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Mi svegliai di soprassalto, tirando a me le coperte come se
potessero difendermi da qualsiasi minaccia ci fosse davanti a me, nella mia
camera da letto, in quel momento. Un ronzio insistente mi fece pensare per una
frazione di secondo a uno sciame di api impazzite, poi a un serial killer che fosse
entrato in scooter nella mia stanza. Uno scooter? Cercai di schiarirmi la mente annebbiata
dal sonno e mi guardai intorno nel buio senza smettere di stingere il lenzuolo
in cerca di una spiegazione più plausibile a quel rumore molesto. L’occhio mi
cadde sull’orologio che segnava le 4:26 del mattino, prima di individuare la
causa del mio risveglio poco tranquillo: il mio cellulare, posato sul comodino,
aveva appena smesso di vibrare a intermittenza, segnalando una chiamata e la
luce azzurrognola dello schermo era ancora accesa.
«Chi cazz…?» imprecai fra i denti, prendendolo con una mano.
Chi avrebbe potuto chiamarmi a quell’ora di notte tra la domenica e il lunedì?
Nemmeno Chelsea, la mia migliore amica festaiola, doveva essere sveglia a quell’ora.
Lessi il numero sul display, constatando che non ce l’avevo
in rubrica. Sgranai gli occhi quando vidi che mi aveva già chiamato 6 volte e
che c’erano 9 messaggi non letti. Iniziai a leggerli uno a uno, sempre più
sgomenta.
“W-hazzaaaaaa” diceva semplicemente il primo. Non avevo idea
di cosa volesse dire. "Hazzaaaa dove sei?" recitava il secondo. Era
forse un modo di dire o di salutarsi? Mah. I messaggi continuavano sulla stessa
linea di… pensiero, se così si poteva dire.
“Hazza?!?!?”
“Rispondi, cretino xD”
“Dove cazzo seiiii U.U”
“E perchè non rispondi!”
“Hazza sul serio”
“Harry?!?!?!?!??!??”
“Harry non fare lo scemo che sono preoccupato”
Dopo aver letto quell’ultimo messaggio rimasi un po’
interdetta a rimuginare. Mi specchiai nel riflesso del cellulare: due occhi
castani e gonfi di sonno mi fissavano sotto una matassa di capelli scuri
arruffati. Avevo proprio bisogno di altre 3 ore di sonno, almeno, e per qualche
secondo contemplai la possibilità di spegnere il cellulare e rimettermi a
dormire. Poi però rilessi l’ultimo messaggio, arrivato pochi minuti prima e, messaggi
senza senso a parte, pensai che dall’altro lato del mio telefono c’era una
persona in pena, preoccupata e in ansia per un’altra persona di cui a quanto
pareva aveva il numero sbagliato. Con un sospiro perciò composi rapidamente un
messaggio di risposta che facesse capire a chi scriveva che aveva sbagliato
persona. Non riuscii a trattenermi però dall’essere un briciolo ironica.
"1. Cos'è un Hazza?
2. Nessuno dovrebbe chiamare i propri figli "Hazza" per nessun motivo
al mondo
3. Evidentemente non sono Hazza"
Premetti il tasto di invio e misi giù il cellulare dov’era
prima, riavvolgendomi nelle coperte e appoggiando la testa sul cuscino, dando
le spalle al comodino. Passò circa un minuto e sentii il telefono vibrare
contro il legno. Chiusi gli occhi più forte, come se quel gesto servisse a
scacciare la curiosità. In fondo cosa ci poteva essere scritto se non “Ah,
scusa, ho sbagliato numero”? Appunto, pensai, leggo questo messaggio così la
faccio finita del tutto e potrò dormire. Sbuffai di nuovo, tesi la mano fuori
dalle coperte e presi il cellulare.
"Dai harry, piantala di fare il coglione, dove
sei?"
Ecco, appunto. Niente scuse e un insulto. Certo che questi
due ragazzi (uomini?) sembravano molto legati… Mi accinsi a scrivere un nuovo
sms, ridendo sotto i baffi:
"E tu smettila di fare il fidanzato geloso. E poi ho
già detto che non sono questo Harry e non so chi sia"
Inviai e dopo qualche secondo lo schermo iniziò a
illuminarsi per segnalare l’arrivo di una chiamata. Il telefono cominciò a
vibrare e apparve il numero della persona che pensava fossi Harry. Rimasi un
attimo indecisa sul da farsi, poi scelsi di non rispondere: innanzitutto avrei
svegliato le mie compagne di dormitorio e poi non mi piaceva parlare al
telefono con gli sconosciuti. Non appena il cellulare smise di suonare tirai un
sospiro di sollievo, ma subito arrivò un altro messaggio:
"Ti odiooooo rispondi a quel cazzo di telefono"
Ridacchiai per quell’espressione di odio e premetti “Rispondi”,
digitando un nuovo messaggio:
"Non sono Harry! In quante lingue te lo devo dire? Ich bin
nicht Harry, no soy Harry, 私はないんだけど
(questa l'ho tradotta con google translate)"
Attesi poco per la risposta:
"Smettila di prendermi per il culo, Tom vuole vederci
tutti stamattina, dev'essere qualcosa di importante!"
Ma chi era questo Hazza/Harry che faceva questo genere di
scherzi ai suoi amici? Doveva proprio essere un burlone, visto che l’altro non
aveva nemmeno per un momento pensato di aver davvero sbagliato numero! Pensando
di divertirmi un po’ alle sue spalle, visto che proprio non voleva capire,
scrissi:
"Io conosco solo Jerry, non so chi sia Tom"
E per tutta risposta:
"Il nostro manager, Harold. Chi è questo Jerry? Dimmi
dove cazzo sei che ti vengo a prendere"
Il fidanzato geloso e Harry avevano un manager?!? Cos’erano,
una coppia di comici? Ora ero anche curiosa, non avrei dormito mai più. Sempre
ridacchiando, composi la risposta:
"Hazza harry e harold sono la stessa persona? Questo
tuo amico non soffre per caso di personalità multiple?"
"Aha, molto divertente. Quanto cazzo hai bevuto
stasera, santo cielo?"
Guardai l’orologio. Erano ormai le 5 passate. Sbuffai; ormai
sapevo che non avrei ripreso sonno e comunque tra poche ore mi sarei dovuta
svegliare per andare in università. Tanto valeva capirci qualcosa di più.
"Stasera? Sono le 5 di mattina"
"Sì be' non sono andato a dormire ancora"
"… forse dovresti."
"Forse dovresti rispondere a quel cazzo di telefono!
Tom mi uccide se non ci siamo tutti"
“Be’, se uccide solo te ci faccio un pensierino…”
“Harry…”
“Non sono Harry!”
“Non conosco nessun altro così coglione”
“Grazie, modestamente...”
“Se non vuoi dirmi dove sei almeno prometti che vieni domani
mattina”
Sbuffai. Niente, non voleva proprio capire. Cos’avrei dovuto
fare? Probabilmente il suo amico Harold/Hazza/Harry era a letto a dormire
mentre lui si faceva mille paranoie, quindi tanto valeva rassicurarlo e…
dormire un po’, no?
"Va bene, a che ora?" risposi dandogliela vinta.
Prima o poi avrebbe capito che aveva il numero sbagliato.
"Alle 9 nel suo ufficio"
"Ok ci saró"
Fissai per qualche minuto il telefono e poi mi convinsi che
quello sarebbe stato l’ultimo messaggio. Misi giù il cellulare sollevata ma con
un briciolo di tristezza: in fondo mi stavo divertendo. Provai di nuovo a
chiudere gli occhi e a dormire, non ci credevo quasi quando dopo qualche minuto
sentii un ronzio familiare.
"Ma perchè cazzo non mi vuoi dire dove sei?"
Trattenni a stento una risata. Certo che era proprio un
fidanzato geloso. Me lo vedevo, cioè me lo immaginavo, intento a leggere l’ultimo
messaggio che gli avevo mandato e poi a mettere giù il cellulare; poi mangiarsi
le unghie per qualche minuto, rimuginando; e infine prendere di nuovo il
cellulare con rabbia e rimetterlo giù più volte, indeciso, per poi comporre
quell’ultimo messaggio. Velocemente scrissi una risposta, immaginandomi la sua
faccia quando l’avrebbe letto, e inviai:
"Qui su marte hanno delle particolari regole sulla
privacy, ti racconto quando torno"
La risposta scontata non si fece attendere:
"Dai, Harry!"
La frustrazione si leggeva perfettamente anche in quelle due
parole. Avrei potuto smettere lì e invece inviai un altro messaggio, sorridendo:
"Oh scusa, dimenticavo: baci!"
Se prima avevo solo riso sotto i baffi, la sua risposta mi
fece scoppiare:
"Baci un cazzo!"
"Io non bacio nessun cazzo!” scrissi fiera di me stessa,
sempre con un sorriso stampato in faccia. Rimuginai un attimo e poi aggiunsi “Aspetta...
Hazza sì?"
Non rispose e dopo aver tentato di prendere sonno per un’ora
mi alzai e mi feci una doccia e un caffè bollente, preparandomi per la mia
giornata in università.
Il giorno successivo, o meglio, il giorno stesso qualche ora
più tardi, camminavo su uno dei sottili sentieri del campus della UCL con il
mio terzo caffè in mano, cercando di non avere un’andatura eccessivamente a
zig-zag. Non avevo neanche avuto l'accortezza di indossare degli occhiali da
sole per nascondere le occhiaie che erano apparse sotto ai miei occhi grazie al
tizio dei messaggi, che sul mio cellulare avevo ormai ribattezzato col nome di
"Fidanzato Geloso". Nonostante tutto, mi ritrovai a pensare di essere
un po' delusa dal fatto che non mi avesse più scritto. Controllai velocemente
l'orologio: erano le 9 in quel momento, perció Fidanzato Geloso aveva di sicuro
già avuto modo di parlare con Harold/Harry/Hazza e di capire che il numero a
cui aveva scritto quella notte non era il suo. O no? Magari il suo amico non si
era proprio presentato all'appuntamento, perchè giustamente nessuno l'aveva
avvisato e...
«Cate!» mi sentii chiamare. Girai la testa e vidi Chelsea, la mia migliore amica, correre verso di me. La sua espressione man mano che si
avvicinava a me si trasformava da trafelata a un misto di stupito e terrificato.
Quando fu abbastanza vicina si appoggió sulla mia spalla con una mano e si
piegó su se stessa, ansimando forte e cercando di dire qualcosa «Ero...
ritardo... corsa... corso... bocciata...»
« Chels, non devi parlare per forza ogni minuto della tua
vita! Riprendi fiato e poi esprimiti con parole tue, eh!» feci dandole una
leggera pacca sulla schiena. Lei continuó a respirare forte per qualche
secondo, poi si raddrizzó e finalmente riuscì a parlare: «Sono fottuta. Il
professor Torres aveva detto che se non andavo a lezione neanche oggi mi avrebbe
bocciata e sono in ritardo di mezz'ora...! Ormai sono fregata» disse tutto d’un
fiato, scuotendo la testa desolata. La guardai per qualche secondo e poi
scoppiai a ridere.
«Sì, ridimi pure in faccia, non farti troppi problemi, non
sei tu che verrai cacciata da scuola, diseredata dai tuoi genitori, mandata a
lavorare in una piantagio... »
Non la lasciai terminare, nonostante i suoi monologhi
fossero sempre alquanto divertenti: «Chels, pensaci un attimo. Le lezioni di
Torres non sono di martedì? Sai che giorno è oggi?»
«Porca merda!» fece lei poco finemente «Grazie al cielo, oh,
che gioia!» esclamó tirando teatralmente un sospiro di sollievo. Poi,
finalmente, mi guardó in faccia: «A proposito di merda... come, ehm, stai bene,
oggi…»
«Aha, molto simpatica» le risposi con una smorfia «Non ho dormito
tanto stanotte... Alle 4 uno ha iniziato a scrivermi messaggi sul cellulare e
non smetteva più...»
«Oddio, chi?» esclamó lei con gli occhi che le brillavano «Qualcuno
che conosco?»
Chelsea era non solo un bulldozer per quanto riguardava la
privacy e in generale la sfera privata delle persone, ma era anche un’aspirante
proprietaria di un’agenzia matrimoniale, o almeno così sembrava dall’entusiasmo
che metteva nel cercare costantemente di creare coppie dal nulla. Iniziai a
camminare per cercare di spegnere sul nascere l'interrogatorio che sarebbe
sicuramente seguito: «A dire il vero non lo conosco neanche io...» borbottai a
mezza voce, quasi sperando che non sentisse.
«Cosa?!? Uuuuh, Cate ha un ammiratore segreto!» esclamò però
lei, confermando le mie paure.
«Ma no, scema! Deve aver sbagliato numero... cercava un tale
Hazza...» ridacchiai al solo sentire quel nome orrendo pronunciato ad alta voce
«L'ho tirato scemo…» continuai fiera.
Sentendo che peró Chelsea non era più al mio fianco mi
voltai e la trovai paralizzata qualche metro più indietro, lo sguardo sbarrato
fisso sul mio e la bocca aperta. Ero abituata alle sue scenate plateali, che in
fondo mi facevano molto ridere, ma stavolta non capivo proprio quale fosse il
problema.
«Chelsea, perchè ti sei fermata?»
«Hazza?» ripetè lei sconvolta.
«Sì, sì, Hazza. Cosa c'è di strano?»
«Oddio,» esclamó lei raggiungendomi a grandi falcate, per
quanto glielo permettessero le scarpe col tacco che portava «Tu proprio passi
tutta la giornata nella biblioteca del campus!»
Non era vero, pensai un po’ risentita. Andavo anche a
qualche festa, ogni tanto... Eppure questo Hazza proprio non lo conoscevo. Che
fosse quel ragazzo carino che frequentava letteratura anglosassone con me e
Chelsea? Evitai di chiederglielo, per non incappare in nuove prese in giro.
Lei inizió a spiegare, come si farebbe con un bambino: «Hazza
è un soprannome che sta per Harry...»
«Grazie tante,» sbottai «questo lo so, l'ha detto anche il
tipo dei messaggi...!»
«Oddio!» ripetè lei portandosi le mani alla bocca «È davvero
lui!»
«Ma lui chi?» sbottai «E poi sai quanti Harry ci sono al
mondo? Sai quanti ce ne sono solo a Londra?!?»
«Sì sì» disse la mia migliore amica concitata. Non l'avevo
più vista così dal giorno in cui Dan Schroeder le aveva chiesto di andare con
lui al ballo all'ultimo anno di liceo. Il che, in effetti, era avvenuto solo pochi
mesi prima. Chelsea era una ragazza piuttosto esuberante, al contrario di me,
ma chissà come avevamo coltivato un’amicizia vera, una di quelle che resiste a
tutto, forse perché insieme ne avevamo passate tante sin dal primo anno di
liceo, quando ci eravamo conosciute. Avevamo deciso insieme di iscriverci alla
UCL quell’anno ed eravamo insieme quando avevamo aperto le nostre lettere di
ammissione.
«"Sì sì" nel senso che li hai contati e sai quanti
sono?» le chiesi ironica e risi sotto i baffi, ma lei non vi badó troppo,
esaltata com'era: «No, no. Ma conosci tanti Harry che si fanno chiamare Hazza?»
continuó agitando le mani.
Sbuffai: «No! È proprio questo il punto! Non la volete
proprio capire tu e il tipo dei messaggi! Non conosco nessun Hazza!» mi
ritrovai a urlare nel bel mezzo del campus, suscitando gli sguardi incuriositi
di alcuni studenti che passavano di lì. Una ragazza addirittura si voltò verso
di noi, rise ed esclamó: «Nemmeno io, ma se lo conoscessi sarebbero guai per
lui!»
Lanciai le braccia in aria mentre la sconosciuta si
allontanava: «Ma lo conoscono tutti tranne me, questo?»
Chelsea aveva quindi proceduto concitatamente a spiegarmi
chi fosse questo Hazza a cui secondo lei erano rivolti i messaggi di Fidanzato
Geloso, ovvero Harry Styles, cantantucolo in una band di cantantucoli
denominata One Direction. Questo fu tutto quello che mi rimase in testa della
sua spiegazione, oltre al fatto che avesse usato decisamente troppe volte le
parole "figo" e "oddio", persino più del solito.
«Fammi leggere i messaggi» mi intimó con fare da investigatore
privato professionista quando pensó di avermi dato abbastanza dettagli sulla
vita dei cantantucoli, compresi flirt vari con Taylor Swift («E chi non ha
avuto un flirt con Taylor Swift, eh? Dico bene?» avevo detto a quel punto,
ammiccando a Chelsea, ma lei mi aveva liquidato con un «Non sai chi è Harry
Styles e ti permetti di fare queste battute trite e ritrite sulla cultura pop
moderna?» il che mi aveva zittito per almeno cinque minuti). Spalancai gli
occhi e quando vidi che era serissima e non accennava ad abbassare la mano
protesa verso di me, estrassi il cellulare dalla mia vecchia borsa di pelle
marrone e glielo porsi. Scorse velocemente le pagine, facendo solo una smorfia senza commentare quando lesse il nome che avevo assegnato al messaggiatore misterioso e ad un certo punto si lasció sfuggire un urletto quasi isterico.
«Cosa?» le chiesi spazientita.
«Qui!» disse lei in iperventilazione «Lui dice… "Tom
vuole vederci" e tu come un'idiota "Tom chi?" e lui “Il nostro
manager”...»
La guardai senza espressione per indicarle che proprio non
avevo capito.
«Dice "vederCI", "nostro"...» spiegò
lei.
«Quindi... conosce i pronomi possessivi...» feci io tentando
di indovinare. Lei sbuffó: evidentemente non avevo azzeccato.
«Quindi…» iniziò a voce più alta del dovuto, come per
richiamarmi all’ordine «non solo questo Hazza è davvero Harry Styles... Ma
anche quello che scrive fa parte della band» spalancó ancora di più la bocca
prima di fare la sua scottante rivelazione: «È uno degli altri quattro».
Quando, nel pomeriggio, mi ritrovai sola nella grande
biblioteca per studiare, avevo la testa che mi faceva male. Chelsea non aveva
fatto altro che ripetere che dovevo scrivere a Fidanzato Geloso, che non potevo
lasciarmi sfuggire questa occasione, ma io non avevo ceduto. Soprattutto perché non
pensavo proprio che fosse un’occasione. Nel frattempo non ero riuscita a
seguire una parola della lezione di antropologia. Questo perché, per
convincermi, la mia solerte migliore amica aveva continuato ad aggiornarmi su
quei "gran fighi" che facevano parte della band chiamata One
Direction anche in aula. Mi aveva raccontato tutto quello che sapeva su come si
erano conosciuti, cioè partecipando a un talent show («Strano!» era stato il
mio commento acido «E chissà che musica di qualità!»), su vari gossip e sui
loro nomi completi, che peró avevo immediatamente rimosso. Chelsea sosteneva
che fossero tutti pieni di talento e “fighissimi”, soprattutto quello più scuro
di carnagione, anche se anche quello che si era appena rasato i capelli e
persino questo Hazza non erano male, secondo la sua opinione. Chelsea aveva
concluso dicendo che, insomma, erano tutti e cinque "niente male".
Dop la lezione e un veloce pranzo con Chelsea nella mensa dell'università, mi ero ripromessa che il mio pomeriggio sarebbe stato Chelsea-less e One-Direction-less, finalmente, e che avrei studiato senza lasciarmi distrarre.
Ero peró una ragazza estremamente curiosa e le parole della mia amica mi avevano
messo la pulce nell'orecchio. Potevano questi ragazzi essere così perfetti? No,
ovviamente no. Avrei dovuto verificare di persona, perlomeno per poter
contraddire Chelsea, cosa che mi sarebbe alquanto piaciuta, pensai decisa mentre aprivo il portatile sul pesante
tavolo antico di legno. Picchiettai nervosamente con le dita sul piano della
tastiera fino a quando Google non si aprì. Quindi digitai "One
Direction" nella ricerca. Circa 966.000.000 risultati. Oh. Allora erano
davvero famosi. Cliccai su "Immagini" e iniziai a guardarne qualcuna,
cercando di coprire lo schermo non appena notavo qualcuno avvicinarsi alle mie spalle. Nelle
fotografie, notai per primo il ragazzo con i capelli neri e la pelle scura:
tralasciando la pettinatura con il ciuffo biondo era davvero carino, ma niente
di più. Gli altri per il momento mi sembravano tutti uguali. Scorsi con una
smorfia alcune foto in cui i cantantucoli abbracciavano dei cuccioli, palese
tentativo di attirare ragazzine, e aprii un'altra foto più grande per guardarli
meglio. In questa erano vestiti molto bene ed erano meno ridicoli del solito,
anzi dovevo ammettere che gli stylist avevano decisamente fatto un buon lavoro, assegnando ad ognuno un look che ne metteva in risalto le qualità.
Il ragazzo che avevo notato poco prima aveva una camicia a quadri come quelle che
piacevano a me; il riccio alla sua sinistra indossava una camicia di un blu
particolare e sorrideva come un bambino; il tizio castano in basso a destra
portava una semplice polo bianca che gli donava particolarmente; il biondo al
centro attirava la mia attenzione più che altro per gli occhi azzurrissimi e il
viso infantile e dolce; l’ultimo cantantucolo, sulla sinistra, aveva pantaloni del mio
colore preferito, delle bretelle e… un sorriso smagliante e sicuro di sè, quasi
impertinente. Solo a quel punto mi resi conto di una sensazione di fastidio
alla bocca dello stomaco che avevo iniziato a provare da quando stavo osservando
quelle fotografie. In ognuna di quelle che avevo visto, effettivamente, un paio di occhi
azzurrissimi e sfrontati mi fissavano con ironia e un certo senso di sfida. Cercai
di scuotere quella sensazione con poco successo e continuai a guardare
fotografie per un po’, curiosa di capire da dove venisse tutto il clamore che
si faceva attorno a quei cinque ragazzotti inglesi. Erano carini, era vero, ma
bastavano una manciata di faccini carini a creare un fenomeno mondiale? Grazie a
Internet, avevo avuto modo di vedere la loro trasformazione nel corso di
qualche anno ed ero arrivata alla conclusione che, inizialmente, non fossero
poi così diversi da un qualunque ragazzo che, per esempio, si trovasse nella biblioteca
dove stavo io in quel momento. Si vedeva che erano stati sistemati e… tirati a
lucido da uno stuolo di stilisti, parrucchieri e allenatori. E allora, se erano
così normali, cosa c’era in loro che attirava milioni di ragazze e ragazzine in
quel modo quasi maniacale? Fu solo quando mi resi conto che nella biblioteca
avevano acceso le luci dei lampadari perché fuori iniziava a far buio che mi
accorsi che si era fatto decisamente tardi. Com’era passato il tempo! Avevo
perso un pomeriggio di studio a fissare cinque idioti con i loro sorrisi
idioti, i loro occhi impertinenti e le loro bretelle.
Era dunque pomeriggio inoltrato quando uscii dalla
biblioteca e la giornata mi aveva stressato più di quanto avrei potuto pensare,
visto che gli occhi mi si chiudevano mentre mi dirigevo verso il mio
dormitorio. Non era stata solo la nottata in bianco, ma anche i discorsi fatti
con Chelsea e tutto il resto. Non feci in tempo a mettere piede dentro il
piccolo appartamento che condividevo con Sasha, una ragazza con cui non avevo
legato molto nonostante fosse la mia coinquilina da qualche mese, che il mio
cellulare iniziò a suonare. Ricordandomi che avevo promesso di passare la
serata con Chelsea risposi senza guardare il display: «Ehi» dissi semplicemente,
entrando nella mia camera e buttando la borsa sul letto sfatto.
«Pronto? Chi è?» disse una voce maschile dall’altro capo del
telefono. Una voce acuta ma non fastidiosa e con un accento stranissimo. Ci
misi qualche secondo a capire che era soprattutto una voce che non conoscevo. Finalmente
allontanai l’orecchio dal cellulare e guardai lo schermo per vedere il numero
del chiamante. Rimasi per un attimo senza fiato: accompagnato dallo smile con
la linguaccia che avevo aggiunto al suo nome, faceva bella mostra di sé sul mio
schermo la scritta “Fidanzato Geloso”. Riportai meccanicamente il telefono all’orecchio,
ma mi resi conto che non sapevo cosa dire, perciò mugugnai un «Ehm…»
«Senti, carina» riprese lui «Non so perché tu abbia il
cellulare di Harry, se tu sia una delle sciaquette che si sbatte o una fan
impazzita che l’ha rapito, ma se è lì con te e non è privo di sensi o smembrato
in pezzi minuscoli nella tua vasca da bagno ti pregherei vivamente di passarmi
quel coglione immaturo».
Il suo tono colorito e irritato mi allarmò un poco, senza
contare che non me la cavavo bene di mio nelle conversazioni telefoniche,
quindi, presa dall’ansia e dal non sapere cosa rispondergli, riattaccai.
Dopodichè stetti qualche minuto a rimirare il cellulare nella mia mano,
sconvolta da quello che avevo appena fatto. Era possibile che avessi appena
sbattuto il telefono in faccia a una popstar internazionale? Tutto quello che mi aveva detto Chelsea e a cui in fondo non avevo tanto creduto fino a quel momento era improvvisamente diventato più reale. Rimasi immobile in
quella posizione senza riuscire a formulare un pensiero coerente per qualche
altro minuto, finchè il rumore di un messaggio e la vibrazione del cellulare non
mi fecero sobbalzare. Premetti “Apri” con la mano tremante.
"Questo non è il numero di harry, vero?"
N.d.Summer
SPOILER ALERT (nel
passaggio che segue potrei involontariamente darvi indizi sull’identità
di Fidanzato Geloso: se non volete leggerli, saltate a dopo la riga)
Che
dite, avete capito chi è Fidanzato Geloso? L’ho reso abbastanza sassy da
somigliare almeno un po’ all’originale? xD Tra l'altro è pure scritto praticamente nell'introduzione, nei personaggi, doh, quindi vabbè!
Be’, che dire. Credo di
non aver mai mai mai scritto un capitolo così lungo. Come al solito posto alle
2 di notte perché… è l’unico momento in cui scrivo? No in realtà questo
capitolo l’avevo già scritto, ho dovuto solo sistemarlo… ma a qualcuno frega
qualcosa? Nope.
Ditemi cosa ne pensate di
questa ff, lo so, la sto tirando un po’ per le lunghe, ma nel prossimo capitolo
prometto che succederà qualcosa, muahahahha
(Cosa che non c’entra ma
che volevo dire: quanto non mi piace il titolo di questa ff non ve lo potrei
spiegare, ugh. Ho pensato per un momento anche di rinominarla in “Fidanzato
Geloso”, ma era pure peggio, sigh.)
Per un momento fissai lo schermo del cellulare nel panico.
Poi feci un respiro per calmarmi e mi venne da ridere. Finalmente l’aveva
capito! Evidentemente F.G., dopo essere giunto a conclusioni affrettate quando
avevo risposto al telefono al posto di Harry, aveva poi avuto tempo per
ragionare e formulare ipotesi un po’ più logiche, per poi realizzare come erano
effettivamente andate le cose. Quasi scoppiai a ridere da sola ricordandomi
quello che aveva detto. Mi aveva forse accusato di aver fatto a pezzetti il suo
amico e di averlo messo in una vasca da bagno? Quel ragazzo era proprio strano.
E no, passato il primo momento di ansia decisi che non mi
sarei fatta sconvolgere la vita da quello che forse magari probabilmente poteva
essere ma anche no un cantantucolo di una banducola famosa in tutto il mondo.
Non ce n’era proprio motivo. Sorridendo tra me e me composi un messaggio di
risposta e lo inviai.
"Wow, ma sei un genio, da cosa l'hai capito? Dalle
mille volte in cui te l'ho detto e ripetuto?"
“In effetti no, è stata la tua voce a tradirti. Harry ce
l’ha leggermente più mascolina. Ma proprio leggermente, in realtà” fu la sua
risposta. Sorrisi.
“Dovresti chiamarmi una domenica mattina, dopo una serata
fuori e poi scommetto che non diresti così”
“Be’, mi spiace di averti disturbata. Chissà come ho fatto a
sbagliare numero, eppure harry me l’aveva scritto su un foglio… che numero è
l’ultimo secondo te?”
Il mio telefono trillò di nuovo, segnalandomi l’arrivo di un
mms. Lo aprii e quando capii l’origine dell’errore non potei fare a meno di
sorridere.
“Credo sia un cuoricino.”
“Ahahahhahahahhahahha oddio ahahahhahhaha”
“Voi due siete fuori. Maaaaa, a proposito… non sei più
preoccupato per Harold?”
Aspettai qualche minuto ma F.G. non rispondeva più. Un po’
in ansia, gli inviai un altro messaggio:
“Che Fidanzato Geloso sei? Pfui”
Non rispondeva. In meno di un giorno ero diventata quel tipo
di ragazza che si allarmava e si preoccupava di aver offeso il proprio
interlocutore non appena quello ci metteva più di due secondi a rispondere. La
colpa era di sicuro di Chelsea, pensai con una smorfia. Finalmente, dopo
qualche minuto in cui mi ero sdraiata sul letto a fissare il soffitto, il
cellulare suonò.
“Non chiamarlo Harold che si incazza. Solo sua madre può
chiamarlo così. E io, ovviamente”
E lui, ovviamente.
“Ogni momento di più dimostri che il tuo soprannome è
azzeccato” risposi ridacchiando.
“Comunque l’ho appena chiamato al numero giusto, senza
cuoricino (eheheh) e sta bene. Solo che verrà ucciso per non essere venuto da
Tom”
Stavo per digitare qualcosa, quando mi arrivò un nuovo
messaggio:
“Ah, e non chiamare me fidanzato geloso, che mi incazzo
anch’io”
Ed eccoci arrivati al punto dolente. Digitai:
“Non sarà mica colpa mia, adesso? Io te l’ho detto che non
ero harry…” e inviai, mettendomi subito a riflettere sul suo messaggio di poco
prima. Non volevo fargli notare che non sapevo il suo nome, chissà perché.
Forse non volevo che me lo dicesse, confermando che era davvero uno di quei
benedetti One Direction, forse non volevo che diventasse una persona reale,
quando per ora era un semplice passatempo. Divertente e strano, ma pur sempre un
passatempo.
Nel frattempo, mi aveva risposto:
“Sei perdonata solo perché non conosci Hazza e il suo
stupido senso dell’umorismo”
Risi e risposi alla sua minacciaprecedente in maniera neutra, di modo che non
si sentisse spinto a dirmi il suo nome:
“Ok, niente Fidanzato Geloso, allora. Dovrò cambiarti il
nome in rubrica”
"Sul serio hai messo quel nome in rubrica?!? Il tuo
numero è ancora sotto “Haz”, perciò siamo quasi pari”
“Nooooo, ti prego, Haz no!!!”
“Se mi dici il tuo nome però lo potrei cambiare ;)”
"Perchè lo vuoi sapere?”
“Inizia a farmi un po’ senso flirtare con “Haz”!"
Flirtare?
“Flirtare???”
“Ho sbagliato, volevo scrivere “filtrare”. Filtrare con Haz.
Non che io stia flirtando con te.”
Risi e mi sentii accaldata tutt’a un tratto. Ma che reazioni
da bambina mi faceva avere quel tipo? Mi ricomposi.
“Così ha molto più senso, filtrare con Haz, certo…” risposi
sarcastica.
"Allora, questo nome? Sono un ragazzo curioso!”
“Ed estremamente insistente!”
“Eh, me lo dicono spesso. Ma non per questo non mi dicono il
loro nome ;). Ho già detto che sono un ragazzo curioso?”
"Potresti essere un uomo di cinquant'anni curioso, per
quanto ne so!"
"Anche tu, per quanto ne so! Un uomo di cinquant’anni
con una voce piuttosto femminile"
Sbarrai gli occhi:
“Piuttosto?!?!?”
“Non è che l’abbia sentita molto, non hai fatto altro che
mugugnare…”
Andammo avanti così per un po’ di tempo, a riprenderci e a
scherzare, fino a quando “un po’ di tempo” non diventò “qualche ora”. Erano
ormai le dieci quando mi accorsi che non avevo nemmeno cenato. Il mio cellulare
continuava a illuminarsi e a far risuonare il trillo che indicava l’arrivo di
un messaggio e mi sentivo una stupida ragazzina per come mi faceva sentire ogni
volta quel suono. Avevo cercato più di una volta di augurargli la buona notte,
ma tutto era stato inutile: ogni volta aveva qualcosa da dire, doveva avere
sempre l’ultima parola. Purtroppo però, io non ero da meno, e così la
conversazione andò avanti fino alle due di notte, quando mi addormentai ancora
vestita con il cellulare in mano e gli avanzi della mia cena, un barattolo
vuoto di yogurt, vicino alla testa.
Quando mi svegliai, la mattina dopo, erano le dieci. Il mio
primo pensiero fu che mi ero dimenticata di mettere la sveglia, ma per fortuna,
al contrario di Chelsea, non avevo nessuna lezione importante quel giorno. Il
secondo pensiero, subito dopo, fu di controllare il cellulare. Tre messaggi.
Sorrisi.
L’ultimo in ordine di tempo era di Chelsea:
“Grazie a dio (e a sette sveglie e a molto autocontrollo
ieri sera nel rifiutare l’invito a una festa) sono arrivata in tempo alla
lezione di Sanchez. Ci vediamo per pranzo?”
Pensai di rispondere più tardi, smaniosa di leggere cosa mi
aveva scritto F.G. la sera prima, quando mi ero addormentata.
"Tu il mio nome
invece non lo vuoi proprio sapere?"
Un brivido mi percorse
la schiena mentre nella mia mente rivedevo, chissà perché, un paio di occhi
azzurrissimi e impertinenti. Scossi la testa per far andar via quell’immagine.
Grazie al cielo non avevo letto quell’sms la sera prima, o non sarei più stata
in grado di dormire. Non avrei assolutamente saputo cosa rispondere, perciò per
una volta il fato era stato dalla mia parte. Lessi il suo secondo messaggio, inviato circa mezz’ora dopo l’ultimo:
“Ok, o sei molto lenta a pensare a una risposta, oppure ti
sei addormentata…Ma grazie! Sono così
noioso?!? Be’, sogni d’oro. Anzi, buon giorno, visto che leggerai questo
messaggio domattina!”
Risposi per prima a Chelsea:
“A parte che il professore di cui parli si chiama Torres,
sì, vediamoci per pranzo al gordon’s, alla una perché prima ho lezione. Baci
stordita
P.S. Sono felice che tu non ti sia fatta cacciare… ancora”
Poi, con calma, composi una risposta adeguata per F.G.,
mentre mi preparavo per fare una doccia:
"No, Fidanzato Geloso
mi piace abbastanza. E comunque sì, mi sono addormentata"
Ero già sotto la
doccia quando sentii il telefono trillare e per poco non uscii dalla doccia
così com’ero, con lo shampoo sui capelli, per la curiosità. Mi sciacquai in
fretta e uscii, afferrando subito il cellulare:
"Insisti, io non
sono il fidanzato di nessuno, tantomeno di quell'idiota di harry"
Bel modo di informarmi
che non era fidanzato, pensai sorridendo. Quanto era poco sottile.
"Eppure sembrate
molto legati" scrissi per provocarlo.
"È uno dei miei
migliori amici"
Iniziai a vestirmi,
non era facile con il cellulare in mano.
"Ecco spiegati i
nomignoli affettuosi come 'idiota' e ‘coglione immaturo’!"
"Invece il tuo
fidanzato come ti chiama?"
"Wow, questa sì
che è brutta."
"È la mia battuta
da rimorchio preferita! Subito dopo ‘Eccomi qui... Adesso ti rimangono solo due
desideri’!"
"Pessimo, sei pessimo" gli risposi mentre mi sistemavo i capelli e un
filo di trucco.
"Preferisci ‘posso
offrirti cinque cocktail?’…?"
"Cinque?"
"Sì, al quinto ti sembreró Brad Pitt!"
"..."
"Agahahhaha peró ci sei cascata! Dovrei chiamarti Gully..."
"A parte che è un nome orribile... Ho paura a chiedere il motivo"
"Dai, è facile! Da gullible, cioè ingenua!"
“È persino peggio di
Haz”
Misi il cellulare in
tasca, invece che nella borsa come al solito, e uscii dall’appartamento con un
sorriso sulle labbra, pronta a iniziare la mia giornata.
N.d.Summer
Non sapete oggi quanto ho
scritto. Ho praticamente deciso come andrà tutta la storia, o quasi. Già, prima
non lo sapevo, ehe. Quindi non insultatemi perché questo capitolo è corto, gli aggiornamenti saranno piuttosto veloci...! Mi sono divertita a scrivere questo capitolo, anche se non
è che aggiunga poi molto alla trama… spero diverta anche voi! Prima o poi si
scoprirà chi è Fidanzato Geloso, prometto! E allora avrò anche un banner da
mettere alla storia… ma prima di allora, niente! Dai, lo so già che sapete
tutte chi è :P A presto, baci,
Quella mattina, prima di
andare a pranzo con Chelsea, andai a lezione di glottologia. Fidanzato geloso
mi aveva scritto fino a poco prima, ma a quanto pareva si era preso una pausa
di 24 minuti. Non che li stessi contando. Nell’aula gremita scovai Charlie, un
ragazzo dagli occhi verdi e chiarissimi che avevo conosciuto al campus. Era
dolce e anche molto intelligente, perciò l’avevo da subito preso in simpatia. Era
anche palesemente invaghito di Chelsea, nonostante l’avesse vista solo qualche
volta in mia compagnia, per giunta per pochi minuti ogni volta. Lo salutai con
un gesto della mano, lo raggiunsi e mi sedetti sulla sedia libera che aveva di
fianco e chiacchierammo del più e del meno finchè la lezione non iniziò.
Passarono però solo pochi minuti, che Charlie mi picchiettò su una spalla e mi
sussurrò:
«Ehm, ti è arrivato un
messaggio» indicando con un dito il mio cellulare illuminato sul banchetto
davanti a me «Dal tuo, ehm, fidanzato…»
Lo guardai confusa e iniziai
a dire: «Io non ho un fid… Oooooooh».
Non appena guardai il display,
mi accorsi del malinteso e arrossii violentemente, mentre al tempo stesso
cercavo di non scoppiare a ridere nel bel mezzo della lezione. Charlie pensava
che avessi messo il nome del mio fidanzato in rubrica sotto Fidanzato Geloso!
Lo guardai con gli occhi
lucidi per l’imbarazzo e lo sforzo di trattenere le risate: «No, lui non… non è
il mio fidanzato! È, ehm, geloso di qualcun altro…»
Charlie mi guardò stranito,
perciò aggiunsi a mo’ di spiegazione ulteriore: «E anche il fidanzato di
qualcun altro!»
Mi resi conto dalla sua espressione
che non mi ero spiegata molto, perciò continuai sempre più allarmata: «Non che
io sia la sua amante!» esclamai. Cercai di calmarmi e aggiunsi con un sospiro: «È
un po’ difficile da spiegare» conclusi con un sorriso. A Charlie sembrò
bastare, anche se mi sorrise con aria un po’ perplessa prima di rivolgere di
nuovo la sua attenzione al professore. Cosa che io non avrei più fatto per
tutta la durata della lezione.
"Dai, dimmi qualcosa di te" diceva il nuovo messaggio di F.G.
"Sei fissato!"
risposi sorridendo, mentre Charlie mi guardava di sottecchi, ovviamente confuso
dalla mia espressione.
"Ma no, è che ogni tanto mi piacere parlare con qualcuno che non sa chi
sono" Oh caz…, pensai nascondendo il cellulare sotto il banchetto e cercando
una posizione comoda per scrivere senza essere vista dal professore. Ma allora
era davvero uno di quella band, uno di quei quattro, escludendo Harold?
"In che senso?" scrissi titubante.
"A tutti fa piacere, no? Si dice che con gli sconosciuti ci sia apra molto
di più... Quindi… apriti! :P"
Tirai un respiro di sollievo, ma al tempo stesso mi chiesi se quello di prima
non fosse stato un lapsus da parte sua, che aveva corretto con questo
messaggio. Ma no, cosa andavo a pensare? Era tutta colpa di Chelsea che mi
faceva diventare paranoica.
"Cosa vuoi sapere?"
"Be', so giá che abbiamo lo stesso fuso orario e che parli inglese,
quindi... Sei inglese giusto?"
"Vivo a londra, sherlock"
"Oh, non ti starai sbottonando un po' troppo?" rispose sarcastico.
"Dire che vivo a Londra è abbastanza generico, è una città piuttosto
grande! Per citare me stessa solo stamattina 'sai quanti harry ci sono a
londra?'"
"Cosa?!?!"
"Niente, cose mie"
"Sei strana"
"Si be'... Sì. Non mi viene in mente niente per confutare questa tua
ipotesi"
"Almeno lo sai… è già un buon inizio "
"Tu di dove sei, invece?"
"Uhm, inglese, direi"
Sbuffai e Charlie mi guardò male. Scivolai più giù sulla sedia e sotto il
banchetto: "Wow, chi è che non si sbottona adesso?"
"Vengo da una città nel south yorkshire, ok?”
Stavo per scrivere “Questo sì
che mi aiuta a restringere il campo” in tono sarcastico, quando il telefono
vibrò di nuovo.
“Ma ora vivo a londra
anch'io"
Aveva perso un po’ di tempo
pensando se dirmi o no dove viveva? Sbarrai gli occhi. Abitava a Londra!
"Non dirmi che frequenti la UCL" scrissi con dita tremanti, per
qualche motivo. Forse girava nel campus, forse l’avevo anche incontrato. Forse
era tutta una montatura.
"Ahahahahaha"
O forse no.
"Perchè ridi?"
"Sono troppo stupido per l'università"
"Ah. Non posso confutare neanche questo"
"Carina..."
"Grazie. Allora cosa fai nella vita?"
"Uhm, lavoro?"
"È una domanda?"
"No, lavoro"
"E che lavoro fai? (Mi sembra di estrorcere una confessione a un
criminale, tanto è faticoso)"
“(ahahahahha, simpatica) Uhm,
un lavoro che in effetti al momento richiede la mia attenzione…” lessi e non
potei fare a meno di sentire un po’ di delusione. Forse avevo esagerato con le
domande e se l’era presa. Stavo per mettere via il cellulare senza rispondere,
quando vibrò di nuovo.
“Ci sentiamo più tardi?”
Sorrisi e un calore mi invase
tutto il corpo. Mentre io mi facevo mille paranoie lui continuava a stupirmi
con i suoi modi diretti e sinceri. Non aveva paura di dire quello che voleva e
lo ammiravo per questo, perché era qualcosa che io, invece, non riuscivo a
fare, nascosta com’ero dietro il mio muro di paura, sarcasmo e diffidenza.
“Bel modo di evitare la
domanda. Comunque sì, se proprio insisti”
“Insisto” sorrisi ancora di
più, prima di leggere il resto “Menosa”
“Enigmatico. E prepotente,
oltretutto”
Alzai lo sguardo per la prima
volta dall’arrivo del primo messaggio e mi accorsi che il professore aveva
smesso di parlare e stava spegnendo il proiettore, mentre gli altri studenti si
stavano alzando dai loro posti e iniziavano a raccogliere le proprie cose e a
uscire. Mi voltai verso Charlie che con un sorriso si stiracchiò e mi disse: «Questa
lezione non finiva più, eh?»
Non potei fare a meno di
annuire in silenzio e sorridere poi sotto i baffi.
«Primo indizio!» esclamó
Chelsea, per la quale ormai sondare i messaggi miei e di F.G. era diventata
un'abitudine. Ero arrivata all’appuntamento per il pranzo con qualche minuto di
ritardo e un sorriso ebete stampato sul viso, perciò la mia amica aveva fatto
due più due e aveva subito azzeccato di chi fosse la colpa di entrambe le
situazioni. Ci eravamo quindi sedute a un tavolo del Gordon’s Cafè, il bar nel
campus dove pranzavamo sempre, e mi aveva lasciato appena il tempo di ordinare
prima di aggredirmi verbalmente con le sue ipotesi campate in aria.
«Sentiamo…» dissi svogliata preparandomi
ad ascoltare la sua filippica e addentando nel frattempo il mio panino appena
arrivato al tavolo.
«Dice "Ogni tanto mi fa
piacere parlare con qualcuno che non sa chi sono"! Più palese di così...!»
«Nel messaggio dopo chiarisce che intendeva dire "a chiunque fa piacere
parlare" etc...»
Chelsea sbuffó contrariata, probabilmente più per la mia ostinazione che per
ammettere il suo errore, e riprese a leggere in silenzio, emettendo dei leggeri
squittii di tanto in tanto.
Ad un certo punto, alzò
persino la mano per attirare la mia attenzione.
«Devi chiedermi di andare in
bagno?» le chiesi con un sopracciglio alzato, ma lei come al solito non badò a quello
che dicevo.
«Secondo enorme ineluttabile impossibile-da-non-notare indizio!» esclamò, per
poi guardarmi con aria indagatrice «Stava "facendo delle foto"? Cosa
diamine vuol dire?»
Riflettè per circa due
secondi guardando il soffitto e poi: «Scommetto...» disse lasciando la frase
interrotta, come per creare la suspense. Alzai gli occhi al cielo e finii il
mio panino, guardando affamata il suo, ancora intatto. Chelsea, nel frattempo
aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca con la mano libera, la sinistra, e
a una velocità impressionante aveva iniziato a cercare qualcosa su google.
«Tu non stai bene» borbottai fissandola con gli occhi spalancati.
Non badó a me per qualche minuto, digitando forsennatamente sulla tastiera;
poi, trionfante, mi mostró un articolo sullo schermo: «Bingo».
«Chi dice ancora "bingo"...?» chiesi a mezza voce, più a me stessa
che a lei. mi sventoló in faccia il cellulare e controvoglia mi avvicinai per
leggere:
«"Gli One Direction sono approdati nella tarda mattinata nei nostri studi
per un servizio fotografico"... Ok. E allora?»
«guarda la data!» sbottó lei isterica. Mi veniva difficile leggere perchè le
tremava la mano dall'eccitazione.
«Ok, ok, è di oggi. Ho capito»
Senza guardarmi sbuffò e continuó a cercare qualcosa. Evidentemente non le
avevo dato abbastanza soddisfazione. Ormai la sua principale missione nella
vita era convincermi che stessi messaggiando con un cantantucolo di quella
stupida band.
«Aha!» esclamó trionfante «Avete messaggiato tutta la mattina, vero?» chiese
maliziosa.
«Sì, il che tra l'altro spiega perchè F.G. non potrebbe essere uno di questi
qui, che erano evidentemente impegnati a fare altro...»
«Tut-tut-tut» mi zittì lei «Guarda e piangi».
Alzai lo sguardo sulla mia amica, a dir poco sconvolta da quello che aveva
appena detto, e lei borbottó qualcosa come «È solo un modo di dire», facendo
spallucce e porgendomi il suo cellulare.
Sulla pagina c'era un
immagine che si muoveva. Non avevo mai visto niente di simile, se non nei film
di Harry Potter, quando uno dei personaggi tirava fuori una di quelle
fotografie in cui i personaggi prendevano vita. Confusa, guardai meglio
l'immagine. Sotto c'era la data di quel giorno e la scritta "One Direction’s
photoshoot". Ritreva, ovviamente, i cinque cantantucoli.
Erano prima in gruppo e poi
si allontanavano tutti insieme, per poi uscire dall’immagine.
Tutti, tranne uno.
Che chiaramente era impegnato
a scrivere qualcosa sul cellulare.
Ero effettivamente rimasta a
bocca aperta, vedendo quella fotografia diabolica che si muoveva. Non tanto
perchè avevo dovuto ammettere a me stessa che, sì, le coincidenze stavano
diventando un po' troppe, ma soprattutto, mi ritrovai a pensare, per l'identità
del ragazzo abbandonato dagli altri nell'immagine.
Il ragazzo con gli occhi
azzurri e sfrontati e il sorriso impertinente. Poteva davvero essere lui la
persona con cui messaggiavo tutto il giorno? Un brivido mi corse lungo la
schiena. «Sei convinta ora?» mi disse Chelsea, ma non l'ascoltavo più.
«Come si chiama il tipo nella foto? Quello che rimane da solo alla fine» chiesi
seria.
«È una gif...» mi corresse lei mandando gli occhi al cielo.
«Chels» la apostrofai. Il mio tono dovette funzionare, perché mi guardò seria e
rispose subito:
«Louis, Louis Tomlinson»
Le strappai il mio cellulare dalle mani e composi un messaggio:
"Ok, seriamente ora. Il mio nome è Cate... Catherine, ok. Qual è il tuo? È
importante"
Ci mise un po' a rispondere, forse era impegnato. Presi a tamburellare sul
tavolo mentre Chelsea mi guardava confusa, senza il coraggio di chiedere cosa
stesse succedendo.
Finalmente il telefono
trillò.
"William, mi chiamo William. Catherine è un nome molto carino, fyi"
Sorrisi con un sospiro fin troppo accentuato e misi il cellulare davanti alla
faccia di Chelsea. Volevo sembrare trionfante ma per qualche motivo non ci
riuscii.
«William» lesse lei un po' stupita. Ci pensò su un attimo: «Che sia Liam
allora?»
«Liam?» chiesi in modo piatto. Non avrei dovuto essere più felice di aver dimostrato
che la sua teoria era sbagliata?
«Liam Payne» disse già intenta a digitare qualcosa sul suo cellulare. Dopo
pochi secondi, mi mostró una fotografia del ragazzo rasato con gli occhi
castani che avevo già visto in quelle di gruppo il giorno prima. Non riuscii a
reprimere un senso di delusione. Ma perchè? Liam era decisamente carino, in più
aveva quel sorriso gentile, così diverso da... Ma perchè poi stavo dando retta
a Chelsea? Quella pazza della mia amica era quasi riuscita a convincermi, con
la sua testardaggine, che dovesse per forza trattarsi di uno di quei cinque.
«Oppure potrebbe anche non c'entrare proprio niente con la band...» dissi poco
combattiva. Qualcosa mi dava fastidio, ma non capivo cosa. Mi aspettavo che
Chelsea si mettesse a urlare e mi redarguisse per quello che avevo detto,
invece mi squadró per un po’ di tempo con attenzione e disse solo: «Già, forse
è così...»
Mi guardò ancora per un attimo e poi aggiunse, addentando finalmente il suo
panino: «Andiamo a bere qualcosa, dopo?»
Ridacchiai: «Chels, stiamo pranzando! È solo l’una!»
«Be', quindi tecnicamente è già pomeriggio, no?» esclamò lei allegra scoppiando
a ridere con me.
N.d.Summer
Ok, ho postato e ora… aspetto il linciaggio! William?!?!?!
WHAT. Indizi, care mie, indizi EVERYWHERE.
Scusate il ritardo, in questi giorni ero impegnata ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se più che
svelare qualcosa confonde ancora di più le acque… Ehm, sorry?
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le
ricordate e le seguite (e a chi commenta ma loro le ringrazio una per una, ehe)
:) Iniziate a essere tantini, argh. Scherzo, fa sempre piacere e vi lovvo :P
Per il resto del pomeriggio, dopo avermi detto il suo nome,
William non si fece più sentire. Mi faceva strano chiamarlo con un nome e non
più semplicemente Fidanzato Geloso, tanto che non riuscii nemmeno a cambiare il
suo nome nella rubrica del telefono. Mi faceva ancora più strano però non sentirlo.
Dopo pochi giorni i suoi messaggi erano diventati quasi una dipendenza: mi
faceva ridere e parlare di me e in quei pochi giorni dalla sua comparsa mi ero
sentita allegra e spensierata. Non volevo rinunciare a quella sensazione.
La mattina dopo, neanche a dirlo, mi svegliai di malumore,
con i capelli più arruffati del solito e gli occhi gonfi di sonno. Rotolai giù
dal letto solo perché avevo bisogno di caffè prima di andare a lezione e mi
sforzai di non guardare lo schermo del cellulare, non prima di aver avuto la
mia dose di caffeina. Arrivata in cucina, però, scoprii che, ancora una volta,
la mia cara coinquilina aveva usato la mia tazza per il caffè mattutino,
lasciandola poi sporca di rossetto e tè nel lavandino. La giornata non iniziava
affatto bene. Tornai quindi in camera e mi infilai di nuovo sotto le coperte
anche con la testa. Forse non sarei nemmeno andata a lezione, dopotutto.
Proprio nel momento in cui stavo guardando male il cellulare, come se fosse lui
il colpevole di tutto e ragionando sul da farsi, quello iniziò a vibrare e a
muoversi sul comodino.
Lo presi con la mano che tremava un po’. Quasi emisi uno
squittio – mi stavo lentamente trasformando in Chelsea - quando vidi il nome di
colui che mi stava chiamando. Mi passai una mano tra i capelli nervosa per
sistemarli un po’, come per rendermi più presentabile per qualcuno che,
comunque, non avrebbe potuto vedermi. Stavo letteralmente impazzendo.
Schiacciai il pulsante verde.
«P-pronto?» dissi con voce incerta.
«Ehi» rispose lui semplicemente.
Oddio, quanto era bello sentire la sua voce. Quanto era
bello semplicemente sentirlo. Tirai un sospiro di sollievo.
«Buongiorno» continuò sorridendo. Be’, perlomeno mi
immaginavo sorridesse. Aveva la voce roca di chi si è appena svegliato e la
cosa mi fece sorridere come una bambina.
«Buongiorno. Cioè, buongiorno in effetti proprio no» mi
lasciai sfuggire con una smorfia.
«Perché, cosa potrà già essere successo di così grave alle 9
di mattina, sunshine?»
«La mia coinquilina mi ha rubato la tazza!»
Mio dio. Avevo davvero detto quella frase con quel tono da
bambina viziata? Ok, mi ero appena svegliata e non ero ancora rientrata in
pieno possesso di tutte le mie facoltà mentali, ma questa non era decisamente
una buona scusa per fare certe figure. F.G. ridacchiò divertito: «Be’,
riprenditela!»
«Mmh, è sporca di tè e rossetto» mugugnai contrariata mentre
afferravo una barretta ai cereali abbandonata sulla mia scrivania e iniziavo a
sgranocchiarla. Magari un po’ di zuccheri nel sangue mi avrebbero resa un po’
più presente a me stessa.
«Be’, il rossetto si può lavare via e per quanto riguarda il
tè mi sembra che la tua coinquilina abbia dei gusti raffinati e…»
«No. Non difenderla. Quella è la mia tazza e lei l’ha usata
per metterci il suo schifoso…»
«Ehi, piano con le parole. Hai appena detto che il tè è “schifoso”?»
«Io ho bisogno del mio caffè! Non vedo cosa ci sia…»
«Ok, non possiamo più sentirci» mi interruppe lui risoluto.
Per qualche secondo non respirai, gli occhi sbarrati, il cuore a mille e un po’
di cereali in bocca. Poi riprese a parlare: «Non posso parlare con una persona
che preferisce il caffè al tè. Ne va della mia dignità»
Tirai un sorriso di sollievo e mi diedi della stupida
mentalmente. Scoppiai a ridere in modo un po’ isterico, sollevata.
«Credevi che dicessi sul serio?» mi chiese lui dopo un po’.
«Assolutamente no, io…»
«Uhm, quindi ti piace parlare con me, eh?» chiese lui con un’inflessione
malizioso e sfrontata nella voce. Avrei scommesso che in quel momento aveva un
sopracciglio alzato e un’espressione da schiaffi dipinta sul viso. Avevo già
visto quell’espressione da qualche parte.
Sbuffai: «Siamo presuntuosi, eh?»
Scoppiò in una risata genuina e poi rispose: «No, per
niente» e mi sembrò fin troppo sincero. Era questo il fatto con lui: un momento
era tutto malizioso e scherzoso, l’altro completamente aperto e privo di muri
che lo separassero dal mondo. Da me, una sconosciuta. Mi faceva male al cuore tutta
quella purezza.
«Ah, a proposito, ho chiamato per dire una cosa e come al
solito mi distrai…» riprese.
«Io?!?» tentai di protestare, ma non mi diede retta.
«Scusami se ieri non mi sono più fatto sentire» pronunciò
serio.
Oh. Rimasi letteralmente senza parole. Ancora una volta,
quella sincerità totale mi colse alla sprovvista. Ero abituata ai miei coetanei
che non facevano altro che usare giri di parole per arrivare al punto, che non
volevano mai esporsi troppo per paura di essere rifiutati, che usavano “giochetti”
per essere sempre sicuri di detenere il potere in una relazione, anche solo nel
suo stadio iniziale. Non avevo mai conosciuto un ragazzo che mi avesse detto “Mi
piaci”, ad esempio: era sempre tutto basato sulle cose non dette, implicate nei
discorsi, alle quali dovevi risalire facendo un’analisi di parole e azioni. Della
serie, anche se mi piaci non ti chiamo perché non vorrei mai che pensassi che
mi piaci troppo, o che mi piaci più di quanto io piaccio a te. Non ero proprio
abituata a quella sincerità buttata lì come se niente fosse e ogni volta mi
lasciava di stucco come fosse normale per lui.
Per fortuna riprese quasi immediatamente a parlare, forse
capendo che mi aveva messo un po’ in imbarazzo: «Be’, cosa fai oggi? A parte
messaggiare tutto il giorno con me, ovviamente»
Ignorai l’ennesima dimostrazione del fatto che non si
facesse scrupoli a dire quello che voleva, così innocentemente, e risposi: «Credo
che andrò in biblioteca a studiare»
«In biblioteca? Perché? Non puoi studiare a casa?» chiese
lui.
Considerai un attimo la possibilità di dirgli che abitavo in
un dormitorio al campus della UCL. Era sicuro? Non lo conoscevo ancora così
bene per dargli troppe informazioni, era solo qualcuno con cui “parlavo” da
circa due giorni. Due giorni? Era passato così poco tempo? Possibile?
«Ehm, è caduta la linea?» si informò lui. Chissà quanto
tempo l’avevo lasciato lì ad ascoltare il silenzio dalla mia parte del telefono
mentre riflettevo.
«No, no, sono qui!» mi affrettai a rispondere.
«Bene» disse con un’inflessione divertita nella voce.
«Non ridere» gli intimai.
«Non sto ridendo» rispose cercando di rimanere serio.
«Sì, invece» feci testarda, come una bambina con il broncio.
«No. Cioè, sì, stavo sorridendo, perché mi sa che sei quel
tipo di persona che mentre parla ogni tanto si perde nei propri pensieri»
«I-io non…» iniziai, ma lui mi interruppe:
«E che balbetta quando si agita perché hai scoperto il suo
segreto…» continuò.
«Io non ho nessun segreto!» esclamai sorridendo per la sua
stupidità, o forse perché dimostrava di aver capito di me più di quanto
pensassi, in così poco tempo.
«E che si arrabbia quando le dici che hai scoperto il suo
segreto!» concluse trionfante. Non potei fare a meno di scoppiare a ridere e
lui mi seguì a ruota con quella sua voce ancora così ruvida nonostante ormai
stessimo parlando da un po’.
«E tu cosa fai oggi?» gli chiesi curiosa quando smisi di
ridere.
«Per ora ho intenzione di stare qui a letto con questa tazza
di tè – sì, lo schifoso tè – che mi ha portato Harry…»
«Oh, che carino! Il tuo fidanzato ti porta la colazione a
letto!» esclamai con voce acuta e calcando sulla parola “fidanzato”.
«FG?» chiesi vedendo che non rispondeva.
«Be’, me la sono cercata» fece con un sospiro e un tono
sconsolato che mi fece ridere di nuovo. Poi però sembrò riscuotersi: «Aspetta,
come mi hai chiamato?»
«…William. Ho detto William» mi affrettai a rispondere.
Sentii un verso sospetto dall’altra parte del telefono, come un “mmmh”.
«Hai detto FG, vero? Come Fidanzato Geloso?» incalzò lui.
«No!» esclamai senza riuscire a trattenere un sorriso sotto
i baffi.
«Non sai mentire nemmeno al telefono!» rispose lui ridendo
apertamente di me.
Dopo qualche secondo sentii in sottofondo dalla sua parte
della linea una voce maschile che urlava: «Boo? Dove cazzo sei?», un’altra che
gli faceva eco «Sì, “Boo”» risatine «ti muovi?» e una terza che più bassa
commentava qualcosa del tipo «Non dovrà mica ancora pettinarsi!».
«Bene» commentò lui «fine della tranquillità. Devo andare,
Catie» disse FG. Sorrisi a sentire quel soprannome, nessuno mi chiamava così.
Non era molto diverso da Cate, ma in qualche modo era… più dolce.
«A presto» dissi timidamente e sembrava più una domanda che
un’affermazione.
«Sì» replicò lui «a presto» e riattaccò mentre in sottofondo
le voci di poco prima si facevano più vicine e rumorose.
***
Non me la sentivo proprio di andare a lezione, quella
mattina, e questo non aveva nulla a che fare con il fatto che la terribile
professoressa Glen non tollerasse la vista dei cellulari nella sua aula.
Quindi, mandai un messaggio a Chelsea chiedendole di incontrarmi in biblioteca,
tenendo così fede a quello che avevo detto a William. Aspettando un orario
decente per incontrarmi con la mia amica, che non era solita svegliarsi prima
delle undici, mi misi sul letto ad ascoltare un po’ di musica, rispondendo di
tanto in tanto ai messaggi sporadici di FG, che evidentemente aveva mentito sul
fatto di non avere nulla da fare.
Alle undici precise entrai in biblioteca e più di mezz’ora
dopo Chelsea mi raggiunse, trafelata come al solito, e si sedette di fianco a
me nel posto che le avevo tenuto. Con un sorriso, feci finta di non notare la
rivista che fece scivolare dentro il suo libro di storia e continuai
imperterrita a leggere dal mio. Presa com’ero dai miei pensieri – sul Rinascimento,
ovviamente – non mi accorsi neanche di aver iniziato a canticchiare, finchè
Chelsea non mi richiamò con aria stupita:
«Cate? Da quando canticchi? Sei felice?»
«Io? No, ti sbagli» risposi sulla difensiva.
«Stavi canticchiando, ho sentito. Hai detto qualcosa del tipo “I can make your tears fall down like the showers that are British”… Nooooo!» spalancò gli occhi e si avvicinò di
più a me con un sorrisino cospiratorio «Stavi canticchiando Over Again degli
O...»
«Sssssh,» la zittii «sei pazza? Ti farai sentire da tutti!»
«E allora?» mi guardó indagatrice «Perchè canti una loro canzone?»
«Boh, mi è capitato di sentirla alla radio, forse...»
«Certo» mi redarguì lei sarcastica «una canzone che non è una singolo,
probabile che tu l’abbia sentita alla radio...»
Okay, forse aveva ascoltato qualche canzone dei cantantucoli
quella mattina, e allora? Forse, sì, avevo cercato di capire se davvero la voce
della persona con cui avevo parlato quella mattina assomigliasse a quella di
Liam Payne, certo, ma non voleva dire niente. E, no, comunque non ero riuscita
a capirlo. Soprattutto, non l’avrei mai ammesso davanti a Chelsea. E oltretutto
quella stupida canzone mi era rimasta in testa e proprio non riuscivo a
togliermela dalla mente.
«Vogliamo studiare?» feci acida. Mi misi a leggere un paragrafo su Giotto, ma
sentii che Chelsea picchiettava con la penna sul libro, incapace di
concentrarsi.
«Vi siete sentiti ancora, poi?» mi chiese infatti a voce troppo alta dopo
appena qualche secondo. Qualcuno dietro di noi sibilò uno «Sssssh».
Chiusi il libro, sbuffando più perché sapevo già come sarebbe andata la
conversazione che per l’ennesima interruzione della mia amica iperattiva.
«Abbiamo anche parlato al telefono, stamattina» borbottai quasi sperando che si
perdesse qualche pezzo «Si era appena svegliato...»
«Ahia» fece lei mettendosi più comoda sulla sedia e guardandomi con i suoi
occhioni da amica comprensiva.
«Sì, Chelsea. Non c'è bisogno che mi ricordi che ho un problema con la voce dei
ragazzi quando sono svegli da poco»
«Problema?» ridacchiò «Praticamente ti sciogli come panna montata al sole»
«Panna montata?!?» chiesi stupita dalla scelta di parole.
«È più sexy del gelato» rispose lei facendo spallucce e io mi chiesi perché ancora
mi stupivo di qualsiasi cosa facesse. Feci una smorfia e dissi «Sì, be',
comunque», nel tentativo di chiudere il discorso. Ovviamente, fu tutto inutile.
«E allora? Dettagli!» esclamò lei con entusiasmo.
«E allora» iniziai e feci finta di riflettere molto più a lungo di quanto
avessi bisogno «ha una di quelle voci che senti che sta sorridendo» dissi
cercando di far passare quello che mi era uscito dalla bocca per un commento casuale.
«Ah» fece lei, seria.
«Ah?»
Mi squadrò da capo a piedi, allontanandosi un po’ da me per farlo meglio, poi
alzò un sopracciglio: «Sei persa, Catherine.»
«Non usare il mio nome completo. E poi non è vero.»
«Come dici tu, Catheri» mi rispose cercando invano di trattenere una risatina.
«Sei insopportabile» dissi guardandola scocciata. Quando peró la vidi con le
guance tese e gonfie, incapace di contenersi ancora per molto, non riuscii a
non scoppiare a ridere insieme a lei. Ma no, decisamente si sbagliava: non ero affatto
persa per il forse-cantantucolo.
***
Quel pomeriggio, camminavo a passo spedito per il sentiero
che dalla biblioteca conduceva all'edificio dove avrei dovuto seguire la
lezione delle 5, gli ingombranti libri sulla rivoluzione
francese che avevo preso in prestito stretti al petto e lo sguardo basso sulle
mie Converse. All'improvviso, il cellulare trilló nella tasca dei jeans e mi
fece sobbalzare. Sorrisi, ma non feci in tempo a prenderlo che andai a sbattere
contro qualcosa, facendo cadere tutti i miei libri. Ovvio. Istintivamente,
alzai per un secondo lo sguardo e mi ritrovai davanti due occhi azzurri,
sfacciati e vagamente sorridenti. Mi mancò il fiato per un momento, in cui
pensai vagamente “Oh, è una persona, non una cosa” e poi distolsi un attimo gli
occhi per posarli preoccupata sui miei libri, ancora confusa e vagamente
infastidita dal fatto che quella persona sorridesse per quello che era successo.
Quando però lo rialzai per fare qualche battuta su come fossero banali quel
tipo di incontri da film romantico, sulla strada davanti a me non c'era più
nessuno. Mi girai indietro e anche lì, nessuno di abbastanza vicino. Cercai di
concentrarmi: era un ragazzo? Sì, ero quasi sicura. Portava un berretto di
lana? Forse. Una sciarpa scura? Sì, decisamente. Forse. L’unica cosa che mi era
rimasta impressa erano quegli occhi azzurrissimi e brillanti, con quelle increspature
ai lati che li facevano sorridere. Mi piegai a raccogliere i miei libri e
intanto diedi una rapida scorsa a tutti i ragazzi nei dintorni ma niente, era
svanito.
Ancora inginocchiata, sbuffai e tolsi il cellulare dalla
tasca per leggere il messaggio che mi era arrivato poco prima dello scontro e
quando lo feci per qualche secondo mi mancò l'aria. Diceva semplicemente: “Trovata”.
Per poco non rotolai per terra, per fortuna ero ancora
accovacciata. Il mittente, ovviamente, era Fidanzato Geloso… William. Trovata? Voleva
forse dire che…
“Eri tu?” scrissi con le dita che tremavano, andandomi a
sedere su una panchina lì vicino. Avevo le gambe molli, non mi avrebbero retto
a lungo.
“Complimenti per l’intuizione, sherlock”
“Non scherzare. Cosa fai ora, lo stalker?”
“Sei arrabbiata?”
“Certo! Mi hai spaventata, ok? E poi avresti potuto almeno
aiutarmi a raccogliere i libri…”
“Come in qualsiasi film romantico che si rispetti?”rispose
dopo un secondo. Bene, ora mi leggeva anche nella mente.
“Come qualsiasi persona sana di mente che non sia uno
stalker”
“Hai ragione, scusami”
“Perché l’hai fatto?”
“Non prendermi per un pazzo… Volevo solo vederti per un
attimo”
“Ma sei pazzo! Te ne rendi conto?”
“Ci sono delle circostanze in cui… Scusa, davvero”
“Chi ti dà il diritto di fare una cosa del genere?”
“Non posso spiegarti tutto… Comunque non volevo spaventarti”
“Ma come hai fatto?”
“Non credo che vorresti saperlo”
“E invece vorrei”
“Ho chiesto a un mio amico che ha rintracciato il tuo cellulare
con un programma, poi quando ero qui ho avuto la conferma che eri tu quando ti
ho mandato quel messaggio e il tuo cellulare ha squillato…”
“Non so se essere più colpita o spaventata”
“Lo so, lo so. È solo che… è difficile da spiegare”
“E cosa ci hai guadagnato?”
"Intanto ho visto che non sei un uomo di cinquant'anni
:)"
“Be’, io no, invece” risposi ripensando a quegli occhi
azzurri e sorridenti. No, non era un maniaco cinquantenne, non con quegli
occhi. Pazzo, forse, quello sì.
“Per farla semplice… dovevo… volevo vederti. Tutto qui”
“Tutto qui???”
“Ho già detto che mi spiace?”
“Non abbastanza”
“Posso ripetertelo davanti a una tazza di tè, magari
domani?”
Non sapevo come ci riusciva, ma, ancora una volta, mi aveva
lasciata con il fiato corto e senza parole.
N.d.Summer
Ok, lo ammetto: anch’io, come Catie (*.*), ho un enoooorme
kink per i ragazzi con la voce roca da appena svegli… Sicchè.
Vi è piaciuto l’ingresso nella storia degli altri idioti? Quali
altri idioti, qui non c’è nessuna boyband, solo un ragazzo della porta accanto
di nome William, non so di cosa parlate.
Quanto mi odiate per aver lasciato ancora tutto in sospeso?
Spero non troppo, io vi voglio bene! :P
Baci, Sum
P.S. Oh, oh, se siete così gentili da dirmi cosa ne pensate
anche di altre tre cagatine cose che ho pubblicato nel frattempo (perché
senza Ziam non si può stare: Untitled è
una drabble senza senso, Nothing to
fix è un po’ angst e sconclusionata, How He Speaks to the World è una
flash che ho tradotto perché la AMO e mi fa piangere ogni volta che la leggo,
ditemi se fa questo effetto anche a voi), vi lovverò per sempre. Non sentitevi
obbligate, eh :)
“Posso ripetertelo davanti a una tazza di tè, magari
domani?”
Non sapevo come ci riusciva, ma, ancora una volta, mi
aveva lasciata con il fiato corto e senza parole.
Rimasi un attimo scioccata da quello che aveva scritto con
tanta tranquillità e chiarezza. Come al solito.
Quindi voleva vedermi. Non potei evitare di sorridere. Ma io
volevo vedere lui?
“Non lo so” risposi secca. Non sapevo davvero cosa pensare.
“Sai che insisterò finchè non dirai di sì…”
“Lo so, buona fortuna” digitai sarcastica.
La sua risposta si fece attendere più del solito:
“Catie, io scherzo. Se non vuoi non c’è problema”
Rimasi per un attimo spiazzata. Poi mi misi a rimuginare su
quel messaggio, così dolce da essere disarmante. Quel ragazzo mi confondeva:
sapeva essere la persona più fastidiosa e scocciante dell’universo, ma subito
dopo si trasformava nell’essere più gentile e premuroso che avessi mai
conosciuto. E, cosa che mi confondeva ancora di più, in entrambi i casi mi
piaceva.
“Ci sentiamo domani, ok?” gli scrissi di getto. In quel
momento volevo un po’ di tempo per riflettere senza i suoi messaggi o la sua
voce che mi distraessero; nonostante questo, avevo sentito il bisogno quasi
incontrollabile di mandargli quell’ultimo sms per accertarmi che ci saremmo
sentiti il giorno dopo, che non era finita lì.
Per questo, quando arrivò la sua risposta, mi tranquillizzai
immediatamente.
“Sì, a domani”
Mi sembrava di vederlo sorridere dolcemente, mentre
realizzava che, sì, l’avrei perdonato.
***
«Sì, Cate, verrò con te all’appuntamento» disse la mia
migliore amica con aria solenne.
Come al solito, ci eravamo incontrate al nostro bar
preferito nel campus per colazione e avevamo riso del fatto che ci fossimo
entrambe presentate in ritardo e con gli occhiali da sole sugli occhi,
nonostante la giornata fosse ovviamente nuvolosa. Era quasi marzo, ma a Londra
quell’anno il grigio non sembrava voler lasciare spazio alla primavera. Tra i cappotti
pesanti e le sciarpe dei passanti, i nostri occhiali da sole stonavano; me ne
rendevo conto, ma non avevo potuto farne a meno. Mentre Chelsea probabilmente
li portava per motivi più che altro estetici – coprire occhiaie dovute alla
baldoria della sera precedente -, a me erano necessari per ripararmi gli occhi
dalla luce. Il motivo, ovviamente, era uno solo: la notte precedente non avevo
dormito un secondo, ripensando alla proposta di FG. Non solo non sapevo se
accettare – mentivo a me stessa, avrei accettato, se non altro per curiosità -,
ma nel caso in cui l’avessi fatto… la cosa mi metteva agitazione solo a
pensarci. Dopo la nottata insonne, quindi, mi ero decisa a chiedere consiglio
alla mia migliore amica, ma, quando le avevo raccontato cos’era successo la
sera prima, lei non si era nemmeno per un secondo soffermata sul problema “stalker”
o sul fatto che potessi scegliere di non uscire con William. La sua opinione
era stata che Liam, come ormai lo chiamava lei, facendo parte di una band
famosissima non poteva permettersi di non controllare che la persona con cui
avrebbe voluto uscire non fosse una fan impazzita o un mitomane. Non le avevo
detto che il ragazzo con cui mi ero scontrata aveva gli occhi azzurri e non castani
come Liam Payne (ebbene sì, avevo ormai imparato i loro nomi, a furia di
sentirmeli ripetere), perciò lei continuava a essere convintissima della sua
tesi.
Volevo tormentarla ancora un po', ma in realtà avevo già
deciso che l'avrei portata con me. Un conto è messaggiare con uno sconosciuto,
un altro incontrarlo di persona. Anche se aveva degli occhi limpidi e furbi e
se dai suoi messaggi sembrava la persona più sincera e leale del mondo.
«Veramente nessuno te l’ha chiesto» risposi io alzando un
sopracciglio, divertita.
«Sai cosa ti potrebbe succedere se ci vai da sola?» continuò
lei con foga, nel tentativo di convincermi a portarla con sé. Dovevo
trattenermi per non scoppiarle a ridere in faccia.
«Potrebbe essere un pazzo, un maniaco o peggio...» spalancò
gli occhi per farmi presagire l’importanza della sua rivelazione «Potrebbe
essere cesso!»
Risi forte, feci finta di pensarci su ancora un po’, mentre
la guardavo agitarsi sulla sedia con la coda dell’occhio. Poi non ce la feci
più e le dissi magnanima: «Vabbè, ti porto».
Con un’abile mossa riuscii a evitare con una risata l’abbraccio
di slancio della mia amica, che quasi finì per terra. Guardai la sua
espressione risentita ancora ridacchiando e per farmi perdonare le porsi il mio
cellulare, contenente i messaggi che FG mi aveva mandato durante la notte,
senza che io lo degnassi di una risposta. Chelsea cambiò subito atteggiamento e
cominciò a leggere avida. Io quei messaggi li sapevo a memoria, visto che
durante la notte li avevo letti e riletti all’infinito.
"Scusa, davvero. Sono stato un idiota"
"È che non mi è mai successo di parlare così tanto con
una persona appena conosciuta... Be', possiamo anche dire mai conosciuta.
Insomma, non mi era mai successo di avere così tante cose da dire."
"No, in realtà parlo spesso, ma quello che volevo dire
è... Non so"
"Ah, forse nel messaggio di prima non l'ho detto, ma
spero davvero che mi perdoni. Voglio continuare almeno a messaggiare con
te"
Chelsea mormorò un «awwwww» intenerito mentre leggeva questo
messaggio. E poi, per terminare in bellezza, gli ultimi, che mi avevano fatto
molto ridere per vari motivi:
"Hazza, quello vero, dice che sono stato uno scemo.”
“Hazza dice di scriverti che ha ragione lui”
“E che ha detto che sono stato un coglione, non uno scemo”
“Ok, ha ragione lui. Dice anche che devo mettere via il
cellulare e lasciarlo dormire. Sappi che se mi uccide sarà colpa tua, spero tu
riesca a vivere con il rimorso"
Sorrisi sentendo la mia amica leggere questo sms. Lei mise
giù il cellulare sul tavolo senza guardarmi negli occhi.
«Sento di avere delle cose in comune con questo Hazza»
commentò pensierosa, sospettosamente tranquilla.
«Che cosa?» chiesi io, ingenuamente curiosa.
«Entrambi abbiamo dei migliori amici coglioni!» sbraitò
quindi lei. Ah, adesso sì che la riconoscevo. Per buona misura, aggiunse anche:
«Scrivi a quell’idiota, ORA!»
Ridacchiai, stranamente felice di quella sgridata e mi misi
all’opera, componendo un messaggio:
"Ehi, sei ancora vivo?"
Guardai con la bocca spalancata la mia migliore amica bere il suo cappuccino
alla goccia, intanto che aspettavo una risposta che ci mise poco ad arrivare. Mi
accinsi a leggere mentre lei replicava alla mia occhiataccia con una scrollata
di spalle e un «Sarà l’abitudine».
Distolsi lo sguardo scioccata e lo portai sul mio prezioso
cellulare:
"Hazza mi ha risparmiato... E tu?"
“Io sono viva o io ti risparmierò?”
“Visto che mi stai scrivendo prenderò la prima risposta come
implicita, quindi… la seconda…”
Sorrisi, ma non volevo ancora dargliela del tutto vinta subito, così facilmente.
"Non lo so, ci devo pensare ancora un po' di tempo…"
"Ok...”
“Ce li hai due o tre anni?”
“A quel punto sarò praticamente già un cinquantenne, così le
tue paure si avvereranno”
“Guarda che quelle erano paure TUE”
“Giusto. Be’, ti prometto che se accetterai di uscire con me
potrai portare tutti i libri che vuoi e io prometto che non li faró
cadere"
"Mh, é un buon inizio"
Guardai di sbieco Chelsea che da qualche secondo si stava
sbracciando per farsi notare da me. Mi fece segno di darci un taglio e darmi
una mossa a concludere.
“Va bene” digitai con le mani che mi tremavano “Vediamoci”
Sorrisi a Chelsea che mi guardò incoraggiante e si sporse
per tentare di leggere dal mio cellulare.
“Stasera?”
Chelsea annuì con fervore. Presi un respiro profondo. Avrei
avuto l’ansia in ogni caso, quindi meglio non rimandare, no?
“Ok. Ma ci sono due condizioni: uno, vengo con un’amica”
“Non c’è problema, raccatto il primo idiota che trovo e lo
porto con me”
Ignorai Chelsea che si era messa a tirarmi una manica e a
dire concitatamente «Dì a Liam di portare Zayn, digli di portare Zayn!».
“Ok. Due, ci vediamo in un posto frequentato”
Chelsea, un po’ delusa dal fatto che non avevo citato il suo
Zayn, mi fece il gesto del pollice alzato.
“È per via delle mie manie da stalker?”
“Sì!”
“Questo punto potrebbe essere un problema…”
Aggrottai le sopracciglia. Per fortuna che Chelsea si era
distratta ed era ora intenta a specchiarsi in un cucchiaio: se avesse letto
quel messaggio avrebbe ricominciato con le sue teorie balzane sui cantantucoli.
“Il fatto che sia un problema potrebbe essere un problema” risposi
seria. Attesi qualche secondo in più del solito per la risposta:
“Ok, decidi tu il posto”.
***
Il Gordon’s Cafè era stranamente poco frequentato, quando
quella sera alle nove precise io e Chelsea ci presentammo al suo ingresso. Tra il
prevedibile ritardo della mia amica e il fatto che io ero pronta praticamente
da tre ore, eravamo riuscite ad arrivare all’appuntamento in orario. Le mani e
le gambe mi tremavano e sentivo il cuore battere nelle orecchie. In più, Chels
lungo la strada mi aveva definita “più svampita del solito”, ed effettivamente
notavo che ci mettevo più tempo e fatica del solito a mettere a fuoco il mondo
che ci circondava.
Agitata com'ero, non sentii neanche la suoneria del mio cellulare
che stava squillando probabilmente già da un po’ fino a quando Chelsea non mi
diede una gomitata. Guardai lo schermo allarmata: numero sconosciuto. Misi da
parte la mia fobia di parlare con estranei al telefono - poteva essere FG, in
fondo - e risposi senza pensarci troppo.
«Pronto?»
«Pronto?» fece dall'altra parte una voce fin troppo profonda con uno strano
accento, comunque non quella di FG «Catherine?»
«Si, sono io» risposi stranita.
«Sono Paul» disse quello come se quell’affermazione avesse dovuto chiarire
tutto.
«Chi?» sbottai io dopo qualche secondo di silenzio.
«Pau... Ah! No! Lasciamo perdere!» disse la voce diventando leggermente più
acuta.
«Ma come lasciamo perd...?» cercai di intervenire, scioccata, ma lui non mi lasció
parlare e continuó con voce impostata: «Mi spiace avvisarla» disse con dei
picchi acuti nella voce che mi fecero nascere qualche sospetto «che Lllll...
William oggi non potrà essere presente al vostro app...»
Mentre spalancavo la bocca incredula, un po' sollevata ma in fondo immensamente
delusa, un'altra voce più familiare intervenne in sottofondo dall'altro lato
del telefono: «Niall! Che cosa caz...?»
Sentii dei rumori come di una specie di colluttazione, qualche risatina e un
paio di brontolii. Poi, finalmente, la voce limpida di FG mi arrivó chiara
all'orecchio: «Catie? Sei ancora lì?»
«Sì!» esclamai stupita e sollevata «Ma cosa...?»
«Arriviamo» disse lui risoluto e attaccó, ma feci in tempo a sentire la voce
con cui avevo parlato prima esclamare: «Ahia!» per qualche motivo.
***
Quando io e Chelsea ci sedemmo all’interno del locale, ero
un fascio di nervi. La chiamata di quel tipo non mi aveva di sicuro
rasserenata, anche se per certi versi era una cosa divertente. William e il suo
amico… Niall? erano ovviamente in ritardo, anche se solo di pochi minuti. A me,
sembravano ore. Nel locale erano entrate poche persone in quel lasso di tempo,
facendo suonare il campanello attaccato alla porta d’ingresso, ma nessuna di
loro poteva essere FG.
Ad un certo punto, la porta si aprì ed entrarono due
ragazzi, entrambi con berretti di lana calcati sulla testa nonostante la
temperatura mite e gli occhi bassi. Stavo per scuotere la testa rivolta a
Chelsea, quando il primo si diresse verso di noi e alzó il suo sguardo su di
me, azzurro e sfrontato. Bello, azzurro e sfrontato.
«Cazzo.»
La mia migliore amica aveva espresso perfettamente quello
che stavo pensando ma che non sarei riuscita a dire. Mi strinse forte una mano
sotto al tavolo, guardando a bocca come me aperta quei due sedersi di fronte a
noi. Lui intanto non lasciava i miei occhi con i suoi, lievemente preoccupati.
Lo sapevo, lo sapevo, avevo visto i suoi occhi, in fondo
l'avevo riconosciuto dall’inizio, solo che per qualche motivo avevo continuato
a negarlo a me stessa.
«T-tu...» riuscii a sbiascicare con gli occhi spalancati «Tu
non sei Li... William»
«No» fece lui con un sorriso colpevole, avvicinandosi a me e
abbassando la voce «Piacere, Louis».
N.d.Summer
Scusate se posto solo ora ma sono stata distratta dalle
foto di tomlinson in canottiera a Parigi dalla vita reale. Èvvero, il
capitolo è più corto degli altri, ma volevo lasciare così il finale, con Louis
che si presenta…
EBBENE Sì, È LOUIS! Vabbè, lo so che lo sapevate già tutte,
volevo solo dare un po’ di rilevanza al fatto che ora lo sa anche Cate.
Volevo ringraziare qui pubblicamente LoveJulieperché la sua recensione al capitolo
precedente ha ispirato lo scherzetto che Niall fa a Cate prima dell’appuntamento…
spero che, citandola qui, non mi ucciderà per questo scherzetto che io ho fatto
a voi. :P
Non ho avuto tempo per il banner, volevo pubblicare questo
capitolo perché è passato del tempo dall’ultimo; è però probabile che io lo
aggiunga nei prossimi giorni. Nel frattempo, accontentatevi di un Louis che
ridacchia come un folletto/una fatina. Soooo cute *.* Much love, Sum.
«T-tu...»
riuscii a sbiascicare con gli occhi spalancati «Tu non sei Li... William»
«No»
fece lui con un sorriso colpevole, avvicinandosi a me e abbassando la voce
«Piacere, Louis».
Vedendo che non
reagivo, aggiunse sorridendo: «Eh, mi capita spesso di lasciare le ragazze
senza parole...»
Sbarrai gli occhi: «Brutto cretino!» esclamai ritrovando finalmente la voce e
lo vidi sorridere quasi come se fosse... sollevato.
«Ehi, piano con gli insulti!» rispose lui con il solito sorrisino impertinente «Non
saró bello in modo classico ma ho fascino da vendere, vero Niall?»
Il ragazzo alla sua destra annuì e mi fece un sorriso spensierato.
«Brutto...» iniziai di nuovo, incapace di dire o pensare altro.
«Niall», disse allora Louis più serio, senza smettere di osservarmi «ti va di
portare... Chelsea a fare un giro?»
Quello annuì di nuovo senza dire una parola e si rivolse alla mia amica,
porgendole la mano. Lei si alzó dalla sedia con uno sguardo allucinato e la
sentii borbottare, mentre si allontanava con il biondo: «M-ma ma ma...»
La mia attenzione era peró tutta su Louis. Si ricordava il nome di Chels anche
se gliel'avevo forse nominata un paio di volte, e la cosa mi sconvolgeva ancora
di più, complice il fatto che ero già senza parole per tutto il resto.
Louis - non Liam, non William, non FG, Louis
- aspettó che i nostri amici fossero usciti dal locale, poi si tolse il
berretto guardandosi intorno con circospezione e si sistemó i capelli con le
mani, in realtà riuscendo solo a spettinarli di più.
«Lo so, sei arrabbiata» inizió serio «ma ho pensato che già lo eri per la
storia dello stalking, quindi tanto valeva farti arrabbiare ancora di più!» sorrise
impertinente a metà tra il divertito e il colpevole «Via il dente, via il
dolore, no?»
Ritornó pensieroso e
guardó in aria per un momento «Ugh, odio i proverbi, non so nemmeno perchè l'ho
detto... »
Mi venne da sorridere per la sua parlantina veloce e nervosa e per tutte le
diverse espressioni che erano apparse sul suo volto in così poco tempo, ma mi
sforzai di rimanere impassibile. Non sapevo ancora cosa fare, cosa dire, come
comportarmi. Louis Tomlinson. Oh.
«Comunque» ricominció inchiodando di nuovo gli occhi ai miei, forse per far
passare meglio il messaggio. Non ebbe molto successo, perchè l'effetto fu
quello di darmi un capogiro.
«È che...» ricominció, cercando con cura le parole «volevo conoscerti un po'
prima di dirti chi ero».
Feci fatica a comprendere bene le sue parole. La linea dei suoi zigomi e il
colore dei suoi occhi mi distraevano non poco. In più, avevo sempre avuto un
debole per i ragazzi spettinati.
Sbuffó piano e continuó come se stesse parlando tra sè e sè «Quando sei famoso
tutti vogliono diventare tuoi amici, non sono mai sicuro se gli altri siano
interessati a me o alla fama e non sai quante volte ho dovuto...» prese un
respiro e tornó a guardarmi «Scusa, sto divagando. Il punto è che era più
semplice che tu non lo sapessi» scrolló le spalle «Ora invece il punto è: mi
perdonerai?»
Alzó lo sguardo su di me e mi sorrise, con quel sorriso che, ora capivo perché,
faceva sciogliere migliaia di ragazze. Era vero, come aveva detto lui non aveva
una bellezza classica, ma piuttosto particolare. I suoi occhi sembravano essere
in grado di bucare le superfici, avevano una luce brillante e intelligente; i
suoi lineamenti fini gli conferivano un’aria forse severa, ma lo sguardo da
mascalzone e i capelli disordinati contrastavano con questa prima sensazione.
Tutto in lui era particolare e la combinazione era… bella. Semplicemente bella.
Non trovavo un'altro modo per definirla. Non stava fermo un attimo mentre
parlava, le dita sottili che torturavano un pezzo di carta trovato chissà dove;
nonostante peró fosse palesemente iperattivo di norma e particolarmente nervoso
in quel frangente, tutto in lui rifletteva un senso di serenità, di fiducia, di
purezza. Persino la voce non aveva nulla di comune. A volte era acuta, a volte
roca, quasi sempre adorabile. E già adoravo il suo strano accento e
l’intonazione che dava alle frasi, soprattutto quando iniziava a parlare con
più foga. Mi resi conto che da era da quando avevo visto per la prima volta le
fotografie degli One Direction che avevo iniziato a sperare che Fidanzato
Geloso fosse lui. E che, nonostante mostrassi di ignorare gli indizi, in realtà
li avevo colti quasi tutti, solo che non li avevo voluti mettere insieme, forse
per paura.
Lo osservai mentre distoglieva per un attimo l'attenzione da me e richiamava quella
della cameriera, come se niente fosse subito dopo avermi chiesto se l'avrei
perdonato, forse per rimandare un rifuto. Deglutendo mentre lo guardavo, pensai
che nessuno poteva avere un profilo così perfetto.
Anche per questi motivi, oltre che per la sorpresa di trovarmi lì davanti quel
tipo dispettoso e incredibilmente famoso invece dello sconosciuto stalker
William, mi fu difficile concentrarmi su quello che aveva detto. L’avrei
perdonato? Lo conoscevo da pochi giorni e già aveva due cose di cui farsi
perdonare. E se fosse stato un suo vizio? Il suo sorriso impertinente era forse
indice del fatto che di lui non ci si potesse fidare?
Non ero mai stata una di quelle persone che si lasciano andare subito, che si
aprono con chiunque, che hanno fiducia nel prossimo. E la cosa peggiore è che
non avevo nessuno motivo per essere così guardinga e sospettosa: semplicemente
faceva parte del mio carattere. Avevo bisogno di prove concrete. Non ero come
Chelsea, ad esempio, che nonostante avesse dovuto affrontare molto più prove di
me nella sua vita, si buttava a capofitto in tutto, era capace di lanciarsi
senza pensare e anche se a volte si faceva male, si rialzava subito dopo, più
forte di prima. Avrei tanto voluto essere così, ma la mia natura prudente e
razionale non me lo permetteva. E poi, piccolo particolare, non pensavo di
essere altrettanto forte da potermi rialzare dopo una caduta.
«Dove te ne sei andata?» mi chiese finalmente Louis che, mentre mi perdevo nei
miei pensieri, doveva essere stato lì a osservarmi, così come stava facendo in
quel momento, con un mezzo sorriso divertito sulle labbra e lo sguardo curioso.
Non avevo neanche sentito cos'aveva detto alla cameriera, essendo così
concentrata a riflettere tra me e me.
Aprii la bocca per ribattere ma lui mi precedette: «Te l'avevo detto io che sei
una di quelle persone che si perdono nei propri pensieri!» di nuovo non mi
diede il tempo di intervenire: «Allora... Cosa ne pensi?» disse con un sorriso
che gli faceva increspare gli occhi.
Lo guardai ancora sbalordita. Ero arrabbiata, confusa, felice e ancora confusa.
Non sapevo più cosa fare, dire, o pensare. Da un lato avrei voluto prenderlo a
schiaffi, dall'altro sarei stata felice di toccarlo, finalmente, e di
abbandonarmi tra le sue braccia che sembravano così accoglienti, piene di
calore come i suoi occhi e come lui.
«Penso che» iniziai titubante, senza sapere come avrei terminato la frase «avresti
almeno potuto pettinarti».
Squadrai per un momento i suoi capelli studiatamente disordinati, il ciuffo
laterale che quasi gli copriva tutta la fronte e poi aprii la bocca sorpresa,
come se non avessi detto io stessa quelle parole. Cosa mi era saltato in testa?
Avevo completamente perso la ragione? Che cosa c'entravano adesso i suoi
capelli? E insultarlo mi sembrava il modo migliore per iniziare un primo
appuntamento? E se fosse stato l'ultimo?
Una risata fragorosa interruppe i miei pensieri; mi voltai verso la parte da
cui proveniva e notai che Chelsea e Niall si erano fermati appena fuori dalla
porta del bar, evidentemente per spiare ogni nostra mossa. Vidi Chelsea dare
una pacca sul braccio al ragazzo ancora piegato in due dal ridere e quello
lamentarsi debolmente tra i sogghigni, solo per essere redarguito da parole
sibilate dalla mia amica che non riuscivo a sentire, ma di cui intuivo il
significato dalla sua espressione.
Nel frattempo, mi ero dimenticata ancora una volta di Louis. Mi voltai verso di
lui contrita e trovai i suoi occhi azzurri spalancati e seri intenti a
osservarmi. Per qualche secondo ancora sostenne il mio sguardo, poi si lasció
andare a una risatina che diventó sempre più forte, durante la quale riuscì a
sbiascicare: «Tu... non sei normale... Catie!»
Fu quel suo modo di chiamarmi che fece breccia nella mia apatia
post-traumatica. Il modo in cui lo pronunciava mi faceva tremare le gambe
ancora di più di persona: era come se gli occhi gli si addolcissero mentre lo
diceva. Riuscii perlomeno a ridacchiare in modo meccanico, il che dovette far
pensare a Niall e Chelsea che fosse il momento giusto per rientrare nel locale.
La mia amica prese posto di fianco a me osservandomi ancora lievemente
scioccata e preoccupata, mentre Niall si metteva di fronte a noi, a lato di
Louis. Quando scese il silenzio, fu proprio lui a rompere il ghiaccio: «Cosa
avete ordinato di buono? Ah, a proposito, io sono Niall!» disse allungando una
mano verso di me con aria socievole.
«Ah, pensavo tu fossi Paul!» sbottó Louis sarcastico lanciandogli
un'occhiataccia e dandogli una gomitata.
«Oh...» inizió lui sempre rivolto a me, mentre gli stringevo la mano debolmente
«Ehm, a proposito... Scusami per l'incidente...»
«Incidente!» saltó su Louis con gli occhi sbarrati.
Niall mandó gli occhi al cielo: «... Per lo scherzo
di prima...»
Mi sembrava così carino e innocente che non potei fare a meno di sorridergli e
di tranquillizzarlo: «Non importa, non ti preoccupare...»
Louis alzó un sopracciglio: «Ah, è così? Lui viene perdonato subito perchè ha
questi occhioni...» disse indicandoli e mettendo quasi le dita negli
"occhioni" del biondo «questo sorrisone da cinquenne e quel suo
maledetto accento "adorabile"?» chiese con foga rivolgendosi a me.
Poi borbottó tra i denti «Stupido irlandese...» con gli occhi rivolti al cielo,
ma l'altro non sembró prendersela, anzi rise lievemente, divertito.
«Sì, be'» iniziai recuperando un po' della mia sanità mentale «Lui non ha fatto
finta di essere un persona che non er... Ehm». Mi bloccai, ricordandomi che era
esattamente quello che il biondo aveva fatto.
«Qualcosa che non va?» mi chiese Louis ironico «Stavi per caso dicendo
qualcosa?»
«Ok, forse non era l'esempio più adatto» borbottai fintamente risentita, ma in
fondo divertita da Louis.
Tutti gli altri, compresa Chelsea, scoppiarono a ridere, vedendomi più serena.
«Be', cosa avete ordinato, quindi?» chiese alla fine Niall, a cui a quanto
pareva quell'argomento stava molto a cuore. Louis sorrise guardandomi con una
luce strana negli occhi: «Io ho ordinato solo per noi due...»
Oh, quindi aveva ordinato anche per me e io neanche me ne ero accorta? Ottimo
lavoro, Cate!
«Che cosa?» chiedemmo io e Niall insieme, ugualmente curiosi e ignari.
Louis ridacchió: «Per me un té e per Catie, ovviamente, un caffè» mi sorrise
come un bambino, fiero di sè «Ho chiesto loro se potessero sbavare la tazza di
rossetto, ma la cameriera non ha voluto sentire ragio...»
Non riuscì nemmeno a finire la frase che il suo berretto di lana che aveva
lasciato sul tavolo gli arrivó dritto in faccia.
***
«Dai, dillo, lo so che
ti stai trattenendo da troppo tempo» dissi rivolta a Chelsea con un sorriso a
trentadue denti. Era da tempo che non sorridevo così.
«No, cosa, non so di
cosa tu stia parlando…» fece lei stupita, ma non ci cascai nemmeno per un
secondo.
«Avanti, fallo ora che
non ci sono… Ti sto dando il mio permesso» continuai. Loui s e Niall – Dio,
quanto era strano – erano andati a pagare alla cassa, mentre io e Chelsea
eravamo uscite dal locale ad aspettarli.
Era stata una serata
strana: dopo l’inizio turbolento, avevamo passato un’ora circa a ridere e
scherzare tutti insieme, come se fossimo vecchi amici. E se questo per Chelsea
era praticamente una cosa normale, visto il suo carattere aperto e solare, non
lo era altrettanto per me. La mia amica e Niall erano stati con noi tutto il
tempo e, se da un lato mi faceva piacere essere in compagnia, dall’altro ero
leggermente delusa di non poter stare sola con Louis. D’altro canto, non sapevo
se avrei retto sotto il peso di quegli occhi senza avere una via di fuga. Anche
così, mentre parlavo e ridevo, lo vedevo di tanto in tanto scoccarmi occhiate di
sbieco, come per studiarmi e per un attimo mi mancava il respiro.
Alla mia frase, gli
occhi della mia amica si illuminarono e finalmente questa si lasciò andare,
forse vedendomi così serena, ed esclamò: «Io lo sapevo! Lo sapevo! L’ho sempre
saputo che era uno degli One Direction! Lo sapevo! Te l’avevo detto!» prese un
respiro dopo aver trattenuto il fiato per tutta la durata di quello scoppio e
concluse ancora più trionfale: «Avevo ragione!»
Sospirò e il suo tono
di voce tornò a livelli normali: «Aaaaaah, grazie, ora sto meglio!»
Scoppiai a ridere: «Sì,
Chels, avevi ragione tu. Sono ancora sconvolta da questo ma ti chiedo scusa per
aver dubitato di te».
Lei ignorò il mio commento
e sorridendo mi fece segno di lasciar perdere con la mano: «Ti perdono»,
replicò magnanima. Poi spalancò gli occhi e riprese con voce acuta: «Però che
cosa assurda! Lì dentro ci sono Louis Toml…»
Le tappai la bocca con
una mano guardandomi attorno circospetta. Fortunatamente non c’era nessuno. L’ultima
cosa di cui avevo bisogno era un’orda di fan impazzite che mi portasse via
Lo... cioè, che creasse caos nel campus.
«Sì, Chelsea, è
assurdo» sorrisi sincera «però evitiamo di essere uccise almeno per oggi, ok?»
le dissi mentre ancora le tenevo la mano sulla bocca. Lei sembrò capire e annuì
mesta, con gli occhi che comunque le brillavano.
Proprio in quel
momento i ragazzi uscirono dalla porta del locale, sorridenti come al solito,
trovandoci in quella posizione compromettente. Lasciando andare Chelsea, notai
però che Louis aveva un’espressione meno gioiosa di Niall e appena si fermarono
di fronte a noi due mise le mani in tasca e prese a fissarsi i piedi.
«Be’» iniziai io
notando il momento di silenzio e imbarazzo «immagino che dobbiate andare, ora».
Niall stava per
rispondere, poi però si girò verso Louis che aveva alzato appena gli occhi su
di me e aspettò la sua risposta: «Ehm, sì, forse non è il caso di sfidare la
sorte ulteriormente…» disse questo a bassa voce.
«Strano che non ci
abbia riconosciuto nessuno, eh?» chiese Niall allegro «Non che non mi piaccia
essere riconosciuto, ma è stato carino passare una serata normale». Sorrise di
nuovo e posò lo sguardo su Chelsea un attimo di troppo, arrossendo
impercettibilmente. Sorrisi anch’io, pensando che sembrava impossibile che un
ragazzo così carino e alla mano fosse una popstar internazionale, eppure eccolo
lì, davanti a me.
Quello che mi distolse
dai miei pensieri fu un tocco caldo sulla mano; quando mi girai, mi accorsi che
Louis si era sporto verso di me e mi aveva preso la mano con la sua, tirandomi con
delicatezza verso di sé.
«Possiamo parlare un
attimo?» sussurrò con un tono serio e... come triste che non mi avrebbe
permesso di negargli assolutamente niente. Annuii, ancora stupita dal suo gesto
e dai suoi occhi meno luminosi di prima; lui fece un mezzo sorriso agli altri
due, mormorando uno «Scusate» e facendo quello che mi sembrò un occhiolino in
direzione di Niall.
Poi, sempre tenendomi
per mano mi condusse in realtà poco lontano da loro, in mezzo a una delle
aiuole del parco che costeggiava tutto il campus, vicino ad una betulla con
qualche gemma che già si faceva notare tra le foglie di un verde brillante. Quando
ci fermammo, lo guardai in attesa di sapere cosa volesse dirmi, mentre il cuore
mi batteva sempre più forte e la mente viaggiava tra tutte le possibili cause
del suo cambio d’umore. Lui alzò gli occhi su di me e, lasciandomi la mano, mi
sorrise impacciato.
Tutto mi sarei
aspettata tranne di vederlo in imbarazzo.
«Catie» iniziò
tornando a guardare l’erba sotto le sue Toms. Quel nomignolo mi fece ovviamente
arrossire, ma cercai di non darlo a vedere.
«Volevo ancora
chiederti scusa per la storia dello stalker» iniziò, come se si stesse levando
un peso dallo stomaco «So che dev’essere stato strano per te, ma… Sono un
personaggio pubblico, per quanto la cosa mi dia sui nervi a volte…» riprese a
guardarmi, tornando finalmente agguerrito e sereno come sempre. Be’, come in
quei pochi giorni in cui l’avevo conosciuto.
«Insomma, dovevo
accertarmi che tu non fossi… che non fosse… uno scherzo, o non so cos’altro…»
concluse confuso, passandosi una mano tra i capelli. Forse la storia della fama
gli pesava più di quanto desse a vedere. Per uno sincero e schietto come lui
non doveva essere facile scendere a patti con quello che il mondo voleva vedere
in lui.
«Non ti preoccupare»
presi a dire per tranquillizzarlo, chissà perché. Non ero io quella che avrebbe
dovuto essere tranquillizzata? «Lo capisco. Insomma, ora lo capisco». Calcai sulla parola “ora” per fargli notare l’altra
sua piccola mancanza, cioè il non avermi accennato che era uno degli One
Direction, nonché una delle persone più famose della Gran Bretagna. Forse
persino del mondo. Lui rise di gusto mettendo le mani davanti a sé come per
ripararsi dalle mie parole: «Ok, hai ragione, scusa anche per quello».
Poi spalancò gli occhi
azzurrissimi su di me e continuò: «Allora… a parte la, ehm, sorpresa, com’è
andata la serata?»
Rimasi per un attimo
sbigottita: non mi aspettavo proprio quella domanda da lui. Sorrisi e annuii: «A
parte che non mi hai ancora chiesto scusa per non esserti pettinato… direi
bene!»
Lui sbuffò divertito e
mi guardò da sotto in su con aria impertinente: «Se avessi dovuto sistemarmi i
capelli sarei arrivato con almeno un’ora di ritardo!» rise, e io lo seguii a
ruota. Mi piaceva troppo vederlo felice, non riuscivo a pensare ad altro.
Fu allora che una forte
risata femminile che mi era familiare ci interruppe; ci voltammo entrambi verso
la direzione da cui proveniva e notammo Chelsea che rideva come una bambina
dando pacche sulla spalla a Niall che se ne stava lì a prenderle, sorridendo
orgoglioso. Mentre ancora li stavamo osservando, Louis mormorò poco distante da
me: «Mi sa che a Niall piace la tua amica…»
Non mi ero accorta che
i nostri visi fossero così vicini, così sobbalzai, cercando subito dopo di camuffare
la mia reazione e ritrovare un po’ di contegno: «Che novità…» dissi sarcastica,
senza però suonare acida.
«Cosa vuoi dire?» chiese lui con un sopracciglio alzato.
«Chelsea piace a tutti» dissi semplicemente, sorridendo con
una punta di orgoglio «Basta guardarla» continuai osservando i capelli chiari
della mia amica muoversi con il vento mentre lei cercava di ritrovare il
respiro, appoggiata con noncuranza a Niall con un braccio. Il biondo era
chiaramente rapito dal sorriso smagliante di lei. Ero così intenta a osservare
la scena che quasi non mi accorsi che Louis non aveva spostato gli occhi da me
per tutto il tempo.
«E tu?» chiese con la voce
più bassa e roca di prima.
«E tu cosa?» replicai
senza capire. Louis era troppo vicino e la sua voce mi confondeva le idee.
Inoltre, riusciva alle volte a essere anche più contorto di me.
«E tu a chi piaci?»
Non potei fare a meno di
aprire la bocca e rimanere immobile come un’ebete, mentre speravo che le guance
non mi andassero a fuoco. Speranza vana. Ancora una volta, non sapevo cosa
dire, fare, pensare. Mi lasciava letteralmente senza parole. Stavo per
replicare borbottando una risposta su come non piacessi a nessuno, quando Louis
mi sorrise e mi prese di nuovo la mano, stavolta indugiando un po’ di più come
per chiedere il mio permesso.
«Torniamo da loro?» chiese
sommessamente e senza aspettare una mia risposta iniziò a camminare nella
direzione dei ragazzi, osservandomi di tanto in tanto di sottecchi e sorridendo
tra sé e sé.
Bene, almeno lo facevo
ridere.
***
Riuniti agli altri
due, ci eravamo salutati senza troppi convenevoli e in modo piuttosto
imbarazzato, dopodichè loro erano saliti su una limousine comparsa dal nulla –
Niall era ovviamente uscito dal tettuccio per salutarci ed era poi stato tirato
dentro in malo modo da Louis - e Chelsea era se n’era andata a casa con la sua
macchina, dopo avermi chiesto mille volte se avessi bisogno di parlare. In
realtà, come le dissi, volevo solo rimanere sola un po’ con i miei pensieri,
respirare, finalmente.
Mi misi a camminare
per il sentiero rischiarato dai lampioni che conduceva al mio appartamento,
quando un trillo familiare risuonò nel silenzio. Tirai fuori il cellulare dalla
tasca e vidi il nome di FG. Ora potevo anche cambiarlo con il suo vero nome,
pensai con un sorriso, mentre aprivo il messaggio.
“Scusa se quella domanda
ti ha messo in imbarazzo” diceva.
“Continui ad avere
cose per cui chiedere scusa”
“Lo so, non ho
resistito, ma era come immaginavo…”
“Cioè?”
“Sei troppo carina
quando ti imbarazzi”
Carina? Ero carina? Insomma
ero buffa, lo facevo ridere, ok, avevo capito, non c’era bisogno di insistere!
“E pensare che avevo
appena cambiato opinione sul fatto che tu non fossi uno stronzo!” risposi di
getto, forse un po’ delusa e irritata dalla sua percezione di me.
“Avrei tanto voluto
abbracciarti”
Mi fermai, incapace di
continuare a camminare. Un pugno nello stomaco forse mi avrebbe permesso di
respirare meglio di quanto fece quel messaggio.
N.d.Summer
Be’, direi che mi sono fatta
perdonare le cattiverie dello scorso capitolo, no? Questo l’ho postato prima
del solito (circa), è più lungo del solito, descrive l’appuntamento e, anche se
non fa tanto ridere, c’è tanto Louis (che “non è bello in modo classico ma ha
fascino da vendere”)!!! Ed è questo l’importante, SEMPRE. :P
Certo, il titolo del capitolo (come
quello della storia!) lascia moooooolto a desiderare, ma vabbè. Si sa che in
quello faccio schifo.
E poi ho messo il banner in cui Lou
ride come la fatina che è (e, cioè, c’è pure il biglietto con il numero di
Hazza. Che NON è il vero numero di Hazza lol). Non potete non perdonarmi. Che
altro dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto, se sì fatemelo sapere, se no
fatemelo sapere, se boh… fatemelo sapere! Intanto ne approfitto per ringraziare
tutte coloro che commentano (vi adoro) e tutti quelli che leggono e
preferiscono, ricordano, seguono (siete tantini!).
Poooooi. Ho preso quest'abitudine di rispondere alle
recensioni quando posto il nuovo capitolo, così da non rispondere dal
cellulare, e intanto di volta in volta ne approfitto per avvisarvi che il nuovo capitolo è stato
postato... Fatemi sapere se vi disturba che smetto ;)
Vado a vedermi un altro po’ di
video Ziam, che fa sempre bene :) Baci, Sum
P.S. Intanto siccome il capitolo
vede un po’ di Louis+Niall vi dono un po’ di Nouis reale che ho giffato oggi,
tiè.
Dopo aver incontrato Louis per la prima volta, mentre ero
lì, di fronte a lui, e potevo godere della sua compagnia solare e sorniona,
tutti i miei pensieri si erano fatti un attimo da parte, perché potessi godermi
il momento. Non appena la serata era terminata e lui se n’era andato, però, le
mie solite mille preoccupazioni mi erano crollate addosso come una frana. È al
momento della calma dopo la tempesta che tutto riaffiora sulla superficie.
Non riuscivo a dormire, no.
La mia mente era un turbinio di pensieri, emozioni, ricordi
di tutto quello che era successo in quei pochi giorni. Stavo sdraiata sul letto
al buio fissando il soffitto e non riuscivo a mettere ordine in tutto quello
che era successo in quei pochi giorni. Appena provavo a chiudere gli occhi
vedevo i suoi, di un azzurro quasi innaturale, sorridenti. Mi sembrava
impossibile che fosse con quegli occhi che, solo poche ore prima, aveva
guardato me. Quando li riaprivo, però, il fatto che Louis mi avesse mentito era
il pensiero scritto a lettere maiuscole nella mia mente tra tutti gli altri,
insieme al fatto che aveva fatto lo stalker e che… be’, che mi piaceva un po’
troppo per essere uno che conoscevo da pochi giorni, per di più neanche per
quello che era realmente. Mi aveva anche parlato un po’ della sua vita, di
sfuggita in qualche messaggio, e ormai mi veniva da dubitare di tutto ciò che
mi aveva detto. Non mi preoccupava tanto che mi avesse mentito sul suo nome:
quello lo potevo anche capire, era una popstar e non poteva rivelarlo a una
sconosciuta qualsiasi. Questo voleva dire che per lui non ero più una
sconosciuta? O che non ero più una sconosciuta qualsiasi? Certo che lo ero.
Soprattutto, in quel momento, ero una sconosciuta confusa. Il punto era che, se
aveva mentito così tranquillamente su una cosa, avrebbe potuto farlo su tutte
le altre. Suo padre se n’era davvero andato quando era piccolo come aveva
detto? Davvero sua madre e il suo patrigno avevano appena divorziato? Harry era
davvero il suo migliore amico? E si chiamava veramente Harold?!? Davvero lui
odiava le carote?
Non sapevo più cosa pensare, di nulla.
Poteva essere tutto falso. Il ragazzo al quale in quei pochi
giorni, lo dovevo ammettere, mi ero affezionata così tanto, forse non esisteva.
Era vero, quella sera l’avevo visto, in carne e ossa, ma ero ancora troppo sconvolta
per capire cosa fosse reale e cosa no.
Erano le cinque di notte, ormai, quando non ne potei più di rimuginare
e, con la mente ancora piena di pensieri che ronzavano e giravano in cerchio
senza arrivare da nessuna parte, gli scrissi un messaggio.
“Ho bisogno di digerire il fatto che mi hai mentito sul tuo
nome, su chi sei, su… tutto”
Presi un respiro profondo e aggiunsi “Dammi un po’ di tempo”
Forse era sveglio, forse era stato svegliato dal mio
messaggio, ma una decina di minuti dopo mi arrivò la risposta:
“Non ho mentito su tutto, solo sul mio nome. Comunque,
prenditi il tuo tempo. Non troppo, però: Harry odia quando sto tutto il tempo a
fissare il cellulare in studio, invece di cantare ;)”
Riuscii quasi a percepire la tristezza insita in quel
messaggio, così diversa da quella sensazione di ironia spensierata e
impertinente che lui di solito mi trasmetteva, anche se in soli 160 caratteri.
Non risposi e rimasi a fissare l’alba che penetrava
attraverso le persiane e si rifletteva sul soffitto chiaro della mia stanza.
***
Non ero mai stata una che diventa facilmente dipendente da
qualunque cosa. Bevevo caffè, certo, ma ne avevo bisogno solo per svegliarmi la
mattina, per il resto della giornata potevo anche farne a meno… all’incirca.
Perlomeno prima di FG, quando dormivo almeno sei ore a notte, invece di due o
zero.
Insomma, non fumavo, bevevo moderatamente e solo in
compagnia, non mi drogavo... Be', una sera qualche anno prima io e Chelsea
avevamo provato a fumare una "sigaretta divertente" come l'aveva
chiamata sua fratello Danny che ce l’aveva procurata, in effetti. Il risultato era
stato che avevamo passato tutta la serata in camera sua a giocare a scarabeo
ridendo come delle pazze. Non l'avevamo mai più fatto, perché io e lei ridevamo
sempre come delle pazze comunque.
Quindi, non avevo mai provato la dipendenza e di conseguenza
nemmeno l'astinenza vera, quella che ti fa sudare freddo e battere il cuore
troppo veloce.
Quella mattina, quando mi svegliai, mi venne da pensare che
durante la notte un camion fosse entrato nella mia stanza e mi avesse
investito. Cosa poco probabile, d'altra parte, ma la sensazione era quella. Se
per i primi secondi dopo il risveglio non mi ricordavo nemmeno dove fossi, per fornirmi
il primo pensiero della giornata la mia mente andò subito a pescare un ricordo
della serata precedente, precisamente quello in cui scrivevo a Louis che avrei
avuto bisogno di tempo per perdonarlo.
Per tutta la giornata non feci altro che cercare di seguire
le lezioni senza successo, controllando inutilmente il cellulare ogni secondo, trattenendomi
dallo scrivere io per prima un messaggio a Louis, maledicendomi perché ero così
debole da non riuscire a rimanere senza i suoi sms e le sue chiamate nemmeno
per mezza giornata. Ormai ero totalmente dipendente da lui e dal modo in cui mi
faceva sentire, dal modo in lui stesso era, e disintossicarmi non sarebbe stato
facile.
Per distogliere la mente da tutto questo, da quello che
avevo fatto e anche per evitare di darmi della stupida ogni due secondi, decisi
che quella sera sarei andata con Chelsea a una festa nel campus alla quale era
stata invitata. Non lo facevo spesso, ma mi convinsi che la confusione e la
musica ad alto volume avrebbero potuto sovrastare il ronzio continuo dei miei
pensieri.
Fu dopo tre cocktail bevuti da sola in un angolo da sola nei
primi dieci minuti in cui ero alla festa che decisi che non era stata una
grande idea. Chelsea era chissà dove con chissà chi e io non le volevo letteralmente
rovinare la festa, perciò mi ero messa un po’ in disparte, lasciandola al suo
destino. Ok, forse l’avevo subito seminata mentre sgomitavamo tra la folla per
entrare nella sala gremita della casa della confraternita, convinta che senza
di me si sarebbe potuta divertire molto di più.
«Cate?!?» sentii dire dietro di me una voce maschile a dir
poco stupita. Ok, non c’era bisogno di usare quel tono: non era così strano
vedermi a una festa. Mi voltai con il mio drink saldo in una mano e l’aria
truce. Appena vidi chi avevo davanti mi rasserenai un po’ e mi aprii in un
sorriso: «Charlie!»
Era probabilmente una delle poche persone che avrei voluto
con me in quel momento. Era così carino, gentile, innocuo …vero! e onesto!, che
avrei voluto abbracciarlo. Lui non avrebbe mai detto di chiamarsi Jacob o
Nathan quando si chiamava… come si chiamava? Forse gli ultimi due cocktail non
erano stati una buona idea.
Il ragazzo con gli occhi verdi – Charlie! -, che prima sembrava
spaventato dalla mia espressione, mi sorrise di rimando: «Sei da sola?»
Inarcai un sopracciglio, o perlomeno ci provai: «Uhm, c’è
Chelsea da qualche parte, ma…» iniziai per lasciare la frase in sospeso. Stranamente,
invece di chiedermi ulteriori spiegazioni sulla ragazza dei suoi sogni, lui mi
osservò stranito e lievemente preoccupato: «Tutto bene?» chiese dolcemente.
Scossi la testa, mentre gli occhi mi pungevano. L’alcol mi
faceva brutti scherzi, ora rischiavo pure di piangere davanti a tutti.
«Posso fare qualcosa?» mi domandò mettendomi una mano sulla
spalla. Mi guardò con gli occhi chiarissimi nel modo più sincero del mondo.
Sorrisi e annuii piano.
«Vai a cercare Chelsea» gli dissi facendogli l’occhiolino mentre
cercavo di allontanarmi barcollando lievemente «e divertiti!» gli urlai dietro
buttando le braccia al cielo.
Proprio in quel momento, mentre mi dirigevo chissà dove tra
la folla, nel frastuono risuonarono le note iniziali di una canzone che mi
sembrava familiare. Mi fermai, assottigliando gli occhi e tendendo le orecchie,
fino a quando non la riconobbi… Live While We’re Young. Quello fu il mio
segnale per uscire da quel posto tremendo. Be’, forse non era il posto
tremendo, forse ero io a esserlo.
Feci appena in tempo a mettere un piede fuori dalla grande
finestra che dava sul terrazzo, quando il mio cellulare iniziò a suonare. Le
mani, tra alcol e agitazione – chi poteva essere? – mi tremavano così tanto che
ci misi qualcosa come cinque squilli a localizzare il telefono nella borsa,
estrarlo senza farlo cadere e rispondere affannosamente.
«Pro-on-to»
«Stai correndo?» disse confusa la voce maschile al di là
della cornetta.
«Cosa caz…?» borbottai.
«Cate?» chiese la persona dall’altro lato.
«Sì», risposi spazientita, in parte perché, no, non era la
voce di Louis. Ma cosa volevo? Non gli avevo chiesto io di darmi del tempo?
Avrei forse voluto che non lo facesse?
«Chi parla?» chiesi nervosamente.
«Sono Niall!» rispose quello allegro.
Oh. Be’, non ci ero andata troppo lontano. E, no, non era
affatto strano che uno degli One Direction mi stesse chiamando.
Peccato che fosse quello sbagliato.
«Maledetto illudit… illusionist… illu…» mugugnai mentre mi
appoggiavo alla balaustra del terrazzo a causa di un capogiro.
«Come?» chiese lui con la voce limpida.
«Niente, ehm, ciao, discevo. Come mai mi sciami?» sbiascicai
dimenticando qualche lettera e aggiungendone qualcuna di troppo.
«Sei ubriaca?» fece lui lievemente preoccupato e molto
divertito.
«Gno» mi schiarii la voce «Gnnn… No».
«Uhm, ok… be’ io… volevo sapere come stava Chelsea…» replicò
lui incerto.
«Sul serio?» dissi io stupita, raddrizzandomi di colpo.
«No».
Signore e signori, Niall Horan, bugiardo professionista. «Ho
il suo numero se volessi chiederle come…»
Il che mi faceva venire in mente…
«Niall…» dissi spazientita dalla sua incapacità di arrivare
al punto.
… un altro bugiardo…
«È Louis» disse dando finalmente un nome ai miei pensieri,
cosa che mi fece sobbalzare lievemente.
«Mi ha parlato di quello che è successo...»
«Cioè del fatto che mi ha mentito?» ribattei ironica.
«Sì, be'... Di tutto. E del tuo messaggio, ieri notte»
sospirò e stette in silenzio per qualche secondo «È un bravo ragazzo, sai? Può
sembrare uno stupido idiota, un coglione e qualche volta anche uno stron…»
«Niall!» lo ammonii sfregandomi le mani sulle tempie e lui
ridacchiò facendo sorridere anche me: «Scusa, è che sono irlandese!»
«Il punto, Niall!»
Diavolo, quel ragazzo si distraeva più facilmente di
Chelsea.
«Ah, sì. Sembra… ma non lo è».
«Lo so» mi sfuggì «Cioè… sembra così anche a me. Ma perché
mi stai disce… dicendo questo?»
«È strano per me vederlo così... Giù. È sempre felice, di
solito. È quello che fa casino per tirare su di morale gli altri. Non abbiamo
mai dovuto tirare su di morale lui, non sappiamo cosa fare».
«Mi sembra che siete tutti adulti e vaccinati… be’, a parte
Harry» ridacchiai. Decisamente non avrei più bevuto.
«Stai evitando l’argomento» disse lui schiarendosi la voce
dopo aver ridacchiato sotto i baffi «Noi non ci possiamo fare niente, ma tu sì»
aggiunse risoluto.
«Io non…»
«Chiamalo» disse imperativo. Maledetto irlandese. Ma nessuno
in quella band si faceva gli affari propri?
«Ma nessuno in questa band si fa gli affari propri?»
Ops. Per il momento potevo dire addio ai filtri che avevo
tra cervello e bocca.
«No», disse lui serio «una volta che hai dormito con i piedi
di qualcuno sulla tua faccia il legame che si stabilisce è fortissimo» aggiunse,
ridacchiando poi in modo contagioso.
Mi trattenni e cercai di essere seria per un attimo: «Niall…
Non so. Ho bisogno di un po' di tempo»
«Tutto quello che vuoi» replicò lui dolcemente «Ma poi
chiamalo».
Emisi un gemito «Siete tutti così insistenti nella band?»
Rise: «Sì, ma io veramente non sono nemmeno il peggiore».
«Fammi indovinare» iniziai con una smorfia «il peggiore non
sarà mica…»
«Già».
***
«Ecco dov’eri! Ti ho cercata dappertutto!»
Chelsea mi corse incontro barcollando leggermente. I suoi
capelli e il suo trucco erano ancora perfetti, ma come faceva? Io probabilmente
ero un disastro. I primi sintomi della mia leggera sbornia erano passati,
lasciandomi solo un leggero mal di testa e un meno leggero stordimento
generale. Per non parlare del fatto che ero da circa mezz’ora seduta in qualche
modo per terra su quel terrazzo, con la schiena appoggiata alla ringhiera.
«Mi fa male la testa» le dissi per tutta risposta «e mi ha
chiamato Niall» conclusi altrettanto a caso, alzandomi e mettendomi di fronte a
lei.
La mia amica sbarrò gli occhi, ma parlò dolcemente: «E cosa
ti ha detto?»
Chelsea aveva reagito in modo strano quando qualche ora
prima le avevo detto della pausa che mi ero presa da Louis. Forse era troppo
presa da altro, oppure semplicemente mi conosceva fin troppo bene per urlarmi
contro, anche scherzosamente, per via di quella mia decisione. Sta di fatto che
aveva clamorosamente evitato di guardarmi e trattarmi come se fossi pazza e
aveva semplicemente fatto spallucce, commentando: «Aspetterà».
La guardai con gratitudine tardiva: «Che devo chiamare
Louis» dissi a bassa voce quasi sperando che non sentisse.
Sbuffò mandando gli occhi al cielo: «Be’, caro Niall, questo
lo sappiamo tutti».
«Io non lo so» mormorai testarda.
Lei mi fulminò: «Certo che lo sai. Sai bene che non ha fatto
niente di male. Che tu debba un attimo raccapezzarti lo capisco, ma prima o poi…»
«A parte il fatto che mi ha mentito...» la interruppi
giocherellando con i lembi della mia maglia «È un cantante famoso. Non so se
voglio... Ecco, ritrovarmi "invischiata" con uno…»
Scoppiò a ridere tenendosi la pancia con una mano: «Ma sei
già invischiata! Fino al collo!»
La guardai male, alzando il tono di voce e riprendendo il
mio discorso come se niente fosse: «E se poi lui va in tour con tutte quelle
fan che...»
«E poi dice che non è invischiata» borbottò lei guardandosi
le unghie laccate di viola, per poi aggiungere a voce più alta «Non ti sembra
di essere andata un po' troppo avanti nel futuro?»
Mi guardò negli occhi e mi mise le mani sulle spalle. Ebbi
un po’ di paura.
«Cate, lo sai cosa penso io? Che hai paura. Ma non delle fan
impazzite e di tutte quelle cazzate… ma di essere troppo presa da lui. E anche -
sì, lo dirò, è inutile che mandi gli occhi al cielo con me, lo so che è una
frase fatta - di innamorarti» mi fece un sorriso smagliante e
insopportabilmente saccente «E allora usi questa storia del fatto che ti ha
mentito sul suo nome per due giorni come scusa».
«Tre giorni» la corressi «E non è affatt…»
«No, no, Cate» mi interruppe. Da quando era diventata così
dispotica? «Pensaci e basta ok? Non voglio sapere cosa pensi».
Spalancai la bocca, scioccata: «Bell'amica!» sbottai
ironica.
«Pfui, la migliore. Chiunque altro ti avrebbe trucidata anche
solo perché stai rimandando la possibilità di uscire con Louis Tomlinson. E
negando a me la possibilità di conoscere quei fighi dei suoi compagni! Ah» fece
teatralmente finta di svenire «Liam, Harry, ZAYN! Come puoi privarmi di Zayn,
donna crudele!»
«Sopravviverai...» le dissi ridendo, mettendole un braccio
intorno alle spalle e iniziando a condurla verso l’ingresso.
Lei però si fermò e si mise di nuovo di fronte a me,
guardandomi seria e pettinandomi i capelli con le mani: «Lo sai che ti voglio
bene, no?»
«Oh, Chels...»
«No, lo sai. E sai che non vorrei mai vederti star male. Ma
se non corri qualche rischio... Rischi di vivere una vita che non hai scelto
tu, di accontentarti di una vita che non vuoi… di qualcuno che non vuoi, e
questo l’hai già fatto».
Mi sorrise, mi baciò su una guancia e si allontanò da sola,
lasciandomi lì di stucco, impalata e incapace di muovermi per un po'.
***
Qualche giorno dopo, la mia crisi di astinenza era ancora
nel pieno del suo svolgimento, ma ero riuscita a non cedere e Louis aveva fatto
altrettanto, rispettando la mia decisione. Ancora, ogni mattina quando mi
svegliavo sentivo un peso sul cuore che non se ne voleva andare, nonostante
avessi pensato che il tempo l’avrebbe cancellato.
Così, quella domenica, mi ero lasciata convincere da Chelsea
ad andare con lei, Charlie (chissà da quando quei due si parlavano) e un suo
amico, Sam, a fare trekking in qualche bosco sperduto fuori Londra. Di solito
non avrei nemmeno preso in considerazione l'idea di fare dello sport, ma avevo
effettivamente bisogno di togliermi un po' di pensieri dalla testa e di
allontanarmi dall'università. Ero inoltre curiosa di vedere con quale ridicolo
outfit si sarebbe presentata la mia amica, visto che non era tipo da separarsi
dai suoi tacchi alti e dalle sue gonne minuscole, né da fare attività fisica
che non fosse il “keg stand”. Mi sbagliavo, ma non troppo.
Quella mattina, troppo presto per i gusti di chiunque avesse
un cervello, la aspettavo assonnata sul ciglio della strada appena fuori dal
campus e la vidi arrivare da miglia di distanza sulla sua mini cooper, a causa
della felpa fucsia che indossava sotto il giubbotto. Come scoprii poi, portava
anche delle scarpe da tennis abbinate, dello stesso colore spacca-pupille.
Era appunto mattina presto e non avevo ancora bevuto un
caffè, essendo il mio chiosco preferito chiuso di domenica, eppure mentre
salivo sulla sua macchina ebbi la forza di ridere di lei, ancora prima di
salutarla. Non era nemmeno riuscita a mettersi un paio di semplici leggings
neri come i miei: i suoi erano argentati e riflettevano persino la poca luce
del sole che faceva capolino tra le nuvole londinesi. Scossi la testa
ridacchiando mentre lei di rimando scuoteva la sua, squadrando la mia felpa
grigia col cappuccio sotto a un semplice giubbino blu chiaro. Quando ebbe
finito di denigrarmi silenziosamente, sbuffò e si decise a chiamare al
cellulare Charlie, che ci raggiunse poco dopo trafelato, trascinandosi dietro
quello che doveva essere il suo amico Sam. Salirono in macchina e ci
presentammo: questo Sam era un ragazzo alto e allampanato, capelli e occhi
scuri, sorriso timido. Avrei persino potuto definirlo il mio tipo, se non
avessi avuto un paio di occhi celesti e bugiardi che disturbavano i miei pensieri.
Avevo avuto i miei dubbi sul fatto che Chelsea avesse
progettato quella gita a quattro per appiopparmi Sam, ma non ero sicura che lei
volesse "essere appioppata" a Charlie. Era vero, lui sembrava calmare
un po' i suoi modi isterici con il suo carattere pacifico e diplomatico, e
questo era sicuramente un punto a suo favore, ma forse non era abbastanza. E
poi, soprattutto, era davvero possibile che lei avesse rinunciato a vedermi
insieme a Louis? Lo dubitavo.
La giornata passò in fretta, tra assurdi dolori alla milza e
alle ginocchia dopo pochi chilometri e Charlie che cercava in ogni modo di fare
il gentiluomo, offrendosi di portare in braccio per un po' sia me che
soprattutto Chelsea, chiedendolo una volta anche a me ogni dieci che lo
chiedeva a lei. Nel frattempo, il mio interesse verso Sam era palesemente tendente
allo zero e, nonostante cercassi di essere gentile e socievole, dovette capire
che volevo solo essere lasciata in pace. Ero proprio come una tossicodipendente
che si deve disintossicare e la mia droga erano i messaggi di Louis, le sue
chiamate... Semplicemente lui. Ero andata avanti per giorni a parlargli quasi
ininterrottamente e non mi ero ancora abituata a non farlo più, a non sentire
quella sensazione che provavo ogni volta che mi arrivava un suo sms. Volevo
convincere me stessa che non ne avevo bisogno, ma una parte di me continuava,
per quanto la zittissi, a non voler rinunciare a quella sensazione.
Al ritorno, avevo le gambe a pezzi e il mio umore non era da
meno. Ero stata in silenzio quasi tutto il giorno e questo non aveva aiutato a
togliermi dalla mente né a risolvere i pensieri che avevo. Chelsea era di
buon'umore, chissà poi per quale motivo, e canticchiava tra sé mentre guidava
verso Londra, distraendosi solo per girarsi a parlottare con Charlie e Sam.
Dopo qualche chilometro di viaggio, ci fermammo per fare benzina in una
stazione di sosta e ne approfittai per fare una breve visita in bagno. Quando
però uscii dalla porta cigolante pregando di non aver preso il tetano, notai
che la macchina di Chelsea non era più dove l'avevo lasciata pochi minuti
prima. Mi guardai intorno e... Non c'era un'anima, nemmeno un benzinaio, cosa d’altra
parte piuttosto normale, visto che si trattava di un self service. Oltretutto,
piuttosto sperduto. Ovunque mi voltassi, vedevo solo la strada e alberi, un
sacco di alberi. Ma, soprattutto, la macchina di Chelsea era davvero sparita e
insieme a lei anche i miei amici. Feci un giro di perlustrazione, non che ci
fosse molto da perlustrare comunque, per accertarmi che non ci fossero davvero
e me ne resi conto: ero sola. Mi avevano lasciata lì.
Alzai gli occhi al cielo e tastai il giubbotto alla ricerca
del cellulare. Perlomeno non l’avevo lasciato sulla macchina, perché Chelsea
non voleva che lo mettessi, chissà perché, nel cruscotto. Ma come avevano fatto
a dimenticarmi lì? Non si erano accorti che non c'ero? Digitai il numero di
Chelsea. Ok, ero stata silenziosa quel giorno, ma non tanto da non accorgersi
della mia presenza… o assenza! Il telefono continuava a squillare. Forse avrei
dovuto mettermi anch'io una felpa fucsia e leggings catarifrangenti, pensai
mentre riattaccavo il telefono con rabbia. Perché cavolo non rispondeva? Chiamai
Charlie ma anche lui non rispose. Riprovai il numero di Chelsea ma niente da
fare. Com'era possibile?
Vagliai le opzioni: potevo aspettare lì che qualcuno
passasse per fare benzina, sperando non fosse un maniaco, e chiedere un
passaggio; attendere che Chelsea si ricordasse di me e tornasse indietro, ma
forse era successo qualcosa di grave (era l'unica spiegazione che avevo trovato)
e ci sarebbero volute ore; oppure, più semplicemente, chiamare qualcuno che mi
venisse a prendere. Già, ma chi? Tutti quelli con cui ero in confidenza
all'università erano su quella macchina e non rispondevano al cellulare; i miei
genitori vivevano decisamente troppo lontano e di sicuro mi avrebbero ritirato
dall'università se avessero saputo cos'era successo... No, avevo un'unica
opzione.
Digitai il suo nome con le dita che tremavano e dovetti
ripetere l’operazione più volte perché continuavo a sbagliare. Feci un respiro
profondo mentre il cellulare squillava e io iniziavo a camminare nervosamente
avanti e indietro per lo spiazzo.
Il telefono squillò a vuoto per quello che mi sembrò un
tempo infinito, poi, in mezzo a mille altri rumori, una voce affannata rispose:
«Pron… Ragazzi, state zitti un attimo!» urlò nella cornetta.
Il frastuono che si era sentito poco prima in sottofondo
cessò di botto e lui sbuffando continuò: «Scusa, prima mi hanno nascosto il
cellulare e ora se la ridono pure…»
Mi sembrò quasi di vederlo lanciare occhiatacce ai suoi
compagni e mi venne da ridere. Poi però il fatto di non avergli parlato per due
giorni e di sentirlo ora così, sommato alla situazione in cui mi trovavo si
fecero sentire e gli occhi iniziarono a pungermi, mentre non riuscivo a
spiccicare parola.
«Catie» era più un’affermazione che un’esclamazione o una
domanda, ma sentii che stava sorridendo. Sbuffai lievemente, incapace di
parlare, sommersa da emozioni contrastanti, e Louis dovette sentire, perché mi
chiese: «Catie ci sei? Tutto bene?»
«No» risposi secca con un filo di voce.
«No? Cos…?» chiese lui iniziando a preoccuparsi.
«Scusa se ho chiamato te» lo interruppi «È che Chelsea mi ha
abbandonata qui nei boschi e non so cosa sia successo ma comunque se ne sono
andati e lei non risponde al telefono e nemmeno Charlie e non neanche il numero
di Sam, i miei abitano troppo lontano, mio fratello vive in Francia e non
sapevo cosa fare, chi altro chiamare e quindi ho chiamato te ma forse non è
stata una buona idea, mi devi scusare» dissi tutto d’un fiato, inondandolo di
parole.
«Ehi, calma» mi interruppe Louis dolcemente. Sentivo che
stava sorridendo:
«Dimmi dove sei che arrivo» rispose semplicemente.
«Ma non ti ho neanche spiegato…»
«Ho detto che arrivo» disse con un tono che non ammetteva
repliche.
«Ah, dimenticavo», fece una pausa e il suo tono di voce si
abbassò «sono felice che tu abbia chiamato me».
Note di Summer
Io, al contrario di Cate, sono una che diventa molto
facilmente dipendente da QUALSIASI COSA. Voi?
Buongiorno. Tutto bene? Che dire. Questo capitolo è uhm,
meno ironico del solito? Meno divertente? Cate si strugge un po’, ma poi tutto
si sistema, ovviamente. Louis è bossy e pushy ma alla fine tanto
dolce e lo fa solo perché ci tiene. E anche Niall è pushy e anche tutti
gli altri membri della band (come vedrete).
SPAM TIME
Per il resto, continuo a scrivere OS on the side e
a tradire questa long perché mi vengono ispirazioni flash che non posso
ignorare. Quindi ultimamente ho pubblicato Far Away
(Larry angst, sul tatuaggio di Louis) e One Book is
Enough (Het su Niall, ironica/fluffosa); se voleste dare un’occhiata anche
lì sarei felicissima.
END OF SPAM TIME
Ringrazio di nuovo tutti voi che seguite, preferite,
ricordate e, soprattutto, recensite! Siete carinissime! E ai nuovi arrivati... Benvenuti!!! Baci, Sum
P.S. Non so se avete visto la conferenza stampa del Big
Announcement, ma a un certo punto c’è una giornalista che si chiama Katie credo
(come si pronuncia Catie, comunque) e i cinque idioti (compreso Lou) si mettono
a ripetere “Hi Katie” e “Hello Katie” mille volte e sono scoppiata a ridere
come una pazza perché era troppo assurdo.
Louis arrivò pochissimo tempo dopo, mentre ancora stavo
cercando di calmare il battito del mio cuore camminando avanti e indietro
nell'area di sosta deserta. Non potevo credere di aver chiamato proprio lui;
non potevo credere che mi avesse risposto; non potevo credere che avesse
accettato di venirmi a prendere. E assolutamente non potevo credere che il
nostro secondo incontro sarebbe avvenuto in una sperduta area di sosta nel bel
mezzo del nulla. Ringraziai mentalmente Chelsea con un dito medio alzato
rivolto ai boschi che mi circondavano, borbottando tra me e me. Proprio in quel
momento, la prima auto che avevo visto passare da quando ero lì, una sportiva
nera, entrò nello spiazzo e si fermò davanti a me, alzando con le ruote uno
sbuffo di terra polverosa. Il finestrino si abbassò.
«Ciao bella...»
Fissai lo sconosciuto per qualche secondo, confusa, mentre
lui sorrideva ammiccando. Perfetto, la mia solita fortuna. Doveva avere una
ventina d'anni in più di me e mentre lo fissavo scontrosa era riuscito a
squadrarmi da capo a piedi un paio di volte. Pensai di mandarlo a quel paese da
subito, ma lui mi precedette.
«Ti serve un passag...?» iniziò a dire, ma non riuscì a
finire la frase, perché un'altra auto, una specie di fuoristrada giallo
scappottato e piuttosto ridicolo entrò nello spiazzo a tutta velocità, facendo
fischiare le ruote e fermandosi alle mie spalle.
Al volante, lo sguardo azzurro tagliente già puntato sullo
sconosciuto, c'era Louis.
«Ehi» disse in tono tranquillo, senza smettere di fissare
l'altro e dandomi solo una rapida occhiata per assicurarsi che stessi bene. Non
l'avevo mai visto così serio.
«Be'» aggiunse facendo apparire il solito sorriso impertinente, stavolta però
leggermente teso «In effetti è un'ardua scelta» disse squadrando la macchina
sportiva del tizio e indicando poi con gli occhi la sua, quel pugno in un
occhio su quattro ruote. Mi venne da ridere, invece mi mossi in fretta per fare
il giro della sua strana auto senza dire una parola. Non appena salii, Louis si
voltò verso di me e mormorò un semplice «Ciao» seguito da un lieve sorriso, per
poi partire sgommando, fissando il tizio con aria di sfida e lasciandolo di
stucco.
***
«Bella macchina» dissi non appena mi fui un po' ripresa,
sorridendo ironica con un sopracciglio alzato.
Quella specie di fuoristrada era scappottato e fuori ormai era quasi buio, ma
Louis aveva acceso il riscaldamento e alzato i finestrini, per cui nell'abitacolo
in qualche modo entrava solo una lieve brezza e la temperatura era ideale.
«Bella compagnia che ti eri trovata» replicò lui sorridendo a sua volta. Mi guardò
di sottecchi lievemente preoccupato: «Tutto bene, comunque?»
Annuii: «Era appena arrivato...»
«Sono proprio provvidenziale» disse lui sorridendo tronfio. Sorrisi alzando gli
occhi al cielo scherzosamente.
«E comunque per quanto riguarda la macchina» aggiunse con una smorfia «Non è
mia, ok? Ero in studio e per fare in fretta ho dovuto prendere la prima che
sono riuscito a farmi prestare…»
Mentre parlava la sua voce si era abbassata fino a diventare
un bisbiglio, come se si fosse accorto che mi stava dicendo troppo, o come se
il discorso gli fosse sfuggito di mano, andando in una direzione che non gli
piaceva.
«In che senso?» feci io curiosa tirandomi a sedere più compostamente sul
sedile.
«Uhm, ecco...» cominciò lui dandomi un’occhiata incerta «Non tutti si fidano a
lasciarmi la loro macchina» fece spallucce.
«E perché?» insistetti. Mi piaceva metterlo un po’ a
disagio, lui che sembrava sempre così padrone della situazione. Mi ricordava il
Louis che solo pochi giorni prima non aveva avuto il coraggio di farsi avanti e
darmi un abbraccio così dal nulla, per nessun motivo in particolare se non
perché gli facevo tenerezza.
Si morse un labbro, ma poi ammise: «Diciamo che sono
abbastanza noto per sfasciare tutte le automobili che guido» disse quasi fiero
di sé, gonfiando il petto e scoppiando a ridere.
Sbarrai gli occhi osservando la strada con più attenzione: «Cosa?!?»
«È successo solo un paio di volte!» fece lui sulla difensiva
senza perdere il sorriso «Solo perché ho rotto la Mini sul set di Gotta Be You,
la jeep su quello di Live While We’re Young e perché mi hanno fermato i
poliziotti quando eravamo negli Stati Uniti…»
«Un paio di volte sono più che sufficienti!» esclamai. Non
ero davvero arrabbiata, infatti un sorriso minacciava di esplodermi sulle
labbra da un momento all’altro.
Mi guardò di sbieco: «Se vuoi puoi scendere qui» disse
malizioso, indicando con la mano un non meglio specificato posto in mezzo ai
boschi «Hai visto già che ci sono parecchie persone volenterose di aiutare una
ragazza sola e bisognosa…»
Rabbrividii mio malgrado ripensando al tizio dell’area di
sosta e sbuffai: «Mi accontenterò di te, per stavolta» sbottai fintamente
imbronciata. Per tutta risposta lui scoppiò a ridere: «E come sai che io non
sono… non so, un serial killer?»
Guardai per qualche secondo il suo profilo concentrato sulla
strada, i capelli spettinati come al solito e gli occhi attenti, le sue mani
strette sul volante in modo noncurante eppure sicuro, il suo modo di stare
seduto che riusciva in qualche modo a risultare scomposto anche nello spazio
non proprio ampio dell’abitacolo.
Non riuscii a frenare le parole che mi uscirono dalle labbra
come un fiume in piena.
«So che sei abbastanza gentile e generoso da lasciare tutto
quello che stavi facendo per correre a recuperare una mezza sconosciuta nel bel
mezzo del nulla» quasi mormorai, facendo spallucce tra me e me e fissando la
strada mentre parlavo. Lo vidi girarsi verso di me con la bocca leggermente
aperta come se stesse per dire qualcosa, per poi tornare a fissare dritto
davanti a sé con un lieve sorriso a increspargli le labbra.
***
Per un po’, nessuno dei due parlò. Tra tutti i pensieri che
mi frullavano in testa, notai che Louis stava guidando piano e che ci stavamo
mettendo parecchio a tornare al campus. Sperai che non lo facesse perché era
prudente o rispettoso dei limiti di velocità, ma che il motivo fosse un altro.
«Hai letto The Hunger Games?» esclamai a un certo punto, dal
nulla. Il flusso dei miei pensieri come al solito aveva annullato qualunque
filtro avessi fra cervello e bocca. Lui ridacchiò, probabilmente per questa mia
stranezza che conosceva già bene.
«Ho visto pezzi del film...?» rispose, in tono indeciso,
come se non ne fosse certo.
«Pezzi?» chiesi confusa e già divertita da quella risposta,
prospettandomi sviluppi ancora migliori.
«Hai mai provato a guardare un film con i ragazzi?» sbuffò
lui «Niall che sgranocchia ogni genere di snack, Zayn che russa dopo 5 minuti
se il film non è Marvel, il cellulare di Hazza che squilla ogni 3 secondi, Liam
che ti tira i pop corn in faccia e poi fa finta di essere interessatissimo alla
tv...»
Risi di gusto: mi piaceva sentirlo parlare dei suoi amici. Gli si illuminavano
gli occhi e la voce gli diventava più calorosa del solito, anche se, come in
questo caso, ne parlava male. Era però un parlare male in modo estremamente affettuoso,
e si notava lontano un miglio che avrebbe preferito vedere un film a pezzi con
loro che intero con chiunque altro.
«Be' comunque questa parte è nel terzo libro...» continuai dopo aver smesso
di ridere.
«C'è un terzo libro? No, aspetta, c'è un second... Il film è tratto da un libro?!?» chiese stupito. Lo guardai con gli occhi sbarrati e poi
continuai ignorando il suo commento, mentre lui ridacchiava della mia serietà
riguardo a quell'argomento: «Peeta chiede a Katniss di dirgli cosa è vero e
cosa no, perché lui non lo capisce più...»
«Dovremmo fare lo stesso con le cose che mi hai detto, per
capire su cosa hai mentito e…»
«Ma era tutto vero!»
«Quindi ti chiami William» dissi con un sopracciglio alzato.
«Ok, non proprio tutto...» ammise lui. Sbuffò e
stette in silenzio per qualche secondo: «E poi mi chiamo William per davvero»
disse alla fine quasi imbronciato.
Risi, guardando la sua espressione: «Non capisco se sei un
bugiardo patologico oppure se...»
«È il mio secondo nome!» si difese lui. «Ti farei vedere la
carta d'identità, ma... Meglio di no».
«Perché?»
Sbuffò: «La foto... Ecco... Avevo ancora quella pettinatura
che Liam chiama "caschetto" o "ciotola di cereali"…»
Scoppiai a ridere di gusto. Non facevo fatica a immaginarmi quella fotografia,
nonostante non l'avessi vista. Non facevo fatica a crearmi nella mente l’immagine
di un Louis un po’ più giovane con una pettinatura orrenda e gli stessi occhi
penetranti di quel momento, forse ancora più impertinenti. Sorrisi.
«Ok, non credevo fossi così cattiva» replicò lui fingendo di essere offeso.
Solo in quel momento mi venne in mente che poteva
effettivamente offendersi sul serio, anche se i capelli a ciotola non c’entravano:
mi ero quasi dimenticata che l'avevo chiamato dal nulla per chiedergli di
venirmi a prendere in mezzo, be', al nulla. Dopo non averlo sentito per qualche
giorno.
Sospirai: «Starai pensando che sono una stronza» dissi contrita e seria.
Lui si allarmò leggermente e fece spallucce per tranquillizzarmi: «È solo una
pettinatura! E poi mi prendono in giro tut...»
«No, non per quello« lo interruppi prendendo fiato prima di continuare «Non ti
ho più cercato da quando ci siamo visti quella sera. E poi ti chiamo per un
favore così... starai pensando che sono una stronza e che un'opportunista, che
ti stia usando per i miei comodi e...»
«Catie» mi interruppe lui serio, zittendomi all’istante a causa della sua voce
morbida «Sai cos'ho pensato quando ho visto che mi stavi chiamando?»
Scossi la testa in silenzio, guardandolo con gli occhi spalancati, curiosa di
sapere dove voleva arrivare.
Sorrise: «"Finalmente". Ho pensato: "finalmente"».
***
«Non posso credere comunque che tu non avessi nessuno da
chiamare a parte me…» esclamò dopo un po’ con un sorriso malizioso,
riscuotendomi dall’apatia in cui ero caduta fissando il cielo buio e le stelle
che iniziavano a spuntare sopra di noi. Il vento leggero che mi spettinava i
capelli e Louis che ogni tanto canticchiava una canzone che non conoscevo mi
cullavano e mi facevano sentire protetta e serena come non lo ero da molto
tempo.
Scosse le spalle: «Non so se credere che hai chiamato me
perché dovevi, o se invece volevi…» fece in tono cospiratorio alzando un
sopracciglio e ridendo sotto i baffi.
«Te l’ho già detto!» replicai indignata. Il fatto che ci
scherzava sopra provava che davvero non se l’era affatto presa per il fatto che
l’avessi chiamato. Anzi, forse lo stava facendo proprio per dimostrarmi che non
aveva nessun problema. Oppure, forse, era solo estremamente presuntuoso. Aveva
però un modo così scherzoso e dolce di esserlo che gliel’avrei comunque fatta
passare liscia. O quasi.
Sbuffai, fingendo di essere irritata: «I miei vivono lontano
da Londra, mio fratello vive in Francia, alla mia migliore amica non prendeva
il telefono e gli altri amici dell'università non li conosco ancora così bene!»
«Se lo dici tu…» insinuò sorridendomi.
Lo ripagai con la sua stessa moneta: «A proposito di
genitori, se vuoi chiamo mio padre e gli chiedo cosa ne pensa del fatto che uno
sconosciuto mi sta portando a casa sul suo fuoristrada giallo dopo avermi
raccattata per strada… Scommetto che verrebbe di corsa nonostante la distanza…»
conclusi e lo guardai soddisfatta.
Lo vidi deglutire esageratamente: «E scommetto che non
verrebbe per ringraziarmi, vero?»
Ridacchiammo un po’ e poi, dopo avergli lanciato un’occhiata
di sfuggita, tornai a godermi il panorama, che, di tanto in tanto, comprendeva
anche il suo profilo, che mi piaceva così tanto. La sua voce, dopo qualche
minuto, mi colse di sorpresa.
«I tuoi stanno ancora insieme?» chiese serio.
Annuii: «Sì. Non sembrano sopportarsi molto, almeno agli
occhi di chi non li conosce bene, ma alla fine quello è il loro modo di volersi
bene…»
Sorrisi presa dal ricordo dei miei genitori, che vedevo solo
durante le festività e le loro visite all’università. Mi mancavano, ma in fondo
sapevo che stavano bene anche senza di me. Mi voltai e vidi che anche Louis
aveva stampato in volto un mezzo sorriso, che tuttavia sembrava un po’ amaro.
«Mi hai detto che i tuoi invece sono separati, vero?»
«Sì» si schiarì la voce «si sono separati l'anno scorso ma,
sai, va bene così» fece un sorriso tirato continuando a guardare dritto davanti
a sé «Sono adulti, sapranno gestire la situazione. Va tutto bene anche così, è praticamente
uguale a prima.» concluse netto e sorrise di nuovo candidamente.
In quel momento mi resi conto di quanto probabilmente avessi
frainteso Louis. All'inizio avevo pensato che, avendo dovuto crescere in fretta
a causa dell'abbandono del suo padre biologico quando era piccolo, avvenimento del quale mi aveva accennato durante le
nostre ore passate a scambiarci messaggi, ora si stesse sfogando con i ragazzi
e che per questo fosse così solare e sempre allegro.
Mi resi conto che invece, forse, aveva solo bisogno di
qualcuno a cui poter dire che, no, non andava tutto bene. Qualcuno con cui non
dover essere sempre quello forte, quello che prende tutto sul ridere, quello
che tiene in piedi la baracca. Mi resi conto che era stato così a casa sua, da
sempre, perché tutti gli uomini nella vita di sua madre e delle sue sorelle
erano stati di passaggio, tranne lui; ed era così anche con i ragazzi della
band, probabilmente. Lui sembrava quello più infantile di tutti, ma in quel
momento mi trovai a pensare che forse quello era il suo modo di tenere su il
morale agli altri, di tenerli uniti, di essere la loro roccia. Non per niente
era anche quello che, se c'erano problemi, non esitava un attimo a prendere le
difese dei suoi amici, magari immischiandosi anche in affari che non lo
riguardavano.
Non avevo voluto farmi un'opinione su di lui basata su quello che dicevano i
giornali o che si leggeva su internet, ma avevo fatto qualche ricerca per
curiosità e avevo trovato qualche prova di comportamenti di questo tipo. Louis
era di sicuro il più scherzoso e iperattivo dei cinque, il più festaiolo; ma
era anche quello che si preoccupava di tutti i suoi compagni, quello che li
proteggeva se ce n'era bisogno e che si prendeva cura di loro. In pratica,
faceva quello che probabilmente aveva dovuto imparare a fare sin da piccolo per
sua madre e le sue sorelline. Forse faceva parte della sua indole, ma in
ogni caso aveva anche lui il diritto ogni tanto di prendersi una pausa dalle
risate, dal suo continuo sdrammatizzare; di poter ammettere che qualcosa faceva
schifo, di poter essere triste per qualcosa, di poter essere egoista e fragile.
«No che non va bene» dissi all’improvviso con la voce che mi
tremava.
«Cosa?» replicò lui. Spostò per un momento gli occhi dalla
strada per rivolgermi un'occhiata confusa. I suoi occhi limpidi e spalancati
erano annebbiati da un velo di stupore.
«Non può andare bene, Louis. È uno schifo. So che magari in
passato hai dovuto essere forte e mentire per gli altri e che magari l'hai
dovuto fare troppo spesso, ma qui e ora lo puoi dire... I tuoi si sono
separati. Non può andarti bene, non può essere tutto uguale… e non deve esserlo».
Sospirò, come se fosse sollevato, e stette in silenzio per
un po', pensieroso. Pensai di averlo offeso e non dissi più una parola. Sperai
che avesse capito cosa volevo dire. Probabilmente però ero andata oltre e mi
ero immischiata in affari che non mi riguardavano.
«No, è vero» ammise all'improvviso, con voce strana, continuando
a fissare la strada.
«È una situazione di merda» fece una smorfia amara «Mi manca
mia madre e mi è sembrato di abbandonarla da quando sono in giro con la band…
lei e Lottie e Fizzy e Phoebe e Daisy. Già è stato pesante lasciarle e d'ora in
poi anche mio padre... Mark non ci sarà più» sospirò di nuovo, stringendo i
denti «Le poche volte che tornerò a casa lui non sarà più lì ad aspettarmi…»
lasciò cadere la frase nel vuoto.
«È vero, non va bene. Non è uguale» concluse dopo poco in un
soffio, come se si fosse tolto un peso pronunciando quelle parole.
Poi, senza preavviso, mise una mano sulla mia e strinse un
poco, sempre continuando a guardare solo la strada: «Grazie» mormorò serio, con
tutta la sincerità e la spontaneità che lo contraddistingueva anche in momenti
come quello.
***
Arrivammo al campus che era ormai sera: tutti i lampioni dei
viali erano accesi ed erano pochi gli studenti ancora fuori dai dormitori. In
fondo il giorno dopo era lunedì e c’era lezione, pensai, stupendomi di quanto mi
fosse sembrata lunga quella giornata. Quando Louis parcheggiò il fuoristrada
giallo mi voltai verso di lui con un sorriso felice.
Allungò una mano verso il mio viso e mi sfiorò una guancia,
prendendo tra le dita una ciocca dei miei capelli e sistemandomela
delicatamente dietro all’orecchio.
«Sei tutta spettinata» mi prese in giro lievemente guardandomi
negli occhi e senza riuscire a smettere di sorridere in un modo che sembrava
riflettere il mio stato d’animo. Pace, serenità. Rabbrividii a sentire il suo tono
e il suo tocco caldo sulla mia pelle.
«È meglio se vai» riprese dopo qualche secondo, abbassando
gli occhi, ma non c’era traccia di durezza nel suo tono. Continuava a sorridere
in quel modo strano, con gli occhi illuminati di luce. Non ebbi troppo tempo
per pensare a cosa volesse dire quella frase: di sicuro non mi stava cacciando,
non con quel sorriso che non racchiudeva altro che dolcezza. Ma allora perché l’aveva
detto? Il suo sguardo raccontava un’altra storia, anche se era solo accennata: forse
voleva che me ne andassi prima di poter fare qualcosa di cui mi sarei pentita.
Mi allungai verso di lui e gli diedi un bacio leggero
sulla guancia, sperando che cogliesse il mio muto ringraziamento. Il suo
sguardo e la sua bocca appena socchiusa con le labbra lievemente curvate all’insù
mi confermarono che aveva capito. Scesi dalla macchina e mi avviai quasi
saltellando verso il mio dormitorio, senza sentire addosso un briciolo della
stanchezza di quella strana giornata.
N.d.Summer
Scusate per il ritardo tremendo. Spero che vi consolerà
sapere che ci ho messo una vita a trovare che maledette macchine aveva rotto Mr.
Tomlinson. Non è questo il motivo del ritardo xD So anche che delle macchine
non ve ne frega una beata cippa ma a me diverte un sacco la storia che Louis
rompe tutte le auto che gli fanno guidare (e come OGNI VOLTA dice “Ehm, I
accidentally broke it” [x]
muoio)! Sopportatemi.
Guardate però come mi faccio perdonare in fretta, così:
Ditemi che avete tra le altre cose apprezzato la citazione all'inizio, tra l'altro riferito al titolo, pure! Mica pizza e fichi. Scusatemi se ho fatto qualche errore, ho pubblicato
quasi senza rileggere, perciò se trovate qualche stronzata fatemelo sapere!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se è più melenso di come volevo e
non si ride troppo… recupererò nel prossimo, con Chelsea! Baci, alla prossima,
Sum.
P.S. Se/quando la storia arriverà a 100 tra le seguite/preferite/ricordate (e siamo vicine) potrei farvi una sorpresina... devo ancora pensare cosa però! Tipo un cameo di uno dei ragazzi? Suggerite pure :P e non barate ;)
Quando finalmente arrivai nel corridoio che dava sul mio
appartamento, vidi l’ultima cosa che mi sarei aspettata al mondo. Chelsea stava
seduta per terra a gambe incrociate, appoggiata esattamente alla mia porta.
Quando mi avvicinai alzò gli occhi su di me, felice e quasi pronta a farmi le
feste come un cagnolino che accoglie il suo padrone. Si alzò in fretta e si
scrollò dai vestiti della polvere immaginaria.
«Oh, eccoti finalmente!» esclamò allegra con noncuranza «Quella
stronza della tua coinquilina non mi ha fatto entrare…!» aggiunse sperando in
una mia battuta solidale sull’inutilità sociale di Sasha. Inutile dire che non
fu accontentata.
«Eccoti finalmente?!?» sbraitai sbarrando gli occhi «Mi hai
abbandonata nel bel mezzo del nulla e ti lamenti pure perché ci ho messo troppo
ad arrivare? Cos’è successo? Perché non rispondevi al telefono?»
«Sei arrabbiata?» fece lei sorpresa e quasi delusa più che
in tono di scusa. Non potei fare a meno di spalancare ancora di più gli occhi
per il suo comportamento. Se non fossi stata così stranita dalla sua reazione
estremamente grottesca anche per una come lei, sarei scoppiata a ridere.
«Chelsea, certo che sono arrabbiata!» esclamai spossata. Non
sapevo più cosa dire, sembrava che fossi io quella pazza.
Aggrottò le sopracciglia: «Non hai chiamato Louis?» chiese
con aria innocente, come se davvero non capisse perché non ero felice come una
pasqua.
«Cosa c’entra adesso Lou… oh.»
All’improvviso capii tutto. Mi diedi della stupida. Come
avevo fatto a non capirlo prima? Eppure Chelsea la conoscevo bene, sapevo di
cosa era capace. Sapevo che avrebbe fatto di tutto per il mio bene, anche
qualcosa che andasse contro ogni buon senso, anche…
«Chels, dimmi che non l’hai fatto di proposito.»
«Te lo potrei anche dire…» iniziò lei guardando altrove con
un sorrisino stampato su quella faccia da schiaffi. Il senso di colpa non le si
addiceva proprio, e infatti non ne vedevo traccia.
«Dimmi che non mi hai di proposito abbandonata nei boschi
per via di un tuo stupido piano» quasi la pregai, alzando la voce.
«… ma sarebbe una bugia» concluse lei sovrapponendosi alla
mia frase e confermando la mia ipotesi.
Stetti in silenzio per qualche secondo a fissarla senza
parole. Era folle.
«Sarebbe potuto passare un maniaco! Avrei potuto perdermi
nei boschi e non tornare mai più! O essere schiacciata da un tir mentre tentavo
di tornare a piedi!»
«Hai tentato di torn…?» iniziò a chiedere lei quasi come se
niente fosse, ma la zittii subito, urlando: «No che non ho tentato di tornare a
piedi! Come ti viene in men…»
Mentre cercavo di capire come funzionasse la mente contorta
della mia amica, scoppiai a ridere. Sì, esatto, a ridere. Come una pazza, come
lei, dal nulla, scoppiai a ridere senza motivo. Cioè, il motivo ce l’avevo. In
fondo, sì, Chelsea era folle; ma era fantastica. Cosa potevo dirle per quello
che aveva fatto? Mi aveva fatto passare una serata “alternativa” con Louis e
per questo non potevo che ringraziarla. Certo, avrei avuto da ridire sui suoi
modi decisamente poco ortodossi, ma era il risultato che contava, no? Ero
felice, non potevo non ammetterlo, e non avevo alcuna voglia di essere
arrabbiata con lei. Anche perché, come al solito, non ci sarei riuscita per più
di cinque minuti.
Perciò continuai a ridere e la mia migliore amica mi seguì a
ruota, mettendomi un braccio sulle spalle mentre aprivo la porta con le chiavi
ed entrando con me in casa.
***
Poco dopo, sdraiata a pancia in giù sul mio letto con le
gambe che dondolavano per aria, mi chiese: «Quanto tempo ci hai messo a
chiamarlo?»
In piedi davanti a lei, quasi a disagio nella mia stessa
camera da letto, feci spallucce: «Cinque minuti, credo. Ho dovuto prima
riprendermi dallo shock di essere stata abbandonata!» esclamai tirandole un
cuscino azzurro in piena faccia.
«Uhm, pensavo peggio» rispose lei senza scomporsi, con aria
da grande analista del mondo e della vita. Ridacchiai.
«Ti è passata un po’ di paura?» mi chiese poi mordendosi
l’interno della guancia, guardandomi con gli occhi limpidi e seri che aveva
solo quando si preoccupava per me.
Spostai il peso da un piede all’altro e portai le mani
dietro la schiena, appoggiandomi al muro: «Paura di cosa?»
Sbuffò: «Ne abbiamo già parlato… Di lui, di» abbassò la
voce, quasi non volesse spaventarmi «innamorarti».
Sventolai una mano come per scacciare un insetto fastidioso
e lei sbuffò. Intanto però la mia mente aveva iniziato a vagare. Forse era vero
quello che diceva Chelsea; forse, come nei migliori romanzi rosa da quattro
soldi, anche io avevo paura di innamorarmi. Eppure, come potevo io farmi tutti
quei problemi se Louis, che aveva affrontato dei problemi reali nella vita, non
se li faceva? Come potevo io essere così codarda, senza mai essere stata
abbandonata da nessuno, senza aver avuto nella mia vita alcun trauma di grossa
entità, mentre lui sembrava così aperto a buttarsi a capofitto in tutto?
Proprio in quel momento il mio telefono, appoggiato sulla
scrivania nera, trillò. Feci appena in tempo ad afferrarlo con un scatto
felino, prima che Chelsea se ne impossessasse a sua volta. Lessi il nuovo
messaggio che era appena arrivato:
“Domani sono impegnato tutto il giorno sul set di un
photoshoot per una rivista” scriveva Louis. Mi chiesi perché mi aveva scritto
questa cosa. Forse per avvertirmi che non ci saremmo potuti sentire? Provai un
moto di delusione e la testa mi girò per un attimo. Tutta colpa della mia
dipendenza da lui.
Il cellulare suonò di nuovo. Aprii il secondo sms mentre
Chelsea sbuffava per il fatto di non essere inclusa in quello che stava
succedendo. Mi godetti ancora per un attimo il fatto di avere questo potere su
di lei, come una piccola vendetta per il suo tiro mancino di quel pomeriggio.
Quando lessi il messaggio, però, non potei fare a meno di rivelare quello che
provavo con un sorriso felice. In quel momento, per me, quelle erano le due
parole più belle del mondo.
“Vuoi venire?”
Non sapevo cosa pensare né cosa fare: ero felice che mi
avesse invitata, ma quello per me era un salto nel vuoto e una parte di me
aveva ancora paura. Sarei stata in un ambiente che non conoscevo, attorniata da
persone che non conoscevo e da… pop star internazionali, sola. Be’, non proprio
sola. Ricordandomi un paio di occhi blu dolci e insolenti, decisi: per una
volta, mi sarei buttata a capofitto.
***
«Vieni, ti presento agli altri!» disse Louis semplicemente.
L’edificio dove si sarebbe tenuto il photoshoot da fuori era decisamente
anonimo e insospettabile. Quando avevo parcheggiato all’indirizzo che mi aveva
indicato Louis via sms avevo riguardato più volte il foglietto sgualcito sul
quale l’avevo appuntato, per essere sicura. L’avevo poi chiamato e lui era
venuto all’ingresso a prendermi, salutandomi con uno dei suoi sorrisi calorosi
che mi aveva subito fatto tremare le gambe.
Dentro, l’atmosfera era decisamente diversa. Tutto era
bianco e ampio: le pareti, i pochi mobili moderni in plastica lucida, i teloni
tirati sui muri, i diffusori di luce e addirittura qualche persona, vestita da
capo a piedi con abiti candidi. Tutti gli altri sembravano invece indossare
solo indumenti neri e in entrambi i casi tutte gli esseri umani presenti si muovevano
in modo concitato per il grande open space, portando fotografie o apparecchi
strani da una parte all’altra o parlottando tra loro o da soli, probabilmente
al cellulare tramite bluetooth.
La scena era surreale per me che non avevo mai assistito a
niente di simile. Dovevo avere la bocca spalancata per la confusione quando
Louis mi propose di portarmi a conoscere “gli altri”, cioè i suoi compagni
della band. Insomma, gli One Direction al completo.
«Cosa?» borbottai presa alla sprovvista «No, io...» non feci
in tempo a finire la frase, perché Louis mi prese per mano e mi condusse in uno
stretto corridoio deserto e poi, dopo aver bussato senza ottenere risposta, in
una stanza sulla porta della quale era affisso un foglio con la scritta “1D –
Sala relax”.
Non mi resi nemmeno conto di quello che stava succedendo
fino a quando non mi ritrovai davanti i quattro ragazzi, tutti insieme. Sbarrai
gli occhi. Chelsea non mi avrebbe parlato mai più. E avrebbe maledetto a vita
il professore che le aveva fissato un esame “che non poteva saltare pena la bocciatura”,
testuali parole, proprio quel giorno.
«Ragazzi», fece Louis cercando di attirare la loro
attenzione «Questa è Catherine» disse semplicemente, indicandomi con le mani e
facendo una specie di inchino da paggio di corte. Nonostante la situazione
leggermente tesa, non potei fare a meno di pensare a quanto adoravo il modo in
cui pronunciava il mio nome.
«Cate» lo corressi con un sorriso «Ciao» dissi poi in
direzione di tutti, alzando una mano e sventolandola come avrebbe fatto una
bambina di due anni. Ma che problemi avevo?
Il ragazzo che avevo imparato a riconoscere come Liam, che
stava giocando a un videogioco con Niall su un divano dall’aria vissuta, si
alzò e venne a porgermi la mano, tra gli insulti poco raffinati dell'altro che
era rimasto da solo a gareggiare sulla sua auto da corsa.
«Piacere, Liam» disse con un sorriso a dir poco caloroso e
una salda stretta di mano. Non aveva nemmeno considerato la possibilità che io
conoscessi già il suo nome o comunque era stato così gentile da non dare per
scontato che io sapessi chi era.
«Ciao» riuscii a mormorare. Louis probabilmente stava
pensando che fossi imbarazzata perché mi trovavo nella stessa stanza con cinque
popstar internazionali, in realtà era solo che ero davvero timida con le
persone che non conoscevo. Soprattutto, però, incontrare per la prima volta i
suoi amici, persone così importanti per lui, era una grande fonte d'ansia per
me. Evidentemente però si era accorto di qualcosa, così mi mise una mano su un
fianco e il calore della sua stretta mi tranquillizzò un poco. In quel momento
Harry, il riccio dagli occhi verdi che fino a poco prima stava in piedi vicino
alla finestra, guardando fuori con aria pensierosa, sgambettò verso di me
sistemandosi i ricci con una mano e con un sorrisone esclamò: «Ciao, io sono
Harr...»
Non riuscì però a finire, perché il sempre raffinato Niall, con qualcosa che
sembrava un mezzo panino in bocca, si avvicinò furtivamente e gli diede uno
spintone. Poi, offrendomi la sua mano al posto di quella dell’altro, sbiascicò:
«Ehuskjsdli, Cajdksjdkfjte!»
«Cosa?» feci io ridendo di gusto.
«Quante volte ti ho detto» disse Louis con tono fintamente arrabbiato da madre
severa, dandogli poi uno scappellotto «di ingoiare prima di parlare!»
«Ehe» ridacchiò Harry «"ingoiare", eheh...»
Liam scosse la testa e disse nella mia direzione: «Devi scusarli, non sono
sempre così...»
«E invece sì» mi sussurrò Louis nell'orecchio, facendomi al tempo stesso ridere
per la battuta e rabbrividire per la sua vicinanza, di cui non mi ero accorta.
«Ripeti*» esclamò poi ad alta voce con lo sguardo a
mezz’aria. Prima che potessi dire qualcosa, Liam intervenne: «Devi scusarli,
non sono sempre così…»
«Ripeti urlando» fece Louis di nuovo mentre lo guardavo
sempre più confusa e Liam ripetè sempre la stessa frase a voce più alta, quasi
gridando e scoppiando poi a ridacchiare di gusto come un bambino insieme a
Niall. Louis alzò un sopracciglio e lo indicò con una mano, come per provare un
punto: «Te l’ho detto che sono sempre così… tutti» fece poi indicando in
particolare Liam che continuava a sbellicarsi ormai da solo.
Louis si guardò un po’ intorno, poi esclamò ad alta voce: «Invece quel
maleducato che non si è nemmeno degnato di alzarsi dal divano è Mr. Zayn Malik».
Il ragazzo scuro di carnagione seduto sul divano di pelle nera, che riconobbi
come il cantantucolo preferito di Chelsea, distolse un attimo lo sguardo dal
cellulare, fece un mezzo sorriso e disse: «Ehi».
In quel frangente riuscii solo a pensare quanto Chelsea avesse ragione, era
veramente bello, bello da togliere il fiato. Sembrava quasi un effetto ottico,
ma era come se i suoi occhi brillassero di luce propria.
«Eh...» mi richiamò alla realtà Louis, fissandomi attentamente con gli occhi
blu più penetranti del solito. Già, Zayn era bello, ma Louis era davvero un’altra
cosa.
«Devi scusarlo, Catie» continuò calcando stranamente sul mio
nome «Deve avere una delle sue crisi premestruali.»
A quelle parole Zayn sembrò riscuotersi un attimo e, alzandosi finalmente ma comunque
pigramente dal divano, venne verso di noi, assumendo un’espressione vivace e facendo
una linguaccia a Louis: «'fanculo, Tomlinson».
Poi mi porse la mano con un sorriso cordiale, completamente diverso dallo
sguardo assorto o truce – non avrei saputo dirlo - di poco prima: «È un piacere»
disse, e sembrava intenderlo davvero.
***
«Mi sono piaciuti i tuoi amici» dissi sorridendo al
pavimento quando io e Louis fummo di nuovo soli in quella specie di camerino
collettivo, stavolta nella seconda stanza, quella con uno specchio enorme che occupava
quasi un’intera parete. Louis mi aveva spiegato che avevano dato loro anche dei
camerini separati, uno ciascuno, ma loro preferivano sempre dividerne uno in
cinque, facendo casino e buttando vestiti qua e là. Poco prima, i ragazzi si
erano diretti sul set, rincorrendosi e facendo a gara a chi sarebbe arrivato
prima alla sala in cui effettivamente avrebbe avuto luogo il photoshoot.
«Sì», disse lui alzando un sopracciglio «soprattutto Zayn!»
Il suo tono però non sembrava nervoso, ma piuttosto
tranquillo, addirittura divertito, come se trovasse la cosa buffa.
«Ma cosa dici?» gli risposi comunque. Non pensavo di essere
stata così palese nelle mie reazioni.
«Sei tipo rimasta incantata a guardarlo con la bocca aperta...»
fece lui ridacchiando e imitando quella che secondo lui era stata la mia faccia
da pesce lesso.
«Io non sono...» iniziai a dire, ma lui mi interruppe
subito: «Non fa niente, Catie. lo so che fa questo effetto, ho anch'io gli
occhi...» disse facendomi l’occhiolino e guardandomi con… affetto? Il suo
sguardo era così morbido che non pensai ad altro se non a sciogliermici dentro.
Mi riscossi, combattiva: «Be' in ogni caso non sembravo
interessargli molto!»
«Ah!» sbottò lui «Non posso credere che ci sia cascata anche
tu...!» ridacchiò «Quello che hai visto, il fatto di ignorarti, quell'
"ehi" scocciato alla james dean... È tutta scena. È tutta una recita
da bello e impossibile. Tutti gli hanno appioppato questa etichetta e ormai non
credo più nemmeno che lo faccia apposta, neanche se ne accorge...» spiegò
gesticolando.
«Oh», feci io, senza parole, appoggiandomi al bancone che
stava davanti allo specchio.
«Già, “oh”» continuò lui sempre sorridendo lieve «Ma non so
se hai notato il suo cambiamento quando poi ha sentito il tuo nome»
Be’, aveva senso. In effetti quando Zayn aveva capito chi ero,
“Catie”, come aveva sottolineato Louis, aveva cambiato improvvisamente umore. O
strategia.
«In effetti, qualcosa ho notato» ammisi fissando il
pavimento.
Lui sospirò, come se avesse dovuto già fare quel discorso
milioni di volte a milioni di persone: «Zayn può essere tutto quello che vuoi:
vanitoso, sì; saccente, certo; sciupafemmine… in un certo senso; quello che è sicuro
è che è un grande amico» scosse le spalle e io ancora una volta rimasi
sbalordita dal modo semplice e onesto con cui rivelava i suoi sentimenti.
Poi aggiunse, a mo’ di spiegazione: «Non ruberebbe mai la
ragazza che interessa a uno di noi».
Rimasi un momento sconcertata dal significato delle sue
parole.
«Quindi… c'è una ragazza che ti interessa...?» feci incerta,
a metà tra lo scherzo e la voglia di capirci qualcosa.
«Sì, in effetti...» fece lui abbassando gli occhi e
avvicinandosi a me. Ormai ero praticamente seduta sul bancone, su cui erano
esposti in bella mostra una quantità esagerata di prodotti per i capelli.
Quando fu vicinissimo a me, tanto che potevo sentire il calore del suo corpo, Louis
allungò un braccio dietro di me. Mi aspettavo di sentire il suo tocco caldo sulla
schiena, invece Louis riportò il braccio davanti con qualcosa in mano e con
aria trionfale esclamò: «Eccola! La cercavo da un sacco di tempo!»
Misi a fuoco e vidi che quella che mi stava sventolando sotto
il naso era una rivista colorata con Harry in copertina. Poi, Louis si
allontanò e mi sorrise malefico, facendomi pure l'occhiolino. Mi allungai verso
di lui e gli diedi una leggera pacca su un braccio: «Stupido idiota...»
«Ehi ehi ehi» fece, cambiando tono e diventando
improvvisamente serio «Dottor Stupido Idiota. Alla laurea ci tengo» aggiunse
scoppiando poi a ridere sguaiato.
«Ah, Tomlinson» mormorai io in un sospiro, scuotendo la
testa, per poi scoppiare a ridere insieme a lui.
***
Rimasi a guardare tutto il photoshoot, che durò qualche ora.
Di tanto in tanto Louis mi chiedeva da lontano se andasse tutto bene e io
annuivo contenta. Era effettivamente un piacere guardarli. Louis saltava da
tutte le parti, facendo disperare truccatori e fotografi; faceva piccoli
scherzi ai suoi compagni e aveva addirittura fatto ridere Niall, che si agitava
visibilmente quando doveva stare fermo in una posa per più di due minuti,
durante la parte del servizio dove dovevano essere fotografati uno a uno. Erano
piccole cose che magari non tutti notavano, ma che mi avevano fatto capire
quanto Louis fosse attento, premuroso, generoso e leale, nonostante l'apparenza
da eterno Peter Pan.
Poi, vedendo Louis posare per le sue fotografie in
solitaria, mi ricordai della prima volta in cui avevo visto una sua immagine,
su Internet. Mi ricordai dell’impressione che mi aveva lasciato, del suo
sguardo che mi era rimasto così impresso, quasi come se in fondo sapessi che FG
era lui. Ora potevo affermare con sicurezza che i suoi occhi dal vivo erano
ancora meglio, o peggio, dal mio punto di vista. Avevano quella stessa vitalità,
quell'elettricità che si notava anche in fotografia… moltiplicate per mille. Tutto
questo, sommato alla sua voce, roca e al tempo stesso acuta, che mi faceva
venire voglia di chiedergli di cantare qualcosa ogni volta che apriva bocca. E
poi il suo accento, che diventava più marcato quando era agitato per qualcosa;
il suo sottolineare alcune parole con l'intonazione; il suo saltare qualche
consonante qua e là. Osservandolo da lontano dovetti ammettere con me stessa
che tutto di lui mi piaceva e che non potevo proprio farci niente. Mi piaceva
persino quella sua aria quasi saccente, con gli occhi attenti e accesi, come se
sapesse qualcosa che nessun altro sa. Come un folletto che conoscesse il
segreto del bosco incantato.
***
Finito il servizio, Louis corse verso di me, un sorriso
stampato sul viso stanco: «Vieni in camerino...»
Mi prese per mano di nuovo e mi condusse nella stanza di
poco prima, cambiandosi poi velocemente dietro un separé. Scacciai
immediatamente il pensiero poco platonico che lui fosse lì a pochi passi da me,
praticamente nudo, dietro uno stupido strato di stoffa.
Fui sollevata quando lo vidi uscire, completamente vestito.
«Cosa vuoi fare, ora?» chiese.
«Non sei stanco?» gli domandai di rimando, leggermente
preoccupata.
«Un po'...» ammise con un sorriso sincero, senza vergogna.
Dio, quanto mi piaceva.
«Potresti accompagnarmi a casa...» dissi allora con fare
allusivo. Oh mio dio, cosa stavo facendo? Da dove mi era uscita quella frase?
Forse era stato il suo modo trasparente di ammettere che era stanco, forse i
suoi occhi sempre azzurrissimi ma meno sfrontati del solito...
Stavo per sdrammatizzare quella mia uscita, aggiungendo «Certo,
sempre se non sei qui con quel simpatico fuoristrada giallo…», ma lui mi
precedette.
«Non so se mi va...» rispose con un tono superbo, al tempo
stesso scherzoso e malizioso, sorridendo e facendo crollare tutti i miei
castelli mentali. Be', non tutti: lo adoravo anche così.
«Uhm» feci spavalda, voltandomi e andando verso la porta «allora
forse potrei chiedere a Zayn...»
Sorrisi perfida, ma dentro di me speravo che non se la
prendesse.
«Vieni qui, stupida» disse con una dolcezza disarmante, nonostante
quell’appellativo. Mi raggiunse con un passo e, prendendomi per una mano, mi
fece girare e mi tirò a sé. I nostri corpi si scontrarono e combaciarono in
modo perfetto. Per qualche secondo non facemmo altro che fissarci, gli occhi di
entrambi sorridenti e lo stomaco sottosopra. Poi lui si chinò su di me e mi
baciò dolcemente.
* Il gioco del “repeat” è una cosa che fanno Louis e Liam (e
qualche volta anche gli altri) ogni tanto durante le interviste, per cui quando
uno lo dice l’altro deve ripetere l’ultima frase che ha pronunciato. Il “repeat”
può anche diventare più complicato quando si aggiungono delle condizioni, tipo “repeat
yelling” e cose così. È una cosa per cui, da idioti quali sono, ridono
tantissimo.
N.d.Summer
Dunque. Iniziamo dalle cose importanti. Intanto abbiamo superato le 100
ricordate/seguite/preferite, il che mi dà una gioia immensa!!! Non potete
immaginare cosa voglia dire per me se una mia storia piace almeno un po’
(perché so cosa vuol dire per me quando una storia piace a me). Quindi. Vi ho
promesso che vi avrei preparato una sorpresina e in realtà la sorpresina
potrebbe essere anche questo capitolo, visto che, inZomma… direi che QUALCOSA
finalmente succede!
Ma visto che quello era già previsto, volevo donarvi… *rullo di tamburi* una
mia traduzione di una fic (Ziam con accenni di Larry) che ho ADORATO
letteralmente settimana scorsa e che ho deciso di tradurre perché è veramente
TROPPO PERFETTA. TUTTAVIA è lunga 8000 parole, perciò è ancora in lavorazione e
ho preferito finire il capitolo di NS prima. [Se non vi piacciono le slash (o
le Ziam… no questo mi rifiuto di considerarlo :P), ehm, mi spiaceeee! Se invece
vi piacciono… aaaah aspettate e vedrete!] Magari sarà pronta per quando
arriveremo alle 100 recensioni, CHISSÀ! ;) HINT HINT
Con questo passo e chiudo e vi ringrazio per le
recensioni della volta scorsa e vado a dormire che sono stancaaaaaa
Quella mattina mi svegliai con un sorriso enorme stampato
sul viso, che era lì ancora prima che il mio cervello ricordasse gli eventi
della giornata precedente. Dopo il photoshoot, quella sera Louis era davvero
troppo stanco per fare qualcosa si più che fissare uno schermo. Perciò, eravamo
andati al cinema a guardare un film, accompagnati dagli altri quattro che si
erano autoinvitati dopo che Niall ci aveva sentiti per caso discutere dei
nostri piani. Si erano messi qualche fila dietro di noi e, mentre Louis mi
teneva la mano e sbadigliava di tanto in tanto cercando di seguire il film con
gli occhi pieni di sonno che mi facevano una tenerezza inaudita, ridacchiavano
e a volte lanciavano urletti ma anche popcorn. Sentivo Zayn sbuffare e Niall
ridere di gusto, mentre Liam di tanto in tanto li zittiva con uno «Ssssh» poco
convinto. Ogni volta Louis mi stringeva più forte la mano e mi sussurrava
qualcosa all'orecchio, gli occhi brillanti divertiti da quegli idioti dei suoi
amici. Non avevo seguito mezza battuta del film che avevamo visto, impegnata
com'ero a sorridere tra me e me, fissando di sottecchi nella penombra il
profilo di Louis illuminato dalla luce azzurrina dello schermo e chiedendomi
come avessi fatto a cacciarmi in quella situazione, i capelli pieni di pop corn
e la mia mano in quella di Louis Tomlinson.
Solo una volta usciti, mi ero chiesta se i ragazzi avessero
scelto appositamente un film straniero ed effettivamente poco conosciuto per
evitare di essere riconosciuti e "molestati", visto che in effetti la
sala era quasi vuota e non c'erano stati incidenti. Louis poi mi aveva
accompagnata a casa, o meglio, mi aveva fatta accompagnare da un'autista mentre
lui sedeva con me sul sedile posteriore, e mi aveva posato solo un leggero
bacio sulle labbra prima che scendessi dalla macchina, sorridendo con gli occhi
che erano diventati due fessure, un po’ per la stanchezza e un po’ per la
felicità.
Dopo essermi svegliata, decisi che quella mattina non era il
caso di andare a lezione - non sarei comunque riuscita a seguire una parola -
perciò rimasi per qualche minuto a letto, rotolandomi tra le coperte ridacchiando.
Non riuscivo a stare ferma, era come se avessi dovuto sfogare la mia felicità
in qualche modo. Mi feci una doccia, mi vestii e mi diressi fuori, sentendomi
bene con me stessa come non mi succedeva da tempo. Notai qualche sguardo strano
da parte di qualche studente che mi passava di fianco ma imputai la cosa al
fatto che stessi ancora sorridendo da sola come un'idiota.
Fu passando davanti all'edicola di fronte al chiosco del
caffè che lo vidi.
"Esclusiva: Louis Tomlinson non è più single?"
Il mio cuore smise di battere per un attimo. Con tutti i
colpi che stavo ricevendo in quei giorni non sarebbe durato ancora a lungo.
Afferrai la rivista sulla quale avevo visto il titolo allarmante scritto a
caratteri cubitali e in fretta pagai l'edicolante. Louis non era più single?
Cosa diavolo voleva dire? Con chi si era messo nell'arco di quelle poche ore in
cui non ci eravamo visti? Mi gettai a peso morto su una panchina e iniziai a
sfogliare il giornale con le dita tremanti. Per poco non urlai quando trovai
l'articolo. C'era una foto che occupava tutta la pagina, leggermente buia e
sgranata. Però non c'erano dubbi. Mano nella mano con Louis all'uscita da un
cinema, c'era una ragazza assolutamente ordinaria, lunghi capelli castani un
po’ spettinati e sorriso timido appena accennato. Insomma, in quella foto c’ero
io.
Deglutii forte senza sapere se essere sollevata o
spaventata: mi sentivo solo confusa. Lessi velocemente l'articolo e scoprii che
per fortuna per il momento ero ancora solo una "ragazza misteriosa".
Mi morsi un labbro: cavolo, le riviste scandalistiche erano davvero veloci a
scovare e a stampare su carta notizie su avvenimenti che nemmeno io avevo
completamente digerito. Mi portai una mano alla bocca: se la stampa era stata
veloce, non osavo immaginare cosa stesse succedendo su Internet. Estrassi il
telefono dalla tasca e composi un numero.
«Pronto?» rispose al primo squillo una voce fin troppo
sveglia. Non era un buon segno.
«Chels...»
«Lo so. Non hai guardato Internet vero?» mi chiese
leggermente allarmata.
«No, perch...?» tentai di chiedere, ma lei mi interruppe di
nuovo.
"Arrivo." disse semplicemente, chiudendo la
comunicazione.
"Oh mio dio" dissi semplicemente facendo scorrere i risultati della
ricerca che Charlie aveva avviato sul suo portatile. Quello di Chelsea era
esploso pochi giorni prima («tumblr è il male» aveva semplicemente esclamato
lei, a mo' di giustificazione) e il mio era "troppo lento" a detta
della mia migliore amica. Aveva quindi convocato nella mia camera il povero
Charlie, che quando era stato chiamato stava ancora dormendo ma che si era
precipitato subito – con una maglietta scolorita dei Metallica e i pantaloni
del pigiama ancora addosso - pur di farle un favore. Se non fosse stato che
Charlie era l’essere più dolce e gentile sulla faccia della terra, avrei
pensato che per quei due non ci sarebbe mai stato un futuro, per quanto erano
diversi. Avrei pensato questo se avessi avuto in quel momento la capacità di
pensare, invece ero nel panico più semplice e totale.
Se l'articolo sulla rivista mi aveva spaventata, non ero
minimamente preparata a quello che avevamo trovato su Internet semplicemente
digitando "Louis Tomlinson single". Chelsea mi aveva messa in
guardia, ma io, testarda, avevo voluto vedere con i miei occhi e qui era
entrato in gioco Charlie. In pochi minuti avevamo constatato che la fotografia
che avevo visto sulla rivista aveva già fatto il giro del pianeta e gli
articoli delle testate online sulla vicenda si moltiplicavano a vista d'occhio
con il passare dei minuti. Malauguratamente, cliccai un link che portava a
Twitter. Tra centinaia di utenti che si chiedevano semplicemente chi fossi
spiccavano quelli che si chiedevano invece chi fosse "quella pu****a"
che teneva per mano Louis e che mi auguravano di morire per questo. Leggevo
sempre più scioccata pagine e pagine di insulti gratuiti a tutto quello che mi
riguardava, dal mio modo di vestire alla mia postura, il tutto tratto da una
semplice fotografia sgranata. Più leggevo più sbarravo gli occhi, rischiando
quasi che mi uscissero dalle orbite.
Fu Charlie a strapparmi da quella tortura, chiudendo di
colpo il coperchio del portatile. "Ora basta" disse in tono
autorevole e solo in quel momento mi accorsi di avere gli occhi umidi.
Razionalmente, la cosa non avrebbe dovuto toccarmi: si trattava solo di persone
che non mi conoscevano che sparavano a zero su di me per divertimento o perché
sembrava loro giusto farlo. D'altra parte però era difficile non prenderla sul
personale quando gli insulti erano rivolti proprio a me e a tutto ciò che mi
riguardava. Chelsea, dietro di me, era a bocca aperta e non sapeva cosa dire.
La sentii mormorare «Be’, non è stata una buona idea» con aria sconsolata. «Sai
vero che sarebbe lo stesso con chiunque altro?» iniziò Charlie in tono calmo e
con voce paziente. Mi inchiodò con i suoi occhi chiari: «È così che funziona
Internet a volte, tu non c'entri, non sei la prima e non sarai l'ultima a
subire questo trattamento. I fan sfegatati poi possono essere davvero una
brutta cosa» sorrise infine, posando una mano sulla mia spalla nel tentativo di
rassicurarmi. Chelsea lo fissò per un attimo stupita, poi si riscosse e si
rivolse a me: «Sì, Cate, sarebbe stato lo stesso se al tuo posto ci fosse stato
chiunque altro». Deglutii forte fissando il portatile chiuso.
«No, questo lo so» dissi alzandomi dalla sedia barcollando leggermente e
facendo un sorriso poco convincente. Avevo solo un pensiero fisso nella testa.
«Devo parlare con Louis» dissi guardandoli con aria di scuse e uscendo dalla
mia stanza e dall'appartamento, ignorando Sasha che era sdraiata sul divano
intenta a parlare al telefono.
«Mi spiace, Catie» mi disse la voce calda di Louis al
telefono. Era tutto quello che volevo sentirmi dire, ma ancora non bastava a
farmi passare quello strano senso di malessere che mi aveva provocato quella
vicenda. Continuai a camminare avanti e indietro nel tentativo di calmarmi. Sospirò
«Mi spiace davvero, non dovrebbero prendersela con te. Ora scrivo un tweet e…»
iniziò a dire con voce un po’ più animata, quasi arrabbiata, ma lo fermai
subito: «No, lascia stare. Non faresti altro che peggiorare la situazione». Lo
sentii sospirare di nuovo e immaginai che si stesse mordendo le labbra come per
trattenersi dal fare qualcosa di stupido. Mi diedi della stupida egoista perché
l’ultima cosa che volevo era dargli un motivo di preoccupazione, ma il solo
sentire la sua voce in effetti mi aveva fatto stare meglio immediatamente. Per
un attimo immaginai l’effetto che mi avrebbe fatto averlo vicino, i suoi occhi
blu nei miei. Probabilmente mi sarei, come al solito, dimenticata persino il
mio nome.
«Vuoi che venga lì?» disse lui quasi leggendomi nel
pensiero. Mi bloccai fissandomi le scarpe. «Avrei un’intervista tra una decina
di minuti» continuò Louis «e poi dovrei andare in studio fino a stasera, ma
potrei…»
«No» lo interruppi con un sorriso. Era così premuroso che mi
faceva male al cuore: «Non ti preoccupare, sul serio, passerà, starò bene»
dissi sincera.
«È solo che vorrei poter…» aggiunse con voce impotente,
lasciando la frase a metà. Di nuovo, sorrisi. Era così da lui fare qualcosa di
impulsivo e stupido per proteggere una persona a cui teneva. Gli occhi mi si
illuminarono di gioia: era la dimostrazione di quanto tenesse a me?
«Louis, davvero, non fare niente di stupido» lo ammonii. Lui
rise, finalmente un po’ più sereno: «Quindi è questo quello che pensi di me?»
Risi anch’io: «Be’, io… ecco, insomma…»
«Ah, bene!» quasi urlò, fintamente offeso «Comunque sappi
che hai una cattiva influenza su di me…»
Prima ancora che potessi chiedere qualcosa, una voce di
sottofondo, bassa e roca, esclamò: «Calmi i suoi istinti omicidi, Catie!»
«Eh, per una volta ha ragione Hazza» disse Louis quasi
rassegnato «Succede, una volta ogni cinque anni».
«Allora non può essere successo più di due volte» replicai,
prendendo in giro Harry per la sua giovane età. È che dimostrava ancora meno
anni di quelli che effettivamente aveva, era un bersaglio fin troppo facile.
«Non ho dieci anni!» lo sentii brontolare dall’altro capo
del telefono.
«Disse lui mentre faceva capriole all’indietro sul letto del
suo migliore amico» recitò Louis e me lo immaginai che guardava le acrobazie di
Harry con un sopracciglio alzato. Scoppiai a ridere di gusto.
«Non mi piace questa Catie, sai Lou?» sentii Harry aggiungere
con un tono di voce più alto, come se si fosse avvicinato al cellulare
appositamente per farsi sentire.
«A me invece sì» sentii mormorare Louis con quella voce per
cui era palese che stesse sorridendo «tanto».
***
Il resto della giornata passò in un baleno. Chelsea e
Charlie erano rimasti praticamente tutto il tempo con me, tentando di distrarmi
quando passavamo per caso davanti all’edicola del campus esclamando cose
assurde (come il «Oh, guarda, un ufo! No, aspetta… era un piccione» di Charlie
o il «Sapevi che Platone è il padre del… plato…ni…cesimo?» di Chelsea, detto
prendendomi sottobraccio quando un gruppetto di ragazze aveva iniziato a
indicarmi fuori da un’aula). Soprattutto però, Louis ogni tanto mi mandava
messaggi minatori, per assicurarsi che stessi bene a modo suo.
“Smettila di leggere quella rivista”
“So che lo stai facendo, mettila giù”
“E non accendere il computer”
“Sul serio, è la prima e l’ultima volta che te lo dirò:
studia e non ti distrarre”
“Oh, e guarda cos’ha scritto questa ragazza”
Di seguito mi aveva allegato uno screenshot fatto dal suo
cellulare di un post su Twitter. Questa ragazza, MissToms, scriveva
semplicemente: “Non mi interessa chi sia lei. L’importante è che lo renda
felice. Ed è ovvio che sia così :)”
Mi ero allora fermata ad osservare meglio la fotografia di
me e Louis che aveva fatto il giro del pianeta. Fino a quel momento avevo colto
solo l’idea generale, ovvero che eravamo io e Louis, immortalati all’uscita del
cinema. Questo era quello che avevano notato tutti. La ragazza del post invece
era andata un po’ più in là, cosa che nemmeno io ero riuscita a fare.
La fotografia era buia e sgranata, ma ora notai un minuscolo
particolare: il sorriso di Louis. Un sorriso così felice, caloroso, sincero e
accecante anche se visibilmente stanco e provato, che era dura ignorare. Un
sorriso rivolto a me che, chinata com’ero a fissare i miei piedi, al momento
dello scatto non l’avevo nemmeno notato. Un sorriso che voleva dire mille cose,
che era milioni di volte più importante di qualunque cosa chiunque potesse dire
su di me, su di lui, su quella foto e su di noi.
“Grazie” scrissi a Louis, e con quel ringraziamento avrei
voluto dire troppe cose che invece mi si erano fermate sulla punta delle dita.
***
Quella sera, nemmeno la breve chiamata della buonanotte di
Louis era riuscita a farmi prendere sonno. Era mezzanotte, era ancora in studio
con i ragazzi e ci sarebbe rimasto ancora per un po’, aveva detto. Mi rigirai
per un po’ nel mio letto; ascoltai della musica; mangiai troppi biscotti; lessi
qualche pezzo del libro di linguistica che di solito aveva un effetto
soporifero dopo poche righe. Niente. Rischiavo anche di imparare qualcosa su
morfemi e fonemi. Verso le 3 decisi quindi di alzarmi definitivamente e
prepararmi una tisana o una tazza di tè.
Arrivata nel salotto in tenuta da notte e stropicciandomi
gli occhi, notai che anche Sasha, la mia coinquilina, era in piedi, i lunghi
capelli biondi sciolti sulle spalle, perfettamente ordinati come se la notte
fosse solita dormire in piedi, la vestaglia rosa e le pantofole pelose abbinate
ai piedi. Stava alla finestra e guardava giù; quando mi sentì entrare nella
stanza stranamente mi fece cenno di avvicinarmi e mormorò: «Porca puttana, qui
sotto c’è L... questo cantante famoso... Scommetto che tu non sai neanche chi
è, Catherine» disse con aria sprezzante senza staccare gli occhi dalla finestra
«Passi tutto il tuo tempo in quella stupida biblioteca...» aggiunse con un
gesto della mano come per scacciare una mosca – o me - e poi si ammutolì, come
se avesse finito di parlare. Mandai gli occhi al cielo: «Il punto, Sasha?» le
chiesi con una punta di irritazione.
Lei si riscosse, senza però spostare lo sguardo di un
millimetro: «Oh, sì. È assurdo. C'è quel cantante che dicevo, Louis Tomlinson,
qui sotto che...»
Il terreno mi mancò per un attimo sotto i piedi e per un
attimo pensai di stare sognando. Louis? Sasha aveva fatto proprio il nome (e
cognome) di Louis? Cosa voleva dire “qui sotto”? Appena mi ripresi cercai di
non strabuzzare troppo gli occhi e mi affrettai ad avvicinarmi alla finestra e
a guardare giù. Nel piccolo triangolo di prato appena sotto la finestra del
nostro appartamento, c'era un ragazzo seduto a... un pianoforte. Per quanto mi
dispiacesse ammetterlo, Sasha aveva ragione. Era assurdo. Era Louis. Con un
pianoforte. A coda. Stava suonando e cantando una canzone, le dita sottili che
si muovevano agili sulla tastiera, lo sguardo azzurro intento e concentrato. La
luna si specchiava sulla superfice lucida e scura del pianoforte, conferendo
alla scena una bellezza quasi surreale. Sorrisi, rapita. Non pensavo che Louis
potesse sembrare ancora più angelico del solito.
«Chissà cosa cazzo ci fa qui. E chissà chi è la stronza
fortunata che se lo fa» esclamò Sasha risvegliandomi bruscamente dai miei
pensieri aulici e ricordandomi vagamente perché non eravamo amiche. Avrei
voluto dirle qualcosa, rivelarmi a lei come "la stronza che si fa Louis
Tomlinson" e tanto piacere, ma chissà come mi trattenni. Senza dire
niente, ma con un sorrisino vendicativo che mi affiorava sulle labbra, afferrai
il giubbino di jeans che avevo lasciato appeso all'ingresso e me lo misi in
fretta sulle spalle, aprendo la porta e uscendo dall'appartamento. Feci le
scale due gradini alla volta e solo quando fui fuori rallentai, dirigendomi
lentamente verso il prato dove Louis continuava a suonare, timorosa di rompere
quell'incanto. Era incredibile vedere lui, che di solito era sempre carico di
quell’energia solare che lo faceva saltellare da una parte all’altra incapace
di stare fermo, seduto così tranquillo al pianoforte, come se la musica fosse
quello che lo teneva ancorato con i piedi a terra, che lo calmava, che lo
faceva sentire al sicuro, in un posto dove poteva essere sé stesso senza
esagerare, senza preoccuparsi degli altri costantemente. C’era solo lui, il suo
pianoforte e la sua musica. Man mano che mi avvicinavo lentamente a passi
felpati quasi come per non disturbare, riconobbi le note della canzone che
stava suonando.
Don’t want your picture on my cell phone
I want you here with me
Don’t need those memories in my head, no
I want you here with me
Era una canzone che adoravo letteralmente. E ora l’avrei adorata ancora di più. La voce di Louis era
perfettamente intonata, roca nei punti giusti, emozionante, perfetta. Seguiva il
flusso delle note senza sforzo, in modo completamente naturale. Mi si stringeva
il cuore a guardarlo così e per poco gli occhi non mi si inumidirono. Quando
fui abbastanza vicina, alzò gli occhi verso di me e rimasi per un attimo
interdetta, bloccandomi sul posto. Tutto il suo calore, quello che normalmente
esprimeva toccando gli altri costantemente, sorridendo in quel suo modo solare,
facendo scherzi e battute e molto altro, era in quel momento concentrato nei
suoi occhi, che brillavano di un azzurro intenso, come di luce propria,
contrastando con il blu scuro del cielo tutt’intorno a noi.
«Buonasera, splendore» disse semplicemente, sorridendo
tranquillamente come se quella fosse la cosa più normale del mondo. Suonare un
pianoforte venuto chissà da dove nel bel mezzo di un campus universitario alle
due di notte. Oltretutto, be’, se mi trovava uno splendore con addosso i
pantaloni grigi della tuta e la maglia larga con sopra un disegno di Snoopy che
usavo per dormire, allora era vero, doveva essere proprio...
«Sei pazzo» gli dissi con un sorriso felice, sedendomi
accanto a lui, con il mio corpo che bramava il calore del suo.
«Ma come hai fatto a…» iniziai a chiedere, lasciando che la
domanda mi morisse in gola. Era tutto talmente assurdo che non sapevo neanche
cosa dire.
«Niall» fece lui scrollando le spalle «e un pick-up»
aggiunse come se quelle due cose insieme bastassero a spiegare tutto. Rimasi a
bocca aperta a fissarlo per qualche secondo, indecisa se essere più divertita o
spaventata.
«Non riuscivo a dormire» disse poi. Appoggiai la mia testa
sulla su spalla e mi lasciai cullare dalla musica prodotta dalle sue dita che
mi muovevano leggere sulla tastiera.
«E poi volevo dirti queste due cose...» disse serio
guardandomi e smettendo di suonare «Che non mi basta avere una tua fotografia,
non mi bastano dei ricordi. Noi non siamo una fotografia. Voglio te, voglio che
sia reale».
Smisi per un attimo di respirare.
«È che» iniziai, tentando di rovinare tutto come al solito e
di trovare qualcosa che non andasse in quel momento perfetto «non c'è un attimo
di pace. Avevamo appena superato tutti quei problemi sulle tue bugie...» fece
segno delle virgolette in aria con le dita e io annuii accondiscendente «e oggi
questo... Vorrei solo un attimo di pace...» dissi alzando un poco le spalle.
Lui mi circondò le spalle con un braccio, tirandomi a sé: «Be'» fece indicando
con la mano libera tutto quello che c'era intorno a noi. Il campus era deserto
e una brezza primaverile scuoteva lievemente le cime degli alberi, rischiarati
dai lampioni e dalla luna piena.
«Eccolo» disse lui fissando il cielo con gli occhi che
brillavano «un attimo di pace.» concluse portando lo sguardo su di me e
sorridendo in un modo che avrebbe fatto crollare qualsiasi muro. Mi avvicinai a lui e gli posai un bacio
leggero sulle labbra, sentendo
qualcosa sgretolarsi dentro di me.
***
A Louis dopo qualche minuto si chiudevano gli occhi come a
un bambino che avesse saltato il suo pisolino quotidiano, quindi gli proposi timidamente
di salire in camera mia, ma non avevo nemmeno pensato alla possibilità che
potesse passare la notte nel mio appartamento. Invece, naturalmente e
spontaneamente, fu proprio quello che successe. Con lui niente era forzato,
niente era fuori luogo e per me, che mi sentivo sempre un po’ fuori luogo, sentirmi
così di riflesso era una ventata d’aria fresca.
Fu una notte in un letto troppo stretto per due persone, che
però bastava lo stesso. Una notte di bisbigli nel buio, di risatine soffocate e
di parole, tante parole, sussurrate a fior di labbra e sbiascicate per la
stanchezza o, con un piccolo sforzo in più, pronunciate chiaramente con occhi
attenti quando ne valeva davvero la pena, per assicurarsi che venissero capite.
Una notte di mani che accarezzano capelli, di dita che sfiorano pelle che si
scopre accidentalmente, di piedi e ginocchia che si toccano appena, di baci che
non si spingono troppo in là e di occhi così vicini che la vista si confonde.
Louis si addormentò esausto dopo qualche ora con un braccio
a cingermi le spalle e una mano ancora posata leggera sulla mia guancia, il
tocco caldo e morbido dei suoi polpastrelli sulla mia pelle. Dopo aver constatato
con un sorriso che somigliava ancora di più a un folletto quando dormiva, mi
decisi ad abbandonarmi anche io al sonno tra le sue braccia, non prima di aver
tentato di allungarmi a prendere il cellulare sul comodino per scattargli una
fotografia, senza successo. Non valeva la pena di allontanarsi da lui, per
nessun motivo.
Il mattino successivo, quando mi svegliai, Louis non c’era
più. Provai immediatamente una fitta allo stomaco – mancanza, desiderio e
ancora mancanza – ma proprio in quel momento sentii Shasha lanciare un urlo al
di là della porta della mia stanza. A piedi nudi, mi precipitai a vedere cosa
stesse succedendo e la scena che mi si presentò davanti agli occhi fu davvero
troppo per il mio cervello appena sveglio.
Louis era in piedi dietro il bancone della cucina con dei
ridicoli boxer a pois e con la mia t-shirt che gli avevo prestato per dormire
con la scritta “I’m not crazy, my mother had me tested” e stava apparentemente
preparando la colazione, sorridendo e canticchiando a bassa voce. Il suo essere
così solare, attivo e pimpante contrastava con l’immobilità totale di Sasha,
che stava in piedi davanti alla porta della cucina e non faceva altro che
fissarlo a bocca aperta. Evidentemente la sera prima non mi aveva vista parlare
con lui.
«Ehilà!» disse Louis rivolto alla mia coinquilina, girando
in una padella qualcosa che poteva essere bacon «Ho finito il succo d'arancia,
spero non sia un problema...»
Sasha non dava segni di vita, perciò, dopo aver ridacchiato
senza farmi vedere, la sorpassai e ritornai seria all’improvviso: «Sì che è un
problema, signor Tomignon...»
Vidi con la coda dell’occhio Sasha deglutire e correggermi
con un filo di voce: «Tomlinson...»
«Be’», continuai «se lei pensa di venire qui e poter fare
colazione a sbafo in un appartamento qualsiasi e di poter finire il nostro
succo d'arancia impunemente solo perché è un famoso cantante del gruppo degli
One Perfection…»
Di nuovo Sasha mi corresse con la voce quasi spezzata,
sempre fissando Louis che nel frattempo aveva cominciato a sorseggiare caffè
dalla mia tazza preferita: «Direction...»
Rischiando di scoppiare a ridere guardai Louis con tutto il
finto astio che potevo ed esclamai, puntandogli un dito conto: «Dimension o no,
lei si sbaglia!»
Vidi Louis cercare di non sputare il caffè e deglutire a
fatica: «Bene!» esclamò dopo qualche secondo di lotta interiore «Visto che non
sono gradito in questa casa, me ne vado!» disse in tono melodrammatico,
buttando indietro la testa. Sentii Sasha mormorare una specie di lamento
disperato e la vidi allungare appena una mano verso di lui, ma continuò a non
muoversi di un millimetro. Louis mi fece l’occhiolino senza farsi vedere e uscì
dalla porta indignato, sbattendola dietro di sé. Dopo qualche secondo
riapparve, solo per urlare: «Ma ritornerò!». Diede un morso in modo drammatico
a una fetta di toast tirata fuori da chissà dove e si chiuse di nuovo la porta
alle spalle.
Aspettai qualche secondo, ridendo sotto i baffi; poi non
resistetti più e mi fiondai dietro di lui, trovandolo appena fuori dalla porta,
tranquillamente appoggiato mezzo nudo al muro del corridoio: «Buongiorno,
splendore» disse sorridendomi e dopo avermi dato un bacio sulle labbra si
guardò intorno lievemente imbarazzato ed esclamò: «Dici che riusciamo a
recuperare i miei pantaloni o devo andare in giro per il campus con te… così?»
e si indicò le gambe nude.
Ridacchiai, pensando che, be’, in fondo non sarebbe stato
così male. Soprattutto la prima parte: con me.
N.d.Summer
Madòòòò chiedo immensamente perdono. È che ho un lavoro
ora (e per ora)(pffft w l’estate) e non ho praticamente più tempo per scrivere
(se non in macchina in coda quando vado al suddetto lavoro, vedi Pieces of you
and me e how to make
me fall in love with you che ho scritto in 5 minuti netti), sigh,
povera me. Mi avete commossa con i commenti allo scorso capitolo, quindi mi
sono impegnata e ho postato! Spero che vi piaccia questo… Ho fatto fatica a
scriverlo perché ultimamente sto vedendo cosa combina il vero Louis e… mi trovo
sempre a pensare che il Louis reale spacca i c*** al mio! Perciò mi deprimo un
po’, perché vorrei renderlo com’è veramente :P Be’, come sembra che sia!
C’è una citazione di un telefilm da qualche parte
(ehe), vediamo se la beccate :P
L’ispirazione comunque per la scena del pianoforte mi è
venuta da tre o quattro cose:
QUATTRO: il fatto che sono andata al concerto dei The
Killers e WOW ce l’ho ancora negli occhi, nelle orecchie e nel <3.
Va be’, la smetto con lo spam.
Più: ho promesso che avrei tradotto una Ziam e vi
annuncio che, con immensa fatica, ho fatto anche quello!! La trovate QUI. Mi
raccomando se la leggete e vi piace e vi va recensite pure, perché l’autrice è
francese e qualche parola di italiano la sa, quindi le farebbe strapiacere
(credo. Immagino.).