Schiavi d'amore

di Pikky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


Schiavi d’amore

 

 

I

 

Roma, 73 d.C.

 

Sophia se ne stava ritta sulla tribuna, lo sguardo fermo e impassibile, a celare i turbamenti del proprio animo. Le immagini degli avvenimenti di cui recentemente era stata protagonista continuavano a ronzarle in testa, come un fastidioso tarlo, ma cercava di non farsi influenzare da esse. Come una cantilena, continuava a ripetere mentalmente gli insegnamenti del padre, ovvero i principi di quella filosofia stoica che egli aveva sempre impartito a giovani fanciulli e che lei aveva origliato ogni volta, nelle stanze della loro dimora.

Soppresse quei ricordi.

Doveva tenere a mente solo gli insegnamenti, non chi li aveva impartiti. Ricordare il padre faceva male, e lei non aveva più intenzione di soffrire, di aggiungere tormenti psicologici a quelli fisici.

La corda che le legava i polsi, infatti, era talmente stretta da rendere difficoltosa la circolazione del sangue e dal farle formicolare le dita, e ogni tanto doveva muoverle per riacquistare sensibilità. Per non parlare dell’afa soffocante che rendeva l’aria appiccicosa e la faceva sudare, sotto il sole cocente di Giugno nonché di metà mattinata; essendo trattata come una bestia, non poteva godere del sollievo che una zona in ombra le avrebbe potuto dare, per cui non le restava altro da fare che stare ritta su quel piccolo palco di legno, in attesa che qualche acquirente si mostrasse interessato a lei e la conducesse al suo destino, qualunque esso fosse.

Fin da quando era stata deportata dalla Grecia, aveva sempre saputo che le opzioni a cui andava incontro sarebbero state varie. Le aveva più volte soppesate mentalmente, eppure non era stata in grado di determinare quale fosse il minore dei mali. Erano tutte possibilità infamanti e degradanti, per persone che come lei erano nate libere e si erano ritrovate a essere schiave.

Per le donne che, come lei, erano state prima figlie e poi mogli esemplari, probabilmente il destino più disdicevole sarebbe stato quello di essere destinate a un lupanare, uno dei tanti bordelli di Roma, ognuno dei quali era frequentato da una folta schiera di clienti di ogni tipo e di ogni esigenza.

Serrò gli occhi per il disgusto, al solo pensiero. Per gli dèi, sarebbe stato orribile! L’unica sua consolazione sarebbe stata che suo padre e suo marito non ne sarebbero mai venuti al corrente, dall’Oltretomba in cui dimoravano.

Finire in una villa (1) di campagna, però, non sarebbe stato tanto meglio. Tutti sapevano che i servi delle villae erano i più sfruttati e i più maltrattati, i più fustigati e i meno longevi. Venivano infatti sfruttati al massimo da un ex schiavo per coltivare le terre e mandare avanti la villa mentre il dominus era lontano e godeva dei proventi del loro lavoro per vivere nel lusso.

Nemmeno le famiglie patrizie di Roma, tuttavia, potevano risultare un porto sicuro. Avrebbe potuto capitare in una buona famiglia o in una famiglia crudele, e doveva vagliare ogni possibilità.

Come tante altre volte, desiderò essere defunta. Nella morte vedeva l’unica soluzione ai propri problemi, l’unico sollievo a quel tragico destino e l’unico modo per ricongiungersi ai propri cari.

A quel pensiero si rattristò e se possibile si incupì ancora di più. Emise un debole sospiro e tornò a fissare il vuoto, impassibile.

 

Lucio Sergio Fidena (2) osservò la piccola tribuna su cui erano accalcati una mezza dozzina di schiavi. Il padre l’aveva mandato a cercare uno schiavo che sapesse il greco e che fosse almeno un po’ acculturato, così da poter fare da precettore ai due figli più piccoli avuti da un secondo matrimonio, dato che la prima moglie era morta di parto dando alla luce Lucio. Anche la seconda consorte, però, era incorsa in quel destino.

Lucio era già stato da altri mercanti di schiavi, ma non aveva trovato quello che cercava. O meglio; aveva trovato uno schiavo sui quarant’anni di origine greca che poteva fare al caso suo, ma il prezzo era eccessivo e non aveva con sé abbastanza sesterzi. Era incredibile il valore che gli schiavi acculturati potevano raggiungere.

Annoiato e accaldato, diede una rapida occhiata agli schiavi ritti sul piccolo palco, nella speranza di trovare qualcuno che facesse al caso suo. Stava per andarsene, quando il suo sguardo si fermò su una ragazza che a prima vista doveva avere una ventina d’anni. Lesse il cartello che portava al collo e sorrise fra sé e sé: quella giovane donna proveniva da Atene, sapeva parlare il greco, sua lingua madre, ma anche il latino, e infine era istruita sia di letteratura che di filosofia. Immaginò che, essendo donna, non dovesse costare molto.

- Ehi, tu! – disse, rivolto al mercante di schiavi. Quest’ultimo si voltò verso di lui con un sorriso felino, capendo che molto probabilmente aveva trovato un acquirente.

- Quanto costa quella ragazza? – domandò Lucio, indicando la giovane donna, il cui volto non tradiva emozioni.

- Quella, eh? Duemila e cinquecento sesterzi (3). È un affare, per tutte le qualità che ha – rispose il mercante. – Ed è anche molto graziosa. Può rendere molti altri servigi rispetto a quelli elencati, non so se mi spiego – aggiunse in tono d’intesa, facendosi più vicino a Lucio.

Il ragazzo fu disgustato da quell’osservazione. A suo padre serviva uno schiavo istruito che facesse da precettore, non certo uno schiavo del sesso. – Non mi importano i suoi servigi secondari. Mi serve per la sua istruzione, non per il suo corpo – disse dunque per liquidare il mercante. – La prendo – decretò infine, porgendo all’uomo il sacchetto di cuoio che il padre gli aveva dato quella mattina. Conteneva la cifra esatta che il mercante gli chiedeva per quella ragazza.

- Non te ne pentirai – disse il mercante, afferrando prontamente il sacchetto, dopodiché si voltò e afferrò la corda che legava i polsi della ragazza, per farla scendere dalla tribuna, quindi la porse a Lucio.

La ragazza osservò per la prima volta il suo nuovo padrone, sperando così di intuire quale sarebbe stato il proprio destino. Doveva avere all’incirca la sua età, forse qualche anno in più; la sua altezza rientrava nella media e la sua corporatura non era molto robusta, segno che non era un soldato. In base agli abiti che indossava, doveva essere una persona di alto rango, addirittura un patrizio, o semplicemente molto ricco.

- Come ti chiami? – le chiese, dopo aver afferrato la corda che il mercante gli porgeva.

- Sophia – rispose lei, in tono flebile.

Lucio pensò che Sophia fosse un bel nome. Sapeva che era un nome greco e che era un sostantivo che stava per ‘sapere’. Pensò che, per il compito che le sarebbe stato assegnato nella sua domus, quel nome fosse particolarmente calzante. Sperò solo che il padre la pensasse allo stesso modo.

 

- Dimmi che ti stai prendendo gioco di me – tuonò Tito Sergio Fidena, padre di Lucio nonché senatore.

- No, padre, ho fatto quello che mi hai chiesto – si difese il ragazzo. – Volevi uno schiavo greco e colto, ed è quello che ho trovato – aggiunse dunque, indicando Sophia con un gesto della mano.

- No, per niente! – lo contraddisse il padre. – Hai trovato una schiava, non uno schiavo! Una donna! Cosa me ne faccio io, di una donna? Ne ho già abbastanza, di schiave!

- Se mi avessi dato più denaro, avrei potuto comprare uno schiavo che rispondesse ai criteri che mi hai elencato. L’avevo trovato, ma non avevo con me abbastanza sesterzi, dato che ne costava cinquemila. Quelli che avevo sono stati sufficienti per comprare lei – si giustificò Lucio, stizzito. Non aveva certo colpa per l’avarizia del padre. I prezzi degli schiavi colti erano noti a tutti, e la sua pretesa di trovarne uno a duemila e cinquecento sesterzi era un po’ assurda.

- Cinquemila! Assurdo! – sbottò Tito, scuotendo la testa. – Sei giustificato, allora – aggiunse dunque, ormai calmato, e Lucio poté esalare un sospiro di sollievo. – Sappi però che se la schiava non si rivelerà all’altezza, la rivenderò – decretò infine, dopodiché diede la spalle al figlio e andò nel tablinum, il suo studio nel quale intratteneva corrispondenze con altri senatori, teneva i conti delle rendite delle proprietà terriere fuori Roma e si rilassava leggendo le opere di poeti e storiografi latini e greci.

Sophia seguì Lucio finché non giunsero in una stanzetta il cui unico arredamento era costituito da un letto, da una piccola cassapanca e da un tavolino sul quale era posata una brocca d’acqua.

- Questo è il tuo cubiculum – le spiegò Lucio, mentre scioglieva i nodi della corda che le stringeva le mani. – Nella brocca c’è dell’acqua con cui rinfrescarti e nella cassapanca troverai degli abiti – proseguì. – Per qualsiasi altra cosa tu abbia bisogno, puoi chiedere agli altri schiavi. Li trovi in giro per la casa – la liquidò infine, prima di sparire oltre la soglia.

Sophia si sedette sul letto, con un sospiro. Dovette ammettere che non le era andata male; era capitata in una casa patrizia e non in un lupanare. Certo, il padrone di casa non si era dimostrato molto entusiasta quando l’aveva vista, ma alla fine aveva accettato la scelta del figlio, per quanto si capisse che la considerava discutibile. Era ancora un po’ scossa dal fatto che avessero parlato di lei come se nulla fosse, come se non fosse presente, o ancora peggio come se fosse un oggetto.

Doveva farci l’abitudine, però. Ora, lei era una schiava e in quanto tale era un oggetto.

 

Quella notte, Sophia non riusciva a prendere sonno. Il caldo era insopportabile, e la debole trepidazione che provava per l’inizio di quella nuova vita da serva era abbastanza forte per impedirle di chiudere gli occhi e dormire.

Non sapeva cosa l’aspettava, e questo la paralizzava. Fino a quel momento, era stata padrona della propria vita e delle proprie decisioni, e non aveva ancora metabolizzato quel capovolgimento subìto, quell’improvvisa perdita di libertà che ora la rendeva alle dipendenze di qualcun altro.

Le era stato spiegato che, a partire dal giorno seguente, avrebbe dovuto fare da insegnante ai due figli minori di Tito, un maschio e una femmina. Avrebbe dovuto insegnare loro a parlare, leggere e scrivere in greco, la sua lingua madre. Poteva farcela, non sarebbe stato un compito arduo. Se ne sarebbe occupata in ogni caso, se…

No, non doveva pensarci.

Si alzò dal letto e decise di fare una passeggiata. Per un attimo le balenò alla mente l’idea di fuggire, ma scemò subito. Dove sarebbe potuta andare? Da chi avrebbe potuto cercare rifugio? Non conosceva nessuno, lì a Roma. Avrebbe potuto tornare ad Atene, sì, ma non avrebbe trovato nessuno ad attenderla. Non le restava altro da fare che rassegnarsi al proprio destino di servitù.

Uscì dal proprio cubiculum e si ritrovò a camminare lungo il perimetro del grande peristilio, ovvero il colonnato della domus che si trovava appena dopo l’atrium di entrata e dal quale si aprivano tutte le stanze. Esso dava inoltre su un grande e curato giardino, in cui crescevano piante di ogni tipo e al centro del quale si trovava un’ampia piscina circolare, alimentata da una fontana al centro di essa, sulla quale troneggiava un gruppo statuario di gusto ellenistico che raffigurava Tritone attorniato dalle Nereidi.

Sophia si inoltrò nel giardino, sperando di trovare un po’ di frescura che desse tregua all’afa di quella notte. Si avvicinò alla grande vasca e si chinò per immergervi dentro una mano; emise un sospiro di sollievo quando saggiò la freschezza dell’acqua e chiuse gli occhi, con un sorriso. Poco dopo li riaprì e si guardò in giro per accertarsi che nessuno oltre a lei si aggirasse per la domus, dopodiché si rialzò e si sfilò la leggera tunica che aveva indossato per andare a dormire. Tolse anche il subligaculum che le copriva le parti intime e lo strophium che le cingeva il seno, dopodiché si immerse nell’acqua, traendone subito sollievo.

Chiuse gli occhi e andò sott’acqua, immergendosi completamente. Tornò su e iniziò a nuotare, facendo il giro della vasca, che era abbastanza ampia e profonda da permetterle di muoversi liberamente.

Si sentì leggera, e per un attimo dimenticò i propri problemi e le proprie frustrazioni. Non pensò a nulla se non alla piccola distesa d’acqua che la circondava e al silenzio che ammantava la domus. Trattenne il fiato e si immerse di nuovo sott’acqua, dimentica di tutto.

Restò a crogiolarsi nell’acqua fresca per quella che le parve un’eternità, finché una voce non la fece sussultare.

- Vedo che non hai perso tempo a prendere confidenza con quello che la mia casa offre – disse infatti Lucio, con una punta di ironia.

Sophia, udite quelle parole, soffocò un urlo e nuotò immediatamente verso il bordo per accostarvisi e coprire le proprie nudità.

- Ti chiedo scusa, dominus – sussurrò ad occhi bassi, rossa in viso. – Non riuscivo a dormire per il troppo caldo, e così ho pensato…

- Hai pensato di farti una nuotata – proseguì per lei il giovane. – Non ti biasimo. La calura estiva di Roma è asfissiante e insopportabile anche per noi cittadini romani, non oso immaginare come deve essere per chi la sperimenta per la prima volta – aggiunse, sorridendo comprensivo.

- Quindi non dirai nulla a tuo padre? – chiese Sophia, un po’ sollevata. Temeva infatti che Lucio andasse a spifferare tutto al senatore e che questi decidesse di venderla, dato che aveva deciso di farsi una nuotata senza il permesso di nessuno.

- No, non dirò nulla.

Sophia trasse un sospiro di sollievo. Alzò lo sguardo e vide che Lucio le sorrideva, ma si accorse anche di un altro fatto, abbastanza curioso.

- Ma tu sei vestito a giorno, dominus Non ti sei svegliato perché ho fatto rumore, vero? – chiese dunque, dando voce ai propri sospetti. Il sorriso scomparve improvvisamente dalle labbra di Lucio, che divenne subito serio. – Stai tornando da chissà dove, non è così?

- Sì, è così. Sei perspicace, non c’è che dire – confermò il ragazzo. – E mio padre non deve saperlo – sentenziò dunque. Era stato, come altre notti, da una matrona annoiata con cui intratteneva una relazione clandestina. Se suo padre ne fosse venuto a conoscenza, sarebbe andato su tutte le furie, lo sapeva, sia perché se la relazione del figlio con una donna sposata fosse venuta alla luce avrebbe gettato fango sul buon nome della propria famiglia e sia perché Roma era una città pericolosa, di notte.

- Va bene, dominus – lo rassicurò Sophia. – Siamo in due ad avere un segreto da nascondere, ora.

- Già – constatò Lucio. – Ora ti dispiacerebbe cedermi il posto nella vasca? Ero venuto qui per darmi una rinfrescata, ma poi ho visto che c’eri tu. A meno che tu non decida di restare a farmi compagnia…

- No, no, torno nel mio cubiculum – si affrettò a interromperlo la ragazza, imbarazzata. – Se mi fai il favore di voltarti, dominus, prendo i miei abiti e me ne vado.

Lucio emise una breve risata e si voltò, mentre Sophia usciva dalla vasca. Fu tentato di sbirciare ma si trattenne; per quella notte ne aveva già avuto abbastanza, di donne.

- Buonanotte, dominus – lo salutò la ragazza dopo essersi rivestita in fretta e furia, prima di correre via e tornare nella propria stanza.

- Buonanotte – disse di rimando Lucio, prima di voltarsi nuovamente.

Sophia era già sparita, al sicuro nella propria stanza.

 

 

 

Note

(1)  La villa romana non è una dimora di lusso, come per noi oggi. Il significato più corretto sarebbe quello di ‘azienda agricola’. Per farla breve, era una sorta di fattoria/cascina.

(2)  Il protagonista maschile, Lucio, appartiene alla gens Sergia (la stessa a cui apparteneva anche Catilina), che si divideva in vari rami, tra cui i Fidena.

L’ho chiamato Lucio in onore del protagonista del romanzo di Apuleio, L’asino d’oro (o Metamorfosi).

Approfitto di questo spazio per dire che ogni patrizio aveva tre nomi: il primo nome (praenomen), il nomen gentilicium (cioè il nome della gens d’appartenenza) e il cognomen.

(3)  Sia Alberto Angela che la mia prof di numismatica indicavano questa cifra, come prezzo standard di uno schiavo. Il mercato era fiorente e in base alle qualità che uno schiavo possedeva, il suo prezzo variava. Un sesterzio equivale a circa due euro attuali (ma sono calcoli da prendere con le pinze), quindi duemilacinquecento sesterzi sono circa cinquemila euro.

 

Eccomi di nuovo qui in questa sezione con una nuova storia, che ha partecipato al concorso ‘Impossible Love’ indetto da Gely_9_5 sul forum di Efp, classificandosi prima e aggiudicandosi il ‘Premio Lacrima’. Ancora stento a crederci!

Che dire?

La storia consta di cinque capitoli e pubblicherò una volta a settimana.

L’ho ambientata nell’Antica Roma forte dei miei studi in archeologia e della lettura dei libri di Alberto Angela. Oltre a ciò ho letto anche un po’ di libri di narrativa ambientati in questo periodo, di vari autori: Valerio Massimo Manfredi, Adele Vieri Castellano e Andrea Frediani. Ve li consigli vivamente, meritano tutti. Sarà che io amo l’Antica Roma e quindi sono un po’ di parte xD

Spero che questa storia vi piaccia :)

Se notate qualche imprecisione, errore di battitura o di ortografia, non esitate a farmelo presente. Per quanto io controlli e ricontrolli qualcosa mi sfugge sempre.

Anche se avete qualche dubbio, se ritenete che io abbia spiegato male qualche cosa, ditemelo, così provvederò.^^

A presto^^

Sara

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Capitolo 2
*** II ***


Schiavi d’amore

 

 

II

 

Passarono le settimane, e Sophia man mano si ambientò.

Fu solo questione di abituarsi a prendere ordini e sottostare a qualcuno, perché per il resto era già avvezza alla vita dei Romani, fin da bambina. La Grecia, infatti, era stata conquistata da Roma più di due secoli prima ed era divenuta provincia, importando le istituzioni dei vincitori. Quella conquista, però, non aveva comportato uno scambio a senso unico. Roma, infatti, era rimasta affascinata dalla grande cultura e dalle bellissime opere d’arte che aveva trovato in Grecia, tanto da portarle nell’Urbe insieme ai filosofi e ai letterati resi schiavi, come lo storico Polibio.  Come aveva scritto il poeta Orazio, infatti, Graecia capta ferum victorem coepit; la Grecia, conquistata, aveva ammaliato a sua volta Roma con la propria arte, il proprio sapere. (1) Sophia non aveva potuto fare a meno di constatare quel fatto, anche a distanza di due secoli, e se ne era perfino un po’ rallegrata; in un ambiente permeato di cultura natia, infatti, sentiva meno la nostalgia di Atene.

Col passare del tempo, si era convinta che il Fato era stato benevolo nei suoi confronti; la famiglia a cui ora apparteneva era una buona famiglia patrizia e la trattava bene. Il senatore Tito pian piano aveva potuto constatare le sue capacità e aveva iniziato a ricredersi sulla propria idea iniziale, mentre Lucio continuava a mostrarsi gentile con lei, forse per timore che tradisse il patto di segretezza che avevano stipulato. Sophia infatti continuava ad aggirarsi per la domus insonne e Lucio a rientrare furtivamente, ed era inevitabile che si incrociassero. Infine Appio e Camilla, i due fratelli minori di Lucio ai quali insegnava il greco, si erano perfino affezionati a lei, e quel loro sincero affetto riempiva la sua giornata. I momenti che passava con loro erano quelli che preferiva, perché poteva tornare a parlare la propria lingua madre e narrare loro i miti con i quali il padre l’aveva cresciuta. Nel rammentare il genitore provava sempre un po’ di nostalgia, ma lo sentiva anche più vicino, perché il dolore dovuto alla sua dipartita aveva lasciato posto alla dolcezza dei ricordi dei momenti trascorsi insieme.

Lo stesso non si poteva dire per i ricordi che riguardavano il marito, però. Quelli continuavano a fare male, e perciò li aveva relegati nell’angolo più oscuro e remoto della propria mente, in modo da rammentarli il meno possibile.

Doveva solo dimenticare, se voleva ricominciare a vivere.

 

Era quasi la fine di Settembre, e l’estate cominciava a languire per lasciare il posto all’autunno.

Sophia stava iniziando a trovare requie nel sonno, e le notti a girovagare per la domus in cerca di frescura stavano iniziando a diminuire.

Non era però il caso di quella notte; la ragazza si trovava infatti seduta su una panca di marmo, nel giardino, quando udì dei passi pesanti dietro di sé. Si voltò e vide Lucio, il cui volto era paonazzo e gli occhi lucidi e un po’ arrossati.

Dominus? Va tutto bene? – chiese dunque, un po’ spaventata. Non l’aveva mai visto così.

– Per niente – rispose il ragazzo, prendendo posto accanto a lei. Non appena aprì bocca, Sophia dovette trattenersi dal fare una smorfia di disgusto, dato che emanava una gran puzza di vino.

– Sei ubriaco? – gli domandò dunque, giungendo alle dovute conclusioni.

– Solo un po’ alticcio, purtroppo. Per mia sfortuna reggo bene il vino e mi risulta difficile ubriacarmi del tutto, sai? Ho bevuto finché non ho finito i soldi che avevo portato con me – rispose Lucio, con voce strascicata. A dispetto di ciò che pensava, doveva essere molto brillo, non solo alticcio.

Sophia scosse la testa, evitando di farsi troppe domande sul perché Lucio volesse bere fino a ubriacarsi. Non erano affari che la riguardavano, eppure, non capiva bene perché, le dispiaceva vederlo in quello stato. Avrebbe dovuto gioire nel vedere così il proprio padrone, tuttavia riusciva solo a rammaricarsene, forse perché, alla fine, era sempre stato gentile nei suoi confronti. Era giunto il momento di ricambiare quella cortesia.

– Ti accompagno nella tua stanza – si propose dunque, alzandosi. – Hai bisogno di una bella dormita.

– Ma io non voglio dormire! – protestò Lucio, ma inutilmente. Sophia lo aveva infatti già issato in piedi tirandolo per un braccio. Per fortuna, il ragazzo era alto e magro, dal fisico asciutto, e quindi non aveva fatto troppa fatica. Al contrario di…

No! Non doveva ricordare; doveva ricacciare quei pensieri nell’angolo più remoto della propria mente, come aveva imparato a fare.

– Assurdo – borbottò Lucio. – Sto prendendo ordini da una mia schiava.

Piano piano, Sophia lo condusse nel suo cubiculum e lo aiutò a mettersi a sedere sul letto.

– Ora me ne vado a dormire – decretò. – Dato che sei solo alticcio, confido che riuscirai a spogliarti da solo. Resta qui, mi raccomando. Confido nel tuo buonsenso, dominus. Sarai anche solo alticcio ma sei parecchio rumoroso ed è una fortuna che nessuno si sia svegliato. Non tentare troppo la sorte, però. Di certo non vuoi che tuo padre si svegli e ti trovi in questo stato, vero?

Quelle parole dovettero bastare a convincere Lucio, perché non proferì più verbo e si limitò ad annuire, a occhi bassi.

– Buonanotte, dominus – lo salutò quindi Sophia, prima di sparire oltre la soglia. Era certa che per quella sera non avrebbe combinato disastri, per cui poteva dormire sonni tranquilli.

– Buonanotte – borbottò di rimando Lucio, prima di rimettersi in piedi. Con gesti goffi e impacciati per via dello stordimento dovuto al vino, si spogliò di ogni abito a eccezione del subligaculum e si buttò sul letto, sdraiandosi su un fianco. Chiuse gli occhi, ma così gli parve che tutta la stanza gli girasse attorno, per cui si sdraiò di schiena e tutto smise di vorticare. Doveva però rimanere immobile, perché ogni minima mossa gli dava la sensazione di trovarsi a bordo di una nave in balia di una terribile tempesta. Non era certo quello l’intontimento che aveva agognato di raggiungere, nel tentativo di ubriacarsi.

Sospirò. Sarebbe stata una lunga notte.

 

Il giorno dopo, Sophia si trovava nel tablinum del senatore Tito, che si era recato in Senato. Col passare delle settimane, si era guadagnata la sua fiducia, tanto che l’uomo le aveva dato il compito di occuparsi del proprio studio, quando lui non era presente.

Stava sistemando alcuni rotoli su uno scaffale, quando con la coda dell’occhio vide un’ombra allungarsi sul pavimento, verso di lei. Si voltò verso la soglia e vide Lucio, in penombra.

Dominus – lo salutò, con un lieve abbassamento del capo. – Come stai? – gli chiese poi, ricordandosi come fosse ridotto la sera prima.

– Ho un gran mal di testa – rispose il ragazzo. – Ma una bella passeggiata me lo farà passare, credo. Vuoi unirti a me?

Sophia rimase spiazzata da quella richiesta. – Veramente devo sistemare qui…

– È già tutto in ordine, non vedi? – ribatté Lucio, con un sorriso. – Vieni con me, dai.

Ma… - provò a ribattere Sophia, ma subito venne zittita da Lucio che le chiese, canzonatorio: - Te lo devo ordinare?

A quel punto la ragazza annuì, e insieme a Lucio uscì dalla domus e lo seguì in direzione del Campo Marzio. Non sapeva bene cosa dire, né come comportarsi. Fortunatamente, fu lui a trarla d’impiccio, prendendo per primo la parola.

– Mi dispiace che tu ieri sera mi abbia visto in quello stato – esordì. – Ero fuori di me. Ero sconvolto… E lo sono tutt’ora.

– È successo qualcosa di grave, dominus? – domandò Sophia, preoccupata. Alla luce del sole, poteva vedere le nere e profonde occhiaie che gli solcavano il viso e gli incupivano i begl’occhi castani. Lucio aveva detto di essere sconvolto, e lo era, si vedeva benissimo. Il motivo rimaneva per lei un mistero.

A quella domanda, Lucio sospirò. – Non esattamente – rispose. – Non so da dove cominciare.

Sospirò nuovamente, affranto. – Sarà meglio partire dall’inizio. Forse, parlarne mi farà stare meglio – decretò infine, rivolto più a se stesso che a Sophia. – Come hai avuto modo di notare, esco, o meglio uscivo, spesso durante la notte. Mi recavo nella dimora di una matrona con la quale intrattenevo una relazione. L’ho conosciuta ad un banchetto, un anno fa… È una donna sposata, quindi mi ha da subito raccomandato di essere discreto e così ho fatto. Sei la prima persona con cui ne parlo, Sophia.

La ragazza sapeva di doversi sentire onorata di ricevere quella confessione, ma tutto quello che riusciva a provare era un gran dispiacere di cui ignorava l’origine.

– È andata avanti così per qualche mese… Mi recavo da lei per… Beh, diciamo che i nostri incontri erano incontri galanti – proseguì Lucio, un po’ imbarazzato. – Ma ecco che ieri, quando stavo per tornare a casa, lei mi dice di non tornare più. Mi ha confessato di essersi annoiata di me e, quella puttana!, di essersi già trovata un altro giovane amante. Mi sono sentito ferito nell’orgoglio, così me ne sono andato e mi sono recato alla taberna più vicina per bere fino a stordirmi, per dimenticare. Il resto lo sai già.

Sophia non fu molto sorpresa da quel racconto. Fatti come quello erano all’ordine del giorno in ogni parte dell’Impero, ma ancora di più a Roma. Specialmente tra le famiglie patrizie, erano rari i matrimoni d’amore. Il fine primario di un’unione era quello di portare prestigio alla famiglia di appartenenza e di perpetuare l’albero genealogico generando dei figli, perciò era normale che il marito o la moglie o addirittura entrambi cercassero amore al di fuori del vincolo coniugale. Certo, col tempo l’amore poteva nascere anche all’interno di un matrimonio, ma era più frequente il contrario. L’unica cosa che si raccomandava era la discrezione, per non gettare disonore sulla famiglia di provenienza. (2)

– Mi dispiace, dominus – si limitò a dire Sophia. Temeva che, aggiungendo altro, avrebbe potuto offenderlo o farlo innervosire, per cui preferì restare in silenzio.

– Dispiace anche a me – ribatté Lucio, con un sospiro. – Da un lato dovevo aspettarmelo… Sapevo che non era una relazione che avrebbe avuto un futuro. Insomma, ho ventisei anni… E mio padre ha già fatto accordi per il mio matrimonio da tempo, non speravo certo che la mia amante divorziasse (3) dal marito per sposare me! Però, ecco… Avrei preferito essere io a troncare la relazione. Mi sento usato. E alla fine è così: sono stato usato e poi gettato via perché non più di suo gradimento! – sbottò, serrando le mani a pugno.

– Scusa se mi permetto, dominus – esordì Sophia, senza più riuscire a trattenersi. Le ultime parole di Lucio le avevano dato da pensare. – Ma non capisco. È il tuo cuore ad essere ferito, o il tuo orgoglio?

Lucio aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Sospirò e scosse la testa, affranto. – Mi hai dato un ottimo spunto di riflessione, Sophia. Non lo so nemmeno io. Non riesco a capirlo. La ferita è ancora troppo fresca per essere esaminata – rispose infine. – Torniamo alla domus, ti va? Sembra che il mal di testa sia passato.

Sophia si limitò ad annuire.

Per tutto il tragitto di ritorno, lei e Lucio rimasero in silenzio; il ragazzo era immerso nei propri pensieri e probabilmente aveva già iniziato a riflettere sulla domanda che Sophia gli aveva posto, e la ragazza era pervasa da una strana malinconia che non riusciva a comprendere.

 

Durante la notte, Sophia fu colta da un’improvvisa rivelazione che spiegava perfettamente la causa del suo malessere, e la portata di quella scoperta fu tale che si mise subito a sedere, prendendosi la testa tra le mani.

Provava qualcosa per Lucio.

Suo marito era morto da nemmeno un anno e lei già si ritrovava a provare dei sentimenti per un altro uomo. Era disgustata da se stessa.

Nel viaggio da Atene a Roma, aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più ceduto all’amore di un uomo. Sarebbe diventata una schiava e non sarebbe stata più padrona di nulla, nemmeno dei propri sentimenti. Sapeva bene, infatti, che per sposarsi gli schiavi dovevano chiedere il permesso al loro padrone e che eventuali figli nati dalla loro unione avrebbero potuto essere venduti. Tutto stava nelle mani del dominus, come sempre.

Sophia aveva già sofferto troppo, perciò aveva voluto creare una barriera intorno al proprio cuore. Una barriera che però Lucio, senza saperlo, era riuscito ad infrangere e senza che lei se ne rendesse conto. Era stata troppo impegnata a non dare troppa confidenza agli altri schiavi, forse, per accorgersi che ne stava dando troppa a Lucio. E gliene aveva data talmente tanta che lui quel giorno aveva deciso di confidarsi con lei riguardo i propri affanni.

Iniziò a piangere, in silenzio. Era da tanto che non versava più una lacrima, e da un lato fu liberatorio, ma dall’altro non risolse i suoi problemi. Il sentimento che provava per Lucio restava. E terribile era la consapevolezza di essersi imbarcata in qualcosa più grande di lei, in un amore impossibile per il proprio dominus, in una situazione senza via di uscita.

Di nuovo si ritrovò a chiedersi perché non fosse morta anche lei, assieme a suo marito.

 

Arrivò l’inverno, e fu rigido.

Lucio si riprese dalla propria delusione amorosa, e questo fu anche grazie a quella passeggiata con Sophia, che gli aveva fatto capire che il proprio malessere era dovuto più al proprio orgoglio ferito che non al proprio cuore spezzato. Le ferite che aveva subìto erano due, ma la più grave era stata inferta all’amor proprio di Lucio, che in breve dimenticò tutto.

Con l’arrivo della brutta stagione, i problemi d’insonnia di Sophia erano svaniti, e gli incontri notturni tra lei e Lucio di conseguenza erano cessati. Il ragazzo un po’ se ne rammaricava e si era ritrovato spesso, di ritorno da qualche banchetto, a sperare di trovare Sophia in giardino per poter scambiare con lei due chiacchiere.

Sophia, d’altro canto, fu sollevata dall’arrivo dell’inverno per due motivi: come prima cosa, perché avrebbe potuto finalmente dormire sonni tranquilli, e di conseguenza come seconda cosa perché non avrebbe più visto Lucio di ritorno dalle sue uscite serali. Era infatti convinta che il ragazzo non avesse perso tempo e si fosse trovato un’altra amante, oppure avesse iniziato a recarsi nei lupanari per sollazzarsi con qualche prostituta. Non aveva prove di ciò, ma era un’idea che si era messa in testa per costringersi a fare i conti con la realtà: lei era una schiava e non poteva provare quel tipo di sentimento che sentiva per il proprio padrone. Non riusciva nemmeno a chiamare quel sentimento con il nome che gli spettava, talmente ne era disgustata e sconvolta.

Per quanto le fosse possibile, cercava di evitare Lucio il più possibile. Da quel giorno di Settembre in cui lui si era confidata con lei, infatti, non aveva più avuto occasione di stare da sola con lui. Da quando si era resa conto di quello che provava, aveva iniziato a dedicarsi anima e corpo ad Appio e Camilla e agli altri compiti da schiava che Tito le aveva assegnato e continuava ad affidarle, e li svolgeva con zelo.

Del resto, era l’unico modo per ricordarsi la propria condizione.

Non era più una donna libera.

 

 

Note

(1)  Sì, è proprio così. Spero di aver spiegato bene questa cosa, che ho studiate in tutte le salse: letteratura latina, storia romana, archeologia classica e storia greca. Dopo la conquista della Grecia da parte di Roma nel II secolo a.C. (non sto ad elencarvi le tappe perché sono infinite e noiose), la cultura greca arriva a permeare quella romana così tanto che lo studioso Paul Veyne parla di ‘impero greco-romano’.

(2)  Tutto quello descritto in questo paragrafo e in quello prima è ricavato dall’ultimo libro di Alberto Angela, “Amore e sesso nell’Antica Roma”. Ovviamente lì è spiegato meglio e in modo più accurato, io ne ho tratto solo ciò che mi serviva per questa storia.

(3)  No, non è un anacronismo. Il divorzio era una pratica già presente nell’Antica Roma e molto, molto diffusa. Dimenticate l’infinita burocrazia che abbiamo al giorno d’oggi. All’epoca, per divorziare, era sufficiente che il marito dicesse alla moglie “Res tuas tibi habeto!” (ovvero “Prendi le tue cose e vattene!”), o comunque varianti di questa formula, e il gioco era fatto.

 

Eccomi qui anche con il secondo capitolo. Spero vi sia piaciuto^^
Come sempre, vi invito a farmi sapere la vostra e a segnalarmi eventuali errori e sviste. Ringrazio molto chi ha recensito lo scorso capitolo, chi mi ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha letto solamente. Grazie^^

A presto^^

Sara

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Capitolo 3
*** III ***


Schiavi d’amore

 

 

III

 

A metà Gennaio, Sophia si ammalò.

Trascorse quasi una settimana a letto con le membra doloranti, in uno stato febbricitante che la portava a fare lunghe dormite e a faticare a distinguere tra i momenti di sonno e i momenti di veglia. Nonostante l’inverno fosse rigido, lei sentiva un gran caldo e cercava di scoprirsi, ma una mano gentile, di sicuro appartenente a un altro schiavo, ogni volta le rimboccava le coperte e le passava sulla fronte bollente uno straccio imbevuto d’acqua fresca. Quella stessa mano, o forse un’altra, la nutriva, le somministrava delle medicine, la lavava e le cambiava gli indumenti. (1)

Quando si svegliò dal torpore in cui era crollata, le sembrò che fossero passati dei secoli dall’ultima volta in cui aveva potuto ragionare a mente lucida. Si passò una mano sul viso e lo sentì fresco. Provò a mettersi a sedere, ma lo fece troppo di fretta poiché ebbe un capogiro e dovette tornare a sdraiarsi.

– Sei ancora debole, sta’ attenta a come ti muovi – le intimò una voce che conosceva fin troppo bene. Sophia si voltò lievemente nella direzione da cui l’aveva sentita provenire e si trovò davanti Lucio, seduto su uno sgabello vicino al proprio letto.

– Che ci fai qui, dominus? – gli chiese, con voce roca. Era sorpresa di vederlo accanto al proprio letto; era un atteggiamento che non si addiceva ad un padrone nei confronti dei propri schiavi.

– Ero un po’ preoccupato – rispose Lucio, con un’alzata di spalle. – E anche i miei fratelli lo erano, ma non era permesso loro di vederti. Sai, avrebbero potuto ammalarsi anche loro… Quindi ho promesso loro che ti avrei assistita per un’ora al giorno per poi riferire come stavi.

Oh… Beh, grazie, dominus – borbottò Sophia, imbarazzata e lusingata da quel gesto. – Ma tu non avevi paura di ammalarti?

– No, ho avuto i tuoi stessi sintomi ma in forma più leggera e meno duratura, quindi penso di essere immune – rispose prontamente il ragazzo. – Come stai adesso? – volle poi informarsi.

– Mi sento a pezzi, ma almeno riesco a ragionare lucidamente – rispose Sophia.

– Hai avuto la febbre alta, e hai delirato molto – disse Lucio. – E a tal proposito, vorrei farti una domanda.

Sophia rabbrividì, a quelle parole. Che nel delirio della malattia avesse pronunciato il nome di Lucio, palesando così i propri sentimenti nei suoi confronti?

– Dimmi, dominus – dovette però assentire, dato che non poteva rifiutarsi. Si sarebbe inventata qualcosa.

– Chi è Alèxandros? – domandò quindi Lucio, poggiando i gomiti sul letto. – Continuavi a invocare il suo nome.

Sophia chiuse gli occhi, con un sospiro. Un po’ fu sollevata, ma d’altro canto tutti i ricordi che in quei mesi aveva reso sopiti, tornarono alla propria mente, vividi come non mai, e il dolore fu pari a quello di una spada che la trapassava il cuore da parte a parte. Senza che se ne rendesse nemmeno conto, le lacrime iniziarono a rigarle le gote.

Sophia, mi spiace! – si scusò Lucio, non appena notò quella reazione. – Non volevo turbarti, ero… Ero solo curioso.

Non… Non è colpa tua, dominus – lo tranquillizzò Sophia, passandosi una mano sul viso per asciugarsi le lacrime, le quali però continuavano a scorrere, imperterrite. – Tu non c’entri nulla, è solo che… Ricordare fa male – proseguì, con un sospiro. – Ale… - si bloccò. Dovette fare un respiro profondo. Pronunciare di nuovo quel nome, dopo ormai un anno, le provocava quasi dolore fisico. – Alèxandros… era mio marito – rivelò infine, facendosi forza. – Ed è morto circa un anno fa.

– Mi dispiace, Sophia – disse Lucio, in un sussurro. – Lo amavi, vero?

La ragazza annuì, impercettibilmente. – Siamo cresciuti insieme, e a un certo punto è diventato inevitabile innamorarmi di lui…

– E come… Come… - provò a dire Lucio, ma poi si bloccò e si diede dello stupido. – No, scusa. Fa nulla. Vedo che per te è doloroso ricordare, non voglio costringerti.

– Non scusarti, dominus – disse Sophia. Si mise a sedere, questa volta più lentamente, e non ebbe alcun capogiro. Appoggiò la schiena al muro dietro di sé e si voltò verso Lucio. – Credo sia giunto il momento che tu sappia chi ero prima di essere una schiava, ma soprattutto credo che sia ora che io ne parli con qualcuno. Non ne posso più di tenermi dentro tutto questo dolore.

Sophia, non sei costretta a farlo, davvero io…

– No, dominus – lo interruppe la ragazza. – Voglio liberarmi di questo peso che mi opprime l’anima – decretò. – Come forse tu e la tua famiglia avrete intuito, sono nata libera. Vivevo ad Atene con mio padre, in una piccola casa. Mia madre purtroppo non l’ho mai conosciuta; come molte altre donne è morta dandomi alla luce, e così mi ha cresciuta solo mio padre. Lui era un seguace dello stoicismo, e presso casa nostra lo divulgava a giovani fanciulli di buone famiglie. Tra questi c’era anche Alèxandros, il figlio di un caro amico di mio padre. Aveva la mia stessa età. Ha sempre frequentato la nostra casa e noi abbiamo sempre frequentato la sua, e la nostra amicizia col passare degli anni si è trasformata in amore.

Sophia si interruppe e si asciugò nuovamente le lacrime.

– Tre anni fa, quando avevo diciotto anni, mio padre è morto. Era malato già da tempo, e io ho voluto stargli accanto fino alla fine – riprese poi. – Poco prima di spirare, ha chiesto ad Alèxandros e a suo padre di prendersi cura di me, e così dopo qualche tempo ci siamo sposati. Mio padre mi mancava, e mi manca tutt’ora, ma con Alèxandros al mio fianco mi sentivo al sicuro e in grado di affrontare qualsiasi cosa, di superare ogni dolore. Siamo stati felici per circa un anno, e stavamo anche per diventare genitori. Aspettavo un bambino, sai? Ma poi…

Dovette interrompersi di nuovo. Fece un respiro profondo e poi riprese: - La famiglia di Alèxandros aveva dei nemici, ad Atene. Da generazioni si perpetua una faida di sangue che ha finito per coinvolgerlo, e per coinvolgere anche me. (2) Una notte, più o meno un anno fa, un sicario ha fatto irruzione nella nostra dimora. Stavamo dormendo, ma Alèxandros aveva sentito dei rumori e mi aveva svegliata. Nemmeno il tempo di renderci conto di cosa fosse successo, che ecco che un uomo entra nella nostra stanza e uccide Alèxandros davanti ai miei occhi, tagliandogli la gola. Non ho nemmeno urlato; l’ho guardato morire in silenzio, con gli occhi sbarrati. Speravo fosse un incubo, che di lì a poco mi sarei svegliata urlando e che lui mi avrebbe cullata fra le sue braccia finché non mi fossi calmata, ma purtroppo non era così. Ero paralizzata dalla paura. Ero certa che avrei fatto la stessa fine di mio marito, ma poi ho visto un lampo di avidità brillare negli occhi di quel sicario, che deve aver visto in me un’ulteriore possibilità di guadagno oltre alla somma che doveva aver ottenuto dall’uccisione di mio marito. Mi ha portata via e mi ha venduta come schiava ad un mercante. Per il dolore e per il trauma ho perso il figlio che portavo in grembo. E dopo aver girato tante città alla ricerca di un acquirente, sono arrivata qui a Roma. Il resto della storia lo sai già.

Finito il proprio racconto, Sophia si sentì svuotata. Era stato orribile ricordare; le era sembrato di rivivere passo per passo quei momenti che tanto aveva voluto cancellare dalla propria mente. Si prese il volto tra le mani e iniziò a singhiozzare, a esternare tutto quel dolore e quel che malessere che sentiva dentro.

Poco dopo sentì due braccia che l’avvolgevano, infrangendo ogni protocollo e ogni rapporto gerarchico. In quel momento, per Lucio, non si trattava più di consolare una propria schiava, ma di dare conforto a una persona che soffriva.

– Mi dispiace, Sophia – le disse. – Deve essere stato terribile. Ora capisco perché hai sempre quello sguardo triste. Mi dispiace proprio tanto.

Sophia si aggrappò a quell’abbraccio con la forza della disperazione e sfogò tutto il proprio dolore. Pianse tutte le lacrime che aveva in corpo finché non fu esausta, finché ebbe l’impressione di aver buttato fuori tutto, finché non sentì nascere in sé una nuova voglia di vivere, di andare avanti, di ricominciare.

Certo, ora era una schiava, ma poteva aspirare alla manumissio, la pratica con la quale un padrone rendeva la libertà a un proprio servo. (3)

Poteva fare di quella aspirazione la propria ragione di vita. E, una volta lontana da quella domus, avrebbe ricominciato da capo, avrebbe dimenticato Alèxandros ma soprattutto Lucio, quell’amore impossibile che ormai si stava radicando in lei, tanto da farla sentire protetta e al sicuro tra le sue braccia, tanto dal farle provare di nuovo quelle emozioni che aveva sentito solo col marito.

Sophia chiuse gli occhi, stanca e debole. Fece appello a tutta la propria forza di volontà e si separò da Lucio.

– Grazie, dominus – gli disse. – Mi hai assistita, mi hai ascoltata, mi hai consolata… Hai fatto molto per me, più di quanto sia richiesto a un padrone nei confronti della propria schiava, e lo ricorderò.

Lucio, in tutta risposta, sorrise e le strinse una mano con affetto. – Sei molto più di una schiava, per me. Lo sei diventata dopo quella passeggiata, Sophia. È solo grazie a te se sono riuscito a capire cosa mi stava succedendo e a lasciarmelo alle spalle.

Sophia gli sorrise debolmente, di rimando, e ricambiò la sua stretta. Per la prima volta da quando era giunta a Roma si sentì a casa, ma subito si impose di non dare retta a quell’emozione. Non voleva più stare male, voleva ricominciare a vivere. E inseguire un amore impossibile non era certo la strada migliore per farlo.

 

Due giorni dopo, Sophia si sentì abbastanza in forze per rimettersi in piedi. Appio e Camilla le corsero incontro e l’abbracciarono, non appena la videro, e il cuore della ragazza si riempì di gioia, a quella dimostrazione d’affetto. Rimase con loro per qualche ora, a conversare in greco per recuperare il tempo perso durante la propria malattia. Da quando aveva iniziato a occuparsi di loro, i due bambini avevano fatto molti progressi. Imparavano in fretta ed erano già in grado di parlare il greco con abbastanza scioltezza e di leggere da soli le favole di Esopo e i racconti di mitologia.

Oltre ai due bambini e agli schiavi, quel giorno, nessun’altro era in casa. Lucio e il padre erano usciti quella mattina presto, insieme, per andare da un’illustre famiglia. Quando tornarono, verso sera, Sophia notò che il senatore Tito aveva un’espressione soddisfatta dipinta in volto, mentre Lucio appariva rassegnato.

Dovette attendere quella notte, dopo che tutti si furono coricati, per scoprire perché.

Era sotto le coperte da circa un’ora, quando vide scostarsi la tenda che copriva la soglia d’entrata della propria stanza e Lucio comparire davanti a sé, visibilmente turbato, più di quanto lo fosse quella notte in cui era rientrato a casa ubriaco. Per lo meno questa volta aveva avuto il buon senso di non darsi al vino.

Lucio emise un sospiro e appoggiò sul comodino la lucerna che aveva usato per illuminare il tragitto dalla propria stanza fino a lì.

Subito Sophia si mise a sedere, allarmata.

– Che ci fai qui, dominus?

– Ho bisogno di parlarti, Sophia – rispose Lucio, mettendosi a sedere sul letto in modo da trovarsi di fronte alla ragazza, che appoggiò la schiena al muro per mantenere le distanze.

– Ora? Nel bel mezzo della notte? – domandò Sophia con voce stridula, senza riuscire a trattenersi.

– Non posso aspettare – ribatté Lucio, come se fosse ovvio.

– Che cosa ti turba così tanto, dominus? Un’altra matrona ti ha spezzato il cuore e ferito l’orgoglio? – chiese Sophia in tono di scherno, ma subito se ne pentì. Si portò una mano alla bocca e abbassò lo sguardo a terra, rimproverandosi mentalmente di aver dimenticato, anche solo per un attimo, di avere di fronte a sé il proprio padrone e di aver fatto trasparire una scintilla di gelosia.

– Ti chiedo scusa, dominus – sussurrò dunque, imbarazzata e continuando a tenere gli occhi bassi.

Non poté tuttavia vedere Lucio sorridere, così facendo, felice perché aveva avuto la conferma che cercava. Il ragazzo osservò Sophia illuminata dalla debole fiammella della lucerna e la trovò bellissima, con quei capelli color ebano che le ricadevano sulle spalle in morbide onde e quegli occhi castani nei quali, per un attimo, aveva visto vibrare un lampo di gelosia, di emozione. Per un secondo, quello sguardo triste che l’accompagnava sempre era scomparso, e Lucio aveva sentito il proprio cuore battere più forte all’idea che il merito fosse suo.

– Che cosa ti turba, quindi? – incalzò Sophia, che voleva concludere quella conversazione il prima possibile. Non voleva certo fare altri passi falsi.

– Mi devo sposare – annunciò Lucio, con un tono per certi versi lugubre.

Sophia non si scompose. – Non è una novità, dominus – ribatté. – Me l’hai detto tu stesso tempo fa che tuo padre aveva già preso accordi da tempo. È così che funziona tra voi patrizi.

– Oh, lo so anch’io che gli accordi sussistono da un po’. Ora è arrivato il momento di onorarli, però. Non so ancora di preciso quando, ma di sicuro entro la fine di quest’anno sarò un uomo sposato.

Sophia si impose di non tradire alcuna emozione e cercò di restare calma, ma dentro sé il cuore stava andando in frantumi, di nuovo. Il giorno prima, quando aveva contemplato per la prima volta la possibilità di ottenere la manumissio, aveva dato per scontato che ciò accadesse prima del matrimonio di Lucio. Si era sbagliata. Avrebbe sofferto nel vederlo sposare un’altra e avrebbe avuto l’ennesima riprova del fatto che era stata una stupida a innamorarsi del proprio padrone. Peggio ancora, avrebbe dovuto continuare a vivere sotto lo stesso tetto di lui e della sua consorte, dato che era usanza che la moglie andasse a vivere a casa del marito.

– Che gli dèi benedicano la tua futura unione con gioia e prosperità – gli augurò, facendo appello a tutta la propria forza di volontà. Doveva mostrarsi felice per lui, non doveva cedere nuovamente alle proprie emozioni.

– Si tratta dell’ennesimo matrimonio d’interesse nella storia dell’Urbe, Sophia. Puoi fare a meno di complimentarti – ribatté Lucio, con una nota di scherno.

– Non vuoi sposarti, dominus?

– Quello che voglio non conta, non posso oppormi al volere di mio padre.

– È vero. Le decisioni del pater familias vanno rispettate – constatò la ragazza. – Puoi seguire l’esempio della maggior parte degli uomini sposati e trovarti un’amante. Puoi cercare l’amore fuori dal matrimonio – suggerì poi, continuando a mostrarsi indifferente.

– Non ne ho bisogno – respinse quel consiglio Lucio, con un sorriso. – Credo di averlo già trovato.

– Oh! – esclamò Sophia, sorpresa. Allora aveva ragione! Lucio non aveva perso tempo a trovarsi una nuova matrona o una nuova donna da intrattenere. – Be’, allora il problema non si pone. Qualunque sia il tuo problema, dominus, perché ancora non l’ho capito. Con tutto il rispetto, sia chiaro. Se hai già trovato l’amore non devi fare altro che mantenerlo anche quando sarai sposato.

Lucio non poté fare a meno di trattenere una risata. – Non posso continuarlo! – ribatté. – Non è ancora iniziato.

– E allora dichiarati, dominus! – lo spronò Sophia, ormai perfettamente calata nel ruolo di confidente. – Non credo certo che l’audacia ti manchi.

Lucio rise nuovamente. Perché si ostinava a non capire? – Lo sto già facendo – disse dunque.

– E allora perché sei venuto qui a confidarti con me, se hai già tutte le soluzioni ai tuoi problemi? – domandò Sophia, esasperata. Che si fosse accorto dei sentimenti che provava per lui e che stesse quindi godendo nel torturarla a quel modo? Non vedeva davvero l’ora di concludere quella conversazione e di andare a dormire, per fare finta anche solo per un attimo che si trattasse soltanto di un brutto sogno.

Lucio scosse la testa, altrettanto esasperato. Sospirò e capì che era giunto il momento di usare le maniere forti. Si sporse dunque verso Sophia, la afferrò per le spalle e la spinse verso sé finché le loro labbra non si incontrarono.

Sophia sbarrò gli occhi, sorpresa, e si separò subito da lui.

– Ma domine! -  esclamò, paonazza. – Che ti prende?

Forse stava iniziando a capire, ma voleva delle conferme. Voleva essere sicura di ciò che Lucio stava facendo, perché se così non fosse stato avrebbe inferto al suo cuore un’ulteriore ferita.

– Sei tu, Sophia, sei tu! È di te che sono innamorato, non capisci? Da quel pomeriggio, quando mi hai aperto gli occhi mostrandomi la tua saggezza. Dall’altro giorno, quando mi hai raccontato la tua storia e non ho desiderato altro che spazzare via tutto quel dolore con l’amore che provo per te. Da questa notte in cui finalmente ho posate le mie labbra sulle tue e mi sono sentito completo. Io…

– Parli come Catullo, domine! – lo interruppe Sophia, con un’esclamazione. – Come posso crederti? Come faccio a sapere che non ti sei preparato questo discorso a tavolino? Sono una tua schiava, non puoi davvero esserti innamorato di me! – proseguì, infervorandosi. Stentava a credere che quello che desiderava nel più profondo del cuore e che non aveva mai ammesso a sé stessa, nemmeno nei propri pensieri, stesse accadendo. Non poteva essere reale.

– Puoi credermi perché è da quando hai curato le ferite del mio orgoglio che ho iniziato a guardarti sotto una nuova luce. Ma a pensarci bene no, non puoi credermi. Perché è da allora che ti sei allontanata da me e che non abbiamo più avuto occasione di parlare a quattr’occhi, fino a due giorno fa. E fino a questa notte.

Fu a questo punto che le difese di Sophia crollarono, che la parte più combattiva di lei si arrese e si lasciò vincere dalla sincerità e dalla verità di quelle parole. Lucio aveva notato che lei si era allontanata da lui, dopo quel pomeriggio che era stato rivelatore dei sentimenti di entrambi. Solo che, a differenza di lei che si era ritratta e nascosta in un guscio, lui aveva dato retta a quelle sensazioni, aveva aperto gli occhi e aveva lasciato che quel nuovo amore curasse le proprie ferite, che durante la terapia si erano rivelate molto lievi.

– Volevo farti sapere quello che provo, Sophia. Sta a te se crederci o meno. So che provi lo stesso e che vuoi reprimerlo, me lo sento. O forse me ne sono convinto erroneamente – disse Lucio, interrompendo le riflessioni di Sophia. Le diede le spalle e fece per alzarsi, ma lei, ormai arresasi, si buttò su di lui e gli strinse le braccia attorno al corpo, poggiando il mento sulla sua spalla sinistra.

– Non è una convinzione erronea – gli sussurrò semplicemente all’orecchio, e a quel punto Lucio si sciolse dalla sua stretta solo per tornare a guardarla in viso e sorriderle, prima di premere di nuovo le proprie labbra sulle sue, ebbro di felicità. Questa volta Sophia non lo respinse; si abbandonò al suo abbraccio e ai suoi baci, e si sentì anch’ella invadere da una grande felicità che non provava più da tempo.

Nemmeno il tempo di rendersene conto, e si ritrovarono sotto le coperte, nudi, a prendere confidenza per la prima volta l’uno col corpo dell’altra, a completarsi a vicenda, ad amarsi, a godere di quel dono che gli dèi avevano concesso agli uomini per dare loro delle parentesi di gioia tra le difficoltà e gli affanni della vita di tutti i giorni.

Quella notte Lucio e Sophia fecero l’amore, senza fretta e senza più paure, senza dubbi, certi ormai dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra.

Certo, il futuro restava un bel punto di domanda, specialmente con il matrimonio di Lucio che incombeva su di loro come una spada di Damocle, ma non era quello il momento di lasciarsi prendere dallo sconforto. Dovevano vivere il loro amore, finché era loro concesso.

– Troveremo un modo, Sophia – sussurrò Lucio quando, stanchi ma felici e appagati, lui e la ragazza stavano per essere accolti tra le braccia di Morfeo. – Troveremo una soluzione – ribadì. – Ora che ti ho trovata non ti lascio andare – le promise infine, dandole un bacio sulla fronte.

Sophia si strinse a lui, rincuorata da quelle parole. Quell’amore che provava per Lucio non era più così impossibile, ora che lo sapeva ricambiato con altrettanto ardore.

Ci sarebbero state delle difficoltà, certo, ma le avrebbero affrontate insieme.

 

 

Note

(1)  La malattia di Sophia è una semplice influenza, solo che all’epoca non c’erano gli antipiretici e quindi ho immaginato che il decorso sia stato quello descritto. Le medicine di cui parlo sono ovviamente a base di erbe; i medici infatti conoscevano molto bene le proprietà officinali delle piante e le usavano per creare delle soluzioni, delle polveri e quant’altro. Ho cercato di documentarmi, ma ho trovato ben poco, se non malattie gravi ed epidemiche, perciò ho optato per la soluzione che avete letto. Spero di non aver fatto una cavolata, onestamente.

(2)  So che può sembrare molto strano, ma sia in Grecia che a Roma era così; c’erano faide di sangue che duravano per intere generazioni. Per farvi un esempio: a Pericle, fautore dell’epoca d’oro di Atene nel V secolo a.C., si rinfacciava ancora di appartenere alla famiglia degli Alcmeonidi, che nel VII secolo a.C. si era resa responsabile dell’omicidio di Cilone, il quale a sua volta aveva tentato un colpo di stato e avendo fallito si era rifugiato nel tempio di Atena. Rifugiarsi in un tempio in età antica equivaleva a cercare asilo nelle cattedrali in età medievale, perciò chiunque commettesse un omicidio in un luogo sacro era considerato empio e sacrilego. Agli Alcmeonidi questa colpa non è mai stata perdonata, e più volte nel corso dei secoli è stata tirata in ballo contro appartenenti illustri a questa famiglia.

Per farvela breve, l’appartenenza ad una famiglia era sentita come molto importante, e chiunque commettesse qualcosa contro essa veniva perseguitato, insieme alla sua famiglia, anche per generazioni.

(3)  La manumissio (che poteva avvenire in vari modi che non sto ad elencare) era una pratica molto frequente che permetteva l’inserimento di nuova linfa vitale nella società romana. Una volta libero, lo schiavo diventava un liberto e otteneva la cittadinanza romana (che nell’epoca di cui tratto qui era concessa solo alla penisola italiana; per concederla a tutto l’impero bisognerà attenderà Caracalla nel 212 d.C, tramite la Constitutio Antoniniana), il che concedeva tutta una serie di privilegi, tra cui il diritto di voto e alcuni sgravi fiscali. Il discorso sulla cittadinanza è abbastanza complesso e copre un vasto arco temporale; vi basti sapere questo. xD

 

 

Eccomi qui anche con il terzo capitolo. Scusate se le note sono un po’ noiose ma a volte sono doverose e ci tengo a spiegare tutto con la massima precisione.

Allora, come avrete letto, in questo capitolo Lucio e Sophia si dichiarano. Può sembrare un po’ strano che un patrizio vada con una propria schiava, ma vi assicuro che era più comune di quanto non si possa pensare, anche se per diletto e non sempre per amore. La lettura del già citato “Amore e sesso nell’Antica Roma” di Alberto Angela mi ha aiutata a capire molte cose a riguardo, e quindi mi sono chiesta: e se tra un patrizio e una schiava fosse nato l’amore? Ecco, ho cercato di rendere tutto il più credibile possibile, spero di esserci riuscita. Questo è stato uno dei capitoli più difficili da scrivere proprio per questo motivo xD

Spero che vi sa piaciuto e che mi facciate sapere il vostro parere^^

Ringrazio ancora chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha recensito e chi mi ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate.

A presto^^

Sara

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Capitolo 4
*** IV ***


Schiavi d’amore

 

 

IV

Passarono i mesi, e il giorno del matrimonio di Lucio arrivò velocemente.

Furono mesi felici, anche con quella scadenza che incombeva, proprio perché Lucio e Sophia non la vivevano come tale. Non sarebbe cambiato nulla, tra loro; avrebbero continuato ad amarsi, con discrezione, come facevano tutti.

Avrebbero rispettato quell’implicita regola aurea che regnava in gran parte dei matrimoni e delle relazioni dell’Impero.

Il loro amore era troppo forte per rinunciarvi.

Sophia aveva trovato in esso una nuova ragione di vita che l’aveva aiutata a superare il proprio passato, dimenticandone le parti più brutte e serbando quelle più belle. Non si preoccupava troppo di quello che sarebbe successo in futuro perché Lucio le aveva accertato che tra loro non sarebbe cambiato nulla, e nelle sue parole aveva colto assoluta sincerità. Lucio l’amava davvero, per quanto all’inizio avesse fatto fatica a capacitarsene perché proprio non capiva cosa avesse potuto trovare in una semplice schiava come lei.

Il giorno del matrimonio, il ragazzo richiese esplicitamente lei per aiutarlo a vestirsi e a drappeggiare la toga intorno al corpo. Sophia aveva accettato senza opporre resistenza, perché restava comunque una sua schiava, ma non aveva compreso perché avesse voluto proprio lei.

– Ci ho pensato a lungo – le annunciò Lucio non appena lei ebbe finito di vestirlo. – Ho trovato una soluzione definitiva. Certo, non sarà facile, ma…

– Che cosa vai dicendo, Lucio? – gli domandò Sophia. Ormai aveva smesso di chiamarlo dominus da tempo, quando erano in privato. – L’abbiamo già trovata una soluzione.

– Sì, ma quella che ho in mente io è migliore! – esclamò, afferrandola per le spalle. – Sono stato uno stupido a non pensarci prima… Dopo che sarò sposato e mio padre soddisfatto della mia unione, perorerò la tua causa. Cercando di mostrarmi disinteressato, s’intende… Gli suggerirò di concederti la libertà con la manumissio. E una volta che l’avrai ottenuta, divorzierò e ce ne andremo da qui. Daremo scandalo, ma almeno saremo felici e potremo vivere il nostro amore alla luce del sole.

Sophia rimase a bocca aperta. Non ci aveva mai pensato. Sbatté gli occhi più volte, mentre la sua mente elaborava le parole che Lucio aveva appena pronunciato. Sarebbe tornata libera e avrebbe vissuto accanto all’uomo che amava.

– Dici sul serio? – fu in grado di dire, soltanto. In tutta risposta, Lucio la baciò con passione e Sophia ricambiò con altrettanto ardore.

– Sarebbe bellissimo, per noi… Ma… Sarebbe terribile, per te. Per la tua reputazione, per quella tua famiglia, per la tua carriera politica… Ne sei davvero sicuro? – domandò la ragazza, non appena si separarono. Era felice per quel nuovo sviluppo, ma voleva assicurarsi che Lucio avesse calcolato tutti i rischi.

– Sì, ne sono certo. Non sarà una soluzione immediata, me ne rendo conto, ma non voglio nemmeno continuare a incontrarti di nascosto da tutto e da tutti per sempre. Non mi importa di quello che succederà. Voglio averti accanto a me come donna libera, come moglie, non come una schiava. Non è quello che ti meriti, non è quello che meritiamo – rispose Lucio. – Ti avevo detto che avremmo trovato un modo, ed è questo.

Sophia non sapeva cosa dire. Qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Con gli occhi lucidi, si sporse verso di lui e lo baciò con dolcezza.

– Ti amo – gli sussurrò poi, con un sorriso.

– Anche io ti amo, Sophia – disse lui di rimando, prima di stringerla di nuovo tra le proprie braccia.

I due amanti rimasero abbracciati a lungo, beandosi di quel contatto e di quella nuova prospettiva di vita. Avrebbero coronato il loro sogno, e il loro amore non sarebbe stato più impossibile.

Ignoravano però che qualcuno avesse assistito a quella scena dall’inizio alla fine, da dietro la tenda che celava l’uscio della stanza di Lucio.

Ignoravano che, a quelle parole che avevano reso così felice Sophia, questi fosse inorridito e avesse maledetto il giorno in cui il ragazzo aveva portato a casa quella schiava.

Ignoravano che il senatore Tito avesse in mente altri piani, per loro.

 

L’uomo convocò Sophia nel proprio tablinum qualche giorno dopo.

– So tutto – le annunciò, senza troppi preamboli. – So che razza di idee hai messo in testa a mio figlio, non so se volontariamente o meno. Vi ho sentiti, prima del matrimonio – spiegò dunque, giusto per chiarire ogni dubbio.

Sophia impallidì. Quando era stata chiamata, aveva pensato di doversi occupare delle solite faccende, non che il padre di Lucio avesse scoperto la loro relazione e che ovviamente non ne fosse felice. Cosa sarebbe successo, ora? L’avrebbe punita? L’avrebbe rivenduta? L’avrebbe uccisa?

Rimase in silenzio, per timore di peggiorare le cose.

– Ho pensato a lungo a cosa fare. Devo allontanarti da lui, questo è palese. Ho dovuto scegliere tra molte possibilità e sono giunto a quella che credo reputerai l’opzione migliore sia per me che per te, ne sono certo – iniziò a spiegare dunque.

– E quale sarebbe, dominus? – squittì Sophia, stringendosi le braccia attorno al corpo, sentendo improvvisamente freddo.

– Ti concederò la manumissio. Non sono un uomo crudele (1). In cambio, però, tu dovrai andartene. E non intendo solo da questa casa; dovrai andartene da Roma. Ti darò del denaro, così ti semplificherò le cose – rispose l’uomo.

Sophia doveva aspettarselo, ma non se la sentiva di accettare. – Non sono in vendita – disse debolmente. Nel momento stesso in cui udì le proprie parole, capì di averle scelte male.

– E invece sì che lo sei, è questo il punto. Tu sei solo una schiava, sei solo una merce. Mi reputo un uomo magnanimo e quindi ti ho offerto la possibilità di andartene di tua spontanea volontà, e l’afferrerai al volo quando udirai cosa ti accadrà altrimenti – ribatté Tito, sfoderando la propria astuzia. In quanto senatore, era abile ad usare le parole e a persuadere le persone, e con gli anni aveva affinato le proprie capacità oratorie.

Cosa… cosa mi accadrà, dominus? – domandò Sophia, timorosa. Deglutì a fatica. Non sapeva cosa aspettarsi.

– Se non accetterai, ti venderò – le dichiarò Tito, con una semplicità a tratti disarmante. – Ti venderò al peggior lupanare di Roma, dove intratterrai uomini del tuo rango fino allo sfinimento. Fino alla morte – proseguì dunque, con un sorriso felino. – È la sorte peggiore che ti possa capitare, e io mi accerterò che sia davvero tale.

Sophia serrò gli occhi, disgustata da quella prospettiva. Tempo prima, quando era stata svuotata di ogni ragione di vita fino a perdere la propria dignità, non le sarebbe importato. Ma ora… Avrebbe preferito morire, piuttosto. E lo avrebbe fatto, si sarebbe tolta la vita da sola, se non fosse stato per la creatura che aveva iniziato a crescere nel suo grembo. Se n’era accorta dopo il matrimonio, realizzando improvvisamente che era ormai da più di due mesi che il suo ciclo mancava di presentarsi. E il motivo poteva essere uno solo. Non l’aveva ancora detto a nessuno, anche perché non aveva ancora deciso cosa fare. Aveva preso in considerazione l’ipotesi di fuggire, per paura che il padre di Lucio scoprisse tutto e vendesse sia lei che suo figlio.

– Accetto la tua proposta, dominus – decretò dunque, facendo appello a tutta la propria forza di volontà.

– Sapevo ti saresti mostrata ragionevole – disse Tito, soddisfatto. – E visto che sei stata subito arrendevole, ti farò un’altra proposta. È da poco morto un mio liberto che si occupava di una mia villa a Pompei, e non ho idea di come rimpiazzarlo. Tu saresti perfetta, ho visto come ti destreggi bene nel tablinum. E poi potrei tenerti d’occhio e accertarmi che tu stia davvero alla larga da mio figlio. Potrebbe sempre venirti qualche strana idea di contattarlo, e non posso consentirlo – propose infine. Già che c’era, voleva trarre qualcosa di utile per sé, da quella situazione. (2)

– Accetto anche questo, dominus – assentì Sophia. – Un impiego del genere e quindi anche una dimora potrebbero farmi comodo – argomentò. Ora era il suo turno di fare rivelazioni. Trasse un respiro profondo e annunciò: – Aspetto un figlio.

Guardò con la coda dell’occhio il senatore e vide scomparire dal suo viso quell’atteggiamento di disprezzo e superiorità che aveva assunto fin dall’inizio del loro colloquio.

– Lucio lo sa? – chiese, serio.

Sophia scosse la testa, in tutta risposta.

– E non dovrà saperlo – decretò l’uomo. – Potrebbe fare qualche pazzia e gettare fango sulla nostra gens, e questo non lo posso permettere. È per questo che devi andare via, capisci? L’amore che prova per te l’ha accecato al punto che non pensa più al bene della nostra famiglia, alla nostra reputazione! – spiegò quindi, cambiando completamente atteggiamento. Stava rivolgendosi a lei come una persona del suo rango, anziché trattarla come la sua schiava.

Sophia annuì, e Tito proseguì: – Gli dirò che sei scappata. È meglio così. Se restassi e qualcuno scoprisse la vostra relazione, potrebbe usarla contro di lui. Ha già iniziato il cursus honorum (3) e diventerà senatore, un giorno, e la nostra famiglia ha dei nemici disposti ad usare ogni arma per oscurarci.

Quelle parole fecero impallidire Sophia. Aveva visto fin troppo bene le estreme conseguenze dell’avere nemici di famiglia, e non voleva essere costretta ad assistere di nuovo ad un simile scempio, men che meno sapendo che sarebbe successo a causa sua. Se Lucio avesse fatto la fine di Alèxandros non se lo sarebbe mai perdonata, e lei non poteva permetterlo.

Si convinse che stava agendo per il bene di Lucio e della sua famiglia, sebbene le costasse molto. Stava rinunciando al proprio sogno d’amore, ad una vita felice accanto alla persona che amava, ma lo stava facendo per una giusta causa, per non metterlo in pericolo. Sperò che crescere il figlio che portava in grembo l’avrebbe aiutata a riempire quel vuoto che già iniziava ad avvertire al centro del petto.

Quando si ritirò nella propria stanza, tempo dopo, dette sfogo a tutte le sue lacrime.

Non avrebbe mai più rivisto Lucio.

Il loro amore impossibile era finito, e ora lei avrebbe vissuto il resto dei propri giorni separata da lui.

 

 

Note

(1)  So che può sembrare un paradosso, ma è così. Per quel poco che appare, Tito è un uomo buono a cui l’onore della famiglia sta a cuore e per il quale farebbe di tutto. Se qualcuno ha letto la mia one-shot su Paolo e Francesca, sempre in questa sezione, sa che non mi piace rendere gli antagonisti troppo cattivi, e così ho fatto anche questa volta. Insomma, anche i cattivi hanno un lato umano e alcune serie tv (‘Once Upon a Time’ in primis) lo insegnano molto bene.

(2)  Anche questa decisione può sembrare strana, ma mi sono detta che in fondo i Romani hanno sempre avuto una mentalità utilitaristica, quindi ho optato per questa soluzione. Mi serviva a fini narrativi, come capirete nel prossimo capitolo.

(3)  Il cursus honorum era il percorso obbligatorio per chiunque volesse intraprendere la carriera politica; era costituito da tappe ben scandite, ognuna corrispondente ad una carica precisa. Man mano che si avanzava le cariche aumentavano di prestigio.

 

Eccomi qui anche con il quarto capitolo. Non mi soddisfa granché, ma sarete voi a giudicare. Spero di essere stata abbastanza attendibile dal punto di vista storico; il contest a cui la storia ha partecipato prevedeva un amore impossibile con degli ostacoli, e quindi ho costruito la trama a questo modo. Spero vi piaccia^^

Il prossimo capitolo sarà l’ultimo; sto pensando alla possibilità di scrivere un breve epilogo, ma vi parlerò meglio di questa idea quando pubblicherò il quinto capitolo, entro la fine della settimana, dato che poi domenica parto.

Ringrazio ancora chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha recensito e chi mi ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate.

A presto^^

Sara

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Capitolo 5
*** V ***


Schiavi d’amore

 

 

V

 

Roma, 79 d.C.

Il senatore Tito Sergio Fidena stava morendo.

Non si alzava dal letto ormai da giorni, perché diceva di essere stanco e di non averne le forze. Sentiva che la sua ora era ormai arrivata.

Non appena uno schiavo entrò nella sua stanza e gli annunciò che Lucio era rincasato, Tito gli ordinò di mandarlo a chiamare, così che gli potesse parlare. Prima di morire, aveva il diritto di sapere.

Lucio entrò nella stanza del padre poco dopo, e si sedette accanto al suo letto.

– Come stai, padre? – gli chiese, preoccupato. Vedeva che ormai ogni respiro gli riusciva difficoltoso e il volto rugoso era stanco e tirato.

– Sto morendo, Lucio. Le Parche stanno per recidere il sottile filo che ancora mi lega a questa vita, riesco quasi a vedere Atropo che si avvicina ad esso (1) – rispose Tito, perdendosi tra le proprie tetre riflessioni.

– C’è qualcosa che posso fare per alleviare il tuo dolore? – domandò Lucio, dispiaciuto.

– Puoi ascoltarmi – rispose Tito. Serrò gli occhi; non sapeva se dopo quella rivelazione il figlio avrebbe ancora voluto guardarlo in faccia. – Devo dirti una cosa.

– Ti ascolto, padre – lo assecondò Lucio, confuso.

– Cinque anni fa… Sophia non è scappata. Sono stato io a liberarla – rivelò Tito, con voce flebile.

Lucio strinse i pugni.

Per tutto quel tempo aveva creduto alle menzogne del padre, arrivando perfino a odiare Sophia per essersene andata così, per essere sparita da un giorno all’altro senza la benché minima spiegazione, specialmente dopo la soluzione che aveva trovato. Quando l’aveva cercata per tutta la domus senza alcun risultato, aveva capito davvero cosa significasse sentire il cuore spezzato e non avere più una ragione di vita. Quello che aveva provato per la fine della sua relazione clandestina era nulla, al confronto.

– Perché? – domandò, semplicemente.

– Perché avevo sentito quello che vi siete detti il giorno del tuo matrimonio. Non potevo permettere che accadesse, che gettassi fango sulla nostra gens e che dessi scandalo. Così l’ho allontanata da te.

Lucio era furibondo.

Quella storia che ormai aveva relegato nei recessi della propria memoria era tornata a galla con una forza dirompente, scatenando in lui una vasta gamma di emozioni. Aveva impiegato molto tempo a reagire, a convincersi che Sophia non l’aveva mai amato, se era fuggita così, ed ecco che ora finalmente scopriva che suo padre si era intromesso e che la ragazza non doveva avere avuto molta autonomia di decisione.

– Quindi le hai dato la libertà solo per tenermela alla larga, eh? Tutto per una stupida questione d’onore! – esclamò Lucio, battendo un pugno sul materasso. Tito sobbalzò, ma il figlio non se ne curò. – Posso sapere come l’hai convinta? – chiese dunque, tagliente, desideroso di scoprire come mai la donna che amava e da cui si era creduto ricambiato avesse deciso di abbandonarlo. Doveva essere un motivo molto valido, se aveva dato retta a suo padre.

– Le ho detto che se non avesse accettato l’avrei venduta al proprietario di un lupanare. Volevo separarvi, Lucio, ed ero pronto a tutto – rispose Tito, che ormai aveva voltato la testa dalla parte opposta rispetto al figlio. Non riusciva a guardarlo negli occhi, a vedere quanta sofferenza gli avesse causato agendo per quello che credeva il suo bene. – Ora però mi sono reso conto che ho sbagliato. L’incombere della morte cambia il tuo punto di vista; so che lo dicono tutti, ma non te ne rendi conto finché non tocca a te – proseguì poi, con tono grave e triste.

– È un po’ tardi per pentirsi – constatò Lucio, con amarezza. Con tutti quegli anni che erano passati, poteva essere successa qualsiasi cosa. Sophia poteva trovarsi ovunque, nella vastità dell’Impero, e poteva benissimo essersi risposata o addirittura essere morta.

– Non è tardi per rimediare, però – lo contraddisse Tito, voltandosi a guardarlo di nuovo in viso. – Sophia è nella nostra villa di Pompei. È lei che la amministra.

Il cuore di Lucio ebbe un sobbalzo. Allora non tutto era perduto! Sophia non si era mai allontanata del tutto da lui.

– Quindi per tutto questo tempo è rimasta lì? – chiese, speranzoso. I sentimenti che con gli anni aveva imparato ad ignorare erano tornati a farsi strada in lui, ritrovando il loro posto.

– Sì, e non è sola – disse Tito. Lucio pensò che fosse in dolce compagnia e si rabbuiò. – C’è vostra figlia, con lei  – concluse infine il senatore, e chiuse gli occhi. Si sentì finalmente da quel peso che l’aveva oppresso per anni e che l’aveva portato a pensare di aver agito contro gli interessi del figlio, ma sul quale ogni volta faceva prevalere il senso del dovere e dell’onore che si doveva tributare alla famiglia. Stava a Lucio, ora, scegliere se seguire il suo esempio e mettere al primo posto la famiglia oppure prediligere l’amore.

– Fa’ ciò che credi più giusto, figlio mio – si sentì in dovere di consigliargli. – A breve non ci sarò più e la nostra famiglia sarà in mano tua. Perdonami, se puoi – aggiunse dunque, con un sospiro.

– Dicendomi dove si trova, hai già rimediato un po’ a ciò che hai fatto – disse Lucio, posando la propria mano su quella del padre. – Penso che quando hai deciso di dirmi tutto sapessi già cosa avrei fatto, ma hai voluto rivelarmelo lo stesso. E questo ti fa onore.

- Andrai da lei? – chiese Tito.

Lucio annuì.

Aveva già deciso, e nulla lo avrebbe fermato.

 

 

 

Pompei, 79 d.C.

 

Sophia era nei boschi alle pendici del Vesuvio (2) con sua figlia Cassandra, una bella bambina di quattro anni.

Ogni volta che poteva, infatti, cercava di stare con la figlia e di portarla a fare delle passeggiate all’aria aperta. Per quanto ormai fosse di nuovo libera da cinque anni, infatti, non si stancava mai di riassaporare la propria indipendenza a quel modo, di non dover più sottostare agli ordini di nessuno e di essere nuovo padrona delle proprie azioni, per cui se le andava di fare una passeggiata, la faceva.

In virtù di questa sua caratteristica, inoltre, era molto amata dagli schiavi della villa che amministrava; proprio perché era stata una di loro e sapeva cosa significasse esserlo, si era mostrata fin da subito buona e gentile nei loro confronti e aveva fatto sparire di casa la frusta con cui il vecchio soprintendente prima di lei si era guadagnato timore e rispetto.

Poteva reputarsi felice, o per lo meno serena; eppure non passava un solo giorno senza che la sua mente non si rivolgesse a Lucio. Si chiedeva continuamente come stesse, se fosse felice, cosa stesse facendo, se avesse dei figli.

Non aveva più saputo nulla di lui.

Intratteneva una corrispondenza con il senatore Tito, ma il contenuto delle missive era puramente formale; lo informava dell’andamento della villa e non osava chiedergli nulla riguardo a Lucio, e nemmeno riguardo ad Appio e Camilla. Le mancavano molto anche loro, infatti. Chissà com’erano cresciuti…

Era grata tuttavia agli dei per averle concesso il dono di avere una figlia che le riempiva le giornate di gioia e le aveva dato una nuova ragione di vita.

Cassandra somigliava molto a Lucio, nei lineamenti; aveva infatti i capelli castani come quelli di lui, e anche gli occhi marroni erano permeati dalla stessa vivacità e voglia di vivere che l’avevano fatta suo malgrado innamorare di lui. Caratterialmente, invece, la bambina stava iniziando a somigliare molto a Sophia e mostrarsi interessata a ogni cosa che la madre faceva. Voleva assisterla in ogni momento e operazione della sua giornata, e ogni sera prima di andare a letto pretendeva che la madre le raccontasse delle storie, le stesse che a Sophia erano state narrate dal padre in un tempo che ormai le sembrava lontanissimo.

Anche quando facevano quelle passeggiate nei boschi, ogni volta che si fermavano a cercare un po’ di ristoro, Cassandra implorava la madre affinché le raccontasse delle storie e le insegnasse il greco.

Anche quel giorno, dunque, la bambina sedeva di fronte a Sophia, all’ombra di un albero, ad ascoltarla rapita mentre le narrava le dodici fatiche di Ercole.

Lucio arrivò in silenzio, seguendo le indicazioni che uno schiavo della villa gli aveva dato. Era arrivato a Pompei circa un’ora prima e, nonostante fosse esausto per il viaggio, aveva deciso di raggiungere Sophia.

Non poteva più aspettare oltre, cinque anni senza di lei erano stati anche troppi, e aggiungere anche solo un instante a quell’ammontare di tempo era per lui impensabile. Aveva dunque abbandonato il cavallo alla villa e si era diretto a piedi laddove gli era stato indicato.

Non appena scorse le due figure sedute all’ombra di quell’albero si bloccò e si sentì invadere da una grande gioia.

Quella era la sua famiglia, quella vera.

Quella era la famiglia per la quale avrebbe sacrificato tutto: la famiglia che sperava avrebbe creato con Sophia, e non quella illustre a cui apparteneva.

Dopo la morte del padre e la lettura del suo testamento, aveva infatti divorziato dalla moglie ed era partito alla volta di Pompei, non prima di aver trovato un valido tutore in un caro amico del padre che in sua assenza si sarebbe occupato di Appio e Camilla, ormai non più bambini ma nemmeno ancora in grado di essere definiti propriamente adulti.

Lucio inspirò profondamente e si decide infine ad avanzare verso Sophia e la bambina, che udendo dei rumori volsero la testa verso di lui quasi nello stesso momento.

La sorpresa della donna fu tale che emise un gridolino e si alzò immediatamente, mentre la bambina la osservava confusa senza capire cosa stesse succedendo.

Lucio percorse la poca distanza che lo separava dall’amata e l’abbracciò, senza dire una parola. Desiderava solo stringerla a sé e non lasciarla più andare via, ora che l’aveva ritrovata. Sophia ricambiò immediatamente l’abbraccio e non seppe trattenere le lacrime di gioia e sollievo che iniziarono a scorrere sul proprio viso.

Lucio era tornato da lei.

Dopo quelli che parvero attimi interminabili si separarono e si guardarono negli occhi a lungo, stringendosi le mani come per non lasciarsi più andare.

– Sei qui – sussurrò Sophia, ancora frastornata.

– Sono arrivato appena ho potuto.

– Come facevi a sapere dov’ero? – chiese la donna, tornando a ragionare con lucidità ora che la sorpresa iniziale iniziava a scemare.

– Me l’ha detto mio padre poco prima di esalare l’ultimo respiro – rispose Lucio, con amarezza. - È morto quasi un mese fa.

– Mi dispiace! – esclamò Sophia, sorpresa. – Io… Non ne sapevo nulla. Altrimenti ti avrei scritto una lettera o…

– Sono stato io a volere che non sapessi nulla, Sophia – la interruppe l’uomo. – Volevo, anzi dovevo venire qui di persona. E come uno stupido temevo che se ti avessi avvisato del mio arrivo tu saresti scappata.

– Non l’avrei mai fatto – lo contraddisse con dolcezza, prima di rabbuiarsi improvvisamente. – Ti chiedo scusa per averlo fatto cinque anni fa. Come saprai non è stata una mia scelta. In più mi ero da poco accorta di essere incinta e temevo per la sorte del bambino, così ho accettato la proposta di tuo padre senza battere ciglio. Mi dispiace, Lucio – si scusò dunque. Erano anni che si teneva tutto dentro, e dire quelle parole ad alta voce fu liberatorio.

– Non avevi altra scelta, amore mio – ribatté Lucio, rassicurandola. – Non potevi fare altro. E ormai non importa più nulla. Quel che conta è che ora ci siamo ritrovati.

– Ancora stento a crederci.

– Anche io, ma per fortuna è la realtà dei fatti. E la proposta che ti ho fatto il giorno del mio matrimonio è ancora valida – annunciò Lucio, con un sorriso. – Possiamo essere felici insieme, se lo vuoi, ora che se una donna libera e anche io non ho più legami.

Un sorriso illuminò il viso di Sophia e la donna fece per abbracciarlo, quando si sentì strattonare per la tunica. Si voltò e vide Cassandra che la fissava visibilmente infastidita, con un braccino posato su un fianco.

Nella gioia e nella confusione, si era dimenticata di lei.

– Chi è quest’uomo, madre? – domandò la bambina, con il broncio.

– È tuo padre, piccola mia. Si chiama Lucio – le rispose Sophia con gioia, prendendola in braccio così che potesse guardare in faccia il genitore ritrovato. – Ti avevo detto che viveva lontano, ricordi? Ora è tornato da noi.

Il broncio sparì immediatamente dal viso della bambina, che spalancò la bocca per lo stupore.

– Ciao, piccolina – la salutò Lucio, prima di accarezzarle i capelli. Aveva gli occhi lucidi per l’emozione. – Come ti chiami?

– Cassandra – rispose prontamente la bambina, con un sorriso, prima di sporgersi verso di lui e allacciargli le piccole braccia al collo. Non reputando di aver fatto abbastanza, gli schioccò anche un bacio sulla guancia.

Lucio si sentì felice, e completo.

Se anche solo per un istante gli fossero venuti dei dubbi su ciò che aveva deciso di fare, ora erano completamente scomparsi.

Lì in quel bosco, con la sua bambina e Sophia, non poteva desiderare di trovarsi altrove.

Tutto ciò che gli bastava per vivere una vita felice e senza rimpianti era lì.

 

 

Il ventiquattro agosto, il cielo si oscurò.

Una nube nera si originò dalla cima del Vesuvio e si espanse sempre più, fino a ricoprire tutta la città e a costringere gli abitanti ad usare le lucerne in pieno giorno. Nessuno si preoccupò più di tanto e ognuno si dedicò alle proprie attività quotidiane. Così com’era arrivata, quella nube se ne sarebbe andata, si erano detti.

Solo quando l’aria diventò irrespirabile, la gente iniziò a farsi prendere dal panico e a fuggire, radunando con sé poche cose. Giusto un po’ di denaro, per far fronte a ogni evenienza. (3)

Urla acute e pianti disperati riempirono le strade di Pompei, e fu il caos più totale.

Quando dal cielo iniziarono a piovere cenere e lapilli, l’impressione comune fu di essere precipitati nei più profondi abissi dell’Ade, dai quali non c’era via di uscita.

Molti ebbero la brillante idea di andare al porto e attendere i soccorsi, nella speranza che qualcuno udisse il grido di aiuto di Pompei, che però non era l’unica città ad essere in pericolo. Anche i limitrofi agglomerati urbani come Ercolano, Oplontis e Stabia stavano affrontando lo stesso destino, e anche i loro abitanti si erano lasciati prendere dal panico.

Lucio mantenne la calma, per lo meno in apparenza.

Era spaventatissimo, ma non voleva darlo a vedere. Doveva essere la roccia al quale Sophia e Cassandra si sarebbero aggrappate, non appena le avesse ritrovate. Quella mattina, infatti, si era allontanato presto da Pompei per sbrigare degli affari. Stava tornando in città, quando da lontano aveva udito una moltitudine di urla e qualcosa in lui era scattato.

Aveva iniziato a correre con tutta la forza e il fiato che aveva in corpo.

 

 

Sophia era rimasta da sola, nella villa.

Non appena aveva capito che la situazione si stava facendo critica, aveva ordinato agli schiavi di dirigersi al porto per mettersi in salvo e aveva affidato Cassandra alla schiava che si occupava abitualmente della bambina quando lei era troppo impegnata per darle retta. Lei li avrebbe raggiunti non appena Lucio sarebbe tornato a casa. L’avrebbe aspettato perché era certa che sarebbe tornato a casa a controllare se lei e la figlia fossero ancora lì.

Cercava di stare calma, ma era in pena per Lucio e non riusciva a rimanere ferma; continuava a camminare avanti e indietro davanti all’ingresso, tossendo di tanto in tanto.

Finalmente vide una figura correre verso di lei, attraversando la strada in terra battuta che portava all’ingresso della villa. Gli andò incontro e lo abbracciò, felice di vederlo vivo.

Dove… Dove sono tutti? – chiese Lucio, col fiato corto. Dando una rapida occhiata aveva infatti notato che la villa era deserta.

– Al porto. Stanno andando tutti lì – rispose Sophia.

– Cassandra?

– È con loro.

– Bene, raggiungiamoli – decretò quindi Lucio, prima di passare il braccio sinistro sulle spalle di Sophia, che gli cinse la vita con il destro.

A quel modo, insieme, si addentrarono nelle strade di Pompei, un po’ correndo e un po’ camminando.

La coltre di cenere si fece più fitta, e quel punto dovettero procedere più lentamente. Vedere divenne difficoltoso; gli occhi di entrambi iniziarono a lacrimare e le ciglia a riempirsi di polvere. Più volte rischiarono di inciampare nei corpi senza vita rannicchiati a terra.

Avanzarono finché la tosse non lo impedì loro.

Non… Non ce la faccio più. Va’! – ordinò Sophia a Lucio, gridando per farsi sentire al di sopra del frastuono che ancora permeava la città. Si staccò da lui e iniziò a tossire violentemente, finché non dovette inginocchiarsi a terra.

– No, non ti lascio qui! – si rifiutò Lucio. – Nemmeno io ce la faccio, ma se devo morire voglio essere accanto a te – decretò quindi, prima di afferrare Sophia per un braccio e riprendere a camminare.

Avanzarono di pochi metri, prima di accasciarsi entrambi a terra, nei pressi del foro. La tosse era diventata così frequente e violenta da rendere loro difficoltoso riprendere aria, e la vista iniziò ad annebbiarsi.

Con le ultime forze che avevano in corpo si strinsero l’uno all’altra, per rimanere uniti anche nella morte da quell’amore impossibile che li aveva legati indissolubilmente.

Si erano ritrovati da poco, e di nuovo il Fato si era accanito su di loro, ineluttabile e inesorabile. Quando finalmente avrebbero potuto vivere il loro amore senza più vincoli, ecco che una catastrofe naturale si abbatteva su di loro, uccidendoli e annoverandoli fra le tante vittime del definitivo tramonto di Pompei.

Sarebbero stati sepolti da strati di cenere e lapilli, che solidificandosi avrebbero celato al mondo quella rigogliosa città alle pendici del Vesuvio, che sarebbe stata riscoperta solo secoli dopo.

E la loro travagliata storia d’amore sarebbe rimasta sepolta con loro, sconosciuta a tutti.

Gli archeologi che secoli dopo avrebbero eseguito il calco (4) della cavità che i loro corpi avrebbero lasciato decomponendosi si sarebbero commossi, nel vedere come quelle due persone si erano amate in vita, tanto da morire l’uno tra le braccia dell’altra.

Sarebbero diventati l’emblema dell’amore che vince la morte.

Lucio e Sophia, però, non avrebbero saputo nulla di tutto ciò.

Così come non avrebbero saputo che Cassandra si sarebbe salvata, che il frutto del loro amore avrebbe potuto maturare con serenità, nel ricordo del grande amore che aveva legato i genitori.

La loro vicenda sarebbe rimasta celata tra le pagine dimenticate e mai scritte della Storia.

I loro resti avrebbero suggerito il grande amore intercorso tra loro, ma non tutta la vicenda travagliata che stava dietro.

Nessuno avrebbe saputo che il loro amore aveva sfidato ogni convenzione sociale.

 

 

 

Note

(1)  Secondo la mitologia romana, le Parche (corrispondenti alle Moire greche, da cui prendono i nomi) erano delle divinità che si occupavano della vita degli uomini, per ognuno dei quali tessevano un filo. Erano in tre: Cloto (significato: ‘io filo’), che tesseva il filo al momento della nascita di un individuo, Lachesi (significato: ‘destino’), che lo avvolgeva nel corso della vita, e infine Atropo (significato: inevitabile), che lo recideva al momento della morte.

Fonte: Wikipedia.

(2)  All’epoca si ignorava che fosse un vulcano; era semplicemente considerato un monte sacro a Giove. Molte case e molte piantagioni erano costruite alle pendici del vulcano.

(3)  Questo è quanto trovato in giro per il web riguardo l’eruzione. Ho cercato di restare molto sul vago, senza scendere nei dettagli, perché non era quello il punto su cui volevo focalizzarmi. Più che rendere in modo scientifico l’eruzione, ho preferito concentrarmi sui sentimenti e sul panico generali.

(4)  Personalmente non sono mai stata a Pompei (vorrei farlo prima che crolli a pezzi del tutto, ma questa è un’altra storia), per cui è probabilissimo che tra i tanti calchi delle vittime dell’eruzione ci siano anche due persone abbracciate. Insomma, io ho voluto immaginare Lucio e Sophia così, uniti fino alla fine, ma non è detto che il loro amore sia stato l’unico in grado di farlo.

 

Ed eccoci alla fine.

Fine triste, me ne rendo conto. Eppure non ho potuto immaginarla altrimenti; ho voluto legare il destino di Lucio e Sophia alla fine di Pompei, per dare un mio omaggio alle vittime di quel triste evento. A dire la verità, il mio è un omaggio a tutte quelle persone comuni che vivono grandi storie che però nei libri restano celate. È un omaggio che da archeologa ho voluto fare a tutte quelle persone che loro malgrado diventano reperti e contribuiscono a darci informazioni su com’era la vita al loro tempo. Come mi ha detto il mio responsabile di tirocinio, non bisogna dimenticare mai che l’archeologia studia innanzitutto le persone comuni, e questo è uno dei tanti motivi per cui ho voluto cimentarmi in una storia di questo tipo.

Come accennavo nello scorso capitolo, ho in mente un epilogo per rendere meno amara la fine di questa storia. Che ne pensate? Vi aggraderebbe, come idea?

Sono la prima ad odiare le storie tristi senza un lieto fine, per cui vorrei rimediare xD

Ringrazio ancora chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha recensito e chi mi ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate.

A presto, spero di scrivere altro in questa sezione^^

Sara

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