Amici mai

di RoSyBlAcK
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: 0.01 NON E' VERO ***
Capitolo 2: *** Prologo: 0.02 E' VERO ***
Capitolo 3: *** 1.01 Tu, sempre tu. ***
Capitolo 4: *** 1.02 Dimenticarti. ***
Capitolo 5: *** 2.01 Conti in sospeso ***
Capitolo 6: *** 2.02 Amare una Granger ***
Capitolo 7: *** 3.01 Odiarti ***
Capitolo 8: *** 3.02 Senza più te. ***
Capitolo 9: *** 4.01 Non è una fuga ***
Capitolo 10: *** 4.02 Come non avrei mai pensato ***
Capitolo 11: *** Capitolo 5.01 Sui miei passi. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 5.02 Echi di un antico terrore. ***
Capitolo 13: *** 6.01 Perdere me. ***
Capitolo 14: *** 6.02 I soliti errori. ***
Capitolo 15: *** 7.01 Sapore di te. ***
Capitolo 16: *** 7.02 Impossibile cambiare. ***
Capitolo 17: *** 8.01 Respirare. ***
Capitolo 18: *** 8.02 Sulle nostre gambe. ***
Capitolo 19: *** 9.01 Ricordare noi. ***
Capitolo 20: *** 9.02 Schegge di te. ***
Capitolo 21: *** 10.01 Sussurri e grida. ***
Capitolo 22: *** 10.02 Urla e qualcosa di più. ***
Capitolo 23: *** Epilogo. Felici e contenti (almeno per un po') ***



Capitolo 1
*** Prologo: 0.01 NON E' VERO ***


Aggiungo queste poche righe ora, anche se ho già pubblicato, ora che ho più tempo e calma per scrivere.

Spero vivamente che i “miei” Harry, Ron, Hermione e Ginny siano anche solo lontanamente simili a quelli della Rowling, di non aver ecceduto in romanticismo *me odia quando esagera* e soprattutto di non aver scritto parti troppo tristi, penso che ce ne sia solo qualcuna *spera*. Come già sapete la vicenda- Voldemort non è come quella della Rowling per il semplice motivo che la fiction è stata scritta da me medesima prima di leggere DH =P Non ha una grande rilevanza, quindi non penso che la cambierò, alla fine *sfaticata*.

Vorrei ringraziare con tutto il cuore la Marty, che mi ha incoraggiata ad andare avanti, a pubblicare, ha letto pazientemente i capitoli in fase di produzione e mi ha aiutata a farmi arrivare le idee quando scarseggiavano. Mia mamma, che inconsapevolmente e non, mi ha passato alcune delle canzoni che aprono i capitoli. E Jo, senza la quale non sarei qui a farvi leggere i miei scempi XD.

Questa Fiction è per quelle poche ma splendide persone che mi rimangono sempre vicine, le mie uniche costanti e certezze anche nei costanti e certi cambiamenti che ogni giorno avvengono nella mia vita. Per voi =)

.MA AMICI MAI.

Questa sera non chiamarmi

no stasera devo uscire con lui

lo sai non e' possibile

io lo vorrei, ma poi mi viene voglia di piangere

Certi amori non finiscono

fanno dei giri immensi e poi ritornano

amori indivisibili, indissolubili, inseparabili

Ma amici mai

per chi si cerca come noi

non e' possibile

odiarsi mai per chi si ama come noi

basta sorridere

No no non piangere

ma come faccio io a non piangere

Tu per me sei sempre l'unica

straordinaria, normalissima

vicina e irraggiungibile, inafferrabile, incomprensibile

Ma amici mai

per chi si cerca come noi

non e' possibile

odiarsi mai per chi si ama come noi

sarebbe inutile

Mai mai il tempo passerà

Mai mai il tempo vincerà

Il nostro non conoscersi

per poi riprendersi

e' una tortura da vivere

ma stasera non lasciarmi

no stasera non uscire con lui

il nostro amore e' unico, insuperabile, indivisibile

ma amici mai.

{amici mai- A. Venditti}

Prologo: 0.01

NON E’ VERO

Se è vero o no

tu che ne sai

quando lo fai

se è vero non ci pensi mai!

Se è vero o no

tu crederai

e ammazzerai

ma se è vero non lo saprai mai!

Se è vero o no

se è tutto qui

e se è vero che tra noi

è stato bello anche così.

Se è vero o no

non lo saprai

se è vero non t'accorgi neanche d'esser morto...

e lo vedrai.

Se è vero o no!

E' vero o no

tu morirai

quando ne hai

è vero o no che non lo sai!

E' vero o no

lo scoprirai

e quanti guai

vale la pena dillo, dài.

E' vero o no

che sei così

che non pensi agli altri e poi

che te ne freghi

tutto qui!

E' vero o no

Che novità

vale la pena farlo se sei sicuro

che nessuno lo saprà!

E' vero o no...

{Se è vero o no- Vasco Rossi.}

Hermione.

Ho passato la mia vita a ripetermi che non era vero. Tutto quello che andava male, tutto quello che non mi piaceva. Non è vero che è suonata la sveglia. non è vero che stai andando a lezione. Non è vero che a colazione devi mangiare ancora porrige. Non è vero che hai un compito in classe. Non è vero che Harry e Ron sono ancora in ritardo. Non è vero che state chiacchierando e che ora siete in punizione. Non è vero che vi state intrufolando in una botola protetta da un cane a tre teste. Non è vero che sei stata pietrificata. Non è vero che stai facendo due chiacchiere con il ricercato Sirius Black. Non è vero che sei in vacanza in una casa che si chiama “la Tana”. Non è vero che tu e Ron state litigando ancora. Non è vero che Harry è il quarto campione del torneo. Non è vero che Victor Krum ti ha invitata ad un ballo. Non è vero che non l’abbia fatto Ron. Non è vero che Victor Krum ti sta baciando. Non è vero che non lo stia facendo Ron. Non è vero che stai pensando a Ron anche in questo momento. Non è vero che Cedric è morto. Non è vero che sei in vacanza in un’associazione di maghi segreta e probabilmente illegale. Non è vero che stai organizzando tu stessa un’associazione di maghi segreta e probabilmente illegale. Non è vero che siete voi tre contro tutti. Non è vero che Ron sta con Lavanda. No, non gli sto lanciando addosso uno stormo di canarini. Non è stato avvelenato. Non lo sto invitando alla festa di Lumacorno. Non è vero che mi piace come dice Ginny. Che ne sa Ginny? Non è vero niente. Non è vero che Silente è morto. Non è vero che Ron mi sta abbracciando, che Harry sta lasciando Ginny. Non è vero che sto dicendo che non tornerò più a scuola. Non è vero che stiamo scappando per il mondo magico cercando i frammenti dell’anima del più grande e crudele mago di tutti i tempi.

Non è vero.

Non è vero.

Non è vero.

Eppure ogni volta alla fine mi dovevo guardare nello specchio e dirmi che invece era esattamente così. Il mondo aveva ragione. Tutti avevano ragione, tranne quella stupida voce che mi supplicava di credere che quello che mi accadeva fosse irreale. Sarebbe stato tutto più semplice.

Ma per Hermione Granger le cose non sono mai state facili.

Nemmeno ora.

Sono immobile tra le coperte gelate. Ho paura di alzare le palpebre e sbirciare questo mondo, crudo e vero, io che mi sento dentro tutta lacerata e debole, vulnerabile. Eppure non mi sono mai sentita così forte.

Tento di fare mente locale delle ultime ore, ma la cognizione del tempo mi si è dilatata. Non posso dire se sia giorno oppure notte, se siano passate poche ore, giorni o mesi da quando il viso pallido e squamoso di Lord Voldemort ha ghignato a pochi passi dal mio, con quei grandi occhi rossi e quel sorriso privo di alcuna emozione. Mi sono chiesta perché un uomo simile, un uomo che di umano non ha nulla, fosse tanto attaccato alla vita. So che vi sembrerà un pensiero idiota, colmo di inutile retorica, quando si è ad un passo dalla morte. Ma io non mi ero mai trovata al suo cospetto.

Per anni avevo cercato di figurarmi quel volto.

Quello che aveva insieme distrutto e dato un senso alle nostre vite.

Tutto quello che avevo fatto, pensato, perso e ricevuto, era stato irrevocabilmente legato a quegli occhi rossi. E in quel momento, che io vivessi o morissi, ancora una volta, dipendeva da lui.

E così mi sono chiesta perché tutto questo doveva essere stato fatto per colpa di un uomo che non era più un uomo, di una vita che non era più una vita, di un cuore che non amava, occhi che non guardavano, un sorriso che non diceva niente.

Sì. Dipendeva da lui. Era tutto per lui.

Non so quanto tempo sia passato da quel dolore inumano che mi ha costretta a terra, con la roccia gelata che mi lacerava la pelle delle ginocchia, con il sangue e le lacrime e l’amaro in bocca. La pioggia. E neanche la forza di urlare.

Urla.

Non ne sono capace.

Questo pensavo: “Urla”. Ma non ci riuscivo.

Non si può urlare in certi momenti.

E poi dovevo ascoltare. Ascoltare. Ascoltare…

Harry? Ron?

Non ricordo cosa ne sia stato di loro.

Non ricordo nemmeno cosa ne sia stato di me.

Non so dove sono. Non c’è niente nella mia testa, solo una valle di latte, bianca e vellutata, in cui navigano placidamente ricordi che non hanno nulla a che fare gli uni con gli altri. O meglio, che un nesso ce l’hanno…

Ci siamo io e Ron che litighiamo dopo il ballo del Ceppo.

“…la prossima volta che c’è un ballo invitami prima che lo faccia qualcun altro, e non come ultima spiaggia!”

Ci siamo io e Ron che parliamo della festa di Lumacorno.

“volevo chiederti se ti andava di venire ma se la pensi così, allora…”

C’è quel minuscolo battito di ciglia, ancora offuscato da fiumi di lacrime, in cui avevo alzato gli occhi su di lui e avevo scoperto il suo sguardo azzurrino posato nel mio. Quel sorriso tranquillo, rassicurante, fragile.

“dovremmo trovare Harry. Parlare.”

C’è una spiaggia dorata allagata dalla luce accecante del tramonto. E noi tre seduti intorno ad un gelido fuoco che sembra consumare insieme a noi.

“sarà bello quando sarà tutto finito, non vi pare?”

In questo momento vorrei tornare indietro. Non mi sembra bella questa fine. Non mi sembra nemmeno una fine. Io mi sento esattamente come prima. Solo che le ginocchia mi bruciano. Mi brucia tutto, ora che ci penso.

Mi fa male ogni singolo angolo del mio corpo.

Devo aprire gli occhi.

Devo farlo.

Non voglio.

Non voglio scoprire se Harry ha battuto Voldemort.

Non voglio sapere se tutto questo dolore, tutto il sangue che ho perso, tutte le lacrime che ho versato, sono andati a finire in un oblio di cose che non sono servite.

Voglio… voglio correre sul loro letto, urlando felice ad una nuova vita che inizia, lontana da congetture, ansie, paure, mani strette convulsamente, contatti fisici cercati e mancati, baci persi, adolescenze rubate e serate passate su libri troppo grandi persino per essere tenuti in grembo.

Devo essere forte, oggi. Oggi, come in tutti i giorni passati. E poi forse sarò ancora in grado di piangere. Mi sarà ancora permesso avere paura.

Ma oggi no.

Oggi devo essere forte.

Apro gli occhi lentamente, sollevando le palpebre pesanti e livide. La luce è accecante, mi ferisce gli occhi. Sono in una stanza di ospedale. Le pareti dal colore tenue, le coperte morbide, l’aria tiepida che sa di medicina. Sono al San Mungo. Dopo tante visite ora sono io quella nel letto. Mi guardo le mani, sono così magre, così ossute. Le dita mi tremano appena. Ho tutte le unghie rotte, sporche. Ricordo perfettamente il dolore lancinante mentre si spezzavano sulla roccia. Ma non ricordo quando sia successo. Mi scosto dalle gambe il lenzuolo. Rabbrividisco appena. Non indosso una di quelle orribili e tristi camice da notte da ospedale. Deve essere stata Ginny a mettermi questa, azzurra e leggera. Appoggiata su una sedia c’è una vestaglia. Mi guardo le gambe, sono livide, graffiate. E’ orribile come tutto sto schifo mi abbia ridotta. Provo un grande odio verso gli uomini che ci hanno fatto questo. Penso che vorrei ucciderli ad uno ad uno, con queste mani magre e tremolanti. Ma so che è sbagliato. Che la vittoria sia nostra o loro, è finita.

Abbiamo giurato ad Harry che comunque sarebbe andata poi ci saremmo tirati indietro. Avremmo smesso con tutto questo. Basta combattere.

Mi chiedo quanto sia possibile.

Chissà se le gambe mi reggeranno. Mi sento tutti i capelli sporchi, la bocca ha sapore di chiuso, di respiro privato. Quanto tempo è che non parlo? I piedi rabbrividiscono a contatto con le piastrelle. Cerco delle ciabatte e me le infilo. Sto in piedi.

Traballo.

Mi fa male tutto.

Ma sto in piedi.

Lego i capelli in una coda spiccia e mi nascondo nella vestaglia. Inspiro il profumo che emana. Sa di Casa Weasley… è uno dei profumi più buoni del mondo. Il soffice del bucato, l’aroma pieno della cucina, il legno dei pavimenti e dei mobili, l’umido della casa di campagna…

Esco nel corridoio, la luce mielata della fine del pomeriggio allaga le piastrelle bianche, medici e infermiere si affaccendano trai lettini e le stanze.

-Signorina Granger! Ben svegliata!- Mi si avvicina un medico dall’aria buona, con un sorriso velato.

Tento di sorridergli.

Spero di esserci riuscita.

Sento che tutti i muscoli della mia faccia si sono immobilizzati.

-Come si sente?

Annuisco, ammutolita. Non so perché, ma tutta questa vita, tutto questo muoversi di braccia, di gambe, di parole, mi spiazza.

Cosa centro io con questo mondo? Cosa centro io con questo essere tutti vivi e forti, pieni di cose da fare, da dire, posti in cui andare?

-Forse dovrei visitarla per accertarmi che sia tutto a posto.

Mi sveglio, quasi improvvisamente.

Non ho tempo per essere visitata!

-No, non ora.

-Mi scusi?

-Prima, prima… io…- Oddio. Oddio. Quest’uomo dall’aria buona e dal sorriso velato potrebbe essere il portatore delle peggiori notizie della mia vita. Lui. Proprio lei, signore. Dottore. –Io…- Vorrei vedere i miei amici. E’ così duro dire queste parole? Ho il diritto di vederli! Sono le persone più importanti della mia vita. Sono la mia famiglia. Sono tutto quello che ho. Ho il diritto di sapere. Ho il diritto di vederli… –Io…

-Certo, forse prima desidera bere qualcosa.

Bere qualcosa? Bere qualcosa? Ma questo dove vive? Non legge i giornali? Non sa chi sono io? Cioè, non dico che sono famosa. Ma quando mi hanno portata qui… avranno pure detto chi sono, no? Sarò pur arrivata con qualcuno? Con Harry e Ron. Non posso che essere arrivata con loro! Devo essere arrivata con loro! A meno che… A meno che loro non fossero perfettamente sani… O non avessero bisogno di medici… perché…

almeno che fossero arrivato già morti.

Fisso questo uomo. Cerco di capire se in quei grossi occhi grigi c’è qualche risposta alle mie domande.

Non leggo gli occhi.

Non sono brava in queste cose.

-Certo.- Affermo.

Mi perdo ad arrancare nei corridoi pieni di persone, di vite che nascono, di vite che si spengono, di ultimi e primi giorni. Di ferite curabili, speranze date e perse. Non va bene così. Questo non è quello che si richiede ad una donna che ha affrontato quello che ho affrontato io.

E una voce nella mia mente supplica un superiore controllore del mondo, un Dio, un Buddha, un Allah… Lo supplica di non avermi privata di loro. So che è brutto, ma chiedo che se anche non abbiamo vinto, non importa. Almeno fammeli rivedere. Riabbracciare. Questa volta non li tratterò male. Questa volta non li sgriderò. Farò per loro i compiti.

Non ci sono più compiti da fare.

Non importa. Tutto. Qualunque cosa.

Troverò per loro la donna ideale…

Questo è facile.

Non importa.

Un lavoro. Troverò loro un lavoro.

Li guarirò se avranno bisogno di essere guariti.

Ma ti prego, fa che io non debba essere sola.

-Scusi, ha bisogno?- mi chiede un’infermiera dal viso sereno.

Annuisco. Alzo le spalle e la guardo dritta negli occhi.

Rimandare non ha senso.

-Sì, ho bisogno. Vorrei… Vorrei vedere due amici.

-Perfetto, come si chiamano?

-Sì.- Respira. -Sono Ron Weasley ed Harry Potter.

Me lo sogno o un brivido attraversa lo sguardo della donna?

O forse sono io a tremare?

La donna prende una cartella e vi guarda dentro qualcosa.

Non sai se sono vivi? Se sono morti? DOVE SONO? LI AVETE PERSI? LORO?

Loro che sono i miei eroi…?

La guardo. So che il mio sguardo è inquieto, frustrato, arrabbiato, deluso.

Pensavo mi avrebbe detto almeno “Ah”. Quanto tempo è passato? Siamo già in quell’oblio? Abbiamo perso? … Abbiamo vinto?

-Mi segua.

Dove stiamo andando?

Perché non sorridi?

Ti seguo.
Sorridi, ti prego. Sorridi!

Ma lei non sorride. Oh no! La gente è scorbutica, riservata, la gente fa schifo, me lo dimenticavo. Qualcuno mi aveva avvertito che negli ospedali sono tutti così. Chi è stato? Bhè, forse mia madre. Lei odia gli ospedali. Forse per questo. Ma che sto pensando! Sono un’idiota. Hanno fatto qualcosa al mio cervello, è chiaro.

Oddio.

Forse stai per rivederli.

O forse no.

Oddio.

Apre una porta. E’ una porta a vetri, come mille altre in questo ospedale.

Come tutte le altre. Bhè, non per me. Me lo sono sognata o quelle labbra hanno accennato un sorriso? Sì, era un sorriso. Piccolo, incerto. Un sorriso. Le faccio un cenno per ringraziarla. Le gambe non mi reggono. Non mi reggono.

Sii forte. Sii forte. Sii forte.

Poi ti sarà permesso piangere. Avere rimpianti e paure. Potrai sentirti un po’ vecchia e un po’ bambina.

Ma prima, ti prego, attraversa quella soglia.

Faccio un solo grande passo e guardo in direzione dei letti.

E mi manca il fiato.

Sdraiato sotto le lenzuola, un occhio nero, la pelle cerea, i capelli spettinati, due grandi occhi verdi sotto lenti traballanti, c’è Harry. E’ lì, è immobile. Sorride. I capelli spettinati, le mani che tengono un pezzo degli scacchi. Harry!

I miei occhi abbracciano prima lui e poi il ragazzo che gli sta seduto di fronte, i capelli rossi e arruffati, le spalle larghe, le lentiggini che gli ricoprono le guance un po’ scavate, le labbra che disegnano un ampio e glorioso sorriso su quel viso che lentamente arrossisce…

Ron!

Improvvisamente non c’è niente da dire.

Niente.

Grazie Dio. Grazie Buddha. Grazie Allah.

Mi avete ridato i miei eroi…

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Capitolo 2
*** Prologo: 0.02 E' VERO ***


Prologo: 0

*Inizio dell’angolo in cui la scrittrice vi rompe le palle scrivendo cose di cui non ve ne frega nulla*

Siete arrivati alla seconda parte del prologo ** che bravi =P (Non ci aspetta un premio a ogni traguardo? NdTutti. Nah =P NdMe)

La struttura della Fiction sarà tutta così… penso che quindi pubblicherò sempre lei- lui (ma come siete fortunatii)

So che l’impulso è di commentare sempre il secondo capitolo- seconda parte, ma se volete fare un atto di bontà nei confronti di questa scroccona (Lei! NdTutti) e lasciate anche solo un “letto” pure alla parte d’Hermione, la suddetta scroccona (Lei! NdTutti) vi amerà alla follia **

E già che ci siamo, penso che pubblicherò a distanza di 3-4 giorni e quando avrò ricevuto un numero di recensioni che non renda ridicola la pubblicazione. ^^

*Fine dell’angolo in cui la scrittrice vi rompe le palle scrivendo cose di cui non ve ne frega nulla*

Prologo: 0.02

E’ VERO

Nella casa la luce è ancora accesa

la mente che ogni giorno è schiacciata da qualcosa

dal riposo impolverata dalle proprie ansie

io fumo la mia vita aspirando lentamente.

porte e finestre sono chiuse

le comunicazioni con l’esterno son confuse son concluse.

la carica emotiva situata giù in profondità e ogni mio pensiero taglia l’aria.

{oh mio dio. oh my gosh. oh mio dio.}

questa è la mia storia e questo sono io.

durante la missione sulla terra

un attimo di pausa in un eterna guerra.

insomma sai sembra sarà così per sempre

insomma sai sembra che non ci siano nuove su quel fronte

un altro giorno e questo è quello che ti viene in contro.

ogni stop è solo un altro start.

la vita non si ferma TIC TAC…

ogni stop è solo un altro start.

la vita non si ferma THE FUTURE.

ogni stop è solo un altro start.

il tempo non si ferma TIC TAC…

piano, meglio andare piano.

il piano è stabilito e adesso cominciamo e poi ci diamo vita finché

non è finita, rinizia la salita, strisciando si risale una parete obliqua.

e quando arriva il top, arriva una altro stop ed immediatamente torno in stato di shock…

{Casino Royale, The Future.}

Certo che rendersi conto di come le cose vanno in fretta è davvero una cosa difficile. Ma quando ci sei riuscito tutto assume un tono strano, scarlatto quasi. Le strade, i profumi, le cose. Quando qualcosa di grande finisce in bene, ti senti come svuotato. Ti guardi intorno, tutta la gente che non sa non può sapere non saprà mai. E la cosa è quasi rassicurante.

Me ne stavo seduto sul mio letto, con la paura che gli altri non si fossero salvati e senza il coraggio di alzarmi ad andare a vedere. Mi faceva male tutto.

Avrei preferito aver dimenticato la Sua faccia.

Harry che lotta e io che non posso fare niente per lui.

E Hermione. Accucciata nel suo stesso sangue. A due passi da me.

Ma sapete quanto possono essere lunghi due passi?

Se sei stato immobilizzato, sono tantissimi.

E non solo da un incantesimo.

E non solo dall’orrore.

Avevo paura di sentire che in quel suo piccolo polso non batteva più alcun rapido, scorbutico, meraviglioso cuore.

Un nuovo tipo di paura che non avevo mai provato. E io di paure ne ho provate tante. Hermione si è sempre arrabbiata con il mio essere “così dannatamente fifone, Ronald!”.

Così, quando mi sono svegliato, il mio primo pensiero è stato questo.

Non sapevo quando ero svenuto.

Se era successo prima che Harry lanciasse l’ultimo attacco.

Se era successo dopo che Ginny mi aveva tolto l’incantesimo.

E non ricordavo esattamente se la nostra vittoria era avvenuta in un sogno o nella realtà. Sembrava comunque troppo lontana. Irraggiungibile.

Mi sentivo come un bruco uscito dal bozzolo. Ora ero una farfalla. E volevo volarmene via.

Ma c’era un piccolo particolare a distruggere il mio perfetto quadro.

Hermione e Harry.

La porta si era aperta, e ne era entrata Ginny. Per un secondo avevo studiato mia sorella in un completino jeans e maglietta molto da giovane donna e poco da ragazzina indifesa che io volevo ricordare. Mi aveva gettato le braccia al collo, fregandosene dei lividi, dei tagli, delle ferite. Come sempre. Ma quell’abbraccio era quello che volevo.

E mentre ancora mi stringeva avevo chiesto al suo orecchio: -E loro?

Lei mi aveva stretto in maniera impercettibilmente più forte.

-Non hanno ancora ripreso conoscenza. Ma stanno bene.

Quella notte, quando tutto il reparto era vuoto e dormiente, avevo corrotto un’infermiera di lasciarmi andare da Hermione. Mi sono seduto sul suo letto, le ho preso una mano gelata, magra, dalle unghie spezzate. Ho fissato il suo viso cereo, graffiato, i suoi capelli arruffati in una nuvola vaporosa che qualcuno doveva aver lavato per lei (probabilmente Ginny) e ho pensato che anche in quel momento era splendida.

Ho passato tutte le ultime notti così, reggendo quella piccola mano tremante, cercando di darle un po’ della mia forza.

Non pensate che io sia quel genere di uomo. Quello sdolcinato, romantico…

Ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di quel piccolo, fragile e potentissimo corpo riverso a terra, nel sangue che la sua pelle perdeva nello sfregare a terra.

Flash back di tutto quello che era successo baluginavano nella mia testa.

Tutti i momenti, gli istanti, in cui io l’ho amata in silenzio. Mi sono passati davanti agli occhi mentre la guardavo soffrire senza urlare. Soffriva, ma non emetteva un verso. Non un lamento, non un grugnito. E fintanto che ha potuto i suoi occhi sono rimasti fissi in quelli di Lucius Malfoy che la torturava. Perché? Perché Hermione Granger non cede mai. Non cede. E’ come una roccia. Non cede.

E adesso eccomi qua.

Sono l’uomo più felice della terra.

E’ in piedi, su quelle gambe piccole e livide, fragili e sottili.

Mi guarda, con quell’aria di critica e supplica.

Mi sorride, con quelle labbra gonfie e tenere che non ho mai assaggiato.

Mi alzo, la scacchiera si riversa a terra. Goffo, impacciato (dannatamente goffo e impacciato, in effetti) mi lancio verso di lei.

Ha le guance scavate, le labbra screpolate, ma i suoi occhi brillano.

Hermione. Hermione. Hermione.

-Ti sei svegliata, finalmente!

E anche se non voglio, non voglio, che il mio tono risulti canzonatorio, ironico, è proprio così che suona.

Come una presa per il culo delle tante.

Io avrei voluto che suonasse dolce. Tenero. Apprensivo.

E invece no. Suona come se volessi sfotterla.

Il suo viso assume quel cipiglio che io conosco tanto bene, quello scocciato.

-Ron…!- E poi ride, cede al sollievo di vederci vivi, sani, sorridenti.

Mi getta le braccia al collo e mi stringe con quelle braccia sottili e fragili.

Vi siete mai chiesti come faccia una donna a stringervi tanto forte?

Io sì.

Ma è una sensazione splendida.

-Oddio! Siete vivi! State bene! Oddio! Abbiamo vinto?

Si stacca, mi guarda negli occhi. Le sorrido. I nostri visi sono ad un palmo di mano. –Abbiamo vinto!- esulta. E quel piccolo corpo che pensavo non essere nemmeno in grado di camminare si mette a saltare, mi abbraccia di nuovo.

Si lancia su Harry, proprio come Ginny, fregandosene del dolore che quel gesto potrebbe provocare. Harry annega nella sua chioma crespa e vaporosa. Sembra anche lui rasserenato. La tensione che ha attanagliato i nostri stomaci negli ultimi giorni si sgonfia. Mi siedo sul letto con loro.

-Hermione! Stai bene….- sorride Harry. –Stai bene!

Lei sorride di rimando, quel sorriso dolce, materno, gentile.

-Sì, incredibilmente bene, adesso.- Gli accarezza le guance. –state bene! Siete Vivi! Abbiamo vinto!- Si accascia contro la sua spalla. Provo una dolorosa stretta allo stomaco.

Accasciati su di me.

Harry le accarezza la testa per un attimo, imbarazzato.

-è morto, vero?- Chiede lei. Per un secondo la voce le trema.

-Sì.- la rassicura Harry. –è morto.

Lei sorride. Un sorriso splendidamente felice.

-E Ginny come sta?- chiede, sempre piano. –Cosa… cosa è successo?

Non vorremmo dirlo. Non vorremmo rivivere tutto.

Ma dobbiamo.

E lo facciamo.

-Ginny sta bene.- La rassicuro subito. –è arrivata tardi, grazie al cielo, troppo per essere implicata nella battaglia. Mi ha liberato dall’incantesimo.

-Poi è venuta da me. Avevo appena battuto Voldemort.

-Così ci ha smaterializzati, ad uno ad uno qui.

Lei sospira. –è andato tutto bene. Non mi sembra possibile.

-Nemmeno a me.

-Ma è andata… adesso… adesso basta illegalità, basta mangiare solo minestre precotte scaldate su un falò… basta dolore fisico… basta stress. Possiamo essere un po’ normali… sposarci, lavorare, avere figli pidocchiosi a cui cambiare il pannolino. Possiamo concederci vacanze in cui il nostro massimo problema sarà che cosa mangiare per cena.- Sogna con un sorriso, scostandosi da Harry.

Il peso mi muore nello stomaco.

Ora va meglio.

-Sarà bello.- Faccio. –Adesso andrà tutto bene.

-Bisognerà solo trovare… la forza di ricominciare.- Sussurra Harry.

-Lo faremo insieme.- Dice lei, gli occhi ancora luccicanti.

-Ce la faremo?- Chiedo. Ho paura. Perché? Le cose sono in discesa.

Va tutto bene.

Lei mi tira una pacca sul braccio e dice: -Ehi, ti sembra una cosa così difficile? Dopo tutto quello che abbiamo già fatto?

Scuoto il capo, rapito.

Ecco quello che regala a me. Una pacca sulla spalla.

Ma è sempre meglio di niente, no? E poi quel suo sorriso continua ad essere lì, anche mentre si rivolge a me. Sembra un’adolescente emozionata, per una volta nelle nostre vite, e il suo sguardo sembra urlare “ce la faremo perché siamo una squadra!”. Annuisco, placidamente.

Va bene, Hermione Granger.

Facciamo anche questa. Facciamo le persone normali.

Ma solo perché lo vuoi tu…

è tutto vero! Vero!” Urla una potente voce nella mia testa.

La guardo e le rivolgo un piccolo ghigno.

Siamo sulla stessa barca, ancora una volta. Ma oggi si dirige verso acque tranquille.

*

Grazie di essere arrivati fin qui, spero non vi abbia fatto schifo! (Ma non sta mai zitta? NdTutti)

Si accettano critiche quanto applausi (anche se i secondi sono più apprezzati, eh? NdTutti) (Ma vaaa…! NdMe)

Alla prossima,indicativamente domenica 13-01 o lunedì 14-01…

Un abbraccio =)

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Capitolo 3
*** 1.01 Tu, sempre tu. ***


Capitolo 1

Buon giorno! Per augurarvi una buona settimana, ecco che come promesso pubblico i nuovi capitoli…

Ovviamente non pensiate che si entri subito nel vivo della storia, e qualche capitolo ora è mirato a creare un minimo di atmosfera e definire Harry, Ron, Hermione e Ginny nei panni di adulti. Spero di non deludere troppo la vostra fantasia =P

Grazie dei bei commenti agli altri capitoli… ^^

Capitolo 1.01

Tu, sempre tu.

Hermione

I cannot find a way to describe it

It's there inside; all I do is hide

I wish that it would just go away

What would you do, you do, if you knew

What would you do

All the pain I thought I knew

All my thoughts lead back to you

Back to what was never said

Back and forth inside my head

I can't handle this confusion

I'm unable; come and take me away

I feel like I am all alone

All by myself I need to get around it

My words are cold, I don't want them to hurt you

If I show you, I don't think you'd understand

Cause no one understands

{Take me away, Avril Lavigne.}

Okay. Sono in ritardo. Aspetta, ho dimenticato l’agenda. Non posso uscire senza l’agenda.

Non dovevo fare tardi con Ginny ieri sera.

Quella vodka è stata decisamente di troppo.

Ma non importa.

Infondo sono pur sempre una donna di 25 anni. Una bella donna di successo e di 25 anni. No?

Magari non proprio bella. Non proprio di successo.

Bhè però sono una donna e ho 25 anni. Il resto non è poi molto rilevante.

Comunque sia un lavoro al Ministero è un lavoro più che decoroso. Prendo parecchi soldi. E il ragazzo delle consegne fa sempre delle battutine poco eleganti ma pur sempre lusinghiere sul mio aspetto. Questo vuol dire che di solito non sono poi tanto male.

Bhè oggi sono orrenda.

Anzi, di più. Mi guardo di sfuggita nello specchio dell’ascensore e mi prende lo sconforto più totale. Quella vodka è stata decisamente di troppo. Ma ormai quel che è fatto è fatto. Non si può piangere sul latte versato.

Dovrei fare di questa teoria la mia nuova filosofia di vita.

Non piangere sul latte versato.

Suona bene. Hermione Granger, quella che non piange sul latte versato.

Stai delirando, Mione. Tutta colpa della vodka. Mai piangere sulla vodka versata… Deliri. Decisamente. Devi smettere di bere.

Mi sembra quasi di sentire la risata di Ron che mi sfotte perché ancora non reggo bene l’alcool. “una donna di 25 anni che non regge un bicchierino di più!”. Sì, esatto. Io non sono quel genere di venticinquenne. E allora?

Nelle lunghe notti passate insieme, stesi sotto le stelle, senza alcun riparo dal freddo se non uno scadente brandy comprato al supermercato, avrei voluto esserlo. Essere una di quelle donne forti, dure, che quando ti sorridono sai bene che non è un sorriso regalato. Quelle che buttano giù un bicchiere dietro l’altro senza scomporsi, che camminano con eleganza sui tacchi alti, ma è tutta un’eleganza di facciata: donne dure, donne forti, donne con una specie di spietatezza che non è malvagità, ma solo carattere. Donne che non hanno paura degli uomini, che prendono sempre l’iniziativa, che flirtano sfacciatamente. Donne che gli uomini amano. Piene di quegli interessi originali e che lasciano senza parole: cosa ti piace leggere? Io amo leggere scrittori russi. Che cinema ti piace? Io amo il cinema coreano. Tutte cose che suonano così esotiche, così piene di personalità. Le pareti della tua stanza sono di un rosso mattone che farebbe inorridire la mamma ma che gli uomini amano…

E invece no.

Affatto.

Io non sono così. Io non reggo l’alcool, io leggo di tutto, ma proprio di tutto, e vedo tutti i film che passano in tv, anche se non ne apprezzo nemmeno uno. Leggo i giornali, tre ogni mattina, per avere un’ampia gamma di opinioni. Le pareti della mia camera sono bianche. Bianche, esatto. Come tutte le pareti del mondo. E non ho nessuna passione originale.

In effetti non ho nessuna passione.

Oddio.

Sono una persona banale.

Ma infondo che importa? Io la mia dose di “diversità” l’ho avuta da ragazza. Ora quello che sogno, quello che desidero, è un po’ di sana normalità. Svegliarmi la mattina tra le braccia di un bell’uomo forte e divertente dai cappelli rossi, fare colazione con lui, ridere, fare insieme anche la doccia, litigare un po’ perché lui è in ritardo e mi ha promesso di portarmi in ufficio…

Sorrido distrattamente.

-Mione!

Mi volto, e per un attimo mi sento arrossire. E’ sempre così, quando faccio questo genere di pensieri ho paura che la gente possa leggermeli in faccia. Che idiota.

-Ciao Ron.- Faccio, sorridendo.

Eccolo, il mio “forte e divertente uomo dai capelli rossi”. Anche se non è tanto forte, raramente il suo umorismo mi fa ridere, i suoi capelli restano sempre rossi, no?

-Stai andando a lavoro?- mi chiede. Annuisco. Anche lui sta andando a lavoro. Peccato che il mondo sia così dannatamente stupido ed ingiusto. Io lavoro al Ministero e lui vende articoli di Difesa in uno stupido negozio. Vi sembra giusto che la vita porti la gente a fare lavori tanto assurdi solo per necessità? Io penso che persone come Ron non debbano stare tutto il giorno dietro un bancone a vendere cose inutili a gente inutile.

Ovviamente questo non posso dirglielo. Si monterebbe la testa. Penserebbe che io abbia una buona reputazione di lui, cosa che ovviamente è vera. Ma lui non deve saperlo.

-Hai tempo per un caffè?- gli chiedo, sempre distrattamente.

E così, eccomi davanti all’uomo che mi piace. Che mi piace da matti: ho sempre quest’aria distratta, quasi come se non mi importasse niente, come se tutto quello che ci diciamo fosse per me solo una gran perdita di tempo.

Ma lo giuro, non è così.

Una volta ogni cosa mi emozionava, mi emozionava immensamente, ogni singola, minuscola, dannatissima parola che ci dicevamo, provocava in me una specie di scarica elettrica. Erano splendidamente difficili quei tempi per i miei poveri nervi.

Un giorno, guardandolo, mi sono resa conto che magari anche io un po’ gli piacevo. Magari non con la stessa… forza, con cui lui piaceva a me. Ma mi bastava. Forse era per questo che litigavamo, ci punzecchiavamo, che tutto tra di noi sembrava sempre appeso ad un filo. Forse era quello il perché di tanta elettricità. Questo mi ha rilassata e ho iniziato ad apprezzare quello che diceva.

Ero stufa di litigare con lui, stufa delle urla, dei pianti isterici, stufa di odiarlo con la stessa insistenza con cui continuavo ad amarlo. E per risposta, nell’attesa che “qualcosa” cambiasse, sono cambiata io. Ho smesso di dimostrare quello che provavo. Ho fatto cadere un velo tra me e il mondo. Dentro posso stare malissimo, benissimo, essere felicissima, tristissima, delusa, frustrata, arrabbiata… ma non importa. Nessuno lo saprà mai.

Per questo che non ho mai pianto, che non mi sono mai disperata, nemmeno una volta da quando è tutto finito.

Come se nascondendo agli altri cosa provo lo potessi nascondere un po’ anche a me stessa.

-Certo che ho tempo!

E guardate com’è dolce, com’è felice, come mi sorride. Guardate quegli occhi azzurri, limpidi e puliti, che la vita di oggi non ha corrotto. Guardate come mi guarda, come se fossi ancora bella e coraggiosa come un tempo. Guardatelo!

Lui non è cambiato, non è cresciuto.

Sul viso di Ron Weasley i tempi di Voldemort danzano e si specchiano ancora, mentre io li ho chiusi in un cassetto nascosto per non doverli più affrontare.

E dicono che sono io, quella intelligente.

-Questo bar mi piace un sacco.- Affermo, cercando di sembrare anche io emozionata come lui. Non ci riesco. Sono davvero felice! Ma non sembra. Non sembra.

Ron si sporge verso la cameriera. –Due caffè lunghi, grazie.- E paga. Non voglio farlo pagare. Ma ho imparato che dire “pago io” è come accendere la miccia ad una grande e potentissima bomba. Così prendo solo il mio caffè e mi siedo accanto a lui.

-Allora, come stai?- Chiedo, sorridendo.

Lui annuisce. –Sto bene. Bene. Tu?

So che non sta davvero Bene. Ma Lui non è uno che si lamenta per un po’ di dolore arretrato. Non è uno per cui avere un lavoro inutile significa stare Male. Sapete, vorrei sapere cosa vuol dire “stare male” per Ron Weasley.

-Bene. Un po’ stanca.

-Sei uscita con Ginny ieri sera, eh?

Annuisco, sorridendo come una quindicenne. –Sì, abbiamo bevuto un po’.

-Quando imparerai a bere, Mione?- E ride, come se fossimo ancora ragazzi e lui mi stesse prendendo in giro per una banalità qualunque. E infatti è così.

-Mai temo. Tu hai visto Harry?

Annuisce. –Sì, ieri.

-Inviterà fuori Ginny prima che lo faccia qualcun altro… e lei accetti?

-Lo farà, lo farà. Sa che è la cosa giusta. Ha solo bisogno di tempo, e Ginny lo sa.

-Sì, lo sa. Abbiamo tutti bisogno di tempo.

-Prendiamocelo.- Fa lui semplicemente, con un’alzata di spalle. –E poi quel che deve succedere, succederà.

Oh Ron. Fallo succedere, fallo succedere, fallo succedere!

Vorrei supplicarlo, ma non lo faccio.

Forse è solo un messaggio, penso.

Ha solo bisogno di tempo.

Aspetterò.

Aspetterò.

-Sì, succederà.- Cerco di dirgli con un’occhiata che non aspetterò per sempre.

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Capitolo 4
*** 1.02 Dimenticarti. ***


Capitolo 1

Eccoci qui con la seconda razione quotidiana =)

Buona lettura..

(Che bello non ha altro da dirci! NdTutti) (Cattivi >< NdMe)

Capitolo 1.02

Dimenticarti

I will survive.

As long as I know how to love

I know I'll be alive.

I've got all my life to live.

I've got all my love to give.

I will survive.

I will survive.

It took all the strength I had

Just not to fall apart.

I'm trying hard to mend

The pieces of my broken heart.

And I spent oh so many nights

Just feeling sorry for myself.

I used to cry.

But now I hold my head up high.

And you'll see me with somebody new.

I'm not that stupid little person

Still in love with you.

And so you thought you'd just drop by,

And you expect me to be free.

But now I'm saving all my lovin'

For someone who's lovin' me.

{i will survive- cake}

Ron.

Tutte le donne amano gli specchi. Amano guardarsi, sistemare un’ultima volta il trucco, i capelli, quel ricciolo ribelle, quella sfumatura sulle palpebre. Persino una vecchia moglie dall’aria stanca si trucca ancora per il suo vecchio marito stanco. E nonostante tutti i litigi, nonostante tutti i problemi di soldi, di figli poco riconoscenti, di scappatelle con giovani donne che oggi sono probabilmente spente proprio come loro, quel poco di trucco sul viso di lei è per lui ancora un invito a sorridere. Ho sempre sognato di essere quel vecchio e stanco marito da far sorridere mentre, ghiotto, aspetta che lei gli serva un piatto di spaghetti fumanti “proprio come piacciono a te, caro”. Lo so, è patetico sognare questo della propria vecchiaia. Un piatto di spaghetti. Io. Che a soli 19 anni ho combattuto contro maghi oscuri, dormito sulla roccia… Io. Ebbene sì. Non sogno altro che un piatto di spaghetti e una vecchia e stanca moglie truccata che me li serva raccontandomi di come “è carino quel nuovo fidanzato di Marie”. Marie sarà mia figlia. Comunque, sto divagando. Una mattina, sedevo di fronte a Lei sul mio sacco a pelo. Il sole filtrando nella tenda rossa le colorava le guance pallide, i grandi occhi castani e gonfi di sonno, il sorriso indurito da tutta quella fatica.

-Non vorresti uno specchio?

Lei ha alzato gli occhi su di me, con quell’aria quasi insofferente che a volte riesce a dedicarmi.

-Sono così disastrosa oggi?- un velo di disprezzo e io mi sentii arrossire completamente.

-No, sei okay… solo che sono settimane che non entriamo in un bagno vero, con uno specchio…

-Oggi devo essere particolarmente oscena.- continua, come se non mi avesse sentito. -Non mi avevi ancora fatto notare la mia condizione fisica…- Si mise una mano nei capelli aggrovigliati e crespi per l’aria di mare. Mi piaceva quella veste così selvaggia di Hermione. La faceva sembrare così… così coraggiosa, così guerriera.

-No, sei come al solito. Mi è solo venuto in mente.

Annuì, come se volesse solo stroncare il discorso.

Ma poi lo riprese: -Comunque non importa. Mi vedete solo voi. Anche se ci fosse uno specchio e tutti i trucchi del mondo per chi dovrei farmi carina?

Aveva iniziato a dire frasi del genere. “Solo voi”. Io sono “solo voi”, questo pensavo mentre guardavo quella che per me non sarebbe mai stata “solo voi”. Lei era… la mia Mione.

-Me lo diresti comunque, no, Ron?

-Cosa?- mi ero distratto, accipicchia.

-Se ci fosse qualcosa di disastroso nel mio aspetto.

Non c’era. Era okay. Ma io non so mai cosa sia la cosa giusta da dire in questi casi! “Sei okay” suonava adeguato? Come se anche lei fosse per me “solo voi”?

-I tuoi capelli sembrano un po’ una siepe… ma per il resto…

Volevo solo essere ironico, simpatico, amichevole. Infondo eravamo davvero solo noi! Ma Hermione non l’ha vista così. Oh, no!

Da lì ha avuto inizio una lunga serie di “Ronald come sei insensibile”, “Ronald un giorno imparerai l’educazione”, “vorrei sentirmi un po’ femminile anche se scorrazzo con voi deficienti, qualche volta”, che ha avuto fine solo quando Harry mi ha salvato facendo iniziare il suo discorso preferito del momento ossia, qualcosa su Houcrux scomparsi, Doni della Morte o cose del genere.

E così, è stato ovvio ai miei occhi che lei non voleva da me qualcosa di romantico. Io ero, come sono ancora oggi, il suo amico un po’ scemo, insensibile, irresponsabile, maleducato, pasticcione…

Non sarei mai stato l’uomo della sua vita.

Le sorrido educatamente, calibrando persino il mio sorriso alla sola idea di averla davanti, al solo pensiero che il profumo dolce e aspro della sua pelle è a pochi centimetri dal mio sospiro. Eccola. Splendida, mentre sorseggia il suo caffè e mi dice che abbiamo tempo.

Io ho bisogno di tempo per trovare il coraggio di dirtelo, Hermione, dirti quanto vorrei smettere di essere il tuo “solo Ron” e iniziare a poterti baciare. –Al lavoro, come va?- Le chiedo.

Sorride un po’ di più.

-Bene, bene. In questo momento mi sto occupando di un caso internazionale, sai.

E’ fiera di se, di quello che fa. Sorride, un po’ imbarazzata, un po’ colpevole. Deliziosamente imbarazzata e colpevole. Tremendamente soddisfatta. Questo genere di cose l’hanno sempre resa felice. Un bel voto, un complimento alla sua splendida intelligenza… Per lei è inutile dirle “che bel taglio di capelli”. Le dici “come sei intelligente” e questo la fa di per se troppo felice. Che carina.

…Non che io glielo dica mai, badate bene. Insomma, come potrei dirle “come sei intelligente”? Lei crederebbe che io la stimo. Cosa che è vera, assolutamente. Ma lei non deve saperlo. Il nostro rapporto è così. Un giorno Ginny, mia sorella, mi ha detto che il mondo si divide tra quelli che amando venerano e quelli che amando disprezzano. Io appartengo alla seconda categoria, e non posso farne a meno.

-Non devi imbarazzarti perché tu fai un lavoro fico e io uno insulso.- Le dico, prendendola in giro. –A me non me ne frega niente.

Il che è vero solo in parte.

Guarda l’orologio. –Non è vero che non te ne frega.- Fa, severa. –E sbagli a buttare via la tua vita in quel negozio del cavolo.

-Il negozio è okay.- Detesto e insieme mi lusinga il suo modo sempre critico di vedere la mia vita: so che vorrebbe per me qualcosa di più, e questo lo apprezzo, ma mi fa sentire una merda, e questo non mi piace, in più la fa sembrare più una madre che un’amica, e questo mi imbarazza.

Ecco, sento già le orecchie diventare rosse.

Lei ignora il mio rossore. Ormai ci è abituata.

-Bhè, io resto dell’idea che dovresti fare altro. E anche tu, lo so.- Qui un po’ si addolcisce. Mi strappa un sorriso. Poi si alza, frettolosa, e raccoglie la borsa da terra, sorridendomi di sfuggita. –Mi spiace Ron, ma devo scappare adesso. Ho una riunione. Ci vediamo da Harry?

Annuisco. –Certo, Mione. A stasera.

La guardo allontanarsi in una nuvola lievemente profumata e sempre di corsa. Non riesco a togliermi quest’aria ebete dalla faccia, per tutta la mattina. Continuo a sorridere con espressione vuota servendo stupidi clienti ed esponendo inutile merce. Incredibile come la gente sia diventata attenta alla Difesa contro le Arti Oscure dopo la Guerra. Prima però non se la filavano in molti. La gente non è strana, in effetti. E’ solo stupida.

Mi allontano dal negozio con passo spedito. Devo passare a prendere Ginny e Luna, ancora non mi fido a farle andare in giro da sole la sera. Vi sembrerà inutile, e in effetti lo è, andarle a prendere per fare qualche fermata di metrò. Infondo potremmo benissimo smaterializzarci. Ma Harry è diventato maniaco dopo tutto il casino della Guerra (e come dargli torto, poveretto?) così il suo appartamento è più pieno di difese di tutto il Ministro e Hogwarts messi insieme. E certo non possiamo smaterializzarci in mezzo ad un’affollata strada di Londra alle 7,30 di sera, no? Così, ci dilettiamo tra Londinesi agitati in uno strano treno sotterraneo che solo Ginny ha capito come si prende esattamente. Io e Luna la seguiamo e basta. E alla fine va bene così.

Sono a pezzi. Ho la schiena distrutta, i piedi gonfi. Ma soprattutto mi sento ridicolo. E non solo. Mi sento così… così… patetico. Piccolo e insulso.

Mione ha ragione. Sto buttando via la mia vita in un negozio.

E non solo.

Sto buttando la mia vita dietro di lei.

Lei, lei che è bella. Lei che è intelligente. Lei che è sveglia, critica, forte…

Ma questo non va bene. Non va bene per niente.

Io devo chiudere con lei.

In ogni caso non vorrei davvero “stare” con Hermione, no? E’ la mia migliore amica, e questo rende la cosa sostanzialmente sbagliata. E poi lei merita di meglio, no? Merita uno forte, divertente, intelligente, ironico, romantico, dolce, sentimentale… che capisca quello che pensa… che capisca quello che vuole… che la capisca. Io non sono così. No, per niente. Non sono il suo principe azzurro. Non ho un cavallo bianco e non galoppo nell’oro. Non ho nessuno dei requisiti adatti ad essere il suo ragazzo ideale.

Non va bene.

Infondo nemmeno lei ha le caratteristiche giuste per essere la mia ragazza ideale. La mia ragazza deve essere fisicamente perfetta, affusolata e morbida nei punti giusti, con i capelli soffici al tatto e sempre profumati, con le labbra un po’ imbronciate che si aprano in sorrisi splendidi, che rida alle mie battute e mi coccoli quando non sono in vena di scherzare. Insomma, io non voglio una ragazza complicata come Hermione. Ne voglio una particolare. Un po’ esotica, come gusti. Ma semplice nei sentimenti, semplice da capire, semplice da amare.

Cara Hermione Jane Granger. E’ finita.

Questa storia epica in cui speravamo (io, Harry, Ginny… e sono sicuro tanta altra gente) tanto, non ci sarà mai.

“Devi solo aspettare che capisca che anche tu gli piaci”, mi diceva sempre Ginny, quando mi vedeva tutto silenzioso e imbronciato. Non voglio aspettare. Sono stufo di aspettare. E poi basta… insomma, questo stallo emotivo mi ha bloccato per troppo, troppo tempo.

Devo solo trovare la forza per dimenticarti, per sempre.

-Loon! Loon è Ronnie! Vai ad apriree!

L’urlo di mia sorella trapana i timpani di mezzo palazzo.

Ultimamente ha iniziato a chiamare tutti come se fossimo dei personaggi dei cartoni animati per bambini. Da quando lavora al San Mungo è sempre in contatto con i bambini. Credo sia per quello. Mia sorella ama i bambini… non l’avrei mai detto. Non è una paziente… non come Hermione, insomma.

No, Ron. Non puoi pensare a lei.

Mi sento svuotato. Senza la mia cotta per Hermione in effetti non c’è molto dentro di me. Se non posso pensare a lei, a che penserò per tutto il tempo?

-Loonie, mi senti?

-Arrivo, Ronnie!

Ecco la voce di Luna. La porta si apre, e io le sorrido. Gesto incondizionato che mi viene automatico ogni volta che lei mi si para davanti.

E’ una donna di 21 anni, i capelli biondo-cenere sono lunghi e le corrono sulla schiena nuda, accarezzando la sua pelle dal bianco quasi trasparente. Un reggiseno viola a pois rosa copre i suoi piccoli ed eleganti seni, sulla pancia piatta un ombelico perfettamente circolare è decorato da una pietruzza blu, le lunghe gambe bianche sono intrappolate in una gonna da gitana. Non si può dire che sia bella nel consueto significato del termine. Lei non è consueta in niente: ha un tocco di particolarità che la rende bella in una sfaccettatura tutta sua. All’inizio mi imbarazzava l’essere accolto da una ragazza mezza nuda. Ma con il tempo ci fai l’abitudine, a Luna. Non ha pudore. In quello che dice, in quello che fa. Mi prende il polso e mi tira dentro, ridendo concitata per qualcosa che non so. Ha le labbra truccate di rosso e i grandi occhi azzurri a palla ritoccati con la matita.

-Ronnie!- Mi bacia la guancia e chiude la porta alle mie spalle.

-Ciao fratellone!- Mi saluta Ginny dall’altra stanza. –Siediti pure, tra un minuto siamo pronte!

“Un minuto”. Mi viene da ridere a pensare a quanto possa essere lungo “un minuto” quando queste due si preparano per un’uscita.

-Mica vi dovete fare belle! Andiamo da Harry! Saremo solo noi!

Lo dico incondizionatamente. Per un attimo mi attanaglia una morsa di tristezza, ma la respingo. Non devo pensarci. Non devo pensarci.

-Proprio te dici così! Non ti vedo, ma già ti immagino, tutto in tiro…- Mi prende in giro mia sorella. Le sorelle le hanno fatte apposta per prenderci in giro, poveri fratelli.

-Ma che dici! Non sono nemmeno passato a casa dopo il lavoro!- mi difendo.

-E perché mai?

La sua testa compare dalla porta aperta della sua camera da letto. Ha il labbro sotto truccato e quello sopra no. I capelli rossi, lisci, le ricadono intorno al viso minuto e puntellato da lentiggini simili alle mie. Ha grandi occhi castani che spalanca alla vista del mio abbigliamento “da lavoro”.

-Oh, Ron.- Sembra un po’ triste. –Hai deciso di dimenticarla!

Alzo un sopracciglio. Mi spiegate come fa mia sorella a conoscermi così bene?

Luna corre dalla sua stanza in salotto, un po’ rossa in viso.

-Oh Ron!- Urla. –E stai bene?

La situazione mi fa un po’ ridere.

-Tutto okay. E’ la cosa giusta.

Ora mia sorella farà la voce pratica…

-Bhè, Ron.- Eccola! –Sono molto fiera di te. Questo vuol dire che non resterai per sempre ancorato al passato. Ti rende onore.- Senti da che pulpito viene la predica…

Anche Luna alza un sopracciglio. –Siete davvero uguali, voi due.

La ignoriamo.

-Comunque, ho una notizia più importante per te, fratello.

-Dimmi, Gin.- Posso immaginare la notizia…

-Ti ho trovato un lavoro, vero!

Ma che hanno tutti, oggi, con il mio povero lavoro?

-Davvero?

-Sì, sì!- Sorride apertamente. –Oggi pomeriggio sono passata al Ministero da Hermione per una commissione… e abbiamo un po’ parlato della tua situazione…- Ogni tanto mi sembra di avere tre madri. Come se una non bastasse. –Così Hermione ha detto che si era liberato un posto nel dipartimento “comunicazioni e amministrazione criminale”… in pratica gli uffici amministrativi di Azkaban… Il povero signor Thompson è andato in pensione! Bhè, in ogni caso sono andata subito a parlare con il Ministro. Quell’uomo ancora oggi non ci può credere che dopo tutto quello che ci ha combinato restiamo fedeli al Ministero. In pratica dopo mezz’ora della sua solita leccata di piedi mi ha detto che era stupito che tu lavorassi in un negozio dopo tutto quello che avevi fatto! E che eri perfetto… Insomma, conosci metà dei criminali lì dentro… Metà li avete messi dentro voi! Chi c’è di meglio per questo lavoro, eh Ronnie?

La guardo, stordito.

-Devi andare a fare un colloquio domani mattina alle 11, poi darai le dimissioni in quella topaia inutile e finalmente vivrai un po’!

E’ troppo fiera di se per dirle che l’idea di lavorare sotto lo stesso tetto della donna che devo disperatamente dimenticare non mi alletta per niente.

Ginny, tutta contenta, si infila delle scarpe con tacchi vertiginosi. Ha dei jeans aderenti e una maglietta scollata che le fascia bene il seno. I capelli sciolti e una giacca con il pelo sul collo.

Non capisco come Harry non le sia già ricaduto ai piedi.

-Cavoli.- Riesco solo a commentare.

Lei mi si accuccia davanti e mi prende le mani. Sorride con quel suo sorriso smagliante e supplicante a cui è impossibile dire di no. Sarebbe come dire di no ad un cucciolo. Non si sa dire di no ai cuccioli.

-Devi farlo fratellone.- sussurra, roca.

Alzo gli occhi su Luna, che sorride, anche lei soddisfatta: -Così potrai cercare nei registri il Mago Marzapane. Si dice che la Regina Mostarda l’abbia ingiustamente fatto incarcerare.- La sua serietà nel dire cose simili è una di quelle cose cui bisogna abituarsi.

-Bhè- dico, rivolgendo a Ginny uno sguardo divertito –Se si tratta di trovare il Mago Marzapane…

Tutto questo mi suona un po’ come un nuovo, glorioso, inizio.

*

Non dimenticate di lasciarmi un regalino *__* ß occhi dolci (Ruffiana! NdTutti)

A tra qualche giorno =P

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Capitolo 5
*** 2.01 Conti in sospeso ***


Olè

Olè! Eccoci con il secondo capitolo! *Applausi*

Ora ovviamente diamo un colpo di vita a questa FanFiction.

Sono commossa dai bei commenti, spero che me ne lascerete ancora e che questo capitolo sia degno delle vostre aspettative… detto questo, alla prossima!

Capitolo 2.01

Conti in sospeso

When I was young

I never needed anyone

And making love was just for fun

Those days are gone

Livin' alone

I think of all the friends I've known

When I dial the telephone

Nobody's home

All by myself

Don't wanna be

All by myself

Anymore

Hard to be sure

Sometimes I feel so insecure

And loves so distant and obscure

Remains the cure

All by myself

Don't wanna be

All by myself

Anymore

{all by myself-Celine Dion}

Hermione.

Harry mi guarda con quello sguardo di reciproco affetto che ormai ci rivolgiamo incondizionatamente da anni. Siedo al tavolo della sua piccola cucina dalle pareti verdi, con tra le mani il primo frizzante calice di vino.

-Sono stufa Harry. Stufa.- Sbuffo.

Sembra che tutte le volte che non ci siamo confidati queste piccolezze in passato, quando eravamo adolescenti, si stiano accumulando in un continuo parlarne l’un l’altro, ora che siamo adulti. A volte da ragazza trovavo frustrante il pensiero di essere solo il motore di ricerca, il cervello, “la mamma”, del nostro trio. Con il tempo questo è cambiato. Oggi, sono davvero anche l’amica. Certo sia ad Harry che a Ron serve che io sia ogni tanto anche il loro motore di ricerca, il loro cervello, la loro mamma. Ma non mi pesa. Non mi pesa più.

Harry mi si siede davanti, e si mette in bocca un salatino. I capelli neri gli ricadono disordinatamente sul capo, i grandi occhi verdi sono ora circondati da occhiali dalla montatura più adulta, rettangolare, nera, indossa un paio di pantaloni marroni (scelti da me) e una maglietta azzurra (scelta da me). Sta bene. Sta davvero bene. Ha tutto. Tranne Ginny, ovviamente.

-Ti capisco, Mione. Certo che ti capisco.

-Non voglio più essere single. Non voglio più correre dietro il sogno che troverò “quello giusto”.

-Perché tu “quello giusto” l’hai già trovato tanto, tanto tempo fa.- Mi rivolge una smorfia ironica e divertita.

Arrossisco. –Non parlo sempre di Ron, quando parlo della mia situazione sentimentale, Harry.

-No?- Alza un sopracciglio.

Arriccio il naso. –Io non gli interesso.

Amo dirgli questa frase. Perché so che lui risponderà, con aria annoiata, divertita, dannatamente complice: -Gli interessi, Mione.

E io mi crogiolo nel piacere di questa semplice affermazione.

-Te l’ha detto esplicitamente?

-Noi non parliamo esplicitamente di queste cose, lo sai. Non siamo donne.

Questa è un’altra delle sue frasi preferite. Non siamo donne.

Sì, signori. Per essere un “Prescelto”, un “Bambino che è sopravvissuto”, un “Eroe di Fama Mondiale” e cose così, si diverte con poco.

Infatti scoppia a ridere, come sempre dopo aver detto la sua battuta.

-Potresti anche chiederglielo.

-Non parli già con Ginny di queste cose?

Sospiro. –Dice che non parla con suo fratello di queste cose.- Sbuffo.

Lui distoglie lo sguardo. –Però potremmo parlarne.

-Ne stiamo parlando.

-Non di me e Ron. Ma di te e Ginny.

Ora è lui ad essere in imbarazzo.

-Gli Weasley sono il punto fisso dei nostri pensieri, Mione.

-Cosa ci hanno fatto Harry?

Ride. -Dovremmo pensare ad altro.

Rido, scuotendo la testa. –Non voglio pensare ad altro!- Sorseggio il mio vino. –Cosa farai con Ginny?

-Cosa farai con Ron?

La domanda resta sospesa in aria, frizzante, rotta dall’improvviso suono del campanello.

Cosa farai con Ron?

Questa domanda continua a frullarmi nella testa, a sbatacchiare sulle mie tempie, ad offuscare la mia mente alla prospettiva di altri pensieri, per tutta la serata.

Le cose sono così splendidamente normali, così giuste, così perfette. Sediamo sul divano beige di Harry, mangiucchiamo le patatine e l’aperitivo che abbiamo preparato in attesa che gli altri arrivassero. Luna ci racconta qualcosa riguardo al suo ultimo colpo di fulmine, ed ad un certo Mago Marzapane che fa arrossire Ron. Io e Ron bisticciamo un po’. Ginny flirta con Harry in maniera velata, che sembra non passare inosservata a nessuno tranne che al diretto interessato.

Poi arriva l’ultimo colpo di fulmine di Luna, un bel ragazzo di colore dal sorriso dolce e gli occhi mielati, e la porta “a fare un giro”. Intorno all’una io e Ron ci smaterializziamo a casa. Con una fitta di dolore mi rendo conto che Ginny ed Harry ora sono soli.

Sì, lo so che incoraggio la loro storia da sempre. Da sempre! Non riesco nemmeno a ricordare la prima volta che ho detto a Ginny che Harry era davvero quello giusto, che ho dato loro il primo consiglio. E non posso nemmeno contare quante volte ho fatto da consigliera all’uno a all’altra su questa storia.

Voglio davvero che siano felici.

Ma quando con uno schiocco il mio salotto mi si apre davanti, non posso che provare una fitta dannatamente simile all’invidia.

Anche io voglio essere felice.

Non è giusto.

E’ sempre così, non vi pare? Volete essere persone adulte e ragionevoli (“anche se la tua migliore amica e il tuo migliore amico che fin ora hanno condiviso con te la tristezza del non possedere la persona amata si mettono insieme e sono felici questo ti DEVE rendere felice, non triste, perché è quello che HAI SEMPRE VOLUTO”) e invece scoprite che quando c’è di mezzo il cuore non siamo mai persone adulte e ragionevoli.

Mi siedo sul mio divano color crema e appoggio a terra la borsetta.

Nella vetrata che da sul terrazzino, la mia figura afflitta si specchia placidamente. Mi ero fatta carina. Guardati!, mi dico, Sei patetica! La camicetta aderente, scollata, il golfino azzurro, la gonna di vellutino a coste blu che mi arriva sopra le ginocchia, gli stivali. Harry ha detto che sto bene. Certo lui non conta. Non è Ron. E poi mi direbbe che sto bene comunque.

Ma Ron non mi ha quasi rivolto la parola. La cosa mi ha irritato. E’ stato sulle sue tutta la serata. Mi parlava a grugniti, e l’unica volta che si è rivolto direttamente a me era per andarmi contro.

E’ così dannatamente sbagliata questa situazione.

Amare in silenzio è ancora più doloroso che non amare affatto.

Devo pensare, raccogliere le idee. E quando avrò finito avrò preso una decisione.

Sono stufa di essere “Hermione la zitella”. Io non sono questo. Io sono una donna piena di amore da dare, piena di baci da regalare, piena di sensazioni da trasmettere e “romanticità” da condividere. Me ne sto qui, ferma, immobile nella notte tiepida di fine febbraio, mentre fuori dal vetro della finestra una Londra grigia si prepara ad accogliere una pioggia che preme sulla città in grosse nuvole rapide. Mi accoccolo sul divano, sfilandomi le scarpe e buttando per terra la giacca. Mi copro con la coperta. Non so cosa fare, non so cosa dire.

Vorrei solo… Vorrei solo che fosse lui a lanciarsi verso di me. Io lo prenderei al volo. Ma non lo fa. E se Harry avesse torto? Se lui non provasse niente? E se fosse proprio per questo che Ginny non si vuole pronunciare? Ossia che ne parlano, ma Ron le dice solo di quanto reputi ridicola la mia infatuazione per lui?
Il fatto è che non è per niente un’infatuazione.

Insomma, siamo onesti. Ci si infatua da ragazzine, e ci si infatua di quello bello e atletico, intelligente e brillante, quello dalla parlantina accattivante, che ti dice come stai bene con quella maglietta e ti fa arrossire tutta, quello che non ti saluta se ti incontra nei corridoi, e poi se ti becca a guardarlo durante la lezione ti rivolge uno di quei sorrisi meravigliosamente sensuali. Ci si infatua dei capi branco, quelli “trendy” e “in”. E’ tutto sbagliato, dannatamente sbagliato. Non era questo quello che volevo quando guardavo avanti da bambina. Non volevo essere quella che si veste elegante per farsi notare dal suo amico di sempre… volevo essere quella corteggiata. La storia romantica che volevo… era qualcosa che i libri che ho letto, le storie che ho sentito, hanno alimentato e creato in tutti questi anni…

E’ tutto sbagliato.

Il telefono suona, rompendo il silenzio, infrangendolo con forza. Spaventata, lo tiro su.

-Pronto?- Faccio, con voce soffocata.

-Ehi, Mione.- Per un attimo penso di essermi sbagliata, sicuramente sbagliata. –Ciao.- No, è lui. Sicuramente. Riconosco Ron.

-Ron?- non posso nascondere una certa sorpresa. E’ stato così freddo, distaccato, quasi innervosito, nei miei confronti, per tutta la serata.

-Sì, sono io. Non mi riconosci più?

Faccio una risatina stupida. –Mi sembra solo strano che mi stai chiamando. Ci siamo appena salutati.- “E abbiamo scazzato come sempre”, vorrei aggiungere. Ma non lo faccio.

-Già, è che stasera volevo dirti una cosa, ma poi c’erano tutti e non volevo dirla a tutti.

Avete capito perché mi piace da matti, questo ragazzo?

-a me?

Avete capito perché io non potrò mai piacere da matti a lui?

-Sì.- Ride –A te.

Rido anche io, imbarazzata.

-Che cosa c’è di così segreto?- Faccio un po’ la strafottente, per mascherare l’emozione che potrebbe trapelare dalla mia voce. Qualcosa che vuole che sappia solo io! Che cosa potrà mai essere?

-Domani ho un colloquio di lavoro… al Ministero.

Dopo una prima, leggera, egoista, delusione, mi emoziono. Finalmente il mondo ha capito dove andare a parare.

Lo ascolto un po’, mentre mi chiede cosa deve mettere, cosa deve dire, se prima ci vediamo per un caffè.

-Certo che ci vediamo prima…- Sorrido, anche se lui non mi può vedere.

-Grazie Mione. Mi tranquillizza un po’ sapere che ci vediamo, così mi dai qualche dritta…- Ed ecco il cervello di riserva che entra in gioco.

-Anche Harry sarebbe stato felice di saperlo, Ron.- Ecco dove mi trasformo nella mamma.

-Ma se poi non lo ottengo ne resterà deluso. E lui è un Auror, insomma. Un Auror! Non voglio deluderlo.- Non vuoi sentirti inferiore, povero il mio piccolo Ron.

-Tu non lo deluderai mai, Ron. Lui, come anche io, sappiamo che ovunque tu stia lavorando, da chiunque tu prenda lo stipendio, vali mille volte più del 90% delle altre persone. Noi ti abbiamo visto affrontare cose incredibili, Ronald.- Mi faccio un po’ dura, perché non voglio scoprirmi. –Sono certa che un colloquio di lavoro sarà una passeggiata. Vedrai.- Ecco dove, infine, faccio l’amica.

E quando, quando, quando, potrò essere quello che voglio davvero?

-Grazie Mione…

Nel buio rassicurante del mio salotto, sotto la mia copertina, con tanta strada tra di noi, mi sembra che tutto sia più semplice. Tutte le frasi, le situazioni, tutti i sentimenti e le sensazioni, in sospeso tra di noi, sembrano non gravare poi con tanta forza sulla nostra vita.

Forse Harry ha ragione. Anche io gli piaccio un po’.

-Figurati. Ci vediamo domani mattina?

-Sì, sì domani mattina. Notte sotuttoio.

Sorrido. –Notte…

Che cosa farai con Ron?

Gli organizzerò una festa per festeggiare il suo compleanno e il suo nuovo lavoro.

Che cosa farai con Ron?

Farò io il primo passo.

Improvvisamente la notte mi sembra un po’ più luminosa.

Olè

Olè! Eccoci con il secondo capitolo! *Applausi*

Ora ovviamente diamo un colpo di vita a questa FanFiction.

Sono commossa dai bei commenti, spero che me ne lascerete ancora e che questo capitolo sia degno delle vostre aspettative… detto questo, alla prossima!

Capitolo 2.01

Conti in sospeso

When I was young

I never needed anyone

And making love was just for fun

Those days are gone

Livin' alone

I think of all the friends I've known

When I dial the telephone

Nobody's home

All by myself

Don't wanna be

All by myself

Anymore

Hard to be sure

Sometimes I feel so insecure

And loves so distant and obscure

Remains the cure

All by myself

Don't wanna be

All by myself

Anymore

{all by myself-Celine Dion}

Hermione.

Harry mi guarda con quello sguardo di reciproco affetto che ormai ci rivolgiamo incondizionatamente da anni. Siedo al tavolo della sua piccola cucina dalle pareti verdi, con tra le mani il primo frizzante calice di vino.

-Sono stufa Harry. Stufa.- Sbuffo.

Sembra che tutte le volte che non ci siamo confidati queste piccolezze in passato, quando eravamo adolescenti, si stiano accumulando in un continuo parlarne l’un l’altro, ora che siamo adulti. A volte da ragazza trovavo frustrante il pensiero di essere solo il motore di ricerca, il cervello, “la mamma”, del nostro trio. Con il tempo questo è cambiato. Oggi, sono davvero anche l’amica. Certo sia ad Harry che a Ron serve che io sia ogni tanto anche il loro motore di ricerca, il loro cervello, la loro mamma. Ma non mi pesa. Non mi pesa più.

Harry mi si siede davanti, e si mette in bocca un salatino. I capelli neri gli ricadono disordinatamente sul capo, i grandi occhi verdi sono ora circondati da occhiali dalla montatura più adulta, rettangolare, nera, indossa un paio di pantaloni marroni (scelti da me) e una maglietta azzurra (scelta da me). Sta bene. Sta davvero bene. Ha tutto. Tranne Ginny, ovviamente.

-Ti capisco, Mione. Certo che ti capisco.

-Non voglio più essere single. Non voglio più correre dietro il sogno che troverò “quello giusto”.

-Perché tu “quello giusto” l’hai già trovato tanto, tanto tempo fa.- Mi rivolge una smorfia ironica e divertita.

Arrossisco. –Non parlo sempre di Ron, quando parlo della mia situazione sentimentale, Harry.

-No?- Alza un sopracciglio.

Arriccio il naso. –Io non gli interesso.

Amo dirgli questa frase. Perché so che lui risponderà, con aria annoiata, divertita, dannatamente complice: -Gli interessi, Mione.

E io mi crogiolo nel piacere di questa semplice affermazione.

-Te l’ha detto esplicitamente?

-Noi non parliamo esplicitamente di queste cose, lo sai. Non siamo donne.

Questa è un’altra delle sue frasi preferite. Non siamo donne.

Sì, signori. Per essere un “Prescelto”, un “Bambino che è sopravvissuto”, un “Eroe di Fama Mondiale” e cose così, si diverte con poco.

Infatti scoppia a ridere, come sempre dopo aver detto la sua battuta.

-Potresti anche chiederglielo.

-Non parli già con Ginny di queste cose?

Sospiro. –Dice che non parla con suo fratello di queste cose.- Sbuffo.

Lui distoglie lo sguardo. –Però potremmo parlarne.

-Ne stiamo parlando.

-Non di me e Ron. Ma di te e Ginny.

Ora è lui ad essere in imbarazzo.

-Gli Weasley sono il punto fisso dei nostri pensieri, Mione.

-Cosa ci hanno fatto Harry?

Ride. -Dovremmo pensare ad altro.

Rido, scuotendo la testa. –Non voglio pensare ad altro!- Sorseggio il mio vino. –Cosa farai con Ginny?

-Cosa farai con Ron?

La domanda resta sospesa in aria, frizzante, rotta dall’improvviso suono del campanello.

Cosa farai con Ron?

Questa domanda continua a frullarmi nella testa, a sbatacchiare sulle mie tempie, ad offuscare la mia mente alla prospettiva di altri pensieri, per tutta la serata.

Le cose sono così splendidamente normali, così giuste, così perfette. Sediamo sul divano beige di Harry, mangiucchiamo le patatine e l’aperitivo che abbiamo preparato in attesa che gli altri arrivassero. Luna ci racconta qualcosa riguardo al suo ultimo colpo di fulmine, ed ad un certo Mago Marzapane che fa arrossire Ron. Io e Ron bisticciamo un po’. Ginny flirta con Harry in maniera velata, che sembra non passare inosservata a nessuno tranne che al diretto interessato.

Poi arriva l’ultimo colpo di fulmine di Luna, un bel ragazzo di colore dal sorriso dolce e gli occhi mielati, e la porta “a fare un giro”. Intorno all’una io e Ron ci smaterializziamo a casa. Con una fitta di dolore mi rendo conto che Ginny ed Harry ora sono soli.

Sì, lo so che incoraggio la loro storia da sempre. Da sempre! Non riesco nemmeno a ricordare la prima volta che ho detto a Ginny che Harry era davvero quello giusto, che ho dato loro il primo consiglio. E non posso nemmeno contare quante volte ho fatto da consigliera all’uno a all’altra su questa storia.

Voglio davvero che siano felici.

Ma quando con uno schiocco il mio salotto mi si apre davanti, non posso che provare una fitta dannatamente simile all’invidia.

Anche io voglio essere felice.

Non è giusto.

E’ sempre così, non vi pare? Volete essere persone adulte e ragionevoli (“anche se la tua migliore amica e il tuo migliore amico che fin ora hanno condiviso con te la tristezza del non possedere la persona amata si mettono insieme e sono felici questo ti DEVE rendere felice, non triste, perché è quello che HAI SEMPRE VOLUTO”) e invece scoprite che quando c’è di mezzo il cuore non siamo mai persone adulte e ragionevoli.

Mi siedo sul mio divano color crema e appoggio a terra la borsetta.

Nella vetrata che da sul terrazzino, la mia figura afflitta si specchia placidamente. Mi ero fatta carina. Guardati!, mi dico, Sei patetica! La camicetta aderente, scollata, il golfino azzurro, la gonna di vellutino a coste blu che mi arriva sopra le ginocchia, gli stivali. Harry ha detto che sto bene. Certo lui non conta. Non è Ron. E poi mi direbbe che sto bene comunque.

Ma Ron non mi ha quasi rivolto la parola. La cosa mi ha irritato. E’ stato sulle sue tutta la serata. Mi parlava a grugniti, e l’unica volta che si è rivolto direttamente a me era per andarmi contro.

E’ così dannatamente sbagliata questa situazione.

Amare in silenzio è ancora più doloroso che non amare affatto.

Devo pensare, raccogliere le idee. E quando avrò finito avrò preso una decisione.

Sono stufa di essere “Hermione la zitella”. Io non sono questo. Io sono una donna piena di amore da dare, piena di baci da regalare, piena di sensazioni da trasmettere e “romanticità” da condividere. Me ne sto qui, ferma, immobile nella notte tiepida di fine febbraio, mentre fuori dal vetro della finestra una Londra grigia si prepara ad accogliere una pioggia che preme sulla città in grosse nuvole rapide. Mi accoccolo sul divano, sfilandomi le scarpe e buttando per terra la giacca. Mi copro con la coperta. Non so cosa fare, non so cosa dire.

Vorrei solo… Vorrei solo che fosse lui a lanciarsi verso di me. Io lo prenderei al volo. Ma non lo fa. E se Harry avesse torto? Se lui non provasse niente? E se fosse proprio per questo che Ginny non si vuole pronunciare? Ossia che ne parlano, ma Ron le dice solo di quanto reputi ridicola la mia infatuazione per lui?
Il fatto è che non è per niente un’infatuazione.

Insomma, siamo onesti. Ci si infatua da ragazzine, e ci si infatua di quello bello e atletico, intelligente e brillante, quello dalla parlantina accattivante, che ti dice come stai bene con quella maglietta e ti fa arrossire tutta, quello che non ti saluta se ti incontra nei corridoi, e poi se ti becca a guardarlo durante la lezione ti rivolge uno di quei sorrisi meravigliosamente sensuali. Ci si infatua dei capi branco, quelli “trendy” e “in”. E’ tutto sbagliato, dannatamente sbagliato. Non era questo quello che volevo quando guardavo avanti da bambina. Non volevo essere quella che si veste elegante per farsi notare dal suo amico di sempre… volevo essere quella corteggiata. La storia romantica che volevo… era qualcosa che i libri che ho letto, le storie che ho sentito, hanno alimentato e creato in tutti questi anni…

E’ tutto sbagliato.

Il telefono suona, rompendo il silenzio, infrangendolo con forza. Spaventata, lo tiro su.

-Pronto?- Faccio, con voce soffocata.

-Ehi, Mione.- Per un attimo penso di essermi sbagliata, sicuramente sbagliata. –Ciao.- No, è lui. Sicuramente. Riconosco Ron.

-Ron?- non posso nascondere una certa sorpresa. E’ stato così freddo, distaccato, quasi innervosito, nei miei confronti, per tutta la serata.

-Sì, sono io. Non mi riconosci più?

Faccio una risatina stupida. –Mi sembra solo strano che mi stai chiamando. Ci siamo appena salutati.- “E abbiamo scazzato come sempre”, vorrei aggiungere. Ma non lo faccio.

-Già, è che stasera volevo dirti una cosa, ma poi c’erano tutti e non volevo dirla a tutti.

Avete capito perché mi piace da matti, questo ragazzo?

-a me?

Avete capito perché io non potrò mai piacere da matti a lui?

-Sì.- Ride –A te.

Rido anche io, imbarazzata.

-Che cosa c’è di così segreto?- Faccio un po’ la strafottente, per mascherare l’emozione che potrebbe trapelare dalla mia voce. Qualcosa che vuole che sappia solo io! Che cosa potrà mai essere?

-Domani ho un colloquio di lavoro… al Ministero.

Dopo una prima, leggera, egoista, delusione, mi emoziono. Finalmente il mondo ha capito dove andare a parare.

Lo ascolto un po’, mentre mi chiede cosa deve mettere, cosa deve dire, se prima ci vediamo per un caffè.

-Certo che ci vediamo prima…- Sorrido, anche se lui non mi può vedere.

-Grazie Mione. Mi tranquillizza un po’ sapere che ci vediamo, così mi dai qualche dritta…- Ed ecco il cervello di riserva che entra in gioco.

-Anche Harry sarebbe stato felice di saperlo, Ron.- Ecco dove mi trasformo nella mamma.

-Ma se poi non lo ottengo ne resterà deluso. E lui è un Auror, insomma. Un Auror! Non voglio deluderlo.- Non vuoi sentirti inferiore, povero il mio piccolo Ron.

-Tu non lo deluderai mai, Ron. Lui, come anche io, sappiamo che ovunque tu stia lavorando, da chiunque tu prenda lo stipendio, vali mille volte più del 90% delle altre persone. Noi ti abbiamo visto affrontare cose incredibili, Ronald.- Mi faccio un po’ dura, perché non voglio scoprirmi. –Sono certa che un colloquio di lavoro sarà una passeggiata. Vedrai.- Ecco dove, infine, faccio l’amica.

E quando, quando, quando, potrò essere quello che voglio davvero?

-Grazie Mione…

Nel buio rassicurante del mio salotto, sotto la mia copertina, con tanta strada tra di noi, mi sembra che tutto sia più semplice. Tutte le frasi, le situazioni, tutti i sentimenti e le sensazioni, in sospeso tra di noi, sembrano non gravare poi con tanta forza sulla nostra vita.

Forse Harry ha ragione. Anche io gli piaccio un po’.

-Figurati. Ci vediamo domani mattina?

-Sì, sì domani mattina. Notte sotuttoio.

Sorrido. –Notte…

Che cosa farai con Ron?

Gli organizzerò una festa per festeggiare il suo compleanno e il suo nuovo lavoro.

Che cosa farai con Ron?

Farò io il primo passo.

Improvvisamente la notte mi sembra un po’ più luminosa.

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Capitolo 6
*** 2.02 Amare una Granger ***


Due parole alla fine… Buona lettura =P

Due parole alla fine… Buona lettura =P

Capitolo 2.02

Amare una Granger.

Erotica, romance

Erotica, romance

My name is Dita

I'll be your mistress tonight

I'd like to put you in a trance

If I take you from behind

Push myself into your mind

When you least expect it

Will you try and reject it

If I'm in charge and I treat you like a child

Will you let yourself go wild

Let my mouth go where it wants to

Give it up, do as I say

Give it up and let me have my way

I'll give you love, I'll hit you like a truck

I'll give you love, I'll teach you how to ...

I'd like to put you in a trance, all over

Erotic, erotic, put your hands all over my body

Erotic, erotic, put your hands all over my body

Erotic, erotic

Once you put your hand in the flame

You can never be the same

There's a certain satisfaction

In a little bit of pain

I can see you understand

I can tell that you're the same

If you're afraid, well rise above

I only hurt the ones I love

{Madonna-“Erotica”}

Ron.

Devo ammettere che non ci avrei scommesso. Sperato, certo. Ma scommesso, quello proprio no. E invece, in questo preciso momento, sto attraversando l’atrio dorato del posto in cui dovrei aver sempre lavorato. Sempre. E ora ci sono. La segretaria mi saluta con un cenno rapido del capo mentre mi unisco ad una coda di altri dipendenti che si affollano davanti all’ascensore per immergersi nel loro week end. Io non sono poi così allettato all’idea. Harry, Ginny ed Hermione hanno insistito tanto perché stasera andassi con loro a cena alla Tana. Prima o poi si separeranno da questo genere di abitudini. Siamo persone adulte, perché una volta ogni due settimane dobbiamo sempre andare a cenare da mamma e papà? In ogni caso, essere qui ha un che di davvero inebriante. Osservo pigramente i marmi, gli zampilli d’acqua delle fontane… è tutto così innaturale. Eppure, essere qui ha anche una parte dolorosa. Mi ero tenuto lontano da questo covo di ricordi, significati che non volevo dover affrontare di nuovo. Ma ormai sono qui. Infondo è passato tanto tempo ormai da… bhè da quella notte. Quella in cui è morto Sirius, e tutte quelle cose che sono successe. E attraversare questo atrio caldo e confortevole non può che ricordarmi quando, sedicenne, vi sono corso in mezzo, con sulla coscienza la consapevolezza dell’illegalità di ciò che facevo e del fatto che questo non era più un gioco. Anche se non sembra lo stesso atrio. Non sembra lo stesso posto. Non sembra nemmeno la stessa vita.

E’ davvero successo? È davvero successo a me?

E’ il mio turno, entro nell’ascensore e mi faccio spingere in un’affollata e uggiosa Londra di fine inverno. Ancora un venticello fresco taglia la pelle e condensa i respiri, ma ormai c’è nell’aria profumo di primavera, quel profumo fresco e vetrato di pelle di donna. Tiro su il bavero della giacca e prendo a camminare pigramente verso il mio “punto di smaterializzazione”. In realtà è quello di Hermione. Ma lei mi ha detto che “anche se oggi finisco prima, Ron, non ti aspetto. Mi voglio cambiare e devo fare un paio di commissioni”. Il che va bene, anzi, benissimo. In effetti non ho proprio voglia di vederla. Oddio, sì mi fa piacere. E’ pur sempre la mia migliore amica, no? Però non ho voglia di fare con lei tutte quelle cose che facevamo quando mi piaceva. Come sto maturando!

Svolto in una piccola traversa della via più grande, e poi in una traversa ancora più piccola, dove il delicato aroma di sera di fine inverno si mescola ad un olezzo piccante di cibo. Mi concentro, spremendo le meningi, per un solo istante, su dove devo andare. E poi sono catapultato nel famoso e doloroso tubo di gomma.

… La Tana non è mai stata così bella. Per un lungo minuto non credo nemmeno ai miei occhi. E’ come se un arredatore di ottimo gusto vi abbia dato una sferzatina di modernità. Il cortile è spruzzato di fiaccole accese che illuminano le pareti mielate di ombre e luci. La porta della cucina è aperta, e gente elegante esce ed entra, reggendo in mano bicchieri da cocktail pieni e colorati. Un chiacchiericcio allegro e concitato si leva dalle labbra truccate delle donne e da quelle ben rasate degli uomini. Ma non sono solo le fiaccole a dare quell’aria di… diverso. Ovunque sono apparsi tulipani rossi. Tulipani rossi? Sì. fiori! Mia mamma è impazzita? Poi mi accorgo che tutto questo non è per mia mamma. Mi avvicino al cancello, cercando di non fare rumore. Sento che sulla faccia mi sta sorgendo un sorriso sornione. Sul nostro albero di ciliege troneggia un cartellone con su scritto un enorme “AUGURI RON!”.

-Ron!

Per un attimo resto stranito, l’attimo dopo, con mia sorpresa, mi ritrovo davanti un’Hermione del tutto… bhè, non Hermione. Indossa un corto tubino color mattone e ha i capelli in boccoli voluminosi sciolti intorno ad un viso ben truccato e ridente come non glielo vedevo… dal ballo del ceppo, in effetti.

-Hermione!- Faccio, stupito. Io voglio dimenticarla, davvero. Ma lei era tempo che non si faceva così carina! Sì, lei per me è sempre carina. Ma di solito non guardo nemmeno come si veste. Non mi interessa. Questa sera, invece… è anche più alta. Ha i tacchi! Hermione ha i tacchi!

-Cosa festeggiamo?- Dico, con aria innocente. Lei ride. Ride!

-Domani è il tuo compleanno…- Dice, poi, sorridendo con dolcezza. –E poi finalmente hai trovato un lavoro decente.- aggiunge –Complimenti!- E poi si sporge verso di me e mi bacia la guancia, cingendomi il collo con le braccia. Questa non è nemmeno la mia Hermione. Mi imbarazza quasi. La stringo brevemente. Non posso farne a meno. Non che mi piaccia ancora… Ma sentire questo piccolo corpo di donna, fragile e morbido, tra le mani… e poi guardate cos’ha organizzato! Insomma, non sto facendo niente di male. Sto solo abbracciando LA MIA MIGLIORE AMICA.

Dio, profuma di buono.

In quel momento, sento urlare un –Ronniee!- E mi volto verso mia sorella e Luna, che mi corrono incontro. Mentre mi abbracciano, mi baciano, mi fanno gli auguri, mi trascinano nella folla, non riesco a smettere di pensare a quell’abbraccio. L’ultima volta che mi ha abbracciato è stato la mattina che si è svegliata dopo… la Guerra. Poi a Natale mi da un bacio, quando ci vediamo, ma quello di oggi è stato… speciale.

“Concentrati sugli ospiti”.

Ecco i miei.

-Ciao mamma!

-Oh Ron!- è commossa. Questa donna è sempre commossa. –Auguri tesoro mio! Complimenti tesoro mio!

Mi lascio abbracciare, stritolare, dalle sue braccia possenti. Dopo altrettanti “…tesoro mio!” mi passa a papà, che resta più compunto nell’augurarmi un “felice compleanno, Ron.” E nel congratularsi con me per il mio “nuovo e brillante impiego”. Mio padre è una forza. –Avresti dovuto chiedere a me, Ron. Ti avrei procurato un posto là secoli fa.- E sorride. Tutto è così semplice nel mondo di mio padre. Chiedi e avrai. Se chiedi per favore le porte si aprono ed avrai prima.

La pensione gli fa male.

Poi arrivano Fred e George, tutti splendenti nei loro vestiti costosi, con al braccio due belle ragazze (una brasiliana e una spagnola) che pigolano un tenue “Auguri” dalla pronuncia sbagliata.

Finalmente scorgo Harry nella folla, che parla con dei nostri vecchi compagni di scuola. In effetti ne ho visti parecchi, insieme a membri dell’Ordine, colleghi di Ginny, Hermione, Harry e Luna, parenti, amici.

-Harry!- sono sollevato nel momento stesso in cui lui mi sorride. Harry! In questo mare di gente, di cui non me ne frega niente (certo, mi fa piacere rivedere gente… ma il tuo migliore amico è sempre il tuo migliore amico, no?) qualcuno che io avrei di certo invitato alla mia festa. Oddio, la vecchiaia mi rende smielato e asociale.

-Ron! Auguri!- mi batte un colpo sulla spalla e, dopo che tutti mi hanno salutato, entriamo in cucina. Sembra sempre un po’ più piccola ogni volta che la vedo. Harry mi versa in un bicchiere un liquido ambrato e me lo porge.

-Come stai?- Chiede.

-Benone!- Affermo, godendomi il mio whisky incendiario.

-Bella la festa vero? Hermione ha avuto l’idea, l’ha aiutata sua sorella ad organizzare. L’hai conosciuta?

-La sorella di Hermione! Sono troppo curioso! Com’è?

Harry fa un sorriso che non mi piace. –è un’Hermione bella.

-Che vuoi dire?

Lui alza un sopracciglio. –Certo, Hermione è una bella ragazza. Ma questa…! Dio mio! E’ davvero una bomba.

-Quella babbana, no?

-L’unica sorella di Mione, che io sappia…

Aggiunge ghiaccio al suo cocktail.

-Con Ginny?- Chiedo, fingendomi indifferente. Harry giocherella con il ghiaccio nel bicchiere, poi lo sorseggia.

-Con Ginny.- Ripete, lentamente. Sembra quasi assaporare le parole. –l’altra sera si è fermata un po’ da me, e abbiamo parlato. Parlato parecchio.

-Parlato?- Non posso trattenere una risata.

Harry fa per rispondermi, e poi il viso gli si apre di nuovo in quel sorriso che non mi piace. –Cassie!

Mi giro di scatto, e una ragazza ci si avvicina. Avrà tre, forse quattro anni meno di noi. Ed è la ragazza più incredibilmente bella che io abbia mai visto. A partire da quelle labbra rosse distese in un perfetto ed elegantissimo sorriso, dolce e spavaldo, alle guance mielate, due grandi, immensi, occhi color d’ambra che riflettono una luce dorata, lunghi capelli castano chiaro acconciati in boccoli perfetti che le scorrono giù per il collo sottile, giocano sul suo petto scoperto, lungo i morbidi seni che si intravedono dalla stoffa semi trasparente della canottiera che indossa. Sulle spalle ha avvolta una sciarpa bianca, deliziosamente in contrasto con il colore caramellato della sua pelle liscia, due lunghe gambe completamente nude, se non per un paio di calzoni cortissimi in jeans e due stivali marroni che le ricoprono i polpacci.

-Harry, ciao!- Poi si volta verso di me. Non respiro. Non respiro.

Harry ha ragione.

E’ l’Hermione più bella che io abbia mai visto.

-Piacere…- mugugno.

-Tu devi essere Ron, il festeggiatissimo Ron!- Persino la sua voce è fantastica. Roca, sensuale, strascicata, elegante.

-Sì, sono io… piacere…

-Auguri! Dio, mi spiace! Volevo riuscirmi a vestire decentemente per il tuo arrivo! Avevo portato un vestito… quasi quasi me lo vado a mettere…

-Stai bene anche così…- Faccio. So di essere rosso. Molto più del solito, insomma.–Piuttosto, vuoi bere qualcosa?

Lei sorride, soffice e sensuale. –Volentieri.- Sembra calibrare ogni parola, ogni suono. –Davvero volentieri.- Mi avvicino alle bottiglie e ai bicchieri, ma lei mi precede. –è il tuo compleanno, lascia fare a me.

Come può saper preparare cocktail così bene?

Ma allora esistono davvero donne che reggono l’alcool?

Veramente sei stata in Africa a fare volontariato?

Ascolti musica celtica?

Leggi tanto, soprattutto scrittori asiatici?

Sei fondamentalmente buddhista?

Sei un’appassionata di musica classica?

Sei vegetariana?

Ami i film di cinema indipendente?

Studi medicina?

Sei una giornalista?

Credi nell’agopuntura? (cos’è poi, l’agopuntura?)

Hai imparato a preparare drink perché di sera lavori in un locale?

Organizzi eventi di beneficenza?

Il vestito che ti aspetta di sopra è di un “famoso stilista francese”?

Hai viaggiato così tanto?

La tua ultima storia è finita così male?

Le domande si susseguono, e lei non sembra stancarsi di rispondere. La sua voce, amara e insieme dolcissima, roca e insieme vellutata, mi narra di posti, eventi, verità che non pensavo nemmeno esistessero. Tutto il mio mondo si è sempre limitato ai maghi. A noi. Ma nel suo sorriso, nei suoi occhi, viaggiano realtà e persone e popoli che io ignoravo. Fino a poco fa. Da quanto tempo sediamo in questa cucina in cui sono stato seduto tante volte parlando del più e del meno con varie persone?

E ora sono qui.

Con Cassandra Granger.

La sorella della donna del mio cuore.

La donna più bella che occhio umano abbia mai visto.

Sorseggiamo un drink dietro l’altro, ridiamo, a tratti pacatamente, a tratti sguaiatamente. La festa si anima sempre di più, ma noi non ci muoviamo.

Non è solo la più bella. E’ anche la più brillante, forte, divertente, spontanea, ironica, vivace, creativa… creatura mai capitata sulla mia strada.

-Ma perché ora non parliamo di te?- si sporge verso di me. Alle sue spalle scorgo l’orologio. Sono quasi le 10,30. A che ora sono uscito dall’ufficio? Erano le 7! Questo vuol dire che parliamo… come minimo… dalle 8!

Mi alzo. –Ne parleremo… ma ora, perché non mangiamo qualcosa?

Lei si mette una mano sulla pancia piatta. –Cavolo! Ho una fame!

In quel momento, ci si avvicina Hermione. Non ha più l’aria di arrendevole allegria che mi ha accolto. Sembra la vecchia scontrosa Hermione. Per un secondo provo la nota stretta allo stomaco, quando i suoi occhi castani e critici accarezzano i miei. Ma è solo un secondo. Lo giuro.

-Hermione! Stavo parlando con tua sorella…- Faccio.

-Ho visto.- Sembra quasi un sibilo, sussurrato tra le labbra ancora perfettamente truccate e sorridenti. Ipocritamente.

-Avevi ragione, Herm! Il tuo amico è simpaticissimo!

Herm? Lei odia essere chiamata Herm. “è brutto e da maschio”, diceva sempre. Forse lo diceva proprio perché così la chiamava sua sorella…

-Già.

-Stavamo andando proprio a mangiare qualcosa…- Continua Cassie. Sembra totalmente imperturbabile all’evidente cattivo umore di sua sorella.

-Ti unisci a noi?- Chiedo, sorridendo.

Scuote piano il capo. –No, io ho mangiato ore fa.

-Okay.- Mentre seguo Cassie le stringo brevemente il gomito. –Grazie della festa, Mione. E’ splendida.

E’ così che fanno i migliori amici, no?

Seguo sua sorella, cercando di convincermi che non c’è niente di male, e che Hermione non mi sta fissando con odio la nuca mentre mi allontano.

Ma Cassie non si sta dirigendo in salotto, dove so esserci il cibo. Sta salendo la scala che porta alle camere. E lo sta facendo con passo sicuro. Si volta brevemente, per rivolgermi uno dei suoi sorrisi.

-Niente cibo?- Chiedo.

-Prima mi vorrei cambiare se non ti spiace…

Faccio per fermarmi, ma lei mi blocca.

-Vieni con me…- Sorride.

Il silenzio si vela di imbarazzanti doppi sensi. Imbarazzanti per me, almeno. Lei sembra perfettamente a suo agio.

-Non ti sembrava scocciata?

-Chi?

-Hermione.

-No… lei è sempre così. Scocciata, nervosa, arrabbiata. E’ Hermione!

Già. Giusto.

Entra nella stanza dei miei genitori, dove, posato sul letto, c’è un abitino minuscolo di stoffa color crema. Lo immagino sul suo corpo sinuoso e solo all’idea mi sento tutto caldo.

-Che carino…- Faccio, lanciando un’occhiata al vestito.

Lei chiude la porta alle mie spalle. Mi sorride. Adesso, nel suo sorriso c’è solo tanta malizia.

-Sì. E’ un bel vestito.

Sento inconfondibile il “tac” della serratura che si chiude.

Si sfila la canottiera, e resta in reggiseno. Un reggiseno di pizzo con minuscoli ricami in perline racchiude il suo seno perfetto.

Si piega appena, togliendosi i calzoncini, poi mi guarda, con quei grandi occhi dorati.

-Allora, Ron.- Sussurra. –Non hai voglia di raccontarmi nulla di te?

Mi sento ammutolito, inebriato dalla sua presenza, ubriaco di lei, e non l’ho nemmeno sfiorata. Improvvisamente sento l’irrefrenabile impulso di farlo. Di sfiorarla. Mi siedo sul letto, e lei continua a guardarmi dritto negli occhi, con quello sguardo forte ed inflessibile.

-Non c’è molto da dire, in effetti…- biascico. Come può una splendida donna come lei pensare di fare conversazione mentre si esibisce in un completino di pizzo e stivali con il tacco?

Sembra una fantasia erotica, ma non lo è.

Sembra quasi una scena comica, ma non lo è.

Sembra un quadro, con la luce tenue della festa che le balla sul viso.

Ma non lo è. Lei è vera. Vera.

-Io, veramente, sapevo molte cose interessanti di te.

-Davvero?

Annuisce, e i boccoli le cadono sul viso, rendendola improvvisamente pudica.

Allungo una mano e glieli sposto, famelico di vedere ancora quel sorriso.

E in un attimo, annego in quei ricci soffici, in una fragranza esotica di pelle calda e profumi costosi, stoffe di famosi “stilisti francesi”, trucchi raffinati, carezze calde e precise, movimenti sicuri e determinati, sensuali, sussurrii fragili, risatine roche, labbra, denti, lingue, braccia, gambe… lenzuola dei miei genitori… luci calde e lontane delle fiaccole… il chiacchiericcio della festa… Poi alza su di me il suo sguardo vaporoso e vellutato e mi sorride, dolcemente. Cingo con le braccia la sua vita sottile e ogni singolo frammento di me è concentrato su di lei. Ma in un angolo della mia mente mi chiedo cosa sto cercando di trovare in quella donna quasi troppo incredibile per me.

Mi concentro sul suo sguardo, caldo e felice come non mi sentivo da tempo. Ma insieme con quella fastidiosa tristezza con cui convivo quotidianamente.

E poi lo capisco.

E’ proprio quello sguardo vaporoso e vellutato… così dannatamente uguale a quello di un’altra donna. Un’altra Granger. Una Granger vissuta in altro mondo, in altre circostanze, con altre esperienze sulle spalle e altre parole sulle labbra… In quella mia vita che non sembra nemmeno più appartenermi.

*

Okay, okay. Adesso non fucilatemi, non fatemi del male, continuate a seguirmi. Please. Questo capitolo è assolutamente funzionale alla trama, come potete immaginare. E non alzate gli occhi al cielo pensando “ecco, questa storia è già letta e riletta”. Sì, forse l’originalità non è il prerequisito fondamentale di questo scritto, ma ho ancora qualche sorpresina in serbo per voi, e spero le potrete gustare tutte.

Poi. Io non sono specializzata nello scrivere le scene di sesso. Non ho messo avvisi per questo capitolo perché a mio parere anche una bambina di 12 anni può leggerlo, ma se credete cambierò il writing… Se non vi piace com’è scritta quella parte, ditelo senza peli sulla lingua e fate le critiche dovute. Sono la prima a farmene, e a questo punto mi piacerebbe davvero assorbire qualcosa dai miei lettori, visto che siete sempre così carini da seguirmi passo-passo in questa “carriera” di scrittrice di FanFiction *commossa*. Davvero ^^.

Detto ciò, ho parlato anche troppo. Ho un fumetto de “il giocattolo dei bambini” da finire che mi aspetta =P

Vi abbraccio stretti, stretti, alla prossima =)

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Capitolo 7
*** 3.01 Odiarti ***


Ciao a tutti =)

Ciao a tutti =)

Eccomi con due nuovi capitoli =)

Come va? Spero che stiate tutti bene… e che non vi aspetti una settimana pesante e noiosa come la mia =.=’’

Come prima cosa voglio davvero ringraziarvi per i commenti ** Siete davvero carini, tutti quanti, e sono felice di vedere che qualcuno continua a seguirmi attraverso gli anni e le mie varie FanFiction, è sempre un piacere rivedere vecchi nomi, quasi più che vederne di nuovi, anche se anche quello mi piace un sacco!

Molti mi chiedono di dare più spessore ad Harry e Ginny, e vi confesso che sarebbe piaciuto anche a me… tuttavia la storia poi ha preso una sua strada e non mi è stato possibile renderli troppo presenti, anche se più avanti avranno anche loro la loro parte, tranquilli =P Intanto, se avete voglia di leggere un po’ i “miei” Harry e Ginny mi sento di consigliarvi (Ossia di pubblicizzare… NdMe) la mia ultima One Shot “Amami Ancora” http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=152541&i=1 che mi piacerebbe molto che alcuni di voi recensiste :P

E sempre del genere “pubblicità occulta” ho appena pubblicato anche una storia con personaggi miei, una piccola prova di uno stile un po’ diverso dal solito, in cui do meno spazio alla descrizione dei personaggi e di più a quella dei loro sentimenti in un preciso ambito della loro vita… Si chiama “Breve tributo ad un amore mai andato a segno” http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=198384&i=1 E sarei davvero davvero curiosa di sapere che ne pensate.

Ecco, mi pare di avervi detto tutto.

Continuate a seguirmi e a commentarmi, Siete deliziosi =)

Capitolo 3.01

Odiarti.

Hard times flowing and my eyes couldn’t see stars shining

My heart couldn’t feel the beauty of the rising sun

And I’m lost like a bottle that floats in the sea for ever

Will somebody pick up my hope?

Will somebody try?

Will I realize?

’cause it’s broken broken

Something got broken like stolen

Stolen, like if it was stolen

And hurting, hurting

I have been hurting and now

Only time will tell

Time will heal

Just pieces of truth that I chose to keep

No matter if now they are gone

No matter if I am alone

Still I can get back on my feet and walk on

As I know there was something to learn

I know there will always be more worth moving on for

Though, it’s broken broken

Something got broken like stolen

Stolen, like if it was stolen

And hurting hurting

I have been hurting and now

Only time will tell

{Broken-Elisa}

Hermione.

Non mi sono mai reputata una stupida. Ma nel momento stesso in cui vedo mia sorella e Ron scendere dalle scale del piano di sopra, lui rosso e con un sorriso beato, lei con uno scintillio di malizia negli occhi, mi rendo conto subito che lo sono sempre stata. Una pura, grande, immensa, idiota. Non c’è niente da aggiungere, nient’altro da dire. Una bambina. Mi sento morire. Come se qualcosa mi si spezzasse nel petto, come se mi mancasse il fiato, mi venisse messo in bocca un enorme batuffolo di cotone. Mi gira persino la testa. E poi Ginny, che mi squadra con un velo di imbarazzo e compassione.

Perché mi sembra che tutti mi stiano guardando?

Pensavo che non avrei mai provato la sensazione di quelle feste da adolescenti dove tra due succede qualcosa e la festa improvvisamente sembra girare tutta intorno a quel fatto. Pensavo che non sarei mai stata quella da compatire. Come mai sembra che tutti sappiano di me…? Mi volto verso le bottiglie e mi verso una generosa dose di gin.

Harry mi afferra brevemente il gomito e mi sussurra un amichevole: -Mione, andiamo a casa.

Mi volto verso di lui, supplicando i miei occhi di non essere lucidi e lividi come mi sento io. –Perché dovremmo?

Mi rendo conto che la voce mi trema, forse un po’ troppo acuta. Mi sento ridicola.

Alza un sopracciglio, sorridendomi. –Forse sei un po’ brilla, eh?- Fa, dolcemente. Ma io non sono brilla. Sono solo arrabbiata! Arrabbiata perché dovevo essere io la donna del festeggiato, questa notte. Non mia sorella! Mi prende il bicchiere dalla mano e mi sorride ancora. –Io, credo che sia arrivato il momento di andare a casa.- ripete.

Arriva Ginny, con lo stesso sorriso impietosito, che non sopporto, di prima.

-Sto benissimo!- Dico, prima che lei possa lanciarsi in una frase da amica che i miei nervi non potrebbero reggere.

Sono solo un’idiota, solo questo, niente di più.

-Davvero? Vuoi che ti porto a casa?

-Non siate ridicoli. Non c’è motivo per cui io me ne vada dalla festa che ho organizzato.

Sorrido, spavalda, piena di orgoglio.

Ma dentro, sono tutta, completamente, distrutta.

Sto davvero provando a non pensarci. A non pensare a te, a me, a noi. E mi rendo dolorosamente conto che sei l’unica parte di me e della mia vita che non sono in grado di controllore. Non sono mai stata in grado di farlo. Ogni volta che si è parlato di te, mi sono sentita confusa, piena di emozioni, sensazioni… Mi sono sentita arrabbiata, raddolcita, intenerita, divertita, spaventata, ho provato per te più odio e più amore che per tutti gli altri nella mia vita. Mi hai dato più gioia e dolore di tutte le persone che conosco. Un tuo sorriso, una tua parola, possono ricucire le mie ferite ed aprire i più profondi tagli dentro di me. Non ho mai pianto ne riso tanto con e per qualcuno. Sei tutti gli estremi del mio cuore distrutto, distrutto d’amore, distrutto per te. Perché? Perché mi fai questo? Nessuno ha mai provato tanto per te, lo so. Nessuno ha mai pensato tanto a te, nessuno è mai stato tanto attento a te, tanto dolce, tanto buono con te. E tanto crudele, certo. E tanto perfido. E tanto strafottente e arrogante… Nessuno. Ma pensavo, nella mia vanitosa, nella mia egocentrica, nella mia assurda visione del mondo, che anche tu fossi preso da me. Non parlavo d’amore. Parlavo di passione. Parlavo di attrazione. Mi accontentavo anche di un po’ d’esile desiderio. E invece, ancora una volta, mi sono illusa che le cose andassero come preferivo, come volevo, come mi faceva meno male credere. Perché sono fatta così? Per tutti questi anni ho atteso, sperando che Harry avesse ragione, sperando di avere io stessa ragione. Noi che ti conosciamo così bene, ci siamo sbagliati su di te. Tu per me provavi esattamente quello che davi a vedere: affetto verso una vecchia amica rompi-coglioni. Tutto qui. Che altro c’è da provare verso di me?

Seduta sul mio letto matrimoniale intatto, le lenzuola di seta bianca comprate perché questa notte doveva essere la nostra notte, la vista accecata dalle lacrime che tento di trattenere, mi fisso nella specchiera della mia toeletta. Sono quel genere di donna che la gente indica con il dito pensando “io non voglio essere come lei, poverina”.

Una venticinquenne legata irreparabilmente al sogno del suo primo ed unico amore. Una venticinquenne che vive nell’illusione che “prima o poi” succederà. Una venticinquenne che si nutre di sogni e lavoro. Una venticinquenne che vive di ricordi e progetti, ma che nel presente non ha niente. Mi guardo, disprezzandomi. I capelli che mi erano sembrati perfetti, una volta tanto, come se i soliti ricci indomabili e crespi fossero diventati soffici, mi ricadono flosci e stanchi intorno al viso. Quelle guance che per tante ore avevo truccato, quelle labbra su cui avevo applicato matita e rossetto, quegli occhi che avevo ispessito con i trucchi di Ginny per dargli un’aria intrigante… tutto questo sembra spento, finito, finto, tutto si scioglie sotto lacrime pesanti e salate, tracciando solchi nella mia maschera di sicurezza. Mi tolgo con rabbia il tubino rosso che avevo comprato per te. Ed ecco, ecco i pizzi delicati e neri che volevo che mi togliessi di dosso, sfilandomeli dolcemente, accarezzando la mia pelle lievemente mielata. Oppure strappandomeli con la furia dell’amore, troppo preso dall’impulso di vedere cosa vi è celato. In ginocchio davanti allo specchio osservo quello che hai lasciato di me, Ronald. Un corpo pronto, ed ora completamente svuotato. Un corpo di donna che dentro si sente il corpo di una vecchia piena di rimorsi. Lo osservo tra le lacrime, i seni alti e pallidi, i capezzoli turgidi nella loro corona rosata, l’ombelico tondo, un leggero tappeto di peluria dorata, e poi il riccio nascondiglio del mio sesso, tra lunghe gambe arrotolate su se stesse, la pelle tremante e bollente coperta di brividi. E poi guardo il mio viso, le lacrime, gli occhi lividi, le labbra secche e supplicanti.

-Fai schifo, Hermione Granger. Sei una fallita.- Mi dico, a voce alta.

E anche se non vorrei, nello specchio prede forma il viso meraviglioso, il corpo perfetto, nelle mie orecchie suona la voce leggermente roca, nell’aria sento il frizzante e dolce sapore di mia sorella. Lei. Lei così perfetta, lei così simpatica, lei così emozionante, lei così unica, lei così originale…

E tu giustamente tra noi hai scelto lei.

Ma non posso fare a meno di essere disperata per me stessa.

Guardami Ronald, tutto questo era solo per te.

E ora tutto questo è solo per farmi stare peggio, peggio, peggio.

Quando apro gli occhi il lunedì mattina, tutta la tristezza, la frustrazione, sono spariti. Dissolti in una nuvola cotonata, in un lontano e futile ricordo. Mi alzo, fresca e riposata dopo un week end passato tra il letto, la vasca da bagno, il divano. Ho preso la mia decisione, e ne vado anche parecchio fiera. Infilo il tailleur pantalone blu, le scarpe a punta, lego i capelli in una coda alta. Mi passo un filo di trucco sul viso, bevo un caffè rapido, lavo i denti e, con la borsa in spalla, mi smaterializzo vicino al Ministero. Non c’è nulla ora che può farmi cambiare idea. Nulla.

Aspettare Ron, amare Ron, odiare Ron. Tutto questo mi ha impegnata per troppo tempo, ha imbavagliato la mia mente, legato la mia vita ad un unico punto intorno al quale girava ogni cosa. Ma ora basta.

Non intendo aspettare per sempre che le cose vadano come voglio che vadano.

Entro con passo determinato e spedito nell’atrio luminoso del Ministero, la gente mi saluta con rapidi e abituali cenni del capo. Sorrido a tutti loro.

Sto facendo un grande passo, signori miei.

Entro nell’ufficio del Ministro. I suoi occhietti d’oro mi studiano per un attimo, come fa un vecchio zio che rivede un nipote dopo tanto tempo.

-Ministro.- Lo saluto cordiale, gli stringo la mano non più tanto forte. E lui, con il solito sorriso sdolcinato afferma: -Sono fiero che abbia accettato la nostra proposta, Miss Granger.

-Ne sono fiera anche io.

-Sono certo che si troverà molto bene in questo progetto.

-Anche io.- Sorrido, con aria sicura di me, sedendomi di fronte a lui.

-Avevamo davvero bisogno di persone con la sua esperienza, capacità, coraggio…

Sorrido, ora imbarazzata.

-E poi abbiamo messo su un’equipe a dir poco fantastica.

-Sono felice.

-è proprio sicura della sua scelta, no?

Annuisco, tranquilla. –Certo.

-Bene, allora. La partenza è domani sera, spero non sia troppo presto.

-Affatto.- Provo un moto di euforia. Domani sera! Domani sera mi sarò buttata alle spalle Londra, Ron, il Ministero, Ginny, Harry, Luna… Mia sorella. Tutto ciò che mi lega dolorosamente alle mie cicatrici.

-La prima tappa è in una riserva indiana in america. Lì la strage della Guerra Magica ha fatto molte vittime.

-Sono felice di dare una mano.- Davvero felice.

In quel momento la porta si apre, e ne entra un giovane uomo, alto e dalla pelle abbronzata. Ha due grandi occhi dall’azzurro venato e un ciuffo di capelli biondo cenere, resi chiari e crespi da un’evidente permanenza al sole. Mi sorride distrattamente, senza però distogliere lo sguardo dai miei occhi.

-Hermione Granger, le presento Richard Doubet. Signor Doubet, Hermione Granger… la sua nuova compagna di viaggio.

Richard Doubet mi tende una grande mano abbronzata che avvolge la mia in una stretta fulminea e determinata. Non distoglie lo sguardo dai miei occhi.

-Piacere.- Dico, tranquilla.

-Ti unirai a noi, allora.- Dice, sorridendomi. –Vengo da 15 giorni in una città dell’Uganda. E’ davvero un onore per noi avere trai nostri la famosissima Hermione Granger… spero non ci troverai tutti ridicoli.

-Perché dovrei?- dico, ridendo.

-Perché noi non abbiamo combattuto poi molto quando serviva… così proviamo a ricucire ora le ferite.

Mentre lascia la mia mano mi scopro a pensare che ricucire le ferite, è esattamente quello che mi serve. -Proprio quello che intendo fare anche io.

Un guizzo ironico attraversa gli occhi del primo personaggio del mio incredibile futuro… un futuro in cui non sono contemplati migliori amici di cui innamorarsi, guerre mortali, delusioni cocenti… un futuro senza lacrime… un futuro senza Ron.

*

… Commentino? **

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Capitolo 8
*** 3.02 Senza più te. ***


Una volta mia mamma mi ha detto che il problema dell’amore è che non ci si trova mai nello stesso punto nello stesso momento

Una volta mia mamma mi ha detto che il problema dell’amore è che non ci si trova mai nello stesso punto nello stesso momento. Che tu ami qualcuno che magari non ama te, e poi un giorno lui potrebbe amarti mentre tu non ami più lui. Che potreste volerci provare entrambi senza saperlo per un tempo lunghissimo e poi rinunciare entrambi senza lasciare sbocco a un eventuale rapporto per le troppe indecisioni e le troppe paure, oppure rinunciare nel momento più sbagliato… Mi ha detto che i rapporti con gli altri sono così, totalmente imprevedibili. Potremmo non sapere mai, mai, che qualcuno che abbiamo amato ci ha amato… O potremmo non sapere mai che qualcuno cui non abbiamo mai prestato attenzione ce ne prestava un sacco.

Allora mi sono chiesta perché, perché, bisogni nascondere quello che si prova per la gente e la risposta che mi sono data in futuro, nascondendo quello che provavo, è stata: Per evitare di scoprire di essere da sola in QUEL punto, in QUEL momento.

Credo che questo sia un po’ il tema di fondo della mia FanFiction, in caso non l’aveste capito. =P

Capitolo 3.02

Senza più te

I saw her today at the reception

A glass of wine in her hand

I knew she would meet her connection

At her feet was a footloose man

Now, you can't always get what you want

You can't always get what you want

You can't always get what you want

But if you try sometime

You'll find

You get what you need

I saw her today at the reception

A glass of wine in her hand

I knew she was gonna meet her connection

At her feet was a footloose man

You can't always get what you want

You can't always get what you want

You can't always get what you want

But if you try sometime

Well you might find

You get what you need

Oh yeah

All right baby

Yeah

{You can’t always get what you want- Rolling Stones}

Ron.

Non ho fatto assolutamente niente di male. Nulla. Non c’è niente di male. Continuo a ripetermelo con insistenza mentre cammino nell’uggiosa mattinata, lungo affollate vie di Londra, per qualche folle ragione, bruciante di vergogna e, insieme, di una strana e perversa forma d’orgoglio. Niente di male. Insomma, mi ripeto, annaspando in un imbarazzo personale che non mi posso spiegare, perché fare sesso con la sorella minore della donna che amavo dovrebbe essere una cosa di cui pentirsi? Non sono andato a letto con lei, ma con sua sorella. Più giovane. Più bella. Più originale.

Nei suoi occhi non ci sono squarci del nostro passato.

Nelle sue parole non posso risentire le tristezze e le ansie dei giorni andati.

Nel suo sorriso non posso rivivere il mio essere adolescente ed innamorato.

E’ così dolcemente confortante avere improvvisamente un domani.

Eppure…

Entro nell’ascensore. Sprofondo nel Ministero dorato. Eccomi. Ci sono quasi. Ciao. Eccomi. Ron Weasley. Un uomo che dopo aver dimenticato una donna è andato a letto con la sua strabiliante sorella minore babbana.

Mi viene incontro Ernie. Il suo sorriso un po’ storto mi accoglie.

-Ron!

-Ehi, Ernie. Come stai?

Il suo sorriso un po’ storto si bagna d’ironia. –Io molto bene. Passato un buon week end?- Improvvisamente capisco. E sembra che tutti mi guardino.

Mi sento come quella volta al quinto anno di Hogwarts che io Lavanda pomiciavamo ovunque, e tutti hanno iniziato a parlare. E mi sentivo osservato… e avevo la dannatamente orribile sensazione di aver ferito Mione.

-Molto buono, sì.- Faccio, indifferente. Sento le orecchie diventare rosse. –Grazie di essere venuto alla festa.- La cosa più furba è mettere subito le carte in tavola. Prima che siano gli altri a farlo. –è stato carino, no?

-Molto.

Lo saluto brevemente e salgo verso lo studio di Mione. La cosa migliore è mettere subito le carte in tavola, mi ripeto. La inviterò fuori con me e Cassie. Le dirò che può portare un amico. Con una fitta di speranza supplico di leggere la gelosia nei suoi occhi. Sono solo un illuso.

Sento la sua voce ancora prima di vederla. E’ concitata, allegra, squillante. Appena svolta l’angolo e i suoi occhi incrociano i miei, mi sento ancora esattamente come quando, quella sera, sono entrato in un aula vuota e ho trovato li lei e Harry. E lei, circondata da una spumeggiante aureola di canarini, gli occhi attraversati da lacrime di rabbia che non capivo, mi aveva attaccato con quegli stessi uccellini piumati che le circondavano il capo. Mi sentii uguale, suo schiavo, mi sentii uguale, in balia delle sue parole e del suo umore come un granello di sabbia sulla battigia. Ma il suo sguardo è diverso. E’ uno sguardo diverso: uno sguardo forte, acuto, uno sguardo di distaccato affetto, come per qualcuno che un tempo faceva parte del tuo cuore. Non c’è più quell’alone di dolcezza che riusciva a scheggiare anche la sua più integra severità. Mi sorride con un velo di disprezzo.

-Ron.- Fa, sempre fredda. Al suo fianco, impeccabile in un look totalmente fuori posto eppure perfetto come io non sarò mai, spicca un uomo alto, dai ricci biondi che ricadono distrattamente su una fronte perfettamente abbronzata. Indossa pantaloni di tela e in spalla ha una borsa tutta rovinata. Mi rivolge un sorriso genuino, fresco, un sorriso felice.

-Weasley!- Fa, ridendo. –Cavoli, Ron Weasley ed Hermione Granger in un solo giorno! Mi farete conoscere anche Potter?

Hermione ride, ora più calda. La sua voce si fa educata. –Ron, ti presento Richard Doubet. Richard, questo, come avrai capito, è Ron Weasley.

-Piacere Richard.- Faccio, diplomatico. Una stretta al cuore mi fa perdere un respiro. Non so se essere più affranto perché quest’uomo sembra essere così dannatamente perfetto, o perché quest’uomo sta ridendo e scherzando con Mione. Forse per tutte e due. E’ un insieme. Sì. Forse.

-Piacere!- Fa ancora, entusiasta.

-Mione, come va?- Voglio risultare in confidenza. Sembro solo tanto infantile, lo so. Ma non posso farne a meno.

-Bene, Ron. Io e Richard stavamo appunto parlando della mia imminente partenza.

Non posso che alzare un sopracciglio, sorpreso.

-Fai un viaggio?

-Facciamo, in effetti. Ma non so se si può definire “un viaggio”.

…Facciamo?! …Viaggio?!

-Dove…- Mi ricompongo. –Dove andate?

-Una riserva indiana, in America. Una campagna di riabilitazione per i reduci della Guerra.- Sembra così dannatamente formale. E… Felice (?). Forse è meglio soddisfatta.

-Davvero? E quanto starai via?

-Parecchio, credo.- Si volta verso Richard.

-Di solito sono almeno 6 mesi, sì. Poi dipende. Da lì ci sposteremo… verso il Messico, magari, o non so… potrebbe anche essere un anno…

Il dolore che mi lacera il petto è così immenso da non poter essere frenato.

Non voglio sapere quanto “imminente” sia questo “imminente”.

-Volevo chiederti…- Improvvisamente mi sento ridicolo. Io e Cassie? E’ stato un week end di sesso. Certo, ci sono state chiacchiere e progetti, ci sono stati baci e cenette e pranzi e coccole, in mezzo al sesso… Ma se fosse stato solo questo? Invece guardatela. Lei e Richard andranno a “riabilitare i reduci della Guerra”. –Volevo solo chiederti se ti andava un caffé.

Per un secondo mi sento così piccolo.

Così stupido.

Immaturo.

-Non posso, ora, Ronald. Io e Richard abbiamo molto da organizzare.

-Certo. Magari… dopo.

-Okay. E salutami Cassie.

Ha vinto.

Non è giusto. Non è giusto. Ogni cosa che faccio provoca tensione tra di noi. Ogni cosa che faccio ci fa stare male entrambi. Ogni parola che dico. Ogni minimo gesto è un modo come un altro per litigare, per ferirci, per arrabbiarci. Perché? Perché le cose non possono essere facili?

Ho solo bisogno di piacerle.

Non mi interessa di piacerle come ragazzo.

Per lo meno come amico.

Io ora ho Cassie. Non mi interessa avere una donna. Non Mione. Non più.

Ma io… ho bisogno che lei mi sorrida. Che mi apprezzi. Ho bisogno di non sentirmi sempre una merda nei suoi confronti. Chiedo così tanto? E’ una richiesta così incredibile?

Siedo nel mio studio nuovo di pacca e la testa mi scoppia dalla rabbia, dal nervosismo, dalla tristezza. Sono stufo di convivere con questo mio essere così sbagliato sempre… con questo nostro essere sempre sbagliati… inappropriati… Idioti, fondamentalmente idioti. Ci perdiamo nella rabbia perenne di uno nei confronti dell’altra. Non ha senso.

Oltre i palazzi londinesi, il sole si sta leggermente impigrendo, crolla sotto una coltre argentata di nuvole e goccioline d’acqua. Tra poco un fragile buio si abbatterà su una Londra pronta a sonnecchiare, e il mio turno finirà. Dovrò uscire dal comodo riparo di questo studio e affrontare tutto quello che ho ignorato oggi. Tutto. Hermione che mi chiama. Cassie che mi aspetta per uscire. Harry che è “dannatamente preoccupato per te, cazzo”. Ginny e le sue ramanzine. Rimandato, tutto nascosto da pratiche da sbrigare, telefonate da fare, delinquenti da tenere d’occhio. Ma ora non posso più. Il sole si abbassa ancora un po’, il suo colore mielato si screzia d’argento. Ci siamo. In lontananza suonano le 6 di sera. Mi alzo, mi infilo la giacca, raduno un po’ di scartoffie e infilo in borsa le ultime cose, spengo le luci, mi chiudo lo studio alle spalle, stupendomi di come in poco tempo questi gesti siano diventati per me un’abitudine come tutte le altre. Scendo le scale soprappensiero, e quando vedo nella folla la chioma riccioluta di Mione la prima cosa che mi viene in mente è che presto se ne andrà, e non la rivedrò per un tempo così lungo da sembrarmi irreale. Mione. La mia Mione. Sei mesi o anche di più. Non sentire la sua voce, non vedere i suoi occhi fiammeggianti, non essere toccato furtivamente dalle sue dita pallide e lisce, non chiacchierare con lei, con il suo essere così materna, così amichevole, così scontrosa, così dolce… così Hermione.

Mi sento abbandonato, improvvisamente, come se senza di lei mi rendessi conto di non avere altro.

Sarò solo.

-Mione!- la chiamo. Sopra la rabbia, sopra il rammarico, ora dentro di me mi sento assalito da una tristezza che mi spezza il respiro.

Se ne andrà e ci saremo salutati così? Continuo a pensare. Lei se ne andrà portandosi via di me il ricordo di un Ron immaturo e arrabbiato. E mi odierà mentre viaggerà per il mondo, mentre salverà vite, mentre berrà drink chic con Richard.

Lei si volta, e nei suoi occhi lampeggia una minuscola punta di dolorosa rabbia, e il sorriso duro che mi rivolge fa saltare un battito al mio cuore.

Cos’ho fatto per meritarmi questo trattamento?

Entriamo in silenzio nell’ascensore, facendoci portare nelle strade sassose e fredde, bagnate dalla fragile luce del tramonto e da piccole gocce gelate di acqua che inizia a cadere.

-Quando parti?- Chiedo.

-Parto.

Silenzio, carico d’offesa, carico di rimorso, carico di noi.

-Okay.- Dico, piano. –Posso sapere perché?

-Perché, cosa, Ronald?

-Parti.

-Parto e basta.

-Okay.

Silenzio, teso, doloroso, silenzio.

-Perché sei arrabbiata con me?

-Non sono arrabbiata con te.

Suona così dannatamente falso, quella sua voce apatica, intrisa di sopportazione, trema lievemente. La guardo di sottecchi, mentre la pioggia che si abbatte sul suo bellissimo viso contratto dalla rabbia le fa scivolare il trucco dagli occhi. L’ha ripetuta talmente tante volte quella frase, negli ultimi anni, che è impallidita.

-Sono stufo di essere trattato così da te, Mione.- Dico. Non urlo. Parlo lentamente, mentre tutto intorno a noi sembra bloccato, ovattato dalla pioggia che cade, pesante, creando tra noi e il mondo un vetro spesso e ghiacciato. –Stufo di aspettare di essere apprezzato da te. Stufo di sentirmi come se fossi una piccola merda che non merita nulla. Sono stufo di questo trattamento, Mione. Stufo di aspettare che tu capisca che ti voglio bene. Stufo di essere il tuo stupido amico da trattare così, senza nemmeno il beneficio di una spiegazione.

E’ ammutolita, mi squadra con negli occhi la desolazione di quando qualcosa finisce.

Non risponde.

-So che in qualche parte del tuo cervello sai che questa volta ho ragione, Hermione.- Pronunciare il suo nome per intero mi fa rivoltare lo stomaco. è un addio? –Vorrei almeno sapere perché mi odi tanto.

Stringe le labbra in una morsa pallida.

Scuote il capo, con le pesanti gocce d’acqua che la bagnano tutta.

-Non importa.- Dico, piano, sorridendole. –Va bene così. Fa buon viaggio, Hermione.

E sapete cosa c’è di nuovo? Amare fa male da morire. Ti fa sentire così piccolo e insulso, ti fa camminare nella pioggia senza nemmeno la forza di piangere. Amare ti fa sentire come se tutto il mondo non ti appartenesse, come se tu fossi un minuscolo granello di sabbia sulla battigia, e le onde che si infrangono su di te sono dolorosamente profumate di lei.

Ma mentre cammini nella pioggia e calpesti tutto quello che un tempo ti parlava di sogni, tutto quello che un tempo ti parlava d’amore, e decidi di non amare più, allora quel dolore va via. Viene sostituito da un vuoto immenso, un vuoto forse ancora più struggente e doloroso del dolore in se, un vuoto che ha bisogno di essere riempito. E riempirlo con nuovo amore non è quello che vuoi. Non è quello che ti serve.

Sotto un piccolo portone di legno, infilato in un giubbottino blu notte, sotto un ombrello a pois, un piccolo corpo dorato, dai lunghi capelli castani, mi sorride.

Non puoi sostituire quel vuoto con l’amore.

Ma puoi sostituirlo con qualcos’altro.

Le sue labbra vellutate si sporgono e sfiorano le mie.

Un nuovo profumo, nuove piccole dita, nuovi suoni, nuove voci, nuove risate.

E anche se non sapranno d’amore, sapranno di felicità forse, questa volta.

Ed è quello di cui hai bisogno.

*

Sob Sob. Rileggendo queste parole mi ricordo sempre conto di come mi sentivo quando le ho scritte… Ma lasciamo perdere l’autobiografia, perché è arrivato il momento che preferisco: quello dei vostri commenti! =D

Buona settimana, alla prossima =P

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Capitolo 9
*** 4.01 Non è una fuga ***


Buon giorno

Buon giorno! Anche questa settimana vi lascio una razione di Ron-Hermione.

Cercate di vedere questa separazione, questa lontananza, come una cosa inevitabile per guardare le cose in una prospettiva migliore. Nella vita bisognerebbe fare sempre così: allontanarsi dal problema per vederlo come un problema più piccolo di quello che non sia in realtà.

Buona lettura, e buona domenica ^^

Capitolo 4.01

Non è una fuga

This guy was meant for me

And I was meant for him

This guy was dreamt for me

And I was dreamt for him

This guy has danced for me

And I have danced for him

This guy has cried for me

And I have cried for him

Many miles many roads I have travelled

Fallen down on the way

Many hearts many years have unravelled

Leading up to today

This guy has prayed for me

And I have prayed for him

This guy was made for me

And I was made for him

Many miles many roads I have travelled

Fallen down on the way

Many hearts many years have unravelled

Leading up to today

I have no regrets

There's nothing to forget

All the pain

Was worth it

Not running from the past

I tried to do what's best

I know that I deserve it

Many miles many roads I have travelled

Fallen down on the way

Many hearts many years have unravelled

Leading up to today.

{I deserve it-Madonna}

Hermione.

Non posso nemmeno pensare di essere io. Io? Hermione Granger! Guardatemi! Sono seduta su una branda bianca, mi guardo in uno specchio in legno. Fuori dallo spesso tessuto della tenda, sento un forte e concitato chiacchiericcio. Sono più magra, sembro quasi più alta, i capelli pesantemente sbionditi dalle ore di sole, le unghie tagliate corte, le mani screpolate, abbronzata come mai in vita mia. La mia agenda aperta sul letto segna il 10 di giugno, e io sono qui, in Sri Lanka. In America c’è voluto meno del previsto, abbiamo sistemato in fretta la situazione. E non mi sono mai sentita così bene in vita mia. Mai, almeno credo. E ora sono qui, in una tenda che sa di gelsomino (adoro queste candele!) indosso un vestito di stoffa leggera, sorrido al mio viso abbronzato, stanco… Così dannatamente simile a quello di mia sorella. Al pensiero una fitta dolorosamente famigliare mi attanaglia lo stomaco, ma io la ignoro. Ho imparato a non pensare a Cassie, al fatto che lei sia stata la persona in grado di farsi amare davvero da Ron. L’unica forse. Nelle sue lunghe lettere, Ginny mi ha detto di come siano felici, tranquilli, spensierati. “Ha ricominciato a vivere, Mione. Spero davvero che tu abbia fatto lo stesso.” Mi sono arrovellata sul significato di quella frase. Non ci sono riuscita. Mi risuona in testa come un amuleto. Abbiamo ricominciato. Ci siamo lasciati alle spalle tutto… Ogni tanto una cieca malinconia si impossessa di me, malinconia al pensiero di quello che abbiamo gettato dietro di noi, quel fragile equilibrio che ci teneva in piedi, o che almeno teneva in piedi me. Ma quello che è certo è che, spezzato quell’equilibrio, non solo sono stata capace di camminare… ma per la prima volta in vita mia lo faccio senza dovermi appoggiare a nessuno. Mi alzo, e la stoffa colorata del mio abito stretto, corto, elegante e insieme spartano, mi scivola sulla pelle delle gambe. Nel lampeggiare dei miei stessi occhi mia sorella sembra farmi uno strano ghigno. Forse nonostante tutto mi hai fatto un favore, penso. Ma è solo un momento, e l’ingresso della tenda si apre, rivelando il viso sorridente e rilassato di Richard.

-Rick!- Lo saluto, sorridendo ampiamente. –Sono pronta!

Anche lui mi sorride, il suo viso abbronzato e sereno sparisce al di la della tenda e io lo seguo. La luce di un falò sulla spiaggia colora gli ultimi bagliori della giornata, mentre un mare quieto e dorato si infrange sulla battigia bianca e sabbiosa. Sorrido alla vista di tutto quel semplice eppure perfetto splendore.

-è bellissimo qui.- Faccio, piano.

-Oh, sì.- La sua voce è roca, tranquilla. Il suo tono è sempre pacato, gentile, rilassante. Non lo mai sentito urlare, e anche quando si innervosisce o è contrario mantiene sempre quel distacco elegante che non è da confondere con la freddezza, ma è solo un segno di perfetto autocontrollo.

-Stasera specialità locali?- Gli chiedo, sempre sorridente.

Lui annuisce. –Mangerai così tante specialità locali che presto non ne potrai più!

All’inizio mi sembrava strano frequentare qualcuno con il quale non avevo niente di passato in comune. Lui e gli altri che lavorano con noi (siamo una grande squadra, anche se noi stiamo per lo più con Ada, un’italiana energica e divertente, Samuel, un africano politicamente impegnato, Clair, francese pratica ed elegante, e Mark, nostro compatriota) sono insieme da parecchio tempo. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, non conoscevo i loro modi di dire, i loro scherzi, non avevo confidenza con loro e pensavo che mai l’avrei avuta. Io, abituata a frequentare sempre le stesse persone, e ad avere sempre e solo con loro la dolce e splendida intesa che loro avevano, pensavo non sarei mai riuscita a ricominciare da zero. E invece Richard mi ha presentato ad Ada e Clair, che mi hanno presa volentieri nella tenda con loro, e ben presto abbiamo iniziato a parlare del più e del meno in uno strano intreccio di inglese, francese e italiano. Così, sotto l’ala protettiva di Richard e sotto l’influsso positivo dell’amicizia con Ada e Clair, ho lentamente e inesorabilmente cominciato a scalare la mia vetta personale.

E ora non sento più di essere l’ultima arrivata, ma solo… solo una di loro. Con i loro modi di dire, i loro scherzi, le loro abitudini… e i loro progetti. Avere progetti per il futuro con nuovi amici, nuove persone che non siano Harry, Ron, Ginny e Loon, è qualcosa che insieme mi emoziona e atterrisce.

Ma nel sorriso sereno di Richard, capisco perché devo lasciare che l’emozione e la serenità superino ogni altra sensazione in me: questa volta devo concedermelo. Mi sono meritata un riscatto personale.

-Già, ne faremo indigestione.

Mi fa l’occhiolino. –Non dimenticare le riserve britanniche nel mio zaino… nei momenti grigi abbiamo sempre qualche zuppa, un tea e un biscotto.- La sua risata calda mi avvolge in una nuvola e insieme ci avviamo verso il buffet.

Ada mi viene in contro, il viso struccato, un paio di jeans tagliati corti e una camicia a quadri rossi, ma, nonostante il look per niente elegante, nella curva sinuosa del suo corpo e nella sua lunga chioma corvina, riconosco in lei la più bella tra noi ragazze del Servizio. –Hermione!- pronuncia il mio nome in modo strano, duro, ma non mi dispiace. –Come stai?- Chiede, in italiano. Io rido e, sempre nella sua lingua, le rispondo: -Bene!

Ridendo, Richard le da un altro po’ di risposte in italiano, un po’ traballante ma più corretto del mio. Intanto, io mi guardo in torno alla ricerca degli altri. Scorgo Clair e Samuel e agito la mano per salutarli. Loro si avviano lentamente verso di noi. Lui è alto, il corpo muscoloso evidenziato dalla maglietta e i jeans rovinati sulle ginocchia lasciano scorgere gambe più esili di quelle che ci si potrebbe aspettare. Lei, invece, minuta e sorridente, ha corti capelli biondo scuro legati in un codino, splendenti occhi azzurri dall’innocenza disarmante, indossa un pareo verde mela che le stringe i fianchi sottili e una maglietta blu scuro che risalta sulla sua pelle sorprendentemente lattea a confronto con le nostre. Mi raggiunge, mi stringe con le braccia esili, e mi chiede in un francese lento come sto. Rispondo, e poi le ripongo la domanda nella mia lingua. Un gioco che dura settimane.

Ridendo, salutiamo Sam, e tutti noi iniziamo a conversare, per fortuna in inglese. Quando anche Mark ci raggiunge, il viso da bambino aperto in un sorriso gentile, robusto e dai lucidi capelli scuri, tutti insieme ci dirigiamo sulla spiaggia, pieni di cibo locale. Ci sediamo sulla sabbia, mentre un mare trasparente e perfetto si abbandona ai nostri occhi.

-Questo posto è bellissimo.- commentiamo per la millesima volta. Peccato per la terribile strage che ci prepariamo a sanare: la povertà della popolazione fa a pugni con la ricchezza della terra, la desolazione degli animi contrasta con la tranquillità dell’oceano, le ferite sugli uomini stonano con la sanità della natura. Mi sdraio, con la sabbia che si mescola ai miei capelli, mentre una strana malinconia cui ormai sono abituata si intrufola in me. Durante il giorno sono impegnata, il lavoro ci occupa ogni momento e consuma tutte le nostre forze, non ho tempo per pensare, e poi ci sono loro, scherziamo e ridiamo per dissipare le crudeltà che ogni giorno dobbiamo sopportare. Ma a volte abbasso la guardia, e allora la tristezza riesce a fare breccia nel mio muro di serenità e distacco. La sera, la notte, quando l’aria si profuma di erba tagliata e salsedine, quando il sole si nasconde dietro l’orizzonte e le stelle iniziano a lampeggiare nel cielo, mi ritrovo impassibile nel flusso dei miei pensieri. La verità è che da quell’ultimo dialogo sotto la pioggia, non ci siamo più visti ne sentiti. Se non possedessi così tanti ricordi di lui, potrei anche fingere che non esista. Ma dopo la nostra permanenza qui, torneremo per qualche giorno a Londra, e allora dovrò rivedere lui e tutti loro. E qualcosa mi dice che gli dovrò delle spiegazioni… ma è troppo presto. Troppo per guardare in quei grandi occhi azzurri e innocenti e dirgli il motivo della mia fuga, il motivo della mia rabbia, il motivo delle mie lacrime e della festa… il motivo di tutto…

-Ehi, Hermione.- Mi scrolla Rick. Apro gli occhi. Sulla spiaggia non c’è più nessuno, il buio è opprimente sulle braci spente del falò, e gli avanzi della festa si preparano a diventare la cena di qualche animale notturno. Mi sorride. –Dormivi?

Rido. –Sono distrutta. Prima pensavo… poi devo aver preso sonno.

Anche lui ride. –Ti vanno due passi?

Annuisco. –Sì, mi vanno.

Mi prende la mano e mi tira in piedi. Camminiamo uno accanto all’altra sulla battigia, un vento improvvisamente freddo ci taglia la pelle.

-Potresti parlarmene, se ti andasse. Lo sai, vero? Se ti andasse. Potresti.

Sorrido, imbarazzata. –Di cosa?

-Di lui. Perché è evidente che te ne sei andata per un lui. Ma che non lo hai ancora del tutto dimenticato. A volte ti fai triste, so che pensi a lui. Chi è?

-Ronald Weasley.- sospiro.

Lo sento annuire. –Lo sapevo, sai? L’ho sentita quella strana elettricità, quel giorno.

-Già.

-Siete stati insieme?

-Mai.

-Starete insieme?

-Mai.

Silenzio. –Sai, forse avete condiviso troppo.

-Sì, forse. Troppo. Questo viaggio… mi sono ripetuta un sacco di volte che non è una fuga. Ma a volte non riesco a convincermi di questa teoria. E allora mi chiedo… e se non fossi in grado di dimenticare? Se il mio cuore e il mio cervello funzionassero in maniera troppo diversa da quelli degli altri… e non ne fossi capace?

Ride, e mi prende una mano. Un contatto così intimo mi spiazza, il cuore prende a battermi con prepotenza. Mi obbliga a guardarlo negli occhi, ma senza pressione.

-Tu lo sai fare?- gli chiedo.

-Dimenticare?

-Sì.

Ci pensa un secondo. –Sì.

-Insegnamelo.

Sorride ancora. –Okay.

-Qual è il segreto?

Mi accarezza la mano con affetto. –Vivere.

Inclino la testa per guardare meglio i suoi grandi occhi sinceri. –Vivere.- Ripeto. Suona così bene. –A volte penso di non essere in grado di fare nemmeno questo.

-Posso aiutarti, se hai bisogno.

-Ho bisogno.

Mi mette una mano sul fianco, facendola scivolare sulla mia pancia, tiene gli occhi fissi nei miei occhi.

-Fermo.- Sussurro. –Aspetta.- Lo guardo, trepidante. –Io…

-Tranquilla.

-Ho visto cose incredibili, sai. Voldemort, e tutto il resto. Nella mia vita non ho avuto spazio per certe cose.

Mi accarezza la guancia. –Se hai bisogno di tempo, prenditi tempo. Se hai bisogno di aspettare lui, aspettalo. Ma se hai bisogno di dimenticarlo, hai bisogno di vivere, e hai bisogno di essere… felice.

-Essere felice.- Ripeto, sorridendo.

-Te lo meriti.

-Ne ho bisogno.

Mi appoggia le labbra sulle labbra, e all’inizio non ho il coraggio di reagire al bacio. Ma poi, improvvisamente, una furia bollente mi sale al petto, e rispondo, con dolcezza.

-Felice.- sussurro.

-Felice.- Afferma, accarezzando i miei boccoli e baciandomi sul collo. Mi sfila le spalline e osserva il mio reggiseno sportivo. Mi bacia ancora, mi fa sedere a terra. Mi permette di sbottornargli la camicia, osservare i suoi leggeri muscoli abbronzati e i suoi capelli dorati. Lo bacio.

Mi rendo conto che questa potrebbe essere la medicina. Una relazione non impegnativa con una bella persona. Prendermi il mio tempo per guarire, certo, ma con qualcuno che ti sappia tirare in piedi se cadi.

Dimenticarlo.

Vivere.

-Hai paura?- mi chiede, piano.

-Non più.

Lui mi prende per mano. –Non devi averne. Io non ti farò male.

E qualcosa nel tono della sua voce mi dice che sarà davvero così.

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Capitolo 10
*** 4.02 Come non avrei mai pensato ***


Ed eccovi la parte di Ron ^^ Non odiate Cassie, mi piace un sacco come personaggio =P Ah, non so se ve l’ho già detto, ma scari

Ed eccovi la parte di Ron ^^ Non odiate Cassie, mi piace un sacco come personaggio =P Ah, non so se ve l’ho già detto, ma scaricate le canzoni a inizio capitolo se avete voglia e se non le avete già… Entrerete di più nella storia.

Vi lascio alla vostra lettura, aspetto i vostri commenti con ansia… Un abbraccio e buona settimana =)

Capitolo 4.02

Come non avrei mai pensato

Dove vai quando poi resti sola

il ricordo come sai non consola

Quando lei se ne andò per esempio

Trasformai la mia casa in tempio

E da allora solo oggi non farnetico più

a guarirmi chi fu

ho paura a dirti che sei tu

Ora noi siamo già più vicini

Io vorrei non vorrei ma se vuoi

Come può uno scoglio

arginare il mare

anche se non voglio

torno già a volare

Le distese azzurre

e le verdi terre

Le discese ardite

e le risalite

su nel cielo aperto

e poi giù il deserto

e poi ancora in alto

con un grande salto

Dove vai quando poi resti sola

senza ali tu lo sai non si vola

Io quel dì mi trovai per esempio

quasi sperso in quel letto così ampio

Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei

io la morte abbracciai

ho paura a dirti che per te

mi svegliai

Oramai fra di noi solo un passo

Io vorrei non vorrei ma se vuoi

Come può uno scoglio

arginare il mare

anche se non voglio

torno già a volare

Le distese azzurre

e le verdi terre

le discese ardite

e le risalite

su nel cielo aperto

e poi giù il deserto

e poi ancora in alto

con un grande salto

{io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… - L. Battisti}

Ron.

1

Buongiorno tesoro! Come stai? Ripreso dalla sbronza di ieri sera? Stamattina ti ho lasciato dormire un po’ di più… spero avrai apprezzato… Ricordati del pranzo con tua sorella, sai che si arrabbierà da morire se non vai! Io ti aspetto per cena a casa… ti preparerò una cenetta deliziosa… e mi troverai vestita proprio come piace a te… buona giornata…

Ti bacio…

Cass.

Guardo il bigliettino soprappensiero, mentre accendo la macchinetta del caffé e quell’aroma amaro invade la cucina della casa della mia fidanzata. Mi guardo intorno, tra i colori caldi e luminosi, eppure eleganti e raffinati del suo appartamento a Notting Hill. Fuori sento il rumore assorto della mattina londinese, mentre il notiziario del mattino riempie l’aria del suo solito cicaleccio. Una mattina come tante della mia nuova, strana eppure splendida vita. Rileggo il bigliettino, scritto con quella calligrafia disordinata che ormai ho imparato a riconoscere, immagino il suo sguardo divertito e complice mentre lo scriveva, il suo sorriso malizioso mentre lo riponeva dove era certa che l’avrei trovato come prima cosa stamattina. La immagino infilarsi i vestiti puliti nell’ombra, bere il suo caffé pettinandosi i capelli, e poi chiudersi la porta alle spalle silenziosamente, per poi indossare i tacchi in corridoio per non rischiare di svegliarmi con il loro tic-tac sul parquet dell’appartamento. La immagino mentre si ravvia i riccioli davanti allo specchio in ascensore e corre come una piccola furia a prendere l’autobus, la gonna troppo lunga svolazzante sulle caviglie e la borsa troppo pesante che le segna la spalla bianca. Splendida, quasi troppo splendida per essere la mia donna. Sfioro la carta e, ridacchiando, appoggio il biglietto sul piano di marmo. Prendo una penna e scrivo sotto:

Grazie piccola, ora sono lucidissimo… così lucido che ricordo alla perfezione la nostra serata…

Rido ancora al ricordo di noi due, nella vasca da bagno, a sorseggiare champagne e annegare in un mare di bollicine e sospiri.

Tranquilla, non mi dimenticherò Ginny! È successo una volta sola, è lei che la mena troppo. È fatta così…

Sono sicuro che questa sera non mi deluderai…

Non vedo l’ora. Ti bacio, dove piace a te. Ron.

So che lo troverà appena arrivata a casa e le farà piacere. Ho imparato questo genere di piccolezze che fanno piacere alle donne, o che perlomeno fanno piacere a Cassie. Non sembro nemmeno io: pensate che ieri sera le ho addirittura portato un fiore! Okay, una mia collega si sposava e li distribuiva a tutti, ma io di solito l’avrei buttato in un cestino! Invece l’ho guardato, il fiore, mentre la mia mano si allungava verso la spazzatura per lanciarcelo dentro, e ho pensato “piacerebbe a Cassie”: e gliel’ho portato! Era così felice. Mi ha sorriso con i suoi dentini perfetti simili a piccole perle, mi ha baciato, e se l’è messo nei capelli, dove ha continuato a guardarmi come un terzo occhio per tutta la serata, rendendola simile ad una piccola ninfa dei boschi. Pieno di orgoglio e piccole fantasie, mi vesto, chiudo la porta con il mio paio di chiavi (il mio paio di chiavi!) e mi incammino verso il Ministero, a piedi. Ho preso l’abitudine di andare a piedi perché Cassie pensa dovrei fare più attività fisica (in realtà lo dice ridendo, perché poi dice sempre che adora la mia pancetta… ma non si sa mai), e poi è bello prendersi qualche minuto per stare da solo. Ero abituato a passare un sacco di tempo da solo, ma ora non posso più. Quando sono al Ministero c’è sempre un tale via vai di gente, e quando c’è la pausa mia sorella o Cassie o Harry si presentano sempre per il pranzo, quasi non volessero lasciarmi mai un secondo per pensare, e poi la sera la passo sempre con loro. A volte ci vediamo anche con Luna e il suo amore del momento, e con Neville, Dean, Seamus e gli altri, con i quali abbiamo, inaspettatamente, riallacciato i rapporti. La verità è che da quando Hermione è partita io sono cambiato un sacco. Davvero. A volte un po’ mi manca il caro vecchio Ron innamorato e scontroso, ma non lo trovo più da nessuna parte tra le pieghe del mio cuore. È allagato dalla presenza della più piccola delle Granger.

A Natale siamo stati dai suoi genitori. Sono entrato con un bel sorriso che diceva “sono l’uomo perfetto per vostra figlia”, ho detto sempre grazie e per favore, non ho mai contraddetto Cassandra né nessun altro membro della famiglia, ho ringraziato per regali babbani che non ho capito fino a che Cassie me gli ha spiegati (e ancora non li ho capiti, quindi li ho regalati a papà che ne è stato entusiasta). E ho parlato di Hermione una sola volta. Insomma, è stato un gran passo! No? E poi l’hanno tirata fuori loro, nemmeno io. Ne avevo troppa paura. Mi hanno detto di ringraziare i miei perchè per la loro bambina erano stati “una famiglia incredibile” e poi mi hanno raccontato storie deliziose sulla sua infanzia. Quando ho raccontato tutto questo a Ginny speravo che mi avrebbe detto “-bravo Ron! Come sei cresciuto!” invece mi ha sorriso con tenerezza e mi ha detto “-la sua famiglia non è un modo per tenerla più vicina a te-”. Nonostante lei dica a tutti che io ho ricominciato e che l’ho dimenticata, e nonostante io sia il primo a dirle che è così, lei ha l’assurda opinione che io in Cassie cerchi solamente una copia più accessibile di Mione, e che dovrei smettere di cercarla là dove non troverò altro che delusioni. Non mi importa quello che pensa mia sorella. Lei è convinta di conoscermi meglio di come mi conosco io, e da quando legge i libri babbani che le presta Cassie è anche convinta di essere una psicologa. In più da quando Ginny è riuscita a stare con Harry si sente la più grande esperta del mondo nel campo “cuore”. Vabbè, lasciamole le sue convinzioni. Io non le rinfaccio mai che, secondo me, la sua amicizia con Cassie non è per niente “essere cordiale con la fidanzata di mio fratello” quanto “sentire il meno possibile la mancanza della mia migliore amica”. Comunque, a ognuno le sue idee.

Io sono l’unico che ha voce in capitolo quando si parla dei miei sentimenti e so PERFETTAMENTE di non provare più niente per Hermione. Anzi, la ringrazio per essersene andata, mi ha permesso di prendere una boccata d’ossigeno da un amore che mi stava letteralmente soffocando.

Il mio unico immenso rimorso è averla salutata così male.

La mattina dopo tutti sono andati a salutarla all’aeroporto, tutti tranne io. Non ho nemmeno chiesto se ha pianto, non ho chiesto se ha chiesto di me, nulla. E non le ho scritto, non una volta. Ho detto a Ginny di farle gli auguri di compleanno e di Natale da parte mia, non so se l’abbia fatto, e comunque non mi ha dato alcuna risposta. Bhè, meglio così. Non che io ci abbia pensato su. Affatto. Certo, un po’ mi irrita che lei non abbia pensato a ringraziare, ma la cosa non mi sfiora.

Entro al Ministero pigramente, saluto con un cenno visi noti e sorridenti, prendo il Profeta con aria annoiata, mi avvicino al bancone con la scusa di salutare Maggie, ma in realtà per prendere le caramelle che mette sempre nel piattino davanti a se, e poi mi incammino lentamente verso il mio ufficio. Mi metto una mano in tasca, soprappensiero. Sento qualcosa di liscio e morbido sul fondo della tasca, lo tiro su e non posso trattenere una risata che fa voltare un po’ di ragazzi lungo il corridoio.

Mi chiudo in ufficio e tiro fuori un paio di mutandine di seta rosa pallido di Cassie. Scoppio a ridere mentre le rimetto nella tasca e appendo il cappotto. Ricordo perfettamente come sono arrivate lì. Eravamo a cena in un ristorante, per una sua cena di lavoro, siamo andati in bagno, e stavamo “consumando” quando è entrata una sua collega. Allora, in preda alla ridarella, siamo dovuti tornare di là, e nella fretta mi sono messo le sue mutande in tasca. Volevo tenergliele nascoste per farle uno scherzo e poi me le sono dimenticate. Sempre ridendo, controllo la posta. Per un secondo sento sempre un’inquietante speranza di scorgere, tra pergamene e buste di lavoro, la scrittura minuziosa di Hermione che mi dice che sta bene. Ma è solo un attimo, il tempo di una palpitazione, e poi il pensiero scivola sul fondo della mia mente. Certo che sta bene, penso, o Ginny me lo direbbe. Quindi, non c’è motivo perché mi scriva. Alcun motivo.

Prima di incominciare a lavorare, come ogni mattina, tiro fuori dal primo cassetto della mia scrivania una scatola di latta con dei biscotti e inizio a mordicchiarne uno.

Sento uno strano vuoto all’altezza dello stomaco, come se per la prima volta da tanto tempo le cose andassero bene, bene per davvero. E provo una fitta al cuore al pensiero di Cassie, di come mi abbia salvato la vita. Poi mi viene da ridere, a vedere come sono diventato sentimentalista.

Ma non importa.

Le cose vanno bene, qualche volta. Perché non dovrebbero? Perché a me questo non dovrebbe succedere? Infondo sono una brava persona. E anche se per tanto tempo ho dovuto mangiare merda dalla vita, adesso la vita mi regala un po’ di cioccolata. Cosa c’è di male in questo? Nulla. Assolutamente nulla.

Io e Cassie invecchieremo insieme, saremo vecchietti grigi con il sorriso addolcito dalla memoria che scivola via, faremo regali ai nostri nipotini, ai nostri figli, e quando ci vedremo con Hermione lei sarà solo la sorella della mia donna, e nulla di più. Esattamente quello che sarebbe se, per caso, la rivedessi ora. E non pensate che io stia “pensando” a Hermione, perché non è così. Io sto pensando a Cassie, la mia ragazza. E non è vero niente di quello che pensa Ginny. Tutte frottole.

In ogni caso, anche lei e Harry, finalmente, stanno bene. Hanno un bell’appartamento, parlano in una specie di codice incomprensibile per le altre persone, lei gli passa forchettate di cibo mentre cucina e lui annuisce per dire che gli piace anche se non è vero, senza distogliere l’attenzione da quello che sta facendo. E sorride a mia sorella come se lei fosse l’unica donna al mondo. E forse per lui è davvero così. Una volta gliel’ho detto.

Stavamo bevendo una birra sul suo terrazzo, la sera del compleanno di Ginny. Gli ho detto: “-Sembri felice.”

E lui: “-Lo sono.-“ ha sorriso.

“-La guardi come se per te fosse l’unica donna al mondo.”

“-è così.-“ ha sorriso e mi ha guardato con aria a metà tra il complice e il compassionevole: “-E tu? Sei felice? Cassie per te è l’unica al mondo?”

Non ho trovato una risposta da dargli, ma ora potrei.

La risposta sarebbe sì.

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Capitolo 11
*** Capitolo 5.01 Sui miei passi. ***


Ciao ^^

Ciao ^^

Come va?

Parliamo un po’ di un altro tema di questa storia.

Ricominciare.

È buffo, sapete, come quello che viviamo si riflette su quello che scriviamo. Mentre scrivevo questi capitoli, quest’estate, stavo attraversando un piccolo terremoto personale, era un momento in cui avrei anche io voluto salire sul primo aereo e cambiare aria, lasciarmi alle spalle amici e persone che avevano in qualche modo toccato e ferito i miei sentimenti. In ogni caso io non l’ho fatto, ovvio. Non mi sono nascosta e sono andata avanti, le cose cambiano anche se non fuggi da nessuna parte. Però è davvero doloroso restarci dentro e farle cambiare insieme a te, davanti a te. Cambiare anche tu- con o contro il tuo volere.

E poi c’è la questione del dimenticare. Quanto si può davvero dimenticare un amore? Non ho mai provato un amore che non fosse possibile dimenticare, chiudere in un cassetto. Quindi ho dovuto basarmi su un altro tipo di affetto perduto e da cui è a volte impossibile separarsi del tutto, alcuni tipi di amicizia per alcune persone, in alcuni momenti della nostra vita. Quel genere di cosa che non finisce nemmeno se lo vuoi, nemmeno se glielo imponi, nemmeno se ti ci impegni, con la distanza e le cattiverie e altri sentimenti “migliori”.

Spero di trasmettervi queste cose- sensazioni- pensieri con le mie parole.

Perché la cosa splendida di Ron e Hermione è l’incredibile mix di sentimenti che li caratterizza, una gamma inesauribile di emozioni da analizzare, scoprire, in cui riconoscersi e con cui sfogarsi.

A mio modo, anche io ho preso quell’aereo, grazie al cielo ho sempre questa via di fuga artificiale, scrivere delle fughe altrui e fuggire anche io =)

Buona lettura, e buone vacanze ai fortunati come me =P

Capitolo 5.01

Sui miei passi

I would have given you all of my heart

but there's someone who's torn it apart

and she's taking almost all that I've got

but if you want, I'll try to love again

baby I'll try to love again but I know

The first cut is the deepest, baby I know

The first cut is the deepest

'cause when it comes to being lucky she's cursed

when it comes to lovin' me she's worst

but when it comes to being loved she's first

that's how I know

The first cut is the deepest, baby I know

The first cut is the deepest

I still want you by my side

just to help me dry the tears that I've cried

cause I'm sure gonna give you a try

and if you want, I'll try to love again

but baby, I'll try to love again, but I know

The first cut is the deepest, baby I know

The first cut is the deepest

'Cause when it comes to being lucky she's cursed

when it comes to lovin' me she's worst

but when it comes to being loved she's first

that's how I know

The first cut is the deepest, baby I know

The first cut is the deepest

{the first cut is the deepest, Sheryl Crow}

Hermione.

È molto semplice. Non c’è nulla di strano. Davvero. Un ridicolo sogno non mi può influenzare così le giornate. E poi si sa. Io non sono quel tipo di ragazza che si lascia trasportare da uno stupido sogno. Un sogno! Siamo matti?

La verità è che era così reale. Incredibilmente vero. Me ne stavo seduta sul mio divano a casa a Londra, indossavo una vestaglia grigio perla, avevo i capelli legati in una treccia e in braccio un bellissimo neonato. Sentivo i seni pesanti di latte, e sentivo addirittura il sapore del latte, il sapore di bambino piccolo, lo sentivo in braccio, così piccolo, morbido, con quei grandi occhi innocenti e dall’azzurro cristallino. Era troppo bello. Troppo. Ed era mio.

Non avevo mai voluto un figlio prima.

Non avevo mai voluto il pancione, partorire, allattare, cambiare pannolini, rinunciare alla carriera, mi rendo conto che non avevo nemmeno mai voluto sposarmi. E invece, adesso, quello che desidero di più è stare seduta su un divano con un bellissimo bambino in braccio, con mio marito che prepara il tea nella stanza di fianco, e che me lo porta su un vassoio senza dovermi chiedere come lo prendo, perché lo sa già.

Oddio. Sto impazzendo. Letteralmente. Era solo un sogno!
Ma non posso pensare ad altro. Non posso. Me ne sto qui, seduta dietro una scrivania, consegno vitamine e segno a quanti locali le ho consegnate. E ogni bambino vorrei che fosse il mio. E ogni marito vorrei che fosse il mio. Oddio.

Forse sono gli ormoni.

-Hermione!

Sobbalzo.

-Scusa, non volevo spaventarti.

Richard si china su di me e mi sfiora le labbra con un bacio veloce. Io gli accarezzo brevemente la guancia e do una vitamina e un bicchierino d’acqua alla successiva donna di colore dalla svolazzante gonna colorata.

-Come stai?- gli chiedo, distrattamente.

-Bene, bene. Tu?

Annuisco. Un altro stupido bambino. Ma quanti diamine ce ne sono in giro oggi?

-Ho una splendida notizia per te. Ti metterà di buonumore.

-Io sono di buonumore!- faccio, con voce leggermente stridula. Ma solo leggermente.

Ride, consegnando una pastiglia e un bicchierino ad un anziano dalla pelle butterata. –Quindi non vuoi la mia bella notizia.

-Non era splendida?- Sporgo un po’ il labbro inferiore, fingendomi imbronciata, e poi sorrido con dolcezza ad una donna con quattro figli a cui tutti giorni passo, segretamente, una razione di pane in più.

Richard lo sa di sicuro ma finge di non saperlo. Una volta Ada mi ha detto che queste cose succedono sempre, tutti sgarrano un po’ in favore di qualcuno o qualcun altro, tutti lo sanno ma nessuno dice nulla.

-No, basta, ora non te la dico più, e ti toccherà aspettare di sapere che tra 6 settimane torniamo a Londra dopodomani come tutti gli altri…

-Sei settimane?- mi rendo conto di aver praticamente strillato, perché tutti in fila ammutoliscono e molti tendono il collo per guardare se va tutto bene. Faccio un sorriso imbarazzato e continuo a servire pastiglie e bicchierini. –Sei settimane?- Ripeto, più lentamente.

-Non sei felice?

Annuisco. –Come no! Felicissima!- La verità è che non lo so.

-Non lo sai.

-Lo so! Sono felice. Sul serio.- No. Non lo so. Non so se sono pronta. Oddio.

-Andrà tutto bene.

-Sì, andrà bene. Perché non dovrebbe?- Perché sono debole. Ecco perché. Non sono ancora abbastanza forte.

-Infatti.- sorride ad un ragazzino e gli allunga una vitamina in più –Mi sembra che già ora le cose vadano meglio. O no?

-Sì, vanno bene. E sarà tutto perfetto.

Si fa silenzioso, fingendosi impegnato. Poi mi guarda, con i grandi occhi sinceri e penetranti. –Hai più pensato a lui?- chiede.

Distolgo lo sguardo, fingendomi impegnata anche io.

La verità è: un po’.

Insomma, pensare a Ron per me è un’abitudine, e le abitudini sono dure a morire. Ma negli ultimi tempi, da quella prima memorabile notte sulla spiaggia, Ron si è come intrufolato furtivo trai miei pensieri totalmente inaspettatamente, e, ugualmente inaspettatamente, ne è sempre uscito, senza lasciar traccia. Un po’ come un fantasma: il fantasma di quello che provavo per lui. Provavo, perché non provo più nulla nei suoi confronti. Nulla: amore, odio, disprezzo, frustrazione, amicizia, affetto… nulla.
Quando leggo il suo nome, quando leggo di lui, nelle lettere di Ginny, di Harry, dei Signori Weasley, e persino di mamma e papà, non provo nemmeno più quel famigliare tuffo al cuore. Scivolo sulla sua esistenza con naturalezza, con leggerezza, come se fosse una macchiolina del mio passato, qualcosa che ho rimosso.

Ma la verità è che non l’ho rimosso, non del tutto.

Richard dice che non posso pretendere di farlo sparire dalla mia mente, dalla mia vita. Dice che forse non lo voglio nemmeno. Una notte abbiamo parlato a lungo di lui, di Ron.

Richard è stato in silenzio tutto il tempo, mentre io gli vomitavo addosso anni e anni di silenzi imbarazzanti, di furiose litigate, di gentilezze impacciate, di piccole dolcezze, di scorrettezze, di bugie e crude sincerità, di gelosie e rancori, scherzi e trovate, congetture e segreti. Non è stato un racconto coerente e lineare, e alla fine Richard mi ha guardata con occhi appannati, e con un sorriso un po’ triste mi ha detto: “-Mione, mi dispiace per te. Puoi dimenticare un amore andato male, davvero, ma non puoi dimenticare il tuo migliore amico, tuo fratello, il tuo peggior nemico, il tuo compagno di sventure, il tuo protettore e il tuo bambino da proteggere. Soprattutto se sono nel corpo del tuo uomo, l’uomo che ami.-”

Sono stata spiazzata da questa frase. “–Il mio uomo? Lui non è il mio uomo. Tu sei il mio uomo.”

Richard mi ha abbagliata con il suo sorriso perfetto, mi ha baciata e mi ha detto: “-Io non posso competere con il tuo Ron Weasley.”

L’ho baciato io e ho detto “-Tutti possono competere con un Ron Weasley”. Questa cattiveria gratuita che Ron nemmeno ha sentito mi ha messa in pace con me stessa. Da allora, come dicevo, il pensiero di Ron è qualcosa che, a volte, mi sfiora la testa e poi vola via. Nulla di più.

Ma rivederlo…

Tra sole sei settimane…

Mostrargli quello che sono diventata…

Guardare quello che è diventato…

-Quasi mai.- Sussurro, piano.

Lui annuisce. –Hai visto? Si sta sistemando tutto.

La fila di persone è finita, si sta sfaldando. Mi volto a guardarlo, accaldata, con la fronte madida di sudore, e lui mi sorride dolcemente.

-Andiamo a bere qualcosa di fresco.

Annuisco, lui mi prende per una mano e io lo seguo nella luce abbagliante del pomeriggio, mentre la ghiaia bianca riflette i raggi iridescenti del sole. Mi pulsa la testa. Perché? Perché Ron doveva piombare nella mia isola di serenità? Proprio ora che stavo bene. Ora dovevo scoprire che tra SEI SETTIMANE dovrò riaffrontarlo?

Ci sediamo su un muretto, accaldati, ognuno con le labbra attaccate ad una bottiglietta d’acqua, la sento scivolare lungo il mio mento e il mio collo, e giù trai miei seni, perché sono così sconvolta e confusa che non riesco nemmeno a bere con attenzione. Lui si volta a guardarmi dopo un tempo che mi sembra infinito, io abbasso la bottiglia quasi vuota e sospiro, arrischiando un sorriso.

-è comunque una splendida notizia.

-Potrai dimostrare a te stessa e a lui come sei cresciuta.

-Giusto.

Si china sul mio collo e lo bacia, senza soffermarsi troppo per il calore, ma abbastanza a lungo perché il sapore di pelle e sole ci faccia rabbrividire.

-E poi io sarò con te.

Questo semplice pensiero mi fa emettere una risatina nervosa. Non riesco a capire se ne sono sollevata o stressata per questo.

-Già. Tu sei sempre con me.

Mi sfiora i ricci che sfuggono dall’elastico.

-E questo ti piace, no?

Annuisco. –Certo, che mi piace.

Ho l’orrenda sensazione che tutte queste conversazioni mirate ad essere sempre sinceri gli uni con gli altri prima o poi mi stuferanno. È che una volta gli ho detto che con Ron dovevo sempre mentire su quello che provavo per lui. E questa cosa l’ha mandato in paranoia.

-Okay.

-Richard, smetti di essere sempre in competizione con lui, va bene? Non avrei mai dovuto parlarti di Ron.- sospiro. –Mai.

-Non dire così. Io non sono in competizione con Ron. Io cerco solo di starti vicino.

-Tu mi stai vicino.- sorrido. –Sei perfetto, proprio perché non sei Ron. Non sto con lui, ma con te. Io non soffro più per lui. All’inizio, forse, volevo che tu mi aiutassi a… riparare il danno. Eri il cerotto. Ma ora non c’è più alcuna ferita. Davvero. Quindi, puoi dedicarti ad altre cose che non siano la mia convalescenza. Dottor Rick, lei mi ha guarito, davvero. Basta comprensione, basta domande chiave per farmi essere sincera. Non voglio mentirti. Se starò male te lo dirò.

Mi guarda, sorpreso.

E anche io sono sorpresa.

Penso davvero che Rick sia perfetto? Davvero non soffro più? Era il cerotto? Nessuna ferita? Basta comprensione e domande? Non voglio mentirgli? Eh?

Ma lui inizia a sorridere, e allora decido di credere alle mie parole anche io. E gli sorrido.

-Wow.- sussurra. –Non so se è il caldo, la fatica, lo shock, ma non posso credere davvero di aver sentito quello che hai detto.

-Che sono guarita? È così. Forse ho sempre… ingigantito un po’ troppo il mio “amore”- e mimo con le dita le virgolette –per Ronald.

-Lo pensi davvero?- Poi scoppia a ridere. –Niente più domande chiave per farti essere sincera, giusto!- Scoppio anche io a ridere, nervosa. Lui mi mette una mano sulla schiena, mi trae a se e mi bacia.

-Grazie Rick.- Gli dico, piano.

-Tranquilla, è stato bello. E poi, adesso possiamo dedicarci a noi.

Mi prende il panico. So che non dovrei, ma improvvisamente immagino che il sogno che ho fatto sia il suo sogno, immagino di avere lui come marito e mi prende il panico. Oddio.

Ma lui mi bacia solo le labbra, piano, come un’abitudine. Io mi appoggio a lui nonostante il caldo e stiamo così, immobili, nella polvere e nell’aria pesante, mentre il mare gelato e feroce si mangia la spiaggia sotto di noi.

Rido di me stessa. Come ho potuto pensare che lui mi sognasse nel mio salotto con in braccio un figlio mentre lui mi prepara il tea? Non l’ha sognato Richard. L’ho sognato io. Io desidero quelle cose. Vuol dire che sono davvero cresciuta. Ci sono passata sopra. Sono pronta per tornare sui miei passi e riaffrontare tutto. Ho sognato un nuovo futuro in cui Ron non è calcolato. E non ho più paura di rivederlo, né di vederlo con Cassie. Alcuna paura. E poi mancano ancora sei settimane. In sei settimane io e Richard ci saremo dedicati tanto a noi che rivedere Ron sarà addirittura piacevole. Imparerò a volergli bene di nuovo, senza doppi sensi questa volta.

-Ti amo.

Alzo gli occhi su di lui, li fisso nei suoi, stupita, rapita, incredula, stordita da questa semplice affermazione che è affiorata sulle sue labbra per sconvolgermi di nuovo.

-Mi ami?

Mi sorride, dolcemente e con un velo d’ironia.

-Sì. Ti amo.- ripete, con più lentezza ora, come se volesse incalzarmi a dire “anche io”. Mi sento come se con la sua grande mano calda stesse tentando di spingermi dentro il mio sogno perfetto. Ma io non sono ancora pronta ad entrarci. Per ora non posso.

Non so se lo amo, questa è la verità. Non so cosa voglia dire amare.

È stare bene con qualcuno?

È volergli più che bene?

Volerlo baciare?

È avere fiducia in lui?

È volerci fare sesso?

È trovare belli i suoi occhi e i suoi capelli e le sue spalle?

Io non sono pronta a questo. Ad amare. Di nuovo. O forse per la prima volta.

Non mi era mai capitato prima di non essere preparata su un argomento. Ma mi sto accorgendo che in materia amore, ho un sacco di lacune, come se qualcuno avesse fatto dei piccoli buchi con un cucchiaino. E io non so come posso riempirli. Non esiste un libro che ti insegni cosa vuol dire amare. Possono aiutarti a capirlo (come lui mi ha aiutato a dimenticare Ron) ma non posso insegnartelo: quello lo devi fare da sola, vero?
Bhè io non ci riesco.

Per la prima volta sento il disperato bisogno di parlare con Ginny. Lei saprebbe cosa dirmi. Lei sì che ha amato, sì che è stata amata. Lei sì che è forte lei… Ma non posso pensare a Ginny ora. C’è un uomo bellissimo e dolce e romantico davanti a me, un uomo che per la prima volta nella mia vita mi ha detto che mi ama, un uomo che si è preso la mia verginità, un uomo che mi guarda come nessuno mi aveva mai guardato: come se fossi bella. E da me richiede una piccola cosa: che io lo ami. Che gli dica che lo amo. Ma io non l’ho mai detto, e mi prende l’insana paura di non amarlo, e che se glielo dirò ora butterò via il mio primo “ti amo”. Mi sento così piccola.

Quindi lo bacio. Lo bacio con lentezza e con passione, dimentica del caldo e dell’ansia, mi abbandono alle sue labbra, alle sue braccia, al suo profumo. Poi accosto le mie labbra al suo orecchio abbronzato e bisbiglio: -Io non… non lo so. Ma forse ti amerò, se avrai la pazienza di… insegnarmelo.

-Insegnartelo?- Fa ridendo. –Mione, la vita non è una lezione di vita.

Anche io rido, e per tutta risposta lo bacio di nuovo.

Insegnami ad amarti, perché io non mi sento più in grado di amare nessuno.

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Capitolo 12
*** Capitolo 5.02 Echi di un antico terrore. ***


Bhè, facciamo che parlo alla fine…

Bhè, facciamo che parlo alla fine…

Capitolo 5.02

Echi di un antico terrore

So, so you think you can tell

Heaven from Hell

Blue skies from pain

Can you tell a green field

From a cold steel rail?

A smile from a veil?

Do you think you can tell?

And did they get you to trade

Your heroes for ghosts?

Hot ashes for trees?

Hot air for a cool breeze?

Cold comfort for change?

And did you exchange

A walk-on part in the war

For a lead role in a cage?

How I wish, how I wish you were here

We're just two lost souls

Swimming in a fish bowl

Year after year

Running over the same old ground

What have we found?

The same old fears

Wish you were here.

{wish you were here-Pink Floyd}

Ron.

Mi sveglio con un dolore lancinante al petto, come se mi avessero strappato il cuore. Per un attimo resto succube di quel dolore, respirando grandi boccate d’aria, e mi sento invecchiato di colpo. Poi, lentamente, riacquisto la dimensione del mondo intorno a me, percepisco il respiro ovattato e profumato di baci di Cassie sulla mia pelle. Sento la sua mano stretta sulla mia senza insistenza ma con dolcezza, e mi calmo. Va tutto bene. È stato solo un brutto sogno. Mi metto a sedere, asciugandomi la fronte con il dorso della mano da una pioggia di sudore freddo come lacrime dimenticate. La notte è immobile, profonda, assopita nella quiete del mio appartamento da scapolo, dove ora ho portato la mia piccola ninfa. Mi chino per baciare il suo viso perfetto e candido, quando lei si agita appena e sulle sue labbra affiora un sorriso involontario, un sorriso severo e colmo di dolcezza che mi spezza il respiro e mi stringe lo stomaco. Fisso il suo viso con insistenza, cercando di scorgercelo di nuovo, ma non arriva. Non torna. Se n’è andato, e una malinconia implacabile mi assale da dentro, facendomi lacrimare.

Il sorriso di Hermione.

Mi sembra di essere rimasto accanto a questo corpo da dea, di aver stretto le sue mani e baciato le sue labbra per tutti questi lunghissimi mesi, solo in attesa di poter trovare tra le pieghe del suo volto ciò che non avrei trovato tra le pieghe di nessun altro volto di donna: il sorriso di Hermione. E questo mi suona come un oscuro presagio. Mi sento affannato e confuso. Io non credo in queste cose: oscuri presagi?! Eppure, non riesco a calmarmi.

Il telefono squilla, il suo rumore è forte e fa vibrare la notte. Mi alzo barcollando, arranco nell’ombra, lo sollevo con un’eccitazione febbrile. So chi è. Non può che essere lei…

-Ron.- Non è lei. La voce di mia sorella è cruda e secca, eppure avverto forte e chiaro il rumore delle sue lacrime.

-Ginny?- Un dolore ancora più immenso minaccia di farmi svenire. –Cosa è successo?- chiedo, perché so perfettamente che qualcosa è successo.

-Ron…- piange lei, incapace di dirmelo ma anche di non farlo. –Ron…

-Ginny, dove sei? Stai bene? Harry sta bene? Ginny?

Cassie mi raggiunge in salotto, il lenzuolo stretto sul suo corpo pallido come un vestito da sera, bianca nella notte scura, il capo circondato dai boccoli perfetti come un’aureola. E sul viso, come una smorfia involontaria, nuovamente quel sorriso.

-Ron cosa c’è?- bisbiglia.

-Ginny?- ripeto.

-Ron?- ripete Cassie.

-Ron- attacca Ginny, come se qualcosa le avesse dato una strana forza. –Ron, si tratta di Harry. Siamo al San Mungo. Non sappiamo cosa- singhiozza –cosa sia successo… si pensa ad un attacco di Mangiamorte…

-Mangiamorte? Un attacco? Dove?- Urlo, rabbioso. –Perché?

-Non lo so!- strilla lei, con una vena d’isteria nella voce. –Era rimasto in ufficio a sbrigare delle cose!

-Cazzo Ginny!- Urlo, e so che non è colpa sua. –Corro.- e riattacco, senza lasciarle il tempo nemmeno di singhiozzare ancora.

Cassie mi guarda con gli immensi occhi spalancati dal terrore di qualcosa che non può capire. La osservo, senza la forza di muovere un muscolo. –Harry è stato portato all’ospedale, probabilmente è stato attaccato. Devo correre.- Ma non mi sposto. E nemmeno lei.

-Vuoi che venga con te?

Non posso sopportare di vederla, così simile a Hermione ora quanto non è stata mai, così simile ad un angelo bianco nel riverbero delle luci della strada che scorrono sulla sua tunica bianca e sul pallore latteo nella sua nudità. Non sopporto il suo sorriso innocente e compassionevole, il suo sguardo addolorato e partecipe, le sue lacrime tristi e spaventate, il suo corpo fragile e possente. Non lo sopporto, e non capisco perché. –No, non venire.

Mi infilo in fretta gli abiti, le scarpe, senza un ordine preciso, mi avvicino alla porta, la apro, mi volto ancora una volta verso di lei, con un grumo di lacrime bloccate in gola.

-Sei sicuro?- sembra quasi una supplica.

E allora capisco cosa non posso sopportare: il fatto che tutto in lei mi gridi il suo amore. Annuisco ferocemente e mi sbatto la porta alle spalle.

Il corridoio del San Mungo è uguale a tutti gli altri corridoi del San Mungo, sempre uguali, perfettamente identici a quella mattina in cui ho aperto gli occhi e mi ci sono avventurato alla ricerca di un verdetto che per me valeva più della mia stessa vita: Harry ed Hermione erano sopravvissuti? E anche ora, preferirei che un attacco di cuore mi privasse in un secondo della mia vita e della mia dignità, facendomi rantolare al suolo in un secondo, che sentire la voce strascicata di una vecchia infermiera annunciarmi che è troppo tardi. Appena vedo Ginny, penso che un attacco di cuore mi verrà davvero. Non l’ho mai vista così, mai, nemmeno una volta. Alza su di me i suoi grandi occhi dorati, colmi di un’angoscia e una disperazione sordi. Le labbra le tremano, i lunghi capelli rossi scomposti intorno al viso dal pallore spettrale, su cui danzano lugubri lacrime d’argento. Trema, convulsamente si torce le mani in grembo, si alza nel vedermi e si lancia tra le mie braccia. Mai avevo visto il coraggio di mia sorella mancare così. Erano secoli che non vedevo tracce di pianto sul suo volto. Si lascia stringere e poi fissa nei miei i suoi occhi e sussurra: -è in coma.

Sento il terreno mancarmi sotto i piedi e mi stringo a mia sorella, incapace di dire nulla che possa farla stare meglio, incapace di mostrarmi forte come vorrei o debole come sono. Cado su una sedia di plastica e lei cade su quella accanto a me. Il corridoio è assorto in un silenzio meditabondo, argenteo. Innaturale.

Resto immobile assorbendo la notizia. In coma. Inizialmente mi sembra di vedere e sentire tutto dall’alto, come alla radio, come se non stesse succedendo a me. Poi prendo coscienza della realtà, inizio a sentire il bagnato delle lacrime sulle guance, il peso nel petto, la sedia sotto di me, il sapore di medicina nelle narici. Mi volto verso mia sorella e la vedo ancora, ma come se la vedessi per la prima volta, curva su se stessa eppure piena d’orgoglio.

-Hai parlato con i Guaritori?- chiedo, dopo quelle che paiono ore.

Lei annuisce, e prima che risponda passano altri interminabili minuti. –Dicono che ancora non si possono stimare ne le cause ne i tempi.- Lo dice con lentezza, come se ogni parola fosse stata studiata nella sua testa e le pesasse un immensa fatica pronunciare.

Sento il sole sorgere al di la dei vetri, la vita riaccendersi lentamente tra le pareti dell’ospedale, i passi risuonare nei corridoi e le voci alzarsi nelle gole, ma ancora non posso alzarmi, ancora non posso affrontare il mondo.

-Ron!- Un urlo risuona per tutto l’ospedale, e il nostro piccolo angolo di dolore viene invaso improvvisamente da troppi volti, troppe voci. Mamma, papà, Luna, Neville, Seamus, Dean, Fred, George, Fleur, Bill, Tonks e Lupin, e un sacco di altri volti a cui non riesco a dare un nome, tutti si affollano nella mia visuale, mi chiedono informazioni, ci abbracciano senza ritegno, piangono senza contenersi.

E io resto immobile, mentre Ginny si lascia cullare da Ninfadora, aggrappandosi a lei come non ha potuto aggrapparsi a me, mentre sento un Guaritore spiegare ogni cosa, pazientemente, a Remus, e mia mamma in lacrime supplica di poter vedere Harry, e Fred mi chiede se voglio un tea o un cappuccino, se voglio che Cassie venga qui. Resto immobile, zitto e impassibile in quel flusso di dolore che mi percuote il corpo e di colpo capisco cosa stavo cercando di captare da quando mi sono svegliato con il cuore distrutto e ho scorto il presagio nel sorriso addormentato di Cassie e nel suo essere così simile ad un angelo caduto non dal cielo, ma dal passato. Questo mi sta distruggendo, l’eco di un vecchio dolore, coma una ferita che torna a farsi sentire prima di un terribile temporale. Il dolore dell’idea di perdere Harry. Avere paura per lui. Temere per la sua vita più che se fosse la mia. Amare qualcuno in maniera così immensa da desiderare di rantolare a terra senza dignità piuttosto che sentirsi dire che il tempo è terminato, il tempo per vivere, il tempo di bere birre sul suo terrazzo, il tempo delle confidenze affettate e delle congetture, dei progetti e dei ricordi, il tempo di essere amici senza alcuna pretesa, fratelli senza legami di sangue, sposati senza anello, uniti sempre senza alcuna promessa o dimostrazione di affetto. Davanti a me vedo il traguardo di una corsa che non posso affrontare da solo. Così mi immobilizzo nel mezzo della corsia, perché senza il mio compagno non posso continuare a correre, non posso. E sta qui la vecchia ferita: già una volta ho dovuto fermarmi nel mezzo della corsia, già una volta ho dovuto correre indietro per riprenderlo. Per tutta la vita mi sono sforzato di non perderlo mai, anche quando tutto sembrava mettersi contro la nostra amicizia, sempre ho dovuto battermi per aiutarlo ed essere aiutato. E ora, in un attimo, risento il terribile presentimento di aver perso. Altre coppie di amici mi superano nella corsa, tagliano il traguardo insieme, e io sento che potrei doverlo tagliare da solo. E allora le piccole lacrime che da tutta la notte mi stavano lacerando il viso diventano un pianto isterico, singhiozzato e paralizzante, che fa cadere tutti in un silenzio poetico e pieno di reverenza.

Poi, improvvisamente, sento due mani gelate chiudersi intorno ai miei pugni, e una voce soave e delicata mi sussurra: -Vieni, Ron. Andiamo a chiamare Hermione.- Mi prende per mano, e io arranco nella sua scia profumata di gelsomino, incapace di smettere di piangere. Voltiamo l’angolo, e Luna si ferma. Mi fissa. –Ron.- Dice, piano, con dolcezza e con coraggio. –Ron, ti prego.- e allora io mi appoggio al muro, mi asciugo gli occhi, le guance, prendo fiato e sento che il torpore mi abbandona. Hermione. Il suo pensiero mi fa palpitare il cuore perché, per la prima volta da troppo tempo, gli lascio il via libera per invadermi e gonfiarmi, per riempirmi di lei.

-Hermione.- sussurro, senza più un fremito. –Devo chiamarla.

Ho bisogno di lei. Sento un disperato bisogno di attaccarmi alle sue spalle e superare questo ostacolo insieme come tutti gli ostacoli passati. Solo con lei posso. Solo con lei questo dolore sarà sostenibile.

Luna annuisce. Usciamo dal San Mungo, usciamo nell’aria carica d’elettricità. Lei entra in una cabina del telefono pubblico e mi guarda con occhi offuscati. –Sai, ho dovuto imparare ad usare questi aggeggi per chiamare Mark.- Non che mi interessi sapere chi sia Mark, ma vederla lì mi fa sorridere. –Comunque, al Ministero mi hanno dato questo numero.- Lo digita con le dita sottili e poi mi passa il telefono. Con un sorriso mesto mi lascia solo nell’intimità di questa cabina di vetro.

Sento degli strani “bip” un sacco di volte e poi, all’improvviso, una voce che sembra lontanissima e fragile dice: -Pronto? Chi parla?

Prendo fiato e rispondo. –Salve, sono Ronald Weasley.- Scandisco ogni lettera con calma. –Desidero parlare molto urgentemente con Hermione Granger.- c’è un silenzio febbrile e carico d’attesa.

-La signorina non può parlare ora.

-Mi scusi? Forse non ha capito. È urgente, molto urgente.

Si sentono dei rumori, persone che parlano, persone che ridono. In quel chiacchiericcio concitato riconosco il suono della sua voce, e il mio cuore salta un battito. Per un attimo vorrei mettere giù, per non distruggere la sua serenità, la sua nuova splendida vita, finché non è indispensabile. Io posso farcela senza di lei, ho imparato a fare a meno della sua forza. Non è egoista volerla con me solo per un capriccio? Ma poi rivedo il suo sorriso coraggioso e orgoglioso la notte che affrontammo Voldemort, o quel giorno in riva al lago che lei affermò che avremmo seguito Harry ovunque fosse voluto andare. E capisco che non potrei mai, per nulla al mondo, tagliarla fuori o preservarle il diritto di questo dolore. Lei vorrebbe soffrire per Harry. Con me. Nonostante mi odi, forse da qualche parte dentro di lei non si è spezzato l’affetto che, sono certo, un tempo mi apparteneva.

-è lì.- Dico, calmissimo. –Me la passi, la prego. Non ci vorrà molto.

Un attimo di incertezza, e poi la voce risponde. –Attenda in linea.

Paziento, come se intorno a me il mondo corresse ma io non avessi fretta. Nessuno si aspetta davvero qualcosa da me, oggi. Oggi, l’unica cosa che devo fare è aspettare che tutto torni al suo posto nel mondo, perché nulla ora è al suo posto.

-Pronto?- chiede una voce lontana, dolce e severa.

Non posso trattenere un singhiozzo sentendola, al di la di una stupida cosa di plastica che sembra una banana gigante, dopo tanta distanza tra noi.

-Hermione.- sussurro.

-Ron!- Esclama. Lo stupore e la paura, l’eccitazione e una strana forma di contentezza trapelano nonostante i chilometri.

Sospiro. –Come stai?- chiedo.

-Io sto bene.- dice, frettolosa. –Tu?

-Mione…- tremo. –Mione, mi spiace di disturbarti così, so che non vuoi essere cercata ma… Mione, è successa una cosa terribile e penso che tu debba esserne informata, da… da me.

Sento che si paralizza, mi sembra di poter ascoltare il battito del suo cuore, e il suo sangue scorrere impazzito nelle sue vene. I suoi grandi occhi commuoversi in immensi lacrimoni che vorrei asciugare con le labbra.

-Si tratta di Harry.

E sento la parete che ha eretto tra di noi crollare implacabile sotto una valanga insostenibile di dolore.

-Harry?- chiede, con voce stridula.

-Sì. È in coma. Si pensa ad un attacco di Mangiamorte.

-Oddio.- singhiozza.

Sta in silenzio per un tempo interminabile.

-Come ti senti?

Lei singhiozza. –Tu? Come stai? E Ginny?

-So di non aver nessun diritto di chiedertelo ma…

-Prendo il primo aereo e sono lì, appena posso, oggi stesso se possibile. Oddio. Come stai?- ripete.

-Io…

-Oh Ron. Vorrei essere già lì. Ti faccio sapere a che ora arrivo. Non mi posso materializzare da così lontano, ma abbiamo un jet che dovrebbe essere pronto in qualche ora.

-Io…

-Pensi di potercela fare per qualche ora ancora?- Sorrido, specchiando questa voce piena di preoccupazione materna, critica, rimprovero, frenesia, amore fraterno, affetto, con il ricordo delle sue frasi più dolci nei suoi momenti più dolci. È uguale, solo con qualche anno in più.

-Ci posso provare.- Faccio, con ironia e sincerità.

Percepisco il suo sorriso. –Allora corro, Ron.

E mentre riaggancio in tutto il corpo mi pulsa il disperato bisogno di averla di nuovo accanto.

*

Okay, lo so che sono sempre un po’ sadica e voglio sempre farvi piangere (o per lo meno, a me ha fatto piangere scrivere queste cose =P). Però è anche quello che mi è venuto fuori, non posso farci niente.

E a volte ci vogliono delle grandi cose per superare delle grandi distanze che ci separano dalle persone, distanze fisiche e mentali, aggravate da troppe cose e troppi sentimenti che si mescolano insieme.

Ci vogliono delle grandi cose per farci ricordare quanto grande è quello che ci lega a qualcuno e quanto stupido sia farlo diventare piccolo a cospetto di altre cose, orgoglio e gelosia e incomprensioni. E poi mettere tutto da parte, e tornare vicini, per affrontare le cose e ricominciare.

Quindi non accusatemi di troppa “sadicità”, anche se me lo merito in realtà.

Alla prossima, non vi farò aspettare troppo.

Un abbraccio, e grazie in anticipo per i commenti =)

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Capitolo 13
*** 6.01 Perdere me. ***


Va bene volevo postare tra qualche giorno ma poi mi sono sentita veramente sadica e allora ho deciso di mandare a quel paese i

Va bene volevo postare tra qualche giorno ma poi mi sono sentita veramente sadica e allora ho deciso di mandare a quel paese i miei progetti e postarvi subito altri due capitoli. Non posso non dire che sono stata davvero piacevolmente sorpresa dal vedere quante recensioni ho accumulato in una notte… e il tono entusiasta e coinvolto delle vostre parole mi ha davvero toccato. Grazie, Grazie, grazie. Tutto questo non esisterebbe se non ci foste voi a spronarmi e a sorreggermi e a commentarmi quindi grazie grazie grazie, non smetterò mai di dirlo. Grazie.

Buona lettura, spero =)

Capitolo 6.01

Perdere me.

You won't admit you love me.

And so how am I ever to know?

You only tell me

perhaps, perhaps, perhaps.

A million times I asked you,

and then I ask you over again,

you only answer

perhaps, perhaps, perhaps.

If you can't make your mind up,

we'll never get started.

And I don't wanna wind up

being parted, broken-hearted.

So if you really love me,

say yes.

But if you don't, dear, confess.

And please don't tell me

perhaps, perhaps, perhaps.

If you can't make your mind up,

we'll never get started.

And I don't wanna wind up

being parted, broken-hearted.

So if you really love me,

say yes.

But if you don't, dear, confess.

And please don't tell me

perhaps, perhaps, perhaps,

perhaps, perhaps, perhaps,

perhaps,

perhaps,

perhaps.

{Perhaps, Perhaps, Perhaps - cake}

Hermione.

Nel momento stesso in cui abbasso il ricevitore, inizio a tremare. Tutto dentro di me si spezza, tutti i pezzi che avevo messo insieme pazientemente, si infrangono dolorosamente e cadono al suolo davanti ai miei occhi. Ma non esce alcuna lacrima, alcun singhiozzo. Richard mi si avvicina con un sorriso tenero, mi prende per un braccio e inizia a chiedermi: -Chi era? Belle notizie? Tutto bene?

Mi trascina nel caldo afoso, nel rumore di persone e animali, nella luce bianca del sole. Fatico persino a respirare, ma una frenesia implacabile si è già impadronita di me.

-Devo correre a casa.- Sussurro. Lui mi guarda spalancando i grandi occhi innocenti.

-Cosa?

Mi scosto da lui, alzandomi i capelli dal collo sudato, me li lego cercando di prendere tempo. –Devo correre a casa.- ripeto. –Harry. È in coma. Devo correre a casa.

-Cosa?- Ripete lui, confuso. Lo guardo dritto negli occhi.

-Hai capito. Devo andare a Londra. Adesso.

-Ma… Hermione.- Gli lancio un’occhiata penetrante e impassibile. –Okay.- Cede, alla fine. –Okay. Ti faccio preparare il jet, tu fai la valigia. Tra un’ora potrai partire.

Si tende verso di me per baciarmi, ma io lo evito e corro nella mia tenda.

Inizio ad infilare le cose frettolosamente nella borsa, senza perdere tempo a piegare i vestiti o a stare attenta di non dimenticare qualcosa. Non mi interessa. Indosso un paio di pantaloni di tela verde scuro e una canottiera. I capelli legati in una coda, il viso struccato. E mentre mi guardo nello specchio, per la prima volta davvero da tanto tempo, riconosco sul mio viso l’espressione che avevo ai tempi di Voldemort. Quello che io ero. Vedo i miei occhi pieni di paura, le labbra serrate, le mani che mi tremano. Solo che tutta questa improvvisa paura e insicurezza, ora è scolpita in un corpo di donna, un corpo troppo magro e abbronzato, in una vita che non centra niente, niente, con quella che avrei voluto ai tempi di Voldemort. Le magliette e le calze e i pantaloni non ci stanno nella borsa, non se non sono piegati, così faccio un sospiro, mi siedo sul letto. Okay. Ho un’ora, è inutile correre tanto. Non posso fare nulla se sono qui. Butto tutto sul letto e ricomincio da capo, piegando tutto con calma, le dita che tremano, febbricitanti, su orli distrutti da ore di cammino, su magliette macchiate irreparabilmente, su ricordi che ora non voglio più serbare. Vorrei essere a Londra. Vorrei tenere le piccole mani di Ginny tra le mie, stringerla forte forte a me, e sussurrarle “sono qui”. La immagino, con quell’espressione forte e indissolubile, con quel sorriso irradiato di dolcezza. La immagino e una fitta di dolore mi obbliga piegata su me stessa, succube di questa visione di lei, della mia migliore amica, che ha bisogno di me, e non mi ha lì con se. La mia Ginny, lei, sempre lei, pronta per me e pronta per essere al mio fianco. E Ron. E so che ancora più di Ginny, è lui ad aver bisogno di me, ora. Piego convulsamente una maglietta dopo l’altra, permettendo all’immagine di Ron di infiltrarsi in me come non le lascio fare da mesi e mesi, mi invade, il suo sguardo cristallino e innocente, la sua battuta sempre pronta, la sua debolezza quasi imbarazzante, il suo coraggio, così fragile da potersi spezzare sotto un alito di vento, il suo essere fedele e dolce, quel ghigno di scherno che mi dedicava, come se sorridermi davvero fosse un crimine, dirmi che mi voleva bene, inconcepibile. Eppure, nel momento del bisogno, è la mia mano quella che cerca. Che ha sempre cercato. Lui, Ron. Sempre spinto da una strana forza a proteggermi dai mali del mondo, ma bisognoso della mia protezione per non restarne sopraffatto. Ma la verità è una sola: non può vivere senza Harry. Non può. Harry è tutto quello che Ron abbia davvero. Tutto, il suo migliore amico, il suo appoggio nello sconforto, suo figlio e suo padre, totalmente diverso da lui, eppure così simile negli errori e nei pregi che li hanno fatti diventare uomini. Quando li ho lasciati sapevo che ce l’avrebbero fatta senza di me, perché uno aveva l’altro, e questo è sempre stato tutto ciò che contava. Potevi togliere loro qualunque cosa, l’acqua e la cioccolata, gli scacchi o il Quidditch, ma non potevi toglierli l’uno dall’altro. Anche quando uno faceva il coglione, anche quando uno dei due sbagliava, l’altro lo sorreggeva, lo sorreggeva comunque, pur sapendo che era nel torto. Come quando io e Ron litigavamo. Harry non stava dalla sua parte perché era contro di me, stava dalla sua parte perché non poteva fare altrimenti. Non poteva privarsi di Ron. Quando Harry aveva le sue fisse, Malfoy, Piton, Voci nei muri, quando vedeva nemici dappertutto e ci voleva trascinare in incredibili missioni, Ron lo appoggiava anche se non gli credeva, e finivamo per credergli entrambi. Harry l’ha voluto nella sua squadra anche se non era bravo. Così, socchiudendo le palpebre, posso vedere Ron seduto, curvo su se stesso, su una sedia davanti alla camera chiusa di Harry. Posso vederlo perfettamente, e tutto quello che vorrei è correre da lui e abbracciarlo, stringerlo forte a me, dirgli che ce la faremo, insieme, in un modo o nell’altro. Ci proveremo. Io non sono Harry, ma ti voglio bene, Ronald. Immagino di dirgli queste parole, immagino i suoi capelli rossi e spettinati, i suoi vestiti scelti con gli occhi chiusi. Sento persino il suo sapore nelle narici, e mi viene da piangere. Mi sento improvvisamente così debole che non riesco a piegare una sola maglietta di più, così chiudo la borsa, fregandomene di quello che mi lascio indietro: sono cose di cui non ho bisogno. Esco di nuovo nell’accecante luce del giorno, dove il vociare di persone e l’affaccendarsi di maghi mi stordisce. Non voglio salutare nessuno. Arranco, priva di forze, verso la pista del jet. Harry è in coma. Questa piccola verità inizia a farsi strada dentro di me, ma io la scarto, restando concentrata su quanto Ron e Ginny staranno male, non su quanto sto male io. Non è vero, mi ripeto. Non è vero per niente. Non sta succedendo. Richard mi viene in contro, mi prende le mani e mi costringe a guardarlo. Si stupisce davanti ai miei occhi asciutti e alla mia espressione di ferrea convinzione. Va tutto bene, mi ripeto.

-Hermione, tesoro.- Dice. Sento il rombo del motore del jet che si scalda e vedo il pilota sistemarsi le cuffie sulle orecchie. Tutto questo mi sembra così immensamente irreale, come se lo guardassi attraverso spessi occhiali.

-Va tutto bene.- Gli dico. –Devo andare, mi stanno aspettando.

-Ti raggiungo appena posso, io…

-Va bene, Rick.

-Ti telefono… telefonami, Hermione…

Lo guardo, in quegli occhi così immensamente pieni di pena per me, preoccupazione, coinvolgimento emotivo. Provo una piccola stretta di tenerezza allo stomaco, ma Richard si trova già dietro alle mie spalle, nel mio passato, mentre io devo salire su quel jet e ripiombare in qualcosa che lui non può capire. Non può sentire quello che sento io. Un dolore fisico, un male in tutto il corpo, nel cuore e nello spirito, persino le gambe non mi reggono, non riesco a respirare, come se non fosse Harry quello malato, ma io, io che sto morendo mentre la corrente si porta via tutto quello che ho.

-Ci sentiamo, Richard, davvero. Ma ora, io…

-No, aspetta un secondo.

Lo guardo, stupita. Mi toglie la borsa dalla spalla, mi prende tra le braccia, mi stringe a se. Mi bacia la testa, mi accarezza una guancia.

-Hermione, so che sei sconvolta, ma ti prego… ti prego, non salutarmi come se non ti importasse.

-Richard…- una parte di me sa che quello che dice è lecito. Ma io ho bisogno di essere su quell’aereo, ho bisogno di essere lontana da qui… vicino a loro.

-Io ti amo.- Mi dice, tenendomi ferma per le spalle e costringendomi a guardarlo dritto in viso. Il sole che brucia sul suo sguardo gli fa lacrimare gli occhi e sudare la pelle, le sua labbra vibrano, è bello come non l’ho mai visto, con quell’aria furiosamente innamorata, selvaggia. –Io ti amo, e quello che vorrei, ora e sempre, è seguirti e stare con te. Ora e sempre.- è serio, ma sulle sue labbra guizza l’ombra di un sorriso. –Vorrei sposarti.

Lo guardo con occhi vuoti, smarriti.

-So che non è il momento più adatto.- Sussurra, e vedo che per un secondo l’ansia attraversa il suo sguardo sicuro e determinato. Ma è solo un secondo, e poi riprende a fissarmi con occhi pieni di certezze e affetto, come mai nessuno mi aveva guardata. –Ma sento che se non te lo dico ora, ti perderò per sempre.

-Io…

-Non mi devi rispondere ora. Prenditi il tuo tempo, ma ricordati che io non posso aspettare per tutta la vita.

-Richard…- Non so cosa rispondere. Non riesco a dirgli che lo amo. Non riesco a capire se lo amo. Non riesco a dirgli che lo voglio sposare. Non riesco a capire se lo voglio sposare. Lo bacio. Lui assaggia le mie labbra con calma, accarezzandomi come se mi accarezzasse per l’ultima volta. Gli prendo una mano, gliela bacio, e ora sono io a guardare lui dritto negli occhi. –Grazie di tutto.

Lui annuisce, mi sorride, e mi guarda salire sul jet con in spalle una borsa quasi vuota. Mi siedo, faccio un cenno al pilota, e guardo fuori dal finestrino. Dalla pista, Richard non toglie gli occhi dal jet. I suoi si incontrano con i miei attraverso il vetro e provo un moto d’affetto verso di lui, di voglia di stringerlo, di giurargli che non è un addio. Gli sorrido. Ti amo. È un pensiero doloroso. Non pensavo di amare qualcuno da tanto tempo, come se il solo pensarlo fosse illegale. Ma forse ora so cosa si prova ad amare qualcuno, un misto di voglia di scappare perché il cuore batte forte e di bisogno di non lasciarlo mai, piangere tra le sue braccia e ridere nella sua risata. Voglia di baciarlo, fare sesso, ma anche solo guardarlo mentre ti guarda volare via. Parlare con lui e sapere che ti capisce e ti ascolta. Urlargli contro per migliorarlo e farlo crescere, urlare forte per colmare lo spazio tra di voi, più forte di lui, più forte di tutto, per spaccare i confini e poterlo cingere con tutta te stessa. Bisogno di averlo vicino e di stargli vicino. Bisogno di lui. Questo è amare qualcuno. E forse io potrei amare Richard. Appoggio una mano al vetro, lo accarezzo, e l’aereo vola via. Taglia le nuvole e sorpassa gli uccelli. E io mi sento come svuotata. Tra poche ore rivedrò Ron. Capirò se l’ho dimenticato… Sì, forse l’ho dimenticato. Forse sono cresciuta, sono cambiata, sono diventata più forte, ma… Improvvisamente una fitta di terrore mi trapassa tutta. Ho perso me stessa. Mi sono smarrita. Non sono più io, no, non sono più Hermione Granger, non quell’Hermione che la gente guarda con una punta d’astio e affetto, quella ragazza con i ricci crespi e il sorriso un po’ storto che considera la cosa più importante del mondo rispettare le regole, e ancora di più aiutare un amico, specie se quell’amico è Harry. L’Hermione che ero non avrebbe indugiato un solo attimo davanti al terrore di perderlo, mentre ora sto rimandando il momento in cui prenderò la testa tra le mani e piangerò. Non riesco a farlo, non riesco ad affrontare il mio stesso dolore, ne ho troppa paura. Troppa paura di rendermi conto di quello che sta accadendo, questo l’ho sempre fatto, dirmi che “va tutto bene”, ma lo facevo per affrontare le cose con più fermezza, mentre ora… ora non sto affrontando nulla. Sto scappando. Sono scappata da Ron e Cassie. Sono scappata da Ginny e Harry. Sono scappata da Richard. E ora? Ora che fuggo da tutti coloro che amo o ho amato e che forse mi amano e mi hanno amata? Questo viaggio è stato un errore. Forse arriverò al San Mungo e Harry sarà morto. Non potrò fare altro per lui che sistemargli i capelli sulla fronte, prendere le sue mani e piangerci dentro tutte le mie lacrime. E piangerò come non ho mai pianto. Ma non servirà a nulla. Harry sarà morto, e io non c’ero, non c’ero a controllare che non si mettesse nei guai, che stesse bene, che tutto andasse bene. Sono stata egoista, sono fuggita perché vedere Ron con Cassie mi faceva male, ma non ho considerato il male che così facevo a tutti gli altri. E vedo Ron nella pioggia che mi supplica di spiegargli, e io che lo guardo glaciale e me ne vado. Rivedo Ginny e Harry all’aeroporto, i loro sguardi rammaricati, come se stessi fuggendo da loro, ed era proprio così. Fuggivo da quegli occhi pieni di compassione. Scappavo dal loro affetto e dai ricordi che mi avrebbero riempito la mente, uccidendomi lentamente ogni volta che vi avrei guardato dentro. Ma… loro sono i miei migliori amici. La mia famiglia. E io sarei dovuta restare, restare per loro, per sorreggerli e abbracciarli, per ridere con loro, bere vino con loro, scegliere insieme a loro il colore della nuova cucina e le lenzuola per la nuova camera da letto. Avrei dovuto essere la loro Hermione, come ero stata per tutti gli anni della nostra adolescenza, e invece per colpa di una stupida relazione tra Ron e mia sorella ho sbattuto tutto al vento. Ho perso l’occasione di star loro vicino. Ho perso tempo. Ho perso la mia amicizia con Ron. Ho perso tutto: persino me stessa.

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Capitolo 14
*** 6.02 I soliti errori. ***


Capitolo 6

Capitolo 6.02

I soliti errori

Tu sai difendermi e farmi male

Ammazzarmi e ricominciare

A prendermi vivo

Sei tutti i miei sbagli

A caduta libera

E in cerca di uno schianto

Ma fin tanto che sei qui

Posso dirmi vivo

Tu affogando per respirare

Imparando anche a sanguinare

Nel gioco che sfugge

il tempo reale sei tu

Tu a difendermi a farmi male

Sezionare la notte e il cuore

Per sentirmi vivo

In tutti i miei sbagli

Non m' importa molto se

Niente è uguale a prima

Le parole su di noi

Si dissolvono così

Tu affogando per respirare

Imparando anche a sanguinare

Nel giorno che sfugge

Il tempo reale sei tu

Tu a difendermi e farmi male

Sezionare la notte e il cuore

Per sentirmi vivo

In tutti i miei sbagli

Tu affogando per respirare...

Tu il mio orologio che può aspettare

E anche quando c'è più dolore

Non trovo un rimpianto

Non riesco ad arrendermi

A tutti i miei sbagli

Sei tutti i miei sbagli

Sei tutti i miei sbagli

Sei tutti i miei sbagli

{tutti i miei sbagli- Subsonica.}

Ron.

Ginny mi guarda, sul suo viso devastato da una notte di lacrime ora brilla una strana e cupa determinazione. Mi sorride, con dolcezza, e scorgo nel suo sguardo ancora l’ombra di un singhiozzo.

-Che ha detto?- si è legata i capelli, sembra più vecchia, come se in una notte tutti gli anni della sua vita le fossero piombati sul viso.

-Sta arrivando.- Dico, piano, stremato.

-Okay. Ron, ti devo parlare.

-Va tutto bene.- Le dico. Non ho voglia di sentire ramanzine sull’arrivo di Hermione, non ora. Mi accorgo di tremare.

-Non mi preoccupo tutto il tempo per te.- Si stizzisce lei. Ma sul viso le balugina un ghigno divertito. Poi scappa, sostituito nuovamente da quella cupa determinazione. –Sei grande e grosso e credo che i tuoi problemi amorosi siano meno importanti dei miei, al momento.

Mi sento subito in colpa. –Scusa Ginny. Sono un po’… scombussolato.

Mi sorride. –Sì, lo so. Volevo solo dirti…

-Cosa?- la testa mi scoppia, le gambe, le braccia, il petto, tutto mi fa male, un male cane. Vorrei sprofondare nel mio piumone, chiudere gli occhi e consumarmi lentamente nella solitudine afosa della mia camera da letto.

-Ron, io e Harry avevamo appena scoperto una cosa molto, molto importante.

Mi sento mancare.

-Sono incinta.

Non posso trattenermi dal guardare la sua pancia piatta, perfetta, che affiora appena dalla camicetta attillata. Inspiro. Espiro. Apro la bocca ma non trovo la voce. Non trovo le parole. Non c’è nulla che io possa dire, e me ne rendo conto guardando nuovamente il suo viso, il suo bellissimo viso distrutto dal dolore, il dolore di essere ad un passo dal perdere il suo uomo, il suo primo e unico amore, l’amore della sua infanzia, della sua adolescenza rubata per origliare alle porte dell’Ordine e ad allestire piani segreti, della sua gioventù impiegata a rimarginare ferite. E adesso? Non c’è nulla che io possa dire, così l’abbraccio, la prendo semplicemente tra le braccia, la stringo. E nonostante io sia in pena per lei, penso che se anche Harry dovesse morire su quel letto, entrambi avrebbero avuto almeno un po’ di quell’amore dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù di Ginny. Mentre se io dovessi morire ora non avrei avuto nulla dal mio amore di bambino e adolescente e uomo.

Lo stomaco mi fa male: lei sta tornando da noi.

Appena apro la porta di casa, come una nuvola soffice di boccoli d’ambra, con in dosso un semplice abitino nero che lascia scoperto il 90% del suo giovane corpo, Cassandra si lancia su di me. Non aspetta di sentire cosa sia successo, e dal terrore confuso nei suoi grandi occhi nocciola, capisco che lo sa. Qualcuno deve aver fatto ciò che io non avevo voglia di fare: alzare il telefono e dirle che cosa sta succedendo. Nell’aria aleggia uno strano sentore di fumo e le note antiche di qualche cantante dimenticato da Dio. Mi prende le mani e mi porta sul divano, ma io mi alzo, mi avvio al frigorifero e prendo l’ultima bottiglia rimasta di champagne. Non posso guardare quegli occhi pesti di dolore per me. Lo apro con un colpo di bacchetta e bevo direttamente dal collo della bottiglia, come a sfidarla a dirmi qualcosa. Ma lei non dice nulla, si accende un’altra sigaretta babbana. Anche la sua sembra un sfida.

-Ron, mi spiace tanto.- Dice alla fine, la voce sottile.

-Anche a me.

La testa continua a girarmi e per un secondo vorrei assaggiare la sua sigaretta. Le dita le tremano, e per quanto sia bella, splendida, ancora non posso sopportare di vederla, lei: un’intrusa. E poi davanti agli occhi continua a sfrecciarmi l’immagine di Hermione, dolce Hermione, Hermione che sta correndo qui, Hermione che io ho dimenticato, Hermione che non mi ha mai amato ne mai mi amerà. Hermione che un secondo fa era lontana mille miglia dalla mia vita attuale, un’ombra inconsistente sullo fondo consunto della mia memoria, e poi il presagio, e il coma, la telefonata, l’aereo (un jet privato)… e lei sta tornando da me.

Mi siedo su uno sgabello, immerso in un turbinio di immagini e di parole, di colori e di sensazioni. Ci è voluto il coma del nostro migliore amico per farti tornare da me. Mi hai perdonato? Per cosa poi? Ci sarà tempo per sederci, solo sederci, e parlare? Guardarci negli occhi, sì, dritti negli occhi, senza niente tra noi, pregiudizi e antichi litigi, ferite, e parlare? Dirci ciò che ci siamo taciuti, prenderci per le mani, sorriderci, e trovare che anche oggi, oggi che siamo adulti fatti e finiti, c’è ancora qualcosa che possiamo condividere, qualcosa al di là di ricordi e dolori e vecchie (vecchissime, ma per nulla dimenticate) passioni?

-Ron, dovresti chiamare Hermione.

-Sta arrivando, arriva, anzi, dovrei andarla a prendere all’aeroporto.

Questo mi fa alzare, mi fa mettere via la bottiglia, e mi trascino in bagno, mi tolgo i vestiti, mi butto sotto la doccia e per un attimo, lascio che solo una strana serenità si impadronisca di me: Hermione.

-Tra quanto? Dove? Vengo con te.- Questa volta non è una domanda, non può accettare un “no”. Ma non può venire. Non può infiltrarsi in questo sgomento, ed Hermione, piccola Hermione, non può vederci insieme.

-Tra un’ora, in un posto che non conosci. No, non verrai.

-Ron!

Esco dalla doccia, mi lego un asciugamano in vita ed entro in camera, apro l’armadio e inizio a frugare alla ricerca di qualcosa che dica “sono adulto, sofisticato, e ti ho dimenticata”.

-Ron!

Questa volta mi obbligo a girarmi verso di lei, a fronteggiarla.

-Dimmi, Cassie.

I suoi grandi occhi sono spogli da tutta la loro innocenza. Mi fissano, cruenti e severi. –Ti piaceva. Tu l’amavi. Forse tuttora ti piace. Forse tuttora la ami.-

Apro la bocca per ribattere, ma lei mi zittisce con un gesto fulmineo della mano sottile, un sorriso triste e amaro sulle belle labbra pallide. –è sempre stato così, sai? Tutti erano sempre catturati da Hermione. Certo, da bambina non era una gran bellezza, ma nessuno ci faceva caso. Tutti erano innamorati di lei, non che glielo dimostrassero, ma io lo vedevo, lo sentivo, che tutti la ritenevano… superiore. Come in effetti è, no? Mamma e papà ci provavano a farmi sentire alla sua altezza, ma io non lo ero. Lei, così intelligente, così acuta, così furba, quando tutti gli altri bambini zoppicavano su Topolino, lei già correva sulla Austen, e via, un classico dietro l’altro. Io non sapevo cosa volevano dire le parole che lei usava. Aveva sempre i vestiti più belli, sempre, non che le importasse, sai. No, poteva avere un sacco di patate addosso, bastava che avesse un grosso libro da divorare, ed era felice. Quando arrivavano a me, quei vestiti, non erano più così belli: tutti lisi, tutti fuori moda, sai.

Sorrido. Sì, Hermione.

-Mamma adorava fotografarla, anche nel suo periodo quello brutto, quello quando aveva quei dentoni che poi si è fatta magicamente sparire. Io odiavo le mie foto, erano fatte per pietà. Anche se qualcuno mi diceva che io ero la “bella” e Hermione l’“intelligente”.- mima le virgolette con un gesto della mano. -A me sembrava che lei fosse tutto e io nulla.

So che dovrei dire qualcosa ma questi ricordi non miei mi feriscono e mi guariscono. Hermione.

-Poi è arrivata la lettera, la spiegazione del perché lei, mia sorella, fosse così perfetta e stratosferica e io, invece, così normale.

Lei non è normale. È fantastica. Diglielo.

-E poi lei è uscita dalle nostre vite. Sparita, scappata, e ve la siete presa voi, tu e Harry. È diventata vostra. Forse lo è sempre stata. A me sono rimaste le briciole. Le briciole dell’amore di mamma e papà, delle attenzioni degli amici, delle attenzioni dei parenti, i suoi vestiti, i suoi libri. Li ho letti, quei libri. Belli, bellissimi. E mentre io leggevo i suoi libri e vivevo la sua vita, come la chiamate, babbana, lei viveva in un castello, batteva Signori Oscuri e ti faceva innamorare di lei.

Ho la bocca secca e gli occhi brucianti di lacrime. Dentro, mi sento tutto un brivido.

-Poi ricompare, sembra voler riagganciare i rapporti, io e te facciamo sesso… e lei? Sparisce. Di nuovo. Mi lascia ancora una volta le briciole, le briciole del suo passato ora che non le interessa più: tu, Harry, Ginny, i signori Weasley, e Tonks e Lupin, la tua strepitosa famiglia e i vostri strepitosi amici… Anche se, diamine, le interessa ancora. E allora perché se n’è andata? Oh, io lo so benissimo perché.

Il suo splendido, incantevole, viso è coperto di lacrime, le mani le tremano, le spalle sobbalzano, il suo petto si alza e si abbassa velocemente sotto i suoi seni dorati, i boccoli le si appiccicano alle guance, i suoi occhi sembrano innaturalmente grandi mentre mi guardano. –Ora lei sta tornando, e tu… tu la ami ancora?

-Io sto con te.- Non riesco a dire altro. Mi avvicino a lei, prendo le sue mani nelle mie e le bacio. Vorrei gridarle di non fare la scema. Io non ho mai amato Hermione! Né l’amerò mai. Eppure mi sento ubriaco, ubriaco di gioia all’idea di rivederla, ubriaco delle parole di Cassandra, ubriaco di tutti questi assurdi sentimenti. Lei mi fissa con i suoi grandissimi occhi e nella mia mente balugina l’idea che io stia prendendo in giro un sacco di persone, in questo momento, e per primi, io e Cassie.

-Questo non è sufficiente, Ron. Hermione è unica, di Hermione ce n’è una e una soltanto. Se stai con me per fingere di stare con lei… se non tieni a me… e non mi ami come in passato mi hai detto… Se pensi di provare qualcosa per mia sorella, ti prego, lasciami.

Ma io le bacio ancora le mani, incapace di farlo, incapace di capire, incatenato a stupidi errori del mio passato e del mio presente e del mio futuro, il mio grande errore, Hermione. E ora sua sorella, perfetta e inimitabile quanto lei, mi supplica di fare una scelta, ma io non so farlo, non ora.

-Cassie, non ora, ti prego.- supplico. –Ora io devo andare…

Sì, so che è sbagliato, ma là fuori c’è il mio migliore amico in coma, mia sorella incinta di lui, mia madre che si scioglie in lacrime davanti alla porta della sua camera d’ospedale… e lei che mi aspetta in un aeroporto per affrontare tutto questo con me.

-Devo proprio andare.

*

Okay, piccolo capitolo di intermezzo. Spazio a Cassie, sperando che ora la odierete meno. Creo un po’ di suspance per il momento che credo state aspettando, a questo punto. Sperando di sorprendervi almeno un po’ nei prossimi capitoli.

Ma non vi tengo sulle spine tanto, perché vi voglio bene =P

Un abbraccio =)

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Capitolo 15
*** 7.01 Sapore di te. ***


Grazie ancora degli splendidi commenti…

Grazie ancora degli splendidi commenti…

Oggi non vi annoio con un mare di preamboli inutili…

Buon capitolo =)

Capitolo 7.01

Sapore di te.

Step one you say we need to talk

He walks you say sit down it's just a talk

He smiles politely back at you

You stare politely right on through

Some sort of window to your right

As he goes left and you stay right

Between the lines of fear and blame

You begin to wonder why you came

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

Let him know that you know best

Cause after all you do know best

Try to slip past his defense

Without granting innocence

Lay down a list of what is wrong

The things you've told him all along

And pray to God he hears you

And pray to God he hears you

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

As he begins to raise his voice

You lower yours and grant him one last choice

Drive until you lose the road

Or break with the ones you've followed

He will do one of two things

He will admit to everything

Or he'll say he's just not the same

And you'll begin to wonder why you came

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

How to save a life

How to save a life

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

Where did I go wrong, I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life

How to save a life

{How to save a life- the Fray.}

Hermione.

L’aria è brillante, bianca, fredda. Inglese, dannatamente inglese. La corsia è sgombra, la luce abbagliante, il cielo nero. Mentre scendo gli scalini, facendo un cenno di ringraziamento al pilota, il vento mi soffia i capelli sul viso, furioso. Rabbrividisco nel mio abbigliamento estivo. Poi setaccio la pista, in ricerca di lui. Ho le guance asciutte e il cuore quasi immobile nel petto. Continuo a guardare tutto come da dietro spessi occhiali. Persino la proposta di Richard mi sembra lontana da me, lontana dalla mia vita. Forse in effetti me la sono solo sognata, come mi sono sognata tutto questo. Ora aprirò gli occhi e sarò ancora nella mia tenda a lottare contro zanzare affamate del mio sangue tra le braccia sudate di Richard, lo sveglierò con un bacio e faremo un altro veloce round d’amore prima di tornare dai nostri casi disperati da salvare.

Sul bordo della pista, troppo colorato nel mezzo di questo acquoso e grigio scenario, Ron sembra intenzionato a sparire nel nulla. Cammino lentamente, per poterlo studiare il più possibile, da lontano. Il mio cuore resta immobile, muto, congelato. Non è il Ron che ricordavo, è alto, certo, i capelli rossi, le orecchie rosse, le lentiggini, gli occhi dall’azzurro folgorante e innocente, li alza su di me e abbozza un sorriso imbarazzato. Mi sento studiata e anche io mi imbarazzo, abbasso lo sguardo sui miei piedi, intrappolati in ciabatte rotte.

-Ehi.- Lo saluto. Improvvisamente non so come comportarmi. Abbracciarlo? Baciarlo? Stringergli… la mano? Una pacca sulla spalla? Cosa siamo? Amici? Conoscenti? Fratelli? Lui non sa che un tempo ho sognato di poter essere “amanti”.

-Ehi.- Risponde. Le sue labbra si aprono in un sorriso carico di dolcezza e nuovo, tenero, imbarazzo. Mi avvicino ancora, ora siamo uno di fronte all’altra. I suoi occhi sono rossi, profonde occhiaie contornano il suo sguardo grave.

Anche lui sembra non sapere cosa è bene fare, e mi rendo conto di non essere la sola a ricordare come ci siamo salutati, il fatto che non gli ho dato un perché, il silenzio di questo ultimo anno tra di noi. Gli sorrido, tentando di rimandare il momento dei chiarimenti il più possibile: per sempre, magari.

-Come va?- chiedo.

Lui scuote il capo. –Lascia stare. Tu? Tutto… bene?

Mi stringo nelle spalle. –Sono molto preoccupata…

-Sì. Dai, vieni.

Apre la portiera di una macchina rosso mattone, e io entro in quel riparo caldo e ovattato. Lui si siede alla guida e si tuffa nel traffico.

-Una macchina?- chiedo.

Annuisce. Il silenzio tra noi ha un che di assurdo, non ricordo che vi sia mai stato. –Pensavo che fosse meglio parlarne un po’ prima di arrivare all’ospedale.

-Sì.

Giocherello con un riccio e mi appoggio al vetro gelato mentre una pioggia bollente inizia a sferzare l’aria, proprio come durante la nostra ultima conversazione. E risento quella morsa al cuore e allo stomaco, quel battito doloroso nel petto, quel respiro febbricitante ballarmi sulle labbra. Lui tiene le mani serrate sul volante, le spalle rigide sotto il golf blu notte, gli occhi fissi sulla strada, immobili.

-Sta… tanto male?- chiedo.

-Non si sa ancora, sai, i Guaritori non possono definire… ancora non ce l’hanno fatto vedere… e poi non sappiamo come… gli abbiano fatto… questo.

-Pensi siano stati i Mangiamorte?- un brivido ci percuote entrambi mentre, lentamente, pronuncio queste parole. Ed è come se al mondo ci fossimo solo noi: solo noi possiamo capire, questo dolore non appartiene ad altri, questo terrore è tutto nostro.

-Chi altro potrebbe volere morto Harry Potter?

Silenzio. –Ma lui… lui non morirà, vero?- chiedo, e ancora una volta rabbrividiamo. Vedo i suoi occhi bagnarsi di lacrime e vorrei abbracciarlo, ma non posso farlo. Anche se stiamo abbattendo il muro tra di noi, lui è ancora lì, dolorosamente eretto da anni di discussioni, incomprensioni, imbarazzi, menzogne.

-Io lo spero.- La sua voce è ancora dolce, ma velata di malinconia.

-Ginny come sta?

-Ginny è…- sospira. –Sfatta. Distrutta. E… Incinta.

Incinta? Incinta? Incinta? –Incinta?

L’aria si fa improvvisamente pesante. –Sì, me l’ha detto prima che venissi, penso volesse che te lo dicessi io, sai, per non doverlo fare lei, e piangere e tu piangi e tutte queste cose qua.- Ma io non piango, respiro pesantemente.

Penso che certo che Ginny è sfatta e distrutta. Avrà bisogno di me, qui, e provo un dolce calore dentro sapendo che tra poco potrò abbracciarla.

Mentre corriamo nella campagna inglese fuori Londra, bloccati nel traffico dell’ingresso della città, la pioggia che rende tutto incredibilmente grigio, lui resta con gli occhi fissi sulla strada, fingendo che io non ci sia.

-E… tu?

Tutti i muscoli del suo corpo si contraggono.

-Io…- la voce gli si spezza. –è molto complicato. Sono felice che tu sia qui.

È come se la gola mi si gonfiasse, non riesco a respirare o a parlare, commossa. Per la prima volta da tanto tempo non c’è menzogna sul suo viso, nei suoi occhi, nel suo sguardo, tra di noi. –Sono felice di essere qui… Sono certa che non è poi così complicato.

-Sì, e non ti immagini nemmeno quanto.

Il San Mungo è proprio come ogni volta che ci sono stata negli ultimi, troppi, anni nelle ultime, troppe, visite che ho dovuto fare. Ma questa volta l’ansia che provo non è nemmeno minimamente paragonabile a quella delle altre volte, forse solo a quella lontana mattina in cui sono dovuta andare alla ricerca di Ron e Harry per sapere che ne era di loro, che ne era del mondo, che ne sarebbe stato di me. Mi sento soffocare, per la prima volta vacillo, e non è solo per Harry, ma anche per Ron, che è disperato per qualcosa di così “complicato” che non può condividerlo con me, per Ginny, innamorata, incinta, con Harry su quel letto… e per me, adesso, che sono qui come una naufraga, vorrei lenire i loro dolori ma ho anche io un sacco di dolori: i dolori per loro, i dolori per Harry, e perché Richard mi vuole sposare e io non capisco cosa provo per Ron. Perché mi sento soffocare?

Il corridoio è vuoto, lui si volta verso di me e mi sorride. –Sei fortunata, se ne sono andati tutti. Prima c’era una folla incredibile.

-Possiamo vederlo?

-Sì. Penso di sì.

Spinge una porta ed entriamo nella sua camera, una camera bianca e profumata di pulito e pozioni, e su un letto è sdraiato Harry, pozioni attaccate al suo corpo, una lampadina illumina lugubre le sue guance scarne e pallide, la sua cicatrice sembra innaturalmente grande, senza occhiali il suo viso appare incredibilmente vulnerabile e spoglio.

Mi sento mancare. Un dolore ovunque che ammutolisce tutti gli altri dolori, come se fosse il mio corpo stesso quello steso su quel letto, ogni angolo del mio corpo soffre, mi devo appoggiare alla parete per stare in piedi. Anche Ron adesso non può più mascherare il male che sente, chiude la porta appoggiandovisi sopra, pallido con un cencio, con le labbra vibranti e le orecchie più paonazze che mai. Arranco a fianco a Harry, prendo la sua mano pallida, gelata, fragile tra le mie e, senza riuscire a frenarmi, inizio a piangere. Sento Ron che mi si avvicina, mi toglie la mano di Harry e io non ho la forza di oppormi, mi prende tra le braccia e mi stringe. Piango, piango così forte che mi soffoco con i miei stessi singhiozzi, bagnandogli il golf e il collo e le guance, ma lui continua a stringermi, e anche le sue lacrime scorrono su di me, bagnandomi i capelli, le mani, il collo, le guance, ci sorreggiamo a vicenda, sospirando e singhiozzando, mi appoggio a lui come non mi sono mai appoggiata a qualcuno; e la cosa mi spaventa terribilmente, perché lui non è “qualcuno”: è Ron.

Non so quanto tempo passi, quanto ne sia passato quando finalmente alzo gli occhi su di lui, abbozzo un timido sorriso umidiccio e lui risponde al sorriso con sincerità.

-Lo so che stai male.- Dico.

-Sì, anche io lo so. Che stai male.

Mi scosto da lui, mi asciugo le guance, e quando lo riguardo in viso, anche lui si è ricomposto. Lancio un’ultima occhiata a Harry, steso senza forse su quel letto d’ospedale, e usciamo nel corridoio ormai illuminato dalle bolle di luce perché fuori deve essere caduta la sera.

-Ron!- La sua voce irrompe con furia nella mia testa, e mi volto. Cassie è seduta su una sedia, i capelli fulvi e gonfi che incorniciano la sua figurina magra e dorata, i suoi immensi occhi innocenti e allagati d’amore e preoccupazione per Ron. Gli getta le braccia al collo, lo bacia su tutto il viso, sussurrandogli parole roche che io non capisco. Poi si volta verso di me.

-Mione!- è imbarazzata, tutta rossa e scarmigliata ora, la bambolina perfetta che ho sempre sognato di essere. La rabbia che provo nei suoi confronti imbarazza anche me, mentre lei mi prende le mani e mi bacia morbidamente le guance, con quelle stesse labbra con cui un secondo prima baciava Ron. Provo a cogliere un ultimo frammento del suo sapore. –Ginny mi ha portata qui, adesso è in bagno, sarà qui a minuti. Come stai?

-Sono stata meglio. Tu?

Ma non ascolto la risposta, e nemmeno Ron lo fa, ne sono certa. Il suo chiacchiericcio è solo una musica di sottofondo, lui appoggia la guancia alla sua testa morbida e chiude gli occhi, come se fosse troppo stanco per continuare, e lei gli tiene la mano, accarezzandogliela dolcemente. Lei lo ama, forse lui ama lei. Ginny aveva ragione dicendo che aveva ricominciato. Mia sorella ama quello che pensavo dovesse essere il mio uomo, lo ama tanto da essere stata sempre qui con lui a tenergli la mano e a baciarlo morbidamente sulle labbra. E Ron ama Cassie, la mia esotica e splendida sorella che si prende tutto quello che io non riesco ad apprezzare del tutto, che riesce a conquistare tutto ciò che io non riesco a raggiungere. Ron merita il suo amore, e Cassandra merita l’amore di Ron.

Forse io dovrei sposare Richard e ignorare come mi batte il cuore in questo momento, ignorare l’ansia, l’amore, la rabbia, tutto…

In quel momento Ginny esce dal bagno, il su viso è una maschera di sofferenza e i capelli rossi fiammeggianti fanno a pugni con il colorito cereo delle sue guance. –Mione…- Singhiozza. E mai, mai, l’avevo vista così, lei, sempre forte e indistruttibile. Erano anni e anni che non vedevo le lacrime su quel volto, e nemmeno ricordo l’ultima volta che quelle guance erano state bagnate. La prendo tra le braccia e la stringo più che posso. –Andiamo a casa…

La porto a casa, le preparo un latte bollente che rifiuta, io e Luna la laviamo sotto la doccia mentre l’acqua calda e profumata si mescola alle sue lacrime e i capelli ci si appendono alle dita, i suoi seni sembrano più piccoli di come li ricordavo, e provo a cogliere se la sua pancia è un po’ più grande. Gliela accarezzo e lei singhiozza più forte. Le mettiamo un pigiama caldo, lei trema, la sdraiamo a letto, e beve il suo latte. Si adagia trai cuscini e le coperte, e io mi stendo accanto a lei, l’abbraccio, e lei si lascia stringere. Mi tiene una mano. –Sono qui, qui con te.- Le sussurro all’orecchio. Lei annuisce, chiude gli occhi e cade addormentata.

Anche io chiudo gli occhi, senza lasciarle la mano, ma non mi addormento, dormire accanto a lei mi fa navigare in un mare di una bellezza struggente, pesante sotto il peso di ricordi pieni di Harry, di Ginny, di Hogwarts, di Voldemort… di Lui.

*

Abbracci. Ecco quello di cui avremmo bisogno, a volte. Solo di un abbraccio.

Dalla persona amata, dalla migliore amica, da un fratello, dalla mamma.

Bracci muti, ma molto più significativi di tante parole. Abbracci. Colmare le distanze. Abbracci.

=)

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Capitolo 16
*** 7.02 Impossibile cambiare. ***


Buona settimana, lettori =)

Buona settimana, lettori =)

Capitolo 7.02

Impossibile cambiare

I was born a child of grace

Nothing else about the place

Everything was ugly but your beautiful face

And it left me no illusion

I saw you in the curve of the moon

In the shadow cast across my room

You heard me in my tune

When I just heard confusion

All because of you

All because of you

All because of you

I am… I am

I like the sound of my own voice

I didn’t give anyone else a choice

An intellectual tortoise

Racing with your bullet train

Some people get squashed crossing the tracks

Some people got high rises on their backs

I’m not broke but you can see the cracks

You can make me perfect again

All because of you

All because of you

All because of you

I am… I am

I’m alive

I’m being born

I just arrived, I’m at the door

Of the place I started out from

And I want back inside

All because of you

All because of you

All because of you

I am

{All Because Of You –U2}

Ron.

Apro gli occhi lentamente, percependo già le piccole dita di Cassandra chiuse a pugno tra le mie, la sua testa soffice sul mio petto. E improvvisamente mi sento soffocare, come se il cuore mi palpitasse nella gola, impedendo all’aria di entrare e uscire regolarmente dal mio corpo. Mi muovo appena e lei alza il viso all’altezza del mio, guardandomi con i suoi occhi innocenti e maliziosi, improvvisamente pieni di una strana consapevolezza, e il sorriso severo e duro di Hermione le sfiora delicatamente le labbra. Non è mai stata tanto simile a lei. Né tanto diversa.

-Buongiorno.- Sussurro. Non so come sono finito qui, nel rifugio sicuro del suo piumino candido, nella morbidezza tranquilla del suo seno, nella stretta educata delle sue braccia, nell’esuberanza della sua risata. Io, naufrago di una battaglia navale e lei, la sirena che mi ha portato all’asciutto sulla battigia. Non so come sono arrivato qui, stanotte, né quella sera di ormai un anno fa quando sono salito con lei nella camera dei miei genitori e per la prima volta sono sprofondato nella sua trappola di tenerezze.

-Buongiorno.- Biascica lei, roca, e le labbra le tremano appena.

Le accarezzo una guancia, liscia e profumata di crema.

Ci osserviamo in silenzio per un lungo minuto nel bagliore argenteo della mattina.

-Mi vuoi lasciare vero?- dice alla fine, e la sua voce suona stranamente forte nel silenzio della stanza.

-Io…

-Tu me lo devi dire, se vuoi farlo. Me lo devi, come mi dovresti una spiegazione, anche se non serve, io…

-Cassie…

-Tu non vuoi stare con me. Non hai mai voluto. Tutto questo è stata una farsa, non è vero? I ti amo, i tesoro, i regali, i fiori… tutta una farsa. Vero?

-No, non una farsa. Un errore, forse, ma…

-Un errore?- adesso non c’è rabbia sul suo viso, ma una cupa amarezza le disegna una piega tra gli occhi. –Un errore.- sospira pesantemente.

-Io ci credevo.

-Sì. Anche io. Ci ho creduto.

Annuisco, ma non riesco ad alzarmi, non riesco a separarmi da questo torpore, dall’illusione di questa vita che per un attimo mi è parso possibile chiamare mia.

-Sono convinto di averti amata. Ma forse ora questo non è più… possibile.

-Non venirmi a parlare d’amore, per favore.- ora sembra arrabbiata, e questo quasi mi rincuora. Preferirei che mi cacciasse urlando, piuttosto che continuare a cullarmi con il suo sguardo vaporoso e vellutato. –Tu mi stai lasciando per lei. Ho dovuto raccattare le briciole, sistemare le tue ferite, e ora sei pronto per tornare tra le sue braccia. Va bene così.- Si sdraia, voltandosi su se stessa, dandomi la schiena. Mi ritrovo a fissare i suoi boccoli irradiati dalla luce dell’alba. –Va bene così. Ma almeno non parlarmi d’amore.

Annuisco, le accarezzo brevemente il capo, ed entrambi rabbrividiamo, in quel fragile istante in cui qualcosa si spezza, e l’aria si fa improvvisamente gelata.

Mi alzo e la lascio li, sola nelle coperte ancora calde di noi.

E mentre, bendato nei vestiti di ieri, nella mattina grigia e febbricitante, cammino per le strade, provo un dolore sordo nel petto per quello che le ho fatto, per quello che ci ho fatto. Ma nonostante questo c’è anche una felicità altrettanto sorda che palpita dentro di me. Hermione, Hermione, Hermione. Continuo a ripetermi il suo nome, lo sussurro a fior di labbra, lo bevo come il nettare più dolce, assaporandolo come un profumo squisito. Hermione. E mentre arranco nel primo traffico mattutino, ebbro di emozioni troppo forti, il suo viso allagato di lacrime affiora nella mia mente e io lo accarezzo come se lo avessi tra le mani. Hermione.

Suono a casa di Luna, perché la mia casa da scapolo, così vuota, fredda, profumata del corpo di Cassandra e del mio amore proibito per sua sorella, rischierebbe di distruggere l’improvvisa forza che mi si dibatte dentro, forte e indistruttibile. Entro, barcollando per le scale. Poi la porta di casa sua si apre, ma nella penombra del corridoio non si staglia Luna, la sua pallida nudità ogni volta che mi ha aperto questa porta, il luccichio dei suoi occhi e dei suoi capelli e il fruscio delle sue gonne ogni volta che mi ha fatto entrare qui, lo scampanellio dei suoi gioielli ogni volta che mi ha invitato a bere qualcosa, il suo sapore di gelsomino ogni volta che mi ha baciato le guance. Incorniciata dalla porta c’è Hermione, bardata in una vestaglia sbrindellata, i ricci in una massa informe intorno al viso pallido e smunto, due cerchi lividi intorno agli occhi stanchi, una tazza fumante in una mano, la maniglia gelata della porta nell’altra. Il sorriso che mi rivolge è tirato, uno sforzo sovrumano che le disegna una ruga tra gli occhi, una piega gemella a quella di Cassandra.

Non l’avevo notata prima.

-Buongiorno.- Sussurra, roca e gentile.

-Buongiorno.- Rispondo, stordito da quella visione, così vulnerabile e fiera, inaspettata.

Arretra per lasciarmi entrare.

-Ho portato qui Ginny, ma non sono riuscita a dormire molto. Tu come ti senti? Ti preparo un caffé.

Mi precede nella cucina affollata di spezie e boccette, di cuscini e legno, così diversa da quella che Luna e Ginny condividevano quando vivevano insieme. Mi sembra passato un secolo da allora.

-Sono molto stanco.- Biascico con voce un po’ impastata.

Mi siedo su uno sgabello mentre lei mi versa una tazza fumante di caffé e ci aggiunge il latte e lo zucchero, distrattamente, come un’abitudine.

Si siede di fronte a me, la criniera disordinata e arruffata intorno alle guance pulite e fresche.

-Non abbiamo avuto molto tempo per parlare.- Faccio io, piano. –Del resto, insomma, Harry a parte.

La vedo avvampare.

-Di che… vuoi parlare?

Mi stringo nelle spalle. –Non so. Come stai? Com’è andato il tuo viaggio?

Annuisce. –Bene, bene. È stato molto… interessante, emozionante…

-Hai fatto quello che volevi. Hai dato una mano. E cambiato aria.

-Sì.

-E ora sei pronta a… tornare?

Arriccia le labbra in maniera deliziosa. Nello specchio di quella bellezza che sembra appassita, si riflette la bambina che ho amato, e che tuttora amo.

-Pensi che dovrei tornare?- Mi chiede, seria e corrucciata.

-Io sì. E lo spero. E lo voglio.

Ride, imbarazzata. –Ma che ti importa? Tu hai Cassie, tu…

Scrollo la testa. –Mi sei mancata.- Mi sorride, gli occhi luccicanti di qualcosa di simile all’affetto, e penso che forse mi ha perdonato. –Quindi tornerai?

-Dipende…

-Da cosa?

Si puntella sui gomiti, mettendo il mento tra le mani, le sopracciglia tanto vicine da sembrare un’unica linea scura.

-Sai, Ron, in questo viaggio sono cambiate un po’ di cose nella mia vita. Per me, insomma.

-Sì?

-Sì. Vedi io ho… conosciuto una persona.

Mi sento avvampare, i capillari della faccia minacciano di scoppiare sotto la mia valle di lentiggini, e lei distoglie discreta lo sguardo dalla mia reazione, mentre io mi nascondo dietro la tazza e bevo una sorsata lunghissima di caffè bollente che mi brucia la lingua.

-Una… persona?- faccio poi, con aria disinteressata e noncurante.

E io che ho appena lasciato sua sorella per lei.

-Sì. Si chiama Richard.

Richard, certo, come ho fatto a non sospettare?

Mi sembrava un tipo un po’ alla Vicky.

-E tu e Richard state, come dire, insieme?

-Sì, direi di sì. Sai, lui mi ha, ecco… chiesto di sposarlo.

Ora riesco a reagire con più diplomazia. Certo, lei e Richard.

Eroici e chic.

Buon per loro.

-Ah. Complimenti!- forse ci metto un po’ troppa foga, mi bagno di caffè le mani, e mi brucio. Lei mi passa un tovagliolo, il viso una maschera di indifferenza.

-Sì. Grazie.

-Che hai risposto?

-Non ho risposto.

Annuisco. –E che risponderai?

-Non lo so.

-E perché?

-è complicato.

-E perché?

I suoi occhi lampeggiano, umidi. –è complicato Ronald.- Fa, con il tono con cui mi rimproverava da ragazzina. –è complicato perché non so se sono pronta.

-A sposarti?

-E rinunciare al resto.

Mi stupisce la sua sincerità, la limpidezza delle sue parole, del suo sorriso, dei suoi occhi. Come se il muro eretto tra noi fosse crollato abbastanza da permettermi ancora di vederla, studiarla, conoscerla.

-Io e Cassie ci siamo lasciati stamattina.

-Oddio, mi dispiace. Perché?- Il suo viso torna una maschera.

-Penso che fosse complicato.

Ride. –Alla fine siamo noi a complicare sempre le cose.- Afferma. E non sa nemmeno quanto vero sia quello che ha appena detto. Mi sfiora una mano. –Mi dispiace davvero che le cose tra voi siano andate male. Stavate bene insieme, almeno credo.

-Credo.

Ridiamo tutti e due, l’aria si fa improvvisamente fresca e leggera. Poi entrambi torniamo seri, memori del perché siamo qui, insieme. Nonostante fosse quello che volevamo, o almeno quello che volevo io.

-Ron io ti devo…

In quel momento la porta si apre, e ne appare una Ginny scarmigliata e pallida, avvolta in una coperta marrone, le labbra serrate. Ci racchiudiamo in un rispettoso silenzio mentre lei si siede accanto a noi, e Hermione le versa il suo caffè, aggiungendoci un cucchiaio di zucchero di canna e servendoglielo senza latte, così come l’ha bevuto ogni mattina della sua vita. I lunghi capelli rossi e setosi le si appiccicano alle guance umide di lacrime versate nel sonno, ma ora i suoi occhi sono asciutti e forti, pieni di quell’assoluta determinazione che in lei è sempre stata la cosa più incredibile.

-Che ora sono?- chiede, la voce così ferma da farci vacillare.

-Le 8,30.- Risponde Hermione, con la stessa rapidità con cui rispondeva alle domande dei professori, la stessa sfrontataggine. Un modo come un altro per mascherare quella dannata insicurezza che le affiora sotto la pelle, quasi come un profumo.

-Luna dov’è?

-Dorme sul divano.

Ginny annuisce, entrambe le mani chiuse intorno alla grande tazza e la boccuccia protesa per soffiarci sopra il suo respiro amaro.

-Non guardatemi come se fossi una malata terminale, okay? Harry non è morto. Potrebbe morire, certo. Come avrebbe potuto morire in passato. Non è nulla di diverso da quello che mi è già successo in passato. Voi forse non ricordate, eravate privi di sensi. Ma io ho atteso in quei corridoi per interminabili giorni e ore che voi vi svegliaste, di sentirmi dire che c’era speranza. C’era speranza, e voi ora siete qui. E finché non mi sentirò dire che Harry è morto continuerò a credere che lui si sveglierà. Perché altrimenti non so che ne sarà di me. Dunque non guardatemi come se fossi una malata terminale, perché non c’è niente di terminale. Harry non sta morendo. Non ancora.- La sua voce suona così sicura, così severa, che sia io che Hermione distogliamo lo sguardo dal suo viso, e nel farlo i nostri occhi si incrociano. Un lieve contatto che mi fa sussultare.

Poi si alza, lentamente, appoggiando la tazza nel lavello. Ci sorride.

-Andiamo?- chiede.

Annuiamo tutti, tranquilli. Loro due spariscono verso il bagno, e io resto solo con il mio rimasuglio gelato e troppo dolce di caffè, il sorso che preferisco: l’ultimo. Resto a fissarlo a lungo, assorto, mentre immagino Hermione che si fa la doccia e ammansisce i suoi ricci selvaggi, immagino il suo seno e il pallore latteo intorno al suo ombelico, la morbidezza infantile dei suoi fianchi, e mi cullo in questa proibita fantasia, mentre una schiuma immaginaria bagna anche gli angoli più reconditi della sua figura, e mi crogiolo in questo momentaneo piacere al quale non mi abbandonavo da mesi e mesi.

Dopo un tempo indefinibile appaiono tutte e tre sulla soglia, pulite e smaglianti, con falsi sorrisi e stupide frasi sulle labbra. Mentre le seguo per le strade inondate di pallido sole mattutino, non posso fare a meno di studiarle, di osservare le loro forme e i loro colori nella valle di cemento e persone che arrancano con i caffé fumanti in mano, in quell’oceano di vita e profumi.

Le osservo con discrezione, assorbendole per un futuro di vecchiaia e cecità in cui potrò solo ricordarle. Luna, i capelli biondo cenere sciolti in una cascata scomposta fino al sedere, il maglione sformato fatto a mano, una gonna blu notte che le sfiora dolcemente le caviglie nude nel vento gelido. Ginny, un paio di jeans e una maglietta larga, sotto ad un cappotto marrone, come se non le importasse, i capelli legati in una treccia severa, le dita serrate intorno alla borsetta. Hermione, i ricci sistemati sotto un cappellino per nascondere le ombre del suo viso, una giacca di jeans (non aveva altro nella sacca di tela) e un paio di pantaloni di stoffa. I suoi piccoli piedi nudi ballano nelle ciabattine estive, evitando accuratamente le pozzanghere.

Il manichino dal vetro del Mungo ci guarda con i suoi occhi vitrei, e in un momento siamo nel profumo freddo dei medicinali e nello scalpiccio delle scarpe dei Guaritori.

Ginny si avvicina tranquilla ad uno di loro, un collega, un amico forse. Dopo pochi secondi si gira verso di noi con un sorriso radioso tra le guance rosse.

E i suoi occhi non hanno mai brillato tanto in tutta la sua vita.

*

E poi mi date pure della sadica… =P (Ma non eri tu a darti della sadica? NdTutti.) (Questo è il mio spazio per parlare a vanvera! NdMe)

Bacio =*

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Capitolo 17
*** 8.01 Respirare. ***


Ho scritto questi capitoli in uno stato di frenesia e malinconia totali, la voglia di leggere DH e la tristezza per la fine, i

Ho scritto questi capitoli in uno stato di frenesia e malinconia totali, la voglia di leggere DH e la tristezza per la fine, i ricordi di pagine passate ma non solo. Sì perché, non so per voi, ma per me ricordare Harry non è solo ricordare un libro letto, ma ricordare momenti veri, momenti della mia vita, è ricordare ogni singola volta che ho letto e riletto ogni singola pagina, amato ogni singola pagina, commentato ogni singola riga. Con persone diverse, in momenti diversi, con diversi stati d’animo.

Ecco perché ripercorrere l’infanzia di Harry Ron e Hermione è per me un tuffo nel mio stesso passato. Ed ecco perché mi ha toccato tanto, scrivere questi capitoli.

Un abbraccio =)

Capitolo 8.01 Respirare.

Lying in my bed I hear the clock tick,

And think of you

Caught up in circles confusion--

Is nothing new

Flashback--warm nights--

Almost left behind

Suitcases of memories,

Time after--

Sometimes you picture me--

I'm walking too far ahead

You're calling to me, I can't hear

What you've said--

Then you say--go slow--

I fall behind--

The second hand unwinds

Chorus:

If you're lost you can look--and you will find me

Time after time

If you fall I will catch you--I'll be waiting

Time after time

After my picture fades and darkness has

Turned to gray

Watching through windows--you're wondering

If I'm OK

Secrets stolen from deep inside

The drum beats out of time--

Chorus:

If you're lost...

You said go slow--

I fall behind

The second hand unwinds--

Chorus:

If you're lost...

...Time after time

Time after time

Time after time

Time after time

{Time after time- Cindy Loper.}

Hermione.

Tutto succede così velocemente che non so nemmeno come siamo arrivati qui. Mi sembrano passati pochi battiti di ciglia da quando ho appoggiato la mia mano su quella di Ronald nella cucina calda di Luna, e ora camminiamo quieti, uno accanto all’altra, lungo le stradine affollate di Hogsmade.

Tutto sembra essersi svolto troppo rapidamente, troppo persino per averlo vissuto, apprezzato. Ginny si è voltata verso di noi con un sorriso immenso, e non sono servite parole. Ci siamo rincorsi, ridendo d’isteria e sollievo, per gli ormai noti corridoi dell’ospedale, con i Guaritori che si scostavano al nostro passaggio, sorridendoci con complicità, e gli altri malati e con i loro preoccupati famigliari e amici che ci osservavano con invidia, speranza, rancore, solidarietà. Ma a noi non importava. Abbiamo sfondato la porta della sua camera da letto in un turbinio, noi, esattamente come quando eravamo bambini. Tutto sembrava essersi bloccato dentro di noi: gli anni vissuti erano scivolati al suolo, calpestati dalla forza e dall’euforia di quell’istante in cui tutti noi abbiamo avuto, forte e chiara, la sensazione che potessimo riprendere a vivere. Eccolo, steso tra lenzuola bianche e pulite, un pigiama dell’ospedale, il viso ripulito da quel velo di barba che gli era cresciuta, un sorriso tranquillo e pacato mentre ci vedeva gioire. L’abbiamo abbracciato, stretto, baciato, abbiamo riso e pianto con lui finché le forze non ci sono mancate. E allora Ginny, stretta a lui quasi che solo il contatto fisico avrebbe potuto mantenerlo in vita, ci ha fatto portare delle fumanti tazze di tea. E mentre sorseggiava con calma dalla sua tazza i segni indelebili di quegli anni di vita mi sono apparsi sul viso di Harry quasi evidenziati dal suo stesso sorriso. Tutto in lui denunciava una maturità stanca, una fatica non solo fisica nel sopravvivere giorno dopo giorno a quello che gli si parava sulla strada, le labbra leggermente violacee, la pelle dal colorito ancora vagamente cereo accostata a ciocche umide di doccia dei suoi lucenti capelli corvini. Eccolo, accovacciato nei nostri sguardi con quegli immensi occhi verdi che, ancora una volta, apparivano contemporaneamente troppo innocenti e troppo consapevoli, della vita, di sé, di noi, del nostro terrore e del dolore, del sollievo e di tutto il resto. Ho allungato una mano e ho stretto la sua, improvvisamente troppo piccola per riuscire a dire una parola che apparisse di conforto davanti a questa nuova minaccia che prima non avevamo considerato, mai: persino il nostro corpo un giorno avrebbe ceduto. Questo sarebbe potuto succedere per qualunque cosa, da un attacco di Mangiamorte a uno di cuore. Qualunque cosa avrebbe potuto ucciderci, in un momento qualunque delle nostre giornate, anche se siamo stati eroi, il nostro corpo non sarebbe sopravvissuto a tutto. Lui ha puntato i suoi occhi nei miei, dolcemente. “-Bentornata, Hermione. Come stai?-“ Non avevo voce per rispondergli, non avevo voce che non tremasse davanti a quella nuova, terribile, verità che mi ero ritrovata a fronteggiare. Mi strinsi nelle spalle. E lo accarezzai ancora. E allora Ron, con ritrovata allegria (lui, che evidentemente non ci era ancora arrivato e forse non ci arriverà mai) ha fatto un grande sorriso. “-Era tanto tempo che non ci ritrovavamo così-“, ha detto. Dovremmo festeggiare. E Luna, ridendo, ha proposto dello champagne. Ma Ron ha suggerito un viaggio. “-Un viaggio?-“ Ha chiesto la sorella, premurosa. E Ron, “-Sì, dovremmo andare a passare qualche giorno in un posto in cui siamo stati felici, un posto dove riposarci un po’-“. Nessuno si è chiesto quale questo posto sia. Luna è saltata su e ha detto che andava a chiedere quando avrebbero dimesso Harry, se si poteva smaterializzare, in caso contrario sarebbe andata ad informarsi su un treno per Hogwarts. E tutti ci siamo sorrisi, complici pronti per questa fuga dal presente, questo terribile e crudele presente.

E poi siamo saliti su quel treno, quel treno odoroso di fuliggine e persone, e incantesimi che hanno bruciato qualche tendina, macchie di cioccorane hanno macchiato i sedili, i sedili di quegli scomparti dove anno dopo anno ci siamo seduti, attendendo di essere trasportati verso gli anni più incredibili delle nostre storie.

Ed ora siamo qui, camminiamo per le vie bagnate di pioggia, stretti nei nostri mantelli, le guance arrossate dal freddo pungente di Novembre, borse leggere per trasportare quel poco che può servirci in questo angolo di mondo.

E quando poi, finalmente, lo sconfinato prato del parco intorno ad Hogwarts si apre davanti ai nostri occhi, tutti noi dobbiamo trattenere il respiro. La tensione è quasi densa tra di noi, mentre quello scenario che un tempo ci era così famigliare si srotola e si svela nuovamente davanti ai nostri occhi, così come un vecchio ricordo rievocato in una notte di malinconia. Ecco, il grande lago immobile, il suo scintillio color petrolio risplende nella luce argentata del pomeriggio. Qualche coppia innamorata si tiene per mano lungo di lui. Ecco la quercia sotto cui abbiamo passato tanti pomeriggi di studio, sembra più piccola, più stanca, quasi che le stagioni passate l’abbiamo resa più pigra, l’autunno più spoglia che nei giorni lontani in cui la usavamo come riparo. La vecchia casa di Hagrid. Dal comignolo non sale più quella sottile e costante lingua di fumo che un tempo ci portava sempre a correre da lui per quelle troppo grandi e orribili tazze di tea in cui intingevamo altrettanto grandi e orribili biscotti. Evito di guardare verso gli altri, rendendomi conto che, condivisa con loro, la vista di quella specie di mausoleo alla memoria del nostro amico, sarebbe stata insopportabile. La superiamo con lentezza, tendendo involontariamente l’orecchio per tentare di sentire l’ormai muto guaito di Thor. La Foresta Proibita si staglia, nera e immobile, carica di vita e di tensione, al di la della capanna di Hagrid. Ricordi offuscati delle nostre escursioni là dentro ci fanno sorridere involontariamente. Ecco il Platano Picchiatore, che ci spinge ad un nuovo minuto di sgomento. Infondo, non sembra più tanto terrificante come è stato quella notte. I suoi rami si sbattono pigramente nell’aria fredda, le foglie dorate che formano un comodo tappeto sotto di lui, nascondono la radice segreta e l’angolo da cui i Malandrini si sono calati nella loro infanzia. Si scrolla, maestoso ma meno inquietante, quasi a volerci ricordare che lui non ha scordato il suo ruolo, è sempre li per aiutare a fuggire da quel castello in cui noi, invece, non vediamo l’ora di rimettere piede. Ed eccole, le serre cristalline e cariche di verde, e viola, arancione, marrone, uno spruzzo di colore e di forza e di vita, mentre una classe di ragazzini impacciati tenta con tutte le sue forze di opporre resistenza a qualche pianta prepotente. Lontano, si sente un urlo di giovani giocatori di Quidditch. Alziamo gli occhi in fretta. Come personaggi in miniatura si rincorrono e si scansano minuscoli puntini, e le loro palle colorate e le urla dei pochi tifosi degli allenamenti sono il solo suono ad agitare la superficie del lago.

Infine ci obblighiamo a guardare più su: il castello si staglia sul cielo che si fa plumbeo. Le guglie, le finestre come occhi dorati, il grande portone di legno. Ecco la Torre di Grifondoro, la prima che cerchiamo con lo sguardo, e quella di Astronomia, su cui ci soffermiamo solo un secondo. Con un fremito Harry avvicina la mano al portone e lo spinge. Una folata calda di profumo di casa mi fa lacrimare gli occhi, e il mio cuore salta un battito, liberandosi con una scrollata di tutti i suoi dubbi e problemi. Il pavimento gelato, la luce ambrata, la scalinata di marmo, studenti che scorrazzano in uno svolazzare di bacchette e mantelli, lo sbattere dolce di ali di gufo, la porta della Sala Grande. Ci sospingiamo dentro e ci blocchiamo, immobili e impauriti come il primo di settembre in cui per la prima volta abbiamo varcato questa soglia. Nessuno di noi aveva pensato a cosa fare una volta arrivati qui. Studenti curiosi ci lanciano occhiate veloci, indagatrici, qualcuno riconosce in noi visi noti, qualcuno si chiede se ha sentito di nuovi professori in arrivo, si avvicinano annusando aria di novità, o preseggono scansandoci, per nulla interessati.

-E ora?- chiede alla fine Ron.

Sto per trovare una risposta stizzosa e intelligente, quando dalla Sala Grande esce, imprigionata in un mantello porpora, con la severa crocchia alta sulla testa, ormai quasi argentata, con la voce severa che risuona autoritaria e squillante nell’ampio atrio, la nostra vecchia insegnante di Trasfigurazione.

La McGranitt non è davvero invecchiata, anche se il suo viso sembra più rugoso e più stanco, i suoi capelli più bianchi che castani, il suo corpo più fragile nell’abbigliamento stravagante. Ma il suo passo è ancora deciso, il suo tono di voce inflessibile. Sembra infastidita dalla lentezza con cui i suoi studenti si soffermano nell’atrio ad osservarci, finché non si accorge di cosa osservano. Si volta verso di noi e per una di quelle rare volte nel corso degli anni, sul suo viso si apre un sorriso affettuoso e tenero, pieno di calore. Resta ferma anche lei, stupita dalla vista di questi cinque adulti imbambolati nel mezzo di tanti ragazzini. Poi si scrolla e accelera il passo verso di noi, riassumendo un po’ della sua aria autoritaria.

-Non avete avvertito del vostro arrivo!- sbraita, ma poi si abbandona a domande che non sono solo di convenienza. Ci abbraccia con affetto e ci trascina nel suo studio, lo studio del preside. L’Ufficio di Silente è caldo e accogliente, i presidi ci sorridono affettuosamente dalle pareti, e molti dei suoi oggettini fragili e ronzanti sono ancora li, appoggiati in perfetto ordine su ripiani di legno ben curato. Ma sulla scrivania sosta una scatola di biscotti (che ci vengono offerti in fretta, proprio come sempre) e sullo schienale della monumentale sedia è appoggiata una logora vestaglia da donna. Lei vi si abbandona e ci indica di sederci nelle molteplici sedie e sgabelli e poltroncine che ha aggiunto al vecchio arredamento. Ci sorride ancora.

-Allora non sei più in coma.- Dice, brusca, ad Harry.

Lui ride. –Direi di no, professoressa.

-Smetti di chiamarmi professoressa Potter, grazie al cielo quegli sventurati giorni in cui eri mio allievo sono finiti.- Ma il suo sorriso malinconico sembra piuttosto contrario al termine “sventurati”. –Piuttosto, cosa diavolo ti è successo?

-Non lo ricordo… Minerva.

Lei ride. –Sempre impertinente, Potter, sempre impertinente. Pensi siano stati i Mangiamorte?

Il sorriso di Harry si spegne un poco. –Lo temo.

-Dovresti sparire per un po’.- Suggerisce lei.

-Lo dico anche io!- si accende Ginny, che ha continuato a ripeterlo per tutto il viaggio.

-Ma Ginevra- Fa lui, accondiscendente e paziente com’è stato tutto il giorno,-Con il bambino in arrivo e tutto il resto, non mi sembra un’idea brillante andare a vivere… dove suggerivi? In una tenda sull’Hymalaya?

Ginny, rossa in viso, fa per rispondergli, quando la McGranitt chiede: -Un bambino?

Ginny sorride, dimentica della tenda. –Sì, aspettiamo un bambino.

Minerva le offre un altro biscotto. –Fagli conoscere i miei biscotti, tesoro.- Fa, sorridendo materna. Poi si rivolge a me e Ron, -E voi due, li seguireste in ogni caso, no? Non potete certo lasciarli andare senza la loro scorta.

-Veramente non abbiamo ancora preso in considerazione…

-Veramente noi non stiamo andando da nessuna…

-Veramente il pensiero non…

Iniziamo tutti e tre insieme.

Lei sorride. –Non siete proprio cambiati.

E a questo pensiero, traggo un lungo, esasperato, sospiro di sollievo.

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Capitolo 18
*** 8.02 Sulle nostre gambe. ***


Spero che vi piaccia… Pubblicherò presto per evitare che qualcuno (non faccio nomi) mi minacci =P

Spero che vi piaccia… Pubblicherò presto per evitare che qualcuno (non faccio nomi) mi minacci =P

Leggete intanto, su.

E commentate, come sempre. Ma possibilmente senza dirmi solo quello che voi vorreste che succeda, perché tanto non cambio il finale. E lasciate in pace la povera Cassie, dai. Che, per la cronaca, non è stata con Ron per fare un torto ad Hermione. E comunque ora ve la siete tolta dalle palle =P

Godetevi il post- Cassie allora.

Grazie del supporto, siete fantastici- fantastiche, come sempre =)

Capitolo 8.02

Sulle nostre gambe.

So no one told you life was gonna be this way

Your job's a joke, you're broke, your love life's DOA

It's like you're always stuck in second gear,

When it hasn't been your day, your week, your month,

or even your year, but...

I'll be there for you...

When the rain starts to pour

I'll be there for you...

Like I've been there before

I'll be there for you...

'Cause you're there for me too.

You're still in bed at ten, though work begins at eight,

You burned your breakfast, so far things are going great,

Your mother warned you there'd be days like these,

But she didn't tell you

when the world was brought down to your knees

that...

I'll be there for you...

When the rain starts to pour

I'll be there for you...

Like I've been there before

I'll be there for you...

'Cause you're there for me too.

No one could ever know me. No one could ever see me.

Seems your the only one who knows what it's like to be me

Someone to face the day with.

Make it through all the mess with.

Someone I'll always laugh with.

Even at my worst, I'm best with....

you - yeah

It's like you're always stuck in second gear,

When it hasn't been your day, your week, your month,

or even your year, but...

I'll be there for you...

When the rain starts to pour

I'll be there for you...

Like I've been there before

I'll be there for you...

'Cause you're there for me too...

{I’ll be there for you- Rembrandts}

Ron.

La McGranitt non ha ragione per niente. Siamo cambiati, siamo cambiati eccome. Me ne sto qui, immobile, seduto a terra davanti alla lapide bianca su cui sono incisi i molteplici nomi di Silente. Eccome se siamo cambiati. Mi rigiro tra le mani un fiore che ho raccolto venendo qui, incapace di metterlo lì, come un pegno per fargli vedere che non ho dimenticato. E come potrei aver dimenticato? Certe cose non si dimenticano. Venire qui è stata una pessima idea. Mia, tra parentesi. E questo non può che voler dire che è una pessima idea. Sembra di essere in un cimitero vivente, popolato da troppi, troppi fantasmi (e non solo in senso metaforico). Ovunque guardo vedo il contrario di quello che dice la McGranitt. Siamo cambiati, siamo troppo cambiati. Un tempo eravamo ragazzini felici, emozionati, coraggiosi, curiosi… ora siamo adulti che provano ad essere ancora quei ragazzini. Macchiette di noi stessi. Una cosa che più triste non si può. E poi sorrido. Ma questo posto è splendido. E finalmente sono tranquillo. In che altro posto al mondo mi sono sentito così… bene? Nessuno, assolutamente in nessun altro posto al mondo. Non avrei mai pensato, quando vivevo, mangiavo, dormivo, imparavo qui, che sarei diventato un patetico scapolo che cerca di essere ancora interessante come quando aveva quindici anni. Un patetico scapolo, cattivo e rancoroso, che lascia la sua splendida ragazza per la meravigliosa donna che non avrà mai. E certo che alla fine mi dovevo ritrovare a pensare ad Hermione e Cassandra, è ovvio, io non ho altro a cui pensare. Ora che sono solo e non ho nessuna possibilità con Hermione, come d’altra parte non ne ho mai avute, ovvio, potrei anche pensare di restare qui. Sarei una specie di burbero professore che fa divertire i suoi allievi con aneddoti di quando era giovane e spensierato, e finalmente farò quello che non ho fatto prima, qualcosa che mi renda intelligente agli occhi di Mione: il professore. Potrei risistemare la capanna di Hagrid, e finire qui tutto quello che mi resta da vivere. No, non ci posso credere. Penso già come un vecchio.

Oppure potrei andare con Harry e Ginny. Certo, sarei un po’ terzo incomodo, ma almeno potrei tenere compagnia al bambino quando loro fanno i piccioncini. E sarei il delizioso zio Ron, quello che porta le caramelle. Una specie di fratello maggiore troppo cresciuto a cui dare un coprifuoco come un secondo figlio. Un po’ patetico, ma se non vanno davvero sull’Hymalaya potrei sempre trovare un lavoro più brillante del taglialegna e, chissà, sposare una ragazza babbana e innocente che mi chiamerà “tesoro”, una mogliettina con le trecce bionde e il grembiule a quadretti rossi. Altro progetto un po’ patetico, ma chissà che non si riveli positivo. E poi avrei Harry, infondo. Sposato, padre, adolescente complessato, resta sempre Harry. E se suo figlio viene su come lui avrà davvero bisogno di me che lo controllo. Rido all’idea di un piccolo Harry, con tanto di occhialetti tondi tutti rotti che una secchiona deliziosa dalla criniera di ricci disordinati sistemerà con un colpo di bacchetta. “Reheparo”. La prima volta che ci siamo visti… “E tu sei…?” Se solo non avessi avuto la bocca strapiena di cioccorane mentre le rispondevo “Ronald Weasley” e avessi avuto il naso pulito, e avessi capito che non era una bambina viziata e antipatica, ma una piccola donna intelligente, dolce e sola… chissà che le cose non sarebbero andate meglio, chissà…

Mi perdo nella contemplazione di quella piccola Hermione, per la prima volta ferita dalle mie parole cattive, che si perde nella folla dei corridoi, il viso coperto di lacrime. E poi, quella sera, la sera di Halloween. Quando noi soli siamo andati a cercarla, e abbiamo abbattuto quel Throll di montagna per lei. Solo per lei, per salvarla, anche se questo ci ha messi in un mare di guai. Il suo sguardo fermo mentre mi diceva cosa fare, per salvarla, sempre così autoritaria… La prima volta in cui abbiamo avuto bisogno gli uni degli altri.

Sorrido. Questo non è cambiato. Abbiamo imparato a cavarcela nelle piccole cose. Sappiamo prendere decisioni futili come che piuma comprare e che libro leggere… sappiamo chi siamo, adesso. Ma nella realtà dei fatti, abbiamo ancora bisogno di essere insieme. Abbiamo ancora bisogno dell’aiuto dell’altro, dell’altra, sempre.

Questo forse intende la McGranitt con “Non siete cambiati”. Chissà che lei non abbia sempre visto giusto in noi. Sempre, quando ci puniva e quando ci premiava, magari lei sapeva delle nostre capatine notturne in giro per il castello, della pozione Polisucco, delle nostre corrispondenze segrete e dei nostri piani, progetti, congetture… chissà. Forse ha chiuso un occhio molte più volte di quante non pensavamo allora, vedendola come una minaccia, mai come un’alleata.

Ma lei oggi ci conosce così bene.

Sa che non siamo cambiati affatto, anche se ora siamo adulti che hanno imparato a camminare sulle proprie gambe, adulti che non hanno più nulla da imparare in fatto di pozioni e incantesimi, ma che della vita ancora non sanno niente.

O per lo meno, che ancora non ne hanno assaggiato una parte.

Hermione si sposerà con Richard-uomo-chic?

La immagino mentre attraversa la navata, lo strascico bianco, il viso truccato, i ricci domati in boccoli da principessa.

Se alla fine di quella navata ci fosse Richard, Richard al mio posto… e io, invece, fossi seduto in fondo, impacciato nel mio smoking rigido e pizzicante? Già mi vedo mentre mi ubriaco alla festa, con tutti i nostri vecchi amici e parenti che mi rivolgono sguardi tristi e amareggiati.

“Mi dispiace, Ron” sussurrerebbe Ginny abbracciandomi.

E io direi: “E di che?”

“Mi dispiace, Ron” Direbbe Luna, battendomi una pacca sulla spalla.

E io direi :“Ma guarda che non ho più tredici anni!”

“Ron” Direbbe Harry “Ce la fai a guidare fino a casa?”

E io direi “Portamici tu, amico.”

E lui lo farebbe. E sotto casa mi chiederebbe: “Come stai?”

E io mentirei: “Benissimo”

Ma lui lo saprebbe, che mento. “Io tifavo per te.”

“Lo so.”

Uscirei sotto la pioggia scrosciante (piove sempre in questi momenti) ed entrambi staremmo piangendo, ma di nascosto. Entrerei nel mio appartamentino da scapolo tremendamente vuoto e per coronare la tristezza mi metterei a leggere vecchie lettere e guardare vecchie foto, anche se non ne ho affatto, ascoltando le nostre canzoni, anche se non ne abbiamo.

Cosa darei per essere io l’uomo in fondo alla navata…

Lei sarebbe…

No. Basta così. Per stasera ho fantasticato anche troppo e mi sono fatto anche troppo male. Mi sembra che essere in questo cimitero vivente sia anche abbastanza per il mio vecchio cuore malato (vecchio magari no, ma malato sì, malato d’amore). Sto diventando un sentimentalista. Io odio questo genere di cose.

Mi ci vorrebbe un whisky incendiario e una bella barzelletta sconcia, di quelle che mi dicevano Fred e George da piccolo, e che non capivo fino infondo ma mi facevano ridere tanto.

Com’è che anche questo ricordo mi fa male?

Fred e George stanno benone. Ci sentiamo spesso e hanno anche smesso di trattarmi come un pivello. Stasera però mi manca anche quello, essere trattato da pivello.

Sono davvero, davvero, patetico questa sera.

E poi volevo pensare a che fare della mia vita.

Volevo dedicare qualche minuto a ricordare Silente, è tanto che non lo faccio. Questo viaggio deve essere un tributo alla memoria, avevo pensato prima di partire.

Ma invece non penso che lui vorrebbe nessun tributo alla sua memoria. Non era un uomo che si guarda alle spalle, e non avrebbe voluto che nessuno stesse seduto a terra davanti alla sua tomba, sull’erba bagnata e nel vento gelato a bagnarsi le chiappe e congelarsi il naso per lui. Lui sa, ovunque si trovi, che io lo ricordo meglio mangiando un ghiacciolo o bevendo un sorbetto al limone.

Così mi alzo, mi rigiro tra le dita il fiore un’ultima volta e lo lascio cadere ai piedi della lapide.

Questo viaggio deve essere un tributo al futuro, penso, dirigendomi stancamente verso la Sala Grande imbandita a festa per il nostro arrivo.

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Capitolo 19
*** 9.01 Ricordare noi. ***


Un altro paio di capitoli- intermezzo

Un altro paio di capitoli- intermezzo. Ci stiamo avviando verso la fine, il prossimo post dopo questo sarà l’ultimo… Spero che il finale non vi deluda, perché ormai ci siamo!

Grazie degli splendidi commenti, come sempre.

Approfitto per fare gli auguri alla mia Gemellina, che domani compie 17 anni e che io adoro e senza la quale questa storia non sarebbe mai andata avanti =)

Buona lettura e buona domenica =)

Capitolo 9.01

Ricordare noi.

Con te dovrò combattere

non ti si può pigliare come sei

i tuoi difetti son talmente tanti

che nemmeno tu li sai.

Sei peggio di un bambino capriccioso

la vuoi sempre vinta tu,

sei l'uomo più egoista e prepotente

che abbia conosciuto mai.

Ma c'è di buono che al momento giusto

tu sai diventare un altro,

in un attimo tu

sei grande, grande, grande, le mie pene

non me le ricordo più.

Io vedo tutte quante le mie amiche

son tranquille più di me,

non devono discutere ogni cosa

come tu fai fare a me,

ricevono regali e rose rosse

per il loro compleanno

dicon sempre di sì

non hanno mai problemi e son convinte

che la vita è tutta lì.

Invece no, invece no

la vita è quella che tu dai a me,

in guerra tutti i giorni sono viva

sono come piace a te.

Ti odio poi ti amo poi ti amo, poi ti odio, poi ti amo,

non lasciarmi mai più

sei grande, grande, grande

come te sei grande solamente tu.

ti odio poi ti amo poi ti amo , poi ti odio poi ti amo

non lasciarmi mai più

sei grande, grande, grande

come te sei grande solamente tu

{Grande, Grande, Grande- Mina}

Hermione.

L’aria nei corridoi è umida e fredda, ti filtra sotto il mantello e ti fa rabbrividire. Avevo dimenticato questo freddo, forse perché ogni volta che attraversavo questi corridoi ero accalorata per qualcosa. Posso vedere ovunque l’Hermione adolescente che corre da una classe all’altra, la borsa rotta stracarica di libri e nella testa, frullanti, milioni di pensieri, di date e lezioni da ricordare. I piccoli, insignificanti, problemi che tempestavano le mie giornate di ragazzina. Erano sempre minuscoli nei su una serenità che non mi sono mai voluta concedere, e me ne rendo conto solo ora. C’era sempre qualcosa, qualche dramma che mi tormentasse, e se non lo trovavo nella mia sfera privata lo cercavo altrove: nella scuola, nei problemi degli Elfi Domestici che molto probabilmente stanno molto meglio di me, in Mangiamorte e Maghi oscuri… Sorrido teneramente. Come sarebbe bello poter tornare indietro, godermi meglio le piccole cose che mi sono lasciata sfuggire. Perché erano proprio loro, le piccole cose, quelle cui ero tanto abituata da dare per scontate. Il risveglio con le mie compagne di dormitorio, i loro problemi se possibile ancora più insulsi dei miei, Lavanda che si spazzola vigorosamente la chioma fluente, Calì che si trucca nello specchio stando attenta a non sbavare, Ginny che entra a chiamarmi per la colazione. La colazione abbondante, tutti insieme, l’arrivo della Gazzetta del Profeta con l’abituale domanda di Ron: “è morto qualcuno che conosciamo?”. Ron che all’ultimo si fa coraggio e mi chiede di copiare quel compito di Pozioni che proprio non è riuscito a finire. La corsa verso le lezioni, in ritardo come sempre, sedersi noi tre nei banchi in fondo, io che prendo appunti e loro che giocano o chiacchierano sotto voce o pensano ad altro. Il pranzo veloce e poi il tempo libero passato a studiare o a fare congetture. E, ancora, il pomeriggio di studio, di lezioni faticose, trascinarsi a cena, e finalmente la doccia. Mettersi comodi chiacchierando con Ginny che mi racconta pettegolezzi e particolari che a me sono passati inosservati, chiedendomi distrattamente informazioni su Harry e notizie su Ron, ridere con lei per le ultime cose, preoccuparci insieme per le solite. E poi lei va dalle sue amiche e noi tre sprofondiamo nelle nostre poltrone. E allora tutto era così semplice e perfetto che solo il ricordo mi stringe lo stomaco. Quei momenti infrangibili di bisticci e progetti e compiti…

Un gufo dall’aria stanca mi si avvicina e mi allunga la zampa arancione. Innocentemente mi chiedo chi possa scrivermi. Gli do una rapida carezza e apro la busta bianca senza nessuna scritta.

Hermione, tesoro.

Sospiro. Certo, Richard. Cavolo. Non ci avevo più pensato.

Spero che tutto si sia sistemato. Ho letto sul giornale che Harry si è ripreso, quindi contavo di trovarti all’aeroporto questa mattina quando sono finalmente arrivato a Londra, ma non c’eri. Ho chiesto al Ministero se sapevano dove sei e nessuno ne era a conoscenza, a quanto pare non sei nemmeno rientrata in ufficio. Sono preoccupato per te. Va tutto bene? Come vorrei poterti fare questa domanda guardandoti dritta negli occhi e sentire la tua risposta SAPENDO che è sincera. Ma un pezzo di carta non può che farmi sapere che sei viva. Sono andato al San Mungo per vedere se magari li sapevano qualcosa. Mi hanno detto che Harry Potter era stato dimesso e che sapevano solo che sarebbe partito per un viaggio ma non sapevano per dove. Ho presupposto che tu fossi partita con lui e naturalmente mi sono chiesto per quale motivo non mi hai detto niente.

Io sto bene, ma sono preoccupato, e mi manchi da morire.

Vorrei che tu tornassi, vorrei poter discutere di te sull’opportunità di fermarci a Londra, almeno per un po’.

Vorrei parlare di come ti senti, con tutta questa storia del coma: devi essere sconvolta.

Ma non posso farlo se sparisci: non posso aiutarti.

Hermione, ti prego.

Mi manchi davvero tantissimo.

E ti amo, sempre.

Spero che tu abbia anche pensato a quella cosa che ti ho chiesto.

Spero che tu abbia seriamente preso in considerazione la mia proposta.

Un abbraccio, fortissimo

Tuo Rich.

Oh, cazzo. Cazzo. Cazzo. E ora?

Okay, Hermione sospira. Dai, non è niente di grave. Tiro fuori una piuma e scribacchio dietro la sua lettera qualche riga di scusa e spiegazione.

Tesoro, scusami se sono sparita.

No, non va bene.

Tesoro, scusami se sono sparita.

Richard, che bello sentirti! Sono felice che tu sia a Londra. Io sto bene, sono felicissima che Harry si sia ripreso e avevo bisogno di qualche tempo per pensare alla tua proposta

No, non va bene.

E avevo bisogno di qualche tempo per pensare alla tua proposta per me, per stare da sola e capire cosa voglio, e di passare un po’ di giorni con i miei amici, mi sono mancati molto e sento che hanno bisogno di avermi vicina in questo momento. Non posso dirti dove ci troviamo, e i motivi puoi ben immaginarli.

Anche io ho voglia di vederti. Molto meglio di “mi manchi”. Molto più vero.

Sta tranquillo, tornerò a casa presto.

E avrò una risposta alle tue domande.

Un bacio, Hermione.

Sì, mi sento un verme, orribile e colpevole di poco tatto e di poco romanticismo e pochissimo, pochissimo, “sentimentalismo”. Ma lo sappiamo tutti che non sono molto sicura di questa “cosa” tra me e Richard. Lego la busta alla zampa del gufo che, con aria parecchio depressa, si rilancia nell’aria tersa e gelata. Lo guardo planare silenziosamente tra gli alberi e svolgere a ritroso il percorso che noi abbiamo fatto solo ieri. Chissà che cosa pensavo di trovare tornando qui. Solo un sacco di ricordi scaduti e dispiaceri… e splendidi, irripetibili, momenti.

-Hermione?

Mi volto, sorpresa.

-Cho?

Lei si avvicina, ridendo. –Hermione Granger! Che ci fai qui?

-Io… e tu?

La studio per un brevissimo secondo. I capelli corvini e setosi sono ora tagliati cortissimi, una frangia sbarazzina le copre la fronte, gli occhi dal nero quasi blu luccicano sulla pelle mielata e ancora perfettamente liscia. Arriccia le labbra secche e si pulisce le mani sporche di terra su un paio di pantaloni stracciati sulle ginocchia.

-Insegno qui ora, sai.- Fa, con un sorriso orgoglioso e tranquillo. –Ti abbraccerei, ma sono tutta sporca. Insegno Volo, sai, abbiamo fatto le parate…

-Wow!- esulto, incerta.

-Ho saputo di Harry.- Aggiunge, stringendo gli occhi. –Spero gli sia arrivato il mio biglietto. Sì, un biglietto non è molto ma…

-Abbiamo apprezzato.

-Non potevo prendermi giorni di pausa, se no l’avrei…

-Certo.

Silenzio. Ci guardiamo, imbarazzate.

-è qui anche lui?

-Già, si, siamo venuti per…

-Hogwarts.

-Già.

Mi rivolge un sorriso pacato. –Ti va un tea?- Chiede, indicandomi la porta di quella che deve essere la sua camera.

-Certo.- La seguo, controvoglia, calcolando quanto tempo le devo concedere. La stanza è semplice, arredata senza troppa cura, un tavolo pieno di carte, parecchie scope e palloni da Quidditch, un armadio semiaperto, libri, un letto sfatto, una porta (da sul bagno, immagino).

-Non è granché, ma sono qui da poco, sai…- Mi fa cenno di sedermi su una poltroncina verde dall’aria vecchia, che non avevo notato.

-è accogliente.

Si stringe nelle spalle e con un colpo di bacchetta mi mette in mano una tazza fumante. –Allora- inizia, sedendosi sul tavolo tra carte e libri. –Come stai?

-Bene, tutto bene.

-Ho letto un articolo sul tuo lavoro. Incredibile. Riesci sempre ad inventarti qualcosa di incredibile.

-Provo a rendermi utile.- Mi rendo conto di come questa frase suoni banale, scontata, fasulla.

Ride. –Ti rendi sempre utile. Ti ho sempre ammirata.

Non so che dire, sono imbarazzata. Qualunque frase mi renderebbe infantile, pomposa, stupidamente modesta. Certo, io ho fatto qualcosa, mentre tu non hai fatto molto. E allora? Non è una colpa. Non è una colpa non aver fatto molto. E poi non tutti sono stati migliori amici di Harry Potter da adolescenti. Se fossi stata Cho, nemmeno io avrei fatto qualcosa.

-Il caso mi ha sempre dato una mano.- Dico, stupidamente. E poi le sorrido, sperando lo prenda come un incentivo a lasciar cadere l’argomento. Ma lei ne sceglie uno anche peggiore: -E con Weasley? Sposati? Quanti figli avete?

E tutto quello che faccio è arrossire. Lei lo prende per un “sì”.

-Siete sempre stati così carini. Sai, non me ne sono accorta subito. Prima pensavo che tu e Harry… Sai, no… tu eri la sua grande amica… e lui ti voleva così bene… ed eravate sempre insieme… così legati… e poi Harry è sempre stato così carino, e così interessante, e poi… Ma dopo, conoscendovi di più, oddio non che ci siamo conosciute molto, ma insomma, prestando più attenzione… mi sono accorta, ci siamo sempre accorti tutti…

-Ma di cosa?- Dico, recuperando la voce. Ingerisco una sorsata lunghissima e bollente di tea tentando di porre rapidamente fine a questo colloquio tra “vecchie amiche”.

-Ma sì! Tu e Weasley!

-Veramente non c’è mai stato nulla… noi siamo sempre stati solo amici!

E per la seconda volta in pochi minuti il mio vocabolario di frasi fatte mi sembra una maschera così dannatamente trasparente da rendermi ridicola.

-Non è ancora successo? Bhè succederà.- Ammicca.

-Non credo, io…

-Mi sarò sbagliata.- Conclude, imbarazzata. –Strano. Su queste cose non sbaglio mai.

Nel momento in cui mi chiudo alle spalle la porta di Cho il cuore prende a martellarmi in petto e mi manca l’aria. Devo correre via. Inizio a camminare rapidamente fuori di qui, le gambe che tremano. Ovunque guardo, rapidi lampi del nostro passato si affacciano alle finestre della mia memoria. Ecco. Noi tre che ridiamo. Eccoci, su queste scale, un litigio incredibile. Lì, l’ho baciato prima della partita. L’aula di Incantesimi: lezioni passate a parlare di noi. Quella di Difesa. Ore e ore di lotta continua, contro professori, eventualità, assurdità… Corridoi. Finestre. Persone. Ora. Prima. Poi? Si rincorrono, scalciano, strisciano, scivolano, annegano: Ricordi. E in tutti i ricordi una sola cosa è sempre uguale. LUI. Onnipresente in tutti i miei pensieri, in tutte le mie sensazioni, in tutti i momenti passati… e mi manca. Mi manca tutto di lui. Mi manca così tanto che non riesco nemmeno a prendere abbastanza ossigeno, penso che sverrò. E la sola idea di non vederlo più mi distrugge. Fitta al cuore. Male alla pancia. Sono di nuovo una ragazzina. Non lo voglio perdere: non lo voglio perdere di nuovo. Vorrei guardarlo negli occhi e dirgli la verità. Spiegargliela chiara e semplice così come la conosco io, cosicché anche lui possa saperla, capirla. Capirmi. Conoscermi. Conoscere quello che non gli ho permesso di sapere, la cosa più importante forse: quello che ho provato per lui. Un tempo. In passato. Quando eravamo ragazzi: Amore. Sì. E vorrei che lui mi accarezzasse la testa e mi abbracciasse, così come ha gia fatto tante volte, mi stringesse forte e mi dicesse che mi perdona, mi perdona per essere stata una persona tremenda e per avergli tenuto nascosto il bene che gli volevo e il motivo per cui non avevo la forza di dimostrarglielo. Corro. Vorrei prendergli la testa tra le mani e sussurrargli il motivo, il VERO motivo, per cui sono fuggita. Non aiutare gli altri! Che persona di merda che sono. No. L’ho fatto solo per “colpa” sua. Era per scappare da questo amore autodistruttivo, tossico, troppo immenso per essere sopportato, troppo importante per essere dimenticato. Per non vederlo con mia sorella, per non vederlo felice e sapere di dover essere felice perché prima di tutto, Ron, prima che l’uomo della mia vita tu DOVEVI essere il mio migliore amico. E io non potevo essere più la tua migliore amica, perché ogni giorno volevo essere di più, volevo essere la tua unica, unica donna. La tua ragazza, la tua amante, la tua confidente, la tua amica, tua moglie, la madre dei tuoi figli, tutto. Ron. Avrei rinunciato a qualunque cosa per te, ti avrei donato tutta me stessa, tutto quello che avevo, e così l’unico cosa che ho potuto fare è stato donarti del tempo per essere felice senza avermi intorno, arrabbiata e rancorosa solo perché avevi fatto un errore terribile senza nemmeno poterlo immaginare: avevi “scelto” la mia perfetta sorella minore. Perdonami per averti amato così tanto. Perdonami per averti trattato male. Perdonami perché non sono stata in grado di esprimere i miei sentimenti, non sono mai in grado di farlo, permetto loro di sopraffarmi, e sono una codarda. Una grande codarda, perché se fossi davvero coraggiosa come dicono tutte queste cose già le avresti sapute.

E ora ti supplico, dimmi che possiamo di nuovo essere amici.

O che possiamo essere amici per la prima volta, perché per me non sei mai stato “solo un amico”. Mai. È inutile che continuo a dire questa frase: non so gli altri, ma io non ci ho mai creduto.

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Capitolo 20
*** 9.02 Schegge di te. ***


Un capitolo leggero, ma spero che vi piaccia, scriverlo mi ha divertito molto

Un capitolo leggero, ma spero che vi piaccia, scriverlo mi ha divertito molto. Volevo dare un po’ di spazio a Harry prima di concentrarmi di nuovo solo sui piccioncini :P

Spero di non annoiarvi con tutto questo ricordare e pensare e meditare, forse sono io, ma in questi momenti io personalmente divento piuttosto riflessiva. Spero che non vi scocci ma vi faccia sorridere =)

Un abbraccio,

aggiornerò prestissimo, davvero.

Capitolo 9.02

Schegge di te

And it rained all night and washed the filth away

Down New York airconditioned drains

The click click clack of the heavy black trains

A million engines in neutral

The tick tock tick of a ticking timebomb

Fifty feet of concrete underground

One little leak becomes a lake

Says the tiny voice in my earpiece

So I give in to the rhythm

The click click clack

I'm too wasted to fight back

Tick tack goes the pendulum on the old grandfather clock

I can see you

But I can never reach you

And it rained all night and then all day

The drops were the size of your hands and face

The worms come out to see what's up

We pull the cars up from the river

It's relentless

Invisible

Indefatigable

Indisputable

Undeniable

So how come it looks so beautiful?

How come the moon falls from the sky?

I can see you

But I can never reach you

I can see you

But I can never reach you

{Thom Yorke - And It Rained All Night}

Ron.

È così buffo fare i conti con se stessi. Insomma, affronti molte cose nel corso delle tue giornate, della tua vita, no? Incontri e ti scontri con donne bellissime e crudeli, orribili e sfacciate, capi inflessibili, professori esigenti, lavori che ti tengono sveglio la notte, malattie che piegano il tuo corpo, amici che ti chiedono pareri, che hanno bisogno di te, amici che soffrono e tu non sai cosa fare, e poi ci sono i nemici. Ma tutto questo in confronto al momento in cui, poi, devi affrontare te stesso, sono davvero giochi da ragazzi. Viene una mattina in cui tutto crolla e allora tu devi ricominciare a mettere insieme i pezzi. E devi incominciare da te. Piano. Nessuno ti mette fretta, ma devi farlo. Il tuo corpo sta invecchiando: sistemalo. Il tuo cuore è ferito: curalo. Il tuo cervello non sa che pensare: aiutati. Concentrati. Per una volta, su di te. Mi accorgo ora che questo è quello che sto facendo. Mi sto confrontando con il mio principale nemico: me stesso. Se l’avessi capito prima, magari, avrei sprecato meno energie contro Voldemort, Piton, Malfoy e tutti i piccoli e grandi nemici del mio passato. Ne avrei tenute un po’ per questo scontro, mentre ora non ne ho, di forze. Non ho più energie. Me ne sto sdraiato sul prato (di nuovo, lo so) e guardo i rami del Platano a pochi passi da me che squarciano il cielo azzurro. Perché non prende un po’ a sberle anche me non lo so. Me lo meriterei. Sono patetico. Questa mattina ho girovagato per il castello. Sono stato proprio in tutti i più reconditi angoli della nostra adolescenza. A partire dalla torre di Grifondoro, ho accarezzato le vecchie poltrone, il camino, il mio letto, quello di Harry, i tavoli, e poi le scale, con il gradino che faceva impazzire Neville. Ho parlato con i quadri. Sono andato nelle aule, nei bagni, anche a trovare Mirtilla, ho chiacchierato con tutti i fantasmi, sono stato in Guferia, nella stanza delle Necessità, nelle cucine… Ho parlato con quei professori che sono rimasti qui, e anche con quelli nuovi (pensa un po’: Cho! E tiene ancora ai Tornados!).

Per tutto il tempo ho ricordato. Cose che non pensavo nemmeno di poter ricordare. Cose stupide. Insomma, non cose grandi che restano in mente sempre (la fuga di Fred e George, partite di Quidditch, il ballo del Ceppo, cose così). No. Mi sono accorto di ricordare… I particolari. E sono quelli che mi stanno quasi uccidendo.

Perché hanno un solo soggetto.

Lei.

Il suo sorriso un po’ storto, con i dentoni che sbucano sotto il labbro come un infantile segreto. Il colore dei suoi occhi con il brutto tempo, quando anche loro si facevano un po’ nuvolosi. Il suono delizioso delle sue dita che scorrono sulle pagine del giornale, il suo nasino che vi sparisce in mezzo, la fronte corrugata, tutta intenta nella lettura. Lo scricchiolio della sua piuma sulla carta. Il suo profumo, leggero e fresco, che traspira delicatamente dalla pelle del suo collo mentre si china su di me per aiutarmi in un compito. I suoi capelli ricci, voluminosi, prepotenti, maleducati, che ti pizzicano se li sfiori. Che diventano una massa informe con il mal tempo. E lei, senza alcuna pretesa, li fa stare a posto arrotolandoli su una matita, o li allontana dalla fronte con un colpo spazientito della mano. Il suo tono irritato mentre mi sgrida: “Ronald!”, la voce resa stridula e aspra. Il suo sorriso, dopo, improvvisamente dolce e comprensivo, che apparentemente dice “lascia stare”.

La sua espressione infervorata quando c’era da difendere un ideale o combattere per qualcosa.

Potrei continuare tutto il giorno.

Mi sono accorto di conoscere a memoria queste cose.

Piccole cose. Che mi stanno letteralmente uccidendo.

Non posso convivere con il ricordo di quegli sguardi.

Con il ricordo di alcune sue belle frasi, minuscole occhiate, sorrisi…

Oddio.

Mi stanno soffocando. Come vorrei sorriderle io e dirle: Mione, scusami se ti ho mentito fino ad oggi. Sono stato uno stupido bugiardo. Io… io ti trovo splendida e incredibile e voglio stare con te. Sempre, sempre con te. Come in un film per tredicenni babbane innamorate.

-Ron!

Lo sento abbandonarsi accanto a me. Sorridere.

-Ciao Harry. Come va?

-Si sta meglio fuori dal coma, grazie.- Ride. Rido. –Tu?

-Si sta meglio con te fuori dal coma, grazie.- Ridiamo.

-Ginny mi ha mandato da te perché è preoccupata.

-Oddio. Perché? Sto bene, davvero.

-è finita con Cassie? Perché? Stavate bene.

-Sì stavamo bene. Ma…

-Hermione?

-Chi ti dice che centra sempre lei? Potrei avere conosciuto qualcuna diamine. Potrei averla dimenticata davvero, no? Potrei essere cresciuto anche io, non solo lei. Potrei essermi semplicemente accorto che non amavo più Cassie e aver deciso di non prenderla più in giro. Potrei essere maturato, sai.

-Devo dire questo a Ginny?

-Sì.

-Ed è la verità?

-No, ovviamente no.- sospiro. -Quindi non dirle niente. Dille che ha ragione, come sempre. Ha un fratello scemo.

Ride. –Lo sa. È Hermione il problema?

sempre Hermione, il problema.

Stiamo in silenzio per un tempo assurdamente lungo, entrambi ci specchiamo nell’immenso cielo azzurro, memori forse dei tempi lontani in cui questa frase inespressa era una bomba pronta ad esplodere. Ed esplodeva. Sempre più frequentemente. Il motivo per cui ho fatto tante cose (sbagliate e non) nella mia vita: Hermione.

-Sai che si sta per sposare?

-Con chi? No. Non lo sapevo.

-Richard. Uno della Spedizione. Un Eroe, immagino.

-O forse solo uno dei tanti.

Faccio uno sbuffo. –Uno adatto a lei. E lo sposerà.

-Sei sicuro?

-No, certo che no. Non lo è lei, come posso esserlo io? Non ho mai capito nulla di Hermione, certo non posso imparare ora.

-E come ti senti?

-Per non averla capita mai o per il fatto che si sposa?

-Per entrambe… le cose.

-Male. Sono un fallito se in tutti questi anni non ho nemmeno imparato a conoscerla… davvero. Al di la delle piccole cose, insomma. Al di la del profumo, del sorriso, del modo con cui si sporca le mani di inchiostro mentre scrive e si pettina i capelli prima di andare a dormire. Capisci quel che intendo? So tutte le piccole cose che ci possono essere da sapere in lei, quanto meno della lei ragazzina. Ma in realtà quanto so di Mione?

-Sono le piccole cose a fare le grandi persone.

Rido. –Non dire stronzate!

Ride. –Che vuoi che ti dica Ron? Io penso di conoscervi molto bene. E penso che sia lo stesso per voi. Non è un anno di lontananza a poterci cambiare così radicalmente da dire che non ci conosciamo più. No?

-Pensi che io la conoscessi, prima?

-Penso che tu la conosca tutt’ora.

-Sarà. Ma non cambia le cose. Lei ora si sposerà, forse. Ho perso questa sfida, in ogni caso.

-Magari ci sarà un secondo round.

-Oh, no. Non con lei. Non ci sarà. E io poi non voglio partecipare, non più. Voglio dimenticarla.

-Di nuovo?

-O per la prima volta, chissà.

-In bocca al lupo. Io sono qui, se hai bisogno.

-Lo so. E anche io, sai. Sono qui.

-La vecchiaia ci rende smielati.

-Che schifo. Come sta la donna incinta?

-Isterica.

-Vengo con voi. Se ve ne andate, vengo con voi.

-Lo so. Io di te non riesco proprio a liberarmi.

-No, non ce la puoi fare. Mi spiace. Sono una cozza. E poi senza di me come fai con l’isterica incinta?

-Non ne ho idea. Non mi sono posto il problema.

-Non portelo mai. E non andare più in coma. Sono quasi morto dalla paura.

-Sì? Sono quasi morto anche io.

Ridiamo. Mi sento improvvisamente più tranquillo.

Ammutoliamo di nuovo. Anche il Platano sembra essersi calmato, i rami gli cadono pigramente lungo il fusto, abbandonati, privi di forze.

-è molto buffo essere qui.- Dico.

-è bello. No?

-Sì. Buffo e bello. Non avrei mai pensato di associare questi aggettivi alla nostra…

-Scuola?

-Adolescenza.

-Sì.

-Di che parlate?

Sento la voce di Hermione, è agitata e ha il fiatone. Si sdraia accanto ad Harry, e improvvisamente mi manca l’aria.

Poi Harry risponde, tranquillo. –Prima di te, che ti sposi. Poi di me, che esco dal coma. E ora di Hogwarts, della nostra adolescenza, “buffa e bella”, secondo Ron.

-E secondo Harry.

-Secondo noi.

-Secondo voi…- Sussurra lei. –E io non so se mi sposo.

Silenzio. Sento Harry sorridere, e un sorriso aprirsi anche sulle mie labbra.

-Se andate avanti così, voi due, mi toccherà avervi sempre alle costole single e infelici.- Dice Harry.

-Noi non siamo infelici!- ribatto.

-Noi non siamo single!- ribatte lei.

-Bhè, di solito lo siete.

-Harry!- Diciamo, in coro, dandogli una gomitata a testa nelle costole.

-Andateci piano! Sono convalescente io! Non vorrete che vi veda Ginny!

Ci blocchiamo tutti e due. –Oddio, non ci avevo pensato. Ginny incinta. Che fatica. Fortuna che sono tornata, Harry!

Lui ride. –A quanto pare ho una squadra per sopravvivere a quest’evento. Una bella squadra. Com’è il detto? “Squadra che vince non si cambia”.

-Basta che non vai più in coma.- sussurra. –Sono quasi morta dalla paura.

Sorridiamo.

-Davvero? Siamo quasi morti anche noi.- rispondiamo in coro noi due.

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Capitolo 21
*** 10.01 Sussurri e grida. ***


Taaadaaan

Taaadaaan! Eccoci arrivati al “gran” finale… fa un po’ tristezza ç_ç

Che dire? Ecco come io avevo pensato, sperato, il trovarsi di Ron ed Hermione. Non fraintendete, non che quello del libro non mi sia piaciuto, eh. Ma quando mi immaginavo quel momento, quello tanto agognato, sperato, sognato da tutti noi io lo immaginavo- più o meno- così.

Quindi godetevelo, leggetevelo, mangiatevelo, non so. Perché la prossima volta, non so se avrà la stessa magia, almeno per me che lo scriverò, perché sarà un po’ come arrangiare quello della Rowling mentre quando ho scritto questo avevo ancora davanti tutte le mie rosee aspettative. Oh, i bei tempi del pre-DH. Ma non facciamo le vecchie malinconiche, miseriaccia!

Buona lettura carissime, grazie come sempre di tutto =)

Capitolo 10.01

Sussurri e grida

We'll do it all

Everything

On our own

We don't need

Anything

Or anyone

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the world?

I don't quite know

How to say

How I feel

Those three words

Are said too much

They're not enough

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the world?

Forget what we're told

Before we get too old

Show me a garden that's bursting into life

Let's waste time

Chasing cars

Around our heads

I need your grace

To remind me

To find my own

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the world?

Forget what we're told

Before we get too old

Show me a garden that's bursting into life

All that I am

All that I ever was

Is here in your perfect eyes, they're all I can see

I don't know where

Confused about how as well

Just know that these things will never change for us at all

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the world?

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the world?

{Chasing Cars-Snow Patrol}

Hermione.

Harry si alza e ci rivolge un sorriso frettoloso.

-Vado da Ginny.

-Hai già visto Cho?

-Tiene ancora ai Tornados.

Harry ride. –No, ma ho sentito che c’è. Passerò a trovarla.

-Insegna Volo.- Faccio.

-Che bello, come la invidio. Va bene, vado a salutare Cho e poi dalla mia donna incinta.

-Salutamela. E dille…- Inizia Ron.

-Che stai bene. Le dirò tutto, tranquillo.- sogghigna. -Ma non troppo-, aggiunge.

Mi siedo e lui mi accarezza brevemente la testa.

-Salutala anche a me.

-Sì, certo. Dopo dobbiamo fare due chiacchiere, io e te, signorina. Dobbiamo parlare di questo Richard.

Io rido. –Non c’è molto dire, signorino. Comunque, certo. Non vedo l’ora delle nostre chiacchiere padre-figlia.

-E chi sarebbe il padre?- Ridiamo, e lui si allontana agitando la mano. –A dopo scemi.

Aspettiamo che si sia allontanato, e ancora nessuno dei due parla. Improvvisamente tutta la smania di comunicargli i miei sentimenti, i miei progetti, le mie scuse, tutto si è chetato. Averlo accanto mi sembra già abbastanza per stare bene.

-Allora, facciamo due passi?- chiede. Annuisco.

Mi aiuta ad alzarmi prendendomi una mano. Le sue dita indugiano per un attimo sulla mia pelle. Una scarica elettrica mi spinge a fuggire dalla sua stretta, e lo seguo lungo il sentiero.

Stiamo in silenzio ancora qualche momento.

-Allora, di che cosa stavamo parlando?- Inizia.

-Quando?- chiedo, sorpresa. –Di nulla, mi pare.

-Nella cucina di Luna, stavamo parlando.

-Uh, già. Bhè, non mi ricordo di cosa.- Certo che me lo ricordo. Ma non voglio riprendere quel discorso. Meglio che di Richard non parliamo più. Ti prego trova qualunque altra cosa di cui parlare.

Si stringe nelle spalle. –Allora non sai se sposarti.

Se lo ricordava benissimo, traditore.

-Già. E tu come stai?

-Bene. Prima dicevo con Harry quanto sia buffo essere qui.

-E bello.

-Sì. E bello. Un sacco di ricordi idioti, un sacco di ricordi seri, tristi, divertenti.

-Già. È come un tour nei ricordi.

Ride. Allarga le mani, come a spingermi a guardarmi intorno. –Quante cose ci sono successe solo su questo prato?

-Un’infinità.- Sospiro.

Si volta verso il castello. –Guardarlo! È sempre uguale, ma quante cose sono cambiate?

-Troppe.- Bisbiglio, senza voltarmi.

-Sì, troppe. Davvero troppe.

Silenzio. Camminiamo uno accanto all’altra, per la prima volta da tanto tempo senza alcuna tensione. Tranquillamente.

-Qui è diverso.- Dice. –Rispetto agli altri posti. È tutto diverso.

Ridacchio. –Sì. Diverso. È la sicurezza.

-La sicurezza?

Annuisco. –Sì, sai, ovunque sei come… in pericolo. C’è sempre qualcosa o qualcuno che può farti vacillare, cadere, ferire. Mentre qui è come se… tutto quello che potevamo provare l’abbiamo già provato. Sicurezza. Nulla può più sorprenderci, nulla può più… farci del male. Qui.

Sorride, distoglie lo sguardo. –In questi ultimi mesi ho desiderato spesso tornare qui.

-Perché?

-Sono le cose belle. Pensiamo che la cosa più difficile sia dimenticarle, per staccarci dal passato e, sai, ricominciare. E io l’ho desiderato davvero. Ricominciare. Ma poi mi sono reso conto che troppo spesso mi ero concentrato sulle cose brutte. Erano quelle che macchiavano il tempo che avevo trascorso… con voi, qui, e tutto il resto. È molto più difficile ricordarle, le cose belle. Ci abituiamo troppo a loro, e le dimentichiamo.

-Quanto siamo sciocchi.- Mi rigiro un riccio trai capelli. –E le hai trovate?

-Cosa?

-Le cose belle. Nei tuoi ricordi, qui.

Ride. Annuisce. –Sì. Sono ovunque.

-Davvero ovunque.

Un altro sottile silenzio, leggero. Quand’è stata l’ultima volta che non mi sono sentita in obbligo di riempire un silenzio con qualcuno? Secoli. Sembrano secoli.

-Descrivimelo.- Inizia lui.

-Chi?- Lo so bene, chi.

-Richard.

Rido. –Perché?

-Curiosità. E poi, responsabilità. Io ti devo proteggere, sai, da questi uomini che riempiono il mondo.

Non riesco a trattenere uno sbuffo, simile ad un’altra risata. –Bhè, comunque l’hai conosciuto.

-No, l’ho visto è diverso.

-Sei diventato pignolo, con gli anni. Non l’avrei mai detto. Comunque… è molto tranquillo, comprensivo, gentile. Mi capisce, mi ascolta… Bhè, ma che te lo dico a fare? Non ti piacerebbe comunque.

-Che vuoi dire?

-Che i ragazzi con cui sono uscita non ti sono mai piaciuti. Perché con Richard dovrebbe essere diverso?

-Non è vero che non mi sono mai piaciuti.

-Allora dimmene uno che ti è piaciuto.

-Dimmene uno che non mi è piaciuto.

-Okay: Victor.

-Ah. Ma lui non vale.

-E perché no?

-E poi mi piaceva, era il mio giocatore preferito.

-Ma che dici! Se mi hai fatto una scena quando…

-Era solo per spirito di competizione. Sai no, il Torneo…

-Certo. E allora che mi dici di “Lumacone”?

-Bhè nemmeno a te sono mai piaciute le mie ragazze!

-Mia sorella mia piace!- Dio ti prego non farmi arrossire, non ora, ti prego.

-Lavanda non ti piaceva.

-Non è colpa mia se non sai scegliere!

-E poi nemmeno a Harry piaceva Krum.

-Harry non aveva nulla contro Krum. Eri tu che lo odiavi, Ronald.

Silenzio. –Mi hai tenuto il broncio per la storia di Lavanda.

-Non era per la storia di Lavanda.

-E per che cos’era?

-Bhè, era un periodo difficile.

Ride. –Certo. Ci sarei venuto al ballo di Lumacorno con te, comunque.

-A me non importava.- Bugiarda. Bugiarda.

-Ovvio.- Tira un calcio ad un sasso. –Abbiamo litigato spesso da ragazzi.

-Non solo da ragazzi.

-Giusto. Non solo da ragazzi. Ginny dice che infondo ci vogliamo bene.

-Lo credo bene.

Siamo arrivati vicino al lago. I suoi grandi occhi azzurri sfiorano la superficie dell’acqua, i raggi del sole l’accarezzano e vi danzano sopra. Lontano, un tentacolo affiora per pochi istanti e poi sparisce con un guizzo.

-Ti ricordi il fratello di Colin Canon? Nel suo viaggio in barca fino ad Hogwarts, il suo primo giorno, è caduto in acqua.

-Ed è entrato in Sala Grande tutto bagnato.

-Coperto dal pastrano di Hagrid.

Il pensiero di Hagrid occhieggia un attimo nelle nostre menti.

-Io il pastrano non me lo ricordo.- Dice lui.

-Io sì. Lo copriva tutto, e lui ne andava così fiero.

-Non aveva nessun pastrano. Aveva tutti i pantaloni bagnati, e Fred ha fatto una brutta battuta su…

-Ma no. Quella è stata un’altra volta, e non era il Canon piccolo. Eri tu.

-Io non sono mai caduto nel lago!

-No, ma ti abbiamo bagnato in giardino alla Tana… stavamo pulendo non so cosa…

-Non è vero!

-Sì- scoppio a ridere. –Ha ragione Ginny: sei un bugiardo!

-Io non sono un bugiardo.

Scoppio a ridere. –Sei un bugiardo quando dici che ti piaceva Krum.

Alza gli occhi al cielo. –Ma chissene frega di Krum. Questo Richard di sicuro mi piacerebbe. Anzi, sai che ti dico? Non vedo l’ora di conoscerlo.

-Cazzate.

-Non hai fiducia in me.

-Non voglio che tu lo conosca.

-Vuoi sposare un uomo che il tuo migliore amico non conosce?

-Lo stroncheresti e io non potrei comunque sposarlo.

-Il mio stupido giudizio è così importante?

-Mi illudo che tu mi conosca meglio di chiunque altro.

-Non penso sia così. Ma una cosa la so. Tu hai una paura incredibile di questa cosa di Richard.

-Non è vero. Non mi spaventa affatto. Non mi spaventano le cose che posso controllare, che dipendono da me.

Alza un sopracciglio, giocherella con la ghiaia, grattandola con la punta del piede.

-Che forma avrebbe avuto il tuo Molliccio?

Continuo a guardare la superficie liscia del lago incresparsi dolcemente e rilassarsi sotto il tocco del vento. Nuvole pesanti si ammassano lente nel cielo, gravide di pioggia. Non lo so. Non so cosa sia la cosa di cui ho più paura. O quello di cui avevo più paura allora. Oggi forse lo so, ma non ho idea di che forma potrebbe avere.

-Non ne ho idea.

-Non ne hai idea ora o non ne avevi idea allora?

-Allora.

-Ora che forma prenderebbe il tuo Molliccio?

-E il tuo sarebbe ancora un ragno a cui mettere le rotelle?

Scoppia a ridere. –Non è giusto rivoltare le domande.

-Non è giusto fare certe domande.

-Ma potresti rispondere, comunque. No?

-No.

-E perché?

Mi stringo nelle spalle, -Perché no.- contemplo un secondo l’immagine che potrebbe avere il mio Molliccio. –E comunque un ragno a cui mettere le rotelle è davvero stupido.- E scoppio a ridere.

Ci rimettiamo a camminare.

E poi scoppia a ridere lui. –Al test finale del terzo anno. Il tuo Molliccio è diventato la McGranitt che ti diceva che non avevi preso il massimo dei voti!- E la sua risata è così forte e arrogante da innervosirmi.

-Non è vero!

-Ma certo. Hai preso un punteggio inferiore a quello di Harry quell’anno. È per questo che gli hai fatto tenere le lezioni dell’ES e non l’hai fatto tu.

-No. L’ho fatto perché lui è Harry, e doveva. Non per uno stupido test! Per me non erano poi così importanti.

La sua risata è ancora più fragorosa. –Certo che lo erano! Erano la cosa al mondo più importante per te! La priorità assoluta!

-Ho rivisto le mie priorità il giorno che sono diventata vostra amica.

-No! Avresti voluto farlo. Avresti dovuto farlo. Ma non ci sei mai riuscita. La McGranitt che ti dice che non hai preso il massimo, identifica perfettamente la bambina che eri.

-Non hai conosciuto la bambina che ero.

-Ah, perché eri già una donna quando ci siamo conosciuti?

-Il bambino sei sempre stato tu, tra noi.

-Certo. Mentre tu eri la mamma che doveva tenermi d’occhio, dimenticavo. Una reincarnazione senza autorità di Molly Weasley.- Risata amara.

Una fitta alla pancia.

-Perché devi sempre tentare di ferirmi?

-Io non cerco di ferirti. Non ho mai voluto ferirti.

-Mai? Da quando ci conosciamo tu cerchi di ferirmi ogni singolo giorno. E ci riesci, ogni singolo giorno!

-Almeno io ti do una spiegazione, quando ti ferisco.

Colpo basso. –Io non ti ho mai ferito.

-L’hai fatto una moltitudine di volte.

-Menti. Fai anche questo di continuo. Mi menti.

-Perché tu sei sempre sincera con me?

Le nostre urla risuonano nel parco immobile, senza intaccare niente nella perfezione argentea dello scenario. Tranne una cosa. Noi. La nostra serenità, il nostro rapporto, persino i nostri ricordi. Distrutto tutto in un momento perché non riusciamo ad essere d’accordo nemmeno su quello che abbiamo vissuto in comune.

E’ questo l’uomo che ho amato per tutta la vita? Un uomo con il quale non riesco a far altro che litigare?

-Ti ho mentito quando pensavo che dirti la verità ti avrebbe fatto più male.

-Non ho mai avuto bisogno della tu protezione!

-Certo. Tu non hai mai avuto bisogno di me. Tranne che per i compiti. Io, la sfigata fissata con lo studio, ecco a cosa ti servivo: a copiare i compiti che tu non riuscivi a fare, troppo impegnato a sprecare il tuo tempo con sgualdrine come Lavanda Brown!

-Eccola! Ci risiamo! Ogni volta mi rinfacci che ti chiedevo aiuto per lo studio. Bhè, potevi non darmelo. E poi, ovviamente, tutte le strade riportano all’unico stupido errore della mia adolescenza: Lavanda Brown!

Rido. –L’unico? Tu sbagliavi di continuo ma nessuno te lo diceva perché ti saresti messo ad urlare!

-Menomale che c’eri tu a dirmelo, eh? I tuoi voti alti nelle materie di scuola ti davano questo, giusto? La licenza a valutare gli altri nella vita! Ma sai che ti dico? Se ci fosse un voto da dare per come viviamo la nostra vita il voto più basso lo prenderesti tu!

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Capitolo 22
*** 10.02 Urla e qualcosa di più. ***


Allora eccoci al vero ultimo capitolo

Allora eccoci al vero ultimo capitolo.

Solo due parole, come sempre. Perché così vi faccio suspance =P No, scherzo. Ho davvero qualcosa da dirvi.

Tengo tantissimo a questa canzone, l’adoro. È forse una delle mie preferite. E non solo. Quando stavo iniziando a pensare a questa storia, la stavo ascoltando. E pensavo a quanto fosse perfetta per Ron ed Hermione. Pensavo che mettesse un po’ insieme ciò che lui vorrebbe dirle. Non so perché, ma mi dava questa impressione: vedevo perfettamente e chiaramente Ron dire queste esatte parole ad Hermione.

Spero che il finale non vi deluda, mi terrorizza questa idea! Siate il più sincere possibili, ma senza crudeltà, per favore **

Preparate i fazzoletti… (No dai, non fa piangere =P)

Vi adoro =)

Capitolo 10.02

Urla e qualcosa di più.

We all walk down the street my love

we carry pain and we carry scars

we carry everything we love

we carry the girls we met in bars

we carry guilts and remorse

for all them fucked up things we done

and we carry on

we carry on

til our caring days are gone

when we blaze out past the burroughs

to a place where time forgot

I see the leaves are even changing

and my stomach starts to drop

Your face is in the moon

Still I try to find my rock

And now you live down by the river

And my key don’t fit your lock

I can make it better

I know I can

I can make it better

I’ll give everything I have

I can make it better

try and forget the pain

I can make it better

Has it really been that long

since u told me bout the war

yeah a thousand nights of blisters

and probably a thousand more

Id speed you from the city

in a stolen taxi cab

Id be wreckless on the LIE

Untill it starts to scab

Well Id tell you all bout those good things in your life

and when I fail Id say I love u and ask u to be my wife

we could live out by the water

where its always summertime

Id love u even after

all your scars are mine

when we blaze out past the burroughs

to a place where time forgot

I see the leaves are even changing

and my stomach starts to drop

your face is in the moon again

But still I try and find my rock

now you live down by the river

and my key don’t fit your lock

I can make it better

I know I can

I can make it better

Ill give everything I have

I can make it better

Try and forget the pain

I can make it better

Well be together again

{the girl with the scar- Fun Lovin’ Criminals.}

Ron.

Ovviamente so che è una cattiveria. La più grande cattiveria che mi poteva venire in mente. O forse no. Ma i suoi occhi non si riempiono di lacrime, non questa volta. Le si scolpisce in volto un’espressione livida, furente, glaciale. I capelli morbidi e ricci che le ricadono sulle guance, le labbra tremanti che non trovano nulla con cui colpirmi con altrettanta forza.

Non diventa rossa, non perde la calma.

Per la prima volta, vedo in lei la stessa adolescente davanti ad un compito scolastico: fredda e distaccata, razionale, intelligente.

Mi osserva dall’alto al basso, come se fossi caduto troppo in basso, troppo per lei. Troppo persino per essere guardato in faccia. Ha un sopracciglio alzato, in segno di ironia e strafottenza. Nei suoi occhi si specchiano le nuvole plumbee che riempiono il cielo sopra di noi.

Poi si volta su se stessa e riprende a camminare, come se non fosse mai stata interrotta.

-Mione, io…

-Io, Io, Io. Ma certo, Ronald. Cosa c’è? Hai bisogno di una mano per finire questa frase? Il tuo repertorio di cattiverie va rimpolpato?

-No, veramente…

-Non posso nemmeno ricordarle tutte, quelle che mi hai detto. Vediamo… forse posso provare a ricordarne qualcuna…

-Non, io…

-“ci credo che non ha degli amici”. Questa me la ricordo bene. Strano, poi, che sia diventato proprio tu mio amico. Perché l’avrai mai fatto? E perché sei ancora qui? Sai che non sono mai riuscita a spiegarmelo? Mai. Non cosa ci fosse di tanto orribile in me che tu non potessi sopportare, ma cosa ci fosse di evidentemente abbastanza valido da farti restare al mio fianco.

-Io…

-Sei arrivato a pensare che il mio gatto avesse mangiato il tuo stupido topo vecchio e malato. E io sapevo che non era così. Ma ho finto che fosse vero e ti ho scongiurato di perdonarmi. Perdonare ME, come se la colpa fosse stata mia. Come se fossi stata io in persona ad inghiottire il tuo stupido ratto malato. E se solo Grattastinchi l’avesse mangiato davvero! Sarebbe stato meglio, no?

-Mione.

-Forse dovrei chiedere a tua sorella. Sono certa che lei se le ricorda, tutte le scenate che mi hai fatto, perché ogni volta veniva a consolarmi. A dirmi di lasciar stare, che eri un idiota, e ti sarebbe passata. Era vero. Ti passava. E io ero riammessa nella tua vita, fino a che non ti svegliavi di nuovo con le palle di traverso. E PUNTUALMENTE era colpa mia!- si rimette ad urlare, mentre io arranco dietro di lei, tentando di trovare le parole giuste per farla smettere di urlare.

-Ma forse mi sono sognata tutto. Anzi ovviamente deve essere così. Io ero una pazza visionaria e tu, poverino, venivi frainteso da me.

-No, veramente, io non avrei…

-Ma poi eri anche così dolce! E le estati passate insieme alla Tana? Lì eri così gentile, e ci divertivamo da soli a chiacchierare tutta la notte! E se avevo bisogno c’eri sempre!

-Perché…

-Perché sono una scema. IO sono una scema! Avrei dovuto sbatterti la porta in faccia fin dal primo momento, tu patetico sciocco arrogante…

-Pensi che per me sia stato…

-Io rischiavo per te. Ho incantato McLaggen ai provini di Quidditch così che vincessi tu. Io! Ti rendi conto? Io, che nella vita prenderei un voto bassissimo sapevo che per te era così importante che avrei rischiato qualunque cosa per…

-TU COSA?

-Ma sì, ti sconvolge tanto? Tu non eri un bravo portiere. Ma eri il mio migliore amico. E l’unica cosa di cui avevi bisogno per essere un bravo portiere era guadagnare un po’ di sicurezza. Di questo avevi bisogno e questo volevo darti, sicurezza.

-Tu mi hai mentito! Visto? Tu mi hai mentito!
-Avresti preferito sapere? Davvero?

-Certo!

-Sei tu a mentire. A non capire. Mai.

-Quante altre volte hai finto di avere l’incarico di…

-Ti sei comportato malissimo con Harry quando il suo nome è uscito dal Calice. Malissimo! Hai creduto che lui ti avesse imbrogliato solo perché non hai fiducia in niente e in nessuno! Ed eri GELOSO di lui! È ridicolo. Capisci che è ridicolo? Lo capisci ora che non hai più la testa di un bambino di 7 anni convinto che l’amico gli abbia rubato l’orsacchiotto?

-Era una questione tra me e Harry…

-No…! Ma sai perché Harry ha potuto capito che eri solo un bambino complessato? Perché Io gliel’ho spiegato!

-Menomale che ci sei tu a capirmi così bene! E allora se hai capito sempre tutto così bene perché…

-Perché cosa?

Perché siamo qui ad urlarci contro? Qui, oggi, che in teoria dovremmo essere degli adulti? Adesso. Diglielo, Ron. Dille cosa avrebbe dovuto capire da sola.

Dille il perché ti di questo litigio, il perché di tutti i vostri litigi.

Dille il perché di quei bronci e quei cattivi umori.

Dille perché ti sei arrabbiato quando è andata al ballo con Krum.

Dille perché ti sei arrabbiato perché ha baciato Krum.

Dille perché non sei andato alla festa di Lumacorno con lei.

Dille perché aspettavi che lei si addormentasse prima di addormentarti tu in viaggio: solo per guardarla dormire.

Dille perché lei era l’unica a cui volevi dire del tuo nuovo lavoro.

Perché sei andato con sua sorella.

Perché volevi disperatamente che non partisse.

Che hai passato giorni e giorni accanto al suo corpo inerme attendendo che si risvegliasse.

Che mentre Malfoy la torturava sentivi dentro un dolore mai provato prima.

Che avresti vomitato lumache per sempre per difenderla dalle accuse di stupida gente che non aveva il diritto di giudicarla.

Che vederla pietrificata è stata la cosa più tremenda della tua vita e che a volte ancora sogni il suo viso di pietra, intento ad osservare gli occhi di un mostro.

Spiegale il motivo per cui sei stato con Lavanda, sopportando una ragazzina che odiavi solo per dimostrare che potevi anche tu.

Spiegale che cosa volevi dimostrare.

Spiegale a chi volevi dimostrarlo.

Spiegale il motivo per cui ha passato tante estati alla Tana.

E quell’estate a Grimmuld Place.

Raccontale come ti piaceva vederla impegnata a pulire una mensola infestata per ore e ore, con il labbro inferiore morso dai suoi piccoli denti bianchi.

Apri la bocca, Ron, e urlale addosso quello che merita di sentire.

E vincerai questa lite. Oh, sì. La vincerai. L’ammutolirai davvero con una sola frase: perché non hai capito che cosa provo per te?

Finalmente vincerai uno scontro. Non avrà parole per ribattere.

Magari fuggirà e non la sentirai mai più.

Ma non importa. Sarà stata una buona causa. Sarà stata una battaglia vinta per qualcosa. Per lei, contro di lei.

Diglielo Ron.

Apro la bocca, e la richiudo.

-Certo. Come sempre lanci le bombe e poi non stai lì a raccogliere le macerie. È questa la tua tattica, no? Rompi, ma non paghi mai.

-Non sono io quello che scappa senza lasciare traccia di se.

Fa un verso di trionfo. –Sapevo che mi avresti attaccato con questa tesi! La crudelissima Hermione Granger che se ne va e abbandona il suo amico d’infanzia! Perché a te non vanno bene le spiegazione che ho ripetutamente dato. Io sono una bugiarda, giusto? Quindi non posso aver detto la verità!

Le sue urla si sono fatte roche e stanche. Persino la sua maschera di durezza sta crollando, lasciando il posto ad un’espressione sempre più addolorata. La pioggia che ha preso a scivolare su di noi sembra far sciogliere il suo riparo ad ogni goccia.

-Una bugiarda! Una cattiva persona, bugiarda, permalosa, io…

-Vuoi giurarmi che te ne sei andata per fare del bene? Per ritrovare te stessa?

-Se ti giurassi di sì, mi crederesti?

Dovrei crederle. Ma sarebbe troppo doloroso pensare che non l’abbia fatto per scappare da me. E insieme meraviglioso. Mi renderebbe meno importante. Ma anche meno crudele, per qualche strano motivo che non ho, davvero, capito… -Vorrei.

Si volta ancora e fa qualche passo. È entrata nella foresta. I rami sempre più scuri coprono il cielo scuro, un ombra strana le si disegna sul volto, i ricci umidi la rendono più selvaggia. Il profumo di sottobosco è intenso e acerbo, doloroso nella realtà quanto vivido nei ricordi, reso più intenso dalla pioggia che cade, pigramente.

-Non potresti mai capire.

-Potrei provarci.

Scuote il capo, un sorrisino le accarezza le labbra.

-Ci ritroviamo sempre ad urlare.

Sospiro. –Sì.

-Mi è mancato. Urlare con te.

Sorrido. –Davvero?

-Mi sei mancato. Tu.

-Non è vero.

-Sì, è vero. Mi è mancato tutto di te. Ridere, scherzare, parlare. I nostri segreti e le cose che abbiamo affrontato insieme, nonostante tutto. I tuoi capelli rossi e i tuoi occhi da bambino e le tue orecchie che diventano paonazze. Harry mi è mancato. Ginny mi è mancata. Ma tu…- sospira. –Sei tu da cui volevo tornare. Ogni… Eri tu a mancarmi più di tutto e più di tutti. Tu.

Non posso trattenere un sorriso.

Tronfio.

Intenerito.

Innamorato.

Un sorriso.

-Anche le urla, sai.- Continua. Sospira pesantemente. –Questa cosa che facciamo. Rinfacciarci le cose, ferirci, essere cattivi. E poi comunque continuare volerci bene, in qualche modo incomprensibile… anche questo. Forse soprattutto questo. Mi era mancato così tanto…

-Non urlavo contro qualcuno da mesi.

-Già, nemmeno io. Contro Cassie non urlavi?

-No, mai.

-Avevi paura di ferirla?

-Non sapevo come avrebbe reagito.

Ride. –Dovremmo essere meno cattivi l’uno con l’altra, io e te.- Le trema un po’ il labbro. Vorrei prenderlo tra le labbra e stringerlo forte trai denti.

-Tiri fuori il peggio e il meglio di me. L’hai sempre fatto.- Bisbiglio.

Sorride stancamente. –Allora ho anche io una specie di pregio, e puoi aggiungere un difetto alla lista.

-è una lista di cui non mi sono mai curato poi tanto.

Silenzio.

Ci fronteggiamo, senza più urla né fretta. L’aria adesso è più leggera, bagnata, c’è un sapore di tranquillità che non avevo mai sentito, tra noi. Una sorta di affettuosa rassegnazione, che ha placato ogni elettrica tensione. Una folata di vento le porta un riccio sulla guancia, su cui si appiccica per l’acqua, e io vorrei catturarlo con le dita, sentire il calore morbido della sua guancia al tatto.

Prenderla per mano e dirle di non essere triste, non più.

Non ti ferirò più.

…Intenzionalmente.

-Non lo sposare.

Scuote la testa.

-No.

Si sposta il riccio dal viso e indugia a lungo con la mano, come per nascondersi dai miei occhi, ora che non ha più una maschera.

Non sa che non può nascondersi.

Non ha mai potuto, ne mai potrà.

-E ripartirai?- la voce mi trema appena, e le note distrutte di questa frase che da tempo volevo farle risuonano patetiche e tristi nel silenzio ovattato e pieno di vita della Foresta Proibita. Il luogo delle lontane volte in cui abbiamo infranto la legge della scuola e messo a rischio la nostra vita. Nonostante la paura. E forse proprio perché avevamo paura.

-Non lo so. Dipende.

-Da cosa?

Sospira.

-Da te.

L’aria mi viene aspirata dai polmoni.

-Perché?

I suoi occhi si lanciano nei miei. Sono allegri, forti, sfrontati, timorosi, eloquenti.

Il cuore mi si fa pesantissimo in petto, ogni battito un dolore. E poi si avvicina a me, lenta, un sorriso incerto ma coraggioso sulle labbra. E allora il mio cuore si fa leggerissimo, quasi inconsistente. Potrei prenderlo tra le mani e farlo volare via. Consegnarlo a lei, anche se già le appartiene.

Le prendo una mano, e lei la stringe forte. Mi sorride.

Non c’è più molto che possiamo dirci.

Tranne una cosa.

-Resta.

E finalmente, dopo averlo tanto sognato, semplicemente, la bacio.

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove sui mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

sui ginestri folti

di coccole aulenti,

piove sui nostri volti

silvani,

piove sulle nostre mani

ignude,

sui nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

l'illuse, che oggi m'illude,

o Ermione

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitio che dura

e varia nell'aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

nè il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancora, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come un foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall'umida ombra remota.

più sordo e più fioco

s'allenta, si spegne.

Sola una nota

ancora trema, si spegne,

risorge, treme, si spegne.

Non s'ode voce del mare.

Or s'ode su tutta la fronda

crosciare

l'argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell'aria

è muta; ma la figlia

del limo lontane,

la rana,

canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le palpebre gli occhi

son come polle tra l'erbe,

i denti negli alveoli

son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i malleoli

c'intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri volti

silvani,

piove sulle nostre mani

ignude,

sui nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m'illuse, che oggi t'illude,

o Ermione.

(la pioggia nel pineto. D’Annunzio.)

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Capitolo 23
*** Epilogo. Felici e contenti (almeno per un po') ***


.EPILOGO.

Felici e contenti (almeno per un po’)

It's late in the evening; she's wondering what clothes to wear.

She puts on her make-up and brushes her long blonde hair.

And then she asks me, "Do I look all right?"

And I say, "Yes, you look wonderful tonight."

We go a party and everyone turns to see

This beautiful lady that's walking around with me.

And then she asks me, "Do you feel all right?"

And I say, "Yes, I feel wonderful tonight."

I feel wonderful because I see

The love light in your eyes.

And the wonder of it all

Is that you just don't realize how much I love you.

It's time to go home now and I've got an aching head,

So I give her the car keys and she helps me to bed.

And then I tell her, as I turn out the light,

I say, "My darling, you were wonderful tonight.

Oh my darling, you were wonderful tonight."

{Wonderful tonight-Eric Clapton}

Harry.

La sala è piena di gente, ce n’è così tanta che mi manca l’aria. Ma sono di ottimo umore, davvero. Sarà lo spumante che tengo in mano. O forse il brandy. Sono comunque di ottimo umore.

Ginny è seduta su una poltrona, i capelli rossi meravigliosamente lucenti, gli occhi d’oro spalancati. E quel sorriso. Il suo sorriso.

Indossa un vestito a fiori, una scollatura elegante rivela un po’ il suo petto bianco e gonfio di latte. Tra le braccia tiene un fagotto caldo e rosa.

La nostra bambina.

Cerco di raggiungerle nella folla, solo per inspirare un’altra boccata del loro sapore, per stringerle a me. Per saziare il bisogno che ho di averle sempre accanto.

Ma un gruppo di parenti dai capelli rossi mi ferma. Pigolano cose banali e felici. Non li avevo mai visti. Forse mi sono stati presentati. Non so.

Io e Ginny ci siamo sposati in privato, con solo Hermione, Ron, Luna, Fred, George e i signori Weasley. Poi noi due siamo andati in luna di miele in Irlanda, mentre Ron e Hermione sono tornati a casa. Li abbiamo raggiunti dopo un mese, quando Ginny si è sentita abbastanza tranquilla sul piano Mangiamorte, anche se ora ho un coprifuoco che sembra quello di una dodicenne. Ma tanto non importa. Non mi interessa stare fuori a far vita. Voglio solo stare a casa con loro.

Così per me questa mandria di parenti lentigginosi è una specie di nuvola senza nome. Non li conosco, non so chi siano. Ma Ron mi ha dato qualche dritta per comportarmi con loro.

Basta parlare di: cibo, vacanze, Ron, Ginny, nostra figlia.

E non parlare di: ricchi, Malfoy, Voldemort, parenti defunti.

E tutto andrà bene, mi ha detto. Devi solo resistere fino al mio arrivo. Rido. Poi ci metteremo in terrazza con lo spumante, e Ginny ed Hermione si occuperanno dei parenti.

Il battesimo è andato bene. Ron non ha fatto cadere mia figlia, Hermione non ha pianto troppo, non hanno litigato per il fatto che lui aveva la camicia abbottonata tutta storta. Ho concesso a tutti e due una pausa di un’ora. E questo è il tempo che devo resistere da solo: un’ora.

Chissà cosa stanno dicendo questi. Ho lanciato la bomba “cibo”. Ron ha ragione, piace un sacco.

Mi sento afferrare un polso e mi giro. Il viso tondo e morbido della signora Weasley è tutto bagnato di lacrime.

-Signora Weasley!

-Quando imparerai a chiamarmi “Molly”, tesoro caro?- Singhiozza.

-Quando vuole, M-Molly.

-Dammi del tu! Sei il marito della mia bambina! Il padre della mia prima nipotina!- altre lacrime, altri abbracci. Da sopra la sua spalla intercetto un’occhiata divertita di Ginny, che si stringe nelle spalle come dire “la mamma è sempre la mamma”. Le faccio la linguaccia e lei sogghigna, rivolgendo alla piccola un sorriso tranquillo.

-Dov’è Ron, caro?

-Lui ed Hermione stanno arrivando.

-Oh, certo! Vorranno stare un po’ soli, loro…

Rido. E lei mi rivolge un sorriso.

-Sono felice che alla fine si siano sistemati.- Dice.

-Doveva succedere, no?

-Da sempre.

-Staranno bene ora. Davvero bene.

-Oh sì. E poi tu li terrai d’occhio, vero caro? Come sempre, vero caro?

Le do un colpetto affettuoso sulla spalla. –Sono loro a tenere d’occhio me, Molly. Come sempre.

La porta in quel momento si apre.

Dalla folla rossa e lentigginosa emerge una donna eretta nella sua altezza, fiera in un abito semplice rosso scuro, i ricci sciolti sulla schiena nuda, un sorriso sul viso liscio e, per mano, il mio migliore amico. Ron ha i capelli tutti spettinati, le orecchie rosse, e un sorriso sornione che io so bene che cosa vuol dire: Ho appena fatto sesso. Vedo che negli occhi di Hermione è disegnata una dolce malizia, mentre si presenta educatamente a parenti Weasley e si avvicina ad amici vari. Ron intanto si ricompone. Di tanto in tanto accarezza le braccia, la schiena nuda, i ricci voluminosi, il collo bianco, le labbra rosse della bella donna che gli sta accanto. E lei sorride, con dolcezza. Lo tiene per mano, lo sfiora. Ride. Lo bacia. Si lascia baciare. Ridono.

Chiacchierano, scherzano.

Si baciano.

Ridono.

-Ehi.- Li saluto. Hermione si sporge per schioccarmi un sonoro bacio sulla guancia.

-Eri bellissimo in chiesa.- Dice. –Ma la scena era tutta di quello splendore di tua figlia.

-Le cedo volentieri i riflettori.

Ron mi da una pacca sulla spalla. –Non l’ho fatta cadere, visto?

-Ti sei meritato la tua ora di sesso.

Arrossiscono come bambini.

-Tranquilli, non lo dico a Ginny.

-Ehi ragazzi, com’è andato il sesso?

Ginny si unisce a noi, la testa della bambina abbandonata sulla spalla.

-Harry!

Ginny scoppia a ridere. –Credete che sia scema? Un giorno o l’altro smetterete di vedermi come la sorellina piccola di Ron?

Le do un buffetto sotto il mento. –Sei sempre la nostra piccolina.

-Non parliamo di sesso davanti ad Alice.- Supplica Ron, indicando nostra figlia. Ginny le accarezza le guance morbide.

-Già, lasciamole la sua stupida innocenza almeno per un po’.- Poi da un colpo ad Hermione. –Vieni, andiamo a salutare Flebo.- Ridono. –Così loro possono iniziare a bere sul terrazzo.

Si allontanano vicine, parlottando, salutando persone, la loro scia profumata e ridente che fa splendere la stanza.

Io e Ron ci avviamo effettivamente in terrazzo, con la bottiglia di champagne.

Ci sediamo a terra, con la Londra nebbiosa e addormentata che si stende sotto di noi.

-è andato bene il sesso, comunque?

Ride forte. –Certo.

Stiamo in silenzio un attimo.

-Sei felice, Ron?

Lui beve una lunga sorsata.

Sorride.

-Ti ricordi cosa mi hai detto una volta di Ginny? Che per te era l’unica al mondo?

-Sì.

-Ora capisco cosa intendevi. Lei per me è l’unica al mondo.

Sorrido. –Quindi siete felici.

-Ti sembriamo felici?

-Sì.

-Lo siamo.

-Anche noi.

Bevo una sorsata di champagne.

-Siamo fortunati. Sono splendide stasera.

-Sono sempre splendide.

-Sì.

La porta finestra si apre, per un attimo il vociare della festa irrompe sul terrazzo, poi si richiude, e il rumore si spegne. Si siedono accanto a noi.

-Parlavate di noi?

-No, affatto.

-E di che parlavate?- Fa Ginny, stringendosi a me.

-Di Quidditch, sorella.- scherza Ron.

Ridiamo, Hermione beve un sorso e si lascia baciare da Ron, poi si accoccola tra le sue braccia.

In cielo luccica qualche stella solitaria, e il traffico mugugna nelle strade sotto di noi.

-Tutto bene ragazzi?

-Tutto bene.

Ginny mi prende la mano.

Vedo il contorno morbido dell’abbraccio di Ron ed Hermione, e mi sento io stesso stretto dalle loro braccia.

-Siete splendide stasera.

-Siamo sempre splendide.

E tutti e quattro, senza guardarci, sorridiamo.

FINE.

È finita…

Spero che vi sia piaciuta, tutta, davvero.

Grazie di avermi seguita fino a qui, grazie di tutto. Siete fantastici.

Spero di pubblicare presto una nuova Harry- Ginny, ho una voglia matta di scriverla. E spero di risentirvi presto! Se non avete letto le mie vecchie Ficc e avete voglia, le trovate qui sul sito.

Alla prossima allora, e largo agli ultimi commenti! =)

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