Cosmic Love.

di wordsaredeadlythings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***


“A falling star fell from your heart and landed in my eyes
I screamed aloud, as it tore through them, and now it’s left me blind.”

 
 
 
 
Era tutto così vuoto, silenzioso.
Quando spalancò gli occhi, fu come ritrovarsi in un sogno. C’erano macchie di colore ovunque; era come essere immersi in un mare composto di arcobaleni, come sorvolare un cielo intessuto di colori esplosivi. Erano così brillanti che facevano quasi male, ed ebbe la tentazione di piangere.
Si guardò intorno, nuda ma senza vergogna, senza bisogno di coprirsi, e realizzò che era quello. Quello era il posto dove si andava dopo la morte. Era quello il luogo dove avrebbe trascorso l’eternità. Lei, anima eterna. Senza più sofferenze. Senza nient’altro che pace.
Vide una figura emergere da quel tessuto composto di arcobaleni sottili, ed avvicinarsi a lei, silenziosa e leggera come l’aria primaverile. Non aveva lineamenti precisi, né una forma. Sul momento non riuscì a capire nemmeno il suo sesso, né se fosse un uomo o un animale: riusciva a vedere solo i suoi grandi, enormi occhi verdi.
In quei due occhi, scorse l’infinito, e tutte le risposte che non aveva mai conosciuto nella vita appena trascorsa. Una vita troppo breve, che aveva scelto di tranciare troppo presto. Ma quel ricordo non le diede dolore, solo un certo senso di vertigine. Era morta. Morta per davvero. Come aveva sognato per mesi e mesi. E si sentiva in perfetta armonia con quel luogo arcobaleno, con l’universo, con la figura che ora galleggiava davanti a lei, osservandola con aria dolce e austera al tempo stesso.
“Non è questo il luogo dove riposerai.” affermò una voce, all’interno della sua mente, e la ragazza osservò la figura in silenzio. “Verrai trasportata nel luogo designato solo quando avrai fatto ciò che devi.”
« Cosa devo fare? » domandò la ragazza, con voce cristallina, più dolce e leggera del solito, senza la minima imperfezione.
“Dovrai vegliare su una persona.” affermò la figura “Sarai ciò che gli umani chiamano ‘angelo custode’.”
« A-Angelo custode? » balbettò lei, confusa « Io non… non voglio tornare lì. Non voglio lasciare questo luogo. Non… non è il mio posto, quello. »
“Ogni anima giunta in questo luogo con troppo anticipo è costretta a vegliare sull’anima di un vivente. E’ la legge. Non puoi opporti. Nessuno può.”
« E chi lo stabilisce? » scattò subito lei, stringendo i denti. Ma non era veramente arrabbiata: era solo la proiezione di un sentimento che aveva scelto di abbandonare morendo. I sentimenti erano per i vivi, non per lei. Non per i morti.
Un altro capogiro, quel senso di vertigine. Non ci aveva ancora fatto l’abitudine.
“Nessuno. Semplicemente, è sempre stato così, fin dall’alba dei tempi.” affermò la figura, e la ragazza vide un guizzo di luce scintillare in quei grandi globi verdi che erano i suoi occhi “Ci sono cose che non ti sono date sapere, mia cara.”
« Dopo potrò... potrò tornare qui? » domandò lei, scuotendo appena la testa per scacciare quel nauseante senso di vertigine, unica emozione spiacevole che gli era ancora concessa. Sentiva, nel suo cuore, che dopo aver attraversato quel mare di arcobaleni non avrebbe più sentito niente oltre la pace, la tranquillità, quella placida sensazione che assomigliava così tanto alla felicità da farla sorridere.
“Ovviamente. Dopo potrai tranquillamente andare in un altro luogo.”
« Il paradiso? »
“Voi umani lo chiamate così?” domandò la figura, seriamente colpita “Credete davvero che ci sia una differenza tra anime? Che esistano buoni e cattivi? Pensate che esista solo una natura dell’essere umano? Ne siete veramente convinti?” se avesse avuto una testa, probabilmente in quel momento l’avrebbe scossa con fare bonario, come una madre che coglie il figlio nell’atto di fare una cosa che non doveva per l’ennesima volta. “Che strani esseri siete. E’ un pensiero così sciocco.”
« Allora dove? »
“Nel luogo che hai sempre sognato di vedere. E’ lì che vanno tutti.”
« Deve essere un posto stupendo »
“Lo è.”
« E credi che… che me lo meriti? »
“Tutti meritano di essere felici. Senza distinzioni.”
Fu in quel momento che si mise a piangere. Ma non erano come le lacrime che aveva versato in vita: erano come fatte di aria, di acqua, di arcobaleni. Passò l’indice della mano destra sotto l’occhio, per poi osservarlo in silenzio.
Erano dorate, e brillanti. Come se fossero composte di stelle cadenti.
« Cosa sei? »
“Ci sono cose che non ti è dato sapere.” ripeté la figura, e la ragazza fu quasi sicura che, se avesse avuto delle labbra, sarebbero state piegate in un sorriso dolce e leggero. Un sorriso da madre.
Socchiuse gli occhi e, in silenzio, si sistemò in posizione fetale, prendendo un respiro profondo.
Ed esplose di colori.





Non so nemmeno come catalogare questa cosa. Ero indecisa anche su dove postarla, di preciso, ma per fortuna c'è la categoria Generale che mi aiuta tanto.
Comunque, non so perché l'ho scritta, ma spero che vi piaccia. Io non sono tanto convinta del contenuto, per ora. Non è da me scrivere cose così... spirituali, se così si può definire. Ma sono fermamente convinta che esista una vita dopo la morte, e questo è il mio prototipo di vita oltre la morte.
Non lo so. Non so nemmeno che dire.
Tematiche delicate è per il suicidio. Non saranno descritte scene di suicidio in modo esplicito, ma
questa tematica verrà sfiorata in modo particolare.
Di sicuro farà schifo al mondo. Bah.
Comunque, questa la dedico a Giulia perché appena è finita ho pensato subito a lei, e anche perché la canzone grazie alla quale è uscita fuori questa cosa (ovvero Cosmic Love dei Florence & The Machine) è una delle sue preferite. Un bacione Julien :*
Okay, mi eclisso!
xoxo
_Cris

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Capitolo 2
*** II. ***


“The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I’m always in this twilight
In the shadow of your heart.”

 
 
 
Quando riaprì gli occhi, capì di essere sulla Terra. Tra i vivi.
Quel pensiero la gettò nello sconforto. La sensazione di pace se n’era andata: forse era una prerogativa di quel luogo mistico e brillante in cui si trovava prima. Voleva tornare lì, allacciare la sua anima a quella pace perpetua, discorrere per ere intere insieme a quella figura dagli occhi verdi profondi come l’infinito.
Quello non era il suo posto. Non era mai stato il suo posto, in fin dei conti.
Si guardò intorno: la stanza nella quale si trovava era immersa nel silenzio; le pareti erano di un verde chiaro asettico, e l’intera mobilia era bianca. Doveva essere un ospedale.
Stesa sull’unico letto nella stanza, infatti, c’era una persona: una ragazza dai cespugliosi capelli castano chiaro, la pelle bianca quasi quanto le lenzuola, profondamente addormentata. La ragazza arricciò il naso proprio in quel momento, muovendosi lievemente nel letto, e l’anima comprese che stava per svegliarsi. All’improvviso sgranò gli occhi, osservando in silenzio quella figurina docile. Non aveva mai visto una persona svegliarsi: una delle tante cose che non avrebbe più fatto davvero, dato che non aveva più bisogno di respirare, ormai.
Lentamente, la ragazza aprì gli occhi. Erano grandi, di un verde misto ad azzurro che fu come un colpo al cuore per l’anima. Somigliavano così tanto agli occhi della figura che improvvisamente l’anima ebbe voglia di piangere, ma l’idea che le sue lacrime fossero fredde e trasparenti come erano state in vita la fece desistere. Piangere non serviva a niente, ma non le interessava nemmeno tanto: ormai era morta. Non c’era più dolore dove sarebbe andata.
La vide guardarsi intorno, quasi confusa: si stropicciò gli occhi con le mani, e a quel punto l’anima notò i polsi fasciati, con una lieve striscia rossa che bagnava la stoffa candida. E all’improvviso comprese il perché della sua presenza, la scelta che la figura aveva compiuto di metterla accanto a quella ragazza: aveva provato ad andarsene, ma era rimasta incatenata alla vita. L’anima era riuscita a volare, la ragazza no.
Quando la ragazza si rese conto di essere ancora in vita, sgranò gli occhi e scoppiò in lacrime. L’anima sentiva di capirla, per questo si avvicinò al letto, rimanendo in piedi davanti a quest’ultimo, mentre la ragazza nascondeva il viso dietro le mani, singhiozzando rumorosamente. L’anima osservò dispiaciuta la ragazza: avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla smettere di piangere. Così allungò la mano e sfiorò la testa di lei, che continuava a singhiozzare imperterrita. L’anima accarezzò quei capelli crespi in silenzio, sentendone la consistenza sotto le dita astratte, nonostante ormai non fosse più in grado di usare i suoi sensi. Magari quello che provava era una proiezione che le aveva fornito la sua protetta tramite i ricordi, non lo sapeva: voleva solo far sentire la ragazza meno sola, anche se forse non poteva essere molto d’aiuto, visto che non era fisicamente lì.
All’improvviso si sentì sola, sola da morire. Sola come non mai. Perché lei era oltre il velo, e non doveva stare tra gli umani, tra i viventi. Eppure eccola là, spedita nuovamente in quella dimensione che aveva faticato così tanto per abbandonare, ad aiutare una ragazza che non era riuscita a farlo.
E pianse, anche se le lacrime erano fredde e trasparenti come ghiaccio, lei pianse lo stesso. Pianse per quella ragazza che forse si sentiva sola e incompresa come lei, che forse aveva capito che non bastava respirare per vivere, che forse si era sforzata tanto quanto lei di mostrare un sorriso che non era vero, di nascondersi sotto maschere gioiose solo per piangere meglio nel cuore della notte.
Alcuni istanti dopo, la porta si spalancò, ed una figura entrò all’interno della stanza. L’anima si voltò, osservando il viso dai lineamenti dolci e paffuti della ragazza che si trovava all’entrata. Sembrava avere la stessa età della sua protetta. Evidentemente doveva essere una sua amica, chissà.
La vide mordersi un labbro con forza, mentre la ragazza stesa sul letto riprendeva fiato rumorosamente, singhiozzando di nuovo. L’anima, che pur continuava a piangere, pensò al sangue che stava sgorgando dalle ferite provocate dai denti su quelle labbra piene e morbide, quel sapore metallico che invadeva la bocca con violenza quando tutto sembrava andare male, e sentì dolore anche per quella seconda ragazza.
E’ questo essere angeli custodi? Sentire dolore per loro?, si chiese, ma non trovò risposte a quella domanda.
« Rachel… » affermò la ragazza, facendosi forza ed avvicinandosi al letto.
Rachel non rispose al richiamo dell’amica. L’anima osservò la ragazza scuotere la testa, bagnare le garze di lacrime, lacrime perché era ancora viva, respirava, soffriva.
« Rachel, ti prego… Rachel, mi… »
« N-Non d-dirlo » biascicò finalmente Rachel, togliendo la mano dagli occhi « N-Non d-d-dirlo, n-non d-dirlo, n-n-n-non d-d-d-dirlo » il pianto andava peggiorando, e l’anima ebbe voglia di urlare all’altra ragazza di avvicinarsi ancora di più, poggiare una mano sulla testa di Rachel e ripeterle che sarebbe andato tutto bene. Sentiva di essere legata a Rachel, di conoscere i suoi desideri, e forse anche i suoi pensieri. Ma non era difficile capire di cosa aveva bisogno.
Perché la gente non capisce mai niente?, pensò l’anima, osservando Rachel in silenzio. Si sistemò sulla sedia accanto al letto, per poi appoggiare una mano sopra quella della ragazza. Questa volta non sentì niente. Forse cominciava a cancellare anche quegli ultimi ricordi di come fosse il tatto. Ma andava bene così.
« Rachel, cosa… cosa devo fare per… per farti smettere di piangere? » domandò la ragazza, evidentemente in difficoltà.
« V-Vuoi che s-s-metta? » balbettò lei, mentre il pianto lentamente diminuiva « V-Vuoi che s-s-smetta? P-P-P-erché io n-n-non posso s-s-smettere! » trillò, e nuove lacrime si affacciarono sul suo viso, lo inondarono.
Fa qualcosa!, esclamò l’anima, osservando con rabbia la ragazza, che però non fece niente.
« Vuoi che me ne vada, Rach? »
« S-S-Sì. Vattene Jean. » affermò la ragazza, stringendo i denti.
No! Non andartene! Non devi andartene! Lo sanno tutti che se qualcuno ti chiede di andartene in realtà vuole solo che tu rimanga! Rimani!, tuonò ancora l’anima (anche se non riusciva più a distinguere parole da pensieri, ormai).
Jean si alzò dalla sedia, per poi voltarsi ed uscire, quasi di corsa. Quando finalmente la porta si fu chiusa oltre le sue spalle, Rachel singhiozzò con più forza.
Pianse per molto tempo, ma l’anima non la lasciò da sola. Rimase lì.
E, chissà come, Rachel riuscì a sentirlo.




Sì, questa cosa è già stata finita di scrivere ed è pronta per essere pubblicata.
Sì, posterò un capitolo al giorno - tanto sono solo quattro.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, sappiate che vi amo follemente (soprattutto quella scema di GypsyRose che scrive delle recensioni con l'intento di farmi piangere e ci riesce anche piuttosto bene, gne). Non pensavo che avrei ottenuto più di due recensioni, e addirittura ne ho tre. Aww, che gioia!
Suppongo che in questo capitolo sarà già tanto se ce ne sono due, ma a me va bene così, sono contenta e mi piace postare, anche se poche persone apprezzano quello che scrivo (e sono oscenamente di parte perché sono tutte le mie migliori amiche).
Okay, mi eclisso.
xoxo
_Cris


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Capitolo 3
*** III. ***


And in the dark, I can hear your heartbeat
I tried to find the sound
But then it stopped, and I was in the darkness,
So darkness I became

 

 
 
 
Erano passate alcune settimane dall’incontro con Jean, e l’anima non si era mai allontanata troppo da Rachel, forse perché si sentiva in dovere di rimanere lì, forse perché non poteva. Non aveva nemmeno provato a lasciarla da sola: Rachel aveva bisogno di qualcuno e, anche se lei non era più viva, sarebbe rimasta con lei. Sarebbe stata quel qualcuno che Rachel non poteva sentire.
Quella mattina Rachel aveva legato i suoi capelli in una lunga treccia: giocherellava con i capelli raccolti in modo distratto. Indossava una grande felpa verde, dei jeans neri e le delle converse, e l’anima pensò semplicemente che era stupenda vestita così, molto più bella di qualsiasi altra ragazza al mondo.
Sedeva su una poltrona in pelle scura, all’interno di uno studio. C’era un signore, seduto su una poltrona identica alla sua, davanti a lei. La osservava da dietro gli occhiali, picchiettando le dita sul blocco per appunti che aveva in mano.
« Rachel? » la chiamò lui, e l’angelo si girò verso l’uomo. Rachel non si mosse. « Intendi rimanere in silenzio anche oggi? »
Rachel non rispose, non alzò lo sguardo: continuò a giocherellare con i suoi capelli. L’angelo sentì un guizzo di inquietudine nell’anima di Rachel – ormai si era abituata al suo compito, alla sua protetta.
« Rachel, io sono qui per aiutarti. » affermò l’uomo, sporgendosi lievemente verso di lei. « Come posso aiutarti se tu non mi spieghi cos’è successo due settimane fa? »
Sentì qualcosa di rosso e bollente provenire da Rachel. La ragazza alzò lo sguardo, puntandolo contro l’uomo.
« Lei cosa crede sia successo? » chiese, per poi sospirare.
« Rachel- »
« La smetta. Lei non può aiutarmi. »
« Che cosa ti fa pensare questo? »
« Il fatto che lei ha una famiglia che la ama dalla quale tornare, degli amici da vedere nel week-end, una bella casa, un bel lavoro e i soldi che le escono anche dal buco del culo. » affermò la ragazza, più calma di prima. « Una persona come lei non può capire. »
L’angelo percepì l’irritazione dell’uomo, emozione che non esplose però sul suo volto: rimase impassibile, fornito di quel sorriso arcaico che accentuò la rabbia di Rachel.
« E comunque ho già scelto. Lei non può fare niente per farmi cambiare idea. » affermò lei, per poi tornare a pettinarsi i capelli. « Nessun antidepressivo potrà darmi quello che non ho mai avuto. »
« Ovvero? »
« La vita. Quella vera. Quella che tutti dicono di amare ma che io non ho mai sentito davvero. »
« E credi che farla finita sia la soluzione? » domandò ancora l’uomo.
Rachel alzò lo sguardo. Lo guardò a fondo, così a fondo che l’angelo sentì la sua essenza tremare di rabbia e disperazione messe insieme; pianse lacrime fredde a causa di quella disperazione: lei, che era stata così brava a non piangere nemmeno quando le cose andavano veramente male, ora piangeva sentendosi inondata di disperazione e odio e rabbia.
« Sì. » rispose Rachel. « Sì, è questa la soluzione. »
 
*
 
Quando Rachel tornò a casa, prese in mano il telefono per la prima volta dopo settimane. L’angelo appoggiò la testa sulla sua spalla, sedendosi accanto a lei. Era così curiosa di sapere i particolari della vita di Rachel, di sapere che cosa l’aveva spinta a tentare di scappare via da una realtà che aveva distrutto e ucciso anche lei.
C’erano dieci messaggi. Rachel esitò, prima di aprirli. Iniziò con il primo, quello più vecchio.
“Rachel, io so che non vuoi vedermi, ma ti prego, ho bisogno di sapere perché. Chiamami appena lo vedi.”
Era da parte di Jean.
Rachel cestinò il messaggio senza pensarci, e l’angelo la osservò in silenzio, pensando a tutta la rabbia e il dolore che crescevano dentro di lei, distruggendo tutto il resto. Quella rabbia e quel dolore che nessuno – a parte lei – riusciva a capire.
Passò al secondo.
“Rach, ti prego, ti scongiuro, chiamami. Mi manca la tua voce. Mi manca la mia migliore amica.”
Rachel cestinò anche quel messaggio, senza sentire niente.
Passò al terzo. Era molto più lungo dei precedenti.
“Okay, non vuoi chiamarmi. Ma ti capisco, sai? Avrei dovuto capire che stavi male. Avrei dovuto fare qualcosa. Capisco che ora tu sia arrabbiata e non voglia più vedermi. Voglio solo che tu sappia che ho fatto tutto il possibile per poterti rendere felice, per riuscire a salvarti. Non ci sono riuscita, e mi dispiace.”
Rachel cestinò anche quello. Questa volta, però, l’angelo avvertì distrattamente del dolore provenire dalla sua assistita. Strofinò la sua guancia immateriale contro la spalla di lei, ma Rachel non poteva sentirlo.
Gli altri furono più o meno simili, e Rachel li cestinò tutti. Tranne l’ultimo.
L’ultimo era sempre di Jean. A quanto pare, era l’unica che si fosse veramente preoccupata per lei, in tutte quelle settimane. Sentì un dolore acuto e profondo provenire da Rachel, un dolore così simile a quello che aveva provato quando era in vita da farle quasi male fisico. Si guardò le mani, ma non vide altro che la sua pelle bianca e perfetta.
“Rachel, ora, ti chiedo solo questo: sono passate settimane dall’ultima volta che ti ho visto. Ho parlato con tua madre, e mi ha detto che non reagisci alle terapie, che hai gettato via tutti i flaconi di antidepressivi che il medico ha prescritto per te. Ora, rispondi a questa domanda: tu vuoi essere salvata, Rachel? Vuoi salvarti?”.
Rachel fissò quel messaggio per molto tempo, forse anche dieci minuti. Quella domanda rimbalzava nella sua mente con forza, e l’angelo poteva sentirla scorrere ad intermittenza tra mille altri pensieri confusi.
“Vuoi essere salvata? Vuoi salvarti?”
« Non lo so. » sussurrò, e l’angelo vide una lacrima scendere lungo la sua guancia. Cercò di afferrarla con l’indice della mano, ma quella scivolò attraverso il suo corpo, depositandosi sulle pieghe della sua felpa.
Venne seguita da molte altre, mentre Rachel si accasciava sul letto, stremata, priva di forze.
« Non lo so. Non lo so. »
L’angelo si sdraiò accanto a lei. Silenziosamente, si appoggiò al suo corpo e le accarezzò i capelli per tutta la notte, sperando di trasmettergli pace; e pianse, pianse tutta la notte, sperando che quelle lacrime potessero alleviare il dolore di Rachel, il dolore di essere ancora viva, quel dolore che nessuno dovrebbe mai provare.




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