Trés bien ensemble

di Grotesque
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap I ***
Capitolo 2: *** Cap II ~ La Fin ***



Capitolo 1
*** Cap I ***


Trés bien ensemble

Camminava con lo sguardo fisso sul marciapiede, tormentandosi le mani, fose anche un po' rosso in volto.
Era una bella giornata, segno di una Primavera ormai alle porte; era anche vero che ogni tanto quel sole così splendente si era nascosto sotto delle nuvole che avevano regalato una dolce pioggia al suolo parigino.
Che nostalgia di casa! E ora anche i suoi capelli brillavano, baciati dal sole. Mannò, che sciochezza!
Probabilmente non c'era alcuna differenza fra quelle meravigliose e morbide ciocche dorate e i raggi di sole; quei riflessi caldi e luminosi erano solo l'effetto di una magica ricongiunzione, che la faceva risplendere in tutta la sua bellezza. Aveva intanto iniziato a trafficare con il cellurare, tirandosi elegantemente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e ridendo lievemente leggendo qualcosa, un messaggio. Com'era dolce quel suono mellifluo all'orecchio del ragazzo, che aveva giusto un po' alzato lo sguardo dal marciapiede, per cercare timidamente -dopo aver rivolto un fuggente sguardo al volto dell'angelo- di intuire le forme sotto un maglioncino azzurro, aderente al punto giusto.
Ma non appena la sua immaginazione viaggiò un poco, diventò paonazzo e ricominciò a fissare le mattonelle grigie del marciapiede, andando a sbattere contro qualche persona ogni tanto, senza neanche farci caso.

Era da mesi che la scena si ripeteva, ogni sera, quando lei usciva dalla pasticcieria; lui la vedeva e, goffamente, iniziava a seguire i suoi passi, solo per osservarla un po'. Era bellissima, stupenda. Era aggraziata, elegante, femminile. La sua presenza era inconsapevolmente un balsamo al cuore del giovane inglese, che, dopo una dura giornata, provava felicità anche solo nell'osservare la dolce creatura. Ma lei, ovviamente, non l'aveva mai notato.
Non che lui lo volesse! Se lei l'avesse notato, l'avrebbe subito evitato. Uno scorbutico inglese dai capelli perennemente spettinati e dalle incolte e folte sopracciglia non aveva molte possibilità di essere il suo tipo.
Sicuramente c'erano uomini più belli di lui a farle la corte. Senza alcun dubbio.
Perciò lui si limitava a scrutarla, protetto dalla sua anonimità, e a sognare come sarebbe stato parlarle.
Anche questo era un punto fondamentale; nonostante fosse a Parigi da non poco tempo -da circa 4 mesi- non sapeva ancora dire quasi nulla in francese; e, con quel poco che sapeva, di certo non avrebbe mai potuto fare colpo.
Se si fosse avvicinato e le avesse detto qualcosa come Je t'ème -era così? Ah, impossibile ricordarselo, stupida lingua neolatina!- sicuramente lei lo avrebbe preso a schiaffi. Oppure, nel più brutto e sfortunato dei casi, lo avrebbe semplicemente evitato anche solo vedendolo. Precisamente, Arthur, non aveva mai avuto successo con le donne; che fosse stato il suo aspetto, la natura seria, il suo essere scorbutico e ben più diligente allo studio che al corteggiamento, era un mistero. Ma probabilmente, questo insieme, creava un individuo che non doveva sembrare molto interessante
agli occhi femminili.

In più non sapeva ancora come si chiamava quella meravigliosa ragazza.

Michelle? 

Era l'unico nome francese che conosceva.

La sua bella Michelle.
 
Mentre pensava intensamente a lei, non si rese conto del fatto che un lampione era pericolosamente vicino al suo volto, e, con passo spedito, ci andò a finire contro. Si sentirono delle risatine sul marciapiede, e qualcuno che faceva domande piene di accenti e r moscie -insomma, francesi- che lui non capiva. Si limitò a massaggiarsi la fronte, borbottando imprecazioni in inglese. Spaziava tra l'insultare il lampione, chiunque lo avesse costruito lì, e tutti i membri femminili della famiglia di suddetto povero operaio innocente.

Una particolare risata attirò però la sua attenzione; quel suono dolce che spesso gli riempiva le orecchie e gli faceva palpitare il cuore. Arrossì violentemente. Non gli importava se stesse ridendo di lui, era solo felice e imbarazzato nell'averla così vicina, con la sua risata cristallina. Quando sentì una mano sulla spalla e si girò, trattenette a stento un sussulto nel vederla, mentre pronunciava delle tenere parole, porgendogli un fazzoletto per tamponare una piccola fuoriuscita di sangue,

<<Monsieur, comment ça va? Va tout bien?(1)>>

Tenere parole, che lui non comprendeva.

<T-thank you.>>

Si limitò a rispondere lui, azzardando un sorriso impacciato e posando delicatamente
il fazzoletto sul nascente bernoccolo. Lei inclinò la testa, d'apprima con un'espressione confusa.
Poi sorrise.

Arthur avvampò di nuovo vedendo il suo volto illuminarsi con un raggiante sorriso.
Che regalo le aveva fatto con quel semplice gesto!
Lei lo prese per la mano, e iniziò a portarlo con sè; gesto quanto avventato che inaspettato,
che colse di sorpresa il povero inglese. Era decisamente a rischio di avere un attacco cardiaco.

La sua bella Michelle, lo stava portando da qualche parte.
E, anche se la destinazione era ignota, nient'altro importava.






Notine dell'autrice
Questa fic senza alcuna pretesa avrà due capitoli; insomma, il prossimo è l'ultimo.
So che scarseggia di originalità, ma perdonatemi questa pecca.
Mi è stata ispirata, credo sia ovvio, dalla celeberrima Michelle dei Beatles.
Datemi un vostro parere! ;3
1=<>

Al prossimo capitolo!

|Grot|

P.s.: Iggy si sbaglia sotto volontà dell'autrice quando dice 'Je t'ème' invece di 'Je t'aime'.
         E che volete, povero, non ne sa nulla di francofono(?)!

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Capitolo 2
*** Cap II ~ La Fin ***


La sua meravigliosa ninfa l'aveva portato in un'appartamento negli Champs-Elisées, un luogo che lui conosceva fin troppo bene. Troppe volte infatti l'aveva seguita fino a casa sua, cercando di essere discreto e di non disgustarsi del suo stesso comportamento, mentre la osservava camminare con grazia e qualche volta chiaccherare con un qualche condominiale. Non importava cosa stesse facendo, era sempre stupenda.
Anche se lui si chiedeva, con il lavoro che lei faceva, come facesse a permettersi un appartamente nel
viale più largo e maestoso di Parigi.
Sinceramente, in quel momento era l'ultima cosa che gli potesse importare; la sua dea l'aveva portato a casa sua, e ora gli porgeva del ghiaccio, probabilmente per la botta, che effettivamente era stata abbastanza violenta e dolorosa. Qualche dubbio serpreggiava però nella sua mente. Perchè aveva fatto entrare come se niente fosse uno sconosciuto in casa sua? Forse perchè si sentiva al sicuro, protetta dal fatto di abitare in un edificio con diversi appartamenti, quasi tutti abitati.

-Est-ce mieux?-

Le sue labbra si schiusero nuovamente per pronunciare parole alle sue orecchie incomprensibili. Arthur si limitò a scuotere la testa confuso. Non avrebbe mai capito il francese. Mai. Difatti studiava in un università che offriva speciali corsi in inglese per i ricercatori e gli studenti stranieri. Forse era proprio per quello -e per il fatto che Parigi è una città estremamente turistica- che lui non aveva mai sentito la necessità di imparare quella lingua, che gli suonava dolce solo nella bocca della sua amata. Quando la sentiva da chiunque altro, gli appariva solo come un goffo insieme di suoni detti in modo molto effemminato -e non ci dimentichiamo delle 'r' moscie!
La fata, d'altro canto, si limitò a ridacchiare alla sua reazione, facendolo imbarazzare tremendamente di non riuscere a comprendere una solo parola di ciò che stava dicendo. Quindi questa si diresse verso la cucina, per prendere due tazze di tè, offrendone una all'inglese, che accettò con garbo, facendo un segno di assenso con la testa. Si rese conto che non c'era modo in cui loro potessero comunicare, nessun rapporto nessun contatto. Ma non per questo lui non le avrebbe detto niente; aveva intenzione di confessarsi, anche se la donna che amava non avrebbe capito nulla.

-...Sai...sei stupenda. E io, credo di amarti.-

Abbassò lo sguardo, imbarazzato.

-La tua voce è così dolce, e i tuoi occhi così...profondi. S-so che non ci conosciamo...ma sei la donna più bella che io abbia mai visto, perfetta. E sembri anche tenera, aggrazziata. Anche se non ci siamo mai parlati, mi sento come se ti conoscessi da sempre.-
 
Era completamente avvampato, mentre si dichiarava fissando la superifcie del tè ai frutti di bosco che teneva fra le mani.
La donna, dal canto suo, si era limitata a guardarlo, col suo dolce sorriso sul volto.

-Il fatto che tu non conosca il francese, non esclude che io conosca l'inglese-

Poche parole, dette con un tono malizioso; bastarono a far alzare improvvisamente Arthur, con il volto completamente arrossato
-più o meno a livelli che superano quelli del figlio illegittimo di un anguria e un peperone.
Non sapeva se sentirsi umiliato, imbarazzato, o arrabbiato perchè la donna davanti a lui gli aveva sempre
e solo rivolto domande in francese, senza dimostrare di poter parlare altre lingue.

-P-perchè non me lo hai detto prima?!- chiese contrariato.
Lei rise nuovamente in quel suo modo delicato e mellifluo, accavallando le gambe.

-Beh, ero curiosa di sapere cosa avesse da dirmi l'uomo che mi segue tutti i giorni quando torno a casa.-
 
L'inglese era disorientato, confuso, ed umiliato. Lei si era resa conto del suo inqiuietante seguirla, ogni giorno? E per quanto tempo lei non aveva detto niente ed era stata in silenzio? Da quanto sapeva? Rimase a guardarla, basito, senza parole. Lei si avvicinò, alzandosi e piegandosi su di lui, dandogli un bacio sul naso.

-Sei carino.-

Non sapendo se essere al settimo cielo, o infuriarsi, l'inglese decise per una via di mezzo. Si alzò di scatto, andandosene dall'appartamento, sbattendo la porta e borbottando imprecazioni del tutto poco educate in inglese contro...contro tutto.
Non sapeva con chi essere arrabbiato; la ragazza dei suoi sogni lo aveva ingannato e preso in giro, ed era completamente diversa da come se la era immaginata -sotto certi aspetti. Ma la donna, si affacciò dalla finestra.

-A domani, allora!-

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