonio. Era stranamente accurato. Infatti questo aveva anche braccia e gambe, con tanto di dettagli quali le unghie. Il materiale era liscio e brillante, e anche i seni erano realizzati nel dettaglio.

Solo un qualcosa mancava.

Nonostante fosse perfetto in ogni suo particolare, al manichino mancava la testa.

E non era di certo questo ciò di più strano in quella situazione.

La cosa più strana e innaturale risiedeva in un semplice e concreto fatto.

Nonostante Antonio avesse visitato la soffitta ben due volte, e in ogni occasione, soprattutto la più recente, l'avesse scrutata da capo a fondo...

-Hey, Françis...-

...lui...

-Oui?-

...non aveva mai visto quel manichino.

-Veramente io questo non l'avevo mai visto.- disse, spallidendo.

Si chiusero in pochi attimi di silenzio.




Finalmente si è aperto il secondo arco della storia!
Vi ringrazio per aver aspettato pazientemente che io scrivessi questo nuovo capitolo, ma non temete!
Per il prossimo manca poco, e stavolta sul serio, dato che l'ho già scritto e salvato nel mio computer.
Infatti in realtà questo capitolo doveva essere molto più lungo, ma, proprio per questo, mi sono ritrovata a doverlo dividere in due per dare più suspance e per darvi il tempo di assimilare e mettere insieme alcuni elementi per farvi capire che pieghe prenderà la storia.
Avete domande? Non avete capito qualcosa? Avete delle ipotesi? Fatemelo sapere! \(>w<)/
In ogni caso ringrazio tutti coloro che seguono la storia; non pensavo che avrebbe avuto questa fama! *commossa*
E vi assicuro che, ora che è Estate, avrò più rispetto verso di voi che volete sapere come continua!
A presto, Grot

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