Numero sbagliato

di SummerRestlessness
(/viewuser.php?uid=94316)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Whazza ***
Capitolo 2: *** 2. Aftermaths ***
Capitolo 3: *** 3. Gullible ***
Capitolo 4: *** 4. William ***
Capitolo 5: *** 5. Trovata ***
Capitolo 6: *** 6. Appuntamento ***
Capitolo 7: *** 7. Carina ***
Capitolo 8: *** 8. Lost ***
Capitolo 9: *** 9. Rescued ***
Capitolo 10: *** 10. Pictures ***
Capitolo 11: *** 11. Photographs ***



Capitolo 1
*** 1. Whazza ***


1. Whazza



Mi svegliai di soprassalto, tirando a me le coperte come se potessero difendermi da qualsiasi minaccia ci fosse davanti a me, nella mia camera da letto, in quel momento. Un ronzio insistente mi fece pensare per una frazione di secondo a uno sciame di api impazzite, poi a un serial killer che fosse entrato in scooter nella mia stanza. Uno scooter? Cercai di schiarirmi la mente annebbiata dal sonno e mi guardai intorno nel buio senza smettere di stingere il lenzuolo in cerca di una spiegazione più plausibile a quel rumore molesto. L’occhio mi cadde sull’orologio che segnava le 4:26 del mattino, prima di individuare la causa del mio risveglio poco tranquillo: il mio cellulare, posato sul comodino, aveva appena smesso di vibrare a intermittenza, segnalando una chiamata e la luce azzurrognola dello schermo era ancora accesa.

«Chi cazz…?» imprecai fra i denti, prendendolo con una mano. Chi avrebbe potuto chiamarmi a quell’ora di notte tra la domenica e il lunedì? Nemmeno Chelsea, la mia migliore amica festaiola, doveva essere sveglia a quell’ora.

Lessi il numero sul display, constatando che non ce l’avevo in rubrica. Sgranai gli occhi quando vidi che mi aveva già chiamato 6 volte e che c’erano 9 messaggi non letti. Iniziai a leggerli uno a uno, sempre più sgomenta.



“W-hazzaaaaaa” diceva semplicemente il primo. Non avevo idea di cosa volesse dire. "Hazzaaaa dove sei?" recitava il secondo. Era forse un modo di dire o di salutarsi? Mah. I messaggi continuavano sulla stessa linea di… pensiero, se così si poteva dire.

“Hazza?!?!?”

“Rispondi, cretino xD”

“Dove cazzo seiiii U.U”

“E perchè non rispondi!”

“Hazza sul serio”

“Harry?!?!?!?!??!??”

“Harry non fare lo scemo che sono preoccupato”

Dopo aver letto quell’ultimo messaggio rimasi un po’ interdetta a rimuginare. Mi specchiai nel riflesso del cellulare: due occhi castani e gonfi di sonno mi fissavano sotto una matassa di capelli scuri arruffati. Avevo proprio bisogno di altre 3 ore di sonno, almeno, e per qualche secondo contemplai la possibilità di spegnere il cellulare e rimettermi a dormire. Poi però rilessi l’ultimo messaggio, arrivato pochi minuti prima e, messaggi senza senso a parte, pensai che dall’altro lato del mio telefono c’era una persona in pena, preoccupata e in ansia per un’altra persona di cui a quanto pareva aveva il numero sbagliato. Con un sospiro perciò composi rapidamente un messaggio di risposta che facesse capire a chi scriveva che aveva sbagliato persona. Non riuscii a trattenermi però dall’essere un briciolo ironica.

"1. Cos'è un Hazza?
2. Nessuno dovrebbe chiamare i propri figli "Hazza" per nessun motivo al mondo
3. Evidentemente non sono Hazza"

Premetti il tasto di invio e misi giù il cellulare dov’era prima, riavvolgendomi nelle coperte e appoggiando la testa sul cuscino, dando le spalle al comodino. Passò circa un minuto e sentii il telefono vibrare contro il legno. Chiusi gli occhi più forte, come se quel gesto servisse a scacciare la curiosità. In fondo cosa ci poteva essere scritto se non “Ah, scusa, ho sbagliato numero”? Appunto, pensai, leggo questo messaggio così la faccio finita del tutto e potrò dormire. Sbuffai di nuovo, tesi la mano fuori dalle coperte e presi il cellulare.

"Dai harry, piantala di fare il coglione, dove sei?"

Ecco, appunto. Niente scuse e un insulto. Certo che questi due ragazzi (uomini?) sembravano molto legati… Mi accinsi a scrivere un nuovo sms, ridendo sotto i baffi:

"E tu smettila di fare il fidanzato geloso. E poi ho già detto che non sono questo Harry e non so chi sia"

Inviai e dopo qualche secondo lo schermo iniziò a illuminarsi per segnalare l’arrivo di una chiamata. Il telefono cominciò a vibrare e apparve il numero della persona che pensava fossi Harry. Rimasi un attimo indecisa sul da farsi, poi scelsi di non rispondere: innanzitutto avrei svegliato le mie compagne di dormitorio e poi non mi piaceva parlare al telefono con gli sconosciuti. Non appena il cellulare smise di suonare tirai un sospiro di sollievo, ma subito arrivò un altro messaggio:

"Ti odiooooo rispondi a quel cazzo di telefono"

Ridacchiai per quell’espressione di odio e premetti “Rispondi”, digitando un nuovo messaggio:

"Non sono Harry! In quante lingue te lo devo dire? Ich bin nicht Harry, no soy Harry, 私はないんだけど (questa l'ho tradotta con google translate)"

Attesi poco per la risposta:

"Smettila di prendermi per il culo, Tom vuole vederci tutti stamattina, dev'essere qualcosa di importante!"

Ma chi era questo Hazza/Harry che faceva questo genere di scherzi ai suoi amici? Doveva proprio essere un burlone, visto che l’altro non aveva nemmeno per un momento pensato di aver davvero sbagliato numero! Pensando di divertirmi un po’ alle sue spalle, visto che proprio non voleva capire, scrissi:

"Io conosco solo Jerry, non so chi sia Tom"

E per tutta risposta:

"Il nostro manager, Harold. Chi è questo Jerry? Dimmi dove cazzo sei che ti vengo a prendere"

Il fidanzato geloso e Harry avevano un manager?!? Cos’erano, una coppia di comici? Ora ero anche curiosa, non avrei dormito mai più. Sempre ridacchiando, composi la risposta:

"Hazza harry e harold sono la stessa persona? Questo tuo amico non soffre per caso di personalità multiple?"

"Aha, molto divertente. Quanto cazzo hai bevuto stasera, santo cielo?"

Guardai l’orologio. Erano ormai le 5 passate. Sbuffai; ormai sapevo che non avrei ripreso sonno e comunque tra poche ore mi sarei dovuta svegliare per andare in università. Tanto valeva capirci qualcosa di più.

"Stasera? Sono le 5 di mattina"

"Sì be' non sono andato a dormire ancora"

"… forse dovresti."

"Forse dovresti rispondere a quel cazzo di telefono! Tom mi uccide se non ci siamo tutti"

“Be’, se uccide solo te ci faccio un pensierino…”

“Harry…”

“Non sono Harry!”

“Non conosco nessun altro così coglione”

“Grazie, modestamente...”

“Se non vuoi dirmi dove sei almeno prometti che vieni domani mattina”

Sbuffai. Niente, non voleva proprio capire. Cos’avrei dovuto fare? Probabilmente il suo amico Harold/Hazza/Harry era a letto a dormire mentre lui si faceva mille paranoie, quindi tanto valeva rassicurarlo e… dormire un po’, no?

"Va bene, a che ora?" risposi dandogliela vinta. Prima o poi avrebbe capito che aveva il numero sbagliato.

"Alle 9 nel suo ufficio"

"Ok ci saró"

Fissai per qualche minuto il telefono e poi mi convinsi che quello sarebbe stato l’ultimo messaggio. Misi giù il cellulare sollevata ma con un briciolo di tristezza: in fondo mi stavo divertendo. Provai di nuovo a chiudere gli occhi e a dormire, non ci credevo quasi quando dopo qualche minuto sentii un ronzio familiare.

"Ma perchè cazzo non mi vuoi dire dove sei?"

Trattenni a stento una risata. Certo che era proprio un fidanzato geloso. Me lo vedevo, cioè me lo immaginavo, intento a leggere l’ultimo messaggio che gli avevo mandato e poi a mettere giù il cellulare; poi mangiarsi le unghie per qualche minuto, rimuginando; e infine prendere di nuovo il cellulare con rabbia e rimetterlo giù più volte, indeciso, per poi comporre quell’ultimo messaggio. Velocemente scrissi una risposta, immaginandomi la sua faccia quando l’avrebbe letto, e inviai:

"Qui su marte hanno delle particolari regole sulla privacy, ti racconto quando torno"

La risposta scontata non si fece attendere:

"Dai, Harry!"

La frustrazione si leggeva perfettamente anche in quelle due parole. Avrei potuto smettere lì e invece inviai un altro messaggio, sorridendo:

"Oh scusa, dimenticavo: baci!"

Se prima avevo solo riso sotto i baffi, la sua risposta mi fece scoppiare:

"Baci un cazzo!"

"Io non bacio nessun cazzo!” scrissi fiera di me stessa, sempre con un sorriso stampato in faccia. Rimuginai un attimo e poi aggiunsi “Aspetta... Hazza sì?"

Non rispose e dopo aver tentato di prendere sonno per un’ora mi alzai e mi feci una doccia e un caffè bollente, preparandomi per la mia giornata in università.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Aftermaths ***


2. Aftermaths

Il giorno successivo, o meglio, il giorno stesso qualche ora più tardi, camminavo su uno dei sottili sentieri del campus della UCL con il mio terzo caffè in mano, cercando di non avere un’andatura eccessivamente a zig-zag. Non avevo neanche avuto l'accortezza di indossare degli occhiali da sole per nascondere le occhiaie che erano apparse sotto ai miei occhi grazie al tizio dei messaggi, che sul mio cellulare avevo ormai ribattezzato col nome di "Fidanzato Geloso". Nonostante tutto, mi ritrovai a pensare di essere un po' delusa dal fatto che non mi avesse più scritto. Controllai velocemente l'orologio: erano le 9 in quel momento, perció Fidanzato Geloso aveva di sicuro già avuto modo di parlare con Harold/Harry/Hazza e di capire che il numero a cui aveva scritto quella notte non era il suo. O no? Magari il suo amico non si era proprio presentato all'appuntamento, perchè giustamente nessuno l'aveva avvisato e...

«Cate!» mi sentii chiamare. Girai la testa e vidi Chelsea, la mia migliore amica, correre verso di me. La sua espressione man mano che si avvicinava a me si trasformava da trafelata a un misto di stupito e terrificato. Quando fu abbastanza vicina si appoggió sulla mia spalla con una mano e si piegó su se stessa, ansimando forte e cercando di dire qualcosa «Ero... ritardo... corsa... corso... bocciata...»

« Chels, non devi parlare per forza ogni minuto della tua vita! Riprendi fiato e poi esprimiti con parole tue, eh!» feci dandole una leggera pacca sulla schiena. Lei continuó a respirare forte per qualche secondo, poi si raddrizzó e finalmente riuscì a parlare: «Sono fottuta. Il professor Torres aveva detto che se non andavo a lezione neanche oggi mi avrebbe bocciata e sono in ritardo di mezz'ora...! Ormai sono fregata» disse tutto d’un fiato, scuotendo la testa desolata. La guardai per qualche secondo e poi scoppiai a ridere.

«Sì, ridimi pure in faccia, non farti troppi problemi, non sei tu che verrai cacciata da scuola, diseredata dai tuoi genitori, mandata a lavorare in una piantagio... »

Non la lasciai terminare, nonostante i suoi monologhi fossero sempre alquanto divertenti: «Chels, pensaci un attimo. Le lezioni di Torres non sono di martedì? Sai che giorno è oggi?»

«Porca merda!» fece lei poco finemente «Grazie al cielo, oh, che gioia!» esclamó tirando teatralmente un sospiro di sollievo. Poi, finalmente, mi guardó in faccia: «A proposito di merda... come, ehm, stai bene, oggi…»

«Aha, molto simpatica» le risposi con una smorfia «Non ho dormito tanto stanotte... Alle 4 uno ha iniziato a scrivermi messaggi sul cellulare e non smetteva più...»

«Oddio, chi?» esclamó lei con gli occhi che le brillavano «Qualcuno che conosco?»

Chelsea era non solo un bulldozer per quanto riguardava la privacy e in generale la sfera privata delle persone, ma era anche un’aspirante proprietaria di un’agenzia matrimoniale, o almeno così sembrava dall’entusiasmo che metteva nel cercare costantemente di creare coppie dal nulla. Iniziai a camminare per cercare di spegnere sul nascere l'interrogatorio che sarebbe sicuramente seguito: «A dire il vero non lo conosco neanche io...» borbottai a mezza voce, quasi sperando che non sentisse.

«Cosa?!? Uuuuh, Cate ha un ammiratore segreto!» esclamò però lei, confermando le mie paure.

«Ma no, scema! Deve aver sbagliato numero... cercava un tale Hazza...» ridacchiai al solo sentire quel nome orrendo pronunciato ad alta voce «L'ho tirato scemo…» continuai fiera.

Sentendo che peró Chelsea non era più al mio fianco mi voltai e la trovai paralizzata qualche metro più indietro, lo sguardo sbarrato fisso sul mio e la bocca aperta. Ero abituata alle sue scenate plateali, che in fondo mi facevano molto ridere, ma stavolta non capivo proprio quale fosse il problema.

«Chelsea, perchè ti sei fermata?»

«Hazza?» ripetè lei sconvolta.

«Sì, sì, Hazza. Cosa c'è di strano?»

«Oddio,» esclamó lei raggiungendomi a grandi falcate, per quanto glielo permettessero le scarpe col tacco che portava «Tu proprio passi tutta la giornata nella biblioteca del campus!»

Non era vero, pensai un po’ risentita. Andavo anche a qualche festa, ogni tanto... Eppure questo Hazza proprio non lo conoscevo. Che fosse quel ragazzo carino che frequentava letteratura anglosassone con me e Chelsea? Evitai di chiederglielo, per non incappare in nuove prese in giro.

Lei inizió a spiegare, come si farebbe con un bambino: «Hazza è un soprannome che sta per Harry...»

«Grazie tante,» sbottai «questo lo so, l'ha detto anche il tipo dei messaggi...!»

«Oddio!» ripetè lei portandosi le mani alla bocca «È davvero lui!»

«Ma lui chi?» sbottai «E poi sai quanti Harry ci sono al mondo? Sai quanti ce ne sono solo a Londra?!?»

«Sì sì» disse la mia migliore amica concitata. Non l'avevo più vista così dal giorno in cui Dan Schroeder le aveva chiesto di andare con lui al ballo all'ultimo anno di liceo. Il che, in effetti, era avvenuto solo pochi mesi prima. Chelsea era una ragazza piuttosto esuberante, al contrario di me, ma chissà come avevamo coltivato un’amicizia vera, una di quelle che resiste a tutto, forse perché insieme ne avevamo passate tante sin dal primo anno di liceo, quando ci eravamo conosciute. Avevamo deciso insieme di iscriverci alla UCL quell’anno ed eravamo insieme quando avevamo aperto le nostre lettere di ammissione.

«"Sì sì" nel senso che li hai contati e sai quanti sono?» le chiesi ironica e risi sotto i baffi, ma lei non vi badó troppo, esaltata com'era: «No, no. Ma conosci tanti Harry che si fanno chiamare Hazza?» continuó agitando le mani.

Sbuffai: «No! È proprio questo il punto! Non la volete proprio capire tu e il tipo dei messaggi! Non conosco nessun Hazza!» mi ritrovai a urlare nel bel mezzo del campus, suscitando gli sguardi incuriositi di alcuni studenti che passavano di lì. Una ragazza addirittura si voltò verso di noi, rise ed esclamó: «Nemmeno io, ma se lo conoscessi sarebbero guai per lui!»

Lanciai le braccia in aria mentre la sconosciuta si allontanava: «Ma lo conoscono tutti tranne me, questo?»

 

Chelsea aveva quindi proceduto concitatamente a spiegarmi chi fosse questo Hazza a cui secondo lei erano rivolti i messaggi di Fidanzato Geloso, ovvero Harry Styles, cantantucolo in una band di cantantucoli denominata One Direction. Questo fu tutto quello che mi rimase in testa della sua spiegazione, oltre al fatto che avesse usato decisamente troppe volte le parole "figo" e "oddio", persino più del solito.

 

«Fammi leggere i messaggi» mi intimó con fare da investigatore privato professionista quando pensó di avermi dato abbastanza dettagli sulla vita dei cantantucoli, compresi flirt vari con Taylor Swift («E chi non ha avuto un flirt con Taylor Swift, eh? Dico bene?» avevo detto a quel punto, ammiccando a Chelsea, ma lei mi aveva liquidato con un «Non sai chi è Harry Styles e ti permetti di fare queste battute trite e ritrite sulla cultura pop moderna?» il che mi aveva zittito per almeno cinque minuti). Spalancai gli occhi e quando vidi che era serissima e non accennava ad abbassare la mano protesa verso di me, estrassi il cellulare dalla mia vecchia borsa di pelle marrone e glielo porsi. Scorse velocemente le pagine, facendo solo una smorfia senza commentare quando lesse il nome che avevo assegnato al messaggiatore misterioso e ad un certo punto si lasció sfuggire un urletto quasi isterico.

«Cosa?» le chiesi spazientita.

«Qui!» disse lei in iperventilazione «Lui dice… "Tom vuole vederci" e tu come un'idiota "Tom chi?" e lui “Il nostro manager”...»

La guardai senza espressione per indicarle che proprio non avevo capito.

«Dice "vederCI", "nostro"...» spiegò lei.

«Quindi... conosce i pronomi possessivi...» feci io tentando di indovinare. Lei sbuffó: evidentemente non avevo azzeccato.

«Quindi…» iniziò a voce più alta del dovuto, come per richiamarmi all’ordine «non solo questo Hazza è davvero Harry Styles... Ma anche quello che scrive fa parte della band» spalancó ancora di più la bocca prima di fare la sua scottante rivelazione: «È uno degli altri quattro».

 

Quando, nel pomeriggio, mi ritrovai sola nella grande biblioteca per studiare, avevo la testa che mi faceva male. Chelsea non aveva fatto altro che ripetere che dovevo scrivere a Fidanzato Geloso, che non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione, ma io non avevo ceduto. Soprattutto perché non pensavo proprio che fosse un’occasione. Nel frattempo non ero riuscita a seguire una parola della lezione di antropologia. Questo perché, per convincermi, la mia solerte migliore amica aveva continuato ad aggiornarmi su quei "gran fighi" che facevano parte della band chiamata One Direction anche in aula. Mi aveva raccontato tutto quello che sapeva su come si erano conosciuti, cioè partecipando a un talent show («Strano!» era stato il mio commento acido «E chissà che musica di qualità!»), su vari gossip e sui loro nomi completi, che peró avevo immediatamente rimosso. Chelsea sosteneva che fossero tutti pieni di talento e “fighissimi”, soprattutto quello più scuro di carnagione, anche se anche quello che si era appena rasato i capelli e persino questo Hazza non erano male, secondo la sua opinione. Chelsea aveva concluso dicendo che, insomma, erano tutti e cinque "niente male".

Dop la lezione e un veloce pranzo con Chelsea nella mensa dell'università, mi ero ripromessa che il mio pomeriggio sarebbe stato Chelsea-less e One-Direction-less, finalmente, e che avrei studiato senza lasciarmi distrarre. Ero peró una ragazza estremamente curiosa e le parole della mia amica mi avevano messo la pulce nell'orecchio. Potevano questi ragazzi essere così perfetti? No, ovviamente no. Avrei dovuto verificare di persona, perlomeno per poter contraddire Chelsea, cosa che mi sarebbe alquanto piaciuta, pensai decisa mentre aprivo il portatile sul pesante tavolo antico di legno. Picchiettai nervosamente con le dita sul piano della tastiera fino a quando Google non si aprì. Quindi digitai "One Direction" nella ricerca. Circa 966.000.000 risultati. Oh. Allora erano davvero famosi. Cliccai su "Immagini" e iniziai a guardarne qualcuna, cercando di coprire lo schermo non appena notavo qualcuno avvicinarsi alle mie spalle. Nelle fotografie, notai per primo il ragazzo con i capelli neri e la pelle scura: tralasciando la pettinatura con il ciuffo biondo era davvero carino, ma niente di più. Gli altri per il momento mi sembravano tutti uguali. Scorsi con una smorfia alcune foto in cui i cantantucoli abbracciavano dei cuccioli, palese tentativo di attirare ragazzine, e aprii un'altra foto più grande per guardarli meglio. In questa erano vestiti molto bene ed erano meno ridicoli del solito, anzi dovevo ammettere che gli stylist avevano decisamente fatto un buon lavoro, assegnando ad ognuno un look che ne metteva in risalto le qualità. Il ragazzo che avevo notato poco prima aveva una camicia a quadri come quelle che piacevano a me; il riccio alla sua sinistra indossava una camicia di un blu particolare e sorrideva come un bambino; il tizio castano in basso a destra portava una semplice polo bianca che gli donava particolarmente; il biondo al centro attirava la mia attenzione più che altro per gli occhi azzurrissimi e il viso infantile e dolce; l’ultimo cantantucolo, sulla sinistra, aveva pantaloni del mio colore preferito, delle bretelle e… un sorriso smagliante e sicuro di sè, quasi impertinente. Solo a quel punto mi resi conto di una sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco che avevo iniziato a provare da quando stavo osservando quelle fotografie. In ognuna di quelle che avevo visto, effettivamente, un paio di occhi azzurrissimi e sfrontati mi fissavano con ironia e un certo senso di sfida. Cercai di scuotere quella sensazione con poco successo e continuai a guardare fotografie per un po’, curiosa di capire da dove venisse tutto il clamore che si faceva attorno a quei cinque ragazzotti inglesi. Erano carini, era vero, ma bastavano una manciata di faccini carini a creare un fenomeno mondiale? Grazie a Internet, avevo avuto modo di vedere la loro trasformazione nel corso di qualche anno ed ero arrivata alla conclusione che, inizialmente, non fossero poi così diversi da un qualunque ragazzo che, per esempio, si trovasse nella biblioteca dove stavo io in quel momento. Si vedeva che erano stati sistemati e… tirati a lucido da uno stuolo di stilisti, parrucchieri e allenatori. E allora, se erano così normali, cosa c’era in loro che attirava milioni di ragazze e ragazzine in quel modo quasi maniacale? Fu solo quando mi resi conto che nella biblioteca avevano acceso le luci dei lampadari perché fuori iniziava a far buio che mi accorsi che si era fatto decisamente tardi. Com’era passato il tempo! Avevo perso un pomeriggio di studio a fissare cinque idioti con i loro sorrisi idioti, i loro occhi impertinenti e le loro bretelle.

 

Era dunque pomeriggio inoltrato quando uscii dalla biblioteca e la giornata mi aveva stressato più di quanto avrei potuto pensare, visto che gli occhi mi si chiudevano mentre mi dirigevo verso il mio dormitorio. Non era stata solo la nottata in bianco, ma anche i discorsi fatti con Chelsea e tutto il resto. Non feci in tempo a mettere piede dentro il piccolo appartamento che condividevo con Sasha, una ragazza con cui non avevo legato molto nonostante fosse la mia coinquilina da qualche mese, che il mio cellulare iniziò a suonare. Ricordandomi che avevo promesso di passare la serata con Chelsea risposi senza guardare il display: «Ehi» dissi semplicemente, entrando nella mia camera e buttando la borsa sul letto sfatto.

«Pronto? Chi è?» disse una voce maschile dall’altro capo del telefono. Una voce acuta ma non fastidiosa e con un accento stranissimo. Ci misi qualche secondo a capire che era soprattutto una voce che non conoscevo. Finalmente allontanai l’orecchio dal cellulare e guardai lo schermo per vedere il numero del chiamante. Rimasi per un attimo senza fiato: accompagnato dallo smile con la linguaccia che avevo aggiunto al suo nome, faceva bella mostra di sé sul mio schermo la scritta “Fidanzato Geloso”. Riportai meccanicamente il telefono all’orecchio, ma mi resi conto che non sapevo cosa dire, perciò mugugnai un «Ehm…»

«Senti, carina» riprese lui «Non so perché tu abbia il cellulare di Harry, se tu sia una delle sciaquette che si sbatte o una fan impazzita che l’ha rapito, ma se è lì con te e non è privo di sensi o smembrato in pezzi minuscoli nella tua vasca da bagno ti pregherei vivamente di passarmi quel coglione immaturo».

Il suo tono colorito e irritato mi allarmò un poco, senza contare che non me la cavavo bene di mio nelle conversazioni telefoniche, quindi, presa dall’ansia e dal non sapere cosa rispondergli, riattaccai. Dopodichè stetti qualche minuto a rimirare il cellulare nella mia mano, sconvolta da quello che avevo appena fatto. Era possibile che avessi appena sbattuto il telefono in faccia a una popstar internazionale? Tutto quello che mi aveva detto Chelsea e a cui in fondo non avevo tanto creduto fino a quel momento era improvvisamente diventato più reale. Rimasi immobile in quella posizione senza riuscire a formulare un pensiero coerente per qualche altro minuto, finchè il rumore di un messaggio e la vibrazione del cellulare non mi fecero sobbalzare. Premetti “Apri” con la mano tremante.

"Questo non è il numero di harry, vero?"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

SPOILER ALERT (nel passaggio che segue potrei involontariamente darvi indizi sull’identità di Fidanzato Geloso: se non volete leggerli, saltate a dopo la riga)

Che dite, avete capito chi è Fidanzato Geloso? L’ho reso abbastanza sassy da somigliare almeno un po’ all’originale? xD Tra l'altro è pure scritto praticamente nell'introduzione, nei personaggi, doh, quindi vabbè!

Be’, che dire. Credo di non aver mai mai mai scritto un capitolo così lungo. Come al solito posto alle 2 di notte perché… è l’unico momento in cui scrivo? No in realtà questo capitolo l’avevo già scritto, ho dovuto solo sistemarlo… ma a qualcuno frega qualcosa? Nope.

Ditemi cosa ne pensate di questa ff, lo so, la sto tirando un po’ per le lunghe, ma nel prossimo capitolo prometto che succederà qualcosa, muahahahha

(Cosa che non c’entra ma che volevo dire: quanto non mi piace il titolo di questa ff non ve lo potrei spiegare, ugh. Ho pensato per un momento anche di rinominarla in “Fidanzato Geloso”, ma era pure peggio, sigh.)

Baci, Sum

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Gullible ***


3. Gullible

Dal capitolo precedente:

Premetti “Apri” con la mano tremante.

"Questo non è il numero di harry, vero?"

 

Per un momento fissai lo schermo del cellulare nel panico. Poi feci un respiro per calmarmi e mi venne da ridere. Finalmente l’aveva capito! Evidentemente F.G., dopo essere giunto a conclusioni affrettate quando avevo risposto al telefono al posto di Harry, aveva poi avuto tempo per ragionare e formulare ipotesi un po’ più logiche, per poi realizzare come erano effettivamente andate le cose. Quasi scoppiai a ridere da sola ricordandomi quello che aveva detto. Mi aveva forse accusato di aver fatto a pezzetti il suo amico e di averlo messo in una vasca da bagno? Quel ragazzo era proprio strano.

E no, passato il primo momento di ansia decisi che non mi sarei fatta sconvolgere la vita da quello che forse magari probabilmente poteva essere ma anche no un cantantucolo di una banducola famosa in tutto il mondo. Non ce n’era proprio motivo. Sorridendo tra me e me composi un messaggio di risposta e lo inviai.

"Wow, ma sei un genio, da cosa l'hai capito? Dalle mille volte in cui te l'ho detto e ripetuto?"

“In effetti no, è stata la tua voce a tradirti. Harry ce l’ha leggermente più mascolina. Ma proprio leggermente, in realtà” fu la sua risposta. Sorrisi.

“Dovresti chiamarmi una domenica mattina, dopo una serata fuori e poi scommetto che non diresti così”

“Be’, mi spiace di averti disturbata. Chissà come ho fatto a sbagliare numero, eppure harry me l’aveva scritto su un foglio… che numero è l’ultimo secondo te?”

Il mio telefono trillò di nuovo, segnalandomi l’arrivo di un mms. Lo aprii e quando capii l’origine dell’errore non potei fare a meno di sorridere.

“Credo sia un cuoricino.”

“Ahahahhahahahhahahha oddio ahahahhahhaha”

“Voi due siete fuori. Maaaaa, a proposito… non sei più preoccupato per Harold?”

Aspettai qualche minuto ma F.G. non rispondeva più. Un po’ in ansia, gli inviai un altro messaggio:

“Che Fidanzato Geloso sei? Pfui”

Non rispondeva. In meno di un giorno ero diventata quel tipo di ragazza che si allarmava e si preoccupava di aver offeso il proprio interlocutore non appena quello ci metteva più di due secondi a rispondere. La colpa era di sicuro di Chelsea, pensai con una smorfia. Finalmente, dopo qualche minuto in cui mi ero sdraiata sul letto a fissare il soffitto, il cellulare suonò.

“Non chiamarlo Harold che si incazza. Solo sua madre può chiamarlo così. E io, ovviamente”

E lui, ovviamente.

“Ogni momento di più dimostri che il tuo soprannome è azzeccato” risposi ridacchiando.

“Comunque l’ho appena chiamato al numero giusto, senza cuoricino (eheheh) e sta bene. Solo che verrà ucciso per non essere venuto da Tom”

Stavo per digitare qualcosa, quando mi arrivò un nuovo messaggio:

“Ah, e non chiamare me fidanzato geloso, che mi incazzo anch’io”

Ed eccoci arrivati al punto dolente. Digitai:

“Non sarà mica colpa mia, adesso? Io te l’ho detto che non ero harry…” e inviai, mettendomi subito a riflettere sul suo messaggio di poco prima. Non volevo fargli notare che non sapevo il suo nome, chissà perché. Forse non volevo che me lo dicesse, confermando che era davvero uno di quei benedetti One Direction, forse non volevo che diventasse una persona reale, quando per ora era un semplice passatempo. Divertente e strano, ma pur sempre un passatempo.

Nel frattempo, mi aveva risposto:

“Sei perdonata solo perché non conosci Hazza e il suo stupido senso dell’umorismo”

Risi e risposi alla sua minaccia  precedente in maniera neutra, di modo che non si sentisse spinto a dirmi il suo nome:

“Ok, niente Fidanzato Geloso, allora. Dovrò cambiarti il nome in rubrica”

"Sul serio hai messo quel nome in rubrica?!? Il tuo numero è ancora sotto “Haz”, perciò siamo quasi pari”

“Nooooo, ti prego, Haz no!!!”

“Se mi dici il tuo nome però lo potrei cambiare ;)”

"Perchè lo vuoi sapere?”

“Inizia a farmi un po’ senso flirtare con “Haz”!"

Flirtare?

“Flirtare???”

“Ho sbagliato, volevo scrivere “filtrare”. Filtrare con Haz. Non che io stia flirtando con te.”

Risi e mi sentii accaldata tutt’a un tratto. Ma che reazioni da bambina mi faceva avere quel tipo? Mi ricomposi.

“Così ha molto più senso, filtrare con Haz, certo…” risposi sarcastica.

"Allora, questo nome? Sono un ragazzo curioso!”

“Ed estremamente insistente!”

“Eh, me lo dicono spesso. Ma non per questo non mi dicono il loro nome ;). Ho già detto che sono un ragazzo curioso?”

"Potresti essere un uomo di cinquant'anni curioso, per quanto ne so!"

"Anche tu, per quanto ne so! Un uomo di cinquant’anni con una voce piuttosto femminile"

Sbarrai gli occhi:

“Piuttosto?!?!?”

“Non è che l’abbia sentita molto, non hai fatto altro che mugugnare…”

Andammo avanti così per un po’ di tempo, a riprenderci e a scherzare, fino a quando “un po’ di tempo” non diventò “qualche ora”. Erano ormai le dieci quando mi accorsi che non avevo nemmeno cenato. Il mio cellulare continuava a illuminarsi e a far risuonare il trillo che indicava l’arrivo di un messaggio e mi sentivo una stupida ragazzina per come mi faceva sentire ogni volta quel suono. Avevo cercato più di una volta di augurargli la buona notte, ma tutto era stato inutile: ogni volta aveva qualcosa da dire, doveva avere sempre l’ultima parola. Purtroppo però, io non ero da meno, e così la conversazione andò avanti fino alle due di notte, quando mi addormentai ancora vestita con il cellulare in mano e gli avanzi della mia cena, un barattolo vuoto di yogurt, vicino alla testa.

 

Quando mi svegliai, la mattina dopo, erano le dieci. Il mio primo pensiero fu che mi ero dimenticata di mettere la sveglia, ma per fortuna, al contrario di Chelsea, non avevo nessuna lezione importante quel giorno. Il secondo pensiero, subito dopo, fu di controllare il cellulare. Tre messaggi. Sorrisi.

L’ultimo in ordine di tempo era di Chelsea:

“Grazie a dio (e a sette sveglie e a molto autocontrollo ieri sera nel rifiutare l’invito a una festa) sono arrivata in tempo alla lezione di Sanchez. Ci vediamo per pranzo?”

Pensai di rispondere più tardi, smaniosa di leggere cosa mi aveva scritto F.G. la sera prima, quando mi ero addormentata.

"Tu il mio nome invece non lo vuoi proprio sapere?"

Un brivido mi percorse la schiena mentre nella mia mente rivedevo, chissà perché, un paio di occhi azzurrissimi e impertinenti. Scossi la testa per far andar via quell’immagine. Grazie al cielo non avevo letto quell’sms la sera prima, o non sarei più stata in grado di dormire. Non avrei assolutamente saputo cosa rispondere, perciò per una volta il fato era stato dalla mia parte.
Lessi il suo secondo messaggio, inviato circa mezz’ora dopo l’ultimo:

“Ok, o sei molto lenta a pensare a una risposta, oppure ti sei addormentata…  Ma grazie! Sono così noioso?!? Be’, sogni d’oro. Anzi, buon giorno, visto che leggerai questo messaggio domattina!”

Risposi per prima a Chelsea:

“A parte che il professore di cui parli si chiama Torres, sì, vediamoci per pranzo al gordon’s, alla una perché prima ho lezione. Baci stordita
P.S. Sono felice che tu non ti sia fatta cacciare… ancora”

Poi, con calma, composi una risposta adeguata per F.G., mentre mi preparavo per fare una doccia:

"No, Fidanzato Geloso mi piace abbastanza. E comunque sì, mi sono addormentata"

Ero già sotto la doccia quando sentii il telefono trillare e per poco non uscii dalla doccia così com’ero, con lo shampoo sui capelli, per la curiosità. Mi sciacquai in fretta e uscii, afferrando subito il cellulare:

"Insisti, io non sono il fidanzato di nessuno, tantomeno di quell'idiota di harry"

Bel modo di informarmi che non era fidanzato, pensai sorridendo. Quanto era poco sottile.

"Eppure sembrate molto legati" scrissi per provocarlo.

"È uno dei miei migliori amici"

Iniziai a vestirmi, non era facile con il cellulare in mano.

"Ecco spiegati i nomignoli affettuosi come 'idiota' e ‘coglione immaturo’!"

"Invece il tuo fidanzato come ti chiama?"

"Wow, questa sì che è brutta."

"È la mia battuta da rimorchio preferita! Subito dopo ‘Eccomi qui... Adesso ti rimangono solo due desideri’!"
"Pessimo, sei pessimo" gli risposi mentre mi sistemavo i capelli e un filo di trucco.

"Preferisci ‘posso offrirti cinque cocktail?’…?"

"Cinque?"
"Sì, al quinto ti sembreró Brad Pitt!"
"..."
"Agahahhaha peró ci sei cascata! Dovrei chiamarti Gully..."
"A parte che è un nome orribile... Ho paura a chiedere il motivo"
"Dai, è facile! Da gullible, cioè ingenua!"

“È persino peggio di Haz”

Misi il cellulare in tasca, invece che nella borsa come al solito, e uscii dall’appartamento con un sorriso sulle labbra, pronta a iniziare la mia giornata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Non sapete oggi quanto ho scritto. Ho praticamente deciso come andrà tutta la storia, o quasi. Già, prima non lo sapevo, ehe. Quindi non insultatemi perché questo capitolo è corto, gli aggiornamenti saranno piuttosto veloci...! Mi sono divertita a scrivere questo capitolo, anche se non è che aggiunga poi molto alla trama… spero diverta anche voi! Prima o poi si scoprirà chi è Fidanzato Geloso, prometto! E allora avrò anche un banner da mettere alla storia… ma prima di allora, niente! Dai, lo so già che sapete tutte chi è :P A presto, baci,

Sum

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. William ***


4. William

Quella mattina, prima di andare a pranzo con Chelsea, andai a lezione di glottologia. Fidanzato geloso mi aveva scritto fino a poco prima, ma a quanto pareva si era preso una pausa di 24 minuti. Non che li stessi contando. Nell’aula gremita scovai Charlie, un ragazzo dagli occhi verdi e chiarissimi che avevo conosciuto al campus. Era dolce e anche molto intelligente, perciò l’avevo da subito preso in simpatia. Era anche palesemente invaghito di Chelsea, nonostante l’avesse vista solo qualche volta in mia compagnia, per giunta per pochi minuti ogni volta. Lo salutai con un gesto della mano, lo raggiunsi e mi sedetti sulla sedia libera che aveva di fianco e chiacchierammo del più e del meno finchè la lezione non iniziò. Passarono però solo pochi minuti, che Charlie mi picchiettò su una spalla e mi sussurrò:

«Ehm, ti è arrivato un messaggio» indicando con un dito il mio cellulare illuminato sul banchetto davanti a me «Dal tuo, ehm, fidanzato…»

Lo guardai confusa e iniziai a dire: «Io non ho un fid… Oooooooh».

Non appena guardai il display, mi accorsi del malinteso e arrossii violentemente, mentre al tempo stesso cercavo di non scoppiare a ridere nel bel mezzo della lezione. Charlie pensava che avessi messo il nome del mio fidanzato in rubrica sotto Fidanzato Geloso!

Lo guardai con gli occhi lucidi per l’imbarazzo e lo sforzo di trattenere le risate: «No, lui non… non è il mio fidanzato! È, ehm, geloso di qualcun altro…»

Charlie mi guardò stranito, perciò aggiunsi a mo’ di spiegazione ulteriore: «E anche il fidanzato di qualcun altro!»

Mi resi conto dalla sua espressione che non mi ero spiegata molto, perciò continuai sempre più allarmata: «Non che io sia la sua amante!» esclamai. Cercai di calmarmi e aggiunsi con un sospiro: «È un po’ difficile da spiegare» conclusi con un sorriso. A Charlie sembrò bastare, anche se mi sorrise con aria un po’ perplessa prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al professore. Cosa che io non avrei più fatto per tutta la durata della lezione.
"Dai, dimmi qualcosa di te" diceva il nuovo messaggio di F.G.

"Sei fissato!" risposi sorridendo, mentre Charlie mi guardava di sottecchi, ovviamente confuso dalla mia espressione.
"Ma no, è che ogni tanto mi piacere parlare con qualcuno che non sa chi sono"
Oh caz…, pensai nascondendo il cellulare sotto il banchetto e cercando una posizione comoda per scrivere senza essere vista dal professore. Ma allora era davvero uno di quella band, uno di quei quattro, escludendo Harold?
"In che senso?" scrissi titubante.
"A tutti fa piacere, no? Si dice che con gli sconosciuti ci sia apra molto di più... Quindi… apriti! :P"
Tirai un respiro di sollievo, ma al tempo stesso mi chiesi se quello di prima non fosse stato un lapsus da parte sua, che aveva corretto con questo messaggio. Ma no, cosa andavo a pensare? Era tutta colpa di Chelsea che mi faceva diventare paranoica.
"Cosa vuoi sapere?"
"Be', so giá che abbiamo lo stesso fuso orario e che parli inglese, quindi... Sei inglese giusto?"
"Vivo a londra, sherlock"
"Oh, non ti starai sbottonando un po' troppo?" rispose sarcastico.
"Dire che vivo a Londra è abbastanza generico, è una città piuttosto grande! Per citare me stessa solo stamattina 'sai quanti harry ci sono a londra?'"
"Cosa?!?!"
"Niente, cose mie"
"Sei strana"
"Si be'... Sì. Non mi viene in mente niente per confutare questa tua ipotesi"
"Almeno lo sai… è già un buon inizio "
"Tu di dove sei, invece?"
"Uhm, inglese, direi"
Sbuffai e Charlie mi guardò male. Scivolai più giù sulla sedia e sotto il banchetto: "Wow, chi è che non si sbottona adesso?"
"Vengo da una città nel south yorkshire, ok?”

Stavo per scrivere “Questo sì che mi aiuta a restringere il campo” in tono sarcastico, quando il telefono vibrò di nuovo.

“Ma ora vivo a londra anch'io"

Aveva perso un po’ di tempo pensando se dirmi o no dove viveva? Sbarrai gli occhi. Abitava a Londra!
"Non dirmi che frequenti la UCL" scrissi con dita tremanti, per qualche motivo. Forse girava nel campus, forse l’avevo anche incontrato. Forse era tutta una montatura.
"Ahahahahaha"

O forse no.
"Perchè ridi?"
"Sono troppo stupido per l'università"
"Ah. Non posso confutare neanche questo"
"Carina..."
"Grazie. Allora cosa fai nella vita?"
"Uhm, lavoro?"
"È una domanda?"
"No, lavoro"
"E che lavoro fai? (Mi sembra di estrorcere una confessione a un criminale, tanto è faticoso)"

“(ahahahahha, simpatica) Uhm, un lavoro che in effetti al momento richiede la mia attenzione…” lessi e non potei fare a meno di sentire un po’ di delusione. Forse avevo esagerato con le domande e se l’era presa. Stavo per mettere via il cellulare senza rispondere, quando vibrò di nuovo.

“Ci sentiamo più tardi?”

Sorrisi e un calore mi invase tutto il corpo. Mentre io mi facevo mille paranoie lui continuava a stupirmi con i suoi modi diretti e sinceri. Non aveva paura di dire quello che voleva e lo ammiravo per questo, perché era qualcosa che io, invece, non riuscivo a fare, nascosta com’ero dietro il mio muro di paura, sarcasmo e diffidenza.

“Bel modo di evitare la domanda. Comunque sì, se proprio insisti”

“Insisto” sorrisi ancora di più, prima di leggere il resto “Menosa”

“Enigmatico. E prepotente, oltretutto”

Alzai lo sguardo per la prima volta dall’arrivo del primo messaggio e mi accorsi che il professore aveva smesso di parlare e stava spegnendo il proiettore, mentre gli altri studenti si stavano alzando dai loro posti e iniziavano a raccogliere le proprie cose e a uscire. Mi voltai verso Charlie che con un sorriso si stiracchiò e mi disse: «Questa lezione non finiva più, eh?»

Non potei fare a meno di annuire in silenzio e sorridere poi sotto i baffi.

 

«Primo indizio!» esclamó Chelsea, per la quale ormai sondare i messaggi miei e di F.G. era diventata un'abitudine. Ero arrivata all’appuntamento per il pranzo con qualche minuto di ritardo e un sorriso ebete stampato sul viso, perciò la mia amica aveva fatto due più due e aveva subito azzeccato di chi fosse la colpa di entrambe le situazioni. Ci eravamo quindi sedute a un tavolo del Gordon’s Cafè, il bar nel campus dove pranzavamo sempre, e mi aveva lasciato appena il tempo di ordinare prima di aggredirmi verbalmente con le sue ipotesi campate in aria.

«Sentiamo…» dissi svogliata preparandomi ad ascoltare la sua filippica e addentando nel frattempo il mio panino appena arrivato al tavolo.

«Dice "Ogni tanto mi fa piacere parlare con qualcuno che non sa chi sono"! Più palese di così...!»
«Nel messaggio dopo chiarisce che intendeva dire "a chiunque fa piacere parlare" etc...»
Chelsea sbuffó contrariata, probabilmente più per la mia ostinazione che per ammettere il suo errore, e riprese a leggere in silenzio, emettendo dei leggeri squittii di tanto in tanto.

Ad un certo punto, alzò persino la mano per attirare la mia attenzione.

«Devi chiedermi di andare in bagno?» le chiesi con un sopracciglio alzato, ma lei come al solito non badò a quello che dicevo.
«Secondo enorme ineluttabile impossibile-da-non-notare indizio!» esclamò, per poi guardarmi con aria indagatrice «Stava "facendo delle foto"? Cosa diamine vuol dire?»

Riflettè per circa due secondi guardando il soffitto e poi: «Scommetto...» disse lasciando la frase interrotta, come per creare la suspense. Alzai gli occhi al cielo e finii il mio panino, guardando affamata il suo, ancora intatto. Chelsea, nel frattempo aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca con la mano libera, la sinistra, e a una velocità impressionante aveva iniziato a cercare qualcosa su google.
«Tu non stai bene» borbottai fissandola con gli occhi spalancati.
Non badó a me per qualche minuto, digitando forsennatamente sulla tastiera; poi, trionfante, mi mostró un articolo sullo schermo: «Bingo».
«Chi dice ancora "bingo"...?» chiesi a mezza voce, più a me stessa che a lei. mi sventoló in faccia il cellulare e controvoglia mi avvicinai per leggere:
«"Gli One Direction sono approdati nella tarda mattinata nei nostri studi per un servizio fotografico"... Ok. E allora?»
«guarda la data!» sbottó lei isterica. Mi veniva difficile leggere perchè le tremava la mano dall'eccitazione.
«Ok, ok, è di oggi. Ho capito»
Senza guardarmi sbuffò e continuó a cercare qualcosa. Evidentemente non le avevo dato abbastanza soddisfazione. Ormai la sua principale missione nella vita era convincermi che stessi messaggiando con un cantantucolo di quella stupida band.
«Aha!» esclamó trionfante «Avete messaggiato tutta la mattina, vero?» chiese maliziosa.
«Sì, il che tra l'altro spiega perchè F.G. non potrebbe essere uno di questi qui, che erano evidentemente impegnati a fare altro...»
«Tut-tut-tut» mi zittì lei «Guarda e piangi».
Alzai lo sguardo sulla mia amica, a dir poco sconvolta da quello che aveva appena detto, e lei borbottó qualcosa come «È solo un modo di dire», facendo spallucce e porgendomi il suo cellulare.

Sulla pagina c'era un immagine che si muoveva. Non avevo mai visto niente di simile, se non nei film di Harry Potter, quando uno dei personaggi tirava fuori una di quelle fotografie in cui i personaggi prendevano vita. Confusa, guardai meglio l'immagine. Sotto c'era la data di quel giorno e la scritta "One Direction’s photoshoot". Ritreva, ovviamente, i cinque cantantucoli.


Erano prima in gruppo e poi si allontanavano tutti insieme, per poi uscire dall’immagine.

Tutti, tranne uno.

Che chiaramente era impegnato a scrivere qualcosa sul cellulare.


Ero effettivamente rimasta a bocca aperta, vedendo quella fotografia diabolica che si muoveva. Non tanto perchè avevo dovuto ammettere a me stessa che, sì, le coincidenze stavano diventando un po' troppe, ma soprattutto, mi ritrovai a pensare, per l'identità del ragazzo abbandonato dagli altri nell'immagine.

Il ragazzo con gli occhi azzurri e sfrontati e il sorriso impertinente. Poteva davvero essere lui la persona con cui messaggiavo tutto il giorno? Un brivido mi corse lungo la schiena. «Sei convinta ora?» mi disse Chelsea, ma non l'ascoltavo più.
«Come si chiama il tipo nella foto? Quello che rimane da solo alla fine» chiesi seria.
«È una gif...» mi corresse lei mandando gli occhi al cielo.
«Chels» la apostrofai. Il mio tono dovette funzionare, perché mi guardò seria e rispose subito:
«Louis, Louis Tomlinson»
Le strappai il mio cellulare dalle mani e composi un messaggio:
"Ok, seriamente ora. Il mio nome è Cate... Catherine, ok. Qual è il tuo? È importante"
Ci mise un po' a rispondere, forse era impegnato. Presi a tamburellare sul tavolo mentre Chelsea mi guardava confusa, senza il coraggio di chiedere cosa stesse succedendo.

Finalmente il telefono trillò.
"William, mi chiamo William. Catherine è un nome molto carino, fyi"
Sorrisi con un sospiro fin troppo accentuato e misi il cellulare davanti alla faccia di Chelsea. Volevo sembrare trionfante ma per qualche motivo non ci riuscii.
«William» lesse lei un po' stupita. Ci pensò su un attimo: «Che sia Liam allora?»
«Liam?» chiesi in modo piatto. Non avrei dovuto essere più felice di aver dimostrato che la sua teoria era sbagliata?
«Liam Payne» disse già intenta a digitare qualcosa sul suo cellulare. Dopo pochi secondi, mi mostró una fotografia del ragazzo rasato con gli occhi castani che avevo già visto in quelle di gruppo il giorno prima. Non riuscii a reprimere un senso di delusione. Ma perchè? Liam era decisamente carino, in più aveva quel sorriso gentile, così diverso da... Ma perchè poi stavo dando retta a Chelsea? Quella pazza della mia amica era quasi riuscita a convincermi, con la sua testardaggine, che dovesse per forza trattarsi di uno di quei cinque.
«Oppure potrebbe anche non c'entrare proprio niente con la band...» dissi poco combattiva. Qualcosa mi dava fastidio, ma non capivo cosa. Mi aspettavo che Chelsea si mettesse a urlare e mi redarguisse per quello che avevo detto, invece mi squadró per un po’ di tempo con attenzione e disse solo: «Già, forse è così...»
Mi guardò ancora per un attimo e poi aggiunse, addentando finalmente il suo panino: «Andiamo a bere qualcosa, dopo?»
Ridacchiai: «Chels, stiamo pranzando! È solo l’una!»
«Be', quindi tecnicamente è già pomeriggio, no?» esclamò lei allegra scoppiando a ridere con me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Ok, ho postato e ora… aspetto il linciaggio! William?!?!?! WHAT. Indizi, care mie, indizi EVERYWHERE.

Scusate il ritardo, in questi giorni ero impegnata ;)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se più che svelare qualcosa confonde ancora di più le acque… Ehm, sorry?

Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite (e a chi commenta ma loro le ringrazio una per una, ehe) :) Iniziate a essere tantini, argh. Scherzo, fa sempre piacere e vi lovvo :P

A presto, baci,

Sum

P.S. Ho scritto una Larry che nessuno si è ca*ato :P The words you whisper I will always believe se mi fate sapere perché fa schifo vi sarò debitrice foreva.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Trovata ***


5. Trovata

Per il resto del pomeriggio, dopo avermi detto il suo nome, William non si fece più sentire. Mi faceva strano chiamarlo con un nome e non più semplicemente Fidanzato Geloso, tanto che non riuscii nemmeno a cambiare il suo nome nella rubrica del telefono. Mi faceva ancora più strano però non sentirlo. Dopo pochi giorni i suoi messaggi erano diventati quasi una dipendenza: mi faceva ridere e parlare di me e in quei pochi giorni dalla sua comparsa mi ero sentita allegra e spensierata. Non volevo rinunciare a quella sensazione.

La mattina dopo, neanche a dirlo, mi svegliai di malumore, con i capelli più arruffati del solito e gli occhi gonfi di sonno. Rotolai giù dal letto solo perché avevo bisogno di caffè prima di andare a lezione e mi sforzai di non guardare lo schermo del cellulare, non prima di aver avuto la mia dose di caffeina. Arrivata in cucina, però, scoprii che, ancora una volta, la mia cara coinquilina aveva usato la mia tazza per il caffè mattutino, lasciandola poi sporca di rossetto e tè nel lavandino. La giornata non iniziava affatto bene. Tornai quindi in camera e mi infilai di nuovo sotto le coperte anche con la testa. Forse non sarei nemmeno andata a lezione, dopotutto. Proprio nel momento in cui stavo guardando male il cellulare, come se fosse lui il colpevole di tutto e ragionando sul da farsi, quello iniziò a vibrare e a muoversi sul comodino.

Lo presi con la mano che tremava un po’. Quasi emisi uno squittio – mi stavo lentamente trasformando in Chelsea - quando vidi il nome di colui che mi stava chiamando. Mi passai una mano tra i capelli nervosa per sistemarli un po’, come per rendermi più presentabile per qualcuno che, comunque, non avrebbe potuto vedermi. Stavo letteralmente impazzendo. Schiacciai il pulsante verde.

«P-pronto?» dissi con voce incerta.

«Ehi» rispose lui semplicemente.

Oddio, quanto era bello sentire la sua voce. Quanto era bello semplicemente sentirlo. Tirai un sospiro di sollievo.

«Buongiorno» continuò sorridendo. Be’, perlomeno mi immaginavo sorridesse. Aveva la voce roca di chi si è appena svegliato e la cosa mi fece sorridere come una bambina.

«Buongiorno. Cioè, buongiorno in effetti proprio no» mi lasciai sfuggire con una smorfia.

«Perché, cosa potrà già essere successo di così grave alle 9 di mattina, sunshine

«La mia coinquilina mi ha rubato la tazza!»

Mio dio. Avevo davvero detto quella frase con quel tono da bambina viziata? Ok, mi ero appena svegliata e non ero ancora rientrata in pieno possesso di tutte le mie facoltà mentali, ma questa non era decisamente una buona scusa per fare certe figure. F.G. ridacchiò divertito: «Be’, riprenditela!»

«Mmh, è sporca di tè e rossetto» mugugnai contrariata mentre afferravo una barretta ai cereali abbandonata sulla mia scrivania e iniziavo a sgranocchiarla. Magari un po’ di zuccheri nel sangue mi avrebbero resa un po’ più presente a me stessa.

«Be’, il rossetto si può lavare via e per quanto riguarda il tè mi sembra che la tua coinquilina abbia dei gusti raffinati e…»

«No. Non difenderla. Quella è la mia tazza e lei l’ha usata per metterci il suo schifoso…»

«Ehi, piano con le parole. Hai appena detto che il tè è “schifoso”?»

«Io ho bisogno del mio caffè! Non vedo cosa ci sia…»

«Ok, non possiamo più sentirci» mi interruppe lui risoluto. Per qualche secondo non respirai, gli occhi sbarrati,  il cuore a mille e un po’ di cereali in bocca. Poi riprese a parlare: «Non posso parlare con una persona che preferisce il caffè al tè. Ne va della mia dignità»

Tirai un sorriso di sollievo e mi diedi della stupida mentalmente. Scoppiai a ridere in modo un po’ isterico, sollevata.

«Credevi che dicessi sul serio?» mi chiese lui dopo un po’.

«Assolutamente no, io…»

«Uhm, quindi ti piace parlare con me, eh?» chiese lui con un’inflessione malizioso e sfrontata nella voce. Avrei scommesso che in quel momento aveva un sopracciglio alzato e un’espressione da schiaffi dipinta sul viso. Avevo già visto quell’espressione da qualche parte.

Sbuffai: «Siamo presuntuosi, eh?»

Scoppiò in una risata genuina e poi rispose: «No, per niente» e mi sembrò fin troppo sincero. Era questo il fatto con lui: un momento era tutto malizioso e scherzoso, l’altro completamente aperto e privo di muri che lo separassero dal mondo. Da me, una sconosciuta. Mi faceva male al cuore tutta quella purezza.

«Ah, a proposito, ho chiamato per dire una cosa e come al solito mi distrai…» riprese.

«Io?!?» tentai di protestare, ma non mi diede retta.

«Scusami se ieri non mi sono più fatto sentire» pronunciò serio.

Oh. Rimasi letteralmente senza parole. Ancora una volta, quella sincerità totale mi colse alla sprovvista. Ero abituata ai miei coetanei che non facevano altro che usare giri di parole per arrivare al punto, che non volevano mai esporsi troppo per paura di essere rifiutati, che usavano “giochetti” per essere sempre sicuri di detenere il potere in una relazione, anche solo nel suo stadio iniziale. Non avevo mai conosciuto un ragazzo che mi avesse detto “Mi piaci”, ad esempio: era sempre tutto basato sulle cose non dette, implicate nei discorsi, alle quali dovevi risalire facendo un’analisi di parole e azioni. Della serie, anche se mi piaci non ti chiamo perché non vorrei mai che pensassi che mi piaci troppo, o che mi piaci più di quanto io piaccio a te. Non ero proprio abituata a quella sincerità buttata lì come se niente fosse e ogni volta mi lasciava di stucco come fosse normale per lui.

Per fortuna riprese quasi immediatamente a parlare, forse capendo che mi aveva messo un po’ in imbarazzo: «Be’, cosa fai oggi? A parte messaggiare tutto il giorno con me, ovviamente»

Ignorai l’ennesima dimostrazione del fatto che non si facesse scrupoli a dire quello che voleva, così innocentemente, e risposi: «Credo che andrò in biblioteca a studiare»

«In biblioteca? Perché? Non puoi studiare a casa?» chiese lui.

Considerai un attimo la possibilità di dirgli che abitavo in un dormitorio al campus della UCL. Era sicuro? Non lo conoscevo ancora così bene per dargli troppe informazioni, era solo qualcuno con cui “parlavo” da circa due giorni. Due giorni? Era passato così poco tempo? Possibile?

«Ehm, è caduta la linea?» si informò lui. Chissà quanto tempo l’avevo lasciato lì ad ascoltare il silenzio dalla mia parte del telefono mentre riflettevo.

«No, no, sono qui!» mi affrettai a rispondere.

«Bene» disse con un’inflessione divertita nella voce.

«Non ridere» gli intimai.

«Non sto ridendo» rispose cercando di rimanere serio.

«Sì, invece» feci testarda, come una bambina con il broncio.

«No. Cioè, sì, stavo sorridendo, perché mi sa che sei quel tipo di persona che mentre parla ogni tanto si perde nei propri pensieri»

«I-io non…» iniziai, ma lui mi interruppe:

«E che balbetta quando si agita perché hai scoperto il suo segreto…» continuò.

«Io non ho nessun segreto!» esclamai sorridendo per la sua stupidità, o forse perché dimostrava di aver capito di me più di quanto pensassi, in così poco tempo.

«E che si arrabbia quando le dici che hai scoperto il suo segreto!» concluse trionfante. Non potei fare a meno di scoppiare a ridere e lui mi seguì a ruota con quella sua voce ancora così ruvida nonostante ormai stessimo parlando da un po’.

«E tu cosa fai oggi?» gli chiesi curiosa quando smisi di ridere.

«Per ora ho intenzione di stare qui a letto con questa tazza di tè – sì, lo schifoso tè – che mi ha portato Harry…»

«Oh, che carino! Il tuo fidanzato ti porta la colazione a letto!» esclamai con voce acuta e calcando sulla parola “fidanzato”.

«FG?» chiesi vedendo che non rispondeva.

«Be’, me la sono cercata» fece con un sospiro e un tono sconsolato che mi fece ridere di nuovo. Poi però sembrò riscuotersi: «Aspetta, come mi hai chiamato?»

«…William. Ho detto William» mi affrettai a rispondere. Sentii un verso sospetto dall’altra parte del telefono, come un “mmmh”.

«Hai detto FG, vero? Come Fidanzato Geloso?» incalzò lui.

«No!» esclamai senza riuscire a trattenere un sorriso sotto i baffi.

«Non sai mentire nemmeno al telefono!» rispose lui ridendo apertamente di me.

Dopo qualche secondo sentii in sottofondo dalla sua parte della linea una voce maschile che urlava: «Boo? Dove cazzo sei?», un’altra che gli faceva eco «Sì, “Boo”» risatine «ti muovi?» e una terza che più bassa commentava qualcosa del tipo «Non dovrà mica ancora pettinarsi!».

«Bene» commentò lui «fine della tranquillità. Devo andare, Catie» disse FG. Sorrisi a sentire quel soprannome, nessuno mi chiamava così. Non era molto diverso da Cate, ma in qualche modo era… più dolce.

«A presto» dissi timidamente e sembrava più una domanda che un’affermazione.

«Sì» replicò lui «a presto» e riattaccò mentre in sottofondo le voci di poco prima si facevano più vicine e rumorose.

***

Non me la sentivo proprio di andare a lezione, quella mattina, e questo non aveva nulla a che fare con il fatto che la terribile professoressa Glen non tollerasse la vista dei cellulari nella sua aula. Quindi, mandai un messaggio a Chelsea chiedendole di incontrarmi in biblioteca, tenendo così fede a quello che avevo detto a William. Aspettando un orario decente per incontrarmi con la mia amica, che non era solita svegliarsi prima delle undici, mi misi sul letto ad ascoltare un po’ di musica, rispondendo di tanto in tanto ai messaggi sporadici di FG, che evidentemente aveva mentito sul fatto di non avere nulla da fare.

Alle undici precise entrai in biblioteca e più di mezz’ora dopo Chelsea mi raggiunse, trafelata come al solito, e si sedette di fianco a me nel posto che le avevo tenuto. Con un sorriso, feci finta di non notare la rivista che fece scivolare dentro il suo libro di storia e continuai imperterrita a leggere dal mio. Presa com’ero dai miei pensieri – sul Rinascimento, ovviamente – non mi accorsi neanche di aver iniziato a canticchiare, finchè Chelsea non mi richiamò con aria stupita:

«Cate? Da quando canticchi? Sei felice?»
«Io? No, ti sbagli» risposi sulla difensiva.
«Stavi canticchiando, ho sentito. Hai detto qualcosa del tipo “I can make your tears fall down like the showers that are British”… Nooooo!» spalancò gli occhi e si avvicinò di più a me con un sorrisino cospiratorio «Stavi canticchiando Over Again degli O...»
«Sssssh,» la zittii «sei pazza? Ti farai sentire da tutti!»
«E allora?» mi guardó indagatrice «Perchè canti una loro canzone?»
«Boh, mi è capitato di sentirla alla radio, forse...»
«Certo» mi redarguì lei sarcastica «una canzone che non è una singolo, probabile che tu l’abbia sentita alla radio...»

Okay, forse aveva ascoltato qualche canzone dei cantantucoli quella mattina, e allora? Forse, sì, avevo cercato di capire se davvero la voce della persona con cui avevo parlato quella mattina assomigliasse a quella di Liam Payne, certo, ma non voleva dire niente. E, no, comunque non ero riuscita a capirlo. Soprattutto, non l’avrei mai ammesso davanti a Chelsea. E oltretutto quella stupida canzone mi era rimasta in testa e proprio non riuscivo a togliermela dalla mente.
«Vogliamo studiare?» feci acida. Mi misi a leggere un paragrafo su Giotto, ma sentii che Chelsea picchiettava con la penna sul libro, incapace di concentrarsi.
«Vi siete sentiti ancora, poi?» mi chiese infatti a voce troppo alta dopo appena qualche secondo. Qualcuno dietro di noi sibilò uno «Sssssh».
Chiusi il libro, sbuffando più perché sapevo già come sarebbe andata la conversazione che per l’ennesima interruzione della mia amica iperattiva.
«Abbiamo anche parlato al telefono, stamattina» borbottai quasi sperando che si perdesse qualche pezzo «Si era appena svegliato...»
«Ahia» fece lei mettendosi più comoda sulla sedia e guardandomi con i suoi occhioni da amica comprensiva.
«Sì, Chelsea. Non c'è bisogno che mi ricordi che ho un problema con la voce dei ragazzi quando sono svegli da poco»
«Problema?» ridacchiò «Praticamente ti sciogli come panna montata al sole»
«Panna montata?!?» chiesi stupita dalla scelta di parole.
«È più sexy del gelato» rispose lei facendo spallucce e io mi chiesi perché ancora mi stupivo di qualsiasi cosa facesse. Feci una smorfia e dissi «Sì, be', comunque», nel tentativo di chiudere il discorso. Ovviamente, fu tutto inutile.
«E allora? Dettagli!» esclamò lei con entusiasmo.
«E allora» iniziai e feci finta di riflettere molto più a lungo di quanto avessi bisogno «ha una di quelle voci che senti che sta sorridendo» dissi cercando di far passare quello che mi era uscito dalla bocca per un commento casuale.
«Ah» fece lei, seria.
«Ah?»
Mi squadrò da capo a piedi, allontanandosi un po’ da me per farlo meglio, poi alzò un sopracciglio: «Sei persa, Catherine.»
«Non usare il mio nome completo. E poi non è vero.»
«Come dici tu, Catheri» mi rispose cercando invano di trattenere una risatina.
«Sei insopportabile» dissi guardandola scocciata. Quando peró la vidi con le guance tese e gonfie, incapace di contenersi ancora per molto, non riuscii a non scoppiare a ridere insieme a lei. Ma no, decisamente si sbagliava: non ero affatto persa per il forse-cantantucolo.

***

Quel pomeriggio, camminavo a passo spedito per il sentiero che dalla biblioteca conduceva all'edificio dove avrei dovuto seguire la lezione delle 5, gli ingombranti libri sulla rivoluzione francese che avevo preso in prestito stretti al petto e lo sguardo basso sulle mie Converse. All'improvviso, il cellulare trilló nella tasca dei jeans e mi fece sobbalzare. Sorrisi, ma non feci in tempo a prenderlo che andai a sbattere contro qualcosa, facendo cadere tutti i miei libri. Ovvio. Istintivamente, alzai per un secondo lo sguardo e mi ritrovai davanti due occhi azzurri, sfacciati e vagamente sorridenti. Mi mancò il fiato per un momento, in cui pensai vagamente “Oh, è una persona, non una cosa” e poi distolsi un attimo gli occhi per posarli preoccupata sui miei libri, ancora confusa e vagamente infastidita dal fatto che quella persona sorridesse per quello che era successo. Quando però lo rialzai per fare qualche battuta su come fossero banali quel tipo di incontri da film romantico, sulla strada davanti a me non c'era più nessuno. Mi girai indietro e anche lì, nessuno di abbastanza vicino. Cercai di concentrarmi: era un ragazzo? Sì, ero quasi sicura. Portava un berretto di lana? Forse. Una sciarpa scura? Sì, decisamente. Forse. L’unica cosa che mi era rimasta impressa erano quegli occhi azzurrissimi e brillanti, con quelle increspature ai lati che li facevano sorridere. Mi piegai a raccogliere i miei libri e intanto diedi una rapida scorsa a tutti i ragazzi nei dintorni ma niente, era svanito.

Ancora inginocchiata, sbuffai e tolsi il cellulare dalla tasca per leggere il messaggio che mi era arrivato poco prima dello scontro e quando lo feci  per qualche secondo mi mancò l'aria. Diceva semplicemente: “Trovata”.

Per poco non rotolai per terra, per fortuna ero ancora accovacciata. Il mittente, ovviamente, era Fidanzato Geloso… William. Trovata? Voleva forse dire che…

“Eri tu?” scrissi con le dita che tremavano, andandomi a sedere su una panchina lì vicino. Avevo le gambe molli, non mi avrebbero retto a lungo.

“Complimenti per l’intuizione, sherlock”

 “Non scherzare. Cosa fai ora, lo stalker?”

“Sei arrabbiata?”

“Certo! Mi hai spaventata, ok? E poi avresti potuto almeno aiutarmi a raccogliere i libri…”

“Come in qualsiasi film romantico che si rispetti?”rispose dopo un secondo. Bene, ora mi leggeva anche nella mente.

“Come qualsiasi persona sana di mente che non sia uno stalker”

“Hai ragione, scusami”

“Perché l’hai fatto?”

“Non prendermi per un pazzo… Volevo solo vederti per un attimo”

“Ma sei pazzo! Te ne rendi conto?”

“Ci sono delle circostanze in cui… Scusa, davvero”

“Chi ti dà il diritto di fare una cosa del genere?”

“Non posso spiegarti tutto… Comunque non volevo spaventarti”

“Ma come hai fatto?”

“Non credo che vorresti saperlo”

“E invece vorrei”

“Ho chiesto a un mio amico che ha rintracciato il tuo cellulare con un programma, poi quando ero qui ho avuto la conferma che eri tu quando ti ho mandato quel messaggio e il tuo cellulare ha squillato…”

“Non so se essere più colpita o spaventata”

“Lo so, lo so. È solo che… è difficile da spiegare”

“E cosa ci hai guadagnato?”

"Intanto ho visto che non sei un uomo di cinquant'anni :)"

“Be’, io no, invece” risposi ripensando a quegli occhi azzurri e sorridenti. No, non era un maniaco cinquantenne, non con quegli occhi. Pazzo, forse, quello sì.

“Per farla semplice… dovevo… volevo vederti. Tutto qui”

“Tutto qui???”

“Ho già detto che mi spiace?”

“Non abbastanza”

“Posso ripetertelo davanti a una tazza di tè, magari domani?”

Non sapevo come ci riusciva, ma, ancora una volta, mi aveva lasciata con il fiato corto e senza parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Ok, lo ammetto: anch’io, come Catie (*.*), ho un enoooorme kink per i ragazzi con la voce roca da appena svegli… Sicchè.

Vi è piaciuto l’ingresso nella storia degli altri idioti? Quali altri idioti, qui non c’è nessuna boyband, solo un ragazzo della porta accanto di nome William, non so di cosa parlate.

Quanto mi odiate per aver lasciato ancora tutto in sospeso? Spero non troppo, io vi voglio bene! :P

Baci, Sum

P.S. Oh, oh, se siete così gentili da dirmi cosa ne pensate anche di altre tre cagatine cose che ho pubblicato nel frattempo (perché senza Ziam non si può stare: Untitled è una drabble senza senso, Nothing to fix è un po’ angst e sconclusionata, How He Speaks to the World è una flash che ho tradotto perché la AMO e mi fa piangere ogni volta che la leggo, ditemi se fa questo effetto anche a voi), vi lovverò per sempre. Non sentitevi obbligate, eh :)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Appuntamento ***


6. Appuntamento

Dal capitolo precedente:

“Posso ripetertelo davanti a una tazza di tè, magari domani?”

Non sapevo come ci riusciva, ma, ancora una volta, mi aveva lasciata con il fiato corto e senza parole.

 

Rimasi un attimo scioccata da quello che aveva scritto con tanta tranquillità e chiarezza. Come al solito.

Quindi voleva vedermi. Non potei evitare di sorridere. Ma io volevo vedere lui?

“Non lo so” risposi secca. Non sapevo davvero cosa pensare.

“Sai che insisterò finchè non dirai di sì…”

“Lo so, buona fortuna” digitai sarcastica.

La sua risposta si fece attendere più del solito:

“Catie, io scherzo. Se non vuoi non c’è problema”

Rimasi per un attimo spiazzata. Poi mi misi a rimuginare su quel messaggio, così dolce da essere disarmante. Quel ragazzo mi confondeva: sapeva essere la persona più fastidiosa e scocciante dell’universo, ma subito dopo si trasformava nell’essere più gentile e premuroso che avessi mai conosciuto. E, cosa che mi confondeva ancora di più, in entrambi i casi mi piaceva.

“Ci sentiamo domani, ok?” gli scrissi di getto. In quel momento volevo un po’ di tempo per riflettere senza i suoi messaggi o la sua voce che mi distraessero; nonostante questo, avevo sentito il bisogno quasi incontrollabile di mandargli quell’ultimo sms per accertarmi che ci saremmo sentiti il giorno dopo, che non era finita lì.

Per questo, quando arrivò la sua risposta, mi tranquillizzai immediatamente.

“Sì, a domani”

Mi sembrava di vederlo sorridere dolcemente, mentre realizzava che, sì, l’avrei perdonato.

***

«Sì, Cate, verrò con te all’appuntamento» disse la mia migliore amica con aria solenne.

Come al solito, ci eravamo incontrate al nostro bar preferito nel campus per colazione e avevamo riso del fatto che ci fossimo entrambe presentate in ritardo e con gli occhiali da sole sugli occhi, nonostante la giornata fosse ovviamente nuvolosa. Era quasi marzo, ma a Londra quell’anno il grigio non sembrava voler lasciare spazio alla primavera. Tra i cappotti pesanti e le sciarpe dei passanti, i nostri occhiali da sole stonavano; me ne rendevo conto, ma non avevo potuto farne a meno. Mentre Chelsea probabilmente li portava per motivi più che altro estetici – coprire occhiaie dovute alla baldoria della sera precedente -, a me erano necessari per ripararmi gli occhi dalla luce. Il motivo, ovviamente, era uno solo: la notte precedente non avevo dormito un secondo, ripensando alla proposta di FG. Non solo non sapevo se accettare – mentivo a me stessa, avrei accettato, se non altro per curiosità -, ma nel caso in cui l’avessi fatto… la cosa mi metteva agitazione solo a pensarci. Dopo la nottata insonne, quindi, mi ero decisa a chiedere consiglio alla mia migliore amica, ma, quando le avevo raccontato cos’era successo la sera prima, lei non si era nemmeno per un secondo soffermata sul problema “stalker” o sul fatto che potessi scegliere di non uscire con William. La sua opinione era stata che Liam, come ormai lo chiamava lei, facendo parte di una band famosissima non poteva permettersi di non controllare che la persona con cui avrebbe voluto uscire non fosse una fan impazzita o un mitomane. Non le avevo detto che il ragazzo con cui mi ero scontrata aveva gli occhi azzurri e non castani come Liam Payne (ebbene sì, avevo ormai imparato i loro nomi, a furia di sentirmeli ripetere), perciò lei continuava a essere convintissima della sua tesi.

Volevo tormentarla ancora un po', ma in realtà avevo già deciso che l'avrei portata con me. Un conto è messaggiare con uno sconosciuto, un altro incontrarlo di persona. Anche se aveva degli occhi limpidi e furbi e se dai suoi messaggi sembrava la persona più sincera e leale del mondo.

«Veramente nessuno te l’ha chiesto» risposi io alzando un sopracciglio, divertita.

«Sai cosa ti potrebbe succedere se ci vai da sola?» continuò lei con foga, nel tentativo di convincermi a portarla con sé. Dovevo trattenermi per non scoppiarle a ridere in faccia.

«Potrebbe essere un pazzo, un maniaco o peggio...» spalancò gli occhi per farmi presagire l’importanza della sua rivelazione «Potrebbe essere cesso!»

Risi forte, feci finta di pensarci su ancora un po’, mentre la guardavo agitarsi sulla sedia con la coda dell’occhio. Poi non ce la feci più e le dissi magnanima: «Vabbè, ti porto».

Con un’abile mossa riuscii a evitare con una risata l’abbraccio di slancio della mia amica, che quasi finì per terra. Guardai la sua espressione risentita ancora ridacchiando e per farmi perdonare le porsi il mio cellulare, contenente i messaggi che FG mi aveva mandato durante la notte, senza che io lo degnassi di una risposta. Chelsea cambiò subito atteggiamento e cominciò a leggere avida. Io quei messaggi li sapevo a memoria, visto che durante la notte li avevo letti e riletti all’infinito.

"Scusa, davvero. Sono stato un idiota"

"È che non mi è mai successo di parlare così tanto con una persona appena conosciuta... Be', possiamo anche dire mai conosciuta. Insomma, non mi era mai successo di avere così tante cose da dire."

"No, in realtà parlo spesso, ma quello che volevo dire è... Non so"

"Ah, forse nel messaggio di prima non l'ho detto, ma spero davvero che mi perdoni. Voglio continuare almeno a messaggiare con te"

Chelsea mormorò un «awwwww» intenerito mentre leggeva questo messaggio. E poi, per terminare in bellezza, gli ultimi, che mi avevano fatto molto ridere per vari motivi:

"Hazza, quello vero, dice che sono stato uno scemo.”

“Hazza dice di scriverti che ha ragione lui”

“E che ha detto che sono stato un coglione, non uno scemo”

“Ok, ha ragione lui. Dice anche che devo mettere via il cellulare e lasciarlo dormire. Sappi che se mi uccide sarà colpa tua, spero tu riesca a vivere con il rimorso"

Sorrisi sentendo la mia amica leggere questo sms. Lei mise giù il cellulare sul tavolo senza guardarmi negli occhi.

«Sento di avere delle cose in comune con questo Hazza» commentò pensierosa, sospettosamente tranquilla.

«Che cosa?» chiesi io, ingenuamente curiosa.

«Entrambi abbiamo dei migliori amici coglioni!» sbraitò quindi lei. Ah, adesso sì che la riconoscevo. Per buona misura, aggiunse anche: «Scrivi a quell’idiota, ORA!»

Ridacchiai, stranamente felice di quella sgridata e mi misi all’opera, componendo un messaggio:
"Ehi, sei ancora vivo?"
Guardai con la bocca spalancata la mia migliore amica bere il suo cappuccino alla goccia, intanto che aspettavo una risposta che ci mise poco ad arrivare. Mi accinsi a leggere mentre lei replicava alla mia occhiataccia con una scrollata di spalle e un «Sarà l’abitudine».

Distolsi lo sguardo scioccata e lo portai sul mio prezioso cellulare:

"Hazza mi ha risparmiato... E tu?"

“Io sono viva o io ti risparmierò?”

“Visto che mi stai scrivendo prenderò la prima risposta come implicita, quindi… la seconda…”
Sorrisi, ma non volevo ancora dargliela del tutto vinta subito, così facilmente.
"Non lo so, ci devo pensare ancora un po' di tempo…"

"Ok...”

“Ce li hai due o tre anni?”

“A quel punto sarò praticamente già un cinquantenne, così le tue paure si avvereranno”

“Guarda che quelle erano paure TUE”

“Giusto. Be’, ti prometto che se accetterai di uscire con me potrai portare tutti i libri che vuoi e io prometto che non li faró cadere"

"Mh, é un buon inizio"

Guardai di sbieco Chelsea che da qualche secondo si stava sbracciando per farsi notare da me. Mi fece segno di darci un taglio e darmi una mossa a concludere.

“Va bene” digitai con le mani che mi tremavano “Vediamoci”

Sorrisi a Chelsea che mi guardò incoraggiante e si sporse per tentare di leggere dal mio cellulare.

“Stasera?”

Chelsea annuì con fervore. Presi un respiro profondo. Avrei avuto l’ansia in ogni caso, quindi meglio non rimandare, no?

“Ok. Ma ci sono due condizioni: uno, vengo con un’amica”

“Non c’è problema, raccatto il primo idiota che trovo e lo porto con me”

Ignorai Chelsea che si era messa a tirarmi una manica e a dire concitatamente «Dì a Liam di portare Zayn, digli di portare Zayn!».

“Ok. Due, ci vediamo in un posto frequentato”

Chelsea, un po’ delusa dal fatto che non avevo citato il suo Zayn, mi fece il gesto del pollice alzato.

“È per via delle mie manie da stalker?”

“Sì!”

“Questo punto potrebbe essere un problema…”

Aggrottai le sopracciglia. Per fortuna che Chelsea si era distratta ed era ora intenta a specchiarsi in un cucchiaio: se avesse letto quel messaggio avrebbe ricominciato con le sue teorie balzane sui cantantucoli.

“Il fatto che sia un problema potrebbe essere un problema” risposi seria. Attesi qualche secondo in più del solito per la risposta:

“Ok, decidi tu il posto”.

***

Il Gordon’s Cafè era stranamente poco frequentato, quando quella sera alle nove precise io e Chelsea ci presentammo al suo ingresso. Tra il prevedibile ritardo della mia amica e il fatto che io ero pronta praticamente da tre ore, eravamo riuscite ad arrivare all’appuntamento in orario. Le mani e le gambe mi tremavano e sentivo il cuore battere nelle orecchie. In più, Chels lungo la strada mi aveva definita “più svampita del solito”, ed effettivamente notavo che ci mettevo più tempo e fatica del solito a mettere a fuoco il mondo che ci circondava.

Agitata com'ero, non sentii neanche la suoneria del mio cellulare che stava squillando probabilmente già da un po’ fino a quando Chelsea non mi diede una gomitata. Guardai lo schermo allarmata: numero sconosciuto. Misi da parte la mia fobia di parlare con estranei al telefono - poteva essere FG, in fondo - e risposi senza pensarci troppo.
«Pronto?»
«Pronto?» fece dall'altra parte una voce fin troppo profonda con uno strano accento, comunque non quella di FG «Catherine?»
«Si, sono io» risposi stranita.
«Sono Paul» disse quello come se quell’affermazione avesse dovuto chiarire tutto.
«Chi?» sbottai io dopo qualche secondo di silenzio.
«Pau... Ah! No! Lasciamo perdere!» disse la voce diventando leggermente più acuta.
«Ma come lasciamo perd...?» cercai di intervenire, scioccata, ma lui non mi lasció parlare e continuó con voce impostata: «Mi spiace avvisarla» disse con dei picchi acuti nella voce che mi fecero nascere qualche sospetto «che Lllll... William oggi non potrà essere presente al vostro app...»
Mentre spalancavo la bocca incredula, un po' sollevata ma in fondo immensamente delusa, un'altra voce più familiare intervenne in sottofondo dall'altro lato del telefono: «Niall! Che cosa caz...?»
Sentii dei rumori come di una specie di colluttazione, qualche risatina e un paio di brontolii. Poi, finalmente, la voce limpida di FG mi arrivó chiara all'orecchio: «Catie? Sei ancora lì?»
«Sì!» esclamai stupita e sollevata «Ma cosa...?»
«Arriviamo» disse lui risoluto e attaccó, ma feci in tempo a sentire la voce con cui avevo parlato prima esclamare: «Ahia!» per qualche motivo.

***

Quando io e Chelsea ci sedemmo all’interno del locale, ero un fascio di nervi. La chiamata di quel tipo non mi aveva di sicuro rasserenata, anche se per certi versi era una cosa divertente. William e il suo amico… Niall? erano ovviamente in ritardo, anche se solo di pochi minuti. A me, sembravano ore. Nel locale erano entrate poche persone in quel lasso di tempo, facendo suonare il campanello attaccato alla porta d’ingresso, ma nessuna di loro poteva essere FG.

Ad un certo punto, la porta si aprì ed entrarono due ragazzi, entrambi con berretti di lana calcati sulla testa nonostante la temperatura mite e gli occhi bassi. Stavo per scuotere la testa rivolta a Chelsea, quando il primo si diresse verso di noi e alzó il suo sguardo su di me, azzurro e sfrontato. Bello, azzurro e sfrontato.

«Cazzo.»

La mia migliore amica aveva espresso perfettamente quello che stavo pensando ma che non sarei riuscita a dire. Mi strinse forte una mano sotto al tavolo, guardando a bocca come me aperta quei due sedersi di fronte a noi. Lui intanto non lasciava i miei occhi con i suoi, lievemente preoccupati.

Lo sapevo, lo sapevo, avevo visto i suoi occhi, in fondo l'avevo riconosciuto dall’inizio, solo che per qualche motivo avevo continuato a negarlo a me stessa.

«T-tu...» riuscii a sbiascicare con gli occhi spalancati «Tu non sei Li... William»

«No» fece lui con un sorriso colpevole, avvicinandosi a me e abbassando la voce «Piacere, Louis».

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Scusate se posto solo ora ma sono stata distratta dalle foto di tomlinson in canottiera a Parigi dalla vita reale. Èvvero, il capitolo è più corto degli altri, ma volevo lasciare così il finale, con Louis che si presenta…

EBBENE Sì, È LOUIS! Vabbè, lo so che lo sapevate già tutte, volevo solo dare un po’ di rilevanza al fatto che ora lo sa anche Cate.

Volevo ringraziare qui pubblicamente LoveJulie perché la sua recensione al capitolo precedente ha ispirato lo scherzetto che Niall fa a Cate prima dell’appuntamento… spero che, citandola qui, non mi ucciderà per questo scherzetto che io ho fatto a voi. :P

Non ho avuto tempo per il banner, volevo pubblicare questo capitolo perché è passato del tempo dall’ultimo; è però probabile che io lo aggiunga nei prossimi giorni. Nel frattempo, accontentatevi di un Louis che ridacchia come un folletto/una fatina. Soooo cute *.*
Much love, Sum.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Carina ***


7. Carina

 

Dal capitolo precedente:

«T-tu...» riuscii a sbiascicare con gli occhi spalancati «Tu non sei Li... William»

«No» fece lui con un sorriso colpevole, avvicinandosi a me e abbassando la voce «Piacere, Louis».

 

Vedendo che non reagivo, aggiunse sorridendo: «Eh, mi capita spesso di lasciare le ragazze senza parole...»
Sbarrai gli occhi: «Brutto cretino!» esclamai ritrovando finalmente la voce e lo vidi sorridere quasi come se fosse... sollevato.
«Ehi, piano con gli insulti!» rispose lui con il solito sorrisino impertinente «Non saró bello in modo classico ma ho fascino da vendere, vero Niall?»
Il ragazzo alla sua destra annuì e mi fece un sorriso spensierato.
«Brutto...» iniziai di nuovo, incapace di dire o pensare altro.
«Niall», disse allora Louis più serio, senza smettere di osservarmi «ti va di portare... Chelsea a fare un giro?»
Quello annuì di nuovo senza dire una parola e si rivolse alla mia amica, porgendole la mano. Lei si alzó dalla sedia con uno sguardo allucinato e la sentii borbottare, mentre si allontanava con il biondo: «M-ma ma ma...»
La mia attenzione era peró tutta su Louis. Si ricordava il nome di Chels anche se gliel'avevo forse nominata un paio di volte, e la cosa mi sconvolgeva ancora di più, complice il fatto che ero già senza parole per tutto il resto. 
Louis - non Liam, non William, non FG, Louis - aspettó che i nostri amici fossero usciti dal locale, poi si tolse il berretto guardandosi intorno con circospezione e si sistemó i capelli con le mani, in realtà riuscendo solo a spettinarli di più.
«Lo so, sei arrabbiata» inizió serio «ma ho pensato che già lo eri per la storia dello stalking, quindi tanto valeva farti arrabbiare ancora di più!» sorrise impertinente a metà tra il divertito e il colpevole «Via il dente, via il dolore, no?»

Ritornó pensieroso e guardó in aria per un momento «Ugh, odio i proverbi, non so nemmeno perchè l'ho detto... »
Mi venne da sorridere per la sua parlantina veloce e nervosa e per tutte le diverse espressioni che erano apparse sul suo volto in così poco tempo, ma mi sforzai di rimanere impassibile. Non sapevo ancora cosa fare, cosa dire, come comportarmi. Louis Tomlinson. Oh.
«Comunque» ricominció inchiodando di nuovo gli occhi ai miei, forse per far passare meglio il messaggio. Non ebbe molto successo, perchè l'effetto fu quello di darmi un capogiro.
«È che...» ricominció, cercando con cura le parole «volevo conoscerti un po' prima di dirti chi ero».
Feci fatica a comprendere bene le sue parole. La linea dei suoi zigomi e il colore dei suoi occhi mi distraevano non poco. In più, avevo sempre avuto un debole per i ragazzi spettinati.
Sbuffó piano e continuó come se stesse parlando tra sè e sè «Quando sei famoso tutti vogliono diventare tuoi amici, non sono mai sicuro se gli altri siano interessati a me o alla fama e non sai quante volte ho dovuto...» prese un respiro e tornó a guardarmi «Scusa, sto divagando. Il punto è che era più semplice che tu non lo sapessi» scrolló le spalle «Ora invece il punto è: mi perdonerai?»
Alzó lo sguardo su di me e mi sorrise, con quel sorriso che, ora capivo perché, faceva sciogliere migliaia di ragazze. Era vero, come aveva detto lui non aveva una bellezza classica, ma piuttosto particolare. I suoi occhi sembravano essere in grado di bucare le superfici, avevano una luce brillante e intelligente; i suoi lineamenti fini gli conferivano un’aria forse severa, ma lo sguardo da mascalzone e i capelli disordinati contrastavano con questa prima sensazione. Tutto in lui era particolare e la combinazione era… bella. Semplicemente bella. Non trovavo un'altro modo per definirla. Non stava fermo un attimo mentre parlava, le dita sottili che torturavano un pezzo di carta trovato chissà dove; nonostante peró fosse palesemente iperattivo di norma e particolarmente nervoso in quel frangente, tutto in lui rifletteva un senso di serenità, di fiducia, di purezza. Persino la voce non aveva nulla di comune. A volte era acuta, a volte roca, quasi sempre adorabile. E già adoravo il suo strano accento e l’intonazione che dava alle frasi, soprattutto quando iniziava a parlare con più foga. Mi resi conto che da era da quando avevo visto per la prima volta le fotografie degli One Direction che avevo iniziato a sperare che Fidanzato Geloso fosse lui. E che, nonostante mostrassi di ignorare gli indizi, in realtà li avevo colti quasi tutti, solo che non li avevo voluti mettere insieme, forse per paura.
Lo osservai mentre distoglieva per un attimo l'attenzione da me e richiamava quella della cameriera, come se niente fosse subito dopo avermi chiesto se l'avrei perdonato, forse per rimandare un rifuto. Deglutendo mentre lo guardavo, pensai che nessuno poteva avere un profilo così perfetto.
Anche per questi motivi, oltre che per la sorpresa di trovarmi lì davanti quel tipo dispettoso e incredibilmente famoso invece dello sconosciuto stalker William, mi fu difficile concentrarmi su quello che aveva detto. L’avrei perdonato? Lo conoscevo da pochi giorni e già aveva due cose di cui farsi perdonare. E se fosse stato un suo vizio? Il suo sorriso impertinente era forse indice del fatto che di lui non ci si potesse fidare?
Non ero mai stata una di quelle persone che si lasciano andare subito, che si aprono con chiunque, che hanno fiducia nel prossimo. E la cosa peggiore è che non avevo nessuno motivo per essere così guardinga e sospettosa: semplicemente faceva parte del mio carattere. Avevo bisogno di prove concrete. Non ero come Chelsea, ad esempio, che nonostante avesse dovuto affrontare molto più prove di me nella sua vita, si buttava a capofitto in tutto, era capace di lanciarsi senza pensare e anche se a volte si faceva male, si rialzava subito dopo, più forte di prima. Avrei tanto voluto essere così, ma la mia natura prudente e razionale non me lo permetteva. E poi, piccolo particolare, non pensavo di essere altrettanto forte da potermi rialzare dopo una caduta.
«Dove te ne sei andata?» mi chiese finalmente Louis che, mentre mi perdevo nei miei pensieri, doveva essere stato lì a osservarmi, così come stava facendo in quel momento, con un mezzo sorriso divertito sulle labbra e lo sguardo curioso. Non avevo neanche sentito cos'aveva detto alla cameriera, essendo così concentrata a riflettere tra me e me.
Aprii la bocca per ribattere ma lui mi precedette: «Te l'avevo detto io che sei una di quelle persone che si perdono nei propri pensieri!» di nuovo non mi diede il tempo di intervenire: «Allora... Cosa ne pensi?» disse con un sorriso che gli faceva increspare gli occhi.
Lo guardai ancora sbalordita. Ero arrabbiata, confusa, felice e ancora confusa. Non sapevo più cosa fare, dire, o pensare. Da un lato avrei voluto prenderlo a schiaffi, dall'altro sarei stata felice di toccarlo, finalmente, e di abbandonarmi tra le sue braccia che sembravano così accoglienti, piene di calore come i suoi occhi e come lui.
«Penso che» iniziai titubante, senza sapere come avrei terminato la frase «avresti almeno potuto pettinarti».
Squadrai per un momento i suoi capelli studiatamente disordinati, il ciuffo laterale che quasi gli copriva tutta la fronte e poi aprii la bocca sorpresa, come se non avessi detto io stessa quelle parole. Cosa mi era saltato in testa? Avevo completamente perso la ragione? Che cosa c'entravano adesso i suoi capelli? E insultarlo mi sembrava il modo migliore per iniziare un primo appuntamento? E se fosse stato l'ultimo?
Una risata fragorosa interruppe i miei pensieri; mi voltai verso la parte da cui proveniva e notai che Chelsea e Niall si erano fermati appena fuori dalla porta del bar, evidentemente per spiare ogni nostra mossa. Vidi Chelsea dare una pacca sul braccio al ragazzo ancora piegato in due dal ridere e quello lamentarsi debolmente tra i sogghigni, solo per essere redarguito da parole sibilate dalla mia amica che non riuscivo a sentire, ma di cui intuivo il significato dalla sua espressione. 
Nel frattempo, mi ero dimenticata ancora una volta di Louis. Mi voltai verso di lui contrita e trovai i suoi occhi azzurri spalancati e seri intenti a osservarmi. Per qualche secondo ancora sostenne il mio sguardo, poi si lasció andare a una risatina che diventó sempre più forte, durante la quale riuscì a sbiascicare: «Tu... non sei normale... Catie!»
Fu quel suo modo di chiamarmi che fece breccia nella mia apatia post-traumatica. Il modo in cui lo pronunciava mi faceva tremare le gambe ancora di più di persona: era come se gli occhi gli si addolcissero mentre lo diceva. Riuscii perlomeno a ridacchiare in modo meccanico, il che dovette far pensare a Niall e Chelsea che fosse il momento giusto per rientrare nel locale. La mia amica prese posto di fianco a me osservandomi ancora lievemente scioccata e preoccupata, mentre Niall si metteva di fronte a noi, a lato di Louis. Quando scese il silenzio, fu proprio lui a rompere il ghiaccio: «Cosa avete ordinato di buono? Ah, a proposito, io sono Niall!» disse allungando una mano verso di me con aria socievole.
«Ah, pensavo tu fossi Paul!» sbottó Louis sarcastico lanciandogli un'occhiataccia e dandogli una gomitata.
«Oh...» inizió lui sempre rivolto a me, mentre gli stringevo la mano debolmente «Ehm, a proposito... Scusami per l'incidente...»
«Incidente!» saltó su Louis con gli occhi sbarrati.
Niall mandó gli occhi al cielo: «... Per lo scherzo di prima...»
Mi sembrava così carino e innocente che non potei fare a meno di sorridergli e di tranquillizzarlo: «Non importa, non ti preoccupare...»
Louis alzó un sopracciglio: «Ah, è così? Lui viene perdonato subito perchè ha questi occhioni...» disse indicandoli e mettendo quasi le dita negli "occhioni" del biondo «questo sorrisone da cinquenne e quel suo maledetto accento "adorabile"?» chiese con foga rivolgendosi a me. Poi borbottó tra i denti «Stupido irlandese...» con gli occhi rivolti al cielo, ma l'altro non sembró prendersela, anzi rise lievemente, divertito. 
«Sì, be'» iniziai recuperando un po' della mia sanità mentale «Lui non ha fatto finta di essere un persona che non er... Ehm». Mi bloccai, ricordandomi che era esattamente quello che il biondo aveva fatto.
«Qualcosa che non va?» mi chiese Louis ironico «Stavi per caso dicendo qualcosa?»
«Ok, forse non era l'esempio più adatto» borbottai fintamente risentita, ma in fondo divertita da Louis.
Tutti gli altri, compresa Chelsea, scoppiarono a ridere, vedendomi più serena.
«Be', cosa avete ordinato, quindi?» chiese alla fine Niall, a cui a quanto pareva quell'argomento stava molto a cuore. Louis sorrise guardandomi con una luce strana negli occhi: «Io ho ordinato solo per noi due...»
Oh, quindi aveva ordinato anche per me e io neanche me ne ero accorta? Ottimo lavoro, Cate!
«Che cosa?» chiedemmo io e Niall insieme, ugualmente curiosi e ignari.
Louis ridacchió: «Per me un té e per Catie, ovviamente, un caffè» mi sorrise come un bambino, fiero di sè «Ho chiesto loro se potessero sbavare la tazza di rossetto, ma la cameriera non ha voluto sentire ragio...»
Non riuscì nemmeno a finire la frase che il suo berretto di lana che aveva lasciato sul tavolo gli arrivó dritto in faccia. 

***

«Dai, dillo, lo so che ti stai trattenendo da troppo tempo» dissi rivolta a Chelsea con un sorriso a trentadue denti. Era da tempo che non sorridevo così.

«No, cosa, non so di cosa tu stia parlando…» fece lei stupita, ma non ci cascai nemmeno per un secondo.

«Avanti, fallo ora che non ci sono… Ti sto dando il mio permesso» continuai. Loui s e Niall – Dio, quanto era strano – erano andati a pagare alla cassa, mentre io e Chelsea eravamo uscite dal locale ad aspettarli.

Era stata una serata strana: dopo l’inizio turbolento, avevamo passato un’ora circa a ridere e scherzare tutti insieme, come se fossimo vecchi amici. E se questo per Chelsea era praticamente una cosa normale, visto il suo carattere aperto e solare, non lo era altrettanto per me. La mia amica e Niall erano stati con noi tutto il tempo e, se da un lato mi faceva piacere essere in compagnia, dall’altro ero leggermente delusa di non poter stare sola con Louis. D’altro canto, non sapevo se avrei retto sotto il peso di quegli occhi senza avere una via di fuga. Anche così, mentre parlavo e ridevo, lo vedevo di tanto in tanto scoccarmi occhiate di sbieco, come per studiarmi e per un attimo mi mancava il respiro.

Alla mia frase, gli occhi della mia amica si illuminarono e finalmente questa si lasciò andare, forse vedendomi così serena, ed esclamò: «Io lo sapevo! Lo sapevo! L’ho sempre saputo che era uno degli One Direction! Lo sapevo! Te l’avevo detto!» prese un respiro dopo aver trattenuto il fiato per tutta la durata di quello scoppio e concluse ancora più trionfale: «Avevo ragione!»

Sospirò e il suo tono di voce tornò a livelli normali: «Aaaaaah, grazie, ora sto meglio!»

Scoppiai a ridere: «Sì, Chels, avevi ragione tu. Sono ancora sconvolta da questo ma ti chiedo scusa per aver dubitato di te».

Lei ignorò il mio commento e sorridendo mi fece segno di lasciar perdere con la mano: «Ti perdono», replicò magnanima. Poi spalancò gli occhi e riprese con voce acuta: «Però che cosa assurda! Lì dentro ci sono Louis Toml…»

Le tappai la bocca con una mano guardandomi attorno circospetta. Fortunatamente non c’era nessuno. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era un’orda di fan impazzite che mi portasse via Lo... cioè, che creasse caos nel campus.

«Sì, Chelsea, è assurdo» sorrisi sincera «però evitiamo di essere uccise almeno per oggi, ok?» le dissi mentre ancora le tenevo la mano sulla bocca. Lei sembrò capire e annuì mesta, con gli occhi che comunque le brillavano.

Proprio in quel momento i ragazzi uscirono dalla porta del locale, sorridenti come al solito, trovandoci in quella posizione compromettente. Lasciando andare Chelsea, notai però che Louis aveva un’espressione meno gioiosa di Niall e appena si fermarono di fronte a noi due mise le mani in tasca e prese a fissarsi i piedi.

«Be’» iniziai io notando il momento di silenzio e imbarazzo «immagino che dobbiate andare, ora».

Niall stava per rispondere, poi però si girò verso Louis che aveva alzato appena gli occhi su di me e aspettò la sua risposta: «Ehm, sì, forse non è il caso di sfidare la sorte ulteriormente…» disse questo a bassa voce.

«Strano che non ci abbia riconosciuto nessuno, eh?» chiese Niall allegro «Non che non mi piaccia essere riconosciuto, ma è stato carino passare una serata normale». Sorrise di nuovo e posò lo sguardo su Chelsea un attimo di troppo, arrossendo impercettibilmente. Sorrisi anch’io, pensando che sembrava impossibile che un ragazzo così carino e alla mano fosse una popstar internazionale, eppure eccolo lì, davanti a me.

Quello che mi distolse dai miei pensieri fu un tocco caldo sulla mano; quando mi girai, mi accorsi che Louis si era sporto verso di me e mi aveva preso la mano con la sua, tirandomi con delicatezza verso di sé.

«Possiamo parlare un attimo?» sussurrò con un tono serio e... come triste che non mi avrebbe permesso di negargli assolutamente niente. Annuii, ancora stupita dal suo gesto e dai suoi occhi meno luminosi di prima; lui fece un mezzo sorriso agli altri due, mormorando uno «Scusate» e facendo quello che mi sembrò un occhiolino in direzione di Niall.

Poi, sempre tenendomi per mano mi condusse in realtà poco lontano da loro, in mezzo a una delle aiuole del parco che costeggiava tutto il campus, vicino ad una betulla con qualche gemma che già si faceva notare tra le foglie di un verde brillante. Quando ci fermammo, lo guardai in attesa di sapere cosa volesse dirmi, mentre il cuore mi batteva sempre più forte e la mente viaggiava tra tutte le possibili cause del suo cambio d’umore. Lui alzò gli occhi su di me e, lasciandomi la mano, mi sorrise impacciato.

Tutto mi sarei aspettata tranne di vederlo in imbarazzo.

«Catie» iniziò tornando a guardare l’erba sotto le sue Toms. Quel nomignolo mi fece ovviamente arrossire, ma cercai di non darlo a vedere.

«Volevo ancora chiederti scusa per la storia dello stalker» iniziò, come se si stesse levando un peso dallo stomaco «So che dev’essere stato strano per te, ma… Sono un personaggio pubblico, per quanto la cosa mi dia sui nervi a volte…» riprese a guardarmi, tornando finalmente agguerrito e sereno come sempre. Be’, come in quei pochi giorni in cui l’avevo conosciuto.

«Insomma, dovevo accertarmi che tu non fossi… che non fosse… uno scherzo, o non so cos’altro…» concluse confuso, passandosi una mano tra i capelli. Forse la storia della fama gli pesava più di quanto desse a vedere. Per uno sincero e schietto come lui non doveva essere facile scendere a patti con quello che il mondo voleva vedere in lui.

«Non ti preoccupare» presi a dire per tranquillizzarlo, chissà perché. Non ero io quella che avrebbe dovuto essere tranquillizzata? «Lo capisco. Insomma, ora lo capisco». Calcai sulla parola “ora” per fargli notare l’altra sua piccola mancanza, cioè il non avermi accennato che era uno degli One Direction, nonché una delle persone più famose della Gran Bretagna. Forse persino del mondo. Lui rise di gusto mettendo le mani davanti a sé come per ripararsi dalle mie parole: «Ok, hai ragione, scusa anche per quello».

Poi spalancò gli occhi azzurrissimi su di me e continuò: «Allora… a parte la, ehm, sorpresa, com’è andata la serata?»

Rimasi per un attimo sbigottita: non mi aspettavo proprio quella domanda da lui. Sorrisi e annuii: «A parte che non mi hai ancora chiesto scusa per non esserti pettinato… direi bene!»

Lui sbuffò divertito e mi guardò da sotto in su con aria impertinente: «Se avessi dovuto sistemarmi i capelli sarei arrivato con almeno un’ora di ritardo!» rise, e io lo seguii a ruota. Mi piaceva troppo vederlo felice, non riuscivo a pensare ad altro.

Fu allora che una forte risata femminile che mi era familiare ci interruppe; ci voltammo entrambi verso la direzione da cui proveniva e notammo Chelsea che rideva come una bambina dando pacche sulla spalla a Niall che se ne stava lì a prenderle, sorridendo orgoglioso. Mentre ancora li stavamo osservando, Louis mormorò poco distante da me: «Mi sa che a Niall piace la tua amica…»

Non mi ero accorta che i nostri visi fossero così vicini, così sobbalzai, cercando subito dopo di camuffare la mia reazione e ritrovare un po’ di contegno: «Che novità…» dissi sarcastica, senza però suonare acida.

«Cosa vuoi dire?» chiese lui con un sopracciglio alzato.

«Chelsea piace a tutti» dissi semplicemente, sorridendo con una punta di orgoglio «Basta guardarla» continuai osservando i capelli chiari della mia amica muoversi con il vento mentre lei cercava di ritrovare il respiro, appoggiata con noncuranza a Niall con un braccio. Il biondo era chiaramente rapito dal sorriso smagliante di lei. Ero così intenta a osservare la scena che quasi non mi accorsi che Louis non aveva spostato gli occhi da me per tutto il tempo.

«E tu?» chiese con la voce più bassa e roca di prima.

«E tu cosa?» replicai senza capire. Louis era troppo vicino e la sua voce mi confondeva le idee. Inoltre, riusciva alle volte a essere anche più contorto di me.

«E tu a chi piaci?»

Non potei fare a meno di aprire la bocca e rimanere immobile come un’ebete, mentre speravo che le guance non mi andassero a fuoco. Speranza vana. Ancora una volta, non sapevo cosa dire, fare, pensare. Mi lasciava letteralmente senza parole. Stavo per replicare borbottando una risposta su come non piacessi a nessuno, quando Louis mi sorrise e mi prese di nuovo la mano, stavolta indugiando un po’ di più come per chiedere il mio permesso.

«Torniamo da loro?» chiese sommessamente e senza aspettare una mia risposta iniziò a camminare nella direzione dei ragazzi, osservandomi di tanto in tanto di sottecchi e sorridendo tra sé e sé.

Bene, almeno lo facevo ridere.

***

Riuniti agli altri due, ci eravamo salutati senza troppi convenevoli e in modo piuttosto imbarazzato, dopodichè loro erano saliti su una limousine comparsa dal nulla – Niall era ovviamente uscito dal tettuccio per salutarci ed era poi stato tirato dentro in malo modo da Louis - e Chelsea era se n’era andata a casa con la sua macchina, dopo avermi chiesto mille volte se avessi bisogno di parlare. In realtà, come le dissi, volevo solo rimanere sola un po’ con i miei pensieri, respirare, finalmente.

Mi misi a camminare per il sentiero rischiarato dai lampioni che conduceva al mio appartamento, quando un trillo familiare risuonò nel silenzio. Tirai fuori il cellulare dalla tasca e vidi il nome di FG. Ora potevo anche cambiarlo con il suo vero nome, pensai con un sorriso, mentre aprivo il messaggio.

“Scusa se quella domanda ti ha messo in imbarazzo” diceva.

“Continui ad avere cose per cui chiedere scusa”

“Lo so, non ho resistito, ma era come immaginavo…”

“Cioè?”

“Sei troppo carina quando ti imbarazzi”

Carina? Ero carina? Insomma ero buffa, lo facevo ridere, ok, avevo capito, non c’era bisogno di insistere!

“E pensare che avevo appena cambiato opinione sul fatto che tu non fossi uno stronzo!” risposi di getto, forse un po’ delusa e irritata dalla sua percezione di me.

“Avrei tanto voluto abbracciarti”

Mi fermai, incapace di continuare a camminare. Un pugno nello stomaco forse mi avrebbe permesso di respirare meglio di quanto fece quel messaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Be’, direi che mi sono fatta perdonare le cattiverie dello scorso capitolo, no? Questo l’ho postato prima del solito (circa), è più lungo del solito, descrive l’appuntamento e, anche se non fa tanto ridere, c’è tanto Louis (che “non è bello in modo classico ma ha fascino da vendere”)!!! Ed è questo l’importante, SEMPRE. :P

Certo, il titolo del capitolo (come quello della storia!) lascia moooooolto a desiderare, ma vabbè. Si sa che in quello faccio schifo.

E poi ho messo il banner in cui Lou ride come la fatina che è (e, cioè, c’è pure il biglietto con il numero di Hazza. Che NON è il vero numero di Hazza lol). Non potete non perdonarmi. Che altro dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto, se sì fatemelo sapere, se no fatemelo sapere, se boh… fatemelo sapere! Intanto ne approfitto per ringraziare tutte coloro che commentano (vi adoro) e tutti quelli che leggono e preferiscono, ricordano, seguono (siete tantini!).

Poooooi. Ho preso quest'abitudine di rispondere alle recensioni quando posto il nuovo capitolo, così da non rispondere dal cellulare, e intanto di volta in volta ne approfitto per avvisarvi che il nuovo capitolo è stato postato... Fatemi sapere se vi disturba che smetto ;)

Vado a vedermi un altro po’ di video Ziam, che fa sempre bene :) Baci, Sum

P.S. Intanto siccome il capitolo vede un po’ di Louis+Niall vi dono un po’ di Nouis reale che ho giffato oggi, tiè.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. Lost ***


8. Addicted & lost



Quella notte non dormii, ovviamente.

Dopo aver incontrato Louis per la prima volta, mentre ero lì, di fronte a lui, e potevo godere della sua compagnia solare e sorniona, tutti i miei pensieri si erano fatti un attimo da parte, perché potessi godermi il momento. Non appena la serata era terminata e lui se n’era andato, però, le mie solite mille preoccupazioni mi erano crollate addosso come una frana. È al momento della calma dopo la tempesta che tutto riaffiora sulla superficie.

Non riuscivo a dormire, no.

La mia mente era un turbinio di pensieri, emozioni, ricordi di tutto quello che era successo in quei pochi giorni. Stavo sdraiata sul letto al buio fissando il soffitto e non riuscivo a mettere ordine in tutto quello che era successo in quei pochi giorni. Appena provavo a chiudere gli occhi vedevo i suoi, di un azzurro quasi innaturale, sorridenti. Mi sembrava impossibile che fosse con quegli occhi che, solo poche ore prima, aveva guardato me. Quando li riaprivo, però, il fatto che Louis mi avesse mentito era il pensiero scritto a lettere maiuscole nella mia mente tra tutti gli altri, insieme al fatto che aveva fatto lo stalker e che… be’, che mi piaceva un po’ troppo per essere uno che conoscevo da pochi giorni, per di più neanche per quello che era realmente. Mi aveva anche parlato un po’ della sua vita, di sfuggita in qualche messaggio, e ormai mi veniva da dubitare di tutto ciò che mi aveva detto. Non mi preoccupava tanto che mi avesse mentito sul suo nome: quello lo potevo anche capire, era una popstar e non poteva rivelarlo a una sconosciuta qualsiasi. Questo voleva dire che per lui non ero più una sconosciuta? O che non ero più una sconosciuta qualsiasi? Certo che lo ero. Soprattutto, in quel momento, ero una sconosciuta confusa. Il punto era che, se aveva mentito così tranquillamente su una cosa, avrebbe potuto farlo su tutte le altre. Suo padre se n’era davvero andato quando era piccolo come aveva detto? Davvero sua madre e il suo patrigno avevano appena divorziato? Harry era davvero il suo migliore amico? E si chiamava veramente Harold?!? Davvero lui odiava le carote?

Non sapevo più cosa pensare, di nulla.

Poteva essere tutto falso. Il ragazzo al quale in quei pochi giorni, lo dovevo ammettere, mi ero affezionata così tanto, forse non esisteva. Era vero, quella sera l’avevo visto, in carne e ossa, ma ero ancora troppo sconvolta per capire cosa fosse reale e cosa no.

Erano le cinque di notte, ormai, quando non ne potei più di rimuginare e, con la mente ancora piena di pensieri che ronzavano e giravano in cerchio senza arrivare da nessuna parte, gli scrissi un messaggio.

“Ho bisogno di digerire il fatto che mi hai mentito sul tuo nome, su chi sei, su… tutto”

Presi un respiro profondo e aggiunsi “Dammi un po’ di tempo”

Forse era sveglio, forse era stato svegliato dal mio messaggio, ma una decina di minuti dopo mi arrivò la risposta:

“Non ho mentito su tutto, solo sul mio nome. Comunque, prenditi il tuo tempo. Non troppo, però: Harry odia quando sto tutto il tempo a fissare il cellulare in studio, invece di cantare ;)”

Riuscii quasi a percepire la tristezza insita in quel messaggio, così diversa da quella sensazione di ironia spensierata e impertinente che lui di solito mi trasmetteva, anche se in soli 160 caratteri.

Non risposi e rimasi a fissare l’alba che penetrava attraverso le persiane e si rifletteva sul soffitto chiaro della mia stanza.

***

Non ero mai stata una che diventa facilmente dipendente da qualunque cosa. Bevevo caffè, certo, ma ne avevo bisogno solo per svegliarmi la mattina, per il resto della giornata potevo anche farne a meno… all’incirca. Perlomeno prima di FG, quando dormivo almeno sei ore a notte, invece di due o zero.

Insomma, non fumavo, bevevo moderatamente e solo in compagnia, non mi drogavo... Be', una sera qualche anno prima io e Chelsea avevamo provato a fumare una "sigaretta divertente" come l'aveva chiamata sua fratello Danny che ce l’aveva procurata, in effetti. Il risultato era stato che avevamo passato tutta la serata in camera sua a giocare a scarabeo ridendo come delle pazze. Non l'avevamo mai più fatto, perché io e lei ridevamo sempre come delle pazze comunque.

Quindi, non avevo mai provato la dipendenza e di conseguenza nemmeno l'astinenza vera, quella che ti fa sudare freddo e battere il cuore troppo veloce.

Quella mattina, quando mi svegliai, mi venne da pensare che durante la notte un camion fosse entrato nella mia stanza e mi avesse investito. Cosa poco probabile, d'altra parte, ma la sensazione era quella. Se per i primi secondi dopo il risveglio non mi ricordavo nemmeno dove fossi, per fornirmi il primo pensiero della giornata la mia mente andò subito a pescare un ricordo della serata precedente, precisamente quello in cui scrivevo a Louis che avrei avuto bisogno di tempo per perdonarlo.

Per tutta la giornata non feci altro che cercare di seguire le lezioni senza successo, controllando inutilmente il cellulare ogni secondo, trattenendomi dallo scrivere io per prima un messaggio a Louis, maledicendomi perché ero così debole da non riuscire a rimanere senza i suoi sms e le sue chiamate nemmeno per mezza giornata. Ormai ero totalmente dipendente da lui e dal modo in cui mi faceva sentire, dal modo in lui stesso era, e disintossicarmi non sarebbe stato facile.

Per distogliere la mente da tutto questo, da quello che avevo fatto e anche per evitare di darmi della stupida ogni due secondi, decisi che quella sera sarei andata con Chelsea a una festa nel campus alla quale era stata invitata. Non lo facevo spesso, ma mi convinsi che la confusione e la musica ad alto volume avrebbero potuto sovrastare il ronzio continuo dei miei pensieri.

Fu dopo tre cocktail bevuti da sola in un angolo da sola nei primi dieci minuti in cui ero alla festa che decisi che non era stata una grande idea. Chelsea era chissà dove con chissà chi e io non le volevo letteralmente rovinare la festa, perciò mi ero messa un po’ in disparte, lasciandola al suo destino. Ok, forse l’avevo subito seminata mentre sgomitavamo tra la folla per entrare nella sala gremita della casa della confraternita, convinta che senza di me si sarebbe potuta divertire molto di più.

«Cate?!?» sentii dire dietro di me una voce maschile a dir poco stupita. Ok, non c’era bisogno di usare quel tono: non era così strano vedermi a una festa. Mi voltai con il mio drink saldo in una mano e l’aria truce. Appena vidi chi avevo davanti mi rasserenai un po’ e mi aprii in un sorriso: «Charlie!»

Era probabilmente una delle poche persone che avrei voluto con me in quel momento. Era così carino, gentile, innocuo …vero! e onesto!, che avrei voluto abbracciarlo. Lui non avrebbe mai detto di chiamarsi Jacob o Nathan quando si chiamava… come si chiamava? Forse gli ultimi due cocktail non erano stati una buona idea.

Il ragazzo con gli occhi verdi – Charlie! -, che prima sembrava spaventato dalla mia espressione, mi sorrise di rimando: «Sei da sola?»

Inarcai un sopracciglio, o perlomeno ci provai: «Uhm, c’è Chelsea da qualche parte, ma…» iniziai per lasciare la frase in sospeso. Stranamente, invece di chiedermi ulteriori spiegazioni sulla ragazza dei suoi sogni, lui mi osservò stranito e lievemente preoccupato: «Tutto bene?» chiese dolcemente.

Scossi la testa, mentre gli occhi mi pungevano. L’alcol mi faceva brutti scherzi, ora rischiavo pure di piangere davanti a tutti.

«Posso fare qualcosa?» mi domandò mettendomi una mano sulla spalla. Mi guardò con gli occhi chiarissimi nel modo più sincero del mondo. Sorrisi e annuii piano.

«Vai a cercare Chelsea» gli dissi facendogli l’occhiolino mentre cercavo di allontanarmi barcollando lievemente «e divertiti!» gli urlai dietro buttando le braccia al cielo.

Proprio in quel momento, mentre mi dirigevo chissà dove tra la folla, nel frastuono risuonarono le note iniziali di una canzone che mi sembrava familiare. Mi fermai, assottigliando gli occhi e tendendo le orecchie, fino a quando non la riconobbi… Live While We’re Young. Quello fu il mio segnale per uscire da quel posto tremendo. Be’, forse non era il posto tremendo, forse ero io a esserlo.

Feci appena in tempo a mettere un piede fuori dalla grande finestra che dava sul terrazzo, quando il mio cellulare iniziò a suonare. Le mani, tra alcol e agitazione – chi poteva essere? – mi tremavano così tanto che ci misi qualcosa come cinque squilli a localizzare il telefono nella borsa, estrarlo senza farlo cadere e rispondere affannosamente.

«Pro-on-to»

«Stai correndo?» disse confusa la voce maschile al di là della cornetta.

«Cosa caz…?» borbottai.

«Cate?» chiese la persona dall’altro lato.

«Sì», risposi spazientita, in parte perché, no, non era la voce di Louis. Ma cosa volevo? Non gli avevo chiesto io di darmi del tempo? Avrei forse voluto che non lo facesse?

«Chi parla?» chiesi nervosamente.

«Sono Niall!» rispose quello allegro.

Oh. Be’, non ci ero andata troppo lontano. E, no, non era affatto strano che uno degli One Direction mi stesse chiamando.

Peccato che fosse quello sbagliato.

«Maledetto illudit… illusionist… illu…» mugugnai mentre mi appoggiavo alla balaustra del terrazzo a causa di un capogiro.

«Come?» chiese lui con la voce limpida.

«Niente, ehm, ciao, discevo. Come mai mi sciami?» sbiascicai dimenticando qualche lettera e aggiungendone qualcuna di troppo.

«Sei ubriaca?» fece lui lievemente preoccupato e molto divertito.

«Gno» mi schiarii la voce «Gnnn… No».

«Uhm, ok… be’ io… volevo sapere come stava Chelsea…» replicò lui incerto.

«Sul serio?» dissi io stupita, raddrizzandomi di colpo.

«No».

Signore e signori, Niall Horan, bugiardo professionista. «Ho il suo numero se volessi chiederle come…»

Il che mi faceva venire in mente…

«Niall…» dissi spazientita dalla sua incapacità di arrivare al punto.

… un altro bugiardo…

«È Louis» disse dando finalmente un nome ai miei pensieri, cosa che mi fece sobbalzare lievemente.

«Mi ha parlato di quello che è successo...»

«Cioè del fatto che mi ha mentito?» ribattei ironica.

«Sì, be'... Di tutto. E del tuo messaggio, ieri notte» sospirò e stette in silenzio per qualche secondo «È un bravo ragazzo, sai? Può sembrare uno stupido idiota, un coglione e qualche volta anche uno stron…»

«Niall!» lo ammonii sfregandomi le mani sulle tempie e lui ridacchiò facendo sorridere anche me: «Scusa, è che sono irlandese!»

«Il punto, Niall!»

Diavolo, quel ragazzo si distraeva più facilmente di Chelsea.

«Ah, sì. Sembra… ma non lo è».

«Lo so» mi sfuggì «Cioè… sembra così anche a me. Ma perché mi stai disce… dicendo questo?»

«È strano per me vederlo così... Giù. È sempre felice, di solito. È quello che fa casino per tirare su di morale gli altri. Non abbiamo mai dovuto tirare su di morale lui, non sappiamo cosa fare».

«Mi sembra che siete tutti adulti  e vaccinati… be’, a parte Harry» ridacchiai. Decisamente non avrei più bevuto.

«Stai evitando l’argomento» disse lui schiarendosi la voce dopo aver ridacchiato sotto i baffi «Noi non ci possiamo fare niente, ma tu sì» aggiunse risoluto.

«Io non…»

«Chiamalo» disse imperativo. Maledetto irlandese. Ma nessuno in quella band si faceva gli affari propri?

«Ma nessuno in questa band si fa gli affari propri?»

Ops. Per il momento potevo dire addio ai filtri che avevo tra cervello e bocca.

«No», disse lui serio «una volta che hai dormito con i piedi di qualcuno sulla tua faccia il legame che si stabilisce è fortissimo» aggiunse, ridacchiando poi in modo contagioso.

Mi trattenni e cercai di essere seria per un attimo: «Niall… Non so. Ho bisogno di un po' di tempo»

«Tutto quello che vuoi» replicò lui dolcemente «Ma poi chiamalo».

Emisi un gemito «Siete tutti così insistenti nella band?»

Rise: «Sì, ma io veramente non sono nemmeno il peggiore».

«Fammi indovinare» iniziai con una smorfia «il peggiore non sarà mica…»

«Già».

***

«Ecco dov’eri! Ti ho cercata dappertutto!»

Chelsea mi corse incontro barcollando leggermente. I suoi capelli e il suo trucco erano ancora perfetti, ma come faceva? Io probabilmente ero un disastro. I primi sintomi della mia leggera sbornia erano passati, lasciandomi solo un leggero mal di testa e un meno leggero stordimento generale. Per non parlare del fatto che ero da circa mezz’ora seduta in qualche modo per terra su quel terrazzo, con la schiena appoggiata alla ringhiera.

«Mi fa male la testa» le dissi per tutta risposta «e mi ha chiamato Niall» conclusi altrettanto a caso, alzandomi e mettendomi di fronte a lei.

La mia amica sbarrò gli occhi, ma parlò dolcemente: «E cosa ti ha detto?»

Chelsea aveva reagito in modo strano quando qualche ora prima le avevo detto della pausa che mi ero presa da Louis. Forse era troppo presa da altro, oppure semplicemente mi conosceva fin troppo bene per urlarmi contro, anche scherzosamente, per via di quella mia decisione. Sta di fatto che aveva clamorosamente evitato di guardarmi e trattarmi come se fossi pazza e aveva semplicemente fatto spallucce, commentando: «Aspetterà».

La guardai con gratitudine tardiva: «Che devo chiamare Louis» dissi a bassa voce quasi sperando che non sentisse.

Sbuffò mandando gli occhi al cielo: «Be’, caro Niall, questo lo sappiamo tutti».

«Io non lo so» mormorai testarda.

Lei mi fulminò: «Certo che lo sai. Sai bene che non ha fatto niente di male. Che tu debba un attimo raccapezzarti lo capisco, ma prima o poi…»

«A parte il fatto che mi ha mentito...» la interruppi giocherellando con i lembi della mia maglia «È un cantante famoso. Non so se voglio... Ecco, ritrovarmi "invischiata" con uno…»

Scoppiò a ridere tenendosi la pancia con una mano: «Ma sei già invischiata! Fino al collo!»

La guardai male, alzando il tono di voce e riprendendo il mio discorso come se niente fosse: «E se poi lui va in tour con tutte quelle fan che...»

«E poi dice che non è invischiata» borbottò lei guardandosi le unghie laccate di viola, per poi aggiungere a voce più alta «Non ti sembra di essere andata un po' troppo avanti nel futuro?»

Mi guardò negli occhi e mi mise le mani sulle spalle. Ebbi un po’ di paura.

«Cate, lo sai cosa penso io? Che hai paura. Ma non delle fan impazzite e di tutte quelle cazzate… ma di essere troppo presa da lui. E anche - sì, lo dirò, è inutile che mandi gli occhi al cielo con me, lo so che è una frase fatta - di innamorarti» mi fece un sorriso smagliante e insopportabilmente saccente «E allora usi questa storia del fatto che ti ha mentito sul suo nome per due giorni come scusa».

«Tre giorni» la corressi «E non è affatt…»

«No, no, Cate» mi interruppe. Da quando era diventata così dispotica? «Pensaci e basta ok? Non voglio sapere cosa pensi».

Spalancai la bocca, scioccata: «Bell'amica!» sbottai ironica.

«Pfui, la migliore. Chiunque altro ti avrebbe trucidata anche solo perché stai rimandando la possibilità di uscire con Louis Tomlinson. E negando a me la possibilità di conoscere quei fighi dei suoi compagni! Ah» fece teatralmente finta di svenire «Liam, Harry, ZAYN! Come puoi privarmi di Zayn, donna crudele!»

«Sopravviverai...» le dissi ridendo, mettendole un braccio intorno alle spalle e iniziando a condurla verso l’ingresso.

Lei però si fermò e si mise di nuovo di fronte a me, guardandomi seria e pettinandomi i capelli con le mani: «Lo sai che ti voglio bene, no?»

«Oh, Chels...»

«No, lo sai. E sai che non vorrei mai vederti star male. Ma se non corri qualche rischio... Rischi di vivere una vita che non hai scelto tu, di accontentarti di una vita che non vuoi… di qualcuno che non vuoi, e questo l’hai già fatto».

Mi sorrise, mi baciò su una guancia e si allontanò da sola, lasciandomi lì di stucco, impalata e incapace di muovermi per un po'.

***

Qualche giorno dopo, la mia crisi di astinenza era ancora nel pieno del suo svolgimento, ma ero riuscita a non cedere e Louis aveva fatto altrettanto, rispettando la mia decisione. Ancora, ogni mattina quando mi svegliavo sentivo un peso sul cuore che non se ne voleva andare, nonostante avessi pensato che il tempo l’avrebbe cancellato.

Così, quella domenica, mi ero lasciata convincere da Chelsea ad andare con lei, Charlie (chissà da quando quei due si parlavano) e un suo amico, Sam, a fare trekking in qualche bosco sperduto fuori Londra. Di solito non avrei nemmeno preso in considerazione l'idea di fare dello sport, ma avevo effettivamente bisogno di togliermi un po' di pensieri dalla testa e di allontanarmi dall'università. Ero inoltre curiosa di vedere con quale ridicolo outfit si sarebbe presentata la mia amica, visto che non era tipo da separarsi dai suoi tacchi alti e dalle sue gonne minuscole, né da fare attività fisica che non fosse il “keg stand”. Mi sbagliavo, ma non troppo.

Quella mattina, troppo presto per i gusti di chiunque avesse un cervello, la aspettavo assonnata sul ciglio della strada appena fuori dal campus e la vidi arrivare da miglia di distanza sulla sua mini cooper, a causa della felpa fucsia che indossava sotto il giubbotto. Come scoprii poi, portava anche delle scarpe da tennis abbinate, dello stesso colore spacca-pupille.

Era appunto mattina presto e non avevo ancora bevuto un caffè, essendo il mio chiosco preferito chiuso di domenica, eppure mentre salivo sulla sua macchina ebbi la forza di ridere di lei, ancora prima di salutarla. Non era nemmeno riuscita a mettersi un paio di semplici leggings neri come i miei: i suoi erano argentati e riflettevano persino la poca luce del sole che faceva capolino tra le nuvole londinesi. Scossi la testa ridacchiando mentre lei di rimando scuoteva la sua, squadrando la mia felpa grigia col cappuccio sotto a un semplice giubbino blu chiaro. Quando ebbe finito di denigrarmi silenziosamente, sbuffò e si decise a chiamare al cellulare Charlie, che ci raggiunse poco dopo trafelato, trascinandosi dietro quello che doveva essere il suo amico Sam. Salirono in macchina e ci presentammo: questo Sam era un ragazzo alto e allampanato, capelli e occhi scuri, sorriso timido. Avrei persino potuto definirlo il mio tipo, se non avessi avuto un paio di occhi celesti e bugiardi che disturbavano i miei pensieri.

Avevo avuto i miei dubbi sul fatto che Chelsea avesse progettato quella gita a quattro per appiopparmi Sam, ma non ero sicura che lei volesse "essere appioppata" a Charlie. Era vero, lui sembrava calmare un po' i suoi modi isterici con il suo carattere pacifico e diplomatico, e questo era sicuramente un punto a suo favore, ma forse non era abbastanza. E poi, soprattutto, era davvero possibile che lei avesse rinunciato a vedermi insieme a Louis? Lo dubitavo.

La giornata passò in fretta, tra assurdi dolori alla milza e alle ginocchia dopo pochi chilometri e Charlie che cercava in ogni modo di fare il gentiluomo, offrendosi di portare in braccio per un po' sia me che soprattutto Chelsea, chiedendolo una volta anche a me ogni dieci che lo chiedeva a lei. Nel frattempo, il mio interesse verso Sam era palesemente tendente allo zero e, nonostante cercassi di essere gentile e socievole, dovette capire che volevo solo essere lasciata in pace. Ero proprio come una tossicodipendente che si deve disintossicare e la mia droga erano i messaggi di Louis, le sue chiamate... Semplicemente lui. Ero andata avanti per giorni a parlargli quasi ininterrottamente e non mi ero ancora abituata a non farlo più, a non sentire quella sensazione che provavo ogni volta che mi arrivava un suo sms. Volevo convincere me stessa che non ne avevo bisogno, ma una parte di me continuava, per quanto la zittissi, a non voler rinunciare a quella sensazione.

Al ritorno, avevo le gambe a pezzi e il mio umore non era da meno. Ero stata in silenzio quasi tutto il giorno e questo non aveva aiutato a togliermi dalla mente né a risolvere i pensieri che avevo. Chelsea era di buon'umore, chissà poi per quale motivo, e canticchiava tra sé mentre guidava verso Londra, distraendosi solo per girarsi a parlottare con Charlie e Sam. Dopo qualche chilometro di viaggio, ci fermammo per fare benzina in una stazione di sosta e ne approfittai per fare una breve visita in bagno. Quando però uscii dalla porta cigolante pregando di non aver preso il tetano, notai che la macchina di Chelsea non era più dove l'avevo lasciata pochi minuti prima. Mi guardai intorno e... Non c'era un'anima, nemmeno un benzinaio, cosa d’altra parte piuttosto normale, visto che si trattava di un self service. Oltretutto, piuttosto sperduto. Ovunque mi voltassi, vedevo solo la strada e alberi, un sacco di alberi. Ma, soprattutto, la macchina di Chelsea era davvero sparita e insieme a lei anche i miei amici. Feci un giro di perlustrazione, non che ci fosse molto da perlustrare comunque, per accertarmi che non ci fossero davvero e me ne resi conto: ero sola. Mi avevano lasciata lì.

Alzai gli occhi al cielo e tastai il giubbotto alla ricerca del cellulare. Perlomeno non l’avevo lasciato sulla macchina, perché Chelsea non voleva che lo mettessi, chissà perché, nel cruscotto. Ma come avevano fatto a dimenticarmi lì? Non si erano accorti che non c'ero? Digitai il numero di Chelsea. Ok, ero stata silenziosa quel giorno, ma non tanto da non accorgersi della mia presenza… o assenza! Il telefono continuava a squillare. Forse avrei dovuto mettermi anch'io una felpa fucsia e leggings catarifrangenti, pensai mentre riattaccavo il telefono con rabbia. Perché cavolo non rispondeva? Chiamai Charlie ma anche lui non rispose. Riprovai il numero di Chelsea ma niente da fare. Com'era possibile?

Vagliai le opzioni: potevo aspettare lì che qualcuno passasse per fare benzina, sperando non fosse un maniaco, e chiedere un passaggio; attendere che Chelsea si ricordasse di me e tornasse indietro, ma forse era successo qualcosa di grave (era l'unica spiegazione che avevo trovato) e ci sarebbero volute ore; oppure, più semplicemente, chiamare qualcuno che mi venisse a prendere. Già, ma chi? Tutti quelli con cui ero in confidenza all'università erano su quella macchina e non rispondevano al cellulare; i miei genitori vivevano decisamente troppo lontano e di sicuro mi avrebbero ritirato dall'università se avessero saputo cos'era successo... No, avevo un'unica opzione.

Digitai il suo nome con le dita che tremavano e dovetti ripetere l’operazione più volte perché continuavo a sbagliare. Feci un respiro profondo mentre il cellulare squillava e io iniziavo a camminare nervosamente avanti e indietro per lo spiazzo.

Il telefono squillò a vuoto per quello che mi sembrò un tempo infinito, poi, in mezzo a mille altri rumori, una voce affannata rispose: «Pron… Ragazzi, state zitti un attimo!» urlò nella cornetta.

Il frastuono che si era sentito poco prima in sottofondo cessò di botto e lui sbuffando continuò: «Scusa, prima mi hanno nascosto il cellulare e ora se la ridono pure…»

Mi sembrò quasi di vederlo lanciare occhiatacce ai suoi compagni e mi venne da ridere. Poi però il fatto di non avergli parlato per due giorni e di sentirlo ora così, sommato alla situazione in cui mi trovavo si fecero sentire e gli occhi iniziarono a pungermi, mentre non riuscivo a spiccicare parola.

«Catie» era più un’affermazione che un’esclamazione o una domanda, ma sentii che stava sorridendo. Sbuffai lievemente, incapace di parlare, sommersa da emozioni contrastanti, e Louis dovette sentire, perché mi chiese: «Catie ci sei? Tutto bene?»

«No» risposi secca con un filo di voce.

«No? Cos…?» chiese lui iniziando a preoccuparsi.

«Scusa se ho chiamato te» lo interruppi «È che Chelsea mi ha abbandonata qui nei boschi e non so cosa sia successo ma comunque se ne sono andati e lei non risponde al telefono e nemmeno Charlie e non neanche il numero di Sam, i miei abitano troppo lontano, mio fratello vive in Francia e non sapevo cosa fare, chi altro chiamare e quindi ho chiamato te ma forse non è stata una buona idea, mi devi scusare» dissi tutto d’un fiato, inondandolo di parole.

«Ehi, calma» mi interruppe Louis dolcemente. Sentivo che stava sorridendo:

«Dimmi dove sei che arrivo» rispose semplicemente.

«Ma non ti ho neanche spiegato…»

«Ho detto che arrivo» disse con un tono che non ammetteva repliche.

 «Ah, dimenticavo», fece una pausa e il suo tono di voce si abbassò «sono felice che tu abbia chiamato me».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di Summer

Io, al contrario di Cate, sono una che diventa molto facilmente dipendente da QUALSIASI COSA. Voi?

Buongiorno. Tutto bene? Che dire. Questo capitolo è uhm, meno ironico del solito? Meno divertente? Cate si strugge un po’, ma poi tutto si sistema, ovviamente. Louis è bossy e pushy ma alla fine tanto dolce e lo fa solo perché ci tiene. E anche Niall è pushy e anche tutti gli altri membri della band (come vedrete).

SPAM TIME

Per il resto, continuo a scrivere OS on the side e a tradire questa long perché mi vengono ispirazioni flash che non posso ignorare. Quindi ultimamente ho pubblicato Far Away (Larry angst, sul tatuaggio di Louis) e One Book is Enough (Het su Niall, ironica/fluffosa); se voleste dare un’occhiata anche lì sarei felicissima.

END OF SPAM TIME

Ringrazio di nuovo tutti voi che seguite, preferite, ricordate e, soprattutto, recensite! Siete carinissime! E ai nuovi arrivati... Benvenuti!!!
Baci, Sum

P.S. Non so se avete visto la conferenza stampa del Big Announcement, ma a un certo punto c’è una giornalista che si chiama Katie credo (come si pronuncia Catie, comunque) e i cinque idioti (compreso Lou) si mettono a ripetere “Hi Katie” e “Hello Katie” mille volte e sono scoppiata a ridere come una pazza perché era troppo assurdo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Rescued ***


9. Rescued

Funny you're the broken one but

I'm the only one who needed saving

 

Louis arrivò pochissimo tempo dopo, mentre ancora stavo cercando di calmare il battito del mio cuore camminando avanti e indietro nell'area di sosta deserta. Non potevo credere di aver chiamato proprio lui; non potevo credere che mi avesse risposto; non potevo credere che avesse accettato di venirmi a prendere. E assolutamente non potevo credere che il nostro secondo incontro sarebbe avvenuto in una sperduta area di sosta nel bel mezzo del nulla. Ringraziai mentalmente Chelsea con un dito medio alzato rivolto ai boschi che mi circondavano, borbottando tra me e me. Proprio in quel momento, la prima auto che avevo visto passare da quando ero lì, una sportiva nera, entrò nello spiazzo e si fermò davanti a me, alzando con le ruote uno sbuffo di terra polverosa. Il finestrino si abbassò.
«Ciao bella...»

Fissai lo sconosciuto per qualche secondo, confusa, mentre lui sorrideva ammiccando. Perfetto, la mia solita fortuna. Doveva avere una ventina d'anni in più di me e mentre lo fissavo scontrosa era riuscito a squadrarmi da capo a piedi un paio di volte. Pensai di mandarlo a quel paese da subito, ma lui mi precedette.

«Ti serve un passag...?» iniziò a dire, ma non riuscì a finire la frase, perché un'altra auto, una specie di fuoristrada giallo scappottato e piuttosto ridicolo entrò nello spiazzo a tutta velocità, facendo fischiare le ruote e fermandosi alle mie spalle.

Al volante, lo sguardo azzurro tagliente già puntato sullo sconosciuto, c'era Louis.

«Ehi» disse in tono tranquillo, senza smettere di fissare l'altro e dandomi solo una rapida occhiata per assicurarsi che stessi bene. Non l'avevo mai visto così serio.
«Be'» aggiunse facendo apparire il solito sorriso impertinente, stavolta però leggermente teso «In effetti è un'ardua scelta» disse squadrando la macchina sportiva del tizio e indicando poi con gli occhi la sua, quel pugno in un occhio su quattro ruote. Mi venne da ridere, invece mi mossi in fretta per fare il giro della sua strana auto senza dire una parola. Non appena salii, Louis si voltò verso di me e mormorò un semplice «Ciao» seguito da un lieve sorriso, per poi partire sgommando, fissando il tizio con aria di sfida e lasciandolo di stucco.

***

«Bella macchina» dissi non appena mi fui un po' ripresa, sorridendo ironica con un sopracciglio alzato.
Quella specie di fuoristrada era scappottato e fuori ormai era quasi buio, ma Louis aveva acceso il riscaldamento e alzato i finestrini, per cui nell'abitacolo in qualche modo entrava solo una lieve brezza e la temperatura era ideale.
«Bella compagnia che ti eri trovata» replicò lui sorridendo a sua volta. Mi guardò di sottecchi lievemente preoccupato: «Tutto bene, comunque?»
Annuii: «Era appena arrivato...»
«Sono proprio provvidenziale» disse lui sorridendo tronfio. Sorrisi alzando gli occhi al cielo scherzosamente.
«E comunque per quanto riguarda la macchina» aggiunse con una smorfia «Non è mia, ok? Ero in studio e per fare in fretta ho dovuto prendere la prima che sono riuscito a farmi prestare…»

Mentre parlava la sua voce si era abbassata fino a diventare un bisbiglio, come se si fosse accorto che mi stava dicendo troppo, o come se il discorso gli fosse sfuggito di mano, andando in una direzione che non gli piaceva.
«In che senso?» feci io curiosa tirandomi a sedere più compostamente sul sedile.
«Uhm, ecco...» cominciò lui dandomi un’occhiata incerta «Non tutti si fidano a lasciarmi la loro macchina» fece spallucce.

«E perché?» insistetti. Mi piaceva metterlo un po’ a disagio, lui che sembrava sempre così padrone della situazione. Mi ricordava il Louis che solo pochi giorni prima non aveva avuto il coraggio di farsi avanti e darmi un abbraccio così dal nulla, per nessun motivo in particolare se non perché gli facevo tenerezza.

Si morse un labbro, ma poi ammise: «Diciamo che sono abbastanza noto per sfasciare tutte le automobili che guido» disse quasi fiero di sé, gonfiando il petto e scoppiando a ridere.

Sbarrai gli occhi osservando la strada con più attenzione: «Cosa?!?»

«È successo solo un paio di volte!» fece lui sulla difensiva senza perdere il sorriso «Solo perché ho rotto la Mini sul set di Gotta Be You, la jeep su quello di Live While We’re Young e perché mi hanno fermato i poliziotti quando eravamo negli Stati Uniti…»

«Un paio di volte sono più che sufficienti!» esclamai. Non ero davvero arrabbiata, infatti un sorriso minacciava di esplodermi sulle labbra da un momento all’altro.

Mi guardò di sbieco: «Se vuoi puoi scendere qui» disse malizioso, indicando con la mano un non meglio specificato posto in mezzo ai boschi «Hai visto già che ci sono parecchie persone volenterose di aiutare una ragazza sola e bisognosa…»

Rabbrividii mio malgrado ripensando al tizio dell’area di sosta e sbuffai: «Mi accontenterò di te, per stavolta» sbottai fintamente imbronciata. Per tutta risposta lui scoppiò a ridere: «E come sai che io non sono… non so, un serial killer?»

Guardai per qualche secondo il suo profilo concentrato sulla strada, i capelli spettinati come al solito e gli occhi attenti, le sue mani strette sul volante in modo noncurante eppure sicuro, il suo modo di stare seduto che riusciva in qualche modo a risultare scomposto anche nello spazio non proprio ampio dell’abitacolo.

Non riuscii a frenare le parole che mi uscirono dalle labbra come un fiume in piena.

«So che sei abbastanza gentile e generoso da lasciare tutto quello che stavi facendo per correre a recuperare una mezza sconosciuta nel bel mezzo del nulla» quasi mormorai, facendo spallucce tra me e me e fissando la strada mentre parlavo. Lo vidi girarsi verso di me con la bocca leggermente aperta come se stesse per dire qualcosa, per poi tornare a fissare dritto davanti a sé con un lieve sorriso a increspargli le labbra.

***

Per un po’, nessuno dei due parlò. Tra tutti i pensieri che mi frullavano in testa, notai che Louis stava guidando piano e che ci stavamo mettendo parecchio a tornare al campus. Sperai che non lo facesse perché era prudente o rispettoso dei limiti di velocità, ma che il motivo fosse un altro.

«Hai letto The Hunger Games?» esclamai a un certo punto, dal nulla. Il flusso dei miei pensieri come al solito aveva annullato qualunque filtro avessi fra cervello e bocca. Lui ridacchiò, probabilmente per questa mia stranezza che conosceva già bene.

«Ho visto pezzi del film...?» rispose, in tono indeciso, come se non ne fosse certo.

«Pezzi?» chiesi confusa e già divertita da quella risposta, prospettandomi sviluppi ancora migliori.

«Hai mai provato a guardare un film con i ragazzi?» sbuffò lui «Niall che sgranocchia ogni genere di snack, Zayn che russa dopo 5 minuti se il film non è Marvel, il cellulare di Hazza che squilla ogni 3 secondi, Liam che ti tira i pop corn in faccia e poi fa finta di essere interessatissimo alla tv...»
Risi di gusto: mi piaceva sentirlo parlare dei suoi amici. Gli si illuminavano gli occhi e la voce gli diventava più calorosa del solito, anche se, come in questo caso, ne parlava male. Era però un parlare male in modo estremamente affettuoso, e si notava lontano un miglio che avrebbe preferito vedere un film a pezzi con loro che intero con chiunque altro.
«Be' comunque questa parte è nel terzo libro...» continuai dopo aver smesso di ridere.
«C'è un terzo libro? No, aspetta, c'è un second... Il film è tratto da un libro?!?» chiese stupito. Lo guardai con gli occhi sbarrati e poi continuai ignorando il suo commento, mentre lui ridacchiava della mia serietà riguardo a quell'argomento: «Peeta chiede a Katniss di dirgli cosa è vero e cosa no, perché lui non lo capisce più...»

«Dovremmo fare lo stesso con le cose che mi hai detto, per capire su cosa hai mentito e…»

«Ma era tutto vero!»

«Quindi ti chiami William» dissi con un sopracciglio alzato.

«Ok, non proprio tutto...» ammise lui. Sbuffò e stette in silenzio per qualche secondo: «E poi mi chiamo William per davvero» disse alla fine quasi imbronciato.

Risi, guardando la sua espressione: «Non capisco se sei un bugiardo patologico oppure se...»

«È il mio secondo nome!» si difese lui. «Ti farei vedere la carta d'identità, ma... Meglio di no».

«Perché?»

Sbuffò: «La foto... Ecco... Avevo ancora quella pettinatura che Liam chiama "caschetto" o "ciotola di cereali"…»
Scoppiai a ridere di gusto. Non facevo fatica a immaginarmi quella fotografia, nonostante non l'avessi vista. Non facevo fatica a crearmi nella mente l’immagine di un Louis un po’ più giovane con una pettinatura orrenda e gli stessi occhi penetranti di quel momento, forse ancora più impertinenti. Sorrisi.
«Ok, non credevo fossi così cattiva» replicò lui fingendo di essere offeso.

Solo in quel momento mi venne in mente che poteva effettivamente offendersi sul serio, anche se i capelli a ciotola non c’entravano: mi ero quasi dimenticata che l'avevo chiamato dal nulla per chiedergli di venirmi a prendere in mezzo, be', al nulla. Dopo non averlo sentito per qualche giorno.
Sospirai: «Starai pensando che sono una stronza» dissi contrita e seria.
Lui si allarmò leggermente e fece spallucce per tranquillizzarmi: «È solo una pettinatura! E poi mi prendono in giro tut...»
«No, non per quello« lo interruppi prendendo fiato prima di continuare «Non ti ho più cercato da quando ci siamo visti quella sera. E poi ti chiamo per un favore così... starai pensando che sono una stronza e che un'opportunista, che ti stia usando per i miei comodi e...»
«Catie» mi interruppe lui serio, zittendomi all’istante a causa della sua voce morbida «Sai cos'ho pensato quando ho visto che mi stavi chiamando?»
Scossi la testa in silenzio, guardandolo con gli occhi spalancati, curiosa di sapere dove voleva arrivare.
Sorrise: «"Finalmente". Ho pensato: "finalmente"».

***

«Non posso credere comunque che tu non avessi nessuno da chiamare a parte me…» esclamò dopo un po’ con un sorriso malizioso, riscuotendomi dall’apatia in cui ero caduta fissando il cielo buio e le stelle che iniziavano a spuntare sopra di noi. Il vento leggero che mi spettinava i capelli e Louis che ogni tanto canticchiava una canzone che non conoscevo mi cullavano e mi facevano sentire protetta e serena come non lo ero da molto tempo.

«Cosa vorresti dire?» ribattei animosamente, guardandolo male.

Scosse le spalle: «Non so se credere che hai chiamato me perché dovevi, o se invece volevi…» fece in tono cospiratorio alzando un sopracciglio e ridendo sotto i baffi.

«Te l’ho già detto!» replicai indignata. Il fatto che ci scherzava sopra provava che davvero non se l’era affatto presa per il fatto che l’avessi chiamato. Anzi, forse lo stava facendo proprio per dimostrarmi che non aveva nessun problema. Oppure, forse, era solo estremamente presuntuoso. Aveva però un modo così scherzoso e dolce di esserlo che gliel’avrei comunque fatta passare liscia. O quasi.

Sbuffai, fingendo di essere irritata: «I miei vivono lontano da Londra, mio fratello vive in Francia, alla mia migliore amica non prendeva il telefono e gli altri amici dell'università non li conosco ancora così bene!»

«Se lo dici tu…» insinuò sorridendomi.

Lo ripagai con la sua stessa moneta: «A proposito di genitori, se vuoi chiamo mio padre e gli chiedo cosa ne pensa del fatto che uno sconosciuto mi sta portando a casa sul suo fuoristrada giallo dopo avermi raccattata per strada… Scommetto che verrebbe di corsa nonostante la distanza…» conclusi e lo guardai soddisfatta.

Lo vidi deglutire esageratamente: «E scommetto che non verrebbe per ringraziarmi, vero?»

Ridacchiammo un po’ e poi, dopo avergli lanciato un’occhiata di sfuggita, tornai a godermi il panorama, che, di tanto in tanto, comprendeva anche il suo profilo, che mi piaceva così tanto. La sua voce, dopo qualche minuto, mi colse di sorpresa.

«I tuoi stanno ancora insieme?» chiese serio.

Annuii: «Sì. Non sembrano sopportarsi molto, almeno agli occhi di chi non li conosce bene, ma alla fine quello è il loro modo di volersi bene…»

Sorrisi presa dal ricordo dei miei genitori, che vedevo solo durante le festività e le loro visite all’università. Mi mancavano, ma in fondo sapevo che stavano bene anche senza di me. Mi voltai e vidi che anche Louis aveva stampato in volto un mezzo sorriso, che tuttavia sembrava un po’ amaro.

«Mi hai detto che i tuoi invece sono separati, vero?»

«Sì» si schiarì la voce «si sono separati l'anno scorso ma, sai, va bene così» fece un sorriso tirato continuando a guardare dritto davanti a sé «Sono adulti, sapranno gestire la situazione. Va tutto bene anche così, è praticamente uguale a prima.» concluse netto e sorrise di nuovo candidamente.

In quel momento mi resi conto di quanto probabilmente avessi frainteso Louis. All'inizio avevo pensato che, avendo dovuto crescere in fretta a causa dell'abbandono del suo padre biologico quando era piccolo, avvenimento del quale mi aveva accennato durante le nostre ore passate a scambiarci messaggi, ora si stesse sfogando con i ragazzi e che per questo fosse così solare e sempre allegro.

Mi resi conto che invece, forse, aveva solo bisogno di qualcuno a cui poter dire che, no, non andava tutto bene. Qualcuno con cui non dover essere sempre quello forte, quello che prende tutto sul ridere, quello che tiene in piedi la baracca. Mi resi conto che era stato così a casa sua, da sempre, perché tutti gli uomini nella vita di sua madre e delle sue sorelle erano stati di passaggio, tranne lui; ed era così anche con i ragazzi della band, probabilmente. Lui sembrava quello più infantile di tutti, ma in quel momento mi trovai a pensare che forse quello era il suo modo di tenere su il morale agli altri, di tenerli uniti, di essere la loro roccia. Non per niente era anche quello che, se c'erano problemi, non esitava un attimo a prendere le difese dei suoi amici, magari immischiandosi anche in affari che non lo riguardavano.
Non avevo voluto farmi un'opinione su di lui basata su quello che dicevano i giornali o che si leggeva su internet, ma avevo fatto qualche ricerca per curiosità e avevo trovato qualche prova di comportamenti di questo tipo. Louis era di sicuro il più scherzoso e iperattivo dei cinque, il più festaiolo; ma era anche quello che si preoccupava di tutti i suoi compagni, quello che li proteggeva se ce n'era bisogno e che si prendeva cura di loro. In pratica, faceva quello che probabilmente aveva dovuto imparare a fare sin da piccolo per sua madre e le sue sorelline. Forse faceva parte della sua indole, ma in ogni caso aveva anche lui il diritto ogni tanto di prendersi una pausa dalle risate, dal suo continuo sdrammatizzare; di poter ammettere che qualcosa faceva schifo, di poter essere triste per qualcosa, di poter essere egoista e fragile.

«No che non va bene» dissi all’improvviso con la voce che mi tremava.

«Cosa?» replicò lui. Spostò per un momento gli occhi dalla strada per rivolgermi un'occhiata confusa. I suoi occhi limpidi e spalancati erano annebbiati da un velo di stupore.

«Non può andare bene, Louis. È uno schifo. So che magari in passato hai dovuto essere forte e mentire per gli altri e che magari l'hai dovuto fare troppo spesso, ma qui e ora lo puoi dire... I tuoi si sono separati. Non può andarti bene, non può essere tutto uguale… e non deve esserlo».

Sospirò, come se fosse sollevato, e stette in silenzio per un po', pensieroso. Pensai di averlo offeso e non dissi più una parola. Sperai che avesse capito cosa volevo dire. Probabilmente però ero andata oltre e mi ero immischiata in affari che non mi riguardavano.

«No, è vero» ammise all'improvviso, con voce strana, continuando a fissare la strada.

«È una situazione di merda» fece una smorfia amara «Mi manca mia madre e mi è sembrato di abbandonarla da quando sono in giro con la band… lei e Lottie e Fizzy e Phoebe e Daisy. Già è stato pesante lasciarle e d'ora in poi anche mio padre... Mark non ci sarà più» sospirò di nuovo, stringendo i denti «Le poche volte che tornerò a casa lui non sarà più lì ad aspettarmi…» lasciò cadere la frase nel vuoto.

«È vero, non va bene. Non è uguale» concluse dopo poco in un soffio, come se si fosse tolto un peso pronunciando quelle parole.

Poi, senza preavviso, mise una mano sulla mia e strinse un poco, sempre continuando a guardare solo la strada: «Grazie» mormorò serio, con tutta la sincerità e la spontaneità che lo contraddistingueva anche in momenti come quello.

***

Arrivammo al campus che era ormai sera: tutti i lampioni dei viali erano accesi ed erano pochi gli studenti ancora fuori dai dormitori. In fondo il giorno dopo era lunedì e c’era lezione, pensai, stupendomi di quanto mi fosse sembrata lunga quella giornata. Quando Louis parcheggiò il fuoristrada giallo mi voltai verso di lui con un sorriso felice.

Allungò una mano verso il mio viso e mi sfiorò una guancia, prendendo tra le dita una ciocca dei miei capelli e sistemandomela delicatamente dietro all’orecchio.

«Sei tutta spettinata» mi prese in giro lievemente guardandomi negli occhi e senza riuscire a smettere di sorridere in un modo che sembrava riflettere il mio stato d’animo. Pace, serenità. Rabbrividii a sentire il suo tono e il suo tocco caldo sulla mia pelle.

«È meglio se vai» riprese dopo qualche secondo, abbassando gli occhi, ma non c’era traccia di durezza nel suo tono. Continuava a sorridere in quel modo strano, con gli occhi illuminati di luce. Non ebbi troppo tempo per pensare a cosa volesse dire quella frase: di sicuro non mi stava cacciando, non con quel sorriso che non racchiudeva altro che dolcezza. Ma allora perché l’aveva detto? Il suo sguardo raccontava un’altra storia, anche se era solo accennata: forse voleva che me ne andassi prima di poter fare qualcosa di cui mi sarei pentita.

Mi allungai verso di lui e gli diedi un bacio leggero sulla guancia, sperando che cogliesse il mio muto ringraziamento. Il suo sguardo e la sua bocca appena socchiusa con le labbra lievemente curvate all’insù mi confermarono che aveva capito. Scesi dalla macchina e mi avviai quasi saltellando verso il mio dormitorio, senza sentire addosso un briciolo della stanchezza di quella strana giornata.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Scusate per il ritardo tremendo. Spero che vi consolerà sapere che ci ho messo una vita a trovare che maledette macchine aveva rotto Mr. Tomlinson. Non è questo il motivo del ritardo xD So anche che delle macchine non ve ne frega una beata cippa ma a me diverte un sacco la storia che Louis rompe tutte le auto che gli fanno guidare (e come OGNI VOLTA dice “Ehm, I accidentally broke it” [x] muoio)! Sopportatemi.

Guardate però come mi faccio perdonare in fretta, così:

Ditemi che avete tra le altre cose apprezzato la citazione all'inizio, tra l'altro riferito al titolo, pure! Mica pizza e fichi.
Scusatemi se ho fatto qualche errore, ho pubblicato quasi senza rileggere, perciò se trovate qualche stronzata fatemelo sapere! Spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se è più melenso di come volevo e non si ride troppo… recupererò nel prossimo, con Chelsea! Baci, alla prossima, Sum.

P.S. Se/quando la storia arriverà a 100 tra le seguite/preferite/ricordate (e siamo vicine) potrei farvi una sorpresina... devo ancora pensare cosa però! Tipo un cameo di uno dei ragazzi? Suggerite pure :P e non barate ;)

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Pictures ***


10. Pictures


Quando finalmente arrivai nel corridoio che dava sul mio appartamento, vidi l’ultima cosa che mi sarei aspettata al mondo. Chelsea stava seduta per terra a gambe incrociate, appoggiata esattamente alla mia porta. Quando mi avvicinai alzò gli occhi su di me, felice e quasi pronta a farmi le feste come un cagnolino che accoglie il suo padrone. Si alzò in fretta e si scrollò dai vestiti della polvere immaginaria.

«Oh, eccoti finalmente!» esclamò allegra con noncuranza «Quella stronza della tua coinquilina non mi ha fatto entrare…!» aggiunse sperando in una mia battuta solidale sull’inutilità sociale di Sasha. Inutile dire che non fu accontentata.

«Eccoti finalmente?!?» sbraitai sbarrando gli occhi «Mi hai abbandonata nel bel mezzo del nulla e ti lamenti pure perché ci ho messo troppo ad arrivare? Cos’è successo? Perché non rispondevi al telefono?»

«Sei arrabbiata?» fece lei sorpresa e quasi delusa più che in tono di scusa. Non potei fare a meno di spalancare ancora di più gli occhi per il suo comportamento. Se non fossi stata così stranita dalla sua reazione estremamente grottesca anche per una come lei, sarei scoppiata a ridere.

«Chelsea, certo che sono arrabbiata!» esclamai spossata. Non sapevo più cosa dire, sembrava che fossi io quella pazza.

Aggrottò le sopracciglia: «Non hai chiamato Louis?» chiese con aria innocente, come se davvero non capisse perché non ero felice come una pasqua.

«Cosa c’entra adesso Lou… oh.»

All’improvviso capii tutto. Mi diedi della stupida. Come avevo fatto a non capirlo prima? Eppure Chelsea la conoscevo bene, sapevo di cosa era capace. Sapevo che avrebbe fatto di tutto per il mio bene, anche qualcosa che andasse contro ogni buon senso, anche…

«Chels, dimmi che non l’hai fatto di proposito.»

«Te lo potrei anche dire…» iniziò lei guardando altrove con un sorrisino stampato su quella faccia da schiaffi. Il senso di colpa non le si addiceva proprio, e infatti non ne vedevo traccia.

«Dimmi che non mi hai di proposito abbandonata nei boschi per via di un tuo stupido piano» quasi la pregai, alzando la voce.

«… ma sarebbe una bugia» concluse lei sovrapponendosi alla mia frase e confermando la mia ipotesi.

Stetti in silenzio per qualche secondo a fissarla senza parole. Era folle.

«Sarebbe potuto passare un maniaco! Avrei potuto perdermi nei boschi e non tornare mai più! O essere schiacciata da un tir mentre tentavo di tornare a piedi!»

«Hai tentato di torn…?» iniziò a chiedere lei quasi come se niente fosse, ma la zittii subito, urlando: «No che non ho tentato di tornare a piedi! Come ti viene in men…»

Mentre cercavo di capire come funzionasse la mente contorta della mia amica, scoppiai a ridere. Sì, esatto, a ridere. Come una pazza, come lei, dal nulla, scoppiai a ridere senza motivo. Cioè, il motivo ce l’avevo. In fondo, sì, Chelsea era folle; ma era fantastica. Cosa potevo dirle per quello che aveva fatto? Mi aveva fatto passare una serata “alternativa” con Louis e per questo non potevo che ringraziarla. Certo, avrei avuto da ridire sui suoi modi decisamente poco ortodossi, ma era il risultato che contava, no? Ero felice, non potevo non ammetterlo, e non avevo alcuna voglia di essere arrabbiata con lei. Anche perché, come al solito, non ci sarei riuscita per più di cinque minuti.

Perciò continuai a ridere e la mia migliore amica mi seguì a ruota, mettendomi un braccio sulle spalle mentre aprivo la porta con le chiavi ed entrando con me in casa.

***

Poco dopo, sdraiata a pancia in giù sul mio letto con le gambe che dondolavano per aria, mi chiese: «Quanto tempo ci hai messo a chiamarlo?»

In piedi davanti a lei, quasi a disagio nella mia stessa camera da letto, feci spallucce: «Cinque minuti, credo. Ho dovuto prima riprendermi dallo shock di essere stata abbandonata!» esclamai tirandole un cuscino azzurro in piena faccia.

«Uhm, pensavo peggio» rispose lei senza scomporsi, con aria da grande analista del mondo e della vita. Ridacchiai.

«Ti è passata un po’ di paura?» mi chiese poi mordendosi l’interno della guancia, guardandomi con gli occhi limpidi e seri che aveva solo quando si preoccupava per me.

Spostai il peso da un piede all’altro e portai le mani dietro la schiena, appoggiandomi al muro: «Paura di cosa?»

Sbuffò: «Ne abbiamo già parlato… Di lui, di» abbassò la voce, quasi non volesse spaventarmi «innamorarti».

Sventolai una mano come per scacciare un insetto fastidioso e lei sbuffò. Intanto però la mia mente aveva iniziato a vagare. Forse era vero quello che diceva Chelsea; forse, come nei migliori romanzi rosa da quattro soldi, anche io avevo paura di innamorarmi. Eppure, come potevo io farmi tutti quei problemi se Louis, che aveva affrontato dei problemi reali nella vita, non se li faceva? Come potevo io essere così codarda, senza mai essere stata abbandonata da nessuno, senza aver avuto nella mia vita alcun trauma di grossa entità, mentre lui sembrava così aperto a buttarsi a capofitto in tutto?

Proprio in quel momento il mio telefono, appoggiato sulla scrivania nera, trillò. Feci appena in tempo ad afferrarlo con un scatto felino, prima che Chelsea se ne impossessasse a sua volta. Lessi il nuovo messaggio che era appena arrivato:

“Domani sono impegnato tutto il giorno sul set di un photoshoot per una rivista” scriveva Louis. Mi chiesi perché mi aveva scritto questa cosa. Forse per avvertirmi che non ci saremmo potuti sentire? Provai un moto di delusione e la testa mi girò per un attimo. Tutta colpa della mia dipendenza da lui.

Il cellulare suonò di nuovo. Aprii il secondo sms mentre Chelsea sbuffava per il fatto di non essere inclusa in quello che stava succedendo. Mi godetti ancora per un attimo il fatto di avere questo potere su di lei, come una piccola vendetta per il suo tiro mancino di quel pomeriggio. Quando lessi il messaggio, però, non potei fare a meno di rivelare quello che provavo con un sorriso felice. In quel momento, per me, quelle erano le due parole più belle del mondo.

“Vuoi venire?”

Non sapevo cosa pensare né cosa fare: ero felice che mi avesse invitata, ma quello per me era un salto nel vuoto e una parte di me aveva ancora paura. Sarei stata in un ambiente che non conoscevo, attorniata da persone che non conoscevo e da… pop star internazionali, sola. Be’, non proprio sola. Ricordandomi un paio di occhi blu dolci e insolenti, decisi: per una volta, mi sarei buttata a capofitto.

***

«Vieni, ti presento agli altri!» disse Louis semplicemente. L’edificio dove si sarebbe tenuto il photoshoot da fuori era decisamente anonimo e insospettabile. Quando avevo parcheggiato all’indirizzo che mi aveva indicato Louis via sms avevo riguardato più volte il foglietto sgualcito sul quale l’avevo appuntato, per essere sicura. L’avevo poi chiamato e lui era venuto all’ingresso a prendermi, salutandomi con uno dei suoi sorrisi calorosi che mi aveva subito fatto tremare le gambe.

Dentro, l’atmosfera era decisamente diversa. Tutto era bianco e ampio: le pareti, i pochi mobili moderni in plastica lucida, i teloni tirati sui muri, i diffusori di luce e addirittura qualche persona, vestita da capo a piedi con abiti candidi. Tutti gli altri sembravano invece indossare solo indumenti neri e in entrambi i casi tutte gli esseri umani presenti si muovevano in modo concitato per il grande open space, portando fotografie o apparecchi strani da una parte all’altra o parlottando tra loro o da soli, probabilmente al cellulare tramite bluetooth.

La scena era surreale per me che non avevo mai assistito a niente di simile. Dovevo avere la bocca spalancata per la confusione quando Louis mi propose di portarmi a conoscere “gli altri”, cioè i suoi compagni della band. Insomma, gli One Direction al completo.

«Cosa?» borbottai presa alla sprovvista «No, io...» non feci in tempo a finire la frase, perché Louis mi prese per mano e mi condusse in uno stretto corridoio deserto e poi, dopo aver bussato senza ottenere risposta, in una stanza sulla porta della quale era affisso un foglio con la scritta “1D – Sala relax”.

Non mi resi nemmeno conto di quello che stava succedendo fino a quando non mi ritrovai davanti i quattro ragazzi, tutti insieme. Sbarrai gli occhi. Chelsea non mi avrebbe parlato mai più. E avrebbe maledetto a vita il professore che le aveva fissato un esame “che non poteva saltare pena la bocciatura”, testuali parole, proprio quel giorno.

«Ragazzi», fece Louis cercando di attirare la loro attenzione «Questa è Catherine» disse semplicemente, indicandomi con le mani e facendo una specie di inchino da paggio di corte. Nonostante la situazione leggermente tesa, non potei fare a meno di pensare a quanto adoravo il modo in cui pronunciava il mio nome.

«Cate» lo corressi con un sorriso «Ciao» dissi poi in direzione di tutti, alzando una mano e sventolandola come avrebbe fatto una bambina di due anni. Ma che problemi avevo?

Il ragazzo che avevo imparato a riconoscere come Liam, che stava giocando a un videogioco con Niall su un divano dall’aria vissuta, si alzò e venne a porgermi la mano, tra gli insulti poco raffinati dell'altro che era rimasto da solo a gareggiare sulla sua auto da corsa.

«Piacere, Liam» disse con un sorriso a dir poco caloroso e una salda stretta di mano. Non aveva nemmeno considerato la possibilità che io conoscessi già il suo nome o comunque era stato così gentile da non dare per scontato che io sapessi chi era.

«Ciao» riuscii a mormorare. Louis probabilmente stava pensando che fossi imbarazzata perché mi trovavo nella stessa stanza con cinque popstar internazionali, in realtà era solo che ero davvero timida con le persone che non conoscevo. Soprattutto, però, incontrare per la prima volta i suoi amici, persone così importanti per lui, era una grande fonte d'ansia per me. Evidentemente però si era accorto di qualcosa, così mi mise una mano su un fianco e il calore della sua stretta mi tranquillizzò un poco. In quel momento Harry, il riccio dagli occhi verdi che fino a poco prima stava in piedi vicino alla finestra, guardando fuori con aria pensierosa, sgambettò verso di me sistemandosi i ricci con una mano e con un sorrisone esclamò: «Ciao, io sono Harr...»
Non riuscì però a finire, perché il sempre raffinato Niall, con qualcosa che sembrava un mezzo panino in bocca, si avvicinò furtivamente e gli diede uno spintone. Poi, offrendomi la sua mano al posto di quella dell’altro, sbiascicò: «Ehuskjsdli, Cajdksjdkfjte!»
«Cosa?» feci io ridendo di gusto.
«Quante volte ti ho detto» disse Louis con tono fintamente arrabbiato da madre severa, dandogli poi uno scappellotto «di ingoiare prima di parlare!»
«Ehe» ridacchiò Harry «"ingoiare", eheh...»
Liam scosse la testa e disse nella mia direzione: «Devi scusarli, non sono sempre così...»
«E invece sì» mi sussurrò Louis nell'orecchio, facendomi al tempo stesso ridere per la battuta e rabbrividire per la sua vicinanza, di cui non mi ero accorta.

«Ripeti*» esclamò poi ad alta voce con lo sguardo a mezz’aria. Prima che potessi dire qualcosa, Liam intervenne: «Devi scusarli, non sono sempre così…»

«Ripeti urlando» fece Louis di nuovo mentre lo guardavo sempre più confusa e Liam ripetè sempre la stessa frase a voce più alta, quasi gridando e scoppiando poi a ridacchiare di gusto come un bambino insieme a Niall. Louis alzò un sopracciglio e lo indicò con una mano, come per provare un punto: «Te l’ho detto che sono sempre così… tutti» fece poi indicando in particolare Liam che continuava a sbellicarsi ormai da solo.
Louis si guardò un po’ intorno, poi esclamò ad alta voce: «Invece quel maleducato che non si è nemmeno degnato di alzarsi dal divano è Mr. Zayn Malik».
Il ragazzo scuro di carnagione seduto sul divano di pelle nera, che riconobbi come il cantantucolo preferito di Chelsea, distolse un attimo lo sguardo dal cellulare, fece un mezzo sorriso e disse: «Ehi».
In quel frangente riuscii solo a pensare quanto Chelsea avesse ragione, era veramente bello, bello da togliere il fiato. Sembrava quasi un effetto ottico, ma era come se i suoi occhi brillassero di luce propria.
«Eh...» mi richiamò alla realtà Louis, fissandomi attentamente con gli occhi blu più penetranti del solito. Già, Zayn era bello, ma Louis era davvero un’altra cosa.

«Devi scusarlo, Catie» continuò calcando stranamente sul mio nome «Deve avere una delle sue crisi premestruali.»
A quelle parole Zayn sembrò riscuotersi un attimo e, alzandosi finalmente ma comunque pigramente dal divano, venne verso di noi, assumendo un’espressione vivace e facendo una linguaccia a Louis: «'fanculo, Tomlinson».
Poi mi porse la mano con un sorriso cordiale, completamente diverso dallo sguardo assorto o truce – non avrei saputo dirlo - di poco prima: «È un piacere» disse, e sembrava intenderlo davvero.

***

«Mi sono piaciuti i tuoi amici» dissi sorridendo al pavimento quando io e Louis fummo di nuovo soli in quella specie di camerino collettivo, stavolta nella seconda stanza, quella con uno specchio enorme che occupava quasi un’intera parete. Louis mi aveva spiegato che avevano dato loro anche dei camerini separati, uno ciascuno, ma loro preferivano sempre dividerne uno in cinque, facendo casino e buttando vestiti qua e là. Poco prima, i ragazzi si erano diretti sul set, rincorrendosi e facendo a gara a chi sarebbe arrivato prima alla sala in cui effettivamente avrebbe avuto luogo il photoshoot.

«Sì», disse lui alzando un sopracciglio «soprattutto Zayn!»

Il suo tono però non sembrava nervoso, ma piuttosto tranquillo, addirittura divertito, come se trovasse la cosa buffa.

«Ma cosa dici?» gli risposi comunque. Non pensavo di essere stata così palese nelle mie reazioni.

«Sei tipo rimasta incantata a guardarlo con la bocca aperta...» fece lui ridacchiando e imitando quella che secondo lui era stata la mia faccia da pesce lesso.

«Io non sono...» iniziai a dire, ma lui mi interruppe subito: «Non fa niente, Catie. lo so che fa questo effetto, ho anch'io gli occhi...» disse facendomi l’occhiolino e guardandomi con… affetto? Il suo sguardo era così morbido che non pensai ad altro se non a sciogliermici dentro.

Mi riscossi, combattiva: «Be' in ogni caso non sembravo interessargli molto!»

«Ah!» sbottò lui «Non posso credere che ci sia cascata anche tu...!» ridacchiò «Quello che hai visto, il fatto di ignorarti, quell' "ehi" scocciato alla james dean... È tutta scena. È tutta una recita da bello e impossibile. Tutti gli hanno appioppato questa etichetta e ormai non credo più nemmeno che lo faccia apposta, neanche se ne accorge...» spiegò gesticolando.

«Oh», feci io, senza parole, appoggiandomi al bancone che stava davanti allo specchio.

«Già, “oh”» continuò lui sempre sorridendo lieve «Ma non so se hai notato il suo cambiamento quando poi ha sentito il tuo nome»

Be’, aveva senso. In effetti quando Zayn aveva capito chi ero, “Catie”, come aveva sottolineato Louis, aveva cambiato improvvisamente umore. O strategia.

«In effetti, qualcosa ho notato» ammisi fissando il pavimento.

Lui sospirò, come se avesse dovuto già fare quel discorso milioni di volte a milioni di persone: «Zayn può essere tutto quello che vuoi: vanitoso, sì; saccente, certo; sciupafemmine… in un certo senso; quello che è sicuro è che è un grande amico» scosse le spalle e io ancora una volta rimasi sbalordita dal modo semplice e onesto con cui rivelava i suoi sentimenti.

Poi aggiunse, a mo’ di spiegazione: «Non ruberebbe mai la ragazza che interessa a uno di noi».

Rimasi un momento sconcertata dal significato delle sue parole.

«Quindi… c'è una ragazza che ti interessa...?» feci incerta, a metà tra lo scherzo e la voglia di capirci qualcosa.

«Sì, in effetti...» fece lui abbassando gli occhi e avvicinandosi a me. Ormai ero praticamente seduta sul bancone, su cui erano esposti in bella mostra una quantità esagerata di prodotti per i capelli. Quando fu vicinissimo a me, tanto che potevo sentire il calore del suo corpo, Louis allungò un braccio dietro di me. Mi aspettavo di sentire il suo tocco caldo sulla schiena, invece Louis riportò il braccio davanti con qualcosa in mano e con aria trionfale esclamò: «Eccola! La cercavo da un sacco di tempo!»

Misi a fuoco e vidi che quella che mi stava sventolando sotto il naso era una rivista colorata con Harry in copertina. Poi, Louis si allontanò e mi sorrise malefico, facendomi pure l'occhiolino. Mi allungai verso di lui e gli diedi una leggera pacca su un braccio: «Stupido idiota...»

«Ehi ehi ehi» fece, cambiando tono e diventando improvvisamente serio «Dottor Stupido Idiota. Alla laurea ci tengo» aggiunse scoppiando poi a ridere sguaiato.

«Ah, Tomlinson» mormorai io in un sospiro, scuotendo la testa, per poi scoppiare a ridere insieme a lui.

***

Rimasi a guardare tutto il photoshoot, che durò qualche ora. Di tanto in tanto Louis mi chiedeva da lontano se andasse tutto bene e io annuivo contenta. Era effettivamente un piacere guardarli. Louis saltava da tutte le parti, facendo disperare truccatori e fotografi; faceva piccoli scherzi ai suoi compagni e aveva addirittura fatto ridere Niall, che si agitava visibilmente quando doveva stare fermo in una posa per più di due minuti, durante la parte del servizio dove dovevano essere fotografati uno a uno. Erano piccole cose che magari non tutti notavano, ma che mi avevano fatto capire quanto Louis fosse attento, premuroso, generoso e leale, nonostante l'apparenza da eterno Peter Pan.

Poi, vedendo Louis posare per le sue fotografie in solitaria, mi ricordai della prima volta in cui avevo visto una sua immagine, su Internet. Mi ricordai dell’impressione che mi aveva lasciato, del suo sguardo che mi era rimasto così impresso, quasi come se in fondo sapessi che FG era lui. Ora potevo affermare con sicurezza che i suoi occhi dal vivo erano ancora meglio, o peggio, dal mio punto di vista. Avevano quella stessa vitalità, quell'elettricità che si notava anche in fotografia… moltiplicate per mille. Tutto questo, sommato alla sua voce, roca e al tempo stesso acuta, che mi faceva venire voglia di chiedergli di cantare qualcosa ogni volta che apriva bocca. E poi il suo accento, che diventava più marcato quando era agitato per qualcosa; il suo sottolineare alcune parole con l'intonazione; il suo saltare qualche consonante qua e là. Osservandolo da lontano dovetti ammettere con me stessa che tutto di lui mi piaceva e che non potevo proprio farci niente. Mi piaceva persino quella sua aria quasi saccente, con gli occhi attenti e accesi, come se sapesse qualcosa che nessun altro sa. Come un folletto che conoscesse il segreto del bosco incantato.

***

Finito il servizio, Louis corse verso di me, un sorriso stampato sul viso stanco: «Vieni in camerino...»

Mi prese per mano di nuovo e mi condusse nella stanza di poco prima, cambiandosi poi velocemente dietro un separé. Scacciai immediatamente il pensiero poco platonico che lui fosse lì a pochi passi da me, praticamente nudo, dietro uno stupido strato di stoffa.

Fui sollevata quando lo vidi uscire, completamente vestito.

«Cosa vuoi fare, ora?» chiese.

«Non sei stanco?» gli domandai di rimando, leggermente preoccupata.

«Un po'...» ammise con un sorriso sincero, senza vergogna. Dio, quanto mi piaceva.

«Potresti accompagnarmi a casa...» dissi allora con fare allusivo. Oh mio dio, cosa stavo facendo? Da dove mi era uscita quella frase? Forse era stato il suo modo trasparente di ammettere che era stanco, forse i suoi occhi sempre azzurrissimi ma meno sfrontati del solito...

Stavo per sdrammatizzare quella mia uscita, aggiungendo «Certo, sempre se non sei qui con quel simpatico fuoristrada giallo…», ma lui mi precedette.

«Non so se mi va...» rispose con un tono superbo, al tempo stesso scherzoso e malizioso, sorridendo e facendo crollare tutti i miei castelli mentali. Be', non tutti: lo adoravo anche così.

«Uhm» feci spavalda, voltandomi e andando verso la porta «allora forse potrei chiedere a Zayn...»

Sorrisi perfida, ma dentro di me speravo che non se la prendesse.

«Vieni qui, stupida» disse con una dolcezza disarmante, nonostante quell’appellativo. Mi raggiunse con un passo e, prendendomi per una mano, mi fece girare e mi tirò a sé. I nostri corpi si scontrarono e combaciarono in modo perfetto. Per qualche secondo non facemmo altro che fissarci, gli occhi di entrambi sorridenti e lo stomaco sottosopra. Poi lui si chinò su di me e mi baciò dolcemente.

 

 

 

 

 

 

* Il gioco del “repeat” è una cosa che fanno Louis e Liam (e qualche volta anche gli altri) ogni tanto durante le interviste, per cui quando uno lo dice l’altro deve ripetere l’ultima frase che ha pronunciato. Il “repeat” può anche diventare più complicato quando si aggiungono delle condizioni, tipo “repeat yelling” e cose così. È una cosa per cui, da idioti quali sono, ridono tantissimo.

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Dunque. Iniziamo dalle cose importanti. Intanto abbiamo superato le 100 ricordate/seguite/preferite, il che mi dà una gioia immensa!!! Non potete immaginare cosa voglia dire per me se una mia storia piace almeno un po’ (perché so cosa vuol dire per me quando una storia piace a me). Quindi. Vi ho promesso che vi avrei preparato una sorpresina e in realtà la sorpresina potrebbe essere anche questo capitolo, visto che, inZomma… direi che QUALCOSA finalmente succede!
Ma visto che quello era già previsto, volevo donarvi… *rullo di tamburi* una mia traduzione di una fic (Ziam con accenni di Larry) che ho ADORATO letteralmente settimana scorsa e che ho deciso di tradurre perché è veramente TROPPO PERFETTA. TUTTAVIA è lunga 8000 parole, perciò è ancora in lavorazione e ho preferito finire il capitolo di NS prima. [Se non vi piacciono le slash (o le Ziam… no questo mi rifiuto di considerarlo :P), ehm, mi spiaceeee! Se invece vi piacciono… aaaah aspettate e vedrete!] Magari sarà pronta per quando arriveremo alle 100 recensioni, CHISSÀ! ;) HINT HINT

Con questo passo e chiudo e vi ringrazio per le recensioni della volta scorsa e vado a dormire che sono stancaaaaaa

Baci, Sum

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Photographs ***


11. Photographs


 

Quella mattina mi svegliai con un sorriso enorme stampato sul viso, che era lì ancora prima che il mio cervello ricordasse gli eventi della giornata precedente. Dopo il photoshoot, quella sera Louis era davvero troppo stanco per fare qualcosa si più che fissare uno schermo. Perciò, eravamo andati al cinema a guardare un film, accompagnati dagli altri quattro che si erano autoinvitati dopo che Niall ci aveva sentiti per caso discutere dei nostri piani. Si erano messi qualche fila dietro di noi e, mentre Louis mi teneva la mano e sbadigliava di tanto in tanto cercando di seguire il film con gli occhi pieni di sonno che mi facevano una tenerezza inaudita, ridacchiavano e a volte lanciavano urletti ma anche popcorn. Sentivo Zayn sbuffare e Niall ridere di gusto, mentre Liam di tanto in tanto li zittiva con uno «Ssssh» poco convinto. Ogni volta Louis mi stringeva più forte la mano e mi sussurrava qualcosa all'orecchio, gli occhi brillanti divertiti da quegli idioti dei suoi amici. Non avevo seguito mezza battuta del film che avevamo visto, impegnata com'ero a sorridere tra me e me, fissando di sottecchi nella penombra il profilo di Louis illuminato dalla luce azzurrina dello schermo e chiedendomi come avessi fatto a cacciarmi in quella situazione, i capelli pieni di pop corn e la mia mano in quella di Louis Tomlinson.

Solo una volta usciti, mi ero chiesta se i ragazzi avessero scelto appositamente un film straniero ed effettivamente poco conosciuto per evitare di essere riconosciuti e "molestati", visto che in effetti la sala era quasi vuota e non c'erano stati incidenti. Louis poi mi aveva accompagnata a casa, o meglio, mi aveva fatta accompagnare da un'autista mentre lui sedeva con me sul sedile posteriore, e mi aveva posato solo un leggero bacio sulle labbra prima che scendessi dalla macchina, sorridendo con gli occhi che erano diventati due fessure, un po’ per la stanchezza e un po’ per la felicità.

Dopo essermi svegliata, decisi che quella mattina non era il caso di andare a lezione - non sarei comunque riuscita a seguire una parola - perciò rimasi per qualche minuto a letto, rotolandomi tra le coperte ridacchiando. Non riuscivo a stare ferma, era come se avessi dovuto sfogare la mia felicità in qualche modo. Mi feci una doccia, mi vestii e mi diressi fuori, sentendomi bene con me stessa come non mi succedeva da tempo. Notai qualche sguardo strano da parte di qualche studente che mi passava di fianco ma imputai la cosa al fatto che stessi ancora sorridendo da sola come un'idiota.

Fu passando davanti all'edicola di fronte al chiosco del caffè che lo vidi.

"Esclusiva: Louis Tomlinson non è più single?"

Il mio cuore smise di battere per un attimo. Con tutti i colpi che stavo ricevendo in quei giorni non sarebbe durato ancora a lungo. Afferrai la rivista sulla quale avevo visto il titolo allarmante scritto a caratteri cubitali e in fretta pagai l'edicolante. Louis non era più single? Cosa diavolo voleva dire? Con chi si era messo nell'arco di quelle poche ore in cui non ci eravamo visti? Mi gettai a peso morto su una panchina e iniziai a sfogliare il giornale con le dita tremanti. Per poco non urlai quando trovai l'articolo. C'era una foto che occupava tutta la pagina, leggermente buia e sgranata. Però non c'erano dubbi. Mano nella mano con Louis all'uscita da un cinema, c'era una ragazza assolutamente ordinaria, lunghi capelli castani un po’ spettinati e sorriso timido appena accennato. Insomma, in quella foto c’ero io.

Deglutii forte senza sapere se essere sollevata o spaventata: mi sentivo solo confusa. Lessi velocemente l'articolo e scoprii che per fortuna per il momento ero ancora solo una "ragazza misteriosa". Mi morsi un labbro: cavolo, le riviste scandalistiche erano davvero veloci a scovare e a stampare su carta notizie su avvenimenti che nemmeno io avevo completamente digerito. Mi portai una mano alla bocca: se la stampa era stata veloce, non osavo immaginare cosa stesse succedendo su Internet. Estrassi il telefono dalla tasca e composi un numero.

«Pronto?» rispose al primo squillo una voce fin troppo sveglia. Non era un buon segno.

«Chels...»

«Lo so. Non hai guardato Internet vero?» mi chiese leggermente allarmata.

«No, perch...?» tentai di chiedere, ma lei mi interruppe di nuovo.

"Arrivo." disse semplicemente, chiudendo la comunicazione.

"Oh mio dio" dissi semplicemente facendo scorrere i risultati della ricerca che Charlie aveva avviato sul suo portatile. Quello di Chelsea era esploso pochi giorni prima («tumblr è il male» aveva semplicemente esclamato lei, a mo' di giustificazione) e il mio era "troppo lento" a detta della mia migliore amica. Aveva quindi convocato nella mia camera il povero Charlie, che quando era stato chiamato stava ancora dormendo ma che si era precipitato subito – con una maglietta scolorita dei Metallica e i pantaloni del pigiama ancora addosso - pur di farle un favore. Se non fosse stato che Charlie era l’essere più dolce e gentile sulla faccia della terra, avrei pensato che per quei due non ci sarebbe mai stato un futuro, per quanto erano diversi. Avrei pensato questo se avessi avuto in quel momento la capacità di pensare, invece ero nel panico più semplice e totale.

Se l'articolo sulla rivista mi aveva spaventata, non ero minimamente preparata a quello che avevamo trovato su Internet semplicemente digitando "Louis Tomlinson single". Chelsea mi aveva messa in guardia, ma io, testarda, avevo voluto vedere con i miei occhi e qui era entrato in gioco Charlie. In pochi minuti avevamo constatato che la fotografia che avevo visto sulla rivista aveva già fatto il giro del pianeta e gli articoli delle testate online sulla vicenda si moltiplicavano a vista d'occhio con il passare dei minuti. Malauguratamente, cliccai un link che portava a Twitter. Tra centinaia di utenti che si chiedevano semplicemente chi fossi spiccavano quelli che si chiedevano invece chi fosse "quella pu****a" che teneva per mano Louis e che mi auguravano di morire per questo. Leggevo sempre più scioccata pagine e pagine di insulti gratuiti a tutto quello che mi riguardava, dal mio modo di vestire alla mia postura, il tutto tratto da una semplice fotografia sgranata. Più leggevo più sbarravo gli occhi, rischiando quasi che mi uscissero dalle orbite.

Fu Charlie a strapparmi da quella tortura, chiudendo di colpo il coperchio del portatile. "Ora basta" disse in tono autorevole e solo in quel momento mi accorsi di avere gli occhi umidi. Razionalmente, la cosa non avrebbe dovuto toccarmi: si trattava solo di persone che non mi conoscevano che sparavano a zero su di me per divertimento o perché sembrava loro giusto farlo. D'altra parte però era difficile non prenderla sul personale quando gli insulti erano rivolti proprio a me e a tutto ciò che mi riguardava. Chelsea, dietro di me, era a bocca aperta e non sapeva cosa dire. La sentii mormorare «Be’, non è stata una buona idea» con aria sconsolata. «Sai vero che sarebbe lo stesso con chiunque altro?» iniziò Charlie in tono calmo e con voce paziente. Mi inchiodò con i suoi occhi chiari: «È così che funziona Internet a volte, tu non c'entri, non sei la prima e non sarai l'ultima a subire questo trattamento. I fan sfegatati poi possono essere davvero una brutta cosa» sorrise infine, posando una mano sulla mia spalla nel tentativo di rassicurarmi. Chelsea lo fissò per un attimo stupita, poi si riscosse e si rivolse a me: «Sì, Cate, sarebbe stato lo stesso se al tuo posto ci fosse stato chiunque altro». Deglutii forte fissando il portatile chiuso.
«No, questo lo so» dissi alzandomi dalla sedia barcollando leggermente e facendo un sorriso poco convincente. Avevo solo un pensiero fisso nella testa. «Devo parlare con Louis» dissi guardandoli con aria di scuse e uscendo dalla mia stanza e dall'appartamento, ignorando Sasha che era sdraiata sul divano intenta a parlare al telefono.

«Mi spiace, Catie» mi disse la voce calda di Louis al telefono. Era tutto quello che volevo sentirmi dire, ma ancora non bastava a farmi passare quello strano senso di malessere che mi aveva provocato quella vicenda. Continuai a camminare avanti e indietro nel tentativo di calmarmi. Sospirò «Mi spiace davvero, non dovrebbero prendersela con te. Ora scrivo un tweet e…» iniziò a dire con voce un po’ più animata, quasi arrabbiata, ma lo fermai subito: «No, lascia stare. Non faresti altro che peggiorare la situazione». Lo sentii sospirare di nuovo e immaginai che si stesse mordendo le labbra come per trattenersi dal fare qualcosa di stupido. Mi diedi della stupida egoista perché l’ultima cosa che volevo era dargli un motivo di preoccupazione, ma il solo sentire la sua voce in effetti mi aveva fatto stare meglio immediatamente. Per un attimo immaginai l’effetto che mi avrebbe fatto averlo vicino, i suoi occhi blu nei miei. Probabilmente mi sarei, come al solito, dimenticata persino il mio nome.

«Vuoi che venga lì?» disse lui quasi leggendomi nel pensiero. Mi bloccai fissandomi le scarpe. «Avrei un’intervista tra una decina di minuti» continuò Louis «e poi dovrei andare in studio fino a stasera, ma potrei…»

«No» lo interruppi con un sorriso. Era così premuroso che mi faceva male al cuore: «Non ti preoccupare, sul serio, passerà, starò bene» dissi sincera.

«È solo che vorrei poter…» aggiunse con voce impotente, lasciando la frase a metà. Di nuovo, sorrisi. Era così da lui fare qualcosa di impulsivo e stupido per proteggere una persona a cui teneva. Gli occhi mi si illuminarono di gioia: era la dimostrazione di quanto tenesse a me?

«Louis, davvero, non fare niente di stupido» lo ammonii. Lui rise, finalmente un po’ più sereno: «Quindi è questo quello che pensi di me?»

Risi anch’io: «Be’, io… ecco, insomma…»

«Ah, bene!» quasi urlò, fintamente offeso «Comunque sappi che hai una cattiva influenza su di me…»

Prima ancora che potessi chiedere qualcosa, una voce di sottofondo, bassa e roca, esclamò: «Calmi i suoi istinti omicidi, Catie!»

«Eh, per una volta ha ragione Hazza» disse Louis quasi rassegnato «Succede, una volta ogni cinque anni».

«Allora non può essere successo più di due volte» replicai, prendendo in giro Harry per la sua giovane età. È che dimostrava ancora meno anni di quelli che effettivamente aveva, era un bersaglio fin troppo facile.

«Non ho dieci anni!» lo sentii brontolare dall’altro capo del telefono.

«Disse lui mentre faceva capriole all’indietro sul letto del suo migliore amico» recitò Louis e me lo immaginai che guardava le acrobazie di Harry con un sopracciglio alzato. Scoppiai a ridere di gusto.

«Non mi piace questa Catie, sai Lou?» sentii Harry aggiungere con un tono di voce più alto, come se si fosse avvicinato al cellulare appositamente per farsi sentire.

«A me invece sì» sentii mormorare Louis con quella voce per cui era palese che stesse sorridendo «tanto».

***

Il resto della giornata passò in un baleno. Chelsea e Charlie erano rimasti praticamente tutto il tempo con me, tentando di distrarmi quando passavamo per caso davanti all’edicola del campus esclamando cose assurde (come il «Oh, guarda, un ufo! No, aspetta… era un piccione» di Charlie o il «Sapevi che Platone è il padre del… plato…ni…cesimo?» di Chelsea, detto prendendomi sottobraccio quando un gruppetto di ragazze aveva iniziato a indicarmi fuori da un’aula). Soprattutto però, Louis ogni tanto mi mandava messaggi minatori, per assicurarsi che stessi bene a modo suo.

“Smettila di leggere quella rivista”

“So che lo stai facendo, mettila giù”

“E non accendere il computer”

“Sul serio, è la prima e l’ultima volta che te lo dirò: studia e non ti distrarre”

“Oh, e guarda cos’ha scritto questa ragazza”

Di seguito mi aveva allegato uno screenshot fatto dal suo cellulare di un post su Twitter. Questa ragazza, MissToms, scriveva semplicemente: “Non mi interessa chi sia lei. L’importante è che lo renda felice. Ed è ovvio che sia così :)”

Mi ero allora fermata ad osservare meglio la fotografia di me e Louis che aveva fatto il giro del pianeta. Fino a quel momento avevo colto solo l’idea generale, ovvero che eravamo io e Louis, immortalati all’uscita del cinema. Questo era quello che avevano notato tutti. La ragazza del post invece era andata un po’ più in là, cosa che nemmeno io ero riuscita a fare.

La fotografia era buia e sgranata, ma ora notai un minuscolo particolare: il sorriso di Louis. Un sorriso così felice, caloroso, sincero e accecante anche se visibilmente stanco e provato, che era dura ignorare. Un sorriso rivolto a me che, chinata com’ero a fissare i miei piedi, al momento dello scatto non l’avevo nemmeno notato. Un sorriso che voleva dire mille cose, che era milioni di volte più importante di qualunque cosa chiunque potesse dire su di me, su di lui, su quella foto e su di noi.

“Grazie” scrissi a Louis, e con quel ringraziamento avrei voluto dire troppe cose che invece mi si erano fermate sulla punta delle dita.

***

Quella sera, nemmeno la breve chiamata della buonanotte di Louis era riuscita a farmi prendere sonno. Era mezzanotte, era ancora in studio con i ragazzi e ci sarebbe rimasto ancora per un po’, aveva detto. Mi rigirai per un po’ nel mio letto; ascoltai della musica; mangiai troppi biscotti; lessi qualche pezzo del libro di linguistica che di solito aveva un effetto soporifero dopo poche righe. Niente. Rischiavo anche di imparare qualcosa su morfemi e fonemi. Verso le 3 decisi quindi di alzarmi definitivamente e prepararmi una tisana o una tazza di tè.

Arrivata nel salotto in tenuta da notte e stropicciandomi gli occhi, notai che anche Sasha, la mia coinquilina, era in piedi, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, perfettamente ordinati come se la notte fosse solita dormire in piedi, la vestaglia rosa e le pantofole pelose abbinate ai piedi. Stava alla finestra e guardava giù; quando mi sentì entrare nella stanza stranamente mi fece cenno di avvicinarmi e mormorò: «Porca puttana, qui sotto c’è L... questo cantante famoso... Scommetto che tu non sai neanche chi è, Catherine» disse con aria sprezzante senza staccare gli occhi dalla finestra «Passi tutto il tuo tempo in quella stupida biblioteca...» aggiunse con un gesto della mano come per scacciare una mosca – o me -  e poi si ammutolì, come se avesse finito di parlare. Mandai gli occhi al cielo: «Il punto, Sasha?» le chiesi con una punta di irritazione.

Lei si riscosse, senza però spostare lo sguardo di un millimetro: «Oh, sì. È assurdo. C'è quel cantante che dicevo, Louis Tomlinson, qui sotto che...»

Il terreno mi mancò per un attimo sotto i piedi e per un attimo pensai di stare sognando. Louis? Sasha aveva fatto proprio il nome (e cognome) di Louis? Cosa voleva dire “qui sotto”? Appena mi ripresi cercai di non strabuzzare troppo gli occhi e mi affrettai ad avvicinarmi alla finestra e a guardare giù. Nel piccolo triangolo di prato appena sotto la finestra del nostro appartamento, c'era un ragazzo seduto a... un pianoforte. Per quanto mi dispiacesse ammetterlo, Sasha aveva ragione. Era assurdo. Era Louis. Con un pianoforte. A coda. Stava suonando e cantando una canzone, le dita sottili che si muovevano agili sulla tastiera, lo sguardo azzurro intento e concentrato. La luna si specchiava sulla superfice lucida e scura del pianoforte, conferendo alla scena una bellezza quasi surreale. Sorrisi, rapita. Non pensavo che Louis potesse sembrare ancora più angelico del solito.

«Chissà cosa cazzo ci fa qui. E chissà chi è la stronza fortunata che se lo fa» esclamò Sasha risvegliandomi bruscamente dai miei pensieri aulici e ricordandomi vagamente perché non eravamo amiche. Avrei voluto dirle qualcosa, rivelarmi a lei come "la stronza che si fa Louis Tomlinson" e tanto piacere, ma chissà come mi trattenni. Senza dire niente, ma con un sorrisino vendicativo che mi affiorava sulle labbra, afferrai il giubbino di jeans che avevo lasciato appeso all'ingresso e me lo misi in fretta sulle spalle, aprendo la porta e uscendo dall'appartamento. Feci le scale due gradini alla volta e solo quando fui fuori rallentai, dirigendomi lentamente verso il prato dove Louis continuava a suonare, timorosa di rompere quell'incanto. Era incredibile vedere lui, che di solito era sempre carico di quell’energia solare che lo faceva saltellare da una parte all’altra incapace di stare fermo, seduto così tranquillo al pianoforte, come se la musica fosse quello che lo teneva ancorato con i piedi a terra, che lo calmava, che lo faceva sentire al sicuro, in un posto dove poteva essere sé stesso senza esagerare, senza preoccuparsi degli altri costantemente. C’era solo lui, il suo pianoforte e la sua musica. Man mano che mi avvicinavo lentamente a passi felpati quasi come per non disturbare, riconobbi le note della canzone che stava suonando.

Don’t want your picture on my cell phone


I want you here with me



Don’t need those memories in my head, no

I want you here with me

Era una canzone che adoravo letteralmente. E ora l’avrei adorata ancora di più. La voce di Louis era perfettamente intonata, roca nei punti giusti, emozionante, perfetta. Seguiva il flusso delle note senza sforzo, in modo completamente naturale. Mi si stringeva il cuore a guardarlo così e per poco gli occhi non mi si inumidirono. Quando fui abbastanza vicina, alzò gli occhi verso di me e rimasi per un attimo interdetta, bloccandomi sul posto. Tutto il suo calore, quello che normalmente esprimeva toccando gli altri costantemente, sorridendo in quel suo modo solare, facendo scherzi e battute e molto altro, era in quel momento concentrato nei suoi occhi, che brillavano di un azzurro intenso, come di luce propria, contrastando con il blu scuro del cielo tutt’intorno a noi.

«Buonasera, splendore» disse semplicemente, sorridendo tranquillamente come se quella fosse la cosa più normale del mondo. Suonare un pianoforte venuto chissà da dove nel bel mezzo di un campus universitario alle due di notte. Oltretutto, be’, se mi trovava uno splendore con addosso i pantaloni grigi della tuta e la maglia larga con sopra un disegno di Snoopy che usavo per dormire, allora era vero, doveva essere proprio...

«Sei pazzo» gli dissi con un sorriso felice, sedendomi accanto a lui, con il mio corpo che bramava il calore del suo.

«Ma come hai fatto a…» iniziai a chiedere, lasciando che la domanda mi morisse in gola. Era tutto talmente assurdo che non sapevo neanche cosa dire.

«Niall» fece lui scrollando le spalle «e un pick-up» aggiunse come se quelle due cose insieme bastassero a spiegare tutto. Rimasi a bocca aperta a fissarlo per qualche secondo, indecisa se essere più divertita o spaventata.

«Non riuscivo a dormire» disse poi. Appoggiai la mia testa sulla su spalla e mi lasciai cullare dalla musica prodotta dalle sue dita che mi muovevano leggere sulla tastiera.

«E poi volevo dirti queste due cose...» disse serio guardandomi e smettendo di suonare «Che non mi basta avere una tua fotografia, non mi bastano dei ricordi. Noi non siamo una fotografia. Voglio te, voglio che sia reale».

Smisi per un attimo di respirare.

«È che» iniziai, tentando di rovinare tutto come al solito e di trovare qualcosa che non andasse in quel momento perfetto «non c'è un attimo di pace. Avevamo appena superato tutti quei problemi sulle tue bugie...» fece segno delle virgolette in aria con le dita e io annuii accondiscendente «e oggi questo... Vorrei solo un attimo di pace...» dissi alzando un poco le spalle. Lui mi circondò le spalle con un braccio, tirandomi a sé: «Be'» fece indicando con la mano libera tutto quello che c'era intorno a noi. Il campus era deserto e una brezza primaverile scuoteva lievemente le cime degli alberi, rischiarati dai lampioni e dalla luna piena.

«Eccolo» disse lui fissando il cielo con gli occhi che brillavano «un attimo di pace.» concluse portando lo sguardo su di me e sorridendo in un modo che avrebbe fatto crollare qualsiasi muro. Mi avvicinai a lui e gli posai un bacio leggero sulle labbra, sentendo qualcosa sgretolarsi dentro di me.

***

A Louis dopo qualche minuto si chiudevano gli occhi come a un bambino che avesse saltato il suo pisolino quotidiano, quindi gli proposi timidamente di salire in camera mia, ma non avevo nemmeno pensato alla possibilità che potesse passare la notte nel mio appartamento. Invece, naturalmente e spontaneamente, fu proprio quello che successe. Con lui niente era forzato, niente era fuori luogo e per me, che mi sentivo sempre un po’ fuori luogo, sentirmi così di riflesso era una ventata d’aria fresca.

Fu una notte in un letto troppo stretto per due persone, che però bastava lo stesso. Una notte di bisbigli nel buio, di risatine soffocate e di parole, tante parole, sussurrate a fior di labbra e sbiascicate per la stanchezza o, con un piccolo sforzo in più, pronunciate chiaramente con occhi attenti quando ne valeva davvero la pena, per assicurarsi che venissero capite. Una notte di mani che accarezzano capelli, di dita che sfiorano pelle che si scopre accidentalmente, di piedi e ginocchia che si toccano appena, di baci che non si spingono troppo in là e di occhi così vicini che la vista si confonde.

Louis si addormentò esausto dopo qualche ora con un braccio a cingermi le spalle e una mano ancora posata leggera sulla mia guancia, il tocco caldo e morbido dei suoi polpastrelli sulla mia pelle. Dopo aver constatato con un sorriso che somigliava ancora di più a un folletto quando dormiva, mi decisi ad abbandonarmi anche io al sonno tra le sue braccia, non prima di aver tentato di allungarmi a prendere il cellulare sul comodino per scattargli una fotografia, senza successo. Non valeva la pena di allontanarsi da lui, per nessun motivo.

Il mattino successivo, quando mi svegliai, Louis non c’era più. Provai immediatamente una fitta allo stomaco – mancanza, desiderio e ancora mancanza – ma proprio in quel momento sentii Shasha lanciare un urlo al di là della porta della mia stanza. A piedi nudi, mi precipitai a vedere cosa stesse succedendo e la scena che mi si presentò davanti agli occhi fu davvero troppo per il mio cervello appena sveglio.

Louis era in piedi dietro il bancone della cucina con dei ridicoli boxer a pois e con la mia t-shirt che gli avevo prestato per dormire con la scritta “I’m not crazy, my mother had me tested” e stava apparentemente preparando la colazione, sorridendo e canticchiando a bassa voce. Il suo essere così solare, attivo e pimpante contrastava con l’immobilità totale di Sasha, che stava in piedi davanti alla porta della cucina e non faceva altro che fissarlo a bocca aperta. Evidentemente la sera prima non mi aveva vista parlare con lui.

«Ehilà!» disse Louis rivolto alla mia coinquilina, girando in una padella qualcosa che poteva essere bacon «Ho finito il succo d'arancia, spero non sia un problema...»

Sasha non dava segni di vita, perciò, dopo aver ridacchiato senza farmi vedere, la sorpassai e ritornai seria all’improvviso: «Sì che è un problema, signor Tomignon...»

Vidi con la coda dell’occhio Sasha deglutire e correggermi con un filo di voce: «Tomlinson...»

«Be’», continuai «se lei pensa di venire qui e poter fare colazione a sbafo in un appartamento qualsiasi e di poter finire il nostro succo d'arancia impunemente solo perché è un famoso cantante del gruppo degli One Perfection…»

Di nuovo Sasha mi corresse con la voce quasi spezzata, sempre fissando Louis che nel frattempo aveva cominciato a sorseggiare caffè dalla mia tazza preferita: «Direction...»

Rischiando di scoppiare a ridere guardai Louis con tutto il finto astio che potevo ed esclamai, puntandogli un dito conto: «Dimension o no, lei si sbaglia!»

Vidi Louis cercare di non sputare il caffè e deglutire a fatica: «Bene!» esclamò dopo qualche secondo di lotta interiore «Visto che non sono gradito in questa casa, me ne vado!» disse in tono melodrammatico, buttando indietro la testa. Sentii Sasha mormorare una specie di lamento disperato e la vidi allungare appena una mano verso di lui, ma continuò a non muoversi di un millimetro. Louis mi fece l’occhiolino senza farsi vedere e uscì dalla porta indignato, sbattendola dietro di sé. Dopo qualche secondo riapparve, solo per urlare: «Ma ritornerò!». Diede un morso in modo drammatico a una fetta di toast tirata fuori da chissà dove e si chiuse di nuovo la porta alle spalle.

Aspettai qualche secondo, ridendo sotto i baffi; poi non resistetti più e mi fiondai dietro di lui, trovandolo appena fuori dalla porta, tranquillamente appoggiato mezzo nudo al muro del corridoio: «Buongiorno, splendore» disse sorridendomi e dopo avermi dato un bacio sulle labbra si guardò intorno lievemente imbarazzato ed esclamò: «Dici che riusciamo a recuperare i miei pantaloni o devo andare in giro per il campus con te… così?» e si indicò le gambe nude.

Ridacchiai, pensando che, be’, in fondo non sarebbe stato così male. Soprattutto la prima parte: con me.

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.Summer

Madòòòò chiedo immensamente perdono. È che ho un lavoro ora (e per ora)(pffft w l’estate) e non ho praticamente più tempo per scrivere (se non in macchina in coda quando vado al suddetto lavoro, vedi Pieces of you and me e how to make me fall in love with you  che ho scritto in 5 minuti netti), sigh, povera me. Mi avete commossa con i commenti allo scorso capitolo, quindi mi sono impegnata e ho postato! Spero che vi piaccia questo… Ho fatto fatica a scriverlo perché ultimamente sto vedendo cosa combina il vero Louis e… mi trovo sempre a pensare che il Louis reale spacca i c*** al mio! Perciò mi deprimo un po’, perché vorrei renderlo com’è veramente :P Be’, come sembra che sia!

C’è una citazione di un telefilm da qualche parte (ehe), vediamo se la beccate :P

L’ispirazione comunque per la scena del pianoforte mi è venuta da tre o quattro cose:

UNO:

DUE (muoio): http://www.youtube.com/watch?v=yslrb52Di5w

TRE (una delle mie canzoni preferite, sigh E LA SUA VOCE, oddio): http://www.youtube.com/watch?v=ZuwTY4gqu0Y

QUATTRO: il fatto che sono andata al concerto dei The Killers e WOW ce l’ho ancora negli occhi, nelle orecchie e nel <3.

Va be’, la smetto con lo spam.

Più: ho promesso che avrei tradotto una Ziam e vi annuncio che, con immensa fatica, ho fatto anche quello!! La trovate QUI. Mi raccomando se la leggete e vi piace e vi va recensite pure, perché l’autrice è francese e qualche parola di italiano la sa, quindi le farebbe strapiacere (credo. Immagino.).

Alla prossima! Sum

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1753465