Gli occhi di Pedro Carrillo

di Nisi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Nell’anno del Signore 1974, in quella parte di Sud America un uomo che sapesse fare le faccende di casa era un evento da segnalare alla stampa locale.

Già, perché Pedro Carrillo, classe 1922, se la sapeva sbrigare bene con i lavori domestici. Merito di sua madre, moderna Cassandra di sangue misto a nome di Florentina Agueiro Matas, che gli aveva insegnato a cavarsela nei foschi meandri dei lavori donneschi.

Con la sua praticità tutta femminile, aveva osservato il figlio passare dall’infanzia alla pubertà, fino a che il ragazzo ebbe raggiunto l’età adulta; poi, un giorno, presolo da parte, gli aveva detto sospirando: “Pedro, sei troppo docile e troppo poco bello per trovarti una moglie. Un giorno io non ci sarò più e se non saprai prenderti cura di te stesso, finirai come quei perdigiorno puzzolenti che abitano sotto al ponte della Cereria.”

A dire il vero, Pedro non era un uomo così brutto, ma aveva quel tipo di viso e quel tipo di fisico che lo facevano passare inosservato. Gli era già capitato in parecchie occasioni di venire presentato alla stessa persona per quattro volte di seguito senza che quest’ultima si ricordasse minimamente di lui.

Pedro non era sicuro di aver capito bene le parole di Florentina, ma aveva seguito docilmente in cucina la madre che gli aveva consegnato una ramazza di saggina, intimandogli di scopare il pavimento. Gli aveva poi insegnato come stanare la polvere dagli angoli più nascosti ed il modo per nettare la scopa, battendola sul davanzale della finestra che dava sul loro piccolo orto. “Lo so che è un lavoro noioso, Pedro, ma è necessario fare qualche sacrificio per un bene più grande”.

Piano piano e poco alla volta, Pedro aveva assimilato gli insegnamenti della madre e quando tre anni prima Florentina Agueiro Matas era passata a miglior vita, lui era diventato completamente autonomo già da parecchio tempo. A volte, scherzando ma non troppo, la donna sosteneva che suo figlio era in grado di stirare le camicie molto meglio di lei.

In effetti, quel tipo di compito gli si addiceva molto: preciso e metodico, metteva molto impegno in tutto quello che faceva. Non che si dovesse sforzare molto, perché possedeva una mente analitica che gli permetteva di organizzare e di svolgere i suoi compiti in maniera veloce e piuttosto efficace. Questa sua caratteristica gli aveva permesso di ottenere un impiego presso la redazione di un giornale molto prestigioso della capitale.

Pedro amava molto il suo lavoro: gli piaceva e svolgerlo lo faceva sentire importante e competente. Già, perché nei rapporti umani non aveva la stessa dimestichezza: le persone erano per lui dei fogli bianchi, vergati con l’inchiostro simpatico dell’arguzia e della sensibilità che lui non possedeva e non era in grado di decodificare. Lui non piaceva alla gente e la gente non piaceva a lui e l’unico essere umano del quale apprezzasse la compagnia era sua madre.

Le parole, invece, erano rassicuranti. Così nero su bianco, così chiare, nitide. Certo, esse potevano essere infide e con molteplici sfumature e significati, ma Pedro le amava e le rispettava anche per quella ragione.

Correva quell’anno 1974: in Nord America, Nixon aveva le sue belle gatte da pelare con lo scandalo Watergate e malediceva quei due maledetti impiccioni di Woodward e Bernstein che gli avevano acceso la miccia sotto la poltrona presidenziale, mentre dei teppisti con i capelli troppo lunghi cantavano che “era solamente rock’n’roll, ma che a loro piaceva”. Nel Paese l’anno prima c’era stato un avvicendamento alla più alta carica dello Stato. Un po’ violento, forse, ma tutto sommato non si stava nemmeno male. Pedro era felice nel suo piccolo mondo composto da casa sua, il suo ufficio ed il tragitto che percorreva a piedi ogni mattina e ripercorrendo i suoi passi a ritroso verso sera.

Il suo principale, Ernesto Santander, era un uomo comprensivo che lo apprezzava: gli aveva detto tante volte che era bravo in quel che faceva e Pedro ne andava molto orgoglioso. Dopotutto, per fare il suo lavoro ci voleva tanta fantasia. Sì, perché Pedro leggeva le notizie che arrivavano da tutte le parti del Paese e le riscriveva. In un certo senso, si poteva dire che lui abbellisse la verità: il mondo era abbastanza brutto di per sé, per cui che male c’era nel renderlo più piacevole?

Quel giorno cominciò come un milione di altri giorni tutti uguali: dopo aver bevuto il caffè, Pedro si era vestito, aveva pettinato i pochi capelli che gli rimanevano sul capo a formare una chierica, inforcato gli occhiali rotondi che portava da quando era adolescente e, dopo aver indossato la sua giacca beige, si era recato al giornale.

Faceva abbastanza caldo per essere primavera e, dopo essersi seduto alla scrivania e davanti alla macchina da scrivere, con fare circospetto si arrotolò le maniche della camicia. Poi cominciò a rovistare nelle vaschette della posta in entrata per decidere con quale notizia iniziare.

Aveva appena afferrato un foglio che se lo sentì strappare via di mano da qualcuno. Si voltò. Era il signor Santander, che gli mise in mano un altro pezzo di carta.

“Carrillo, comincia con questa, per favore. E’ urgente. Il resto può aspettare.”

“Certo, signore” rispose Pedro compunto. “Solita procedura?”

Santander non lo guardò nemmeno, i suoi occhi stavano vagando oltre la finestra. Accese una sigaretta, aspirò con voluttà e ne soffiò via il fumo. “No, Carillo…” modulò con voce quasi dolce. “Questa volta lascia tutto com’è. Al massimo, correggi grammatica, sintassi e tutto il resto. Ma la notizia rimane quella che è”.

Pedro rimase estremamente perplesso. “Va bene, signore.” Per la prima volta in tanti anni si azzardò a ricordare al suo superiore: “Signore… la sua asma… non dovrebbe fumare.”

Per tutta risposta, Santander aspirò il fumo con ancora più piacere poi giocherellò con un anello che portava al mignolo, un drago stilizzato con due piccoli rubini al posto degli occhi: “Non importa, Carrillo. Non importa più”, e lasciò l’Ufficio Censura sparendo oltre un altro uscio.

Pedro fece spallucce e, sentendosi a disagio e vagamente inquieto, infilò un foglio nel rullo della macchina da scrivere, controllando che fosse dritto. Poi, dopo aver letto attentamente il testo due o tre volte, cominciò a picchiare sui tasti: “Marita Fuentes de la Corte, di anni ventidue e residente nel quartiere della Barquita in calle dos Santos, è stata trovata priva di vita sulla riva del Madongo. La vittima presentava segni di percosse, sevizie e…”

Pedro si morse un labbro, le dita immobili, sospese sopra i tasti della macchina. Ma Pedro era uno che gli ordini li eseguiva e proseguì: “quelli che sembravano essere inequivocabilmente segni di torture…”

Madre de Dios, sarà stato il solito fidanzato geloso che non ci ha visto più. Buttò un occhio alla foto della ragazza. Era bella: occhi scuri e vivaci, capelli neri ed un sorriso non perfetto, ma piacevole. Scosse il capo: quella sera a Messa avrebbe detto una preghiera per lei.

§

Il giorno seguente, Pedro notò una strana agitazione, nell’ufficio. Come al solito, passò inosservato e non badò molto ai suoi colleghi. Rimase sul chi vive quando sentì il nome del principale pronunciato da Perdita, una ragazza che lavorava in amministrazione. Non erano certamente affari suoi, mormorò prendendo posto alla scrivania.

La porta si aprì bruscamente ed entrò un uomo robusto, con la faccia quadrata ed il capo completamente senza capelli, la pelle del cranio che sembrava essere stata lucidata di recente. “Carrillo!” esclamò, facendo sobbalzare Pedro dalla sedia. Il tono marziale gli fece rispondere: “Signorsì. Signore!” proprio come quando era sotto le armi. In effetti, quell’uomo sembrava un ufficiale dell’esercito.

“Riposo, Carrillo. Sono Benitez e da oggi sarò il tuo responsabile. Domande?”

“Sì… signore. E il signor Santander?”

“Santander? E’ stato trasferito.” rispose secco Benitez.

“Oh, così all’improvviso… ma lui sta bene? Voglio dire, non gli è successo niente, vero?” domandò Pedro, preoccupato.

“Non ti devi preoccupare, pensa solo al tuo lavoro” Benitez gli rispose con un tono talmente minaccioso che Pedro si irrigidì e capì che non avrebbe dovuto chiedere più niente.

Pedro lo guardò perplesso, mentre Benitez gli allungava un foglio. “Solo grammatica e sintassi e le solite balle. Il testo l’ho già riscritto io. Muoviti! Fra mezz’ora lo voglio sulla mia scrivania.” E senza aggiungere altro, se ne andò, chiudendosi alle spalle la porta con un colpo secco.

Fissò la soglia per un lungo momento. Era piuttosto illogico che il suo ormai ex responsabile fosse sparito così, da un giorno all’altro, ma si sapeva che i giornalisti sono creature strambe, tuttavia, una forte agitazione gli rimase nell’animo per tutta la giornata. Come mai Santander era sparito così all’improvviso? E poi, il giorno prima gli era sembrato assente, preoccupato. Per quale ragione, dal momento che Santander era una persona tanto tranquilla?

La giornata era stata scandita dall’andirivieni di Benitez che ad intervalli regolari faceva capolino per esaminare il suo lavoro e strepitare ad alta voce se qualcosa non gli andava bene. Pedro non era un uomo stupido e si era reso conto subito che il suo nuovo responsabile era un uomo piuttosto collerico e che era meglio non contrariarlo.

Alzò gli occhi e guardò ancora una volta il foglio.

Strano.

Sembrava che le lettere sulla carta si stessero muovendo.

Spostò lo sguardo verso l’orologio a muro e vide che erano le otto passate.

Ecco perché la sua vista stava facendo cilecca: aveva lavorato troppo.

§

Per la prima volta in tanti anni, Pedro non aveva dormito bene. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto con il pensiero di Santander sempre martellante in testa, la mente piena di foschi pensieri.

Il mattino giunse quasi fosse una benedizione; Pedro scese dal letto quasi di corsa ed andò a preparasi una buona colazione. Poi, andò a farsi la barba.

E per la prima volta, la sua mano tremò.

Pedro rimase inebetito a fissare la sua espressione allo specchio, mentre il sangue colava rosso nel lavandino.

Un taglio profondo, che bruciava, la ferita che non si rimarginava.

Arrivò in ufficio con largo anticipo e dovette aspettare a lungo prima che giungesse il portiere, Pepe, ad aprire tutte le serrature che venivano da lui chiuse la sera, sul tardi.

“Pedro! Come ti va? Sei più mattiniero del solito!”

“Ah, Pepe, ho tanto da fare e devo cominciare subito.”

Uno sguardo indecifrabile passò negli occhi del vecchietto, che annuì senza dir niente. Frugò nelle tasche rigonfie e ne estrasse un enorme mazzo di chiavi. Pedro stette pazientemente ad aspettarlo, stringendo al ventre la cartella in similpelle che gli aveva regalato sua madre quando era stato assunto al giornale. “Ecco, Pedro, passa una buona giornata”, gli augurò tenendogli aperto il portone per farlo passare.

Pedro entrò nel suo ufficio quasi di fretta, anche se era troppo presto e non era arrivato ancora nessuno. Nella vaschetta di plastica grigia, notò, c’era già un mucchietto di fogli tenuti insieme da una grossa graffetta. Lo prese e proprio davanti alle bozze, un messaggio telegrafico:

“Solito lavoro, entro la mattinata”

ed in fondo, una B puntata.

Benitez.

Pedro annuì e si sedette alla scrivania, appallottolò la nota del suo capo e la gettò nel cestino della carta straccia e si dedicò agli articoli da correggere.

Dopo un secondo, le lettere cominciarono a danzare davanti ad i suoi occhi, schizzando come impazzite dalla carta. Sembrava che volessero saltar via dal foglio ed andare chissà dove.

Pedro strinse forte gli occhi e se li sfregò energicamente con il dorso della mano. Li riaprì. Sembrò andare meglio, ma dopo un attimo, mezzo alfabeto riprese ad agitarsi freneticamente sotto al suo sguardo.

Ora cominciava ad essere preoccupato per la sua vista.

Si sfregava continuamente le palpebre, le stringeva tra di loro fino quasi a lacrimare per lo sforzo, la pelle che iniziava ad infiammarsi a causa delle energiche frizioni. Tutto sembrava tornare alla normalità per un attimo, ma l’illusione era di breve durata.

Cosa diavolo stava succedendo ai suoi occhi? E sfregava, sfregava disperatamente, cercando di cacciare via quelle lettere impazzite che gli impedivano di vedere qualsiasi cosa all’infuori di esse. Dei passi echeggiarono alle sue spalle, poi un rumore militaresco di tacchi: “Carrillo, cosa sta succedendo?”

Tra un carattere e l’altro che gli ballava davanti agli occhi, Pedro intravide la figura massiccia di Benitez.

“Signore, ho dei problemi agli occhi…” sussurrò Pedro impaurito.

“Avanti, che aspetti, vai a farti vedere. Devi mantenerti in salute, se vuoi renderti utile. Quando hai fatto, vai a casa a riprenderti: vederti sfregare gli occhi come un bambino che frigna non è un bello spettacolo.”

“Sissignore, grazie signore…” Pedro si alzò, rimise a posto la sedia e si avviò verso Avenida del Marasco, dove il dottor Fernando Botero aveva il suo studio.

Uscito all’aria aperta si sentì subito meglio e le lettere scomparvero. Gli venne voglia di andare a casa, ma Benitez gli aveva espressamente intimato di andare dal dottore.

Dopo circa mezz’ora, Pedro spinse la porta dello studio del Dottor Botero ed entrò nel locale stipato di gente. Vecchietti incartapecoriti, donne incinte, uomini con ferite da taglio e bambini che puzzavano di latte stantio e pannolini non troppo puliti. Storse il naso e si appoggiò al muro, dal momento che le sedie erano tutte occupate. Dopo un quarto d’ora riuscì a sedersi e dopo un’altra mezz’ora entrò nello studio.

“Pedro! Come stai? Ah, ma se sei venuto a trovarmi, vuol dire che non te la passi tanto bene. Allora, dimmi, cosa succede?”

“Vedi, Fernando, ho problemi con le lettere.”

“Hombre, cosa vuoi dire?”

“Io… è da un paio di giorni che vedo delle lettere schizzare via dai fogli e ballarmi davanti agli occhi e…”

“Ho capito, vieni qua…” Lo fece accomodare davanti ad un tabellone che riportava un segno simile ad una E, orientata verso differenti direzioni. “Ora dimmi se queste specie di E sono verso il basso, l’alto, a destra o a sinistra”. Con una lunga bacchetta, Botero gli indicò le lettere da leggere e Pedro indovinò tutte le direzioni.

“Hai avuto problemi?”

“No, no. Queste non ballavano.”

Botero si sedette alla scrivania e buttò giù qualche riga su un foglio intestato con il suo nome, poi piegò la ricetta in due e la cacciò in mano a Pedro.

“Ecco, questo è un collirio. Cerca di metterlo almeno tre volte al giorno e non sforzare gli occhi. Mi raccomando, per un po’ niente TV. Ora vai, ci vediamo.” E lo spinse praticamente fuori dal suo studio. Pedro rimase annichilito, con la prescrizione ripiegata tra le mani e mormorò: “Io non ho la televisione.”

Non gli rimase che tornare sui suoi passi e andarsene dritto verso casa sua. Qualcosa gli diceva che la diagnosi di Botero era tutt’altro che esatta: ogni tanto, vedeva qualche lettera offuscargli la visuale, ma fu solamente davanti ad una edicola che il sospetto lo colse.

Teresa Ramón aveva l’abitudine di invitare i clienti all’acquisto, cacciando loro in mano il primo quotidiano che le capitasse a tiro.

Pedro fu vittima della strategia di mercato di Donna Teresa e si vide rifilare una copia della “Noticia” senza nemmeno rendersene conto.

Improvvisamente, i suoi occhi non videro altro che lettere dell’alfabeto che si alternavano dinnanzi al suo sguardo annichilito. Rimase fermo a fissare il foglio e, allibito, si rese conto che le lettere che balzavano fuori dalla carta stampata erano sempre le stesse. Iniziò a sudare freddo, una goccia che colava piano piano gelida lungo la sua schiena.

“Teresa! Una penna!” urlò con voce stralunata Pedro, mentre cominciava a capire quel che stava succedendo. Lei si avvicinò e lui quasi le strappò la biro dalle mani.

Pedro riportò sul foglio quello che vedeva.

Una E.

Una R

Una N.

Un’altra E.

Pedro scrisse e dopo un attimo lesse:

Ernesto Santander Cala Maldida.

Cosa diavolo c’entrava il suo ex responsabile? E cosa diavolo doveva farci a Cala Maldida? Cosa diavolo significava tutto questo?

Controllò l’ora ancora una volta sull’orologio che era stato di suo padre.

Se fosse riuscito a prendere il treno delle undici, sarebbe arrivato entro mezzogiorno.

Si mise a correre, per quanto le sue gambe malferme glielo permettessero ed arrivò alla stazione esattamente cinque minuti prima che il treno partisse. Acquistò il biglietto e fece appena in tempo a crollare su uno dei sedili in similpelle dello scompartimento che il suo viaggio iniziò.

Non ci volle molto: scese a Cruz de Jesus e prese un autobus. Poi, dieci minuti a passo spedito verso il mare.

Cala Maldida aveva quel nome a causa degli scogli infidi che si prestavano ottimamente ai propositi suicidi della gente del posto. E la Cala non li aveva mai delusi. Pedro, tremante, intimorito da quello strano messaggio, cominciò a passare in rassegna le insenature, cercando di non scivolare sui massi. Una strana inquietudine gli serrava la gola. Continuò a camminare, sempre più velocemente, guardando avanti a sé. Se Santander era stato lì, ora non c’era più. Non era stata una mossa intelligente, venire lì. Era stanco ed aveva bisogno di riposare, ecco perché la sua immaginazione gli aveva giocato brutti scherzi.

Tenendosi agli scogli, scese maldestramente nella caletta seminascosta che si intravedeva appena. Appena posò il piede a terra, urtò contro qualcosa.

Era una persona che dormiva. Proprio lì doveva mettersi, quello?

“Mi scusi, signore, io non…”

Le parole gli si mozzarono in gola, gli occhi strabuzzarono all’infuori quando si rese conto che si trattava di

Un morto.

Un morto, talmente sfigurato da non essere più riconoscibile, pieno di ferite, tagli e lividi.

Un morto che portava l’anello a forma di dragone di Santander e la sua stessa giacca con il taschino semistrappato.

E mosche che stavano banchettando su quel corpo ormai senza vita.

Un momento prima che il terrore prendesse possesso di tutto il suo essere, Pedro pensò che i rubini dell’anello avessero lo stesso colore del sangue che sembrava aver preso possesso della Cala: era sul morto, attorno ad esso, sulle rocce nere, dappertutto.

Pedrò si sentì venir meno “Oh mio Dio” mormorò “Oh mio Diooooo” urlò e tentò di fuggire: cominciò ad arrampicarsi sugli scogli, ma i suoi piedi scivolavano sui massi bagnati, le mani cercavano la presa che non trovavano, scorticandosi fino alla carne viva e gli occhi pieni di lacrime gli impedivano di vedere chiaramente; l’unica cosa che riusciva a percepire con chiarezza era l’odore ferroso del sangue ed il puzzo invadente della morte violenta e spietata. Lottò disperatamente per andare via da lì, il suo sangue uguale a quello versato sugli scogli che gli ricordava quello che c’era dietro le sue spalle e che non voleva più vedere.

Finalmente, riuscì a risalire e scappò a prendere il treno senza voltarsi indietro.

Pochi minuti dopo, accasciato sul sedile, Pedro rifletté.

Santander. Cosa poteva mai avere fatto per meritarsi una fine così? Quella aveva proprio l’aria di essere stata un’esecuzione in piena regola: nessuna rapina, altrimenti l’anello sarebbe sparito.

Si segnò col segno della croce e pensò che quella sera avrebbe dovuto pregare per un’altra persona.

Pedro tenne gli occhi puntati a terra per tutta la durata del viaggio e non incrociò lo sguardo di nessuno, né gli occhi gli diedero ancora fastidio.

Non vedeva l’ora di tornare a casa.

Per strada, passando accanto ad un cartellone pubblicitario, le lettere ricominciarono a perseguitarlo.

P

E

R

D

Basta! Puntò ancora lo sguardo a terra e non lo rialzò più fino a che varcò la soglia.

Al sicuro? Certo che no!

Le lettere ricominciarono ad investirlo, girandogli attorno come impazzite, causandogli un mal di testa lancinante, le tempie che pulsavano dolorosamente, come se un martello stesse picchiando senza sosta sul suo cranio.

Quelle maledette provenivano dai giornali sparsi sul tavolo, dalle istruzioni scritte sul flacone del detersivo, dall’etichetta dei fagioli in scatola e lo colpivano in pieno senza misericordia; mazzi di caratteri che arrivavano direttamente dalla libreria lo investivano minacciosi ed incessanti.

Alfabeti che gli si riversavano completamente addosso inesorabili, stordendolo, ma non abbastanza, perché comprese benissimo ciò che quelle maledette composero:

PERDITA GOMEZ Sotterranei prigione Valades.

Perdita Gomez? Non era forse la collega…

No, non era possibile, non poteva essere!

E poi, altre lettere, altre persecuzioni lo assalirono.

Le pulsazioni alle stelle, si precipitò nell’orto e lì vi trovò un po’ di sollievo: c’erano solamente peperoni rossi e gialli e pomodori che stavano maturando placidi al sole.

Le ombre del pomeriggio si allungarono in quelle della sera e Pedro si addormentò accanto alla tenera insalatina che cresceva senza far rumore.

* * *

Buonasera! Quella che vi propongo è una storia che ho presentato all’ottava sfida del sito Out Of Time; il tema scelto da Cielo Amaranto era una storia horror.

Non è tanto il mio genere, ma spero comunque vi piaccia.

Un caloroso grazie a Lele, che mi ha aiutato con il testo e a Max, che ha fatto il beta.

Siccome la storia è già completata, l’aggiornamento arriverà presto.

Ciao e grazie per avermi letto.

Nisi

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Si svegliò intirizzito e coperto di rugiada e la consapevolezza dell’incubo che stava vivendo lo raggiunse un secondo dopo aver aperto gli occhi. Mormorò una preghiera, sperando con tutte le forze che quell’inferno finisse presto.

Si guardò gli abiti stazzonati e stropicciati mentre apriva con cautela la porta che dava accesso alla cucina ed entrò con fare circospetto in casa sua.

I suoi occhi si posarono timorosi sulle parole crociate e, subito, le lettere gli schizzarono addosso componendo il nome di qualche disgraziato. Di scatto, si riparò dietro alla porta.

Si accasciò sulle ginocchia e nascose il viso nella lana del maglione che aveva tirato all’infuori per coprirsi, per nascondersi e rientrò con cautela.

Pensa, Pedro, pensa, ragiona, cosa avrebbe fatto tua madre, santa donna?

Cercava disperatamente una soluzione tra le sue meningi confuse.

Alberta Del Sol! Come aveva fatto a non pensarci prima? Quando succedeva qualcosa di storto, sua madre andava sempre a consultarsi con la cartomante che stava in fondo alla strada.

Senza curarsi né dell’ora, né dei suoi abiti stropicciati, uscì correndo, badando bene a tener gli occhi bassi e ad evitare come la peste qualsiasi pezzo di carta, stampata e non, che potesse attentare ancora alla sua già precaria sanità mentale.

Spalancò la porta e si trovò davanti una donna assonnata con i bigodini in testa ed una vestaglia sintetica di tessuto stampato a cerchi concentrici. Pedro ringraziò il cielo che la donna nella stanza non tenesse niente altro che i cuscini, il tavolo e la sfera di cristallo.

“Pedro, che fai qui tanto presto?”

“Ho bisogno di te, Alberta. Ma subito, non posso aspettare”

“Quanta fretta! Ma va bene, siediti qui” gli indicò un cuscino enorme che doveva essere stato di colore rosso e Pedro vi si lasciò cadere sopra, rischiando di caracollare all’indietro. Alberta lo imitò e si accese la prima sigaretta della giornata. “Allora, che succede?”

“Le lettere! Le lettere!” balbettò terrorizzato. “Ci sono le lettere che saltano fuori dai libri e dai giornali, arrivano sempre e mi scrivono chi è morto e dove si trova il cadavere.”

“Assurdo! Sei sicuro di non aver bevuto?” Alberta lo guardò di sottecchi con aria di sufficienza. “Io non bevo! E ti dico che è vero! E’ sparito Ernesto Santander, il mio vecchio responsabile e l’ho trovato morto a Cala Maldida…”

“Il tuo responsabile?” un’espressione smarrita ed impaurita le apparve in faccia. “Ti dico di sì.”

La donna si alzò di scatto e lo prese per la giacca. “Vattene, Pedro, non voglio aver guai, io non so niente e non ti posso aiutare. Con quelli del tuo ufficio non ci voglio aver niente a che fare!”.

Si ritrovò chiuso fuori, direttamente in strada.

Non si chinò abbastanza in fretta perché le lettere balzarono fuori da un manifesto che pubblicizzava le montagne di Araqueno

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“Basta! Smettetela!” urlò coprendosi gli occhi e correndo subito a casa, ma si ritrovò proprio davanti alla preghiera di San Francesco che prese a vomitare lettere minacciose che gli riempirono gli occhi; a furia di fendenti menati senza vedere assolutamente niente perché aveva chiuso ancora le palpebre, in pochi secondi buttò all’aria le vite dei santi che erano state di sua madre, i gialli tascabili e tutti i libri che aveva raccolto nel corso di una vita.

Ansimando penosamente, si fermò per riprendere fiato. Non aveva senso quel che stava facendo, perché le lettere non erano solo sui libri, erano dappertutto a perseguitarlo: sui tubetti del dentifricio, sulle etichette delle scatole dei vestiti e non poteva certo demolire la casa perché qualche maledetta sarebbe sempre sfuggita al suo controllo. Riprese la padronanza di se stesso con immensa fatica e ristette a meditare per qualche secondo sul da farsi; si avviò poi verso il telefono e cercò di comporre a tentoni il numero del Dottor Botero, contando con le dita i fori del disco di plastica e sempre impedendosi la visuale con il palmo della mano premuto sulle palpebre, troppo terrorizzato per rischiare, preferendo il buio all’orrore della conoscenza.

“Rispondi, per la miseria, rispondi Fernando” ringhiò mentre il telefono senza che dall’altra parte ci fossero cenni di vita.

Una volta, due volte, tre, quattro. Pedro cominciò a sentirsi sempre più smarrito e strinse convulsamente la cornetta, come se da essa dipendesse la sua intera vita.

Suona, maledetto aggeggio! Tira su la cornetta, medicastro da strapazzo!

“Pronto?” rispose una voce parecchio scocciata.

“Fernando, sono Pedro!”

“Ero con la mia signora, sangre de Dios! Cosa diavolo vuoi a quest’ora di mattina?”

“Fernando, ho bisogno…”

“Ti ho visitato ieri ed andava tutto bene, sei sano come un pesce.”

“Sì, lo so, ma…” respirò profondamente. “Ho bisogno di un permesso di malattia a tempo indeterminato.”

Dall’altra parte un sospiro, poi le parole: “Ed io cosa ci guadagno, Pedrito?” una voce dolce, insinuante. Allora quello che si diceva alle spalle di Botero era vero.

“Ti pagherò… giuro, ti pagherò!”

“Quanto, Pedrito?”

“Dimmi tu, Fernando, io non…”

“Un milione o non se ne fa niente.”

“Un milione? Va bene, va bene. Manda subito il permesso nel mio ufficio all’attenzione del signor Benitez. Subito, per il cielo!”

“Non ho capito che fr…”

“Subito, Fernando!” implorò Pedro e sbatté giù la cornetta con forza tale che rimbalzò sul gancio.

Dall’altra parte, Botero rimase perplesso davanti all’apparecchio. Strano, strano davvero: non aveva mai sentito Carillo tanto terrorizzato. Riappese, scrisse il permesso e ritornò dalla moglie.

Qualche ora dopo, Benitez lesse la missiva del medico con aria perplessa ed annuì. Anche lui si dimenticò di Pedro Carrillo forse due minuti dopo aver letto la lettera: dopotutto, il figlio di sua sorella aveva bisogno di lavorare.

§

Meno male, era riuscito a convincere Botero… ed ora era a posto.

Quasi a posto. Aveva sgombrato la cucina da tutti gli oggetti che potessero recare delle scritte, protetto da un berretto di alpaca che però lo aveva fatto sudare come un maiale. La situazione era di certo peggiorata, perché oltre al luogo, ora le lettere gli dicevano anche la causa di morte di quei disgraziati, che era anche peggio, perché Pedro era sempre stata una persona piuttosto impressionabile ed i gialli che leggeva erano quelli di tipo psicologico, quelli di Miss Marple ed Hercule Poirot, nei quali il sangue c’era, ma non si vedeva mai.

Doveva assolutamente uscire per procurarsi quanto gli necessitava per tirare avanti senza dover più lasciare casa sua, neanche per un attimo. Cercò di richiamare alla mente i percorsi che portavano ai vari negozi di alimentari della zona e ricordare quello più breve e sgombro da cartelli, edicole, librerie e quant’altro, ma la memoria lo tradì. Avrebbe potuto consultare una cartina, ma aveva troppa paura delle conseguenze: erano carta stampata, per cui pericolosa e lui non ne voleva più sapere di morti ammazzati. Non era cosa che lo riguardasse.

Decise di uscire verso il crepuscolo: forse il buio avrebbe fatto sparire quei sintomi pazzeschi.

La giornata passò lenta, Pedro in preda alla crescente paura che il momento di fare acquisti arrivasse. Ogni secondo, ogni attimo ed ogni respiro erano concentrati sui minuti che scorrevano incessantemente – sempre troppo veloci o troppo lenti -, sui rintocchi del pendolo che gli ricordava che era quasi ora, che avrebbe dovuto rituffarsi nel mondo rischiando un altro attacco, senza poter far niente per impedirlo. Non sapeva se sperare che il tempo si fermasse o che passasse più in fretta, in uno stato di incertezza sconvolgente.

E venne il crepuscolo, mentre Pedro pensava: “Ancora un secondo. Esco, certamente, ma non subito. Non è ancora il momento giusto. Devo attendere l’ora più adatta.”

Ma non poteva più rimandare. Si alzò stancamente dalla sedia e cercò di vincere la sua paura. Non ce la fece e ricadde seduto, nascose il volto tra le mani e pianse tutto il suo scoramento.

Se solo ci fosse stata sua madre! Ma era solo e non c’era proprio nessuno che potesse aiutarlo.

Si addormentò ancora una volta fuori dal suo letto, la testa appoggiata alle braccia incrociate sul tavolo della cucina.

* * *

Pedro si trovava ancora a Cala Maldida, il cadavere di Ernesto Santander ancora accanto a lui e non c’erano vie di fuga: i massi erano troppo alti e scoscesi perché lui potesse andarsene. Sì, era in trappola! Il cielo era di un colore nero, minaccioso, e la risacca del mare stranamente non faceva alcun rumore. Sembrava il mondo si fosse fermato e stesse guardando lui e quei poveri resti. Un ronzio, dapprima flebile, poi sempre più distinto e vicino. Ora il cielo si stava oscurando e Pedro non capiva, non capiva quel rumore, quell’orizzonte che si ottenebrava sempre di più.

Ora il ronzio era diventato assordante e, sgomento, vide milioni di enormi mosche posarsi sul cadavere di Santander.

Lo fecero a pezzi, senza che potesse impedirlo. Pedro, invaso dal terrore, si era nascosto dietro ad un masso ed osservava quella macabra scena da poco lontano. Il mare aveva ricominciato a sciabordare rumorosamente sugli scogli, ma non copriva il frastuono del festino delle mosche.

Di Ernesto Santander non ne rimasero che i vestiti e l’anello e Pedro sperò che quelle bestiacce se ne andassero in fretta.

Ma il suo desiderio non venne esaudito perché lentamente, quasi con indolenza, le mosche lo circondarono. Erano ancora sporche del sangue del suo ex principale. In un attimo furono su di lui e…

“Ahhhhhh!”

Si svegliò di soprassalto urlando, in un bagno di sudore, il collo indolenzito per la posizione innaturale, le pulsazioni impazzite e la paura folle ancora addosso.

Cosa poteva fare? Quando si fu calmato un po’ e si ricordò cosa avesse stabilito di fare la sera prima, decise che non poteva più rimandare. Sbirciò fuori dalla finestra: il cielo era ancora scuro.

Poteva andare al mercato: là cominciavano prestissimo.

Uscì correndo, senza curarsi del suo aspetto stravolto e degli abiti spiegazzati e macchiati di sudore.

Era ancora buio, ma non volle rischiare: corse con gli occhi puntati a terra, sbattendo contro le poche persone già in strada, contro i lampioni, contro i bidoni della spazzatura e finendo a terra un paio di volte. Ma non importava, non importava.

Arrivò al mercato semideserto. Senza far caso a quello che raccattava perché teneva gli occhi al suolo, infilò bracciate di cibo nelle borse che si era portato appresso.

Fece in fretta, il portafoglio più leggero e le sporte molto più pesanti. Faticosamente tornò sui suoi passi, felice di essere riuscito ad evitare le lettere e le notizie di morti violente che esse recavano.

Sentì accanto a sé la presenza di altra gente, persone che bisbigliavano, emettendo un ronzio che gli ricordava tanto, troppo quello delle mosche che aveva visto in sogno.

Il ronzio sempre più vicino, lo udiva avvicinarsi sempre di più.

Una mano sulla spalla lo fece trasalire.

Odio essere toccato.

“Signore… mi ha detto Alberta che mi può aiutare a trovare dove hanno portato mio figlio”.

Vecchia pettegola, mai che tenga chiuso il becco.

“Mi spiace, signora, io non so niente.”

Le dita si contrassero sul suo braccio, la voce della donna si fece stridula: “Non è vero! Alberta non mente mai. Dimmelo dove lo hanno portato!”

A tentoni, Pedro raggiunse le dita della donna e le staccò da sé con un’espressione schifata.

“Signora, le ho detto che non posso far niente per lei.”

Un’altra donna si accostò a quella che aveva parlato.

“Rosita, te lo aveva detto Alberta che questo è un bastardo. Lavora alla censura, lo sai”

Scalpiccii di passi frettolosi che si avvicinavano velocemente.

In un attimo, Pedro venne circondato, proprio come avevano fatto le mosche in sogno.

Si sentì come un animale braccato da luridi esseri inferiori.

Dalle voci, Pedro capì che erano donne, donne arrabbiate che urlavano come delle ossesse, ma non capiva cosa stessero dicendo. Il terrore lo ghermì come una morsa: lo avrebbero forse fatto a pezzi, come nel sogno? Inchiodato al suolo dalla paura ed incapace di reagire.

“Dimmelo! Dimmelo dove hanno nascosto mio figlio! Dove lo hanno portato, cosa gli hanno fatto!”

Pedro teneva gli occhi ostinatamente serrati. Le borse si erano aperte ed il loro contenuto si era sparso sull’asfalto. “Dove lo hanno portato! Dimmelo!”

“E’ ancora vivo? Devo saperlo!”

“Diglielo! E dimmi dov’è la mia Margarita!” un altro strillo ad uccidergli i timpani.

Non aveva spazio per respirare, le Madri erano troppo vicine.

Avvertiva il puzzo del loro sudore provocato dagli abiti di nylon, i loro capelli gli piovevano sul viso.

“Voglio saperlo! Cosa è successo al mio povero ragazzo?”

Pedro aveva preso a singhiozzare, mentre le Madri, non sapeva quante fossero, lo spintonavano avanti ed indietro e cercavano di fargli aprire gli occhi. “Signore, vi prego, vi scongiuro! Io non lo so, non ve lo posso dire!”

Non toccatemi, non toccatemi, non tocc…

“Menti! Tu menti! Tu sai se è successo qualcosa ai nostri figli! Ce lo devi dire!”

E pugni, calci, mentre lui si lamentava debolmente e cercava di portare le mani alle palpebre.

“Mio figlio si chiama Malachia De la Rocha! Dov’è?”

“Non lo so, signora, la scongiuro, io…”

“Piangi come un vitello mentre mia figlia è nascosta chissà dove! Parla!”

“Dove hanno portato Estrella Bernal? E’ incinta di sette mesi! Dimmi se hanno fatto qualcosa al bambino! Apri quegli occhi, vigliacco!”

Qualcuno lo prese per i capelli e lo costrinse a sollevare le palpebre, mentre qualcun altro gli schiacciava in viso una rivista qualunque ed il suo campo visivo ancora una volta si riempiva di alfabeti che schizzavano da ogni parte.

Lui piangeva, le Madri piangevano: lui di paura, loro di rabbia. Finalmente, Pedro trovò la forza di alzarsi e riuscì a liberarsi a furia di pugni, calci e graffi e morsi, correndo via, incespicando in ogni passo come fosse ubriaco. Le lettere avevano cominciato a cadergli addosso, quasi come se tutte quelle che era riuscito ad evitare si fossero tenute da parte per azzannarlo al momento giusto e vomitare su di lui tutto il loro orrore.

Nomi, nomi, morti, sangue, violenza, scariche elettriche, torture inimmaginabili, trattamenti disumani, cadaveri scaricati in mare, cause di morte spaventose si mescolarono in un groviglio inestricabile e macabro che dalle sue pupille corse fulmineo al suo cervello.

Pedro si fermò in mezzo alla strada, cominciando ad urlare come un ossesso e stringendosi la testa fra le mani, come se quel gesto potesse far finire quel macello.

Invano.

Braccia misericordiose lo portarono sul marciapiede, voci pietose gli chiesero cosa stesse succedendo, ma lui si divincolò e scappò via, verso casa.

Entrò barcollando e si lasciò cadere sul divano, esausto. L’orrore era entrato nella sua vita, Pedro lo avvertiva quasi fosse una presenza fisica costante accanto a sé:

Aveva deciso: non sarebbe più uscito da lì e si sarebbe nutrito dei frutti del suo orto. Era troppo, la sua mente non avrebbe certamente retto ad un altro attacco del genere.

Si alzò e cominciò a frugare nel cassetto nel quale sua madre teneva i rimasugli delle stoffe. Trovò un quadrato di cotone di colore nero, lo ripiegò parecchie volte e si bendò gli occhi, mentre la tranquillità misericordiosa scese su di lui: dopo essersi sdraiato ancora sul divano, si addormentò.

Si svegliò di soprassalto qualche minuto dopo al suono impazzito del telefono.

Si alzò ancora tutto scombussolato dal sonno e raggiunse l’apparecchio a tentoni. Tenne la mano appoggiata alla cornetta per qualche secondo, indeciso se rispondere o meno. Poteva essere qualcuno dall’ufficio, per cui si portò il microfono alla bocca: “Pronto?”

“Dove è andato a finire mio fi…”

Pedro riattaccò con gesto violento, per poi ricominciare a tremare come una foglia, le ginocchia che lo reggevano a malapena. “Perché non mi lasciate in pace? Voglio stare tranquillo” chinandosi, raggiunse a tentoni l’attacco, lo strappò via dalla sua presa e gettò il telefono in un angolo un secondo dopo che questo aveva preso a trillare ancora. Stancamente, uscì nell’orto e si lasciò cadere su un gradino di pietra. Non aveva corso, ma aveva il fiato grosso. Si levò la benda e fissò il sole che era ormai alto nel cielo ed i suoi occhi lacrimarono per la troppa luce.

Non avrebbe più dovuto vedere nessuno, incontrare anima viva e scambiare convenevoli con altri esseri viventi. Se questo era il prezzo per non essere più disturbato da quelle maledette lettere, lo avrebbe pagato volentieri.

Aveva ancora il cuore che pulsava forte nel petto e respirò a fondo, grato del pericolo scampato, una mano sul torace per riportare il battito alla normalità.

I suoi sensi avvertirono qualcosa: un rumore.

Sobbalzò.

Qualcosa era caduto per terra.

Si rimise la benda sugli occhi e rientrò in casa.

Un altro rumore.

La sedia spostata.

“C’è…” paura… “C’è qualcuno?”

Muscoli irrigiditi, sensi all’erta, sensazione strana alla bocca dello stomaco.

Nessuna risposta, ma il suono di dita tamburellate sul tavolo.

Sangue gelato nelle vene.

Inchiodato sul posto, Pedro non si muoveva.

Un calcio sul polpaccio lo fece rovinare a terra.

“Chi siete? Cosa volete?” Pedro fece per rialzarsi, ma uno spintone lo rimandò sul pavimento.

Una voce di donna.

“Se vuoi saperlo, togliti quella benda”

L’aveva già sentita quella mattina, quella voce.

“Se ne vada, è reato entrare nelle case della gente.”

“Sapessi quante cose sono reato e non succede niente.”

La voce si avvicinò: “Lo sai che non succede niente?” urlò disperata, piena d’ira.

Pedro non capiva. Scosse il capo.

“Non succede niente perché ci sono i codardi come te che non si oppongono. Tu sai cosa hanno fatto a mio figlio!”

“No! Non lo so!”

“Se strappi via quella benda, lo saprai!”

Pedro avvertì le mani che si avvicinavano ai suoi occhi.

“NO!” scattò in piedi. “Non lo posso fare! E non serve a niente!”

“Io voglio poter seppellire un cadavere! Non lo capisci, idiota vigliacco?”

Ancora le dita di quella disgraziata su di sé. “Vattene! Toglimi le mani di dosso!”

Odiava che la gente lo toccasse!

“Lo farò quando…”

Un colpo sulle mani per allontanarla.

Un altro.

Ed un altro ancora: “Ho detto che te ne devi andare!”

Non poteva scappare, non poteva farlo, bendato com’era.

O lei o le lettere. Lei era il meno peggio.

“Te lo scordi!”

“Toglimi le mani di dosso, ho detto!” si divincolò e cercò di afferrare la donna per un braccio per buttarla fuori. Ce la fece, ma lei con la mano libera gli strappò la benda dagli occhi.

E fu la fine: tutte le lettere che aveva evitato, gli caddero addosso come una pioggia battente, con la violenza di un uragano.

Ramon

“Puttana! Che hai fatto!”

Rua de la Concha.

“Cosa è gli è successo?”

Torturato a morte

La testa gli scoppiava.

Honorio Lacanta

Dolore lancinante

Bar della Escuela

“Dimmelo! Devo saperlo!”

Flussi di lettere ininterrotti si univano nella sua testa.

Morti, morti ammazzati, violentati, torturati, uccisi senza pietà.

“Che ti prende ora?”

Pedro era finito sul pavimento, piangeva disperatamente e cercava di difendersi.

Le parole, non erano più rassicuranti: erano diventate portatrici di morte e di terrore tremendo.

“No, lasciatemi in pace, io non c’entro” si lamentava.

“Alzati, non fare il bambino!”

Lei lo prese per un braccio.

Rosita Riu

“Me lo dirai, come è vero che mi chiamo Rosita Riu!” Uno strattone, una spinta e la donna cadde a terra battendo la testa contro uno spigolo e rimase immobile.

E’ stato Pedro

Cosa aveva fatto?

Le aveva fatto battere la testa.

Pedro è un assassino!

Ed il flusso continuava.

Ernestina, Paula, Roberto, Rinaldo, José, Floriano.

E peggiorava sempre di più, unendosi al dolore lancinante che sentiva dentro di sé per essere diventato un assassino.

Fucilato, accoltellato, gettato in mare, mutilato, dissanguato, stuprato, finito.

Doveva finire, quella tortura.

Anche tu sei un assassino!

Ora piangeva, nella cucina che era stata di sua madre, le mani appoggiate al banco di lavoro, la testa incassata tra le spalle mentre sudava di una traspirazione innaturale, che puzzava di puro terrore.

Il suo sguardo si posò su un oggetto a lui familiare.

Il coltello da cucina di sua madre.

Un’idea…

Un’idea folle, ma forse poteva funzionare.

Dopotutto, è necessario fare qualche sacrificio. Per un bene più grande.

Erano le parole che sua madre gli aveva ripetuto per tutta la sua infanzia.

Sì!

”Un sacrificio, per un bene più grande.” Canterellò, ormai impazzito.

Una risata stridula strozzata in gola e di scatto afferrò il coltello, studiando il metallo lucente, Lo sollevò e lo puntò contro la pupilla.

Se non avesse più avuto la vista, forse…

Per un bene più grande, Pedro…

E la sua mano scese e con essa la lama.

Spinta in profondità, un urlo lancinante e sangue, sangue dappertutto.

Ancora la lama calò e fu ancora dolore, rosso e vivido, da spaccargli il cranio.

Urla come quelle dei maiali al macello.

L’ultima cosa che Pedrò fu in grado di vedere furono, ancora, quelle lettere:

Pedro Carrillo. Arteria recis…

Fine

* * *

Mille ringraziamenti a MaxTM per il beta, a Lele e a tutti coloro che hanno letto ed apprezzato questa storia.

Ma in particolare:

IceWarrior: Caspita, mi hai beccata anche in questa sezione… Ti ringrazio tantissimo per i tuoi complimenti. Sono felice che anche questo esperimento ti sia piaciuto.

Elfie cara: Amore mio caro, non ti dico niente, ma solo aspetta tre settimane che ti strapazzo come meriti. Baciotto.

Bradamante: Eh, cara, dovevo pur ovviare con qualcosa alla mia clamorosa ignoranza sul genere horror. E’ vero, comunque, il vero orrore è quello che si compie su un proprio simile… ed anche il peggiore. Grazie!

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