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Aggiungo queste poche righe ora, anche se ho già pubblicato, ora
che ho più tempo e calma per scrivere.
Spero vivamente che i “miei” Harry, Ron, Hermione e Ginny siano
anche solo lontanamente simili a quelli della Rowling, di non aver ecceduto in
romanticismo *me odia quando esagera*e soprattutto di non aver scritto parti troppo tristi, penso che ce ne
sia solo qualcuna *spera*. Come già sapete la vicenda- Voldemort non è come
quella della Rowling per il semplice motivo che la fiction è stata scritta
da me medesima prima di leggere DH =P Non ha una grande rilevanza, quindi non
penso che la cambierò, alla fine *sfaticata*.
Vorrei ringraziare con tutto il cuore la Marty, che mi ha
incoraggiata ad andare avanti, a pubblicare, ha letto pazientemente i capitoli
in fase di produzione e mi ha aiutata a farmi arrivare le idee quando
scarseggiavano. Mia mamma, che inconsapevolmente e non, mi ha passato alcune
delle canzoni che aprono i capitoli. E Jo, senza la quale non sarei qui a farvi
leggere i miei scempi XD.
Questa Fiction è per
quelle poche ma splendide persone che mi rimangono sempre vicine, le mie uniche
costanti e certezze anche nei costanti e certi cambiamenti che ogni giorno
avvengono nella mia vita. Per voi =)
.MA AMICI MAI.
Questa sera non
chiamarmi
no stasera devo
uscire con lui
lo sai non e'
possibile
io lo vorrei, ma
poi mi viene voglia di piangere
Certi amori non
finiscono
fanno dei giri
immensi e poi ritornano
amori
indivisibili, indissolubili, inseparabili
Ma amici mai
per chi si cerca
come noi
non e' possibile
odiarsi mai per
chi si ama come noi
basta sorridere
No no non piangere
ma come faccio io
a non piangere
Tu per me sei
sempre l'unica
straordinaria,
normalissima
vicina e
irraggiungibile, inafferrabile, incomprensibile
Ma amici mai
per chi si cerca
come noi
non e' possibile
odiarsi mai per
chi si ama come noi
sarebbe inutile
Mai mai il tempo
passerà
Mai mai il tempo
vincerà
Il nostro non
conoscersi
per poi
riprendersi
e' una tortura da
vivere
ma stasera non
lasciarmi
no stasera non
uscire con lui
il nostro amore e'
unico, insuperabile, indivisibile
ma amici mai.
{amici mai- A.
Venditti}
Prologo: 0.01
NON E’ VERO
Se è vero o no
tu che ne sai
quando lo fai
se è vero non ci pensi mai!
Se è vero o no
tu crederai
e ammazzerai
ma se è vero non lo saprai mai!
Se è vero o no
se è tutto qui
e se è vero che tra noi
è stato bello anche così.
Se è vero o no
non lo saprai
se è vero non t'accorgi neanche d'esser morto...
e lo vedrai.
Se è vero o no!
E' vero o no
tu morirai
quando ne hai
è vero o no che non lo sai!
E' vero o no
lo scoprirai
e quanti guai
vale la pena dillo, dài.
E' vero o no
che sei così
che non pensi agli altri e poi
che te ne freghi
tutto qui!
E' vero o no
Che novità
vale la pena farlo se sei sicuro
che nessuno lo saprà!
E' vero o no...
{Se è
vero o no- Vasco Rossi.}
Hermione.
Ho
passato la mia vita a ripetermi che non era vero. Tutto quello che andava male,
tutto quello che non mi piaceva. Non è vero che è suonata la sveglia. non è
vero che stai andando a lezione. Non è vero che a colazione devi mangiare
ancora porrige. Non è vero che hai un compito in classe. Non è vero che Harry e
Ron sono ancora
in ritardo. Non è vero che state chiacchierando e che ora siete in punizione.
Non è vero che vi state intrufolando in una botola protetta da un cane a tre
teste. Non è vero che sei stata pietrificata. Non è vero che stai facendo due
chiacchiere con il ricercato Sirius Black. Non è vero che sei in vacanza in una
casa che si chiama “la Tana”. Non è vero che tu e Ron state litigando ancora. Non è vero che Harry è il quarto
campione del torneo. Non è vero che Victor Krum ti ha invitata ad un ballo. Non
è vero che non l’abbia fatto Ron. Non è vero che Victor Krum ti sta baciando.
Non è vero che non lo stia facendo Ron. Non è vero che stai pensando a Ron anche
in questo momento. Non
è vero che Cedric è morto. Non è vero che sei in vacanza in un’associazione di
maghi segreta e probabilmente illegale. Non è vero che stai organizzando tu
stessa un’associazione di maghi segreta e probabilmente illegale. Non è vero
che siete voi tre contro tutti. Non è vero che Ron sta con Lavanda. No, non gli
sto lanciando addosso uno stormo di canarini. Non è stato avvelenato. Non lo
sto invitando alla festa di Lumacorno. Non è vero che mi piace come dice Ginny.
Che ne sa Ginny? Non è vero niente. Non è vero che Silente è morto. Non è vero
che Ron mi sta abbracciando, che Harry sta lasciando Ginny. Non è vero che
sto dicendo che non tornerò più a scuola. Non è vero che stiamo scappando
per il mondo magico cercando i frammenti dell’anima del più grande e crudele
mago di tutti i tempi.
Non è
vero.
Non è
vero.
Non è
vero.
Eppure
ogni volta alla fine mi dovevo guardare nello specchio e dirmi che invece era esattamente così. Il mondo aveva ragione.
Tutti avevano ragione, tranne quella stupida voce che mi supplicava di credere
che quello che mi accadeva fosse irreale. Sarebbe stato tutto più semplice.
Ma per
Hermione Granger le cose non sono mai state facili.
Nemmeno
ora.
Sono
immobile tra le coperte gelate. Ho paura di alzare le palpebre e sbirciare
questo mondo, crudo e vero, io che mi sento dentro tutta lacerata e debole,
vulnerabile. Eppure non mi sono mai sentita così forte.
Tento di
fare mente locale delle ultime ore, ma la cognizione del tempo mi si è
dilatata. Non posso dire se sia giorno oppure notte, se siano passate poche ore,
giorni o mesi da quando il viso pallido e squamoso di Lord Voldemort ha
ghignato a pochi passi dal mio, con quei grandi occhi rossi e quel sorriso
privo di alcuna emozione. Mi sono chiesta perché un uomo simile, un uomo che di
umano non ha nulla, fosse tanto attaccato alla vita. So che vi sembrerà un
pensiero idiota, colmo di inutile retorica, quando si è ad un passo dalla
morte. Ma io non mi ero mai trovata al suo cospetto.
Per anni
avevo cercato di figurarmi quel volto.
Quello
che aveva insieme distrutto e dato un senso alle nostre vite.
Tutto
quello che avevo fatto, pensato, perso e ricevuto, era stato irrevocabilmente
legato a quegli occhi rossi. E in quel momento, che io vivessi o morissi,
ancora una volta, dipendeva da lui.
E così mi
sono chiesta perché tutto questo doveva essere stato fatto per colpa di un uomo
che non era più un uomo, di una vita che non era più una vita, di un cuore che
non amava, occhi che non guardavano, un sorriso che non diceva niente.
Sì.
Dipendeva da lui. Era tutto per lui.
Non so
quanto tempo sia passato da quel dolore inumano che mi ha costretta a terra,
con la roccia gelata che mi lacerava la pelle delle ginocchia, con il sangue e
le lacrime e l’amaro in bocca. La pioggia. E neanche la forza di urlare.
Urla.
Non ne
sono capace.
Questo
pensavo: “Urla”.
Ma non ci riuscivo.
Non si
può urlare in certi momenti.
E poi
dovevo ascoltare. Ascoltare. Ascoltare…
Harry?
Ron?
Non
ricordo cosa ne sia stato di loro.
Non
ricordo nemmeno cosa ne sia stato di me.
Non so
dove sono. Non c’è niente nella mia testa, solo una valle di latte, bianca e
vellutata, in cui navigano placidamente ricordi che non hanno nulla a che fare
gli uni con gli altri. O meglio, che un nesso ce l’hanno…
Ci siamo
io e Ron che litighiamo dopo il ballo del Ceppo.
“…la
prossima volta che c’è un ballo invitami prima che lo faccia qualcun altro, e
non come ultima spiaggia!”
Ci siamo
io e Ron che parliamo della festa di Lumacorno.
“volevo
chiederti se ti andava di venire ma se la pensi così, allora…”
C’è quel
minuscolo battito di ciglia, ancora offuscato da fiumi di lacrime, in cui avevo
alzato gli occhi su di lui e avevo scoperto il suo sguardo azzurrino posato nel
mio. Quel sorriso tranquillo, rassicurante, fragile.
“dovremmo
trovare Harry. Parlare.”
C’è una
spiaggia dorata allagata dalla luce accecante del tramonto. E noi tre seduti
intorno ad un gelido fuoco che sembra consumare insieme a noi.
“sarà
bello quando sarà tutto finito, non vi pare?”
In questo
momento vorrei tornare indietro. Non mi sembra bella questa fine. Non mi sembra
nemmeno una fine. Io mi sento esattamente come prima. Solo che le ginocchia mi
bruciano. Mi brucia tutto, ora che ci penso.
Mi fa
male ogni singolo angolo del mio corpo.
Devo
aprire gli occhi.
Devo
farlo.
…
Non
voglio.
Non
voglio scoprire se Harry ha battuto Voldemort.
Non
voglio sapere se tutto questo dolore, tutto il sangue che ho perso, tutte le
lacrime che ho versato, sono andati a finire in un oblio di cose che non sono
servite.
Voglio…
voglio correre sul loro letto, urlando felice ad una nuova vita che inizia,
lontana da congetture, ansie, paure, mani strette convulsamente, contatti
fisici cercati e mancati, baci persi, adolescenze rubate e serate passate su
libri troppo grandi persino per essere tenuti in grembo.
Devo
essere forte, oggi. Oggi, come in tutti i giorni passati. E poi forse sarò
ancora in grado di piangere. Mi sarà ancora permesso avere paura.
Ma oggi
no.
Oggi devo
essere forte.
Apro gli
occhi lentamente, sollevando le palpebre pesanti e livide. La luce è accecante,
mi ferisce gli occhi. Sono in una stanza di ospedale. Le pareti dal colore
tenue, le coperte morbide, l’aria tiepida che sa di medicina. Sono al San
Mungo. Dopo tante visite ora sono io quella nel letto. Mi guardo le mani, sono
così magre, così ossute. Le dita mi tremano appena. Ho tutte le unghie rotte,
sporche. Ricordo perfettamente il dolore lancinante mentre si spezzavano sulla
roccia. Ma non ricordo quando sia successo. Mi scosto dalle gambe il lenzuolo.
Rabbrividisco appena. Non indosso una di quelle orribili e tristi camice da
notte da ospedale. Deve essere stata Ginny a mettermi questa, azzurra e
leggera. Appoggiata su una sedia c’è una vestaglia. Mi guardo le gambe, sono
livide, graffiate. E’ orribile come tutto sto schifo mi abbia ridotta. Provo un
grande odio verso gli uomini che ci hanno fatto questo. Penso che vorrei
ucciderli ad uno ad uno, con queste mani magre e tremolanti. Ma so che è
sbagliato. Che la vittoria sia nostra o loro, è finita.
Abbiamo
giurato ad Harry che comunque sarebbe andata poi ci saremmo tirati indietro.
Avremmo smesso con tutto questo. Basta combattere.
Mi chiedo
quanto sia possibile.
Chissà se
le gambe mi reggeranno. Mi sento tutti i capelli sporchi, la bocca ha sapore di
chiuso, di respiro privato. Quanto tempo è che non parlo? I piedi
rabbrividiscono a contatto con le piastrelle. Cerco delle ciabatte e me le
infilo. Sto in piedi.
Traballo.
Mi fa
male tutto.
Ma sto in
piedi.
Lego i
capelli in una coda spiccia e mi nascondo nella vestaglia. Inspiro il profumo
che emana. Sa di Casa Weasley… è uno dei profumi più buoni del mondo. Il
soffice del bucato, l’aroma pieno della cucina, il legno dei pavimenti e dei
mobili, l’umido della casa di campagna…
Esco nel corridoio,
la luce mielata della fine del pomeriggio allaga le piastrelle bianche, medici
e infermiere si affaccendano trai lettini e le stanze.
-Signorina
Granger! Ben svegliata!- Mi si avvicina un medico dall’aria buona, con un
sorriso velato.
Tento di sorridergli.
Spero di
esserci riuscita.
Sento che
tutti i muscoli della mia faccia si sono immobilizzati.
-Come si
sente?
Annuisco,
ammutolita. Non so perché, ma tutta questa vita, tutto questo muoversi di
braccia, di gambe, di parole, mi spiazza.
Cosa centro
io con questo mondo? Cosa centro io con questo essere tutti vivi e forti, pieni di cose da fare,
da dire, posti in cui andare?
-Forse
dovrei visitarla per accertarmi che sia tutto a posto.
Mi
sveglio, quasi improvvisamente.
Non ho
tempo per essere visitata!
-No, non
ora.
-Mi
scusi?
-Prima,
prima… io…- Oddio. Oddio. Quest’uomo dall’aria buona e dal sorriso velato
potrebbe essere il portatore delle peggiori notizie della mia vita. Lui.
Proprio lei, signore. Dottore. –Io…- Vorrei vedere i miei amici. E’ così duro dire queste parole?
Ho il diritto di vederli! Sono le persone più importanti della mia vita. Sono
la mia famiglia. Sono tutto quello che ho. Ho il diritto di sapere. Ho il
diritto di vederli… –Io…
-Certo,
forse prima desidera bere qualcosa.
Bere
qualcosa? Bere qualcosa? Ma questo dove vive? Non legge i giornali? Non sa chi sono io? Cioè, non dico che sono famosa. Ma
quando mi hanno portata qui… avranno pure detto chi sono, no? Sarò pur arrivata
con qualcuno? Con
Harry e Ron. Non posso che essere arrivata con loro! Devo essere
arrivata con loro! A meno che… A meno che loro non fossero perfettamente sani…
O non avessero bisogno di medici… perché…
almeno
che fossero arrivato già morti.
Fisso
questo uomo. Cerco di capire se in quei grossi occhi grigi c’è qualche risposta
alle mie domande.
Non leggo
gli occhi.
Non sono
brava in queste cose.
-Certo.-
Affermo.
Mi perdo
ad arrancare nei corridoi pieni di persone, di vite che nascono, di vite che si
spengono, di ultimi e primi giorni. Di ferite curabili, speranze date e perse.
Non va bene così. Questo non è quello che si richiede ad una donna che ha
affrontato quello che ho affrontato io.
E una
voce nella mia mente supplica un superiore controllore del mondo, un Dio, un
Buddha, un Allah… Lo supplica di non avermi privata di loro. So che è brutto,
ma chiedo che se anche non abbiamo vinto, non importa. Almeno fammeli rivedere.
Riabbracciare. Questa volta non li tratterò male. Questa volta non li sgriderò.
Farò per loro i compiti.
Non ci
sono più compiti da fare.
Non
importa. Tutto. Qualunque cosa.
Troverò
per loro la donna ideale…
Questo
è facile.
Non
importa.
Un
lavoro. Troverò loro un lavoro.
Li
guarirò se avranno bisogno di essere guariti.
Ma ti
prego, fa che io non debba essere sola.
-Scusi, ha
bisogno?- mi chiede un’infermiera dal viso sereno.
Annuisco.
Alzo le spalle e la guardo dritta negli occhi.
Rimandare
non ha senso.
-Sì, ho
bisogno. Vorrei… Vorrei vedere due amici.
-Perfetto,
come si chiamano?
-Sì.-
Respira. -Sono Ron Weasley ed Harry Potter.
Me lo
sogno o un brivido attraversa lo sguardo della donna?
O forse
sono io a tremare?
La donna
prende una cartella e vi guarda dentro qualcosa.
Non
sai se sono vivi? Se sono morti? DOVE SONO? LI AVETE PERSI? LORO?
Loro che
sono i miei eroi…?
La guardo.
So che il mio sguardo è inquieto, frustrato, arrabbiato, deluso.
Pensavo
mi avrebbe detto almeno “Ah”. Quanto tempo è passato? Siamo già in quell’oblio?
Abbiamo perso? … Abbiamo vinto?
-Mi
segua.
Dove
stiamo andando?
Perché
non sorridi?
Ti seguo.
Sorridi, ti prego. Sorridi!
Ma lei
non sorride. Oh no! La gente è scorbutica, riservata, la gente fa schifo, me lo
dimenticavo. Qualcuno mi aveva avvertito che negli ospedali sono tutti così.
Chi è stato? Bhè, forse mia madre. Lei odia gli ospedali. Forse per questo. Ma
che sto pensando! Sono un’idiota. Hanno fatto qualcosa al mio cervello, è
chiaro.
Oddio.
Forse
stai per rivederli.
O forse
no.
Oddio.
Apre una
porta. E’ una porta a vetri, come mille altre in questo ospedale.
Come
tutte le altre. Bhè, non per me. Me lo sono sognata o quelle labbra hanno
accennato un sorriso? Sì, era un sorriso. Piccolo, incerto. Un sorriso. Le
faccio un cenno per ringraziarla. Le gambe non mi reggono. Non mi reggono.
Sii
forte. Sii forte. Sii forte.
Poi ti
sarà permesso piangere. Avere rimpianti e paure. Potrai sentirti un po’ vecchia
e un po’ bambina.
Ma
prima, ti prego, attraversa quella soglia.
Faccio un
solo grande passo e guardo in direzione dei letti.
E mi
manca il fiato.
Sdraiato sotto
le lenzuola, un occhio nero, la pelle cerea, i capelli spettinati, due grandi
occhi verdi sotto lenti traballanti, c’è Harry. E’ lì, è immobile. Sorride. I
capelli spettinati, le mani che tengono un pezzo degli scacchi. Harry!
I miei
occhi abbracciano prima lui e poi il ragazzo che gli sta seduto di fronte, i
capelli rossi e arruffati, le spalle larghe, le lentiggini che gli ricoprono le
guance un po’ scavate, le labbra che disegnano un ampio e glorioso sorriso su
quel viso che lentamente arrossisce…
*Inizio dell’angolo in cui la scrittrice vi rompe le palle
scrivendo cose di cui non ve ne frega nulla*
Siete arrivati alla seconda parte del prologo ** che bravi =P (Non ci
aspetta un premio a ogni traguardo? NdTutti. Nah =P NdMe)
La struttura della Fiction sarà tutta così… penso che quindi
pubblicherò sempre lei- lui (ma come siete fortunatii)
So che l’impulso è di commentare sempre il secondo capitolo-
seconda parte, ma se volete fare un atto di bontà nei confronti di questa
scroccona (Lei! NdTutti) e lasciate anche solo un “letto” pure alla parte d’Hermione,
la suddetta scroccona (Lei! NdTutti) vi amerà alla follia **
E già che ci siamo, penso che pubblicherò a distanza di 3-4
giorni e quando avrò ricevuto un numero di recensioni che non renda ridicola la
pubblicazione. ^^
*Fine dell’angolo in cui la scrittrice vi rompe le palle
scrivendo cose di cui non ve ne frega nulla*
Prologo: 0.02
E’ VERO
Nella casa la luce è ancora accesa
la mente che ogni giorno è schiacciata da qualcosa
dal riposo impolverata dalle proprie ansie
io fumo la mia vita aspirando lentamente.
porte e finestre sono chiuse
le comunicazioni con l’esterno son confuse son concluse.
la carica emotiva situata giù in profondità e ogni mio
pensiero taglia l’aria.
{oh mio dio. oh my gosh. oh mio dio.}
questa è la mia storia e questo sono io.
durante la missione sulla terra
un attimo di pausa in un eterna guerra.
insomma sai sembra sarà così per sempre
insomma sai sembra che non ci siano nuove su quel fronte
un altro giorno e questo è quello che ti viene in contro.
ogni stop è solo un altro start.
la vita non si ferma TIC TAC…
ogni stop è solo un altro start.
la vita non si ferma THE FUTURE.
ogni stop è solo un altro start.
il tempo non si ferma TIC TAC…
piano, meglio andare piano.
il piano è stabilito e adesso cominciamo e poi ci diamo vita
finché
non è finita,
rinizia la salita, strisciando si risale una parete obliqua.
e quando arriva il top, arriva una altro stop ed
immediatamente torno in stato di shock…
{Casino Royale, The Future.}
Certo che
rendersi conto di come le cose vanno in fretta è davvero una cosa difficile. Ma
quando ci sei riuscito tutto assume un tono strano, scarlatto quasi. Le strade,
i profumi, le cose. Quando qualcosa di grande finisce in bene, ti senti come
svuotato. Ti guardi intorno, tutta la gente che non sa non può sapere non
saprà mai. E la
cosa è quasi rassicurante.
Me ne
stavo seduto sul mio letto, con la paura che gli altri non si fossero salvati e
senza il coraggio di alzarmi ad andare a vedere. Mi faceva male tutto.
Avrei
preferito aver dimenticato la Sua faccia.
Harry che
lotta e io che non posso fare niente per lui.
E
Hermione. Accucciata nel suo stesso sangue. A due passi da me.
Ma sapete
quanto possono essere lunghi due passi?
Se sei
stato immobilizzato, sono tantissimi.
E non
solo da un incantesimo.
E non
solo dall’orrore.
Avevo
paura di sentire che in quel suo piccolo polso non batteva più alcun rapido,
scorbutico, meraviglioso cuore.
Un nuovo
tipo di paura che non avevo mai provato. E io di paure ne ho provate tante.
Hermione si è sempre arrabbiata con il mio essere “così dannatamente fifone,
Ronald!”.
Così,
quando mi sono svegliato, il mio primo pensiero è stato questo.
Non
sapevo quando ero svenuto.
Se era
successo prima che Harry lanciasse l’ultimo attacco.
Se era
successo dopo che Ginny mi aveva tolto l’incantesimo.
E non
ricordavo esattamente se la nostra vittoria era avvenuta in un sogno o nella
realtà. Sembrava comunque troppo lontana. Irraggiungibile.
Mi
sentivo come un bruco uscito dal bozzolo. Ora ero una farfalla. E volevo
volarmene via.
Ma c’era
un piccolo particolare a distruggere il mio perfetto quadro.
Hermione
e Harry.
La porta
si era aperta, e ne era entrata Ginny. Per un secondo avevo studiato mia
sorella in un completino jeans e maglietta molto da giovane donna e poco da
ragazzina indifesa che io volevo ricordare. Mi aveva gettato le braccia al
collo, fregandosene dei lividi, dei tagli, delle ferite. Come sempre. Ma
quell’abbraccio era quello che volevo.
E mentre
ancora mi stringeva avevo chiesto al suo orecchio: -E loro?
Lei mi
aveva stretto in maniera impercettibilmente più forte.
-Non
hanno ancora ripreso conoscenza. Ma stanno bene.
Quella
notte, quando tutto il reparto era vuoto e dormiente, avevo corrotto
un’infermiera di lasciarmi andare da Hermione. Mi sono seduto sul suo letto, le
ho preso una mano gelata, magra, dalle unghie spezzate. Ho fissato il suo viso
cereo, graffiato, i suoi capelli arruffati in una nuvola vaporosa che qualcuno
doveva aver lavato per lei (probabilmente Ginny) e ho pensato che anche in quel
momento era splendida.
Ho
passato tutte le ultime notti così, reggendo quella piccola mano tremante,
cercando di darle un po’ della mia forza.
Non
pensate che io sia quel genere di uomo. Quello sdolcinato, romantico…
Ma non
riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di quel piccolo, fragile e potentissimo
corpo riverso a terra, nel sangue che la sua pelle perdeva nello sfregare a
terra.
Flash
back di tutto quello che era successo baluginavano nella mia testa.
Tutti i
momenti, gli istanti, in cui io l’ho amata in silenzio. Mi sono passati davanti
agli occhi mentre la guardavo soffrire senza urlare. Soffriva, ma non emetteva
un verso. Non un lamento, non un grugnito. E fintanto che ha potuto i suoi
occhi sono rimasti fissi in quelli di Lucius Malfoy che la torturava. Perché?
Perché Hermione Granger non cede mai. Non cede. E’ come una roccia. Non cede.
E adesso
eccomi qua.
Sono
l’uomo più felice della terra.
E’ in
piedi, su quelle gambe piccole e livide, fragili e sottili.
Mi
guarda, con quell’aria di critica e supplica.
Mi
sorride, con quelle labbra gonfie e tenere che non ho mai assaggiato.
Mi alzo,
la scacchiera si riversa a terra. Goffo, impacciato (dannatamente goffo e
impacciato, in effetti) mi lancio verso di lei.
Ha le
guance scavate, le labbra screpolate, ma i suoi occhi brillano.
Hermione.
Hermione. Hermione.
-Ti sei
svegliata, finalmente!
E anche
se non voglio, non voglio, che il mio tono risulti canzonatorio, ironico, è
proprio così che suona.
Come
una presa per il culo delle tante.
Io avrei
voluto che suonasse dolce. Tenero. Apprensivo.
E invece
no. Suona come se volessi sfotterla.
Il suo
viso assume quel cipiglio che io conosco tanto bene, quello scocciato.
-Ron…!- E
poi ride, cede al sollievo di vederci vivi, sani, sorridenti.
Mi getta
le braccia al collo e mi stringe con quelle braccia sottili e fragili.
Vi siete
mai chiesti come faccia una donna a stringervi tanto forte?
Io sì.
Ma è una
sensazione splendida.
-Oddio!
Siete vivi! State bene! Oddio! Abbiamo vinto?
Si
stacca, mi guarda negli occhi. Le sorrido. I nostri visi sono ad un palmo di
mano. –Abbiamo vinto!- esulta. E quel piccolo corpo che pensavo non
essere nemmeno in grado di camminare si mette a saltare, mi abbraccia di nuovo.
Si lancia
su Harry, proprio come Ginny, fregandosene del dolore che quel gesto potrebbe
provocare. Harry annega nella sua chioma crespa e vaporosa. Sembra anche lui
rasserenato. La tensione che ha attanagliato i nostri stomaci negli ultimi
giorni si sgonfia. Mi siedo sul letto con loro.
Lei
sorride di rimando, quel sorriso dolce, materno, gentile.
-Sì,
incredibilmente bene, adesso.- Gli accarezza le guance. –state bene!
Siete Vivi! Abbiamo vinto!- Si accascia contro la sua spalla. Provo una
dolorosa stretta allo stomaco.
Accasciati
su di me.
Harry le accarezza
la testa per un attimo, imbarazzato.
-è morto,
vero?- Chiede lei. Per un secondo la voce le trema.
-Sì.- la
rassicura Harry. –è morto.
Lei
sorride. Un sorriso splendidamente felice.
-E Ginny
come sta?- chiede, sempre piano. –Cosa… cosa è successo?
Non
vorremmo dirlo. Non vorremmo rivivere tutto.
Ma
dobbiamo.
E lo
facciamo.
-Ginny
sta bene.- La rassicuro subito. –è arrivata tardi, grazie al cielo,
troppo per essere implicata nella battaglia. Mi ha liberato dall’incantesimo.
-Poi è
venuta da me. Avevo appena battuto Voldemort.
-Così ci
ha smaterializzati, ad uno ad uno qui.
Lei
sospira. –è andato tutto bene. Non mi sembra possibile.
-Nemmeno
a me.
-Ma è
andata… adesso… adesso basta illegalità, basta mangiare solo minestre precotte
scaldate su un falò… basta dolore fisico… basta stress. Possiamo essere un po’
normali… sposarci, lavorare, avere figli pidocchiosi a cui cambiare il
pannolino. Possiamo concederci vacanze in cui il nostro massimo problema sarà
che cosa mangiare per cena.- Sogna con un sorriso, scostandosi da Harry.
Il peso
mi muore nello stomaco.
Ora va
meglio.
-Sarà
bello.- Faccio. –Adesso andrà tutto bene.
-Bisognerà
solo trovare… la forza di ricominciare.- Sussurra Harry.
-Lo
faremo insieme.- Dice lei, gli occhi ancora luccicanti.
-Ce la
faremo?- Chiedo. Ho paura. Perché? Le cose sono in discesa.
Va
tutto bene.
Lei mi
tira una pacca sul braccio e dice: -Ehi, ti sembra una cosa così difficile?
Dopo tutto quello che abbiamo già fatto?
Scuoto il
capo, rapito.
Ecco
quello cheregala a me. Una pacca sulla spalla.
Ma è
sempre meglio di niente, no? E poi quel suo sorriso continua ad essere lì,
anche mentre si rivolge a me. Sembra un’adolescente emozionata, per una volta
nelle nostre vite, e il suo sguardo sembra urlare “ce la faremo perché siamo
una squadra!”.
Annuisco, placidamente.
Va bene,
Hermione Granger.
Facciamo
anche questa. Facciamo le persone normali.
Ma solo
perché lo vuoi tu…
“è
tutto vero! Vero!” Urla
una potente voce nella mia testa.
La guardo
e le rivolgo un piccolo ghigno.
Siamo
sulla stessa barca, ancora una volta. Ma oggi si dirige verso acque tranquille.
*
Grazie di essere arrivati fin qui, spero non vi abbia fatto schifo!
(Ma non sta mai zitta? NdTutti)
Si accettano critiche quanto applausi (anche se i secondi sono
più apprezzati, eh? NdTutti) (Ma vaaa…! NdMe)
Alla prossima,indicativamente domenica 13-01 o lunedì 14-01…
Buon giorno! Per augurarvi una buona settimana, ecco che come
promesso pubblico i nuovi capitoli…
Ovviamente non pensiate che si entri subito nel vivo della
storia, e qualche capitolo ora è mirato a creare un minimo di atmosfera e
definire Harry, Ron, Hermione e Ginny nei panni di adulti. Spero di non
deludere troppo la vostra fantasia =P
Grazie dei bei commenti agli altri capitoli… ^^
Capitolo 1.01
Tu, sempre tu.
Hermione
I cannot find a way to describe it
It's there inside; all I do is hide
I wish that it would just go away
What would you do, you do, if you knew
What would you do
All the pain I thought I knew
All my thoughts lead back to you
Back to what was never said
Back and forth inside my head
I can't handle this confusion
I'm unable; come and take me away
I feel like I am all alone
All by myself I need to get around it
My words are cold, I don't want them to
hurt you
If I show you, I don't think you'd
understand
Cause no one understands
{Take me away, Avril Lavigne.}
Okay.
Sono in ritardo. Aspetta, ho dimenticato l’agenda. Non posso uscire senza
l’agenda.
Non
dovevo fare tardi con Ginny ieri sera.
Quella
vodka è stata decisamente di troppo.
Ma non
importa.
Infondo
sono pur sempre una donna di 25 anni. Una bella donna di successo e di 25 anni.
No?
Magari
non proprio bella. Non proprio di successo.
Bhè però
sono una donna
e ho 25 anni.
Il resto non è poi molto rilevante.
Comunque
sia un lavoro al Ministero è un lavoro più che decoroso. Prendo parecchi soldi.
E il ragazzo delle consegne fa sempre delle battutine poco eleganti ma pur
sempre lusinghiere sul mio aspetto. Questo vuol dire che di solito non sono poi
tanto male.
Bhè oggi
sono orrenda.
Anzi, di
più. Mi guardo di sfuggita nello specchio dell’ascensore e mi prende lo
sconforto più totale. Quella vodka è stata decisamente di troppo. Ma ormai quel
che è fatto è fatto. Non si può piangere sul latte versato.
Dovrei
fare di questa teoria la mia nuova filosofia di vita.
Non
piangere sul latte versato.
Suona bene.
Hermione Granger, quella che non piange sul latte versato.
Stai
delirando, Mione. Tutta colpa della vodka. Mai piangere sulla vodka versata…
Deliri. Decisamente. Devi smettere di bere.
Mi sembra
quasi di sentire la risata di Ron che mi sfotte perché ancora non reggo bene
l’alcool. “una donna di 25 anni che non regge un bicchierino di più!”. Sì,
esatto. Io non sono quel genere di venticinquenne. E allora?
Nelle
lunghe notti passate insieme, stesi sotto le stelle, senza alcun riparo dal
freddo se non uno scadente brandy comprato al supermercato, avrei voluto
esserlo. Essere una di quelle donne forti, dure, che quando ti sorridono sai
bene che non è un sorriso regalato. Quelle che buttano giù un bicchiere dietro
l’altro senza scomporsi, che camminano con eleganza sui tacchi alti, ma è tutta
un’eleganza di facciata: donne dure, donne forti, donne con una specie di
spietatezza che non è malvagità, ma solo carattere. Donne che non hanno paura
degli uomini, che prendono sempre l’iniziativa, che flirtano sfacciatamente.
Donne che gli uomini amano. Piene di quegli interessi originali e che lasciano
senza parole: cosa ti piace leggere? Io amo leggere scrittori russi. Che cinema ti piace? Io amo il
cinema coreano.
Tutte cose che suonano così esotiche, così piene di personalità. Le pareti
della tua stanza sono di un rosso mattone che farebbe inorridire la mamma ma
che gli uomini amano…
E invece
no.
Affatto.
Io non
sono così. Io non reggo l’alcool, io leggo di tutto, ma proprio di tutto, e
vedo tutti i film che passano in tv, anche se non ne apprezzo nemmeno uno.
Leggo i giornali, tre ogni mattina, per avere un’ampia gamma di opinioni. Le
pareti della mia camera sono bianche. Bianche, esatto. Come tutte le pareti del
mondo. E non ho nessuna passione originale.
In effetti
non ho nessuna passione.
Oddio.
Sono una
persona banale.
Ma
infondo che importa? Io la mia dose di “diversità” l’ho avuta da ragazza. Ora
quello che sogno, quello che desidero, è un po’ di sana normalità. Svegliarmi
la mattina tra le braccia di un bell’uomo forte e divertente dai cappelli
rossi, fare colazione con lui, ridere, fare insieme anche la doccia, litigare
un po’ perché lui è in ritardo e mi ha promesso di portarmi in ufficio…
Sorrido
distrattamente.
-Mione!
Mi volto,
e per un attimo mi sento arrossire. E’ sempre così, quando faccio questo genere
di pensieri ho paura che la gente possa leggermeli in faccia. Che idiota.
-Ciao
Ron.- Faccio, sorridendo.
Eccolo,
il mio “forte e divertente uomo dai capelli rossi”. Anche se non è tanto forte,
raramente il suo umorismo mi fa ridere, i suoi capelli restano sempre rossi,
no?
-Stai
andando a lavoro?- mi chiede. Annuisco. Anche lui sta andando a lavoro. Peccato
che il mondo sia così dannatamente stupido ed ingiusto. Io lavoro al Ministero
e lui vende articoli di Difesa in uno stupido negozio. Vi sembra giusto che la
vita porti la gente a fare lavori tanto assurdi solo per necessità? Io penso
che persone come Ron non debbano stare tutto il giorno dietro un bancone a
vendere cose inutili a gente inutile.
Ovviamente
questo non posso dirglielo. Si monterebbe la testa. Penserebbe che io abbia una
buona reputazione di lui, cosa che ovviamente è vera. Ma lui non deve saperlo.
-Hai
tempo per un caffè?- gli chiedo, sempre distrattamente.
E così,
eccomi davanti all’uomo che mi piace. Che mi piace da matti: ho sempre
quest’aria distratta, quasi come se non mi importasse niente, come se tutto
quello che ci diciamo fosse per me solo una gran perdita di tempo.
Ma lo
giuro, non è così.
Una volta
ogni cosa mi emozionava, mi emozionava immensamente, ogni singola, minuscola,
dannatissima parola che ci dicevamo, provocava in me una specie di scarica
elettrica. Erano splendidamente difficili quei tempi per i miei poveri nervi.
Un
giorno, guardandolo, mi sono resa conto che magari anche io un po’ gli piacevo.
Magari non con la stessa… forza, con cui lui piaceva a me. Ma mi bastava. Forse
era per questo che litigavamo, ci punzecchiavamo, che tutto tra di noi sembrava
sempre appeso ad un filo. Forse era quello il perché di tanta elettricità.
Questo mi ha rilassata e ho iniziato ad apprezzare quello che diceva.
Ero stufa
di litigare con lui, stufa delle urla, dei pianti isterici, stufa di odiarlo
con la stessa insistenza con cui continuavo ad amarlo. E per risposta,
nell’attesa che “qualcosa” cambiasse, sono cambiata io. Ho smesso di dimostrare
quello che provavo. Ho fatto cadere un velo tra me e il mondo. Dentro posso
stare malissimo, benissimo, essere felicissima, tristissima, delusa, frustrata,
arrabbiata… ma non importa. Nessuno lo saprà mai.
Per
questo che non ho mai pianto, che non mi sono mai disperata, nemmeno una volta
da quando è tutto finito.
Come se
nascondendo agli altri cosa provo lo potessi nascondere un po’ anche a me
stessa.
-Certo
che ho tempo!
E
guardate com’è dolce, com’è felice, come mi sorride. Guardate quegli occhi
azzurri, limpidi e puliti, che la vita di oggi non ha corrotto. Guardate come
mi guarda, come se fossi ancora bella e coraggiosa come un tempo. Guardatelo!
Lui non è
cambiato, non è cresciuto.
Sul viso
di Ron Weasley i tempi di Voldemort danzano e si specchiano ancora, mentre io
li ho chiusi in un cassetto nascosto per non doverli più affrontare.
E dicono
che sono io, quella intelligente.
-Questo
bar mi piace un sacco.- Affermo, cercando di sembrare anche io emozionata come
lui. Non ci riesco. Sono davvero felice! Ma non sembra. Non sembra.
Ron si
sporge verso la cameriera. –Due caffè lunghi, grazie.- E paga. Non voglio
farlo pagare. Ma ho imparato che dire “pago io” è come accendere la miccia ad
una grande e potentissima bomba. Così prendo solo il mio caffè e mi siedo
accanto a lui.
-Allora,
come stai?- Chiedo, sorridendo.
Lui
annuisce. –Sto bene. Bene. Tu?
So che
non sta davvero Bene. Ma Lui non è uno che si lamenta per un po’ di dolore arretrato. Non
è uno per cui avere un lavoro inutile significa stare Male. Sapete, vorrei sapere cosa vuol
dire “stare male” per Ron Weasley.
-Bene. Un
po’ stanca.
-Sei
uscita con Ginny ieri sera, eh?
Annuisco,
sorridendo come una quindicenne. –Sì, abbiamo bevuto un po’.
-Quando
imparerai a bere,
Mione?- E ride, come se fossimo ancora ragazzi e lui mi stesse prendendo in
giro per una banalità qualunque. E infatti è così.
-Mai
temo. Tu hai visto Harry?
Annuisce.
–Sì, ieri.
-Inviterà
fuori Ginny prima che lo faccia qualcun altro… e lei accetti?
-Lo farà,
lo farà. Sa che è la cosa giusta. Ha solo bisogno di tempo, e Ginny lo sa.
-Sì, lo
sa. Abbiamo tutti bisogno di tempo.
-Prendiamocelo.-
Fa lui semplicemente, con un’alzata di spalle. –E poi quel che deve
succedere, succederà.
(Che bello non ha altro da dirci! NdTutti) (Cattivi ><
NdMe)
Capitolo 1.02
Dimenticarti
I will survive.
As long as I know how to love
I know I'll be alive.
I've got all my life to live.
I've got all my love to give.
I will survive.
I will survive.
It took all the strength I had
Just not to fall apart.
I'm trying hard to mend
The pieces of my broken heart.
And I spent oh so many nights
Just feeling sorry for myself.
I used to cry.
But now I hold my head up high.
And you'll see me with somebody new.
I'm not that stupid little person
Still in love with you.
And so you thought you'd just drop by,
And you expect me to be free.
But now I'm saving all my lovin'
For someone who's lovin' me.
{i will survive- cake}
Ron.
Tutte le
donne amano gli specchi. Amano guardarsi, sistemare un’ultima volta il trucco,
i capelli, quel ricciolo ribelle, quella sfumatura sulle palpebre. Persino una
vecchia moglie dall’aria stanca si trucca ancora per il suo vecchio marito
stanco. E nonostante tutti i litigi, nonostante tutti i problemi di soldi, di
figli poco riconoscenti, di scappatelle con giovani donne che oggi sono
probabilmente spente proprio come loro, quel poco di trucco sul viso di lei è
per lui ancora un invito a sorridere. Ho sempre sognato di essere quel vecchio
e stanco marito da far sorridere mentre, ghiotto, aspetta che lei gli serva un
piatto di spaghetti fumanti “proprio come piacciono a te, caro”. Lo so, è
patetico sognare questo della propria vecchiaia. Un piatto di spaghetti. Io.
Che a soli 19 anni ho combattuto contro maghi oscuri, dormito sulla roccia… Io.
Ebbene sì. Non sogno altro che un piatto di spaghetti e una vecchia e stanca
moglie truccata che me li serva raccontandomi di come “è carino quel nuovo
fidanzato di Marie”. Marie sarà mia figlia. Comunque, sto divagando. Una
mattina, sedevo di fronte a Lei sul mio sacco a pelo. Il sole filtrando nella
tenda rossa le colorava le guance pallide, i grandi occhi castani e gonfi di
sonno, il sorriso indurito da tutta quella fatica.
-Non
vorresti uno specchio?
Lei ha
alzato gli occhi su di me, con quell’aria quasi insofferente che a volte riesce
a dedicarmi.
-Sono
così disastrosa oggi?- un velo di disprezzo e io mi sentii arrossire
completamente.
-No, sei
okay… solo che sono settimane che non entriamo in un bagno vero, con uno
specchio…
-Oggi
devo essere particolarmente oscena.- continua, come se non mi avesse sentito.
-Non mi avevi ancora fatto notare la mia condizione fisica…- Si mise una mano
nei capelli aggrovigliati e crespi per l’aria di mare. Mi piaceva quella veste
così selvaggia di Hermione. La faceva sembrare così… così coraggiosa, così
guerriera.
-No, sei
come al solito. Mi è solo venuto in mente.
Annuì,
come se volesse solo stroncare il discorso.
Ma poi lo
riprese: -Comunque non importa. Mi vedete solo voi. Anche se ci fosse uno
specchio e tutti i trucchi del mondo per chi dovrei farmi carina?
Aveva
iniziato a dire frasi del genere. “Solo voi”. Io sono “solo voi”, questo
pensavo mentre guardavo quella che per me non sarebbe mai stata “solo voi”. Lei
era… la mia Mione.
-Me lo
diresti comunque, no, Ron?
-Cosa?-
mi ero distratto, accipicchia.
-Se ci
fosse qualcosa di disastroso nel mio aspetto.
Non
c’era. Era okay. Ma io non so mai cosa sia la cosa giusta da dire in questi
casi! “Sei okay” suonava adeguato? Come se anche lei fosse per me “solo voi”?
-I tuoi
capelli sembrano un po’ una siepe… ma per il resto…
Volevo
solo essere ironico, simpatico, amichevole. Infondo eravamo davvero solo
noi! Ma Hermione
non l’ha vista così. Oh, no!
Da lì ha
avuto inizio una lunga serie di “Ronald come sei insensibile”, “Ronald un
giorno imparerai l’educazione”, “vorrei sentirmi un po’ femminile anche se
scorrazzo con voi deficienti, qualche volta”, che ha avuto fine solo quando
Harry mi ha salvato facendo iniziare il suo discorso preferito del momento
ossia, qualcosa su Houcrux scomparsi, Doni della Morte o cose del genere.
E così, è
stato ovvio ai miei occhi che lei non voleva da me qualcosa di romantico. Io
ero, come sono ancora oggi, il suo amico un po’ scemo, insensibile,
irresponsabile, maleducato, pasticcione…
Non sarei
mai stato l’uomo della sua vita.
Le
sorrido educatamente, calibrando persino il mio sorriso alla sola idea di
averla davanti, al solo pensiero che il profumo dolce e aspro della sua pelle è
a pochi centimetri dal mio sospiro. Eccola. Splendida, mentre sorseggia il suo
caffè e mi dice che abbiamo tempo.
Io ho
bisogno di tempo per trovare il coraggio di dirtelo, Hermione, dirti quanto
vorrei smettere di essere il tuo “solo Ron” e iniziare a poterti baciare.
–Al lavoro, come va?- Le chiedo.
Sorride
un po’ di più.
-Bene,
bene. In questo momento mi sto occupando di un caso internazionale, sai.
E’ fiera
di se, di quello che fa. Sorride, un po’ imbarazzata, un po’ colpevole. Deliziosamente
imbarazzata e
colpevole. Tremendamente soddisfatta. Questo genere di cose l’hanno sempre resa
felice. Un bel voto, un complimento alla sua splendida intelligenza… Per lei è
inutile dirle “che bel taglio di capelli”. Le dici “come sei intelligente” e
questo la fa di per se troppo felice. Che carina.
…Non che
io glielo dica mai, badate bene. Insomma, come potrei dirle “come sei
intelligente”? Lei crederebbe che io la stimo. Cosa che è vera, assolutamente.
Ma lei non deve saperlo. Il nostro rapporto è così. Un giorno Ginny, mia
sorella, mi ha detto che il mondo si divide tra quelli che amando venerano e
quelli che amando disprezzano. Io appartengo alla seconda categoria, e non
posso farne a meno.
-Non devi
imbarazzarti perché tu fai un lavoro fico e io uno insulso.- Le dico,
prendendola in giro. –A me non me ne frega niente.
Il che è
vero solo in parte.
Guarda
l’orologio. –Non è vero che non te ne frega.- Fa, severa. –E sbagli
a buttare via la tua vita in quel negozio del cavolo.
-Il
negozio è okay.- Detesto e insieme mi lusinga il suo modo sempre critico di
vedere la mia vita: so che vorrebbe per me qualcosa di più, e questo lo
apprezzo, ma mi fa sentire una merda, e questo non mi piace, in più la fa
sembrare più una madre che un’amica, e questo mi imbarazza.
Ecco,
sento già le orecchie diventare rosse.
Lei
ignora il mio rossore. Ormai ci è abituata.
-Bhè, io
resto dell’idea che dovresti fare altro. E anche tu, lo so.- Qui un po’ si
addolcisce. Mi strappa un sorriso. Poi si alza, frettolosa, e raccoglie la
borsa da terra, sorridendomi di sfuggita. –Mi spiace Ron, ma devo
scappare adesso. Ho una riunione. Ci vediamo da Harry?
Annuisco.
–Certo, Mione. A stasera.
La guardo
allontanarsi in una nuvola lievemente profumata e sempre di corsa. Non riesco a
togliermi quest’aria ebete dalla faccia, per tutta la mattina. Continuo a
sorridere con espressione vuota servendo stupidi clienti ed esponendo inutile
merce. Incredibile come la gente sia diventata attenta alla Difesa contro le
Arti Oscure dopo la Guerra. Prima però non se la filavano in molti. La gente
non è strana, in effetti. E’ solo stupida.
Mi
allontano dal negozio con passo spedito. Devo passare a prendere Ginny e Luna,
ancora non mi fido a farle andare in giro da sole la sera. Vi sembrerà inutile,
e in effetti lo è, andarle a prendere per fare qualche fermata di metrò.
Infondo potremmo benissimo smaterializzarci. Ma Harry è diventato maniaco dopo
tutto il casino della Guerra (e come dargli torto, poveretto?) così il suo
appartamento è più pieno di difese di tutto il Ministro e Hogwarts messi
insieme. E certo non possiamo smaterializzarci in mezzo ad un’affollata strada
di Londra alle 7,30 di sera, no? Così, ci dilettiamo tra Londinesi agitati in
uno strano treno sotterraneo che solo Ginny ha capito come si prende
esattamente. Io e Luna la seguiamo e basta. E alla fine va bene così.
Sono a
pezzi. Ho la schiena distrutta, i piedi gonfi. Ma soprattutto mi sento
ridicolo. E non solo. Mi sento così… così… patetico. Piccolo e insulso.
Mione ha
ragione. Sto buttando via la mia vita in un negozio.
E non
solo.
Sto
buttando la mia vita dietro di lei.
Lei, lei
che è bella. Lei che è intelligente. Lei che è sveglia, critica, forte…
Ma questo
non va bene. Non va bene per niente.
Io devo
chiudere con lei.
In ogni
caso non vorrei davvero “stare” con Hermione, no? E’ la mia migliore amica, e
questo rende la cosa sostanzialmente sbagliata. E poi lei merita di meglio, no?
Merita uno forte, divertente, intelligente, ironico, romantico, dolce,
sentimentale… che capisca quello che pensa… che capisca quello che vuole… che
la capisca. Io
non sono così. No, per niente. Non sono il suo principe azzurro. Non ho un
cavallo bianco e non galoppo nell’oro. Non ho nessuno dei requisiti adatti ad
essere il suo ragazzo ideale.
Non va
bene.
Infondo
nemmeno lei ha le caratteristiche giuste per essere la mia ragazza ideale. La
mia ragazza deve essere fisicamente perfetta, affusolata e morbida nei punti
giusti, con i capelli soffici al tatto e sempre profumati, con le labbra un po’
imbronciate che si aprano in sorrisi splendidi, che rida alle mie battute e mi
coccoli quando non sono in vena di scherzare. Insomma, io non voglio una
ragazza complicata come Hermione. Ne voglio una particolare. Un po’ esotica,
come gusti. Ma semplice nei sentimenti, semplice da capire, semplice da amare.
Cara
Hermione Jane Granger. E’ finita.
Questa
storia epica in cui speravamo (io, Harry, Ginny… e sono sicuro tanta altra
gente) tanto, non ci sarà mai.
“Devi
solo aspettare che capisca che anche tu gli piaci”, mi diceva sempre Ginny, quando
mi vedeva tutto silenzioso e imbronciato. Non voglio aspettare. Sono stufo di
aspettare. E poi basta… insomma, questo stallo emotivo mi ha bloccato per
troppo, troppo tempo.
Devo solo
trovare la forza per dimenticarti, per sempre.
-Loon!
Loon è Ronnie! Vai ad apriree!
L’urlo di
mia sorella trapana i timpani di mezzo palazzo.
Ultimamente
ha iniziato a chiamare tutti come se fossimo dei personaggi dei cartoni animati
per bambini. Da quando lavora al San Mungo è sempre in contatto con i bambini.
Credo sia per quello. Mia sorella ama i bambini… non l’avrei mai detto. Non è
una paziente… non come Hermione, insomma.
No, Ron.
Non puoi pensare a lei.
Mi sento
svuotato. Senza la mia cotta per Hermione in effetti non c’è molto dentro di
me. Se non posso pensare a lei, a che penserò per tutto il tempo?
-Loonie,
mi senti?
-Arrivo,
Ronnie!
Ecco la
voce di Luna. La porta si apre, e io le sorrido. Gesto incondizionato che mi
viene automatico ogni volta che lei mi si para davanti.
E’ una
donna di 21 anni, i capelli biondo-cenere sono lunghi e le corrono sulla
schiena nuda, accarezzando la sua pelle dal bianco quasi trasparente. Un
reggiseno viola a pois rosa copre i suoi piccoli ed eleganti seni, sulla pancia
piatta un ombelico perfettamente circolare è decorato da una pietruzza blu, le
lunghe gambe bianche sono intrappolate in una gonna da gitana. Non si può dire
che sia bella
nel consueto significato del termine. Lei non è consueta in niente: ha un tocco
di particolarità che la rende bella in una sfaccettatura tutta sua. All’inizio mi imbarazzava
l’essere accolto da una ragazza mezza nuda. Ma con il tempo ci fai l’abitudine,
a Luna. Non ha pudore. In quello che dice, in quello che fa. Mi prende il polso
e mi tira dentro, ridendo concitata per qualcosa che non so. Ha le labbra
truccate di rosso e i grandi occhi azzurri a palla ritoccati con la matita.
-Ronnie!-
Mi bacia la guancia e chiude la porta alle mie spalle.
-Ciao
fratellone!- Mi saluta Ginny dall’altra stanza. –Siediti pure, tra un
minuto siamo pronte!
“Un
minuto”. Mi viene da ridere a pensare a quanto possa essere lungo “un minuto”
quando queste due si preparano per un’uscita.
-Mica vi
dovete fare belle! Andiamo da Harry! Saremo solo noi!
Lo dico
incondizionatamente. Per un attimo mi attanaglia una morsa di tristezza, ma la
respingo. Non devo pensarci. Non devo pensarci.
-Proprio
te dici così! Non ti vedo, ma già ti immagino, tutto in tiro…- Mi prende in
giro mia sorella. Le sorelle le hanno fatte apposta per prenderci in giro,
poveri fratelli.
-Ma che
dici! Non sono nemmeno passato a casa dopo il lavoro!- mi difendo.
-E perché
mai?
La sua
testa compare dalla porta aperta della sua camera da letto. Ha il labbro sotto
truccato e quello sopra no. I capelli rossi, lisci, le ricadono intorno al viso
minuto e puntellato da lentiggini simili alle mie. Ha grandi occhi castani che
spalanca alla vista del mio abbigliamento “da lavoro”.
-Oh,
Ron.- Sembra un po’ triste. –Hai deciso di dimenticarla!
Alzo un
sopracciglio. Mi spiegate come fa mia sorella a conoscermi così bene?
Luna
corre dalla sua stanza in salotto, un po’ rossa in viso.
-Oh Ron!-
Urla. –E stai bene?
La
situazione mi fa un po’ ridere.
-Tutto
okay. E’ la cosa giusta.
Ora mia
sorella farà la voce pratica…
-Bhè,
Ron.- Eccola! –Sono molto fiera di te. Questo vuol dire che non resterai
per sempre ancorato al passato. Ti rende onore.- Senti da che pulpito viene la
predica…
Anche
Luna alza un sopracciglio. –Siete davvero uguali, voi due.
La
ignoriamo.
-Comunque,
ho una notizia più importante per te, fratello.
-Dimmi,
Gin.- Posso immaginare la notizia…
-Ti ho
trovato un lavoro, vero!
Ma che
hanno tutti, oggi, con il mio povero lavoro?
-Davvero?
-Sì, sì!-
Sorride apertamente. –Oggi pomeriggio sono passata al Ministero da
Hermione per una commissione… e abbiamo un po’ parlato della tua situazione…-
Ogni tanto mi sembra di avere tre madri. Come se una non bastasse. –Così
Hermione ha detto che si era liberato un posto nel dipartimento “comunicazioni
e amministrazione criminale”… in pratica gli uffici amministrativi di Azkaban…
Il povero signor Thompson è andato in pensione! Bhè, in ogni caso sono andata
subito a parlare con il Ministro. Quell’uomo ancora oggi non ci può credere che
dopo tutto quello che ci ha combinato restiamo fedeli al Ministero. In pratica
dopo mezz’ora della sua solita leccata di piedi mi ha detto che era stupito che
tu lavorassi in un negozio dopo tutto quello che avevi fatto! E che eri
perfetto… Insomma, conosci metà dei criminali lì dentro… Metà li avete messi
dentro voi! Chi c’è di meglio per questo lavoro, eh Ronnie?
La
guardo, stordito.
-Devi andare
a fare un colloquio domani mattina alle 11, poi darai le dimissioni in quella
topaia inutile e finalmente vivrai un po’!
E’ troppo
fiera di se per dirle che l’idea di lavorare sotto lo stesso tetto della donna
che devo disperatamente dimenticare non mi alletta per niente.
Ginny,
tutta contenta, si infila delle scarpe con tacchi vertiginosi. Ha dei jeans
aderenti e una maglietta scollata che le fascia bene il seno. I capelli sciolti
e una giacca con il pelo sul collo.
Non
capisco come Harry non le sia già ricaduto ai piedi.
-Cavoli.-
Riesco solo a commentare.
Lei mi si
accuccia davanti e mi prende le mani. Sorride con quel suo sorriso smagliante e
supplicante a cui è impossibile dire di no. Sarebbe come dire di no ad un
cucciolo. Non si sa dire di no ai cuccioli.
-Devi
farlo fratellone.- sussurra, roca.
Alzo gli
occhi su Luna, che sorride, anche lei soddisfatta: -Così potrai cercare nei
registri il Mago Marzapane. Si dice che la Regina Mostarda l’abbia
ingiustamente fatto incarcerare.- La sua serietà nel dire cose simili è una di
quelle cose cui bisogna abituarsi.
-Bhè-
dico, rivolgendo a Ginny uno sguardo divertito –Se si tratta di trovare
il Mago Marzapane…
Tutto
questo mi suona un po’ come un nuovo, glorioso, inizio.
*
Non
dimenticate di lasciarmi un regalino *__* ß occhi dolci (Ruffiana! NdTutti)
Ora ovviamente diamo un colpo di vita a questa FanFiction.
Sono commossa dai bei commenti, spero che me ne lascerete ancora
e che questo capitolo sia degno delle vostre aspettative… detto questo, alla
prossima!
Capitolo 2.01
Conti in sospeso
When I was young
I never needed anyone
And making love was just for fun
Those days are gone
Livin' alone
I think of all the friends I've known
When I dial the telephone
Nobody's home
All by myself
Don't wanna be
All by myself
Anymore
Hard to be sure
Sometimes I feel so insecure
And loves so distant and obscure
Remains the cure
All by myself
Don't wanna be
All by myself
Anymore
{all by myself-Celine Dion}
Hermione.
Harry mi
guarda con quello sguardo di reciproco affetto che ormai ci rivolgiamo
incondizionatamente da anni. Siedo al tavolo della sua piccola cucina dalle
pareti verdi, con tra le mani il primo frizzante calice di vino.
-Sono
stufa Harry. Stufa.- Sbuffo.
Sembra
che tutte le volte che non ci siamo confidati queste piccolezze in passato,
quando eravamo adolescenti, si stiano accumulando in un continuo parlarne l’un
l’altro, ora che siamo adulti. A volte da ragazza trovavo frustrante il
pensiero di essere solo il motore di ricerca, il cervello, “la mamma”, del nostro
trio. Con il tempo questo è cambiato. Oggi, sono davvero anche l’amica. Certo
sia ad Harry che a Ron serve che io sia ogni tanto anche il loro motore di
ricerca, il loro cervello, la loro mamma. Ma non mi pesa. Non mi pesa più.
Harry mi
si siede davanti, e si mette in bocca un salatino. I capelli neri gli ricadono
disordinatamente sul capo, i grandi occhi verdi sono ora circondati da occhiali
dalla montatura più adulta, rettangolare, nera, indossa un paio di pantaloni
marroni (scelti da me) e una maglietta azzurra (scelta da me). Sta bene. Sta
davvero bene. Ha tutto. Tranne Ginny, ovviamente.
-Ti
capisco, Mione. Certo che ti capisco.
-Non
voglio più essere single. Non voglio più correre dietro il sogno che troverò
“quello giusto”.
-Perché
tu “quello giusto” l’hai già trovato tanto, tanto tempo fa.- Mi rivolge una
smorfia ironica e divertita.
Arrossisco.
–Non parlo sempre di Ron, quando parlo della mia situazione sentimentale, Harry.
-No?-
Alza un sopracciglio.
Arriccio
il naso. –Io non gli interesso.
Amo
dirgli questa frase. Perché so che lui risponderà, con aria annoiata,
divertita, dannatamente complice: -Gli interessi, Mione.
E io mi
crogiolo nel piacere di questa semplice affermazione.
-Te l’ha
detto esplicitamente?
-Noi non
parliamo esplicitamente di queste cose, lo sai. Non siamo donne.
Questa è
un’altra delle sue frasi preferite. Non siamo donne.
Sì,
signori. Per essere un “Prescelto”, un “Bambino che è sopravvissuto”, un “Eroe
di Fama Mondiale” e cose così, si diverte con poco.
Infatti
scoppia a ridere, come sempre dopo aver detto la sua battuta.
-Potresti
anche chiederglielo.
-Non
parli già con Ginny di queste cose?
Sospiro.
–Dice che non parla con suo fratello di queste cose.- Sbuffo.
Lui
distoglie lo sguardo. –Però potremmo parlarne.
-Ne stiamo
parlando.
-Non di
me e Ron. Ma di te e Ginny.
Ora è lui
ad essere in imbarazzo.
-Gli
Weasley sono il punto fisso dei nostri pensieri, Mione.
-Cosa ci
hanno fatto Harry?
Ride.
-Dovremmo pensare ad altro.
Rido,
scuotendo la testa. –Non voglio pensare ad altro!- Sorseggio il mio vino.
–Cosa farai con Ginny?
-Cosa
farai con Ron?
La
domanda resta sospesa in aria, frizzante, rotta dall’improvviso suono del
campanello.
Cosa
farai con Ron?
Questa
domanda continua a frullarmi nella testa, a sbatacchiare sulle mie tempie, ad
offuscare la mia mente alla prospettiva di altri pensieri, per tutta la serata.
Le cose
sono così splendidamente normali, così giuste, così perfette. Sediamo sul
divano beige di Harry, mangiucchiamo le patatine e l’aperitivo che abbiamo preparato
in attesa che gli altri arrivassero. Luna ci racconta qualcosa riguardo al suo
ultimo colpo di fulmine, ed ad un certo Mago Marzapane che fa arrossire Ron. Io
e Ron bisticciamo un po’. Ginny flirta con Harry in maniera velata, che sembra
non passare inosservata a nessuno tranne che al diretto interessato.
Poi
arriva l’ultimo colpo di fulmine di Luna, un bel ragazzo di colore dal sorriso
dolce e gli occhi mielati, e la porta “a fare un giro”. Intorno all’una io e
Ron ci smaterializziamo a casa. Con una fitta di dolore mi rendo conto che
Ginny ed Harry ora sono soli.
Sì, lo so
che incoraggio la loro storia da sempre. Da sempre! Non riesco nemmeno a
ricordare la prima volta che ho detto a Ginny che Harry era davvero quello
giusto, che ho dato loro il primo consiglio. E non posso nemmeno contare quante
volte ho fatto da consigliera all’uno a all’altra su questa storia.
Voglio
davvero che siano felici.
Ma quando
con uno schiocco il mio salotto mi si apre davanti, non posso che provare una
fitta dannatamente simile all’invidia.
Anche io
voglio essere felice.
Non è
giusto.
E’ sempre
così, non vi pare? Volete essere persone adulte e ragionevoli (“anche se la tua
migliore amica e il tuo migliore amico che fin ora hanno condiviso con te la
tristezza del non possedere la persona amata si mettono insieme e sono felici
questo ti DEVE rendere felice, non triste, perché è quello che HAI SEMPRE
VOLUTO”) e invece scoprite che quando c’è di mezzo il cuore non siamo mai persone
adulte e ragionevoli.
Mi siedo
sul mio divano color crema e appoggio a terra la borsetta.
Nella
vetrata che da sul terrazzino, la mia figura afflitta si specchia placidamente.
Mi ero fatta carina. Guardati!, mi dico, Sei patetica! La camicetta aderente, scollata,
il golfino azzurro, la gonna di vellutino a coste blu che mi arriva sopra le
ginocchia, gli stivali. Harry ha detto che sto bene. Certo lui non conta. Non è
Ron. E poi mi direbbe che sto bene comunque.
Ma Ron
non mi ha quasi rivolto la parola. La cosa mi ha irritato. E’ stato sulle sue
tutta la serata. Mi parlava a grugniti, e l’unica volta che si è rivolto
direttamente a me era per andarmi contro.
E’ così
dannatamente sbagliata questa situazione.
Amare in
silenzio è ancora più doloroso che non amare affatto.
Devo pensare, raccogliere le idee. E quando
avrò finito avrò preso una decisione.
Sono
stufa di essere “Hermione la zitella”. Io non sono questo. Io sono una donna
piena di amore da dare, piena di baci da regalare, piena di sensazioni da
trasmettere e “romanticità” da condividere. Me ne sto qui, ferma, immobile
nella notte tiepida di fine febbraio, mentre fuori dal vetro della finestra una
Londra grigia si prepara ad accogliere una pioggia che preme sulla città in
grosse nuvole rapide. Mi accoccolo sul divano, sfilandomi le scarpe e buttando
per terra la giacca. Mi copro con la coperta. Non so cosa fare, non so cosa
dire.
Vorrei
solo… Vorrei solo che fosse lui a lanciarsi verso di me. Io lo prenderei al
volo. Ma non lo fa. E se Harry avesse torto? Se lui non provasse niente? E se
fosse proprio per questo che Ginny non si vuole pronunciare? Ossia che ne
parlano, ma Ron
le dice solo di quanto reputi ridicola la mia infatuazione per lui? Il fatto è che non è per niente un’infatuazione.
Insomma,
siamo onesti. Ci si infatua da ragazzine, e ci si infatua di quello bello e
atletico, intelligente e brillante, quello dalla parlantina accattivante, che
ti dice come stai bene con quella maglietta e ti fa arrossire tutta, quello che
non ti saluta se ti incontra nei corridoi, e poi se ti becca a guardarlo
durante la lezione ti rivolge uno di quei sorrisi meravigliosamente sensuali.
Ci si infatua dei capi branco, quelli “trendy” e “in”. E’ tutto sbagliato,
dannatamente sbagliato. Non era questo quello che volevo quando guardavo avanti
da bambina. Non volevo essere quella che si veste elegante per farsi notare dal
suo amico di sempre… volevo essere quella corteggiata. La storia romantica che
volevo… era qualcosa che i libri che ho letto, le storie che ho sentito, hanno
alimentato e creato in tutti questi anni…
E’ tutto
sbagliato.
Il
telefono suona, rompendo il silenzio, infrangendolo con forza. Spaventata, lo
tiro su.
-Pronto?-
Faccio, con voce soffocata.
-Ehi,
Mione.- Per un attimo penso di essermi sbagliata, sicuramente sbagliata.
–Ciao.- No, è lui. Sicuramente. Riconosco Ron.
-Ron?-
non posso nascondere una certa sorpresa. E’ stato così freddo, distaccato,
quasi innervosito, nei miei confronti, per tutta la serata.
-Sì, sono
io. Non mi riconosci più?
Faccio
una risatina stupida. –Mi sembra solo strano che mi stai chiamando. Ci
siamo appena salutati.- “E abbiamo scazzato come sempre”, vorrei aggiungere. Ma
non lo faccio.
-Già, è
che stasera volevo dirti una cosa, ma poi c’erano tutti e non volevo dirla a
tutti.
Avete
capito perché mi piace da matti, questo ragazzo?
-a me?
Avete
capito perché io non potrò mai piacere da matti a lui?
-Sì.-
Ride –A te.
Rido
anche io, imbarazzata.
-Che cosa
c’è di così segreto?- Faccio un po’ la strafottente, per mascherare l’emozione
che potrebbe trapelare dalla mia voce. Qualcosa che vuole che sappia solo io! Che
cosa potrà mai essere?
-Domani
ho un colloquio di lavoro… al Ministero.
Dopo una
prima, leggera, egoista, delusione, mi emoziono. Finalmente il mondo ha capito
dove andare a parare.
Lo
ascolto un po’, mentre mi chiede cosa deve mettere, cosa deve dire, se prima ci
vediamo per un caffè.
-Certo
che ci vediamo prima…- Sorrido, anche se lui non mi può vedere.
-Grazie
Mione. Mi tranquillizza un po’ sapere che ci vediamo, così mi dai qualche
dritta…- Ed ecco il cervello di riserva che entra in gioco.
-Anche
Harry sarebbe stato felice di saperlo, Ron.- Ecco dove mi trasformo nella
mamma.
-Ma se
poi non lo ottengo ne resterà deluso. E lui è un Auror, insomma. Un Auror! Non
voglio deluderlo.- Non vuoi sentirti inferiore, povero il mio piccolo Ron.
-Tu non
lo deluderai mai, Ron. Lui, come anche io, sappiamo che ovunque tu stia
lavorando, da chiunque tu prenda lo stipendio, vali mille volte più del 90%
delle altre persone. Noi ti abbiamo visto affrontare cose incredibili, Ronald.-
Mi faccio un po’ dura, perché non voglio scoprirmi. –Sono certa che un
colloquio di lavoro sarà una passeggiata. Vedrai.- Ecco dove, infine, faccio
l’amica.
E quando,
quando, quando, potrò essere quello che voglio davvero?
-Grazie
Mione…
Nel buio
rassicurante del mio salotto, sotto la mia copertina, con tanta strada tra di
noi, mi sembra che tutto sia più semplice. Tutte le frasi, le situazioni, tutti
i sentimenti e le sensazioni, in sospeso tra di noi, sembrano non gravare poi
con tanta forza sulla nostra vita.
Forse
Harry ha ragione. Anche io gli piaccio un po’.
-Figurati.
Ci vediamo domani mattina?
-Sì, sì
domani mattina. Notte sotuttoio.
Sorrido.
–Notte…
Che
cosa farai con Ron?
Gli
organizzerò una festa per festeggiare il suo compleanno e il suo nuovo lavoro.
Che
cosa farai con Ron?
Farò io
il primo passo.
Improvvisamente
la notte mi sembra un po’ più luminosa.
Olè
Olè! Eccoci con il secondo capitolo! *Applausi*
Ora ovviamente diamo un colpo di vita a questa FanFiction.
Sono commossa dai bei commenti, spero che me ne lascerete ancora
e che questo capitolo sia degno delle vostre aspettative… detto questo, alla
prossima!
Capitolo 2.01
Conti in sospeso
When I was young
I never needed anyone
And making love was just for fun
Those days are gone
Livin' alone
I think of all the friends I've known
When I dial the telephone
Nobody's home
All by myself
Don't wanna be
All by myself
Anymore
Hard to be sure
Sometimes I feel so insecure
And loves so distant and obscure
Remains the cure
All by myself
Don't wanna be
All by myself
Anymore
{all by myself-Celine Dion}
Hermione.
Harry mi
guarda con quello sguardo di reciproco affetto che ormai ci rivolgiamo
incondizionatamente da anni. Siedo al tavolo della sua piccola cucina dalle
pareti verdi, con tra le mani il primo frizzante calice di vino.
-Sono
stufa Harry. Stufa.- Sbuffo.
Sembra
che tutte le volte che non ci siamo confidati queste piccolezze in passato,
quando eravamo adolescenti, si stiano accumulando in un continuo parlarne l’un
l’altro, ora che siamo adulti. A volte da ragazza trovavo frustrante il
pensiero di essere solo il motore di ricerca, il cervello, “la mamma”, del nostro
trio. Con il tempo questo è cambiato. Oggi, sono davvero anche l’amica. Certo
sia ad Harry che a Ron serve che io sia ogni tanto anche il loro motore di
ricerca, il loro cervello, la loro mamma. Ma non mi pesa. Non mi pesa più.
Harry mi
si siede davanti, e si mette in bocca un salatino. I capelli neri gli ricadono
disordinatamente sul capo, i grandi occhi verdi sono ora circondati da occhiali
dalla montatura più adulta, rettangolare, nera, indossa un paio di pantaloni
marroni (scelti da me) e una maglietta azzurra (scelta da me). Sta bene. Sta
davvero bene. Ha tutto. Tranne Ginny, ovviamente.
-Ti
capisco, Mione. Certo che ti capisco.
-Non
voglio più essere single. Non voglio più correre dietro il sogno che troverò
“quello giusto”.
-Perché
tu “quello giusto” l’hai già trovato tanto, tanto tempo fa.- Mi rivolge una
smorfia ironica e divertita.
Arrossisco.
–Non parlo sempre di Ron, quando parlo della mia situazione sentimentale, Harry.
-No?-
Alza un sopracciglio.
Arriccio
il naso. –Io non gli interesso.
Amo
dirgli questa frase. Perché so che lui risponderà, con aria annoiata,
divertita, dannatamente complice: -Gli interessi, Mione.
E io mi
crogiolo nel piacere di questa semplice affermazione.
-Te l’ha
detto esplicitamente?
-Noi non
parliamo esplicitamente di queste cose, lo sai. Non siamo donne.
Questa è
un’altra delle sue frasi preferite. Non siamo donne.
Sì,
signori. Per essere un “Prescelto”, un “Bambino che è sopravvissuto”, un “Eroe
di Fama Mondiale” e cose così, si diverte con poco.
Infatti
scoppia a ridere, come sempre dopo aver detto la sua battuta.
-Potresti
anche chiederglielo.
-Non
parli già con Ginny di queste cose?
Sospiro.
–Dice che non parla con suo fratello di queste cose.- Sbuffo.
Lui
distoglie lo sguardo. –Però potremmo parlarne.
-Ne stiamo
parlando.
-Non di
me e Ron. Ma di te e Ginny.
Ora è lui
ad essere in imbarazzo.
-Gli
Weasley sono il punto fisso dei nostri pensieri, Mione.
-Cosa ci
hanno fatto Harry?
Ride.
-Dovremmo pensare ad altro.
Rido,
scuotendo la testa. –Non voglio pensare ad altro!- Sorseggio il mio vino.
–Cosa farai con Ginny?
-Cosa
farai con Ron?
La
domanda resta sospesa in aria, frizzante, rotta dall’improvviso suono del
campanello.
Cosa
farai con Ron?
Questa
domanda continua a frullarmi nella testa, a sbatacchiare sulle mie tempie, ad
offuscare la mia mente alla prospettiva di altri pensieri, per tutta la serata.
Le cose
sono così splendidamente normali, così giuste, così perfette. Sediamo sul
divano beige di Harry, mangiucchiamo le patatine e l’aperitivo che abbiamo preparato
in attesa che gli altri arrivassero. Luna ci racconta qualcosa riguardo al suo
ultimo colpo di fulmine, ed ad un certo Mago Marzapane che fa arrossire Ron. Io
e Ron bisticciamo un po’. Ginny flirta con Harry in maniera velata, che sembra
non passare inosservata a nessuno tranne che al diretto interessato.
Poi
arriva l’ultimo colpo di fulmine di Luna, un bel ragazzo di colore dal sorriso
dolce e gli occhi mielati, e la porta “a fare un giro”. Intorno all’una io e
Ron ci smaterializziamo a casa. Con una fitta di dolore mi rendo conto che
Ginny ed Harry ora sono soli.
Sì, lo so
che incoraggio la loro storia da sempre. Da sempre! Non riesco nemmeno a
ricordare la prima volta che ho detto a Ginny che Harry era davvero quello
giusto, che ho dato loro il primo consiglio. E non posso nemmeno contare quante
volte ho fatto da consigliera all’uno a all’altra su questa storia.
Voglio
davvero che siano felici.
Ma quando
con uno schiocco il mio salotto mi si apre davanti, non posso che provare una
fitta dannatamente simile all’invidia.
Anche io
voglio essere felice.
Non è
giusto.
E’ sempre
così, non vi pare? Volete essere persone adulte e ragionevoli (“anche se la tua
migliore amica e il tuo migliore amico che fin ora hanno condiviso con te la
tristezza del non possedere la persona amata si mettono insieme e sono felici
questo ti DEVE rendere felice, non triste, perché è quello che HAI SEMPRE
VOLUTO”) e invece scoprite che quando c’è di mezzo il cuore non siamo mai persone
adulte e ragionevoli.
Mi siedo
sul mio divano color crema e appoggio a terra la borsetta.
Nella
vetrata che da sul terrazzino, la mia figura afflitta si specchia placidamente.
Mi ero fatta carina. Guardati!, mi dico, Sei patetica! La camicetta aderente, scollata,
il golfino azzurro, la gonna di vellutino a coste blu che mi arriva sopra le
ginocchia, gli stivali. Harry ha detto che sto bene. Certo lui non conta. Non è
Ron. E poi mi direbbe che sto bene comunque.
Ma Ron
non mi ha quasi rivolto la parola. La cosa mi ha irritato. E’ stato sulle sue
tutta la serata. Mi parlava a grugniti, e l’unica volta che si è rivolto
direttamente a me era per andarmi contro.
E’ così
dannatamente sbagliata questa situazione.
Amare in
silenzio è ancora più doloroso che non amare affatto.
Devo pensare, raccogliere le idee. E quando
avrò finito avrò preso una decisione.
Sono
stufa di essere “Hermione la zitella”. Io non sono questo. Io sono una donna
piena di amore da dare, piena di baci da regalare, piena di sensazioni da
trasmettere e “romanticità” da condividere. Me ne sto qui, ferma, immobile
nella notte tiepida di fine febbraio, mentre fuori dal vetro della finestra una
Londra grigia si prepara ad accogliere una pioggia che preme sulla città in
grosse nuvole rapide. Mi accoccolo sul divano, sfilandomi le scarpe e buttando
per terra la giacca. Mi copro con la coperta. Non so cosa fare, non so cosa
dire.
Vorrei
solo… Vorrei solo che fosse lui a lanciarsi verso di me. Io lo prenderei al
volo. Ma non lo fa. E se Harry avesse torto? Se lui non provasse niente? E se
fosse proprio per questo che Ginny non si vuole pronunciare? Ossia che ne
parlano, ma Ron
le dice solo di quanto reputi ridicola la mia infatuazione per lui? Il fatto è che non è per niente un’infatuazione.
Insomma,
siamo onesti. Ci si infatua da ragazzine, e ci si infatua di quello bello e
atletico, intelligente e brillante, quello dalla parlantina accattivante, che
ti dice come stai bene con quella maglietta e ti fa arrossire tutta, quello che
non ti saluta se ti incontra nei corridoi, e poi se ti becca a guardarlo
durante la lezione ti rivolge uno di quei sorrisi meravigliosamente sensuali.
Ci si infatua dei capi branco, quelli “trendy” e “in”. E’ tutto sbagliato,
dannatamente sbagliato. Non era questo quello che volevo quando guardavo avanti
da bambina. Non volevo essere quella che si veste elegante per farsi notare dal
suo amico di sempre… volevo essere quella corteggiata. La storia romantica che
volevo… era qualcosa che i libri che ho letto, le storie che ho sentito, hanno
alimentato e creato in tutti questi anni…
E’ tutto
sbagliato.
Il
telefono suona, rompendo il silenzio, infrangendolo con forza. Spaventata, lo
tiro su.
-Pronto?-
Faccio, con voce soffocata.
-Ehi,
Mione.- Per un attimo penso di essermi sbagliata, sicuramente sbagliata.
–Ciao.- No, è lui. Sicuramente. Riconosco Ron.
-Ron?-
non posso nascondere una certa sorpresa. E’ stato così freddo, distaccato,
quasi innervosito, nei miei confronti, per tutta la serata.
-Sì, sono
io. Non mi riconosci più?
Faccio
una risatina stupida. –Mi sembra solo strano che mi stai chiamando. Ci
siamo appena salutati.- “E abbiamo scazzato come sempre”, vorrei aggiungere. Ma
non lo faccio.
-Già, è
che stasera volevo dirti una cosa, ma poi c’erano tutti e non volevo dirla a
tutti.
Avete
capito perché mi piace da matti, questo ragazzo?
-a me?
Avete
capito perché io non potrò mai piacere da matti a lui?
-Sì.-
Ride –A te.
Rido
anche io, imbarazzata.
-Che cosa
c’è di così segreto?- Faccio un po’ la strafottente, per mascherare l’emozione
che potrebbe trapelare dalla mia voce. Qualcosa che vuole che sappia solo io! Che
cosa potrà mai essere?
-Domani
ho un colloquio di lavoro… al Ministero.
Dopo una
prima, leggera, egoista, delusione, mi emoziono. Finalmente il mondo ha capito
dove andare a parare.
Lo
ascolto un po’, mentre mi chiede cosa deve mettere, cosa deve dire, se prima ci
vediamo per un caffè.
-Certo
che ci vediamo prima…- Sorrido, anche se lui non mi può vedere.
-Grazie
Mione. Mi tranquillizza un po’ sapere che ci vediamo, così mi dai qualche
dritta…- Ed ecco il cervello di riserva che entra in gioco.
-Anche
Harry sarebbe stato felice di saperlo, Ron.- Ecco dove mi trasformo nella
mamma.
-Ma se
poi non lo ottengo ne resterà deluso. E lui è un Auror, insomma. Un Auror! Non
voglio deluderlo.- Non vuoi sentirti inferiore, povero il mio piccolo Ron.
-Tu non
lo deluderai mai, Ron. Lui, come anche io, sappiamo che ovunque tu stia
lavorando, da chiunque tu prenda lo stipendio, vali mille volte più del 90%
delle altre persone. Noi ti abbiamo visto affrontare cose incredibili, Ronald.-
Mi faccio un po’ dura, perché non voglio scoprirmi. –Sono certa che un
colloquio di lavoro sarà una passeggiata. Vedrai.- Ecco dove, infine, faccio
l’amica.
E quando,
quando, quando, potrò essere quello che voglio davvero?
-Grazie
Mione…
Nel buio
rassicurante del mio salotto, sotto la mia copertina, con tanta strada tra di
noi, mi sembra che tutto sia più semplice. Tutte le frasi, le situazioni, tutti
i sentimenti e le sensazioni, in sospeso tra di noi, sembrano non gravare poi
con tanta forza sulla nostra vita.
Forse
Harry ha ragione. Anche io gli piaccio un po’.
-Figurati.
Ci vediamo domani mattina?
-Sì, sì
domani mattina. Notte sotuttoio.
Sorrido.
–Notte…
Che
cosa farai con Ron?
Gli
organizzerò una festa per festeggiare il suo compleanno e il suo nuovo lavoro.
Che
cosa farai con Ron?
Farò io
il primo passo.
Improvvisamente
la notte mi sembra un po’ più luminosa.
Devo
ammettere che non ci avrei scommesso. Sperato, certo. Ma scommesso, quello
proprio no. E invece, in questo preciso momento, sto attraversando l’atrio
dorato del posto in cui dovrei aver sempre lavorato. Sempre. E ora ci sono. La
segretaria mi saluta con un cenno rapido del capo mentre mi unisco ad una coda
di altri dipendenti che si affollano davanti all’ascensore per immergersi nel
loro week end. Io non sono poi così allettato all’idea. Harry, Ginny ed
Hermione hanno insistito tanto perché stasera andassi con loro a cena alla
Tana. Prima o poi si separeranno da questo genere di abitudini. Siamo persone
adulte, perché una volta ogni due settimane dobbiamo sempre andare a cenare da
mamma e papà? In ogni caso, essere qui ha un che di davvero inebriante. Osservo
pigramente i marmi, gli zampilli d’acqua delle fontane… è tutto così
innaturale. Eppure, essere qui ha anche una parte dolorosa. Mi ero tenuto
lontano da questo covo di ricordi, significati che non volevo dover affrontare
di nuovo. Ma ormai sono qui. Infondo è passato tanto tempo ormai da… bhè da
quella notte. Quella in cui è morto Sirius, e tutte quelle cose che sono
successe. E attraversare questo atrio caldo e confortevole non può che
ricordarmi quando, sedicenne, vi sono corso in mezzo, con sulla coscienza la
consapevolezza dell’illegalità di ciò che facevo e del fatto che questo non era
più un gioco. Anche se non sembra lo stesso atrio. Non sembra lo stesso posto.
Non sembra nemmeno la stessa vita.
E’
davvero successo? È davvero successo a me?
E’ il mio
turno, entro nell’ascensore e mi faccio spingere in un’affollata e uggiosa
Londra di fine inverno. Ancora un venticello fresco taglia la pelle e condensa
i respiri, ma ormai c’è nell’aria profumo di primavera, quel profumo fresco e vetrato
di pelle di donna. Tiro su il bavero della giacca e prendo a camminare
pigramente verso il mio “punto di smaterializzazione”. In realtà è quello di
Hermione. Ma lei mi ha detto che “anche se oggi finisco prima, Ron, non ti
aspetto. Mi voglio cambiare e devo fare un paio di commissioni”. Il che va
bene, anzi, benissimo. In effetti non ho proprio voglia di vederla. Oddio, sì
mi fa piacere. E’ pur sempre la mia migliore amica, no? Però non ho voglia di fare
con lei tutte quelle cose che facevamo quando mi piaceva. Come sto maturando!
Svolto in
una piccola traversa della via più grande, e poi in una traversa ancora più
piccola, dove il delicato aroma di sera di fine inverno si mescola ad un olezzo
piccante di cibo. Mi concentro, spremendo le meningi, per un solo istante, su
dove devo andare. E poi sono catapultato nel famoso e doloroso tubo di gomma.
… La Tana
non è mai stata così bella. Per un lungo minuto non credo nemmeno ai miei
occhi. E’ come se un arredatore di ottimo gusto vi abbia dato una sferzatina di
modernità. Il cortile è spruzzato di fiaccole accese che illuminano le pareti
mielate di ombre e luci. La porta della cucina è aperta, e gente elegante esce
ed entra, reggendo in mano bicchieri da cocktail pieni e colorati. Un
chiacchiericcio allegro e concitato si leva dalle labbra truccate delle donne e
da quelle ben rasate degli uomini. Ma non sono solo le fiaccole a dare
quell’aria di… diverso. Ovunque sono apparsi tulipani rossi. Tulipani rossi? Sì. fiori! Mia mamma è impazzita?
Poi mi accorgo che tutto questo non è per mia mamma. Mi avvicino al cancello,
cercando di non fare rumore. Sento che sulla faccia mi sta sorgendo un sorriso
sornione. Sul nostro albero di ciliege troneggia un cartellone con su scritto
un enorme “AUGURI RON!”.
-Ron!
Per un
attimo resto stranito, l’attimo dopo, con mia sorpresa, mi ritrovo davanti
un’Hermione del tutto… bhè, non Hermione. Indossa un corto tubino color mattone
e ha i capelli in boccoli voluminosi sciolti intorno ad un viso ben truccato e
ridente come non glielo vedevo… dal ballo del ceppo, in effetti.
-Hermione!-
Faccio, stupito. Io voglio dimenticarla, davvero. Ma lei era tempo che non si
faceva così carina!
Sì, lei per me è sempre carina. Ma di solito non guardo nemmeno come si veste. Non mi
interessa. Questa sera, invece… è anche più alta. Ha i tacchi! Hermione ha i
tacchi!
-Cosa
festeggiamo?- Dico, con aria innocente. Lei ride. Ride!
-Domani è
il tuo compleanno…- Dice, poi, sorridendo con dolcezza. –E poi finalmente
hai trovato un lavoro decente.- aggiunge –Complimenti!- E poi si
sporge verso di me e mi bacia la guancia, cingendomi il collo con le braccia. Questa non è nemmeno la mia
Hermione. Mi imbarazza quasi. La stringo brevemente. Non posso farne a meno.
Non che mi piaccia ancora… Ma sentire questo piccolo corpo di donna, fragile e
morbido, tra le mani… e poi guardate cos’ha organizzato! Insomma, non sto
facendo niente di male. Sto solo abbracciando LA MIA MIGLIORE AMICA.
Dio,
profuma di buono.
In quel
momento, sento urlare un –Ronniee!- E mi volto verso mia sorella e Luna,
che mi corrono incontro. Mentre mi abbracciano, mi baciano, mi fanno gli
auguri, mi trascinano nella folla, non riesco a smettere di pensare a
quell’abbraccio. L’ultima volta che mi ha abbracciato è stato la mattina che si
è svegliata dopo… la Guerra. Poi a Natale mi da un bacio, quando ci vediamo, ma
quello di oggi è stato… speciale.
“Concentrati
sugli ospiti”.
Ecco i
miei.
-Ciao
mamma!
-Oh Ron!-
è commossa. Questa donna è sempre commossa. –Auguri tesoro mio!
Complimenti tesoro mio!
Mi lascio
abbracciare, stritolare, dalle sue braccia possenti. Dopo altrettanti “…tesoro
mio!” mi passa a papà, che resta più compunto nell’augurarmi un “felice
compleanno, Ron.” E nel congratularsi con me per il mio “nuovo e brillante
impiego”. Mio padre è una forza. –Avresti dovuto chiedere a me, Ron. Ti
avrei procurato un posto là secoli fa.- E sorride. Tutto è così semplice nel
mondo di mio padre. Chiedi e avrai. Se chiedi per favore le porte si aprono ed
avrai prima.
La
pensione gli fa male.
Poi arrivano
Fred e George, tutti splendenti nei loro vestiti costosi, con al braccio due
belle ragazze (una brasiliana e una spagnola) che pigolano un tenue “Auguri”
dalla pronuncia sbagliata.
Finalmente
scorgo Harry nella folla, che parla con dei nostri vecchi compagni di scuola.
In effetti ne ho visti parecchi, insieme a membri dell’Ordine, colleghi di
Ginny, Hermione, Harry e Luna, parenti, amici.
-Harry!-
sono sollevato nel momento stesso in cui lui mi sorride. Harry! In questo mare
di gente, di cui non me ne frega niente (certo, mi fa piacere rivedere gente…
ma il tuo migliore amico è sempre il tuo migliore amico, no?) qualcuno che io
avrei di certo invitato alla mia festa. Oddio, la vecchiaia mi rende smielato e
asociale.
-Ron!
Auguri!- mi batte un colpo sulla spalla e, dopo che tutti mi hanno salutato,
entriamo in cucina. Sembra sempre un po’ più piccola ogni volta che la vedo.
Harry mi versa in un bicchiere un liquido ambrato e me lo porge.
-Come
stai?- Chiede.
-Benone!-
Affermo, godendomi il mio whisky incendiario.
-Bella la
festa vero? Hermione ha avuto l’idea, l’ha aiutata sua sorella ad organizzare.
L’hai conosciuta?
-La
sorella di Hermione! Sono troppo curioso! Com’è?
Harry fa
un sorriso che non mi piace. –è un’Hermione bella.
-Che vuoi
dire?
Lui alza
un sopracciglio. –Certo, Hermione è una bella ragazza. Ma questa…! Dio mio! E’ davvero
una bomba.
-Quella
babbana, no?
-L’unica
sorella di Mione, che io sappia…
Aggiunge
ghiaccio al suo cocktail.
-Con
Ginny?- Chiedo, fingendomi indifferente. Harry giocherella con il ghiaccio nel
bicchiere, poi lo sorseggia.
-Con
Ginny.- Ripete, lentamente. Sembra quasi assaporare le parole. –l’altra
sera si è fermata un po’ da me, e abbiamo parlato. Parlato parecchio.
-Parlato?- Non posso trattenere una risata.
Harry fa
per rispondermi, e poi il viso gli si apre di nuovo in quel sorriso che non mi
piace. –Cassie!
Mi giro
di scatto, e una ragazza ci si avvicina. Avrà tre, forse quattro anni meno di
noi. Ed è la ragazza più incredibilmente bella che io abbia mai visto. A partire
da quelle labbra rosse distese in un perfetto ed elegantissimo sorriso, dolce e
spavaldo, alle guance mielate, due grandi, immensi, occhi color d’ambra che
riflettono una luce dorata, lunghi capelli castano chiaro acconciati in boccoli
perfetti che le scorrono giù per il collo sottile, giocano sul suo petto
scoperto, lungo i morbidi seni che si intravedono dalla stoffa semi trasparente
della canottiera che indossa. Sulle spalle ha avvolta una sciarpa bianca,
deliziosamente in contrasto con il colore caramellato della sua pelle liscia,
due lunghe gambe completamente nude, se non per un paio di calzoni cortissimi
in jeans e due stivali marroni che le ricoprono i polpacci.
-Harry,
ciao!- Poi si volta verso di me. Non respiro. Non respiro.
Harry ha
ragione.
E’
l’Hermione più bella che io abbia mai visto.
-Piacere…-
mugugno.
-Tu devi
essere Ron, il festeggiatissimo Ron!- Persino la sua voce è fantastica. Roca,
sensuale, strascicata, elegante.
-Sì, sono
io… piacere…
-Auguri!
Dio, mi spiace! Volevo riuscirmi a vestire decentemente per il tuo arrivo!
Avevo portato un vestito… quasi quasi me lo vado a mettere…
-Stai
bene anche così…- Faccio. So di essere rosso. Molto più del solito,
insomma.–Piuttosto, vuoi bere qualcosa?
Lei
sorride, soffice e sensuale. –Volentieri.- Sembra calibrare ogni parola,
ogni suono. –Davvero volentieri.- Mi avvicino alle bottiglie e ai
bicchieri, ma lei mi precede. –è il tuo compleanno, lascia fare a me.
Come
può saper preparare cocktail così bene?
Ma
allora esistono davvero donne che reggono l’alcool?
Veramente
sei stata in Africa a fare volontariato?
Ascolti
musica celtica?
Leggi
tanto, soprattutto scrittori asiatici?
Sei
fondamentalmente buddhista?
Sei
un’appassionata di musica classica?
Sei
vegetariana?
Ami i
film di cinema indipendente?
Studi
medicina?
Sei
una giornalista?
Credi
nell’agopuntura? (cos’è
poi, l’agopuntura?)
Hai
imparato a preparare drink perché di sera lavori in un locale?
Organizzi
eventi di beneficenza?
Il
vestito che ti aspetta di sopra è di un “famoso stilista francese”?
Hai
viaggiato così tanto?
La tua
ultima storia è finita così male?
…
Le
domande si susseguono, e lei non sembra stancarsi di rispondere. La sua voce,
amara e insieme dolcissima, roca e insieme vellutata, mi narra di posti,
eventi, verità che non pensavo nemmeno esistessero. Tutto il mio mondo si è
sempre limitato ai maghi. A noi. Ma nel suo sorriso, nei suoi occhi, viaggiano
realtà e persone e popoli che io ignoravo. Fino a poco fa. Da quanto tempo
sediamo in questa cucina in cui sono stato seduto tante volte parlando del più
e del meno con varie persone?
E ora
sono qui.
Con
Cassandra Granger.
La
sorella della donna del mio cuore.
La donna
più bella che occhio umano abbia mai visto.
Sorseggiamo
un drink dietro l’altro, ridiamo, a tratti pacatamente, a tratti sguaiatamente.
La festa si anima sempre di più, ma noi non ci muoviamo.
Non è
solo la più bella. E’ anche la più brillante, forte, divertente, spontanea,
ironica, vivace, creativa… creatura mai capitata sulla mia strada.
-Ma
perché ora non parliamo di te?- si sporge verso di me. Alle sue spalle scorgo
l’orologio. Sono quasi le 10,30. A che ora sono uscito dall’ufficio? Erano le
7! Questo vuol dire che parliamo… come minimo… dalle 8!
Mi alzo.
–Ne parleremo… ma ora, perché non mangiamo qualcosa?
Lei si
mette una mano sulla pancia piatta. –Cavolo! Ho una fame!
In quel
momento, ci si avvicina Hermione. Non ha più l’aria di arrendevole allegria che
mi ha accolto. Sembra la vecchia scontrosa Hermione. Per un secondo provo la
nota stretta allo stomaco, quando i suoi occhi castani e critici accarezzano i
miei. Ma è solo un secondo. Lo giuro.
-Hermione!
Stavo parlando con tua sorella…- Faccio.
-Ho
visto.- Sembra
quasi un sibilo, sussurrato tra le labbra ancora perfettamente truccate e
sorridenti. Ipocritamente.
-Avevi
ragione, Herm! Il tuo amico è simpaticissimo!
Herm? Lei odia essere chiamata Herm. “è brutto e da maschio”, diceva
sempre. Forse lo diceva proprio perché così la chiamava sua sorella…
-Già.
-Stavamo
andando proprio a mangiare qualcosa…- Continua Cassie. Sembra totalmente
imperturbabile all’evidente cattivo umore di sua sorella.
-Ti
unisci a noi?- Chiedo, sorridendo.
Scuote
piano il capo. –No, io ho mangiato ore fa.
-Okay.-
Mentre seguo Cassie le stringo brevemente il gomito. –Grazie della festa,
Mione. E’ splendida.
E’
così che fanno i migliori amici, no?
Seguo sua
sorella, cercando di convincermi che non c’è niente di male, e che Hermione non
mi sta fissando con odio la nuca mentre mi allontano.
Ma Cassie
non si sta dirigendo in salotto, dove so esserci il cibo. Sta salendo la scala
che porta alle camere. E lo sta facendo con passo sicuro. Si volta brevemente,
per rivolgermi uno dei suoi sorrisi.
-Niente
cibo?- Chiedo.
-Prima mi
vorrei cambiare se non ti spiace…
Faccio
per fermarmi, ma lei mi blocca.
-Vieni
con me…- Sorride.
Il
silenzio si vela di imbarazzanti doppi sensi. Imbarazzanti per me, almeno. Lei
sembra perfettamente a suo agio.
-Non ti
sembrava scocciata?
-Chi?
-Hermione.
-No… lei
è sempre così. Scocciata, nervosa, arrabbiata. E’ Hermione!
Già.
Giusto.
Entra
nella stanza dei miei genitori, dove, posato sul letto, c’è un abitino
minuscolo di stoffa color crema. Lo immagino sul suo corpo sinuoso e solo
all’idea mi sento tutto caldo.
-Che
carino…- Faccio, lanciando un’occhiata al vestito.
Lei
chiude la porta alle mie spalle. Mi sorride. Adesso, nel suo sorriso c’è solo
tanta malizia.
-Sì. E’
un bel vestito.
Sento
inconfondibile il “tac” della serratura che si chiude.
Si sfila
la canottiera, e resta in reggiseno. Un reggiseno di pizzo con minuscoli ricami
in perline racchiude il suo seno perfetto.
Si piega
appena, togliendosi i calzoncini, poi mi guarda, con quei grandi occhi dorati.
-Allora,
Ron.- Sussurra. –Non hai voglia di raccontarmi nulla di te?
Mi sento
ammutolito, inebriato dalla sua presenza, ubriaco di lei, e non l’ho nemmeno
sfiorata. Improvvisamente sento l’irrefrenabile impulso di farlo. Di
sfiorarla. Mi
siedo sul letto, e lei continua a guardarmi dritto negli occhi, con quello
sguardo forte ed inflessibile.
-Non c’è
molto da dire, in effetti…- biascico. Come può una splendida donna come lei
pensare di fare conversazione mentre si esibisce in un completino di pizzo e
stivali con il tacco?
Sembra
una fantasia erotica, ma non lo è.
Sembra
quasi una scena comica, ma non lo è.
Sembra un
quadro, con la luce tenue della festa che le balla sul viso.
Ma non lo
è. Lei è vera. Vera.
-Io,
veramente, sapevo molte cose interessanti di te.
-Davvero?
Annuisce,
e i boccoli le cadono sul viso, rendendola improvvisamente pudica.
Allungo
una mano e glieli sposto, famelico di vedere ancora quel sorriso.
E in un
attimo, annego in quei ricci soffici, in una fragranza esotica di pelle calda e
profumi costosi, stoffe di famosi “stilisti francesi”, trucchi raffinati,
carezze calde e precise, movimenti sicuri e determinati, sensuali, sussurrii
fragili, risatine roche, labbra, denti, lingue, braccia, gambe… lenzuola dei
miei genitori… luci calde e lontane delle fiaccole… il chiacchiericcio della
festa… Poi alza su di me il suo sguardo vaporoso e vellutato e mi sorride,
dolcemente. Cingo con le braccia la sua vita sottile e ogni singolo frammento
di me è concentrato su di lei. Ma in un angolo della mia mente mi chiedo cosa
sto cercando di trovare in quella donna quasi troppo incredibile per me.
Mi concentro
sul suo sguardo, caldo e felice come non mi sentivo da tempo. Ma insieme con
quella fastidiosa tristezza con cui convivo quotidianamente.
E poi lo
capisco.
E’
proprio quello sguardo vaporoso e vellutato… così dannatamente uguale a quello
di un’altra donna. Un’altra Granger. Una Granger vissuta in altro mondo, in
altre circostanze, con altre esperienze sulle spalle e altre parole sulle
labbra… In quella mia vita che non sembra nemmeno più appartenermi.
*
Okay, okay. Adesso non fucilatemi, non fatemi del male,
continuate a seguirmi. Please. Questo capitolo è assolutamente funzionale alla
trama, come potete immaginare. E non alzate gli occhi al cielo pensando “ecco,
questa storia è già letta e riletta”. Sì, forse l’originalità non è il
prerequisito fondamentale di questo scritto, ma ho ancora qualche sorpresina in
serbo per voi, e spero le potrete gustare tutte.
Poi. Io non sono specializzata nello scrivere le scene di sesso.
Non ho messo avvisi per questo capitolo perché a mio parere anche una bambina
di 12 anni può leggerlo, ma se credete cambierò il writing… Se non vi piace com’è
scritta quella parte, ditelo senza peli sulla lingua e fate le critiche dovute.
Sono la prima a farmene, e a questo punto mi piacerebbe davvero assorbire
qualcosa dai miei lettori, visto che siete sempre così carini da seguirmi
passo-passo in questa “carriera” di scrittrice di FanFiction *commossa*.
Davvero ^^.
Detto ciò, ho parlato anche troppo. Ho un fumetto de “il
giocattolo dei bambini” da finire che mi aspetta =P
Come va? Spero che stiate tutti bene… e che non vi aspetti una
settimana pesante e noiosa come la mia =.=’’
Come prima cosa voglio davvero ringraziarvi per i commenti **
Siete davvero carini, tutti quanti, e sono felice di vedere che qualcuno
continua a seguirmi attraverso gli anni e le mie varie FanFiction, è sempre un
piacere rivedere vecchi nomi, quasi più che vederne di nuovi, anche se anche
quello mi piace un sacco!
Molti mi chiedono di dare più spessore ad Harry e Ginny, e vi
confesso che sarebbe piaciuto anche a me… tuttavia la storia poi ha preso una
sua strada e non mi è stato possibile renderli troppo presenti, anche se
più avanti avranno anche loro la loro parte, tranquilli =P Intanto, seavete voglia di leggere un po’ i “miei”
Harry e Ginny mi sento di consigliarvi (Ossia di pubblicizzare… NdMe) la mia
ultima One Shot “Amami Ancora” http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=152541&i=1che mi piacerebbe molto che alcuni di
voi recensiste :P
E sempre del genere “pubblicità occulta” ho appena pubblicato
anche una storia con personaggi miei, una piccola prova di uno stile un po’
diverso dal solito, in cui do meno spazio alla descrizione dei personaggi e di
più a quella dei loro sentimenti in un preciso ambito della loro vita… Si
chiama “Breve tributo ad un amore mai andato a segno” http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=198384&i=1E sarei
davvero davvero curiosa di sapere che ne pensate.
Ecco, mi pare di avervi detto tutto.
Continuate a seguirmi e a commentarmi, Siete deliziosi =)
Capitolo 3.01
Odiarti.
Hard times flowing and my eyes
couldn’t see stars shining
My heart couldn’t feel the beauty of
the rising sun
And I’m lost like a bottle that
floats in the sea for ever
Will somebody pick up my hope?
Will somebody try?
Will I realize?
’cause it’s broken broken
Something got broken like stolen
Stolen, like if it was stolen
And hurting, hurting
I have been hurting and now
Only time will tell
Time will heal
Just pieces of truth that I chose to
keep
No matter if now they are gone
No matter if I am alone
Still I can get back on my feet and
walk on
As I know there was something to
learn
I know there will always be more
worth moving on for
Though, it’s broken broken
Something got broken like stolen
Stolen, like if it was stolen
And hurting hurting
I have been hurting and now
Only time will tell
{Broken-Elisa}
Hermione.
Non mi
sono mai reputata una stupida. Ma nel momento stesso in cui vedo mia sorella e
Ron scendere dalle scale del piano di sopra, lui rosso e con un sorriso beato,
lei con uno scintillio di malizia negli occhi, mi rendo conto subito che lo
sono sempre stata. Una pura, grande, immensa, idiota. Non c’è niente da
aggiungere, nient’altro da dire. Una bambina. Mi sento morire. Come se qualcosa
mi si spezzasse nel petto, come se mi mancasse il fiato, mi venisse messo in
bocca un enorme batuffolo di cotone. Mi gira persino la testa. E poi Ginny, che
mi squadra con un velo di imbarazzo e compassione.
Perché
mi sembra che tutti mi stiano guardando?
Pensavo
che non avrei mai provato la sensazione di quelle feste da adolescenti dove tra
due succede qualcosa e la festa improvvisamente sembra girare tutta intorno a
quel fatto. Pensavo che non sarei mai stata quella da compatire. Come mai sembra che tutti
sappiano di me…? Mi volto verso le bottiglie e mi verso una generosa dose di
gin.
Harry mi
afferra brevemente il gomito e mi sussurra un amichevole: -Mione, andiamo a
casa.
Mi volto
verso di lui, supplicando i miei occhi di non essere lucidi e lividi come mi
sento io. –Perché dovremmo?
Mi rendo
conto che la voce mi trema, forse un po’ troppo acuta. Mi sento ridicola.
Alza un
sopracciglio, sorridendomi. –Forse sei un po’ brilla, eh?- Fa,
dolcemente. Ma io non sono brilla. Sono solo arrabbiata! Arrabbiata perché
dovevo essere io la donna del festeggiato, questa notte. Non mia sorella! Mi
prende il bicchiere dalla mano e mi sorride ancora. –Io, credo che sia
arrivato il momento di andare a casa.- ripete.
Arriva
Ginny, con lo stesso sorriso impietosito, che non sopporto, di prima.
-Sto
benissimo!- Dico, prima che lei possa lanciarsi in una frase da amica che i
miei nervi non potrebbero reggere.
Sono solo
un’idiota, solo questo, niente di più.
-Davvero?
Vuoi che ti porto a casa?
-Non
siate ridicoli. Non c’è motivo per cui io me ne vada dalla festa che ho
organizzato.
Sorrido,
spavalda, piena di orgoglio.
Ma
dentro, sono tutta, completamente, distrutta.
Sto
davvero provando a non pensarci. A non pensare a te, a me, a noi. E mi rendo
dolorosamente conto che sei l’unica parte di me e della mia vita che non sono
in grado di controllore. Non sono mai stata in grado di farlo. Ogni volta che
si è parlato di te, mi sono sentita confusa, piena di emozioni, sensazioni… Mi
sono sentita arrabbiata, raddolcita, intenerita, divertita, spaventata, ho
provato per te più odio e più amore che per tutti gli altri nella mia vita. Mi
hai dato più gioia e dolore di tutte le persone che conosco. Un tuo sorriso,
una tua parola, possono ricucire le mie ferite ed aprire i più profondi tagli
dentro di me. Non ho mai pianto ne riso tanto con e per qualcuno. Sei tutti gli
estremi del mio cuore distrutto, distrutto d’amore, distrutto per te. Perché?
Perché mi fai questo? Nessuno ha mai provato tanto per te, lo so. Nessuno ha
mai pensato tanto a te, nessuno è mai stato tanto attento a te, tanto dolce,
tanto buono con te. E tanto crudele, certo. E tanto perfido. E tanto
strafottente e arrogante… Nessuno. Ma pensavo, nella mia vanitosa, nella mia
egocentrica, nella mia assurda visione del mondo, che anche tu fossi preso da me. Non parlavo d’amore.
Parlavo di passione. Parlavo di attrazione. Mi accontentavo anche di un po’
d’esile desiderio.
E invece, ancora una volta, mi sono illusa che le cose andassero come
preferivo, come volevo, come mi faceva meno male credere. Perché sono fatta
così? Per tutti questi anni ho atteso, sperando che Harry avesse ragione,
sperando di avere io stessa ragione. Noi che ti conosciamo così bene, ci siamo sbagliati su di te. Tu
per me provavi esattamente quello che davi a vedere: affetto verso una vecchia
amica rompi-coglioni. Tutto qui. Che altro c’è da provare verso di me?
Seduta
sul mio letto matrimoniale intatto, le lenzuola di seta bianca comprate perché
questa notte doveva essere la nostra notte, la vista accecata dalle lacrime che tento di
trattenere, mi fisso nella specchiera della mia toeletta. Sono quel genere di
donna che la gente indica con il dito pensando “io non voglio essere come lei,
poverina”.
Una
venticinquenne legata irreparabilmente al sogno del suo primo ed unico amore.
Una venticinquenne che vive nell’illusione che “prima o poi” succederà. Una
venticinquenne che si nutre di sogni e lavoro. Una venticinquenne che vive di
ricordi e progetti, ma che nel presente non ha niente. Mi guardo, disprezzandomi. I
capelli che mi erano sembrati perfetti, una volta tanto, come se i soliti ricci
indomabili e crespi fossero diventati soffici, mi ricadono flosci e stanchi
intorno al viso. Quelle guance che per tante ore avevo truccato, quelle labbra
su cui avevo applicato matita e rossetto, quegli occhi che avevo ispessito con i
trucchi di Ginny per dargli un’aria intrigante… tutto questo sembra spento,
finito, finto, tutto
si scioglie sotto lacrime pesanti e salate, tracciando solchi nella mia
maschera di sicurezza. Mi tolgo con rabbia il tubino rosso che avevo comprato
per te. Ed
ecco, ecco i pizzi delicati e neri che volevo che mi togliessi di dosso,
sfilandomeli dolcemente, accarezzando la mia pelle lievemente mielata. Oppure
strappandomeli con la furia dell’amore, troppo preso dall’impulso di vedere
cosa vi è celato. In ginocchio davanti allo specchio osservo quello che hai
lasciato di me, Ronald. Un corpo pronto, ed ora completamente svuotato. Un
corpo di donna che dentro si sente il corpo di una vecchia piena di rimorsi. Lo
osservo tra le lacrime, i seni alti e pallidi, i capezzoli turgidi nella loro
corona rosata, l’ombelico tondo, un leggero tappeto di peluria dorata, e poi il
riccio nascondiglio del mio sesso, tra lunghe gambe arrotolate su se stesse, la
pelle tremante e bollente coperta di brividi. E poi guardo il mio viso, le
lacrime, gli occhi lividi, le labbra secche e supplicanti.
-Fai
schifo, Hermione Granger. Sei una fallita.- Mi dico, a voce alta.
E anche
se non vorrei, nello specchio prede forma il viso meraviglioso, il corpo
perfetto, nelle mie orecchie suona la voce leggermente roca, nell’aria sento il
frizzante e dolce sapore di mia sorella. Lei. Lei così perfetta, lei così
simpatica, lei così emozionante, lei così unica, lei così originale…
E tu
giustamente tra noi hai scelto lei.
Ma non
posso fare a meno di essere disperata per me stessa.
Guardami
Ronald, tutto questo era solo per te.
E ora
tutto questo è solo per farmi stare peggio, peggio, peggio.
Quando
apro gli occhi il lunedì mattina, tutta la tristezza, la frustrazione, sono
spariti. Dissolti in una nuvola cotonata, in un lontano e futile ricordo. Mi
alzo, fresca e riposata dopo un week end passato tra il letto, la vasca da
bagno, il divano. Ho preso la mia decisione, e ne vado anche parecchio fiera.
Infilo il tailleur pantalone blu, le scarpe a punta, lego i capelli in una coda
alta. Mi passo un filo di trucco sul viso, bevo un caffè rapido, lavo i denti
e, con la borsa in spalla, mi smaterializzo vicino al Ministero. Non c’è nulla
ora che può farmi cambiare idea. Nulla.
Aspettare
Ron, amare Ron, odiare Ron. Tutto questo mi ha impegnata per troppo tempo, ha
imbavagliato la mia mente, legato la mia vita ad un unico punto intorno al
quale girava ogni cosa. Ma ora basta.
Non
intendo aspettare per sempre che le cose vadano come voglio che vadano.
Entro con
passo determinato e spedito nell’atrio luminoso del Ministero, la gente mi
saluta con rapidi e abituali cenni del capo. Sorrido a tutti loro.
Sto
facendo un grande passo, signori miei.
Entro
nell’ufficio del Ministro. I suoi occhietti d’oro mi studiano per un attimo,
come fa un vecchio zio che rivede un nipote dopo tanto tempo.
-Ministro.-
Lo saluto cordiale, gli stringo la mano non più tanto forte. E lui, con il
solito sorriso sdolcinato afferma: -Sono fiero che abbia accettato la nostra
proposta, Miss Granger.
-Ne sono
fiera anche io.
-Sono
certo che si troverà molto bene in questo progetto.
-Anche
io.- Sorrido, con aria sicura di me, sedendomi di fronte a lui.
-Avevamo
davvero bisogno di persone con la sua esperienza, capacità, coraggio…
Sorrido,
ora imbarazzata.
-E poi
abbiamo messo su un’equipe a dir poco fantastica.
-Sono
felice.
-è
proprio sicura della sua scelta, no?
Annuisco,
tranquilla. –Certo.
-Bene,
allora. La partenza è domani sera, spero non sia troppo presto.
-Affatto.-
Provo un moto di euforia. Domani sera! Domani sera mi sarò buttata alle spalle Londra,
Ron, il Ministero, Ginny, Harry, Luna… Mia sorella. Tutto ciò che mi lega
dolorosamente alle mie cicatrici.
-La prima
tappa è in una riserva indiana in america. Lì la strage della Guerra Magica ha
fatto molte vittime.
-Sono
felice di dare una mano.- Davvero felice.
In quel
momento la porta si apre, e ne entra un giovane uomo, alto e dalla pelle
abbronzata. Ha due grandi occhi dall’azzurro venato e un ciuffo di capelli
biondo cenere, resi chiari e crespi da un’evidente permanenza al sole. Mi
sorride distrattamente, senza però distogliere lo sguardo dai miei occhi.
-Hermione
Granger, le presento Richard Doubet. Signor Doubet, Hermione Granger… la sua
nuova compagna di viaggio.
Richard
Doubet mi tende una grande mano abbronzata che avvolge la mia in una stretta
fulminea e determinata. Non distoglie lo sguardo dai miei occhi.
-Piacere.-
Dico, tranquilla.
-Ti
unirai a noi, allora.- Dice, sorridendomi. –Vengo da 15 giorni in una
città dell’Uganda. E’ davvero un onore per noi avere trai nostri la famosissima
Hermione Granger… spero non ci troverai tutti ridicoli.
-Perché
dovrei?- dico, ridendo.
-Perché
noi non abbiamo combattuto poi molto quando serviva… così proviamo a ricucire
ora le ferite.
Mentre
lascia la mia mano mi scopro a pensare che ricucire le ferite, è esattamente
quello che mi serve. -Proprio quello che intendo fare anche io.
Un guizzo
ironico attraversa gli occhi del primo personaggio del mio incredibile futuro…
un futuro in cui non sono contemplati migliori amici di cui innamorarsi, guerre
mortali, delusioni cocenti… un futuro senza lacrime… un futuro senza Ron.
Una volta mia mamma mi ha detto che il problema dell’amore è che non ci
si trova mai nello stesso punto nello stesso momento
Una volta mia mamma mi ha detto che il problema dell’amore è che
non ci si trova mai nello stesso punto nello stesso momento. Che tu ami
qualcuno che magari non ama te, e poi un giorno lui potrebbe amarti mentre tu
non ami più lui. Che potreste volerci provare entrambi senza saperlo per un
tempo lunghissimo e poi rinunciare entrambi senza lasciare sbocco a un
eventuale rapporto per le troppe indecisioni e le troppe paure, oppure rinunciare
nel momento più sbagliato… Mi ha detto che i rapporti con gli altri sono così,
totalmente imprevedibili. Potremmo non sapere mai, mai, che qualcuno che
abbiamo amato ci ha amato… O potremmo non sapere mai che qualcuno cui non
abbiamo mai prestato attenzione ce ne prestava un sacco.
Allora mi sono chiesta perché, perché, bisogni nascondere quello che si prova
per la gente e la risposta che mi sono data in futuro, nascondendo quello che
provavo, è stata: Per evitare di scoprire di essere da sola in QUEL punto, in
QUEL momento.
Credo che questo sia un po’ il tema di fondo della mia
FanFiction, in caso non l’aveste capito. =P
Capitolo 3.02
Senza più te
I saw her today at the reception
A glass of wine in her hand
I knew she would meet her connection
At her feet was a footloose man
Now, you can't always get what you want
You can't always get what you want
You can't always get what you want
But if you try sometime
You'll find
You get what you need
I saw her today at the reception
A glass of wine in her hand
I knew she was gonna meet her connection
At her feet was a footloose man
You can't always get what you want
You can't always get what you want
You can't always get what you want
But if you try sometime
Well you might find
You get what you need
Oh yeah
All right baby
Yeah
{You can’t always get what you want- Rolling
Stones}
Ron.
Non ho
fatto assolutamente niente di male. Nulla. Non c’è niente di male. Continuo a ripetermelo con
insistenza mentre cammino nell’uggiosa mattinata, lungo affollate vie di Londra,
per qualche folle ragione, bruciante di vergogna e, insieme, di una strana e
perversa forma d’orgoglio. Niente di male. Insomma, mi ripeto, annaspando in un imbarazzo
personale che non mi posso spiegare, perché fare sesso con la sorella minore
della donna che amavo dovrebbe essere una cosa di cui pentirsi? Non sono andato a letto con
lei, ma con sua sorella. Più giovane. Più bella. Più originale.
Nei suoi
occhi non ci sono squarci del nostro passato.
Nelle sue
parole non posso risentire le tristezze e le ansie dei giorni andati.
Nel suo
sorriso non posso rivivere il mio essere adolescente ed innamorato.
E’ così
dolcemente confortante avere improvvisamente un domani.
Eppure…
Entro
nell’ascensore. Sprofondo nel Ministero dorato. Eccomi. Ci sono quasi. Ciao.
Eccomi. Ron Weasley. Un uomo che dopo aver dimenticato una donna è andato a
letto con la sua strabiliante sorella minore babbana.
Mi viene
incontro Ernie. Il suo sorriso un po’ storto mi accoglie.
-Ron!
-Ehi,
Ernie. Come stai?
Il suo
sorriso un po’ storto si bagna d’ironia. –Io molto bene. Passato un
buon week end?-
Improvvisamente capisco. E sembra che tutti mi guardino.
Mi sento
come quella volta al quinto anno di Hogwarts che io Lavanda pomiciavamo
ovunque, e tutti hanno iniziato a parlare. E mi sentivo osservato… e avevo la
dannatamente orribile sensazione di aver ferito Mione.
-Molto
buono, sì.- Faccio, indifferente. Sento le orecchie diventare rosse.
–Grazie di essere venuto alla festa.- La cosa più furba è mettere subito
le carte in tavola. Prima che siano gli altri a farlo. –è stato carino,
no?
-Molto.
Lo saluto
brevemente e salgo verso lo studio di Mione. La cosa migliore è mettere subito
le carte in tavola, mi ripeto. La inviterò fuori con me e Cassie. Le dirò che
può portare un amico. Con una fitta di speranza supplico di leggere la gelosia nei suoi
occhi. Sono solo un illuso.
Sento la
sua voce ancora prima di vederla. E’ concitata, allegra, squillante. Appena
svolta l’angolo e i suoi occhi incrociano i miei, mi sento ancora esattamente
come quando, quella sera, sono entrato in un aula vuota e ho trovato li lei e
Harry. E lei, circondata da una spumeggiante aureola di canarini, gli occhi
attraversati da lacrime di rabbia che non capivo, mi aveva attaccato con quegli
stessi uccellini piumati che le circondavano il capo. Mi sentii uguale, suo
schiavo, mi sentii uguale, in balia delle sue parole e del suo umore come un
granello di sabbia sulla battigia. Ma il suo sguardo è diverso. E’ uno sguardo
diverso: uno sguardo forte, acuto, uno sguardo di distaccato affetto, come per
qualcuno che un tempo faceva parte del tuo cuore. Non c’è più quell’alone di
dolcezza che riusciva a scheggiare anche la sua più integra severità. Mi
sorride con un velo di disprezzo.
-Ron.-
Fa, sempre fredda. Al suo fianco, impeccabile in un look totalmente fuori posto
eppure perfetto come io non sarò mai, spicca un uomo alto, dai ricci biondi che
ricadono distrattamente su una fronte perfettamente abbronzata. Indossa
pantaloni di tela e in spalla ha una borsa tutta rovinata. Mi rivolge un
sorriso genuino, fresco, un sorriso felice.
-Weasley!-
Fa, ridendo. –Cavoli, Ron Weasley ed Hermione Granger in un solo giorno!
Mi farete conoscere anche Potter?
Hermione
ride, ora più calda. La sua voce si fa educata. –Ron, ti presento Richard
Doubet. Richard, questo, come avrai capito, è Ron Weasley.
-Piacere
Richard.- Faccio, diplomatico. Una stretta al cuore mi fa perdere un respiro.
Non so se essere più affranto perché quest’uomo sembra essere così dannatamente
perfetto, o perché quest’uomo sta ridendo e scherzando con Mione. Forse per
tutte e due. E’ un insieme. Sì. Forse.
-Piacere!-
Fa ancora, entusiasta.
-Mione,
come va?- Voglio risultare in confidenza. Sembro solo tanto infantile, lo so.
Ma non posso farne a meno.
-Bene,
Ron. Io e Richard stavamo appunto parlando della mia imminente partenza.
Non posso
che alzare un sopracciglio, sorpreso.
-Fai un
viaggio?
-Facciamo,
in effetti. Ma
non so se si può definire “un viaggio”.
…Facciamo?!
…Viaggio?!
-Dove…-
Mi ricompongo. –Dove andate?
-Una
riserva indiana, in America. Una campagna di riabilitazione per i reduci della
Guerra.- Sembra così dannatamente formale. E… Felice (?). Forse è meglio soddisfatta.
-Davvero?
E quanto starai via?
-Parecchio,
credo.- Si volta verso Richard.
-Di
solito sono almeno 6 mesi, sì. Poi dipende. Da lì ci sposteremo… verso il
Messico, magari, o non so… potrebbe anche essere un anno…
Il dolore
che mi lacera il petto è così immenso da non poter essere frenato.
Non
voglio sapere quanto “imminente” sia questo “imminente”.
-Volevo
chiederti…- Improvvisamente mi sento ridicolo. Io e Cassie? E’ stato un week
end di sesso. Certo, ci sono state chiacchiere e progetti, ci sono stati baci e
cenette e pranzi e coccole, in mezzo al sesso… Ma se fosse stato solo questo?
Invece guardatela. Lei e Richard andranno a “riabilitare i reduci della
Guerra”. –Volevo solo chiederti se ti andava un caffé.
Per un
secondo mi sento così piccolo.
Così
stupido.
Immaturo.
-Non
posso, ora, Ronald. Io e Richard abbiamo molto da organizzare.
-Certo.
Magari… dopo.
-Okay. E
salutami Cassie.
Ha vinto.
Non è
giusto. Non è giusto. Ogni cosa che faccio provoca tensione tra di noi. Ogni
cosa che faccio ci fa stare male entrambi. Ogni parola che dico. Ogni minimo
gesto è un modo come un altro per litigare, per ferirci, per arrabbiarci.
Perché? Perché le cose non possono essere facili?
Ho solo
bisogno di piacerle.
Non mi
interessa di piacerle come ragazzo.
Per lo
meno come amico.
Io ora ho
Cassie. Non mi interessa avere una donna. Non Mione. Non più.
Ma io… ho
bisogno che lei mi sorrida. Che mi apprezzi. Ho bisogno di non sentirmi sempre
una merda nei suoi confronti. Chiedo così tanto? E’ una richiesta così
incredibile?
Siedo nel
mio studio nuovo di pacca e la testa mi scoppia dalla rabbia, dal nervosismo,
dalla tristezza. Sono stufo di convivere con questo mio essere così sbagliato
sempre… con questo nostro essere sempre sbagliati… inappropriati… Idioti,
fondamentalmente idioti. Ci perdiamo nella rabbia perenne di uno nei confronti
dell’altra. Non ha senso.
Oltre i
palazzi londinesi, il sole si sta leggermente impigrendo, crolla sotto una
coltre argentata di nuvole e goccioline d’acqua. Tra poco un fragile buio si
abbatterà su una Londra pronta a sonnecchiare, e il mio turno finirà. Dovrò
uscire dal comodo riparo di questo studio e affrontare tutto quello che ho
ignorato oggi. Tutto. Hermione che mi chiama. Cassie che mi aspetta per uscire.
Harry che è “dannatamente preoccupato per te, cazzo”. Ginny e le sue ramanzine.
Rimandato, tutto nascosto da pratiche da sbrigare, telefonate da fare,
delinquenti da tenere d’occhio. Ma ora non posso più. Il sole si abbassa ancora
un po’, il suo colore mielato si screzia d’argento. Ci siamo. In lontananza
suonano le 6 di sera. Mi alzo, mi infilo la giacca, raduno un po’ di scartoffie
e infilo in borsa le ultime cose, spengo le luci, mi chiudo lo studio alle
spalle, stupendomi di come in poco tempo questi gesti siano diventati per me
un’abitudine come tutte le altre. Scendo le scale soprappensiero, e quando vedo
nella folla la chioma riccioluta di Mione la prima cosa che mi viene in mente è
che presto se ne andrà, e non la rivedrò per un tempo così lungo da sembrarmi
irreale. Mione. La mia Mione. Sei mesi o anche di più. Non sentire la sua voce, non
vedere i suoi occhi fiammeggianti, non essere toccato furtivamente dalle sue
dita pallide e lisce, non chiacchierare con lei, con il suo essere così
materna, così amichevole, così scontrosa, così dolce… così Hermione.
Mi sento
abbandonato, improvvisamente, come se senza di lei mi rendessi conto di non
avere altro.
Sarò
solo.
-Mione!-
la chiamo. Sopra la rabbia, sopra il rammarico, ora dentro di me mi sento
assalito da una tristezza che mi spezza il respiro.
Se ne
andrà e ci saremo salutati così? Continuo a pensare. Lei se ne andrà portandosi via di me
il ricordo di un Ron immaturo e arrabbiato. E mi odierà mentre viaggerà per il
mondo, mentre salverà vite, mentre berrà drink chic con Richard.
Lei si
volta, e nei suoi occhi lampeggia una minuscola punta di dolorosa rabbia, e il
sorriso duro che mi rivolge fa saltare un battito al mio cuore.
Cos’ho
fatto per meritarmi questo trattamento?
Entriamo
in silenzio nell’ascensore, facendoci portare nelle strade sassose e fredde,
bagnate dalla fragile luce del tramonto e da piccole gocce gelate di acqua che
inizia a cadere.
-Quando
parti?- Chiedo.
-Parto.
Silenzio,
carico d’offesa, carico di rimorso, carico di noi.
-Okay.-
Dico, piano. –Posso sapere perché?
-Perché,
cosa, Ronald?
-Parti.
-Parto e
basta.
-Okay.
Silenzio,
teso, doloroso, silenzio.
-Perché
sei arrabbiata con me?
-Non sono
arrabbiata con te.
Suona
così dannatamente falso, quella sua voce apatica, intrisa di sopportazione,
trema lievemente. La guardo di sottecchi, mentre la pioggia che si abbatte sul
suo bellissimo viso contratto dalla rabbia le fa scivolare il trucco dagli
occhi. L’ha ripetuta talmente tante volte quella frase, negli ultimi anni, che
è impallidita.
-Sono
stufo di essere trattato così da te, Mione.- Dico. Non urlo. Parlo lentamente,
mentre tutto intorno a noi sembra bloccato, ovattato dalla pioggia che cade,
pesante, creando tra noi e il mondo un vetro spesso e ghiacciato. –Stufo
di aspettare di essere apprezzato da te. Stufo di sentirmi come se fossi una
piccola merda che non merita nulla. Sono stufo di questo trattamento, Mione.
Stufo di aspettare che tu capisca che ti voglio bene. Stufo di essere il tuo
stupido amico da trattare così, senza nemmeno il beneficio di una spiegazione.
E’
ammutolita, mi squadra con negli occhi la desolazione di quando qualcosa
finisce.
Non risponde.
-So che
in qualche parte del tuo cervello sai che questa volta ho ragione, Hermione.-
Pronunciare il suo nome per intero mi fa rivoltare lo stomaco. è un addio?
–Vorrei almeno sapere perché mi odi tanto.
Stringe
le labbra in una morsa pallida.
Scuote il
capo, con le pesanti gocce d’acqua che la bagnano tutta.
-Non
importa.- Dico, piano, sorridendole. –Va bene così. Fa buon viaggio,
Hermione.
E sapete
cosa c’è di nuovo? Amare fa male da morire. Ti fa sentire così piccolo e
insulso, ti fa camminare nella pioggia senza nemmeno la forza di piangere.
Amare ti fa sentire come se tutto il mondo non ti appartenesse, come se tu
fossi un minuscolo granello di sabbia sulla battigia, e le onde che si
infrangono su di te sono dolorosamente profumate di lei.
Ma mentre
cammini nella pioggia e calpesti tutto quello che un tempo ti parlava di sogni,
tutto quello che un tempo ti parlava d’amore, e decidi di non amare più, allora
quel dolore va via. Viene sostituito da un vuoto immenso, un vuoto forse ancora
più struggente e doloroso del dolore in se, un vuoto che ha bisogno di essere
riempito. E riempirlo con nuovo amore non è quello che vuoi. Non è quello che
ti serve.
Sotto un
piccolo portone di legno, infilato in un giubbottino blu notte, sotto un
ombrello a pois, un piccolo corpo dorato, dai lunghi capelli castani, mi
sorride.
Non puoi
sostituire quel vuoto con l’amore.
Ma puoi
sostituirlo con qualcos’altro.
Le sue
labbra vellutate si sporgono e sfiorano le mie.
Un nuovo
profumo,nuove piccole dita, nuovi
suoni, nuove voci, nuove risate.
E anche
se non sapranno d’amore, sapranno di felicità forse, questa volta.
Ed è
quello di cui hai bisogno.
*
Sob Sob. Rileggendo queste parole mi ricordo sempre conto di come
mi sentivo quando le ho scritte… Ma lasciamo perdere l’autobiografia, perché è
arrivato il momento che preferisco: quello dei vostri commenti! =D
Buon giorno!
Anche questa settimana vi lascio una razione di Ron-Hermione.
Cercate di
vedere questa separazione, questa lontananza, come una cosa inevitabile per
guardare le cose in una prospettiva migliore. Nella vita bisognerebbe fare
sempre così: allontanarsi dal problema per vederlo come un problema più piccolo
di quello che non sia in realtà.
Buona
lettura, e buona domenica ^^
Capitolo
4.01
Non è una
fuga
This guy was meant for me
And I was meant for him
This guy was dreamt for me
And I was dreamt for him
This guy has danced for me
And I have danced for him
This guy has cried for me
And I have cried for him
Many miles many roads I have travelled
Fallen down on the way
Many hearts many years have unravelled
Leading up to today
This guy has prayed for me
And I have prayed for him
This guy was made for me
And I was made for him
Many miles many roads I have travelled
Fallen down on the way
Many hearts many years have unravelled
Leading up to today
I have no regrets
There's nothing to forget
All the pain
Was worth it
Not running from the past
I tried to do what's best
I know that I deserve it
Many miles many roads I have travelled
Fallen down on the way
Many hearts many years have unravelled
Leading up to today.
{I deserve it-Madonna}
Hermione.
Non posso
nemmeno pensare di essere io. Io? Hermione Granger! Guardatemi! Sono seduta su
una branda bianca, mi guardo in uno specchio in legno. Fuori dallo spesso
tessuto della tenda, sento un forte e concitato chiacchiericcio. Sono più
magra, sembro quasi più alta, i capelli pesantemente sbionditi dalle ore di
sole, le unghie tagliate corte, le mani screpolate, abbronzata come mai in vita
mia. La mia agenda aperta sul letto segna il 10 di giugno, e io sono qui, in
Sri Lanka. In America c’è voluto meno del previsto, abbiamo sistemato in fretta
la situazione. E non mi sono mai sentita così bene in vita mia. Mai, almeno
credo. E ora sono qui, in una tenda che sa di gelsomino (adoro queste candele!)
indosso un vestito di stoffa leggera, sorrido al mio viso abbronzato, stanco…
Così dannatamente simile a quello di mia sorella. Al pensiero una fitta
dolorosamente famigliare mi attanaglia lo stomaco, ma io la ignoro. Ho imparato
a non pensare a Cassie, al fatto che lei sia stata la persona in grado di farsi
amare davvero da Ron. L’unica forse. Nelle sue lunghe lettere, Ginny mi ha
detto di come siano felici, tranquilli, spensierati. “Ha ricominciato a
vivere, Mione. Spero davvero che tu abbia fatto lo stesso.” Mi sono arrovellata sul
significato di quella frase. Non ci sono riuscita. Mi risuona in testa come un
amuleto. Abbiamo ricominciato. Ci siamo lasciati alle spalle tutto… Ogni tanto
una cieca malinconia si impossessa di me, malinconia al pensiero di quello che
abbiamo gettato dietro di noi, quel fragile equilibrio che ci teneva in piedi,
o che almeno teneva in piedi me. Ma quello che è certo è che, spezzato
quell’equilibrio,non solo sono
stata capace di camminare… ma per la prima volta in vita mia lo faccio senza
dovermi appoggiare a nessuno. Mi alzo, e la stoffa colorata del mio abito
stretto, corto, elegante e insieme spartano, mi scivola sulla pelle delle
gambe. Nel lampeggiare dei miei stessi occhi mia sorella sembra farmi uno
strano ghigno. Forse nonostante tutto mi hai fatto un favore, penso. Ma è solo un momento, e l’ingresso
della tenda si apre, rivelando il viso sorridente e rilassato di Richard.
-Rick!-
Lo saluto, sorridendo ampiamente. –Sono pronta!
Anche lui
mi sorride, il suo viso abbronzato e sereno sparisce al di la della tenda e io
lo seguo. La luce di un falò sulla spiaggia colora gli ultimi bagliori della
giornata, mentre un mare quieto e dorato si infrange sulla battigia bianca e
sabbiosa. Sorrido alla vista di tutto quel semplice eppure perfetto splendore.
-è
bellissimo qui.- Faccio, piano.
-Oh, sì.-
La sua voce è roca, tranquilla. Il suo tono è sempre pacato, gentile,
rilassante. Non lo mai sentito urlare, e anche quando si innervosisce o è
contrario mantiene sempre quel distacco elegante che non è da confondere con la
freddezza, ma è solo un segno di perfetto autocontrollo.
-Stasera
specialità locali?- Gli chiedo, sempre sorridente.
Lui
annuisce. –Mangerai così tante specialità locali che presto non ne potrai
più!
All’inizio
mi sembrava strano frequentare qualcuno con il quale non avevo niente di passato
in comune. Lui e gli altri che lavorano con noi (siamo una grande squadra,
anche se noi stiamo per lo più con Ada, un’italiana energica e divertente,
Samuel, un africano politicamente impegnato, Clair, francese pratica ed
elegante, e Mark, nostro compatriota) sono insieme da parecchio tempo. Mi
sentivo un pesce fuor d’acqua, non conoscevo i loro modi di dire, i loro
scherzi, non avevo confidenza con loro e pensavo che mai l’avrei avuta. Io,
abituata a frequentare sempre le stesse persone, e ad avere sempre e solo con
loro la dolce e splendida intesa che loro avevano, pensavo non sarei mai
riuscita a ricominciare da zero. E invece Richard mi ha presentato ad Ada e
Clair, che mi hanno presa volentieri nella tenda con loro, e ben presto abbiamo
iniziato a parlare del più e del meno in uno strano intreccio di inglese,
francese e italiano. Così, sotto l’ala protettiva di Richard e sotto l’influsso
positivo dell’amicizia con Ada e Clair, ho lentamente e inesorabilmente
cominciato a scalare la mia vetta personale.
E ora non
sento più di essere l’ultima arrivata, ma solo… solo una di loro. Con i loro
modi di dire, i loro scherzi, le loro abitudini… e i loro progetti. Avere
progetti per il futuro con nuovi amici, nuove persone che non siano Harry, Ron,
Ginny e Loon, è qualcosa che insieme mi emoziona e atterrisce.
Ma nel
sorriso sereno di Richard, capisco perché devo lasciare che l’emozione e la
serenità superino ogni altra sensazione in me: questa volta devo concedermelo.
Mi sono meritata un riscatto personale.
-Già, ne
faremo indigestione.
Mi fa
l’occhiolino. –Non dimenticare le riserve britanniche nel mio zaino… nei
momenti grigi abbiamo sempre qualche zuppa, un tea e un biscotto.- La sua
risata calda mi avvolge in una nuvola e insieme ci avviamo verso il buffet.
Ada mi
viene in contro, il viso struccato, un paio di jeans tagliati corti e una
camicia a quadri rossi, ma, nonostante il look per niente elegante, nella curva
sinuosa del suo corpo e nella sua lunga chioma corvina, riconosco in lei la più
bella tra noi ragazze del Servizio. –Hermione!- pronuncia il mio nome in modo
strano, duro, ma non mi dispiace. –Come stai?- Chiede, in italiano. Io rido e,
sempre nella sua lingua, le rispondo: -Bene!
Ridendo,
Richard le da un altro po’ di risposte in italiano, un po’ traballante ma più
corretto del mio. Intanto, io mi guardo in torno alla ricerca degli altri.
Scorgo Clair e Samuel e agito la mano per salutarli. Loro si avviano lentamente
verso di noi. Lui è alto, il corpo muscoloso evidenziato dalla maglietta e i
jeans rovinati sulle ginocchia lasciano scorgere gambe più esili di quelle che
ci si potrebbe aspettare. Lei, invece, minuta e sorridente, ha corti capelli
biondo scuro legati in un codino, splendenti occhi azzurri dall’innocenza
disarmante, indossa un pareo verde mela che le stringe i fianchi sottili e una
maglietta blu scuro che risalta sulla sua pelle sorprendentemente lattea a
confronto con le nostre. Mi raggiunge, mi stringe con le braccia esili, e mi
chiede in un francese lento come sto. Rispondo, e poi le ripongo la domanda
nella mia lingua. Un gioco che dura settimane.
Ridendo,
salutiamo Sam, e tutti noi iniziamo a conversare, per fortuna in inglese.
Quando anche Mark ci raggiunge, il viso da bambino aperto in un sorriso
gentile, robusto e dai lucidi capelli scuri, tutti insieme ci dirigiamo sulla
spiaggia, pieni di cibo locale. Ci sediamo sulla sabbia, mentre un mare
trasparente e perfetto si abbandona ai nostri occhi.
-Questo
posto è bellissimo.- commentiamo per la millesima volta. Peccato per la
terribile strage che ci prepariamo a sanare: la povertà della popolazione fa a
pugni con la ricchezza della terra, la desolazione degli animi contrasta con la
tranquillità dell’oceano, le ferite sugli uomini stonano con la sanità della
natura. Mi sdraio, con la sabbia che si mescola ai miei capelli, mentre una
strana malinconia cui ormai sono abituata si intrufola in me. Durante il giorno
sono impegnata, il lavoro ci occupa ogni momento e consuma tutte le nostre
forze, non ho tempo per pensare, e poi ci sono loro, scherziamo e ridiamo per
dissipare le crudeltà che ogni giorno dobbiamo sopportare. Ma a volte abbasso
la guardia, e allora la tristezza riesce a fare breccia nel mio muro di
serenità e distacco. La sera, la notte, quando l’aria si profuma di erba tagliata
e salsedine, quando il sole si nasconde dietro l’orizzonte e le stelle iniziano
a lampeggiare nel cielo, mi ritrovo impassibile nel flusso dei miei pensieri.
La verità è che da quell’ultimo dialogo sotto la pioggia, non ci siamo più
visti ne sentiti. Se non possedessi così tanti ricordi di lui, potrei anche
fingere che non esista. Ma dopo la nostra permanenza qui, torneremo per qualche
giorno a Londra, e allora dovrò rivedere lui e tutti loro. E qualcosa mi dice
che gli dovrò delle spiegazioni… ma è troppo presto. Troppo per guardare in
quei grandi occhi azzurri e innocenti e dirgli il motivo della mia fuga, il
motivo della mia rabbia, il motivo delle mie lacrime e della festa… il motivo
di tutto…
-Ehi,
Hermione.- Mi scrolla Rick. Apro gli occhi. Sulla spiaggia non c’è più nessuno,
il buio è opprimente sulle braci spente del falò, e gli avanzi della festa si
preparano a diventare la cena di qualche animale notturno. Mi sorride.
–Dormivi?
Rido.
–Sono distrutta. Prima pensavo… poi devo aver preso sonno.
Anche lui
ride. –Ti vanno due passi?
Annuisco.
–Sì, mi vanno.
Mi prende
la mano e mi tira in piedi. Camminiamo uno accanto all’altra sulla battigia, un
vento improvvisamente freddo ci taglia la pelle.
-Potresti
parlarmene, se ti andasse. Lo sai, vero? Se ti andasse. Potresti.
Sorrido,
imbarazzata. –Di cosa?
-Di lui.
Perché è evidente che te ne sei andata per un lui. Ma che non lo hai ancora del
tutto dimenticato. A volte ti fai triste, so che pensi a lui. Chi è?
-Ronald
Weasley.- sospiro.
Lo sento
annuire. –Lo sapevo, sai? L’ho sentita quella strana elettricità, quel
giorno.
-Già.
-Siete
stati insieme?
-Mai.
-Starete
insieme?
-Mai.
Silenzio.
–Sai, forse avete condiviso troppo.
-Sì,
forse. Troppo. Questo viaggio… mi sono ripetuta un sacco di volte che non è una
fuga. Ma a volte non riesco a convincermi di questa teoria. E allora mi chiedo…
e se non fossi in grado di dimenticare? Se il mio cuore e il mio cervello
funzionassero in maniera troppo diversa da quelli degli altri… e non ne fossi
capace?
Ride, e
mi prende una mano. Un contatto così intimo mi spiazza, il cuore prende a
battermi con prepotenza. Mi obbliga a guardarlo negli occhi, ma senza
pressione.
-Tu lo
sai fare?- gli chiedo.
-Dimenticare?
-Sì.
Ci pensa
un secondo. –Sì.
-Insegnamelo.
Sorride
ancora. –Okay.
-Qual è
il segreto?
Mi
accarezza la mano con affetto. –Vivere.
Inclino
la testa per guardare meglio i suoi grandi occhi sinceri. –Vivere.-
Ripeto. Suona così bene. –A volte penso di non essere in grado di fare
nemmeno questo.
-Posso
aiutarti, se hai bisogno.
-Ho
bisogno.
Mi mette
una mano sul fianco, facendola scivolare sulla mia pancia, tiene gli occhi
fissi nei miei occhi.
-Fermo.-
Sussurro. –Aspetta.- Lo guardo, trepidante. –Io…
-Tranquilla.
-Ho visto
cose incredibili, sai. Voldemort, e tutto il resto. Nella mia vita non ho avuto
spazio per certe cose.
Mi
accarezza la guancia. –Se hai bisogno di tempo, prenditi tempo. Se hai
bisogno di aspettare lui, aspettalo. Ma se hai bisogno di dimenticarlo, hai
bisogno di vivere, e hai bisogno di essere… felice.
-Essere
felice.- Ripeto, sorridendo.
-Te lo
meriti.
-Ne ho
bisogno.
Mi
appoggia le labbra sulle labbra, e all’inizio non ho il coraggio di reagire al
bacio. Ma poi, improvvisamente, una furia bollente mi sale al petto, e
rispondo, con dolcezza.
-Felice.-
sussurro.
-Felice.-
Afferma, accarezzando i miei boccoli e baciandomi sul collo. Mi sfila le
spalline e osserva il mio reggiseno sportivo. Mi bacia ancora, mi fa sedere a
terra. Mi permette di sbottornargli la camicia, osservare i suoi leggeri
muscoli abbronzati e i suoi capelli dorati. Lo bacio.
Mi rendo
conto che questa potrebbe essere la medicina. Una relazione non impegnativa con
una bella persona. Prendermi il mio tempo per guarire, certo, ma con qualcuno
che ti sappia tirare in piedi se cadi.
Dimenticarlo.
Vivere.
-Hai
paura?- mi chiede, piano.
-Non più.
Lui mi
prende per mano. –Non devi averne. Io non ti farò male.
E
qualcosa nel tono della sua voce mi dice che sarà davvero così.
Capitolo 10 *** 4.02 Come non avrei mai pensato ***
Ed eccovi la parte di Ron ^^ Non odiate Cassie, mi piace un sacco come
personaggio =P Ah, non so se ve l’ho già detto, ma scari
Ed eccovi la parte di Ron ^^ Non odiate Cassie, mi piace un sacco
come personaggio =P Ah, non so se ve l’ho già detto, ma scaricate le canzoni a
inizio capitolo se avete voglia e se non le avete già… Entrerete di più nella
storia.
Vi lascio alla vostra lettura, aspetto i vostri commenti con
ansia… Un abbraccio e buona settimana =)
Capitolo
4.02
Come non
avrei mai pensato
Dove vai quando poi resti sola
il ricordo come sai non consola
Quando lei se ne andò per esempio
Trasformai la mia casa in tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
a guarirmi chi fu
ho paura a dirti che sei tu
Ora noi siamo già più vicini
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
Le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto
Dove vai quando poi resti sola
senza ali tu lo sai non si vola
Io quel dì mi trovai per esempio
quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
io la morte abbracciai
ho paura a dirti che per te
mi svegliai
Oramai fra di noi solo un passo
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto
{io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… - L. Battisti}
Ron.
1
Buongiorno
tesoro! Come stai? Ripreso dalla sbronza di ieri sera? Stamattina ti ho
lasciato dormire un po’ di più… spero avrai apprezzato… Ricordati del pranzo
con tua sorella, sai che si arrabbierà da morire se non vai! Io ti aspetto per
cena a casa… ti preparerò una cenetta deliziosa… e mi troverai vestita proprio
come piace a te… buona giornata…
Ti
bacio…
Cass.
Guardo il
bigliettino soprappensiero, mentre accendo la macchinetta del caffé e
quell’aroma amaro invade la cucina della casa della mia fidanzata. Mi guardo
intorno, tra i colori caldi e luminosi, eppure eleganti e raffinati del suo
appartamento a Notting Hill. Fuori sento il rumore assorto della mattina
londinese, mentre il notiziario del mattino riempie l’aria del suo solito
cicaleccio. Una mattina come tante della mia nuova, strana eppure splendida
vita. Rileggo il bigliettino, scritto con quella calligrafia disordinata che
ormai ho imparato a riconoscere, immagino il suo sguardo divertito e complice
mentre lo scriveva, il suo sorriso malizioso mentre lo riponeva dove era certa
che l’avrei trovato come prima cosa stamattina. La immagino infilarsi i vestiti
puliti nell’ombra, bere il suo caffé pettinandosi i capelli, e poi chiudersi la
porta alle spalle silenziosamente, per poi indossare i tacchi in corridoio per
non rischiare di svegliarmi con il loro tic-tac sul parquet dell’appartamento.
La immagino mentre si ravvia i riccioli davanti allo specchio in ascensore e
corre come una piccola furia a prendere l’autobus, la gonna troppo lunga
svolazzante sulle caviglie e la borsa troppo pesante che le segna la spalla
bianca. Splendida, quasi troppo splendida per essere la mia donna. Sfioro la
carta e, ridacchiando, appoggio il biglietto sul piano di marmo. Prendo una
penna e scrivo sotto:
Grazie
piccola, ora sono lucidissimo… così lucido che ricordo alla perfezione la
nostra serata…
Rido
ancora al ricordo di noi due, nella vasca da bagno, a sorseggiare champagne e
annegare in un mare di bollicine e sospiri.
Tranquilla,
non mi dimenticherò Ginny! È successo una volta sola, è lei che la mena troppo.
È fatta così…
Sono
sicuro che questa sera non mi deluderai…
Non
vedo l’ora. Ti bacio, dove piace a te. Ron.
So che lo
troverà appena arrivata a casa e le farà piacere. Ho imparato questo genere di
piccolezze che fanno piacere alle donne, o che perlomeno fanno piacere a
Cassie. Non sembro nemmeno io: pensate che ieri sera le ho addirittura portato
un fiore! Okay, una mia collega si sposava e li distribuiva a tutti, ma io di
solito l’avrei buttato in un cestino! Invece l’ho guardato, il fiore, mentre la
mia mano si allungava verso la spazzatura per lanciarcelo dentro, e ho pensato
“piacerebbe a Cassie”: e gliel’ho portato! Era così felice. Mi ha sorriso con i
suoi dentini perfetti simili a piccole perle, mi ha baciato, e se l’è messo nei
capelli, dove ha continuato a guardarmi come un terzo occhio per tutta la
serata, rendendola simile ad una piccola ninfa dei boschi. Pieno di orgoglio e
piccole fantasie, mi vesto, chiudo la porta con il mio paio di chiavi (il mio
paio di chiavi!) e mi incammino verso il Ministero, a piedi. Ho preso
l’abitudine di andare a piedi perché Cassie pensa dovrei fare più attività fisica
(in realtà lo dice ridendo, perché poi dice sempre che adora la mia pancetta…
ma non si sa mai), e poi è bello prendersi qualche minuto per stare da solo.
Ero abituato a passare un sacco di tempo da solo, ma ora non posso più. Quando
sono al Ministero c’è sempre un tale via vai di gente, e quando c’è la pausa
mia sorella o Cassie o Harry si presentano sempre per il pranzo, quasi non
volessero lasciarmi mai un secondo per pensare, e poi la sera la passo sempre
con loro. A volte ci vediamo anche con Luna e il suo amore del momento, e con
Neville, Dean, Seamus e gli altri, con i quali abbiamo, inaspettatamente,
riallacciato i rapporti. La verità è che da quando Hermione è partita io sono
cambiato un sacco. Davvero. A volte un po’ mi manca il caro vecchio Ron innamorato
e scontroso, ma non lo trovo più da nessuna parte tra le pieghe del mio cuore.
È allagato dalla presenza della più piccola delle Granger.
A Natale
siamo stati dai suoi genitori. Sono entrato con un bel sorriso che diceva “sono
l’uomo perfetto per vostra figlia”, ho detto sempre grazie e per favore, non ho
mai contraddetto Cassandra né nessun altro membro della famiglia, ho
ringraziato per regali babbani che non ho capito fino a che Cassie me gli ha
spiegati (e ancora non li ho capiti, quindi li ho regalati a papà che ne è
stato entusiasta). E ho parlato di Hermione una sola volta. Insomma, è stato un gran passo!
No? E poi l’hanno tirata fuori loro, nemmeno io. Ne avevo troppa paura. Mi
hanno detto di ringraziare i miei perchè per la loro bambina erano stati “una
famiglia incredibile” e poi mi hanno raccontato storie deliziose sulla sua
infanzia. Quando ho raccontato tutto questo a Ginny speravo che mi avrebbe
detto “-bravo Ron! Come sei cresciuto!” invece mi ha sorriso con tenerezza e mi
ha detto “-la sua famiglia non è un modo per tenerla più vicina a te-”.
Nonostante lei dica a tutti che io ho ricominciato e che l’ho dimenticata, e
nonostante io sia il primo a dirle che è così, lei ha l’assurda opinione che io
in Cassie cerchi solamente una copia più accessibile di Mione, e che dovrei
smettere di cercarla là dove non troverò altro che delusioni. Non mi importa quello che pensa
mia sorella. Lei è convinta di conoscermi meglio di come mi conosco io, e da
quando legge i libri babbani che le presta Cassie è anche convinta di essere
una psicologa. In più da quando Ginny è riuscita a stare con Harry si sente la
più grande esperta del mondo nel campo “cuore”. Vabbè, lasciamole le sue
convinzioni. Io non le rinfaccio mai che, secondo me, la sua amicizia con
Cassie non è per niente “essere cordiale con la fidanzata di mio fratello”
quanto “sentire il meno possibile la mancanza della mia migliore amica”.
Comunque, a ognuno le sue idee.
Io sono
l’unico che ha voce in capitolo quando si parla dei miei sentimenti e so PERFETTAMENTE di
non provare più niente per Hermione. Anzi, la ringrazio per essersene andata,
mi ha permesso di prendere una boccata d’ossigeno da un amore che mi stava
letteralmente soffocando.
Il mio
unico immenso rimorso è averla salutata così male.
La
mattina dopo tutti sono andati a salutarla all’aeroporto, tutti tranne io. Non
ho nemmeno chiesto se ha pianto, non ho chiesto se ha chiesto di me, nulla. E
non le ho scritto, non una volta. Ho detto a Ginny di farle gli auguri di
compleanno e di Natale da parte mia, non so se l’abbia fatto, e comunque non mi
ha dato alcuna risposta. Bhè, meglio così. Non che io ci abbia pensato su.
Affatto. Certo, un po’ mi irrita che lei non abbia pensato a ringraziare, ma la
cosa non mi sfiora.
Entro al
Ministero pigramente, saluto con un cenno visi noti e sorridenti, prendo il
Profeta con aria annoiata, mi avvicino al bancone con la scusa di salutare
Maggie, ma in realtà per prendere le caramelle che mette sempre nel piattino
davanti a se, e poi mi incammino lentamente verso il mio ufficio. Mi metto una
mano in tasca, soprappensiero. Sento qualcosa di liscio e morbido sul fondo
della tasca, lo tiro su e non posso trattenere una risata che fa voltare un po’
di ragazzi lungo il corridoio.
Mi chiudo
in ufficio e tiro fuori un paio di mutandine di seta rosa pallido di Cassie.
Scoppio a ridere mentre le rimetto nella tasca e appendo il cappotto. Ricordo
perfettamente come sono arrivate lì. Eravamo a cena in un ristorante, per una
sua cena di lavoro, siamo andati in bagno, e stavamo “consumando” quando è
entrata una sua collega. Allora, in preda alla ridarella, siamo dovuti tornare
di là, e nella fretta mi sono messo le sue mutande in tasca. Volevo tenergliele
nascoste per farle uno scherzo e poi me le sono dimenticate. Sempre ridendo,
controllo la posta. Per un secondo sento sempre un’inquietante speranza di
scorgere, tra pergamene e buste di lavoro, la scrittura minuziosa di Hermione
che mi dice che sta bene. Ma è solo un attimo, il tempo di una palpitazione, e
poi il pensiero scivola sul fondo della mia mente. Certo che sta bene, penso, o
Ginny me lo direbbe. Quindi, non c’è motivo perché mi scriva. Alcun motivo.
Prima di
incominciare a lavorare, come ogni mattina, tiro fuori dal primo cassetto della
mia scrivania una scatola di latta con dei biscotti e inizio a mordicchiarne
uno.
Sento uno
strano vuoto all’altezza dello stomaco, come se per la prima volta da tanto
tempo le cose andassero bene, bene per davvero. E provo una fitta al cuore al
pensiero di Cassie, di come mi abbia salvato la vita. Poi mi viene da ridere, a
vedere come sono diventato sentimentalista.
Ma non
importa.
Le cose
vanno bene, qualche volta. Perché non dovrebbero? Perché a me questo non
dovrebbe succedere? Infondo sono una brava persona. E anche se per tanto tempo
ho dovuto mangiare merda dalla vita, adesso la vita mi regala un po’ di
cioccolata. Cosa c’è di male in questo? Nulla. Assolutamente nulla.
Io e
Cassie invecchieremo insieme, saremo vecchietti grigi con il sorriso addolcito
dalla memoria che scivola via, faremo regali ai nostri nipotini, ai nostri
figli, e quando ci vedremo con Hermione lei sarà solo la sorella della mia
donna, e nulla di più. Esattamente quello che sarebbe se, per caso, la
rivedessi ora. E non pensate che io stia “pensando” a Hermione, perché non è
così. Io sto pensando a Cassie, la mia ragazza. E non è vero niente di quello
che pensa Ginny. Tutte frottole.
In ogni
caso, anche lei e Harry, finalmente, stanno bene. Hanno un bell’appartamento,
parlano in una specie di codice incomprensibile per le altre persone, lei gli
passa forchettate di cibo mentre cucina e lui annuisce per dire che gli piace
anche se non è vero, senza distogliere l’attenzione da quello che sta facendo.
E sorride a mia sorella come se lei fosse l’unica donna al mondo. E forse per
lui è davvero così. Una volta gliel’ho detto.
Stavamo
bevendo una birra sul suo terrazzo, la sera del compleanno di Ginny. Gli ho
detto: “-Sembri felice.”
E lui:
“-Lo sono.-“ ha sorriso.
“-La
guardi come se per te fosse l’unica donna al mondo.”
“-è
così.-“ ha sorriso e mi ha guardato con aria a metà tra il complice e il
compassionevole: “-E tu? Sei felice? Cassie per te è l’unica al mondo?”
Non ho
trovato una risposta da dargli, ma ora potrei.
Parliamo un po’ di un altro tema di questa storia.
Ricominciare.
È buffo, sapete, come quello che viviamo si riflette su quello
che scriviamo. Mentre scrivevo questi capitoli, quest’estate, stavo
attraversando un piccolo terremoto personale, era un momento in cui avrei anche
io voluto salire sul primo aereo e cambiare aria, lasciarmi alle spalle amici e
persone che avevano in qualche modo toccato e ferito i miei sentimenti.
In ogni caso io non l’ho fatto, ovvio. Non mi sono nascosta e sono andata
avanti, le cose cambiano anche se non fuggi da nessuna parte. Però è davvero
doloroso restarci dentro e farle cambiare insieme a te, davanti a te. Cambiare
anche tu- con o contro il tuo volere.
E poi c’è la questione del dimenticare. Quanto si può
davvero dimenticare un amore? Non ho mai provato un amore che non fosse
possibile dimenticare, chiudere in un cassetto. Quindi ho dovuto basarmi su un altro
tipo di affetto perduto e da cui è a volte impossibile separarsi del tutto,
alcuni tipi di amicizia per alcune persone, in alcuni momenti della nostra
vita. Quel genere di cosa che non finisce nemmeno se lo vuoi, nemmeno se glielo
imponi, nemmeno se ti ci impegni, con la distanza e le cattiverie e altri
sentimenti “migliori”.
Spero di trasmettervi queste cose- sensazioni- pensieri con le
mie parole.
Perché la cosa splendida di Ron e Hermione è l’incredibile mix di
sentimenti che li caratterizza, una gamma inesauribile di emozioni da
analizzare, scoprire, in cui riconoscersi e con cui sfogarsi.
A mio modo, anche io ho preso quell’aereo, grazie al cielo ho
sempre questa via di fuga artificiale, scrivere delle fughe altrui e fuggire
anche io =)
Buona lettura, e buone vacanze ai fortunati come me =P
Capitolo
5.01
Sui miei
passi
I would have given you all of my heart
but there's someone who's torn it apart
and she's taking almost all that I've got
but if you want, I'll try to love again
baby I'll try to love again but I know
The first cut is the deepest, baby I know
The first cut is the deepest
'cause when it comes to being lucky she's
cursed
when it comes to lovin' me she's worst
but when it comes to being loved she's
first
that's how I know
The first cut is the deepest, baby I know
The first cut is the deepest
I still want you by my side
just to help me dry the tears that I've
cried
cause I'm sure gonna give you a try
and if you want, I'll try to love again
but baby, I'll try to love again, but I
know
The first cut is the deepest, baby I know
The first cut is the deepest
'Cause when it comes to being lucky she's
cursed
when it comes to lovin' me she's worst
but when it comes to being loved she's
first
that's how I know
The first cut is the deepest, baby I know
The first cut is the deepest
{the first cut is the deepest, Sheryl
Crow}
Hermione.
È molto
semplice. Non c’è nulla di strano. Davvero. Un ridicolo sogno non mi può
influenzare così le giornate. E poi si sa. Io non sono quel tipo di ragazza che
si lascia trasportare da uno stupido sogno. Un sogno! Siamo matti?
La verità
è che era così reale. Incredibilmente vero. Me ne stavo seduta sul mio divano a casa a
Londra, indossavo una vestaglia grigio perla, avevo i capelli legati in una
treccia e in braccio un bellissimo neonato. Sentivo i seni pesanti di latte, e
sentivo addirittura il sapore del latte, il sapore di bambino piccolo, lo
sentivo in braccio, così piccolo, morbido, con quei grandi occhi innocenti e
dall’azzurro cristallino. Era troppo bello. Troppo. Ed era mio.
Non avevo
mai voluto un figlio prima.
Non avevo
mai voluto il pancione, partorire, allattare, cambiare pannolini, rinunciare
alla carriera, mi rendo conto che non avevo nemmeno mai voluto sposarmi. E
invece, adesso, quello che desidero di più è stare seduta su un divano con un
bellissimo bambino in braccio, con mio marito che prepara il tea nella stanza
di fianco, e che me lo porta su un vassoio senza dovermi chiedere come lo
prendo, perché lo sa già.
Oddio.
Sto impazzendo. Letteralmente. Era solo un sogno!
Ma non posso pensare ad altro. Non posso. Me ne sto qui, seduta dietro una
scrivania, consegno vitamine e segno a quanti locali le ho consegnate. E ogni
bambino vorrei che fosse il mio. E ogni marito vorrei che fosse il mio. Oddio.
Forse
sono gli ormoni.
-Hermione!
Sobbalzo.
-Scusa,
non volevo spaventarti.
Richard
si china su di me e mi sfiora le labbra con un bacio veloce. Io gli accarezzo
brevemente la guancia e do una vitamina e un bicchierino d’acqua alla
successiva donna di colore dalla svolazzante gonna colorata.
-Come
stai?- gli chiedo, distrattamente.
-Bene,
bene. Tu?
Annuisco.
Un altro stupido bambino. Ma quanti diamine ce ne sono in giro oggi?
-Ho una
splendida notizia per te. Ti metterà di buonumore.
-Io sono
di buonumore!- faccio, con voce leggermente stridula. Ma solo leggermente.
Ride,
consegnando una pastiglia e un bicchierino ad un anziano dalla pelle butterata.
–Quindi non vuoi la mia bella notizia.
-Non era
splendida?- Sporgo un po’ il labbro inferiore, fingendomi imbronciata, e poi sorrido
con dolcezza ad una donna con quattro figli a cui tutti giorni passo,
segretamente, una razione di pane in più.
Richard
lo sa di sicuro ma finge di non saperlo. Una volta Ada mi ha detto che queste
cose succedono sempre, tutti sgarrano un po’ in favore di qualcuno o qualcun
altro, tutti lo sanno ma nessuno dice nulla.
-No,
basta, ora non te la dico più, e ti toccherà aspettare di sapere che tra 6
settimane torniamo a Londra dopodomani come tutti gli altri…
-Sei
settimane?- mi rendo conto di aver praticamente strillato, perché tutti in fila
ammutoliscono e molti tendono il collo per guardare se va tutto bene. Faccio un
sorriso imbarazzato e continuo a servire pastiglie e bicchierini. –Sei
settimane?- Ripeto, più lentamente.
-Non sei
felice?
Annuisco.
–Come no! Felicissima!- La verità è che non lo so.
-Non lo
sai.
-Lo so!
Sono felice. Sul serio.- No. Non lo so. Non so se sono pronta. Oddio.
-Andrà
tutto bene.
-Sì,
andrà bene. Perché non dovrebbe?- Perché sono debole. Ecco perché. Non sono
ancora abbastanza forte.
-Infatti.-
sorride ad un ragazzino e gli allunga una vitamina in più –Mi sembra che
già ora le cose vadano meglio. O no?
-Sì,
vanno bene. E sarà tutto perfetto.
Si fa
silenzioso, fingendosi impegnato. Poi mi guarda, con i grandi occhi sinceri e penetranti.
–Hai più pensato a lui?- chiede.
Distolgo
lo sguardo, fingendomi impegnata anche io.
La verità
è: un po’.
Insomma,
pensare a Ron per me è un’abitudine, e le abitudini sono dure a morire. Ma
negli ultimi tempi, da quella prima memorabile notte sulla spiaggia, Ron si è
come intrufolato furtivo trai miei pensieri totalmente inaspettatamente, e,
ugualmente inaspettatamente, ne è sempre uscito, senza lasciar traccia. Un po’
come un fantasma: il fantasma di quello che provavo per lui. Provavo, perché
non provo più nulla nei suoi confronti. Nulla: amore, odio, disprezzo,
frustrazione, amicizia, affetto… nulla.
Quando leggo il suo nome, quando leggo di lui, nelle lettere di Ginny, di
Harry, dei Signori Weasley, e persino di mamma e papà, non provo nemmeno più
quel famigliare tuffo al cuore. Scivolo sulla sua esistenza con naturalezza,
con leggerezza, come se fosse una macchiolina del mio passato, qualcosa che ho
rimosso.
Ma la
verità è che non l’ho rimosso, non del tutto.
Richard
dice che non posso pretendere di farlo sparire dalla mia mente, dalla mia vita.
Dice che forse non lo voglio nemmeno. Una notte abbiamo parlato a lungo di lui,
di Ron.
Richard è
stato in silenzio tutto il tempo, mentre io gli vomitavo addosso anni e anni di
silenzi imbarazzanti, di furiose litigate, di gentilezze impacciate, di piccole
dolcezze, di scorrettezze, di bugie e crude sincerità, di gelosie e rancori,
scherzi e trovate, congetture e segreti. Non è stato un racconto coerente e
lineare, e alla fine Richard mi ha guardata con occhi appannati, e con un
sorriso un po’ triste mi ha detto: “-Mione, mi dispiace per te. Puoi
dimenticare un amore andato male, davvero, ma non puoi dimenticare il tuo
migliore amico, tuo fratello, il tuo peggior nemico, il tuo compagno di
sventure, il tuo protettore e il tuo bambino da proteggere. Soprattutto se sono
nel corpo del tuo uomo, l’uomo che ami.-”
Sono
stata spiazzata da questa frase. “–Il mio uomo? Lui non è il mio uomo. Tu
sei il mio uomo.”
Richard
mi ha abbagliata con il suo sorriso perfetto, mi ha baciata e mi ha detto: “-Io
non posso competere con il tuo Ron Weasley.”
L’ho
baciato io e ho detto “-Tutti possono competere con un Ron Weasley”. Questa
cattiveria gratuita che Ron nemmeno ha sentito mi ha messa in pace con me
stessa. Da allora, come dicevo, il pensiero di Ron è qualcosa che, a volte, mi
sfiora la testa e poi vola via. Nulla di più.
Ma
rivederlo…
Tra sole
sei settimane…
Mostrargli
quello che sono diventata…
Guardare
quello che è diventato…
-Quasi
mai.- Sussurro, piano.
Lui annuisce.
–Hai visto? Si sta sistemando tutto.
La fila
di persone è finita, si sta sfaldando. Mi volto a guardarlo, accaldata, con la
fronte madida di sudore, e lui mi sorride dolcemente.
-Andiamo
a bere qualcosa di fresco.
Annuisco,
lui mi prende per una mano e io lo seguo nella luce abbagliante del pomeriggio,
mentre la ghiaia bianca riflette i raggi iridescenti del sole. Mi pulsa la
testa. Perché? Perché Ron doveva piombare nella mia isola di serenità? Proprio
ora che stavo bene. Ora dovevo scoprire che tra SEI SETTIMANE dovrò riaffrontarlo?
Ci
sediamo su un muretto, accaldati, ognuno con le labbra attaccate ad una
bottiglietta d’acqua, la sento scivolare lungo il mio mento e il mio collo, e
giù trai miei seni, perché sono così sconvolta e confusa che non riesco nemmeno
a bere con attenzione. Lui si volta a guardarmi dopo un tempo che mi sembra
infinito, io abbasso la bottiglia quasi vuota e sospiro, arrischiando un
sorriso.
-è
comunque una splendida notizia.
-Potrai
dimostrare a te stessa e a lui come sei cresciuta.
-Giusto.
Si china
sul mio collo e lo bacia, senza soffermarsi troppo per il calore, ma abbastanza
a lungo perché il sapore di pelle e sole ci faccia rabbrividire.
-E poi io
sarò con te.
Questo
semplice pensiero mi fa emettere una risatina nervosa. Non riesco a capire se
ne sono sollevata o stressata per questo.
-Già. Tu
sei sempre con me.
Mi sfiora
i ricci che sfuggono dall’elastico.
-E questo
ti piace, no?
Annuisco.
–Certo, che mi piace.
Ho
l’orrenda sensazione che tutte queste conversazioni mirate ad essere sempre
sinceri gli uni con gli altri prima o poi mi stuferanno. È che una volta gli ho detto
che con Ron dovevo sempre mentire su quello che provavo per lui. E questa cosa
l’ha mandato in paranoia.
-Okay.
-Richard,
smetti di essere sempre in competizione con lui, va bene? Non avrei mai dovuto
parlarti di Ron.- sospiro. –Mai.
-Non dire
così. Io non sono in competizione con Ron. Io cerco solo di starti vicino.
-Tu mi
stai vicino.- sorrido. –Sei perfetto, proprio perché non sei Ron. Non sto
con lui, ma con te. Io non soffro più per lui. All’inizio, forse, volevo che tu
mi aiutassi a… riparare il danno. Eri il cerotto. Ma ora non c’è più alcuna
ferita. Davvero. Quindi, puoi dedicarti ad altre cose che non siano la mia
convalescenza. Dottor Rick, lei mi ha guarito, davvero. Basta comprensione,
basta domande chiave per farmi essere sincera. Non voglio mentirti. Se starò
male te lo dirò.
Mi
guarda, sorpreso.
E anche
io sono sorpresa.
Penso
davvero che Rick sia perfetto? Davvero non soffro più? Era il cerotto? Nessuna
ferita? Basta comprensione e domande? Non voglio mentirgli? Eh?
Ma lui
inizia a sorridere, e allora decido di credere alle mie parole anche io. E gli
sorrido.
-Wow.-
sussurra. –Non so se è il caldo, la fatica, lo shock, ma non posso
credere davvero
di aver sentito quello che hai detto.
-Che sono
guarita? È così. Forse ho sempre… ingigantito un po’ troppo il mio “amore”- e
mimo con le dita le virgolette –per Ronald.
-Lo pensi
davvero?- Poi scoppia a ridere. –Niente più domande chiave per farti
essere sincera, giusto!- Scoppio anche io a ridere, nervosa. Lui mi mette una
mano sulla schiena, mi trae a se e mi bacia.
-Grazie
Rick.- Gli dico, piano.
-Tranquilla,
è stato bello. E poi, adesso possiamo dedicarci a noi.
Mi prende
il panico. So che non dovrei, ma improvvisamente immagino che il sogno che ho
fatto sia il suo
sogno, immagino di avere lui come marito e mi prende il panico. Oddio.
Ma lui mi
bacia solo le labbra, piano, come un’abitudine. Io mi appoggio a lui nonostante
il caldo e stiamo così, immobili, nella polvere e nell’aria pesante, mentre il
mare gelato e feroce si mangia la spiaggia sotto di noi.
Rido di
me stessa. Come ho potuto pensare che lui mi sognasse nel mio salotto con in
braccio un figlio mentre lui mi prepara il tea? Non l’ha sognato Richard. L’ho
sognato io. Io desidero quelle cose. Vuol dire che sono davvero cresciuta. Ci
sono passata sopra. Sono pronta per tornare sui miei passi e riaffrontare
tutto. Ho sognato un nuovo futuro in cui Ron non è calcolato. E non ho più paura
di rivederlo, né di vederlo con Cassie. Alcuna paura. E poi mancano ancora sei
settimane. In sei settimane io e Richard ci saremo dedicati tanto a noi che
rivedere Ron sarà addirittura piacevole. Imparerò a volergli bene di nuovo,
senza doppi sensi questa volta.
-Ti amo.
Alzo gli
occhi su di lui, li fisso nei suoi, stupita, rapita, incredula, stordita da
questa semplice affermazione che è affiorata sulle sue labbra per sconvolgermi
di nuovo.
-Mi ami?
Mi
sorride, dolcemente e con un velo d’ironia.
-Sì. Ti
amo.- ripete, con più lentezza ora, come se volesse incalzarmi a dire “anche
io”. Mi sento come se con la sua grande mano calda stesse tentando di spingermi
dentro il mio sogno perfetto. Ma io non sono ancora pronta ad entrarci. Per ora
non posso.
Non so se
lo amo, questa è la verità. Non so cosa voglia dire amare.
È stare
bene con qualcuno?
È
volergli più che bene?
Volerlo
baciare?
È avere
fiducia in lui?
È volerci
fare sesso?
È trovare
belli i suoi occhi e i suoi capelli e le sue spalle?
Io non
sono pronta a questo. Ad amare. Di nuovo. O forse per la prima volta.
Non mi
era mai capitato prima di non essere preparata su un argomento. Ma mi sto
accorgendo che in materia amore, ho un sacco di lacune, come se qualcuno avesse
fatto dei piccoli buchi con un cucchiaino. E io non so come posso riempirli.
Non esiste un libro che ti insegni cosa vuol dire amare. Possono aiutarti a
capirlo (come lui mi ha aiutato a dimenticare Ron) ma non posso insegnartelo:
quello lo devi fare da sola, vero?
Bhè io non ci riesco.
Per la
prima volta sento il disperato bisogno di parlare con Ginny. Lei saprebbe cosa
dirmi. Lei sì che ha amato, sì che è stata amata. Lei sì che è forte lei… Ma
non posso pensare a Ginny ora. C’è un uomo bellissimo e dolce e romantico
davanti a me, un uomo che per la prima volta nella mia vita mi ha detto che mi
ama, un uomo che si è preso la mia verginità, un uomo che mi guarda come
nessuno mi aveva mai guardato: come se fossi bella. E da me richiede una
piccola cosa: che io lo ami. Che gli dica che lo amo. Ma io non l’ho mai detto,
e mi prende l’insana paura di non amarlo, e che se glielo dirò ora butterò via
il mio primo “ti amo”. Mi sento così piccola.
Quindi lo
bacio. Lo bacio con lentezza e con passione, dimentica del caldo e dell’ansia,
mi abbandono alle sue labbra, alle sue braccia, al suo profumo. Poi accosto le
mie labbra al suo orecchio abbronzato e bisbiglio: -Io non… non lo so. Ma forse
ti amerò, se avrai la pazienza di… insegnarmelo.
-Insegnartelo?-
Fa ridendo. –Mione, la vita non è una lezione di vita.
Anche io
rido, e per tutta risposta lo bacio di nuovo.
Insegnami
ad amarti, perché io non mi sento più in grado di amare nessuno.
Capitolo 12 *** Capitolo 5.02 Echi di un antico terrore. ***
Bhè, facciamo che parlo alla fine…
Bhè, facciamo che parlo alla fine…
Capitolo
5.02
Echi di
un antico terrore
So, so you think you can tell
Heaven from Hell
Blue skies from pain
Can you tell a green field
From a cold steel rail?
A smile from a veil?
Do you think you can tell?
And did they get you to trade
Your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees?
Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change?
And did you exchange
A walk-on part in the war
For a lead role in a cage?
How I wish, how I wish you were here
We're just two lost souls
Swimming in a fish bowl
Year after year
Running over the same old ground
What have we found?
The same old fears
Wish you were here.
{wish you were here-Pink Floyd}
Ron.
Mi sveglio con un dolore lancinante al petto, come se mi avessero
strappato il cuore. Per un attimo resto succube di quel dolore, respirando
grandi boccate d’aria, e mi sento invecchiato di colpo. Poi, lentamente,
riacquisto la dimensione del mondo intorno a me, percepisco il respiro ovattato
e profumato di baci di Cassie sulla mia pelle. Sento la sua mano stretta sulla
mia senza insistenza ma con dolcezza, e mi calmo. Va tutto bene. È stato solo
un brutto sogno. Mi metto a sedere, asciugandomi la fronte con il dorso della
mano da una pioggia di sudore freddo come lacrime dimenticate. La notte è
immobile, profonda, assopita nella quiete del mio appartamento da scapolo, dove
ora ho portato la mia piccola ninfa. Mi chino per baciare il suo viso perfetto
e candido, quando lei si agita appena e sulle sue labbra affiora un sorriso
involontario, un sorriso severo e colmo di dolcezza che mi spezza il respiro e
mi stringe lo stomaco. Fisso il suo viso con insistenza, cercando di scorgercelo
di nuovo, ma non arriva. Non torna. Se n’è andato, e una malinconia implacabile
mi assale da dentro, facendomi lacrimare.
Il sorriso di Hermione.
Mi sembra di essere rimasto accanto a questo corpo da dea, di aver
stretto le sue mani e baciato le sue labbra per tutti questi lunghissimi mesi,
solo in attesa di poter trovare tra le pieghe del suo volto ciò che non avrei
trovato tra le pieghe di nessun altro volto di donna: il sorriso di Hermione. E
questo mi suona come un oscuro presagio. Mi sento affannato e confuso. Io non
credo in queste cose: oscuri presagi?! Eppure, non riesco a calmarmi.
Il telefono squilla, il suo rumore è forte e fa vibrare la notte.
Mi alzo barcollando, arranco nell’ombra, lo sollevo con un’eccitazione
febbrile. So chi è. Non può che essere lei…
-Ron.- Non è lei. La voce di mia sorella è cruda e secca, eppure
avverto forte e chiaro il rumore delle sue lacrime.
-Ginny?- Un dolore ancora più immenso minaccia di farmi svenire.
–Cosa è successo?- chiedo, perché so perfettamente che qualcosa è
successo.
-Ron…- piange lei, incapace di dirmelo ma anche di non farlo.
–Ron…
-Ginny, dove sei? Stai bene? Harry sta bene? Ginny?
Cassie mi raggiunge in salotto, il lenzuolo stretto sul suo corpo
pallido come un vestito da sera, bianca nella notte scura, il capo circondato
dai boccoli perfetti come un’aureola. E sul viso, come una smorfia
involontaria, nuovamente quel sorriso.
-Ron cosa c’è?- bisbiglia.
-Ginny?- ripeto.
-Ron?- ripete Cassie.
-Ron- attacca Ginny, come se qualcosa le avesse dato una strana
forza. –Ron, si tratta di Harry. Siamo al San Mungo. Non sappiamo cosa-
singhiozza –cosa sia successo… si pensa ad un attacco di Mangiamorte…
-Mangiamorte? Un attacco? Dove?- Urlo, rabbioso. –Perché?
-Non lo so!- strilla lei, con una vena d’isteria nella voce.
–Era rimasto in ufficio a sbrigare delle cose!
-Cazzo Ginny!- Urlo, e so che non è colpa sua. –Corro.- e
riattacco, senza lasciarle il tempo nemmeno di singhiozzare ancora.
Cassie mi guarda con gli immensi occhi spalancati dal terrore di
qualcosa che non può capire. La osservo, senza la forza di muovere un muscolo.
–Harry è stato portato all’ospedale, probabilmente è stato attaccato.
Devo correre.- Ma non mi sposto. E nemmeno lei.
-Vuoi che venga con te?
Non posso sopportare di vederla, così simile a Hermione ora quanto
non è stata mai, così simile ad un angelo bianco nel riverbero delle luci della
strada che scorrono sulla sua tunica bianca e sul pallore latteo nella sua
nudità. Non sopporto il suo sorriso innocente e compassionevole, il suo sguardo
addolorato e partecipe, le sue lacrime tristi e spaventate, il suo corpo
fragile e possente. Non lo sopporto, e non capisco perché. –No, non
venire.
Mi infilo in fretta gli abiti, le scarpe, senza un ordine preciso,
mi avvicino alla porta, la apro, mi volto ancora una volta verso di lei, con un
grumo di lacrime bloccate in gola.
-Sei sicuro?- sembra quasi una supplica.
E allora capisco cosa non posso sopportare: il fatto che tutto in
lei mi gridi il suo amore. Annuisco ferocemente e mi sbatto la porta alle
spalle.
Il corridoio del San Mungo è uguale a tutti gli altri corridoi del
San Mungo, sempre uguali, perfettamente identici a quella mattina in cui ho
aperto gli occhi e mi ci sono avventurato alla ricerca di un verdetto che per
me valeva più della mia stessa vita: Harry ed Hermione erano sopravvissuti? E
anche ora, preferirei che un attacco di cuore mi privasse in un secondo della
mia vita e della mia dignità, facendomi rantolare al suolo in un secondo, che
sentire la voce strascicata di una vecchia infermiera annunciarmi che è
troppo tardi. Appena vedo Ginny, penso che un attacco di cuore mi verrà
davvero. Non l’ho mai vista così, mai, nemmeno una volta. Alza su di me i suoi
grandi occhi dorati, colmi di un’angoscia e una disperazione sordi. Le labbra le
tremano, i lunghi capelli rossi scomposti intorno al viso dal pallore
spettrale, su cui danzano lugubri lacrime d’argento. Trema, convulsamente si
torce le mani in grembo, si alza nel vedermi e si lancia tra le mie braccia.
Mai avevo visto il coraggio di mia sorella mancare così. Erano secoli che non
vedevo tracce di pianto sul suo volto. Si lascia stringere e poi fissa nei miei
i suoi occhi e sussurra: -è in coma.
Sento il terreno mancarmi sotto i piedi e mi stringo a mia
sorella, incapace di dire nulla che possa farla stare meglio, incapace di
mostrarmi forte come vorrei o debole come sono. Cado su una sedia di plastica e
lei cade su quella accanto a me. Il corridoio è assorto in un silenzio
meditabondo, argenteo. Innaturale.
Resto immobile assorbendo la notizia. In coma. Inizialmente mi
sembra di vedere e sentire tutto dall’alto, come alla radio, come se non stesse
succedendo a me. Poi prendo coscienza della realtà, inizio a sentire il bagnato
delle lacrime sulle guance, il peso nel petto, la sedia sotto di me, il sapore
di medicina nelle narici. Mi volto verso mia sorella e la vedo ancora, ma come
se la vedessi per la prima volta, curva su se stessa eppure piena d’orgoglio.
-Hai parlato con i Guaritori?- chiedo, dopo quelle che paiono ore.
Lei annuisce, e prima che risponda passano altri interminabili
minuti. –Dicono che ancora non si possono stimare ne le cause ne i
tempi.- Lo dice con lentezza, come se ogni parola fosse stata studiata nella
sua testa e le pesasse un immensa fatica pronunciare.
Sento il sole sorgere al di la dei vetri, la vita riaccendersi
lentamente tra le pareti dell’ospedale, i passi risuonare nei corridoi e le
voci alzarsi nelle gole, ma ancora non posso alzarmi, ancora non posso
affrontare il mondo.
-Ron!- Un urlo risuona per tutto l’ospedale, e il nostro piccolo
angolo di dolore viene invaso improvvisamente da troppi volti, troppe voci.
Mamma, papà, Luna, Neville, Seamus, Dean, Fred, George, Fleur, Bill, Tonks e
Lupin, e un sacco di altri volti a cui non riesco a dare un nome, tutti si
affollano nella mia visuale, mi chiedono informazioni, ci abbracciano senza
ritegno, piangono senza contenersi.
E io resto immobile, mentre Ginny si lascia cullare da Ninfadora,
aggrappandosi a lei come non ha potuto aggrapparsi a me, mentre sento un
Guaritore spiegare ogni cosa, pazientemente, a Remus, e mia mamma in lacrime
supplica di poter vedere Harry, e Fred mi chiede se voglio un tea o un
cappuccino, se voglio che Cassie venga qui. Resto immobile, zitto e impassibile
in quel flusso di dolore che mi percuote il corpo e di colpo capisco cosa stavo
cercando di captare da quando mi sono svegliato con il cuore distrutto e ho
scorto il presagio nel sorriso addormentato di Cassie e nel suo essere così
simile ad un angelo caduto non dal cielo, ma dal passato. Questo mi sta
distruggendo, l’eco di un vecchio dolore, coma una ferita che torna a farsi
sentire prima di un terribile temporale. Il dolore dell’idea di perdere Harry.
Avere paura per lui. Temere per la sua vita più che se fosse la mia. Amare qualcuno
in maniera così immensa da desiderare di rantolare a terra senza dignità piuttosto che
sentirsi dire che il tempo è terminato, il tempo per vivere, il tempo di bere
birre sul suo terrazzo, il tempo delle confidenze affettate e delle congetture,
dei progetti e dei ricordi, il tempo di essere amici senza alcuna pretesa,
fratelli senza legami di sangue, sposati senza anello, uniti sempre senza
alcuna promessa o dimostrazione di affetto. Davanti a me vedo il traguardo di
una corsa che non posso affrontare da solo. Così mi immobilizzo nel mezzo della
corsia, perché senza il mio compagno non posso continuare a correre, non posso.
E sta qui la vecchia ferita: già una volta ho dovuto fermarmi nel mezzo della
corsia, già una volta ho dovuto correre indietro per riprenderlo. Per tutta la
vita mi sono sforzato di non perderlo mai, anche quando tutto sembrava mettersi
contro la nostra amicizia, sempre ho dovuto battermi per aiutarlo ed essere
aiutato. E ora, in un attimo, risento il terribile presentimento di aver perso.
Altre coppie di amici mi superano nella corsa, tagliano il traguardo insieme, e
io sento che potrei doverlo tagliare da solo. E allora le piccole lacrime che
da tutta la notte mi stavano lacerando il viso diventano un pianto isterico,
singhiozzato e paralizzante, che fa cadere tutti in un silenzio poetico e pieno
di reverenza.
Poi, improvvisamente, sento due mani gelate chiudersi intorno ai
miei pugni, e una voce soave e delicata mi sussurra: -Vieni, Ron. Andiamo a
chiamare Hermione.- Mi prende per mano, e io arranco nella sua scia profumata
di gelsomino, incapace di smettere di piangere. Voltiamo l’angolo, e Luna si
ferma. Mi fissa. –Ron.- Dice, piano, con dolcezza e con coraggio.
–Ron, ti prego.- e allora io mi appoggio al muro, mi asciugo gli occhi,
le guance, prendo fiato e sento che il torpore mi abbandona. Hermione. Il suo
pensiero mi fa palpitare il cuore perché, per la prima volta da troppo tempo,
gli lascio il via libera per invadermi e gonfiarmi, per riempirmi di lei.
-Hermione.- sussurro, senza più un fremito. –Devo chiamarla.
Ho bisogno di lei. Sento un disperato bisogno di attaccarmi alle
sue spalle e superare questo ostacolo insieme come tutti gli ostacoli passati.
Solo con lei posso. Solo con lei questo dolore sarà sostenibile.
Luna annuisce. Usciamo dal San Mungo, usciamo nell’aria carica
d’elettricità. Lei entra in una cabina del telefono pubblico e mi guarda con
occhi offuscati. –Sai, ho dovuto imparare ad usare questi aggeggi per
chiamare Mark.- Non che mi interessi sapere chi sia Mark, ma vederla lì mi fa
sorridere. –Comunque, al Ministero mi hanno dato questo numero.- Lo
digita con le dita sottili e poi mi passa il telefono. Con un sorriso mesto mi
lascia solo nell’intimità di questa cabina di vetro.
Sento degli strani “bip” un sacco di volte e poi, all’improvviso,
una voce che sembra lontanissima e fragile dice: -Pronto? Chi parla?
Prendo fiato e rispondo. –Salve, sono Ronald Weasley.-
Scandisco ogni lettera con calma. –Desidero parlare molto urgentemente
con Hermione Granger.- c’è un silenzio febbrile e carico d’attesa.
-La signorina non può parlare ora.
-Mi scusi? Forse non ha capito. È urgente, molto urgente.
Si sentono dei rumori, persone che parlano, persone che ridono. In
quel chiacchiericcio concitato riconosco il suono della sua voce, e il mio
cuore salta un battito. Per un attimo vorrei mettere giù, per non distruggere
la sua serenità, la sua nuova splendida vita, finché non è indispensabile. Io
posso farcela senza di lei, ho imparato a fare a meno della sua forza. Non è egoista
volerla con me solo per un capriccio? Ma poi rivedo il suo sorriso coraggioso e
orgoglioso la notte che affrontammo Voldemort, o quel giorno in riva al lago
che lei affermò che avremmo seguito Harry ovunque fosse voluto andare. E
capisco che non potrei mai, per nulla al mondo, tagliarla fuori o preservarle
il diritto di questo dolore. Lei vorrebbe soffrire per Harry. Con me.
Nonostante mi odi, forse da qualche parte dentro di lei non si è spezzato
l’affetto che, sono certo, un tempo mi apparteneva.
-è lì.- Dico, calmissimo. –Me la passi, la prego. Non ci
vorrà molto.
Un attimo di incertezza, e poi la voce risponde. –Attenda in
linea.
Paziento, come se intorno a me il mondo corresse ma io non avessi
fretta. Nessuno si aspetta davvero qualcosa da me, oggi. Oggi, l’unica cosa che
devo fare è aspettare che tutto torni al suo posto nel mondo, perché nulla ora
è al suo posto.
-Pronto?- chiede una voce lontana, dolce e severa.
Non posso trattenere un singhiozzo sentendola, al di la di una
stupida cosa di plastica che sembra una banana gigante, dopo tanta distanza tra
noi.
-Hermione.- sussurro.
-Ron!- Esclama. Lo stupore e la paura, l’eccitazione e una strana
forma di contentezza trapelano nonostante i chilometri.
Sospiro. –Come stai?- chiedo.
-Io sto bene.- dice, frettolosa. –Tu?
-Mione…- tremo. –Mione, mi spiace di disturbarti così, so
che non vuoi essere cercata ma… Mione, è successa una cosa terribile e penso
che tu debba esserne informata, da… da me.
Sento che si paralizza, mi sembra di poter ascoltare il battito
del suo cuore, e il suo sangue scorrere impazzito nelle sue vene. I suoi grandi
occhi commuoversi in immensi lacrimoni che vorrei asciugare con le labbra.
-Si tratta di Harry.
E sento la parete che ha eretto tra di noi crollare implacabile
sotto una valanga insostenibile di dolore.
-Harry?- chiede, con voce stridula.
-Sì. È in coma. Si pensa ad un attacco di Mangiamorte.
-Oddio.- singhiozza.
Sta in silenzio per un tempo interminabile.
-Come ti senti?
Lei singhiozza. –Tu? Come stai? E Ginny?
-So di non aver nessun diritto di chiedertelo ma…
-Prendo il primo aereo e sono lì, appena posso, oggi stesso se
possibile. Oddio. Come stai?- ripete.
-Io…
-Oh Ron. Vorrei essere già lì. Ti faccio sapere a che ora arrivo.
Non mi posso materializzare da così lontano, ma abbiamo un jet che dovrebbe
essere pronto in qualche ora.
-Io…
-Pensi di potercela fare per qualche ora ancora?- Sorrido,
specchiando questa voce piena di preoccupazione materna, critica, rimprovero,
frenesia, amore fraterno, affetto, con il ricordo delle sue frasi più dolci nei
suoi momenti più dolci. È uguale, solo con qualche anno in più.
-Ci posso provare.- Faccio, con ironia e sincerità.
Percepisco il suo sorriso. –Allora corro, Ron.
E mentre riaggancio in tutto il corpo mi pulsa il disperato bisogno
di averla di nuovo accanto.
*
Okay, lo so che sono sempre un po’ sadica e voglio sempre farvi
piangere (o per lo meno, a me ha fatto piangere scrivere queste cose =P). Però
è anche quello che mi è venuto fuori, non posso farci niente.
E a volte ci vogliono delle grandi cose per superare
delle grandi distanze che ci separano dalle persone, distanze fisiche e
mentali, aggravate da troppe cose e troppi sentimenti che si mescolano insieme.
Ci vogliono delle grandi cose per farci ricordare quanto grande è quello che ci lega
a qualcuno e quanto stupido sia farlo diventare piccolo a cospetto di altre
cose, orgoglio e gelosia e incomprensioni. E poi mettere tutto da parte, e
tornare vicini, per affrontare le cose e ricominciare.
Quindi non accusatemi di troppa “sadicità”, anche se me lo
merito in realtà.
Alla prossima, non vi farò aspettare troppo.
Un abbraccio, e grazie in anticipo per i commenti =)
Va bene volevo postare tra qualche giorno ma poi mi sono sentita
veramente sadica e allora ho deciso di mandare a quel paese i
Va bene volevo postare tra qualche giorno ma poi mi sono sentita veramente sadica e allora ho
deciso di mandare a quel paese i miei progetti e postarvi subito altri due
capitoli. Non posso non dire che sono stata davvero piacevolmente sorpresa dal
vedere quante recensioni ho accumulato in una notte… e il tono entusiasta e
coinvolto delle vostre parole mi ha davvero toccato. Grazie, Grazie, grazie. Tutto
questo non esisterebbe se non ci foste voi a spronarmi e a sorreggermi e a
commentarmi quindi grazie grazie grazie, non smetterò mai di dirlo. Grazie.
Buona lettura, spero =)
Capitolo 6.01
Perdere me.
You won't admit you love me.
And so how am I ever to know?
You only tell me
perhaps, perhaps, perhaps.
A million times I asked you,
and then I ask you over again,
you only answer
perhaps, perhaps, perhaps.
If you can't make your mind up,
we'll never get started.
And I don't wanna wind up
being parted, broken-hearted.
So if you really love me,
say yes.
But if you don't, dear, confess.
And please don't tell me
perhaps, perhaps, perhaps.
If you can't make your mind up,
we'll never get started.
And I don't wanna wind up
being parted, broken-hearted.
So if you really love me,
say yes.
But if you don't, dear, confess.
And please don't tell me
perhaps, perhaps, perhaps,
perhaps, perhaps, perhaps,
perhaps,
perhaps,
perhaps.
{Perhaps, Perhaps, Perhaps - cake}
Hermione.
Nel
momento stesso in cui abbasso il ricevitore, inizio a tremare. Tutto dentro di
me si spezza, tutti i pezzi che avevo messo insieme pazientemente, si
infrangono dolorosamente e cadono al suolo davanti ai miei occhi. Ma non esce
alcuna lacrima, alcun singhiozzo. Richard mi si avvicina con un sorriso tenero,
mi prende per un braccio e inizia a chiedermi: -Chi era? Belle notizie? Tutto
bene?
Mi
trascina nel caldo afoso, nel rumore di persone e animali, nella luce bianca
del sole. Fatico persino a respirare, ma una frenesia implacabile si è già
impadronita di me.
-Devo
correre a casa.- Sussurro. Lui mi guarda spalancando i grandi occhi innocenti.
-Cosa?
Mi scosto
da lui, alzandomi i capelli dal collo sudato, me li lego cercando di prendere
tempo. –Devo correre a casa.- ripeto. –Harry. È in coma. Devo
correre a casa.
-Cosa?-
Ripete lui, confuso. Lo guardo dritto negli occhi.
-Hai
capito. Devo andare a Londra. Adesso.
-Ma… Hermione.-
Gli lancio un’occhiata penetrante e impassibile. –Okay.- Cede, alla fine.
–Okay. Ti faccio preparare il jet, tu fai la valigia. Tra un’ora potrai
partire.
Si tende
verso di me per baciarmi, ma io lo evito e corro nella mia tenda.
Inizio ad
infilare le cose frettolosamente nella borsa, senza perdere tempo a piegare i
vestiti o a stare attenta di non dimenticare qualcosa. Non mi interessa.
Indosso un paio di pantaloni di tela verde scuro e una canottiera. I capelli
legati in una coda, il viso struccato. E mentre mi guardo nello specchio, per
la prima volta davvero da tanto tempo, riconosco sul mio viso l’espressione che
avevo ai tempi di Voldemort. Quello che io ero. Vedo i miei occhi pieni di
paura, le labbra serrate, le mani che mi tremano. Solo che tutta questa
improvvisa paura e insicurezza, ora è scolpita in un corpo di donna, un corpo
troppo magro e abbronzato, in una vita che non centra niente, niente, con quella che avrei voluto ai
tempi di Voldemort. Le magliette e le calze e i pantaloni non ci stanno nella
borsa, non se non sono piegati, così faccio un sospiro, mi siedo sul letto.
Okay. Ho un’ora, è inutile correre tanto. Non posso fare nulla se sono qui.
Butto tutto sul letto e ricomincio da capo, piegando tutto con calma, le dita
che tremano, febbricitanti, su orli distrutti da ore di cammino, su magliette
macchiate irreparabilmente, su ricordi che ora non voglio più serbare. Vorrei
essere a Londra. Vorrei tenere le piccole mani di Ginny tra le mie, stringerla
forte forte a me, e sussurrarle “sono qui”. La immagino, con quell’espressione
forte e indissolubile, con quel sorriso irradiato di dolcezza. La immagino e
una fitta di dolore mi obbliga piegata su me stessa, succube di questa visione
di lei, della mia migliore amica, che ha bisogno di me, e non mi ha lì con se.
La mia Ginny, lei, sempre lei, pronta per me e pronta per essere al mio fianco.
E Ron. E so che ancora più di Ginny, è lui ad aver bisogno di me, ora. Piego
convulsamente una maglietta dopo l’altra, permettendo all’immagine di Ron di
infiltrarsi in me come non le lascio fare da mesi e mesi, mi invade, il suo
sguardo cristallino e innocente, la sua battuta sempre pronta, la sua debolezza
quasi imbarazzante, il suo coraggio, così fragile da potersi spezzare sotto un
alito di vento, il suo essere fedele e dolce, quel ghigno di scherno che mi
dedicava, come se sorridermi davvero fosse un crimine, dirmi che mi voleva
bene, inconcepibile. Eppure, nel momento del bisogno, è la mia mano quella che
cerca. Che ha sempre cercato. Lui, Ron. Sempre spinto da una strana forza a
proteggermi dai mali del mondo, ma bisognoso della mia protezione per non
restarne sopraffatto. Ma la verità è una sola: non può vivere senza Harry. Non
può. Harry è tutto quello che Ron abbia davvero. Tutto, il suo migliore amico,
il suo appoggio nello sconforto, suo figlio e suo padre, totalmente diverso da
lui, eppure così simile negli errori e nei pregi che li hanno fatti diventare
uomini. Quando li ho lasciati sapevo che ce l’avrebbero fatta senza di me,
perché uno aveva l’altro, e questo è sempre stato tutto ciò che contava. Potevi
togliere loro qualunque cosa, l’acqua e la cioccolata, gli scacchi o il
Quidditch, ma non potevi toglierli l’uno dall’altro. Anche quando uno faceva il
coglione, anche quando uno dei due sbagliava, l’altro lo sorreggeva, lo
sorreggeva comunque, pur sapendo che era nel torto. Come quando io e Ron
litigavamo. Harry non stava dalla sua parte perché era contro di me, stava
dalla sua parte perché non poteva fare altrimenti. Non poteva privarsi di Ron.
Quando Harry aveva le sue fisse, Malfoy, Piton, Voci nei muri, quando vedeva
nemici dappertutto e ci voleva trascinare in incredibili missioni, Ron lo
appoggiava anche se non gli credeva, e finivamo per credergli entrambi. Harry
l’ha voluto nella sua squadra anche se non era bravo. Così, socchiudendo le
palpebre, posso vedere Ron seduto, curvo su se stesso, su una sedia davanti
alla camera chiusa di Harry. Posso vederlo perfettamente, e tutto quello che
vorrei è correre da lui e abbracciarlo, stringerlo forte a me, dirgli che ce la
faremo, insieme, in un modo o nell’altro. Ci proveremo. Io non sono Harry, ma
ti voglio bene, Ronald. Immagino di dirgli queste parole, immagino i suoi
capelli rossi e spettinati, i suoi vestiti scelti con gli occhi chiusi. Sento
persino il suo sapore nelle narici, e mi viene da piangere. Mi sento
improvvisamente così debole che non riesco a piegare una sola maglietta di più,
così chiudo la borsa, fregandomene di quello che mi lascio indietro: sono cose
di cui non ho bisogno. Esco di nuovo nell’accecante luce del giorno, dove il
vociare di persone e l’affaccendarsi di maghi mi stordisce. Non voglio salutare
nessuno. Arranco, priva di forze, verso la pista del jet. Harry è in coma.
Questa piccola verità inizia a farsi strada dentro di me, ma io la scarto,
restando concentrata su quanto Ron e Ginny staranno male, non su quanto sto
male io. Non è vero, mi ripeto. Non è vero per niente. Non sta succedendo. Richard mi
viene in contro, mi prende le mani e mi costringe a guardarlo. Si stupisce
davanti ai miei occhi asciutti e alla mia espressione di ferrea convinzione. Va
tutto bene, mi ripeto.
-Hermione,
tesoro.- Dice. Sento il rombo del motore del jet che si scalda e vedo il pilota
sistemarsi le cuffie sulle orecchie. Tutto questo mi sembra così immensamente
irreale, come se lo guardassi attraverso spessi occhiali.
-Va tutto
bene.- Gli dico. –Devo andare, mi stanno aspettando.
-Ti
raggiungo appena posso, io…
-Va bene,
Rick.
-Ti
telefono… telefonami, Hermione…
Lo
guardo, in quegli occhi così immensamente pieni di pena per me, preoccupazione,
coinvolgimento emotivo. Provo una piccola stretta di tenerezza allo stomaco, ma
Richard si trova già dietro alle mie spalle, nel mio passato, mentre io devo
salire su quel jet e ripiombare in qualcosa che lui non può capire. Non può
sentire quello che sento io. Un dolore fisico, un male in tutto il corpo, nel
cuore e nello spirito, persino le gambe non mi reggono, non riesco a respirare,
come se non fosse Harry quello malato, ma io, io che sto morendo mentre la
corrente si porta via tutto quello che ho.
-Ci
sentiamo, Richard, davvero. Ma ora, io…
-No,
aspetta un secondo.
Lo
guardo, stupita. Mi toglie la borsa dalla spalla, mi prende tra le braccia, mi
stringe a se. Mi bacia la testa, mi accarezza una guancia.
-Hermione,
so che sei sconvolta, ma ti prego… ti prego, non salutarmi come se non ti
importasse.
-Richard…-
una parte di me sa che quello che dice è lecito. Ma io ho bisogno di essere su
quell’aereo, ho bisogno di essere lontana da qui… vicino a loro.
-Io ti
amo.- Mi dice, tenendomi ferma per le spalle e costringendomi a guardarlo
dritto in viso. Il sole che brucia sul suo sguardo gli fa lacrimare gli occhi e
sudare la pelle, le sua labbra vibrano, è bello come non l’ho mai visto, con
quell’aria furiosamente innamorata, selvaggia. –Io ti amo, e quello che
vorrei, ora e sempre, è seguirti e stare con te. Ora e sempre.- è serio, ma sulle sue labbra
guizza l’ombra di un sorriso. –Vorrei sposarti.
Lo guardo
con occhi vuoti, smarriti.
-So che
non è il momento più adatto.- Sussurra, e vedo che per un secondo l’ansia
attraversa il suo sguardo sicuro e determinato. Ma è solo un secondo, e poi
riprende a fissarmi con occhi pieni di certezze e affetto, come mai nessuno mi
aveva guardata. –Ma sento che se non te lo dico ora, ti perderò per
sempre.
-Io…
-Non mi
devi rispondere ora. Prenditi il tuo tempo, ma ricordati che io non posso
aspettare per tutta la vita.
-Richard…-
Non so cosa rispondere. Non riesco a dirgli che lo amo. Non riesco a capire se
lo amo. Non riesco a dirgli che lo voglio sposare. Non riesco a capire se lo
voglio sposare. Lo bacio. Lui assaggia le mie labbra con calma, accarezzandomi
come se mi accarezzasse per l’ultima volta. Gli prendo una mano, gliela bacio,
e ora sono io a guardare lui dritto negli occhi. –Grazie di tutto.
Lui
annuisce, mi sorride, e mi guarda salire sul jet con in spalle una borsa quasi
vuota. Mi siedo, faccio un cenno al pilota, e guardo fuori dal finestrino.
Dalla pista, Richard non toglie gli occhi dal jet. I suoi si incontrano con i
miei attraverso il vetro e provo un moto d’affetto verso di lui, di voglia di
stringerlo, di giurargli che non è un addio. Gli sorrido. Ti amo. È un pensiero doloroso. Non
pensavo di amare qualcuno da tanto tempo, come se il solo pensarlo fosse
illegale. Ma forse ora so cosa si prova ad amare qualcuno, un misto di voglia
di scappare perché il cuore batte forte e di bisogno di non lasciarlo mai,
piangere tra le sue braccia e ridere nella sua risata. Voglia di baciarlo, fare
sesso, ma anche solo guardarlo mentre ti guarda volare via. Parlare con lui e
sapere che ti capisce e ti ascolta. Urlargli contro per migliorarlo e farlo
crescere, urlare forte per colmare lo spazio tra di voi, più forte di lui, più
forte di tutto, per spaccare i confini e poterlo cingere con tutta te stessa.
Bisogno di averlo vicino e di stargli vicino. Bisogno di lui. Questo è amare
qualcuno. E forse
io potrei amare Richard. Appoggio una mano al vetro, lo accarezzo, e l’aereo
vola via. Taglia le nuvole e sorpassa gli uccelli. E io mi sento come svuotata.
Tra poche ore rivedrò Ron. Capirò se l’ho dimenticato… Sì, forse l’ho
dimenticato. Forse sono cresciuta, sono cambiata, sono diventata più forte, ma…
Improvvisamente una fitta di terrore mi trapassa tutta. Ho perso me stessa. Mi
sono smarrita. Non sono più io, no, non sono più Hermione Granger, non
quell’Hermione che la gente guarda con una punta d’astio e affetto, quella
ragazza con i ricci crespi e il sorriso un po’ storto che considera la cosa più
importante del mondo rispettare le regole, e ancora di più aiutare un amico,
specie se quell’amico è Harry. L’Hermione che ero non avrebbe indugiato un solo
attimo davanti al terrore di perderlo, mentre ora sto rimandando il momento in
cui prenderò la testa tra le mani e piangerò. Non riesco a farlo, non riesco ad
affrontare il mio stesso dolore, ne ho troppa paura. Troppa paura di rendermi
conto di quello che sta accadendo, questo l’ho sempre fatto, dirmi che “va
tutto bene”, ma lo facevo per affrontare le cose con più fermezza, mentre ora…
ora non sto affrontando nulla. Sto scappando. Sono scappata da Ron e Cassie.
Sono scappata da Ginny e Harry. Sono scappata da Richard. E ora? Ora che fuggo
da tutti coloro che amo o ho amato e che forse mi amano e mi hanno amata?
Questo viaggio è stato un errore. Forse arriverò al San Mungo e Harry sarà
morto. Non potrò fare altro per lui che sistemargli i capelli sulla fronte,
prendere le sue mani e piangerci dentro tutte le mie lacrime. E piangerò come
non ho mai pianto. Ma non servirà a nulla. Harry sarà morto, e io non c’ero,
non c’ero a controllare che non si mettesse nei guai, che stesse bene, che
tutto andasse bene. Sono stata egoista, sono fuggita perché vedere Ron con
Cassie mi faceva male, ma non ho considerato il male che così facevo a tutti
gli altri. E vedo Ron nella pioggia che mi supplica di spiegargli, e io che lo
guardo glaciale e me ne vado. Rivedo Ginny e Harry all’aeroporto, i loro
sguardi rammaricati, come se stessi fuggendo da loro, ed era proprio così.
Fuggivo da quegli occhi pieni di compassione. Scappavo dal loro affetto e dai
ricordi che mi avrebbero riempito la mente, uccidendomi lentamente ogni volta
che vi avrei guardato dentro. Ma… loro sono i miei migliori amici. La mia
famiglia. E io sarei dovuta restare, restare per loro, per sorreggerli e
abbracciarli, per ridere con loro, bere vino con loro, scegliere insieme a loro
il colore della nuova cucina e le lenzuola per la nuova camera da letto. Avrei
dovuto essere la loro Hermione, come ero stata per tutti gli anni della nostra
adolescenza, e invece per colpa di una stupida relazione tra Ron e mia sorella
ho sbattuto tutto al vento. Ho perso l’occasione di star loro vicino. Ho perso
tempo. Ho perso la mia amicizia con Ron. Ho perso tutto: persino me stessa.
Ginny mi
guarda, sul suo viso devastato da una notte di lacrime ora brilla una strana e
cupa determinazione. Mi sorride, con dolcezza, e scorgo nel suo sguardo ancora
l’ombra di un singhiozzo.
-Che ha
detto?- si è legata i capelli, sembra più vecchia, come se in una notte tutti
gli anni della sua vita le fossero piombati sul viso.
-Sta
arrivando.- Dico, piano, stremato.
-Okay.
Ron, ti devo parlare.
-Va tutto
bene.- Le dico. Non ho voglia di sentire ramanzine sull’arrivo di Hermione, non
ora. Mi accorgo di tremare.
-Non mi
preoccupo tutto il tempo per te.- Si stizzisce lei. Ma sul viso le balugina un
ghigno divertito. Poi scappa, sostituito nuovamente da quella cupa
determinazione. –Sei grande e grosso e credo che i tuoi problemi amorosi
siano meno importanti dei miei, al momento.
Mi sento
subito in colpa. –Scusa Ginny. Sono un po’… scombussolato.
Mi
sorride. –Sì, lo so. Volevo solo dirti…
-Cosa?-
la testa mi scoppia, le gambe, le braccia, il petto, tutto mi fa male, un male
cane. Vorrei sprofondare nel mio piumone, chiudere gli occhi e consumarmi
lentamente nella solitudine afosa della mia camera da letto.
-Ron, io
e Harry avevamo appena scoperto una cosa molto, molto importante.
Mi sento
mancare.
-Sono
incinta.
Non posso
trattenermi dal guardare la sua pancia piatta, perfetta, che affiora appena
dalla camicetta attillata. Inspiro. Espiro. Apro la bocca ma non trovo la voce.
Non trovo le parole. Non c’è nulla che io possa dire, e me ne rendo conto
guardando nuovamente il suo viso, il suo bellissimo viso distrutto dal dolore,
il dolore di essere ad un passo dal perdere il suo uomo, il suo primo e unico
amore, l’amore della sua infanzia, della sua adolescenza rubata per origliare
alle porte dell’Ordine e ad allestire piani segreti, della sua gioventù
impiegata a rimarginare ferite. E adesso? Non c’è nulla che io possa dire, così
l’abbraccio, la prendo semplicemente tra le braccia, la stringo. E nonostante
io sia in pena per lei, penso che se anche Harry dovesse morire su quel letto,
entrambi avrebbero avuto almeno un po’ di quell’amore dell’infanzia, dell’adolescenza
e della gioventù di Ginny. Mentre se io dovessi morire ora non avrei avuto
nulla dal mio amore di bambino e adolescente e uomo.
Lo
stomaco mi fa male: lei sta tornando da noi.
Appena
apro la porta di casa, come una nuvola soffice di boccoli d’ambra, con in dosso
un semplice abitino nero che lascia scoperto il 90% del suo giovane corpo,
Cassandra si lancia su di me. Non aspetta di sentire cosa sia successo, e dal
terrore confuso nei suoi grandi occhi nocciola, capisco che lo sa. Qualcuno
deve aver fatto ciò che io non avevo voglia di fare: alzare il telefono e dirle
che cosa sta succedendo. Nell’aria aleggia uno strano sentore di fumo e le note
antiche di qualche cantante dimenticato da Dio. Mi prende le mani e mi porta
sul divano, ma io mi alzo, mi avvio al frigorifero e prendo l’ultima bottiglia
rimasta di champagne. Non posso guardare quegli occhi pesti di dolore per me.
Lo apro con un colpo di bacchetta e bevo direttamente dal collo della
bottiglia, come a sfidarla a dirmi qualcosa. Ma lei non dice nulla, si accende
un’altra sigaretta babbana. Anche la sua sembra un sfida.
-Ron, mi
spiace tanto.- Dice alla fine, la voce sottile.
-Anche a
me.
La testa
continua a girarmi e per un secondo vorrei assaggiare la sua sigaretta. Le dita
le tremano, e per quanto sia bella, splendida, ancora non posso sopportare di
vederla, lei: un’intrusa. E poi davanti agli occhi continua a sfrecciarmi
l’immagine di Hermione, dolce Hermione, Hermione che sta correndo qui, Hermione
che io ho dimenticato, Hermione che non mi ha mai amato ne mai mi amerà. Hermione che un
secondo fa era lontana mille miglia dalla mia vita attuale, un’ombra
inconsistente sullo fondo consunto della mia memoria, e poi il presagio, e il
coma, la telefonata, l’aereo (un jet privato)… e lei sta tornando da me.
Mi siedo
su uno sgabello, immerso in un turbinio di immagini e di parole, di colori e di
sensazioni. Ci è voluto il coma del nostro migliore amico per farti tornare
da me. Mi hai
perdonato? Per cosa poi? Ci sarà tempo per sederci, solo sederci, e parlare?
Guardarci negli occhi, sì, dritti negli occhi, senza niente tra noi, pregiudizi
e antichi litigi, ferite, e parlare? Dirci ciò che ci siamo taciuti, prenderci
per le mani, sorriderci, e trovare che anche oggi, oggi che siamo adulti fatti
e finiti, c’è ancora qualcosa che possiamo condividere, qualcosa al di là di
ricordi e dolori e vecchie (vecchissime, ma per nulla dimenticate) passioni?
-Ron,
dovresti chiamare Hermione.
-Sta
arrivando, arriva, anzi, dovrei andarla a prendere all’aeroporto.
Questo mi
fa alzare, mi fa mettere via la bottiglia, e mi trascino in bagno, mi tolgo i
vestiti, mi butto sotto la doccia e per un attimo, lascio che solo una strana
serenità si impadronisca di me: Hermione.
-Tra
quanto? Dove? Vengo con te.- Questa volta non è una domanda, non può accettare
un “no”. Ma non può venire. Non può infiltrarsi in questo sgomento, ed
Hermione, piccola Hermione, non può vederci insieme.
-Tra
un’ora, in un posto che non conosci. No, non verrai.
-Ron!
Esco
dalla doccia, mi lego un asciugamano in vita ed entro in camera, apro l’armadio
e inizio a frugare alla ricerca di qualcosa che dica “sono adulto, sofisticato,
e ti ho dimenticata”.
-Ron!
Questa
volta mi obbligo a girarmi verso di lei, a fronteggiarla.
-Dimmi,
Cassie.
I suoi
grandi occhi sono spogli da tutta la loro innocenza. Mi fissano, cruenti e
severi. –Ti piaceva. Tu l’amavi. Forse tuttora ti piace. Forse tuttora la
ami.-
Apro la
bocca per ribattere, ma lei mi zittisce con un gesto fulmineo della mano
sottile, un sorriso triste e amaro sulle belle labbra pallide. –è sempre
stato così, sai? Tutti erano sempre catturati da Hermione. Certo, da bambina
non era una gran bellezza, ma nessuno ci faceva caso. Tutti erano innamorati di
lei, non che glielo dimostrassero, ma io lo vedevo, lo sentivo, che tutti la
ritenevano… superiore. Come in effetti è, no? Mamma e papà ci provavano a farmi
sentire alla sua altezza, ma io non lo ero. Lei, così intelligente, così acuta,
così furba, quando tutti gli altri bambini zoppicavano su Topolino, lei già correva
sulla Austen, e via, un classico dietro l’altro. Io non sapevo cosa volevano
dire le parole che lei usava. Aveva sempre i vestiti più belli, sempre, non che
le importasse, sai. No, poteva avere un sacco di patate addosso, bastava che
avesse un grosso libro da divorare, ed era felice. Quando arrivavano a me, quei
vestiti, non erano più così belli: tutti lisi, tutti fuori moda, sai.
Sorrido.
Sì, Hermione.
-Mamma
adorava fotografarla, anche nel suo periodo quello brutto, quello quando aveva
quei dentoni che poi si è fatta magicamente sparire. Io odiavo le mie foto,
erano fatte per pietà. Anche se qualcuno mi diceva che io ero la “bella” e
Hermione l’“intelligente”.- mima le virgolette con un gesto della mano. -A me
sembrava che lei fosse tutto e io nulla.
So che
dovrei dire qualcosa ma questi ricordi non miei mi feriscono e mi guariscono.
Hermione.
-Poi è
arrivata la lettera, la spiegazione del perché lei, mia sorella, fosse così
perfetta e stratosferica e io, invece, così normale.
Lei non è
normale. È fantastica. Diglielo.
-E poi
lei è uscita dalle nostre vite. Sparita, scappata, e ve la siete presa voi, tu
e Harry. È diventata vostra. Forse lo è sempre stata. A me sono rimaste le
briciole. Le briciole dell’amore di mamma e papà, delle attenzioni degli amici,
delle attenzioni dei parenti, i suoi vestiti, i suoi libri. Li ho letti, quei
libri. Belli, bellissimi. E mentre io leggevo i suoi libri e vivevo la sua
vita, come la chiamate, babbana, lei viveva in un castello, batteva Signori Oscuri e ti
faceva innamorare di lei.
Ho la
bocca secca e gli occhi brucianti di lacrime. Dentro, mi sento tutto un
brivido.
-Poi
ricompare, sembra voler riagganciare i rapporti, io e te facciamo sesso… e lei?
Sparisce. Di nuovo. Mi lascia ancora una volta le briciole, le briciole del suo
passato ora che non le interessa più: tu, Harry, Ginny, i signori Weasley, e
Tonks e Lupin, la tua strepitosa famiglia e i vostri strepitosi amici… Anche
se, diamine, le interessa ancora. E allora perché se n’è andata? Oh, io lo so benissimo perché.
Il suo
splendido, incantevole, viso è coperto di lacrime, le mani le tremano, le
spalle sobbalzano, il suo petto si alza e si abbassa velocemente sotto i suoi
seni dorati, i boccoli le si appiccicano alle guance, i suoi occhi sembrano
innaturalmente grandi mentre mi guardano. –Ora lei sta tornando, e tu… tu
la ami ancora?
-Io sto
con te.- Non riesco a dire altro. Mi avvicino a lei, prendo le sue mani nelle
mie e le bacio. Vorrei gridarle di non fare la scema. Io non ho mai amato
Hermione! Né l’amerò mai. Eppure mi sento ubriaco, ubriaco di gioia all’idea di
rivederla, ubriaco delle parole di Cassandra, ubriaco di tutti questi assurdi
sentimenti. Lei mi fissa con i suoi grandissimi occhi e nella mia mente
balugina l’idea che io stia prendendo in giro un sacco di persone, in questo
momento, e per primi, io e Cassie.
-Questo
non è sufficiente, Ron. Hermione è unica, di Hermione ce n’è una e una
soltanto. Se stai con me per fingere di stare con lei… se non tieni a me… e non
mi ami come in passato mi hai detto… Se pensi di provare qualcosa per mia
sorella, ti prego, lasciami.
Ma io le
bacio ancora le mani, incapace di farlo, incapace di capire, incatenato a
stupidi errori del mio passato e del mio presente e del mio futuro, il mio
grande errore, Hermione. E ora sua sorella, perfetta e inimitabile quanto lei,
mi supplica di fare una scelta, ma io non so farlo, non ora.
-Cassie,
non ora, ti prego.- supplico. –Ora io devo andare…
Sì, so
che è sbagliato, ma là fuori c’è il mio migliore amico in coma, mia sorella
incinta di lui, mia madre che si scioglie in lacrime davanti alla porta della
sua camera d’ospedale… e lei che mi aspetta in un aeroporto per affrontare tutto
questo con me.
-Devo
proprio andare.
*
Okay, piccolo capitolo di intermezzo. Spazio a Cassie, sperando
che ora la odierete meno. Creo un po’ di suspance per il momento che credo
state aspettando, a questo punto. Sperando di sorprendervi almeno un po’ nei
prossimi capitoli.
Ma non vi tengo sulle spine tanto, perché vi voglio bene =P
Oggi non vi annoio con un mare di preamboli inutili…
Buon capitolo =)
Capitolo 7.01
Sapore di te.
Step one you say we need to talk
He walks you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Let him know that you know best
Cause after all you do know best
Try to slip past his defense
Without granting innocence
Lay down a list of what is wrong
The things you've told him all along
And pray to God he hears you
And pray to God he hears you
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
As he begins to raise his voice
You lower yours and grant him one last
choice
Drive until you lose the road
Or break with the ones you've followed
He will do one of two things
He will admit to everything
Or he'll say he's just not the same
And you'll begin to wonder why you came
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
How to save a life
How to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
How to save a life
{How to save a life- the Fray.}
Hermione.
L’aria è
brillante, bianca, fredda. Inglese, dannatamente inglese. La corsia è sgombra,
la luce abbagliante, il cielo nero. Mentre scendo gli scalini, facendo un cenno
di ringraziamento al pilota, il vento mi soffia i capelli sul viso, furioso.
Rabbrividisco nel mio abbigliamento estivo. Poi setaccio la pista, in ricerca
di lui. Ho le
guance asciutte e il cuore quasi immobile nel petto. Continuo a guardare tutto
come da dietro spessi occhiali. Persino la proposta di Richard mi sembra
lontana da me, lontana dalla mia vita. Forse in effetti me la sono solo
sognata, come mi sono sognata tutto questo. Ora aprirò gli occhi e sarò ancora
nella mia tenda a lottare contro zanzare affamate del mio sangue tra le braccia
sudate di Richard, lo sveglierò con un bacio e faremo un altro veloce round
d’amore prima di tornare dai nostri casi disperati da salvare.
Sul bordo
della pista, troppo colorato nel mezzo di questo acquoso e grigio scenario, Ron
sembra intenzionato a sparire nel nulla. Cammino lentamente, per poterlo studiare
il più possibile, da lontano. Il mio cuore resta immobile, muto, congelato. Non
è il Ron che ricordavo, è alto, certo, i capelli rossi, le orecchie rosse, le
lentiggini, gli occhi dall’azzurro folgorante e innocente, li alza su di me e
abbozza un sorriso imbarazzato. Mi sento studiata e anche io mi imbarazzo,
abbasso lo sguardo sui miei piedi, intrappolati in ciabatte rotte.
-Ehi.- Lo
saluto. Improvvisamente non so come comportarmi. Abbracciarlo? Baciarlo?
Stringergli… la mano? Una pacca sulla spalla? Cosa siamo? Amici? Conoscenti?
Fratelli? Lui non sa che un tempo ho sognato di poter essere “amanti”.
-Ehi.-
Risponde. Le sue labbra si aprono in un sorriso carico di dolcezza e nuovo,
tenero, imbarazzo. Mi avvicino ancora, ora siamo uno di fronte all’altra. I
suoi occhi sono rossi, profonde occhiaie contornano il suo sguardo grave.
Anche lui
sembra non sapere cosa è bene fare, e mi rendo conto di non essere la sola a
ricordare come ci siamo salutati, il fatto che non gli ho dato un perché, il
silenzio di questo ultimo anno tra di noi. Gli sorrido, tentando di rimandare
il momento dei chiarimenti il più possibile: per sempre, magari.
-Come
va?- chiedo.
Lui
scuote il capo. –Lascia stare. Tu? Tutto… bene?
Mi
stringo nelle spalle. –Sono molto preoccupata…
-Sì. Dai,
vieni.
Apre la
portiera di una macchina rosso mattone, e io entro in quel riparo caldo e
ovattato. Lui si siede alla guida e si tuffa nel traffico.
-Una
macchina?- chiedo.
Annuisce.
Il silenzio tra noi ha un che di assurdo, non ricordo che vi sia mai stato.
–Pensavo che fosse meglio parlarne un po’ prima di arrivare all’ospedale.
-Sì.
Giocherello
con un riccio e mi appoggio al vetro gelato mentre una pioggia bollente inizia
a sferzare l’aria, proprio come durante la nostra ultima conversazione. E
risento quella morsa al cuore e allo stomaco, quel battito doloroso nel petto,
quel respiro febbricitante ballarmi sulle labbra. Lui tiene le mani serrate sul
volante, le spalle rigide sotto il golf blu notte, gli occhi fissi sulla
strada, immobili.
-Sta…
tanto male?- chiedo.
-Non si
sa ancora, sai, i Guaritori non possono definire… ancora non ce l’hanno fatto
vedere… e poi non sappiamo come… gli abbiano fatto… questo.
-Pensi
siano stati i Mangiamorte?- un brivido ci percuote entrambi mentre, lentamente,
pronuncio queste parole. Ed è come se al mondo ci fossimo solo noi: solo noi
possiamo capire, questo dolore non appartiene ad altri, questo terrore è tutto
nostro.
-Chi
altro potrebbe volere morto Harry Potter?
Silenzio.
–Ma lui… lui non morirà, vero?- chiedo, e ancora una volta rabbrividiamo.
Vedo i suoi occhi bagnarsi di lacrime e vorrei abbracciarlo, ma non posso
farlo. Anche se stiamo abbattendo il muro tra di noi, lui è ancora lì,
dolorosamente eretto da anni di discussioni, incomprensioni, imbarazzi,
menzogne.
-Io lo
spero.- La sua voce è ancora dolce, ma velata di malinconia.
L’aria si
fa improvvisamente pesante. –Sì, me l’ha detto prima che venissi, penso
volesse che te lo dicessi io, sai, per non doverlo fare lei, e piangere e tu
piangi e tutte queste cose qua.- Ma io non piango, respiro pesantemente.
Penso che
certo che Ginny è sfatta e distrutta. Avrà bisogno di me, qui, e provo un dolce
calore dentro sapendo che tra poco potrò abbracciarla.
Mentre
corriamo nella campagna inglese fuori Londra, bloccati nel traffico
dell’ingresso della città, la pioggia che rende tutto incredibilmente grigio,
lui resta con gli occhi fissi sulla strada, fingendo che io non ci sia.
-E… tu?
Tutti i
muscoli del suo corpo si contraggono.
-Io…- la
voce gli si spezza. –è molto complicato. Sono felice che tu sia qui.
È come se
la gola mi si gonfiasse, non riesco a respirare o a parlare, commossa. Per la
prima volta da tanto tempo non c’è menzogna sul suo viso, nei suoi occhi, nel
suo sguardo, tra di noi. –Sono felice di essere qui… Sono certa che non è
poi così complicato.
-Sì, e
non ti immagini nemmeno quanto.
Il San
Mungo è proprio come ogni volta che ci sono stata negli ultimi, troppi, anni
nelle ultime, troppe, visite che ho dovuto fare. Ma questa volta l’ansia che
provo non è nemmeno minimamente paragonabile a quella delle altre volte, forse
solo a quella lontana mattina in cui sono dovuta andare alla ricerca di Ron e
Harry per sapere che ne era di loro, che ne era del mondo, che ne sarebbe stato
di me. Mi sento soffocare, per la prima volta vacillo, e non è solo per Harry,
ma anche per Ron, che è disperato per qualcosa di così “complicato” che non può
condividerlo con me, per Ginny, innamorata, incinta, con Harry su quel letto… e
per me, adesso, che sono qui come una naufraga, vorrei lenire i loro dolori ma
ho anche io un sacco di dolori: i dolori per loro, i dolori per Harry, e perché
Richard mi vuole sposare e io non capisco cosa provo per Ron. Perché mi sento
soffocare?
Il
corridoio è vuoto, lui si volta verso di me e mi sorride. –Sei fortunata,
se ne sono andati tutti. Prima c’era una folla incredibile.
-Possiamo
vederlo?
-Sì.
Penso di sì.
Spinge
una porta ed entriamo nella sua camera, una camera bianca e profumata di pulito
e pozioni, e su un letto è sdraiato Harry, pozioni attaccate al suo corpo, una
lampadina illumina lugubre le sue guance scarne e pallide, la sua cicatrice
sembra innaturalmente grande, senza occhiali il suo viso appare incredibilmente
vulnerabile e spoglio.
Mi sento
mancare. Un dolore ovunque che ammutolisce tutti gli altri dolori, come se
fosse il mio corpo stesso quello steso su quel letto, ogni angolo del mio corpo
soffre, mi devo appoggiare alla parete per stare in piedi. Anche Ron adesso non
può più mascherare il male che sente, chiude la porta appoggiandovisi sopra,
pallido con un cencio, con le labbra vibranti e le orecchie più paonazze che
mai. Arranco a fianco a Harry, prendo la sua mano pallida, gelata, fragile tra
le mie e, senza riuscire a frenarmi, inizio a piangere. Sento Ron che mi si
avvicina, mi toglie la mano di Harry e io non ho la forza di oppormi, mi prende
tra le braccia e mi stringe. Piango, piango così forte che mi soffoco con i
miei stessi singhiozzi, bagnandogli il golf e il collo e le guance, ma lui
continua a stringermi, e anche le sue lacrime scorrono su di me, bagnandomi
icapelli, le mani, il collo, le
guance, ci sorreggiamo a vicenda, sospirando e singhiozzando, mi appoggio a lui
come non mi sono mai appoggiata a qualcuno; e la cosa mi spaventa
terribilmente, perché lui non è “qualcuno”: è Ron.
Non so
quanto tempo passi, quanto ne sia passato quando finalmente alzo gli occhi su
di lui, abbozzo un timido sorriso umidiccio e lui risponde al sorriso con
sincerità.
-Lo so
che stai male.- Dico.
-Sì,
anche io lo so. Che stai male.
Mi scosto
da lui, mi asciugo le guance, e quando lo riguardo in viso, anche lui si è
ricomposto. Lancio un’ultima occhiata a Harry, steso senza forse su quel letto
d’ospedale, e usciamo nel corridoio ormai illuminato dalle bolle di luce perché
fuori deve essere caduta la sera.
-Ron!- La
sua voce irrompe con furia nella mia testa, e mi volto. Cassie è seduta su una
sedia, i capelli fulvi e gonfi che incorniciano la sua figurina magra e dorata,
i suoi immensi occhi innocenti e allagati d’amore e preoccupazione per Ron. Gli
getta le braccia al collo, lo bacia su tutto il viso, sussurrandogli parole
roche che io non capisco. Poi si volta verso di me.
-Mione!-
è imbarazzata, tutta rossa e scarmigliata ora, la bambolina perfetta che ho
sempre sognato di essere. La rabbia che provo nei suoi confronti imbarazza
anche me, mentre lei mi prende le mani e mi bacia morbidamente le guance, con
quelle stesse labbra con cui un secondo prima baciava Ron. Provo a cogliere un
ultimo frammento del suo sapore. –Ginny mi ha portata qui, adesso è in
bagno, sarà qui a minuti. Come stai?
-Sono
stata meglio. Tu?
Ma non
ascolto la risposta, e nemmeno Ron lo fa, ne sono certa. Il suo chiacchiericcio
è solo una musica di sottofondo, lui appoggia la guancia alla sua testa morbida
e chiude gli occhi, come se fosse troppo stanco per continuare, e lei gli tiene
la mano, accarezzandogliela dolcemente. Lei lo ama, forse lui ama lei. Ginny
aveva ragione dicendo che aveva ricominciato. Mia sorella ama quello che
pensavo dovesse
essere il mio uomo, lo ama tanto da essere stata sempre qui con lui a tenergli
la mano e a baciarlo morbidamente sulle labbra. E Ron ama Cassie, la mia
esotica e splendida sorella che si prende tutto quello che io non riesco ad
apprezzare del tutto, che riesce a conquistare tutto ciò che io non riesco a
raggiungere. Ron merita il suo amore, e Cassandra merita l’amore di Ron.
Forse io
dovrei sposare Richard e ignorare come mi batte il cuore in questo momento,
ignorare l’ansia, l’amore, la rabbia, tutto…
In quel
momento Ginny esce dal bagno, il su viso è una maschera di sofferenza e i
capelli rossi fiammeggianti fanno a pugni con il colorito cereo delle sue
guance. –Mione…- Singhiozza. E mai, mai, l’avevo vista così, lei, sempre
forte e indistruttibile. Erano anni e anni che non vedevo le lacrime su quel
volto, e nemmeno ricordo l’ultima volta che quelle guance erano state bagnate.
La prendo tra le braccia e la stringo più che posso. –Andiamo a casa…
La porto
a casa, le preparo un latte bollente che rifiuta, io e Luna la laviamo sotto la
doccia mentre l’acqua calda e profumata si mescola alle sue lacrime e i capelli
ci si appendono alle dita, i suoi seni sembrano più piccoli di come li
ricordavo, e provo a cogliere se la sua pancia è un po’ più grande. Gliela
accarezzo e lei singhiozza più forte. Le mettiamo un pigiama caldo, lei trema,
la sdraiamo a letto, e beve il suo latte. Si adagia trai cuscini e le coperte,
e io mi stendo accanto a lei, l’abbraccio, e lei si lascia stringere. Mi tiene
una mano. –Sono qui, qui con te.- Le sussurro all’orecchio. Lei annuisce,
chiude gli occhi e cade addormentata.
Anche io
chiudo gli occhi, senza lasciarle la mano, ma non mi addormento, dormire
accanto a lei mi fa navigare in un mare di una bellezza struggente, pesante
sotto il peso di ricordi pieni di Harry, di Ginny, di Hogwarts, di Voldemort…
di Lui.
*
Abbracci. Ecco quello di cui avremmo bisogno, a volte. Solo di un
abbraccio.
Dalla persona amata, dalla migliore amica, da un fratello, dalla
mamma.
Bracci muti, ma molto più significativi di tante parole.
Abbracci. Colmare le distanze. Abbracci.
Apro gli
occhi lentamente, percependo già le piccole dita di Cassandra chiuse a pugno
tra le mie, la sua testa soffice sul mio petto. E improvvisamente mi sento
soffocare, come se il cuore mi palpitasse nella gola, impedendo all’aria di
entrare e uscire regolarmente dal mio corpo. Mi muovo appena e lei alza il viso
all’altezza del mio, guardandomi con i suoi occhi innocenti e maliziosi,
improvvisamente pieni di una strana consapevolezza, e il sorriso severo e duro
di Hermione le sfiora delicatamente le labbra. Non è mai stata tanto simile a
lei. Né tanto diversa.
-Buongiorno.-
Sussurro. Non so come sono finito qui, nel rifugio sicuro del suo piumino
candido, nella morbidezza tranquilla del suo seno, nella stretta educata delle
sue braccia, nell’esuberanza della sua risata. Io, naufrago di una battaglia
navale e lei, la sirena che mi ha portato all’asciutto sulla battigia. Non so
come sono arrivato qui, stanotte, né quella sera di ormai un anno fa quando
sono salito con lei nella camera dei miei genitori e per la prima volta sono
sprofondato nella sua trappola di tenerezze.
-Buongiorno.-
Biascica lei, roca, e le labbra le tremano appena.
Le
accarezzo una guancia, liscia e profumata di crema.
Ci
osserviamo in silenzio per un lungo minuto nel bagliore argenteo della mattina.
-Mi vuoi
lasciare vero?- dice alla fine, e la sua voce suona stranamente forte nel
silenzio della stanza.
-Io…
-Tu me lo
devi dire, se vuoi farlo. Me lo devi, come mi dovresti una spiegazione, anche
se non serve, io…
-Cassie…
-Tu non
vuoi stare con me. Non hai mai voluto. Tutto questo è stata una farsa, non è
vero? I ti amo, i
tesoro, i
regali, i fiori… tutta una farsa. Vero?
-No, non
una farsa. Un errore, forse, ma…
-Un errore?-
adesso non c’è rabbia sul suo viso, ma una cupa amarezza le disegna una piega
tra gli occhi. –Un errore.- sospira pesantemente.
-Io ci
credevo.
-Sì.
Anche io. Ci ho creduto.
Annuisco,
ma non riesco ad alzarmi, non riesco a separarmi da questo torpore,
dall’illusione di questa vita che per un attimo mi è parso possibile chiamare
mia.
-Sono
convinto di averti amata. Ma forse ora questo non è più… possibile.
-Non
venirmi a parlare d’amore, per favore.- ora sembra arrabbiata, e questo quasi
mi rincuora. Preferirei che mi cacciasse urlando, piuttosto che continuare a
cullarmi con il suo sguardo vaporoso e vellutato. –Tu mi stai lasciando
per lei. Ho dovuto raccattare le briciole, sistemare le tue ferite, e ora sei
pronto per tornare tra le sue braccia. Va bene così.- Si sdraia, voltandosi su
se stessa, dandomi la schiena. Mi ritrovo a fissare i suoi boccoli irradiati
dalla luce dell’alba. –Va bene così. Ma almeno non parlarmi d’amore.
Annuisco,
le accarezzo brevemente il capo, ed entrambi rabbrividiamo, in quel fragile
istante in cui qualcosa si spezza, e l’aria si fa improvvisamente gelata.
Mi alzo e
la lascio li, sola nelle coperte ancora calde di noi.
E mentre,
bendato nei vestiti di ieri, nella mattina grigia e febbricitante, cammino per
le strade, provo un dolore sordo nel petto per quello che le ho fatto, per
quello che ci ho fatto. Ma nonostante questo c’è anche una felicità altrettanto
sorda che palpita dentro di me. Hermione, Hermione, Hermione. Continuo a
ripetermi il suo nome, lo sussurro a fior di labbra, lo bevo come il nettare
più dolce, assaporandolo come un profumo squisito. Hermione. E mentre arranco
nel primo traffico mattutino, ebbro di emozioni troppo forti, il suo viso
allagato di lacrime affiora nella mia mente e io lo accarezzo come se lo avessi
tra le mani. Hermione.
Suono a
casa di Luna, perché la mia casa da scapolo, così vuota, fredda, profumata del
corpo di Cassandra e del mio amore proibito per sua sorella, rischierebbe di
distruggere l’improvvisa forza che mi si dibatte dentro, forte e
indistruttibile. Entro, barcollando per le scale. Poi la porta di casa sua si
apre, ma nella penombra del corridoio non si staglia Luna, la sua pallida
nudità ogni volta che mi ha aperto questa porta, il luccichio dei suoi occhi e
dei suoi capelli e il fruscio delle sue gonne ogni volta che mi ha fatto
entrare qui, lo scampanellio dei suoi gioielli ogni volta che mi ha invitato a
bere qualcosa, il suo sapore di gelsomino ogni volta che mi ha baciato le
guance. Incorniciata dalla porta c’è Hermione, bardata in una vestaglia
sbrindellata, i ricci in una massa informe intorno al viso pallido e smunto,
due cerchi lividi intorno agli occhi stanchi, una tazza fumante in una mano, la
maniglia gelata della porta nell’altra. Il sorriso che mi rivolge è tirato, uno
sforzo sovrumano che le disegna una ruga tra gli occhi, una piega gemella a
quella di Cassandra.
Non
l’avevo notata prima.
-Buongiorno.-
Sussurra, roca e gentile.
-Buongiorno.-
Rispondo, stordito da quella visione, così vulnerabile e fiera, inaspettata.
Arretra
per lasciarmi entrare.
-Ho
portato qui Ginny, ma non sono riuscita a dormire molto. Tu come ti senti? Ti
preparo un caffé.
Mi
precede nella cucina affollata di spezie e boccette, di cuscini e legno, così
diversa da quella che Luna e Ginny condividevano quando vivevano insieme. Mi
sembra passato un secolo da allora.
-Sono
molto stanco.- Biascico con voce un po’ impastata.
Mi siedo
su uno sgabello mentre lei mi versa una tazza fumante di caffé e ci aggiunge il
latte e lo zucchero, distrattamente, come un’abitudine.
Si siede
di fronte a me, la criniera disordinata e arruffata intorno alle guance pulite
e fresche.
-Non
abbiamo avuto molto tempo per parlare.- Faccio io, piano. –Del resto,
insomma, Harry a parte.
La vedo
avvampare.
-Di che…
vuoi parlare?
Mi
stringo nelle spalle. –Non so. Come stai? Com’è andato il tuo viaggio?
Annuisce.
–Bene, bene. È stato molto… interessante, emozionante…
-Hai
fatto quello che volevi. Hai dato una mano. E cambiato aria.
-Sì.
-E ora
sei pronta a… tornare?
Arriccia
le labbra in maniera deliziosa. Nello specchio di quella bellezza che sembra
appassita, si riflette la bambina che ho amato, e che tuttora amo.
-Pensi
che dovrei tornare?- Mi chiede, seria e corrucciata.
-Io sì. E
lo spero. E lo voglio.
Ride,
imbarazzata. –Ma che ti importa? Tu hai Cassie, tu…
Scrollo
la testa. –Mi sei mancata.- Mi sorride, gli occhi luccicanti di qualcosa
di simile all’affetto, e penso che forse mi ha perdonato. –Quindi
tornerai?
-Dipende…
-Da cosa?
Si
puntella sui gomiti, mettendo il mento tra le mani, le sopracciglia tanto
vicine da sembrare un’unica linea scura.
-Sai,
Ron, in questo viaggio sono cambiate un po’ di cose nella mia vita. Per me,
insomma.
-Sì?
-Sì. Vedi
io ho… conosciuto una persona.
Mi sento
avvampare, i capillari della faccia minacciano di scoppiare sotto la mia valle
di lentiggini, e lei distoglie discreta lo sguardo dalla mia reazione, mentre
io mi nascondo dietro la tazza e bevo una sorsata lunghissima di caffè bollente
che mi brucia la lingua.
-Una…
persona?- faccio poi, con aria disinteressata e noncurante.
E io che
ho appena lasciato sua sorella per lei.
-Sì. Si
chiama Richard.
Richard,
certo, come ho fatto a non sospettare?
Mi
sembrava un tipo un po’ alla Vicky.
-E tu e
Richard state, come dire, insieme?
-Sì, direi
di sì. Sai, lui mi ha, ecco… chiesto di sposarlo.
Ora
riesco a reagire con più diplomazia. Certo, lei e Richard.
Eroici e
chic.
Buon per
loro.
-Ah.
Complimenti!- forse ci metto un po’ troppa foga, mi bagno di caffè le mani, e
mi brucio. Lei mi passa un tovagliolo, il viso una maschera di indifferenza.
-Sì.
Grazie.
-Che hai
risposto?
-Non ho
risposto.
Annuisco.
–E che risponderai?
-Non lo
so.
-E
perché?
-è
complicato.
-E
perché?
I suoi
occhi lampeggiano, umidi. –è complicato Ronald.- Fa, con il tono con cui
mi rimproverava da ragazzina. –è complicato perché non so se sono pronta.
-A
sposarti?
-E
rinunciare al resto.
Mi
stupisce la sua sincerità, la limpidezza delle sue parole, del suo sorriso, dei
suoi occhi. Come se il muro eretto tra noi fosse crollato abbastanza da
permettermi ancora di vederla, studiarla, conoscerla.
-Io e
Cassie ci siamo lasciati stamattina.
-Oddio,
mi dispiace. Perché?- Il suo viso torna una maschera.
-Penso
che fosse complicato.
Ride.
–Alla fine siamo noi a complicare sempre le cose.- Afferma. E non sa
nemmeno quanto vero sia quello che ha appena detto. Mi sfiora una mano.
–Mi dispiace davvero che le cose tra voi siano andate male. Stavate bene
insieme, almeno credo.
-Credo.
Ridiamo
tutti e due, l’aria si fa improvvisamente fresca e leggera. Poi entrambi
torniamo seri, memori del perché siamo qui, insieme. Nonostante fosse quello
che volevamo, o almeno quello che volevo io.
-Ron io
ti devo…
In quel
momento la porta si apre, e ne appare una Ginny scarmigliata e pallida, avvolta
in una coperta marrone, le labbra serrate. Ci racchiudiamo in un rispettoso
silenzio mentre lei si siede accanto a noi, e Hermione le versa il suo caffè,
aggiungendoci un cucchiaio di zucchero di canna e servendoglielo senza latte,
così come l’ha bevuto ogni mattina della sua vita. I lunghi capelli rossi e
setosi le si appiccicano alle guance umide di lacrime versate nel sonno, ma ora
i suoi occhi sono asciutti e forti, pieni di quell’assoluta determinazione che
in lei è sempre stata la cosa più incredibile.
-Che ora
sono?- chiede, la voce così ferma da farci vacillare.
-Le
8,30.- Risponde Hermione, con la stessa rapidità con cui rispondeva alle
domande dei professori, la stessa sfrontataggine. Un modo come un altro per
mascherare quella dannata insicurezza che le affiora sotto la pelle, quasi come
un profumo.
-Luna
dov’è?
-Dorme
sul divano.
Ginny
annuisce, entrambe le mani chiuse intorno alla grande tazza e la boccuccia
protesa per soffiarci sopra il suo respiro amaro.
-Non
guardatemi come se fossi una malata terminale, okay? Harry non è morto.
Potrebbe morire, certo. Come avrebbe potuto morire in passato. Non è nulla di
diverso da quello che mi è già successo in passato. Voi forse non ricordate,
eravate privi di sensi. Ma io ho atteso in quei corridoi per interminabili
giorni e ore che voi vi svegliaste, di sentirmi dire che c’era speranza. C’era
speranza, e voi ora siete qui. E finché non mi sentirò dire che Harry è morto
continuerò a credere che lui si sveglierà. Perché altrimenti non so che ne sarà
di me. Dunque non guardatemi come se fossi una malata terminale, perché non c’è
niente di terminale. Harry non sta morendo. Non ancora.- La sua voce suona così
sicura, così severa, che sia io che Hermione distogliamo lo sguardo dal suo
viso, e nel farlo i nostri occhi si incrociano. Un lieve contatto che mi fa
sussultare.
Poi si
alza, lentamente, appoggiando la tazza nel lavello. Ci sorride.
-Andiamo?-
chiede.
Annuiamo
tutti, tranquilli. Loro due spariscono verso il bagno, e io resto solo con il
mio rimasuglio gelato e troppo dolce di caffè, il sorso che preferisco:
l’ultimo. Resto a fissarlo a lungo, assorto, mentre immagino Hermione che si fa
la doccia e ammansisce i suoi ricci selvaggi, immagino il suo seno e il pallore
latteo intorno al suo ombelico, la morbidezza infantile dei suoi fianchi, e mi
cullo in questa proibita fantasia, mentre una schiuma immaginaria bagna anche
gli angoli più reconditi della sua figura, e mi crogiolo in questo momentaneo
piacere al quale non mi abbandonavo da mesi e mesi.
Dopo un
tempo indefinibile appaiono tutte e tre sulla soglia, pulite e smaglianti, con
falsi sorrisi e stupide frasi sulle labbra. Mentre le seguo per le strade
inondate di pallido sole mattutino, non posso fare a meno di studiarle, di
osservare le loro forme e i loro colori nella valle di cemento e persone che
arrancano con i caffé fumanti in mano, in quell’oceano di vita e profumi.
Le
osservo con discrezione, assorbendole per un futuro di vecchiaia e cecità in
cui potrò solo ricordarle. Luna, i capelli biondo cenere sciolti in una cascata
scomposta fino al sedere, il maglione sformato fatto a mano, una gonna blu
notte che le sfiora dolcemente le caviglie nude nel vento gelido. Ginny, un
paio di jeans e una maglietta larga, sotto ad un cappotto marrone, come se non
le importasse, i capelli legati in una treccia severa, le dita serrate intorno
alla borsetta. Hermione, i ricci sistemati sotto un cappellino per nascondere
le ombre del suo viso, una giacca di jeans (non aveva altro nella sacca di
tela) e un paio di pantaloni di stoffa. I suoi piccoli piedi nudi ballano nelle
ciabattine estive, evitando accuratamente le pozzanghere.
Il
manichino dal vetro del Mungo ci guarda con i suoi occhi vitrei, e in un
momento siamo nel profumo freddo dei medicinali e nello scalpiccio delle scarpe
dei Guaritori.
Ginny si
avvicina tranquilla ad uno di loro, un collega, un amico forse. Dopo pochi
secondi si gira verso di noi con un sorriso radioso tra le guance rosse.
E i suoi
occhi non hanno mai brillato tanto in tutta la sua vita.
*
E poi mi date
pure della sadica… =P (Ma non eri tu a darti della sadica? NdTutti.) (Questo è
il mio spazio per parlare a vanvera! NdMe)
Ho scritto questi capitoli in uno stato di frenesia e malinconia totali,
la voglia di leggere DH e la tristezza per la fine, i
Ho scritto questi capitoli in uno stato di frenesia e malinconia
totali, la voglia di leggere DH e la tristezza per la fine, i ricordi di pagine
passate ma non solo. Sì perché, non so per voi, ma per me ricordare Harry
non è solo ricordare un libro letto, ma ricordare momenti veri, momenti della
mia vita, è ricordare ogni singola volta che ho letto e riletto ogni singola
pagina, amato ogni singola pagina, commentato ogni singola riga. Con persone
diverse, in momenti diversi, con diversi stati d’animo.
Ecco perché ripercorrere l’infanzia di Harry Ron e Hermione è per
me un tuffo nel mio stesso passato. Ed ecco perché mi ha toccato tanto, scrivere
questi capitoli.
Un abbraccio =)
Capitolo 8.01 Respirare.
Lying in my bed I hear the clock tick,
And think of you
Caught up in circles confusion--
Is nothing new
Flashback--warm nights--
Almost left behind
Suitcases of memories,
Time after--
Sometimes you picture me--
I'm walking too far ahead
You're calling to me, I can't hear
What you've said--
Then you say--go slow--
I fall behind--
The second hand unwinds
Chorus:
If you're lost you can look--and you will
find me
Time after time
If you fall I will catch you--I'll be
waiting
Time after time
After my picture fades and darkness has
Turned to gray
Watching through windows--you're wondering
If I'm OK
Secrets stolen from deep inside
The drum beats out of time--
Chorus:
If you're lost...
You said go slow--
I fall behind
The second hand unwinds--
Chorus:
If you're lost...
...Time after time
Time after time
Time after time
Time after time
{Time after time- Cindy Loper.}
Hermione.
Tutto
succede così velocemente che non so nemmeno come siamo arrivati qui. Mi
sembrano passati pochi battiti di ciglia da quando ho appoggiato la mia mano su
quella di Ronald nella cucina calda di Luna, e ora camminiamo quieti, uno
accanto all’altra, lungo le stradine affollate di Hogsmade.
Tutto
sembra essersi svolto troppo rapidamente, troppo persino per averlo vissuto,
apprezzato. Ginny si è voltata verso di noi con un sorriso immenso, e non sono
servite parole. Ci siamo rincorsi, ridendo d’isteria e sollievo, per gli ormai
noti corridoi dell’ospedale, con i Guaritori che si scostavano al nostro
passaggio, sorridendoci con complicità, e gli altri malati e con i loro
preoccupati famigliari e amici che ci osservavano con invidia, speranza,
rancore, solidarietà. Ma a noi non importava. Abbiamo sfondato la porta della
sua camera da letto in un turbinio, noi, esattamente come quando eravamo
bambini. Tutto sembrava essersi bloccato dentro di noi: gli anni vissuti erano
scivolati al suolo, calpestati dalla forza e dall’euforia di quell’istante in
cui tutti noi abbiamo avuto, forte e chiara, la sensazione che potessimo riprendere
a vivere. Eccolo, steso tra lenzuola bianche e pulite, un pigiama
dell’ospedale, il viso ripulito da quel velo di barba che gli era cresciuta, un
sorriso tranquillo e pacato mentre ci vedeva gioire. L’abbiamo abbracciato,
stretto, baciato, abbiamo riso e pianto con lui finché le forze non ci sono
mancate. E allora Ginny, stretta a lui quasi che solo il contatto fisico
avrebbe potuto mantenerlo in vita, ci ha fatto portare delle fumanti tazze di
tea. E mentre sorseggiava con calma dalla sua tazza i segni indelebili di
quegli anni di vita mi sono apparsi sul viso di Harry quasi evidenziati dal suo
stesso sorriso. Tutto in lui denunciava una maturità stanca, una fatica non
solo fisica nel sopravvivere giorno dopo giorno a quello che gli si parava
sulla strada, le labbra leggermente violacee, la pelle dal colorito ancora
vagamente cereo accostata a ciocche umide di doccia dei suoi lucenti capelli
corvini. Eccolo, accovacciato nei nostri sguardi con quegli immensi occhi verdi
che, ancora una volta, apparivano contemporaneamente troppo innocenti e troppo
consapevoli, della vita, di sé, di noi, del nostro terrore e del dolore, del
sollievo e di tutto il resto. Ho allungato una mano e ho stretto la sua,
improvvisamente troppo piccola per riuscire a dire una parola che apparisse di
conforto davanti a questa nuova minaccia che prima non avevamo considerato,
mai: persino il nostro corpo un giorno avrebbe ceduto. Questo sarebbe potuto
succedere per qualunque cosa, da un attacco di Mangiamorte a uno di cuore.
Qualunque cosa avrebbe potuto ucciderci, in un momento qualunque delle nostre
giornate, anche se siamo stati eroi, il nostro corpo non sarebbe sopravvissuto
a tutto. Lui ha puntato i suoi occhi nei miei, dolcemente. “-Bentornata,
Hermione. Come stai?-“ Non avevo voce per rispondergli, non avevo voce che non
tremasse davanti a quella nuova, terribile, verità che mi ero ritrovata a
fronteggiare. Mi strinsi nelle spalle. E lo accarezzai ancora. E allora Ron,
con ritrovata allegria (lui, che evidentemente non ci era ancora arrivato e
forse non ci arriverà mai) ha fatto un grande sorriso. “-Era tanto tempo che
non ci ritrovavamo così-“, ha detto. Dovremmo festeggiare. E Luna, ridendo, ha
proposto dello champagne. Ma Ron ha suggerito un viaggio. “-Un viaggio?-“ Ha
chiesto la sorella, premurosa. E Ron, “-Sì, dovremmo andare a passare qualche
giorno in un posto in cui siamo stati felici, un posto dove riposarci un po’-“.
Nessuno si è chiesto quale questo posto sia. Luna è saltata su e ha detto che
andava a chiedere quando avrebbero dimesso Harry, se si poteva smaterializzare,
in caso contrario sarebbe andata ad informarsi su un treno per Hogwarts. E
tutti ci siamo sorrisi, complici pronti per questa fuga dal presente, questo
terribile e crudele presente.
E poi
siamo saliti su quel treno, quel treno odoroso di fuliggine e persone, e
incantesimi che hanno bruciato qualche tendina, macchie di cioccorane hanno
macchiato i sedili, i sedili di quegli scomparti dove anno dopo anno ci siamo
seduti, attendendo di essere trasportati verso gli anni più incredibili delle
nostre storie.
Ed ora
siamo qui, camminiamo per le vie bagnate di pioggia, stretti nei nostri
mantelli, le guance arrossate dal freddo pungente di Novembre, borse leggere
per trasportare quel poco che può servirci in questo angolo di mondo.
E quando
poi, finalmente, lo sconfinato prato del parco intorno ad Hogwarts si apre
davanti ai nostri occhi, tutti noi dobbiamo trattenere il respiro. La tensione
èquasi densa tra di noi, mentre
quello scenario che un tempo ci era così famigliare si srotola e si svela
nuovamente davanti ai nostri occhi, così come un vecchio ricordo rievocato in
una notte di malinconia. Ecco, il grande lago immobile, il suo scintillio color
petrolio risplende nella luce argentata del pomeriggio. Qualche coppia
innamorata si tiene per mano lungo di lui. Ecco la quercia sotto cui abbiamo
passato tanti pomeriggi di studio, sembra più piccola, più stanca, quasi che le
stagioni passate l’abbiamo resa più pigra, l’autunno più spoglia che nei giorni
lontani in cui la usavamo come riparo. La vecchia casa di Hagrid. Dal comignolo
non sale più quella sottile e costante lingua di fumo che un tempo ci portava
sempre a correre da lui per quelle troppo grandi e orribili tazze di tea in cui
intingevamo altrettanto grandi e orribili biscotti. Evito di guardare verso gli
altri, rendendomi conto che, condivisa con loro, la vista di quella specie di
mausoleo alla memoria del nostro amico, sarebbe stata insopportabile. La
superiamo con lentezza, tendendo involontariamente l’orecchio per tentare di
sentire l’ormai muto guaito di Thor. La Foresta Proibita si staglia, nera e
immobile, carica di vita e di tensione, al di la della capanna di Hagrid.
Ricordi offuscati delle nostre escursioni là dentro ci fanno sorridere involontariamente.
Ecco il Platano Picchiatore, che ci spinge ad un nuovo minuto di sgomento.
Infondo, non sembra più tanto terrificante come è stato quella notte. I suoi
rami si sbattono pigramente nell’aria fredda, le foglie dorate che formano un
comodo tappeto sotto di lui, nascondono la radice segreta e l’angolo da cui i
Malandrini si sono calati nella loro infanzia. Si scrolla, maestoso ma meno
inquietante, quasi a volerci ricordare che lui non ha scordato il suo ruolo, è
sempre li per aiutare a fuggire da quel castello in cui noi, invece, non
vediamo l’ora di rimettere piede. Ed eccole, le serre cristalline e cariche di
verde, e viola, arancione, marrone, uno spruzzo di colore e di forza e di vita,
mentre una classe di ragazzini impacciati tenta con tutte le sue forze di
opporre resistenza a qualche pianta prepotente. Lontano, si sente un urlo di
giovani giocatori di Quidditch. Alziamo gli occhi in fretta. Come personaggi in
miniatura si rincorrono e si scansano minuscoli puntini, e le loro palle
colorate e le urla dei pochi tifosi degli allenamenti sono il solo suono ad
agitare la superficie del lago.
Infine ci
obblighiamo a guardare più su: il castello si staglia sul cielo che si fa
plumbeo. Le guglie, le finestre come occhi dorati, il grande portone di legno. Ecco
la Torre di Grifondoro, la prima che cerchiamo con lo sguardo, e quella di
Astronomia, su cui ci soffermiamo solo un secondo. Con un fremito Harry
avvicina la mano al portone e lo spinge. Una folata calda di profumo di casa mi
fa lacrimare gli occhi, e il mio cuore salta un battito, liberandosi con una
scrollata di tutti i suoi dubbi e problemi. Il pavimento gelato, la luce
ambrata, la scalinata di marmo, studenti che scorrazzano in uno svolazzare di
bacchette e mantelli, lo sbattere dolce di ali di gufo, la porta della Sala
Grande. Ci sospingiamo dentro e ci blocchiamo, immobili e impauriti come il
primo di settembre in cui per la prima volta abbiamo varcato questa soglia.
Nessuno di noi aveva pensato a cosa fare una volta arrivati qui. Studenti curiosi
ci lanciano occhiate veloci, indagatrici, qualcuno riconosce in noi visi noti,
qualcuno si chiede se ha sentito di nuovi professori in arrivo, si avvicinano
annusando aria di novità, o preseggono scansandoci, per nulla interessati.
-E ora?-
chiede alla fine Ron.
Sto per
trovare una risposta stizzosa e intelligente, quando dalla Sala Grande esce,
imprigionata in un mantello porpora, con la severa crocchia alta sulla testa,
ormai quasi argentata, con la voce severa che risuona autoritaria e squillante
nell’ampio atrio, la nostra vecchia insegnante di Trasfigurazione.
La
McGranitt non è davvero invecchiata, anche se il suo viso sembra più rugoso e
più stanco, i suoi capelli più bianchi che castani, il suo corpo più fragile
nell’abbigliamento stravagante. Ma il suo passo è ancora deciso, il suo tono di
voce inflessibile. Sembra infastidita dalla lentezza con cui i suoi studenti si
soffermano nell’atrio ad osservarci, finché non si accorge di cosa osservano.
Si volta verso di noi e per una di quelle rare volte nel corso degli anni, sul
suo viso si apre un sorriso affettuoso e tenero, pieno di calore. Resta ferma
anche lei, stupita dalla vista di questi cinque adulti imbambolati nel mezzo di
tanti ragazzini. Poi si scrolla e accelera il passo verso di noi, riassumendo
un po’ della sua aria autoritaria.
-Non
avete avvertito del vostro arrivo!- sbraita, ma poi si abbandona a domande che
non sono solo di convenienza. Ci abbraccia con affetto e ci trascina nel suo
studio, lo studio del preside. L’Ufficio di Silente è caldo e accogliente, i
presidi ci sorridono affettuosamente dalle pareti, e molti dei suoi oggettini
fragili e ronzanti sono ancora li, appoggiati in perfetto ordine su ripiani di
legno ben curato. Ma sulla scrivania sosta una scatola di biscotti (che ci vengono
offerti in fretta, proprio come sempre) e sullo schienale della monumentale
sedia è appoggiata una logora vestaglia da donna. Lei vi si abbandona e ci
indica di sederci nelle molteplici sedie e sgabelli e poltroncine che ha
aggiunto al vecchio arredamento. Ci sorride ancora.
-Allora
non sei più in coma.- Dice, brusca, ad Harry.
Lui ride.
–Direi di no, professoressa.
-Smetti
di chiamarmi professoressa Potter, grazie al cielo quegli sventurati giorni in
cui eri mio allievo sono finiti.- Ma il suo sorriso malinconico sembra
piuttosto contrario al termine “sventurati”. –Piuttosto, cosa diavolo ti
è successo?
-Non lo
ricordo… Minerva.
Lei ride.
–Sempre impertinente, Potter, sempre impertinente. Pensi siano stati i
Mangiamorte?
Il
sorriso di Harry si spegne un poco. –Lo temo.
-Dovresti
sparire per un po’.- Suggerisce lei.
-Lo dico
anche io!- si accende Ginny, che ha continuato a ripeterlo per tutto il
viaggio.
-Ma
Ginevra- Fa lui, accondiscendente e paziente com’è stato tutto il giorno,-Con
il bambino in arrivo e tutto il resto, non mi sembra un’idea brillante andare a
vivere… dove suggerivi? In una tenda sull’Hymalaya?
Ginny,
rossa in viso, fa per rispondergli, quando la McGranitt chiede: -Un bambino?
Ginny
sorride, dimentica della tenda. –Sì, aspettiamo un bambino.
Minerva
le offre un altro biscotto. –Fagli conoscere i miei biscotti, tesoro.-
Fa, sorridendo materna. Poi si rivolge a me e Ron, -E voi due, li seguireste in
ogni caso, no? Non potete certo lasciarli andare senza la loro scorta.
-Veramente
non abbiamo ancora preso in considerazione…
-Veramente
noi non stiamo andando da nessuna…
-Veramente
il pensiero non…
Iniziamo
tutti e tre insieme.
Lei
sorride. –Non siete proprio cambiati.
E a
questo pensiero, traggo un lungo, esasperato, sospiro di sollievo.
Spero che vi piaccia… Pubblicherò presto per evitare che qualcuno (non
faccio nomi) mi minacci =P
Spero che vi piaccia… Pubblicherò presto per evitare che qualcuno
(non faccio nomi) mi minacci =P
Leggete intanto, su.
E commentate, come sempre. Ma possibilmente senza dirmi solo
quello che voi vorreste che succeda, perché tanto non cambio il finale. E
lasciate in pace la povera Cassie, dai. Che, per la cronaca, non è stata con
Ron per fare un torto ad Hermione. E comunque ora ve la siete tolta dalle palle
=P
Godetevi il post- Cassie allora.
Grazie del supporto, siete fantastici- fantastiche, come sempre
=)
Capitolo 8.02
Sulle nostre gambe.
So no one told you life was gonna be this
way
Your job's a joke, you're broke, your love
life's DOA
It's like you're always stuck in second
gear,
When it hasn't been your day, your week,
your month,
or even your year, but...
I'll be there for you...
When the rain starts to pour
I'll be there for you...
Like I've been there before
I'll be there for you...
'Cause you're there for me too.
You're still in bed at ten, though work
begins at eight,
You burned your breakfast, so far things
are going great,
Your mother warned you there'd be days
like these,
But she didn't tell you
when the world was brought down to your
knees
that...
I'll be there for you...
When the rain starts to pour
I'll be there for you...
Like I've been there before
I'll be there for you...
'Cause you're there for me too.
No one could ever know me. No one could
ever see me.
Seems your the only one who knows what
it's like to be me
Someone to face the day with.
Make it through all the mess with.
Someone I'll always laugh with.
Even at my worst, I'm best with....
you - yeah
It's like you're always stuck in second
gear,
When it hasn't been your day, your week,
your month,
or even your year, but...
I'll be there for you...
When the rain starts to pour
I'll be there for you...
Like I've been there before
I'll be there for you...
'Cause you're there for me too...
{I’ll be there for you- Rembrandts}
Ron.
La
McGranitt non ha ragione per niente. Siamo cambiati, siamo cambiati eccome. Me
ne sto qui, immobile, seduto a terra davanti alla lapide bianca su cui sono
incisi i molteplici nomi di Silente. Eccome se siamo cambiati. Mi rigiro tra le
mani un fiore che ho raccolto venendo qui, incapace di metterlo lì, come un
pegno per fargli vedere che non ho dimenticato. E come potrei aver dimenticato?
Certe cose non si dimenticano. Venire qui è stata una pessima idea. Mia, tra
parentesi. E questo non può che voler dire che è una pessima idea. Sembra di
essere in un cimitero vivente, popolato da troppi, troppi fantasmi (e non solo
in senso metaforico). Ovunque guardo vedo il contrario di quello che dice la
McGranitt. Siamo cambiati, siamo troppo cambiati. Un tempo eravamo ragazzini
felici, emozionati, coraggiosi, curiosi… ora siamo adulti che provano ad essere
ancora quei ragazzini. Macchiette di noi stessi. Una cosa che più triste non si
può. E poi sorrido. Ma questo posto è splendido. E finalmente sono tranquillo.
In che altro posto al mondo mi sono sentito così… bene? Nessuno, assolutamente in nessun
altro posto al mondo. Non avrei mai pensato, quando vivevo, mangiavo, dormivo,
imparavo qui, che sarei diventato un patetico scapolo che cerca di essere
ancora interessante come quando aveva quindici anni. Un patetico scapolo,
cattivo e rancoroso, che lascia la sua splendida ragazza per la meravigliosa
donna che non avrà mai. E certo che alla fine mi dovevo ritrovare a pensare ad
Hermione e Cassandra, è ovvio, io non ho altro a cui pensare. Ora che sono solo
e non ho nessuna possibilità con Hermione, come d’altra parte non ne ho mai
avute, ovvio, potrei anche pensare di restare qui. Sarei una specie di burbero
professore che fa divertire i suoi allievi con aneddoti di quando era giovane e
spensierato, e finalmente farò quello che non ho fatto prima, qualcosa che mi
renda intelligente agli occhi di Mione: il professore. Potrei risistemare la
capanna di Hagrid, e finire qui tutto quello che mi resta da vivere. No, non ci
posso credere. Penso già come un vecchio.
Oppure
potrei andare con Harry e Ginny. Certo, sarei un po’ terzo incomodo, ma almeno
potrei tenere compagnia al bambino quando loro fanno i piccioncini. E sarei il
delizioso zio Ron, quello che porta le caramelle. Una specie di fratello
maggiore troppo cresciuto a cui dare un coprifuoco come un secondo figlio. Un
po’ patetico, ma se non vanno davvero sull’Hymalaya potrei sempre trovare un
lavoro più brillante del taglialegna e, chissà, sposare una ragazza babbana e
innocente che mi chiamerà “tesoro”, una mogliettina con le trecce bionde e il
grembiule a quadretti rossi. Altro progetto un po’ patetico, ma chissà che non
si riveli positivo. E poi avrei Harry, infondo. Sposato, padre, adolescente
complessato, resta sempre Harry. E se suo figlio viene su come lui avrà davvero
bisogno di me che lo controllo. Rido all’idea di un piccolo Harry, con tanto di
occhialetti tondi tutti rotti che una secchiona deliziosa dalla criniera di
ricci disordinati sistemerà con un colpo di bacchetta. “Reheparo”. La prima volta che ci siamo visti…
“E tu sei…?” Se solo non avessi avuto la bocca strapiena di cioccorane mentre
le rispondevo “Ronald Weasley” e avessi avuto il naso pulito, e avessi capito
che non era una bambina viziata e antipatica, ma una piccola donna
intelligente, dolce e sola… chissà che le cose non sarebbero andate meglio,
chissà…
Mi perdo
nella contemplazione di quella piccola Hermione, per la prima volta ferita
dalle mie parole cattive, che si perde nella folla dei corridoi, il viso
coperto di lacrime. E poi, quella sera, la sera di Halloween. Quando noi soli
siamo andati a cercarla, e abbiamo abbattuto quel Throll di montagna per lei.
Solo per lei, per salvarla, anche se questo ci ha messi in un mare di guai. Il
suo sguardo fermo mentre mi diceva cosa fare, per salvarla, sempre così
autoritaria… La prima volta in cui abbiamo avuto bisogno gli uni degli altri.
Sorrido.
Questo non è cambiato. Abbiamo imparato a cavarcela nelle piccole cose.
Sappiamo prendere decisioni futili come che piuma comprare e che libro leggere…
sappiamo chi siamo, adesso. Ma nella realtà dei fatti, abbiamo ancora bisogno
di essere insieme. Abbiamo ancora bisogno dell’aiuto dell’altro, dell’altra,
sempre.
Questo
forse intende la McGranitt con “Non siete cambiati”. Chissà che lei non abbia
sempre visto giusto in noi. Sempre, quando ci puniva e quando ci premiava,
magari lei sapeva delle nostre capatine notturne in giro per il castello, della
pozione Polisucco, delle nostre corrispondenze segrete e dei nostri piani,
progetti, congetture… chissà. Forse ha chiuso un occhio molte più volte di
quante non pensavamo allora, vedendola come una minaccia, mai come un’alleata.
Ma lei
oggi ci conosce così bene.
Sa che
non siamo cambiati affatto, anche se ora siamo adulti che hanno imparato a
camminare sulle proprie gambe, adulti che non hanno più nulla da imparare in
fatto di pozioni e incantesimi, ma che della vita ancora non sanno niente.
O per lo
meno, che ancora non ne hanno assaggiato una parte.
Hermione
si sposerà con Richard-uomo-chic?
La
immagino mentre attraversa la navata, lo strascico bianco, il viso truccato, i
ricci domati in boccoli da principessa.
Se alla
fine di quella navata ci fosse Richard, Richard al mio posto… e io, invece,
fossi seduto in fondo, impacciato nel mio smoking rigido e pizzicante? Già mi
vedo mentre mi ubriaco alla festa, con tutti i nostri vecchi amici e parenti
che mi rivolgono sguardi tristi e amareggiati.
“Mi
dispiace, Ron” Direbbe Luna, battendomi una pacca sulla spalla.
E io
direi :“Ma guarda che non ho più tredici anni!”
“Ron”
Direbbe Harry “Ce la fai a guidare fino a casa?”
E io
direi “Portamici tu, amico.”
E lui lo
farebbe. E sotto casa mi chiederebbe: “Come stai?”
E io
mentirei: “Benissimo”
Ma lui lo
saprebbe, che mento. “Io tifavo per te.”
“Lo so.”
Uscirei
sotto la pioggia scrosciante (piove sempre in questi momenti) ed entrambi
staremmo piangendo, ma di nascosto. Entrerei nel mio appartamentino da scapolo
tremendamente vuoto e per coronare la tristezza mi metterei a leggere vecchie
lettere e guardare vecchie foto, anche se non ne ho affatto, ascoltando le
nostre canzoni, anche se non ne abbiamo.
Cosa
darei per essere io l’uomo in fondo alla navata…
Lei
sarebbe…
No. Basta
così. Per stasera ho fantasticato anche troppo e mi sono fatto anche troppo
male. Mi sembra che essere in questo cimitero vivente sia anche abbastanza per
il mio vecchio cuore malato (vecchio magari no, ma malato sì, malato d’amore).
Sto diventando un sentimentalista. Io odio questo genere di cose.
Mi ci
vorrebbe un whisky incendiario e una bella barzelletta sconcia, di quelle che
mi dicevano Fred e George da piccolo, e che non capivo fino infondo ma mi
facevano ridere tanto.
Com’è che
anche questo ricordo mi fa male?
Fred e
George stanno benone. Ci sentiamo spesso e hanno anche smesso di trattarmi come
un pivello. Stasera però mi manca anche quello, essere trattato da pivello.
Sono
davvero, davvero, patetico questa sera.
E poi
volevo pensare a che fare della mia vita.
Volevo
dedicare qualche minuto a ricordare Silente, è tanto che non lo faccio. Questo
viaggio deve essere un tributo alla memoria, avevo pensato prima di partire.
Ma invece
non penso che lui vorrebbe nessun tributo alla sua memoria. Non era un uomo che
si guarda alle spalle, e non avrebbe voluto che nessuno stesse seduto a terra
davanti alla sua tomba, sull’erba bagnata e nel vento gelato a bagnarsi le
chiappe e congelarsi il naso per lui. Lui sa, ovunque si trovi, che io lo
ricordo meglio mangiando un ghiacciolo o bevendo un sorbetto al limone.
Così mi
alzo, mi rigiro tra le dita il fiore un’ultima volta e lo lascio cadere ai
piedi della lapide.
Questo
viaggio deve essere un tributo al futuro, penso, dirigendomi stancamente verso
la Sala Grande imbandita a festa per il nostro arrivo.
Un altro paio di capitoli- intermezzo. Ci stiamo avviando verso
la fine, il prossimo post dopo questo sarà l’ultimo… Spero che il finale non vi
deluda, perché ormai ci siamo!
Grazie degli splendidi commenti, come sempre.
Approfitto per fare gli auguri alla mia Gemellina, che domani
compie 17 anni e che io adoro e senza la quale questa storia non sarebbe mai andata
avanti =)
Buona lettura e buona domenica =)
Capitolo 9.01
Ricordare noi.
Con te dovrò combattere
non ti si può pigliare come sei
i tuoi difetti son talmente tanti
che nemmeno tu li sai.
Sei peggio di un bambino capriccioso
la vuoi sempre vinta tu,
sei l'uomo più egoista e prepotente
che abbia conosciuto mai.
Ma c'è di buono che al momento giusto
tu sai diventare un altro,
in un attimo tu
sei grande, grande, grande, le mie pene
non me le ricordo più.
Io vedo tutte quante le mie amiche
son tranquille più di me,
non devono discutere ogni cosa
come tu fai fare a me,
ricevono regali e rose rosse
per il loro compleanno
dicon sempre di sì
non hanno mai problemi e son convinte
che la vita è tutta lì.
Invece no, invece no
la vita è quella che tu dai a me,
in guerra tutti i giorni sono viva
sono come piace a te.
Ti odio poi ti amo poi ti amo, poi ti odio, poi ti amo,
non lasciarmi mai più
sei grande, grande, grande
come te sei grande solamente tu.
ti odio poi ti amo poi ti amo , poi ti odio poi ti amo
non lasciarmi mai più
sei grande, grande, grande
come te sei grande solamente tu
{Grande, Grande, Grande- Mina}
Hermione.
L’aria
nei corridoi è umida e fredda, ti filtra sotto il mantello e ti fa
rabbrividire. Avevo dimenticato questo freddo, forse perché ogni volta che
attraversavo questi corridoi ero accalorata per qualcosa. Posso vedere ovunque
l’Hermione adolescente che corre da una classe all’altra, la borsa rotta
stracarica di libri e nella testa, frullanti, milioni di pensieri, di date e
lezioni da ricordare. I piccoli, insignificanti, problemi che tempestavano le
mie giornate di ragazzina. Erano sempre minuscoli nei su una serenità che non
mi sono mai voluta concedere, e me ne rendo conto solo ora. C’era sempre
qualcosa, qualche dramma che mi tormentasse, e se non lo trovavo nella mia
sfera privata lo cercavo altrove: nella scuola, nei problemi degli Elfi
Domestici che molto probabilmente stanno molto meglio di me, in Mangiamorte e
Maghi oscuri… Sorrido teneramente. Come sarebbe bello poter tornare indietro,
godermi meglio le piccole cose che mi sono lasciata sfuggire. Perché erano
proprio loro, le piccole cose, quelle cui ero tanto abituata da dare per
scontate. Il risveglio con le mie compagne di dormitorio, i loro problemi se
possibile ancora più insulsi dei miei, Lavanda che si spazzola vigorosamente la
chioma fluente, Calì che si trucca nello specchio stando attenta a non sbavare,
Ginny che entra a chiamarmi per la colazione. La colazione abbondante, tutti
insieme, l’arrivo della Gazzetta del Profeta con l’abituale domanda di Ron: “è
morto qualcuno che conosciamo?”. Ron che all’ultimo si fa coraggio e mi chiede
di copiare quel compito di Pozioni che proprio non è riuscito a finire. La corsa verso le lezioni, in
ritardo come sempre, sedersi noi tre nei banchi in fondo, io che prendo appunti
e loro che giocano o chiacchierano sotto voce o pensano ad altro. Il pranzo
veloce e poi il tempo libero passato a studiare o a fare congetture. E, ancora,
il pomeriggio di studio, di lezioni faticose, trascinarsi a cena, e finalmente
la doccia. Mettersi comodi chiacchierando con Ginny che mi racconta
pettegolezzi e particolari che a me sono passati inosservati, chiedendomi
distrattamente informazioni su Harry e notizie su Ron, ridere con lei per le
ultime cose, preoccuparci insieme per le solite. E poi lei va dalle sue amiche
e noi tre sprofondiamo nelle nostre poltrone. E allora tutto era così semplice
e perfetto che
solo il ricordo mi stringe lo stomaco. Quei momenti infrangibili di bisticci e
progetti e compiti…
Un gufo
dall’aria stanca mi si avvicina e mi allunga la zampa arancione. Innocentemente
mi chiedo chi possa scrivermi. Gli do una rapida carezza e apro la busta bianca
senza nessuna scritta.
Hermione,
tesoro.
Sospiro.
Certo, Richard. Cavolo. Non ci avevo più pensato.
Spero
che tutto si sia sistemato. Ho letto sul giornale che Harry si è ripreso,
quindi contavo di trovarti all’aeroporto questa mattina quando sono finalmente
arrivato a Londra, ma non c’eri. Ho chiesto al Ministero se sapevano dove sei e
nessuno ne era a conoscenza, a quanto pare non sei nemmeno rientrata in
ufficio. Sono preoccupato per te. Va tutto bene? Come vorrei poterti fare
questa domanda guardandoti dritta negli occhi e sentire la tua risposta SAPENDO
che è sincera. Ma un pezzo di carta non può che farmi sapere che sei viva. Sono
andato al San Mungo per vedere se magari li sapevano qualcosa. Mi hanno detto
che Harry Potter era stato dimesso e che sapevano solo che sarebbe partito per
un viaggio ma non sapevano per dove. Ho presupposto che tu fossi partita con
lui e naturalmente mi sono chiesto per quale motivo non mi hai detto niente.
Io sto
bene, ma sono preoccupato, e mi manchi da morire.
Vorrei
che tu tornassi, vorrei poter discutere di te sull’opportunità di fermarci a
Londra, almeno per un po’.
Vorrei
parlare di come ti senti, con tutta questa storia del coma: devi essere
sconvolta.
Ma non
posso farlo se sparisci: non posso aiutarti.
Hermione,
ti prego.
Mi
manchi davvero tantissimo.
E ti
amo, sempre.
Spero
che tu abbia anche pensato a quella cosa che ti ho chiesto.
Spero
che tu abbia seriamente preso in considerazione la mia proposta.
Un
abbraccio, fortissimo
Tuo
Rich.
Oh,
cazzo. Cazzo. Cazzo. E ora?
Okay,
Hermione sospira. Dai, non è niente di grave. Tiro fuori una piuma e
scribacchio dietro la sua lettera qualche riga di scusa e spiegazione.
Tesoro,
scusami se sono sparita.
No, non
va bene.
Tesoro,
scusami se sono sparita.
Richard,
che bello sentirti! Sono felice che tu sia a Londra. Io sto bene, sono
felicissima che Harry si sia ripreso e avevo bisogno di qualche tempo per
pensare alla tua proposta
No, non
va bene.
…E
avevo bisogno di qualche tempo per pensare alla tua proposta per me, per
stare da sola e capire cosa voglio, e di passare un po’ di giorni con i miei
amici, mi sono mancati molto e sento che hanno bisogno di avermi vicina in
questo momento. Non posso dirti dove ci troviamo, e i motivi puoi ben
immaginarli.
Anche
io ho voglia di vederti. Molto meglio di “mi manchi”. Molto più vero.
Sta
tranquillo, tornerò a casa presto.
E avrò
una risposta alle tue domande.
Un
bacio, Hermione.
Sì, mi
sento un verme, orribile e colpevole di poco tatto e di poco romanticismo e
pochissimo, pochissimo, “sentimentalismo”. Ma lo sappiamo tutti che non sono
molto sicura di questa “cosa” tra me e Richard. Lego la busta alla zampa del gufo che,
con aria parecchio depressa, si rilancia nell’aria tersa e gelata. Lo guardo
planare silenziosamente tra gli alberi e svolgere a ritroso il percorso che noi
abbiamo fatto solo ieri. Chissà che cosa pensavo di trovare tornando qui. Solo
un sacco di ricordi scaduti e dispiaceri… e splendidi, irripetibili, momenti.
-Hermione?
Mi volto,
sorpresa.
-Cho?
Lei si
avvicina, ridendo. –Hermione Granger! Che ci fai qui?
-Io… e
tu?
La studio
per un brevissimo secondo. I capelli corvini e setosi sono ora tagliati
cortissimi, una frangia sbarazzina le copre la fronte, gli occhi dal nero quasi
blu luccicano sulla pelle mielata e ancora perfettamente liscia. Arriccia le
labbra secche e si pulisce le mani sporche di terra su un paio di pantaloni
stracciati sulle ginocchia.
-Insegno
qui ora, sai.- Fa, con un sorriso orgoglioso e tranquillo. –Ti
abbraccerei, ma sono tutta sporca. Insegno Volo, sai, abbiamo fatto le parate…
-Wow!-
esulto, incerta.
-Ho
saputo di Harry.- Aggiunge, stringendo gli occhi. –Spero gli sia arrivato
il mio biglietto. Sì, un biglietto non è molto ma…
-Abbiamo apprezzato.
-Non
potevo prendermi giorni di pausa, se no l’avrei…
-Certo.
Silenzio.
Ci guardiamo, imbarazzate.
-è qui
anche lui?
-Già, si,
siamo venuti per…
-Hogwarts.
-Già.
Mi
rivolge un sorriso pacato. –Ti va un tea?- Chiede, indicandomi la porta
di quella che deve essere la sua camera.
-Certo.-
La seguo, controvoglia, calcolando quanto tempo le devo concedere. La stanza è
semplice, arredata senza troppa cura, un tavolo pieno di carte, parecchie scope
e palloni da Quidditch, un armadio semiaperto, libri, un letto sfatto, una
porta (da sul bagno, immagino).
-Non è
granché, ma sono qui da poco, sai…- Mi fa cenno di sedermi su una poltroncina
verde dall’aria vecchia, che non avevo notato.
-è
accogliente.
Si
stringe nelle spalle e con un colpo di bacchetta mi mette in mano una tazza
fumante. –Allora- inizia, sedendosi sul tavolo tra carte e libri.
–Come stai?
-Bene,
tutto bene.
-Ho letto
un articolo sul tuo lavoro. Incredibile. Riesci sempre ad inventarti qualcosa
di incredibile.
-Provo a
rendermi utile.- Mi rendo conto di come questa frase suoni banale, scontata,
fasulla.
Ride.
–Ti rendi sempre utile. Ti ho sempre ammirata.
Non so
che dire, sono imbarazzata. Qualunque frase mi renderebbe infantile, pomposa,
stupidamente modesta. Certo, io ho fatto qualcosa, mentre tu non hai fatto
molto. E allora? Non è una colpa. Non è una colpa non aver fatto molto. E poi
non tutti sono stati migliori amici di Harry Potter da adolescenti. Se fossi
stata Cho, nemmeno io avrei fatto qualcosa.
-Il caso
mi ha sempre dato una mano.- Dico, stupidamente. E poi le sorrido, sperando lo
prenda come un incentivo a lasciar cadere l’argomento. Ma lei ne sceglie uno
anche peggiore: -E con Weasley? Sposati? Quanti figli avete?
E tutto
quello che faccio è arrossire. Lei lo prende per un “sì”.
-Siete
sempre stati così carini. Sai, non me ne sono accorta subito. Prima pensavo che
tu e Harry… Sai, no… tu eri la sua grande amica… e lui ti voleva così bene… ed
eravate sempre insieme… così legati… e poi Harry è sempre stato così carino, e
così interessante, e poi… Ma dopo, conoscendovi di più, oddio non che ci siamo
conosciute molto, ma insomma, prestando più attenzione… mi sono accorta, ci
siamo sempre accorti tutti…
-Ma di
cosa?- Dico, recuperando la voce. Ingerisco una sorsata lunghissima e bollente
di tea tentando di porre rapidamente fine a questo colloquio tra “vecchie
amiche”.
-Ma sì!
Tu e Weasley!
-Veramente
non c’è mai stato nulla… noi siamo sempre stati solo amici!
E per la
seconda volta in pochi minuti il mio vocabolario di frasi fatte mi sembra una
maschera così dannatamente trasparente da rendermi ridicola.
-Non è
ancora successo? Bhè succederà.- Ammicca.
-Non
credo, io…
-Mi sarò
sbagliata.- Conclude, imbarazzata. –Strano. Su queste cose non sbaglio
mai.
Nel
momento in cui mi chiudo alle spalle la porta di Cho il cuore prende a
martellarmi in petto e mi manca l’aria. Devo correre via. Inizio a camminare
rapidamente fuori di qui, le gambe che tremano. Ovunque guardo, rapidi lampi
del nostro passato si affacciano alle finestre della mia memoria. Ecco. Noi tre
che ridiamo. Eccoci, su queste scale, un litigio incredibile. Lì, l’ho baciato
prima della partita. L’aula di Incantesimi: lezioni passate a parlare di noi.
Quella di Difesa. Ore e ore di lotta continua, contro professori, eventualità,
assurdità… Corridoi. Finestre. Persone. Ora. Prima. Poi? Si rincorrono,
scalciano, strisciano, scivolano, annegano: Ricordi. E in tutti i ricordi una
sola cosa è sempre uguale. LUI. Onnipresente in tutti i miei pensieri, in tutte le
mie sensazioni, in tutti i momenti passati… e mi manca. Mi manca tutto di lui.
Mi manca così tanto che non riesco nemmeno a prendere abbastanza ossigeno,
penso che sverrò. E la sola idea di non vederlo più mi distrugge. Fitta al
cuore. Male alla pancia. Sono di nuovo una ragazzina. Non lo voglio perdere:
non lo voglio perdere di nuovo. Vorrei guardarlo negli occhi e dirgli la
verità. Spiegargliela chiara e semplice così come la conosco io, cosicché anche
lui possa saperla, capirla. Capirmi. Conoscermi. Conoscere quello che non gli
ho permesso di sapere, la cosa più importante forse: quello che ho provato per
lui. Un tempo. In passato. Quando eravamo ragazzi: Amore. Sì. E vorrei che lui mi
accarezzasse la testa e mi abbracciasse, così come ha gia fatto tante volte, mi
stringesse forte e mi dicesse che mi perdona, mi perdona per essere stata una
persona tremenda e per avergli tenuto nascosto il bene che gli volevo e il
motivo per cui non avevo la forza di dimostrarglielo. Corro. Vorrei prendergli
la testa tra le mani e sussurrargli il motivo, il VERO motivo, per cui sono
fuggita. Non aiutare gli altri! Che persona di merda che sono. No. L’ho fatto
solo per “colpa” sua. Era per scappare da questo amore autodistruttivo,
tossico, troppo immenso per essere sopportato, troppo importante per essere
dimenticato. Per non vederlo con mia sorella, per non vederlo felice e sapere
di dover essere felice perché prima di tutto, Ron, prima che l’uomo della mia
vita tu DOVEVI essere il mio migliore amico. E io non potevo essere più la tua
migliore amica, perché ogni giorno volevo essere di più, volevo essere la tua
unica, unica donna. La tua ragazza, la tua amante, la tua confidente, la tua
amica, tua moglie, la madre dei tuoi figli, tutto. Ron. Avrei rinunciato a
qualunque cosa per te, ti avrei donato tutta me stessa, tutto quello che avevo,
e così l’unico cosa che ho potuto fare è stato donarti del tempo per essere
felice senza avermi intorno, arrabbiata e rancorosa solo perché avevi fatto un
errore terribile senza nemmeno poterlo immaginare: avevi “scelto” la mia
perfetta sorella minore. Perdonami per averti amato così tanto. Perdonami per
averti trattato male. Perdonami perché non sono stata in grado di esprimere i
miei sentimenti, non sono mai in grado di farlo, permetto loro di sopraffarmi,
e sono una codarda. Una grande codarda, perché se fossi davvero coraggiosa come
dicono tutte queste cose già le avresti sapute.
E ora ti
supplico, dimmi che possiamo di nuovo essere amici.
O che
possiamo essere amici per la prima volta, perché per me non sei mai stato “solo
un amico”. Mai. È inutile che continuo a dire questa frase: non so gli altri,
ma io non ci ho mai creduto.
Un capitolo leggero, ma spero che vi piaccia, scriverlo mi ha divertito
molto
Un capitolo leggero, ma spero che vi piaccia, scriverlo mi ha
divertito molto. Volevo dare un po’ di spazio a Harry prima di concentrarmi di
nuovo solo sui piccioncini :P
Spero di non annoiarvi con tutto questo ricordare e pensare e
meditare, forse sono io, ma in questi momenti io personalmente divento
piuttosto riflessiva. Spero che non vi scocci ma vi faccia sorridere =)
Un abbraccio,
aggiornerò prestissimo, davvero.
Capitolo 9.02
Schegge di te
And it rained all night and washed the
filth away
Down New York airconditioned drains
The click click clack of the heavy black
trains
A million engines in neutral
The tick tock tick of a ticking timebomb
Fifty feet of concrete underground
One little leak becomes a lake
Says the tiny voice in my earpiece
So I give in to the rhythm
The click click clack
I'm too wasted to fight back
Tick tack goes the pendulum on the old
grandfather clock
I can see you
But I can never reach you
And it rained all night and then all day
The drops were the size of your hands and
face
The worms come out to see what's up
We pull the cars up from the river
It's relentless
Invisible
Indefatigable
Indisputable
Undeniable
So how come it looks so beautiful?
How come the moon falls from the sky?
I can see you
But I can never reach you
I can see you
But I can never reach you
{Thom Yorke - And It Rained All Night}
Ron.
È così
buffo fare i conti con se stessi. Insomma, affronti molte cose nel corso delle
tue giornate, della tua vita, no? Incontri e ti scontri con donne bellissime e
crudeli, orribili e sfacciate, capi inflessibili, professori esigenti, lavori
che ti tengono sveglio la notte, malattie che piegano il tuo corpo, amici che
ti chiedono pareri, che hanno bisogno di te, amici che soffrono e tu non sai
cosa fare, e poi ci sono i nemici. Ma tutto questo in confronto al momento in
cui, poi, devi affrontare te stesso, sono davvero giochi da ragazzi. Viene una
mattina in cui tutto crolla e allora tu devi ricominciare a mettere insieme i
pezzi. E devi incominciare da te. Piano. Nessuno ti mette fretta, ma devi
farlo. Il tuo corpo sta invecchiando: sistemalo. Il tuo cuore è ferito: curalo.
Il tuo cervello non sa che pensare: aiutati. Concentrati. Per una volta, su di
te. Mi accorgo ora che questo è quello che sto facendo. Mi sto confrontando con
il mio principale nemico: me stesso. Se l’avessi capito prima, magari, avrei
sprecato meno energie contro Voldemort, Piton, Malfoy e tutti i piccoli e
grandi nemici del mio passato. Ne avrei tenute un po’ per questo scontro,
mentre ora non ne ho, di forze. Non ho più energie. Me ne sto sdraiato sul
prato (di nuovo, lo so) e guardo i rami del Platano a pochi passi da me che
squarciano il cielo azzurro. Perché non prende un po’ a sberle anche me non lo
so. Me lo meriterei. Sono patetico. Questa mattina ho girovagato per il
castello. Sono stato proprio in tutti i più reconditi angoli della nostra
adolescenza. A partire dalla torre di Grifondoro, ho accarezzato le vecchie
poltrone, il camino, il mio letto, quello di Harry, i tavoli, e poi le scale,
con il gradino che faceva impazzire Neville. Ho parlato con i quadri. Sono
andato nelle aule, nei bagni, anche a trovare Mirtilla, ho chiacchierato con
tutti i fantasmi, sono stato in Guferia, nella stanza delle Necessità, nelle
cucine… Ho parlato con quei professori che sono rimasti qui, e anche con quelli
nuovi (pensa un po’: Cho! E tiene ancora ai Tornados!).
Per tutto
il tempo ho ricordato. Cose che non pensavo nemmeno di poter ricordare. Cose stupide.
Insomma, non cose grandi che restano in mente sempre (la fuga di Fred e George,
partite di Quidditch, il ballo del Ceppo, cose così). No. Mi sono accorto di
ricordare… I particolari. E sono quelli che mi stanno quasi uccidendo.
Perché
hanno un solo soggetto.
Lei.
Il suo
sorriso un po’ storto, con i dentoni che sbucano sotto il labbro come un
infantile segreto. Il colore dei suoi occhi con il brutto tempo, quando anche
loro si facevano un po’ nuvolosi. Il suono delizioso delle sue dita che
scorrono sulle pagine del giornale, il suo nasino che vi sparisce in mezzo, la
fronte corrugata, tutta intenta nella lettura. Lo scricchiolio della sua piuma
sulla carta. Il suo profumo, leggero e fresco, che traspira delicatamente dalla
pelle del suo collo mentre si china su di me per aiutarmi in un compito. I suoi
capelli ricci, voluminosi, prepotenti, maleducati, che ti pizzicano se li
sfiori. Che diventano una massa informe con il mal tempo. E lei, senza alcuna
pretesa, li fa stare a posto arrotolandoli su una matita, o li allontana dalla
fronte con un colpo spazientito della mano. Il suo tono irritato mentre mi
sgrida: “Ronald!”, la voce resa stridula e aspra. Il suo sorriso, dopo,
improvvisamente dolce e comprensivo, che apparentemente dice “lascia stare”.
La sua
espressione infervorata quando c’era da difendere un ideale o combattere per
qualcosa.
Potrei
continuare tutto il giorno.
Mi sono
accorto di conoscere a memoria queste cose.
Piccole
cose. Che mi stanno letteralmente uccidendo.
Non posso
convivere con il ricordo di quegli sguardi.
Con il
ricordo di alcune sue belle frasi, minuscole occhiate, sorrisi…
Oddio.
Mi stanno
soffocando. Come vorrei sorriderle io e dirle: Mione, scusami se ti ho
mentito fino ad oggi. Sono stato uno stupido bugiardo. Io… io ti trovo
splendida e incredibile e voglio stare con te. Sempre, sempre con te. Come in un film per tredicenni
babbane innamorate.
-Ron!
Lo sento
abbandonarsi accanto a me. Sorridere.
-Ciao
Harry. Come va?
-Si sta
meglio fuori dal coma, grazie.- Ride. Rido. –Tu?
-Si sta
meglio con te fuori dal coma, grazie.- Ridiamo.
-Ginny mi
ha mandato da te perché è preoccupata.
-Oddio.
Perché? Sto bene, davvero.
-è finita
con Cassie? Perché? Stavate bene.
-Sì
stavamo bene. Ma…
-Hermione?
-Chi ti
dice che centra sempre lei? Potrei avere conosciuto qualcuna diamine. Potrei averla
dimenticata davvero, no? Potrei essere cresciuto anche io, non solo lei. Potrei
essermi semplicemente accorto che non amavo più Cassie e aver deciso di non
prenderla più in giro. Potrei essere maturato, sai.
-Devo
dire questo a Ginny?
-Sì.
-Ed è la
verità?
-No,
ovviamente no.- sospiro. -Quindi non dirle niente. Dille che ha ragione, come
sempre. Ha un fratello scemo.
Ride.
–Lo sa. È Hermione il problema?
-è sempre Hermione, il problema.
Stiamo in
silenzio per un tempo assurdamente lungo, entrambi ci specchiamo nell’immenso
cielo azzurro, memori forse dei tempi lontani in cui questa frase inespressa
era una bomba pronta ad esplodere. Ed esplodeva. Sempre più frequentemente. Il
motivo per cui ho fatto tante cose (sbagliate e non) nella mia vita: Hermione.
-Sai che
si sta per sposare?
-Con chi?
No. Non lo sapevo.
-Richard. Uno della Spedizione. Un Eroe,
immagino.
-O forse
solo uno dei tanti.
Faccio
uno sbuffo. –Uno adatto a lei. E lo sposerà.
-Sei
sicuro?
-No,
certo che no. Non lo è lei, come posso esserlo io? Non ho mai capito nulla di
Hermione, certo non posso imparare ora.
-E come
ti senti?
-Per non
averla capita mai o per il fatto che si sposa?
-Per
entrambe… le cose.
-Male.
Sono un fallito se in tutti questi anni non ho nemmeno imparato a conoscerla… davvero.
Al di la delle piccole cose, insomma. Al di la del profumo, del sorriso, del
modo con cui si sporca le mani di inchiostro mentre scrive e si pettina i
capelli prima di andare a dormire. Capisci quel che intendo? So tutte le
piccole cose che ci possono essere da sapere in lei, quanto meno della lei
ragazzina. Ma in realtà quanto so di Mione?
-Sono le
piccole cose a fare le grandi persone.
Rido.
–Non dire stronzate!
Ride.
–Che vuoi che ti dica Ron? Io penso di conoscervi molto bene. E penso che
sia lo stesso per voi. Non è un anno di lontananza a poterci cambiare così
radicalmente da dire che non ci conosciamo più. No?
-Pensi
che io la conoscessi, prima?
-Penso
che tu la conosca tutt’ora.
-Sarà. Ma
non cambia le cose. Lei ora si sposerà, forse. Ho perso questa sfida, in ogni
caso.
-Magari
ci sarà un secondo round.
-Oh, no.
Non con lei. Non ci sarà. E io poi non voglio partecipare, non più. Voglio
dimenticarla.
-Di
nuovo?
-O per la
prima volta, chissà.
-In bocca
al lupo. Io sono qui, se hai bisogno.
-Lo so. E
anche io, sai. Sono qui.
-La
vecchiaia ci rende smielati.
-Che
schifo. Come sta la donna incinta?
-Isterica.
-Vengo
con voi. Se ve ne andate, vengo con voi.
-Lo so.
Io di te non riesco proprio a liberarmi.
-No, non
ce la puoi fare. Mi spiace. Sono una cozza. E poi senza di me come fai con
l’isterica incinta?
-Non ne
ho idea. Non mi sono posto il problema.
-Non
portelo mai. E non andare più in coma. Sono quasi morto dalla paura.
-Sì? Sono
quasi morto anche io.
Ridiamo.
Mi sento improvvisamente più tranquillo.
Ammutoliamo
di nuovo. Anche il Platano sembra essersi calmato, i rami gli cadono pigramente
lungo il fusto, abbandonati, privi di forze.
-è molto
buffo essere qui.- Dico.
-è bello.
No?
-Sì.
Buffo e bello. Non avrei mai pensato di associare questi aggettivi alla nostra…
-Scuola?
-Adolescenza.
-Sì.
-Di che
parlate?
Sento la
voce di Hermione, è agitata e ha il fiatone. Si sdraia accanto ad Harry, e
improvvisamente mi manca l’aria.
Poi Harry
risponde, tranquillo. –Prima di te, che ti sposi. Poi di me, che esco dal
coma. E ora di Hogwarts, della nostra adolescenza, “buffa e bella”, secondo
Ron.
-E
secondo Harry.
-Secondo
noi.
-Secondo
voi…- Sussurra lei. –E io non so se mi sposo.
Silenzio.
Sento Harry sorridere, e un sorriso aprirsi anche sulle mie labbra.
-Se
andate avanti così, voi due, mi toccherà avervi sempre alle costole single e
infelici.- Dice Harry.
-Noi non
siamo infelici!- ribatto.
-Noi non
siamo single!- ribatte lei.
-Bhè, di
solito lo siete.
-Harry!-
Diciamo, in coro, dandogli una gomitata a testa nelle costole.
-Andateci
piano! Sono convalescente io! Non vorrete che vi veda Ginny!
Ci
blocchiamo tutti e due. –Oddio, non ci avevo pensato. Ginny incinta. Che
fatica. Fortuna che sono tornata, Harry!
Lui ride.
–A quanto pare ho una squadra per sopravvivere a quest’evento. Una bella
squadra. Com’è il detto? “Squadra che vince non si cambia”.
-Basta
che non vai più in coma.- sussurra. –Sono quasi morta dalla paura.
Sorridiamo.
-Davvero?
Siamo quasi morti anche noi.- rispondiamo in coro noi due.
Taaadaaan! Eccoci arrivati al “gran” finale… fa un po’ tristezza
ç_ç
Che dire? Ecco come io avevo pensato, sperato, il trovarsi di Ron
ed Hermione. Non fraintendete, non che quello del libro non mi sia piaciuto,
eh. Ma quando mi immaginavo quel momento, quello tanto agognato, sperato, sognato da tutti noi io lo
immaginavo- più o meno- così.
Quindi godetevelo, leggetevelo, mangiatevelo, non so. Perché la
prossima volta, non so se avrà la stessa magia, almeno per me che lo scriverò, perché
sarà un po’ come arrangiare quello della Rowling mentre quando ho scritto questo avevo ancora davanti
tutte le mie rosee aspettative. Oh, i bei tempi del pre-DH. Ma non facciamo le
vecchie malinconiche, miseriaccia!
Buona lettura carissime, grazie come sempre di tutto =)
Capitolo 10.01
Sussurri e grida
We'll do it all
Everything
On our own
We don't need
Anything
Or anyone
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the
world?
I don't quite know
How to say
How I feel
Those three words
Are said too much
They're not enough
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the
world?
Forget what we're told
Before we get too old
Show me a garden that's bursting into life
Let's waste time
Chasing cars
Around our heads
I need your grace
To remind me
To find my own
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the
world?
Forget what we're told
Before we get too old
Show me a garden that's bursting into life
All that I am
All that I ever was
Is here in your perfect eyes, they're all
I can see
I don't know where
Confused about how as well
Just know that these things will never
change for us at all
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the
world?
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the
world?
{Chasing Cars-Snow Patrol}
Hermione.
Harry si
alza e ci rivolge un sorriso frettoloso.
-Vado da
Ginny.
-Hai già
visto Cho?
-Tiene
ancora ai Tornados.
Harry
ride. –No, ma ho sentito che c’è. Passerò a trovarla.
-Insegna
Volo.- Faccio.
-Che
bello, come la invidio. Va bene, vado a salutare Cho e poi dalla mia donna
incinta.
-Salutamela.
E dille…- Inizia Ron.
-Che stai
bene. Le dirò tutto, tranquillo.- sogghigna. -Ma non troppo-, aggiunge.
Mi siedo
e lui mi accarezza brevemente la testa.
-Salutala
anche a me.
-Sì,
certo. Dopo dobbiamo fare due chiacchiere, io e te, signorina. Dobbiamo parlare
di questo Richard.
Io rido.
–Non c’è molto dire, signorino. Comunque, certo. Non vedo l’ora delle nostre chiacchiere
padre-figlia.
-E chi
sarebbe il padre?- Ridiamo, e lui si allontana agitando la mano. –A dopo
scemi.
Aspettiamo
che si sia allontanato, e ancora nessuno dei due parla. Improvvisamente tutta
la smania di comunicargli i miei sentimenti, i miei progetti, le mie scuse,
tutto si è chetato. Averlo accanto mi sembra già abbastanza per stare bene.
-Allora,
facciamo due passi?- chiede. Annuisco.
Mi aiuta
ad alzarmi prendendomi una mano. Le sue dita indugiano per un attimo sulla mia
pelle. Una scarica elettrica mi spinge a fuggire dalla sua stretta, e lo seguo
lungo il sentiero.
Stiamo in
silenzio ancora qualche momento.
-Allora,
di che cosa stavamo parlando?- Inizia.
-Quando?-
chiedo, sorpresa. –Di nulla, mi pare.
-Nella
cucina di Luna, stavamo parlando.
-Uh, già.
Bhè, non mi ricordo di cosa.- Certo che me lo ricordo. Ma non voglio riprendere quel
discorso. Meglio che di Richard non parliamo più. Ti prego trova qualunque
altra cosa di cui parlare.
Si
stringe nelle spalle. –Allora non sai se sposarti.
Se lo
ricordava benissimo, traditore.
-Già. E
tu come stai?
-Bene.
Prima dicevo con Harry quanto sia buffo essere qui.
-E bello.
-Sì. E
bello. Un sacco di ricordi idioti, un sacco di ricordi seri, tristi,
divertenti.
-Già. È
come un tour nei ricordi.
Ride.
Allarga le mani, come a spingermi a guardarmi intorno. –Quante cose ci
sono successe solo su questo prato?
-Un’infinità.-
Sospiro.
Si volta
verso il castello. –Guardarlo! È sempre uguale, ma quante cose sono
cambiate?
-Troppe.-
Bisbiglio, senza voltarmi.
-Sì,
troppe. Davvero troppe.
Silenzio.
Camminiamo uno accanto all’altra, per la prima volta da tanto tempo senza
alcuna tensione. Tranquillamente.
-Qui è diverso.- Dice. –Rispettoagli altri posti. È tutto diverso.
Ridacchio.
–Sì. Diverso. È la sicurezza.
-La
sicurezza?
Annuisco.
–Sì, sai, ovunque sei come… in pericolo. C’è sempre qualcosa o qualcuno
che può farti vacillare, cadere, ferire. Mentre qui è come se… tutto quello che
potevamo provare l’abbiamo già provato. Sicurezza. Nulla può più sorprenderci,
nulla può più… farci del male. Qui.
Sorride,
distoglie lo sguardo. –In questi ultimi mesi ho desiderato spesso tornare
qui.
-Perché?
-Sono le
cose belle. Pensiamo che la cosa più difficile sia dimenticarle, per staccarci
dal passato e, sai, ricominciare. E io l’ho desiderato davvero. Ricominciare.
Ma poi mi sono reso conto che troppo spesso mi ero concentrato sulle cose
brutte. Erano quelle che macchiavano il tempo che avevo trascorso… con voi,
qui, e tutto il resto. È molto più difficile ricordarle, le cose belle. Ci
abituiamo troppo a loro, e le dimentichiamo.
-Quanto
siamo sciocchi.- Mi rigiro un riccio trai capelli. –E le hai trovate?
-Cosa?
-Le cose
belle. Nei tuoi ricordi, qui.
Ride.
Annuisce. –Sì. Sono ovunque.
-Davvero
ovunque.
Un altro
sottile silenzio, leggero. Quand’è stata l’ultima volta che non mi sono sentita
in obbligo di riempire un silenzio con qualcuno? Secoli. Sembrano secoli.
-Descrivimelo.-
Inizia lui.
-Chi?- Lo
so bene, chi.
-Richard.
Rido.
–Perché?
-Curiosità.
E poi, responsabilità. Io ti devo proteggere, sai, da questi uomini che
riempiono il mondo.
Non
riesco a trattenere uno sbuffo, simile ad un’altra risata. –Bhè, comunque
l’hai conosciuto.
-No, l’ho
visto è
diverso.
-Sei
diventato pignolo, con gli anni. Non l’avrei mai detto. Comunque… è molto
tranquillo, comprensivo, gentile. Mi capisce, mi ascolta… Bhè, ma che te lo
dico a fare? Non ti piacerebbe comunque.
-Che vuoi
dire?
-Che i
ragazzi con cui sono uscita non ti sono mai piaciuti. Perché con Richard
dovrebbe essere diverso?
-Non è
vero che non mi sono mai piaciuti.
-Allora
dimmene uno che ti è piaciuto.
-Dimmene
uno che non mi è piaciuto.
-Okay:
Victor.
-Ah. Ma
lui non vale.
-E perché
no?
-E poi mi
piaceva, era il mio giocatore preferito.
-Ma che
dici! Se mi hai fatto una scena quando…
-Era solo
per spirito di competizione. Sai no, il Torneo…
-Certo. E
allora che mi dici di “Lumacone”?
-Bhè
nemmeno a te sono mai piaciute le mie ragazze!
-Mia
sorella mia piace!- Dio ti prego non farmi arrossire, non ora, ti prego.
-Lavanda
non ti piaceva.
-Non è
colpa mia se non sai scegliere!
-E poi
nemmeno a Harry piaceva Krum.
-Harry
non aveva nulla contro Krum. Eri tu che lo odiavi, Ronald.
Silenzio.
–Mi hai tenuto il broncio per la storia di Lavanda.
-Non era
per la storia di Lavanda.
-E per
che cos’era?
-Bhè, era
un periodo difficile.
Ride.
–Certo. Ci sarei venuto al ballo di Lumacorno con te, comunque.
-A me non
importava.- Bugiarda. Bugiarda.
-Ovvio.-
Tira un calcio ad un sasso. –Abbiamo litigato spesso da ragazzi.
-Non solo
da ragazzi.
-Giusto.
Non solo da ragazzi. Ginny dice che infondo ci vogliamo bene.
-Lo credo
bene.
Siamo
arrivati vicino al lago. I suoi grandi occhi azzurri sfiorano la superficie
dell’acqua, i raggi del sole l’accarezzano e vi danzano sopra. Lontano, un
tentacolo affiora per pochi istanti e poi sparisce con un guizzo.
-Ti
ricordi il fratello di Colin Canon? Nel suo viaggio in barca fino ad Hogwarts,
il suo primo giorno, è caduto in acqua.
-Ed è
entrato in Sala Grande tutto bagnato.
-Coperto
dal pastrano di Hagrid.
Il
pensiero di Hagrid occhieggia un attimo nelle nostre menti.
-Io il
pastrano non me lo ricordo.- Dice lui.
-Io sì.
Lo copriva tutto, e lui ne andava così fiero.
-Non
aveva nessun pastrano. Aveva tutti i pantaloni bagnati, e Fred ha fatto una
brutta battuta su…
-Ma no.
Quella è stata un’altra volta, e non era il Canon piccolo. Eri tu.
-Io non
sono mai caduto nel lago!
-No, ma
ti abbiamo bagnato in giardino alla Tana… stavamo pulendo non so cosa…
-Non è
vero!
-Sì-
scoppio a ridere. –Ha ragione Ginny: sei un bugiardo!
-Io non
sono un bugiardo.
Scoppio a
ridere. –Sei un bugiardo quando dici che ti piaceva Krum.
Alza gli
occhi al cielo. –Ma chissene frega di Krum. Questo Richard di sicuro mi
piacerebbe. Anzi, sai che ti dico? Non vedo l’ora di conoscerlo.
-Cazzate.
-Non hai
fiducia in me.
-Non
voglio che tu lo conosca.
-Vuoi
sposare un uomo che il tuo migliore amico non conosce?
-Lo
stroncheresti e io non potrei comunque sposarlo.
-Il mio
stupido giudizio è così importante?
-Mi
illudo che tu mi conosca meglio di chiunque altro.
-Non
penso sia così. Ma una cosa la so. Tu hai una paura incredibile di questa cosa
di Richard.
-Non è
vero. Non mi spaventa affatto. Non mi spaventano le cose che posso controllare,
che dipendono da me.
Alza un
sopracciglio, giocherella con la ghiaia, grattandola con la punta del piede.
-Che
forma avrebbe avuto il tuo Molliccio?
Continuo
a guardare la superficie liscia del lago incresparsi dolcemente e rilassarsi
sotto il tocco del vento. Nuvole pesanti si ammassano lente nel cielo, gravide
di pioggia. Non lo so. Non so cosa sia la cosa di cui ho più paura. O quello di
cui avevo più paura allora. Oggi forse lo so, ma non ho idea di che forma
potrebbe avere.
-Non ne
ho idea.
-Non ne
hai idea ora o non ne avevi idea allora?
-Allora.
-Ora che
forma prenderebbe il tuo Molliccio?
-E il tuo
sarebbe ancora un ragno a cui mettere le rotelle?
Scoppia a
ridere. –Non è giusto rivoltare le domande.
-Non è
giusto fare certe domande.
-Ma
potresti rispondere, comunque. No?
-No.
-E
perché?
Mi
stringo nelle spalle, -Perché no.- contemplo un secondo l’immagine che potrebbe
avere il mio Molliccio. –E comunque un ragno a cui mettere le rotelle è
davvero stupido.- E scoppio a ridere.
Ci
rimettiamo a camminare.
E poi
scoppia a ridere lui. –Al test finale del terzo anno. Il tuo Molliccio è
diventato la McGranitt che ti diceva che non avevi preso il massimo dei voti!-
E la sua risata è così forte e arrogante da innervosirmi.
-Non è
vero!
-Ma
certo. Hai preso un punteggio inferiore a quello di Harry quell’anno. È per
questo che gli hai fatto tenere le lezioni dell’ES e non l’hai fatto tu.
-No. L’ho
fatto perché lui è Harry, e doveva. Non per uno stupido test! Per me non erano
poi così importanti.
La sua
risata è ancora più fragorosa. –Certo che lo erano! Erano la cosa al
mondo più importante per te! La priorità assoluta!
-Ho
rivisto le mie priorità il giorno che sono diventata vostra amica.
-No!
Avresti voluto farlo. Avresti dovuto farlo. Ma non ci sei mai riuscita. La McGranitt che ti
dice che non hai preso il massimo, identifica perfettamente la bambina che eri.
-Non hai
conosciuto la bambina che ero.
-Ah,
perché eri già una donna quando ci siamo conosciuti?
-Il
bambino sei sempre stato tu, tra noi.
-Certo.
Mentre tu eri la mamma che doveva tenermi d’occhio, dimenticavo. Una
reincarnazione senza autorità di Molly Weasley.- Risata amara.
Una fitta
alla pancia.
-Perché
devi sempre tentare di ferirmi?
-Io non
cerco di ferirti. Non ho mai voluto ferirti.
-Mai? Da
quando ci conosciamo tu cerchi di ferirmi ogni singolo giorno. E ci riesci,
ogni singolo giorno!
-Almeno
io ti do una spiegazione, quando ti ferisco.
Colpo
basso. –Io non ti ho mai ferito.
-L’hai
fatto una moltitudine di volte.
-Menti.
Fai anche questo di continuo. Mi menti.
-Perché
tu sei sempre sincera con me?
Le nostre
urla risuonano nel parco immobile, senza intaccare niente nella perfezione
argentea dello scenario. Tranne una cosa. Noi. La nostra serenità, il nostro
rapporto, persino i nostri ricordi. Distrutto tutto in un momento perché non
riusciamo ad essere d’accordo nemmeno su quello che abbiamo vissuto in comune.
E’ questo
l’uomo che ho amato per tutta la vita? Un uomo con il quale non riesco a far
altro che litigare?
-Ti ho
mentito quando pensavo che dirti la verità ti avrebbe fatto più male.
-Non ho
mai avuto bisogno della tu protezione!
-Certo.
Tu non hai mai avuto bisogno di me. Tranne che per i compiti. Io, la sfigata
fissata con lo studio, ecco a cosa ti servivo: a copiare i compiti che tu non
riuscivi a fare, troppo impegnato a sprecare il tuo tempo con sgualdrine come
Lavanda Brown!
-Eccola!
Ci risiamo! Ogni volta mi rinfacci che ti chiedevo aiuto per lo studio. Bhè,
potevi non darmelo. E poi, ovviamente, tutte le strade riportano all’unico
stupido errore della mia adolescenza: Lavanda Brown!
Rido.
–L’unico? Tu sbagliavi di continuo ma nessuno te lo diceva perché ti
saresti messo ad urlare!
-Menomale
che c’eri tu a dirmelo, eh? I tuoi voti alti nelle materie di scuola ti davano
questo, giusto? La licenza a valutare gli altri nella vita! Ma sai che ti dico?
Se ci fosse un voto da dare per come viviamo la nostra vita il voto più basso
lo prenderesti tu!
Solo due parole, come sempre. Perché così vi faccio suspance =P
No, scherzo. Ho davvero qualcosa da dirvi.
Tengo tantissimo a questa canzone, l’adoro. È forse una delle mie
preferite. E non solo. Quando stavo iniziando a pensare a questa storia, la
stavo ascoltando. E pensavo a quanto fosse perfetta per Ron ed Hermione.
Pensavo che mettesse un po’ insieme ciò che lui vorrebbe dirle. Non so perché,
ma mi dava questa impressione: vedevo perfettamente e chiaramente Ron dire
queste esatte parole ad Hermione.
Spero che il finale non vi deluda, mi terrorizza questa idea!
Siate il più sincere possibili, ma senza crudeltà, per favore **
Preparate i fazzoletti… (No dai, non fa piangere =P)
Vi adoro =)
Capitolo 10.02
Urla e qualcosa di più.
We all walk down the street my love
we carry pain and we carry scars
we carry everything we love
we carry the girls we met in bars
we carry guilts and remorse
for all them fucked up things we done
and we carry on
we carry on
til our caring days are gone
when we blaze out past the burroughs
to a place where time forgot
I see the leaves are even changing
and my stomach starts to drop
Your face is in the moon
Still I try to find my rock
And now you live down by the river
And my key don’t fit your lock
I can make it better
I know I can
I can make it better
I’ll give everything I have
I can make it better
try and forget the pain
I can make it better
Has it really been that long
since u told me bout the war
yeah a thousand nights of blisters
and probably a thousand more
Id speed you from the city
in a stolen taxi cab
Id be wreckless on the LIE
Untill it starts to scab
Well Id tell you all bout those good
things in your life
and when I fail Id say I love u and ask u
to be my wife
we could live out by the water
where its always summertime
Id love u even after
all your scars are mine
when we blaze out past the burroughs
to a place where time forgot
I see the leaves are even changing
and my stomach starts to drop
your face is in the moon again
But still I try and find my rock
now you live down by the river
and my key don’t fit your lock
I can make it better
I know I can
I can make it better
Ill give everything I have
I can make it better
Try and forget the pain
I can make it better
Well be together again
{the girl with the scar- Fun Lovin’
Criminals.}
Ron.
Ovviamente
so che è una cattiveria. La più grande cattiveria che mi poteva venire in
mente. O forse no. Ma i suoi occhi non si riempiono di lacrime, non questa
volta. Le si scolpisce in volto un’espressione livida, furente, glaciale. I
capelli morbidi e ricci che le ricadono sulle guance, le labbra tremanti che
non trovano nulla con cui colpirmi con altrettanta forza.
Non
diventa rossa, non perde la calma.
Per la
prima volta, vedo in lei la stessa adolescente davanti ad un compito
scolastico: fredda e distaccata, razionale, intelligente.
Mi osserva
dall’alto al basso, come se fossi caduto troppo in basso, troppo per lei.
Troppo persino per essere guardato in faccia. Ha un sopracciglio alzato, in
segno di ironia e strafottenza. Nei suoi occhi si specchiano le nuvole plumbee
che riempiono il cielo sopra di noi.
Poi si
volta su se stessa e riprende a camminare, come se non fosse mai stata
interrotta.
-Mione,
io…
-Io, Io,
Io. Ma certo, Ronald. Cosa c’è? Hai bisogno di una mano per finire questa
frase? Il tuo repertorio di cattiverie va rimpolpato?
-No,
veramente…
-Non
posso nemmeno ricordarle tutte, quelle che mi hai detto. Vediamo… forse posso
provare a ricordarne qualcuna…
-Non, io…
-“ci
credo che non ha degli amici”. Questa me la ricordo bene. Strano, poi, che sia
diventato proprio tu mio amico. Perché l’avrai mai fatto? E perché sei ancora
qui? Sai che non sono mai riuscita a spiegarmelo? Mai. Non cosa ci fosse di
tanto orribile in me che tu non potessi sopportare, ma cosa ci fosse di
evidentemente abbastanza valido da farti restare al mio fianco.
-Io…
-Sei
arrivato a pensare che il mio gatto avesse mangiato il tuo stupido topo vecchio
e malato. E io sapevo che non era così. Ma ho finto che fosse vero e ti ho scongiurato di perdonarmi. Perdonare ME, come
se la colpa fosse stata mia. Come se fossi stata io in persona ad inghiottire
il tuo stupido ratto malato. E se solo Grattastinchi l’avesse mangiato davvero!
Sarebbe stato meglio, no?
-Mione.
-Forse
dovrei chiedere a tua sorella. Sono certa che lei se le ricorda, tutte le
scenate che mi hai fatto, perché ogni volta veniva a consolarmi. A dirmi di
lasciar stare, che eri un idiota, e ti sarebbe passata. Era vero. Ti passava. E
io ero riammessa nella tua vita, fino a che non ti svegliavi di nuovo con le
palle di traverso. E PUNTUALMENTE era colpa mia!- si rimette ad urlare, mentre
io arranco dietro di lei, tentando di trovare le parole giuste per farla
smettere di urlare.
-Ma forse
mi sono sognata tutto. Anzi ovviamente deve essere così. Io ero una pazza
visionaria e tu, poverino, venivi frainteso da me.
-No,
veramente, io non avrei…
-Ma poi
eri anche così dolce! E le estati passate insieme alla Tana? Lì eri così
gentile, e ci divertivamo da soli a chiacchierare tutta la notte! E se avevo
bisogno c’eri sempre!
-Perché…
-Perché
sono una scema. IO sono una scema! Avrei dovuto sbatterti la porta in faccia
fin dal primo momento, tu patetico sciocco arrogante…
-Pensi
che per me sia stato…
-Io
rischiavo per te. Ho incantato McLaggen ai provini di Quidditch così che
vincessi tu. Io! Ti rendi conto? Io, che nella vita prenderei un voto
bassissimo sapevo che per te era così importante che avrei rischiato qualunque
cosa per…
-TU COSA?
-Ma sì,
ti sconvolge tanto? Tu non eri un bravo portiere. Ma eri il mio migliore amico.
E l’unica cosa di cui avevi bisogno per essere un bravo portiere era guadagnare
un po’ di sicurezza. Di questo avevi bisogno e questo volevo darti, sicurezza.
-Tu mi
hai mentito! Visto? Tu mi hai mentito!
-Avresti preferito sapere? Davvero?
-Certo!
-Sei tu a
mentire. A non capire. Mai.
-Quante
altre volte hai finto di avere l’incarico di…
-Ti sei
comportato malissimo con Harry quando il suo nome è uscito dal Calice.
Malissimo! Hai creduto che lui ti avesse imbrogliato solo perché non hai
fiducia in niente e in nessuno! Ed eri GELOSO di lui! È ridicolo. Capisci che è
ridicolo? Lo capisci ora che non hai più la testa di un bambino di 7 anni
convinto che l’amico gli abbia rubato l’orsacchiotto?
-Era una
questione tra me e Harry…
-No…! Ma
sai perché Harry ha potuto capito che eri solo un bambino complessato? Perché
Io gliel’ho spiegato!
-Menomale
che ci sei tu a capirmi così bene! E allora se hai capito sempre tutto così
bene perché…
-Perché
cosa?
Perché siamo qui ad urlarci contro? Qui,
oggi, che in teoria dovremmo essere degli adulti? Adesso. Diglielo, Ron. Dille
cosa avrebbe dovuto capire da sola.
Dille il
perché ti di questo litigio, il perché di tutti i vostri litigi.
Dille il
perché di quei bronci e quei cattivi umori.
Dille
perché ti sei arrabbiato quando è andata al ballo con Krum.
Dille
perché ti sei arrabbiato perché ha baciato Krum.
Dille
perché non sei andato alla festa di Lumacorno con lei.
Dille
perché aspettavi che lei si addormentasse prima di addormentarti tu in viaggio:
solo per guardarla dormire.
Dille
perché lei era l’unica a cui volevi dire del tuo nuovo lavoro.
Perché
sei andato con sua sorella.
Perché
volevi disperatamente che non partisse.
Che hai
passato giorni e giorni accanto al suo corpo inerme attendendo che si
risvegliasse.
Che
mentre Malfoy la torturava sentivi dentro un dolore mai provato prima.
Che
avresti vomitato lumache per sempre per difenderla dalle accuse di stupida
gente che non aveva il diritto di giudicarla.
Che
vederla pietrificata è stata la cosa più tremenda della tua vita e che a volte
ancora sogni il suo viso di pietra, intento ad osservare gli occhi di un
mostro.
Spiegale
il motivo per cui sei stato con Lavanda, sopportando una ragazzina che odiavi
solo per dimostrare che potevi anche tu.
Spiegale
che cosa volevi dimostrare.
Spiegale
a chi volevi dimostrarlo.
Spiegale
il motivo per cui ha passato tante estati alla Tana.
E
quell’estate a Grimmuld Place.
Raccontale
come ti piaceva vederla impegnata a pulire una mensola infestata per ore e ore,
con il labbro inferiore morso dai suoi piccoli denti bianchi.
Apri la bocca,
Ron, e urlale addosso quello che merita di sentire.
E
vincerai questa lite. Oh, sì. La vincerai. L’ammutolirai davvero con una sola
frase: perché non hai capito che cosa provo per te?
Finalmente
vincerai uno scontro. Non avrà parole per ribattere.
Magari
fuggirà e non la sentirai mai più.
Ma non
importa. Sarà stata una buona causa. Sarà stata una battaglia vinta per
qualcosa. Per lei, contro di lei.
Diglielo
Ron.
Apro la
bocca, e la richiudo.
-Certo.
Come sempre lanci le bombe e poi non stai lì a raccogliere le macerie. È questa
la tua tattica, no? Rompi, ma non paghi mai.
-Non sono
io quello che scappa senza lasciare traccia di se.
Fa un
verso di trionfo. –Sapevo che mi avresti attaccato con questa tesi! La
crudelissima Hermione Granger che se ne va e abbandona il suo amico d’infanzia!
Perché a te non vanno bene le spiegazione che ho ripetutamente dato. Io sono
una bugiarda, giusto? Quindi non posso aver detto la verità!
Le sue
urla si sono fatte roche e stanche. Persino la sua maschera di durezza sta
crollando, lasciando il posto ad un’espressione sempre più addolorata. La
pioggia che ha preso a scivolare su di noi sembra far sciogliere il suo riparo
ad ogni goccia.
-Una
bugiarda! Una cattiva persona, bugiarda, permalosa, io…
-Vuoi
giurarmi che te ne sei andata per fare del bene? Per ritrovare te stessa?
-Se ti
giurassi di sì, mi crederesti?
Dovrei
crederle. Ma sarebbe troppo doloroso pensare che non l’abbia fatto per scappare
da me. E insieme meraviglioso. Mi renderebbe meno importante. Ma anche meno crudele,
per qualche strano motivo che non ho, davvero, capito… -Vorrei.
Si volta
ancora e fa qualche passo. È entrata nella foresta. I rami sempre più scuri
coprono il cielo scuro, un ombra strana le si disegna sul volto, i ricci umidi
la rendono più selvaggia. Il profumo di sottobosco è intenso e acerbo, doloroso
nella realtà quanto vivido nei ricordi, reso più intenso dalla pioggia che
cade, pigramente.
-Non
potresti mai capire.
-Potrei
provarci.
Scuote il
capo, un sorrisino le accarezza le labbra.
-Ci ritroviamo
sempre ad urlare.
Sospiro.
–Sì.
-Mi è
mancato. Urlare con te.
Sorrido.
–Davvero?
-Mi sei
mancato. Tu.
-Non è
vero.
-Sì, è
vero. Mi è mancato tutto di te. Ridere, scherzare, parlare. I nostri segreti e
le cose che abbiamo affrontato insieme, nonostante tutto. I tuoi capelli rossi
e i tuoi occhi da bambino e le tue orecchie che diventano paonazze. Harry mi è
mancato. Ginny mi è mancata. Ma tu…- sospira. –Sei tu da cui volevo
tornare. Ogni… Eri tu a mancarmi più di tutto e più di tutti. Tu.
Non posso
trattenere un sorriso.
Tronfio.
Intenerito.
Innamorato.
Un
sorriso.
-Anche le
urla, sai.- Continua. Sospira pesantemente. –Questa cosa che facciamo.
Rinfacciarci le cose, ferirci, essere cattivi. E poi comunque continuare
volerci bene, in qualche modo incomprensibile… anche questo. Forse soprattutto
questo. Mi era mancato così tanto…
-Non
urlavo contro qualcuno da mesi.
-Già,
nemmeno io. Contro Cassie non urlavi?
-No, mai.
-Avevi
paura di ferirla?
-Non
sapevo come avrebbe reagito.
Ride.
–Dovremmo essere meno cattivi l’uno con l’altra, io e te.- Le trema un
po’ il labbro. Vorrei prenderlo tra le labbra e stringerlo forte trai denti.
-Tiri
fuori il peggio e il meglio di me. L’hai sempre fatto.- Bisbiglio.
Sorride
stancamente. –Allora ho anche io una specie di pregio, e puoi aggiungere
un difetto alla lista.
-è una
lista di cui non mi sono mai curato poi tanto.
Silenzio.
Ci
fronteggiamo, senza più urla né fretta. L’aria adesso è più leggera, bagnata,
c’è un sapore di tranquillità che non avevo mai sentito, tra noi. Una sorta di
affettuosa rassegnazione, che ha placato ogni elettrica tensione. Una folata di
vento le porta un riccio sulla guancia, su cui si appiccica per l’acqua, e io
vorrei catturarlo con le dita, sentire il calore morbido della sua guancia al
tatto.
Prenderla
per mano e dirle di non essere triste, non più.
Non ti
ferirò più.
…Intenzionalmente.
-Non lo
sposare.
Scuote la
testa.
-No.
Si sposta
il riccio dal viso e indugia a lungo con la mano, come per nascondersi dai miei
occhi, ora che non ha più una maschera.
Non sa
che non può nascondersi.
Non ha
mai potuto, ne mai potrà.
-E
ripartirai?- la voce mi trema appena, e le note distrutte di questa frase che
da tempo volevo farle risuonano patetiche e tristi nel silenzio ovattato e
pieno di vita della Foresta Proibita. Il luogo delle lontane volte in cui
abbiamo infranto la legge della scuola e messo a rischio la nostra vita.
Nonostante la paura. E forse proprio perché avevamo paura.
-Non lo
so. Dipende.
-Da cosa?
Sospira.
-Da te.
L’aria mi
viene aspirata dai polmoni.
-Perché?
I suoi
occhi si lanciano nei miei. Sono allegri, forti, sfrontati, timorosi,
eloquenti.
Il cuore
mi si fa pesantissimo in petto, ogni battito un dolore. E poi si avvicina a me,
lenta, un sorriso incerto ma coraggioso sulle labbra. E allora il mio cuore si
fa leggerissimo, quasi inconsistente. Potrei prenderlo tra le mani e farlo
volare via. Consegnarlo a lei, anche se già le appartiene.
Le prendo
una mano, e lei la stringe forte. Mi sorride.
Non c’è
più molto che possiamo dirci.
Tranne
una cosa.
-Resta.
E
finalmente, dopo averlo tanto sognato, semplicemente, la bacio.
Capitolo 23 *** Epilogo. Felici e contenti (almeno per un po') ***
.EPILOGO.
Felici e contenti (almeno per un po’)
It's late in the evening; she's wondering
what clothes to wear.
She puts on her make-up and brushes her
long blonde hair.
And then she asks me, "Do I look all
right?"
And I say, "Yes, you look wonderful tonight."
We go a party and everyone turns to see
This beautiful lady that's walking around
with me.
And then she asks me, "Do you feel
all right?"
And I say, "Yes, I feel wonderful
tonight."
I feel wonderful because I see
The love light in your eyes.
And the wonder of it all
Is that you just don't realize how much I
love you.
It's time to go home now and I've got an
aching head,
So I give her the car keys and she helps
me to bed.
And then I tell her, as I turn out the
light,
I say, "My darling, you were wonderful
tonight.
Oh
my darling, you were wonderful tonight."
{Wonderful
tonight-Eric Clapton}
Harry.
La sala è piena di gente, ce n’è così tanta che mi manca
l’aria. Ma sono di ottimo umore, davvero. Sarà lo spumante che tengo in mano. O
forse il brandy. Sono comunque di ottimo umore.
Ginny è seduta su una poltrona, i capelli rossi
meravigliosamente lucenti, gli occhi d’oro spalancati. E quel sorriso. Il suo
sorriso.
Indossa un vestito a fiori, una scollatura elegante rivela
un po’ il suo petto bianco e gonfio di latte. Tra le braccia tiene un fagotto
caldo e rosa.
La nostra bambina.
Cerco di raggiungerle nella folla, solo per inspirare
un’altra boccata del loro sapore, per stringerle a me. Per saziare il bisogno
che ho di averle sempre accanto.
Ma un gruppo di parenti dai capelli rossi mi ferma.
Pigolano cose banali e felici. Non li avevo mai visti. Forse mi sono stati
presentati. Non so.
Io e Ginny ci siamo sposati in privato, con solo Hermione,
Ron, Luna, Fred, George e i signori Weasley. Poi noi due siamo andati in luna
di miele in Irlanda, mentre Ron e Hermione sono tornati a casa. Li abbiamo
raggiunti dopo un mese, quando Ginny si è sentita abbastanza tranquilla sul
piano Mangiamorte, anche se ora ho un coprifuoco che sembra quello di una dodicenne.
Ma tanto non importa. Non mi interessa stare fuori a far vita. Voglio solo
stare a casa con loro.
Così per me questa mandria di parenti lentigginosi è una
specie di nuvola senza nome. Non li conosco, non so chi siano. Ma Ron mi ha
dato qualche dritta per comportarmi con loro.
E non parlare di: ricchi, Malfoy, Voldemort, parenti
defunti.
E tutto andrà bene, mi ha detto. Devi solo resistere
fino al mio arrivo.
Rido. Poi ci metteremo in terrazza con lo spumante, e Ginny ed Hermione si
occuperanno dei parenti.
Il battesimo è andato bene. Ron non ha fatto cadere mia
figlia, Hermione non ha pianto troppo, non hanno litigato per il fatto che lui
aveva la camicia abbottonata tutta storta. Ho concesso a tutti e due una pausa
di un’ora. E questo è il tempo che devo resistere da solo: un’ora.
Chissà cosa stanno dicendo questi. Ho lanciato la bomba
“cibo”. Ron ha ragione, piace un sacco.
Mi sento afferrare un polso e mi giro. Il viso tondo e
morbido della signora Weasley è tutto bagnato di lacrime.
-Signora Weasley!
-Quando imparerai a chiamarmi “Molly”, tesoro caro?-
Singhiozza.
-Quando vuole, M-Molly.
-Dammi del tu! Sei il marito della mia bambina! Il padre
della mia prima nipotina!- altre lacrime, altri abbracci. Da sopra la sua
spalla intercetto un’occhiata divertita di Ginny, che si stringe nelle spalle
come dire “la mamma è sempre la mamma”. Le faccio la linguaccia e lei
sogghigna, rivolgendo alla piccola un sorriso tranquillo.
-Dov’è Ron, caro?
-Lui ed Hermione stanno arrivando.
-Oh, certo! Vorranno stare un po’ soli, loro…
Rido. E lei mi rivolge un sorriso.
-Sono felice che alla fine si siano sistemati.- Dice.
-Doveva succedere, no?
-Da sempre.
-Staranno bene ora. Davvero bene.
-Oh sì. E poi tu li terrai d’occhio, vero caro? Come
sempre, vero caro?
Le do un colpetto affettuoso sulla spalla. –Sono
loro a tenere d’occhio me, Molly. Come sempre.
La porta in quel momento si apre.
Dalla folla rossa e lentigginosa emerge una donna eretta
nella sua altezza, fiera in un abito semplice rosso scuro, i ricci sciolti
sulla schiena nuda, un sorriso sul viso liscio e, per mano, il mio migliore
amico. Ron ha i capelli tutti spettinati, le orecchie rosse, e un sorriso
sornione che io so bene che cosa vuol dire: Ho appena fatto sesso. Vedo che
negli occhi di Hermione è disegnata una dolce malizia, mentre si presenta
educatamente a parenti Weasley e si avvicina ad amici vari. Ron intanto si
ricompone. Di tanto in tanto accarezza le braccia, la schiena nuda, i ricci voluminosi,
il collo bianco, le labbra rosse della bella donna che gli sta accanto. E lei
sorride, con dolcezza. Lo tiene per mano, lo sfiora. Ride. Lo bacia. Si lascia
baciare. Ridono.
Chiacchierano, scherzano.
Si baciano.
Ridono.
-Ehi.- Li saluto. Hermione si sporge per schioccarmi un
sonoro bacio sulla guancia.
-Eri bellissimo inchiesa.- Dice. –Ma la scena era tutta di quello splendore di tua
figlia.
-Le cedo volentieri i riflettori.
Ron mi da una pacca sulla spalla. –Non l’ho fatta
cadere, visto?
-Ti sei meritato la tua ora di sesso.
Arrossiscono come bambini.
-Tranquilli, non lo dico a Ginny.
-Ehi ragazzi, com’è andato il sesso?
Ginny si unisce a noi, la testa della bambina abbandonata
sulla spalla.
-Harry!
Ginny scoppia a ridere. –Credete che sia scema? Un
giorno o l’altro smetterete di vedermi come la sorellina piccola di Ron?
Le do un buffetto sotto il mento. –Sei sempre la
nostra piccolina.
-Non parliamo di sesso davanti ad Alice.- Supplica Ron,
indicando nostra figlia. Ginny le accarezza le guance morbide.
-Già, lasciamole la sua stupida innocenza almeno per un
po’.- Poi da un colpo ad Hermione. –Vieni, andiamo a salutare Flebo.-
Ridono. –Così loro possono iniziare a bere sul terrazzo.
Si allontanano vicine, parlottando, salutando persone, la
loro scia profumata e ridente che fa splendere la stanza.
Io e Ron ci avviamo effettivamente in terrazzo, con la
bottiglia di champagne.
Ci sediamo a terra, con la Londra nebbiosa e addormentata
che si stende sotto di noi.
-è andato bene il sesso, comunque?
Ride forte. –Certo.
Stiamo in silenzio un attimo.
-Sei felice, Ron?
Lui beve una lunga sorsata.
Sorride.
-Ti ricordi cosa mi hai detto una volta di Ginny? Che per
te era l’unica al mondo?
-Sì.
-Ora capisco cosa intendevi. Lei per me è l’unica al
mondo.
Sorrido. –Quindi siete felici.
-Ti sembriamo felici?
-Sì.
-Lo siamo.
-Anche noi.
Bevo una sorsata di champagne.
-Siamo fortunati. Sono splendide stasera.
-Sono sempre splendide.
-Sì.
La porta finestra si apre, per un attimo il vociare della
festa irrompe sul terrazzo, poi si richiude, e il rumore si spegne. Si siedono
accanto a noi.
-Parlavate di noi?
-No, affatto.
-E di che parlavate?- Fa Ginny, stringendosi a me.
-Di Quidditch, sorella.- scherza Ron.
Ridiamo, Hermione beve un sorso e si lascia baciare da
Ron, poi si accoccola tra le sue braccia.
In cielo luccica qualche stella solitaria, e il traffico
mugugna nelle strade sotto di noi.
-Tutto bene ragazzi?
-Tutto bene.
Ginny mi prende la mano.
Vedo il contorno morbido dell’abbraccio di Ron ed
Hermione, e mi sento io stesso stretto dalle loro braccia.
-Siete splendide stasera.
-Siamo sempre splendide.
E tutti e quattro, senza guardarci, sorridiamo.
FINE.
È finita…
Spero che vi
sia piaciuta, tutta, davvero.
Grazie di
avermi seguita fino a qui, grazie di tutto. Siete fantastici.
Spero di
pubblicare presto una nuova Harry- Ginny, ho una voglia matta di scriverla. E
spero di risentirvi presto! Se non avete letto le mie vecchie Ficc e avete
voglia, le trovate qui sul sito.
Alla prossima
allora, e largo agli ultimi commenti! =)